ANNO LXVI - N. 1 GENNAIO - MARZO 2014 


RASSEGNA 
AV V O C AT U R A 
DELLO STATO 


PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 


COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino -
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 

DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 

COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria 
Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano 
Varone. 

CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo Luigi 
Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni 

- Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola 
Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 

HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Benedetta Barmann, Federico Basilica, Matteo 
Bertuccioli, Alessandra Bruni, Saverio Capolupo, Francesco Maria Ciaralli, Alfonso Contaldo, 
Roberta Costanzi, Pierluigi Di Palma, Michele Gerardo, Michele Gorga, Giulia Guccione, 
Gaetano Molica, Amalia Muollo, Matteo Maria Mutarelli, Valerio Perotti, Sergio Massimiliano 
Sambri, Agnese Soldani, Valeria Romano, Mariarita Romeo. 

E-mail: 
giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 
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AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
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Stampato in Italia - Printed in Italy 

Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


INDICE - SOMMARIO 


TEMI ISTITUZIONALI 

Saverio Capolupo, Gli appalti pubblici: tra opportunit� e minacce. Le 
esperienze operative della Guardia di Finanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Giuseppe Fiengo, I criteri selettivi e le regole procedurali dell�attivit� 
dell�organo di autogoverno dell�Avvocattura dello Stato (Cons. St., Sez. 
IV, sent. 17 marzo 2014 n. 1321) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Michele Gerardo, Corollari della societ� in house: esclusione dal fallimento 
ed applicazione della normativa organizzatoria relativa al socio 
pubblico. In specie, ove l�ente ausiliato sia una P.A., patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato (Trib. Napoli, VII sez. civ., decr. 9 gennaio 2014, 
N.R.R.Fall. 1097/13) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Patrocinio del Commissario straordinario del Governo per la ricognizione 
della situazione economico-finanziaria del Comune di Roma (ora 
Roma Capitale). Nuove istruzioni. Circolare A.G.S. prot. 70963 del 17 
febbraio 2014 n. 11. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali. Autorizzazione ad avvalersi 
del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato. Circolare A.G.S. prot. 
156853 del 7 aprile 2014 n. 23. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Modifiche al c.p.c. introdotte dall�art. 54 del D.L. n. 83/2012 (convertito 
nella legge n. 134/2012). Sentenza n. 8053/2014 delle Sezioni Unite. Modifiche 
alla circolare n. 56/2012. Circolare A.G.S. prot. 187299 del 29 
aprile 2014 n. 26. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

Pierluigi di Palma, National case study: Italian law on strategic assets; 
Golden Power. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

1.- Le decisioni della Corte di giustizia Ue 

Sergio Massimiliano Sambri, Amalia Muollo, La Corte di Giustizia 
Europea censura l�Adunanza Plenaria. Note a margine della sentenza 
4 luglio 2013 C-100/12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

CONTENZIOSO NAZIONALE 

Federico Basilica, Valeria Romano, I recenti tracciati della giurisprudenza 
costituzionale in materia di qualit� della regolazione (C. cost., 
sentt. 23 gennaio 2013 n. 8 e 16 aprile 2013 n. 70) . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Benedetta Barmann, La rilevanza dell�interesse legittimo nell�esercizio della 
protezione diplomatica (Cass. civ., Sez.Un., sent. 19 ottobre 2011 n. 21581) 

Francesco Maria Ciaralli, La dialettica dei distini: il diritto di recesso 
nell�offerta fuori sede (Cass. civ., Sez. Un., sent. 3 giugno 2013 n. 13905) 

pag. 1 
�� 17 
�� 32 
�� 46 
�� 50 
�� 51 
�� 55 
�� 63 
�� 77 
�� 96 
�� 103 


Marina Russo, Indennizzabilit� dei danni da emotrasfusione a seguito di 
prestazione eseguita all�estero (Cass., Sez. lavoro, sent. 19 dicembre 2013 
n. 28435). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 125 
Alessandra Bruni, Matteo Bertuccioli, La specialit� della disciplina del 
rapporto di lavoro presso gli enti lirico-sinfonici (Trib. Roma, Sez. 3 lav., 
ord. 20 febbraio 2014, R.G. 43146/2013) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 132 
Giulia Guccione, Azione generale di arricchimento nei confronti della 
P.A. e problematiche sulla determinazione del quantum indennizzabile 
(Cons. St., Sez. V, sent. 7 giugno 2013 n. 3133) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 152 
Mariarita Romeo, Indirizzi giurisprudenziali in tema di revoca della gara 
d�appalto e responsabilit� precontrattuale della pubblica amministrazione 
(Cons. St., Sez. V, sent. 15 luglio 2013 n. 3831). . . . . . . . . . . . . . . �� 166 
Roberta Costanzi, Sul rapporto tra ricorso principale ed incidentale 
�escludente� nel processo amministrativo: la parola ritorna al giudice 
comunitario (CGAR Siciliana, ord. 17 ottobre 2013 n. 848) . . . . . . . . . . �� 179 
Gaetano Molica, Una SCIA-Demaniale: � possibile? (TAR Sicilia, Palermo, 
Sez. I, sent. 25 luglio 2013 n. 1543). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 195 
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Francesco Meloncelli, Procedimento disciplinare: termini e segreto istruttorio 
in pedenza di procedimento penale per medesimi fatti illeciti . . . . �� 211 
Agnese Soldani, Rimborso spese legali ex art. 18 d.l. 67/1997 in relazione 
Marina Russo, Permuta di un�area di propriet� statale con area di pro-
Giuseppe Fiengo, Parere su �Accordo per la gestione degli atti di pignoramento 
in danno di Amministrazioni dello Stato notificati alla Banca 
a procedimento penale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 217 
priet� comunale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 222 
d�Italia - Tesoreria dello Stato, in veste di terzo pignorato� . . . . . . . . . . �� 225 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Valerio Perotti, L�ordinamento amministrativo della pubblica sicurezza, 
dalla singolarit� nazionale alla proiezione europea (II PARTE) . . . . . . . . �� 249 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Alfonso Contaldo, Michele Gorga, Le notifiche nel processo civile telematico 
alla luce dei pi� recenti decreti ministeriali . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 347 
Matteo Maria Mutarelli, Le nuove procedure di conciliazione dopo il Collegato 
lavoro e la riforma Fornero. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 366 

temi istituzionali
TEMI ISTITUZIONALI 

Ritengo opportuno far conoscere a tutti i colleghi la relazione del Generale 
di Corpo d�Armata Saverio Capolupo, Comandante Generale della Guardia 
di Finanza, tenuta il 13 maggio 2014 alla Scuola di Perfezionamento delle 
Forze di Polizia sul tema, di grande interesse, �Gli appalti pubblici: tra opportunit� 
e minacce. Le esperienze operative della Guardia di Finanza�. 

Michele Dipace 
Avvocato Generale dello Stato 

PREMESSA 

Desidero, innanzitutto, porgere a tutti i presenti il mio pi� cordiale saluto 
e ringraziare, in modo particolare, il Direttore della Scuola, Generale 
Amato. 
L�invito rivolto mi offre l�occasione di illustrare, in questa prestigiosa 
sede, l�impegno della Guardia di Finanza nel contrasto ai diversi - e purtroppo 
non marginali - contesti di illegalit� che minacciano il settore degli 
appalti pubblici, tema quanto mai di attualit�. 
In verit�, la materia � complessa e non si presta a facili schematizzazioni. 
In tale prospettiva ho preferito predisporre l�intervento in chiave eminentemente 
operativa, prendendo le mosse da una sintetica analisi del contesto 
economico e legislativo di riferimento, volta a rendere palpabile 
l�impatto che la contrattualistica pubblica riverbera sul sistema Paese. 
Proseguir� illustrando le coordinate essenziali della strategia d�intervento 
della Guardia di Finanza nel settore, delineando le patologie pi� ricorrenti 
che i Reparti hanno riscontrato nella quotidiana pratica operativa per fornire, 
in conclusione, alcuni spunti di riflessione di carattere generale. 

IL CONTESTO ECONOMICO 

Entrando nel merito della tematica, ritengo utile richiamare qualche in



formazione sul volume annuale degli affidamenti di lavori, servizi e forniture 
da parte della Pubblica Amministrazione. 
Si tratta di dati che possono offrire una chiara visione dell�effettiva dimensione 
della contrattualistica pubblica e sulla rilevanza delle grandezze 
economiche da essa movimentate. 
Nel 2012, stando ai dati pi� recenti forniti dall�Autorit� di Vigilanza sui 
Contratti Pubblici, sono state bandite oltre 125.000 gare, per importi a 
base d�asta superiori a 40.000 euro. 
Il complessivo giro di affari derivante dalle esigenze di approvvigionamento 
delle Pubbliche Amministrazioni si attesta intorno ai 100 miliardi di euro 
all�anno e rappresenta circa il 6% del Prodotto Interno Lordo nazionale. 
Nello scenario europeo, l�incidenza macroeconomica degli appalti � parimenti 
rilevante. 
La Commissione ha stimato, sempre con riguardo al 2012, che la spesa delle 
Amministrazioni degli Stati membri per rifornirsi di beni e servizi � stata 
pari al 18% del P.I.L. dell�intera Unione, ossia a circa 13.000 miliardi di euro. 
Certamente degni di nota sono anche i riflessi della contrattualistica pubblica 
sui livelli occupazionali. 
A tal riguardo, prendendo ancora a base le elaborazioni della predetta Authority, 
emerge che, per ogni miliardo di euro investito in appalti, si 
creano tra gli 11.700 e i 15.600 occupati, dei quali 7.800 direttamente riconducibili 
all�esecuzione dei contratti ed i rimanenti creati nell�indotto 
dei fornitori e dei prestatori di servizi. 
Un recentissimo studio, pubblicato il mese scorso dal Centro Ricerche 
Economiche Sociali di Mercato per l�Edilizia ed il Territorio, mostra, con 
riferimento al settore degli appalti, un trend in forte crescita per il primo 
trimestre 2014. 
In particolare, nei primi 3 mesi di quest�anno, sono stati pubblicati circa 

3.800 bandi di gara, per un valore complessivo pari a 6,8 miliardi di euro. 
Rispetto allo stesso periodo del 2013, il numero degli incanti � cresciuto 
del 9,5% e l�importo del 82,7%, grazie anche all�incremento degli investimenti 
delle Pubbliche Amministrazioni. 
Bench� si tratti di dati parziali, legati alla sola edilizia pubblica e privata, 
essi rappresentano segnali confortanti che possono preludere all�avvio 
della tanto auspicata ripresa economica del Paese. 


IL CONTESTO LEGISLATIVO: LINEE EVOLUTIVE 

L�enorme massa di denaro collegata al sistema degli appalti � gestita in 
base a un complesso di regole riconducibili, essenzialmente, al codice 
degli appalti del 2006 ed al relativo regolamento attuativo del 2010. 
Come accade, di frequente, nel nostro Paese, non siamo in presenza di 
un corpus normativo di agevole lettura e stabile nel tempo, essendo stato 


oggetto di ripetuti interventi di modifica e revisione, stratificatisi nel 
corso degli anni. 
A testimonianza di questo continuo processo evolutivo della normativa 
di settore, voglio fare cenno alle pi� recenti novit� introdotte in materia, 
partendo da quelle di matrice europea. 
Il Parlamento europeo, di concerto con la Commissione, sta portando a 
compimento la revisione del quadro dispositivo del comparto, frutto della 
consultazione sviluppata, a partire dal 2011, nell�ambito del c.d. �Libro 
verde sulla modernizzazione della politica europea in materia di appalti�. 
Non � un caso che nella strategia �Europa 2020� (Europa venti-venti), 
che detter� le linee prioritarie di sviluppo dell�Unione a 28 per il prossimo 
decennio, gli appalti pubblici sono destinati a rivestire un ruolo fondamentale 
per stimolare la crescita occupazionale, l�innovazione imprenditoriale 
e la competitivit� dell�intero spazio economico europeo. 
In questa prospettiva, il citato processo di legiferazione ha portato alla 
recente emanazione di 3 direttive, pubblicate nella gazzetta ufficiale 
dell�Unione Europea il 28 marzo scorso; la prima delle quali riferita agli 
appalti pubblici per il settore ordinario, la seconda relativa a quelli nei 
settori speciali (acqua, energia, trasporti, servizi postali) e la terza dedicata 
alla regolamentazione dei contratti di concessione. 
La riforma introdotta dal legislatore europeo, che incider� inevitabilmente 
sul sistema di norme del codice degli appalti, ha gli obiettivi di velocizzare 
la fase di aggiudicazione delle gare e di favorire un ampliamento dei 
casi di deroga per il ricorso alla trattativa privata. 
Un altro aspetto molto qualificante della nuova disciplina comunitaria 
sugli appalti attiene al sostanziale abbandono del criterio del costo pi� 
basso per la scelta del contraente, in favore del parametro dell�offerta economicamente 
pi� vantaggiosa, che impone alla stazione appaltante di 
svolgere valutazioni basate su criteri essenzialmente qualitativi. 
Venendo, ora, al piano nazionale, non possono non essere citate, innanzitutto, 
le significative disposizioni introdotte con il recentissimo decreto 
legge n. 66 del 24 aprile scorso. 
Il provvedimento - che reca un ricco catalogo di misure di rilancio della 
competitivit� e della giustizia sociale - non ha trascurato il settore della 
contrattualistica pubblica, a testimonianza del suo ruolo fondamentale per 
l�equilibrio economico del Paese. 
Ebbene, ricorrendo alla decretazione d�urgenza, il Governo ha inteso 
perseguire, sin da subito, l�ambizioso obiettivo di ridurre il numero delle 
stazioni appaltanti, facendo confluire le competenze per l�approvvigionamento 
dei beni e dei servizi in capo a centrali di committenza a livello 
regionale, quali soggetti in grado di garantire maggiore economicit� ed 
efficacia nelle acquisizioni. 


Questa importante novit� si accompagna all�attribuzione all�Autorit� per 
la Vigilanza sui Contratti Pubblici, da un lato, del delicato compito di 
procedere all�elaborazione di un sistema di prezzi di riferimento per le 
forniture della Pubblica Amministrazione; dall�altro, di pi� pregnanti 
funzioni di controllo nel settore. 
Si tratta di innovazioni di non poco conto che, se realizzate appieno, potranno 
determinare la semplificazione del comparto e, conseguentemente, 
la riduzione delle chance di sviluppo per l�illegalit�. 
Proseguendo a ritroso, merita un cenno l�introduzione, ad opera della 
legge n. 190/2012, attuativa della Convenzione dell'Organizzazione delle 
Nazioni Unite contro la corruzione, di specifici obblighi di trasparenza 
per la Pubblica Amministrazione. 
Per ci� che qui interessa, in base a tale disciplina normativa, le stazioni 
appaltanti sono tenute a pubblicare, sui propri siti web istituzionali, una 
serie di informazioni sugli asppalti indetti nonch� a trasmettere gli stessi 
dati all�Autorit� Nazionale AntiCorruzione per il tramite dell�Autorit� 
per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (A.V.C.P.), pena l�applicazione di 
specifiche sanzioni amministrative ed il rischio di incorrere in responsabilit� 
per danni erariali. 
Il senso di queste misure - che si estendono ad ulteriori aspetti della complessiva 
gestione degli apparati statali - � quello di rendere le Pubbliche 
Amministrazioni vere e proprie �case di vetro�, anche nella prospettiva 
di stimolare la crescita di una forma di controllo �sociale� dell�azione 
amministrativa da parte di tutti i cittadini. 
Concludendo l�esame dell�evoluzione normativa in materia di appalti, appare 
utile accennare a 2 provvedimenti in tema di prevenzione dei fenomeni 
di infiltrazione della criminalit� organizzata e del riciclaggio. 
Faccio riferimento, da un lato, al decreto legislativo n. 159 del 2011 che 
ha significativamente riformato le disposizioni in materia di �documentazione 
antimafia� prevedendo, tra l�altro, la realizzazione di un�apposita 
banca dati nazionale unica per la verifica, in tempo reale, dell�eventuale 
sussistenza di cause di decadenza, sospensione, divieto ovvero di tentativi 
di infiltrazione criminale tra i partecipanti alle gare per l�aggiudicazione 
di commesse pubbliche. 
In proposito, segnalo il recente, favorevole pronunciamento del Garante 
della privacy sulla bozza del regolamento che discipliner� il funzionamento 
della banca dati in parola, che ritengo potr� determinarne l�entrata 
a regime nel breve periodo. 
Collegate alla tematica dell�antimafia - anche per il loro inserimento all�interno 
della legge delega n. 136 del 2010 che ha dato vita al nuovo codice 
in materia - sono le disposizioni in tema di tracciabilit� dei flussi 
finanziari sottesi al perfezionamento di procedure di appalto. 


Il legislatore ha previsto un generalizzato obbligo di ricorso, da parte degli 
appaltatori, a conti correnti bancari o postali �dedicati�, per la canalizzazione 
dei pagamenti ricevuti dalle stazioni appaltanti. 
La stessa legge, peraltro, � intervenuta anche sul codice penale, innalzando 
le pene per il reato di �turbata libert� degli incanti� ed introducendo, 
all�art. 353-bis, la nuova fattispecie della �turbata libert� del 
procedimento di scelta del contraente�. 

IL SISTEMA DI VIGILANZA 

Per concludere questa sintetica panoramica sul contesto di riferimento, un 
ultimo richiamo va riservato al sistema di vigilanza apprestato nel settore 
degli appalti pubblici, prescindendo, per il momento, dalle funzioni preventive 
e repressive affidate alla Guardia di Finanza e alle altre Forze di Polizia. 
Al riguardo, occorre menzionare i compiti generali di controllo e monitoraggio 
che il Codice degli appalti demanda all'Autorit� per la Vigilanza 
sui Contratti Pubblici (A.V.C.P.), ai fini della garanzia del rispetto dei 
principi di trasparenza e correttezza dei pubblici incanti. 
La stessa Autorit�, tra l�altro, � deputata alla gestione della Banca Dati 
Nazionale dei Contratti Pubblici, che raccoglie i dati trasmessi dalle stazioni 
appaltanti sulle procedure avviate per lavori, servizi o forniture di 
importo superiore a 40.000 euro. 
Ulteriori compiti di vigilanza sono affidati al Ministero delle Infrastrutture 
e dei Trasporti, che li esercita per il tramite della Servizio per l�Alta Sorveglianza 
delle Grandi Opere (S.A.S.G.O.) e del Consiglio Superiore dei 
Lavori Pubblici. 
Anche l�Autorit� Garante per la Concorrenza ed il Mercato (A.G.C.M.) 
e la gi� citata Autorit� Nazionale AntiCorruzione (A.N.AC.) fanno parte 
del dispositivo di prevenzione in tema di appalti. 
La prima vigila sul rispetto delle regole che vietano le intese anticoncorrenziali 
tra imprese, gli abusi di posizione dominante e le concentrazioni 
dannose per la concorrenza. 
La seconda, invece, verifica l�attuazione delle misure di prevenzione della 
corruzione e dell�illegalit� nella Pubblica Amministrazione contemplate 
dalla normativa in materia di integrit� del settore pubblico. 

CONSIDERAZIONI FRUTTO DELL�ANALISI DI CONTESTO: OPPORTUNIT� E MINACCE 

Il quadro sinora tracciato consente di formulare alcune considerazioni di 
carattere generale. 
Guardando alla dimensione dei flussi economici generati, non � difficile 
cogliere la rilevanza del ruolo che gli appalti pubblici possono assumere 
per lo sviluppo del nostro Paese. 
Si tratta, come si � detto, di un settore che, ogni anno, movimenta decine 


di miliardi di euro e dalla cui ottimale gestione possono scaturire effetti 
positivi, sia diretti che mediati. 
Da un lato, infatti, la corretta destinazione delle risorse pubbliche disponibili 
migliora la qualit� dei servizi erogati ai cittadini ed alle imprese divenendo, 
quindi, fattore di crescita e volano per migliorare la competitivit� 
del sistema-Paese. 
Per altro verso, l�ottimizzazione della spesa, attraverso la quale si provvede 
al soddisfacimento dei bisogni della collettivit�, genera opportunit� 
di investimento per gli imprenditori e, con queste, ritorni occupazionali, 
maggiori entrate fiscali e redistribuzione della ricchezza. 
Da ultimo, in un equilibrato sistema di gestione degli appalti, cresce il livello 
di leale concorrenza tra le aziende, dal momento che queste ultime, 
per intercettare la domanda di lavori, servizi e forniture di una Pubblica 
Amministrazione equa e trasparente, devono competere sul piano della 
qualit� ed economicit� della propria offerta, pi� che sul fattore prezzo. 
La gestione di un sistema cos� complesso di interessi, opportunit� e relazioni 
tra Istituzioni e privati richiede delle regole che, come ho gi� segnalato, 
sono confluite in una produzione normativa probabilmente 
sovrabbondante. 
Questa eccedenza di precetti pu� essere interpretata come risposta all�esigenza 
di una regolamentazione delle procedure di appalto sempre pi� dettagliata 
e tecnica, ma anche come indice dell�affannosa ricerca di rimedi 
alle �falle� che le procedure di scelta del contraente, di valutazione delle 
offerte e di esecuzione degli appalti hanno mostrato sul piano attuativo. 
Di certo, per qualunque delle due chiavi di lettura si propenda, la proliferazione 
normativa non facilita il compito dell�interprete e il lavoro di 
chi, a vario titolo, � chiamato ad applicare le norme, n� ha impedito l�insorgere 
di forme di illegalit� di varia natura. 
Le minacce al sistema degli appalti si sostanziano in un ampio campionario 
in cui troviamo, innanzitutto, gli illeciti che incidono negativamente 
sulla fase di aggiudicazione delle commesse e che possono 
interessare, separatamente, la parte privata e quella pubblica, oppure 
coinvolgere entrambe. 
Mi riferisco, in particolare, alle forme di sviamento delle gare attraverso 
la costituzione di �cartelli preventivi tra imprese�, ma anche alle infedelt� 
di amministratori che si rendono protagonisti di condotte di corruzione, 
concussione o abuso. 
Altre categorie di violazioni attengono alla materiale esecuzione degli 
appalti, un ambito nel quale possono annidarsi frodi nelle pubbliche forniture, 
inadempienze contrattuali dannose per la regolare erogazione dei 
servizi pubblici, indebiti abbattimenti dei costi dell�opera tramite il ricorso 
al lavoro �nero� nonch� ingiustificati rialzi dei valori dei contratti, volti 


unicamente a drenare denaro pubblico in misura superiore a quella originariamente 
stabilita. 
Occorre, infine, considerare i fenomeni d�ingerenza della criminalit� organizzata, 
che, nel campo degli appalti, sfociano in condotte violente o in 
comportamenti pi� subdoli di condizionamento dei mercati, tendenti al riciclaggio 
ed al reimpiego di ingenti somme di denaro, profitto di reato. 
In definitiva, come osservato dalla Commissione Europea nel citato Libro 
Verde �� i rischi finanziari in gioco e la stretta interazione tra il settore 
pubblico e quello privato fanno degli appalti pubblici un�area in cui � 
particolarmente forte il rischio di prassi commerciali scorrette�, conflitti 
d�interesse, favoritismi e corruzione�. 

POSIZIONAMENTO DELLA GUARDIA DI FINANZA 

Il quadro - appena delineato - delle minacce al sistema degli appalti non 
� certo rassicurante. 
Per la Guardia di Finanza, si tratta di un campo d�azione estremamente 
vasto, che abbraccia tutti i segmenti della sua missione istituzionale: dal 
contrasto alle frodi e agli sprechi, alla lotta alla corruzione, dall�aggressione 
ai patrimoni della criminalit� organizzata al contrasto all�evasione 
fiscale ed al lavoro �nero�. 
Questi fenomeni - che, a fattor comune, inquinano il regolare svolgersi 
dell�attivit� contrattuale della Pubblica Amministrazione - sono affrontati, 
sul piano operativo, mediante un approccio unitario, che mira a proteggere 
la spesa pubblica nazionale da qualunque tipologia di aggressione. 
In altri termini, gli sperperi, le diseconomie, le inefficienze o le vere e 
proprie condotte �predatorie� che hanno ad oggetto le risorse connesse 
agli affidamenti pubblici costituiscono, in sostanza, espressioni diverse 
della stessa minaccia all�integrit� dei bilanci dello Stato e degli Enti locali. 
Invero, si tratta di un�impostazione che rispecchia le ampie attribuzioni 
di polizia economico-finanziaria affidate alla Guardia di Finanza dal Decreto 
Legislativo n. 68 del 2001, che consentono al Corpo di affrontare i 
fenomeni di illegalit� in modo trasversale, vale a dire cogliendo (e colpendo), 
contestualmente, tutti i risvolti illeciti di una medesima condotta. 
Su questo concetto torner� pi� avanti, dopo aver completato la ricognizione 
delle norme che attribuiscono alla Guardia di Finanza un ruolo centrale 
nel dispositivo di vigilanza a presidio degli appalti pubblici. 
Oltre al richiamato Decreto 68/2001, altre norme hanno posto le basi 
di virtuosi network di collaborazione tra i nostri Reparti e le Autorit� di 
vigilanza. 
� il caso del codice degli appalti con riferimento alla collaborazione con 
l�Autorit� per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (A.V.C.P.): l�art. 6 prevede, 
infatti, la possibilit� per l�Autorit� di avvalersi del Corpo che, in 


tali frangenti, pu� eseguire verifiche ed accertamenti con i poteri di indagine 
ad esso attribuiti ai fini fiscali. 
Il canale di sinergia in argomento � stato ulteriormente rafforzato, di recente, 
grazie al gi� menzionato Decreto Legge 66 dell�aprile scorso, in relazione 
alla necessit� di supportare l�Autorit� nei nuovi compiti di controllo sulle 
attivit� di acquisizione di beni e servizi da parte dei soggetti pubblici. 
La Guardia di Finanza � ulteriormente chiamata in causa dal codice degli 
appalti all�art. 163, questa volta per fornire ausilio al Ministero delle Infrastrutture 
e dei Trasporti in tema di vigilanza per le grandi opere. 
Il legislatore del Decreto 179 del 2012, poi, ha scelto il Corpo come partner 
operativo dell�Autorit� Nazionale Anti-Corruzione, cui compete una 
pluralit� di campi di intervento che spaziano dalla normativa in materia 
di prevenzione dei fenomeni di illegalit� nel settore pubblico, alla trasparenza, 
alle cause di incompatibilit� ed inconferibilit� nell�attribuzione di 
incarichi amministrativi di vertice. 
Da ultimo, la Guardia di Finanza � chiamata a fornire il proprio contributo 
specialistico nei servizi di prevenzione delle infiltrazioni della criminalit� 
organizzata negli appalti, attraverso la partecipazione dei 
GG.I.C.O ai �Gruppi interforze� istituiti presso le Prefetture e i Commissariati 
di Governo. 
Nello stesso ambito si inquadra anche la presenza di Ufficiali del Corpo 
nelle unit� specializzate interforze create per gestire specifici contesti 
quali, ad esempio, la ricostruzione delle aree terremotate dell�Abruzzo e 
dell�Emilia Romagna, l�Expo 2015, la realizzazione della Tratta ad Alta 
Velocit� Torino-Lione. 
Inoltre, il Corpo garantisce un rilevantissimo supporto all�Autorit� Giudiziaria, 
per tutte le tipologie di indagini che hanno a che fare con qualsivoglia 
criticit� nella gestione degli appalti. 
Analogamente, in ossequio al ruolo di principale referente operativo attribuito 
all�Istituzione dal Decreto Legge 152 del 1991, la Guardia di Finanza 
collabora con la Corte dei Conti nell�accertamento di profili di 
responsabilit� contabile che derivano da episodi di cattiva gestione delle 
risorse erariali. 

LA STRATEGIA D�INTERVENTO DEL CORPO 

Da un punto di vista organizzativo, i servizi operativi nel settore degli appalti 
coinvolgono sia i Reparti territoriali, sia quelli della componente speciale. 
Nel primo ambito giocano un ruolo fondamentale i Nuclei di polizia tributaria 
che costituiscono, in ragione delle loro competenze, professionalit� 
e struttura, il polo investigativo �di punta� nel dispositivo di vigilanza 
istituzionale. 
Non meno significativo � il contributo fornito dai Reparti Speciali del 


Corpo, che assolvono, essenzialmente, a funzioni di analisi nei segmenti 
di rispettiva pertinenza. 
Per i servizi che interessano il comparto degli appalti, assumono particolare 
rilievo le attivit� del Nucleo Speciale Tutela Mercati, al quale sono 
ricondotte le funzioni di referente operativo nei rapporti di collaborazione 
con le Autorit� di vigilanza di settore. 
Nel medesimo contesto, significativo � anche il contributo del Nucleo 
Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie, che presidia 
tutto il segmento delle uscite. 
Naturalmente, la trasversalit� dei servizi induce, spesso, a coinvolgere 
nelle analisi altre Unit� dei Reparti speciali, tra cui, in particolare, il Nucleo 
Speciale di Polizia Valutaria e il Servizio Centrale di Investigazione 
sulla Criminalit� Organizzata. 
Sul versante operativo, va evidenziato che il vigente quadro normativo 
consente al Corpo di intervenire nel particolare settore da pi� fronti, il 
primo dei quali attiene allo sviluppo dei servizi d�iniziativa con i poteri 
di cui al citato Decreto n. 68 del 2001. 
Con questa tipologia di interventi i Reparti possono mettere a frutto spunti 
investigativi su ogni potenziale scenario di illegalit� che emerga dall�intelligence, 
dall�analisi di rischio e dal controllo economico del territorio. 
Oltre alle attivit� che sono impostate - gi� in origine - per la verifica di 
specifiche procedure contrattuali, l�approfondimento di singoli appalti 
avviene, assai frequentemente, nell�ambito di servizi operativi aventi finalit� 
diverse. 
A tal riguardo, va precisato che i Reparti, in sede di selezione delle posizioni 
a rischio da sottoporre a controllo nei comparti pi� disparati, non 
tralasciano di valutare l�eventuale esistenza di rapporti contrattuali tra il 
soggetto monitorato e la Pubblica Amministrazione. 
Ci�, nel presupposto che la conoscenza della qualifica di �appaltatore 
pubblico� dell�operatore sotto osservazione pu� rivelarsi utile per interpretare 
correttamente le circostanze operative oggetto di analisi e quelle 
che, eventualmente, emergeranno all�esito del controllo. 
Questo assunto vale tanto per i servizi di carattere fiscale, quanto per 
quelli in materia di riciclaggio o di spesa pubblica. 
Per fare un esempio concreto, si pensi alla scoperta, nel corso di una verifica 
fiscale, di una serie di fatture false emesse o utilizzate da un soggetto 
che ha avuto o ha rapporti contrattuali con un Ente pubblico. 
Oltre ai risvolti fiscali connessi al recupero dell�indebito vantaggio d�imposta, 
non deve essere trascurato il fatto che il documento fittizio potrebbe 
nascondere altre finalit� vietate dall�ordinamento, tra cui quella di creare 
la provvista per alimentare �fondi neri� da utilizzare per il pagamento di 
tangenti. 


Tale circostanza pu�, dunque, suggerire l�approfondimento della procedura 
contrattuale riconducibile all�operatore ispezionato, nella prospettiva 
di individuare eventuali irregolarit�. 
� proprio in tal senso che si declina, in concreto, il significato della �trasversalit�� 
della nostra azione di servizio: utilizzare i poteri a disposizione 
e le competenze maturate sull�asse economico-finanziario per intercettare 
ogni possibile risvolto sottostante alla commissione di una condotta illecita. 
Una seconda modalit� d�intervento nell�area dei contratti pubblici � quella 
connessa all�attuazione delle linee di partenariato con le Autorit� di vigilanza 
di settore. 
Le forme di collaborazione in argomento, formalizzate in appositi protocolli 
d�intesa, hanno, tra l�altro, il pregio di ampliare il novero dei possibili 
input da sviluppare autonomamente sul piano operativo. 
Ci� si realizza non solo attraverso lo sviluppo delle attivazioni e delle segnalazioni 
di irregolarit� inoltrate ai nostri Reparti, ma anche in virt� della 
possibilit� di accesso alle banche dati in uso ai predetti Organi. 
Del resto, in qualunque attivit� di carattere investigativo il possesso di un 
quadro informativo completo e fruibile in chiave di analisi risulta fondamentale 
per la piena efficacia dell�attivit� di law enforcement. 
Nel campo degli appalti, tale necessit� appare ancor pi� evidente, considerati 
i ragguardevoli volumi dei flussi di spesa in gioco ed il numero 
delle procedure che vengono, ogni anno, perfezionate. 
Anche in questo ambito, il Corpo intende sfruttare il patrimonio informativo 
disponibile con riferimento alle commesse pubbliche grazie alla collaborazione 
inter-istituzionale. 
Infatti, � in via di perfezionamento un�importante iniziativa, finanziata 
con fondi messi a disposizione dell�Unione Europea nell�ambito del 

�Programma Operativo Nazionale - Sicurezza per lo sviluppo�. 

Si tratta, in dettaglio, della realizzazione dell�applicativo Mo.Co.P. (Monitoraggio 
Contratti Pubblici), che ha l�obiettivo di agevolare i Reparti 
nello sviluppo di attivit� investigative concernenti procedure di appalto. 
Il nuovo strumento si basa sull�integrazione tra gli archivi dell�Autorit� per 
la Vigilanza sui Contratti Pubblici (A.V.C.P.) e dell�Alta Sorveglianza delle 
Grandi Opere (S.A.S.G.O.) e gli applicativi informatici in dotazione al Corpo. 
L�idea non � solo quella di costituire una semplice banca dati da cui attingere 
utili elementi conoscitivi sugli affidamenti pubblici. La pi� importante 
funzionalit� del Mo.Co.P., infatti, sar� quella di analisi, che il 
sistema svilupper� automaticamente, incrociando le informazioni sulle 
gare con altri dati di rilievo operativo, opportunamente calibrati in base 
ad un ricco set di indicatori di rischio. 
Il tutto per individuare le specifiche situazioni rispetto alle quali � auspicabile 
un approfondimento ispettivo, in un�ottica generale che vuole rendere sem



pre pi� performante l�azione di vigilanza del Corpo sulla spesa pubblica. 
Proseguendo nella panoramica delle tipologie di intervento dei Reparti 
nel campo degli appalti, ritengo opportuno fare cenno ai profili di collaborazione 
con la Corte dei Conti che, peraltro, non attengono esclusivamente 
all�esercizio della funzione giurisdizionale ma anche a quella assai 
complessa - del controllo. 
L�interazione con la Magistratura contabile � molto importante, perch� 
consente alle Unit� operative di controllare l�operato di Amministrazioni 
pubbliche cui � demandata la gestione di significativi flussi di denaro 
della collettivit�. 
Le casistiche di responsabilit� amministrativa individuate a seguito delle 
vertenze delegate al Corpo sono varie ed hanno riguardato, ad esempio, 
l�aggiudicazione di opere di notevole valore senza l�esperimento di gare 
ad evidenza pubblica. 
In altri casi � stato accertato l�ingiustificato ricorso a varianti d�opera per 
progetti urbanistici in corso di realizzazione da cui sono derivati risparmi 
per gli appaltatori e maggiori costi per la Pubblica Amministrazione. 
Ulteriori ipotesi si sono sostanziate nel pagamento di ingenti somme di 
denaro da parte delle stazioni appaltanti per lavori mai eseguiti o eseguiti 
solo in parte. 
Insomma, un�ampia gamma di sperperi che, non di rado, sono collegati 
ad ulteriori profili di illegalit�, il cui approfondimento � riservato alla polizia 
giudiziaria. 
In effetti, le indagini penali che riguardano il settore dei contratti pubblici 
impegnano i Reparti quotidianamente. 
Molti dei contesti in argomento traggono origine da deleghe dell�Autorit� 
Giudiziaria, altri costituiscono lo sviluppo degli interventi amministrativi 
di cui ho parlato in precedenza. 
Del resto, gli accertamenti in materia di appalti prevedono analisi documentali 
e contabili che richiedono - e, nel contempo, esaltano - il peculiare 
patrimonio professionale dei Finanzieri che, conseguentemente, rappresentano 
per gli organi inquirenti insostituibili punti di riferimento. 
Solo per fornire qualche dato concreto, mi preme segnalare che, nel 2013, 
l�azione operativa del Corpo ha determinato la denuncia all�Autorit� Giudiziaria 
di 657 soggetti, responsabili di reati specifici nel settore degli appalti. 
Nei primi 4 mesi di quest�anno, poi, i Reparti hanno gi� denunciato per 
fattispecie legate alla contrattualistica pubblica 290 soggetti, di cui 26 
tratti in arresto. 
In questo contesto, il dato significativo � che pi� della met� dei circa 820 
milioni di euro di gare di appalto controllate � risultata oggetto di irregolare 
assegnazione: parliamo di oltre 500 milioni di euro che, in qualche 
maniera, non sono stati correttamente impiegati. 


Nello stesso periodo, infine, con riferimento alle attivit� di collaborazione 
con la Corte dei Conti, sono stati accertati oltre 108 milioni di danni erariali 
e segnalati 220 soggetti. 

LE �PATOLOGIE� NEGLI APPALTI: ESPERIENZE OPERATIVE 

Entrando, ora, nel merito delle �patologie� che - come � stato anticipato 

-incidono sulla regolarit� del sistema degli appalti pubblici, vorrei fornire 
un sintetico quadro di situazione, collegato ai diversi momenti di svolgimento 
dei contratti. 
Partendo dalla fase precedente all�indizione della gara, un primo ambito su 
cui mi preme focalizzare l�attenzione riguarda il fenomeno della presentazione 
di falsa documentazione alle Societ� Organismo di Attestazione. 
Come noto, le S.O.A. sono enti di diritto privato con funzioni pubblicistiche, 
che hanno il compito di attestare il possesso - da parte delle imprese 
interessate a partecipare a gare di appalto per lavori di importo 
superiore a 150.000 euro - dei necessari requisiti tecnici, organizzativi ed 
economico-finanziari. 
Le verifiche delle S.O.A. hanno carattere essenzialmente documentale e 
riguardano la valutazione delle opere svolte dalle imprese nel quinquennio 
precedente. 
In tale ambito, non sono rari i casi in cui, per ottenere l�attestazione in 
parola, le aziende presentino alle S.O.A. fatture false, che servono a dimostrare 
l�avvenuta effettuazione di lavori che, in realt�, non sono mai 
stati eseguiti. 
In altre circostanze, i Reparti hanno individuato, nella contabilit� delle 
aziende che avevano richiesto la certificazione, documenti fiscali che, 
sebbene riconducibili ad opere effettivamente realizzate, manifestavano 
talune materiali alterazioni rispetto all'originale, per far rientrare i lavori 
nella tipologia o nel periodo utile per il riconoscimento dell'attestazione. 
L�insidiosit� di tali condotte � di tutta evidenza: esse consentono a soggetti 
che non possiedono solidit� organizzativa ed economica, tale da garantire 
un adeguato assolvimento degli obblighi contrattuali, di inserirsi indebitamente 
nelle procedure ad evidenza pubblica, con intuibili ripercussioni 
sulla qualit� ed i costi delle prestazioni per la Pubblica Amministrazione. 
Venendo alla fase dell�aggiudicazione, sono frequenti le indagini che svelano 
l�esistenza di gruppi d�imprese in grado di �pilotare�, sistematicamente, 
l�aggiudicazione di commesse pubbliche verso soggetti gi� 
individuati �a monte�. 
Al riguardo, la pratica di servizio ha fatto emergere diverse tipologie di 
illegalit�. 
In primo luogo, vi sono i casi in cui l�accordo illecito � limitato al settore 
privato, nel senso che l�indebito orientamento dell�esito delle gare pre



scinde dal coinvolgimento della parte pubblica che ha indetto o gestisce 
le medesime. 
In tali circostanze, si attua una sorta di spartizione territoriale delle commesse 
tra un gruppo definito di operatori economici che, a rotazione, ottengono 
l�affidamento degli appalti mediante la presentazione di offerte 
concordate. 
Ben pi� insidiose sono le alterazioni delle procedure che si realizzano con 
la complicit� di pubblici ufficiali operanti all�interno dell�Ente responsabile 
delle gare. 
Anche in questo ambito si possono fare alcune distinzioni tipologiche: in 
alcuni casi, il condizionamento della gara avviene attraverso la preventiva 
conoscenza, da parte degli imprenditori implicati, del valore delle offerte 
presentate dagli altri concorrenti. 
Il sistema, naturalmente, si regge sulla compiacenza di funzionari pubblici 
corrotti che si prestano, per corrispettivi in denaro o altre utilit�, a manipolare 
o a sostituire le buste contenenti le offerte, per favorire i propri sodali. 
A volte, per conoscere in anticipo il contenuto del carteggio, si ricorre a 
�trucchi� scientifici. In un�indagine svolta dal Nucleo di polizia tributaria 
di Brindisi, ad esempio, � stato accertato che le buste delle offerte riguardanti 
appalti nel settore sanitario venivano aperte e richiuse con �precisione 
chirurgica�, utilizzando addirittura un bisturi da sala operatoria. 
Un�ulteriore forma di �inquinamento� delle fasi di aggiudicazione delle commesse 
con il coinvolgimento della parte pubblica si attua attraverso la formazione 
di bandi di gara �su misura�, volti a favorire determinate imprese. 
Sul piano investigativo, l�accertamento di queste forme sofisticate di illecito 
presuppone un�approfondita conoscenza dell�apparato normativo 
di riferimento, dal momento che, in definitiva, il compito degli inquirenti 
� quello di dimostrare l�uso distorto del potere amministrativo che ha garantito 
la scelta di un contraente in luogo di un altro. 
A titolo esemplificativo, in una recente operazione svolta dal Gruppo 
di Monza sono stati acclarati episodi corruttivi attraverso i quali funzionari 
di un ente, incaricati di redigere i capitolati d�appalto, provvedevano 
ad inserire requisiti di partecipazione talmente restrittivi da far 
risultare vincitrice di commesse per oltre 260 milioni di euro sempre la 
stessa impresa. 
Un �focus� a parte meritano i condizionamenti delle gare ad evidenza 
pubblica perpetrati dalla criminalit� organizzata. 
Le cosche criminali, infatti, sono particolarmente attente alle dinamiche 
politico-amministrative del territorio. La loro azione � costantemente 
orientata alla creazione di canali di collegamento con gli apparati pubblici 
locali, in modo da condizionarne i processi decisionali e, conseguentemente, 
ottenere l�aggiudicazione di appalti e subappalti. 


Disporre di uomini di �fiducia� all�interno della pubblica amministrazione 
significa accedere in maniera privilegiata ad informazioni di straordinaria 
importanza per l�esercizio del potere sul territorio. 
�, questo, un fenomeno particolarmente presente nelle regioni del Sud, 
da sempre luogo di radicamento delle mafie e in condizioni di degrado 
sotto il profilo socio-economico. 
In molti casi di scioglimento di Comuni ed Enti Locali per infiltrazioni 
mafiose, sono emerse illecite ingerenze, soprattutto nei pubblici appalti, 
in virt� di legami, diretti o indiretti, tra amministratori e organizzazioni 
delinquenziali operanti in loco. 
In una recentissima indagine del Comando Provinciale di Crotone, ad 
esempio, � stata acclarata la compromissione degli organi amministrativi 
e tecnici di un Comune nella gestione di gare d�appalto per la coltivazione 
di terreni agricoli, con l�obiettivo di favorire, attraverso la fissazione, �a 
monte�, di prezzi base d�asta irrisori, imprese contigue ad una locale 
cosca criminale. 
Occorre, tuttavia, puntualizzare che la tendenza dei sodalizi criminali ad 
espandersi oltre i confini delle proprie aree di origine ha reso vulnerabili 
anche le realt� amministrative del Settentrione che, dunque, non possono 
certo ritenersi al riparo dal rischio di infiltrazioni. 
� quanto accertato, ad esempio, dal Nucleo di polizia Tributaria di Milano 
che, nell�ambito di una recente operazione, ha ricostruito le attivit� criminose 
di una �ndrina calabrese che, anche attraverso la collusione di alcuni 
amministratori locali, era in grado di manovrare appalti e concessioni 
e di intervenire per modificare il piano di governo del territorio per favorire 
gli interessi dell'associazione mafiosa. 
Proseguendo nell�analisi, altre patologie caratterizzano lo sviluppo del-
l�appalto successivamente alla sua aggiudicazione. 
In proposito, vengono in evidenza sia forme di indebita lievitazione dei 
costi delle commesse, sia vere e proprie truffe nelle modalit� di esecuzione 
dei contratti. 
Nella prima categoria rientra, ad esempio, l�artificiosa prospettazione 
della necessit� di procedere a variazioni straordinarie in corso d�opera, 
relativamente a circostanze dichiaratamente sopravvenute ma di cui, in 
realt�, era gi� nota l�esistenza. 
In un�indagine del Nucleo di polizia tributaria di Bari relativa alla realizzazione 
di opere per l�ampliamento di un porto commerciale, � stato scoperto 
che la presenza di ordigni bellici sul fondale del bacino - da 
rimuovere per proseguire i lavori - era conosciuta, gi� nella fase della 
progettazione, tanto dalla stazione appaltante, quanto dall�appaltatore. 
Nell�altra tipologia che ho citato poc�anzi sono ricomprese tutte le situazioni 
in cui l�appaltatore realizza un�opera, esegue una prestazione o 


provvede ad una fornitura in maniera difforme rispetto alle pattuizioni. 
La casistica disponibile � ricca di esempi. Si va dalla predisposizione di 
manti stradali con spessore d�asfalto inferiore a quello stabilito, alla copertura 
di scavi con materiale di risulta non vagliato; dall�impiego in 
opere marittime di materiali da costruzione adatti per le sole infrastrutture 
terrestri alla fornitura di macchinari con caratteristiche tecniche diverse 
da quelle contemplate dal capitolato. 
In questo genere di situazioni la responsabilit� delle stazioni appaltanti 
risiede nella carenza o nell�omissione di controlli sullo sviluppo delle attivit�, 
talvolta colpevolmente garantita in cambio di dazioni di denaro o 
altre forme di corruttela. 
Da parte sua, l�operatore economico lucra sui costi di realizzazione ed 
amplia la forbice del proprio guadagno a scapito dei cittadini. 
Sempre con riferimento alla fase dell�esecuzione contrattuale, ulteriori 
violazioni riguardano il sub-appalto di lotti di lavori. 
Tale pratica prevede, spesso, l�affidamento delle prestazioni a ditte individuali 
i cui titolari, in realt�, sono veri e propri dipendenti dell�appaltatore, 
muniti - strumentalmente - di partita Iva per un indebito abbattimento 
dei costi di manodopera. 
Un ultimo genus di illeciti su cui voglio soffermarmi riguarda, infine, i 
casi in cui determinati lavori, servizi o forniture per la Pubblica Amministrazione 
vengono affidati senza effettuazione di alcuna gara, pur essendo 
necessaria. 
Si tratta di forme clientelari di contiguit� tra pubblico e privato che procurano 
un�alterazione molto significativa del mercato degli appalti, poich� 
escludono a priori la stessa possibilit� di concorrenza tra imprese. 
Oltre a tali effetti, i contesti in argomento comportano, sovente, costi di 
acquisizione particolarmente onerosi ed assolutamente ingiustificati, 
come nel caso scoperto dal Nucleo di polizia tributaria di Foggia nel 
corso di un�indagine sulla gestione delle forniture di un�Azienda Sanitaria 
della regione. 
Il Reparto, in particolare, ha accertato che l�Ente, ricorrendo ad un affidamento 
diretto - peraltro viziato da vari episodi di corruzione - era �riuscito� 
ad approvvigionarsi di un comune disinfettante pagando la 
smisurata cifra di 1.920 euro a flacone, quando, in realt�, il valore di acquisto 
del prodotto all�ingrosso non arrivava a 60 euro. 

CONCLUSIONI 

Mi avvio alla conclusione, richiamando il titolo del mio intervento che, 
non a caso, fa riferimento alle tante opportunit� e alle non minori minacce 
che permeano il mondo della contrattualistica pubblica. 
Sono convinto - e la pratica operativa me ne d� quotidianamente dimo



strazione - che non esiste la possibilit� di �impermeabilizzare� gli appalti 
pubblici dall�illegalit� solo per via normativa. 
Ogni misura del legislatore, infatti, per quanto auspicabile ed efficace, finirebbe 
per essere aggirata pi� o meno agevolmente a causa delle �alchimie� 
di imprenditori senza scrupoli e delle infedelt� di taluni dirigenti e 
funzionari della Pubblica Amministrazione. 
Da un punto di vista prettamente operativo, l�azione di contrasto ai fenomeni 
illeciti nel settore degli appalti pu� e deve essere intensificata. 
Infatti, in un momento storico come quello attuale, caratterizzato dalla 
necessit� di razionalizzare e contenere la spesa pubblica, � assolutamente 
indispensabile garantire che il denaro disponibile venga gestito e distribuito 
correttamente, senza dispersioni, sprechi o frodi. 
Ci� a tutela dei cittadini, che concorrono al mantenimento della macchina 
statale pagando le imposte, ma anche degli operatori economici onesti, 
che fanno della legalit� il faro ispiratore del proprio agire quotidiano e 
vogliono poter concorrere sul mercato ad armi pari. 
In tale prospettiva, posso senz�altro assicurare che la Guardia di Finanza 
intende investire, come gi� sta facendo, le migliori risorse e professionalit�, 
per correggere le deviazioni che si annidano nel settore degli appalti 
e della spesa pubblica in generale. 
Ma l�intensificazione dell�attivit� di controllo, per quanto incisiva, non 
sar� sufficiente se non sar� accompagnata da un radicale cambiamento 
della cultura e dei comportamenti, tanto da parte degli amministratori 
pubblici, quanto di imprese e professionisti. 
Ed ogni cittadino potr� dare il proprio prezioso contributo, mediante 
l�esercizio di quella forma di controllo esterno sull�operato della Pubblica 
Amministrazione che i nuovi meccanismi di trasparenza e pubblicit� consentono, 
oggi, di effettuare. 
Vi ringrazio per l�attenzione. 


I criteri selettivi e le regole procedurali dell�attivit� 
dell�organo di autogoverno dell�Avvocatura dello Stato 

� compito del Direttore della Rassegna pubblicare anche le sentenze del 
Consiglio di Stato nelle quali l�Avvocatura dello Stato, come amministrazione, 
sia rimasta soccombente: la nomina di un avvocato distrettuale dello Stato � 
stata annullata per carenza nella motivazione sulla base di un�applicazione 
dei principi generali desumibili - � questa l�opinione del Consiglio di Stato dalla 
legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo. 

La tesi in astratto convince, ma viene il dubbio che il giudice amministrativo 
non abbia valutato quanto elaborato, sulla base delle regole introdotte 
dalla legge 3 aprile 1979 n. 103, da una esperienza ultraquarantennale del 
Consiglio degli Avvocati e Procuratori dello Stato. I criteri selettivi e le regole 
procedurali, da applicarsi al caso, enfaticamente indicate dal giudice amministrativo, 
ci sono, elaborati e scritti dall�organismo di �autogoverno� e normalmente 
applicati dall�Avvocato Generale. CՏ solo una caratteristica, che 
sembra connotare le prassi dell�Avvocatura dello Stato ed � una sorta di antica 
remora nell�esprimere con inequivoca chiarezza motivati giudizi su persone, 
in un ambito nel quale il problema prioritario sembra restare quello di tutelare, 
evitando �classifiche�, il prestigio professionale dei membri togati del-
l�Avvocatura dello Stato. � quindi verosimile che tali criteri, richiamati al 
giudice amministrativo, potessero risultare puntualmente applicati anche nel 
caso di specie. 

N. 01321/2014 REG.PROV.COLL. 

N. 07808/2013 REG.RIC. 

N. 07910/2013 REG.RIC. 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Consiglio di Stato 
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) 


ha pronunciato la presente 

SENTENZA 

sul ricorso numero di registro generale 7808 del 2013, proposto da: 
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata 
e difesa dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via 
dei Portoghesi n. 12, � domiciliata per legge, 


contro 
A.M.B., rappresentata e difesa dagli avv. Marcello Vignolo, Massimo Massa, con domicilio 
eletto presso Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104; 

nei confronti di 

F.M.; 


sul ricorso numero di registro generale 7910 del 2013, proposto da: 
F.M., rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Pellegrino, con domicilio eletto presso Giovanni 
Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, 11; 


contro 
A.M.B., rappresentata e difesa dagli avv. Massimo Massa, Marcello Vignolo, con domicilio 
eletto presso Antonia De Angelis in Roma, via Portuense 104; Presidenza del Consiglio dei 
Ministri, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dalla Avvocatura 
Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, � domiciliata 
per legge; Consiglio degli Avvocati e Procuratori dello Stato; 

per la riforma 
quanto ad entrambi i ricorsi nn. 7808 e 8312 del 2013: 
della sentenza del T.a.r. del Lazio - Sede di Roma - Sezione I n. 08312/2013, resa tra le parti, 
concernente nomina per la copertura dell'incarico di Avvocato Distrettuale di (...). 
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; 
Visti gli atti di costituzione in giudizio di A.M.B. e della Presidenza del Consiglio dei Ministri; 
Viste le memorie difensive; 
Visti tutti gli atti della causa; 
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2014 il Consigliere Fabio Taormina e 
uditi per le parti l�Avvocato Marcello Vignolo, l�Avvocato dello Stato Palmieri e l�Avvocato 
Giovanni Pellegrino; 
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 

FATTO 
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sede 
di Roma - ha accolto il ricorso di primo grado integrato da motivi aggiunti, proposto da A. 
M.B., odierna parte appellata e volto ad ottenere l�annullamento, (quanto al ricorso principale) 
del parere favorevole espresso il 24 aprile 2012 dal Consiglio degli avvocati e procuratori 
dello Stato sulla nomina dell'avv. F.M. ad avvocato distrettuale dello Stato di (...), nonch� di 
tutti gli atti presupposti e conseguenti, fra i quali: a) il verbale della riunione del 14 maggio 
2012 del Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato, in quanto avrebbe approvato il 
verbale della riunione del 24 aprile, e b) della successiva proposta dell'Avvocato generale 
dello Stato e del decreto del Presidente del consiglio dei ministri. 
Con successivo ricorso per motivi aggiunti era stata altres� gravata la proposta 30 aprile 2012, 
dell�avvocato generale dello Stato, per la nomina di F.M. ad avvocato distrettuale ed il d.P.R. 
5 giugno 2012, di nomina del predetto Avv. F.M. ad avvocato distrettuale. 
La odierna parte appellata A.M.B., avvocato dello Stato alla quarta classe di stipendio, in servizio 
presso l'Avvocatura distrettuale di (...), aveva fatto presente che, il 19 aprile 2012, essa 
aveva comunicato alla Segreteria dell'Avvocatura generale dello Stato la propria disponibilit� 
a ricoprire il posto di avvocato distrettuale a (...), da poco divenuto vacante. 
Il 24 aprile 2012, il Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato - C.A.P.S. (svolgente 
compiti di autogoverno della categoria) espresse tuttavia il proprio parere ex 18, II comma, 
della L. 3 aprile 1979, n. 103, in favore del collega F.M., che pure aveva partecipato la propria 
disponibilit�, come egualmente aveva fatto un terzo collega della stessa Avvocatura di (...). 
L�avvocato generale dello Stato, con atto 30 aprile 2012, aveva proposto al Presidente del 
Consiglio la nomina del M., cui infine fu conferito l�incarico con d.P.R. 5 giugno 2012. 
Essa era insorta, prospettando plurime doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere, 


che il Tar ha accolto, previo analitico vaglio delle dette censure e delle contrarie argomentazioni 
delle parti resistenti. 
In particolare, il Tar ha compiutamente sintetizzato il parere espresso dal C.A.P.S. e ripercorso 
l�andamento della procedura di nomina. 
Ha quindi escluso che fosse fondata l�eccezione preliminare di tardivit� del mezzo, riferita al 
decreto presidenziale di nomina, in quanto la originaria ricorrente aveva impugnato gli atti 
lesivi nei sessanta giorni dalla loro piena conoscenza o conoscibilit� per effetto di rituale pubblicazione, 
n� l�Amministrazione aveva provato il contrario. 
Il primo giudice ha quindi scrutinato gli ultimi quattro motivi di ricorso, escludendone la fondatezza, 
per poi passare all�esame delle altre doglianze meritevoli - ad avviso del primo giudice 
- di un pi� pregnante approfondimento. 
A tal proposito, ha fatto presente di volere premettere una valutazione preliminare sulla �lettera 
dell�avvocato distrettuale uscente� presa in esame dal Caps, esprimendo il convincimento che 
si trattasse di un messaggio destinato a un lettore del tutto diverso dal suo destinatario apparente, 
l�avv. M. 
Infatti, da avviso del Tar, la nota dattiloscritta di due pagine, siglata sulla prima e firmata sulla 
seconda, principiava (�nell�imminenza del mio collocamento a riposo�) come una nota encomiastica 
privata indirizzata al M., �per la preziosa collaborazione che, quale avvocato pi� anziano 
del ruolo e, dunque, quale mio naturale vicario nella direzione dell�Ufficio, mi hai offerto 
in ormai oltre diciotto anni�. 
La missiva, per�, non si limitava ad accennare soltanto ai presunti meriti del M. (come di norma 
avviene in simili circostanze), ma li esponeva analiticamente e compendiava anche alcuni avvenimenti, 
che pure dovevano essere perfettamente noti ad entrambi: ci� che poteva apparire 
pleonastico (come, ad esempio, ricordare al M. che � stato il primo del suo concorso; o la 
fervida amicizia che gli � stata dimostrata da alcuni pubblici funzionari da lui difesi, l�entit� 
dei compensi per onorari da lui raccolti, l�organizzazione dei turni di udienza che svolge da 
due anni); ad avviso del Tar ci� acquistava senso e ragione una volta riconosciuto che la nota 
era stata scritta per l�Autorit� che avrebbe dovuto scegliere il nuovo avvocato distrettuale. 
Nonostante la forma apparentemente confidenziale, la detta lettera rivelava il proprio contenuto 
di giudizio attitudinale, espresso dal dirigente dell�ufficio dove il M. prestava servizio, 
e che per tale � stato positivamente recepito, prima dall�Avvocato generale quale presidente 
del C.A.P.S., poi dal C.A.P.S. stesso e poi, nuovamente, dall�Avvocato generale, che ha proposto 
la nomina del M. in senso conforme all�avviso del Consiglio stesso. 
Ne conseguiva che un giudizio attitudinale del Distrettuale uscente aveva assunto, secondo le 
parole dell�Avvocato generale, un rilievo determinante per stabilire chi fosse il soggetto pi� 
adatto a ricoprire l�incarico di Avvocato distrettuale. 
Senonch�, cos� valutata la detta missiva, sarebbe stato legittimo pretendere che la sua produzione 
non fosse stata lasciata all�iniziativa personale degli aspiranti, tanto pi� considerato che 
la prassi era prevalentemente orientata a valorizzare l�anzianit� di ruolo. 
La sintesi delle censure proposte dalla originaria ricorrente era quindi fondata: o un simile 
giudizio si richiedeva a tutti gli interessati - in generale, o nel singolo procedimento - oppure 
si sarebbe dovuto prescindere da esso, ad evitare che il provvedimento emesso sulla base dello 
stesso fosse viziato da eccesso di potere per disparit� di trattamento e difetto di istruttoria. 
In contrario senso non assumevano rilievo pregnante gli argomenti dell�Amministrazione e 
del contro interessato, secondo i quali, stante il tenore dell�art. 18, II comma, della l. 103/79, 
non si era svolto alcun procedimento concorsuale e la �lettera dell�avvocato distrettuale 


uscente� avrebbe confermato una sorta di merito assoluto del M., e non sarebbe invece elemento 
di prevalenza comparativa. 
Secondo le odierne parti appellanti, infatti, in base all�art. 18, comma 2, della l. 103/1979, 
doveva certamente escludersi la natura concorsuale della �procedura di conferimento dell�incarico 
di avvocato distrettuale�; e, in base a quanto ribadito dall�Avvocato generale, nel corso 
della seduta del C.A.P.S. del 24 aprile, �il conferimento di un incarico direttivo poteva riguardare 
ogni Avvocato dello Stato in possesso dei requisiti prescritti, a prescindere dalla presentazione 
di eventuali dichiarazioni di disponibilit��. 
Il Tar ha in proposito rilevato che lo scrutinio di detto argomento difensivo integrava il proprium 
del giudizio richiesto al Tribunale. 
Senonch�, richiamate le competenze dell�Avvocato generale dello Stato, fissate, in via generale, 
dall�art. 15 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, quale sostituito dall�art. 15 della l. 3 aprile 
1979, n. 103, non era desumibile che il conferimento dell�incarico di Avvocato distrettuale 
dello Stato fosse attribuito fiduciariamente dall�Avvocato generale, n� che l�Avvocato distrettuale 
dello Stato si trovasse in rapporto di diretta collaborazione con l�Avvocato generale. 
Tanto ci� era vero, che il soggetto nominato Avvocato distrettuale dello Stato non doveva essere 
confermato ogni volta che veniva nominato un nuovo Avvocato generale. 
Tale deduzione trovava ulteriore fondamento nell�art. 18, I comma, della l. 103/79, che, definendo 
le competenze dell�Avvocato distrettuale, gli assicurava piena autonomia di direzione 
nell�ambito dell�Avvocatura di appartenenza, limitandosi a prevedere che egli riferisca, successivamente, 
all'Avvocato generale dello Stato sull'attivit� svolta dall'Avvocatura distrettuale, 
�segnalando le controversie pi� importanti nonch� le eventuali carenze legislative ed i problemi 
interpretativi che emergono nel corso dell'attivit� di istituto�. 
Da ci� il Tar ha fatto discendere il convincimento che nell�organizzazione dell�Avvocatura 
dello Stato non esistesse un rapporto di stretta dipendenza fiduciaria tra l�Avvocato generale 
e gli Avvocati distrettuali, per cui al primo non poteva essere riconosciuta una peculiare autonomia 
nell�individuazione del soggetto da proporre per la nomina, anche rispetto al parere 
obbligatorio del C.A.P.S. 
A tale parere, l�Avvocato generale avrebbe potuto non conformarsi: ci�, per�, fornendo una 
puntuale motivazione, (come in generale per tutti i provvedimenti amministrativi che si difformino 
dai pareri obbligatori che vi ineriscono). 
Detta motivazione, poi, appariva tanto pi� doverosa, essendo tale organo composto sia da una 
rappresentanza eletta tra tutti gli avvocati ed i procuratori, sia dagli Avvocati con funzioni direttive 
pi� anziani, e presuntivamente pi� esperti, dell�Istituto. 
L�art. 18, II comma doveva essere comunque interpretato in conformit� ai principi generali 
in materia di provvedimenti amministrativi, di cui alla successiva l. 241/90: la norma della 
legge professionale, sebbene non contemplasse una procedura concorsuale, in realt� - ad avviso 
del Tar - neppure la escludeva espressamente o implicitamente, limitandosi a fissare alcuni 
passaggi della procedura di nomina, di cui individuava sia gli organi competenti, sia i 
soggetti muniti del requisito proprio per aspirarvi, e cio� la qualit� di Avvocati dello Stato in 
servizio, alla terza classe di stipendio, con cinque anni di anzianit� di servizio nella stessa. 
Il Tar ha poi irrobustito il proprio convincimento accoglitivo, facendo presente che solo attraverso 
un palese salto logico si poteva affermare che la previsione di tale requisito fondasse 
un �potere di chiamata�. 
In s� considerata, infatti, la norma attribuiva (soltanto) una legittima aspettativa a tutti gli Avvocati 
con la predetta qualifica ed anzianit� di essere scrutinati per l�incarico in questione, 


mentre non escludeva affatto che, per poter essere nominato, il soggetto dovesse anche presentare 
una domanda, comunque qualificata. 
Argomentare diversamente avrebbe comportato l�affermazione per cui - posto che tutti costoro 
erano nominabili a prescindere dall�avere dato la disponibilit� - il C.A.P.S. avrebbe ogni volta 
dovuto considerare le posizioni di tutti i colleghi con tale requisito, o almeno dei pi� anziani 
tra essi, fino ad individuare il designabile, per poi richiederne il consenso (ci� in spregio ad 
elementari principi di economicit� e di efficacia). 
Al contrario, la scelta si doveva svolgere solo tra i soggetti che avevano dichiarato la loro disponibilit� 
all�incarico; e ci� a propria volta - oltre al criterio di pubblicit� - ex art. 1 della 
legge n. 241/1990 - avrebbe imposto che fosse stata preventivamente divulgata la vacanza, 
con modalit� idonee ad informare tutti gli interessati, e con un ragionevole spatium deliberandi 
per la presentazione della dichiarazione di disponibilit�. 
D�altro canto, la procedura cos� delineata avrebbe dovuto altres� rispettare i criteri d�imparzialit� 
e di trasparenza; e ci� poteva avvenire prefissando regole procedimentali comuni per la presentazione 
e l�esame delle domande su cui il C.A.P.S. avrebbe dovuto esprimere il parere. 
Inoltre, nel rispetto di detti criteri e dell�obbligo di motivazione (artt. 2 e 3), tutte le domande 
ammissibili avrebbero dovuto essere comparativamente valutate dal C.A.P.S., pervenendo 
alla motivata scelta dell�aspirante pi� idoneo da proporre. 
Il Tar ha espresso il convincimento che dette regole, discendenti dalla disciplina positiva e 
dai principi ordinamentali, erano state disattese nel caso di specie. 
L�odierno appellante M. non risultava essere stato prescelto a conclusione di una valutazione 
comparativa tra i tre aspiranti, o, almeno, ci� era quanto poteva desumersi dall' esposizione 
delle ragioni della proposta, che non sembravano contenere alcun elemento di raffronto. 
Ad avviso del Tribunale amministrativo, quindi. n� la valutazione espressa dall'Avvocato distrettuale 
uscente, n� il giudizio consequenziale formato dal C.A.P.S. erano sufficienti, isolatamente 
considerati, a giustificare ed a rendere legittima la scelta compiuta. 
Conclusivamente, tanto il parere dell�organo, quanto gli atti susseguenti, erano viziati per violazione 
della parit� di trattamento e dei principi sul procedimento, nonch� per violazione del-
l�art. 18, II comma, della l. 103/79 (il che rendeva sostanzialmente irrilevante l�esame delle 
censure riferite agli errori nella valutazione del M., dove venivano segnalate come straordinarie 
svariate attivit� rientranti, al pi�, nelle ordinarie funzioni vicarie dal medesimo esercitate). 
Se pure si fosse voluto individuare nel parere C.A.P.S. - anche riferendosi al pur generico richiamo 
alle capacit� di tutti gli aspiranti che esso conteneva - l�esito di un confronto, il detto 
parere sarebbe stato comunque viziato, in quanto ivi si era dato un rilievo preponderante ad 
una valutazione tecnica che non era richiesta agli altri aspiranti, alterando cos� irreparabilmente 
la par condicio tra di essi. 
Sotto altro profilo, inoltre, nessun elemento, sia pur sintetico, era contenuto nel parere per 
giustificare la circostanza che - in difformit� da una prassi certo non univoca, ma comunque 
prevalente - la maggiore anzianit� della originaria ricorrente B. non era stata presa in alcuna 
considerazione al momento in cui era stato individuato l�aspirante da proporre per l�incarico 
in questione. 
Il Tar ha proseguito il proprio iter motivo, precisando che non si poteva ovviamente affermare 
che la B. fosse dei concorrenti il pi� adatto; ma che il vizio che si riscontrava nell�azione amministrativa 
riposava nella circostanza che non era stato accertato, o, quantomeno, che non si 
era chiarito, perch� ella non lo fosse, pur dopo averle fornito le indicazioni su come dovesse 
dimostrarlo. 


Questo in ultimo elencato, ad avviso del primo giudice, era l�effetto della mancanza di un sistema 
di regole prestabilite, pur elementari, che stabilisse come scegliere nella platea dei potenziali 
aspiranti - tutti gli avvocati con determinata anzianit� e qualifica - il candidato pi� 
idoneo per meriti ed attitudini a dirigere un determinato Ufficio distrettuale nelle condizioni 
date, il che aveva condotto ad una scelta che appariva pi� arbitraria che discrezionale: alla 
stregua delle esposte considerazioni il Tar ha annullato il parere C.A.P.S. 24 aprile 2012, la 
proposta 30 aprile 2012, dell�Avvocato generale dello Stato, il d.P.R. 5 giugno 2012, di nomina 
di F.M. ad Avvocato distrettuale di (...). 
Avverso tale sentenza sono stati proposti due ricorsi, l�uno dall�Amministrazione e l�altro 
dall�avv. M. 
Ricorso n. 7808/2013; 
La difesa erariale ha proposto un articolato appello, censurando integralmente l�approdo cui 
era giunta la gravata decisione. 
In particolare ivi � stato sostenuto, in via principale, il malgoverno, da parte del Tar, dell�art. 
18, II comma, della l. 103/79, sostenendosi la assoluta fiduciariet� (ex artt. 1,18, 23 della 
legge medesima) dell�incarico di Avvocato distrettuale da parte dell�Avvocato generale dello 
Stato: trattavasi, infatti, dell�attribuzione di un mero incarico, e non di una �qualifica�. 
Ed era del tutto irrilevante che la predetta legge non contenesse una previsione di c.d. �spoil 
system�: la previsione nel sistema di simili disposizioni costituiva indizio certo della natura 
fiduciaria di un incarico; non era vero, per�, il contrario, come arbitrariamente desunto dal 
Tar. 
Il Tar inesattamente aveva poi affermato l�inesistenza di un rapporto di stretta fiduciariet� tra 
l�Avvocato generale dello Stato (anzitutto dimostrato dalla circostanza che nel procedimento 
di nomina quest�ultimo rivestiva un ruolo assolutamente centrale, mentre al Caps era attribuito 
un ruolo esclusivamente consultivo) e l�Avvocato distrettuale. 
L�Avvocato distrettuale, ex art. 18 citato, doveva assicurare il coordinamento e l�unit� di indirizzo: 
non era pensabile che ci� non dovesse avvenire in collaborazione sincronica con l�Avvocato 
Generale (che aveva il compito di vigilare sulle sedi periferiche, coordinarne l�attivit� 
e di ci� essere direttamente responsabile). 
Il Tar aveva esattamente richiamato l�art. 15 del RD 30.10.1933, siccome sostituito dall�art. 
15 della l. 103/79, e l�art. 18 della l. 103/79, ma ne aveva clamorosamente travisato il senso. 
� stato poi censurato il passaggio motivazionale che faceva riferimento alla natura concorsuale 
e comparativa della procedura di scelta dell�Avvocato distrettuale. 
La legge individuava l�atto di impulso nella proposta dell�Avvocato generale; non certo nella 
domanda dell�interessato. Ne conseguiva che la scelta ineriva agli Avvocati che possedevano 
i requisiti, avessero essi - o meno - manifestato la disponibilit�. 
L�ordine del giorno, relativo alla vacanza del posto di Avvocato distrettuale nel distretto di 
(...), era stato diramato a tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato, e tanto valeva ad assicurare 
la �pubblicit�� pretesa dal Tar, in quanto tutti erano stati messi in condizione di manifestare 
la propria disponibilit�. 
Ma quest�ultima non era affatto equipollente ad una domanda: ben la scelta avrebbe potuto 
ricadere su un soggetto che tale disponibilit� non aveva manifestato. 
Il Tar era stato fuorviato dal tentativo di assimilare la detta disciplina a quella prevista per il 
conferimento degli incarichi direttivi in Magistratura. 
Nella procedura per cui � causa, invece, non v�era obbligo di fornire motivazione comparativa 
rispetto agli altri �aspiranti�: la giurisprudenza amministrativa era giunta ad analogo divisa



mento con riguardo alle alte cariche diplomatiche, dirigenziali, e non v�era motivo di disco-
starsi dai detti approdi. 
La sentenza gravata (II censura) era addirittura affetta da straripamento, laddove, obliando 
che erano stati rispettati gli obblighi di trasparenza, imparzialit� e motivazione, ipotizzava 
che avesse avuto rilievo alcuno, ai fini del conferimento, la missiva che l�Avvocato distrettuale 
uscente aveva indirizzato al M. 
Il Tar, che gi� aveva errato facendo riferimento al concetto di �comparazione�, aveva vieppi� 
insistito laddove non si era avveduto che la predetta lettera non aggiungeva alcun elemento a 
quanto gi� avrebbe potuto ricavarsi dal curriculum del M. 
Non era chiaro da quale elemento potesse trarsi il convincimento che detta missiva avesse rivestito 
�portata determinante�: quanto alla �prassi� relativa alla nomina dei dipendenti maggiormente 
�anziani� (e l�Avv. B. certamente lo era rispetto al prescelto), lo stesso Tar 
riconosceva che alla stessa non era stato attribuito, in passato, rilievo decisivo. 
Nel merito, il primo giudice aveva disconosciuto che si era pervenuti alla scelta pi� ragionevole, 
avuto riguardo ai meriti del prescelto, alla funzione vicariale dallo stesso esercitata per 
quasi 18 anni, dalla circostanza che questi si era classificato al primo posto nel proprio concorso 
per Avvocato (a differenza della appellata controinteressata B., classificatasi ultima 
nella graduatoria degli idonei del concorso per Procuratore dello Stato e poi assunta a seguito 
di scorrimento della graduatoria ed ultima dei vincitori al concorso per Avvocato dello Stato). 
L�appellata ha depositato un�articolata memoria (proponendo riserva di appello con riguardo 
ai motivi proposti in primo grado e disattesi dal Tar) chiedendo la reiezione del gravame 
perch� infondato. 
Il Tar non aveva mai affermato la natura �concorsuale� della procedura de qua: il Tar aveva affermato, 
invece, che - una volta che la scelta avvenga soltanto tra coloro i quali avevano manifestato 
la propria disponibilit� (ed il dato non era n� contestabile, n� contestato) - doveva essere 
rispettato l�obbligo di imparzialit� e trasparenza, destinato ad essere trasfuso in motivazione. 
Ci� in quanto era innegabile che alla scelta si pervenisse a seguito di comparazione tra coloro 
che avevano manifestato la propria disponibilit�. 
Ed allora, affermare che non veniva attribuita una nuova �qualifica� appariva (oltre che discutibile, 
in quanto gli Avvocati distrettuali, ex art. 21 della l. 103/79 erano componenti di diritto 
del Caps) del tutto neutro, perch� ci� che rilevava era il modo in cui il detto �incarico� 
veniva conferito. 
Era ben vero che all�Avvocato generale era attribuito un ruolo centrale nella procedura di 
scelta: ma ci� non ostava a che quest�ultima rispettasse i canoni di imparzialit� e trasparenza. 
N� all�Avvocato generale subentrante era attribuito un generalizzato potere di revoca degli 
Avvocati distrettuali nominati dal predecessore, a testimonianza del fatto che l�elemento della 
�fiduciariet�� non rivestiva portata n� esclusiva, n� decisiva. 
Quanto al secondo motivo di gravame, esso era infondato in quanto era palese che la scelta si 
era svolta all�interno di una terna; che ci� costituiva autolimitazione concreta rispetto al c.d. 
�potere di chiamata�; n� il richiamo ad arresti relativi al conferimento di incarichi in altre 
Amministrazioni era condivisibile, posto che ivi, sempre, la giurisprudenza amministrativa 
aveva chiarito l�obbligo di motivare in ordine alle ragioni della scelta (il che presupponeva 
una �comparativit�� della procedura). 
Nel merito, ogni sforzo di svalutare la portata rivestita dalla lettera dell�Avvocato distrettuale 
uscente era risultato vano: come vano era risultato il tentativo di sminuire l�assoluto spessore 
del curriculum dell�appellata B. 


Ricorso n. 7910/2013. 
Il controinteressato M., gi� resistente rimasto soccombente in primo grado, ha proposto un 
articolato appello, censurando integralmente l�approdo cui era giunta la gravata decisione, 
proponendo censure sostanzialmente identiche e sovrapponibili a quelle proposte dalla difesa 
erariale nell�ambito del ricorso n. 7808/2013 ed in precedenza illustrate. 
L�appellata ha depositato memoria chiedendo la reiezione del gravami, perch� infondato. 
Alla adunanza camerale del 19 novembre del 2013 fissata per la delibazione delle domande 
di sospensione della esecutivit� della gravata decisione, le due controversie sono state rinviate 
al merito. 
Tutte le parti processuali hanno depositato ulteriori scritti difensivi volti a ribadire e puntualizzare 
le rispettive prospettazioni. 
Alla pubblica udienza del 18 febbraio 2014 le due cause sono state posta in decisione dal Collegio. 


DIRITTO 

1. I suindicati appelli devono essere riuniti, in quanto diretti a gravare la medesima sentenza. 
Essi sono infondati e vanno pertanto respinti, con conseguente improcedibilit� delle censure, 
assorbite o disattese dal primo giudice, riproposte da parte appellata. 
2. Ritiene utile il Collegio, in via assolutamente preliminare, richiamare il dato normativo essenziale 
ai fini della risoluzione delle problematiche devolute all�esame del Collegio. 


2.1. Stabilisce l�art. 18 della legge 3 aprile 1979, n. 3 che: 
�L'avvocato distrettuale dello Stato: vigila e soprintende, nell'ambito dell'avvocatura distrettuale, 
all'espletamento delle funzioni di istituto ed alla organizzazione e funzionamento degli 
uffici e dei servizi; assegna agli avvocati e procuratori in servizio presso l'avvocatura distrettuale 
gli affari contenziosi consultivi, in base ai criteri stabiliti dal comitato consultivo; 
assicura il coordinamento e l'unit� di indirizzo dell'attivit� contenziosa e consultiva dell'avvocatura 
distrettuale, promuovendo l'esame e la decisione collegiale delle questioni giuridiche di 
maggiore rilievo, nonch� l'informazione e collaborazione reciproca tra gli avvocati e procuratori; 
determina le direttive inerenti alla trattazione degli affari contenziosi; 
riferisce all'avvocato generale dello Stato sull'attivit� svolta dall'avvocatura distrettuale, segnalando 
le controversie pi� importanti nonch� le eventuali carenze legislative ed i problemi 
interpretativi che emergono nel corso dell'attivit� di istituto; 
riferisce al presidente della giunta regionale per gli affari trattati nell'interesse della regione, 
anche presentando apposite relazioni e segnalando le controversie pi� importanti nonch� le 
eventuali carenze legislative. 
L'incarico di avvocato distrettuale dello Stato � conferito con decreto del Presidente del Consiglio 
dei Ministri, su proposta dell'avvocato generale dello Stato, sentito il consiglio degli 
avvocati e procuratori dello Stato, ad avvocati dello Stato che abbiano almeno conseguito la 
terza classe di stipendio e maturati in essa cinque anni di servizio. 
Con le stesse modalit� � disposta la cessazione dall'incarico. 
L'avvocato distrettuale che cessa dall'incarico pu� chiedere di essere associato all'Avvocatura 
generale dello Stato�. 
L�art. 15 del R.D. 30-10-1933 n. 1611, recante �Approvazione del T.U. delle leggi e delle 
norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento del-
l'Avvocatura dello Stato�, nel testo sostituito dall'art. 15, L. 3 aprile 1979, n. 103, a propria 
volta, cos� dispone: �L'avvocato generale dello Stato: 
determina le direttive inerenti alla trattazione degli affari contenziosi e consultivi; 


presiede e convoca il consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato ed il comitato consultivo; 
vigila su tutti gli uffici, i servizi e il personale dell'Avvocatura dello Stato e soprintende alla 
loro organizzazione, dando le opportune disposizioni ed istruzioni generali; 
risolve, sentito il comitato consultivo, le divergenze di parere sia tra gli uffici distrettuali del-
l'Avvocatura dello Stato, sia tra questi e le singole amministrazioni; 
assegna agli avvocati e procuratori in servizio presso l'Avvocatura generale dello Stato gli affari 
contenziosi e consultivi, in base ai criteri stabiliti dal comitato consultivo; 
riferisce periodicamente al Presidente del Consiglio dei Ministri sull'attivit� svolta dall'Avvocatura 
dello Stato, presentando apposite relazioni, e segnala anche prontamente le eventuali 
carenze legislative ed i problemi interpretativi che emergono nel corso dell'attivit� di istituto; 
fa le proposte e adotta i provvedimenti espressamente attribuiti alla sua competenza, nonch� 
ogni altro provvedimento riguardante gli uffici ed il personale dell'Avvocatura dello Stato che 
non sia attribuito ad altra autorit�. 
In caso di impedimento o di assenza l'avvocato generale � sostituito dal vice avvocato generale 
con maggiore anzianit� nell'incarico�. 
Sebbene soltanto menzionata (ma non utilizzata dal primo giudice per il vaglio sulle questioni 
devolutegli), appare altres� rilevante al Collegio menzionare il disposto di cui all�art. 21 della 
sopracitata legge 3 aprile 1979, n. 3, che cos� prevede: 
�� istituito il consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato, che � composto: 
a) dall'avvocato generale dello Stato, che lo presiede; 
b) da due avvocati dello Stato, con incarico di vice avvocato generale, pi� anziani nell'incarico; 
c) da due avvocati dello Stato, con incarico di avvocato distrettuale, pi� anziani nell'incarico; 
d) da quattro componenti, di cui almeno un procuratore dello Stato, eletti da tutti gli avvocati 
e procuratori dello Stato riuniti in un unico collegio, secondo le norme dell'articolo 22 della 
presente legge. 
In caso di impedimento o di assenza o quando il consiglio debba esprimere parere sui provvedimenti 
che li concernono, i componenti di cui alle lettere b) e c) sono sostituiti dagli avvocati 
che li seguono in ordine di anzianit� nell'incarico, i componenti di cui alla lettera d) 
dai supplenti eletti contestualmente secondo l'ordine di elezione. 
Il segretario generale dell'Avvocatura dello Stato interviene alle sedute del consiglio senza 
diritto di voto. 
I componenti eletti durano in carica tre anni, non sono immediatamente rieleggibili n� possono 
essere loro conferiti, finch� sono in carica, incarichi direttivi. 
Le funzioni di segretario del consiglio sono espletate dal pi� giovane dei componenti. 
Le funzioni di relatore per ciascun affare in trattazione presso il consiglio sono esercitate da 
uno dei suoi componenti designato di volta in volta dall'avvocato generale. 
Il consiglio non pu� validamente deliberare se non sono presenti sei dei nove membri che lo 
compongono; le deliberazioni del consiglio sono adottate col voto favorevole della maggioranza 
dei suoi componenti salvo i casi previsti nelle lettere c), d), e), g) e h), dell'articolo 23, 
per i quali � richiesto il voto favorevole di almeno sei componenti il consiglio. 
Sono abrogati gli articoli 25 e 26 del testo unico approvato con regio decreto 10 ottobre 1933, 


n. 1611, e successive modificazioni�. 
Detto Organismo, � in sostanza l�Organo di autogoverno dell�Avvocatura dello Stato, i cui 
compiti e funzioni sono scolpiti nel successivo art. 23 della citata legge. 
Tale disposizione completa il quadro dei precetti ad avviso del Collegio rilevanti per la fattispecie 
per cui � causa, unitamente all�art. 19 della sopracitata legge, che pure di seguito si riporta: 



�Gli avvocati e procuratori dello Stato: 
trattano gli affari contenziosi e consultivi loro assegnati; 
in caso di divergenza di opinioni nella trattazione di detti affari con l'avvocato generale, con 
i vice avvocati generali o con l'avvocato distrettuale, possono chiedere, presentando relazione 
scritta, la pronuncia del comitato consultivo e, se questa � contraria al loro avviso, di essere 
sostituiti nella trattazione dell'affare per cui � sorta la divergenza di opinioni; 
possono essere sostituiti nella trattazione degli affari loro affidati in caso di assenza, impedimento 
o giustificata ragione; quando ricorrano gravi motivi possono essere sostituiti, con 
provvedimento motivato, dall'avvocato generale o dall'avvocato distrettuale dello Stato. Avverso 
tale provvedimento pu� essere proposto ricorso entro trenta giorni al consiglio degli 
avvocati e procuratori dello Stato. 
I procuratori dello Stato provvedono anche al servizio di procura per la cause trattate dagli 
avvocati e dagli altri procuratori dello Stato, secondo le disposizioni dei dirigenti degli uffici, 
cui sono addetti�. 

2.2. Cos� ricostruito l�ordito normativo sotteso alla controversia, ritiene il Collegio di dovere 
immediatamente ribadire la propria convinta adesione al consolidato approdo della giurisprudenza 
amministrativa, secondo il quale (Consiglio di Stato Ad. Plen. 15/09/1999 n. 14) �il 
principio del giusto procedimento amministrativo - pur non essendo di rilievo costituzionale 

-costituisce comunque un criterio di orientamento sia per il legislatore sia per l'interprete�. 
(Arg ex Corte Costituzionale 19/03/1993 n. 103). 
� noto, poi, che il dibattito dottrinario e giurisprudenziale in proposito ha conosciuto una ulteriore 
evoluzione, tanto da indurre a pi� riprese all�affermazione per cui �l'applicazione dei 
principi desumibili dalla l. n. 241/1990 quale espressione del diritto al giusto procedimento, 
dovrebbe rientrare tra i livelli essenziali dei diritti civili da garantire a tutti i cittadini, ai sensi 
dell'art. 117, comma 2, lett. m), o, qualificando le norme della l. n. 241 come "norme interposte", 
che integrano il sistema costituzionale ai sensi dell'art. 117, comma 1, della Carta fondamentale� 
(ex aliis si veda in tal senso Consiglio di Stato sez. V 28/02/2011 n. 1271; T.A.R. 
Molise 09/03/2006 n. 194). 
Non essendo n� utile, n� rilevante ai fini della risoluzione della fattispecie per cui � causa, 
non ritiene il Collegio di immorare su tale ultimo tema di natura qualificatoria: � sufficiente, 
per�, rilevare che i principi partecipativi, di trasparenza, di efficacia ed efficienza che permeano 
la nozione di giusto procedimento costituiscono adeguato canone interpretativo utilizzabile 
nella fattispecie per cui � causa. 
Ci� nel forte convincimento per cui, tra due interpretazioni di un medesimo precetto, una 
delle quali collida con i detti principi generali, di cui alla legge n. 241/1990, ed un�altra appaia 
con gli stessi armonica, l�interprete debba certamente privilegiare la seconda (analogamente 
all�insegnamento reso a pi� riprese dalla Corte Costituzionale, secondo il quale - ex aliis sentenza 
n. 46/2013 sentenza n. 21 del 2013, ordinanze n. 255 del 2012, n. 287 del 2011 e n.110 
del 2010 - �di una disposizione legislativa non si pronuncia l'illegittimit� costituzionale quando 
se ne potrebbe dare un'interpretazione in violazione della Costituzione, ma quando non se ne 
pu� dare un'interpretazione conforme a Costituzione�). 

2.3. Alla stregua di tale canone ermeneutico, il Collegio esaminer� la fattispecie per cui � 
causa, in ordine alla quale si pu� in prima battuta svolgere una considerazione (anch�essa 
assai agevole e quasi necessitata alla stregua della piana lettura delle disposizioni primarie 
summenzionate): pu� senz�altro concordarsi con due affermazioni contenute nella decisione 
impugnata. 


La prima di esse riposa nella considerazione per cui pu� riscontrarsi �la mancanza di un sistema 
di regole prestabilite, pur elementari, che stabilisca come scegliere nella platea dei potenziali 
aspiranti - tutti gli avvocati con determinata anzianit� e qualifica - il candidato pi� idoneo per 
meriti ed attitudini a dirigere un determinato Ufficio distrettuale nelle condizioni date�. 
La seconda, complementare a quella appena esposta, � quella secondo la quale �l�art. 18, II 
comma succitato sebbene non contempli una procedura concorsuale, in realt� neppure la 
esclude, espressamente o implicitamente, limitandosi a fissare alcuni passaggi della procedura 
di nomina, di cui individua sia gli organi competenti, sia i soggetti muniti del requisito proprio 
per aspirarvi, e cio� la qualit� di avvocati dello Stato in servizio, alla terza classe di stipendio, 
con cinque anni di anzianit� di servizio nella stessa�. 
Tali dati sono incontrovertibili e neppure sono stati seriamente contestati dalle parti appellanti, 
che, al contrario, agli stessi si rifanno esplicitamente, per sostenere: 
che debba escludersi la natura concorsuale della procedura di conferimento dell�incarico di 
avvocato distrettuale; 
che si tratterebbe di una chiamata �fiduciaria� da parte dell�Avvocato Generale; 
che il sostrato di tale nomina riposerebbe in una valutazione di �merito assoluto� resa dal-
l�Avvocato generale medesimo. 
Sullo sfondo di tali argomentazioni aleggiano le considerazioni - di natura sostanziale - secondo 
cui gli atti �valutati� dal Caps (tra i quali la nota dell�Avvocato distrettuale uscente, 
encomiastica nei confronti del prescelto Avv. M., odierno appellante) ed il percorso di carriera 
degli aspiranti non farebbero che confermare come una serena valutazione del �merito assoluto� 
non avrebbe premiato altri che il soggetto effettivamente prescelto. 

2.4. Premette in proposito il Collegio che esula certamente dai propri compiti quello di �criticare� 
disposizioni di legge vigenti, e men che meno �suggerire� eventuali iniziative legislative 
di riforma/ridefinizione della disciplina normativa in oggetto. 
E ritiene, altres�, opportuno far presente che non si ritiene neppure di indugiare in ordine a 
valutazioni degli argomenti relativi alla prevalenza di uno od altro aspirante. 
Ci� in quanto, da un lato, la pur scarna disciplina normativa succitata, ove interpretata armonicamente 
al principio di parit� delle parti e di trasparenza, pare condurre a considerazioni 
contrarie a quelle esposte nei riuniti appelli; secondariamente, perch� ritiene che, proprio alla 
stregua dei segnalati canoni ermeneutici (parit� delle parti e trasparenza), il procedimento oggetto 
di scrutinio da quei canoni si sia discostato e pertanto meriti condivisione l�approdo de-
molitorio raggiunto dal primo giudice. 

2.5. Quanto sopra, alla stregua delle seguenti considerazioni: 
a) pu� concordarsi con la tesi secondo la quale la nomina dell�Avvocato distrettuale pertenga 
alla esclusiva responsabilit� dell�Avvocato generale; 
b) inteso in questo - limitato - senso, pu� ben parlarsi di �fiduciariet��; ma � ben ovvio che il criterio 
debba essere quello dell�adeguatezza a svolgere il detto incarico e che tale valutazione debba 
discendere da dati relativi al percorso professionale del prescelto e non certo da elementi di conoscenza 
personale dell�Avvocato generale o da dati e circostanze non ostese, n� desumibili; 
c) ci� appare dato incontrovertibile e si ricava (oltre che dalla logica), a tacer d�altro, dalla 
circostanza che debba essere �sentito il consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato�, il 
quale predispone un parere (parere che non avrebbe senso alcuno laddove fondato su dati parziali 
incompleti e quindi distonici rispetto al materiale cognitivo poi �utilizzato� dall�Avvocato 
Generale per rendere la propria scelta); 
d) posto che l�Avvocato generale effettua tale scelta con propria esclusiva responsabilit�, pure 


in questo limitato senso pu� parlarsi di fiduciariet�: il che certo non significa assoluto arbitrio; 
e) ostano, in nuce, alla possibilit� di una considerazione del termine �fiduciariet�� maggiormente 
estesa di quella sinora tratteggiata, due dirimenti circostanze: 
e1) non � assolutamente previsto che il neonominato Avvocato generale possa ad nutum revocare 
le nomine gi� disposte dal predecessore (come dovrebbe avvenire laddove la nomina 
fosse legata non a parametri oggettivi, legati allo sviluppo di carriera dal prescelto, ma ad un 
rapporto �fiduciario� in senso stretto) e men che meno � previsto che, ogniqualvolta cessi 
dalla carica il soggetto �nominante�, la nomina del soggetto da questi prescelto decada e/o 
debba essere riconfermata; 
e2) � previsto che, tra i membri di diritto del Caps (art. 21 lett. c della legge succitata) i �due 
avvocati dello Stato, con incarico di avvocato distrettuale�, siano i �pi� anziani nell'incarico�; 
il che confligge con un�impostazione fondata su una scelta assolutamente libera (resa � a prescindere� 
dallo sviluppo di carriera degli aspiranti all�incarico legittimati), in quanto, se cos� 
fosse, ne dovrebbe discendere che pure la composizione dell�Organo consultivo dovrebbe essere 
determinata secondo criteri �fiduciari�, disconnessi da parametri obiettivi previamente 
vagliati; e ci� renderebbe perlomeno dubbia l�attitudine del predetto Organo a rendere i pareri 
richiesti ex lege in piena indipendenza dall�Organo (l�Avvocato Generale, appunto) deputato 
a ricevere i detti pareri. 

2.5. Unitamente a tali - gi� dirimenti - considerazioni congiurano a far ritenere ben ristretto il 
concetto di �nomina fiduciaria�, predicabile in simili ipotesi, le modalit� con le quali si � proceduto 
alla nomina dell�Avvocato distrettuale in passato e nell�ambito della stessa presente 
procedura. 

2.5.1. Come acutamente osservatosi nella decisione di primo grado, infatti, la norma di cui 
all�art. 18 comma 2 prima citata attribuisce una legittima aspettativa a tutti gli avvocati con 
la predetta qualifica ed anzianit� di essere scrutinati per l�incarico in questione. 
Il primo giudice ha sostenuto anche che la norma stessa �non esclude affatto che, per poter 
essere nominato, il soggetto debba anche presentare una domanda, comunque qualificata�. 

2.5.2. Il Collegio non concorda con detta ultima affermazione. 
Si pu� invece concordare con le parti appellanti nel ritenere che, in via di principio, l�avvenuta 
presentazione di una �dichiarazione di disponibilit�� ad assumere l�incarico non sia condizionante 
della possibilit� di essere nominato, e che - sempre in via di principio - anche un 
soggetto che tale dichiarazione di disponibilit� non ha mai presentato possa essere attributario 
del predetto incarico. 

2.5.3. Senonch�, tale constatazione in nulla sposta i termini della controversia, avuto riguardo 
al concreto meccanismo seguito dall�Amministrazione per pervenire alla nomina (nel caso di 
specie) ed al �meccanismo� (se non si vuole utilizzare il termine �procedura�, evocativo di 
una fase procedimentalizzata eterogovernata da una fonte normativa �superior�) tenuto presente 
in passato, per quel che qui risulta incontestato. 

2.5.4. In ossequio alle esigenze di trasparenza (queste s� pienamente rispettate nella fase embrionale 
del procedimento) viene di regola data notizia della vacanza del posto e la platea 
degli aventi diritto presenta la dichiarazione di disponibilit� (ci� � avvenuto in passato, e ci� 
� avvenuto nel caso di specie). 
A questo punto, il giudizio sotteso alla nomina, postula una disamina delle posizioni (non gi� 
dell�intera ampia platea dei soggetti aventi diritto, ma soltanto) di quei soggetti che, in possesso 
dei requisiti di anzianit�, hanno presentato la dichiarazione di disponibilit�. 

2.5.5. Non volendo ritenere (perch� neppure parte appellante si spinge ad affermare tanto) 


che il C.A.P.S. abbia (in passato e/o anche soltanto nel caso di specie) considerato le posizioni 
di tutti i Colleghi che possedevano i requisiti per la nomina (o anche, a tutto concedere, almeno 
dei pi� anziani tra essi) fino ad individuare il designabile, e non si sia limitato a vagliare le 
posizioni soltanto dei soggetti che avevano presentato dichiarazione di disponibilit�, ne discende 
una conseguenza. 
O tutte le procedure di nomina ad Avvocato distrettuale in passato adottate (ed anche quella 
oggetto di esame) sarebbero viziate da difetto di istruttoria, in quanto sarebbe stata omessa la 
disamina di tutti i soggetti potenzialmente nominabili, ovvero l�eventualit� di nominare taluno 
che non avesse presentato la dichiarazione di disponibilit� resta, in concreto, una evenienza 
teorica, alla quale potrebbe accedersi laddove nessuno dei latori della dichiarazione di disponibilit� 
fosse stato nominabile e/o avesse posseduto i requisiti richiesti, e che, di converso, al 
di fuori di detta teorica evenienza, la avvenuta presentazione della dichiarazione di disponibilit�, 
se non costituisce tecnicamente (e non pu� esserlo per legge) �requisito per la nomina�, 
ha l�effetto di restringere - quantomeno in prima battuta, lo si ripete, e salva la teorica evenienza 
prima descritta - il novero dei soggetti valutabili. 
E pu� essere sintomatico rilevare, a tale proposito, che nei remoti e sporadici precedenti giurisprudenziali 
resi su fattispecie assimilabile a quella per cui oggi � causa, la giurisprudenza 
(pur escludendo che si dia corso ad un vero e proprio procedimento comparativo) ha proprio 
riconosciuto un tale �effetto� di delimitazione del novero delle posizioni esaminabili alla avvenuta 
presentazione di dichiarazioni di disponibilit� da parte di soggetti aspiranti legittimati 

(T.A.R. Sicilia Sez. I, 18-03-1991, n. 173: �nel sistema delineato dalla l. n. 103/1979, che ha 
modificato l'ordinamento dell'avvocatura dello stato, per la copertura dei maggiori uffici - avvocato 
generale e avvocato distrettuale - � esclusa qualsiasi previsione di procedura concorsuale 
o di predeterminazione di criteri selettivi; T.A.R. Puglia, 07-03-1987, n. 139: �nel 
sistema delineato dagli art. 16, 17 e 18 l. 3 aprile 1979 n. 103, il conferimento degli incarichi 
nell'ambito dell'avvocatura dello stato - ed in particolare quello di avvocato distrettuale - non 
richiede una tipica procedura concorsuale, bens� una scelta da operare fra soggetti che abbiano 
manifestato di aspirare all'incarico, in forza di una lata discrezionalit� al cui esercizio � estraneo 
il modulo procedimentale della valutazione analitica dei requisiti e delle qualit� di ciascuno 
dei sottoposti a vaglio, proprio degli scrutini�). 

2.5.6. E - se � consentita una considerazione di merito - non solo la sistematica selettiva sinora 
adottata appare logica, ma il Collegio neppure ha remore nell�affermare che la stessa sia positivamente 
apprezzabile ed idonea a garantire celerit� ed efficienza della procedura di nomina: 
sarebbe un inutile spreco di tempo ed energia valutare la posizione di centinaia di soggetti in 
astratto nominabili (in quanto in possesso dei detti requisiti) e procedere successivamente a 
richiederne il consenso/disponibilit� alla nomina (manifestazione privata, quest�ultima, che 
potrebbe anche mancare, con il rischio di dover ripetere la valutazione un numero incalcolabile 
di volte), piuttosto che, quantomeno in prima battuta, vagliare unicamente le posizioni di chi 
tale dichiarazione di disponibilit� aveva prodotto (salva la possibilit� di nominare eventualmente, 
nei casi prima soltanto esemplificativamente indicati, un soggetto che tale disponibilit� 
non aveva esternato); 

2.6. Se quindi, in via generale, la dichiarazione di disponibilit�, pur non inibendo l�altra possibilit� 
prima rappresentata, ha l�effetto di restringere, quantomeno in un primo approccio, il 
novero delle posizioni valutabili, da tale considerazione devono discendere alcune rilevanti 
conseguenze: 
a) seppur non si possa parlare di �comparazione�, nel senso canonico del termine (parte ap





pellante si richiama, per assimilazione, al concetto di �merito assoluto�), la valutazione delle 
posizioni, almeno in prima battuta, lo si ripete, si svolge nell�ambito di una platea ristretta (e 
solo di quella); id est: unicamente con riguardo a coloro che hanno presentato la dichiarazione 
di disponibilit�; 
b) se cos� �, a costoro, in quanto potenziali destinatari del provvedimento di nomina, devono 
essere garantite le minimali garanzie procedimentali: trasparenza e par condicio; 
c) tali garanzie si strutturano, in primis, nella identit� del materiale cognitivo esaminabile dal 
Caps con riferimento ad ognuno degli aspiranti; e, secondariamente, nella esternazione, anche 
embrionale, degli elementi �di preferenza� che hanno guidato la scelta verso l�uno ovvero 
verso l�altro. 


3. Muovendo dai detti presupposti, pu� concordarsi con la tesi del primo giudice, secondo 
cui del rispetto di tali minimali presupposti non vi sia prova, con riguardo al procedimento di 
nomina sottoposto a scrutinio. 


3.1. A guardare al materiale cognitivo, il Caps ha preso in esame, in chiave di comprova della 
sussistenza delle caratteristiche tese a comprovare il �merito assoluto� in capo al nominato, 
una nota teoricamente destinata ad altri fini e diretta a quest�ultimo. 
Pu� concordarsi con la circostanza sottolineata da parte appellante, secondo cui detta nota 
nulla di �ulteriore� rispetto al patrimonio cognitivo valutabile abbia in realt� aggiunto. 
Pur tuttavia, a tacer d�altro, non risulta dagli atti del procedimento che fosse stata chiarita agli 
altri latori della dichiarazione di disponibilit� (tra cui l�appellata) la possibilit� che simili atti 
venissero fatti oggetto di valutazione: a tacer d�altro, non � dato conoscere se simili �note� 
fossero state indirizzate ad altri aspiranti che avevano presentato la dichiarazione di disponibilit�, 
quali espressioni contenessero, quali elementi professionali avessero esaltato, etc. 
In teoria nulla vieta che ve ne fossero di altre, maggiormente apprezzabili, e l�incertezza in 
ordine alla producibilit� e valutabilit� delle medesime non ha giovato alla par condicio, quanto 
alla perimetrazione del materiale cognitivo valutabile. 

3.2. Quanto al profilo relativo alla trasparenza, non si rinviene nessuna sia pur embrionale 
�motivazione� che chiarisca - se non la �prevalenza� del prescelto - quantomeno, seppur 
espressi in termini assoluti e non comparativi, i dati che si riteneva coincidessero con il criterio 
del �merito assoluto�, sicch�, anche per sottrazione, quantomeno gli altri aspiranti (ma si ricorda 
che le esigenze di trasparenza soltanto immediatamente possono ricondursi alla posizione 
degli altri aspiranti, mentre mediatamente ed in via pi� generale rispondono ad esigenze 
di pi� generale verifica della rispondenza ad interesse pubblico dell�attivit� pubblicistica posta 
in essere) fossero in grado di rendersi conto di quali fossero stati gli elementi del curriculum 
professionale del prescelto tali da farlo giudicare pi� idoneo e meritevole in assoluto. 
4. Tali riscontrate lacune inducono il Collegio alla reiezione dei riuniti appelli, non prima, 
per� di avere esternato un�ultima, assorbente, considerazione. 
Nell�appello della difesa erariale si assimila la procedura per cui � causa ad altre - in passato 
oggetto di scrutinio da parte del Consiglio di Stato - caratterizzate dal criterio del merito assoluto, 
quale, ad esempio, quella per l�attribuzione delle pi� alte cariche diplomatiche. 
Non ritiene il Collegio di doversi attardare in ordine alla correttezza - o meno - di tale processo 
di accostamento ed assimilazione (contestato da parte appellata) della procedura per cui � 
causa con quella suindicata (per il vero caratterizzata da decisi indici normativi che, ben pi� 
che nell�ipotesi oggetto dell�odierno scrutinio, fanno propendere per la qualificazione della 
medesima come procedura di �designazione�, sottratta ad ogni riferimento di natura comparativistica). 





Ci� che giova precisare, per�, � che anche nelle ipotesi segnalate dalla difesa erariale la giurisprudenza 
di questo Consiglio di Stato (ex aliis si veda la decisione n. 5050/2001) ha avuto 
modo di svolgere un condivisibile ragionamento (questo s�, plasticamente traslabile alla fattispecie 
per cui � causa) che vale la pena riportare di seguito. 
Escluso che ci si trovi al cospetto di insindacabili �atti politici� e dovendosi qualificare l�atto 
di nomina, in quelle vicende, come atto di alta amministrazione, esso resta sindacabile �debolmente� 
dall�Autorit� giudiziaria, in ossequio al canone costituzionale di cui all�art. 24 della 
Carta Fondamentale: ci�, sia pure nei limitati casi di abnormit� ed irragionevolezza o per vizi 
relativi all�istruttoria: ma un sia pur ristretto sindacato, perch� possa essere esplicato, necessita 
a monte che della scelta compiuta (anche di �merito assoluto�) sia stata data contezza, con 
motivazione, sia pur sintetica ed unitaria, non parcellizzata e non comparativa, e che la procedura 
valutativa sia stata svolta rispettando il canone della par condicio. 
Se cos�, �, essendo mancata nella fattispecie per cui � causa quantomeno la sintetica esternazione 
di tali elementi, tanto che alcuno dei soggetti che diedero la disponibilit�, n� questo 
Collegio, � in grado di percepire le ragioni del �merito assoluto� riscontrato in capo al nominato, 
di necessit� deve discendere la reiezione dei riuniti appelli e la conferma, nei termini di 
cui alla motivazione che precede, della gravata decisione, salvi gli ulteriori provvedimenti 
dell�Amministrazione (con conseguente assorbimento nella detta statuizione delle ulteriori 
censure riproposte da parte appellata). 


5. La complessit� e parziale novit� delle questioni esaminate, oltrech� la peculiare natura della 
controversia, legittima l�integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio. 


P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando 
sui riuniti appelli, come in epigrafe proposti, li respinge. 
Spese processuali compensate. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2014 con l'intervento 
dei magistrati: 

Paolo Numerico, Presidente 
Sandro Aureli, Consigliere 
Raffaele Greco, Consigliere 
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore 
Andrea Migliozzi, Consigliere 


DEPOSITATA IN SEGRETRIA 
IL 17/03/2014 
IL SEGRETARIO 
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 


Corollari della societ� in house: esclusione dal fallimento ed 
applicazione della normativa organizzatoria relativa al socio 
pubblico. In specie, ove l�ente ausiliato sia una P.A., patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato 

TRIBUNALE DI NAPOLI, VII SEZ. CIV., DECRETO 9 GENNAIO 2014, N.R.R.FALL. 1097/13 

Michele Gerardo* 

SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Esclusione dal fallimento delle societ� in house. - 3. Ulteriori 
corollari della qualificazione della societ� in house, quale mero patrimonio separato 
dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico. - 4. (segue) In specie: rappresentanza e 
difesa in giudizio delle societ� in house aventi quale azionista un Amministrazione Statale. 

1. Introduzione. 

Il decreto motivato che si annota ha ad oggetto il problema dell�assoggettabilit� 
al fallimento della societ� in house, nell�ambito del pi� ampio discorso 
del fallimento delle societ� pubbliche. 

L�art. 1 comma 1 della Legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267) 
sancisce che �Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato 
preventivo gli imprenditori che esercitano una attivit� commerciale, esclusi 
gli enti pubblici�. 

Fin dall�entrata in vigore del codice civile - introducente alcune disposizioni 
relative alle societ� commerciali partecipate dalla P.A. (artt. 2458-2460: 
�Delle societ� con partecipazione dello Stato e degli enti pubblici�; art. 2461: 
�Delle societ� di interesse nazionale�) - � stato posto il problema della rilevanza 
dell�interesse pubblico di cui � portatore l�ente azionista, anche ad altri 
fini, ed in particolare se esso, venendo a contrastare con l�interesse sociale, 
debba oppure no prevalere nei confronti di questo, con riferimento soprattutto 
all�ipotesi in cui l�ente pubblico sia socio di maggioranza, ci� con inevitabili 
ricadute sulla disciplina e finanche sulla qualificazione della societ� (1). 

La societ� in house � una societ� commerciale - e quindi imprenditore 
commerciale per definizione - oppure � una articolazione nell�ambito di un 
ente pubblico (azionista di essa societ�) o � un ente pubblico distinto dall�azionista 
pubblico? 

(*) Avvocato dello Stato. 

(1) Per una sintesi: A. GRAZIANI-G. MINERVINI -U. BELVISO, Manuale di diritto commerciale, Morano 
editore, 1990, 208; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 1. Diritto dell�impresa, UTET, V edizione, 
2006, 75; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffr� ed., XII edizione, 2010, 100; 
L. TORCHIA (a cura di), Il sistema amministrativo italiano, Il Mulino, 2009, 202; P. SANTORO, Manuale 
di contabilit� e finanza pubblica, Maggioli editore, V ed., 2012, 414; F. FIMMAN�, Il fallimento delle 
�societ� pubbliche�, in Gazzetta Forense, 2013, novembre-dicembre 2013, 13. 



Allo stato vi � un vivace dibattito dottrinale - con orientamenti giurisprudenziali, 
specie di merito, contrastanti - sulla possibilit� che le societ� di diritto 
privato aventi un azionista pubblico possano essere sottoposte a fallimento. 
Vuol farsi riferimento alle societ� di diritto privato �pure� - tra le quali le societ� 
in house - e non a quelle aventi una disciplina in deroga al diritto comune 
delle societ�. 

A grandi tratti, un primo orientamento ritiene che la scelta della P.A. di 
acquisire partecipazioni in societ� private implica il suo assoggettamento alle 
regole proprie della forma giuridica prescelta; sicch� la scelta di gestire un 
servizio pubblico essenziale, utilizzando il modello della societ� di capitali, 
anzich� l�azienda speciale o la concessione a terzi, comporta l�applicazione 
dello statuto dell�imprenditore commerciale in pieno, qualsiasi sia l�attivit� 
economica svolta ed a prescindere dalla relativa collocazione in un mercato 
concorrenziale, e non solo i vantaggi derivanti dalla segregazione patrimoniale; 
l�applicazione dello statuto dell�imprenditore commerciale comporta, 
tra l�altro, per le societ� commerciali la sottoposizione al fallimento. 

Altro orientamento, diversamente, esaltando gli aspetti sostanziali ed altres� 
l�attivit� di tali societ� ha escluso la sottoposizione delle societ� pubbliche 
al fallimento, riqualificando esse societ� come ente pubblico o qualificandole 
come mere articolazioni interne all�ente azionista, ossia mero patrimonio separato 
dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico. 

Data la rilevanza dei corollari � necessario, a colpi di sciabola, perimetrare 
i caratteri della societ� in house. Questa � una species del genus delle societ� 
�pubbliche�, ossia aventi come azionista una P.A. 

� in house la societ� che produce beni, servizi o lavori in favore del socio 
pubblico. Ricorre il fenomeno denominato in house providing con il quale la 

P.A. acquisisce un bene o un servizio attingendoli all�interno della propria compagine 
organizzativa, senza ricorrere a terzi tramite gara e dunque al mercato. 

La prima definizione giurisprudenziale della figura � fornita dalla sentenza 
della Corte di giustizia delle Comunit� europee del 18 novembre 1999, 
causa C-107/98 -Teckal, che ha esaminato il problema dell�applicabilit� delle 
regole della gara in materia di appalti nella evenienza che la committente sia 
una P.A. e che aggiudicatario sia una societ� partecipata dalla prima. All�uopo 
la Corte ha affermato che non � necessario rispettare le regole della gara in 
materia di appalti nell�ipotesi in cui l�amministrazione aggiudicatrice esercita 
sul soggetto aggiudicatario un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri 
servizi ed il soggetto aggiudicatario svolge la maggior parte della propria 
attivit� in favore dell�ente pubblico di appartenenza. 

In ragione del "controllo analogo" e della "destinazione prevalente del-
l�attivit�", l�ente in house non pu� ritenersi "terzo" rispetto all�amministrazione 
controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell�amministrazione 
stessa: non �, pertanto, necessario che l�amministrazione ponga in 


essere procedure di evidenza pubblica per l�affidamento di appalti di lavori, 
servizi e forniture. Ci� in quanto nel caso di specie ricorre un rapporto organico 
(o di delegazione interorganica), venendo a mancare la qualit� di terzo in capo 
al soggetto affidatario. La delega interorganica e il conseguente rapporto di 
strumentalit� dell�ente affidatario rispetto all�amministrazione aggiudicatrice 
rendono allora lo svolgimento della prestazione una vicenda tutta interna alla 
pubblica amministrazione. 

Il "controllo analogo", per la giurisprudenza comunitaria e nazionale, si 
caratterizza per i seguenti requisiti: 

-il consiglio di amministrazione della societ� in house non deve avere 
rilevanti poteri gestionali e l�ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri 
rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale. 
Le decisioni pi� importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo 
dell�ente affidante, atteso che se il consiglio di amministrazione ha poteri ordinari 
non si pu� ritenere sussistere un "controllo analogo" (2). L�ente pubblico 
partecipante deve avere, statutariamente, il potere di dettare le linee 
strategiche e le scelte operative della societ� in house, i cui organi amministrativi 
vengono pertanto a trovarsi in posizione di vera e propria subordinazione 
gerarchica; 

-l�impresa non deve aver "acquisito una vocazione commerciale che 
rende precario il controllo" da parte dell�ente pubblico (3); 

-il controllo analogo si ritiene escluso dalla semplice previsione nello 
statuto della cedibilit� delle quote a privati (4), sicch� � necessario che lo statuto 
dell'ente inibisca in modo assoluto la possibilit� di cessione a privati delle 
partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano titolari; 
-il controllo analogo non � escluso dalla circostanza che il pacchetto 
azionario della societ� sia posseduto (anche in misura esigua per ciascuno) da 
una pluralit� di enti pubblici (5). In tal caso, la verifica sul "controllo analogo" 
si sposta necessariamente nel rinvenimento di clausole o prerogative che conferiscono 
agli enti locali partecipanti a quote societarie anche se esigue, effettive 
possibilit� di controllo nell�ambito in cui si esplica la attivit� decisionale 
dell�organismo societario attraverso i propri organi (assembleari o di amministrazione) 
da intendersi tale controllo esercitabile in chiave non soltanto propulsiva 
o propositiva di argomenti da portare all�ordine del giorno del consesso 


(2) Consiglio di Stato, 8 gennaio 2007, n. 5. 

(3) Tale vocazione risulterebbe, tra l�altro: dall�ampliamento dell�oggetto sociale; dall�apertura 
obbligatoria della societ�, a breve termine, ad altri capitali; dall�espansione territriale dell�attivit� della 
societ� a tutta l�Italia e all�estero: sentenze della Corte di giustizia delle Comunit� europee 13 ottobre 
2005, causa C-458/03 -Parking Brixen GmbH e 10 novembre 2005, causa C-29/04 -M�dling o Commissione 
c/ Austria. 

(4) Consiglio di Stato, 30 agosto 2006, n. 5072. 
(5) Corte di giustizia, sent. 10 settembre 2009, n. 573/07 e 13 novembre 2008, n. 324/07. 



assembleare bens�, e principalmente, di poteri inibitivi di iniziative o decisioni 
che si pongano in contrasto con gli interessi dell�ente locale nel cui ambito 
territoriale si esplica il servizio (6). 

In senso particolarmente restrittivo � stato inteso anche il requisito dell�attivit� 
svolta prevalentemente a favore dell�ente affidante. Tale condizione � soddisfatta 
quando l�affidatario diretto non fornisca i suoi servigi a soggetti diversi 
dall�ente controllante, anche se pubblici, ovvero li fornisca in misura quantitativamente 
irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle strategie aziendali, ed in 
ogni caso non fuori della competenza territoriale dell�ente controllante (7). 

I connotati ora decritti della societ� in house sono stati recepiti anche dal 
legislatore. All�uopo una definizione � rinvenibile nell�art. 19, comma 5 del 

D.L. 1 luglio 2009 n. 78, conv. L. 3 agosto 2009, n. 102, secondo cui: �Le amministrazioni 
dello Stato, cui sono attribuiti per legge fondi o interventi pubblici, 
possono affidarne direttamente la gestione, nel rispetto dei principi 
comunitari e nazionali conferenti, a societ� a capitale interamente pubblico 
su cui le predette amministrazioni esercitano un controllo analogo a quello 
esercitato su propri servizi e che svolgono la propria attivit� quasi esclusivamente 
nei confronti dell'amministrazione dello Stato. Gli oneri di gestione e 
le spese di funzionamento degli interventi relativi ai fondi sono a carico delle 
risorse finanziarie dei fondi stessi�. 

Sui requisiti della societ� in house, sulla necessit� che essi requisiti sussistano 
tutti contemporaneamente e che trovino tutti il loro fondamento in precise 
e non derogabili disposizioni dello statuto sociale, di recente si sono 
pronunciate le SS.UU. della Cassazione con la sentenza 25 novembre 2013 n. 
26283, ampiamente citata nel provvedimento che si annota. 

2. Esclusione dal fallimento delle societ� in house. 

Il decreto che si annota esamina uno dei principali corollari della qualificazione 
della natura pubblica o privata della societ� in house, ossia quello 
della assoggettabilit� al fallimento. 

Il Tribunale di Napoli, anche sulla scorta di un recente arresto del giudice 
di legittimit�, esclude il fallimento della societ� in esame con un interessante 
percorso motivazionale, imperniato, in sintesi, non sulla qualificazione di autonomo 
ente pubblico della societ� in house, bens� sulla immedesimazione, sulla 
non alterit� della societ� rispetto all�ente per il quale svolge funzioni ancillari. 

Il giudice partenopeo, sulla scorta delle citate SS.UU. della Cassazione, 
rileva che: 

-la societ� in house, non � un'entit� posta al di fuori dell'ente pubblico, 
atteso che quest�ultimo ne dispone come di una propria articolazione interna; 
(6) Cos� T.a.r. Lazio, sentenza 16 ottobre 2007 n. 9988. 
(7) C.G.A. per la Regione Sicilia, sentenza 4 settembre 2007 n. 719. 







-la societ� non � altro che una longa manus della pubblica amministrazione, 
al punto che l�affidamento pubblico mediante in house contract neppure 
consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo; 


-l'ente in house non pu� ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante 
ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione 
stessa; 

-l'uso del vocabolo societ� qui serve solo allora a significare che, ove 
manchino specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo 
va desunto dal modello societario; tuttavia di una societ� di capitali, intesa 
come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale 
e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non � pi� 
possibile parlare; 

-non risultando possibile configurare un rapporto di alterit� tra l'ente pubblico 
partecipante e la societ� in house che ad esso fa capo, la distinzione tra 
il patrimonio dell'ente e quello della societ� si pu� porre in termini di separazione 
patrimoniale, ma non di distinta titolarit�. 

Il giudicante evidenzia che viene meno anche la distinzione tra il patrimonio 
dell'ente e quello della societ�, argomento su cui, invece, si fondava la 
pregressa giurisprudenza, anche di legittimit�, che ne riteneva la fallibilit�, 
proprio in quanto soggetto giuridico distinto dal socio pubblico (da ultimo 
Cass. civ., n. 22209/2013; n. 21991/2012). 

Il giudice conclude che - sul rilievo che gli enti pubblici sono sottratti al 
fallimento - la societ� in house integralmente partecipata da un ente pubblico, 
non pu� essere soggetta alla liquidazione fallimentare, in quanto la stessa concreta 
mero patrimonio separato dell'ente pubblico (e non un distinto soggetto 
giuridico, un centro decisionale autonomo e distinto dal socio pubblico titolare 
della partecipazione); inoltre - statuisce il giudicante - l�ente pubblico esercita 
sulla societ� un potere di governo del tutto corrispondente a quello esercitato 
sui propri organi interni. 

All�evidenza, le conclusioni affermate nel provvedimento in esame circa 
la qualificazione della societ� in house, quale mero patrimonio separato del-
l'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico, sono persuasive e da condividere, 
basate su un giusto approccio sostanziale dei rapporti giuridici. Difatti, 
il dato insopprimibile nelle societ� in house � che queste curano interessi pubblici 
a mezzo di risorse della collettivit�. La forma societaria costituisce principalmente 
un mezzo per agire in modo snello, mezzo che deve essere, tuttavia, 
coerente con i dati sostanziali. 

La personalit� giuridica della societ� in house rileva ai fini della separazione 
patrimoniale, ai fini della reciproca insensibilit� delle vicende patrimoniali 
interessanti la societ� ed il socio. Sicch� nell�ipotesi del ricorso alla 
societ� per azioni �per le obbligazioni sociali risponde soltanto la societ� con 
il suo patrimonio� (art. 2325, comma 1 c.c.); analoga regola vale per la societ� 


a responsabilit� limitata (art. 2462 comma 1 c.c.). Delle obbligazioni della societ� 
in house non risponde la pubblica amministrazione, socio di riferimento, 
bens� soltanto la societ� con il suo patrimonio. 

Ci� in coerenza con il proprium dell�acquisto della personalit� giuridica 
ed in coerenza, altres�, con la tendenza del sistema normativo contemporaneo 
il quale, per favorire l�iniziativa economica, mette a disposizione degli operatori 
variegati strumenti per limitare la responsabilit� patrimoniale. Valga per 
tutti l�esempio del patrimonio destinato ad uno specifico affare (artt. 2447 bis 
e ss. c.c.). In tale evenienza i creditori della societ� per azioni - a date condizioni, 
anche pubblicitarie - non possono far valere alcun diritto sul patrimonio 
destinato (art. 2447 quinquies, comma 1, c.c.); inoltre per le obbligazioni contratte 
in relazione allo specifico affare la societ� risponde nei limiti del patrimonio 
ad esso destinato (art. 2447 quinquies, comma 3, c.c.). 

3. Ulteriori corollari della qualificazione della societ� in house, quale mero 
patrimonio separato dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico. 

La qualificazione della societ� in house quale mero patrimonio separato 
dell'ente pubblico ha importanti ricadute sulla disciplina della stessa. 

Nella evenienza che la societ� in house abbia come azionista una Amministrazione 
Statale saranno applicabili alla stessa - in coerenza con il presupposto 
- le norme caratterizzanti l�organizzazione dello Stato, a meno che non 
vi sia una espressa deroga legislativa; ci� in aggiunta alla disciplina codicistica 
del tipo di societ� prescelta, sul rilievo - operato nel provvedimento in esame 

-�che, ove manchino specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma 
organizzativo va desunto dal modello societario�. 

Vuol dirsi che il principio generale in materia � quello che, in via immediata 
e diretta, si applica alla societ� la normativa relativa alla organizzazione 
amministrativa dello Stato senza necessit� di alcuna norma di richiamo; ove 
vi fosse una norma di richiamo o fosse presente una disposizione che dichiara 
applicabili alla societ� determinati istituti organizzativi dello Stato, saremmo 
in presenza di una norma ricognitiva, senza alcuna capacit� di innovare l�ordinamento 
giuridico, introdotta solo al fine di specificazione, di chiarezza e 
di evitare equivoci. Viceversa per escludere l�applicazione alla societ� di un 
istituto o di una disposizione relativa alla detta organizzazione statale � necessaria 
una norma primaria di deroga. 

In conseguenza di quanto detto, nella evenienza che la societ� in house 
abbia come azionista una Amministrazione Statale saranno applicabili le 
norme caratterizzanti l�organizzazione dello Stato. Tra queste, si richiama: 

a) la normativa sulla contabilit� di Stato. 

Il bilancio avr� ad oggetto l�attivit� delle Amm.ni Statali, ivi comprese 
le societ� in house. In tal senso, ad esempio, l�art. 4 comma 14 D.L. 13 agosto 
2011 n. 138, conv. L. 14 settembre 2011, n. 148 e succ. mod. - per il quale 


�Le societ� cosiddette �in house� affidatarie dirette della gestione di servizi 
pubblici locali sono assoggettate al patto di stabilit� interno secondo le modalit� 
definite, con il concerto del Ministro per gli Affari Regionali, in sede di 
attuazione dell'articolo 18, comma 2-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, 

n. 112, convertito con legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni. 
Gli enti locali vigilano sull'osservanza, da parte dei soggetti indicati al periodo 
precedente al cui capitale partecipano, dei vincoli derivanti dal patto 
di stabilit� interno� - costituisce precetto confermativo e specificativo del 
principio generale sopracitato. Analogo rilievo vale per l�art. 4 comma 15 D.L. 
n. 138 cit. secondo cui �Le societ� cosiddette �in house� e le societ� a partecipazione 
mista pubblica e privata, affidatarie di servizi pubblici locali, applicano, 
per l'acquisto di beni e servizi, le disposizioni di cui al decreto 
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni� e per l�art. 3 
comma 15 L. 24 dicembre n. 244 statuente che le societ� non quotate, direttamente 
o indirettamente controllate dallo Stato ai sensi dell�articolo 2359, 
primo comma, numero 1, del c.c. adottano, per la fornitura di beni e servizi, 
parametri di qualit� e di prezzo rapportati a quelli messi a disposizione delle 
PP.AA. dalla Consip Spa.; 


b) la normativa sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio (R.D. 
30 ottobre 1933 n. 1611). 

Anche per le societ� in house varr� quindi la regola fissata dall�art. 1 R.D. 
cit. relativa alla difesa in giudizio - in via organica ed esclusiva - dell�Avvocatura 
dello Stato; 

c) la disciplina legislativa sul controllo e responsabilit� attribuiti alla cognizione 
della Corte dei Conti (art. 103 Cost., comma 2; R.D. 12 luglio 1934, 

n. 1214, art. 13; L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 4). All�uopo la normativa 
(8) che ha introdotto per gli amministratori di date societ� quotate una 
eccezione alla giurisdizione contabile costituisce deroga al principio generale 
della sottoposizione di questi al giudizio di responsabilit� amministrativa dinanzi 
al giudice contabile. 

I rilievi ora fatti valgono, mutatis mutandis, anche nel caso che socio sia 
una pubblica amministrazione diversa dallo Stato. Molto rilevante � il settore 
delle societ� partecipate dalle regioni e dagli altri enti locali, a mezzo delle 
quali viene operata la gestione dei pubblici servizi locali. La fattispecie che 
ha occasionato il provvedimento in commento riguarda proprio una societ� 
che gestisce il pubblico servizio di trasporto locale, integralmente partecipata 

(8) Art. 16 bis D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, conv. L. 28 febbraio 2008, n. 31, secondo cui: �Per 
le societ� con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o 
di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonch� per le loro controllate, la 
responsabilit� degli amministratori e dei dipendenti � regolata dalle norme del diritto civile e le relative 
controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario�. 


dalla Regione Campania, detentrice del 100% del capitale sociale. 

Quanto ricostruito trova conferma nella evoluzione della normativa disciplinatrice 
delle societ� in esame. 

Al fine di evitare equivoci o dubbi interpretativi - sul presupposto che le 
societ� in house gestiscono interessi pubblici con risorse della collettivit� sono 
state introdotte varie disposizioni dirette ad estendere regole valevoli per 
la P.A. alle societ� da questa partecipate. 

Oltre alle norme sopracitate alla lettera a) in tema di bilancio, particolarmente 
significativo � l�art. 18 D.L. 25 giugno 2008 n. 112, conv. L. 6 agosto 
2008, n. 133, e succ. mod., secondo cui: 

�1 [�], le societ� che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione 
pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalit� per 
il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto 
dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 
2001, n. 165 [�] 

2-bis. Le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di 
cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e 
successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si 
applicano, in relazione al regime previsto per l'amministrazione controllante, 
anche alle aziende speciali, alle istituzioni e alle societ� a partecipazione pubblica 
locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi 
senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse 
generale aventi carattere non industriale n� commerciale, ovvero che svolgano 
attivit� nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative 
di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato 
della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica 
(ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 
2004, n. 311. Si applicano, altres�, le disposizioni che stabiliscono, a carico 
delle rispettive pubbliche amministrazioni locali, obblighi di contenimento degli 
oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per 
consulenze, attraverso misure di estensione al personale dei soggetti medesimi 
della vigente normativa in materia di vincoli alla retribuzione individuale e alla 
retribuzione accessoria. [�]. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, 
comma 7, del presente decreto, le societ� che gestiscono servizi pubblici locali 
a rilevanza economica sono escluse dall'applicazione diretta dei vincoli previsti 
dal presente articolo. Per queste societ�, l'ente locale controllante, nell'esercizio 
delle prerogative e dei poteri di controllo, stabilisce modalit� e applicazione 
dei citati vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive, che 
verranno adottate con propri provvedimenti. [�]. 

3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle societ� 
quotate su mercati regolamentati�. 

La ragione dei precetti � intuitiva. Circa il limite delle assunzioni, ad esem



pio, questo potrebbe essere eluso dalla P.A. a mezzo di una societ� partecipata. 

Ulteriore precetto emblematico del trend diretto a considerare le societ� 
in esame quali mere articolazioni dell�ente azionista � l�art. 76 comma 7 D.L 

n. 112 cit. il quale - ai fini del calcolo della spesa del personale degli enti locali, 
determinante la possibilit� di effettuare assunzioni di personale - prescrive 
che si calcolano le spese sostenute anche, tra l�altro, dalle societ� a 
partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento 
diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono 
funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non 
industriale, n� commerciale, ovvero che svolgono attivit� nei confronti della 
pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura 
pubblicistica, escluse le societ� quotate su mercati regolamentari. 

4. (segue) In specie: rappresentanza e difesa in giudizio delle societ� in house 
aventi quale azionista un Amministrazione Statale. 

Corollario di quanto detto � che per tutte le societ� in house aventi quale 
azionista una Amministrazione Statale vale la regola, a prescindere da una 
puntuale previsione normativa, della rappresentanza e difesa in giudizio - in 
via organica ed esclusiva - dell�Avvocatura dello Stato. Difatti, costituendo le 
societ� in house mere articolazioni interne dell�Amministrazione Statale azionista, 
mero patrimonio separato dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico 
vale il precetto posto dall�art. 1 R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 per il quale 
�La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle Amministrazioni 
dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spettano 
alla Avvocatura dello Stato�. 

� noto che negli ultimi anni rilevante � stato in numero delle societ� ancillari 
riconducibili all�Amm.ne statale e in specie al Ministero dell�Economia 
e delle Finanze (M.E.F.). 

Tra queste possiamo citare: 

-la SOGIN s.p.a. - Societ� Gestione Impianti Nucleari, partecipata al 100 
% dal M.E.F., responsabile della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e 
della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti dalle attivit� 
industriali, di ricerca e di medicina nucleare; 
-la CONSIP - Concessionaria Servizi Informativi pubblici, societ� per 
azioni del M.E.F., che ne � l'azionista unico, la quale opera secondo gli indirizzi 
strategici di questi, lavorando al servizio esclusivo della Pubblica Amministrazione 
e svolge attivit� di consulenza, assistenza e supporto in favore delle 
amministrazioni pubbliche nell�ambito degli acquisti di beni e servizi; 
-la SICOT - Sistemi di consulenza per il Tesoro s.r.l., quale struttura di 
supporto qualificata per fornire assistenza al Dipartimento del Tesoro nelle attivit� 
istituzionali relative alla gestione e valorizzazione delle partecipazioni 
azionarie detenute dalla Pubblica Amministrazione e per l'attuazione dei pro





cessi di privatizzazione. L'attivit� della Societ� � svolta in via esclusiva per il 
Ministero dell'economia e delle finanze, unico socio, sulla base di una Convenzione 
quinquennale che ne fissa ambiti e criteri di intervento; 


-la SOGEI - Societ� Generale d'Informatica S.p.A., partecipata al 100% 
dal M.E.F. preposta al settore Information Technology del Ministero medesimo; 
ha progettato e realizzato il Sistema informativo della fiscalit� del quale segue 
costantemente la conduzione e l'evoluzione, operando sulla base del modello 
organizzativo dell'�in house providing". 


Dagli esempi fatti appare evidente che le societ� in house gestiscono materie 
di interesse e competenza statali che solo per ragioni organizzatorie hanno 
assunto la forma giuridica di societ� commerciale e non quella di struttura interna 
(Dipartimento, Direzione, ecc.) di un dato Ministero. 

La qualit� degli interessi gestiti, all�evidenza conferma l�applicazione 
della normativa sulla organizzazione statale. 

I dirigenti di tali societ�, gestendo risorse pubbliche, devono sottostare 
al giudizio di responsabilit� della Corte dei Conti. 

Le controversie coinvolgenti tale societ� debbono essere patrocinate 
dall�Avvocatura dello Stato, anche per la visione unitaria del contenzioso e 
del raccordo con le altre funzioni amministrative statali assicurate da questa, 
in disparte alle economie di spese conseguibili con la difesa erariale in luogo 
del ricorso alla difesa privata, specie in tempi di spending review. 

Quanto detto per le societ� partecipate da Amm.ni statali, vale anche per 
quelle partecipate da enti ammessi al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato 
ex art. 43 R.D. 30 ottobre 1933 n.1611 (9). 

Sicch�, ad esempio ove l�ANAS s.p.a. (ammessa al patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato ex art. 7 comma 11 D.L. 8 luglio 2002 n.138, conv. L. 8 agosto 
2002 n. 178) o l�ISTAT (ammessa al detto patrocinio ex art. 15 comma 5 D. 
L.vo 6 settembre 1989 n. 322) siano azionisti di una societ� commerciale 
anche per quest�ultima varr� il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato. 

(9) Il quale nei primi tre commi cos� dispone: 
�L'Avvocatura dello Stato pu� assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti 
le Autorit� giudiziarie, i Collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, di amministrazioni 
pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, 
sempre che sia autorizzata da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato 
con regio decreto. 
Le disposizioni e i provvedimenti anzidetti debbono essere promossi di concerto coi Ministri per la 
grazia e giustizia e per le finanze. 
Qualora sia intervenuta l'autorizzazione, di cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi 
indicati nello stesso comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati 
i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni�. 


Tribunale di Napoli, VII sez. civ., decreto 9 gennaio 2014 -N.R.R.Fall. 1097/13 -Pres. 
Di Nosse, Rel. Grimaldi. 

(...) 
Letto il ricorso presentato da N.E.S. S.r.l., tendente ad ottenere la dichiarazione di fallimento 
di E.A.V. S.r.l.; 
udita la relazione del giudice delegato all'istruttoria; 
letta la comparsa di costituzione della societ� resistente, nonch� l'atto di intervento della Regione 
Campania e del Commissario ad acta; 


OSSERVA 
Preliminare � l'indagine sulla ricorrenza del presupposto di cui all'art. 1 L. Fall. per poter far 
luogo alla dichiarazione di fallimento, ossia che la societ� resistente sia un imprenditore commerciale 
privato. 
Invero, l'art. 1 cit. esclude dall'area dalla fallibilit� gli enti pubblici. 
Nel caso che ci occupa, dubbi sull'assoggettabilit� dell' E.A.V. alle disposizioni sul fallimento 
nascono dalla considerazione della circostanza che trattasi di societ� che gestisce il pubblico 
servizio di trasporto locale, integralmente partecipata dalla Regione Campania, che detiene il 
100% del capitale sociale. 
Ebbene - pur nella consapevolezza dell'orientamento giurisprudenziale, seguito anche dalla 
Corte d'Appello napoletana ed avallato di recente dalla Suprema Corte, che ritiene decisivo, 
ai fini dell'individuazione dei soggetti fallibili, il rilievo del tipo sociale attraverso cui � esercitata 
l'attivit�, e dunque sicuramente fallibile una societ�, pur integralmente partecipata da 
ente pubblico e costituita per la prestazione esclusiva di un servizio pubblico, c.d. in house 
providing, che per� rivesta le forme delle societ� regolate dal codice civile - questo Collegio 
ritiene di poter porre in discussione tale tesi prendendo le mosse dal recentissimo intervento 
delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che si � occupata del tema, pur se a diversi fini. 
Sono ormai ben delineati nell'ordinamento, come ritenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza e, 
del resto, autorevolmente dalle stesse SS.UU. (cfr. sent. n. 26283 del 25 novembre 2013), i connotati 
qualificanti della societ� in house, costituita per finalit� di gestione di pubblici servizi, che 
si individuano nei seguenti requisiti: la natura esclusivamente pubblica dei soci, l'esercizio del-
l'attivit� esclusivamente o quanto meno in prevalenza a favore dei soci stessi e la sottoposizione 
ad un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici, presupposti 
che, per poter parlare di societ� in house, � necessario sussistano tutti contemporaneamente e che 
trovino tutti il loro fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale. 
In ordine al primo requisito, la Suprema Corte ha avuto modo di ricordare come gi� la giurisprudenza 
europea abbia ammesso la possibilit� che il capitale sociale faccia capo ad una pluralit� 
di soci, purch� si tratti pur sempre di enti pubblici (cfr. Corte di giustizia, sent. 10 
settembre 2009, n. 573/07; 13 novembre 2008, n. 324/07), come del resto ritenuto anche dal 
Consiglio di Stato (cfr. sent. n. 7092/10; n. 8970/09), e che � necessario che lo statuto dell'ente 
inibisca in modo assoluto la possibilit� di cessione a privati delle partecipazioni societarie di 
cui gli enti pubblici siano titolari. 
Il requisito della prevalente destinazione dell'attivit� in favore dell'ente o degli enti partecipanti 
alla societ� postula che l'impresa sia preposta in via principale alla prestazione di un servizio 
d'interesse economico generale e che l'attivit� accessoria eventualmente esercitata non sia tale 
da implicare una significativa presenza della societ� quale concorrente con altre imprese sul 
mercato di beni o servizi. 


Infine, il requisito del c.d. controllo analogo, sussiste qualora l�ente pubblico partecipante 
abbia statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della societ� 
in house, i cui organi amministrativi vengono pertanto a trovarsi in posizione di vera e propria 
subordinazione gerarchica, e dunque la societ� sia soggetta ad un regime di gestione del tutto 
corrispondente a quello che l'ente partecipante esercita sulle proprie articolazioni interne. � 
chiaro, dunque, che non si allude all'influenza dominante che il titolare della partecipazione 
maggioritaria o totalitaria e di regola in grado di esercitare sull'assemblea della societ�, e, di 
riflesso, sulle scelte degli organi sociali, sulla scorta dell'esercizio degli ordinari diritti e facolt� 
di socio, in base alle norme del codice civile, ma di un potere di comando direttamente esercitato 
sulla gestione dell'ente, fino al punto che all'organo amministrativo della societ� non 
resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale. 
Partendo, dunque, da tale premesse, del tutto condivisibilmente le SS.UU. evidenziano la difficile 
conciliabilit� del fenomeno delle societ� in house providing con la configurazione della 
societ� di capitali, intesa quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa 
agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce, per lo svolgimento di attivit� imprenditoriali 
a fine di lucro, attesa la completa assenza da parte di tali societ� di un potere decisionale loro 
proprio, in conseguenza del totale assoggettamento degli organi sociali al potere gerarchico 
dell'ente pubblico titolare delle partecipazioni sociali. 
Pertanto, il Supremo Collegio ha concluso nel senso che "La societ� in house, come in qualche 
modo gi� la sua stessa denominazione denuncia, non pare in grado di collocarsi come un'entit� 
posta al di fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna. 
� stato osservato, infatti, che essa non � altro che una longa manus della pubblica amministrazione, 
al punto che l�affidamento pubblico mediante in house contract neppure 
consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte cost. n. 
46/13, cit.); di talch� <<l'ente in house non pu� ritenersi terzo rispetto all'amministrazione 
controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa>> 
(cosi Cons. Stato, Ad. plen., n. 1/08, cit.). II velo che normalmente nasconde il socio dietro la 
societ� e dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e societ� (in house) non si realizza 
pi� in termini di alterit� soggettiva. L'uso del vocabolo societ� qui serve solo allora a significare 
che, ove manchino specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma 
organizzativo va desunto dal modello societario; ma di una societ� di capitali, intesa come 
persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile 
individuare un interesse suo proprio, non � pi� possibile parlare" (cfr. SS.UU. cit., in 
motivazione). 
La conseguenza di tale impostazione e che se non risulta possibile configurare un rapporto di 
alterit� tra l'ente pubblico partecipante e la societ� in house che ad esso fa capo, � giocoforza 
concludere che anche la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della societ� si pu� 
porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarit�. 
Ebbene, anche se le SS.UU. hanno effettuato tale ricostruzione del fenomeno dell�in house 
providing ai fini del riparto di giurisdizione in merito all�azione di responsabilit� degli organi 
di gestione e controllo, ritiene questo Collegio che analoghe conclusioni siano da prendere 
anche relativamente alla questione dell'assoggettabilit� della societ� in house alla disciplina 
del fallimento. 
Infatti, se � vero che gli enti pubblici sono sottratti al fallimento, anche la societ� in house integralmente 
partecipata dagli stessi, non potr� essere soggetta alla liquidazione fallimentare, 
in quanto concreta mero patrimonio separato dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuri



dico, centro decisionale autonomo e distinto dal socio pubblico titolare della partecipazione, 
che esercita sullo stesso un potere di governo del tutto corrispondente a quello esercitato sui 
propri organi interni. 
Ebbene, � questa la conclusione cui si giunge nel caso di specie. 
Invero, ai sensi dell'art. 6 dello Statuto della E.A.V. acquisito in atti, ricorre il primo requisito 
per la individuazione di una societ� in house, ossia l'integrale partecipazione pubblica al capitale, 
essendo statutariamente previsto che le quote della societ� possono essere trasferite solo 
a soggetti pubblici, su delibera della Giunta Regionale previo parere della commissione consiliare 
permanente, dunque con l'esclusione della possibilit� di partecipazione di soci privati. 
Ricorre, inoltre, il c.d. controllo analogo da parte della Regione Campania, espressamente 
menzionato nell'art. 8 bis, il quale specificamente contempla l'esercizio da parte della regione 
di un controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, riservando espressamente - tra 
gli altri - all�assemblea dei soci l'approvazione, entro il 15 dicembre dell'anno precedente, di 
un Piano di Programma annuale, cui l'Organo amministrativo dovr� attenersi e dare esecuzione, 
che definisce le attivit�, gli obiettivi annuali, le eventuali modifiche dell'assetto organizzativo 
della societ�, i costi e ricavi dell�esercizio. 
Pertanto, lo statuto pone l'organo amministrativo in una situazione di dipendenza assoluta dal-
l'assemblea e, dunque, dal socio pubblico che la compone, il quale ne determina annualmente 
l'attivit�, gli obiettivi, i costi e ricavi della gestione, diretta all'esercizio del servizio pubblico. 
Infine, quanto all'attivit� esercitata, � incontroverso che la E.A.V. gestisce il pubblico servizio 
di trasporto locale, dunque chiaramente l'attivit� della stessa � prevalentemente destinata in 
favore dell'ente partecipante, titolare del pubblico servizio. 
Pertanto, alla luce dei suesposti principi, la E.A.V. si configura come una societ� in house 
della Regione Campania, costituita per la gestione del pubblico servizio di trasporto locale, 
del tutto dipendente dall'ente regionale, titolare del 100% del capitale e che ne determina statutariamente 
gli obiettivi e l'attivit�. 
Del resto, la stessa normativa di settore conferma l'identificazione della societ� resistente 
come un mero organismo regionale per la gestione del servizio pubblico. 
Infatti, con il D.L. n. 83 del 22.6.2012, convertito il L. n. 134/2012, � stata prevista una particolare 
procedura per il rientro dal disavanzo delle societ� partecipate dalla regione Campania 
che gestiscono il trasporto regionale, con la nomina di un Commissario ad acta, cui � demandata 
una ricognizione dei debiti e dei crediti e l'elaborazione di un piano di rientro dal disavanzo 
accertato ed un piano dei pagamenti, alimentato da risorse regionali disponibili in 
bilancio e da altre entrate, da sottoporre all'approvazione del Ministero delle Infrastrutture e 
dei Trasporti e del Ministero dell'Economia e delle Finanze (art. 16, co. 5), a completamento 
di tale procedura e per assicurare lo svolgimento della stessa, nonch� l�efficienza e continuit� 
del servizio di trasporto, lo stesso decreto ha previsto il divieto di iniziare o proseguire azioni 
esecutive, anche concorsuali, nei confronti delle societ� a partecipazione regionale esercenti 
il trasporto ferroviario regionale, per un periodo di dodici mesi dalla data di entrata in vigore 
del decreto citato (co. 7), prorogato dapprima al 31.12.2013 dalla L. n. 228 del 24.32.2012, e 
poi al 31.12.2014, dal D.L. 30 dicembre 2013, n. 151. 
Ebbene, tale normativa speciale conferma l'equiparazione della societ� in house all'ente pubblico 
partecipante, ai fini dell'esenzione dal fallimento, ai sensi dell�art. 1 se � vero - come 
chiarito dalle SS.UU. - che non risulta possibile configurare un rapporto di alterit� tra l�ente 
pubblico partecipante e la societ� in house che ad esso fa capo, per cui viene meno anche la 
distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della societ�, argomento su cui, invece, si fon



dava la pregressa giurisprudenza, anche di legittimit�, che, invece, ne riteneva la fallibilit�, 
proprio in quanto soggetto giuridico distinto dal socio pubblico (cfr. da ultimo Cass. civ., n. 
22209/2013; n. 21991/2012). 
Ci� � confermato, nel caso che ci occupa, in particolar modo dalla previsione della destinazione 
di risorse regionali o comunque da determinare da parte dei Ministeri delle Infrastrutture e dei 
Trasporti e dell'Economia, al ripianamento del deficit accertato, dunque dell'obbligo, sancito 
da legge, del socio pubblico di provvedere al pagamento delle obbligazioni contratte dall'organismo 
per il tramite del quale ha gestito il servizio di interesse generale. 
� questa, del resto, l'unica interpretazione possibile della normativa speciale richiamata, per 
la quale altrimenti si porrebbero chiari dubbi di legittimit� costituzionale, specie nella parte 
in cui e stato disposto il perdurare della sottrazione dell'ente alle esecuzioni, anche concorsuali, 
che se pu� giustificarsi nell'ottica dell'urgenza e, dunque, per tempi limitati, si porrebbe in 
contrasto con gli interessi dei privati che hanno contratto con l'ente medesimo, parimenti meritevoli 
di tutela, anche costituzionalmente riconosciuta (cfr. Corte Cost. n. 186 del 12.7.2013). 
Pertanto, deve concludersi che la E.A.V., quale societ� in house della regione Campania, costituita 
per la gestione del pubblico servizio di trasporto locale e, dunque, quale mero organismo 
dell'ente pubblico, che ne determina attivit� ed obiettivi, escludendo la possibilit� di 
partecipazione di soci privati, non � soggetta alle disposizioni sul fallimento, ai sensi dell�art. 
1 L.Fall. 

P. Q. M. 
Rigetta il ricorso. 
Cosi deciso in Napoli, li 9.1.2014 


Avvocatura Generale dello Stato 


CIRCOLARE N. 11/2014 

Oggetto: Patrocinio del Commissario straordinario del Governo per la ricognizione 
della situazione economico-finanziaria del Comune di Roma (oraRoma Capitale). Nuove istruzioni. 

Con parere, reso dal Comitato Consultivo nel corso della seduta del 5 dicembre 2011, 
con nota n. 394854 del 7 dicembre 2011, era stato fornito riscontro al quesito formulato dalla 
Struttura commissariale in oggetto chiarendo che, "pur con le doverose perplessit� che l'assenza 
di una puntuale ed espressa disciplina sul tema fa sorgere, ... l'eccezionalit�, del tutto 
particolare, della disciplina della Gestione prevista dall'art. 78 D.L. 112/2008 non autorizza 
detta gestione ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato e sembra imporre, invece, 
la prosecuzione del patrocinio della Avvocatura Comunale" (*). 

(*) Testo integrale del Parere 07/12/2011-394854: <<Con il foglio in riscontro codesta gestione 
commissariale del Comune di Roma, nel presupposto che la propria istituzione con l�art. 78 del 

D.L. 112/2008 (convertito in legge 6 agosto 2008 n. 133) abbia posto capo ad una gestione distinta 
e separata dall�Amministrazione comunale di Roma per tutti i rapporti obbligatori attivi e passivi 
anteriori al 28 aprile 2008, chiede: 
a) se la istituzione della gestione commissariale abbia determinato la nascita di un nuovo soggetto 
succeduto a titolo particolare al Comune di Roma nei rapporti obbligatori a lei affidati; 
b) se tale successione possa inquadrarsi processualmente nella disciplina dell�art. 111 c.p.c., salva 
la possibilit� per la gestione commissariale di intervenire nel giudizio (nella qualit�, appunto, di 
successore a titolo particolare nella posizione del Comune); 
c) se la gestione commissariale (bench� governativa) possa essere rappresentata dall�Avvocatura 
Comunale, attraverso uno specifico mandato ad litem; 
d) se, in quanto governativa, debba essere rappresentata dall�Avvocatura dello Stato. 
Nella richiesta di parere codesta Gestione evidenzia il numero rilevante del contenzioso in atto 
relativo a rapporti obbligatori anteriori al 28 aprile 2008 (circa 48.000) e la opportunit� che la 
propria rappresentanza e difesa nei giudizi tutti resti affidata all�Avvocatura Comunale, attese le 
difficolt� che insorgerebbero dalla necessaria interrelazione tra detta Avvocatura e l�Avvocatura 
dello Stato, ove quest�ultima venga ritenuta titolare dello ius postulandi. 
Ritiene la Scrivente che, pur dopo la trasformazione del Comune di Roma in Roma Capitale (di 
cui al Decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri nel Novembre 2011) non sia intervenuta 
alcuna estinzione dell�ente territoriale Comune di Roma che �ancorch� dissestato non pu� cessare 
di esistere, in quanto espressione di autonomia locale, che costituisce un valore costituzionalmente 
tutelato� (TAR Lazio Sez. II Roma 27 ottobre 2010 / 10 novembre 2010 n. 33345), e che la situazione 
non possa quindi farsi ricadere nella disciplina dell�art. 110 c.p.c. 
La gestione Commissariale di cui all�art. 78, comma 3 D.L. 112/2008 sopra richiamato � stata 
voluta dal legislatore �nelle more dell�approvazione della legge di disciplina dell�ordinamento, 
anche contabile, di Roma Capitale ai sensi dell�art. 114, III comma, della Costituzione�, al fine 
della �ricognizione della situazione economico-finanziaria del Comune e delle Societ� da esso 
partecipate ... e per la predisposizione e l�attuazione di un piano di rientro dall�indebitamento pregresso� 
come espressamente detta l�art. 78, I comma D.L. 112/2008. 
Dalla lettura di tali disposizioni emerge, oltre alla gi� rilevata impossibilit� di estinzione del Comune 
di Roma, la provvisoriet� della istituzione del Commissario straordinario (nelle more di costituzione 
di Roma Capitale) e la perimetrazione della sua competenza (ricognizione situazione 
economico-finanziaria e predisposizione ed attuazione di piano di rientro dall�indebitamento). 
Tale configurazione esclude quindi che possa parlarsi di una successione a titolo particolare nei 


Con Comunicazione di servizio n. 7/2012, erano state diramate le seguenti istruzioni 
volte a consentire un'uniforme trattazione delle fattispecie che avrebbero potuto presentarsi. 

1. Atteso il ritenuto difetto di ius postulandi, almeno fino al sopravvenire di consolidati 
contrari orientamenti giurisprudenziali, gli atti notificati nei confronti del Commissario straordinario 
presso la Avvocatura dello Stato dovranno essere trasmessi senza indugio all'Avvocatura 
comunale ai fini della tempestiva costituzione, che dovr� avvenire per Roma 
Capitale, che ha la titolarit� dei rapporti fatti valere in giudizio essendo rimessa al Commissario 
la sola gestione contabile e liquidatoria degli stessi. 
2. L'Avvocatura non provveder� comunque mai alla costituzione in giudizio per il Commissario. 
3.Coerentemente, nemmeno si dovr� procedere alla instaurazione di giudizi di cognizione 
o esecutivi in nome e per conto del Commissario. 


Successivamente, il Decreto Legislativo 26 aprile 2013, n. 51, recante "Modifiche ed 
integrazioni al decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, concernente ulteriori disposizioni di 
attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento di 
Roma Capitale", ha previsto, all'art. 2, che: 

"1. La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio della gestione commissariale, 
di cui all'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono assicurati ai sensi del regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611. 

2. Prosegue, senza oneri per la gestione commissariale, il patrocinio dell'Avvocatura 
comunale nelle controversie aventi ad oggetto partite inserite nel documento di accertamento 
del debito pregresso di cui all'articolo 14, comma 13-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, 

n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni. 
Restano salvi gli effetti dell'attivit� processuale gi� svolta dall'Avvocatura dello 
Stato". 

La predetta disposizione normativa deve, peraltro, essere interpretata anche alla luce di 
quanto statuito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 154/2013 ovvero che la situazione 
della gestione commissariale del Comune di Roma differisce da quelle verificatesi, in passato, 
in occasione della soppressione di enti pubblici; con la conseguenza, che "non vi � successione 
di soggetti giuridici, giacch� il debitore rimane soltanto il Comune di Roma... Solo le azioni 
esecutive sono distinte in base alla data del 28 aprile 2008...". 

rapporti obbligatori facenti capo al Comune di Roma e dei quali al Commissario � richiesto di 
operare la sola ricognizione predisponendone il piano di rientro. Ci� comporta che la disciplina 
dell�art. 111 c.p.c. non sia invocabile. 
La previsione della gestione commissariale in parola, pur prendendo spunto da una riconosciuta 
e grave situazione di dissesto del Comune di Roma non mette capo alla integrale applicazione 
della procedura di dissesto di cui all�art. 246, comma 1, del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, dettato 
in via generale per tutte le ipotesi di situazioni di dissesto dei Comuni, e ci� in ragione della voluta 
esclusione della completa paralisi di attivit� che dalla applicazione della procedura di dissesto sarebbe 
derivata anche per il Comune di Roma e che per� sarebbe stata incompatibile con la istituzione 
di Roma Capitale in prosecuzione del Comune di Roma. 
La normativa di cui all�art. 78 D.L. 112/2008, peraltro, pur espressamente escludendo, per tutta 
la durata del regime commissariale, la adozione della deliberazione di dissesto di cui all�art. 246, 
comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000 (art. 78, comma 5) fa frequente richiamo alla disciplina in tale 
D.Lgs. contenuta (art. 78, comma 6 e 7). Tale rilievo consente di ritenere che, ove non fosse stata 


Alla luce di quanto sopra, si forniscono le seguenti istruzioni a parziale modifica di 
quelle impartite con la Comunicazione di Servizio n. 7/2012: 

1. gli atti introduttivi di giudizi di cognizione, notificati nei confronti del Commissario 
straordinario presso l'Avvocatura dello Stato, dovranno essere trasmessi, senza indugio, all'Avvocatura 
comunale ai fini della tempestiva costituzione, che dovr� avvenire per Roma 
Capitale, la quale mantiene la titolarit� dei rapporti fatti valere in giudizio essendo rimessa al 
Commissario la sola gestione contabile e liquidatoria degli stessi; 
2. per eventuali controversie di cognizione gi� pendenti in cui sia costituita la sola Avvocatura 
dello Stato, occorrer� invitare l'Avvocatura comunale a costituirsi "in prosecuzione", 
lasciando alla stessa la difesa in giudizio; 
3. con riferimento alle controversie, di natura esecutiva, aventi ad oggetto partite inserite 
nel documento di accertamento del debito pregresso di cui all'articolo 14, comma 13-bis, del 
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 
2010, n. 122, e successive modificazioni, gli atti, notificati nei confronti del Commissario 
straordinario presso l'Avvocatura dello Stato, dovranno essere trasmessi senza indugio all'Avvocatura 
comunale ai fini della tempestiva costituzione ai sensi di quanto previsto dall'art. 2, 
comma 2, del D.Lgs. n. 51/2013; 
4. con riferimento alle controversie, di natura esecutiva, non aventi ad oggetto partite 
inserite nel documento di accertamento del debito pregresso di cui all'articolo 14, comma 13bis, 
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 
luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, il patrocinio dovr� essere assicurato dalla Avvocatura 
dello Stato ai sensi di quanto previsto dall'art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 51/2013. 


Al fine di stabilire se una controversia rientri nell'ipotesi di cui al punto 3 ovvero in 
quella di cui al punto 4, ciascun incaricato avr� cura di richiedere all'Ufficio Commissariale 
se la relativa partita sia stata inserita nel documento di accertamento del debito pregresso di 
cui all'articolo 14, comma 13-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con 
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni. 

L'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO 
Michele Dipace 

espressamente dettata l�esclusione della procedura di dissesto, di detta procedura si sarebbe dovuta 
fare applicazione, ritenendo coerentemente che come �la dichiarazione di dissesto di un ente territoriale 
non lo spoglia della sua capacit� processuale� (Cass. Sez. I^ n. 15498/2011) cos� la istituzione 
della Gestione commissariale di cui all�art. 78 D.L. 112/2008 non spoglia il Comune di 
Roma della sua legittimazione processuale. Tale affermazione - nel caso dell�istituzione della Gestione 
commissariale in esame - � rafforzata dalla considerazione che detta Gestione � finalizzata 
al compimento di mera attivit� contabile volta a inventariare e superare la situazione economico-
finanziaria del Comune di Roma anteriore al 28 aprile 2008 (con la predisposizione del piano di 
rientro relativo) da quella successiva a tale data, che far� capo a Roma Capitale. La gestione commissariale 
in questione, non serve a far posto alla procedura concorsuale di cui al D.Lgs. 267/2000 
sul dissesto, che tra i poteri dell�organo straordinario di liquidazione l� previsto indica pure quello 
di alienare i beni appartenenti all�ente in dissesto (comma 9, art. 255 D.Lgs. citato) limitandosi i 
compiti della gestione di cui all�art. 78 D.L. 112/2088 a quelli meramente contabili ricognitori 
sopra ricordati. 


Appare anche rilevante, ai fini della soluzione dello specifico quesito proposto in tema di capacit� 
e rappresentanza processuale, la disposizione (art. 78, comma 6, II inciso) secondo la quale �tutte 
le entrate di competenza dell�anno 2008 e dei successi anni sono attribuite alla gestione corrente, 
di competenza degli organi istituzionali dell�ente�. Tale disposizione conferma, da un lato, la gi� 
rilevata sopravvivenza dell�ente comunale e, dall�altro lato, che l�attivit� della gestione commissariale 
� svolta nell�interesse dell�ente stesso ai cui organi istituzionali devono affluire le entrate 
di sua competenza, per gli anni 2008 e seguenti; conforta tale ultima osservazione il disposto del-
l�ultimo comma dell�art. 2 del D.P.C.M. 5 dicembre 2008 secondo il quale ҏ restituita alla Gestione 
ordinaria del Comune la quota di risorse finanziarie esuberanti rispetto alle necessit� della 
liquidazione o pagamento dei debiti del piano�. 
Particolarmente significative sono anche: la disposizione (art. 78, comma 2, lett. b) che prevede 
che gli organi commissariali �si avvalgono delle strutture comunali�, e quella (art. 78, comma 
2, lett. a) che rinvia al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (poi adottato in data 4 
luglio 2008) la individuazione degli istituti e strumenti disciplinati dal titolo VIII del testo unico 
di cui al D.Lgs. 10 agosto 2000 n. 267 (sulla procedura di dissesto) di cui pu� avvalersi il Commissario 
straordinario �parificato a tal fine all�organo straordinario di liquidazione� e dunque 
non ad altri fini. 
La limitazione dei compiti del commissario di governo per il Comune di Roma ad attivit� meramente 
contabili ricognitorie della situazione economico-finanziaria al 28 aprile 2008 ed al relativo 
piano di rientro � confermata dal DPCM 4 luglio 2008 che individua gli istituti e strumenti disciplinati 
dal D.Lgs. 267/2000 esclusivamente nel potere organizzatorio di cui all�art. 253 e nel potere 
transattivo di cui all�art. 254. 
Del pari il DPCM 5 dicembre 2008 (che ha approvato il piano di rientro redatto dal Commissario 
di Governo), pur attribuendo al Commissario di Governo poteri di amministrazione attiva di gestione 
del piano di rientro (art. 2, comma 1, DPCM 5 dicembre 2008), non amplia i compiti del 
Commissario al di l� della �liquidazione e al pagamento dei debiti anche, se possibile, mediante 
transazioni�, senza menzionare alcun ulteriore compito, di amministrazione attiva relativo alla 
promozione o prosecuzione di attivit� e competenze proprie del Comune, diverso dalla semplice 
liquidazione e pagamento (eventualmente ove possibile anche transattivamente) dei debiti relativi 
a rapporti anteriori al 28 aprile 2008. 
Sembra potersi, perci�, affermare che al Commissario straordinario sia stata trasferita non gi� la 
titolarit� di rapporti obbligatori anteriori al 28 aprile 2008 ma solo la gestione liquidatoria di detti 
rapporti. N� sembrano di ostacolo a tale conclusione le funzioni di cui all�art. 1, comma 26 D.L. 
138/2011 convertito con L. n. 148/2011 che prevede la possibilit� per il Commissario di affidamento 
in house a societ� statali di sue competenze, n� quella di concludere transazioni, giacch� 
tali possibilit�, circoscritte pur sempre nell�ambito della funzione liquidatoria attribuita al Commissario, 
non sarebbero state espressamente previste se il Commissario fosse stato visto e voluto 
quale organo statale titolare dei rapporti e quindi dei relativi poteri di amministrazione attiva. 
In particolare, con riguardo al contenzioso pendente (i cui dati, in termini quantitativi - certi o 
probabili -, sono stati forniti dalla Avvocatura Comunale: v. punto 5.2 del piano di rientro), nessuna 
attivit� appare demandata al Commissario straordinario. 
Tutto quanto sopra osservato, pur con le doverose perplessit� che l�assenza di una puntuale ed 
espressa disciplina sul tema fa sorgere, appare idoneo a consentine di affermare che l�eccezionalit�, 
del tutto particolare, della disciplina della Gestione prevista dall�art. 78 D.L. 112/2008 non autorizza 
detta gestione ad avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato e sembra imporre, invece, 
la prosecuzione del patrocinio della Avvocatura Comunale. 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato Consultivo che si � espresso in conformit� il 5 dicembre 
2011. 

L�Avvocato Generale Aggiunto 

Avv. Aldo Linguiti>> 


CIRCOLARE N. 23/2014 

Oggetto: Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali. Autorizzazionead avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato. 

Si segnala che, con D.P.C.M. del 28 febbraio 2014, che si unisce in copia, l'Agenzia Nazionale 
per i Servizi Sanitari Regionali � stata autorizzata ad avvalersi della rappresentanza e 
difesa dell'Avvocatura dello Stato nei giudizi attivi e passivi avanti le autorit� giudiziarie, i 
collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. 

L'AVVOCATO GENERALE 
Michele Dipace 

Il Presidente del Consiglio dei Ministri 


VISTI l'articolo 43 del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza 
e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato, approvato 
con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, l'articolo 1 della legge 16 novembre 
1939, n. 1889, e l'articolo 11 della legge 3 aprile 1979, n. 103; 
VISTA la legge 12 gennaio 1991, n.13; 
VISTA la richiesta di ammissione al patrocinio dell'Avvocatura dello Stato avanzata dal-
l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali; 
CONSIDERATA l'opportunit� di autorizzare l'Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza 
e la difesa dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali; 
ACQUISITO il parere favorevole dell'Avvocatura generale dello Stato; 
DI CONCERTO con i Ministri della giustizia e dell'economia e delle finanze 

DECRETA 

1. L'Avvocatura dello Stato � autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa del-
l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali nei giudizi attivi e passivi avanti 
le autorit� giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. 
Il presente decreto sar� sottoposto alle procedure di controllo previste dalla normativa 
vigente e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. 
Roma, 28 FEB. 2014 

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 
SEGRETARIATO GENERALE 

UFFICIO DEL BILANCIO E PER IL RISCONTRO 

DI REGOLARIT� AMMINISTRATIVO-CONTABILE 
VISTO E ANNOTATO AL N. 522/2014 
Roma, 5.3.2014 

Reg.to ALLA CORTE DEI CONTI 

Add� 19 MAR. 2014 

n. 788 


CIRCOLARE N. 26/2014 

Oggetto: Modifiche al c.p.c. introdotte dall'art. 54 del D.L. n. 83/2012 (convertito 
nella legge n. 134/2012). Sentenza n. 8053/2014 delle Sezioni Unite.
Modifiche alla circolare n. 56/2012. 

Con la sentenza 7 aprile 2014 n. 8053, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, si � pronunciata 
in ordine alla interpretazione delle modifiche introdotte al c.p.c. dall'art. 54 del D.L. 

n. 83/2012 (convertito nella legge n. 134/2012), con particolare riferimento: 
a) ai limiti di applicabilit� della nuova normativa al processo tributario; 
b) agli effetti delle nuove disposizioni in ordine alla possibilit� di censurare mediante 

ricorso per cassazione la motivazione della sentenza. 

1) L'applicabilit� della nuova normativa anche al processo tributario. 

La Suprema Corte, pur prendendo atto che il citato art. 54 al comma 3 bis dispone che 
"Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al 
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546", � pervenuta alla conclusione secondo cui al 
giudizio tributario risultano applicabili sia l'art. 360 comma 1 n. 5 nella nuova formulazione, 
sia le regole della c.d. "doppia conforme" prevista dal nuovo art. 348 ter commi 4 e 5 c.p.c. 

In particolare la Corte ha affermato il seguente principio di diritto: 

�Le disposizioni di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni, 
dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso 
le sentenze pronunciate dalle Commissioni tributarie regionali e ci� sia per quanto riguarda 
la nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5), secondo la quale la sentenza d'appello � impugnabile 
"per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che � stato oggetto di discussione 
tra le parti", sia per quanto riguarda l'ultimo comma dell'aggiunto art. 348 ter 
c.p.c., secondo il quale la proponibilit� del ricorso per cassazione � ammessa esclusivamente 
per i motivi di cui all'art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), qualora l'impugnazione sia proposta 
avverso una sentenza d'appello che confermi la decisione di primo grado per le stesse 
ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione appellata�. 

Conseguentemente devono ritenersi superate le istruzioni contenute al riguardo nella 
precedente Circolare n. 56/2012, in cui si prospettava l'opposta tesi. 

Per completezza si precisa (come peraltro gi� evidenziato nella citata Circolare n. 
56/2012): 

a) che l'art. 360 n. 5 nella nuova formulazione � applicabile a tutti i ricorsi per cassazione 
proposti avverso decisioni depositate dall'11 settembre 2012 (ormai, nella sostanza, a tutti i 
giudizi); 

b) che la regola della "doppia conforme" � invece applicabile alle sole cause in cui l'atto 
di appello sia stato proposto dalla suddetta data; 

c) che la regola della "doppia conforme" (che limita la proponibilit� di un ricorso per 
cassazione ai soli motivi da 1) a 4) dell'art. 360 c.p.c.), � limitata ai soli casi in cui "l'impugnazione 
sia proposta avverso una sentenza d'appello che confermi la decisione di primo grado 
per le stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione appellata". 

Ci� significa che per aversi una ipotesi di "doppia conforme" non � sufficiente la mera 
identit� del dispositivo tra le due sentenze, dovendosi invece avere riguardo alla motivazione 
"inerente alle questioni difatto ". 

Ne consegue che la disposizione non risulter� applicabile in tutti i casi in cui la sentenza 


di appello, pur confermativa quella di primo grado, si fondi su ragioni "inerenti alle questioni 
di fatlo" che siano diverse. 

2) Il vizio di motivazione come "violazione di legge". 

La Corte ha precisato i casi in cui il vizio di motivazione della sentenza "si converte in 
violazione di legge", richiamando la giurisprudenza delle stesse SS.UU. formatesi sul vizio 
di motivazione ex art. 111 Cost. (prima delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 40/2006, 
che ha esteso a tali ricorsi l'applicazione dell'intero comma 1 dell'art. 360 c.p.c.). 

In particolare la Corte ha affermato al riguardo il seguente principio di diritto. 

�La riformulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5), disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 
83, art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui � deducibile 
esclusivamente l� "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che � stato oggetto 
di discussione tra le parti", deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici 
dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione 
in sede di giudizio di legittimit�, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in 
sede di legittimit� � solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante 
e attiene all'esistenza della motivazione in s�, come risulta dal testo della sentenza e 
prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna 
rilevanza del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto 
materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni 
inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile"�. 

La Corte non ha precisato se le suddette ipotesi configurino un "error in procedendo" 
(ex art. 360 n. 4 c.p.c.) ovvero un "error in iudicando" (ex art. 360 n. 3) limitandosi a qualificarle 
come casi di "violazione di legge". 

Al riguardo sembra preferibile la prima opzione (error in procedendo), trattandosi di 
censura con cui si lamenta la violazione di una regola processuale (in tal senso Cass. 27 settembre 
2013 n. 22171). 

In ogni caso una eventuale diversa qualificazione (come art. 360 n. 3 c.p.c.) non dovrebbe 
rendere il motivo inammissibile, alla luce dei principi di cui a Cass. SSUU. n. 
17931/2013. 

3) Il nuovo art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. 

La Corte ha poi chiarito l'esatta portata del nuovo art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., in forza 
del quale la sentenza pu� essere impugnata per cassazione "per omesso esame circa un fatto 
decisivo per il giudizio che � stato oggetto di discussione tra le parti ", affermando il seguente 
principio di diritto: 

�Il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell'ordinamento un vizio specifico 
che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti 
dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione 
tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato 
un esito diverso della controversia)�. 

Precisa ancora la Corte che 

�La parte ricorrente dovr� indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 
366 c.p. c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame 
sia stato omesso, il "dato ", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e 
il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e 
la "decisivit�" del fatto stesso�. 

Da ultimo la Corte precisa ancora che 


�L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per s� vizio di omesso esame di 
un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione 
dal giudice, bench� la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie� 
(anche se in concreto, pu� apparire non agevole distinguere tra "fatto storico decisivo" ed 
"elemento istruttorio"). 

4) Il problema della censurabilit� delle presunzioni. 

Al punto 14.8 della sentenza, la Corte si d� carico del problema (evidenziato nelle difese 
dell'Avvocatura) della censurabilit� in sede di legittimit� delle presunzioni, che in particolare 
nel processo tributario "hanno una loro specifica e particolare rilevanza", pervenendo alla 
conclusione che la riforma del 2012 �non ha sottratto al controllo di legittimit� le questioni 
relative al "valore" e alla "operativit�" delle stesse presunzioni�. 

In particolare la Corte ha ritenuto possibile dedurre la violazione dell'art. 2729 comma 
1 c.c. (ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.): 

�non solo nell'ipotesi (davvero rara) in cui il giudice abbia direttamente violato la 
norma in questione deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che 
non siano gravi, precisi e concordanti, ma anche quando egli abbia fondato la presunzione 
su indizi privi di gravit�, precisione e concordanza, sussumendo, cio�, sotto la previsione del-
l'art. 2729 c. c., fatti privi dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione 
della norma, esattamente assunta nella enunciazione della 'fattispecie astratta", ma erroneamente 
applicata alla "fattispecie concreta"�. 

5) Gestione dei ricorsi gi� proposti. 

In relazione ai ricorsi gi� proposti nei quali siano stati formulati motivi in difformit� dei 
principi enunciati dalla Corte, si potr� cercare di evitare pronunce di inammissibilit� richiamando 
sia le citate SS.UU. n. 17931/2013 in tema di esatta rubricazione dei motivi, sia la giurisprudenza 
in tema di mutamento della propria precedente interpretazione della norma 
processuale (c.d. overruling) (Cass. SS.UU. n. 15144/2011) nonch� l'esigenza di tutela del-
l'affidamento, derivante dall'incertezza in ordine alla portata della disposizione contenuta nel-
l'art. 54 comma 3 bis del citato D.L. n. 85/2012. 

L'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO 
Michele Dipace 


contenzioso comunitario
CONTENZIOSO COMUNITARIO 
ED INTERNAZIONALE 
National case study: Italian law on strategic assets; Golden Power 

Pierluigi Di Palma* 

Come noto, con il termine Golden Share viene indicato l�istituto giuridico 
di origine anglosassone in forza del quale uno Stato sovrano, nell�ambito del 
processo di privatizzazione, anche parziale, di un�impresa pubblica di carattere 
strategico, si riserva poteri speciali che possono essere esercitati dai rappresentanti 
del Governo in ambito societario, seppure sulla base di una residuale 
partecipazione di minoranza. 

Tra i poteri, da segnalare: la riserva di una certa quota azionaria a favore 
dello Stato; l�opposizione a partecipazioni rilevanti; la sospensione del diritto 
di voto per le quote azionarie superiori ad una certa soglia; la riserva di nomina 
di uno o pi� membri del consiglio di amministrazione; esercizio di poteri di 
governance strategica. 

In estrema sintesi, tale istituto giuridico mira a tutelare l�interesse pubblico 
in quelle societ�, gi� di propriet� statuale, che operano in settori produttivi ed 
economici di rilevante importanza come difesa, trasporti, telecomunicazioni, 
fonti di energia ed in generale nel comparto delle pubblic utilities. 

La Corte di Giustizia delle Comunit� europee ha, pi� volte, affermato 
che l�utilizzo della Golden Share nelle legislazioni dei Paesi membri pu�, in 
determinate circostanze, violare i precetti contenuti nel Trattato CE, perch� 
l�esercizio di tale potere tende a consentire ad uno Stato, in contrasto con le regole 
del libero mercato, ad esercitare una capacit� di controllo sproporzionato 

(*) Avvocato dello Stato, Presidente del Centro Studi Demetra -Development of European Mediterranean 
Transportation. 

Il presente scritto � l�intervento dell�Autore al Forum �Recenti sviluppi della normativa sul controllo 
all�esportazione Space Technology�, tenutosi presso la sede ESA -European Space Agency, Salle A, Parigi, 
14 marzo 2014. 


rispetto alla propria partecipazione nel capitale sociale della societ� in questione. 

Nei vari pronunciamenti il giudice europeo ha sottolineato come la Golden 
Share elaborata dalle varie legislazioni nazionali opera in violazione della 
libert� di stabilimento e dei principi di libera circolazione dei capitali, fondanti 
il trattato di Schengen. 

Sulla base di tali premesse, la Commissione Europea ha avviato una 
serie di procedure di infrazione in materia di Golden Share nei confronti del-
l�Italia, del Portogallo, del Regno Unito, della Francia, del Belgio, della 
Spagna e della Germania. 

In sostanza, secondo la Commissione Europea, la disciplina sulla Golden 
Share, introdotta in diversi ordinamenti giuridici europei, appare comprimere 
eccessivamente i principi della concorrenza e della contendibilit� delle imprese 
in ragione del conferimento al Governo nazionale di un potere discrezionale di 
carattere generale che pu� impedire operazioni di acquisto di partecipazioni 
azionarie e di altre operazioni incidenti sulla governance di carattere strategico. 

La definizione dei criteri di compatibilit� comunitaria della disciplina della 
Golden Share � stata operata dalla stessa Commissione europea con una specifica 
comunicazione del 1997 dove � affermato che detti poteri speciali devono 
esercitarsi senza discriminazione, sulla base di �criteri obiettivi, stabili e resi 
pubblici� e solo se giustificati da �motivi imperiosi di interesse generale� correlati 
a motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanit� pubblica. 

In ogni caso, le predette restrizioni devono rispettare il principio di proporzionalit�, 
rappresentando un provvedimento necessario per garantire la protezione 
e la tutela di interessi generali incomprimibili e, comunque, non 
devono esistere altri provvedimenti utili a raggiungere lo scopo, meno restrittivi 
delle libert� economiche su cui si fonda il Trattato CE. 

Insomma, la Golden Share: a) deve applicarsi in modo non discriminatorio; 
b) essere giustificata da motivi imperiosi di interesse pubblico; c) essere 
idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito; d) non andare oltre 
quanto necessario per il raggiungimento dell�obiettivo. 

In tale contesto, nonostante le modifiche apportate alla normativa vigente 
(decreto legge n. 332/94, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 474/94) 
all�esito della decisione della Corte di Giustizia del 26 marzo 2009, la Commissione 
europea, ritenendo tuttora, sulla base di un parere motivato, la normativa 
italiana incompatibile con la libert� di stabilimento e la libera 
circolazione dei beni, ha, da tempo, avviato una procedura di infrazione. 

Il legislatore italiano, con l�obiettivo di rendere compatibile con il diritto 
dell�Unione la disciplina nazionale dei poteri speciali, ha quindi emanato il 
decreto legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 

n. 56 dell�11 maggio 2012. 

Con l�entrata in vigore di tale legge, la Commissione ha sospeso la decisione 
di deferire l�Italia dinanzi la Corte di Giustizia, rinviando l�analisi della 


compatibilit� con il diritto dell�Unione della nuova legge italiana ad un momento 
successivo, cio� alla sua piena applicazione con l�adozione dei provvedimenti 
attuativi. 

In ogni caso, la disciplina previgente (decreto legge n. 332/94) non cessa 
immediatamente di produrre effetti, in quanto la norma transitoria della nuova 
legge ne prevede l�abrogazione o la modifica, solo a decorrere dalla data di 
entrata in vigore di tutti i provvedimenti attuativi. 

La nuova legge consta di pochi articoli (6), di cui solo i primi due di carattere 
sostanziale in materia di poteri speciali nei settori della difesa e della 
sicurezza nazionale (art. 1) e poteri speciali inerenti agli attivi strategici nei 
settori dell�energia, dei trasporti e delle comunicazioni (art. 2). 

Per quanto concerne l�esercizio dei poteri speciali nei settori della difesa 
e della sicurezza nazionale (art. 1), la legge affida a provvedimenti del Presidente 
del Consiglio, da adottarsi su proposta dei Ministri competenti e da comunicarsi 
al Parlamento, l�individuazione delle attivit� di rilevanza strategica. 

Una volta individuate le attivit�, in caso di modifica di assetti societari, 
il Presidente del Consiglio, su conforme deliberazione del Consiglio dei Ministri, 
da trasmettere al Parlamento pu�, in caso di minaccia di grave pregiudizio 
per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale, 
esercitare i seguenti poteri speciali: 

� imposizioni di specifiche condizioni; 
� veto all�adozione di delibere societarie o degli organi di amministrazione; 
� opposizione all�acquisto di partecipazioni societarie rilevanti. 
La disciplina non si applica per le operazioni di carattere societario che 


si svolgono all�interno di un medesimo gruppo e subordina l�esercizio dei poteri 
speciali alla sussistenza di una minaccia effettiva di grave pregiudizio per 
gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. 

Una volta reso opponibile ai terzi, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, 
l�elenco delle attivit� di rilevanza strategica per il sistema di difesa e 
sicurezza nazionale, tutte le imprese interessate, a pena di nullit�, al fine di 
consentire il tempestivo esercizio dei poteri speciali da parte del Governo, 
hanno un onere di notifica alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di una 
informativa che descriva la delibera o l�atto da adottare ovvero il progetto di 
acquisizione anche di carattere azionario, se rilevante. 

Il potere speciale, veto ovvero opposizione all�acquisto, deve essere esercitato 
da parte del Governo entro quindici giorni dalla notifica. 

Qualora si renda necessario richiedere informazioni all�operatore economico 
che ha provveduto alla notifica il termine di quindici giorni entro cui il Governo 
pu� esercitare i poteri speciali � sospeso, per una sola volta, fino al ricevimento 
delle informazioni richieste, che sono rese entro il termine di dieci giorni. 

Eventuali richieste di informazioni successive alla prima non sospendono 
i termini, decorsi i quali l�operazione pu� essere effettuata. 


Secondo la normativa, il potere speciale � esercitato nella forma di imposizione 
di specifiche prescrizioni o condizioni ogniqualvolta ci� sia sufficiente 
ad assicurare la tutela degli interessi essenziali della difesa e della 
sicurezza nazionale. 

In caso di inadempimento o violazione delle condizioni imposte, per tutto 
il periodo in cui perdura l�inadempimento o la violazione, i diritti, connessi alle 
azioni o alle quote partecipative, di contenuto diverso da quello patrimoniale 
sono sospesi e le delibere adottate con il voto di tali azioni o quote sono nulli. 

Inoltre, l�operatore economico che non osservi le condizioni imposte � 
soggetto ad una sanzione pecuniaria pari al doppio del valore dell�attivit� posta 
in essere in contrasto con le prescrizioni governative e comunque non inferiore 
all�1% del fatturato realizzato nell�ultimo esercizio per il quale sia stato approvato 
il bilancio. 

I decreti di individuazione delle attivit� di rilevanza strategica per il sistema 
di difesa e di sicurezza nazionale sono aggiornati almeno ogni tre anni. 

Sino all�adozione di uno specifico regolamento con il quale sono emanate 
le disposizioni di attuazione dei poteri speciali, le competenze inerenti alle 
proposte per l�esercizio dei poteri speciali sono attribuite al Ministero del-
l�economia e delle finanze per le societ� da esso partecipate ovvero, per le 
altre societ�, al Ministero della difesa o al Ministero dell�interno, secondo i 
rispettivi ambiti di competenza. 

L�art. 2 della legge disciplina i poteri speciali nei comparti dell�energia, 
dei trasporti e delle telecomunicazioni. 

Tale norma detta disposizioni analoghe a quelle previste dall�art. 1 riguardanti 
il comparto difesa e sicurezza e affida ad uno o pi� regolamenti l�individuazione 
degli asset strategici di rilevanza strategica che possono essere 
tutelati con l�esercizio dei poteri speciali. 

Nel settore energia, trasporti e comunicazioni � possibile da parte del Governo 
esprimere il veto alle delibere, atti e operazioni delle societ� di settore 
che diano luogo a una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa 
nazionale ed europea, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici 
relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla 
continuit� degli approvvigionamenti. 

Nelle more dell�emanazione del regolamento di attuazione delle disposizioni 
di cui all�art. 1 in materia di poteri speciali nei settori della difesa e della 
sicurezza nazionale con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 
30 novembre 2012, n. 253, si � provveduto, secondo le previsioni della norma 
transitoria (art. 1, comma 8) ad individuare le attivit� di carattere strategico 
sottoposte ad eventuale esercizio dei poteri speciali. 

Quanto al merito dell�elenco esso appare orientato a salvaguardare l�integrit� 
e la propriet� nazionale dei sistemi tecnologici essenziali alla difesa e alla 
sicurezza nazionale sotto il profilo militare, sulla base di esigenze direttamente 


correlate alle competenze del Ministero della difesa, ricomprendendo lo studio, 
la ricerca, la progettazione, lo sviluppo, la produzione, l�integrazione e il sostegno 
al ciclo vita, ivi compresa la catena logistica, dei sistemi di interesse. 

Le tipologie individuate risultano raggruppate per classi che consentono, in 
conformit� alla normativa comunitaria, di ben delimitare i settori e ricomprendere 
la totalit� dei sistemi e dei materiali tecnologici essenziali per la difesa. 

Da sottolineare la tutela che viene data ai sistemi satellitari militari ad 
elevate prestazioni e protezione, sia nella componente terrestre sia in quella 
spaziale (inclusa l�attivit� gestionale dei relativi servizi), per l�osservazione 
terrestre (ottica e radar) e per le comunicazioni. 

Per far fronte all�ipotesi di vendita di Telecom Italia, in mancanza dei 
provvedimenti attuativi dell�art. 2 che avrebbero permesso al Governo italiano 
di esercitare i poteri speciali nello specifico settore delle comunicazioni, il 
DPCM n. 253/2012, unico strumento posto in essere per la tutela degli asset 
strategici, � stato modificato dal DPCM 2 ottobre 2013, n. 129, il quale ha aggiornato 
il novero delle attivit� di rilevanza strategica nei settori della difesa 
e della sicurezza nazionale, aggiungendo, nel corpus normativo del primo, il 
comma 2 bis, che include negli attivi di rilevanza strategica nel settore delle 
comunicazioni le reti e gli impianti utilizzati per la fornitura dell�accesso agli 
utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei 
servizi a banda larga e ultralarga. 

Su tale DPCM, il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, 
nell�adunanza del 26 settembre 2013, ha espresso parere favorevole 
ritenendo corretto estendere la tutela nel settore delle comunicazioni, per reti 
ed impianti, la cui rilevanza per la difesa e sicurezza nazionale � inevitabilmente 
destinata ad accrescersi costantemente. 

Il 25 novembre 2013, la Commissione europea ha trasmesso all�Italia una 
nota in cui chiede chiarimenti sul DPCM n. 129/2013, ritenuto potenzialmente 
lesivo della libert� di circolazione dei capitali, in quanto �contiene una definizione 
molto ampia degli attivi strategici che copre potenzialmente la gestione 
e il funzionamento di quasi tutti gli impianti di comunicazione�. 

La Commissione s�interroga sulle ragioni per cui le attivit� aggiunte dal 
DPCM n. 129 �sono considerate strategiche per la difesa e la sicurezza nazionale 
e richiedono la previsione di poteri speciali dello Stato quali quelli 
applicabili nel settore della difesa�. 

Inoltre, in considerazione del fatto che i decreti attuativi di cui all�art. 2, 

d.l. n. 21 (che disciplina anche il comparto comunicazioni) non sono stati ancora 
emanati, la Commissione si chiede quale sia �il collegamento tra le attivit� 
nel settore delle comunicazioni incluse nel nuovo decreto e gli interessi 
essenziali di sicurezza che potrebbero essere seriamente pregiudicati�. 

Il 4 dicembre 2013, il Governo italiano ha risposto alla Commissione, rappresentando 
che � stato predisposto il nuovo regolamento recante �individuazione 


delle attivit� di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale�. 

Tale provvedimento abroga espressamente il DPCM n. 253 del 2012, ed 
� finalizzato a riunire in un unico regolamento, per esigenze di semplificazione, 
le norme che individuano le attivit� di rilevanza strategica per il sistema 
di difesa e sicurezza nazionale di competenza del Ministero dell'interno e di 
quelle di competenza del Ministero della difesa. 

Pertanto, il DPCM n. 129 del 2013, oggetto di censura (peraltro mai applicato), 
deve ritenersi definitivamente superato dal nuovo testo anche se � 
stato funzionale allo scopo di introdurre una tutela giuridica per la vendita di 
Telecom Italia in attesa della predisposizione dello specifico regolamento per 
l�esercizio dei poteri speciali in materia di energia, trasporti e comunicazioni. 

Lo schema dei regolamenti per l�individuazione delle procedure per l�attivazione 
dei poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale 
e quello per l�individuazione degli attivi strategici nel settore dell�energia, trasporti 
e comunicazioni sono stati approvati, in via preliminare, dal Consiglio 
dei Ministri del 9 ottobre 2013 ed inviati al Consiglio di Stato che, nel mese 
di novembre, ha espresso parere sostanzialmente favorevole, salvo marginali 
modifiche di carattere puramente formale. 

In seguito, sono stati trasmessi al Parlamento per il prescritto parere ed 
approvati, in via definitiva, dal Governo nella seduta del Consiglio dei Ministri 
del 14 febbraio 2014, per la successiva pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale 
una volta sottoscritti dal Presidente della Repubblica. 

Completa il quadro dei provvedimenti sub-primari necessari a dare compiuta 
attuazione alla legge sulla Golden Power il regolamento per l�individuazione 
delle procedure per l�attivazione dei poteri speciali nei settori 
dell�energia, dei trasporti e delle comunicazioni, adottato, sempre nel corso 
del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2014, in attuazione dell�art. 2, c. 9, 
del decreto legge 15 marzo 2012, n. 21. 

All�esito di questa complessa attivit� burocratica che permette di superare 
il vecchio e contestato assetto normativo della Golden Share, il Governo italiano 
viene a disporre di una lista ricomprendente le attivit� strategiche nei 
settori della difesa e sicurezza nonch� dei trasporti, energia e comunicazioni, 
per effetto della quale lo Stato pu� esercitare penetranti poteri speciali, tenendo 
conto comunque che tali poteri costituiscono una restrizione alla libera circolazione 
dei capitali e devono pertanto essere giustificati sulla base di una delle 
deroghe previste nel Trattato sul funzionamento dell�Unione europea. 

Elemento fondamentale da sottolineare � che il passaggio da un potere 
regolamentare -Golden Share - ad una potest� regolatoria -Golden Power determina 
un importante passaggio di competenze dal Ministero dell�economia 
e finanze alla Presidenza del Consiglio. 

Infatti, i regolamenti di cui si discute prevedono che il coordinamento 
delle attivit� propedeutiche all�esercizio dei poteri speciali sia attribuito al Pre



sidente del Consiglio dei Ministri secondo modalit� da stabilirsi con apposito 
provvedimento, che dovr�: 

individuare l�ufficio della Presidenza del Consiglio dei Ministri responsabile 
del coordinamento; 

istituire un gruppo di lavoro composto dal responsabile del coordinamento 
della Presidenza del Consiglio e dai responsabili di settore dei Ministeri 
interessati, integrati, ove occorra potenziare le capacit� di analisi, da rappresentanti 
di altre strutture; 

stabilire le procedure telematiche ed elettroniche per consentire tempestivamente 
e in sicurezza la trasmissione delle informazioni su operazioni di 
rilevanza strategica e l�eventuale esercizio dei poteri speciali; 

fissare i tempi e le modalit� di raccordo tra i Ministeri coinvolti, nonch� 
i termini per la presentazione, da parte degli stessi, in relazione alle competenze, 
del parere motivato per l�esercizio o meno dei poteri speciali. 

Vi � da dire che la regolamentazione della Golden Power trae spunto 
dall�esperienza maturata dall�amministrazione italiana nella gestione di un importante 
caso concreto relativo all�acquisto, per oltre 3 miliardi di euro, del 
settore dei sistemi di propulsione aerospaziali e navali del Gruppo AVIO da 
parte della societ� General Electric. 

In questo caso la General Electric, sulla base della regolamentazione provvisoria 
determinata dall�adozione del provvedimento (DPCM 30 novembre 
2012, n. 253) ha accettato l�imposizione di specifiche prescrizioni che secondo 
i rappresentanti del Governo italiano sono risultate sufficienti ad assicurare la 
tutela degli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. 

Detti impegni, contenuti in uno specifico provvedimento del Presidente 
del Consiglio del 6 giugno 2013, adottato previa delibera del Consiglio dei 
Ministri su congiunta proposta dei Ministri della difesa e dell�economia e delle 
finanze, tende a garantire il mantenimento dei livelli occupazionali nel nostro 
Paese e la tutela del Know-how aziendale. 

Per tali finalit�, oltre ad essere garantiti presidi fiduciari del Governo italiano 
all�interno dell�azienda, il nuovo proprietario si � impegnato a fornire al 
Ministero della difesa un rapporto annuale di compliance sul rispetto delle 
condizioni all�acquisto. 

Per garantire la verifica delle condizioni ed eventuali proposte di modifica 
� stato costituito tra le parti un comitato paritetico presieduto da un rappresentante 
del Ministero della difesa che ha titolo ad informare dell�andamento del-
l�accordo il Presidente del Consiglio dei Ministri per le conseguenti decisioni. 

Tale soluzione ha portato la GE ad esprimere formale soddisfazione rispetto 
ad una capacit� della burocrazia italiana che, nel caso di specie, ha saputo 
svolgere, con disponibilit� e competenza, tutte le procedure senza 
ostacoli, tanto da raggiungere un risultato di grande importanza per il sistema 
industriale del Paese. 


Pertanto, con assoluta serenit� il Governo italiano attende le valutazioni 
della Commissione europea sul nuovo assetto normativo della Golden Power, 
nella consapevolezza di aver superato i limiti della vecchia disciplina della 
Golden Share per la quale la Commissione ha sospeso la sua decisione di deferire 
l�Italia dinanzi la Corte di Giustizia. 


corte di giustizia ue
LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 
La Corte di Giustizia Europea censura l�Adunanza Plenaria 
Note a margine della Sentenza 4 luglio 2013 C-100/12 


Sergio Massimiliano Sambri e Amalia Muollo* 

Lo scorso 4 luglio 2013 la Corte di Giustizia Europea, nella causa C100/
12, ha completamente capovolto l�orientamento della giurisprudenza amministrativa 
nazionale circa la �pregiudizialit�� (e conseguente effetto 
preclusivo ad essa collegato) del ricorso incidentale nei contenziosi in materia 
di appalti pubblici. 

Con una pronuncia sintetica ma chiara nella sua semplicit� la Corte di 
Giustizia ha censurato il modo in cui il Consiglio di Stato, con la decisione 
resa in Adunanza Plenaria il 7 Aprile 2011 (1), ha inteso applicare il diritto 
comunitario sostanziale e processuale degli appalti pubblici. 

Sebbene ad una prima lettura la sentenza possa apparire scarsamente motivata 
(2), invero la pronuncia si presenta essenziale nel suo contenuto cos� 
come lo � la normativa comunitaria. 

Muovendo dall�art. 1 della Direttiva 89/665 cos� come modificata dalla 
Direttiva 2007/66, ovvero dalla situazione giuridica soggettiva lesa e dalla relativa 
condizione dell�azione (c.d. legittimazione a ricorrere), la Corte di Giustizia 
ha osservato che in presenza di reciproche contestazioni sulla legittimit� 
dell�offerta �ciascuno dei concorrenti pu� far valere un analogo interesse legittimo 
all�esclusione dell�offerta degli altri, che pu� indurre l�amministrazione 
aggiudicatrice a constatare l�impossibilit� di procedere alla scelta di 
un�offerta regolare�. 

Senza voler qui ripercorrere i passaggi svolti dalla Corte, ormai ampiamente 
noti, appare evidente che la questione sostanziale che viene in rilievo, 
soprattutto in termini di applicabilit� nell�ordinamento italiano, sia proprio il 
concetto di situazione giuridica soggettiva lesa e le garanzie che devono essere 

(*) Avvocati del libero Foro. 

V., contra, ad annotazione della stessa sentenza Rass. 2013, II, 37 ss., STEFANO VARONE, ... Note minime 
sui rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale �escludente�. Per comodit� del Lettore si ripropone, 
come d�uso, il testo integrale della sentenza in calce all�articolo. 

(1) Cons. St. Ad. Plen., 7 Aprile 2011, n. 4. 

(2) Cos� A. CACCIARI, Ricorso principale e ricorso incidentale: una questione davvero risolta 
dalla Corte di Giustizia?, su www.giustizia-amministrativa.it, n. 7-2013. 


riconosciute in capo al soggetto ricorrente e al proprio diritto ad avere giustizia. 

La conclusione a cui giunge il giudice comunitario appare perfettamente 
corrispondente alla motivazione contenuta nel paragrafo 17 del preambolo 
della direttiva che consente di ricostruire anche la voluntas legislatoris: �Una 
procedura di ricorso dovrebbe essere accessibile almeno a chiunque abbia o 
abbia avuto interesse ad ottenere l�aggiudicazione di un determinato appalto 
e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione�. 

Non si tratta solo di parit� di trattamento tra le imprese concorrenti (che 
� gi� garantita dall�art. 47 della Carta dei Diritti dell�Unione Europea e dall�art. 
111 della Costituzione sul giusto processo) bens� di effettivit� (perch� � cos� 
che va intesa la parola �accessibilit�� della rubrica dell�art. 1 Dir. 89/665) a 
qualsiasi operatore abbia o perfino abbia avuto interesse ad ottenere l�aggiudicazione 
di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa 
di una presunta violazione. 

E il principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia, cos� incisivo e 
puntuale nel ribadire proprio l�effettivit� della tutela e del giusto processo, 
sembra voler ricordare ai giudici nazionali che proprio perch� la procedura di 
attribuzione del contratto � strumentale all�attribuzione del contratto stesso, il 
rapporto tra le parti, ivi compresa l�amministrazione aggiudicatrice, deve essere 
garantito in modo paritario, al di l� dei formalismi inerenti al tipo di impugnazione. 
Anche per evitare che, utilizzando strumentalmente i famosi �cavilli� 
processuali, il contratto venga aggiudicato ad un soggetto che non ne avrebbe 
titolo, cos� violando il principio ordinatore dell�intero sistema delle gare ad 
evidenza pubblica basato su concorrenza, parit� di trattamento e merito. 

Nulla di pi� vero, se non fosse che applicando la Direttiva 89/665 con gli 
schemi nazionali dell�interesse legittimo e dell�interesse a ricorrere si finisce 
inevitabilmente col disapplicare la Direttiva stessa nella sua �effettivit��, cos� 
come � stato - a parere della Corte - per il Consiglio di Stato nel 2011 che ha 
negato il fatto essenziale che l�oggetto del processo amministrativo - in particolare 
in materia di giurisdizione esclusiva - deve essere l�accertamento del 
rapporto giuridico controverso. 

Del resto l�art. 1, par. 3, della Dir. 89/665 (non recepito con il D.Lgs. 
53/2010 e pertanto direttamente applicabile) non sembra operare questa classificazione 
tra posizioni soggettive ma anzi assicura a chiunque abbia o abbia 
avuto interesse alla aggiudicazione di una gara pubblica un �diritto soggettivo� 
alla libera partecipazione agli appalti pubblici (3) con la conseguenza che la 

(3) In questo senso, in particolare, S. D�ANCONA, Riflessioni sul rapporto tra ricorso principale 
e incidentale alla luce della Direttiva ricorsi, in Riv. It.Dir.Pubbl.Comun., 1/2013, pp. 33-59, dove l�autore 
osservava che �l�art. 1 osta a ogni tipo di classificazione e gerarchizzazione da parte del Giudice 
degli interessi avanzati in giudizio (interesse a mantenere l�aggiudicazione illegittima, interesse all�annullamento 
della procedura illegittima) e riconduce in capo ad ogni concorrente una posizione giuridica 
soggettiva rilevante�. 


situazione giuridica soggettiva di diritto comunitario dei soggetti, persone fisiche 
o giuridiche che operano nel settore degli appalti pubblici, non essendo 
di interesse legittimo, non pone limiti alla ricorribilit� in giudizio a prescindere 
dall�utilit� a cui si aspira. 

Certo, potrebbe obiettarsi, anche in forza di giurisprudenza assolutamente 
conforme della CGE (4), che non spetta agli organi dell�Unione Europea qualificare 
la situazione giuridica stessa nel diritto nazionale; ma ci� a condizione 
che la tutela sia efficace, effettiva, completa e non esistano ostacoli che rendono 
pi� difficile ovvero onerosa la tutela della medesima situazione; tanto � 
vero che gli Stati membri sono obbligati ad armonizzare proprio a tale scopo 
le norme sostanziali e processuali nazionali. 

E difatti, gi� con l�emanazione del Codice del Processo Amministrativo 
ed in particolare dell�art. 7 che in tema di giurisdizione ammette la tutela dei 
diritti soggettivi anche separatamente da quella degli interessi legittimi, cos� 
di fatto non richiedendo pi� �l�intreccio di situazioni qualificabili come interessi 
legittimi e diritti soggettivi�, pare potersi affermare che la configurazione 
dell�interesse legittimo pretensivo non pu� avere minore estensione del corrispettivo 
diritto soggettivo, e quindi ben pu� (e deve) il giudice amministrativo 
giudicare nel merito della lesione di diritti soggettivi, ancorch� essa sia stata 
compiuta da una pubblica amministrazione (5). 

In linea con le garanzie riconosciute dalla Direttiva 89/665, infatti, le componenti 
di tale situazione sono quindi rispettivamente dal punto di vista sostanziale 
e processuale: la dimostrazione dell�interesse a ottenere l�aggiudicazione 
e la dimostrazione non solo della lesione effettivamente subita ma anche del 
mero rischio di lesione. Non sono richieste altre condizioni affinch� sia tutelato 
il diritto soggettivo alla libera partecipazione ad appalti pubblici, che � una 
delle principali applicazioni del diritto alla libera prestazione dei servizi. 

Quanto poi all�interesse a ricorrere, esso consiste nel semplice �rischio� di 
lesione (e non nell�interesse specifico, attuale e concreto richiesto dalla giurisprudenza 
amministrativa nazionale), ovvero nella attualit� o perfino trascorsa lesione. 

Ed � quindi in tale ambito che dovrebbe essere rettamente inquadrato il 
rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale senza che sia reso possibile 
in alcun modo al secondo di: 

-paralizzare l�azione a tutela del diritto comunitario degli appalti attraverso 
la eccezione della mancata dichiarazione del possesso dei requisiti; 

-evitare, in subordine, le conseguenze del proprio illegittimo operato 
(cio� la mancanza di proprie valide dichiarazioni inerenti al possesso dei requisiti 
stessi) e cio� l�annullamento della gara e la sua ripetizione ai sensi del-
l�articolo 121 e 122 del Codice del Processo Amministrativo. 

(4) Vedi per tutti CGE, Sentenza Dorsch Consult, 17 settembre 1997, su causa 54/1996. 
(5) Cfr. Corte Cost., Sent. 27 aprile 2007, n. 140, 19 ottobre 2009 n. 259 e 5 febbraio 2010, n. 35. 



Del resto per l�Unione Europea la procedura degli appalti pubblici deve 
servire a garantire il gioco del mercato non il trionfo di formalismi a scapito 
della qualit� stessa del prodotto, servizio o opera pubblica che viene fornita al-
l�amministrazione. Di conseguenza il limite comunitario delle censure eventualmente 
contenute sia nel ricorso principale che in quello incidentale e che 
riguardano la reciproca contestazione del possesso dei requisiti di partecipazione 
ad un determinato appalto pubblico � costituito dalla dimostrazione che il possesso 
non c�era effettivamente, al di l� delle dichiarazioni formali incomplete o 
irregolari, e ci� � possibile solo attraverso la loro disamina ed accertamento. 

Invero, come si accennava, con l�emanazione del Codice del Processo 
Amministrativo pare si fosse gi� fatto un passo avanti in tal senso: anche a 
mente del combinato disposto degli articoli 7, 119, 120 e 133 la giurisdizione 
sugli appalti pubblici configura una giurisdizione amministrativa esclusiva 
comprensiva della tutela sia degli interessi legittimi che dei diritti soggettivi, 
esaminati congiuntamente o anche separatamente. 

E tale tutela deve in ogni caso comprendere la verifica dell�intero esercizio 
del potere della pubblica amministrazione o del soggetto ad essa equiparato 
senza che sia possibile con artifizi di carattere rituale e procedurale limitare la 
pienezza di tale tutela, pena la violazione del principio di effettivit� e del giusto 
processo. Solo quando l�oggetto del processo amministrativo in materia di appalti 
sia limitato alla censura del difetto (reciproco) del possesso dei requisiti 
per la partecipazione alle gare pubbliche si pone il problema della eventuale 
inammissibilit� di entrambi i ricorsi principale e incidentale. 

Ebbene in tali casi la censura contenuta nel c.d. ricorso incidentale e relativa 
al preteso difetto del possesso dei requisiti per la partecipazione alla 
gara pubblica in capo al ricorrente principale non si configura come �domanda� 
il cui interesse sorge in dipendenza della domanda posta in via principale, 
ma come semplice eccezione - non rilevabile d�ufficio - tesa a 
paralizzare in rito l�esame della domanda principale (ma nei soli limiti in cui 
la medesima non abbia altri oggetti oltre l�accertamento della mancanza del 
possesso dei requisiti per partecipare alle gare pubbliche in capo al soggetto 
contro interessato). 

Essendo un�eccezione che non riguarda e non pu� obiettivamente riguardare 
l�intero ricorso, essa potr� dunque paralizzare l�esame dei soli motivi di 
ricorso che riguardano la legittima gestione della procedura di gara in senso 
stretto a partire cio� dalla fase (successiva alla domanda di partecipazione) di 
verifica del possesso dei requisiti, ma non i motivi che attengono alla regolarit� 
della formazione delle leggi di gara o ad eventi che hanno inciso sulla legittimit� 
e liceit� della gara stessa; con la conseguenza che si dovr� pur sempre 
valutarne la fondatezza. 

Viceversa, la gravit� della soluzione che esclude la legittimazione al ricorso 
qualunque sia il vizio denunciato per il solo fatto della mancata dichia



razione delle potenziali cause di esclusione (si badi bene non l�accertamento 
del difetto di possesso dei requisiti richiesti dalla direttiva e dalle norme nazionali 
di trasposizione per poter validamente ed efficacemente partecipare 
alle gare pubbliche) � facilmente dimostrabile: garantisce l�impunit� al soggetto 
aggiudicatario anche quando sia incontestabile che egli non ha il possesso 
dei requisiti prescritti dalla legge e dal diritto comunitario. 

In sostanza, si vuol dire che nel nostro processo amministrativo ci sono, 
e da tempo, i presupposti per una corretta applicazione del diritto comunitario 
e in particolare dell�assoluta equiordinazione delle domande proposte dai ricorrenti 
nel pieno rispetto della parit� delle parti (6). 

In tal quadro, appare di tutta evidenza che le conclusioni a cui � giunta la 
Corte di Giustizia potrebbero esporre concretamente lo Stato italiano alla azione 
di inadempimento agli obblighi derivanti dalla appartenenza all�Unione Europea 
proprio a causa del comportamento della istituzione che per prima � chiamata 
a garantire l�effettivit� dell�ordinamento comunitario stesso, cio� il giudice 
ed in particolare il giudice cui spetta costituzionalmente sindacare la legittimit� 
del potere in concreto esercitato dalla amministrazione aggiudicatrice. 

Infatti, non diversamente dai casi di omessa disapplicazione o omesso 
rinvio pregiudiziale, attraverso l�operato del giudice amministrativo che dichiara 
inammissibile il ricorso principale in accoglimento di quello incidentale 
addirittura motivato in rito (ad es. mancanza della legittimazione a ricorrere 
per mancata dichiarazione del possesso dei requisiti non per dimostrata mancanza 
del possesso dei requisiti effettivi) si compiono due violazioni chiare e 
manifeste del diritto comunitario e dello stesso diritto nazionale che ne costituisce 
puntuale trasposizione e recezione: 

- in primo luogo, si impedisce la effettivit� della tutela giurisdizionale 
della impresa ricorrente per quanto attiene non gi� la completezza e pienezza 
della tutela, ma lo stesso minimo denominatore comune cio� la possibilit� di 
esame nel merito del ricorso ai fini dell�accertamento della sua fondatezza o 
infondatezza; 

-in secondo luogo, si aggira lo spirito e la lettera del diritto comunitario 
sostanziale (direttive 17 e 18/2004 e codice dei contratti) per il quale la concorrenza 
aperta ed effettiva vuole l�accertamento del possesso o meno dei requisiti 
non la regolarit� formale delle dichiarazioni. 

In tal quadro se da un lato, come gi� alcune voci in dottrina hanno anticipato 
(7), occorrer� effettuare un�attenta riflessione sull�incidenza che l�interpretazione 
applicativa della statuizione della Corte di Giustizia avr� rispetto 

(6) In questi termini, G. PELLEGRINO, Ricorso incidentale: i nodi tornano al pettine, in www.giustizia-
amministrativa.it., Aprile 2012. 
(7) Cfr. P. QUINTO, La Corte di Giustizia anticipa l�Adunanza Plenaria, in www.lexitalia.it, n. 78/
2013. 



a quelle decisioni del Giudice Amministrativo che hanno dichiarato inammissibili 
i ricorsi proposti dai partecipanti ad una gara d�appalto, dall�altro lato 
paiono sussistere tutte le condizioni per iniziare un giudizio di inadempimento 
contro lo Stato italiano da parte di quegli operatori che si sono visti negare, in 
sede di appello, sia la richiesta di disapplicazione della normativa sostanziale 
e processuale italiana incompatibile con il diritto comunitario degli appalti, 
sia soprattutto la richiesta di interpretazione pregiudiziale ai sensi dell'articolo 
267 del TFUE. 

Ci� in quanto, lasciando in disparte la questione dell'obbligo o meno della 

c.d. disapplicazione degli atti nazionali per incompatibilit� comunitaria, comunque 
il Consiglio di Stato - in quanto organo giurisdizionale di ultima 
istanza - era obbligato e non facoltizzato a sospendere i relativi giudizi e a inviare 
gli atti alla Corte di Giustizia della Unione Europea perch� si pronunciasse 
sulla questione pregiudiziale (8). 

E ci� per l�evidente influenza di diritto comunitario nel processo amministrativo 
attraverso l�affermazione di �principi sostanziali e processuali, configurati 
come principi generali comuni� che autorevole dottrina definisce in 
termini di �co-giurisdizione� (9). 

Di diverso avviso la giurisprudenza nazionale che, evidentemente dubbiosa 
circa la prevalenza del ruolo nomofilattico della Corte di Giustizia ha 
recentemente posto due questioni pregiudiziali alla Corte stessa riguardanti, 
da un lato, il perimetro di applicabilit� dei principi dichiarati dalla stessa Corte 
con la sentenza in commento e dall�altro proprio la vincolativit� delle regulae 
juris comunitarie sull�attivit� delle sezioni del Consiglio di Stato le quali, ai 
sensi dell�art. 99, comma 3 del C.p.A., sono vincolate ai principi di diritto 
enunciati dall�Adunanza Plenaria (10). 

La pronuncia del Consiglio di Giustizia amministrativa della regione Sicilia 
sembra avvitarsi su se stessa, poich� con ogni probabilit� l�invocato intervento 
della Corte di Giustizia potr� giungere a dirimere i dubbi interpretativi 
solo dopo che l�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si sar� nuovamente 
pronunciata, sulla base delle ordinanze di rimessione emesse dalla V e VI della 
sezione del Consiglio di Stato (peraltro antecedenti all�intervento della Corte 
di Giustizia europea (11)), sulla priorit� dell�esame del ricorso principale o di 
quello incidentale. 

(8) In giurisprudenza � sufficiente ricordare i casi Kobler/2003 e Traghetti del Mediterraneo 
s.p.a./2006 nei quali la Corte di Giustizia ha ribadito che ben pu� essere azionata la responsabilit� civile 
per inadempimento di uno Stato membro a causa di un mancato rinvio pregiudiziale da parte di un 
organo giurisdizionale di ultima istanza che abbia creato un danno al ricorrente. 
(9) E. PICOZZA, Processo amministrativo e diritto comunitario, Padova, 2004; F. SORRENTINO, La 
giustizia amministrativa, Torino 2002, 37. 
(10) Ci si riferisce all�Ordinanza 17 ottobre 2013, n. 848 resa dalla CGA sezione Giurisdizionale 
in relazione all�appello proposto avverso la Sentenza del TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, n. 351/2013. 



CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 

Ove l�Adunanza Plenaria dovesse confermare il suo precedente orientamento 
enunciato nella sentenza n. 4/11, anche in relazione al caso di due sole 
imprese ammesse alla procedura, potrebbero determinarsi insanabili contrasti 
tra gli orientamenti interpretativi dei due plessi giurisdizionali, l�uno del Giudice 
nazionale e l�altro espresso dalla Corte di Giustizia, eventualmente superabili, 
questa volta, solo attraverso una nuova rimessione della questione 
interpretativa alla Corte di Giustizia europea. 

Non resta che augurarsi dunque che l�Adunanza Plenaria del Consiglio 
di Stato riesamini la questione in termini (solleciti e) tali da non provocare 
l�ennesima censura della Corte di Giustizia Europea. 

Corte di Giustizia dell�Unione Europea, Decima Sezione, sentenza 4 luglio 2013 nella 
causa C-100/12 -Pres. A. Rosas, Rel. D. .v�by, Avv. Gen. J. Kokott - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte - Fastweb SpA 
contro Azienda Sanitaria Locale di Alessandria. 

�Appalti pubblici � Direttiva 89/665/CEE � Ricorso in materia di appalti pubblici � Ricorso 
proposto contro la decisione di aggiudicazione di un appalto da un offerente escluso � Ricorso 
fondato sulla motivazione che l�offerta prescelta non sarebbe conforme alle specifiche tecniche 
dell�appalto � Ricorso incidentale dell�aggiudicatario fondato sull�inosservanza di alcune 
specifiche tecniche dell�appalto nell�offerta presentata dall�offerente che ha proposto il ricorso 
principale � Offerte entrambe non conformi alle specifiche tecniche dell�appalto � Giurisprudenza 
nazionale che impone di esaminare in via preliminare il ricorso incidentale e, in 
caso di fondatezza di quest�ultimo, di dichiarare inammissibile il ricorso principale senza 
esaminarlo nel merito � Compatibilit� con il diritto dell�Unione� 

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione della direttiva 
89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, 
regolamentari e amministrative relative all�applicazione delle procedure di ricorso 
in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, 
pag. 33), come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 
dell�11 dicembre 2007 (GU L 335, pag. 31; in prosieguo: la �direttiva 89/665�). 

2 Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia tra Fastweb SpA (in 
prosieguo: �Fastweb�), da una parte, e l�Azienda Sanitaria Locale di Alessandria, nonch� 
Telecom Italia SpA (in prosieguo: �Telecom Italia�) ed una controllata di quest�ultima, 
Path-Net SpA (in prosieguo: �Path-Net�), dall�altra, a proposito dell�aggiudicazione 
di un appalto pubblico a tale controllata. 

Contesto normativo 

3 Il secondo ed il terzo considerando della direttiva 89/665 sono formulati come segue: 
�[C]onsiderando che i meccanismi attualmente esistenti, sia sul piano nazionale sia sul 
piano comunitario, per garantire [l�]applicazione [effettiva delle direttive in materia di 

(11) Consiglio di Stato, Sezione V, ordinanza 15 aprile 2013, n. 2059; Consiglio di Stato, Sezione 
VI, ordinanza 30 luglio 2013 n. 4023; Consiglio di Stato, sezione VI, ordinanza 17 maggio 2013, n. 
2681; Consiglio di Stato, sezione V, ordinanza 15 aprile 2013, n. 5104. 


appalti pubblici] non sempre permettono di garantire il rispetto delle disposizioni comunitarie, 
in particolare in una fase in cui le violazioni possono ancora essere corrette; 
considerando che l�apertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende 
necessario un aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione 
e che occorre, affinch� essa sia seguita da effetti concreti, che esistano mezzi di ricorso 
efficaci e rapidi in caso di violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici 

o delle norme nazionali che recepiscano tale diritto�. 

4 Il considerando 3 della direttiva 2007/66 cos� recita: 
�[�] le garanzie di trasparenza e di non discriminazione che costituiscono l�obiettivo 
[in particolare della direttiva 89/665] dovrebbero essere rafforzate per garantire che la 
Comunit� nel suo complesso benefici pienamente degli effetti positivi dovuti alla modernizzazione 
e alla semplificazione delle norme sull�aggiudicazione degli appalti pubblici, 
operate [in particolare dalla direttiva 2004/18/CE, del Parlamento europeo e del 
Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione 
degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114)] (...)�. 

5 Ai sensi dell�articolo 1 della direttiva 89/665, rubricato �Ambito di applicazione e accessibilit� 
delle procedure di ricorso�: 

�1. La presente direttiva si applica agli appalti di cui alla direttiva [2004/18], a meno 
che tali appalti siano esclusi a norma degli articoli da 10 a 18 di tale direttiva. 
Gli appalti di cui alla presente direttiva comprendono gli appalti pubblici, gli accordi 
quadro, le concessioni di lavori pubblici e i sistemi dinamici di acquisizione. 
Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda 
gli appalti disciplinati dalla direttiva [2004/18], le decisioni prese dalle amministrazioni 
aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, 
quanto pi� rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2 septies 
della presente direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in 
materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono. 
(...) 

3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo 
modalit� dettagliate che gli Stati membri possono determinare, [per lo meno] a chiunque 
abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l�aggiudicazione di un determinato appalto e 
sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. 
(...)�. 

6 L�articolo 2, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce quanto segue: 
�Gli Stati membri provvedono affinch� i provvedimenti presi in merito alle procedure 
di ricorso di cui all�articolo 1 prevedano i poteri che consentono di: 
(...) 
b) annullare o far annullare le decisioni illegittime (�); 
(...)�. 

7 Il considerando 2 della direttiva 2004/18 � formulato come segue: 
�L�aggiudicazione degli appalti negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici 
territoriali e di altri organismi di diritto pubblico � subordinata al rispetto dei principi 
del trattato [FUE] ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, 
della libert� di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonch� ai principi che 
ne derivano, quali i principi di parit� di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento 
reciproco, di proporzionalit� e di trasparenza. Tuttavia, per gli appalti pubblici 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 

con valore superiore ad una certa soglia � opportuno elaborare disposizioni di coordinamento 
comunitario delle procedure nazionali di aggiudicazione di tali appalti fondate 
su tali principi, in modo da garantirne gli effetti ed assicurare l�apertura degli appalti 
pubblici alla concorrenza. Di conseguenza, tali disposizioni di coordinamento dovrebbero 
essere interpretate conformemente alle norme ed ai principi citati, nonch� alle altre 
disposizioni del trattato�. 

8 Ai sensi dell�articolo 2 della direttiva: 
�Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parit�, 
in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza�. 

9 L�articolo 32 della direttiva in questione cos� dispone: 
�(...) 


2. Ai fini della conclusione di un accordo quadro, le amministrazioni aggiudicatrici seguono 
le regole di procedura previste dalla presente direttiva in tutte le fasi fino all�aggiudicazione 
degli appalti basati su tale accordo quadro. (...) 
Gli appalti basati su un accordo quadro sono aggiudicati secondo le procedure previste 
ai paragrafi 3 e 4. (...) 
(...) 


4. (...) 
Gli apalti basati su accordi quadro conclusi con pi� operatori economici possono essere 
aggiudicati: 
(...) 


� qualora l�accordo quadro non fissi tutte le condizioni, dopo aver rilanciato il confronto 
competitivo fra le parti in base alle medesime condizioni, se necessario precisandole, e, 
se del caso, ad altre condizioni indicate nel capitolato d�oneri dell�accordo quadro, secondo 
la seguente procedura: 
a) per ogni appalto da aggiudicare le amministrazioni aggiudicatrici consultano per 
iscritto gli operatori economici che sono in grado di realizzare l�oggetto dell�appalto; 
(...) 
d) le amministrazioni aggiudicatrici aggiudicano ogni appalto all�offerente che ha presentato 
l�offerta migliore sulla base dei criteri di aggiudicazione fissati nel capitolato 
d�oneri dell�accordo quadro�. 


Procedimento principale e questione pregiudiziale 

10 Conformemente al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, �Codice dell�amministrazione 
digitale� (supplemento ordinario alla GURI n. 112 del 16 maggio 2005), il Centro 
Nazionale per l�Informatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA) � abilitato a concludere 
contratti quadro con operatori economici da esso individuati. Le amministrazioni 
non statali hanno facolt� di attribuire appalti fondati su tali contratti quadro, sulla base 
delle proprie esigenze di servizio. 

11 Il CNIPA ha concluso un contratto quadro di questo tipo, in particolare, con Fastweb e 
Telecom Italia. Il 18 giugno 2010, l�Azienda Sanitaria Locale di Alessandria ha indirizzato 
a tali societ� una richiesta di progetto riguardante �linee dati/fonia� sulla base di 
un �piano di fabbisogni�. Con delibera del 15 settembre 2010, essa ha scelto il progetto 
presentato da Telecom Italia, concludendo un contratto con una controllata di quest�ultima, 
Path-Net, il 27 dello stesso mese. 

12 Fastweb ha proposto ricorso contro la decisione di aggiudicazione dell�appalto dinanzi 
al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte. Telecom Italia e Path-Net sono 


intervenute nel procedimento, proponendo ricorso incidentale. La legittimit� dell�offerta 
di ciascuno degli operatori viene contestata dal suo unico concorrente a causa del mancato 
rispetto di alcune specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni. 

13 In esito alla verificazione dell�idoneit� delle offerte presentate dalle due societ� rispetto 
al piano di fabbisogni, disposta dal giudice del rinvio, � stato constatato che nessuna 
delle due offerte risultava conforme all�insieme delle specifiche tecniche imposte dal 
piano. Secondo tale giudice, una simile constatazione dovrebbe logicamente condurre 
all�accoglimento dei due ricorsi e, di conseguenza, ad annullare la procedura di aggiudicazione 
dell�appalto pubblico in questione, dal momento che nessun offerente ha presentato 
un�offerta idonea a dar luogo ad aggiudicazione. Tale soluzione soddisferebbe 
l�interesse del ricorrente principale, in quanto la rinnovazione della procedura di aggiudicazione 
gli procurerebbe una nuova chance di ottenere l�appalto. 

14 Il giudice del rinvio rileva tuttavia che, con decisione del 7 aprile 2011, resa in adunanza 
plenaria, il Consiglio di Stato, a proposito dei ricorsi in materia di appalti pubblici, ha 
enunciato un principio di diritto secondo il quale l�esame di un ricorso incidentale diretto 
a contestare la legittimazione del ricorrente principale, in quanto illegittimamente ammesso 
a partecipare alla procedura di aggiudicazione controversa, deve precedere l�esame 
del ricorso principale, anche nel caso in cui il ricorrente principale abbia un interesse strumentale 
alla rinnovazione dell�intera procedura di aggiudicazione e indipendentemente 
sia dal numero dei concorrenti che vi hanno preso parte, sia dal tipo di censura prospettata 
con il ricorso incidentale, sia infine dalle richieste dell�amministrazione interessata. 

15 Il Consiglio di Stato ritiene infatti che la legittimazione a ricorrere contro la decisione 
di aggiudicazione di un appalto pubblico spetti soltanto al soggetto che abbia legittimamente 
partecipato alla procedura di aggiudicazione. Secondo tale giudice, l�accertamento 
dell�illegittimit� dell�ammissione del ricorrente principale alla procedura avrebbe una 
portata retroattiva e l�esclusione definitiva di quest�ultimo dalla suddetta procedura comporterebbe 
che esso si trovi in una situazione che non gli permette di contestare l�esito 
della procedura stessa. 

16 Secondo questa giurisprudenza del Consiglio di Stato, l�interesse pratico alla rinnovazione 
della procedura di aggiudicazione invocato dalla parte che abbia proposto ricorso 
contro la decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico non attribuisce a quest�ultima 
una posizione giuridica fondante la legittimazione al ricorso. Tale interesse non si 
distinguerebbe infatti da quello di qualsiasi altro operatore economico del settore che 
aspiri a partecipare ad una futura procedura di aggiudicazione. Pertanto, il ricorso incidentale 
diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale dovrebbe essere 
sempre esaminato per primo, anche quando gli offerenti siano solo due, ossia il ricorrente 
principale, cio� l�offerente escluso e il ricorrente incidentale, cio� l�aggiudicatario. 

17 Il giudice del rinvio esprime dubbi sulla compatibilit� di tale giurisprudenza, in particolare 
nella misura in cui essa afferma incondizionatamente la prevalenza del ricorso 
incidentale su quello principale, con i principi di parit� di trattamento, non discriminazione, 
libera concorrenza e tutela giurisdizionale effettiva, quali recepiti negli articoli 
1, paragrafo 1, e 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 89/665. Secondo tale giudice, 
infatti, l�esame in via preliminare � ed eventualmente assorbente � del ricorso incidentale 
attribuisce all�aggiudicatario un vantaggio ingiustificato rispetto a tutti gli altri operatori 
economici che hanno partecipato alla procedura di aggiudicazione, qualora risulti che 
l�appalto gli � stato aggiudicato illegittimamente. 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 

18 Alla luce di quanto sopra, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha deciso 
di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se i principi di parit� delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza 
nei pubblici appalti, di cui alla Direttiva [89/665], ostino al diritto vivente quale statuito 
nella decisione dell�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2011, secondo il 
quale l�esame del ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente 
principale attraverso l�impugnazione della sua ammissione alla procedura di gara, deve 
necessariamente precedere quello del ricorso principale ed abbia portata pregiudiziale 
rispetto all�esame del ricorso principale, anche nel caso in cui il ricorrente principale 
abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dell�intera procedura selettiva e indipendentemente 
dal numero dei concorrenti che vi hanno preso parte, con particolare riferimento 
all�ipotesi in cui i concorrenti rimasti in gara siano soltanto due (e coincidano 
con il ricorrente principale e con l�aggiudicatario-ricorrente incidentale), ciascuno mirante 
ad escludere l�altro per mancanza, nelle rispettive offerte presentate, dei requisiti 
minimi di idoneit� dell�offerta�. 
Sulla ricevibilit� della domanda di pronuncia pregiudiziale 

19 Telecom Italia, Path-Net e il governo italiano contestano la ricevibilit� della domanda 
di pronuncia pregiudiziale per diversi motivi. Tuttavia, le quattro eccezioni di irricevibilit� 
sollevate al riguardo non possono essere accolte. 

20 In primo luogo, infatti, il presente rinvio pregiudiziale � avvenuto in un caso che rientra 
perfettamente nella previsione dell�articolo 267 TFUE. Ai sensi del primo e del secondo 
comma di tale articolo, un giudice di uno Stato membro pu� domandare alla Corte di 
pronunciarsi su qualsiasi questione relativa all�interpretazione dei trattati e degli atti di 
diritto derivato, qualora reputi una decisione su questo punto necessaria per emanare la 
sua sentenza nella controversia di cui � investito. Orbene, nel caso di specie, dalla decisione 
di rinvio emerge che il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte 
esprime dei dubbi in merito alle implicazioni della direttiva 89/665 nel contesto fattuale 
e processuale della controversia di cui al procedimento principale, prospettando due 
possibili risposte dalle quali discenderebbero soluzioni diverse di tale controversia. 

21 In secondo luogo, la decisione del giudice del rinvio contiene una descrizione sufficientemente 
chiara del contesto giuridico nazionale, in quanto essa descrive e chiarisce la 
giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale � fondata sull�interpretazione, fornita da 
quest�ultimo, dell�insieme delle norme e dei principi processuali di diritto nazionale rilevanti 
in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nonch� delle 
conseguenze che ne derivano, secondo tale giudice, in merito all�ammissibilit� del ricorso 
principale dell�offerente escluso. 

22 In terzo luogo, nonostante il giudice del rinvio non indichi la specifica disposizione di 
diritto dell�Unione della quale aspira ad ottenere l�interpretazione, esso si riferisce esplicitamente, 
gi� nella stessa questione pregiudiziale, alla direttiva 89/665, e la decisione di 
rinvio contiene un insieme di informazioni sufficientemente completo per permettere alla 
Corte di individuare gli elementi di tale diritto che richiedono un�interpretazione, tenuto 
conto dell�oggetto del procedimento principale (v., per analogia, sentenza del 9 novembre 
2006, Chateignier, C.346/05, Racc. pag. I.10951, punto 19 e giurisprudenza citata). 

23 Infine, in quarto luogo, non risulta che tale controversia riguardi un appalto pubblico 
rientrante in una delle eccezioni di cui all�articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 89/665. 
Pertanto, nella misura in cui l�importo di tale appalto raggiunga la soglia per l�applica



zione della direttiva 2004/18 fissata all�articolo 7 di quest�ultima, cosa che spetta al giudice 
del rinvio accertare, ma di cui nulla al momento induce a dubitare, le due citate direttive 
sono applicabili ad un appalto come quello di cui al procedimento principale. Va 
ricordato, in proposito, che il fatto che una procedura di aggiudicazione di un appalto 
pubblico riguardi soltanto imprese nazionali � irrilevante ai fini dell�applicazione della 
direttiva 2004/18 (v., in tal senso, sentenza del 16 dicembre 2008, Michaniki, C.213/07, 
Racc. pag. I.9999, punto 29 e giurisprudenza citata). 

Sulla questione pregiudiziale 

24 Con la sua questione, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se le disposizioni della 
direttiva 89/665, e in particolare i suoi articoli 1 e 2, debbano essere interpretate nel 
senso che se, in un procedimento di ricorso, l�aggiudicatario solleva un�eccezione di 
inammissibilit� fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell�offerente che ha 
proposto il ricorso, con la motivazione che l�offerta da questi presentata avrebbe dovuto 
essere esclusa dall�autorit� aggiudicatrice per non conformit� alle specifiche tecniche 
indicate nel piano di fabbisogni, il suddetto articolo 1, paragrafo 3, osta al fatto che tale 
ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell�esame preliminare di tale eccezione 
di inammissibilit�, quando il ricorrente contesta a sua volta la legittimit� del-
l�offerta dell�aggiudicatario con identica motivazione e soltanto questi due operatori 
economici hanno presentato un�offerta. 

25 Va rilevato che dall�articolo 1 della direttiva 89/665 deriva che quest�ultima mira a consentire 
la proposizione di ricorsi efficaci contro le decisioni delle autorit� aggiudicatrici 
contrarie al diritto dell�Unione. Secondo il paragrafo 3 del suddetto articolo, gli Stati 
membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo le modalit� 
che gli Stati membri possono determinare, almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse 
ad ottenere l�aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere 
leso a causa di una presunta violazione. 

26 A questo proposito, una decisione con cui l�autorit� aggiudicatrice esclude un�offerta 
prima ancora di procedere alla selezione costituisce una decisione contro la quale dev�essere 
possibile ricorrere, ai sensi dell�articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 89/665, 
essendo tale disposizione applicabile a tutte le decisioni adottate dalle autorit� aggiudicatrici 
soggette alle norme di diritto dell�Unione in materia di appalti pubblici e non 
prevedendo essa alcuna limitazione relativa alla natura e al contenuto di dette decisioni 
(v., in particolare, sentenza del 19 giugno 2003, Hackerm�ller, C.249/01, Racc. pag. 
I.6319, punto 24, e giurisprudenza citata). 

27 In tal senso, al punto 26 della citata sentenza Hackerm�ller, la Corte ha affermato che 
il fatto che l�autorit� dinanzi alla quale si svolge il procedimento di ricorso neghi la partecipazione 
a tale procedimento, per mancanza della legittimazione a ricorrere, ad un 
offerente escluso prima ancora di procedere a una selezione, avrebbe l�effetto di privare 
tale offerente non solo del suo diritto a ricorrere contro la decisione di cui egli afferma 
l�illegittimit�, ma altres� del diritto di contestare la fondatezza del motivo di esclusione 
allegato da detta autorit� per negargli la qualit� di persona che sia stata o rischi di essere 
lesa dall�asserita illegittimit�. 

28 Certamente, quando, al fine di ovviare a tale situazione, viene riconosciuto all�offerente 
il diritto di contestare la fondatezza di detto motivo di esclusione nell�ambito del procedimento 
instaurato a seguito di un ricorso avviato da quest�ultimo per contestare la 
legittimit� della decisione con cui l�autorit� aggiudicatrice non ha ritenuto la sua offerta 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 

come la migliore, non si pu� escludere che, al termine di tale procedimento, l�autorit� 
adita pervenga alla conclusione che detta offerta avrebbe dovuto effettivamente essere 
esclusa in via preliminare e che il ricorso dell�offerente debba essere respinto in quanto, 
tenuto conto di tale circostanza, egli non � stato o non rischia di essere leso dalla violazione 
da lui denunciata (v. sentenza Hackerm�ller, cit., punto 27). 

29 In una situazione del genere, all�offerente che ha proposto ricorso contro la decisione 
di aggiudicazione di un appalto pubblico deve essere riconosciuto il diritto di contestare 
dinanzi a tale autorit�, nell�ambito di tale procedimento, la fondatezza delle ragioni in 
base alle quali la sua offerta avrebbe dovuto essere esclusa (v., in tal senso, sentenza 
Hackerm�ller, cit., punti 28 e 29). 

30 Tale insegnamento � applicabile, in linea di principio, anche qualora l�eccezione di inammissibilit� 
non sia sollevata d�ufficio dall�autorit� investita del ricorso, ma in un ricorso 
incidentale proposto da una parte nel procedimento di ricorso, come l�aggiudicatario regolarmente 
intervenuto nello stesso. 

31 Nel procedimento principale, il giudice del rinvio, all�esito della verifica dell�idoneit� 
delle offerte presentate dalle due societ� in questione, ha constatato che l�offerta presentata 
da Fastweb non era conforme all�insieme delle specifiche tecniche indicate nel 
piano di fabbisogni. Esso � giunto peraltro alla stessa conclusione in relazione all�offerta 
presentata dall�altro offerente, Telecom Italia. 

32 Una situazione del genere si distingue da quella oggetto della citata sentenza Hackerm�ller, 
in particolare per essere risultato che, erroneamente, l�offerta prescelta non � 
stata esclusa al momento della verifica delle offerte, nonostante essa non rispettasse le 
specifiche tecniche del piano di fabbisogni. 

33 Orbene, dinanzi ad una simile constatazione, il ricorso incidentale dell�aggiudicatario 
non pu� comportare il rigetto del ricorso di un offerente nell�ipotesi in cui la legittimit� 
dell�offerta di entrambi gli operatori venga contestata nell�ambito del medesimo procedimento 
e per motivi identici. In una situazione del genere, infatti, ciascuno dei concorrenti 
pu� far valere un analogo interesse legittimo all�esclusione dell�offerta degli altri, 
che pu� indurre l�amministrazione aggiudicatrice a constatare l�impossibilit� di procedere 
alla scelta di un�offerta regolare. 

34 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione sollevata 
dichiarando che l�articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 deve essere interpretato 
nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l�aggiudicatario che ha ottenuto l�appalto 
e proposto ricorso incidentale solleva un�eccezione di inammissibilit� fondata sul difetto 
di legittimazione a ricorrere dell�offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione 
che l�offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall�autorit� aggiudicatrice 
per non conformit� alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione 
osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza del-
l�esame preliminare di tale eccezione di inammissibilit� senza pronunciarsi sulla 
compatibilit� con le suddette specifiche tecniche sia dell�offerta dell�aggiudicatario che 
ha ottenuto l�appalto, sia di quella dell�offerente che ha proposto il ricorso principale. 
Sulle spese 

35 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un 
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. 
Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono 
dar luogo a rifusione. 


Per questi motivi, la Corte (decima sezione) dichiara: 

L�articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 
1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative 
all�applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli 
appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE 
del Parlamento europeo e del Consiglio, dell�11 dicembre 2007, deve essere interpretato 
nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l�aggiudicatario che ha ottenuto 
l�appalto e proposto ricorso incidentale solleva un�eccezione di 
inammissibilit� fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell�offerente che 
ha proposto il ricorso, con la motivazione che l�offerta da questi presentata avrebbe 
dovuto essere esclusa dall�autorit� aggiudicatrice per non conformit� alle specifiche 
tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto 
ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell�esame preliminare 
di tale eccezione di inammissibilit� senza pronunciarsi sulla conformit� con le suddette 
specifiche tecniche sia dell�offerta dell�aggiudicatario che ha ottenuto l�appalto, 
sia di quella dell�offerente che ha proposto il ricorso principale. 


contenzioso nazionale
CONTENZIOSO NAZIONALE 
I recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale 
in materia di qualit� della regolazione 

CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZE 23 GENNAIO 2013 N. 8 E 16 APRILE 2013 N. 70 

Federico Basilica* 
Valeria Romano** 

SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. La qualit� della regolazione come autonomo parametro 
di costituzionalit�: il caso campano - 3. Il contributo della Corte costituzionale alla qualit� 
della regolazione: una ricognizione in chiave storica - 4. L�elevato standard qualitativo 
della legislazione come leva per lo sviluppo economico nella giurisprudenza costituzionale 
pi� recente. 

1. Introduzione. 

Con le sentenze 23 gennaio 2013, n. 8 e 16 aprile 2013, n. 70 la Corte Costituzionale 
� intervenuta sul tema della qualit� della regolazione. Le citate pronunzie 
destano interesse perch� affrontano due rilevanti profili connessi al tema 
della semplificazione normativa. Nella sentenza del 23 gennaio 2013, in particolare, 
il Giudice delle Leggi delinea il rapporto di derivazione diretta tra qualit� 
della regolazione e crescita economica in forza del quale una coerente ed intellegibile 
produzione delle regole si configura come un efficace fattore di sviluppo 
economico ed imprenditoriale. La sentenza 16 aprile 2013, n. 70, d�altro canto, 
offre un prezioso spunto di riflessione per interrogarsi sulla giustiziabilit�, in sede 
di giudizio di legittimit� costituzionale, della cattiva qualit� della legislazione. 

La giurisprudenza costituzionale dell�ultimo anno sembra, dunque, aver 
riconosciuto un duplice ruolo alla qualit� della regolazione intesa sia come 

(*) Avvocato dello Stato. 
(**) Dottoranda di ricerca in �diritto e impresa� - LUISS Guido Carli, gi� praticante forense presso 
l�Avvocatura dello Stato. 



fattore incidente sullo sviluppo economico che come autonomo parametro di 
legittimit� costituzionale (1). 

2. La qualit� della regolazione come autonomo parametro di costituzionalit�: 
il caso campano. 

La sentenza 16 aprile 2013, n. 70 affronta la questione della sindacabilit� 
in sede costituzionale della qualit� dei testi normativi indagando, in particolare, 
i margini di censurabilit� costituzionale dei provvedimenti legislativi lacunosi, 
contraddittori o eccessivamente complessi. 

La vicenda dalla quale trae origine la sentenza n. 70 del 2013 muove dalla 
caotica produzione legislativa della Regione Campania sul tema della definizione 
della distanza massima tra gli aerogeneratori deputati alla produzione 
dell�energia eolica (2). Prima di analizzare le conclusioni cui giunge la Corte 
costituzionale, appare essenziale, onde poter pi� agevolmente comprendere i 
termini del problema, ripercorrere le fasi che hanno segnato la vicenda venuta 
al vaglio del Legislatore negativo. 

Con l�art. 1 co. 2 della legge regionale dell�1 luglio 2011, n. 11 (3), il legislatore 
regionale disponeva che �la costruzione di nuovi aerogeneratori � 
autorizzata esclusivamente nel rispetto di una distanza pari o superiore a 800 
metri dall�aerogeneratore pi� vicino preesistente o gi� autorizzato�. 

A fronte dell�emanazione di tale normativa regionale, il Governo si determinava 
all�impugnazione della riportata norma di fronte alla Corte costituzionale 
per contrasto con gli artt. 117, commi 1, 2 e 3 e 97 Cost. Nelle more 
del giudizio di legittimit� costituzionale, tuttavia, la Regione Campania, con 
un secondo intervento normativo (legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1) (4), 
prevedeva l�abrogazione della disposizione impugnata dal Governo a decorrere 
dal 29 febbraio 2012. L�Ente territoriale chiedeva, dunque, la dichiara


(1) Sul tema della valenza costituzionale della qualit� della regolazione, R. PINARDI, S. SCAGLIARINI, 
Sindacato sulle leggi e tecnica legislativa: un giudizio senza parametro?, in AA.VV., Scritti in onore 
di Michele Scudiero, III, Napoli, 2008, 1771; A. VEDASCHI, Le tecniche legislative e la giurisprudenza 
della Corte costituzionale, in Iter legis, 1999, 415 ss.; V. PAMIO, Corte costituzionale e tecniche legislative. 
Il triennio 2002-2004, in Dir. soc., 2005, 75 ss.; E. LONGO, Il contributo della Corte costituzionale 
alla qualit� della normazione, in P. CARETTI (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2007. La qualit� della 
regolazione, Torino, 2009, 51 ss.; G.M. SALERNO, La tecnica legislativa e la chiarezza normativa nella 
giurisprudenza costituzionale pi� recente, in Rass. parl., 1997, 1041; V.P. COSTANZO, Il fondamento costituzionale 
della qualit� della normazione (con riferimenti comparati e all�UE), in AA.VV., Studi in 
memoria di Giuseppe G. Floridia, Napoli, 2009, 183. 
(2) Gli interventi del legislatore campano oggetto del vaglio della Corte Costituzionale vengono 
di seguito, per chiarezza espositiva, riportati in ordine cronologico: a) Legge regionale 1 luglio 2011, n. 
11; b) Legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1; c) Legge regionale 21 maggio 2012, n. 13; d) Legge regionale 
9 agosto 2012, n. 2613. 
(3) Legge Regione Campania 1 luglio 2011, n. 11 (Disposizioni urgenti in materia di impianti eolici). 


(4) Legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio 
annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2012). 



zione della cessazione della materia del contendere di fronte al Giudice delle 
Leggi. Ottenuta l�estinzione del processo (5), il Consiglio Regionale della 
Campania approva un terzo intervento legislativo (legge 21 maggio 2012, n. 
13) (6) nel cui eterogeneo corpus veniva disposto il differimento della prevista 
abrogazione dal 29 febbraio al 30 giugno 2012. 

Dal quadro normativo tracciato poteva, non senza qualche difficolt�, desumersi 
che il divieto di installazione di nuovi impianti a una distanza inferiore 
a 800 metri da quelli preesistenti era operante dal 1� luglio 2011 al 28 febbraio 
2012, veniva meno dal 29 febbraio al 28 maggio 2012, operava nuovamente 
con efficacia retroattiva dal 29 maggio fino 29 giugno ed, infine, cadeva definitivamente 
dal 30 giugno (7). 

A fronte dal varo della legge regionale del 21 maggio 2012, n. 13, il Consiglio 
dei Ministri ne deliberava l�impugnazione limitatamente alla disposizione 
che differiva l�abrogazione ripristinando di fatto il divieto di cui alla legge n. 
11/2001. Stante la nuova impugnativa promossa della Presidenza del Consiglio 
dei Ministri, la Regione Campania abrogava la norma impugnata con l�art. 42, 
comma 4, della legge regionale 9 agosto 2012, n. 2613 verosimilmente con lo 
scopo di ottenere nuovamente l�estinzione del giudizio di fronte alla Consulta. 

Il Giudice delle Leggi, tuttavia, ben lungi dal ritenere cessata la materia 
del contendere si � pronunciato, con la sentenza in commento, nel merito della 
vicenda dichiarando l�illegittimit� costituzionale dell�articolo 5, comma 2, della 
legge della Regione Campania 21 maggio 2012, n. 13 per violazione dell�art. 
97 Cost. cos� riconoscendo nel cattivo uso della potest� legislativa e nella scarsa 
intellegibilit� degli interventi regolatori della Regione Campania un diretto vulnus 
ai canoni di imparzialit� e buon andamento dell�amministrazione. 

La declaratoria di illegittimit� costituzionale della norma impugnata dal 
Governo per violazione del principio della buona amministrazione appare 
esemplificativa di un evidente cambio di passo della giurisprudenza della 
Corte costituzionale con riguardo alla questione della giustiziabilit� della cattiva 
qualit� della legislazione. La posizione assunta dai Giudici costituzionali 
rispetto al tema della qualit� della regolazione �, infatti, stata tradizionalmente 
connotata da un certo self-restraint nel dichiarare l�illegittimit� costituzionale 
delle norme per il mancato raggiungimento di un adeguato standard qualitativo 
dei testi legislativi. 

(5) La Corte costituzionale ha dichiarato estinto il processo con ordinanza n. 89/2012 depositata 
il 12 aprile 2012, pubblicata in GU. 18 aprile 2012. 
(6) Legge della Regione Campania 21 maggio 2012, n. 13, recante �Interventi per il sostegno e 
la promozione della castanicoltura e modifiche alla legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni 
per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Campania - Legge 
finanziaria regionale 2012�. 
(7) Per una completa ricostruzione della vicenda in esame, D. PARIS Il controllo del giudice costituzionale 
sulla qualit� della legislazione nel giudizio in via principale in www.forumcostituzionale.it. 



La sentenza presenta, pertanto, profili di accentuata innovativit� rispetto 
al pregresso panorama giurisprudenziale perch�, per la prima volta, la Corte 
costituzionale afferma che l�assoluta oscurit� della legge, ponendosi in contrasto 
con il canone costituzionale di cui all�art. 97, � causa di illegittimit� costituzionale 
della disposizione che, in ragione della sua complessit�, deve 
essere espunta dall�ordinamento. La sentenza in esame si presta, quindi, ad 
essere letta come una chiara presa di posizione della Corte costituzionale nel 
segno di una rinnovata centralit� del principio della �certezza del diritto� e 
della �chiarezza normativa�. 

La Corte, in definitiva, sembra avallare la posizione dell�autorevole dottrina 
(8) che gi� da tempo aveva riconosciuto la valenza costituzionale del 
principio della qualit� della regolazione e della semplificazione normativa per 
aggredire grovigli normativi ed interventi legislativi caotici e disorganici. 

L�innovativit� della pronunzia in esame si apprezza a pieno solo si indaga, 
in chiave storica, l�evoluzione della giurisprudenza costituzionale sul tema 
della sindacabilit� del tasso di qualit� della regolazione. 

3. Il contributo della Corte costituzionale alla qualit� della regolazione: una 
ricognizione in chiave storica. 

Il tema della sindacabilit� costituzionale delle norme mal formulate dal 
Legislatore � stato differentemente affrontato dalla Corte Costituzionale a seconda 
della natura penale ovvero extra-penale della disposizione sottoposta 
al vaglio di legittimit�. 

Nel primo caso, infatti, la sindacabilit� della tecnica redazionale degli atti 
normativi in sede costituzionale non � mai stata posta in discussione trovando 
un saldo addentellato normativo all�art. 25 Cost. e nel principio, dalla norma 
ricavabile, di tassativit� delle fattispecie penali. 

� ben noto come in forza del menzionato principio il Legislatore che qualifica 
un certo fatto come reato deve indicare con sufficiente determinazione 
la condotta incriminata e le sanzioni penali ricondotte alla sua commissione 
al fine di consentire ai consociati di orientare consapevolmente le proprie condotte 
e di calcolarne in anticipo le conseguenze sulla base di un quadro normativo 
certo e ben definito. 

Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, dunque, il principio 
di tassativit� �, prima di tutto, rivolto al Legislatore in capo al quale deve essere 
riconosciuto l�onere �di formulare norme concettualmente precise sotto il profilo 
semantico della chiarezza e dell�intellegibilit� dei termini impiegati� evitando 
il ricorso a vocaboli polisensi, clausole generali e concetti elastici il cui 
impiego �sovvertirebbe i pi� ovvi princ�pi che sovraintendono razionalmente 
ad ogni sistema legislativo nonch� le pi� elementari nozioni ed insegnamenti 

(8) M. AINIS, La legge oscura. Come e perch� non funziona, Bari, 2010, 117 ss. 


intorno alla creazione e alla formazione delle norme giuridiche� (9). 

Una proiezione sovranazionale delle affermazioni della Corte costituzionale 
in ordine alle tecniche di formulazione delle fattispecie penali � rinvenibile 
nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo. L�elaborazione 
giurisprudenziale della Corte Edu ha, infatti, conferito rilievo alla dimensione 
�qualitativa� del principio di legalit� sancito all�art. 7 della Convenzione Europea 
dei Diritti dell�Uomo e delle Libert� Fondamentali. La norma impone, 
secondo l�interpretazione fornita dai Giudici di Strasburgo, non solo la preesistenza 
della norma incriminatrice al fatto, ma anche la sua accessibilit� e 
comprensibilit� (10). 

Sulla scorta delle considerazioni che precedono appare evidente la censurabilit� 
costituzionale ex art. 25 Cost. delle norme penali imprecise e contraddittorie 
nonch� la sindacabilit� ex art. 117 Cost. e 7 Cedu del grado di 
determinatezza e precisione delle norme c.d. �intrinsecamente penali� ovvero 
delle disposizioni che, sebbene non qualificate come penali dal Legislatore 
nazionale, abbiano una natura afflittiva e sanzionatoria di stampo penalistico. 

Ci� posto, residua la centrale questione, affrontata dalla sentenza 16 aprile 
2013, n. 70, relativa alla sindacabilit� di tutte le altre norme extra-penali formulate 
da Legislatore in modo oscuro, ambiguo o vago. 

La questione sopra delineata � apparsa, sin dalle pi� risalenti pronunzie 
della Corte costituzionale, particolarmente problematica per due essenziali ragioni. 
In primo luogo la Costituzione italiana non contiene disposizioni che si 
occupano esplicitamente della qualit� della regolamentazione nel settore extrapenale. 
In aggiunta alla carenza di un espresso parametro di censurabilit� del 
cattivo esercizio del potere legislativo, l�ammissibilit� del sindacato sulla qualit� 
della normazione � apparsa ostica stante il fondamentale principio per cui 
il controllo di legittimit� costituzionale �esclude ogni valutazione sull�uso del 
potere discrezionale del Parlamento� (11). 

I margini di sindacabilit� della qualit� delle leggi sono, pertanto, apparsi 
da subito angusti stante soprattutto l�assenza di un espresso parametro cui ancorare 
il giudizio. In questo senso l�assenza di un preciso parametro cui saldare 
il sindacato di costituzionalit� � stata dalla dottrina qualificata come un �paradosso� 
ed un concreto ostacolo alla censurabilit� in sede costituzionale di 
una legge �oscura� (12). 

(9) Cos� Corte Cost. sentenza 8 giugno 1981, n. 96. Sul tema della tassativit� delle norme penali 
appaiono in particolar modo rilevanti le note pronunzie del 30 luglio 2008 n. 327 in G.U. 6 agosto 2008 
e n. 5 del 2004 sulla legittimit� costituzionale dell�art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 
1998, n. 286. 
(10) Corte 26 aprile 1979, The Sunday Times v. United Kingdom (Series A No 30). 


(11) Cfr., art. 28 della Legge L. 11 marzo 1953, n. 87 recante �Norme sulla costituzione e sul funzionamento 
della Corte costituzionale�, pubblicata in G.U. 14 marzo 1953, n. 62. 


(12) M. AINIS, La legge oscura. Come e perch� non funziona, Laterza, Bari, 1997, p. 113 e ss. 


La Corte costituzionale si �, pertanto, per lungo tempo limitata ad indirizzare 
al Legislatore inviti e moniti al miglioramento degli standards qualitativi 
dei testi legislativi astenendosi dalla realizzazione di dirette censure 
anche a fronte di casi di spiccata imprecisione, contraddittoriet�, irrazionalit� 
e lacunosit� dei testi legislativi sottoposti al suo vaglio. 

A fronte di tale quadro la dottrina ha pervicacemente teso ad isolare, in 
via ermeneutica, dal testo costituzionale un generale principio di qualit� della 
regolazione e semplificazione normativa per aggredire i grovigli normativi e 
gli interventi legislativi caotici e disorganici. L�elaborazione dottrinale consta 
di numerosi contributi indirizzati a superare il problema dell�apparente carenza 
di un paramento di sindacabilit� della qualit� delle regole da parte del Giudice 
delle Leggi. 

In tale ottica, la dottrina ha individuato un ampio ordito normativo composto 
da una pluralit� di norme costituzionali alle quali collegare il sindacato 
sul rispetto dei livelli qualitativi minimi nella regolazione extra-penale. Si � 
fatto riferimento, in particolare, all�art. 72 Cost. (sistema di votazione della 
legge), all�art. 71 Cost. (redazione di progetti di legge in articoli, in caso di 
iniziativa legislativa popolare), nonch� all�art. 54 Cost. (dovere di osservare 
la legge, che presuppone la sua conoscibilit� ed intellegibilit�) ed all�art. 97 
Cost. (buon andamento e imparzialit� dell�amministrazione), oltre che all�art. 
3 Cost. (canone di ragionevolezza). 

Si � dunque opinato nel senso di ritenere che dalla combinazione delle 
norme citate sia dato desumere la sussistenza, nel nostro ordinamento, di un 
generale principio di qualit� della regolazione alla stregua del quale sindacare 
testi legislativi non comprensibili e disorganici (13). 

Altra parte della dottrina si �, invece, mostrata propensa ad ancorare il 
sindacato sulla qualit� della regolazione al principio di leale collaborazione 
interpretando la cattiva qualit� della legislazione come il risultato di uno scarso 
coordinamento tra i soggetti (Parlamento, Governo, Regioni) coinvolti nel processo 
legislativo. 

La giurisprudenza della Corte costituzionale ha gradualmente mutuato le 
elaborazioni dottrinali di cui si � dato succintamente conto giungendo a ritenere 
sindacabile la scarsa qualit� della regolazione sulla base, di volta in volta, 
di parametri diversi. 

Un primo tentativo � stato esperito evocando un�applicazione sul terreno 
della qualit� della regolazione del principio di ragionevolezza inteso come criterio 
di razionalit� e coerenza delle scelte operate dal Legislatore nell�ambito 
del libero esercizio della potest� normativa. Sul punto merita richiamare la 

(13) V. CAIANIELLO, Il drafting delle leggi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Riv. 
trim. Scienza Amm., 1999, n. 1, 15 s.; M. CARLI, Come garantire il rispetto delle regole sulla �buona� 
qualit� delle leggi dello stato, in Osservatorio sulle fonti 2007, Giappichelli, Torino, 2009, p. 3 e ss. 


sentenza n. 52/1996 con la quale � stato dichiarato �illegittimo per contrasto 
con i principi di ragionevolezza, e di razionalit� della legislazione, desumibili 
dall'art. 3 della Costituzione� l'articolo 15, comma 17, della legge 10 dicembre 
1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera 
dei Deputati e al Senato della Repubblica). 

In altre pronunzie il controllo giurisdizionale della qualit� della legislazione 
� stato condotto valorizzando il generale principio di certezza del diritto. 
In talune sentenza, tra le quali merita menzione la n. 376/2002, traspare l�idea 
per cui la chiarezza e l�intelligibilit� della regolazione scongiura il rischio di 
incertezza del diritto che alligna nell�eccesso di norme, soprattutto se confuse 
e contraddittorie, la quale pu� condurre alla negazione del diritto stesso e a 
porre le premesse per comportamenti illegali. 

Alla luce della breve analisi sin ora tracciata con riguardo alla giurisprudenza 
della Corte costituzionale in tema di giustiziabilit� della cattiva regolazione 
dovrebbe apprezzarsi pienamente il carattere innovativo della sentenza 
16 aprile 2013, n. 70. 

La sentenza, come detto, ha collegato il sindacato sulla qualit� delle norme 
all�art. 97 Cost. ed ha individuato nell�oscurit� della disposizione un elemento 
decisivo ai fini della relativa dichiarazione di incostituzionalit� ponendo l�accento 
sull�onere, in capo tanto al Legislatore regionale quanto del Legislatore 
nazionale, di formulare i testi legislativi in maniera chiara e comprensibile. 

La pronunzia si apprezza anche perch� la Corte costituzionale � sembrata 
animata dalla preoccupazione di farsi carico delle conseguenze del grave disordine 
normativo ingenerato dal cattivo uso della potest� legislativa regionale 
sugli attori economici operanti nel mercato campano dell�energia eolica, nonch� 
sui cittadini e sui fruitori dei servizi. La dottrina ha, infatti, evidenziato 
come la pronunzia si ponga come una presa di posizione di fondamentale rilievo 
soprattutto in ordine all�attenzione mostrata dai Giudici costituzionali 
rispetto al tema dei costi economici della cattiva qualit� della legislazione (14). 

Tali ultime considerazioni consentono di rintracciare il trait d'union tra 
la pronunzia sin ora esaminata e la sentenza 23 gennaio 2013 n. 8 sulla quale 
appare opportuno spendere alcune considerazioni. 

4. L�elevato standard qualitativo della legislazione come leva per lo sviluppo 
economico nella giurisprudenza costituzionale pi� recente. 

Nella sentenza 23 gennaio 2013, n. 8 la Corte Costituzionale � stata chiara 
nell�affermare che una legislazione composta da norme sovrapposte, stratificate 
e poco chiare in uno a procedimenti amministrativi lenti e farraginosi ingenera 
negli operatori economici difficolt� sia di accesso sia di permanenza 

(14) P. MAZZINA, Qualit� della legislazione e competitivit�: alcune riflessioni intorno ad una recente 
esperienza campana, in www.rivistaaic.it, Osservatorio costituzionale, ottobre 2013, 4 s. 


sul mercato rappresentando un �collo di bottiglia� rispetto all�obiettivo della 
crescita economica. 

Nel vagliare la legittimit� costituzionale degli articoli 1, comma 4, e 35, 
comma 7, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per 
la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivit�), la Corte ha 
invocato, infatti, politiche �volte ad alleggerire la regolazione, liberandola 
dagli oneri inutili e sproporzionati e che perseguano lo scopo di sostenere lo 
sviluppo dell�economia nazionale�. 

Sul punto i Giudici costituzionali hanno rilevato come non sia difficile 
cogliere l�intimo legame �fra le politiche economiche di liberalizzazione, intesa 
come razionalizzazione della regolazione, e le implicazioni finanziarie 
delle stesse�. La Corte ha ben sintetizzato, nella pronunzia in esame, il circolo 
virtuoso innescabile con la messa in campo di politiche di riduzione della pressione 
regolatoria. Nell�ottica adottata dal Legislatore negativo, infatti, un contesto 
normativo agevole ed intellegibile realizza una maggiore libert� di 
accesso al mercato ed incentiva l�intrapresa economica privata. L�ingresso di 
nuovi operatori sul mercato incrementa, a sua volta, l�efficienza e la competitivit� 
del sistema produttivo che, per l�effetto, � in grado di generare crescita 
economica favorendo l�aumento del gettito tributario che concorre alla riduzione 
del disavanzo della finanza pubblica funzionale al rispetto degli indici 
del Patto europeo di stabilit�. 

La necessit�, cos� espressa dalla Corte costituzionale, di puntare ad una 
stagione di politiche di semplificazione normativa come leva per il rilancio 
del Paese appare largamente condivisa dagli analisti internazionali e nazionali. 
L�assunto trova conforto, in particolare, nell�edizione del 2014 del Rapporto 
Doing Business predisposto dalla Banca Mondiale sulla �facilit� di fare impresa�. 
Il rapporto ha comparato i sistemi di business regulation di 189 Paesi 
misurando le ripercussioni degli oneri normativi, in ciascun contesto nazionale, 
sullo svolgimento di attivit� come avviare un�impresa, ottenere un licenza, registrare 
una propriet�, impiegare lavoratori, importare ed esportare beni. Lo 
studio si � tradotto in una graduatoria che vede l�Italia collocata al 65� posto, 
dopo Rwanda e Ghana, per qualit� della regolazione e celerit� dei procedimenti 
amministrativi (15). 

Il negativo effetto della pressione regolatoria ed amministrativa sulle attivit� 
produttive � stato denunciato anche dalla Commissione Europea che, da 
ultimo nella comunicazione del 7 marzo 2013, COM(2013) 122 Smart Regulation: 
Responding to the needs of small and medium-sized enterprises, ha 
riaffermato la necessit� di far leva sul miglioramento della regolazione come 

(15) I dati raccolti dalla Banca Mondiale nel rapporto 2014 sono reperibili al seguente indirizzo 
web: http://www.doingbusiness.org/~/media/GIAWB/Doing%20Business/Documents/AnnualReports/
English/DB14-Full-Report.pdf. 


strumento di competitivit� e di sviluppo economico. Sulla stessa linea anche 
Businesseurope, la Confindustria europea, che ha chiarito: �the current crisis 
has brought smart regulation as a tool for encouraging growth and competitiveness 
to the top of the EU political agenda�. 

Come dimostrato dalla posizione assunta dagli organismi internazionali, 
delle Istituzioni europee e della recente giurisprudenza costituzionale di cui si 
� dato conto, il collegamento tra la qualit� della regolazione e la crescita economica 
� ormai dato inconfutabile. La cattiva qualit� della regolazione rappresenta, 
dunque, un diretto vulnus rispetto ai principi costituzionali di imparzialit�, 
ragionevolezza e certezza del diritto che, come � stato efficacemente messo a 
fuoco dalla Corte costituzionale nell�ultimo anno con le sentenze 23 gennaio 
2013, n. 8 e 16 aprile 2013, n. 70, si riverbera immediatamente sul piano economico 
essendo a tutti chiaro che �se non cՏ la certezza del diritto non � assicurata 
n� la crescita n� la competitivit�� (16). 

Di qui, allora, bisogna ripartire: ricostruire una governance di sistema 
che, presa piena consapevolezza del rapporto di derivazione diretta tra la qualit� 
della legislazione e la promozione della crescita, intraprenda iniziative di 
riduzione dello stock normativo e favorisca il passaggio ad una amministrazione 
performance-oriented la cui azione si inserisca in un quadro di complessiva 
stabilit� legislativa ed istituzionale. 

Concludendo, in un periodo di crisi la scarsit� di mezzi finanziari deve 
tradursi in stimolo verso ad maggiore efficienza nel loro impiego. All�interno 
di una agenda di organiche e sistematiche politiche di regulatory reform sar�, 
quindi, prioritario contemperare modifiche normative e di procedura dirette a 
promuovere la competitivit� del sistema-Paese in vista di un ritorno alla fiducia 
nel breve periodo ed alla crescita nel lungo periodo. 

Corte costituzionale, sentenza 23 gennaio 2013 n. 8 -Pres. Quaranta, Red. Cartabia - avv.ti 

M. Bertolissi e L. Manzi per la Regione Veneto, M. Cecchetti per la Regione Toscana e avv. 
Stato P. Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
(...) 


Considerato in diritto 

1.� Con i due ricorsi indicati in epigrafe, la Regione Toscana (reg. ric. n. 82 del 2012) 
e la Regione Veneto (reg. ric. n. 83 del 2012) hanno proposto in via principale varie questioni 
di legittimit� costituzionale relative al decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti 
per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivit�), convertito, con 
modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27, tra cui alcune aventi ad oggetto l�articolo 1, 
comma 4, e, per quanto riguarda la sola Regione Toscana, l�art. 35, comma 7, del decreto-
legge indicato cos� come convertito. 

(16) R. GIOVAGNOLI, Liberalizzazioni, semplificazioni ed effettivit� della tutela, www.giustamm.it, 

n. 6/2012. 


In particolare, in ordine all�art. 1, comma 4, la Regione Toscana lamenta la violazione 
degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione; mentre la Regione Veneto ritiene 
che siano stati violati gli artt. 3, 5, 97, 114, 117, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e 
sesto comma, 118, 119 della Costituzione, nonch� l�art. 9, comma 2, della legge costituzionale 
18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), il principio 
di leale collaborazione e i principi di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, lettere z) e ll), 
della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione 
dell�articolo 119 della Costituzione). 

Per quanto riguarda l�art. 35, comma 7, poi, la sola Regione Toscana lamenta la violazione 
degli artt. 77, secondo comma, 117, terzo comma, 118, primo comma, e 119, secondo 
comma, della Costituzione, nonch� del principio di leale collaborazione. 

2.� Stante la connessione esistente tra i predetti ricorsi, i relativi giudizi possono essere 
riuniti e decisi con un�unica pronuncia, la quale avr� ad oggetto esclusivamente le questioni 
di legittimit� costituzionale delle disposizioni legislative sopra indicate - art. 1, comma 4, e 
art. 35, comma 7 - essendo riservata ad altre decisioni la valutazione delle restanti questioni, 
promosse con i medesimi ricorsi dalle Regioni Toscana e Veneto. 

3.� Riguardo all�art. 1, comma 4, del decreto-legge impugnato, devono preliminarmente 
dichiararsi inammissibili le censure prospettate dalla Regione Veneto con riferimento 
agli artt. 3, 5, 97, 114 e 119 Cost., nonch� quelle che lamentano la violazione dell�art. 9, 
comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001, e degli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, lettere 
z) e ll), della legge n. 42 del 2009. 

3.1.� Le censure relative agli artt. 3 e 97 Cost. sono inammissibili, in quanto non sufficientemente 
motivate. 

La Regione ricorrente si limita a lamentare la genericit� e l�indeterminatezza della disposizione 
impugnata, omettendo di mostrare le ragioni per cui tali caratteristiche della normativa 
in esame determinino una lesione dei principi di ragionevolezza e buon andamento 
della pubblica amministrazione, invocati a parametro di giudizio, e trascurando del tutto di 
indicare come l�asserita violazione di tali principi ridondi sul riparto di competenze sancito 
dal Titolo V della Parte seconda della Costituzione. 

3.2.� Ugualmente inammissibili sono le questioni prospettate in riferimento agli artt. 
5 e 114 Cost., e al principio di cui all�art. 9, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001. 
Su tali punti il ricorso risulta carente di motivazione e financo inconferente. Dette censure 
sono esclusivamente v�lte a rivendicare la posizione equiordinata di cui godrebbero le Regioni 
rispetto allo Stato, che renderebbe illegittima l�introduzione di qualsiasi strumento di controllo 
statale sulle Regioni, senza che siano addotte specifiche argomentazioni in ordine alla asserita 
illegittimit� costituzionale della disposizione impugnata. La motivazione, oltre che insufficiente, 
appare anche inconferente, in quanto la norma censurata non ripristina alcun controllo 
sugli atti legislativi o amministrativi delle Regioni, in contrasto con la legge costituzionale n. 
3 del 2001, invocata a parametro del presente giudizio. 

3.3.� Infine, � inammissibile, per carenza assoluta di motivazione, il ricorso della Regione 
Veneto nella parte in cui ritiene violati l�art. 119 Cost. e gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 
2, lettere z) e ll), del legge n. 42 del 2009. Sul punto, il ricorso � privo di qualunque svolgimento 
argomentativo, limitandosi a richiamare le suddette norme, senza mostrare in quale 
senso esse risultino incise dalle disposizioni impugnate e senza neppure offrire ragioni a sostegno 
della possibilit� di far valere l�evocata legge n. 42 del 2009 come parametro nei giudizi 
davanti a questa Corte. 


4.� Nel merito, le rimanenti questioni aventi ad oggetto l�art. 1, comma 4, non sono 
fondate. 

4.1.� Occorre, anzitutto, chiarire il significato della disposizione impugnata, alla luce 
del contesto normativo in cui s�inscrive. 

Il contenuto del censurato art. 1, comma 4, infatti, pu� essere compreso solo in relazione 
ai commi che lo precedono, dal momento che esso prevede che le Regioni e gli altri enti territoriali 
si adeguino ai principi desumibili dai primi tre commi del medesimo art. 1 e, al fine 
di incentivare gli enti territoriali ad operare nel senso indicato dal legislatore statale, il comma 
4 afferma che �il predetto adeguamento costituisce elemento di valutazione della virtuosit��, 
alla quale si connettono conseguenze di ordine finanziario, secondo quanto previsto dall�art. 
20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), 
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111. 

I principi contenuti nei commi 1, 2 e 3 dell�art. 1 - la cui attuazione da parte di tutti gli 
enti territoriali il legislatore intende incentivare con il dispositivo contenuto nel comma 4, oggetto 
del presente giudizio - riguardano la liberalizzazione delle attivit� economiche e si pongono 
in linea di continuit�, anche attraverso richiami testuali espliciti, con l�art. 3 del 
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria 
e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, su 
cui questa Corte si � pronunciata con sentenza n. 200 del 2012. 

In vista di una progressiva e ordinata liberalizzazione delle attivit� economiche, l�art. 1 
del decreto-legge n. 1 del 2012 prevede un procedimento di ri-regolazione delle attivit� economiche 
a livello statale, da realizzarsi attraverso strumenti di delegificazione, che mira al-
l�abrogazione delle norme che, a vario titolo e in diverso modo, prevedono limitazioni o 
pongono condizioni o divieti che ostacolano l�iniziativa economica o frenano l�ingresso nei 
mercati di nuovi operatori, fatte salve le regolamentazioni giustificate da �un interesse generale, 
costituzionalmente rilevante e compatibile con l�ordinamento comunitario� (art. 1, 
comma 1, lettera a), e che siano adeguate e proporzionate alle finalit� pubbliche perseguite 
(art. 1, comma 1, lettera b). Allo stesso scopo, l�art. 1, comma 2, prevede che �[l]e disposizioni 
recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all�accesso ed all�esercizio delle attivit� economiche
� siano �interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato 
alle perseguite finalit� di interesse pubblico generale� e indica una serie d�interessi 
pubblici, anche di rango costituzionale, che possono giustificare limiti e controlli, v�lti, ad 
esempio, �ad evitare possibili danni alla salute, all�ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico 
e culturale, alla sicurezza, alla libert�, alla dignit� umana e possibili contrasti con l�utilit� 
sociale, con l�ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed 
internazionali della Repubblica�. Segue, all�art. 1, comma 3, la previsione che il Governo individui 
con regolamenti di delegificazione, ai sensi dell�art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 
1988, n. 400 (Disciplina dell�attivit� di Governo e ordinamento della Presidenza del 
Consiglio dei Ministri), le attivit� per le quali permangono limiti, regolamentazioni e controlli 
e identifichi, altres�, le disposizioni legislative e regolamentari che, invece, risultano abrogate 
a decorrere dalla data di entrata in vigore dei regolamenti stessi. 

Vista nel suo insieme, la disciplina contenuta nell�art. 1 del decreto-legge n. 1 del 2012 
si colloca nel solco di un�evoluzione normativa diretta ad attuare �il principio generale della 
liberalizzazione delle attivit� economiche, richiedendo che eventuali restrizioni e limitazioni 
alla libera iniziativa economica debbano trovare puntuale giustificazione in interessi di rango 
costituzionale� (sentenza n. 200 del 2012). Tale intervento normativo, conformemente ai prin



cipi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, �prelude a una razionalizzazione della regolazione, 
che elimini, da un lato, gli ostacoli al libero esercizio dell�attivit� economica che 
si rivelino inutili o sproporzionati e, dall�altro, mantenga le normative necessarie a garantire 
che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l�utilit� sociale� e con gli altri 
principi costituzionali (sentenza n. 200 del 2012). 

4.2.� In questo quadro, l�art. 1, comma 4, estende all�intero sistema delle autonomie il 
compito di attuare i principi di liberalizzazione, come sopra delineati. Del resto, affinch� 
l�obiettivo perseguito dal legislatore possa ottenere gli effetti sperati, in termini di snellimento 
degli oneri gravanti sull�esercizio dell�iniziativa economica, occorre che l�azione di tutte le 
pubbliche amministrazioni - centrali, regionali e locali - sia improntata ai medesimi principi, 
per evitare che le riforme introdotte ad un determinato livello di governo siano, nei fatti, vanificate 
dal diverso orientamento dell�uno o dell�altro degli ulteriori enti che compongono 
l�articolato sistema delle autonomie. Quest�ultimo, infatti, risponde ad una logica che esige il 
concorso di tutti gli enti territoriali all�attuazione dei principi di simili riforme. A titolo esemplificativo, 
si pu� rammentare che persino gli statuti di autonomia speciale prevedono che le 
norme fondamentali delle riforme economico-sociali costituiscono vincoli ai rispettivi legislatori 
regionali e provinciali, che sono tenuti ad osservarle nell�esercizio di ogni tipo di competenza 
ad essi attribuita. Per queste ragioni, il principio di liberalizzazione delle attivit� 
economiche - adeguatamente temperato dalle esigenze di tutela di altri beni di valore costituzionale 
- si rivolge tanto al governo centrale (art. 1, commi 1, 2 e 3), quanto a Comuni, Province, 
Citt� Metropolitane e Regioni (art. 1, comma 4), perch� solo con la convergenza 
dell�azione di tutti i soggetti pubblici esso pu� conseguire risultati apprezzabili. 

4.3.� L�ampiezza dei principi di razionalizzazione della regolazione delle attivit� economiche 
non comporta, nel caso in esame, l�assorbimento delle competenze legislative regionali 
in quella spettante allo Stato nell�ambito della tutela della concorrenza, ex art. 117, 
secondo comma, lettera e), Cost., che pure costituisce il titolo competenziale sulla base del 
quale l�atto normativo statale impugnato � stato adottato. Al contrario: grazie alla tecnica normativa 
prescelta, i principi di liberalizzazione presuppongono che le Regioni seguitino ad 
esercitare le proprie competenze in materia di regolazione delle attivit� economiche, essendo 
anzi richiesto che tutti gli enti territoriali diano attuazione ai principi dettati dal legislatore 
statale. Le Regioni, dunque, non risultano menomate nelle, n� tanto meno private delle, competenze 
legislative e amministrative loro spettanti, ma sono orientate ad esercitarle in base ai 
principi indicati dal legislatore statale, che ha agito nell�esercizio della sua competenza esclusiva 
in materia di concorrenza. 

4.4.� Ci� determina l�infondatezza delle censure relative all�art. 117, secondo, terzo, 
quarto e sesto comma, e 118 Cost., dato che con la disposizione impugnata il �legislatore nazionale 
non ha occupato gli spazi riservati a quello regionale, ma ha agito presupponendo invece 
che le singole Regioni continuino ad esercitare le loro competenze, conformandosi 
tuttavia ai principi stabiliti a livello statale� (sentenza n. 200 del 2012). 

4.5.� Neppure sono fondate le censure, prospettate dalla Regione Veneto, in riferimento 
all�art. 117, primo e quinto comma, Cost., considerato che non emerge alcun profilo di contrasto 
con il diritto dell�Unione europea, mentre, sotto il profilo del riparto di competenze, la 
disposizione impugnata si qualifica in termini di �tutela della concorrenza� (ex plurimis, sentenze 
n. 299 e n. 200 del 2012), rientrando dunque pienamente all�interno delle competenze 
di pertinenza esclusiva statale, ex art. 117, secondo comma, Cost., senza nulla togliere alle 
Regioni in materia di attuazione del diritto europeo. 


4.6.� Quanto alla violazione del principio di leale collaborazione, lamentata dalla Regione 
Veneto, la relativa questione � parimenti infondata. 

A prescindere da ogni considerazione sulla formulazione, in vero poco perspicua, della 
censura, occorre ribadire che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l�invocato principio 
non trova applicazione in riferimento al procedimento legislativo ed, inoltre, �esso non opera 
allorch� lo Stato eserciti la propria competenza legislativa esclusiva in materia di �tutela della 
concorrenza�� (cos� la sentenza n. 299 del 2012 e similmente le sentenze n. 234 del 2012, n. 
88 del 2009 e n. 219 del 2005). 

5.� Il principale elemento di novit� della disposizione impugnata, rispetto all�evoluzione 
normativa sopra richiamata (punto 4.1.), � costituito dal raccordo tra attuazione dei principi 
di razionalizzazione delle attivit� economiche e implicazioni di natura finanziaria a carico 
delle autonomie territoriali. Proprio in ordine a tale correlazione � stato formulato il pi� nutrito 
gruppo di censure, per violazione dell�art. 117, terzo comma, e 119 Cost., rispettivamente in 
materia di coordinamento della finanza pubblica e autonomia finanziaria regionale. 

5.1.� Le questioni non sono fondate. 

L�art. 1, comma 4, censurato, prevede che la Presidenza del Consiglio comunichi al Ministero 
dell�economia �gli enti che hanno proceduto all�applicazione delle procedure previste 
dal presente articolo�, volte all�attuazione del principio di liberalizzazione. Tale adeguamento 
viene considerato tra i parametri di �virtuosit��, sulla base dei quali, ai sensi dell�art. 20, 
comma 2, del decreto-legge n. 98 del 2011, gli enti territoriali vengono suddivisi in due classi, 
ai fini del rispetto del patto di stabilit� interno. Gli enti stimati complessivamente virtuosi 
sono chiamati a rispettare vincoli di finanza pubblica meno stringenti rispetto agli enti meno 
virtuosi, come ad esempio quelli relativi al contenimento delle spese correnti, ai sensi dell�art. 
77-ter, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo 
economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione della finanza pubblica 
e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133. 
Al contrario, gli enti collocati nella classe meno virtuosa subiscono una riduzione dei trasferimenti 
e concorrono alla realizzazione di obiettivi di finanza pubblica maggiormente onerosi, 
ai sensi dell�art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in 
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivit� economica), convertito, con modificazioni, 
nella legge 30 giugno 2010, n. 122. 

La valutazione della �virtuosit�� degli enti si basa su un complesso di parametri assai 
articolato (ex art. 20, comma 2, lettere da a a l, e comma 2-bis, del decreto-legge n. 98 del 
2011), tra i quali la disposizione impugnata introduce anche l�adeguamento ai principi della 
razionalizzazione della regolazione economica, quale elemento aggiuntivo rispetto agli altri 
fattori gi� previsti dal legislatore. 

5.2.� Non � difficile cogliere la ratio del legame tracciato dal legislatore fra le politiche 
economiche di liberalizzazione, intesa come razionalizzazione della regolazione, e le implicazioni 
finanziarie delle stesse. Secondo l�impostazione di fondo della normativa - ispirata a 
quelle evidenze economiche empiriche che individuano una significativa relazione fra liberalizzazioni 
e crescita economica, su cui poggiano anche molti interventi delle istituzioni europee 

-� ragionevole ritenere che le politiche economiche volte ad alleggerire la regolazione, liberandola 
dagli oneri inutili e sproporzionati, perseguano lo scopo di sostenere lo sviluppo del-
l�economia nazionale. Questa relazione tra liberalizzazione e crescita economica appare 
ulteriormente rilevante in quanto, da un lato, la crescita economica � uno dei fattori che pu� 
contribuire all�aumento del gettito tributario, che, a sua volta, concorre alla riduzione del disa



vanzo della finanza pubblica; dall�altro, non si pu� trascurare il fatto che il Patto europeo di 
stabilit� e crescita - che � alla base del Patto di stabilit� interno - esige il rispetto di alcuni indici 
che mettono in relazione il prodotto interno lordo, solitamente preso a riferimento quale misura 
della crescita economica di un Paese, con il debito delle amministrazioni pubbliche e con il 
deficit pubblico. Il rispetto di tali indici pu� essere raggiunto, sia attraverso la crescita del prodotto 
interno lordo, sia attraverso il contenimento e la riduzione del debito delle amministrazioni 
pubbliche e del deficit pubblico. In questa prospettiva, � ragionevole che la norma impugnata 
consenta di valutare l�adeguamento di ciascun ente territoriale ai principi della razionalizzazione 
della regolazione, anche al fine di stabilire le modalit� con cui questo debba partecipare al risanamento 
della finanza pubblica. L�attuazione di politiche economiche locali e regionali volte 
alla liberalizzazione ordinata e ragionevole e allo sviluppo dei mercati, infatti, produce dei riflessi 
sul piano nazionale, sia quanto alla crescita, sia quanto alle entrate tributarie, sia, infine, 
quanto al rispetto delle condizioni dettate dal Patto europeo di stabilit� e crescita. 

5.3.� Complessivamente, dunque, non � irragionevole che il legislatore abbia previsto 
un trattamento differenziato fra enti che decidono di perseguire un maggiore sviluppo economico 
attraverso politiche di ri-regolazione dei mercati ed enti che, al contrario, non lo fanno, 
purch�, naturalmente, lo Stato operi tale valutazione attraverso strumenti dotati di un certo 
grado di oggettivit� e comparabilit�, che precisino ex ante i criteri per apprezzare il grado di 
adeguamento raggiunto da ciascun ente nell�ambito del processo complessivo di razionalizzazione 
della regolazione, all�interno dei diversi mercati singolarmente individuati. 

Introdurre un regime finanziario pi� favorevole per le Regioni che sviluppano adeguate 
politiche di crescita economica costituisce, dunque, una misura premiale non incoerente rispetto 
alle politiche economiche che si intendono, in tal modo, incentivare. 

Non sussiste pertanto alcuna violazione sotto l�invocato profilo dell�art. 119 Cost., n� 
dell�art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica. 

6.� La Regione Toscana ha promosso questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 
35, comma 7, del d.l. n. 1 del 2012 convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2012 

-che ha soppresso l�intesa introdotta con l�art. 10, comma 1, del decreto legislativo 6 maggio 
2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario 
e delle province, nonch� di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), 
nell�ambito del procedimento volto all�adozione dell�atto di indirizzo di cui all�art. 
59 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell�organizzazione del Governo, 
a norma dell�articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), adottato dal Ministero dell�economia 
e delle finanze - per violazione degli artt. 77, secondo comma, 117, terzo comma (in 
materia di coordinamento del sistema tributario), 118, primo comma, e 119, secondo comma, 
Cost., nonch� del principio di leale collaborazione. 

6.1.� In riferimento alle censure mosse nei confronti dell�art. 35, comma 7, � necessario, 
in primo luogo, indagare il significato sia del cosiddetto �atto di indirizzo� del Ministro 
dell�economia e delle finanze, che costituisce il presupposto per il rinnovo della Convenzione 
tra il Ministero e l�Agenzia delle entrate, prevista dall�art. 59 del d.lgs. n. 300 del 1999, sia di 
tale Convenzione. 

Quest�ultima, in particolare, disciplina i rapporti tra Ministero dell�economia e delle finanze 
e Agenzia delle entrate, in relazione alle funzioni amministrative di riscossione alla 
stessa rimesse. In merito alla suddetta Convenzione, la Corte costituzionale ha gi� avuto modo 
di precisare che: �la citata Convenzione [�] non � idonea a produrre lesione della sfera di 
competenza costituzionale della ricorrente [Regione Siciliana], in quanto essa disciplina i rap



porti tra il Ministero e l�Agenzia, senza alcun riferimento alle competenze regionali, n� contiene 
alcun profilo che in qualche modo possa dar luogo ad una compressione dei poteri regionali 
in materia di riscossione dei tributi� (sentenza n. 288 del 2004). Di conseguenza, come 
pure precisato nella predetta sentenza, la possibilit� di pervenire a una intesa tra Regione e 
Agenzia delle entrate per la riscossione dei tributi di spettanza regionale non risulta in alcun 
modo pregiudicata dalla Convenzione stipulata a livello centrale, per ambiti diversi ed estranei 
alle competenze regionali, tra Ministero e Agenzia. 

Il d.lgs. n. 68 del 2011 segue proprio questa impostazione, prevedendo specifiche Convenzioni 
tra Regioni e Agenzia delle entrate, distinte da quella tra Ministero e Agenzia. Infatti, 
ai sensi dell�art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 68 del 2011 �le Regioni possono definire con specifico 
atto convenzionale, sottoscritto con il Ministero dell�economia e delle finanze e con 
l�Agenzia delle entrate, le modalit� gestionali e operative dei tributi regionali, nonch� di ripartizione 
degli introiti derivanti dall�attivit� di recupero dell�evasione�, nel rispetto della autonomia 
organizzativa delle stesse e nella scelta delle forme di organizzazione delle attivit� di 
gestione e di riscossione. La disposizione prosegue, specificando che �[l]�atto convenzionale, 
sottoscritto a livello nazionale, riguarda altres� la compartecipazione al gettito dei tributi erariali
�. E ancora, l�art. 10, comma 4, del medesimo decreto legislativo specifica che le modalit� 
di gestione dell�IRAP e dell�addizionale regionale all�IRPEF, nonch� il relativo rimborso spese, 
sono disciplinate sulla base di convenzioni da definire tra l�Agenzia delle entrate e le Regioni. 

6.2.� Stante l�estraneit� della disposizione impugnata agli ambiti di competenza regionale, 
la questione sollevata relativamente alla violazione dell�art. 77, secondo comma, 
Cost., � inammissibile. 

Questa Corte, con giurisprudenza costante, ha ritenuto, infatti, ammissibili le questioni 
di legittimit� costituzionale proposte da una Regione, nell�ambito di un giudizio in via principale, 
in riferimento a parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo V della Parte seconda 
della Costituzione, solo quando sia possibile rilevare la ridondanza delle asserite violazioni 
sul riparto di competenze tra Stato e Regioni e la ricorrente abbia indicato le specifiche competenze 
ritenute lese indirettamente dalla violazione di parametri diversi da quelli contenuti 
nel Titolo V, nonch� le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis, sentenze n. 22 del 2012, 

n. 128 del 2011, n. 326 del 2010, n. 116 del 2006, n. 280 del 2004). In particolare, con riferimento 
all�art. 77 Cost., questa Corte ha ribadito in parte qua la giurisprudenza sopra ricordata, 
riconoscendo che le Regioni possono impugnare un decreto-legge per motivi attinenti alla 
pretesa violazione del medesimo art. 77, ove adducano che da tale violazione derivi una compressione 
delle loro competenze costituzionali (ex plurimis, sentenza n. 6 del 2004). Tale circostanza 
non ricorre nel caso di specie, in quanto, come eccepito dall�Avvocatura generale 
dello Stato, non si vede come l�asserita mancanza di ragioni di straordinaria necessit� e urgenza, 
richieste dall�art. 77 Cost., si ripercuota sul riparto delle competenze legislative. 

6.3.� Nel merito, alla luce del quadro normativo poco sopra illustrato, le questioni sollevate 
in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118, primo comma, 119, secondo comma, 
Cost. e al principio di leale collaborazione non sono fondate. 

�, infatti, in sede di Convenzione tra Regioni e Agenzia delle entrate, e non nell�ambito 
della formazione del cosiddetto atto di indirizzo ministeriale, che possono trovare spazio le 
indicazioni regionali - spazio di cui la ricorrente ritiene essere stata privata con l�eliminazione 
dell�intesa ad opera della disposizione impugnata - ed �, di nuovo, in tale sede che deve e pu� 
trovare possibilit� di esprimersi la leale collaborazione tra Stato e Regioni, come previsto, 
del resto, dai commi 5, 6, e 7 dell�art. 10 del d.lgs. n. 68 del 2011, secondo cui �Al fine di as



sicurare a livello territoriale il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale di cui al comma 
1, la convenzione di cui al comma 2 pu� prevedere la possibilit� per le regioni di definire, di 
concerto con la Direzione dell�Agenzia delle entrate, le direttive generali sui criteri della gestione 
e sull�impiego delle risorse disponibili. Previo accordo sancito in sede di Conferenza 
Stato-Regioni, con decreto del Ministro dell�economia e delle finanze sono definite le modalit� 
attuative delle disposizioni di cui al comma 5. Per la gestione dei tributi il cui gettito sia ripartito 
tra gli enti di diverso livello di governo la convenzione di cui al comma 2 prevede 
l�istituzione presso ciascuna sede regionale dell�Agenzia delle Entrate di un Comitato regionale 
di indirizzo, di cui stabilisce la composizione con rappresentanti designati dal direttore 
dell�Agenzia delle entrate, dalla regione e dagli enti locali. La citata gestione dei tributi � 
svolta sulla base di linee guida concordate nell�ambito della Conferenza Stato-Regioni, con 
l�Agenzia delle entrate�. 

Alla luce di detto contesto normativo, la soppressione dell�intesa - che non era prevista 
nell�originaria formulazione dell�art. 59 del d.lgs. n. 300 del 1999, ma � stata introdotta con 
l�art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011, e subito eliminata con l�art. 35, comma 7, del 
decreto-legge n. 1 del 2012, in questa sede impugnato - non determina alcuna lesione delle 
competenze regionali in tema di coordinamento del sistema tributario di cui all�art. 117, terzo 
comma, Cost., n� viola in alcun modo il principio di leale collaborazione. Per le medesime 
ragioni non sono neppure fondate le censure basate sulla violazione dell�art. 118, primo 
comma, Cost., e dell�art. 119, secondo comma, Cost. 

PER QUESTI MOTIVI 

LA CORTE COSTITUZIONALE 

riservata a separate pronunce la decisione delle questioni di legittimit� costituzionale 
riguardanti le altre disposizioni contenute nel decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni 
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivit�), convertito 
con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27, 

riuniti i giudizi, 

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimit� costituzionale dell�articolo 1, comma 
4, del decreto-legge n. 1 del 2012, come convertito nella legge n. 27 del 2012, promosse dalla 
Regione Veneto con riferimento agli articoli 3, 5, 97, 114 e 119 della Costituzione; 9, comma 
2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda 
della Costituzione); 1, comma 1, e 2, comma 2, lettere z) e ll), della legge 5 maggio 2009, n. 
42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell�articolo 119 della 
Costituzione), con il ricorso indicato in epigrafe; 

2) dichiara inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell�articolo 35, 
comma 7, del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 
del 2012, promossa, in riferimento all�articolo 77, secondo comma, della Costituzione dalla 
Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe; 

3) dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale dell�articolo 1, comma 
4, del decreto-legge n. 1 del 2012, come convertito nella legge n. 27 del 2012, promosse dalla 
Regione Toscana e dalla Regione Veneto, con riferimento agli articoli 117, primo, secondo, 
terzo, quarto, quinto e sesto comma, 118, 119 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, 
con i ricorsi indicati in epigrafe; 

4) dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale dell�articolo 35, comma 
7, del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2012, 
promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, 118, primo comma, 119, secondo 


comma, della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Toscana con 
il ricorso indicato in epigrafe. 

Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 
16 gennaio 2013. 

Corte costituzionale, sentenza 16 aprile 2013 n. 70 -Pres. Mazzella, Rel. Lattanzi -avv. 
Stato A. Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri e avv. A. Bove per la Regione 
Campania. 
(...) 


Considerato in diritto 

1.. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall�Avvocatura generale 
dello Stato, ha promosso questioni di legittimit� costituzionale dell�articolo 5, comma 
2, della legge della Regione Campania 21 maggio 2012, n. 13, recante �Interventi per il sostegno 
e la promozione della castanicoltura e modifiche alla legge regionale 27 gennaio 2012, 

n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della 
Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2012)�, in riferimento agli articoli 117 e 
118, nonch� 117, secondo comma, lettera l), e 97 della Costituzione. 

La questione si collega a un ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri avverso la 
legge della Regione Campania 1� luglio 2011, n. 11 (Disposizioni urgenti in materia di impianti 
eolici), che � stato deciso da questa Corte con l�ordinanza n. 89 del 2012, di estinzione 
del processo a seguito di rinuncia. 

La rinuncia � avvenuta dopo l�abrogazione, a far data dal 29 febbraio 2012, della norma 
allora impugnata, con la quale si prevedeva che la costruzione di nuovi aereogeneratori fosse 
autorizzabile solo nel rispetto di una distanza pari o superiore a 800 metri dall�aereogeneratore 
pi� vicino. 

La disposizione oggi censurata interviene sul testo della norma abrogatrice, ovvero sul-
l�art. 52, comma 15, della legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni 
per la formazione del Bilancio Annuale 2012 e Pluriennale 2012-2014 della Regione Campania 
- Legge finanziaria regionale 2012), per stabilire che il termine del 29 febbraio 2012 � 
differito al 30 giugno 2012. 

Il ricorrente afferma che il legislatore regionale avrebbe indotto lo Stato a rinunciare al 
ricorso, definito con l�ordinanza n. 89 del 2012, per poi reintrodurre la norma che ne era oggetto, 
cos� violando il principio di leale collaborazione. 

In secondo luogo, gli effetti retroattivi della norma impugnata, in deroga agli artt. 11 e 
15 delle disposizioni sulla legge in generale, sarebbero preclusi dalla competenza esclusiva 
dello Stato in materia di ordinamento civile. 

Infine, la tecnica legislativa seguita nel caso di specie avrebbe ingenerato forti difficolt� 
applicative, in contrasto con l�art. 97 Cost. 

2.. In via preliminare, la Corte prende atto che la norma impugnata � stata abrogata dall�art. 
42, comma 4, della legge della Regione Campania 9 agosto 2012, n. 26 (Norme per la protezione 
della fauna selvatica e disciplina dell�attivit� venatoria in Campania), �dalla data di entrata in vigore 
della presente legge�, ovvero dal 14 agosto 2012; tuttavia, contrariamente a quanto eccepito 
dalla difesa regionale in punto di �inammissibilit� del ricorso�, con ci� non si � determinata la 
cessazione della materia del contendere, perch� non si pu� escludere che la norma abbia trovato 
medio tempore applicazione (ex plurimis, sentenze n. 243 del 2012 e n. 158 del 2012). 

Per smentire questa ipotesi, la Regione Campania ha prodotto in giudizio una nota del



l�amministrazione regionale, con la quale si certifica che nel periodo compreso tra il 29 maggio 
2012 ed il 30 giugno 2012 �alcun procedimento ha avuto esito negativo in ragione della riviviscenza
� della legge reg. Campania n. 11 del 2011. Ma la data iniziale cos� individuata, con 
riferimento all�entrata in vigore della legge regionale oggi impugnata, non garantisce che il 
divieto da essa reintrodotto non abbia avuto concreta applicazione dal 29 febbraio fino al 28 
maggio seguente. Ci� sarebbe in linea astratta possibile, posto che, differendo il termine abrogativo 
recato dall�art. 52, comma 15, della legge reg. Campania n. 1 del 2012, l�ordinamento 
regionale ha inteso escludere che l�abrogazione potesse avere efficacia da quando era stata 
inizialmente disposta, e dunque dal 29 febbraio, fino al 30 giugno. 

In ogni caso, con riguardo all�intero arco temporale compreso tra il 29 febbraio e il 30 
giugno, in presenza di una norma di divieto, neppure vi � la certezza che essa non sia stata 
presa in considerazione nel corso della fase istruttoria di procedimenti amministrativi, che 
avrebbero avuto esito favorevole proprio perch� la parte istante si era uniformata a tale divieto. 

3.. L�eccezione di inammissibilit� del ricorso, avanzata dalla Regione Campania per il 
fatto che il ricorrente non ha riproposto le censure che lo avevano indotto ad impugnare la 
precedente legge regionale n. 11 del 2011, non � fondata. Si tratta di una decisione dipendente 
dalla libera scelta della parte del giudizio in via principale, che non ha alcun nesso, neppure 
sul piano logico, con l�iniziativa di contestare per altri profili l�esercizio della potest� legislativa 
regionale su vicende analoghe. 

4.. La questione di legittimit� costituzionale della norma impugnata � fondata con riferimento 
all�art. 97 Cost., che viene posto a base del ricorso con adeguata motivazione. 

Questa Corte ha gi� affermato che non � conforme a tale disposizione costituzionale 
l�adozione, per regolare l�azione amministrativa, di una disciplina normativa �foriera di incertezza
�, posto che essa �pu� tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura 
della pubblica amministrazione� (sentenza n. 364 del 2010). 

Il fenomeno della riviviscenza di norme abrogate, quand�anche si manifesti nell�ambito 
delle �ipotesi tipiche e molto limitate� che l�ordinamento costituzionale tollera, rientra in 
linea generale in questa fattispecie, perch� pu� generare �conseguenze imprevedibili� (sentenza 
n. 13 del 2012), valutabili anche con riguardo all�obbligo del legislatore di assicurare il 
buon andamento della pubblica amministrazione. 

Nel caso di specie, il legislatore regionale, dopo avere dettato una regola di azione per 
l�amministrazione regionale, l�ha prima abrogata; poi l�ha fatta rivivere, ma solo per un periodo 
di tempo limitato e attraverso la tecnica, di per s� dagli esiti incerti, del differimento di 
un termine abrogativo gi� interamente maturato; infine l�ha nuovamente abrogata. 

Questa Corte � chiamata a giudicare della legittimit� costituzionale proprio della fase 
pi� critica di tale manifestamente irrazionale esercizio della discrezionalit� legislativa, segnata 
dalla presunta riviviscenza del divieto recato dalla legge reg. Campania n. 11 del 2011. I procedimenti 
amministrativi che si sono svolti in questo periodo di tempo sono stati assoggettati 
ad una normativa difficilmente ricostruibile da parte dell�amministrazione, continuamente 
mutevole, e, soprattutto, non sorretta da alcun interesse di rilievo regionale degno di giustificare 
una legislazione cos� ondivaga. 

Se, infatti, il legislatore campano avesse ritenuto prioritario imporre il divieto in questione, 
non si vede perch� avrebbe deciso di farlo rivivere solo fino al 30 giugno 2012, n� si 
capisce che cosa ne avrebbe determinato la successiva, nuova abrogazione da parte della legge 
regionale n. 26 del 2012, peraltro posteriore all�esaurimento dell�efficacia di tale divieto. 

La frammentariet� del quadro normativo in tal modo originato non � perci� giustificabile 


alla luce di alcun interesse, desumibile dalla legislazione regionale, ad orientare in modo non 
univoco l�esercizio della discrezionalit� legislativa, cos� da accordarla a necessit� imposte 
dallo scorrere del tempo. 

Ne consegue l�illegittimit� costituzionale della disposizione censurata per violazione 
dell�art. 97 Cost. 

5.. Sono assorbite le questioni relative agli artt. 117 e 118, nonch� 117, secondo comma, 
lettera l), Cost. 

PER QUESTI MOTIVI 

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�articolo 5, comma 2, della legge della Regione 
Campania 21 maggio 2012, n. 13, recante �Interventi per il sostegno e la promozione della 
castanicoltura e modifiche alla legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione 
del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Campania - Legge 
finanziaria regionale 2012)�. 

Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 
aprile 2013. 


La rilevanza dell'interesse legittimo 
nell'esercizio della protezione diplomatica 

CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 19 OTTOBRE 2011 N. 21581 

Benedetta Barmann* 

Con la sentenza n. 21581/2011 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione 
hanno accolto il ricorso proposto da una societ� privata, che svolgeva attivit� 
di collegamento marittimo tra Italia e Marocco, riconoscendo la sussistenza 
in capo alla stessa di un interesse legittimo a contestare la condotta adottata 
dal Governo italiano a seguito del diniego di autorizzazione da parte del Marocco 
all'esercizio dell'attivit� di collegamento. Come � stato osservato (1), 
tale pronuncia costituisce "uno sviluppo di un certo rilievo in tema di protezione 
diplomatica, con particolare riferimento alla possibilit� dell'individuo 
di contestare l'eventuale inerzia dello stato nazionale a tutelare le situazioni 
giuridiche individuali lese all'estero". 

Per meglio inquadrare la decisione delle Sezioni Unite ed analizzarne il 
contenuto innovativo, � bene, tuttavia, ricostruire brevemente la vicenda processuale 
che ha portato alla cassazione della sentenza del Consiglio di Stato 
impugnata dalla societ� ricorrente. Quest'ultima, difatti, si � rivolta alla Suprema 
Corte dopo essersi vista rigettare, sia in primo che in secondo grado, la 
richiesta di risarcimento del danno, attribuito ad una condotta omissiva del 
Governo italiano (in particolare, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero 
degli Affari Esteri e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti). Nello 
specifico, i giudici del TAR per il Lazio, con la sentenza n. 7278/2007, hanno 
negato la sussistenza del nesso di causalit� tra il danno lamentato (ovvero, l'interruzione 
del collegamento marittimo) e l'illegittimit� imputata allo Stato italiano 
(consistente nell'aver omesso di intervenire in protezione diplomatica 
nei confronti dello Stato marocchino). Tale pronuncia � stata impugnata dinanzi 
al Consiglio di Stato, richiedendone la riforma nel senso del riconoscimento 
del diritto al risarcimento del danno. Ha osservato l'Alto Consesso come 
la ricorrente, pur riconoscendo che la mancata autorizzazione all'esercizio del-
l'attivit� di collegamento marittimo sia imputabile allo Stato marocchino, sostenga 
la concorrente responsabilit� dello Stato italiano per non aver posto in 
essere le azioni sufficienti per dare effettiva attuazione alla L. n. 433/1985 (2) 

(*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 

(1) P. PUSTORINO, Protezione diplomatica e interesse legittimo dell�individuo, in Rivista di diritto 
internazionale, volume XCV 1/2012, pp. 156-159. 
(2) Ratifica ed esecuzione dell'accordo in materia di marina mercantile tra il Governo della Repubblica 
italiana ed il Governo del Regno del Marocco. 



e per non aver adottato le misure previste dalla L.n. 69/1987 (3), la quale prevede 
che in caso di manifesta attivit� di boicottaggio da parte di uno Stato 
straniero, lo Stato italiano debba intervenire con apposite misure anti-discriminatorie 
(4). Sulla base di tali allegazioni, il Consiglio di Stato ha correttamente 
inquadrato la questione nell'ambito dell'istituto della protezione 
diplomatica e, basandosi sull'orientamento giurisprudenziale sviluppatosi in 
proposito, ha affermato che il Governo non � obbligato, nei confronti del cittadino 
che la invoca, ad esercitare la protezione diplomatica contro lo Stato 
straniero; pi� specificatamente, si legge nel dispositivo che: "gli atti compiuti 
da uno Stato nel regolamento delle relazioni internazionali sono infatti atti 
politici e, come tali, sottratti al sindacato giurisdizionale, sia ordinario che 
amministrativo. Deve quindi escludersi che il cittadino possa pretendere il risarcimento 
del danno per il mancato esercizio della c.d. protezione diplomatica" 
(Consiglio di Stato, Sezione VI, sent. n. 8719/2009). 

Dunque, il Consiglio nega la fondatezza del ricorso ritenendo, in via pregiudiziale, 
che gli atti del Governo, espressione dell'esercizio della protezione 
diplomatica, essendo atti politici stricto sensu, siano sottratti al sindacato del-
l'autorit� giudiziaria e che, conseguentemente, attesa la non obbligatoriet� del 
loro esercizio, la mancata attivazione del Governo attraverso tali provvedimenti 
non possa costituire fonte di danno. 

A questo proposito, � necessario evidenziare che l'orientamento seguito 
dal Consiglio di Stato risulta essere perfettamente in linea con quella che � stata 
l'impostazione seguita dalla dottrina e dalla giurisprudenza fino ad oggi (rectius, 
fino alla pronuncia della Cassazione). Secondo la concezione tradizionale, difatti, 
la protezione diplomatica costituisce un istituto del diritto internazionale 
volto alla protezione di un interesse diretto o di un diritto dello Stato che sia 
stato leso da un altro Stato attraverso un comportamento illecito tenuto nei confronti 
di un suo cittadino (5). Tale assunto � diretta conseguenza della concezione 
classica che nega rilevanza sul piano internazionale all'individuo ed ai 
suoi diritti; come � stato osservato (6), "lo Stato che agisce in protezione di


(3) Disposizioni per la difesa della Marina mercantile italiana. 

(4) A titolo esemplificativo, l'art. 1 stabilisce che lo Stato italiano ha facolt� di �limitare o vietare 
la partecipazione al trasporto marittimo originato dal sistema economico nazionale in entrata ed uscita 
dai porti italiani alle compagnie di navigazione di quei Paesi che limitano la libert� di concorrenza nei 
traffici marittimi internazionali con misure quali riserve di traffico, concorrenza non commerciale, regolamentazioni 
portuali e fiscali preferenziali, regimi di controllo o doganali ed altre misure comunque 
idonee ad influire sulla scelta della bandiera e a determinare, direttamente o indirettamente, in tutto o 
in parte, una ripartizione o un controllo unilaterale dei trasporti marittimi. Analoghi provvedimenti 
possono essere adottati nei confronti delle compagnie di navigazione che, pur non appartenendo ai predetti 
Paesi, effettuano tuttavia il trasporto in virt� delle misure da questi adottate�. 
(5) cos� A. BASSU, La rilevanza dell'interesse individuale nell'esercizio della protezione diplomatica, 
Giuffr�, 2008. 


(6) B. CONFORTI, Diritto internazionale, volume VIII, Editoriale scientifica. 


plomatica esercita un diritto di cui esso e non il suo suddito, �, dal punto di 
vista dell'ordinamento internazionale, titolare. Lo Stato non agisce come rappresentante 
o mandatario dell'individuo". Da ci� discende la conseguenza per 
cui l'esercizio della protezione diplomatica da parte di uno Stato � assolutamente 
discrezionale; dunque, non esisterebbe un dovere internazionale di protezione 
da parte degli Stati n� la legittimazione ad agire degli stessi pu� essere 
in alcun modo influenzata. Questa prevalenza dell'interesse statale su quello 
individuale priva i cittadini di avere giustizia anche sul piano interno, lasciando 
ai governi la piena libert� nel condurre le trattative sul piano internazionale. 

Questa � stata anche l'impostazione seguita dalla giurisprudenza interna; 
a titolo esemplificativo, si menziona la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, 
la n. 2452 del 12 luglio 1969, in cui si legge che: "la preminenza assoluta 
degli interessi della collettivit� organizzata a Stato, che con tali atti 
vengono tutelati, vieta che nel compimento degli atti medesimi sia imposto il 
minimo limite alla discrezionalit� degli organi che li pongono in essere ... l'interesse 
del singolo rimane pienamente sacrificato di fronte all'interesse dello 
Stato inteso come collettivit�" (7). 

Non sono mancate, tuttavia, gi� in passato, opinioni isolate secondo le 
quali agli individui spetterebbe il diritto di ottenere l'esercizio della protezione 
diplomatica da parte dello Stato; gi� autorevole dottrina (Conforti) si � posta 
il problema se, dal punto di vista del diritto interno, il Governo non sia obbligato 
nei confronti dei suoi cittadini ad esercitare la protezione diplomatica. Se 
in passato le risposte a tali interrogativi sono state sempre negative, con la 
sentenza delle Sezioni Unite presa in esame si � verificata una vera e propria 
inversione di tendenza. Queste ultime, infatti, accogliendo il ricorso proposto 
dalla societ� privata, annullano la decisione del Consiglio di Stato e rinviano 
nuovamente gli atti al Giudice Amministrativo per un nuovo giudizio. Dopo 
aver osservato che �l'esclusione della giurisdizione in ordine all'adozione o 
meno degli atti prospettati quale fonte di danno sia ricondotta in via consequenziale 
all'interpretazione dell'istituto della c.d. protezione diplomatica in 
termini di atto politico, come tale sottratto tout court a qualsivoglia sindacato 
giurisdizionale" conclude la Corte che "il rigetto della domanda risarcitoria 
motivato dal difetto di giurisdizione per la pretesa natura politica dell'attivit� 
lesiva - al cospetto di una espressa previsione costituzionale (art. 113) che 
non consente tale declinatoria tout court - si risolve, nella sostanza, nel diniego, 
in astratto, di qualsivoglia posizione giuridica azionabile dal privato, 
id est nel sostanziale rifiuto da parte del GA di esercitare, secondo il dettato 
costituzionale, la propria giurisdizione. (...) Il diniego assoluto di giurisdizione 
in subiecta materia si risolve nell�illegittimo diniego della sussistenza tout 

(7) Si pu� vedere anche la sentenza della Corte internazionale di Giustizia sul caso Barcelona 
Traction. 


court di qualsivoglia posizione soggettiva giuridicamente tutelata rispetto al 
mancato esercizio dei poteri attribuiti alle Amministrazioni dello Stato (...). 
In ordine all'illegittimo esercizio sussistono, pertanto, inalienabili posizioni 
soggettive di interesse legittimo (assimilabili alle legitimate expectations previste 
e tutelate in Common law in ordine all'esercizio di poteri derivanti, come 
nella specie, dal diritto internazionale consuetudinario), rispetto alle quali si 
pone al di fuori dei limiti della potestas iudicandi dell'organo di giustizia amministrativa 
il diniego assoluto di tutela giurisdizionale che, viceversa, attesa 
la gi� rilevata consistenza giuridica delle predette posizioni, deve ritenersi 
devoluta a quell'autorit� giudiziaria". 

Il riconoscimento da parte della Corte di una posizione giuridica soggettiva 
rispetto all'esercizio della protezione diplomatica costituisce, come ricordato, 
una novit� particolarmente rilevante nel nostro ordinamento; allo stesso 
tempo, tuttavia, si presentano all'interprete una serie di interrogativi. Difatti, 
non entrando le S.U. nel merito della risarcibilit� di detto interesse nel caso 
concreto (8), ma rimandando gli atti al Giudice amministrativo, viene spontaneo 
chiedersi quali siano i limiti entro i quali l'autorit� giudiziaria possa accordare 
il risarcimento del danno per la lesione dell'interesse dell'individuo 
rispetto all'esercizio della protezione diplomatica da parte dello Stato: o ancora 
meglio, quand'� che detto interesse possa dirsi leso? Solo in caso di mancato 
esercizio della protezione diplomatica o anche nell'ipotesi in cui le misure 
adottate dal Governo vengano giudicate inadeguate al caso di specie? Una risposta 
affermativa a quest'ultimo interrogativo introdurrebbe la possibilit� di 
entrare nel merito dell'attivit� di Governo sul piano internazionale. 

Bisogna riconoscere, tuttavia, come � stato autorevolmente osservato (9), 
che con questa pronuncia la Cassazione mostra di conoscere bene gli sviluppi 
della giurisprudenza internazionale sul tema; in particolare, nell'ambito di alcuni 
sistemi giuridici nazionali si � registrata una nuova tendenza che sembrerebbe 
orientarsi verso il riconoscimento di un diritto individuale di 
promuovere un ricorso interno, mirante al controllo giurisdizionale della decisione 
da parte di uno stato di agire o meno in protezione diplomatica (10). 
Difatti, l'analisi comparativa della giurisprudenza degli Stati europei pi� recente 
(11) conduce ad alcuni importanti sviluppi in tema di protezione diplomatica, 
nella misura in cui alcune Corti interne rilevano l'operativit� di alcuni 

(8) Senza contare che la sentenza non ha affrontato neanche la questione, pure importante, del 
previo esaurimento dei ricorsi interni prevista dal diritto internazionale come presupposto necessario 
affinch� uno Stato possa agire in protezione diplomatica. 
(9) P. PUSTORINO, Protezione diplomatica e interesse legittimo dell'individuo, in Rivista di diritto 
internazionale, volume XCV 1/2012, pp. 156-159. 
(10) cos�, L. PANELLA, La protezione diplomatica, sviluppi e prospettive, Giappichelli. 


(11) Ad es. Corte Costituzionale tedesca, caso Hess del 16 dicembre 1980 in cui si afferma che 
�gli organi della Repubblica Federale hanno il dovere (compito) costituzionale di fornire protezione ai 
cittadini tedeschi e ai loro interessi negli stati stranieri�. 



limiti al potere discrezionale dello Stato, che si manifestano in primo luogo 
nel diritto dell'individuo di attivare un ricorso interno mirante al controllo giurisdizionale 
della decisione statale; il fondamento di tale controllo viene spesso 
rinvenuto nell'esistenza di norme costituzionali o legislative che consentono 
un esame giurisdizionale delle decisioni assunte a livello governativo. In secondo 
luogo, sono stati enucleati alcuni indici, quali l'adeguatezza e la proporzionalit� 
rispetto al caso di specie (o, ancora, la ragionevolezza e la non 
arbitrariet� che devono essere rispettati dagli organi governativi sia in riferimento 
alla decisione di intervenire sia in relazione all'entit� dell'intervento 
(12)), sulla base dei quali � possibile valutare il contenuto dell'azione statale 
in protezione diplomatica, con riferimento all'importanza degli interessi individuali 
violati; tale giurisprudenza ha tuttavia specificato che tali interessi possono 
subire un contemperamento in virt� di superiori esigenze di politica estera 
ed � dato, comunque, rilevare il perdurare di un atteggiamento di deferenza 
degli organi giurisdizionali nei confronti dell'esecutivo; anche quelle corti che 
hanno dedotto l'esistenza di un obbligo costituzionale di protezione dei cittadini 
all'estero, hanno tuttavia ammesso che non si pu� imporre al Governo 
l'adozione di misure specifiche nella condotta delle relazioni internazionali, 
se non al rischio di ledere il principio della separazione dei poteri (13). 

Inoltre, � necessario sottolineare che, nei casi citati, il riconoscimento di 
un diritto dell'individuo affinch� lo Stato agisca in protezione diplomatica avviene, 
per lo pi�, quando si tratti di violazioni compiute dallo Stato straniero 
incidenti sui diritti umani; ci si domanda, dunque, se l'intervento del Governo 
in protezione diplomatica sia necessario e possa essere sottoposto ad un sindacato 
giurisdizionale anche nel caso in cui il privato, anzich� un diritto 
umano, faccia valere un interesse di tipo economico, come nel caso portato 
all'attenzione della Suprema Corte. 

In definitiva, dal momento che parametri di riferimento per l'indagine sul 
contenuto dell'azione statale non sono stati individuati dalla Suprema Corte, 
si resta in attesa di conoscere l'esito del giudizio riassunto dinanzi al Consiglio 
di Stato. 

(12) Per citarne alcuni: Corte d'appello dell'Aja sentenza 22 novembre 1984; Court of Appeal britannica 
nel caso Abbasi. 

(13) L. PANELLA, op. cit.. 


Cassazione civile, Sez. Un., sentenza 19 ottobre 2011 n. 21581 -Primo Pres. f.f. Vittoria, 
Rel. Travaglino, P.M. Iannelli (difforme) - �Il tuo viaggio� S.r.l. (avv.ti Aloisio e Gallo) c. 
Presidenza Consiglio dei Ministri, Ministero infrastrutture e trasporti, Ministero affari esteri 
(avv. gen. Stato). 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. La s.r.l. "Il Tuo Viaggio" contesta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero 
degli affari esteri la mancata attivazione dell'istituto della protezione diplomatica volta a sostenere 
le richieste dell'istante, che svolgeva attivit� di collegamento marittimo tra l'Italia e il 
Marocco, all'esito del rigetto dell'autorizzazione all'esercizio (o al suo mantenimento) della 
linea gestita ai sensi della L. n. 433 del 1985. 

1.1. L'odierna ricorrente espone che, adito il Tar Lazio per ottenere la convocazione della 
commissione italo-marocchina e il risarcimento dei danni per l'inerzia dello Stato italiano nel 
non attivare i principi di reciprocit� e difesa della marina mercantile nazionale, si vide rigettare 
il ricorso per mancanza di nesso eziologico tra la condotta omissiva italiana e il danno lamentato, 
con sentenza confermata dal Consiglio di Stato che, nel dicembre 2009, ritenne, in via 
pregiudiziale, che il mancato esercizio della protezione diplomatica non potesse costituire, 
ipso facto, fonte di danno, attesa la non obbligatoriet� ex lege del suo esercizio (attingendo il 
suo pi� intimo contenuto ai rapporti tra Stati in guisa di incensurabile atto politico), confermando 
poi, nel merito, la gi� riconosciuta (in prime cure) impredicabilit� di un nesso di causalit� 
giuridicamente rilevante tra condotta omissiva ed evento di danno. 
2. La sentenza del Consiglio di Stato � stata impugnata dalla societ� di navigazione con ricorso 
per cassazione sorretto da un unico, complesso motivo di gravame illustrato da memoria. 


2.1. Resistono con controricorso la PdCdM, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e 
quello degli affari esteri. 
3. Lamenta la ricorrente la violazione, per falsa e mancata applicazione, degli artt. 24, 111, 
113 Cost.; della L. 25 luglio 1985, n. 433; della L. 3 marzo 1987, n. 69, recante disposizioni 
per la difesa della marina mercantile italiana, in relazione al Decreto 3.9.1999 dell'allora ministero 
dei trasporti e della navigazione, ora ministero delle infrastrutture e dei trasporti. 


3.1. Il motivo � fondato. 

3.1.1. La fondatezza della censura emerge dal sinergico esame del motivo di ricorso e delle 
ragioni addotte dalla difesa erariale per contrastarlo. 

3.2. In limine, va osservato come, sia dalla motivazione della decisione oggi impugnata sia 
dalle obiezioni mosse a ricorso dall'Avvocatura oggi resistente, emerga che l'esclusione della 
giurisdizione in ordine all'adozione o meno degli atti prospettati quale fonte di danno sia ricondotta 
in via consequenziale alla interpretazione dell'istituto della c.d. "protezione diplomatica" 
in termini di atto politico, come tale sottratto tout court a qualsivoglia sindacato 
giurisdizionale, sia ordinario che amministrativo - salvo poi l'adozione, da parte del giudice 
amministrativo, di un decisum (anche) di merito sotto il profilo della causalit� (ritenuta nella 
specie insussistente) tra condotta ed evento di danno. 
4. L'accertamento compiuto in via pregiudiziale da parte del C.d.S. � avvenuto, peraltro, non 
in via incidentale ma principale, non avendo gli atti oggetto del presente giudizio valenza autoritativa 
stricto sensu (onde, di essi, non sarebbe risultato legittimo l'annullamento, se richiesto), 
mentre il rigetto della domanda risarcitoria motivato dal difetto di giurisdizione per la 
pretesa natura politica dell'attivit� lesiva - a cospetto di una espressa previsione costituzionale 
(art. 113 Cost.) che non consente tale declinatoria tout court - si risolve, nella sostanza, nel di



niego, in astratto, di qualsivoglia posizione giuridica azionabile dal privato, id est nel sostanziale 
rifiuto da parte del GA di esercitare, secondo dettato costituzionale, la propria giurisdizione. 

4.1. Correttamente e condivisibilmente evidenzia, pertanto, il ricorrente come il diniego assoluto 
di giurisdizione in subiecta materia si risolva nell'illegittimo diniego della sussistenza tout 
court di qualsivoglia posizione soggettiva giuridicamente tutelata rispetto al mancato esercizio 
dei poteri attribuiti alle Amministrazioni dello Stato dalla L. n. 433 del 1985 e dalla L. n. 69 
del 1987: onde la irredimibile violazione degli artt. 24 e 113 della Carta fondamentale. 


4.2 Censurabile risulta dunque la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto di qualificare 
la posizione giuridica soggettiva fatta valere dal ricorrente con riferimento all'istituto 
della protezione diplomatica - che, secondo la definizione contenuta nell'art. 1 del relativo 
progetto adottato dalla Commissione del diritto internazionale (e fatta propria dalla Corte Internazionale 
di Giustizia con la sentenza 24.5.2007, Sadio Diallo), consiste nella contestazione 
da parte di uno Stato (attraverso un'attivit� diplomatica o altri mezzi di risoluzione delle controversie) 
della responsabilit� di altro Stato per un danno causato da un fatto illecito (sul piano 
internazionale) ad una persona fisica o giuridica che abbia la nazionalit� del primo Stato al 
fine di attivare consequenzialmente tale responsabilit� - opinando che l'esercizio dei poteri di 
cui alla L. n. 69 del 1987, art. 1 potesse ascriversi ad una incensurabile attivit� di politica 
estera sottratta integralmente al vaglio della giurisdizione: cos� omettendo del tutto di considerare 
che i poteri in discorso (dapprima attribuiti al Ministero della marina mercantile, poi 
trasferiti a quello delle infrastrutture e dei trasporti) sono esercitati, su proposta (non di un 
organo politico, bens�) di una commissione tecnica al fine di difendere la marina mercantile 
nazionale e di disciplinare i traffici commerciali marittimi per la tutela dell'interesse nazionale, 
poteri il cui contenuto esula del tutto dal novero degli atti politici stricto sensu, trattandosi viceversa 
di atti di (alta) amministrazione rientranti nell'esercizio di una pi� specifica politica 
marittimo-mercantile nazionale. 
5. In ordine all'illegittimo esercizio - ovvero, come nella specie, al mancato esercizio di tali 
poteri - sussistono, pertanto, inalienabili posizioni soggettive di interesse legittimo (assimilabili 
alle legittimate expectations previste e tutelate in Common law in ordine all'esercizio di poteri 
derivanti, come nella specie, dal diritto internazionale consuetudinario), rispetto alle quali si 
pone al di fuori dei limiti (negativi) della potestas iudicandi dell'organo di giustizia amministrativa 
il diniego assoluto di tutela giurisdizionale che, viceversa, attesa la gi� rilevata consistenza 
giuridica delle predette posizioni, deve ritenersi devoluta a quell'autorit� giudiziaria. 
6. Gli ulteriori argomenti spesi in sentenza (in ordine alla causalit� e al danno) non possono 
costituirne, nel caso di specie, idonea e autosufficiente ratio decidendi, degradando piuttosto, 
ipso facto, a rango di meri obiter dicta, attesa la pregiudiziale declinatoria assoluta di potestas 
iudicandi da parte del giudice adito. 
Il ricorso � pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza oggi impugnata. 
Va dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo. 
La causa deve, pertanto, essere rinviata dinanzi al Consiglio di Stato. 
Alla disciplina delle spese del giudizio di cassazione provveder� il giudice dinanzi al quale il 
processo � rinviato. 


P.Q.M. 
La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, dichiara la giurisdizione del giudice 
amministrativo e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Consiglio di Stato. 


La dialettica dei distinti: 
il diritto di recesso nell�offerta fuori sede 


CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 3 GIUGNO 2013 N. 13905 

Francesco Maria Ciaralli* 

SOMMARIO: 1. Il caso concreto. - 2. Lo jus poenitendi nell�offerta fuori sede: genesi e 
successivi sviluppi. - 3. Dal contrasto giurisprudenziale alla pronuncia delle Sezioni Unite. 


4. La ermeneutica rilevanza della littera legis. - 5. Tutela del risparmiatore �sorpreso� quale 
ratio della disciplina. - 6. Il principio di eguaglianza e il diritto di recesso secondo le Sezioni 
Unite. - 7. La recente novella: adesione o limite alla giurisprudenza di legittimit�? - 8. Rilievi 
conclusivi. 

Nelle pagine che seguono si affronta il tema dell�estensione del perimetro 
applicativo dello jus poenitendi nelle ipotesi di offerta fuori sede di strumenti 
finanziari, che ha di recente formato oggetto di una rilevante decisione delle 
Sezioni Unite della Corte di Cassazione (1). 

La rilevanza della decisione � altres� acuita dal fatto che il Governo della 
Repubblica, pochi giorni dopo il deposito della sentenza, � intervenuto in via 
d�urgenza a disciplinare la medesima materia in senso solo parzialmente conforme 
a quanto statuito dalle Sezioni Unite (2). 

La sentenza in commento costituisce il punto di emersione degli orientamenti 
della Suprema Corte in tema di interpretazione teleologica e costituzionalmente 
orientata, rivestendo dunque una portata generale al di l� della 
specifica materia incisa dalla pronuncia (3). 

1. Il caso concreto. 

La controversia, da cui scaturisce la pronuncia delle Sezioni Unite, ha per 
oggetto la sottoscrizione di obbligazioni da parte di un risparmiatore, avvenuta 
a seguito dell�attivit� sollecitatoria svolta fuori sede da un promotore finanziario 
della Banca Mediolanum s.p.a. 

Rivelatesi inesigibili le obbligazioni a causa del sopravvenuto fallimento 
dell�emittente, il cliente al dettaglio ha convenuto la Banca dinanzi al Tribunale 
di Palermo domandando la restituzione delle somme investite. L�attore 

(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 

(1) Cass. civ. SS.UU. 3 giugno 2013, n. 13905, in Il Caso.it, I, 9083. 

(2) L�art. 56 quater del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, cosiddetto decreto �del fare�, convertito con l. 
9 agosto 2013, n. 98, disciplina lo jus poenitendi nell�offerta fuori sede. Per la trattazione del rapporto 
tra la novella legislativa e la sentenza delle Sezioni Unite si rinvia al paragrafo 7 di questa nota. 
(3) Nella sentenza de qua le Sezioni Unite fanno diretta applicazione, nei rapporti interprivati, 
dell�art. 3 Cost. La relazione intercorrente tra il diritto al ripensamento ed il principio di eguaglianza � 
oggetto di trattazione nel par. 6 del presente scritto, cui si rimanda. 



ha dedotto la nullit� dell�acquisto per diverse ragioni, inter alia per l�omessa 
previsione nel contratto del diritto di recesso che l�art. 30, sesto comma, d.lgs. 
24 febbraio 1998, n. 58, nel prosieguo Tuf, attribuisce all�investitore in strumenti 
finanziari collocati fuori sede dall�intermediario. 

La domanda dell�attore � stata accolta in primo grado (Trib. Palermo, 18 
luglio 2007, in www.ilcaso.it) con sentenza confermata in appello (C. App. 
Palermo, 6 luglio 2010, in www.ilcaso.it), in virt� della considerazione secondo 
cui il lemma �collocamento� non ha, per quanto concerne il diritto di 
recesso, un�accezione tecnica tale da determinarne la sicura identificazione 
con il servizio di collocamento in senso proprio, come individuato dall�art.1, 
quinto comma, lett. c), Tuf. 

A seguito del ricorso del soccombente, la prima sezione civile della Corte 
di Cassazione, rilevata la sussistenza in dottrina e giurisprudenza di opinioni 
diverse circa il perimetro applicativo delle disposizioni suindicate, ha sollecitato 
la rimessione della questione alle Sezioni Unite, le quali hanno respinto 
il ricorso pronunciando la sentenza qui in commento (4). 

2. Lo jus poenitendi nell�offerta fuori sede: genesi e successivi sviluppi. 

La vigente disciplina concernente il diritto di recesso costituisce l�esito 
di un processo di stratificazione normativa, la cui ricognizione si rende necessaria 
al fine di determinare l�ambito applicativo dello jus poenitendi nell�offerta 
fuori sede. L�art. 30, comma sesto, Tuf, � infatti il risultato di due 
autonome disposizioni che per esigenze strutturali sono confluite nella medesima 
norma. 

La prima disposizione si rinviene nell�art. 18 ter, comma 2, l. 7 giugno 
1974, n. 216, in virt� del quale l�efficacia dei contratti stipulati mediante vendita 
a domicilio ed aventi per oggetto valori mobiliari era sospesa per la durata 
di cinque giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione. 

Entro il termine suindicato l�acquirente aveva facolt� di comunicare al 
venditore o al suo agente il proprio recesso senza corrispettivo(5); inoltre, tale 
facolt� doveva essere riprodotta nei contratti stessi i quali, se stipulati in violazione 
di quanto stabilito nell�art. 18 ter, erano nulli (6). 

La ratio della norma era pianamente e diffusamente rinvenuta nell�esigenza 
di differenziare il regime protettivo dell�investitore che motu proprio si fosse 

(4) Per ulteriore approfondimento del caso, si rinvia a CIVALE, Diritto di ripensamento nell�offerta 
fuori sede di prodotti finanziari: dalle questioni semantiche all�eterogenesi dei fini, in dirittobancario.it, 
2013 e NIGRO, Le Sezioni Unite e la vis expansiva della disciplina dello jus poenitendi, in corso di pubblicazione 
in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, fasc. n. 12. 
(5) Autorevole dottrina riteneva che il diritto di ripensamento inserisse a tutti i contratti conclusi 
porta a porta, prescindendo da ogni indagine concernete il servizio di investimento eventualmente prestato. 
Si veda, ex multis, ALPA, Lo �jus poenitendi�, in BESSONE-BUSNELLI (a cura di), La vendita �porta 
a porta�, Milano, 1992, p. 143 ss. 



recato presso la sede della controparte, al fine di stipulare il contratto, da quello 
dell�investitore che, fatto oggetto di attivit� sollecitatoria, fosse stato indotto a 
contrarre in conseguenza di un�iniziativa proveniente dal venditore stesso. 

In tale ultima ipotesi, infatti, l�investitore era esposto al rischio di essere 
�colto di sorpresa� dalla proposta della controparte, sicch� nella valutazione 
del legislatore si rendeva necessario accordare un ulteriore spatium deliberandi 
onde consentire all�investitore di ponderare la propria decisione. 

L�attribuzione del diritto di recesso si configurava quindi come misura 
idonea a riequilibrare le posizioni contrattuali delle parti contraenti, al fine di 
neutralizzare lo squilibrio cagionato dalla peculiare intrusivit� che connotava 
la vendita a domicilio. 

In seguito, si � proceduto all�introduzione, senza alcun coordinamento 
con la disposizione suindicata, dell�art. 8, comma 1, lett. c), l. 2 gennaio 1991, 

n. 1, che ha sancito il diritto di recesso per il cliente in relazione al contratto 
di gestione di patrimoni concluso sia in sede sia fuori sede. Tale disposizione 
� poi confluita nell�art. 20, d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, il quale, con riferimento 
ai contratti di gestione di portafogli, ha accordato al cliente il diritto di 
ripensamento per sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione in caso di 
offerta fuori sede. 

I due filoni citati sono stati poi riuniti nel d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, il 
cui art. 30 unitariamente disciplina sia l�offerta fuori sede che il diritto di recesso. 

La confusio delle due disposizioni nell�art. 30 Tuf implica la necessit� di 
ricostruire gli elementi costitutivi della fattispecie di offerta fuori sede e del 
diritto di recesso, al fine di appurare se tra le due previsioni normative vi sia 
identit� di perimetro applicativo ovvero un rapporto di genus ad speciem. 

Secondo l�opzione ricostruttiva unanimemente accolta in dottrina (7), l�offerta 
fuori sede di strumenti finanziari costituisce fattispecie complessa al cui 
perfezionamento concorrono, alla stregua dell�art. 30, comma primo, Tuf, gli 

(6) La sospensione dell�efficacia dei contratti stipulati a seguito di vendita a domicilio � a sua 
volta il portato di un complesso processo evolutivo. Esso trae origine dalla prassi, posta in essere dalle 
reti di vendita a partire dalla met� degli anni �70 del secolo scorso, di offrire prodotti finanziari alternativi 
ai titoli azionari ed obbligazionari, quali quote di fondi comuni immobiliari e certificati di partecipazione. 
Tale prassi si connotava dunque per una duplice atipicit�, relativa sia al canale distributivo (diverso dallo 
sportello bancario) sia al titolo distribuito, sicch� emerse nell�ordinamento mobiliare la lacuna consistente 
nella circostanza che l�offerta al pubblico dei titoli atipici esulava dalle competenze della Consob nonch�, 
per quanto riguarda il canale distributivo, dalle attribuzioni di controllo delle Autorit� creditizie. 
Il legislatore intervenne sulla materia attraverso la l. 23 marzo 1983, n. 77, modificativa della l. 7 giugno 
1974, n. 216, con cui, da un lato, venivano estese le competenze di controllo delle Autorit� di settore e, 
dall�altro, si disciplinava il collocamento porta a porta dei valori mobiliari, con conseguente previsione 
del diritto di recesso onde riequilibrare le posizioni contrattuali di acquirente e venditore. Per un�analitica 
disamina di tale processo normativo si veda CARBONETTI, Lo jus poenitendi nell�offerta fuori sede di 
prodotti finanziari, in Banca bor. tit. cr., 2001, p. 770 ss. 
(7) Ex multis, PARRELLA, Offerta fuori sede, in FRATINI, GASPARRI (a cura di), Il testo unico della 
finanza, I, p. 489 ss. e CARBONETTI, op. cit., p. 775. 



elementi costitutivi di seguito individuati. In primo luogo si richiede che venga 
posta in essere, presso il pubblico, un�attivit� di promozione e collocamento, 
avente per oggetto strumenti finanziari ovvero servizi e attivit� di investimento. 
Tale attivit� deve essere svolta, al fine dell�integrazione della fattispecie, in 
luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze del proponente l�investimento 
o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento. 

Inoltre, onde distinguere l�offerta fuori sede dalla diversa ipotesi di promozione 
e collocamento a distanza di servizi e attivit� d�investimento e strumenti 
finanziari, � altres� necessario che l�offerta sia svolta mediante tecniche 
di contatto che implicano la presenza fisica e simultanea del cliente e del soggetto 
offerente o di un suo incaricato, secondo il combinato disposto dell�art. 
30, primo comma, e dell�art. 32, primo comma, Tuf (8). 

Costituisce elemento negativo della fattispecie la qualifica dell�investitore 
come cliente professionale, difettando in tal caso l�esigenza di garanzia che 
presiede alla disciplina sull�offerta fuori sede (9). 

Non � qui d�uopo esaminare partitamente gli elementi costitutivi menzionati, 
basti solo porre in evidenza che la locuzione �promozione e collocamento�, 
come impiegata nel comma primo dell�art. 30 Tuf per definire l�offerta 
fuori sede, non costituisce un�endiadi, con la conseguenza che anche la sola 
promozione, qualora concorra con gli ulteriori elementi qualificativi indicati, 
integra un�ipotesi di offerta fuori sede (10). Tale circostanza � rilevante ai fini 
della distinzione tra la fattispecie generale di offerta fuori sede, definita nel 
primo comma, e la previsione avente per oggetto specifico il diritto di recesso 
accordato al risparmiatore dal sesto comma del medesimo art. 30 Tuf. 

Il legislatore, infatti, nel conferire lo jus poenitendi, non menziona disgiuntivamente 
la promozione e il collocamento di strumenti finanziari, bens� 
fa esclusivo riferimento ai contratti conclusi fuori sede, a differenza di quanto 
rilevato supra circa la nozione generale di offerta fuori sede. 

Inoltre il sesto comma dell�art. 30, anzich� riferirsi come il primo comma 
a servizi e attivit� di investimento tout court promossi o collocati in luogo diverso 
dalla sede legale o dalle dipendenze dell�intermediario, individua due 
fattispecie cui accede lo jus poenitendi: il collocamento di strumenti finanziari 
nonch� la gestione di portafogli individuali. 

(8) L�art. 32 Tuf si limita a commettere alla Consob l�onere, sentita la Banca d�Italia, di disciplinare 
con regolamento la promozione e il collocamento mediante tecniche di comunicazione a distanza di servizi 
e attivit� di investimento e di prodotti finanziari. 
(9) PARRELLA, op. cit., p. 492 s. 


(10) In tal senso, PARRELLA, op. cit., p. 489 s. nonch� CARBONETTI, loc.ult.cit. Per quanto concerne 
la distinzione tra promozione e pubblicit�, si rinvia a RABITTI BEDOGNI, Le offerte fuori sede e a distanza 
di strumenti finanziari dopo il d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, in Il diritto del mercato mobiliare, a cura di 
RABITTI BEDOGNI, Milano, 1997, p. 210, ivi si qualifica come promozione l�attivit� prodromica alla stipula 
del contratto, la quale implica che siano individuati i contenuti del negozio e le modalit� della sua 
conclusione. 



Sicch� parte della giurisprudenza di merito e la dottrina maggioritaria 
hanno ravvisato una discrasia tra l�ambito applicativo del diritto di recesso e 
quello pi� ampio della disciplina concernente l�offerta fuori sede (11). 

La distonia tra primo e sesto comma dell�art. 30 Tuf si fonda, secondo 
autorevole dottrina, proprio sul processo di stratificazione normativa in esito 
al quale sono state congiunte in un medesimo articolo due disposizioni diverse 
per genesi ed effetti (12). La formulazione della norma di risulta ha dato adito 
ad un contrasto giurisprudenziale circa la delimitazione del perimetro applicativo 
dello jus poenitendi, oggetto del paragrafo che segue. 

3. Dal contrasto giurisprudenziale alla pronuncia delle Sezioni Unite. 

L�orientamento prevalente accolto dalla giurisprudenza di merito valorizza 
l�esigenza di tutelare il risparmiatore dall��effetto sorpresa� potenzialmente scaturente 
dall�offerta fuori sede di strumenti finanziari. Tale esigenza non emerge 

(11) Ex multis, SANTOSUOSSO, Jus poenitendi e servizi di investimento: la tutela dell`investitore 
dall��effetto sorpresa�, in Banca bor. tit. cr., 2008, II, p. 776 s.; CHIEPPA MAGGI, sub art. 30, in CAMPOBASSO 
(diretto da), Testo unico della finanza, Commentario, Torino, 2002, p. 271; CENDON (a cura di), 
I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, Torino, 2004, p. 60. 
Contra, GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, Le obbligazioni e i contratti, I, Obbligazioni in generale. 
Contratti in generale, Padova, 1990, p. 166 ss., ancorch� con riferimento alla disciplina di cui 
all�art. 18 ter, comma 2, l. 7 giugno 1974, n. 216. 
Per quanto concerne la giurisprudenza di merito, l�interpretazione restrittiva del diritto di recesso rispetto 
alla fattispecie di offerta fuori sede � fatta propria da Trib. Parma 14 maggio 2007 e App. Brescia 27 
settembre 2007, entrambe in www.ilcaso.it. 
Contra, l�orientamento estensivo � stato seguito nelle seguenti pronunce: Trib. Parma 20 dicembre 2011, 
in www.dirittobancario.it; Trib. Bologna 15 aprile 2009, in www.ilcaso.it; Trib. Modena 6 marzo 2009, 
ivi; Trib. Forl� 13 gennaio 2009, in Contratti, 2009, 401; Trib. Milano 17 aprile 2007, in Giur. it., 2007, 
2815; Trib. Bologna 17 aprile 2007, in www.ilcaso.it; Trib. Benevento 26 ottobre 2005, in Banca borsa 
e tit. cred., 2008, 753; Trib. Rimini 28 aprile 2007, in www.ilcaso.it; Trib. Roma 20 luglio 2006 e 14 
settembre 2006, ivi; Trib. Pescara 9 maggio 2006, in Giur. Mer., 2007, 1276; Trib. Parma 17 gennaio 
2006, in www.giuemilia.it; Trib. Mantova 10 dicembre 2004, in Contratti, 2005, 604; App. Palermo 2 
luglio 2010, in Giur. it., 2010, 868. 
(12) CIVALE, Diritto di ripensamento nell�offerta fuori sede di prodotti finanziari: dalle questioni 
semantiche all�eterogenesi dei fini, in dirittobancario.it, 2013, p. 5 s. 
Un�altra opinione contesta che la diversit� genetica delle disposizioni sia tale da impedire un�estensione 
del diritto di recesso oltre i contratti espressamente menzionati dal legislatore, in virt� della considerazione 
secondo cui il sostantivo �collocamento� � impiegato nella norma come sinonimo di �decisione 
d�investimento�, sicch� nulla osta alla sua applicazione anche con riferimento ai servizi d�investimento 
diversi da quelli indicati. La ragione di tale opinione sta in ci�: che il servizio di collocamento, inteso 
in senso proprio, postula un contratto tra emittente ed intermediario e non tra intermediario ed investitore, 
come invece richiesto dal sesto comma dell�art. 30 Tuf, per cui il lemma collocamento, agli effetti della 
disciplina sull�offerta fuori sede, deve necessariamente interpretarsi in senso atecnico, come mera decisione 
di investimento (LA ROCCA, L��offerta fuori sede di strumenti finanziari� in cassazione e l�art. 
56 quater del d.l. �del fare�, in Il Caso.it, 2013). 
Tale indirizzo non � accolto da chi ritiene che la norma sul diritto di recesso scaturisca autonomamente 
dalla tutela approntata sin dal 1991 per i contratti di gestione di portafogli, e che il riferimento al collocamento 
di strumenti finanziari si motivi in forza della standardizzazione delle condizioni contrattuali 
che connota le operazioni di collocamento (CIVALE, op. cit., p. 7 ss.). 



solo con riferimento alle fattispecie di collocamento e gestione di portafogli individuali, 
bens� ogniqualvolta un investitore non professionale venga indotto a 
contrarre fuori dei locali deputati allo svolgimento dell�attivit� negoziale. 

Riveste valore paradigmatico di tale indirizzo giurisprudenziale la sentenza 
pronunciata dal Tribunale di Bologna il 17 aprile 2007, avente per oggetto 
un contratto di negoziazione di strumenti finanziari tramite promotori 
finanziari (13). Secondo tale decisione il �collocamento�, ai sensi dell�art. 30 
Tuf, � divisato come offerta ad un destinatario collettivo pi� o meno ampio, 
configurandosi di conseguenza come mero prodromo del negozio specifico di 
acquisto integrato dal contratto di negoziazione. Corollario di tale ricostruzione 
� che i moduli relativi al contratto di negoziazione devono recare menzione 
del diritto di recesso riservato al risparmiatore, sotto comminatoria di 
nullit� ex art. 30, comma settimo, Tuf. 

Il Tribunale di Genova, invece, con sentenza pronunciata il 16 gennaio 
2007, nonostante rilevi che �la formulazione del testo non � ottimale�, ha escluso 
l�applicabilit� dello jus poenitendi oltre le fattispecie espressamente individuate 
dal legislatore, in virt� del principio di tassativit� che connota le ipotesi di nullit� 
cui la mancata indicazione del diritto di recesso nel contratto concluso fuori sede 
d� origine. Si evidenzia inoltre come vi sia una �incompatibilit� oggettiva� tra 
la sospensione di efficacia del negozio e le esigenze connesse all�immediata esecuzione 
degli ordini di acquisto e vendita di strumenti finanziari (14). 

A conferma dell�orientamento da ultimo menzionato, la giurisprudenza 
di legittimit� ha ripetutamente statuito la non coincidenza tra il perimetro applicativo 
della fattispecie generale di offerta fuori sede e quello specificamente 
relativo al diritto di recesso (15). 

In particolare, la Corte di Cassazione ha rilevato che lo jus poenitendi Ǐ 
stato stabilito per i contratti di collocamento di strumenti finanziari conclusi 
fuori sede (con esclusione pertanto di quelli soltanto promossi fuori sede, che 
viceversa rientrano nella previsione di cui al comma 1, lett.a), nonch� limitatamente 
a quella parte dei servizi di investimento che riguarda la gestione di 
portafogli individuali e quindi, conclusivamente, in termini pi� contenuti e 
circoscritti rispetto alla fattispecie dell�offerta fuori sede delineata nel primo 
comma dell�art. 30� (16). 

(13) Trib. Bologna 17 aprile 2007, in Banca bor. tit. cr., 2008, II, p. 776 ss. con nota di SANTOSUOSSO. 
(14) Trib. Genova 16 gennaio 2007, in Banca bor. tit. cr., loc. ult. cit. 


(15) Si fa riferimento alle seguenti sentenze: Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065, in Societ�, 
2012, p. 779 ss., con nota di GUFFANTI, Il diritto di ripensamento nell�offerta fuori sede; nonch� 
Cass. civ., sez. I, 22 marzo 2012, n. 4564, in www.ilprocessocivile.com. 
(16) Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065, cit.; contra Cass. civ. SS.UU., 3 giugno 2013, n. 
13905, cit., ove si solleva �il dubbio che nell�intero art. 30 l�espressione �collocamento� sia stata adoperata 
dal legislatore con un significato pi� ampio e generico, quasi come sinonimo di qualsiasi operazione 
volta ad immettere sul mercato prodotti finanziari o servizi d�investimento�. 



Le Sezioni Unite hanno recentemente modificato l�indirizzo in precedenza 
seguito dalla giurisprudenza di legittimit� (17); i motivi addotti per argomentare 
l�estensione del diritto di recesso oltre le ipotesi espressamente 
prese in considerazione dal legislatore si sostanziano in due considerazioni 
convergenti. Da un lato, si ritiene che il sostantivo �collocamento� ed il verbo 
�collocare� siano impiegati in modo promiscuo nell�art. 30 Tuf, s� da non inibire 
un�interpretazione che estenda il diritto di recesso ad ogni ipotesi di compravendita 
e sottoscrizione fuori sede. Dall�altro lato, la ratio della 
disposizione � rinvenuta dalla Corte nella posizione di vulnerabilit� in cui si 
trova il cliente al dettaglio qualora l�operazione d�investimento si sia perfezionata 
al di fuori della sede dell�intermediario, indipendentemente dal servizio 
di collocamento prestato. 

Le menzionate rationes decidendi concernenti la delimitazione del diritto 
di ripensamento nell�offerta fuori sede sollevano rilevanti perplessit�, partita-
mente oggetto dei paragrafi che seguono. 

4. La rilevanza ermeneutica della littera legis. 

Il processo ermeneutico in esito al quale le Sezioni Unite sono pervenute 
alla conclusione che l�art. 30 Tuf contiene un�unica nozione, peraltro atecnica, 
di collocamento, non coincidente con il servizio di collocamento propriamente 
inteso, � articolabile in due fasi. 

Anzitutto il primo comma dell�articolo 30 menziona, onde definire la nozione 
di offerta fuori sede rilevante agli effetti della norma, inter alia la promozione 
ed il collocamento presso il pubblico di servizi e attivit� 
d�investimento, beninteso in luogo diverso dalla sede o dalle dipendenze di 
chi presta, promuove o colloca il servizio o l�attivit�. La Corte osserva che il 
servizio di collocamento in senso proprio �sembra concepibile solo se avente 
ad oggetto dei prodotti finanziari da altri emessi o offerti in vendita, non invece 
se ad esser collocati siano a loro volta altri servizi d�investimento di vario genere
�. Di conseguenza si inferisce che il lemma collocamento sia stato impiegato 
dal legislatore in un�accezione atecnica, al fine di ricomprendere ogni 
forma di sollecitazione che l�intermediario rivolga ai propri clienti affinch� 
questi si avvalgano del servizio d�investimento loro proposto. 

Il secondo, e decisivo, passaggio consiste nell�identificare tout court, 
stante la medesima esigenza di protezione sottesa ad entrambe le disposizioni, 
il perimetro applicativo del primo con quello del sesto (e settimo) comma 
dell�art. 30 Tuf. Esito di tale processo � l�estensione del diritto di recesso, nonch� 
della comminatoria di nullit� nell�ipotesi in cui tale diritto non sia previsto, 
a tutti i contratti concernenti servizi d�investimento promossi o conclusi fuori 
sede. Ma proprio qui emergono talune criticit� della ricostruzione proposta. 

(17) Cass. civ. SS.UU., 3 giugno 2013, n. 13905, cit. 


In primo luogo, il sesto comma dell�art. 30 fa riferimento ai soli contratti 
conclusi fuori sede, con ci� espressamente restringendo il campo applicativo 
di tale disposizione rispetto al primo comma (18). Inoltre, come osserva la 
Cassazione 22 marzo 2012, n. 4564, la menzione dei contratti di gestione di 
portafogli individuali, accanto a quelli di collocamento, rende palese che il legislatore 
non abbia voluto utilizzare un�espressione residuale e generica, bens� 
abbia analiticamente determinato il novero delle ipotesi cui � connesso il diritto 
di recesso (19). Strumento ermeneutico per interpretare la disposizione in parola 
� dunque l�argomento a contrario, in virt� del quale il sesto comma enumera 
solo alcuni dei servizi d�investimento cui invece fa riferimento il primo 
comma proprio al fine di escludere gli altri. 

Tuttavia, anche a prescindere dai rilievi supra formulati, l�interpretazione 
di una proposizione normativa non pu� prescindere dall�applicazione dell�art. 
12 prel., il cui primo comma preclude l�attribuzione ad una disposizione di 
�altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo 
la connessione di esse�. 

Non � dunque agevole inferire che il legislatore - attraverso la locuzione 
�contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali 
conclusi fuori sede� - abbia inteso far riferimento a tutte le decisioni 
di investimento sollecitate da un intermediario che agisce fuori sede. Non si 
spiegherebbe, in tal caso, la ragione per la quale il legislatore avrebbe associato 
alla menzione di uno specifico servizio d�investimento, quale la gestione di 
portafogli individuali, un�espressione cos� lata da ricomprendere tutti i servizi 
d�investimento, ivi incluso quello espressamente nominato. L�indicazione della 
gestione di portafogli dovrebbe dunque essere considerata come il mero portato 
di un processo di stratificazione normativa, ormai riassorbito nella residuale 
nozione di collocamento inteso come sinonimo di �atto negoziale mediante il 
quale uno strumento finanziario viene fatto acquisire dal cliente� (20). 

Acquista a tal proposito rilievo l�obiezione di chi, favorevole all�estensione 
del diritto di recesso, invita ad essere consequenziali nell�interpretazione 

(18) Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065, con nota di GUFFANTI, cit. 
(19) Alle medesime conclusioni pervengono SANTOSUOSSO, op. cit., p. 776 e CARBONETTI, op. cit., 


p. 779; contra LA ROCCA, op. cit., p. 5 ss. 

(20) Occorre rilevare che autorevole dottrina (LA ROCCA, loc. ult. cit.) sostiene la portata espansiva 
del diritto di recesso proprio in considerazione del dato storico. Secondo tale indirizzo, infatti, la locuzione 
�promozione e collocamento� � promiscuamente utilizzata dal legislatore per intendere qualsiasi 
decisione di investimento sollecitata fuori sede, ci� dovendosi alla prassi di denominare proprio �promozione 
e collocamento� l�attivit� fuori sede svolta dalla banca. 
Contra CIVALE, loc. ult. cit., ove si mette in luce che l�interpretazione estensiva non tiene conto del processo 
di stratificazione normativa di cui l�art. 30 Tuf � il risultato, al quale hanno contribuito come affluenti 
sia il filone normativo disciplinante la vendita a domicilio sia quello disciplinate la gestione di 
patrimoni, cui era in origine riconnesso il diritto di recesso indifferentemente nell�ipotesi in cui il relativo 
contratto fosse concluso in sede o fuori. 


della littera legis, sicch� il lemma �collocamento� non potrebbe farsi coincidere 
con il servizio di collocamento, in quanto nell�art. 30 il legislatore si riferisce 
al contratto concluso tra intermediario e risparmiatore anzich� a quello 
intercorrente tra emittente ed intermediario, connotante il collocamento inteso 
quale servizio d�investimento (21). 

Tale opinione non priva comunque di valore la considerazione secondo 
cui - attraverso la locuzione �contratti di collocamento di strumenti finanziari� 

- il legislatore ha inteso far riferimento a quei contratti conclusi tra intermediario 
e risparmiatore, a condizioni standardizzate, in conseguenza del servizio 
di collocamento che lega l�intermediario e l�emittente gli strumenti finanziari 
collocati (22). L�osservazione da ultimo indicata sar� meglio chiarita alla luce 
della ratio legis, di cui la successivo paragrafo. 

5. Tutela del risparmiatore �sorpreso� quale ratio della disciplina. 

Qualora non si ritenesse l�interpretazione letterale idonea a fugare i dubbi, 
sollevati da parte della giurisprudenza di merito e della dottrina, sulla portata 
applicativa dell�art. 30, comma 6, Tuf, un argomento ancora pi� pregnante 
pu� trarsi dall�interpretazione teleologica della disposizione in commento (23). 

Punto di partenza pu� essere la considerazione, svolta dalle Sezioni Unite, 
secondo cui �neanche la normale fissit� del prezzo di collocamento di stru


(21) LA ROCCA, op. cit., p. 6. 

(22) � interessante notare come la citata dottrina, dopo aver considerato equivoco e promiscuo il 
dato letterale emergente dall�art. 30 Tuf, proponga, quale replica all�indirizzo attento alla littera legis, 
un�interpretazione letterale - sia consentita l�espressione -pi� realista del re, in virt� della quale il fenomeno 
collocamento � come dimidiato, considerandosi solo l�aspetto che lega l�intermediario all�emittente 
e non quello che lega il medesimo intermediario al risparmiatore. � palese, stante l�intera 
impostazione dell�art. 30 ed a fortiori quella del sesto comma, che il legislatore intenda riferirsi a quei 
rapporti negoziali che coinvolgono il cliente al dettaglio, nella norma in oggetto conseguenti ad una 
operazione di collocamento di strumenti finanziari. Tale ultima conclusione � stata da tempo fatta propria 
dalla migliore dottrina, ex multis, PARRELLA, op. cit., p. 494 ss. nonch� SANTOSUOSSO, loc. ult. cit.. 
� altres� degna di nota l�osservazione secondo cui la disposizione che accorda il diritto di recesso non 
pu� considerarsi come avente effetti eccezionali, in quanto i contratti coinvolgenti il consumatore trovano 
la loro regola generale nel codice del consumo anzich� nel codice civile. Conseguenza di tale opinione 
� che il diritto di recesso stabilito a tutela del consumatore � suscettibile di applicazione analogica, ai 
sensi dell�art. 12 prel., secondo comma (LA ROCCA, op. cit., p. 11 s.). 
A prescindere dalla condivisione di tale posizione, resta impregiudicato il fatto che le Sezioni Unite non 
hanno applicato analogicamente lo jus poenitendi, bens� hanno senz�altro sostenuto che la locuzione 
�contratti di collocamento di strumenti finanziari� comprende qualsiasi atto negoziale mediante il quale 
uno strumento finanziario viene fatto acquisire dal cliente. 
Accede ad una diversa ricostruzione la Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065, cit., la quale valorizza 
�l�esigenza di privilegiare una interpretazione che tenga conto degli effetti eccezionali della disposizione�. 
(23) L�analisi della ratio legis � considerata prevalente nella pronuncia delle Sezioni Unite rispetto 
all�interpretazione letterale, stante la conclusione per cui il sostantivo �collocamento� � impiegato in 
senso atecnico e promiscuo nell�art. 30 Tuf. 
Contra Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065, cit. e Cass. civ., sez. I, 22 marzo 2012, n. 4564, cit. 
le quali fanno prevalente affidamento sulla littera legis al fine di ricostruire la norma in commento. 



menti finanziari in pendenza dell�offerta al pubblico basta del tutto ad escludere 
la possibilit� che nel medesimo lasso di tempo (�) si determinino oscillazioni 
di valore in grado d�influenzare la decisione dell�investitore di recedere 
dall�acquisto�. Di conseguenza, si conclude che - potendo ricorrere oscillazioni 
di valore anche con riferimento alle condizioni standardizzate proprie 
del servizio di collocamento - viene a cadere l�interpretazione che vorrebbe il 
diritto di recesso limitato a tale servizio proprio in ragione della normale fissit� 
del prezzo di collocamento. 

Tale ricostruzione si rivela invero ellittica, poich� non priva di valore 
l�opinione secondo cui il diritto di recesso � riconosciuto per i soli contratti di 
collocamento - oltrech� di gestione di portafogli individuali - specificamente 
in virt� della �normale fissit�� delle condizioni contrattuali, tale da minimizzare 
il rischio di comportamenti opportunistici nelle more del termine riservato 
al ripensamento (24). Il rischio suddetto � preso in considerazione dalle Sezioni 
Unite, le quali ritengono che esso possa comunque �essere neutralizzato 
invocando il principio generale di buona fede, che deve presidiare qualsiasi 
rapporto contrattuale, ma non vale certo a negare il fondamento stesso sul 
quale il riconoscimento di quel diritto riposa�. 

Tuttavia, come rilevato da autorevole dottrina (25), il principio di buona 
fede oggettiva non vale a paralizzare, nel caso di specie, la fruizione del diritto 
di recesso sulla base di un giudizio di convenienza economica. Dovendosi, infatti, 
declinare la buona fede oggettiva anzitutto come osservanza di un comportamento 
ragionevole, non infrange detto principio generale chi esercita lo 
jus poenitendi in ipotesi di riduzione del margine di convenienza economica 
della propria operazione di investimento (26). Del pari � chiaro che, in tale 
fattispecie, il diritto di recesso non garantisce il ripensamento del risparmiatore 
�colto di sorpresa�, bens� consente una seconda valutazione, successiva alla 
conclusione del contratto, circa la profittabilit� dell�investimento, peraltro riservata 
dalla legge ad una sola delle parti contraenti. 

Le Sezioni Unite affrontano, sia pure incidentalmente, l�argomento suindicato, 
allorch� presentano come conseguenza inevitabile dell�accresciuta tutela 
del cliente al dettaglio un sacrificio per l�intermediario, comunque compensato 
dai vantaggi che questi si ripromette di ottenere attraverso un sistema di com


(24) Per quanto concerne la �gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede�, l�attribuzione 
del diritto di recesso � frutto di un separato filone normativo, �confuso� con le norme sull�offerta fuori 
sede a cagione di esigenze sistematiche. Per la ricostruzione storica del diritto di ripensamento nell�offerta 
fuori sede si veda CIVALE, op. cit., p. 2. 
(25) DOLMETTA, MINNECI, MALVAGNA, Il �ius poenitendi� tra sorpresa e buona fede: a proposito 
di Cass. SS.UU. N. 13905/2013, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 16, p. 5. 
(26) Eloquentemente MAFFEIS, Investimenti fuori sede e difetto di indicazione della facolt� di recesso, 
in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 15, 2013, p. 3, si riferisce alla buone fede oggettiva come ad 
un �grande principio, dunque, ma che, forse, desinit in piscem�. 



mercializzazione capillare �pi� aggressivo� qual � l�offerta fuori sede. 

Tuttavia la variabilit� cui sono esposti i prezzi degli strumenti finanziari, 
unitamente alle difficolt� d�utilizzare il principio di buona fede come argine 
ad un uso opportunistico del diritto di recesso, fa emergere il bilanciamento al 
di l� del mero dato letterale, comunque assai eloquente - in virt� del quale 
il legislatore ha circoscritto il diritto di recesso alle sole fattispecie analiticamente 
enumerate (27). 

Inoltre, nelle ipotesi di collocamento in senso proprio nonch� di gestione 
di portafogli individuali, il risparmiatore compie l�investimento contestualmente 
alla sottoscrizione del contratto, risultando di conseguenza esposto all� 
�effetto sorpresa� nel caso in cui il negozio sia concluso fuori sede. Al contrario, 
i contratti di negoziazione e trasmissione di ordini, ancorch� stipulati fuori 
sede, implicano, posteriormente alla loro conclusione, autonome manifestazioni 
di volont� del risparmiatore il quale � dunque sottratto al rischio di non 
poter maturare adeguatamente la decisione di investimento (28). 

La valutazione costi-benefici del diritto di ripensamento induce, altres�, a 
stigmatizzarne l�estensione a tutti i servizi d�investimento. La sospensione di 
efficacia del contratto per un periodo di sette giorni decorrenti dalla data di 
sottoscrizione postula, infatti, un ritardo nell�esecuzione dell�investimento programmato 
difficilmente compensato dal vantaggio in termini di maggiore tutela 
del risparmiatore. Autorevole dottrina arguisce che il regime di responsabilit� 
gravante sugli intermediari per l�attivit� posta in essere dai promotori finanziari, 
di cui all�art. 31, comma terzo, Tuf, unitamente alle regole di vigilanza 
cui sono soggetti gli stessi promotori, costituisce strumento idoneo a proteggere 
il risparmiatore dall�aggressivit� della vendita �porta a porta�, senza incorrere 
nei ritardi cagionati dai sette giorni del periodo di moratoria (29). 

6. Il principio di eguaglianza e il diritto di recesso secondo le Sezioni Unite. 

Gli argomenti svolti dalle Sezioni Unite nella pronuncia sullo jus poenitendi 
non si limitano a contestare l�univocit� del dato letterale n� la ricostruzione 
teleologica in precedenza elaborata dalla stessa Corte, ma si spingono 
ad affermare l�estensione del diritto di recesso a tutte le decisioni d�investimento, 
beninteso sollecitate fuori sede, sulla base del dettato costituzionale. 

(27) Autorevole dottrina evidenzia come l�estensione del diritto di recesso oltre il perimetro espressamente 
delineato dal legislatore sia suscettibile di provocare una vera e propria eterogenesi dei fini 
della norma sullo jus poenitendi (CIVALE, op. cit., p. 7 ss.). 
(28) SANTOSUOSSO, op. cit., p. 776 s., ove si nota altres� che, qualora l�interpretazione estensiva 
venisse accolta, il periodo di moratoria potrebbe essere abbreviato solo da un�esplicita manifestazione 
di volont� del risparmiatore nel cui interesse � stabilito. Tale manifestazione di volont� si renderebbe 
necessaria onde evitare i ritardi connessi alla sospensione di efficacia del contratto, con ci� comportando 
un aggravio degli oneri per l�investitore. 


(29) CARBONETTI, op. cit., p. 785 s. 


Affermata l�equivocit� della proposizione normativa formulata nel sesto 
comma, il Giudice di legittimit� sostiene che il medesimo �effetto sorpresa� 
presente nel caso di collocamento fuori sede si ripresenta anche per tutti gli 
altri servizi d�investimento, sicch� agli investitori esposti allo stesso rischio 
deve essere garantita la stessa tutela. Nello specifico, �milita in tal senso la 
difficolt� di giustificare, anche sul piano costituzionale, una disparit� di trattamento 
tra l�ipotesi di offerta fuori sede di strumenti finanziari che sia fondata 
sulla diversa tipologia di servizio d�investimento reso dall�intermediario, 
quando (�) del tutto analoga � la situazione di maggiore vulnerabilit� in cui 
viene comunque a trovarsi il cliente per il fatto stesso che l�offerta lo raggiunge 
fuori dalla sede dell�intermediario o degli altri soggetti indicati dal primo 
comma del citato art. 30�(30). 

Tale ancoraggio costituzionale suscita invero numerosi e gravi dubbi. � lecito 
anzitutto obiettare che sovente si � fatto uso in giurisprudenza del principio 
di eguaglianza come argomento retorico, volto a �corroborare� l�opera ricostruttiva. 
D�altro canto, vi � chi ritiene che la decisione in commento costituisca applicazione 
necessaria dell�art. 3 Cost., allorch� attribuisce il medesimo trattamento 
giuridico a decisioni di investimento aventi le medesime caratteristiche indipendentemente 
dal servizio di investimento in esito al quale sono assunte (31). 

Invero, la modalit� con cui la Corte di Cassazione ha fatto riferimento, in 
conclusione delle motivazioni, al piano costituzionale, quale parametro che 
�milita a favore� dell�ipotesi ricostruttiva accolta, induce a ritenere che il principio 
di eguaglianza sia impiegato come argomento ad adiuvandum, al fine di 
confermare la posizione assunta. 

Inoltre, ancorch� si considerasse l�art. 3 della Costituzione quale parametro 
decisivo del giudizio, permarrebbero comunque rilievi di carattere sostanziale. 
In primo luogo pu� affermarsi che - proprio in virt� della normale 
fissit� delle condizioni di offerta nell�ipotesi di collocamento - vi sia una cesura 
di carattere qualitativo tra il servizio di collocamento e gli altri servizi di investimento, 
posto che per il primo pu� essere attribuito il diritto di recesso in 
favore della controparte non professionale e pi� debole proprio perch� ricorre 
un contenuto rischio di comportamenti opportunistici, tali altrimenti da snaturare 
la finalit� per cui lo jus poenitendi � stato accordato. 

La valorizzazione dell�art. 3 Cost. apre altres� un profilo pi� generale di 
compatibilit� tra l�interpretazione costituzionalmente orientata della legge, co


(30) La Corte di Cassazione fa riferimento al principio di eguaglianza in senso formale, cio� alla 
parit� di trattamento a fronte di posizioni analoghe. Per l�esame della valenza di tale principio, si rinvia 
a BALDASSARRE, Diritti della persona e valori costituzionali, Torino, 1997, Cap. I, ove viene messa in 
luce la preminenza che, nella gerarchia dei valori elaborata dalla Corte costituzionale, � stata costantemente 
annessa agli interessi sottesi all�art. 3 Cost., considerato quale norma di chiusura dell�ordinamento 
costituzionale. 

(31) LA ROCCA, op. cit., p. 7. 


gente negli Stati aventi costituzione rigida, ed il rispetto delle scelte operate dal 
legislatore. Nel caso di specie, bench� il sesto comma dell�art. 30 Tuf espressamente 
circoscriva il diritto di recesso solo ad alcuni servizi d�investimento, le 
Sezioni Unite - privando di valore il dato letterale per privilegiare un�autonoma 
ricostruzione della ratio conforme a Costituzione - hanno esteso lo jus poenitendi 
a tutti i servizi d�investimento, ci� che equivale alla creazione in via pretoria 
di una norma nuova. La decisione in commento induce a domandarsi quale 
sia il confine tra l�attivit� ermeneutica, ancorch� espansiva, e la spendita di poteri 
additivi, nel nostro ordinamento riservati alla Corte Costituzionale. 

7. La recente novella: adesione o limite alla giurisprudenza di legittimit�? 

La decisione delle Sezioni Unite non ha lasciato inerte il Governo che, 
pochi giorni dopo il deposito della sentenza, ha varato il decreto legge cosiddetto 
�del fare� attraverso il quale � stata modificata la disciplina del recesso 
nell�offerta fuori sede. In particolare, l�art. 56 quater del d.l. 21 giugno 2013, 

n. 69, convertito con l. 9 agosto 2013, n. 98, ha disposto quanto segue: �All'articolo 
30, comma 6, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, dopo 
il secondo periodo � aggiunto il seguente: �Ferma restando l'applicazione 
della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento 
di cui all'articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d), per i contratti sottoscritti 
a decorrere dal 1� settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche ai 
servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a)��. 

In questa sede si tralasciano le considerazioni concernenti l�impiego della 
decretazione d�urgenza oltre i limiti sanciti dal Costituente (art. 77 Cost.) (32), 
volendosi invece evidenziare le implicazioni della reazione legislativa scaturita 
dall�intervento nomofilattico. 

Il legislatore, accordando il diritto di recesso anche nell�ipotesi di negoziazione 
per conto proprio, ha prima facie accolto le motivazioni in base alle 
quali la Corte di Cassazione ha da ultimo superato il tenore letterale dell�art. 
30, sesto comma, Tuf. Tuttavia, ad un pi� attento esame, emerge che il Giudice 
di legittimit� ha enucleato nella sentenza de qua un ben pi� vasto principio di 
diritto, in virt� del quale le decisioni di investimento conseguenti a sollecitazione 
svolta fuori sede sono assistite dal diritto di recesso a prescindere dal 
servizio d�investimento in esito al quale sono assunte. 

Posta in tali termini la questione, si fa palese come il legislatore abbia inteso 
circoscrivere gli effetti della pronuncia delle Sezioni Unite solo all�immediato 
oggetto di essa, con la conseguenza che � inibita in via normativa la potenziale 
estensione del dictum giurisprudenziale a tutti i servizi d�investimento (33). 

(32) Su tali aspetti si veda, ancorch� incidentalmente, LA ROCCA, op. cit., p. 9 s.. 

(33) � agevole fare uso dell�argomento a contrario, in virt� del quale l�analitica enumerazione di 
taluni servizi d�investimento esclude gli altri. 


In tale contesto non � fuori luogo sostenere che il legislatore sia �corso ai 
ripari�, ponendo tuttavia in essere un intervento che solleva notevoli problemi 
di coordinamento. Infatti, la statuizione per cui la novella si applica solo ai 
contratti sottoscritti a decorrere dal 1� settembre 2013 rende arduo attribuire 
natura interpretativa alla norma in esame, stante la retroattivit� che ordinariamente 
connota le disposizioni a contenuto interpretativo. 

Di conseguenza, si configurano due regimi giuridici distinti aventi per 
oggetto il diritto di recesso nell�offerta fuori sede, il cui spartiacque � costituito 
dalla data 1� settembre 2013. I contratti sottoscritti anteriormente a tale data 
soggiacciono alla disciplina enucleata dalle Sezioni Unite, sicch� in tali ipotesi 
il diritto di recesso assiste ogni atto negoziale mediante il quale uno strumento 
finanziario viene fatto acquisire dal cliente. I contratti conclusi posteriormente 
alla data spartiacque sono invece soggetti alla nuova disciplina legislativa, per 
cui il diritto di recesso si applica esclusivamente a taluni servizi d�investimento, 
nella specie: i) negoziazione per conto proprio; ii) sottoscrizione e/o 
collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei 
confronti dell�emittente; iii) collocamento senza assunzione a fermo n� assunzione 
di garanzia nei confronti dell�emittente; iv) gestione di portafogli. 

� lecito il dubbio che la novella, per le modalit� di formulazione, anzich� 
contribuire alla certezza del diritto abbia incrementato, almeno per il periodo 
di sopravvivenza della previgente disciplina, le difficolt� applicative. Risulta 
infatti eloquente l�opinione di chi gi� propone, in alternativa alla questione di 
legittimit� costituzionale, l�interpretazione analogica della novella medesima 
proprio sulla base del principio di eguaglianza onde conseguire comunque, 
anche per il periodo successivo al 1� settembre 2013, gli effetti estensivi assicurati 
dalla pronuncia delle Sezioni Unite (34). 

8. Rilievi conclusivi. 

La sentenza in commento pu� essere a ragione considerata il punto di 
emersione della scelta legislativa di far convivere nella medesima disposizione 
due norme distinte per genesi ed effetti. Tale � il caso della disciplina sull�offerta 
fuori sede e di quella sullo jus poenitendi, riunite per esigenze sistematiche 
nell�art. 30 Tuf ancorch� siano scaturite da due vicende storiche diverse (35). 

La conseguenza di tale riunione � il contrasto dottrinale e giurisprudenziale 
che ha indotto la pronuncia delle Sezioni Unite, comunque rivelatasi non 
risolutiva al punto da determinare il Governo ad intervenire con decreto legge 
pochi giorni dopo il deposito della sentenza. 

Il recente intervento normativo conferma l�interpretazione tendente a re


(34) Cos� LA ROCCA, op. cit., p. 15. 

(35) Per la ricostruzione storica del diritto di recesso nell�offerta fuori sede si veda CARBONETTI, 
op. cit., p. 770 ss. nonch� CIVALE, op. cit., p. 2 s. 


stringere il diritto di recesso alle sole ipotesi tassativamente enunciate: il legislatore, 
infatti, statuendo che �resta ferma� l�applicazione del diritto di ripensamento 
al servizio di collocamento ed a quello di gestione di portafogli, rende 
palese che proprio a tali servizi d�investimento si riferisce l�art. 30 Tuf con 
l�espressione �contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestioni 
di portafogli individuali�. Sicch� per estendere l�applicazione di tale disposizione 
anche al servizio di negoziazione per conto proprio � necessario un apposito 
intervento legislativo, in quanto tale servizio non � evidentemente gi� 
compreso nella locuzione sopra riportata. 

A conferma di tale conclusione il legislatore stabilisce che l�applicazione 
dello jus poenitendi al servizio di negoziazione per conto proprio non � retroattiva, 
bens� ha come dies a quo il 1� settembre 2013; corollario di tale disposizione 
� che l�intervento normativo in commento - anche a prescindere dal 
dibattito sulla natura innovativa ovvero interpretativa della novella - esclude 
che in precedenza tale servizio d�investimento fosse incluso nell�art. 30, sesto 
comma, Tuf. 

L�art. 56 quater, d.l. �del fare�, quindi, se da un lato recepisce il dispositivo 
delle Sezioni Unite con riferimento al suo oggetto specifico (la negoziazione 
per conto proprio), dall�altro lato priva di valore il principio di diritto 
enunciato nelle motivazioni, con la conseguenza di restringere il diritto di recesso 
alle sole fattispecie analiticamente enumerate. 

Si spera, di conseguenza, che il recente intervento sia idoneo a sopire, almeno 
per il futuro, il contrasto di opinioni che ha diviso dottrina e giurisprudenza 
sul diritto di ripensamento nell�offerta fuori sede. 

Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 3 giugno 2013 n. 13905 -Primo Pres. ff. Luccioli, 
Est. Rordorf, P.M. Apice (difforme) - Banca Mediolanum S.p.a. (avv.ti Siggia e Danisi) c. 

B.S. (avv. Todaro). 

Il diritto di recesso accordato all�investitore dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 30, comma 6, e 
la previsione di nullit� dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel 
successivo comma 7, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede 
di strumenti finanziari da parte dell�intermediario sia intervenuta nell�ambito di un servizio 
di collocamento prestato dall�intermediario medesimo in favore dell�emittente o dell�offerente 
di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo 
in esecuzione di un servizio d�investimento diverso, ove ricorra la stessa esigenza di tutela. 

[Massima ufficiale] 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
Con atto notificato il 26 maggio 2005 il sig. B.S. cit� in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo 
la Banca Mediolanum s.p.a. (in prosieguo indicata come Mediolanum) riferendo di 
aver sottoscritto, a seguito delle sollecitazioni di un promotore di detta banca, obbligazioni 
emesse dalla societ� G.S.F. per il prezzo complessivo di Euro 49.560,00. Ci� premesso, e premesso 
altres� che le obbligazioni erano poi risultate di fatto inesigibili a causa del sopravvenuto 


fallimento dell'emittente, l'attore dedusse la nullit� dell'acquisto per diverse ragioni, tra cui la 
mancata previsione nel contratto del diritto di recesso che il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 30, 
comma 6, (conosciuto come testo unico della finanza ed in prosieguo indicato con la sigla 
tuf) attribuisce all'investitore in strumenti finanziari collocati dall'intermediario al di fuori 
della propria sede. Chiese, pertanto, che la banca convenuta fosse condannata a restituirgli le 
somme investite. 
La domanda fu accolta in primo grado e la pronuncia del tribunale venne poi confermata in 
secondo grado dalla Corte d'appello di Palermo con sentenza resa pubblica il 6 luglio 2010. 
La corte palermitana, infatti, ritenne che lo jus poenitendi previsto dalla citata disposizione 
dell'art. 30, comma 6, del tuf e la nullit� dei contratti che non contemplino la clausola di recesso, 
sancita dal successivo settimo comma dello stesso articolo, trovino applicazione non 
solo nel caso di offerta pubblica di strumenti finanziari dei quali l'intermediario abbia curato 
il collocamento per esserne stato incaricato dall'emittente o dall'offerente, ma anche in ogni 
altro caso di negoziazione di tali strumenti al di fuori dalla sede dell'intermediario: ragione 
per la quale il contratto di cui si discute in causa, per essere valido, avrebbe dovuto prevedere 
la facolt� di recesso dell'acquirente nei sette giorni successivi alla stipulazione. 
Avverso tale sentenza la Mediolanum ha proposto ricorso per cassazione dolendosi, sotto diversi 
profili, della ritenuta applicabilit� al caso di specie delle citate disposizioni dell'art. 30 
del tuf che, a suo giudizio, nel menzionare i "contratti di collocamento" (oltre alla gestione di 
portafogli), farebbe riferimento alle sole operazioni ricollegabili all'espletamento del servizio 
di collocamento, quale definito dal precedente art. 1, comma 5, lett. c), ossia all'offerta al pubblico 
di strumenti finanziari effettuata dall'intermediario in esecuzione di un contratto da esso 
stipulato con l'emittente o con l'offerente, su incarico e per conto di quest'ultimo ed alle condizioni 
da lui indicate. 
L'intimato si � difeso con controricorso. 
La prima sezione civile, con ordinanza n. 10376 del 2012, avendo rilevato l'esistenza in dottrina 
ed in giurisprudenza di opinioni diverse sulla portata delle disposizioni normative sopra 
menzionate ed avendo stimato comunque che la questione sia di massima di particolare importanza, 
ne ha sollecitato la rimessione alle sezioni unite. 
Il ricorso � stato perci� assegnato alle sezioni unite e discusso all'odierna udienza. 
Entrambe le parti hanno depositato memorie. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. La questione sulla quale le sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi investe, come gi� 
accennato, l'interpretazione da dare all'art. 30 del tuf, il cui sesto comma prevede che l'efficacia 
dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali 
conclusi al di fuori della sede dell'intermediario autorizzato sia sospesa per la durata di sette 
giorni, decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell'investitore, e che entro il medesimo 
termine l'investitore possa comunicare il proprio recesso, senza spese n� corrispettivo, al promotore 
finanziario o all'intermediario. Occorre inoltre che tale facolt� di recesso sia espressamente 
indicata nei moduli o formulari consegnati all'investitore e nelle proposte contrattuali 
effettuate fuori sede, ed il successivo settimo comma commina la sanzione della nullit�, deducibile 
solo da parte del cliente, per i contratti che questa indicazione non rechino. 
L'interrogativo che la presente causa pone � se la nozione di "contratti di collocamento", cui 
la citata disposizione si riferisce ed ai quali quindi si applica la prescrizione concernente l'inserimento 
a pena di nullit� della clausola di recesso in favore del cliente, sia da intendere 
come circoscritta ai contratti strettamente connessi e conseguenti alla prestazione del "servizio 





di collocamento", menzionato dall'art. 1, comma 5, lett. c) (ed ora anche lett. c bis), del tuf, o 
se invece comprenda qualsiasi operazione in virt� della quale l'intermediario offra in vendita 
a clienti non professionali strumenti finanziari al di fuori della propria sede, anche nell'espletamento 
di servizi d'investimento diversi, quali ad esempio quelli di negoziazione o di esecuzione 
di ordini enunciati all'art. 1, stesso comma 5, lett. a) e b). 
In argomento la giurisprudenza di merito si � in passato divisa, ma in due precedenti occasioni, 
nelle quali si discuteva della validit� dell'acquisto di strumenti finanziari operato a seguito di 
ordini impartiti da clienti nel quadro di contratti d'intermediazione finanziaria in precedenza 
stipulati con l'intermediario, questa corte ha affermato che il diritto di recesso previsto a favore 
dell'investitore per i contratti conclusi fuori sede e la connessa sanzione della nullit� in caso 
di mancata comunicazione all'investitore del suindicato diritto di recesso sono circoscritti ai 
soli contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali, 
trattandosi di una disciplina peculiare che, come tale, non potrebbe essere applicata alla diversa 
ipotesi di contratti concernenti la prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari 
oppure di raccolta e trasmissione di ordini (Cass. n. 2065 del 2012 e n. 4564 del 2012). 
Rispetto a tale orientamento pu� sembrare per certi versi distonica un'ulteriore decisione, assunta 
nello stesso torno di tempo in una particolare fattispecie (Cass. n. 1584 del 2012), che, 
tuttavia, non ha affrontato in modo esplicito la questione ora in esame. 
Tali pronunce non hanno sopito il dibattito in dottrina, ed anche questo ha indotto ad investire 
le sezioni unite della questione. 


2. Per dare una risposta corretta al quesito � indispensabile una breve premessa ed una sintetica 
ricognizione delle norme che rilevano ai fini della risoluzione del problema. 


2.1. I servizi d'investimento finanziario, com'� noto, sono alquanto minuziosamente elencati 
nell'art. 1, comma 5, del tuf, dalla lett. a) sino alla g). Al tempo dei fatti di causa, prima delle 
modifiche apportate dal D.Lgs. n. 164 del 2007, l'elenco si arrestava alla lett. c), e non comprendeva 
la lett. c bis), ma tali innovazioni normative non sono particolarmente interessanti 
ai fini della risoluzione della presente vertenza. Di maggiore interesse � osservare come, tra 
detti servizi, quello di collocamento figuri indicato distintamente (lett. c, ed ora anche lett. c 
bis), sia rispetto alla negoziazione per conto proprio ed all'esecuzione di ordini per conto dei 
clienti (prima denominata negoziazione per conto terzi: lett. a e b) sia rispetto alla ricezione 
e trasmissione di ordini (lett. e). 
Mentre, nel caso della negoziazione per conto proprio, l'intermediario si pone come controparte 
diretta del cliente nell'acquisto o nella vendita di strumenti finanziari, normalmente destinata 
ad aver luogo sul mercato secondario, nel caso dell'esecuzione di ordini d'acquisto o 
vendita impartitigli dal cliente egli opera sul medesimo mercato in veste di mandatario, oppure, 
nel caso della ricezione e trasmissione di ordini, quale mero tramite delle disposizioni 
del cliente in rapporti di compravendita destinati ad intercorrere tra quest'ultimo e soggetti 
terzi. Tutte queste situazioni, peraltro, implicano l'instaurazione di rapporti individuali tra intermediario 
e cliente, nell'interesse del quale l'intermediario stesso � tenuto ad operare. 
Il servizio di collocamento si caratterizza invece per essere prestato dall'intermediario in favore 
del soggetto che emette gli strumenti finanziari, o che comunque li offre in vendita al pubblico, 
di regola sul mercato primario, onde � con quest'ultimo soggetto che l'intermediario medesimo 
anzitutto instaura un rapporto contrattuale e nell'interesse del quale presta il servizio (che assuma 
o meno egli stesso un impegno diretto di acquisto o una qualche forma di garanzia), addossandosi 
il compito di promuovere l'acquisto da parte dei terzi investitori degli strumenti 
finanziari offerti in vendita o in sottoscrizione. Naturalmente, perch� il collocamento abbia 


poi effettivamente luogo, occorrer� pur sempre che esso metta capo alla stipulazione di ulteriori 
atti negoziali, mediante i quali gli strumenti finanziari da collocare sono acquistati o sottoscritti 
dagli investitori; ma in questo caso la vendita avviene all'esito di un'offerta al pubblico 
e, quindi, in base a condizioni predeterminate, senza di regola alcuno spazio di negoziazione 
individuale tra il collocatore e colui che aderisce all'offerta. 

2.2. L'art. 30 del tuf (anch'esso oggetto di successive modifiche ad opera del citato D.Lgs. n. 
164 del 2007, che qui non sono tuttavia rilevanti) disciplina la "offerta fuori sede", che storicamente 
deriva dalla figura della sollecitazione al pubblico risparmio c.d. a domicilio (o "porta 
a porta"), considerata dalla L. n. 1 del 1991, art. 1, lett. f), come un'autonoma attivit� d'intermediazione 
mobiliare (accanto alla negoziazione ed al collocamento di valori mobiliari, alla 
raccolta d'ordini, alla gestione di patrimoni ed alla consulenza), ed in seguito disciplinata, invece, 
gi� dal D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 22, alla stregua di una particolare modalit� di svolgimento 
di servizi d'investimento diversi. 
Il citato art. 30, comma 1, definisce "offerta fuori sede" la promozione ed il collocamento 
presso il pubblico: a) di strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze 
dell'emittente, del proponente l'investimento o del soggetto incaricato della promozione 

o del collocamento; b) di servizi ed attivit� di investimento in luogo diverso dalla sede legale 
o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio. 


2.3. L'esame del citato art. 30 evidenzia subito come il sostantivo "collocamento" ed il verbo 
"collocare" sembrano adoperati nel primo comma in un'accezione non perfettamente coincidente 
con quella suggerita dalla nozione di "servizio di collocamento", cui sopra s'� fatto 
cenno. Se, infatti, pu� essere coerente con quella definizione il parlare, nell'ipotesi considerata 
sub a), di collocamento di strumenti finanziari presso il pubblico, intendendosi con tale espressione 
l'attivit� di distribuzione al pubblico degli strumenti finanziari in base all'impegno in 
questo senso assunto dall'intermediario collocatore nei confronti dell'emittente o dell'offerente 
per il quale egli presta l'anzidetto servizio, meno agevole � ricondurre nel medesimo alveo il 
collocamento di servizi ed attivit� d'investimento di cui fa menzione la lett. b). Il servizio di 
collocamento in senso proprio, svolto dal collocatore in favore di un emittente o di un offerente, 
sembra concepibile solo se avente ad oggetto dei prodotti finanziari da altri emessi o 
offerti in vendita, non se invece ad esser "collocati" siano a loro volta altri servizi d'investimento 
di vario genere. Con riferimento a questi ultimi il collocamento fuori sede di cui parla 
il citato art. 30, comma 1, lett. b), sta quindi presumibilmente ad indicare ogni forma di sollecitazione 
che l'intermediario rivolga a propri clienti affinch� questi si avvalgano del servizio 
d'investimento loro proposto, senza che tra l'offerente ed il collocatore del servizio vi sia un 
pregresso rapporto riconducibile alla figura giuridica del "servizio di collocamento" definito 
dalla precedenti gi� citate disposizioni dell'art. 1, comma 5. 
Nasce da ci� il dubbio che nell'intero art. 30 l'espressione "collocamento" sia stata adoperata 
dal legislatore con un significato pi� ampio e generico, quasi come sinonimo di qualsiasi operazione 
volta ad immettere sul mercato prodotti finanziari o servizi d'investimento. 
L'accennata ambiguit� terminologica � accresciuta dalle disposizioni dettate dal sesto e settimo 
comma del medesimo art. 30, che contemplano il gi� ricordato jus poenitendi in favore del-
l'investitore e la nullit� dei contratti di collocamento fuori sede che non prevedano il recesso. 
Anche a tal riguardo non pu� non rilevarsi come la menzione dei "contratti di collocamento" 
sia, se non imprecisa, quanto meno non del tutto univoca. Il servizio di collocamento, come 
si � appena ricordato, � infatti scomponibile in due fasi diverse, che entrambe danno vita a 
rapporti contrattuali: il primo che s'instaura tra l'emittente o l'offerente degli strumenti finan





ziari da collocare, da un lato, e l'intermediario collocatore dall'altro; il secondo che si realizza 
in un momento successivo ed intercorre tra l'intermediario collocatore ed i singoli investitori 
disposti ad aderire all'offerta. 
In dottrina v'� perci� chi ha distinto tra il "contratto per il servizio di collocamento", stipulato 
dall'emittente o offerente dei medesimi prodotti finanziari con l'intermediario che s'incarica 
della loro distribuzione sul mercato, ed il "contratto di collocamento", che � invece quello 
volto a disciplinare il rapporto tra l'intermediario distributore dei prodotti finanziari ed il 
cliente che li sottoscrive. 
� certo da escludere che lo jus poenitendi menzionato dal sesto comma del citato art. 30 riguardi 
la prima delle due figure contrattuali sopra accennate; appare viceversa evidente che 
esso si riferisce ai rapporti contrattuali intrecciati dall'intermediario collocatore, al di fuori 
della propria sede o dalle dipendenze dell'emittente o dell'offerente, con i destinatari dell'offerta, 
come dimostra il fatto che il diritto di recesso � espressamente previsto in favore dello 
"investitore", sicch� anche il "cliente" legittimato a far valere la nullit� del contratto che non 
rechi la clausola di recesso altri non pu� essere se non il sottoscrittore o l'acquirente degli 
strumenti finanziari collocati (cio� pubblicamente offerti in sottoscrizione o in vendita) fuori 
sede dall'intermediario. 
Resta per� da chiedersi se la portata delle disposizioni in tema di recesso e di eventuale nullit� 
sia circoscritta ai soli contratti stipulati fuori sede a mezzo di promotori da intermediari impegnati 
nella prestazione di veri e propri servizi di collocamento, quali sopra definiti (oltre 
che nel servizio di gestione di portafogli), oppure se anche qui, come gi� s'� visto a proposito 
della definizione dell'offerta fuori sede contenuta nel primo comma, la parola "collocamento" 
sia da intendere in un'accezione pi� ampia ed in qualche misura atecnica, cio� come sinonimo 
di qualsiasi operazione implicante la vendita all'investitore di strumenti finanziari, anche nel-
l'espletamento di servizi d'investimento diversi (negoziazione, esecuzione, ricezione o trasmissione 
di ordini), se effettuata dall'intermediario al di fuori della propria sede. 


3. Una risposta soddisfacente non sembra ricavabile dal mero dato letterale. 
Se � vero, infatti, che l'espressione "contratti di collocamento", figurante nel sesto comma del 
citato art. 30, pu� indurre intuitivamente a ritenere che il legislatore abbia inteso riferirsi a 
contratti la cui stipulazione sia legata alla prestazione del servizio di collocamento (e non ad 
altri, salvo la gestione di portafogli), � altres� vero che, come si � gi� dianzi osservato, nel 
medesimo articolo - o quanto meno nel suo primo comma - la parola "collocamento" ha anche 
sicuramente un'accezione che va al di l� della prestazione di quello specifico servizio. Il solo 
criterio d'interpretazione letterale non si rivela perci� decisivo. 
Neppure sembra dirimente il dato storico - che potrebbe far propendere per un'interpretazione 
restrittiva, derivando l'attuale normativa da esigenze di tutela manifestatesi originariamente 
nel campo della sollecitazione al pubblico risparmio, di cui il collocamento � un momento attuativo 
-, perch� la disciplina ha conosciuto nel tempo un'evidente evoluzione, ed il primo 
comma dell'articolo in esame, bench� rechi traccia di quell'origine (in particolare laddove fa 
menzione di "collocamento presso il pubblico") palesemente ne ha travalicato i limiti, com'� 
agevole dedurre dal fatto che l'offerta fuori sede pu� oggi avere ad oggetto non solo prodotti 
finanziari, ma qualsiasi servizio d'investimento (art. cit. comma 1, lett. b). 
Difficile � anche trarre argomento dalla direttiva Europea n. 85/577, in tema di tutela dei 
consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, il cui art. 3 prevede 
s� il diritto di recesso del consumatore, ma lo esclude per quelli aventi ad oggetto valori mobiliari 
(comma 2, lett. e). Tale direttiva cesser� comunque di essere in vigore a partire dal 13 





giugno 2014, in forza di quanto disposto dall'art. 31 della successiva direttiva n. 2011/83, 
che all'art. 16, lett. b), espressamente esclude il diritto di recesso del consumatore per i contratti 
stipulati fuori dai locali commerciali aventi ad oggetto la fornitura di beni o servizi il 
cui prezzo sia legato a fluttuazioni nel mercato finanziario, quando siffatte fluttuazioni non 
siano controllabili da parte del professionista e possano verificarsi durante il periodo di recesso 
(analoga disposizione � contenuta nell'art. 6 della direttiva n. 65/2002, in tema di commercializzazione 
a distanza dei servizi finanziari, che ha trovato attuazione nell'art. 67 
duodecies del codice del consumo). 


4. � allora soprattutto alla ratio legis che conviene guardare, per intendere meglio il senso 
della norma e poterne definire, di conseguenza, la portata applicativa. 
Sulla ragion d'essere dello jus poenitendi di cui si discute le opinioni degli interpreti e degli 
studiosi sono sufficientemente univoche: � la circostanza che l'operazione d'investimento si 
sia perfezionata al di fuori dalle sede dell'intermediario a rendere necessaria una speciale tutela 
per l'investitore al dettaglio (la normativa non si applica agli investitori professionali, come 
chiarisce il secondo comma del citato art. 30), perch� ci� significa che, di regola, l'iniziativa 
non proviene da lui. � logico cio� presumere che, in simili casi, l'investimento non sia conseguenza 
di una premeditata decisione dello stesso investitore, il quale a tale scopo si sia 
recato presso la sede dell'intermediario, ma costituisca invece il frutto di una sollecitazione, 
proveniente da promotori della cui opera l'intermediario si avvale; sollecitazione che, perci� 
stesso, potrebbe aver colto l'investitore impreparato ed averlo indotto ad una scelta negoziale 
non sufficientemente meditata. 
Il differimento dell'efficacia del contratto, con la possibilit� di recedere nel frattempo senza 
oneri per il cliente, vale appunto a ripristinare, a posteriori, quella mancanza di adeguata riflessione 
preventiva che la descritta situazione potrebbe aver causato. 
Se questa, come pare difficilmente contestabile, � l'esigenza di tutela in vista della quale il legislatore 
ha introdotto la disciplina del recesso nei contratti di collocamento di strumenti finanziari 
stipulati fuori sede dall'intermediario, � arduo negare che la medesima esigenza si 
ponga non soltanto per le operazioni compiute nell'ambito della prestazione di un servizio di 
collocamento in senso proprio, nell'accezione gi� prima richiamata, ma anche per qualsiasi 
altra ipotesi in cui l'intermediario venda fuori sede strumenti finanziari ad investitori al dettaglio, 
sia pure nell'espletamento di un servizio d'investimento diverso. La differenza tra le 
due descritte situazioni, in questa ottica, appare davvero poco significativa, specie ove si consideri 
che nel servizio di collocamento "con assunzione a fermo" l'intermediario piazza sul 
mercato prodotti finanziari rispetto ai quali la sua posizione ed il suo interesse alla vendita 
sono del tutto analoghi a quelli di una vendita in proprio. Il che avvalora l'opinione secondo 
cui la parola "collocamento", nel testo dell'articolo in esame, � da intendere in senso ampio, 
come sinonimo di atto negoziale mediante il quale lo strumento finanziario vien fatto acquisire 
al cliente e quindi inserito nel suo patrimonio (o, come nel linguaggio del mercato finanziario 
si usa dire, nel suo portafoglio), a prescindere dalla tipologia del servizio d'investimento che 
abbia dato luogo a tale operazione. 
5. Nessuna delle obiezioni che potrebbero essere mosse - e che sono state mosse - a questa 
conclusione sembra davvero dirimente. 
Non lo � quella che fa leva sul fatto che nel vero e proprio collocamento l'offerta in vendita 
degli strumenti finanziari agli investitori ha luogo a condizioni uniformi e predeterminate, 
dovendo l'intermediario attenersi in proposito alle condizioni dettate dall'offerente, onde non 
v'� di regola alcuno spazio per forme di negoziazione individuale che potrebbero invece essere 



presenti quando l'acquisto dei medesimi strumenti finanziari avvenga nell'ambito della prestazione 
di un servizio d'investimento diverso; n� lo � la circostanza che, in questa seconda 
evenienza, l'acquisto normalmente si realizza in base alle previsioni di un c.d. contratto-quadro, 
in precedenza stipulato tra l'intermediario e l'investitore. 
Il fatto che il prezzo e le altre condizioni di vendita siano pi� o meno predefiniti non toglie 
che si � comunque in presenza, di volta in volta, di una decisione d'investimento, di modo 
che solo quando l'investitore abbia assunto egli stesso l'iniziativa di recarsi presso la sede del-
l'intermediario, o in un luogo di pertinenza del proponente, � lecito presumere che la sua scelta 
sia stata preceduta da una matura riflessione; e quando invece cos� non sia, sussiste in ogni 
caso - indipendentemente dalla fissit� delle condizioni di vendita - il rischio che il medesimo 
investitore si sia trovato ad essere destinatario di una proposta che potrebbe averlo colto di 
sorpresa. S'intende, poi, che la disciplina del recesso di cui si sta parlando non pu� che riguardare 
i singoli rapporti negoziali in base ai quali, di volta in volta, l'investitore si trovi a 
sottoscrivere uno strumento finanziario offertogli dall'intermediario fuori sede, e non la stipulazione 
del c.d. contratto-quadro, che di per s� non implica l'acquisto di strumenti finanziari 
ed � perci� sicuramente estranea alla nozione di "collocamento", sia pur latamente intesa. 
Nemmeno la circostanza che l'ordine di acquisto possa essere riconducibile ad un siffatto con-
tratto-quadro, cio� ad un pregresso impianto contrattuale volto a disciplinare in via generale 
le modalit� della prestazione del servizio, fa venir meno il rischio che il cliente venga colto 
di sorpresa, quando il singolo ordine sia frutto di una sollecitazione posta in essere dall'intermediario 
fuori dalla propria sede; ed � quel rischio che giustifica la gi� ricordata esigenza 
della tutela supplementare apprestata dal citato art. 30, commi 6 e 7, del tuf. D'altronde, non 
va trascurato che parte della dottrina e la stessa autorit� di vigilanza (si veda la comunicazione 
della Consob n. DIN/12030993 del 19 aprile 2012, che pure si pronuncia in favore di un'interpretazione 
restrittiva della citata disposizione dell'art. 30) sono propense ad ammettere la 
possibilit� che anche nell'espletamento del servizio di collocamento si realizzi talvolta un rapporto 
di durata tra il prestatore del servizio ed il cliente, nel cui ambito le singole operazioni 
siano perci� disciplinate da un contratto-quadro; il che difficilmente per� basterebbe, stante 
il testo della norma, ad escludere in siffatti casi l'applicazione dello ius poenitendi agli specifici 
atti negoziali mediante i quali il collocamento fuori sede in concreto sia realizzato. 
Neppure il rilievo per cui durante il periodo di sospensione degli effetti del contratto le condizioni 
di mercato potrebbero mutare, prestandosi cos� a comportamenti opportunistici da 
parte dell'investitore, sembra rivestire carattere decisivo ai fini della questione di cui si sta 
qui discutendo. Si consideri che neanche la normale fissit� del prezzo di collocamento di strumenti 
finanziari in pendenza dell'offerta al pubblico basta del tutto ad escludere la possibilit� 
che nel medesimo lasso di tempo (vuoi per fatti influenti in generale sull'andamento del mercato, 
vuoi per eventi riferibili alla situazione particolare dell'emittente) si determinino oscillazioni 
di valore in grado d'influenzare la decisione dell'investitore di recedere dall'acquisto. 
Ma, anche a prescindere da tale rilievo, va osservato che il rischio di un utilizzo non corretto 
del diritto di recesso potr� eventualmente, ove si dia il caso, essere neutralizzato invocando il 
principio generale di buona fede, che deve presidiare qualsiasi rapporto contrattuale, ma non 
vale certo a negare il fondamento stesso sul quale il riconoscimento di quel diritto riposa. 
D'altronde, � inevitabile che il riconoscimento di una maggior tutela in favore dell'investitore 
che acquista si traduca in una posizione meno vantaggiosa per l'intermediario che vende, ma 
questa � la naturale contropartita dei vantaggi che, su pi� larga scala, lo stesso intermediario 
si ripromette di conseguire utilizzando per la vendita dei prodotti finanziari un sistema di 


commercializzazione capillare esterna, per certi versi pi� aggressivo ("porta a porta"), anzich� 
attendere che i clienti vengano ad acquistare quei medesimi prodotti in sede. 

6. A favore di un'interpretazione estensiva della citata disposizione dell'art. 30 del tuf, che sia 
in grado di meglio assicurare la tutela del consumatore, militano d'altro canto i principi generali 
desumibili dallo stesso testo unico, sicuramente ispirati all'esigenza di effettivit� dell'indicata 
tutela, cui da ulteriore rinforzo la previsione dell'art. 38 della Carta dei diritti 
fondamentali dell'UE, che, nel garantire "un livello elevato di protezione dei consumatori", 
per ci� stesso impone d'interpretare le norme ambigue nel senso pi� favorevole a questi ultimi. 
Ma, soprattutto, milita in tal senso la difficolt� di giustificare, anche sul piano costituzionale, 
una disparit� di trattamento tra l'ipotesi di offerta fuori sede di strumenti finanziari che sia 
fondata sulla diversa tipologia di servizio d'investimento reso dall'intermediario, quando, per 
le ragioni gi� sopra indicate, del tutto analoga � la situazione di maggiore vulnerabilit� in cui 
viene comunque a trovarsi il cliente per il fatto stesso che l'offerta lo raggiunge fuori dalla 
sede dell'intermediario o degli altri soggetti indicati dal primo comma del citato art. 30. 
7. L'orientamento in precedenza espresso da questa corte sulla questione in esame non pu� 
essere dunque ulteriormente seguito ed occorre invece enunciare il principio secondo cui il 
diritto di recesso accordato all'investitore dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 30, comma 6, e la 
previsione di nullit� dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo 
comma 7, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di 
strumenti finanziari da parte dell'intermediario sia intervenuta nell'ambito di un servizio di 
collocamento prestato dall'intermediario medesimo in favore dell'emittente o dell'offerente di 
tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione 
di un servizio d'investimento diverso, ove ricorra la stessa esigenza di tutela. 
8. Alla stregua di tale principio il ricorso non appare meritevole di accoglimento. 
9. Essendo stato il ricorso deciso sulla base di un orientamento diverso da quello in precedenza 
assunto da questa corte, appare equo compensare le spese del presente giudizio di legittimit�. 


P.Q.M. 
La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio. 
Cos� deciso in Roma, il 14 maggio 2013. 


Indennizzabilit� dei danni da emotrasfusione 
a seguito di prestazione eseguita all�estero 

CASSAZIONE, SEZ. LAVORO, SENTENZA 19 DICEMBRE 2013 N. 28435 

La Corte di cassazione affronta per la prima volta ex professo la questione 
della indennizzabilit�, ai sensi della l. 210/92, dei danni da emotrasfusione 
eseguita all'estero in base ad autorizzazione della competente ASL ex 
art. 3, comma 5 l. 595/1985. 

Ad avviso della Corte, tali danni - ancorch� cagionati dall'operato di 
strutture sanitarie estere, per definizione sottratte al controllo delle autorit� 
italiane - sono comunque suscettibili di indennizzo; ci� in considerazione della 
natura solidaristica del beneficio, da accordarsi a prescindere dalla susssitenza, 
o meno, di responsabilit� delle strutture sanitarie nazionali. 

Cassazione, Sez. lavoro, sentenza 19 dicembre 2013 n. 28435 -Pres. Lamorgese, Rel. 
Arienzo, P.M. Celentano (difforme) - Ministero Salute (avv. Stato Marina Russo) c. M.S. (avv. 
Brizzi). 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
Con sentenza del 10.11.2009, la Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame proposto dal 
Ministero della Salute avverso la decisione di prime cure con la quale, in accoglimento del 
ricorso proposto da M.C., era stata disposta la condanna del Ministero al pagamento, in favore 
del ricorrente, dell'indennizzo L. n. 210 del 1992, ex art. 2 in conseguenza di malattia contratta 
a seguito di trasfusioni e somministrazione di emoderivati effettuati nell'ambito di struttura 
sanitaria estera nel corso di ricoveri per interventi cardiochirurgici. La Corte del merito osservava 
che, sebbene il riferimento esplicito all'autorit� sanitaria riguardasse il solo caso delle 
vaccinazioni obbligatorie, l'interpretazione sistematica della norma consentiva di ritenerlo 
esteso anche alle ipotesi di contagio da HIV o di epatiti HCV contratte a seguito di trasfusioni 

o somministrazioni di emoderivati praticate all'estero. Secondo il giudice del gravame, deponevano 
in senso contrario all'estensione della tutela il riconoscimento dell'indennizzo anche 
agli operatori sanitari che avessero riportato danni per trasfusioni in occasione e durante il 
servizio nonch� la previsione dell'obbligo per i medici di compilare una scheda informativa 
dei dati relativi alla trasfusione praticata, certamente incompatibile, ai fini dell'accertamento 
del rapporto di causalit�, con i ricoveri presso strutture sanitarie di stati esteri, accertamento 
affidato ad organi sanitari italiani (Cass. 753/2005) e non erano ravvisabili profili di incostituzionalit�, 
in quanto la collettivit� assumeva su di s� le conseguenze dannose unicamente di 
trasfusioni e somministrazione di emoderivati praticate nelle strutture sanitarie dello Stato, 
posto che l'evento dannoso era comunque indipendente da decisioni assunte dalla collettivit� 
nel proprio interesse come nelle vaccinazioni obbligatorie e che, pertanto, dovesse valere una 
limitazione di carattere territoriale. Osservava che, tuttavia, il principio non poteva trovare 
applicazione nel caso di specie, in cui si verteva in materia di assistenza sanitaria indiretta, 
autorizzata dal S.S.N., ed in cui la prestazione sanitaria all'estero era equivalente a quella eseguita 
in Italia, stante l'espressa previsione legislativa di tale opzione. La L. n. 833 del 1978, 
art. 3 imponeva alla USL di attuare le misure idonee a garantire che le prestazioni urgenti fossero 
erogate con priorit� nell'ambito delle loro strutture, introducendo il principio della libera 


scelta del ricovero presso ospedali pubblici e convenzionati ad alta specializzazione delegando 
alla legge regionale il compito di individuare i casi in cui erano ammesse forme straordinarie 
di assistenza indiretta. La Corte territoriale richiamava varie norme (L. n. 595 del 1985, art. 
3, comma 5, e successivi DD. MM. di attuazione) che sancivano che le prestazioni sanitarie 
all'estero gravavano sul sistema sanitario nazionale se autorizzate o, in casi di eccezionale urgenza, 
specificamente individuati, anche in difetto di autorizzazione e quindi che esse erano 
del tutto equivalenti alle prestazioni sanitarie in Italia ed in quanto tali garantite. Ritenendosi 
diversamente, il diritto alla salute costituzionalmente garantito non avrebbe avuto piena tutela 
nel caso di cittadino italiano che ricorresse a cure all'estero per carenze strutturali del SSN. 
Quanto al nesso causale tra patologia e trasfusioni praticate, aderiva alle conclusioni del C.t.u. 
officiato, che ne aveva accertato la sussistenza, in base a criteri probabilistici, avallati dalla 
giurisprudenza in materia, la quale aveva indicato la possibilit� del ricorso a presunzioni idonee 
a fondare un giudizio di elevata probabilit�. 
Per la cassazione di tale decisione ricorre il Ministero con unico motivo, illustrato con memoria 
depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. 
Resiste, con controricorso, il M.. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 
Il Ministero si duole della violazione di legge, in relazione al combinato disposto dalla L. n. 
210 del 1992, art. 1, commi 1 e 3 ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, richiamando, per la somiglianza 
del caso esaminato, sentenza della Corte di Cassazione n. 753/2005 per inferirne che 
non possa essere oggetto di copertura assistenziale, ai sensi della L. n. 210 del 1992, il danno 
da emotrasfusione derivante da intervento chirurgico praticato all'estero, al pari di quello conseguente 
ad un trapianto effettuato all'estero preso in considerazione nel menzionato precedente 
giurisprudenziale, in quanto, seppure la Corte di Appello ne aveva tratto argomenti in 
senso contrario, ritenendo che la pronunzia di legittimit� fosse essenzialmente fondata sul rilievo 
della mancanza di prova dell'esistenza di convenzioni in materia di cooperazione sanitaria 
tra la Regione di provenienza ed il luogo posto al di fuori del territorio nazionale ove era 
stato praticato l'intervento, l'argomento utilizzato portava ad una violazione del combinato 
disposto della L. n. 210 del 1992, art. 1, commi 1 e art. 3 che ha previsto una limitazione di 
carattere territoriale, come ritenuto dalla stessa Corte del merito. Quest'ultima - secondo il ricorrente 
- aveva valorizzato in senso favorevole alla tesi sostenuta dall'assistito elementi che 
deponevano, invece, in senso contrario, come la compilazione della scheda da parte del medico 
che somministri gli emoderivati, nonch� la estensione dei benefici agli operatori sanitari, 
norme palesemente rivolte a chi abbia contratto l'infezione lavorando nelle strutture sanitarie 
nazionali. Se l'intenzione del legislatore era quella di circoscrivere la tutela ai soli trattamenti 
eseguiti nel territorio nazionale, la circostanza che lo stesso fosse stato eseguito all'estero, 
sebbene previa autorizzazione, non mutava tale voluntas legis. N� l'organo sanitario italiano 
poteva avere titolo per sindacare, valutando il nesso causale tra trattamento sanitario e contagio, 
l'operato di organi sanitari esteri, non potendo neanche ritenersi operante l'obbligo della 
compilazione di scheda informativa in capo a sanitari di stati esteri. Argomenta ulteriormente 
in ricorso rilevando che la circostanza che non esistessero convenzioni tra la Regione e lo 
stato estero ove era stato praticato l'intervento non aveva costituito un profilo meritevole di 
rilevanza nel contesto della decisione della Corte di legittimit� richiamata. 
Il ricorso � infondato. 
Con sentenza della Corte Costituzionale del 18.4.1996 n. 118 � stata evidenziata la necessariet� 
del collegamento, come condizione di legittimit� costituzionale, tra la previsione legislativa 


dell'obbligo di sottoporsi a vaccinazione e l'indennizzabilit� del pregiudizio da essa derivante, 
che rende palese la differenza tra l'ipotesi considerata e tutte le altre evenienze in cui, in nome 
della solidariet�, la collettivit� assuma su di s�, totalmente o parzialmente, le conseguenze di 
eventi dannosi fortuiti e comunque indipendenti da decisioni che la societ� stessa abbia preso 
nel proprio interesse. � stato chiarito che nella prima ipotesi la solidariet� non implica soltanto, 
come invece nella seconda, un dovere al quale il legislatore possa dare seguito secondo quei 
criteri di discrezionalit� e quella necessaria ragionevole ponderazione con altri interessi e beni 
di pari rilievo costituzionale che valgono per i diritti previsti da norme costituzionali a efficacia 
condizionata all'intervento del legislatore, ma comporta un vero e proprio obbligo, cui corrisponde 
una pretesa protetta direttamente dalla Costituzione. La specialit� dell'obbligo deriva 
dal fatto che per la collettivit� � in questione l'obbligo di ripagare il sacrificio che taluno si 
trova a subire per un beneficio atteso dall'intera collettivit�, sicch� sarebbe contrario al principio 
di giustizia, come risultante dall'art. 32 Cost., alla luce del dovere di solidariet� stabilito 
dall'art. 2, che il soggetto colpito venisse abbandonato alla sua sorte e alle sue sole risorse o 
che il danno in questione venisse considerato come un qualsiasi evento imprevisto al quale si 
sopperisce con i generali strumenti della pubblica assistenza, ovvero ancora si subordinasse 
la soddisfazione delle pretese risarcitorie del danneggiato all'esistenza di un comportamento 
negligente altrui, comportamento che potrebbe mancare (cfr. C. Cost. 118/96 cit). In termini 
riassuntivi nella suddetta decisione del Giudice delle leggi sono evidenziate tre distinte conseguenze 
della menomazione della salute derivante da trattamenti sanitari: a) il diritto al risarcimento 
pieno del danno, riconosciuto dall'art. 2043 c.c., in caso di comportamenti 
colpevoli; b) il diritto a un equo indennizzo, discendente dall'art. 32 Cost. in collegamento 
con l'art. 2, ove il danno, non derivante da fatto illecito, sia stato subito in conseguenza del-
l'adempimento di un obbligo legale; c) il diritto, a norma degli artt. 38 e 2 Cost., a misure di 
sostegno assistenziale disposte dal legislatore, nell'ambito dell'esercizio costituzionalmente 
legittimo dei suoi poteri discrezionali, in tutti gli altri casi (cfr., in motivazione, C. Cost. 118/96 
cit., nonch� C. Cost. 22.6.2000 n. 226). Nel caso oggetto della presente controversia ricorre 
proprio la terza delle ipotesi considerate, essendo invocato un intervento indennitario di tipo 
esclusivamente assistenziale per il quale si pone il problema della possibilit� della sua estensione 
anche a casi di trattamenti sanitari eseguiti in strutture sanitarie di stato estero allorch� 
il ricovero risulti autorizzato dal Servizio Sanitario Nazionale. 
A tal proposito � stato evidenziato come la L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 6, - che in parallelo 
con quanto stabilito dal comma precedente per il caso di vaccinazione obbligatoria, 
impone al medico che effettua trasfusioni o somministra emoderivati di compilare una scheda 
informativa dei dati relativi alla trasfusione o alla somministrazione - imponga adempimenti 
non compatibili con l'applicazione della norma a casi diversi da quelli di infezioni contratte 
a seguito di trasfusioni o somministrazione di emoderivati effettuate nell'ambito delle strutture 
sanitarie italiane. In particolare, � stata considerata l'incompatibilit� concreta fra gli obblighi 
di valutazione del nesso causale stabiliti dall'art. 4 della legge a carico della Commissione ivi 
richiamata (organo sanitario italiano) e la effettuazione di trasfusioni o la somministrazione 
di emoderivati all'estero ed, infine, sono state richiamate le previsioni dell'art. 1, comma 2, 
riguardanti l'estensione dei benefici agli operatori sanitari per i danni da essi riportati in occasione 
e durante il servizio, per inferirne che le stesse sono palesemente rivolte a chi abbia 
contratto l'infezione lavorando nelle strutture sanitarie nazionali. �, poi, stato aggiunto che 
neppure pu� indurre ad una diversa conclusione il criterio della interpretazione costituzionalmente 
orientata e che pertanto l'indennizzo non sia riconoscibile ove richiesto per patologie 


contratte a seguito di trasfusioni o somministrazioni di emoderivati effettuate all'estero, in 
quanto, secondo le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, l'indennizzo in parola si 
configura, a norma degli artt. 38 e 2 Cost., quale misura di sostegno assistenziale disposta dal 
legislatore nell'ambito dell'esercizio costituzionalmente legittimo dei suoi poteri discrezionali. 
A tale qualificazione doveva conseguire che la determinazione dei casi nei quali la misura 
fosse accordata non potesse prescindere anche dalla considerazione delle risorse finanziarie 
disponibili, spettando "al legislatore nell'equilibrato esercizio della sua discrezionalit� e tenendo 
conto anche delle esigenze fondamentali di politica economica bilanciare tutti i fattori 
giuridicamente rilevanti, tra cui gli andamenti della finanza pubblica" (cfr. in tali termini, 
Cass., 17/01/2005, n. 753, che richiama Corte Cost. maggio 1995, n. 99). 
Nel caso considerato nella pronunzia, � stata esclusa, altres�, la decisivit� della circostanza 
che la somministrazione di sangue infetto fosse avvenuta in occasione di un trapianto praticato 
nel Land del Tirolo, in forza di apposite convenzioni con le province di Trento e Bolzano, 
fondate sugli accordi di cooperazione transfrontaliera tra Italia e Austria, perch� gli stessi 
erano successivi all'esecuzione dell'intervento chirurgico praticato. In tal modo riassunti i termini 
in cui questa Corte ha nella menzionata decisione affrontato lo specifico tema, deve rilevarsi 
che la questione dell'assimilabilit� dei due trattamenti (danno da vaccinazione 
obbligatoria e danno post trasfusionale) � stata presa in esame dal Giudice delle Leggi sotto 
vari aspetti, tra i quali quello della decorrenza dell'indennizzo, a carico dello Stato in conseguenza 
di un danno irrimediabile alla salute, ritenendosi che non possa essere confrontata la 
disciplina apprestata in caso di danno da vaccinazione obbligatoria con quella del danno da 
trasfusione, ancorch� quest'ultimo trattamento, pur non essendo imposto per legge, sia comunque 
necessitato, pena il rischio della vita, instaurandosi, a tal fine, il rapporto tra "cogenza" 
dell'obbligo legale e "necessit�" della misura terapeutica. 
La ragione determinante del diritto all'indennizzo � stata individuata nell'interesse pubblico 
di promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario ed � stato osservato che 
lo stesso interesse - una volta che sia assunto a ragione dell'imposizione di un trattamento sanitario 
obbligatorio o di una politica incentivante - � fondamento dell'obbligo generale di solidariet� 
nei confronti di quanti, sottoponendosi al trattamento, vengono a soffrire di un 
pregiudizio alla salute. La Corte Costituzionale ha anche sottolineato come il diritto a misure 
di sostegno quali l'equo indennizzo a carico dello Stato per i danni irreversibili da epatiti posttrasfusionali 
- per il periodo compreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento 
dell'indennizzo gi� stabilito dalla L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3, - non � indipendente 
dal necessario intervento del legislatore nell'esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della 
qualit�, della misura e delle modalit� di erogazione delle provvidenze da adottarsi, nonch� 
della loro gradualit�, in relazione a tutti gli elementi di natura costituzionale in gioco, compresi 
quelli finanziari, la cui ponderazione rientra nell'ambito della sua discrezionalit�. Con analoghe 
argomentazioni, la Corte costituzionale (sentenza n. 423 del 2000) ha dichiarato non fondata 
la questione di costituzionalit� relativa alla mancata previsione da parte della L. n. 210 
del 1992, a favore dei soggetti danneggiati irreversibilmente da epatiti post-trasfusionali, del 
diritto all'assegno "una tantum", previsto, invece, per quanti abbiano subito una menomazione 
permanente alla salute da vaccinazione obbligatoria: anche tale pronuncia ha dunque presupposto 
l'interpretazione della normativa di riferimento nel senso che l'assegno "una tantum" 
non � concedibile ai poli-trasfusi. In conseguenza di tale declaratoria, con successiva ordinanza 

n. 522/2000, la Corte costituzionale ha, poi, dichiarato manifestamente infondata analoga questione 
di legittimit� nella quale il giudice rimettente aveva richiesto una pronuncia che esten



desse il diritto all'assegno previsto per il caso di menomazione permanente della salute da 
vaccinazione obbligatoria (o promossa e incentivata nell'ambito di una politica sanitaria pubblica) 
alla diversa ipotesi di chi abbia subito un danno irreversibile da infezione HIV o da 
epatite post-trasfusionale (cfr. Cass. 11.8.2014 n. 15614). 
I profili da ultimo evidenziati, quali la decorrenza del beneficio ovvero il diritto all'assegno 
una tantum prescindono, tuttavia, dalla problematica, affrontata nella presente controversia, 
della possibilit� di conseguire il beneficio di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3 nel-
l'ipotesi di pregiudizio conseguito a prestazioni sanitarie erogate all'estero ed autorizzate dal 
Servizio Sanitario Nazionale. 
Occorre considerare, per una corretta valutazione dei profili giuridici rilevanti ai fini della decisione, 
che, nel caso di epatite post-trasfusionale, il beneficio economico previsto dalla L. n. 
210 del 1992 prescinde dai presupposti della responsabilit� civile ed ha, invece, natura assistenziale, 
collegata alla situazione obiettiva di menomazione dello stato di salute in cui si 
trova il beneficiario e che, pertanto, la limitazione del beneficio in funzione del luogo di intervento 
creerebbe una violazione nella sfera di protezione della salute del cittadino. 
In tale direzione si � posta la giurisprudenza di merito e quella amministrativa che ha ritenuto 
illegittimo il provvedimento ministeriale di rigetto dell'istanza di indennizzo proposta da un 
ricorrente ai sensi della L. 25 febbraio 1992, n. 210, dopo aver contratto un'epatite a seguito 
di due trasfusioni postoperatorie, pur se effettuate fuori dal territorio italiano, osservando che 
i benefici della citata legge possono applicarsi legittimamente nei confronti dei cittadini italiani 
che abbiano riportato danni a seguito di trasfusioni effettuate in Stati esteri, ove il ricorso alla 
struttura estera sia stato necessitato per sopperire a deficienze del Servizio Sanitario Nazionale 
e da questo riconosciute nel momento in cui, verificata la sussistenza dei presupposti di legge, 
ha autorizzato preventivamente - come nel caso esaminato - il ricorso alle prestazioni estere. 
Da un'opposta interpretazione deriverebbe, invero, un vulnus agli artt. 32 e 3 Cost., ossia una 
violazione dei diritti fondamentali alla tutela della salute e dell'uguaglianza dei cittadini, (cfr. 

T.A.R. Campania Napoli, sez. 1, 29/03/2002, n. 1724, nonch� Trib. Ravenna 24.3.2004). 
La L. n. 210 del 1992, art. 1 nel prevedere il diritto a un indennizzo da parte dello Stato in favore 
di soggetti che risultino contagiati da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di 
sangue e suoi derivati, non richiede in alcun modo che il contagio debba avvenire per effetto 
di interventi effettuati all'interno di strutture sanitarie italiane, pubbliche o private. Escluso, 
dunque, che la legge contenga limitazioni nel riconoscimento del beneficio in relazione al 
fatto che la trasfusione sia stata effettuata o meno in uno stato estero ed escluso che le stesse 
limitazioni possano trarsi dalla disciplina dettata per le vaccinazioni - trattamenti effettuati 
entro periodi di tempo predeterminati che consentono perci� la normale programmazione 
della somministrazione della terapia all'interno delle strutture mediche italiane - occorre rilevare, 
in base ad una corretta applicazione dei criteri interpretativi della legge, che la norma 
guarda letteralmente alla condizione obiettiva del cittadino e non detta alcuna limitazione con 
riferimento al luogo dove sia eseguita la prestazione. 
Oltre al dato letterale, anche l'interpretazione logica, sistematica e costituzionale inducono a 
conclusioni diverse da quelle prospettate del Ministero ricorrente. 
Sotto il profilo logico � pacifico che l'indennizzo in questione abbia natura assistenziale, configurandosi 
come misura economica di sostegno collegata ad una situazione di menomazione 
obiettiva della salute derivante da una prestazione ospedaliera. 
Non si tratta, perci�, come gi� sopra evidenziato, di un emolumento collegato ad una qualche 
ipotesi di responsabilit� (oggettiva e soggettiva) di strutture sanitarie. Il dato della territorialit� 


e la sua valorizzazione �, invece, a ben vedere, funzionale all'accertamento di responsabilit� 
in capo al soggetto che ha praticato la trasfusione ed all'ascrivibilit� allo stesso di condotte 
tendenzialmente omissive connesse all'osservanza dei dovuti controlli per l'accertamento del 
livello di sicurezza del sangue. Su un piano diverso si pone, per quanto gi� considerato, l'indennizzo 
in oggetto, collegato dalla L. n. 210 del 1992, al verificarsi di un danno di tipo irreversibile 
a causa di trasfusioni praticate in relazione al quale rileva unicamente il nesso 
eziologico tra somministrazione di sangue ed emoderivato ed il pregiudizio alla salute, prescindendosi 
dall'imputazione di responsabilit� a chi si trova nelle condizioni di controllare i 
rischi inerenti allo stesso trattamento, che assume rilievo su un piano diverso da quello del 
profilo strettamente indennitario che caratterizza il beneficio economico in questione (cfr. 
Cass. 28.2.2012, n. 3039). 
La limitazione del beneficio agli eventi derivanti da cure effettuate nell'ambito di strutture 
italiane, per quanto detto, presupporrebbe un approccio teso a valutare aspetti di natura risarcitoria, 
che, invece, non rilevano nella presente sede, pure essendo consentito al beneficiario 
dell'indennizzo di far valere le proprie pretese risarcitorie nei confronti di eventuali responsabili 
civili. 
Ci� che rileva ai fini considerati �, dunque, unicamente, la situazione patologica del beneficiario, 
rispetto alla quale la circostanza che il contagio sia avvenuto per trasfusione effettuata 
nel corso di intervento chirurgico effettuato in struttura sanitaria estera non assume significato 
scriminante rispetto al riconoscimento del beneficio, quando l'intervento sanitario all'estero � 
considerato dalla legge come necessario per tutelare al meglio il diritto alla salute del cittadino 
italiano, ovvero nei casi in cui le stesse prestazioni effettuate all'estero sono ricondotte dalla 
legge all'interno del sistema di assistenza pubblica sanitaria garantita ai cittadini, essendo indifferente 
il luogo di effettuazione della prestazione. 
In tali casi - in cui la legge italiana autorizza i cittadini a curarsi all'estero (anche in relazione 
all'interesse collettivo che � sempre correlato alla pi� efficace tutela della salute dei singoli) 

-le limitazioni alla concessione del beneficio in funzione del luogo dell'intervento configurerebbero 
un vulnus nella sfera di protezione della salute del cittadino, provocando la menomazione 
di un diritto costituzionalmente protetto anche nell'interesse della collettivit� e la 
diminuzione delle tutele che la legge appresta, limitandosi in tal modo la protezione legale 
della salute all'estero alla copertura dei costi della prestazione, senza ricomprendervi tutte le 
altre conseguenze derivanti dagli stessi interventi quando vengano praticati all'interno dello 
Stato. 
L'interpretazione indicata dal Ministero anche sotto altro profilo confliggerebbe con i principi 
costituzionali perch�, oltre a ledere l'effettivit� della protezione del bene salute tutelato dall'art. 
32 Cost., determinerebbe l'introduzione di una irragionevole disparit� di trattamento tra cittadini, 
non giustificata alla luce della natura assistenziale del beneficio. 
N� la considerazione che la misura di sostegno assistenziale sia, nell'ipotesi diversa da quella 
delle vaccinazioni obbligatorie, disposta dal legislatore nell'ambito dell'esercizio - costituzionalmente 
legittimo dei suoi poteri discrezionali, pu� indurre a conclusioni diverse da quelle 
finora illustrate, non potendo, sotto altro versante, le ragioni interpretative connesse alla impraticabilit� 
da parte della commissione medica del controllo delle norme tecniche in uso in 
ambito intracomunitario rilevare ai fini prospettati. Ed invero, tutte le risoluzioni sulla sicurezza 
e l'autosufficienza del sangue, per finire alla direttiva 12202/98/CE del Parlamento Europeo 
e del Consiglio del 27 gennaio 2003, stabiliscono norme di qualit� e di sicurezza per la 
raccolta, il controllo, la lavorazione e conservazione e distribuzione del sangue umano e dei 


suoi componenti e la compilazione della scheda informativa dei dati relativi alla trasfusione 

o alla somministrazione da parte del medico che effettui le stesse (L. 210 del 1992, art. 3, 
comma 6) � funzionale all'accertamento del nesso causale tra infermit� o lesioni e la trasfusione 
o somministrazione di emoderivati, attraverso un parere espresso dalla Commissione 
medica, avverso il quale � previsto il ricorso in sede amministrativa, secondo un iter procedi-
mentale che deve precedere il ricorso in sede giudiziaria. Ci�, tuttavia, non � ostativo all'estensibilit� 
del beneficio in relazione a conseguenze dannose verificatesi per effetto di trasfusioni 
e somministrazione di sangue ed emoderivati praticate in strutture sanitarie estere quando l'intervento 
sia legalmente autorizzato, non potendo ritenersi che l'omissione od impraticabilit� 
degli accertamenti in sede amministrativa possa, secondo un'interpretazione costituzionalmente 
orientata, essere di impedimento alla azionabilit� della pretesa in sede giudiziaria. 
Nella specie, peraltro, il parere espresso dal CTU officiato in ordine al nesso causale tra intervento 
e danno post trasfusionale non � stato oggetto di contestazione e di contraddittorio 
tra le parti, costituendo dato pacifico tra le stesse, al pari di quello relativo alla esistenza di 
preventiva autorizzazione a ricorrere alla prestazione sanitaria in stato estero. 
Conclusivamente, l'intervento terapeutico all'estero necessitato dall'esigenza di sopperire a 
deficienze del Servizio Sanitario Nazionale e da questo preventivamente autorizzato nella verificata 
sussistenza dei presupposti di legge deve essere fondatamente ricondotto nell'ambito 
della protezione predisposta dalla legge per la tutela della salute del cittadino italiano, sicch� 
appare del tutto ingiustificata l'introduzione di limiti territoriali nell'erogazione dell'indennizzo 
per cui � causa. 
Il ricorso va, pertanto, respinto. 
Quanto alle spese di lite, la complessit� e le difficolt� interpretative che caratterizzano la questione 
esaminata giustificano la integrale compensazione tra le parti delle spese del presente 
giudizio. 

P.Q.M. 
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio. 
Cos� deciso in Roma, il 23 ottobre 2013. 


La specialit� della disciplina del rapporto 
di lavoro presso gli enti lirico-sinfonici 

TRIBUNALE DI ROMA, SEZ. 3 LAV., ORDINANZA 20 FEBBRAIO 2014, R.G. 43146/13 

Alessandra Bruni* 
Matteo Bertuccioli** 

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La natura giuridica degli enti lirico-sinfonici di interesse 
nazionale e della Fondazione Teatro dell�Opera di Roma: enti pubblici economici di interesse 
nazionale. - 3. La specialit� della disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti lirico-sinfonici. 
4 - La non applicabilit� della riforma Fornero al rapporto di lavoro presso le pubbliche 
amministrazioni e presso gli enti lirico-sinfonici. 

1. Premessa. 

L�ordinanza del Tribunale di Roma, sezione lavoro, del 20 febbraio 2014, 
che ha deciso per la non applicabilit� alle Pubbliche Amministrazioni del rito 
accelerato introdotto dalla riforma Fornero (l. 92/2012), ha fornito lo spunto 
per svolgere alcune riflessioni in merito all�attualissima problematica dell�applicabilit� 
o meno della riforma Fornero alle Pubbliche Amministrazione ed 
agli enti lirico-sinfonici, riflessione inevitabilmente collegata al tema della natura 
giuridica e della specialit� della disciplina del rapporto di lavoro presso 
questi soggetti. Temi che ancora vedono incertezze giurisprudenziali nonostante 
i numerosi recenti interventi chiarificatori del Legislatore. 

Per ragioni di ordine logico e sistematico si proceder� partendo dalla questione, 
necessariamente preliminare, relativa alla natura giuridica degli enti lirico-
sinfonici e nello specifico della Fondazione Teatro dell�Opera di Roma, 
inserendola nel pi� ampio contesto delle privatizzazioni e giungendo alle conclusioni 
accolte dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 153 del 2011. 

Poste le basi, si analizzer� quindi la speciale disciplina del rapporto di lavoro 
che da sempre ha caratterizzato, e continua a caratterizzare, questi soggetti 
per affrontare infine, nel contesto dell�ultimo quadro normativo costituito 
dalla legge Bray (d.l. n. 91/2013, convertito con modifiche in legge n. 
112/2013), la recentissima questione, tutt�altro che pacifica in dottrina ed in 
giurisprudenza, relativa all�applicabilit� o meno della riforma Fornero (legge 

n. 92/2012). 

(*) Avvocato dello Stato. 
(**) Dottore in giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 



2. La natura giuridica degli enti lirico-sinfonici di interesse nazionale e della 
Fondazione Teatro dell�Opera di Roma: enti pubblici economici di interesse 
nazionale. 

In primo luogo � necessario affrontare e chiarire la questione relativa alla 
natura giuridica degli enti lirico-sinfonici, nello specifico della Fondazione 
Teatro dell�Opera di Roma, problematica sorta in seguito alla trasformazione 
dell�Ente autonomo Teatro dell�Opera di Roma, soggetto di diritto pubblico, 
in Fondazione Teatro dell�Opera di Roma. La questione non costituisce un 
mero esercizio teorico -dottrinario, ma presenta importanti risvolti pratico applicativi, 
anche con riferimento alla disciplina del rapporto di lavoro. 

La trasformazione dell�ente pubblico in fondazione � avvenuta per la prima 
volta con il d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367, che obbligava gli enti lirici di rilievo 
nazionale previsti dalla legge n. 800/67 a trasformarsi in fondazioni di diritto 
privato. Di fronte all�inerzia degli enti, due anni pi� tardi interveniva nuovamente 
il d.lgs. 23 aprile 1998, n. 134, imponendo la trasformazione ex lege. 
Decreto che � stato dichiarato illegittimo per eccesso di delega dalla sentenza 
della Corte Costituzionale n. 503 del 2000, ma il cui contenuto � stato sostanzialmente 
reiterato con il d.l. 24 novembre 2000, n. 345, convertito in legge 26 
gennaio 2001, n. 6 (1), che costituisce l�attuale disciplina della trasformazione. 

Il fenomeno va necessariamente inquadrato nell�ambito del processo delle 
privatizzazioni iniziato nei primi anni Novanta con cui, in nome di una dichiarata 
maggiore efficienza del privato, nel contesto della prima grande crisi della 
finanza pubblica e del debito, si sono utilizzati modelli organizzativi privatistici 
per lo svolgimento di funzioni ed attivit� precedentemente esercitate secondo 
modelli e formule organizzative di diritto pubblico. � accaduto cos� che 
nell�organizzazione pubblica siano entrate figure organizzative formalmente 
di diritto comune: ci� ha riguardato i modelli della societ� per azioni e delle 
fondazioni e associazioni (2). Nel nostro ordinamento sono cos� presenti nel-
l�ambito dell�organizzazione pubblica persone giuridiche formalmente private 
che tuttavia �data la loro sostanza, sono sottoposte a vincoli di diritto pubblico 
imposti dall�esigenza del rispetto dei principi costituzionali di cui allo stesso 

(1) Una ricostruzione puntuale del processo di trasformazione, partendo dalla disciplina della cd. 
legge Corona (l. n. 800/67) per arrivare agli ultimi interventi del d.l. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito 
in legge 31 marzo 2005, n. 43 � presente in MANGANARO F., Pubblico e privato nella disciplina giuridica 
delle fondazioni liriche e teatrali, in Nuove autonomie 2005 n. 4-5, 523 e ss. 
(2) Sul tema si � soffermata ampiamente la dottrina, che ha individuato sostanzialmente tre differenti 
processi evolutivi che hanno portato alla presenza di tre specie di organizzazioni formalmente private 
nell�organizzazione pubblica: le imprese pubbliche in forma di societ� per azioni, le fondazioni e 
le associazioni, e le societ� per azioni non deputate all�esercizio di attivit� d�impresa costituite per il 
perseguimento di interessi pubblici. Riguardo alle fondazioni si � parlato di utilizzo del modello �in 
modo descrittivo e non tecnico� dal momento che � �difficile rintracciare in tutte queste figure il carattere 
proprio delle fondazioni private intese in senso tecnico come patrimoni destinati ad uno scopo�. Il 
tema � affrontato da CERULLI IRELLI V., Diritto privato dell�Amministrazione pubblica, Torino, 2008. 



art. 97� (3), con la sola eccezione delle organizzazioni che svolgono attivit� 
d�impresa, tra le quali non rientrano le fondazioni lirico-sinfoniche. 

Le fondazioni risultanti da questo processo, tra le quali rientra il Teatro 
dell�Opera di Roma, che svolgono attivit� culturali liriche e teatrali di primario 
interesse nazionale, costituiscono entit� profondamente differenziate rispetto 
alle fondazioni delineate dal modello del Codice civile, con una disciplina giuridica 
difforme che ha portato ad utilizzare l�espressione �Fondazioni di diritto 
amministrativo� (4). Il modello fondazione, la formula organizzativa, viene 
utilizzata in maniera neutra, indifferente rispetto alle regole specifiche poste 
per le attivit� istituzionali affidate all�ente, con l�imposizione di vincoli pubblicistici 
al fine di garantire la tutela di interessi pubblici ritenuti rilevanti dalla 
legge. La differenza principale rispetto al modello privatistico disciplinato dal 
Codice civile negli artt. 14 e ss., che comporta una rilevante modifica del regime 
giuridico e della natura dell�ente, � da rinvenirsi nella sua costituzione 
ex lege. Le fondazioni lirico-sinfoniche non sono costituite n� per un atto di 
autonomia privata, n� per un negozio di fondazione. Lo Statuto della Fondazione 
Teatro dell�Opera individua i soci fondatori negli enti pubblici territoriali: 
lo Stato, il Comune di Roma e la Regione Lazio (il che richiama in 
maniera non celata la caratteristica principale degli enti pubblici non economici, 
ovvero il loro legame con gli enti territoriali di riferimento), e detta una 
specifica disciplina in caso di estinzione dell�ente (che richiama il connotato 
essenziale degli enti pubblici non territoriali, ovvero l�indisponibilit� della 
propria esistenza). La legge stabilisce poi il contenuto dello Statuto, il numero 
degli organi e dei loro componenti e i loro compiti (5). Tutte prerogative che 

(3) CERULLI IRELLI V., Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011, 32 e ss. Queste 
considerazioni sono avvalorate nella prosecuzione dello studio in cui si dimostra come non sia pi� possibile 
ragionare in termini di rigida e netta separazione tra pubblico e privato. L�attivit� giuridica delle 
organizzazioni pubbliche oggi si esercita normalmente anche secondo moduli di diritto privato e le stesse 
funzioni di amministrazione in senso sostanziale possono essere conferite a soggetti formalmente privati. 
Tuttavia �lo spazio del diritto privato nell�amministrazione pubblica resta uno spazio stretto (�) per i 
suoi limiti interni (ci� che, una volta privatizzato, pu� svolgersi immune da condizionamenti pubblicistici, 
dal subire l�ingresso di istituti pubblicistici)�. Vi sono pertanto tre specie di organizzazione formalmente 
private presenti nell�ambito dell�organizzazione pubblica che traggono origine da tre differenti 
processi evolutivi: trasformazione di enti pubblici economici in societ� per azioni. Trasformazione di 
enti pubblici non economici in persone giuridiche di diritto privato disciplinate dal libro I del Codice 
civile. Trasformazione di enti pubblici non economici in societ� per azioni. 
(4) ROMANO TASSONE, Le Fondazioni di diritto amministrativo: un nuovo modello, Relazione al 
Convegno di Palermo �Fondazioni e attivit� amministrativa�, 13 maggio 2005; MANGANARO F., Pubblico 
e privato nella disciplina giuridica delle fondazioni liriche e teatrali, in Nuove autonomie 2005 n. 4-5, 
523 e ss., che analizza dettagliatamente le difformit� dal modello del Codice civile. In generale la Dottrina 
si � ampiamente occupata del fenomeno delle Fondazioni come soggetti giuridici creati ex lege 
per cui l�eccessiva difformit� normativa rispetto al modello del Codice civile porta a ritenere necessario 
parlare di Fondazioni di diritto pubblico, BARDUSCO, Fondazione di diritto pubblico, in Dig. Disc. Pubb., 
IV, Torino, 1991, 390 e ss. 


(5) Si pu� consultare lo Statuto della Fondazione Teatro dell�Opera di Roma sulla pagina web 

http://www.operaroma.it/ita/fondazione-statuto.php. 


sono sottratte all�autonomia privata ed elementi che vedono una disciplina di 
chiaro stampo pubblicistico, svuotandosi di fatto in questo modo di contenuto 
sostanziale il richiamo al modello civilistico ed alla personalit� giuridica di 
diritto privato. La ratio di quest�assetto peculiare � senza dubbio giustificato 
dall�interesse pubblico perseguito dall�attivit� di questi enti. 

Va tenuta presente un�altra peculiarit� propria degli enti lirico-sinfonici: 
la forte funzionalizzazione dell�attivit� svolta ai compiti istituzionali di interesse 
pubblico ad essi affidati. Se in generale � vero che la questione della natura 
giuridica non sia il fattore determinante per comprendere la disciplina 
specifica di un�attivit� (6), tuttavia una maggiore funzionalizzazione delle attivit� 
svolte da soggetti formalmente privati costituisce un indizio rilevante e 
decisivo nei casi di incertezza delle soluzioni, e rende pi� forte il vincolo pubblicistico 
ed il limite che incontrano l�interprete ed il legislatore. 

Insomma, ci troviamo di fronte ad un caso, comune nel nostro ordinamento 
e nella storia della trasformazione degli enti pubblici, di trasformazione 
al livello di privatizzazione meramente formale del modello organizzativo, e 
non invece di privatizzazione sostanziale. 

In questo senso, nonostante la veste formalmente privatistica, la Corte Costituzionale 
ha riconosciuto con la sentenza n. 153 del 2011 [A. BRUNI, N. GUASCONI, 
Sulla natura giuridica degli enti lirico sinfonici in Rass. Avv. Stato 2011, 
IV, 85 ss.- ndr] in maniera inequivoca la natura sostanzialmente pubblica delle 
fondazioni lirico-sinfoniche di interesse nazionale, e quindi della Fondazione 
Teatro dell�Opera di Roma. La pronuncia della Consulta, chiamata ad esprimersi 
su un ricorso in via principale con cui venivano impugnate alcune disposizioni 
del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64 (Disposizioni urgenti in materia 
di spettacolo e attivit� culturali), ha ricondotto la normativa avente ad oggetto 
gli enti lirici nel solco della competenza statale di cui all�art. 117, comma 2, 
lett. g) della Costituzione, �ordinamento e organizzazione amministrativa dello 
Stato e degli enti pubblici nazionali�, risolvendo in maniera chiara ed organica 
la questione della natura giuridica degli enti lirico-sinfonici. 

In tale sede la Consulta, dopo aver ripercorso il complesso iter normativo 
di privatizzazione formale (7), ha avuto modo di specificare che �sulla qua


(6) Si � parlato di dottrina di discrasia tra soggettivit� ed attivit�, in quanto un soggetto pu� essere 
sottoposto a differenti discipline in relazione alle diverse attivit� (FALZEA). 
(7) Scrive la Consulta: �Una breve premessa sulla storia della disciplina degli enti autonomi 
lirici (e istituzioni concertistiche assimilate) � indispensabile. 
Tali enti hanno ricevuto una prima regolazione dalla legge 14 agosto 1967, n. 800 (Nuovo ordinamento 
degli enti lirici e delle attivit� musicali), che ha attribuito agli stessi, nominativamente individuati sub 
art. 6, la personalit� giuridica di diritto pubblico e li ha sottoposti alla vigilanza dell�autorit� di Governo 
competente (all�epoca, il Ministro del turismo e dello spettacolo). Ha dichiarato, inoltre, �di rilevante 
interesse generale� l�attivit� lirica e concertistica, �in quanto intesa a favorire la formazione musicale, 
culturale e sociale della collettivit� nazionale� (art. 1). Il conferimento della personalit� giuridica di 
diritto pubblico e la sottoposizione alla vigilanza ministeriale sono stati ritenuti dalla legge istitutiva i 



lificazione in senso pubblicistico degli enti lirici, ancorch� privatizzati, si registra 
anche una sostanziale convergenza delle parti, nel solco peraltro di una 
giurisprudenza prevalente (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 

n. 2637 del 2006; T.A.R. Liguria, sez. II, sentenza n. 230 del 2009; T.A.R. Sardegna, 
sez. II, sentenza n. 1051 del 2008). Si ritiene, infatti, concordemente 
che, nonostante l�acquisizione della veste giuridica formale di �fondazioni di 
diritto privato�, tali soggetti conservino, pur dopo la loro trasformazione, una 
marcata impronta pubblicistica� (8). Tale affermazione trova peraltro ampio 
riscontro nei molteplici ed univoci indici della connotazione pubblica che la 
stessa Corte costituzionale identifica �nei finanziamenti, nel conseguente assoggettamento 
al controllo della Corte dei conti� (9); e ancora �nel patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato� (10), nell�inclusione nel novero degli organismi 

necessari presupposti, non solo per la realizzazione di spettacoli di alto livello, ma anche per la diffusione 
dell�arte musicale, per la cura della formazione professionale degli artisti e per lo sviluppo del-
l�educazione musicale della collettivit� (art. 5).(�) 
Il decreto legislativo n. 367 del 1996 ha previsto la trasformazione dei medesimi enti, qualificati �di 
prioritario interesse nazionale [�] nel settore musicale� (art. 2), in fondazioni di diritto privato. E ci� 
al fine dichiarato di eliminare rigidit� organizzative e di attrarre conseguentemente finanziamenti privati. 
Nel testo risultante dalle numerose novelle via via intervenute, il d.lgs. n. 367 del 1996: a) individua 
le finalit� delle fondazioni nel perseguimento senza scopo di lucro della diffusione dell�arte musicale, 
della formazione professionale dei quadri artistici e dell�educazione musicale della collettivit� (art. 3); 
b) stabilisce che le fondazioni hanno personalit� giuridica di diritto privato e sono disciplinate, per 
quanto non espressamente previsto dallo stesso d.lgs., dal codice civile e dalle relative norme di attuazione 
(art. 4); c) detta norme generali sul contenuto indispensabile degli statuti, prevedendo in una percentuale 
minoritaria l�apporto complessivo dei privati al patrimonio e subordinando la possibilit� di 
nomina dei consiglieri di amministrazione, da parte dei privati, all�erogazione di un apporto annuo 
non inferiore all�8% del totale dei finanziamenti statali (art. 10); d) disciplina gli organi di gestione e 
le loro funzioni: il presidente-sindaco, il consiglio di amministrazione, il sovrintendente ed il collegio 
dei revisori, dettando la composizione numerica degli organi collegiali ed imponendo la presenza di 
membri in rappresentanza dell�autorit� di Governo e della Regione interessata, i primi in maggioranza 
nel collegio dei revisori (artt. 11-14); e) mantiene la sottoposizione delle fondazioni lirico-sinfoniche 
al controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria ed alla vigilanza dell�autorit� di Governo 
competente in materia di spettacolo; f) demanda i criteri di riparto della quota del Fondo unico per lo 
spettacolo da destinare alle medesime fondazioni ad un decreto del Ministro per i beni e le attivit� culturali 
in relazione alla quantit� e qualit� della produzione offerta ed agli interventi posti in essere per 
la riduzione della spesa (art. 24). 
Il procedimento di trasformazione, che era stato soltanto delineato dagli artt. 5 ss. del d.lgs. n. 367 del 
1996, � stato realizzato successivamente con il d.lgs. 23 aprile 1998, n. 134 (Trasformazione in fondazione 
degli enti lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate, a norma dell�art. 11, comma 1, lettera 
b, della legge 15 marzo 1997, n. 59). Con esso il Governo ha abrogato, sul punto, il precedente provvedimento 
legislativo e ha disposto direttamente per legge la trasformazione in oggetto, ritenendo che 
la veste giuridica privata consentisse ai suddetti enti di svolgere pi� proficuamente la propria attivit�. 
La Corte costituzionale ha, tuttavia, dichiarato l�illegittimit� del d.lgs. da ultimo citato per eccesso di 
delega (sentenza n. 503 del 2008). In seguito, per�, l�art. 1 del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 345 
(Disposizioni urgenti in tema di fondazioni lirico-sinfoniche), convertito in legge, con modificazioni, 
dall�art. 1 della legge 26 gennaio 2001, n. 6, ha nuovamente disposto la trasformazione in fondazioni 
di diritto privato degli enti lirici, con decorrenza dal 23 maggio 1998. E ci� al fine di salvaguardare 
con effetto ex tunc l�uniformit� e la continuit� degli assetti istituzionali gi� riformati dal d.lgs. n. 134 
del 1998�. 


di diritto pubblico sottoposti alla disciplina del Codice degli appalti (11). 

Riassumendo pu� dirsi che gli elementi qualificativi della natura giuridica 
pubblica della Fondazione Teatro dell�Opera di Roma, e degli enti lirico-sinfonici, 
oltre alle finalit� culturali di rilevo pubblico ed istituzionale e di interesse 
nazionale perseguite con la sua attivit�, sono la sussistenza del prevalente 
finanziamento pubblico, la soggezione al controllo della Corte dei Conti, il 
potere di vigilanza del Ministero dei beni e delle attivit� culturali, la composizione 
e le procedure di nomina degli organi costitutivi, la struttura della fondazione, 
la sottoposizione alla disciplina dell�evidenza pubblica negli appalti 
di servizi e forniture ed il patrocinio dell�Avvocatura Generale dello Stato, 
nell�assenza di autonomia contabile e finanziaria, tale da inserirla nel comparto 
della finanza pubblica con l�effetto di perpetuare in capo ad essa la copertura 
vincolistica preposta al contenimento della spesa dello Stato. 

Alla luce di quanto rappresentato dalla Consulta, che conclude rilevando 
la �natura pubblica di tali enti - non controversa�, la casella nella quale va 
ricompreso un soggetto come la Fondazione Teatro dell'Opera � quella del-
l'ente pubblico non economico di prioritario interesse nazionale (12), con personalit� 
di diritto privato. 

(8) Corte Costituzionale, sentenza n. 153/2011, punto 5.2 in diritto, che prosegue �Anche questa 
Corte, in un altro caso in cui, analogamente, le attivit� dell�ente eccedevano la dimensione regionale o 
locale, ha rilevato - sia pure sotto la vigenza del precedente art. 117 Cost. - che la �Societ� di cultura 
La Biennale di Venezia�, dopo la privatizzazione, aveva mantenuto �la funzione di promuovere attivit� 
permanenti e di organizzare manifestazioni internazionali inerenti la documentazione nel campo delle 
arti� e continuava ad assolvere, pur nella nuova forma privata assunta, compiti di interesse nazionale 
(sentenza n. 59 del 2000)�. 
(9) Ai sensi dell�art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 367 del 1996. 
(10) Ai sensi dell�art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 345 del 2000. 




(11) �In particolare, il tenore della citata disciplina sugli appalti pubblici, di derivazione comunitaria, 
appare molto eloquente, perch� riconosce a livello legislativo la compatibilit� della nozione di 
organismo di diritto pubblico con la forma giuridica privata dell�ente (�anche in forma societaria�), 
purch� l�ente stesso risulti, come nella specie, istituito per soddisfare esigenze d�interesse generale, dotato 
di personalit� giuridica e finanziato in modo maggioritario dallo Stato o da altri enti pubblici (art. 
3, comma 26, del d.lgs. n. 163 del 2006)�. La direttiva appalti 18/2004/CE del 31 marzo 2004 nell�allegato 
III, in cui ai sensi dell�art. 1, comma 9, sono elencati in via esemplificativa gli organismi di diritto 
pubblico, indica �gli enti pubblici preposti ad attivit� di spettacolo� e gli �enti culturali di promozione 
artistica�. 


(12) � evidente la dimensione nazionale di questi enti lirici per �la rilevanza generale delle finalit� 
perseguite e l�ampiezza delle attivit� svolte� e conseguentemente �interventi di riassetto ordinamentale 
ed organizzativo (�) incidendo profondamente in un settore dominato da soggetti che realizzano finalit� 
dello Stato - devono essere ascritti alla materia �ordinamento e organizzazione amministrativa [�] degli 
enti pubblici nazionali�, di competenza esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.�. 
Trattandosi di un giudizio in via principale la Consulta si sofferma abbondantemente sulla rilevanza nazionale 
di questi enti rilevando come �Alla natura pubblica di tali enti - non controversa - la Corte ritiene 
che si accompagni il carattere nazionale dei medesimi. E ci� non tanto perch� suggerito 
dall�indicazione del loro rilievo nazionale, costantemente presente in tutta la normativa di riferimento 
come attributo qualificante di essi, ma soprattutto perch� le finalit� delle anzidette fondazioni, ossia la 
diffusione dell�arte musicale, la formazione professionale dei quadri artistici e l�educazione musicale 


Il Teatro, infatti, � un ente culturale che non esercita attivit� produttiva di 
ricchezza, attivit� di impresa, ma svolge funzioni inequivocabilmente di interesse 
pubblico: custodisce lo storico patrimonio italiano nel settore di riferimento, 
svolge primarie finalit� culturali di conservazione, educazione, 
diffusione, anche con lo scopo, individuato dalla legge, di trasmettere i valori 
civili fondamentali tradizionalmente coltivati dalle pi� nobili istituzioni teatrali 
e culturali della Nazione, per la realizzazione delle quali i costi superano sempre 
i guadagni. Ci� costituisce �esplicazione dei princ�pi fondamentali dello 
sviluppo della cultura e della tutela del patrimonio storico e artistico della 
Nazione, di cui all�art. 9, primo e secondo comma, Cost.� (13). 

� pertanto seguendo il percorso logico tracciato dalla Consulta, data per 
assodata la natura pubblica di questi soggetti, che bisogna muoversi per risolvere 
le successive questioni. 

3. La specialit� della disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti lirico sinfonici. 


La natura sostanziale di enti pubblici non economici delle fondazioni lirico-
sinfoniche, e quindi del Teatro dell�Opera, produce delle conseguenze rilevanti 
in materia di disciplina del rapporto di lavoro. 

L�art. 22 del D.lgs. n. 367/1996 ha previsto che �i rapporti di lavoro dei dipendenti 
delle fondazioni sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e 
dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa e sono costituiti e regolati 
contrattualmente�. Si � passati cos� ad un regime di privatizzazione, con 
una norma generale di tenore e contenuto simile a quella contenuta nell�art. 2, 
comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Tuttavia pur non applicandosi al personale delle 
fondazioni lirico-sinfoniche il Decreto sul pubblico impiego (14), non si pu� 
giungere alla conclusione che la disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti 
lirico-sinfonici sia de plano quella del lavoro privato per una serie di considerazioni 
e di dati normativi, anche costituzionali, su cui si cercher� di fare chiarezza. 

della collettivit� (�), travalicano largamente i confini regionali e si proiettano in una dimensione estesa 
a tutto il territorio nazionale. Sono significativi, d�altronde, del fatto che non si tratta di attivit� di spettacolo 
di interesse locale gli ingenti flussi di denaro con cui lo Stato ha sovvenzionato e continua a sovvenzionare 
tali soggetti. 
Anche il confronto con i teatri di tradizione e le altre istituzioni concertistico-orchestrali, protagonisti 

- essi s� - della programmazione di attivit� musicali in �mbito ben circoscritto (art. 28 della legge n. 
800 del 1967), evidenzia chiaramente la vocazione, per contro, spiccatamente nazionale di quel gruppo 
di enti lirici di eccellenza (che, non a caso, si � ritenuto di ampliare con legge dello Stato, includendovi 
la �Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari� costituita ex art. 1 della legge n. 310 del 
2003), la rilevanza generale delle finalit� perseguite e l�ampiezza delle attivit� svolte.(�)�. 

(13) Punto 5.3 del considerando in diritto. 

(14) Poich�, come si � illustrato nel primo paragrafo, le fondazioni lirico-sinfoniche non rientrano 
nella nozione di pubblica amministrazione in senso stretto rinvenibile nell�art. 1, comma 2, del d.lgs. 
165/2001, che rappresenta anche la disposizione che individua i soggetti a cui si deve applicare la disciplina 
del Decreto sul pubblico impiego. 


Le fondazioni lirico-sinfoniche svolgono attivit� ibride, non sono titolari 
di poteri autoritativi e agiscono principalmente con strumenti di diritto privato. 
Le loro caratteristiche per�, come individuate dalla Corte Costituzionale, fanno 
si che siano sottoposte ad un diritto del tutto speciale (15), con ampi settori in 
cui si applica una disciplina che deve essere definita perci� quanto meno speciale, 
se non ci si vuole spingere a chiamarla di diritto pubblico. Alla luce del-
l�impostazione ormai largamente dominante della giurisprudenza e della 
dottrina che ha rilevato come nel nostro ordinamento non vi sia una definizione 
statica di pubblica amministrazione quanto piuttosto una nozione di pubblica 
amministrazione a geometria variabile, si deve ritenere che le organizzazioni 
sostanzialmente pubbliche in forma privatistica, come gli enti lirico-sinfonici, 
rientrino in una nozione di pubblica amministrazione in senso lato, nozione 
ricostruibile alla luce di una serie di disposizioni di diritto positivo quali, oltre 
all�art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, l�art. 7, comma 2, del codice del processo 
amministrativo, l�art. 3, comma 26, del d.lgs. 163/2006, l�art. 1, comma 
1 ter, della l. 241/90 e l�art. 29, comma 1, della l. 241/90. 

Occupandoci della disciplina del rapporto di lavoro la questione cardine, 
che si differenzia dal regime nel settore privato e che presenta profili pubblicistici 
di rilievo costituzionale, riguarda il regime delle assunzioni (16) con tutto 
ci� che ne consegue (il riferimento � al tema della conversione dei contratti a 
tempo determinato). Il profilo dell�accesso al rapporto di lavoro negli enti pubblici 
in seguito alle privatizzazioni formali, proprio per la natura sostanzialmente 
pubblica degli enti, continua necessariamente ad essere disciplinato da 
norme pubblicistiche, sia relativamente alla capacit� di assumere nuovo personale, 
che incontra un limite nelle dotazioni organiche e quindi nel profilo 
della macro-organizzazione, sia relativamente alle modalit� di assunzione, che 
deve avvenire per pubblico concorso (17), sia relativamente alle speciali disposizioni 
di legge che prevedono oggi esplicitamente il divieto di conversione 
dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. 

Il generale regime di diritto privato che regola il rapporto di lavoro e la 
sua gestione non � sufficiente a far venire meno la natura sostanzialmente 
pubblica dell�ente e non pu� costituire una via di fuga dalla norma costituzionale 
che rappresenta il principio cardine dell�attivit� di questi soggetti, ov


(15) Giova richiamare ancora una volta i poteri ministeriali di vigilanza, il regime dei controlli, 
la responsabilit� degli amministratori, la particolare struttura istituzionale, i fini da perseguire individuati 
dalla legge, il prevalente finanziamento pubblico ed il controllo pubblico, l�obbligo di rispettare la disciplina 
dell�evidenza pubblica negli appalti. 
(16) CERULLI IRELLI V., Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011, 59 e ss. 


(17) Il principio generale del pubblico concorso pu� trovare delle eccezioni solo laddove la legge 
prevede esplicitamente delle deroghe. La giurisprudenza della Corte Costituzione � particolarmente rigida 
e consente deroghe solo in relazione al principio del buon andamento dell�ente (Corte cost. n. 
225/2010; Cass. SS.UU. 15 ottobre 2003, n. 15403, Consiglio di Stato n. 7107/2007). 



vero l�art. 97 della Costituzione ed il principio fondamentale delle assunzioni 
per concorso (18). Tutte le societ� a partecipazione pubblica di controllo e 
tutti i soggetti riconducibili al libro I del Codice civile sono obbligati a selezionare 
il personale secondo la regola del pubblico concorso. La regola, come 
si vedr� a breve, � stata recepita in maniera espressa dal legislatore a fronte 
di esitazioni giurisprudenziali, ma costituisce comunque, a prescindere dalla 
traduzione in esplicite disposizioni, un principio immanente del processo di 
privatizzazione formale. 

Nel momento in cui si privatizzano enti pubblici si opta per un modello 
di organizzazione e gestione dell�attivit� (anche del rapporto di lavoro) ma 
non si cancella la natura dell�ente ed i vincoli che essa comporta. Due punti, 
cos�, rimangono insuperabili: la gestione del denaro pubblico non � mai libera 

(19) ed il regime delle assunzioni deve avvenire tramite concorso (20). Tenuti 
fermi questi paletti si possono scegliere modelli pi� elastici (21) e privatizzare, 
senza tuttavia che ci� sia da solo sufficiente a far venire meno la natura sostanziale 
pubblica e la specialit� della disciplina, imposta dalla costituzione e 
dal diritto dell�Unione europea (22), per gli aspetti che si sono individuati. 

La disciplina del rapporto di lavoro applicabile agli enti lirico-sinfonici 
� pertanto una disciplina speciale rispetto a quella generale del lavoro privato 
e presenta peculiarit� sue proprie. Tenendo ben fermi i principi che si sono 
illustrati, si proceder� ad analizzare il dato normativo per dimostrare come 
via sia una sostanziale linea di continuit� mai venuta meno, neppure a seguito 
della privatizzazione formale, oltre che dal punto di vista della natura 
giuridica sostanzialmente pubblica, anche dal punto di vista della disciplina 
del rapporto di lavoro quantomeno per gli aspetti connessi alla natura pubblica 
dell�ente (23). 

(18) Le uniche organizzazioni formalmente private ma sostanzialmente pubbliche che sono esonerate 
dall�applicazione della generale regola concorsuale sono le societ� per azioni che svolgano attivit� 
d�impresa. 
(19) Secondo il principio del divieto di sperpero del denaro pubblico (GIANNINI). Da qui le speciali 
disposizioni sulla vigilanza, il controllo e la responsabilit� degli enti lirico sinfonici. 
(20) Tutti i cittadini, in virt� del principio di uguaglianza, hanno diritto di accedervi in condizioni 
di parit�, secondo la lettura prevalente della ratio del principio concorsuale collegato ai principi di imparzialit� 
e buon andamento. 
(21) Basti considerare come con la privatizzazione venga meno il vincolo di bilancio preventivo. 


(22) Per il diritto europeo non rilevano le distinzioni formali pubblico / privato secondo le discipline 
di diritto comune dei singoli Stati. Testimonianza � la creazione dell�istituto dell�organismo di diritto 
pubblico: un soggetto non esercente attivit� d�impresa con controllo pubblico che operi secondo 
fini di interesse generale. Questi soggetti, tra cui rientrano le fondazioni lirico -sinfoniche, sono pienamente 
equiparati dal diritto europeo alle pubbliche amministrazioni intese in senso tradizionale. 
(23) Anche se la norma dell�art. 22 del d.lgs. 367/1996 contenendo una formula analoga a quella 
dell�art. 2, comma 2, del d.lgs. 165/2001 non ne riproduce la seconda parte �fatte salve le diverse disposizioni 
contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo�, si 
deve ritenere che le numerose disposizioni speciali di legge costituiscano un corpus tale da far parlare 
di disciplina speciale. 



Era evidente, sin dall�origine nella vigenza dell�ordinamento pubblicistico 
introdotto dalla legge n. 800/1967, la specialit� della disciplina propria, pubblicistica, 
degli enti lirici rispetto a quella della legge n. 230/1962 relativa al 
lavoro a tempo determinato. Si delineava fin d�allora un doppio livello di regolamentazione: 
da un lato, quello generale, dettato dalla legge n. 230/1962, 
che in certe condizioni ammetteva che l�abusivo ricorso alla contrattazione a 
termine potesse portare alla stabilizzazione dei rapporti, dall�altro, quello settoriale 
proprio degli enti lirici, connotato da una forte ingerenza pubblicistica, 
funzionale ad uno scopo di contenimento della spesa pubblica in un settore 
soggetto a flussi occupazionali di carattere stagionale (24). 

Prima dei recenti interventi chiarificatori del legislatore nel 2013, parte 
della giurisprudenza aveva ritenuto che con la privatizzazione formale fosse 
venuta meno la tradizionale specialit� della disciplina del rapporto di lavoro 
negli enti lirico-sinfonici, optando per una piena e facile, ma erronea, parificazione 
al lavoro privato (25). La privatizzazione formale veniva interpretata 
in termini di ontologica incompatibilit� con la sopravvivenza del disposto di 

(24) Eloquente relativamente alla volont� del legislatore di creare un corpus, soggetto a regole 
sue proprie, separato dalla disciplina generale sui contratti a termine, era la normativa successivamente 
varata (legge 14 novembre 1979 n. 589; art. 2, penultimo comma, della legge 6 marzo 1980 n. 54; art. 
1 comma 2, della legge 10 aprile 1981 n. 146; art. 2, comma 2, della legge 17 febbraio 1982 n. 43 e art. 
3, comma 3, legge 10 maggio 1983 n. 182) che reiterava le finalit� di contenimento degli organici degli 
enti lirici, ribadendo l�operativit� del divieto di conversione. 
(25) Gli interventi normativi di cui si dir� infra pongono fine alla diatriba insorta negli ultimi 
anni, oggi non pi� attuale alla luce degli interventi del 2013, ma di cui se ne d� conto, condizionata in 
parte da una errata lettura del pronunciamento in materia ad opera della Suprema Corte (ultima in ordine 
di tempo la sentenza n. 11573/2011). La controversia sottoposta alla disamina della Corte di Cassazione 
riguardava i contratti stipulati nella vigenza della precedente disciplina sui contratti a termine (ovvero 
la l. n. 230/62), ove nessuna previsione speciale era riservata alle fondazioni liriche, soprattutto con riguardo 
alla disciplina delle proroghe e della successione dei contratti. In questo contesto, il termine �rinnovi�, 
poteva ingannare l�interprete, suggerendo una qualificazione in senso tecnico dello stesso, e 
conducendo alla erronea conclusione secondo la quale il divieto di conversione doveva ritenersi limitato 
alle sole ipotesi di violazione delle norme sulle proroghe o sulla successione dei contratti. Tuttavia, con 
la vigente disciplina ci� non accade, proprio perch� tale effetto � oggi prodotto dall�art. 11 del d.lgs. n. 
368/01, che esclude l�applicabilit� agli enti lirici delle disposizioni di cui ai precedenti artt. 4 e 5 in materia 
di proroghe e successione di contratti a termine. In senso contrario cfr. sentenza n. 2124/2010 della 
Corte d�Appello di Palermo. Il termine �rinnovi� infatti, poteva ingannare l�interprete, suggerendo una 
qualificazione in senso tecnico dello stesso, e conducendo alla erronea conclusione secondo la quale il 
divieto di conversione doveva ritenersi limitato alle sole ipotesi di violazione delle norme sulle proroghe 
o sulla successione dei contratti. Tuttavia, con la vigente disciplina ci� non accade, proprio perch� tale 
effetto � oggi prodotto dall�art. 11 del d.lgs. n. 368/01, che esclude l�applicabilit� agli enti lirici delle 
disposizioni di cui ai precedenti artt. 4 e 5 in materia di proroghe e successione di contratti a termine. 
Pertanto non pu� che rafforzarsi la tesi secondo cui il termine rinnovi vada inteso in senso �atecnico� 
(cfr. Corte di Appello di Palermo n. 2124/2010) e dunque escludere la conversione anche del �nuovo� 
contratto a termine anche se geneticamente viziato. In caso contrario si avrebbe un�inutile duplicazione 
della medesima disciplina, posto che, aderendo alle tesi della controparte, l�art. 3 della l. 426/77, fatto 
rivivere dal decreto legge n. 64 del 2010, e l�art. 11 del d.lgs. 368/2001 avrebbero in sostanza la stessa 
funzione. Ma ci� non �, proprio per l�intrinseca natura pubblicistica degli enti lirici che il decreto Bondi, 
ha inteso ribadire attraverso il permanere del divieto di conversione. 



cui all�art. 3 della legge n. 426/1977 (26), fulcro della specialit�, che disponeva 
il divieto di conversione dei contratti, disciplinava ipotesi di divieto di assunzione 
e dettava una disciplina specifica per il rapporto di lavoro. 

Altro indirizzo giurisprudenziale, tuttavia, muoveva dalla conservazione 
in capo agli enti lirici di forti connotati pubblicistici. Ci� in coerenza con la 
ratio della disposizione di cui all�art. 22, comma 2, del D.lgs. n. 367/96 che, 
nell�escludere espressamente l�applicazione dell�art. 2 della legge n. 230/62, 
dettava una disciplina speciale del lavoro a tempo determinato senza smantellare 
l�antecedente sistema imperniato sulla operativit� del generale divieto 
di assunzione di personale a fronte di qualsivoglia ipotesi di nullit� del rapporto 
anche di natura genetica o funzionale. In tale solco ermeneutico si collocava 
la prevalente giurisprudenza risalente, orientata a riconoscere alla legge 

n. 426/77 l�effetto di derogare alla previsione di cui all�art. 2, comma 2, della 
legge n. 230/62, con l�obiettivo, confermato dalle leggi successive, di evitare 
l�incremento del contingente numerico del personale degli enti musicali e di 
escludere che la rinnovazione dei contratti di lavoro a termine potesse implicare 
la stabilizzazione dei rapporti (27). 

Con la trasformazione non vi � stata una soluzione di continuit� rispetto 
alla specialit� della disciplina del rapporto di lavoro, sia per le riflessioni 
svolte sulla natura pubblica dell�ente, che rimaneva sostanzialmente pubblica, 
sia per la ratio dell�operazione di privatizzazione, sia per dati normativi. 
Il quadro non � stato poi modificato dall�entrata in vigore del testo di 
riforma dei contratti a termine (d.lgs. n. 368/2001) il quale, nell�art. 11, dopo 
avere disposto l�abrogazione della legge n. 230/62, al comma 4 ripropone il 
dettato di cui all�art. 22 del d.lgs. n. 367/96, prevedendo che al personale artistico 
e tecnico delle fondazioni di produzione musicale previste dal d.lgs. 
29 giugno 1996 n. 367, non si applichino le norme di cui agli art. 4 e 5, concernenti 
il meccanismo della conversione in caso di proroghe e di successioni 
di contratti a termine (28). 

A fronte di una perdurante incertezza giurisprudenziale il legislatore � in


(26) �Sono, altres�, vietati i rinnovi dei rapporti di lavoro che, in base a disposizioni legislative 

o contrattuali, comporterebbero la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato 
(comma 4�)�. Le assunzioni attuate in violazione del divieto di cui al precedente comma sono 
nulle di diritto, ferma la responsabilit� personale di chi le ha disposte (5� comma)�. Dette disposizioni 
erano inoltre precedute dal comma secondo che disponeva il divieto di assunzioni di personale amministrativo, 
artistico e tecnico, anche in adempimento di obblighi d� legge, che avessero comportato aumenti 
del contingente numerico del personale a qualunque titolo in servizio presso i predetti enti ed 
istituzioni alla data del 31 ottobre 1973. 
(27) Consiglio di Stato, 29 maggio 1987 n. 331; Consiglio di Stato n. 352 del 23 marzo 1998; 
Consiglio di Stato n. 571 del 28 aprile 1998. 
(28) Disposizioni speciali sono dettate anche nell�art. 10, comma 7, lett. b) e d), per cui ai contratti 
stagionali o relativi a specifici spettacoli non si applicano i limiti quantitativi di utilizzazione del contratto 
a tempo determinato. 



tervenuto con l�art. 3, comma 6, del d.l. n. 64/2010 (29), convertito in legge 

n. 100/2010, al fine di fare chiarezza con una norma interpretativa sulla sopravvivenza, 
anche per il periodo successivo alla trasformazione in senso formalmente 
privatistico degli enti lirici, della specialit� della disciplina e del 
divieto di conversione. Il decreto si colloca in una situazione di emergenza 
economico-finanziaria delle fondazioni lirico-sinfoniche (30). Si coglie nella 
disposizione una continuit� ideale tra la sopravvenuta disposizione ed il sistema 
precedente (31): si conferma, con una disposizione interpretativa di portata 
retroattiva, la perdurante applicazione del divieto di conversione sin dalla 
trasformazione. 

Lettura questa che oggi si presenta come l�unica possibile ai sensi della 
norma di interpretazione contenuta nel d.l. n. 69/2013 recante �Disposizioni 
urgenti per il rilancio dell�economia�, convertito in legge n. 98/2013, che 
nell�art. 40, comma 1 bis, ha stabilito che �L'articolo 3, comma 6, primo periodo, 
del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni, 
fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le 
disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro 
come conseguenza della violazione delle nome in materia di stipulazione di 
contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi 
contratti�. Non vi sono dubbi che la specialit� della disciplina dichiaratamente 

(29) L�art. 3, comma 6, del decreto citato: �Alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione 
in soggetti di diritto privato, continua a applicarsi l�articolo 3, quarto e quinto comma, 
della legge 22 febbraio 1977 n. 426 e successive modificazioni, (testo riportato sopra) anche con riferimento 
ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al 
periodo anteriore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368. Sono 
altres� inefficaci i contratti di scrittura artistica non concretamente riferiti a specifiche attivit� artistiche 
espressamente programmate. Non si applicano, in ogni caso, alle fondazioni lirico-sinfoniche le disposizioni 
dell�art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368 (omissis)�. Il D.L. 
64/2010, al pari della legislazione precedente, si innesta a pieno titolo nel solco del sistema di controllo 
della finanza pubblica, prevedendo un invalicabile limite alle assunzioni a tempo indeterminato ed alle 
assunzioni a tempo determinato, che dal 2013 non potranno eccedere precisi contingenti numerici (cfr. 
comma 5� della disposizione in commento). 
Per un analisi delle diverse interpretazioni presenti in giurisprudenza si confronti la sentenza del Tribunale 
di Firenze, 11 marzo 2011, in D e L, Rivista critica di diritto del lavoro privato e pubblico, 2011, 
337 e ss. 
(30) Per un�analisi completa del D.lgs. n. 64/2010 ed il suo intervento nell�ambito degli enti lirici 
si confronti LEON A.F., Enti lirici tra fini pubblici, irresponsabilit� d�impresa e autonomia territoriale, 
in Economia della cultura, 2010, 75 e ss., in cui si analizza come la riduzione del Fondo unico allo spettacolo, 
le deboli politiche di promozione della cultura lirica, un sostanziale fallimento della trasformazione 
abbiano contribuito a peggiorare progressivamente la situazione. 
(31) Il tenore letterale della norma (�continua ad applicarsi l�art. 3 commi quarto e quinto della 
legge 22 luglio 1977 n. 426�) suggerisce l�opzione esegetica favorevole alla sopravvivenza del divieto 
di conversione anche per il periodo susseguente alla trasformazione degli enti lirici. Con i periodi successivi 
poi si introducono disposizioni tese ad impedire (�in ogni caso�) il funzionamento dell�istituto 
della conversione estendendone l�efficacia anche ai rapporti in essere. 



retroattiva equivalga ad una sostanziale continuit� con il regime precedente. 

A breve distanza temporale poi l�art. 11, comma 19, del d.l. n. 91/2013 
recante �Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei 
beni e delle attivit� culturali e del turismo�, come convertito con modifiche 
dalla legge n. 112/2013 ha ancora espressamente previsto che �il contratto 
di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le fondazioni lirico-sinfoniche 
� instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure selettive 
pubbliche� (32). L�intervento si colloca all�interno della legge Bray, che prevede 
una disciplina di risanamento per gli enti lirico-sinfonici in stato di dissesto 
economico -finanziario attraverso un restringimento di tutti gli ambiti 
e le possibilit� di assunzione. Oltre al divieto assoluto di conversione con 
portata retroattiva ed oltre al principio dell�accesso esclusivamente tramite 
concorso � previsto in via generale nei piani di risanamento un restringimento 
della pianta organica del personale (33). La ratio di tutto l�intervento del le


(32) �Per la certificazione, le conseguenti verifiche e le relative riduzioni del trattamento economico 
delle assenze per malattia o per infortunio non sul lavoro, si applicano le disposizioni vigenti per 
il pubblico impiego. (�) La Sezione Regionale di controllo della Corte dei conti competente certifica 
l'attendibilit� dei costi quantificati e la loro compatibilit� con gli strumenti di programmazione e bilancio, 
deliberando entro trenta giorni dalla ricezione, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata 
positivamente. L'esito della certificazione � comunicato alla fondazione, al Ministero dei beni e delle 
attivit� culturali e del turismo e al Ministero dell'economia e delle finanze. Se la certificazione � positiva, 
la fondazione � autorizzata a sottoscrivere definitivamente l'accordo. (�) Le fondazioni, con apposita 
delibera dell'organo di indirizzo, procedono a rideterminare l'organico necessario all'attivit� effettivamente 
realizzata, previa verifica dell'organo di controllo. La delibera deve garantire l'equilibrio economico-
finanziario e la copertura degli oneri della dotazione organica con risorse aventi carattere di 
certezza e stabilit��. 
(33) Art. 11, comma 1, lettera c) �la riduzione della dotazione organica del personale tecnico e 
amministrativo fino al cinquanta per cento di quella in essere al 31 dicembre 2012 e una razionalizzazione 
del personale artistico�, che verr� perseguito tramite un sistema di pensionamenti e accordi sindacali. 
Con la legge Bray (D.l. n. 91/2013, convertito in legge n. 112/2013) � stata prevista dall�art. 11 
recante �Disposizioni urgenti per il risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche e il rilancio del sistema 
nazionale musicale di eccellenza� una corposa e complessa disciplina di risanamento degli enti 
lirico/sinfonici. Ai sensi del comma 1 del citato articolo la Fondazione Teatro dell�Opera di Roma rientra 
nell�ambito di applicazione della disciplina. Ai sensi del comma 1 del citato articolo la Fondazione, 
atteso lo stato di dissesto economico -finanziario (perdite per circa 10 milioni di euro nel 2013 che si 
aggiungono ad un ingente debito pregresso), � rientrata obbligatoriamente nell�ambito di applicazione 
della disciplina e del piano di risanamento previsto dalla legge, con una conseguente riduzione della 
pianta organica. Accedere al programma di risanamento previsto dalla legge non costituisce infatti una 
scelta gestionale della Fondazione ma una conseguenza prevista dalla legge a causa dello stato di dissesto 
economico -finanziario. 
La legge Bray, cd. Provvedimento salva fondazioni liriche, ha previsto che tutti gli enti lirico -sinfonici 
in stato di sofferenza economico -finanziaria, debbano presentare un piano di ristrutturazione che vede, 
tra i punti qualificanti, il ripensamento delle piante organiche, con una diminuzione dell�organico fino 
al 50% ed il decadimento del contratto integrativo esistente. A suddetti piani di riduzione e riorganizzazione 
della pianta organica sono subordinati i fondi messi a disposizione dalla legge per ripianare il deficit 
e consentire la sopravvivenza dell�ente. 
Ai sensi dell�ultima parte dell�art. 11, comma 19, �Le fondazioni, con apposita delibera dell'organo di indirizzo, 
da adottare entro il 30 settembre 2014, procedono a rideterminare l'organico necessario all'attivit� 



gislatore � chiara, si inserisce nel contesto costituzionale, e specifica ancora 
una volta ci� che gi� era implicito nel sistema alla luce delle considerazioni 
svolte, ovvero che l�instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato 
presso gli enti lirici pu� avvenire esclusivamente e necessariamente 
tramite concorso pubblico. 

Quanto si � verificato con il decreto Bondi ed il decreto Bray nel settore 
speciale del lavoro presso gli enti lirico-sinfonici si pone in perfetto parallelismo 
con quanto � accaduto nel pubblico impiego a seguito della riforma cd. 
Brunetta (d.lgs. n. 150/2009): un aumento del tasso di specialit� della disciplina 
che si allontana sempre di pi� dal modello del lavoro privato (34). In 
questa congiuntura storico-economica anche la disciplina del lavoro negli enti 
lirici segue le linee di tendenza del pubblico impiego e presenta caratteristiche 
sue proprie peculiari. Proprio perch� la natura pubblica degli enti e le peculiarit� 
che da ci� derivano nella disciplina del rapporto di lavoro sono dati di 
fondo del sistema, non alterabili e che riemergono, indipendentemente dalla 
scelta sul modello: � impossibile considerare il rapporto di lavoro di diritto 
comune pieno. 

Non importa pi� di tanto a questo punto rilevare ancora come gli enti lirico-
sinfonici non rientrino nella nozione di pubblica amministrazione in senso 
stretto delineata dall�art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/201 e siano pertanto 
fuori dal suo ambito di applicazione. Gli enti lirico-sinfonici, enti pubblici ricompresi 
senza dubbio in una nozione di pubblica amministrazione in senso 
lato, hanno una propria disciplina speciale e peculiare del rapporto di lavoro 
che va ricostruita alla luce dei principi costituzionali e delle specifiche disposizioni 
di legge che si sono analizzate, rinviando alla disciplina del codice ci-

da realizzare nel triennio successivo. La delibera deve garantire l'equilibrio economico-finanziario e la 
copertura degli oneri della dotazione organica con risorse aventi carattere di certezza e stabilit�'�. 
L�art. 11, comma 13, prevede che �Per il personale eventualmente risultante in eccedenza all'esito della 
rideterminazione delle dotazioni organiche di cui al comma 1, le fondazioni di cui al medesimo comma, 
fermo restando per la durata del soprannumero il divieto di assunzioni di personale, applicano l'articolo 
72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 
agosto 2008, n. 133. In caso di ulteriori eccedenze, con uno o pi� decreti del Presidente del Consiglio 
dei Ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attivit� culturali e del turismo, di concerto con il 
Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell'economia e delle 
finanze, previa informativa alle organizzazioni sindacali, sono disposti apposita procedura selettiva di 
idoneit� e il successivo trasferimento del personale amministrativo e tecnico dipendente a tempo indeterminato 
alla data di entrata in vigore del presente decreto nella societ� Ales S.p.A., nell'ambito delle 
vacanze di organico e nei limiti delle facolt� assunzionali di tale societ� e senza nuovi o maggiori oneri 
per la finanza pubblica�. 

� evidente come siano stati oggettivamente ristretti tutti gli ambiti di una possibile assunzione. I finanziamenti, 
destinati principalmente al rientro del debito, vengono inoltre agganciati e subordinati ai piani 
di risanamento e ad una gestione in termini di economicit� ed efficienza degli enti (art. 11, comma 7 e 
art. 11, comma 9 lett. a)). 

(34) D�ALESSIO G., La disciplina del lavoro nelle pubbliche amministrazioni tra pubblico e privato, 
in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 1 e ss. 


vile e delle leggi sul lavoro nelle imprese private solamente in quei settori ove 
sia costituzionalmente consentito oppure ove non sia diversamente stabilito 
da norme di legge speciali. 

Ci� detto e tenuto ben presente, si pu� passare ad analizzare l�ultima problematica 
relativa all�applicabilit� della riforma Fornero. 

4. La non applicabilit� della riforma Fornero al rapporto di lavoro presso le 
pubbliche amministrazioni e presso gli enti lirico-sinfonici. 

Abbiamo visto come gli enti lirico sinfonici siano enti pubblici non economici 
sottoposti ad una disciplina speciale relativamente ai rapporti di lavoro. 
Si pone a questo punto la necessit� di analizzare il problema relativo all�applicabilit� 
della riforma Fornero (legge n. 92/2012) alle pubbliche amministrazioni 
ed agli enti lirico-sinfonici, con particolare attenzione per il nuovo rito accelerato 
in materia di licenziamento introdotto dall�art. 1, commi da 47 a 68. 

Per risolvere la questione � necessario partire dal dato normativo. Analizzando 
le disposizioni della legge troviamo nell�art. 1, comma 7, che �Le 
disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, 
costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro 
dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (�)�. Il successivo comma 8 
prevede che �ai fini dell�applicazione del comma 7 il Ministro per la Pubblica 
Amministrazione e la Semplificazione (�) individua e definisce, anche mediante 
iniziative normative, gli ambiti, le modalit� ed i tempi di armonizzazione 
della disciplina relativa ai dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni�. 
Non vi � dubbio che il legislatore si sarebbe potuto esprimere in modo meno 
criptico, risparmiando agli interpreti numerose fatiche. 

Le norme non prevedono un�applicazione automatica delle disposizioni 
della legge n. 92/2012 (e quindi anche del rito accelerato in materia di licenziamento) 
ai dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni. Al contrario la 
legge, in maniera chiara, prevede che le disposizioni in essa contenute costituiscano 
solamente principi e criteri (il che � ben differente da una diretta applicabilit�) 
e che in ogni caso vi debba essere un intervento o una iniziativa 
del Ministro della funzione pubblica per una definizione degli ambiti, modalit� 
e tempi di applicazione ai dipendenti pubblici della riforma, al fine di un�armonizzazione 
con le peculiarit� della disciplina del rapporto di lavoro presso 
le pubbliche amministrazioni, o presso altri enti pubblici. Se dal comma 7 potrebbe 
ricavarsi, con una forzatura, un�apertura ad una possibile estensione, il 
successivo comma 8 dichiara in modo inequivoco il valore meramente programmatico 
della riforma per le Pubbliche Amministrazioni (tanto che si � 
parlato di barriera imprescindibile ed invalicabile (35)) e rinvia ad altra futura 
ed eventuale sede l�estensione della riforma al settore del lavoro �privatizzato� 
presso soggetti pubblici (36). 

La legge, quindi, subordina l�applicabilit� delle sue previsioni al settore 


pubblico ad un futuro intervento di armonizzazione delle discipline. In claris 
non fit interpretatio, la diretta applicabilit� � apertamente esclusa. La soluzione 
da prediligere deve essere per forza nel senso della non estensione della riforma 
Fornero e del rito speciale alle Pubbliche Amministrazioni, con la conseguente 
sopravvivenza del vecchio testo dell�art. 18 dello Statuto dei 
lavoratori e con la necessit� di ricorrere al rito ordinario. L�interprete � obbligato 
a ricavare l�unica interpretazione possibile dal dato letterale. 

Si deve escludere anche la possibilit� di accedere ad interpretazioni che 
forzino la distinzione tra aspetti processuali ed aspetti sostanziali (37). 

Il dato normativo e la ratio della riforma, che si rivolge al mondo del lavoro 
privato, non possono consentire interpretazioni contra legem, nonostante 
una parte della giurisprudenza abbia seguito questa impostazione (38). 

(35) ROMEO C., La legge �Fornero� e il rapporto di impiego pubblico, in Il lavoro nelle pubbliche 
amministrazioni, 2012, 718. Il comma 8 si oppone a qualsiasi tentativo che possa portare ad interpretazioni 
estensive della disciplina al fine di un�omogeneit� maggiore della regolazione del lavoro pubblico 
e privato. Nello stesso senso CARINCI F., Art. 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, 
in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 13 e ss. Un�ampia analisi la svolge 
anche n CAVALLARO L., L�art. 18 St. lav. e il pubblico impiego: breve (per ora) storia di un equivoco, in 
Lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, n. 6. 
(36) CARINCI F., Commentario alla legge Fornero, in Diritto e pratica del lavoro, IPSOA, 2012, 
3, secondo il quale �il co. 8 fa capire che quel che si ha in mente non � un�estensione della riforma ma 
una sua riformulazione ad hoc, secondo l�ormai prevalente tendenza a dividere� quanto si era cercato 
di unire con la privatizzazione del pubblico impiego culminata nel T.U. del 2001. 
(37) Nulla si prevede in tal senso, anzi, la legge depone proprio in senso contrario: il silenzio del 
Legislatore � stato a volte erroneamente interpretato dalla giurisprudenza (ordinanza 7 marzo 2014 del 
Tribunale di Roma, ma anche Tribunale di Roma, 23 gennaio 2013 secondo cui �Ai rapporti di impiego 
pubblico privatizzato si applica il rito speciale per l�impugnazione dei licenziamenti previsto dalla l. n. 
92 del 2012 (c.d. �riforma Fornero�), ma non anche il nuovo testo dell�art. 18 st. lav. introdotto dalla 
medesima legge�, Tribunale di Catanzaro, 28 febbario /2013 e Tribunale di Trento, 13 marzo 2013, secondo 
cui vi sarebbe uno spazio per l�armonizzazione delle norme sostanziali ma non per le norme processuali 
che quindi sarebbero le uniche direttamente applicabili alle Pubbliche Amministrazioni) come 
una tacita differenziazione tra aspetti processuali e sostanziali. Una simile soluzione avrebbe per� necessitato 
di espressi appigli normativi o indizi a favore. Nel totale silenzio sul punto, tra le due interpretazioni, 
si deve ritenere che nulla abbia inteso differenziare il Legislatore, il quale ha invece optato per 
un�uniformit� tra aspetti processuali e sostanziali. Sulla inscindibilit� dell�aspetto sostanziale da quello 
processuale ROMEO C., La legge �Fornero� e il rapporto di impiego pubblico, in Il lavoro nelle pubbliche 
amministrazioni, 2012, 715. 
(38) Una parte della giurisprudenza ha ritenuto che il �rinvio mobile� operato dall�art. 51 T.U. 


n. 165/2001 allo Statuto dei lavoratori faccia s� che non possa negarsi l�applicazione ai rapporti di 
lavoro pubblico della riforma Fornero. Per negare tale conseguenza, bisognerebbe, secondo questo 
orientamento, supporre che l�art. 51 comma 2 T.U. n. 165/2001 sia stato abrogato nella parte in cui 
rende immediatamente applicabili al pubblico impiego le modifiche concernenti l�art. 18 St. lav., ma 
una simile abrogazione non avrebbe appigli testuali, ed i commi 7 e 8 vengono a volte ignorati ed altre 
considerate norme di fatto superabili. Cos� Trib. Perugia, ord. 9 novembre 2012 e 15 gennaio 2013, 
Trib. Ancona, ord. 31 gennaio 2013 e Trib. S. Maria Capua Vetere, ord. 2 aprile 2013. L�impostazione 
non regge per una serie di considerazioni: una parte della dottrina ha ritenuto che il rinvio allo Statuto 
dei lavoratori �e sue successive modificazioni� contenuto nella norma del T.U. fosse limitato alle modifiche 
intervenute fino alla data di entrata in vigore del T.U. e non si riferisse alle modifiche successive 
a tale data. In ogni caso non si pu� ritenere che tale rinvio possa riguardare le recenti e radicali modi



Si rifletta, nello specifico, sul nuovo rito speciale accelerato in tema di 
licenziamento introdotto dall�art. 1, commi da 47 a 68. Gi� il solo fatto che 
si caratterizzi come rito speciale, utilizzando pi� volte il legislatore la definizione 
�rito specifico�, dovrebbe portare a ritenere che la sua applicabilit� 
debba essere intesa in senso restrittivo, non si possa estendere al di l� dei casi 
espressamente previsti dalla legge. Per quanto riguarda le controversie in materia 
di licenziamento con le Pubbliche Amministrazioni bisogner� continuare 
ad utilizzare il rito ordinario del lavoro senza poter ricorrere al nuovo rito 
speciale accelerato. 

A prescindere dall�imprecisione ed approssimazione della lettera della 
legge, un ulteriore dato andrebbe considerato: l�art. 1, comma 42 (39), recita 
�All�articolo 18 della legge (�) sono apportate le seguenti modificazioni 
(...)�. Non si parla di sostituzione del vecchio testo dell�articolo con il nuovo, 
ma solo di modificazioni. Modificazioni appunto nell�ambito di operativit� 
della riforma, con il precedente impianto che non viene toccato e rimane applicabile 
al lavoro pubblico: se modificata la disposizione non � pienamente 
abrogata e sostituita, ma diversificata nella sua sfera di applicazione (40): si 
riprende autorevole dottrina secondo cui la �terminologia nuova, centrata 
sull�applicazione di una norma, che, a prescindere dall�imprecisione ed ap


fiche introdotte dalla riforma Fornero, per l�impossibilit� della valenza ex post di una norma in vigore 
nel lontano 2001 che disporrebbe un rinvio ultrattivo in grado di prevalere rispetto a successive disposizioni 
contrarie di legge che prevedano l�inapplicabilit� e rinviino espressamente ad una successiva 
opera di armonizzazione. Il quadro non � pi� quello del 2001, momento culmine del tentativo di avvicinamento 
tra lavoro pubblico e privato. Il quadro � quello dei successivi interventi del 2003, del 2009 
e del 2012 che hanno scavato un solco profondo tra lavoro privato e pubblico impiego. Risponde a 
questa tesi in maniera convincente CARINCI F., Art. 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi 
disperatamente, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 13 e ss., secondo cui �non 
sembra affatto da escludere che una volta interpretata l�arruffata lettera dell�art. 1, commi 7 e 8 l. n. 
92/2012 nel senso di escluderne l�applicabilit� alle pubbliche amministrazioni, la disposizione dell�art. 
51 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001 vada intesa come riferita al vecchio testo dell�art. 18 St. Lav. a tutt�oggi 
vigente, ma con un ambito applicativo ridotto, cio� confinato all�impiego pubblico. Mentre, a 
sua volta, il nuovo testo dello stesso articolo sostituisce s� il vecchio, ma anch�esso con un ambito applicativo 
ristretto, cio� limitato al lavoro privato�. 
Con un�altra obiezione mossa a questa impostazione si rileva come muovendo dai commi 7-8 non si 
pu� che escludere l�estensione proprio per scelta del Legislatore. Non vi � infatti silenzio sul punto ma 
una chiara presa di posizione. Se infatti � vero che tali prescrizioni rivelano l�intenzione di varare un 
corpus normativo speciale per il pubblico impiego c.d. privatizzato non � possibile che nelle more 
della sua elaborazione la riforma Fornero si applichi ai lavoratori pubblici: la modifica del regime normativo 
vigente per il pubblico impiego non � ricompresa tra gli obiettivi della riforma Fornero in sintonia 
con il precedente costituito dal d.lgs. n. 276/2003 (che non si applica per espressa previsione al 
pubblico impiego) con cui vi � una forte linea di continuit�. Ulteriore obiezione si ha considerando 
come il regime dei licenziamenti per il pubblico impiego da sempre � stato differente rispetto a quello 
nel privato, dal momento che lo Statuto si applica a prescindere dal numero dei dipendenti: non si vede 
come non possa cogliersi nella riforma Fornero un�ulteriore, consueta, esplicita differenziazione tra i 
due regimi. 

(39) Cio� il comma che riscrive non solo la rubrica dell�art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ma 
integralmente il suo contenuto nei commi da 1 a 6. 


prossimazione della lettera della legge, se modificata non � novellata, e se 
cancellata non � abrogata, ma diversificata nella sua sfera di applicazione� 

(41). Cio� disapplicata solo per alcuni o che sopravvive solo per altri, con una 
conversione della terminologia da abrogazione a disapplicazione. 

Fermo il dato letterale, anche considerazioni di tipo sistematico ci mostrano 
come negli ultimi interventi in materia di lavoro pubblico (d.lgs. n. 
150/2009) si sia preso atto del fallimento del modello del pubblico impiego 
�privatizzato� e si sia segnata una forte divaricazione con il settore del lavoro 
privato, che ha portato numerosi commentatori a parlare di nuova pubblicizzazione 
del pubblico impiego. La soluzione della non applicabilit� della legge 
Fornero alle Pubbliche Amministrazioni deve essere preferita anche per tali 
motivi e per il progressivo e ormai costante allontanamento tra le due discipline, 
distacco che trova una testimonianza aggiuntiva nella riforma del d.lgs. 

n. 276/2003 che esplicitamente prevede la sua non applicabilit� al pubblico 
impiego (42). Vi � una linea di continuit�. La riforma Fornero si inserisce a 
pieno titolo in questo percorso inverso, che dura ormai da una decina d�anni, 
rispetto all�avvicinamento tra pubblico e privato iniziato con la privatizzazione 
del 1993 e proseguito con le riforme del 1998. La sua ratio e le sue finalit� di 
intervento trovano ragion d�essere solo nel settore privato (43), � questa la volont� 
del legislatore, e costituiscono una ulteriore prova della divaricazione in 
atto tra le due discipline. 

All�interno di questo quadro si collocano anche gli enti lirico sinfonici. 
L�analisi compiuta nei paragrafi precedenti ci ha mostrato come la loro natura 
di enti pubblici non economici li inserisca a pieno titolo nella nozione di pubblica 
amministrazione in senso lato e di come la loro disciplina del rapporto 
di lavoro sia del tutto speciale e si muova anch�essa verso un accentuazione, 

o un recupero, del tasso di specialit� e di come vi sia una centralit� delle politiche 
di risanamento e di riduzione delle piante organiche (decreto Bray) in 
perfetto parallelismo con quanto � avvenuto nel settore pubblico con la riforma 
Brunetta e con le recenti misure introdotte dal d.l. n. 95/2012, convertito in 
legge n. 135/2012 (cd. Decreto spending review) in materia di riduzione delle 
dotazioni organiche e gestione delle eccedenze del personale. 
(40) Non sarebbe peraltro la prima volta che il nostro ordinamento ci presenterebbe soluzioni differenti 
tra impiego pubblico e lavoro privato. Proprio in relazione all�art. 18 dello Statuto dei lavoratori 
� sufficiente richiamare l�art. 51, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. La soluzione pertanto rispetta il 
canone di ragionevolezza. 


(41) CARINCI F., Art. 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, in Il 
lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 13. 
(42) Art. 1, comma 2, del d.lgs. 276/2003. In base alla riforma del 2003 coesistevano, relativamente 
al trasferimento d�azienda ed al tempo parziale, due testi differenti: uno per il settore privato, e 
l�altro, il vecchio, per il pubblico. 
(43) Per un ampio commento in questo senso si rinvia a CARINCI F., Commentario alla legge Fornero, 
in Diritto e pratica del lavoro, IPSOA, 2012. 



Di fronte ad un consistente divaricamento, o allontanamento (44), dalla 
regolamentazione privatistica sia per il pubblico impiego che per la disciplina 
speciale degli enti pubblici lirico-sinfonici, si deve concludere rilevando 
l�inapplicabilit� agli enti pubblici che non svolgano attivit� d�impresa della 
legge Fornero, pensata per il settore privato e ad esso esclusivamente applicabile 
per ragioni sistematiche e per espresse disposizioni di legge, non superabili 
con salti interpretativi. 

Tribunale di Roma, Sez. Terza lav., ordinanza 20 febbraio 2014, R.G. 43146/13 -Giud. 

D. Conte. 

La presente causa non appare trattabile col rito col quale si � chiesto di introdurla (art.1, commi 
48 e segg. legge n. 92/2012), perch� dal combinato disposto dei commi 7 e 8 dell'art. 1 della 
legge cit. che in sostanza dicono che le disposizioni della legge non costituiscono che �principi 
e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro� dei dipendenti pubblici, rimandando ad 
�iniziative normative� del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione l�individuazione 
e def�nizione de �gli ambiti, le modalit� ed i tempi di armonizzazione della disciplina 
relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche� appare emergere con 
sufficiente chiarezza la volont� del Legislatore di non dare diretta ed immediata applicazione 
alle novelle disposizioni nel settore del pubblico impiego, in quanto ivi chiamate a costituire 
un mero quadro di principi per una normazione a venire. 
Appare pertanto preferibile, siccome coerente con la volont� del legislatore, l'orientamento 
(pure emerso, come si apprende dalla produzione attorea, nel foro barese) per cui la legge 
92/2012 non si applica direttamente ai rapporti di pubblico impiego, tanto pi� che nulla appare 
ostare alla possibilit� che il legislatore, per detti rapporti, abbia inteso conservare la disciplina 
previgente: mentre gli agitati profili di irragionevolezza dell'impossibilit�, per i pubblici dipendenti, 
di accedere al rito sommario, se possono forse porre questioni di legittimit� costituzionale, 
non possono apparire idonei ad indurre ad una applicazione diretta della "legge 
Fornero� evidentemente non voluta. 
Ai meri fini della gestione del processo il giudicante ritiene, allo stato, che dalla inapplicabilit� 
dell�art. 1, commi 48 e segg., della legge n. 92/2012 non debba derivare l'inammissibilit� del 
ricorso, ma la conversione del rito, perch� la prima opzione appare contraria al cd. principio 
di conservazione degli atti (art. 159, co. 3, c.p.c.) il quale vuole che se una ragione di nullit� 
impedisce un determinato effetto, l'atto pu� produrre gli altri effetti per la produzione dei quali 
� idoneo, se ne presenta i requisiti di forma e sostanza. In particolare, in applicazione di detto 
principio, si segnala condivisibilmente, ad esempio, che un atto proposto come reclamo dinanzi 
al giudice competente pu� va1ere dinanzi allo stesso giudice come appello (Cass. 
17939/2009); l'appello in materia di separazione proposto con citazione anzich� con ricorso 
si conserva se non sono intervenute decadenze (Cass. 17645/2007); e nessuno dubita che in 
tali casi, sebbene non esistano (non esistessero) disposizioni sulla conversione del rito, il giudice 
adito debba poi procedere secondo il rito inderogabilmente prescritto per materia in relazione 
alla fattispecie, semplicemente perch� il giudice deve inderogabilmente applicare il 

(44) Di �gap incolmabile� parla ROMEO C., La legge �Fornero� e il rapporto di impiego pubblico, 
in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 725. 


rito prescritto dalla legge, se questo non � optativo; potendo venire in considerazione solo 
l�idoneit� dell�atto ad introdurre il rito richiesto dalla legge. 
E tale questione pu� essere decisa validatnente solo una volta che il processo sia stato gestito 
secondo il rito richiesto dalla legge. 
Poich� il passatagio dal rito Fornero al rito lavoristico ordinario comporta l�innesto di un regime 
di preclusioni altrimenti inesistente, debbono trovare applicazione, se del caso in via 
analogica, le disposizioni di cui agli artt. 426 c.p.c. e 4, co. 3, del D.lgs. n.150/2011. 

P.Q.M. 
a) dispone che la presente causa sia trattata col rito lavoristico ordinario di cui agli artt. 409 
e segg. c.p.c.; 
b) rinvia la causa all�udienza del 17 aprile 2014 alle ore 10, autorizzando parte ricorrente ad 
integrare l�atto introduttivo mediante nota da depositare entro il 12 marzo 2014: e parte convenuta 
a fare altrettanto, entro il 4 aprile 2014. 


Azione generale di arricchimento nei confronti della P.A. e 
problematiche sulla determinazione del quantum indennizzabile 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, SENTENZA 7 GIUGNO 2013 N. 3133 

Giulia Guccione* 

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Inquadramento generale dell'istituto - 3. L�accertamento 
della misura dell�arricchimento dovuto. 

1. Premessa. 

Con recente pronuncia la quinta sezione del Consiglio di Stato ha mostrato 
di aderire all'orientamento secondo il quale l'indennit� prevista dall'art. 
2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore 
della prestazione resa in virt� del contratto (nel caso di specie di appalto 
pubblico) invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo 
di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace; 
per cui, ai fini della determinazione dell'indennizzo dovuto, non potrebbe farsi 
ricorso alla revisione prezzi poich� tendente ad assicurare al richiedente quanto 
si riprometteva di ricavare dall'esecuzione del contratto, e inidonea, pertanto, 
a costituire anche solo un mero parametro di riferimento, trattandosi di meccanismo 
sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte 
di un valido contratto di appalto. 

Al fine di meglio comprendere l'opportunit� di tale orientamento giurisprudenziale, 
gi� consolidatosi nella giurisprudenza ordinaria, s'� scelto di 
operare una ricostruzione storica e dogmatica dell'istituto, con particolare riferimento 
all'evoluzione delle elaborazioni teoriche concernenti la determinazione 
della misura dell'indennit� e le problematiche sottese in ordine alle 
differenti possibili soluzioni. 

2. Inquadramento generale dell'istituto. 

L'arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c., trova antecedente in quel-
l'istituto del diritto romano classico, ricondotto alla categoria dei �quasi contratti�, 
che prendeva il nome di actio de in rem verso (1), ed appartiene 
all'ampia ed eterogenea categoria dei rimedi restitutori essendo, per l'appunto, 
volto a consentire il recupero di quanto da un soggetto lucrato senza causa a 
spese di un altro (2). 

(*) Avvocato del libero Foro, gi� praticante presso l�Avvocatura dello Stato. 

(1) In tema v. GALLO, Commentario al Codice civile diretto da BUSNELLI, artt. 2041-2042, Milano, 
2003, 9. 

(2) ALBANESE, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, Padova, 2005, 381 e ss. 


Oggi, a ben guardare, potrebbe risultare fuorviante l'inquadramento operato 
dalla dottrina romanistica posto che, com'� noto, elemento caratterizzante 
il quasi contratto � la presenza di un comportamento volontario del soggetto 
che, con esso, fa sorgere l'obbligazione. 

Nell'arricchimento senza causa � invece assente ogni componente volontaristica 
poich� l'obbligazione sorge direttamente dalla legge quando si verifichino 
i presupposti fondamentali, individuati secondo l'interpretazione tradizionale, in 
quattro elementi fondamentali: la contemporanea sussistenza di un arricchimento 
da un lato, e di un impoverimento, dall'altro; l'esistenza del nesso causale fra 
quest'ultimi e la mancanza di un titolo giustificativo del negozio (3). 

L'azione di arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione 

(4) presenta caratteri di specialit� rispetto al rimedio generale. Caratteri, quest'ultimi, 
configurati in via pretoria, e comportanti talvolta anche vistosi allontanamenti 
dalla struttura-base prima brevemente richiamata. 

Primo dato differenziale � l'aggiunta di un ulteriore requisito: il riconoscimento 
dell'utilit� da parte dell'Amministrazione (5) (o, per usare una locuzione 
ripresa da risalente giurisprudenza, �previo gradimento dell'amministrazione 
stessa�). Requisito, questo, formulato gi� nella vigenza del codice del 1865 
dapprima in materia di gestione d'affari altrui e successivamente esteso anche 
all'azione di arricchimento e confermato da una pronuncia delle Sezioni Unite 
del 2008 (6), leading case nella materia de qua, cui successivamente si � con-
formata la giurisprudenza sia civile che amministrativa (7). 

Un presupposto che, prima facie, potrebbe apparire iniquo dato che cos� 
ragionando si subordina il diritto del depauperato al compimento di un atto da 
parte di un soggetto che, in linea teorica e astratta, non ha alcun interesse a 
compimento ma che diviene condivisibile ove si tenga conto della ratio sottesa, 
da ravvisarsi nel fatto che l'autorit� giudiziaria - per i limiti di cui all'art. 
4, L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E - non potrebbe scendere ad un esame discrezionale 
e tecnico circa l'utilit� conseguita dalla P.A, il cui giudizio � rimesso 
interamente e unicamente all'amministrazione. 

(3) CARINGELLA, Manuale di diritto civile. Le obbligazioni, Milano, 2008, 1221 e ss. 

(4) PRUSSIANI, L'azione di arricchimento senza causa nei rapporti tra la pubblica amministrazione 
ed il professionista: riconoscimento dell'utilitas e criteri di quantificazione dell'indennizzo, in Corriere 
Giur., 2012, 10, 1216. 
(5) Ex plurimis: v. Trib. Milano Sez. I, 15 febbraio 2012 ai sensi del quale �L'azione di arricchimento 
senza giusta causa, disciplinata dall'art. 2041 c.c., � esperibile nei confronti della P.A. allorquando 
la stessa abbia tratto un vantaggio economico dall'attivit� posta in essere in suo favore da un terzo. Ai 
fini del valido esperimento dell'azione, in ragione degli interessi pubblici perseguiti dall'amministrazione, 
� richiesta la sussistenza di ulteriori condizioni rispetto alla previsione codicistica quali, oltre al fatto 
materiale dell'esecuzione di una prestazione economicamente vantaggiosa per l'ente pubblico, il riconoscimento 
dell'utilit� stessa da parte dell'ente�. 
(6) Cass. civ. Sez. Unite, 11 settembre 2008, n. 23385. 
(7) Cons. St., Sez. III, 24 aprile 2013, n. 2312. 







A questa, si affianca l'ulteriore esigenza di tutelare l'interesse pubblico che 
deve permeare l'agire della P.A. - contro l'iniziativa di privati che agiscano 
all'insaputa delle autorit� competenti per trarne comunque un vantaggio economico; 
esigenza tanto pi� sussistente se si pensa alla circostanza che un orientamento 
ha, in passato, ammesso il computo del lucro cessante all'interno del 
quantum da restituire (8). 

Altra obiezione che potrebbe essere mossa attiene ad un'asserita disparit� 
che in tal modo si creerebbe quando, a parit� di prestazione e soggetto passivo 
dell'obbligazione, l'azione si modellerebbe in modo differente a seconda che 
destinatario della prestazione sia un altro soggetto privato o l'Amministrazione. 
Profilo che non si pu� certo ritenere discriminatorio se sol si pensa 
alla diversa rilevanza degli interessi giuridicamente rilevanti di cui questi 
sono portatori, pertanto idonea a giustificare, sul piano della ragionevolezza, 
una diversit� di disciplina. 

Superati tali preliminari dubbi, ci si � chiesti, quanto alle modalit� con cui 
deve avvenire il riconoscimento, se questo sia ammissibile anche in forma implicita 
o debba, piuttosto, avere carattere esplicito e avvenire con atto formale. 

In particolare, i fautori di quest'ultima tesi si dividono tra quanti richiedono 
non solo un atto espresso, ma anche che questo sia costituito da un provvedimento 
adottato a conclusione di un procedimento correttamente instaurato 
ed abbia, insomma, tutti i crismi di validit� ed efficacia, e tra quanti ammettono 
che il requisito sia soddisfatto anche da un atto carente delle varie formalit�, 
purch� da questo risulti chiaramente che l'Amministrazione riconosce d'aver 
conseguito un vantaggio. 

Viceversa, altro orientamento ha ritenuto che il riconoscimento potesse 
avvenire anche implicitamente (9), soprattutto quando l'ente era addivenuto 
all' �utilizzazione�, posto che, empiricamente, si riscontrava l'esperibilit� di 
quest'azione in presenza di prestazioni di privati avvenute in dipendenza di 
contratti irregolari, nulli o inesistenti da parte, generalmente, di imprenditori 

o professionisti. Cos�, negli ultimi tempi la giurisprudenza ha optato per un'attenuazione 
della rilevanza di questo requisito, essendosi infine consolidata la 
regola in virt� della quale ai fini del riconoscimento � sufficiente un uso o un 
impiego dei beni o dei servizi per le finalit� dell'ente; sicch� pu� oggi ammettersi 
che questo risulti implicitamente per facta concludentia o attraverso l'utilizzazione 
della prestazione. 

Questa evoluzione giurisprudenziale trova giustificazione nel tentativo, 

(8) V. Cass. 7136/1996; Cass. 12 aprile 1995 n. 4192; Cass. sez. un. 5833/1984 e Cass. 6570/2005 
che apportano un temperamento alla tesi ivi sostenuta e secondo cui il mancato guadagno indennizzabile 
deve considerarsi soltanto quello che il professionista avrebbe ricavato dal normale svolgimento della 
sua attivit� professionale nel periodo di tempo dedicato invece all'esecuzione dell'opera utilizzata dal-
l'ente pubblico. 

(9) Cfr. Cons. St., Sez. V, 4 giugno 2009 n. 3460. 


da parte dei giudici, di temperare la posizione di vantaggio in cui si trova la 

P.A. in dette situazioni sostanziali, ed evitarne un eccessivo arbitrio. 
Altro profilo che attiene le forme del riconoscimento riguarda gli organi 
all'uopo abilitati. 

Se da un lato, infatti, la giurisprudenza ha mostrato un'apertura verso le 
esigenze del privato ammettendo la forma implicita del riconoscimento, dal-
l'altro ha circoscritto l'ambito dei soggetti deputati al riconoscimento (esplicito 

o implicito) dell'utilit� della prestazione. Questo, infatti, pur non dovendo rispondere 
a particolari requisiti di forma, � desumibile solo da atti e comportamenti 
di organi qualificati, cui sia rimessa la formazione della volont� 
dell'ente, e non da qualsiasi soggetto facente parte della struttura dell'ente (10). 

2. L'accertamento della misura dell'arricchimento dovuto. 

La querelle che tuttavia ha maggiormente interessato la giurisprudenza 
attiene al profilo dell'accertamento della misura dell'arricchimento dovuto e, 
con tutta probabilit�, nasce dal fatto che l�azione di arricchimento � - nonostante 
la sua natura sussidiaria - un rimedio suscettibile di essere esperito in 
moltissime fattispecie. 

Tra i casi in cui vi si � fatto pi� frequente ricorso spiccano l�arricchimento 
causato da fatto altrui e l�arricchimento dovuto all�esecuzione di una prestazione 
professionale sulla base di un negozio irregolare, invalido o inesistente 
(11); ed � forse per ovviare alle iniquit� che si sarebbero prodotte in questi 
casi che recentemente la giurisprudenza ha cominciato a scostarsi dalla previsione 
testuale dell'art. 2041 il quale, a onor del vero, dice che l'obbligo restitutorio 
non pu� superare il limite dell'arricchimento. 

Tre sono i filoni giurisprudenziali succedutisi a riguardo negli anni: il 
primo, volto a escludere dal computo dell�indennizzo il mancato guadagno ex 
artt. 1223 e ss. c.c., pone l�accento sulla differenza tra il danno aquiliano e il 
pregiudizio cui si riferisce la disciplina dell'arricchimento; un secondo sostiene 

(10) Vedi in tal senso: Cass. civ. Sez. I, 18 aprile 2013, n. 9486 secondo cui �il riconoscimento 
dell'utilit� dell'opera e la configurabilit� stessa di un arricchimento restano affidati a una valutazione 
discrezionale della sola P.A. beneficiaria, unica legittimata - mediante i suoi organi amministrativi o tramite 
quelli cui � istituzionalmente devoluta la formazione della sua volont� - ad esprimere il relativo 
giudizio, che presuppone il ponderato apprezzamento circa la rispondenza, diretta o indiretta, dell'opera 
al pubblico interesse, senza che possa operare in via sostitutiva la valutazione di amministrazioni terze, 
pur se interessate alla prestazione, n� di un qualsiasi altro soggetto dell'amministrazione beneficiaria. 
Tale riconoscimento pu� essere esplicito o implicito, occorrendo, in quest'ultimo caso, che l'utilizzazione 
dell'opera sia consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi dell'ente, in quanto la differenza tra 
le due forme di riconoscimento sta solo nel fatto che la prima � contenuta in una dichiarazione espressa, 
mentre la seconda si ricava da un comportamento di fatto, tale da far concludere che il suo autore abbia 
inteso conseguire uno specifico risultato�. 
(11) Si veda, sull'argomento: PRUSSIANI, L'azione di arricchimento senza causa nei rapporti tra 
la pubblica amministrazione ed il professionista: riconoscimento dell'utilitas e criteri di quantificazione 
dell'indennizzo in Corriere Giur., 2012, 10, 1216. 



che deve essere indennizzato il valore corrispondente al �giusto prezzo� o 
�giusto corrispettivo� della prestazione eseguita dall�impoverito; un ultimo, 
maggioritario, invece ritiene che all�impoverito debba essere indennizzato sia 
il danno emergente che il lucro cessante. 

La prima impostazione fra quelle citate ha, in particolare, fatto leva sul 
concetto di �diminuzione patrimoniale� e sulla differenza intercorrente fra i 
concetti di �perdita� e �danno� (12) i quali differirebbero, per la circostanza 
che il secondo, a differenza del primo, � ricollegato a profili di responsabilit�. 
Alla sussistenza di una responsabilit� del soggetto, infatti, corrisponderebbe 
un maggior disvalore del fatto e, pertanto, la necessit� di un differente trattamento 
in sede di computo del quantum: ne deriverebbe la necessaria esclusione 
del mancato guadagno, il quale atterrebbe, pi� opportunamente, alla sola nozione 
di danno. Di conseguenza, una equa liquidazione del quantum dovrebbe 
ammontare limitatamente alla somma di quanto un soggetto abbia fatto proprio 
in virt� della diminuzione patrimoniale dell�altro soggetto coinvolto. 

I fautori della seconda ricostruzione - secondo cui invece il danno ex art. 
2041 c.c. deve essere equivalente al valore del bene o della prestazione o del-
l�attivit� altrui che ha prodotto l�arricchimento - ravvisano l'elemento differenziale 
con la responsabilit� da illecito nel fatto che, in quest'ultimo caso, il 
danno � pari non al valore della cosa o della prestazione, bens� all�interesse 
leso, valutato in concreto e corrispondente al danno emergente e al lucro cessante. 
L'art. 2041, porrebbe una tutela omogenea ad altre ipotesi (artt. 935, 
936 e 939 c.c.) tutte espressive, in realt�, di principi aventi portata generale. 
Quindi, se da un lato non pu� ristorarsi il lucro cessante, ci� non vuol dire che 
l�impoverito debba subire un ingiusto pregiudizio, quale sarebbe se l'indennizzo 
non corrispondesse al �giusto valore�. 

Una tesi siffatta � stata seguita dalla giurisprudenza soprattutto nei casi di 
prestazione d'opera di un professionista o di un imprenditore, avvenuta in virt� 
di un titolo inesistente o invalido. Con una soluzione equitativa e dando rilievo 
al �giusto corrispettivo� per la prestazione eseguita, si � cos� riconosciuto al professionista 
ci� che avrebbe ricavato dal normale svolgimento della propria attivit� 
professionale, pur negando - formalmente - la possibilit� che la restituzione 
potesse consistere nella controprestazione indicata nel contratto stesso poich� 
l'actio de in rem verso non pu� surrettiziamente instaurare vincoli contrattuali. 

Ben presto, e specificamente con riguardo alle azioni di arricchimento 
esperite nei confronti della pubblica amministrazione per prestazioni profes


(12) Mentre, infatti, quest'ultimo mira ad ottenere la restitutio in integrum in virt� del principio 
in base al quale si vuole evitare che l'agire contra legem di un soggetto possa produrre conseguenze negative 
nella sfera patrimoniale e personale di un altro soggetto; il �riparare alla perdita� ha come fine 
quello di rimediare, semplicemente, allo squilibrio formatosi senza adeguata giustificazione, sicch� 
avrebbe quella base prettamente equitativa, riscontrabile in altre fattispecie codicistiche (es.: 2045 e 
2047 c.c.) ove sono previste indennit� al difettare dei presupposti per il risarcimento ex art. 2043. 


sionali eseguite in virt� di contratti invalidi, si � sviluppato il terzo orientamento 
menzionato, il quale propendeva per un�interpretazione estensiva della 
locuzione di cui all'art. 2042 c.c.: �pregiudizio subito� . 

Ponendo, infatti, al centro dell�analisi la lesione dell�interesse e il danno 
dell�impoverito, la Cassazione ha riconosciuto indennizzi individuati in base 
ai tariffari professionali, o a norma dell�art. 1226 c.c., cos� realizzando un ristoro 
per la lesione della situazione giuridica soggettiva dell'impoverito del 
tutto analogo a quello che potrebbe realizzarsi con l�azione risarcitoria. 

Pur ammettendo che l�interpretazione letterale conduceva alla non indennizzabilit� 
del mancato guadagno, s'affermava - tuttavia - che diminuzione patrimoniale 
rilevante ex l�art. 2041 c.c. dovesse essere ogni perdita economica 
del soggetto a svantaggio del quale l�accipiens si fosse arricchito, compreso 
il mancato guadagno. Ci� perch� a fondamento della norma vi sarebbe una 
ratio volta ad evitare che un soggetto ottenga senza causa un incremento patrimoniale 
a danno di un altro soggetto: il considerare l'intero pregiudizio sub�to 
sarebbe, insomma, diretta conseguenza dell'interpretazione teleologica 
dell'istituto e approdo necessitato dalla rilevanza dell'elemento causale all'interno 
del nostro ordinamento, sicch� non sarebbe possibile tollerare spostamenti 
patrimoniali disgiunti da una causa giustificatrice, neppure quando 
beneficiario ne sia un ente pubblico (13). 

Una siffatta soluzione, condivisibile per la coerenza coi principi fondamentali 
che governano gli spostamenti patrimoniali, ha tuttavia avuto - quale 
effetto distorsivo - quello di trasformare l'actio de in rem verso in un rimedio 
equitativo privo di parametri certi di riferimento, idoneo a far conseguire ai 
soggetti privi di valido titolo il compenso tendenzialmente integrale cui avrebbero 
avuto diritto ove l'affare fosse stato validamente concluso. Con la particolarit� 
che, di volta in volta, l'azione di indebito arricchimento prendeva in 
prestito (mascherandoli da meri indici parametrici o da elementi di prova presuntiva 
richiesti per una corretta valutazione equitativa) i criteri di liquidazione 
pi� favorevoli all'impoverito, applicandoli senza dover sottostare ai presupposti 
e alle condizioni cui il legislatore subordinava l'individuazione della controprestazione 
di lavori e servizi per la P.A. Con la pericolosa conseguenza di 
indebiti vantaggi per il privato contraente con la P.A., il quale avrebbe potuto 
ottenere la rideterminazione in base a parcella da lui stesso predisposta, ancorata 
alle tariffe professionali, anzich� il minor compenso gi� prestabilito dal-
l'ente nella convenzione invalida o nel capitolato (14). Ad aggravare il quadro 
generale stava la circostanza che questi effetti positivi si producevano anche 
a favore di chi sapeva non esistere affatto un contratto o, peggio, ne conosceva 
l'invalidit�, poich� - non riguardando profili di responsabilit� - l'azione de qua 

(13) Cfr. Cass., S.U., n. 1025/1996; Cass. 7694/1992. 
(14) V. Cass. civ. Sez. III, 25 settembre 1998, n. 9584. 



prescinde da qualsiasi indagine sull'elemento psicologico; e ci� anche nelle 
ipotesi del c.d. arricchimento imposto o mediato, ove gli impoverimenti sono 
dovuti ad iniziative e comportamenti stessi dell'impoverito. 

Il risultato aberrante di questa giurisprudenza � stato quello di rendere 
l'azione de qua una alternativa rispetto al rapporto contrattuale vero e proprio, 
ideale �scappatoia� per eludere l'applicazione delle norme imperative dell'evidenza 
pubblica (15). 

A partire dagli anni Novanta � subentrata in giurisprudenza una cautela 
sempre maggiore nella concessione dell'azione de qua. Cautela che s'� tradotta, 
anzitutto, nella pretesa di un doppio requisito del riconoscimento, che poc'anzi 
abbiamo anticipato e qui giova ripetere e meglio puntualizzare, che dev'essere 
sia consapevolmente attuato dagli organi rappresentativi dell'ente, e concretizzarsi 
nell'effettiva utilizzazione della prestazione medesima; sia proveniente 
non pi� da qualsiasi soggetto o ufficio che faccia parte della struttura dell'ente, 
bens� solo da quelli cui � rimessa la formazione della volont� dello stesso o 
che per legge ne hanno la rappresentanza esterna, o in altre parole, da quegli 
stessi organi che sarebbero stati competenti a manifestare la volont� dell'amministrazione 
di contrarre nonch� a stipulare. 

In questo clima si innesta una importante pronuncia delle SS.UU. (16) 
che, con l'occasione, hanno riesaminato in radice funzione e finalit� dell'azione 
ex art. 2041 c.c. allorch� rivolta contro la pubblica amministrazione e, disattendendo 
la giurisprudenza divenuta ormai maggioritaria, si sono espresse a 
favore dell�interpretazione che esclude dal computo dell�indennizzo il lucro 
cessante. Pi� sono gli argomenti a sostegno svolti in motivazione. 

In primis, l'argomento testuale: la lettera della norma � chiara sul punto e si 

(15) Mosso proprio da questa preoccupazione, � intervenuto il legislatore che ha tentato, senza 
peraltro riuscirvi, di ridimensionare l'istituto con l'art. 23, 4� co., D.L. 2 marzo 1989, n. 66, convertito 
in L. 24 aprile 1989, n. 144, stabilendo che in materia di enti locali in caso di lavori urgenti, non regolarizzati, 
� solo possibile agire ex contractu nei confronti del funzionario che ha agito illegittimamente. 
Nelle intenzioni del legislatore la configurazione di una responsabilit� contrattuale diretta in capo al 
funzionario avrebbe dovuto costituire un deterrente contro le violazioni di legge da parte dei pubblici 
dipendenti i quali perseguivano fini di profitto colludendo con soggetti privati contraenti. Ma sarebbe 
stato deterrente per i privati stessi, onerati ad addivenire a una contrattazione munita di tutti i crismi, 
data la probabile e frequente insolvibilit� del funzionario stesso. In seguito la giurisprudenza si � per lo 
pi� attenuta a questa normativa escludendo la possibilit� per il privato di agire direttamente in arricchimento 
contro la P.A.: infatti, posto il carattere esplicitamente sussidiario dell'azione ex art. 2042 c.c., la 
possibilit� di agire ex contractu nei confronti del funzionario escluderebbe la possibilit� di agire in arricchimento 
nei confronti della P.A., salva la possibilit� per il privato di esperirla in via surrogatoria. 
Successivamente il legislatore � nuovamente intervenuto con il D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342 riconoscendo 
alla P.A. la facolt� di riconoscere i debiti fuori bilancio �nel limite dell'indebito arricchimento�, 
in tal modo generando notevole confusione perch� da un lato ripristinava il principio per cui compete 
all'ente stesso il riconoscimento dell'utilit�, dall'altro pretendeva un riconoscimento formale, in palese 
contrasto con l'evoluzione giurisprudenziale prima citata che gi� in precedenza aveva ammesso che questo 
avvenisse anche implicitamente. 

(16) Cass. Civ., Sez. Un., 11 settembre 2008, n. 23385. 


pone in linea di continuit� col principio romanistico �iure naturae aequum est 
neminem cum alterius detrimento et iniuria fieri locupletiorem� il quale consentiva 
di riparare, attraverso la nascita di obbligazioni restitutorie in capo all�arrichito, 
il detrimentum sofferto da un impoverito a seguito dell�esecuzione di una 
prestazione senza una giustificazione, sia essa mancante ab origine o venuta 
meno successivamente. Tale istituto presupponeva la nascita di un'obbligazione 
avente marcatamente carattere restitutorio, non di riparazione o risarcimento. 
Se, dunque, la natura dell�obbligazione � restitutoria, oggi come in passato, deve 
concludersi che l�esclusiva funzione dell'actio de qua sia semplicemente quella 
di porre in equilibrio una situazione di fatto alterata. A conferma le Sezioni Unite 
riportano che gi� sotto il codice del 1865 la giurisprudenza ammetteva l�actio 
de in rem verso del tutto simile a quella romanistica. 

Conclusione avallata, oltre che dalle applicazioni storiche dell'istituto 
anche dalla collocazione sistematica che questo riceve all'interno del codice: 
subito dopo le ipotesi di obbligazioni restitutorie. Potrebbe concludersi, da 
ci�, che tali ipotesi e l�azione di arricchimento hanno un comune principio 
ispiratore volto a ripristinare una situazione di equilibrio tramite la �restituzione
�, rimanendo comunque differenziati circa la portata: le prime sono rimedi 
applicabili a fattispecie tipiche, riferite a specifiche perdite, l�azione ex 
art. 2041 ha invece portata generale potendo applicarsi a tutte le ipotesi di perdite 
ingiuste non previste dal legislatore a chiusura dei rimedi esperibili e 
avente dunque carattere sussidiario (previsto esplicitamente all�art. 2042 c.c.). 
Inoltre, siffatta conclusione � l'unica coerente con l'esigenza di evitare ogni 
possibile commistione con le azioni contrattuali, le sole aventi la funzione di 
assicurare al privato il giusto corrispettivo dell'incarico o dei lavori eseguiti. 

Ma v'� di pi�. In tal modo, risulta ripristinata la funzione originaria di norma 
generale di chiusura destinata a disciplinare tutti i casi cui debba conseguire la 
restituzione che il legislatore non sarebbe in grado di prevedere singolarmente. 
Con la rilevante conseguenza che, vertendosi in tema di restituzioni e non di risarcimento, 
deve concludersi necessariamente che la norma non mira alla ricomposizione 
del patrimonio dell'impoverito, sicch� difetta in radice un titolo 
idoneo a compensare il suo mancato incremento attraverso profitti non realizzati. 

Da queste argomentazioni, non pu� non trarsi una stigmatizzazione del 
percorso logico seguito dalla giurisprudenza prima esaminata, in base al quale 
la stima dell'indennizzo non solo veniva conformata al modello contrattuale 
senza tener poi conto delle specifiche condizioni e limitazioni costituite dalle 
regole dell'evidenza pubblica, ritenute eppure assolutamente inderogabili, eludendole 
e neutralizzandone in nome di imprecisate esigenze equitative; ma, 
altres�, utilizzava istituti ed elementi parametrici peculiari di dette azioni col 
risultato di assicurare all'autore di una prestazione eseguita - malgrado l'invalidit� 
del contratto - il medesimo profitto che avrebbe ricavato nello stesso periodo 
di tempo da altre attivit� remunerate. 


In tal modo l'azione de qua non presenta pi� i caratteri di strumento legibus 
solutus idoneo, da un lato, a ricomprendere tutti i benefici derivanti da un 
contratto valido e, dall'altro, a trascenderlo per aggiungervi anche quelli non 
consentiti dalle condizioni e dai limiti posti dall'ordinamento all'attivit� negoziale 
degli enti pubblici. 

In conclusione, pu� oggi dirsi che con la sentenza delle SS.UU. � stato inaugurato 
un consolidato orientamento nella giurisprudenza di legittimit� (17), teso 
a privilegiare l'interpretazione dell'art. 2041 c.c. che esclude dal calcolo dell'indennit� 
(richiesta per la "diminuzione patrimoniale" subita dall'esecutore di una 
prestazione in virt� di un contratto invalido) quanto lo stesso avrebbe percepito 
a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace. 

Orientamento che, come dimostra la pronuncia in epigrafe, pare essere 
stato ormai recepito anche nella giurisprudenza amministrativa. 

Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 7 giugno 2013 n. 3133 -Pres. Trovato, Est. Lotti -
Monteco Srl (avv.ti Lazzari e Positano) c. Comune di Casarano (avv. Mormandi). 

DIRITTO 
Ritiene il Collegio di dover precisare, sotto il profilo fattuale, che la vicenda oggetto dell�appello 
riguarda un contratto (rep. n. 1144 del 22 marzo 1994), con cui l�appellato Comune di 
Casarano aveva affidato all�A.T.I. G.I.ECO srl - SO.GEA.A. srl (poi Monteco srl, attuale appellante) 
il servizio di igiene urbana e servizi complementari per la durata di otto anni. 
Alla scadenza del suddetto rapporto contrattuale (28 febbraio 2002) il medesimo servizio veniva 
riaffidato alla societ� concessionaria, inizialmente in virt� della deliberazione di G.C. n. 
15 del 18 gennaio 2002 e della determinazione n. 284 del 22 febbraio 2002; poi, in virt� di 
delibera di G.C. n. 332 del 22 novembre 2002 e determinazione n. 67 del 9 dicembre 2002, 
fino al 17 luglio 2003. 
Successivamente, sia la cit. delibera di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 che la cit. determina 

n. 284 del 22 febbraio 2002, venivano annullate da questo Consiglio con sentenza 2079-03; 
invece, la cit. delibera di G.C. n. 332 del 22 novembre 2002 e la cit. determinazione n. 67 del 
9 dicembre 2002 risultavano adottate in violazione dell�ordinanza cautelare di questo Consiglio 
28 agosto 2002, n. 3576, reso nel corso dello stesso giudizio d�appello (RG n. 6947/02). 
Per fronteggiare la situazione di emergenza, il Comune appellato aveva imposto l�esecuzione 
dell�attivit� precedentemente appaltata mediante l�adozione di ordinanze sindacali ai sensi 
dell�art. 13 del d.lgs. n. 22-1997 e dell�art. 30 del d.lgs. n. 267-2000 (ordinanza n. 113 del 10 
luglio 2003, ordinanza n. 209 del 30 dicembre 2003, ordinanza n. 124 del 29 giugno 2004, 
ordinanza n. 219 del 30 dicembre 2004, ordinanza n. 98 del 30 giugno 2005, ordinanza n. 212 
del 30 dicembre 2005, tutte di durata infrasemestrale). 
Nel 2007, quando il Comune aveva affidato il medesimo servizio ad altro concessionario, individuato 
con apposita gara, la ditta Monteco ha presentato ricorso al TAR Puglia, sezione di 
Lecce, chiedendo: 

(17) V. anche Cass. SS.UU. n. 1875/2009 e Cass. n. 22313/2011; n. 20648/2011; n. 3905/2010. 
Pi� di recente v. Cass. civ. Sez. I, Sent., 17 gennaio 2013, n. 1167. 


-il compenso revisionale (comprensivo degli importi corrispondenti all�alea del 10%) per il 
periodo dal 1� gennaio 1998 al 17 luglio 2003; 
-il recupero dell�importo corrispondente all�alea per il periodo 1� marzo 1995 - 31 dicembre 
1995 e per il periodo 1� gennaio 1996 - 31 dicembre 1997; 


- il riconoscimento del diritto al rimborso dei maggiori oneri derivanti dall�affidamento coattivo 
del servizio. 
Il TAR, con la sentenza gi� riassunta in punto di fatto, riconosceva il diritto della ricorrente 
alla revisione dei prezzi per il periodo di durata dell�originario rapporto contrattuale (ovvero 
sino al 28 febbraio 2002) e disconosceva il preteso diritto della ricorrente alla revisione dei 
prezzi per il periodo successivo (fino al 17 luglio 2003), rigettando la richiesta di rimborso 
dei maggiori oneri derivanti dall�affidamento coattivo. 
L�appellante impugnava detta sentenza limitatamente ai capi 2.2.B e 2.3.C, chiedendone la 
parziale riforma. 
Secondo il Collegio, l�appello non pu� essere accolto. 
Infatti, in primo luogo, con riferimento al periodo 28 febbraio 2002-17 luglio 2003, poich� i 
provvedimenti con cui � stato affidato il servizio (delibera di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 
e determina n. 284 del 22 febbraio 2002) sono stati annullati da questo Consiglio con sentenza 
2079-03, il relativo contratto � da ritenersi invalido � affetto da nullit� (rectius: sia stato caducato), 
come gi� chiarito in via generale da questo Consiglio con la fondamentale sentenza 
della sez. V 13 novembre 2002, n. 6281, che ha utilizzato la categoria della nullit� virtuale o 
extratestuale per violazione di norme imperative, ma anche, conseguentemente, di tipo strutturale, 
per difetto di titolo al contratto in capo all'affidatario. 
Secondo la cit. sentenza del 2002 la nullit� per violazione di norma imperativa (proibitiva 
della stipula del contratto con l'affidatario), si traduceva, dunque, anche in una conseguente 
nullit� strutturale per carenza di titolo a contrarre. 
Nella consapevolezza delle difficolt� ricostruttive di questa figura, sembra che questa ricostruzione 
possa ritenersi sostituita dalla tesi della caducazione automatica, che vi si � sovrapposta, 
secondo la quale la fase di evidenza pubblica costituisce un requisito legale di efficacia 
del contratto, il cui venire meno, per effetto dell�annullamento dell�aggiudicazione, determina 
il travolgimento automatico del contratto, in forza del principio generale del simul stabunt, 
simul cadent, proprio anche dei negozi giuridici privati collegati in via necessaria (cfr. Cons. 
Stato, Sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332 e 4 aprile 2007, n. 1523). 
Tale opzione fa discendere, come conseguenza dell�annullamento dell�atto amministrativo, 
l�automatica e retroattiva improduttivit� degli effetti del contratto, e tale descrizione della trasmissione 
del vizio di illegittimit� del provvedimento sulla validit� del contratto stipulato a 
valle non � circoscrivibile alle sole ipotesi di aggiudicazione di un contratto d�appalto, ma si 
estende a tutte le ipotesi in cui l�atto amministrativo e l�atto negoziale siano legati da un indissolubile 
nesso di presupposizione necessaria, nel senso che la stipulazione del contratto 
consegua al provvedimento di affidamento. 
Ovviamente, posteriormente al recepimento della cd. Direttiva ricorsi (Dir n. 66 del 2007, recepita 
con il d. lgs. n. 53 del 2010), saranno applicabili le regole attualmente contenute negli 
artt. 121 e ss. c.p.a., non applicabili, tuttavia, al caso di specie, che � antecedente all�introduzione 
di tali novit� normative. 
Peraltro, per detto periodo antecedente (cos� come per i settori della contrattualistica pubblica 
attualmente non oggetto della Direttiva) potrebbe porsi un problema di giurisdizione riguardo 
alla cognizione della validit� del contratto e della sorte del rapporto contrattuale, poich�, come 


� noto, in tema di attivit� negoziale della P.A., rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario 
le controversie aventi ad oggetto tutti gli atti della serie negoziale successiva alla stipulazione 
del contratto, cio� non solo quelle che attengono al suo adempimento e quindi 
concernenti l'interpretazione dei diritti e degli obblighi delle parti, ma anche quelle volte ad 
accertare le condizioni di validit�, efficacia, nullit� o annullabilit� del contratto, siano esse 
inerenti o estranee o sopravvenute alla struttura del contratto, comprese quelle derivanti da 
irregolarit� o illegittimit� della procedura amministrativa a monte e le fattispecie di radicale 
mancanza del procedimento di evidenza pubblica o sussistenza di vizi che ne affliggono singoli 
atti (cfr. Cass. civile, Sez. Un., 5 aprile 2012, n. 5446 e 28 dicembre 2007, n. 27169). 
Tuttavia, le condizioni di validit�, efficacia, nullit� o annullabilit� del contratto, siano esse 
inerenti o estranee o sopravvenute alla struttura del contratto, comprese quelle derivanti da 
irregolarit� o illegittimit� della procedura amministrativa a monte e le fattispecie di radicale 
mancanza del procedimento di evidenza pubblica o sussistenza di vizi che ne affliggono singoli 
atti possono essere accertate incidentalmente dal giudice amministrativo, quando la loro 
determinazione, come in questo caso, sia funzionale all�accertamento rimesso alla cognizione 
del giudice amministrativo medesimo, poich� ai sensi dell'art. 8, comma 1, c.p.a., il G.A. ha 
il potere di decidere, senza efficacia di giudicato, tutte le questioni pregiudiziali o incidentali 
relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale 
(cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 dicembre 2012, n. 6400). 
Nel caso di specie, dunque, con riferimento al periodo 28 febbraio 2002-17 luglio 2003, poich� 
i provvedimenti con cui � stato affidato il servizio (delibera di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 
e determina n. 284 del 22 febbraio 2002) sono stati annullati da questo Consiglio con sentenza 
2079-03, il relativo contratto � da ritenersi, con accertamento incidentale, inefficace e caducato 
retroattivamente, con la conseguenza che manca il presupposto essenziale richiesto dall'art. 
6, comma 4, l. n. 537/93 per poter configurare il diritto alla revisione del prezzo. 
Per il successivo periodo connesso all�emanazione della cit. delibera di G.C. n. 332 del 22 
novembre 2002 e della cit. determinazione n. 67 del 9 dicembre 2002, si deve rilevare che 
esse risultano adottate effettivamente in violazione dell�ordinanza cautelare di questo Consiglio 
28 agosto 2002, n. 3576, reso nel corso dello stesso giudizio d�appello, con conseguente 
nullit� del relativo rapporto contrattuale. 
In proposito deve osservarsi che l'art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 dispone la nullit� 
dell'atto violativo od elusivo del giudicato e non anche della pronuncia del giudice che non 
abbia ancora il carattere della definitivit�. 
Il dato letterale della norma ha condotto parte della giurisprudenza di primo grado ad escludere 
la nullit� dell'atto adottato in violazione od elusione delle statuizioni contenute in un'ordinanza 
cautelare ancorch� non pi� soggetta a gravame, in base all�intrinseca provvisoriet� che caratterizza 
le misure cautelari e nella inidoneit� a regolare il rapporto in modo definitivo; oltre a 
poter essere oggetto di un provvedimento di revoca o di modifica (art. 58 c.p.a.), infatti, esse 
possono essere travolte da una decisione sul merito della causa di segno differente. 
Tuttavia, ragioni di effettivit� della tutela giurisdizionale, impongono di assicurare l'osservanza 
del provvedimento cautelare da parte della pubblica amministrazione. 
Infatti, alcune recenti pronunce di questo Consiglio (Cons. Stato, sez. VI, 17 luglio 2008, n. 
3606; Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2007, n. 2950; Cons. Stato, sez. V, 24 luglio 2007), sulla 
base di una supposta equivalenza tra giudicato e giudicato cautelare, hanno riconosciuto la nullit� 
dei provvedimenti amministrativi dell'ordinanza cautelare divenuta inoppugnabile; nullit� 
rilevabile anche d�ufficio dal giudice adito, giusto il disposto di cui all�art. 31, comma 4, c.p.a. 


Si � adottata, in questi casi, una nozione di giudicato pi� ampia, comprensiva di tutte le pronunce 
immediatamente esecutive, in quanto caratterizzate da una certa stabilit�. 
La questione, peraltro, ha trovato esplicita soluzione nell'art. 114, comma 4, c.p.a. che, alla 
lett. c), prevede che in caso di accoglimento del ricorso il giudice possa pronunciare l'inefficacia 
degli atti emessi in violazione od elusione di sentenze non passate in giudicato o di altri 
provvedimenti; confermandosi, quindi, la tesi della nullit� derivante dalla violazione di un 
�giudicato� cautelare, come nella specie. 
Peraltro, con riguardo alla richiesta di indennizzo ex art. 2041 c.c., si deve rilevare che sussisterebbe 
il difetto di giurisdizione del giudice adito poich�, a seguito della sentenza della Corte 
Cost. 6 luglio 2004, n. 204 non appartiene pi� alla giurisdizione del G.A., neppure nella materia 
dei pubblici servizi, e rientra dunque in quella del G.O., la controversia avente ad oggetto 
l�azione di indebito arricchimento (cfr. Cass. civ, Sez. Un., n. 28042-08); tale capo della sentenza 
non � stato impugnato dalla P.A. che ne eccepisce il difetto, come necessario ai sensi 
dell�art. 9 c.p.a. 
Peraltro, come risulta dalla pacifica giurisprudenza civile, l'indennit� prevista dall'art. 2041 

c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione 
resa in virt� del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito 
a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace; pertanto, ai 
fini della determinazione dell'indennizzo dovuto, non pu� farsi ricorso alla revisione prezzi, 
tendente ad assicurare al richiedente quanto si riprometteva di ricavare dall'esecuzione del 
contratto, la quale, non pu� costituire neppure un mero parametro di riferimento, trattandosi 
di meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte di un 
valido contratto di appalto (Cassazione civ., Sez. Un., 11 settembre 2008, n. 23385). 
Pertanto, alla luce di tali argomentazioni, il primo motivo d�appello deve essere respinto. 
Con riferimento al secondo motivo d�appello, relativo alla richiesta di riconoscimento del diritto 
al rimborso dei maggiori oneri derivanti dall�affidamento coattivo del servizio, dal luglio 
2003 al 30 marzo 2006 in forza delle gi� citate ordinanze contingibili ed urgenti, questo Collegio 
condivide la posizione del TAR. 
Infatti, la Societ� ricorrente ha svolto il servizio per tale periodo in virt� di 6 ordinanze sindacali 
contingibili ed urgenti, successive e autonome, nelle quali di volta in volta era stato sempre indicato 
in maniera esatta il corrispettivo a cui l�ente si obbligava; corrispettivo che la societ� ha 
sempre accettato senza mai contestare alcunch� e il cui eventuale ammontare inferiore a quello 
previsto dalla legge non inciderebbe comunque sulla legittimit� dell�atto amministrativo. 
Pertanto, non � possibile in questa sede proporre domanda di risarcimento danni, trattandosi di 
atti del tutto legittimi, per i quali � assente ogni profilo di violazione dell�affidamento da parte 
della P.A. e in cui, anzi, emerge una contraddittoriet� nel comportamento dell�appellante che 
si � sempre uniformato al provvedimento e non ha mai contestato l�ammontare di quanto pattuito, 
integrando cos� il principio del venire contra factum proprium idoneo a paralizzare la relativa 
azione giudiziaria (cfr., ex multis, Cassazione civ., sez. I, 4 settembre 2004, n. 17888). 
Tali argomentazioni sarebbero, dunque, gi� tranchant e condurrebbero inevitabilmente alla 
reiezione dell�appello. 
Il Collegio ritiene di precisare ulteriormente, al riguardo, che la richiesta tendente al riconoscimento 
del diritto a percepire le somme che le sarebbero spettate se fosse stato adottato il criterio 
della �revisione dei prezzi�, pu� anche essere qualificabile come richiesta risarcitoria trattandosi 
di una diritto derivante da un provvedimento che si assume come implicitamente illegittimo. 
Pertanto, in virt� di tale qualificazione giuridica, devono applicarsi i principi giurisprudenziali 


indicati nella nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 500-1999 che ha 
affermato chiaramente che l'imputazione della responsabilit� alla P.A., riferibile agli elementi 
costituitivi della responsabilit� ex art. 2043 c.c., non pu� avvenire sulla base del mero dato 
obiettivo dell�illegittimit� dell'azione amministrativa, poich� il giudice deve svolgere una pi� 
penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimit� del provvedimento in 
relazione alla normativa ad esso applicabile, bens� estesa anche alla valutazione della colpa, 
non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della 

P.A. intesa come apparato che sar� configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione del-
l'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole 
di imparzialit�, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione 
amministrativa deve ispirarsi (punto 11 della motivazione). 
Al riguardo, � pur vero che, in materia di appalti pubblici, la giurisprudenza comunitaria (Corte 
di Giustizia UE 30 settembre 2010, C-314-09) ha affermato che la normativa dell�UE osta 
alle norme nazionali che subordinano il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno 
compiuto da una Pubblica Amministrazione al carattere colpevole della violazione commessa 
dalla PA medesima. 
Ma tale indirizzo interpretativo � strettamente connesso alle violazioni, commesse dalla PA, 
in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, procedure che, in relazione 
alla controversia in oggetto, non vengono direttamente in rilievo, trattandosi di lite relativa 
ad aspetti di esecuzione del contratto d�appalto, �a valle� dell�aggiudicazione, ove tale principio 
non � operante (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 829). 
� centrale, quindi, l'idea che l'elemento soggettivo della fattispecie aquiliana in esame debba 
configurarsi come colpa dell'apparato, non predicabili di riflesso in quanto discendenti dai 
rimproveri eventualmente addebitabili a carico del singolo agente, ma dedotta dalla considerazione 
dell'intero contegno dell'Amministrazione, ossia dal fatto che questa abbia effettivamente 
adottato l'atto illegittimo e dannoso mediante un esercizio scorretto della funzione, 
sindacabile come tale secondo il criterio usuale dell'id quod plerumque accidit. 
Anche per la giurisprudenza di questo Consiglio, coerentemente con l�indirizzo espresso dalle 
Sezioni Unite della Cassazione, ai fini dell'ammissibilit� della domanda di risarcimento del 
danno a carico della Pubblica amministrazione non � sufficiente il solo annullamento del provvedimento 
lesivo, ma � altres� necessaria la prova del danno subito e la sussistenza dell'elemento 
soggettivo del dolo ovvero della colpa (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 7 
gennaio 2013, n. 23). 
Si deve quindi verificare se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione 
delle regole di imparzialit�, correttezza e buona fede alle quali l'esercizio della funzione 
deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che il giudice amministrativo pu� 
affermare la responsabilit� dell'Amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo 
quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un 
quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l'imperizia del-
l'organo nell'assunzione del provvedimento viziato e negarla quando l'indagine presupposta 
conduca al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per 
l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessit� della situazione di fatto. 
Nel caso in esame, il Comune di Casarano, nell�emanare le ordinanze citate si � sempre uniformato 
ai Decreti del Commissario Straordinario per l�Emergenza Ambientale in materia di 
rifiuti, con ci� palesando la conformit� ai principi di buon andamento ed imparzialit� del-
l�azione amministrativa e l�assenza di ogni imputazione di responsabilit� per colpa. 


Conclusivamente, anche alla luce di tale argomentazione, il secondo motivo d�appello deve 
essere respinto, in quanto infondato. 
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. 


P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), 
definitivamente pronunciando sull�appello come in epigrafe proposto, lo respinge. 
Condanna parte appellante al pagamento, in favore dell�appellato, delle spese di lite del presente 
grado di giudizio, spese che liquida in euro 4000,00, oltre accessori di legge. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2013 


Indirizzi giurisprudenziali in tema di revoca della gara 
d�appalto e responsabilit� precontrattuale della P.A. 

CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE V, SENTENZA 15 LUGLIO 2013 N. 3831 

Mariarita Romeo* 

Gli atti del procedimento dell�evidenza pubblica, in quanto preordinati 
alla conclusione del contratto, sono al tempo stesso configurabili anche quali 
atti di trattativa e di formazione progressiva del contratto stesso, e come tali 
rilevanti anche ai sensi dell�art. 1337 cod. civ. 

La legittimit� della revoca della procedura di gara, quindi, non esclude 
la configurabilit� della responsabilit� precontrattuale dell�Amministrazione, 
la quale � tenuta a rispettare non solo le regole dettate nell�interesse pubblico, 
ma anche le norme di correttezza prescritte dal diritto comune. 

La circostanza che la procedura pubblicistica di scelta del contraente avviata 
sia stata revocata prima ancora dell�aggiudicazione non vale, di per s� 
sola, ad escludere la responsabilit� precontrattuale dell�amministrazione revocante, 
occorrendo verificare in concreto la condotta da questa tenuta alla 
luce del parametro di diritto comune della correttezza nelle trattative. Il grado 
di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca � invece 
sicuramente rilevante per individuare lo spessore dell�affidamento ingenerato 
nei partecipanti alla gara, ai fini dello scrutinio della fondatezza della 
domanda risarcitoria. 

****** 

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3831 del 15 
luglio 2013, torna su un tema particolarmente ricorrente, oggetto di numerose 
pronunce, quale quello della responsabilit� precontrattuale della pubblica amministrazione 
in caso di revoca della gara d�appalto. 

Gli interventi giurisprudenziali degli ultimi tempi si sono concentrati principalmente 
su alcuni aspetti specifici, quali la relazione esistente tra l�accertata 
legittimit� della revoca disposta dall�amministrazione e la configurabilit� della 
sua responsabilit� precontrattuale; la differenza dei presupposti su cui basare 
le domande di risarcimento del danno da attivit� provvedimentale illegittima 
e del danno da responsabilit� precontrattuale, ovvero di indennizzo ex art. 21 
quinquies L.n. 241/1990; l�incidenza dello stato di avanzamento della procedura 
di gara sull�affidamento del privato quale elemento della fattispecie della 
responsabilit� precontrattuale. 

* Avvocato - Esperto amministrativo presso il Consiglio Regionale della Calabria. 


SOMMARIO: 1. La revoca della gara d�appalto. - 2. Legittimit� della revoca e responsabilit� 
dell�amministrazione. - 3. Elementi distintivi della responsabilit� precontrattuale della 
pubblica amministrazione. - 4. Considerazioni conclusive. 

1. La revoca della gara d�appalto. 

ComՏ noto, la nozione di revoca che � stata positivizzata tramite la riforma 
del 2005 e l�introduzione nella legge sul procedimento amministrativo 
dell�art. 21 quinquies � una nozione molto ampia, in virt� della quale il ricorso 
alla revoca � giustificato non solo quando, dopo l�adozione dell�atto amministrativo 
interessato, siano intervenuti fatti e/o elementi nuovi tali da mutare il 
precedente assetto di interessi, ma anche quando l�amministrazione operi un 
ripensamento della situazione preesistente in virt� di una diversa e pi� attenta 
valutazione dell�interesse pubblico originario (si parla, in proposito, di �jus 
poenitendi� della p.a.) (1). 

La revoca del provvedimento precedentemente adottato deve avvenire 
con altro provvedimento adeguatamente motivato, che tenga conto dell�esistenza 
di eventuali posizioni di privati ormai consolidate e del conseguente 
affidamento ingenerato in questi ultimi. 

Il sindacato di legittimit� svolto dal giudice passa attraverso la valutazione 
del comportamento concretamente tenuto dall�Amministrazione e la verifica 
dei margini decisionali effettivamente a sua disposizione. 

Nella materia specifica delle procedure ad evidenza pubblica, secondo 
un orientamento costante, fino a quando non sia intervenuta l�aggiudicazione 
definitiva la revoca del bando di gara e degli atti successivi, in presenza di 
motivi che rendano inopportuna o solo sconsigliabile la sua prosecuzione, rientra 
nell�ampia potest� discrezionale della p.a. 

Si � cos� affermato che l�amministrazione conserva il potere di annullare 
in via di autotutela o di revocare il bando e le singole operazioni di gara, 
quando i criteri di selezione siano suscettibili di produrre effetti indesiderati o 
comunque illogici; ovvero la stessa aggiudicazione della gara, quando venga 
in rilievo un ben individuato e superiore interesse pubblico, quale la mancanza 
di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell�opera (2). 

In tutte le ipotesi di revoca, appare comunque determinante la circostanza 
che il relativo provvedimento dia ragionevolmente conto delle motivazioni 
che hanno indotto l�amministrazione a mutare la propria precedente manifestazione 
di volont�. 

(1) In tal senso, v. Cons. St, sez. III, 15 novembre 2011, n. 6039 e 13 aprile 2011, n. 2291; cfr. 
anche, tra le pi� recenti, Cons. St., sez. V, 2 maggio 2013, n. 2400 e 21 aprile 2010, n. 2244; sez. IV, 7 
febbraio 2012, n. 662, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(2) Sul punto, v. Cons. St., sez. III, 11 luglio 2012, n. 4116; sez. V, 8 settembre 2011, n. 5050 e 9 
aprile 2010, n. 1997; sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3989 in www.giustizia-amministrativa.it. 



2. Legittimit� della revoca e responsabilit� dell�amministrazione. 

L�accertata legittimit� del provvedimento di revoca disposto dall�amministrazione, 
tuttavia, non esclude ogni profilo di responsabilit� di quest�ultima. 
Al contrario, la domanda di indennizzo ex art. 21 quinquies presuppone proprio 
la legittimit� dell�atto di revoca, venendo riconosciuto in tutti i casi in cui 
quest�ultimo, seppur legittimo, arrechi pregiudizio in danno dei privati direttamente 
interessati (3). 

In proposito, si parla - sia pure in senso improprio - di responsabilit� della 

p.a. per attivit� legittima (4). Il fondamento dell�indennizzo, infatti, non va 
rinvenuto in un comportamento colposo dell�amministrazione, ma piuttosto 
in ragioni equitative. Attraverso di esso, si realizza il bilanciamento tra il soddisfacimento 
dell�interesse pubblico attuato tramite la revoca e la sfera patrimoniale 
del privato destinatario della stessa, che diversamente verrebbe a 
subire da solo il correlativo sacrificio. 

In tal modo, � facile comprendere la differenza di presupposti rispetto alle 
domande di risarcimento del danno da attivit� provvedimentale illegittima ovvero 
da responsabilit� precontrattuale della p.a., che implicano una condotta quantomeno 
colposa dell�amministrazione e necessitano del relativo accertamento (5). 

In particolare, la responsabilit� precontrattuale della p.a. opera su un piano 
del tutto differente, in quanto pu� prescindere dalle caratteristiche dell�atto e 
concentrarsi sul comportamento ed il contegno complessivamente tenuti dal 
soggetto pubblico nel corso del procedimento. 

A partire dalla decisione dell�Adunanza Plenaria n. 6/2005 (6), integra 
un convincimento pi� che consolidato in giurisprudenza (ulteriormente confermato 
nella pronuncia in commento) quello secondo cui, ai fini del riconoscimento 
della responsabilit� precontrattuale, non va attribuito alcun rilievo 
preclusivo all�accertata legittimit� del provvedimento di revoca, legittimit� 
che anzi ne costituisce una condizione (7). 

Si osserva che l�amministrazione, nello svolgimento della sua attivit� di 
ricerca del contraente, � tenuta non soltanto a rispettare le regole dettate nel-
l�interesse pubblico, ma anche le norme di correttezza di cui all�art. 1337 c.c. 

(3) Cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, n. 662/2012 gi� citata; sez. V, 6 ottobre 2010 n. 7334 e 14 
aprile 2008, n. 1667; sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5266 in www.giustizia-amministrativa.it. 
(4) Di responsabilit� per atti legittimi si parla in Cons. St., sez. V, 10 febbraio 2010, n. 671 e 6 ottobre 
2010 n. 7334 in www.giustizia-amministrativa.it. 
(5) V. Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2008, n. 5124; sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144 in www.giustizia-
amministrativa.it. 
(6) Si allude alla fondamentale Cons. St., Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6. 


(7) Secondo Cons. St., sez. VI, 5 settembre 2011, n. 5002: �... l�avvenuto riconoscimento della legittimit� 
della revoca non contraddice l�eventualit� di un risarcimento per responsabilit� precontrattuale, 
ma ne fonda anzi la condizione imprescindibile (giacch�, in caso di illegittimit� della revoca e quindi del 
suo annullamento, si imporrebbe la ripresa della gara, ovvero il risarcimento per equivalente anche in relazione 
al mancato utile relativo alla specifica gara revocata: Cons. Stato, IV, 7 luglio 2008, n. 3380 ��. 



prescritte dal diritto comune (8). Si intendono cos� tutelare gli affidamenti 
eventualmente suscitati nell�impresa dagli atti della procedura ad evidenza 
pubblica poi rimossi, potendo aver confidato quest�ultima sulla possibilit� di 
risultare aggiudicataria o, ancor pi� in caso di aggiudicazione intervenuta e 
poi revocata, sulla disponibilit� di un titolo utile alla stipula del contratto. 

Secondo quanto chiarito, il rispetto dei doveri di correttezza e buona fede 
cui � tenuta l�amministrazione anche nello svolgimento di una procedura ad 
evidenza pubblica, impone in primis l�obbligo �di rendere al partecipante alla 
gara in modo tempestivo le informazioni necessarie a salvaguardare la sua 
posizione, su eventi, o sulla rinnovata valutazione dell�interesse pubblico alla 
gara che possano far ipotizzare fondatamente la revoca dei relativi atti, in 
modo da impedire che si consolidi un pericoloso affidamento sulla, invece incerta, 
conclusione del procedimento; affidamento che deve ritenersi tanto pi� 
formato quanto pi� � avanzato il procedimento di gara� (9). 

Ne consegue che se la p.a. viola il suddetto dovere, ponendo in essere comportamenti 
o incorrendo in omissioni che non salvaguardano l�affidamento 
della controparte nella correttezza dell�azione amministrativa, ci� comporta per 
la stessa la responsabilit� precontrattuale nei confronti del privato danneggiato. 

3. Elementi distintivi della responsabilit� precontrattuale della pubblica amministrazione. 


L�arco temporale da considerare per valutare la condotta della p.a., e dunque 
il verificarsi di ipotesi di responsabilit� precontrattuale, va ricompreso almeno 
tra la pubblicazione del bando di gara (momento di avvio del 
procedimento) e la stipulazione del contratto oggetto di appalto. 

Se sotto la lente di ingrandimento finisce il procedimento nella sua interezza, 
ai fini della configurabilit� della responsabilit� precontrattuale � per� 
necessario che, all�atto dell�adozione della revoca, si sia gi� realizzata una situazione 
di vantaggio a favore di uno dei concorrenti. 

Si � correttamente rilevato che �Il vero e proprio rapporto precontrattuale 
fra amministrazione e privato concorrente si instaura, dunque, solo con l�ammissione 
dell�aspirante alla gara. � questo, infatti, il momento in cui mediante 
il provvedimento di ammissione � si costituisce in capo all�interessato un 
primo effetto vantaggioso� ed � da questo momento che egli diventa una controparte 
specificamente individuata avente titolo a pretendere che l�amministrazione 
si comporti nei suoi confronti con correttezza e buona fede� (10). 

Nonostante la validit� di queste considerazioni, spesso la giurisprudenza, 

(8) In questi termini, v. Cons. St., sez. V, 7 settembre 2009 n. 5245 in www.giustizia-amministrativa.it. 
(9) V. Cons. St., sez. VI, n. 5002/2011 gi� citata. 


(10) Cos� E.M. BARBIERI, Appalti pubblici e responsabilit� precontrattuale della Pubblica Amministrazione, 
in Rivista trimestrale degli appalti, Maggioli, n. 2/2013, pp. 311-321. 


anche in tempi recenti, si � orientata in senso diverso. Come ricostruito nella 
pronuncia in commento, a parere di un indirizzo autorevole, solo una volta intervenuta 
l�aggiudicazione potrebbe insorgere un�ipotesi di responsabilit� precontrattuale 
in capo all�amministrazione. Ci� in quanto, fino a quando non sia 
stata effettuata la scelta del contraente, i vari concorrenti rivestirebbero unicamente 
il ruolo di partecipanti alla gara e come tali sarebbero titolari di un 
mero interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri pubblici: in altri termini, 
solo l�aggiudicazione sarebbe in grado di creare una relazione specifica 
tra p.a. e privato assimilabile alle trattative contrattuali, imponendo alla prima 
il rispetto degli obblighi di protezione (11). 

La sentenza de qua, invece, si discosta da questa concezione prima facie 
riduttiva della culpa in contrahendo. 

I giudici della Quinta Sezione mettono in risalto che ��la gara non � 
�altro� rispetto alla formazione del contratto della P.A.; e che i privati che vi 
partecipano, sottoponendo le proprie offerte alla Stazione appaltante, hanno 
tutti la qualit� di possibili futuri contraenti con l�Amministrazione�. Nel caso 
di stipulazione di contratti pubblici, si � in presenza di una formazione progressiva 
del contratto, nell�ambito della quale non � possibile scindere le singole 
fasi, che vanno dunque considerate complessivamente, ivi compresa la 
fase strettamente procedimentale. 

Questa impossibilit� di tenere nettamente distinti procedimento amministrativo 
e procedimento negoziale impedisce di limitare l�applicazione delle 
regole di responsabilit� precontrattuale alla fase in cui il contatto sociale viene 
individualizzato con l�atto di aggiudicazione. Ne consegue che �la valutazione 
giudiziale pu� avere ad oggetto anche la condotta della p.a. che precede la 
scelta del contraente, con la puntualizzazione che la valutazione del momento 
procedimentale in cui si � realizzata la violazione pu� rilevare sul piano del-
l�accertamento dell�entit� del pregiudizio patrimoniale� (12). 

Dunque, quanto pi� la revoca sia stata adottata in una fase avanzata della 
procedura, tanto pi� radicato sar� l�affidamento nella conclusione della gara 
ingenerato nella ditta concorrente, tanto maggiore potr� essere il danno subito 
da quest�ultima. 

La questione, comunque, pu� definirsi tutt�altro che pacifica, posto che 
ancora la Sezione Terza del Consiglio di Stato, in una recentissima pronuncia 
(13), ha sottolineato che, ai fini della sussistenza della responsabilit� precon


(11) Il percorso per il riconoscimento della responsabilit� precontrattuale della p.a. viene riassunto 
con completezza in Cons. St, sez. V, 6 dicembre 2006, n. 7194. La stessa sezione V aveva in precedenza 
aderito all�orientamento in questione con le sentenze n. 3393 del 28 maggio 2010 e n. 6489 dell�8 settembre 
2010. 
(12) V. Cons. St., sez. VI, 7 novembre 2012, n. 5638; negli stessi termini, anche la n. 4236 del 25 
luglio 2012 della medesima sezione. 


(13) Si tratta di Cons. St., sez. III, 24 maggio 2013, n. 2838. 


trattuale della p.a. nell�ambito di una procedura concorsuale, occorre che i rapporti 
tra le parti siano giunti ad uno stadio tale da giustificare l�affidamento 
nella conclusione del contratto e che le aspettative della ditta concorrente siano 
state colpevolmente eluse dall�amministrazione tramite una condotta in violazione 
dell�art. 1337 c.c. 

4. Considerazioni conclusive. 

La ricostruzione appena effettuata consente di sostenere senza dubbio la 
configurabilit� della responsabilit� precontrattuale dell�amministrazione nelle 
procedure ad evidenza pubblica. 

La revoca della gara di appalto indetta dall�Amministrazione � infatti suscettibile, 
malgrado la sua legittimit�, di arrecare pregiudizio ai concorrenti 
che abbiano incolpevolmente confidato nella sua favorevole conclusione e 
siano stati indotti, per tale motivo, a sostenere spese per la partecipazione ed 
a trascurare valide occasioni alternative (14). 

Altro dato acquisito � quello per cui il sindacato del giudice non riguarder� 
l�esercizio del potere cristallizzato nel provvedimento amministrativo, 
ma il comportamento complessivamente tenuto dalla p.a. nel corso del procedimento 
fino all�adozione della revoca (15). 

Secondo quanto emerge dalle pronunce intervenute, la condotta contraria 
ai doveri di correttezza e buona fede di cui all�art. 1337 c.c., pu� materializzarsi 
sotto molteplici forme, spesso connesse con la violazione di obblighi di 
informazione: mancata tempestiva comunicazione alle ditte interessate di determinazioni 
o fatti impeditivi della conclusione della gara; protratta ed ingiustificata 
inerzia della p.a.; notevole decorso del tempo tra l�eventuale 
aggiudicazione e la revoca della procedura; violazione dell�obbligo di acquisire 
le informazioni necessarie per valutare la possibile sopravvenienza di una 
giusta causa di recesso dalle �trattative�. 

Si tratta, in ogni caso, di aspetti per cui l�orientamento della giurisprudenza 
appare ormai sufficientemente uniforme. 

Ci� che invece si dimostra ancora oggetto di discussione riguarda il �momento� 
in cui la revoca interviene ad interrompere la procedura ad evidenza 
pubblica e le sue ricadute sulla definizione della responsabilit� precontrattuale 
della p.a. 

Effettivamente, la tesi che ritiene sostenibile la culpa in contrahendo 
dell�Amministrazione soltanto una volta che sia stata individuata l�impresa 
aggiudicataria, coglie nel segno quando sottolinea che solo con l�aggiudica


(14) In tal senso, cfr. Cons. St., sez. IV, n. 662/2012 gi� citata; sez. V, 30 novembre 2007 n. 6137, 
8 ottobre 2008 n. 4947 e 11 maggio 2009 n. 2882; sez. VI, 17 dicembre 2008 n.6264 in www.giustiziaamministrativa.
it. 

(15) Per tutte, v. Cons. St., sez. V, n. 5245/2009 gi� citata. 


zione si instaura tra p.a. e ditta concorrente una relazione in grado di ingenerare 
in quest�ultima un serio affidamento nella conclusione del contratto, tale da 
essere ritenuta meritevole di tutela. 

Tuttavia, � innegabile che condizionare la responsabilit� precontrattuale 
della P.A. all�avvenuta aggiudicazione della gara significherebbe sottrarla al 
rispetto delle regole di diritto comune per tutto il corso della procedura ad evidenza 
pubblica. E, d�altro canto, allargando troppo il campo di rilevanza, si 
potrebbe cadere nell�opposto rischio di costringere l�attivit� amministrativa 
entro maglie sempre pi� strette, che le precludano ogni margine di manovra 
per non incorrere sotto la scure del giudice. 

Se per� dalle tesi dottrinali si passa al diritto vivente, pur nella convinzione 
di voler ammettere la responsabilit� precontrattuale dell�Amministrazione 
a prescindere dalla fase della procedura in cui � intervenuta l�eventuale 
revoca, ci si avvede che i casi in cui il g.a. ha riconosciuto la culpa in contrahendo 
con riferimento a condotte maturate anteriormente all�aggiudicazione 
della gara sono complessivamente meno numerose. 

� questa una conseguenza del tutto fisiologica della circostanza che obiettivamente 
quando la revoca interviene in una fase ancora non avanzata della 
procedura (ad es. prima dell�apertura delle offerte), l�affidamento dei concorrenti 
appare meno scontato ed incerto e, di conseguenza, risulta anche pi� 
complicato e difficile raggiungere la prova di eventuali danni subiti. 

Si � esattamente osservato (16) che per ogni gara pubblica, ciascuna ditta 
che decide di parteciparvi deve mettere in conto la possibilit�, oltre di non vedersela 
aggiudicata, che la stessa non vada a conclusione, potendo il suo svolgimento 
essere influenzato - a differenza di una semplice trattativa privata - da 
molteplici fattori, non solo strettamente economici, ma anche politici e sociali. 

Superata la soglia di questo rischio congenito a tutte le procedure ad evidenza 
pubblica, la responsabilit� precontrattuale dell�amministrazione � stata 
riconosciuta per lo pi� con riguardo a fattispecie in cui la stazione appaltante 
ha violato in modo grossolano le regole di correttezza, magari inanellando nel 
corso del procedimento una serie di inefficienze, ritardi e colpevoli omissioni 
tali da non poter negare di aver ingiustificatamente alimentato la fiducia dei 
concorrenti nella definizione della gara (17). 

Di ci� troviamo ex adverso conferma nella sentenza in commento, relativa 
ad una revoca intervenuta quando ancora non si era giunti all�espletamento 
della prima seduta di gara. La responsabilit� precontrattuale della P.A. � stata 

(16) E.M. BARBIERI, Appalti pubblici e responsabilit� precontrattuale della Pubblica Amministrazione, 
gi� citato. 
(17) Si vuole, cio�, sottolineare che nelle ipotesi in cui - all�atto della revoca - non si sia ancora 
addivenuti all�aggiudicazione, ai fini del riconoscimento della pretesa risarcitoria la violazione del dovere 
di buona fede da parte della p.a. deve risultare particolarmente evidente. 



negata sul rilievo che �... la decisione di revoca della gara � stata presa con 
tempistica di per s� immune da possibili censure, e sollecitamente � stata resa 
conoscibile con i mezzi a disposizione�. 

Quindi, appare evidente che, intervenuta oppure no l�aggiudicazione della 
gara all�atto della revoca, fulcro della valutazione del giudice � sempre la condotta 
complessivamente tenuta dalla stazione appaltante, che deve perseguire 
e tendere a realizzare l�interesse pubblico, ma deve altres� compatibilmente 
tutelare gli affidamenti suscitati nei concorrenti, imponendo loro - all�occorrenza 
- il minor sacrificio possibile, nei limiti dei margini decisionali effettivamente 
a sua disposizione. 

Consiglio di Stato, Sezione Quinta, sentenza 15 luglio 2013 n. 3831 -Pres. f.f. Caringella, 
Est. Gaviano - Comune di Afragola (avv. Messina) c. Societ� Consortile a r.l. Generali Appalti 
Pubblici - Gap Scarl (avv. Linguiti). 

FATTO e DIRITTO 
La societ� consortile a r.l. Generali Appalti Pubblici - Gap S.C.A.R.L., gi� partecipante alla 
gara indetta dal Comune di Afragola con bando pubblicato il 15.11.2010 per l�affidamento 
dei lavori di riqualificazione del sistema infrastrutturale nell�area urbana compresa tra via 
Ferrarese e via Maggese, per un importo complessivo posto a base di gara di euro 
8.100.030,69, con ricorso al T.A.R. per la Campania esponeva: 

-che subito dopo la pubblicazione del bando erano pervenute al Comune numerose richieste 
di chiarimenti in ordine a molteplici e delicati profili della disciplina di gara ritenuti, dalle 
imprese, oscuri e contraddittori; 
-che in un primo momento il Comune aveva pubblicato delle note di chiarimento e delle precisazioni, 
per rettificare il contrasto ravvisato tra bando e disciplinare sui criteri di valutazione 
dell�offerta; 
-che alla data del 29.12.2010, prevista per l�espletamento della prima seduta di gara, questa 
non aveva per� avuto luogo, per essere stata disposta la revoca della procedura; 
-che essa ricorrente non aveva peraltro avuto neppure in seguito alcuna comunicazione di 
tale revoca, nonostante la richiesta inoltrata con nota del 13.01.2011, avendo appreso solo nel 
mese di febbraio del 2011 che il Comune aveva adottato la determina di revoca n. 1824 del 
24.12.2010, e ci� in ragione della notevole confusione ingeneratasi nella giusta interpretazione 
del bando di gara, tale da poter indurre in errore i concorrenti. 
Tanto premesso, la ricorrente instava in giudizio in via principale per la condanna del Comune 
di Afragola al risarcimento di tutti i danni da essa patiti e patendi, quantificabili in complessivi 
euro 162.444,31 (di cui euro 81.444,00 per spese ed euro 81.000,31 per lucro cessante), oltre 
interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di responsabilit� extracontrattuale da atto amministrativo 
illegittimo. 
In via subordinata, per il caso, cio�, di accertata legittimit� dell�atto di revoca, la ricorrente 
chiedeva, ad ogni modo, la condanna dell�Amministrazione al risarcimento dei danni quantificati 
nella misura di euro 151.444,00 (di cui euro 81.444,00 per spese ed euro 70.000 per 
danno da perdita di chance), oltre interessi e rivalutazione, a titolo di responsabilit� precontrattuale 
per violazione dei canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c.. 
In via ulteriormente gradata, infine, domandava l�accertamento del proprio diritto ad un equo 



indennizzo ai sensi dell�art. 21 quinquies della legge n. 241/1990 per la somma di euro 
81.444,00, ovvero nella somma ritenuta di giustizia da liquidarsi anche in via equitativa. 
Si costituiva il Comune di Afragola in resistenza al ricorso, del quale chiedeva il rigetto. 
All�esito del giudizio il Tribunale ad�to, con la sentenza n. 1646/2012 in epigrafe, pur ritenendo 
legittimo il provvedimento di revoca, reputava nondimeno che l�operato del Comune fosse 
stato incompatibile con i doveri di correttezza e buona fede, e a tale titolo condannava l�Ente 
al risarcimento del danno precontrattuale patito dalla ricorrente, stabilendo i criteri in base ai 
quali il debitore avrebbe dovuto proporre all�avente diritto il pagamento di una somma a titolo 
di risarcimento entro il termine di giorni novanta dalla comunicazione della decisione (� � 
l�amministrazione comunale di Afragola, avuto riguardo alle fatture esibite in giudizio, avr� 
cura di riscontrare le prestazioni di cui ha usufruito la ricorrente per la presentazione della 
offerta con la documentazione prodotta agli atti di gara, nonch� di verificare la rispondenza 
degli importi oggetto di esborso da parte della ricorrente a tale titolo con le scritture contabili 
in possesso della medesima che la stessa avr� cura di allegare�). 
Seguiva l�appello avverso la detta pronuncia del Comune, nella parte in cui il Tribunale ne 
aveva affermato la responsabilit� precontrattuale, pronunciando la sua conseguente condanna 
risarcitoria. 
Resisteva all�appello l�originaria ricorrente. 
La Sezione con ordinanza in data 15-16 gennaio 2013 accoglieva la domanda cautelare proposta 
dal Comune appellante, fissando la data della trattazione della controversia in sede di 
merito. 
Alla pubblica udienza del 4 giugno 2013 l�appello � stato trattenuto in decisione. 
1- La Sezione deve dare preliminarmente atto che la sentenza di primo grado appellata � diventata 
definitiva, per difetto di gravame, oltre che sul punto dell�appartenenza della controversia 
alla giurisdizione amministrativa, su quello della legittimit� della misura di revoca della 
gara in questione disposta dal Comune ora appellante, ed infine su quello della non spettanza 
all�attuale appellata dell�indennizzo da essa richiesto in precedenza a carico del Comune ai 
sensi dell�art. 21 quinquies della legge n. 241/1990. 
Forma invero oggetto del presente, parziale appello il solo capo della sentenza di prime cure 
che ha reputato responsabile il Comune di Afragola a titolo di culpa in contrahendo, per l�effetto 
condannandolo al risarcimento del danno precontrattuale cagionato all�originaria ricorrente. 
L�appello � fondato, sia pure solo in relazione al suo secondo motivo. 
2a- Il Comune con il primo mezzo d�appello assume che in materia di contratti pubblici una 
responsabilit� precontrattuale della P.A. per violazione degli obblighi di correttezza e buona 
fede potrebbe essere configurata solo in quella particolare fase della procedura che va dal-
l�aggiudicazione alla stipula del contratto. 
Prima dell�aggiudicazione, gli interessati sarebbero solo dei partecipanti al procedimento amministrativo 
volto alla selezione della migliore offerta, e come tali potrebbero soltanto far valere 
una pretesa alla legittimit� degli atti compiuti dall�Amministrazione. 
Poich�, quindi, nella specie la revoca di cui si tratta � stata disposta ancor prima della scadenza 
del termine per la presentazione delle offerte, e perci� in assenza di qualsivoglia aggiudicazione, 
non sarebbe configurabile alcuna forma di culpa in contrahendo. Diversamente argomentando, 
viene aggiunto, si giungerebbe al �paradosso� che la tutela risarcitoria potrebbe 
essere invocata da tutti i partecipanti ad una procedura di gara pur legittimamente revocata. 
2b- Il motivo � infondato. 
Il Collegio non potrebbe disconoscere il fatto che l�interpretazione su cui poggia il motivo 


abbia trovato importanti riscontri presso autorevole giurisprudenza (cfr. Cass. civ., SS.UU., 
26 maggio 1997, n. 4673; Sez. I, n. 13164 del 18 giugno 2005). 
Anche questa Sezione si � del resto espressa, in un passato anche recente, nel senso della non 
configurabilit� della responsabilit� precontrattuale della P.A. �anteriormente alla scelta del 
contraente, nella fase, cio�, in cui gli interessati non hanno ancora la qualit� di futuri contraenti, 
ma soltanto quella di partecipanti alla gara e vantano esclusivamente una posizione 
di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione, mentre 
non sussiste una relazione specifica di svolgimento delle trattative� (C.d.S., V, n. 3393 del 
28 maggio del 2010 e n. 6489 dell�8 settembre 2010: a fondamento di tale indirizzo, peraltro, 
� stata richiamata, a partire dalla sentenza della Sez. IV n. 5633 dell�11 novembre 2008, la 
decisione dell�Adunanza Plenaria n. 6 del 5 settembre 2005, che oggettivamente tuttavia non 
risulta inscrivibile in tale orientamento). 
Il fatto � che la ricaduta immediata di una simile impostazione � quella di finire, in pratica, 
con l�esonerare l�Amministrazione dal rispetto del dovere di diligenza e correttezza per tutto 
l�arco della sua azione sul terreno delle procedure dell�evidenza pubblica, che pure costituiscono 
la regola del suo agire nella dimensione contrattuale, finch� l�Amministrazione stessa 
non sia pervenuta all�esito dell�aggiudicazione. E questo a dispetto della soggezione di principio, 
pur normalmente enunciata, della stessa P.A. all�istituto della culpa in contrahendo, 
che porta ad affermare che la sua responsabilit� precontrattuale sarebbe �configurabile in tutti 
i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in 
omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale 
osservanza anch'esso � tenuto, nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 
2043 cod. civ.� (Cass. civ., III, n. 12313 del 10 giugno 2005, richiamata da Sez. II, n. 477 del 
10 gennaio 2013). 
Onde l�interpretazione sostenuta dall�appellante si traduce in un�aprioristica esenzione dal diritto 
comune dell�Amministrazione (proprio quando la medesima opera sul piano contrattuale) 
che appare di difficile giustificazione. 
Occorre poi considerare che la gara non � �altro� rispetto alla formazione del contratto della 
P.A.; e che i privati che vi partecipano, sottoponendo le proprie offerte alla Stazione appaltante, 
hanno tutti la qualit� di possibili futuri contraenti con l�Amministrazione. 
Come ha esattamente osservato in sostanza il primo Giudice, invero, gli atti del procedimento 
dell�evidenza pubblica, in quanto preordinati alla conclusione del contratto, sono al tempo 
stesso configurabili anche quali atti di trattativa e di formazione progressiva del contratto 
stesso, e come tali rilevanti anche ai sensi dell�art. 1337 cod.civ.. 
Questo Consiglio ha recentemente osservato (Sez. VI, n. 5638 del 7 novembre 2012, e n. 4236 
del 25 luglio 2012), infatti, che "La fase di formazione dei contratti pubblici, come � noto, � 
caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento amministrativo e di un procedimento 
negoziale. Il procedimento amministrativo � disciplinato da regole di diritto pubblico 
finalizzate ad assicurare il perseguimento, anche quando la p.a. agisce mediante moduli convenzionali, 
dell'interesse pubblico. Il procedimento negoziale � disciplinato da regole di diritto 
privato, finalizzate alla formazione della volont� contrattuale, che contemplano normalmente 
un invito ad offrire della p.a. cui segue la proposta della controparte e l'accettazione finale 
della stessa p.a. La presenza di un modello formativo della predetta volont� contrattuale predeterminato 
nei suoi profili procedimentali mediante la scansione degli atti sopra indicati, 
che vede normalmente la presenza di pi� soggetti potenzialmente interessati al contratto, non 
rappresenta un ostacolo all'applicazione delle regole della responsabilit� precontrattuale. Si 


�, infatti, in presenza di una formazione necessariamente progressiva del contratto, non derogabile 
dalle parti, che si sviluppa secondo lo schema dell'offerta al pubblico. Non �, dunque, 
possibile scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale limitando l'applicazione 
delle regole di responsabilit� precontrattuale alla fase in cui il "contatto sociale" viene individualizzato 
con l'atto di aggiudicazione. Del resto, anche nel diritto civile il modello formativo 
dell'offerta al pubblico presuppone normalmente il "contatto" con una pluralit� di 
"partecipanti" al procedimento negoziale. Diversamente argomentando l'interprete sarebbe 
costretto a scindere un comportamento che si presenta unitario e che conseguentemente non 
pu� che essere valutato nella sua complessit��. 

Gi� in precedenza, peraltro, la revoca di una procedura contrattuale non ancora sfociata in 
aggiudicazione era stata considerata come possibile fonte di responsabilit� precontrattuale da 
numerose decisioni di questo Consiglio, quali Sez. V, n. 2882 dell�11 maggio 2009 e n. 4947 
dell�8 ottobre 2008; Sez. VI, n. 5002 del 5 settembre 2011 e n. 4921 del 2 settembre 2011. 
E la decisione dell�Adunanza Plenaria n. 6 del 2005 aveva avvertito come �nello svolgimento 
della sua attivit� di ricerca del contraente l�amministrazione � tenuta non soltanto a rispettare 
le regole dettate nell�interesse pubblico (la cui violazione implica l�annullamento o la revoca 
dell�attivit� autoritativa) ma anche le norme di correttezza di cui all�art. 1337 c.c. prescritte 
dal diritto comune�. 
Il Collegio, per quanto precede, � dell�avviso che la circostanza che la procedura pubblicistica 
di scelta del contraente avviata non fosse ancora sfociata nell�aggiudicazione non valga, di 
per s� sola, ad escludere la configurabilit� di una responsabilit� precontrattuale in capo al-
l�Amministrazione revocante, occorrendo invece all�uopo verificare in concreto la condotta 
da questa tenuta alla luce del parametro di diritto comune della correttezza nelle trattative 
(fermo restando, comunque, che il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento 
della revoca, riflettendosi sullo spessore dell�affidamento ravvisabile nei partecipanti, 
presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di 
fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilit� precontrattuale). 
Ne consegue l�infondatezza di questo primo mezzo di appello. 
3- Il motivo che residua � per contro suscettibile di accoglimento. 
3a- Il Comune con il suo secondo mezzo oppone che la propria condotta sarebbe stata del 
tutto conforme ai canoni della correttezza e buona fede. 
L�Ente adduce, difatti: di avere risposto in modo tempestivo e puntuale alle richieste di chiarimenti 
ricevute dopo la pubblicazione del bando di gara (G.U. 15 novembre 2010); di avere 
indi ragionevolmente deciso per la revoca della procedura, disposta con provvedimento del 
24 dicembre 2010: misura adottata a poco pi� di un mese dalla pubblicazione del bando, e 
prima del termine fissato per la presentazione delle offerte (il successivo giorno 28); di avere 
dato, infine, pronta quanto adeguata pubblicit� a tale revoca, mediante pubblicazione sul proprio 
sito istituzionale il seguente 27 dicembre ed affissione all�albo pretorio a partire dal giorno 
28 (oltre che mediante le forme a suo tempo seguite per il bando). 
3b- Queste considerazioni possono essere sostanzialmente condivise. 
3c- Il Tribunale, con il ritenere che dalla revoca di una procedura di gara, pur intrinsecamente 
legittima, potesse ben scaturire una responsabilit� precontrattuale dell�Amministrazione, � 
partito da un principio di diritto astrattamente ineccepibile. 
Esatta, infatti, � la sua osservazione che la legittimit� dell�atto di revoca non elimina il profilo 
relativo alla valutazione del comportamento dell�Amministrazione dal punto di vista del rispetto, 
nell�ambito del procedimento di evidenza pubblica, dei canoni di buona fede e correttezza. 


Secondo un�acquisizione giurisprudenziale gi� consacrata dall�Adunanza Plenaria del Consiglio 
di Stato (n. 6 del 5 settembre 2005), la revoca dell�aggiudicazione e degli atti della relativa 
procedura, anche ove ritenuta legittima, lascia invero intatto �il fatto incancellabile 
degli �affidamenti� suscitati nell�impresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica poi 
rimossi�, onde i relativi comportamenti dell�Amministrazione, allorch� risultino contrastanti 
con le regole di correttezza e di buona fede di cui all�art. 1337 del cod.civ., si pongono quali 
fatti generatori di responsabilit� precontrattuale. E questa acquisizione si trova ribadita anche 
presso la giurisprudenza pi� recente (cfr. C.d.S., VI: nn. 5638 del 7 novembre 2012 e 4236 
del 25 luglio 2012, gi� richiamate sotto diverso profilo nel precedente paragrafo 2b; n. 1440 
del 15 marzo 2012). 
In altre parole, quindi, �ai fini della configurabilit� della responsabilit� precontrattuale della 

p.a. non si deve tener conto della legittimit� dell'esercizio della funzione pubblica cristallizzato 
nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivamente 
tenuto dall'Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, 
alla luce dell'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art. 1337 
c.c.� (C.d.S., IV, 7 febbraio 2012, n. 662, che richiama a sua volta V, 7 settembre 2009 n. 5245). 
3d- Tanto premesso, la Sezione deve tuttavia dissentire dal T.A.R. nella parte in cui questo ha 
ritenuto che la condotta tenuta in concreto dal Comune fosse stata in contrasto con i parametri 
deontologici della fase precontrattuale ispirati al valore della correttezza. 
Come ha gi� ricordato il primo Giudice, il provvedimento di revoca � stato motivato dall�Amministrazione 
comunale di Afragola con la �constatata equivocit� nella formulazione di clausole 
che avevano dato luogo a numerose richieste di chiarimenti, ingenerando una notevole 
confusione nella giusta interpretazione della lex specialis, tale da indurre in errore i concorrenti 
nella procedura di gara. L�amministrazione, pertanto in vista di possibili contenziosi 
correlati alla constatata incertezza interpretativa, e dei connessi oneri futuri dovuti alla comune 
esperienza, ha inteso revocare la procedura di gara motivando la decisione con la necessit� 
di garantire i principi fondamentali di trasparenza, correttezza, imparzialit� e parit� 
di trattamento nell�esperimento della gara medesima�. 

Tali essendo le ragioni che hanno indotto il Comune a recedere dalla procedura contrattuale 
poco prima avviata, la loro seriet� e plausibilit� appaiono subito manifeste. 
Partendo dall�equivocit� della lex specialis, pur senz�altro ammessa dal Comune (tanto da porla 
a base del proprio atto di revoca), va osservato che tale connotato aveva carattere palese, essendo 
perci� manifesto anche per le ditte potenzialmente interessate. Come tale, pertanto, esso gi� in 
partenza menomava l�idoneit� del bando a suscitare particolari affidamenti, in particolare con 
riferimento alla possibilit� di una procedura dalla disciplina siffatta di andare a buon fine. 
D�altra parte, il solo fatto dell�essersi una Stazione appaltante espressa, in occasione della redazione 
della disciplina di gara, con elementi equivoci, non pu� di per s� essere considerato 
alla stregua di un contegno lesivo del principio di correttezza nelle trattative: un�insufficiente 
chiarezza potrebbe essere stigmatizzata (al di l� del caso estremo in cui sia addirittura seguita 
da un approfittamento della stessa parte dal contegno dianzi equivoco) solo quando sia stata 
senza giustificazione protratta nel tempo nel corso delle trattative, con il dare appunto seguito 
alla procedura a dispetto dell�ambiguit� della sua lex specialis, tenendo in non cale le richieste 
di chiarimento avanzate dagli operatori. Ma una condizione del genere nella specie non ricorre. 
Quanto alla circostanza che il Comune prima si sia adoperato per tentare di chiarire il senso 
della disciplina di gara, e solo in un secondo tempo si sia risolto per la revoca della procedura, 
tale punto, lungi dal poter formare materia di addebito, � semmai indice della cautela e del 


senso di responsabilit� con cui l�Amministrazione si � mossa, optando per il recesso dalle 
trattative solo quando � risultato con sufficiente nitidezza che non esistevano margini tali da 
permettere di recuperare il procedimento mediante interventi di chiarimento interpretativo. 
Va rilevato, infine, che la decisione di revoca della gara � stata presa con tempistica di per s� 
immune da possibili censure, e sollecitamente � stata resa conoscibile con i mezzi a disposizione 
(in generale, sulla necessit� di dare notizia immediata della revoca di una procedura di 
evidenza pubblica cfr. gi� Ad.Pl. n. 6/2005 cit.). 
Occorre difatti osservare che quella di cui si tratta era una procedura aperta, onde la Stazione 
appaltante non conosceva a priori l�identit� delle imprese che avrebbero potuto parteciparvi, 
s� da poterle tempestivamente notiziare (a mezzo di fax o comunicazione di posta elettronica) 
prima che presentassero la loro offerta. 
Non resta allora che rilevare che la revoca, decisa alla vigilia di Natale del 2010, � stata pubblicata 
sul sito istituzionale dell�Ente il primo giorno feriale successivo, vale a dire il 27 dicembre, 
e dall�indomani anche all�albo pretorio comunale, con tempistica dunque 
sufficientemente sollecita, e come tale non passibile di critica. 
Per quanto precede, al Comune non pu� essere mosso alcun addebito di violazione del canone 
di correttezza nelle trattative. 
4- In conclusione, per le ragioni esposte nel paragrafo 3d l�appello deve trovare accoglimento, 
e conseguentemente, non potendo ascriversi alcuna responsabilit� al Comune di Afragola, la 
pretesa risarcitoria introdotta a suo tempo dall�attuale appellata deve essere respinta. 
Si ravvisano, nondimeno, ragioni equitative tali da giustificare la compensazione delle spese 
processuali del doppio grado di giudizio tra le parti 

P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando 
sull'appello in epigrafe, lo accoglie, e per l'effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, 
respinge integralmente il ricorso di primo grado. 
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 4 giugno 2013. 


Sul rapporto tra ricorso principale ed incidentale �escludente� nel 
processo amministrativo: la parola ritorna al giudice comunitario 

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA, 
ORDINANZA 17 OTTOBRE 2013 N. 848 


Roberta Costanzi* 

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. L�arresto della Corte di Giustizia in C-100/12, Fastweb 

S.p.A. e le �nuove� posizioni dell�Adunanza Plenaria n. 8/2014. - 3. Una nuova puntata della 
vexata quaestio: la recente ordinanza di remissione del Consiglio di Giustizia amministrativa 
per la regione siciliana alla Corte di Giustizia (ord. n. 848/2013). 

1. Premessa. 

Le recenti spinte comunitarie e l�evoluzione giurisprudenziale dell�Adunanza 
Plenaria del Consiglio di Stato nella sua funzione nomofilattica hanno 
dato un nuovo impulso al dibattito circa l�ordine di esame del ricorso principale 
e di quello incidentale escludente nel processo amministrativo. 

L�incerto panorama giurisprudenziale era stato caratterizzato sul piano 
interno, dall�importante arresto del Consiglio di Stato, che con decisione 
dell�Adunanza Plenaria n. 4 del 7 aprile 2011, aveva statuito la pregiudizialit� 
dell�esame del ricorso incidentale - diretto a contestare la legittimazione del 
ricorrente principale attraverso l�impugnazione della sua ammissione alla procedura 
di gara - rispetto all�esame del ricorso principale, e �ci� anche nel caso 
in cui il ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione 
dell�intera procedura selettiva e con particolare riferimento all�ipotesi in cui 
i concorrenti rimasti in gara siano soltanto due� (e coincidano con il ricorrente 
principale e con l�aggiudicatario-ricorrente incidentale), ciascuno mirante 
ad escludere l�altro per mancanza, nelle rispettive offerte presentate, dei 
requisiti minimi di idoneit� dell�offerta. 

L�arresto della Plenaria ha, pertanto, consolidato un indirizzo giurisprudenziale 
secondo cui, laddove il controinteressato eccepisca, tramite la proposizione 
di un ricorso incidentale, l�illegittimit� dell�ammissione alla gara 
dell�offerta presentata dal ricorrente principale, il giudice deve prioritariamente 
esaminare tale doglianza che, se fondata, comporta l�inammissibilit� dell�impugnativa 
principale per carenza di interesse e di legittimazione ad agire. 

In base a tale ricostruzione, l�interesse pratico alla rinnovazione della procedura 
di aggiudicazione invocato dalla parte che abbia proposto ricorso principale 
non attribuisce a quest�ultima una posizione giuridica fondante la 
legittimazione al ricorso. Tale interesse - motiva l�Adunanza - non si distin


(*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 


guerebbe infatti da quello di qualsiasi altro operatore economico del settore 
che aspiri a partecipare ad una futura procedura di aggiudicazione. 

L�esame prioritario del ricorso principale sarebbe ammesso, per ragioni 
di economia processuale, solamente laddove fosse evidente la sua infondatezza 

o irricevibilit�. 

Tale soluzione ha suscitato un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale, 
non privo di posizioni apertamente critiche, in particolare da parte della 
giurisprudenza dei TT.AA.RR. e dello stesso Consiglio di Stato, che con le 
ordinanze della V e della VI Sezione, aveva auspicato una �rimeditazione� 
complessiva di quell�arresto giurisprudenziale (1). 

Come noto, il TAR Piemonte, con ordinanza del 9 febbario 2012 n. 208, 
ha proposto pregiudizialmente la questione dinanzi alla Corte di Giustizia 
dell�Unione Europea, sollevando i seguenti quesiti: �se i principi di parit� 
delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza nei pubblici 
appalti�, di cui alla cd. �direttiva ricorsi� (dir. 1989/665/CEE, modificata 
con la dir. 2007/66/CE), �ostino al diritto vivente quale statuito� nella sent. 

n. 4/2011, cit., �con particolare riferimento all�ipotesi in cui i concorrenti � 
in gara siano soltanto due � ciascuno mirante ad escludere l�altro per mancanza, 
nelle rispettive offerte, dei requisiti minimi di idoneit��. 

Anche in questo caso un TAR si � posto in diverso avviso rispetto al Consiglio 
di Stato, evidenziando che la Direttiva CE prescrive a tutti gli Stati membri 
di dotarsi di �procedure adeguate che permettano l�annullamento delle decisioni 
illegittime�, onde evitare effetti distorsivi della concorrenza, cagionati, all�interno 
di un singolo Stato, da un�eventuale maggiore difficolt� di accesso alla 
tutela giurisdizionale da parte delle imprese. Sicch� - motiva il TAR - sembra 
inconciliabile in un�ottica di effettivit� della tutela l�affermata incondizionata 
prevalenza dell�effetto pregiudiziale del ricorso incidentale su quello principale. 

L�ulteriore interesse alla rinnovazione della gara deve poter trovare ingresso 
nella disamina giurisdizionale, pena altrimenti l�attribuzione di una ingiustificata 
forma di vantaggio (sia processuale sia sostanziale) all�impresa che �, s�, aggiudicataria, 
ma che lo � diventata in modo non corretto o non legittimo. 

2. L�arresto della Corte di Giustizia in C-100/12, Fastweb S.p.A. e le �nuove� 
posizioni dell�Adunanza Plenaria n. 8/2014. 

La Corte di Giustizia nel riscontrare la menzionata ordinanza con sentenza 
del 4 luglio 2013, in C-100/12, si � espressa affermando la sussistenza di una 
difformit� tra la corretta interpretazione del diritto dell�Unione ed il principio di 
diritto interno enunciato dall�Adunanza Plenaria con la citata sentenza n. 4/2011. 

Applicando il suddetto principio - motiva la Corte - la perfetta identit� 

(1) Consiglio di Stato, sez. V, ordinanza n. 2059, 15 aprile 2013, Pres. Volpe, est. Luttazzi; sez. 
VI, ordinanza n. 2681, 17 maggio 2013, Pres. Maruotti, est. Giovagnoli. 


sotto il profilo sostanziale tra le due posizioni del ricorrente principale e del-
l�aggiudicatario ricorrente incidentale si �altera� in sede processuale, attribuendo 
preferenza alla posizione di quest�ultimo, il quale, anche se 
beneficiario dello stesso errore compiuto dall�amministrazione in sede di ammissione 
del ricorrente principale, riuscirebbe a conservare l�aggiudicazione 
a discapito dell�interesse del ricorrente principale ad ottenere la rinnovazione 
della gara. 

Nel caso Fastweb la Corte ha statuito il principio di diritto secondo cui 
in virt� della direttiva 89/665/CEE, articolo 1, paragrafo 3, in un ricorso in 
materia di appalti, in cui le parti, uniche partecipanti alla gara, abbiano proposto 
censure identiche e reciprocamente escludenti, ciascuna di esse pu� far 
valere un analogo interesse legittimo all�esclusione dell�offerta dell�altra, con 
la conseguenza di indurre l�Amministrazione aggiudicatrice a constatare l�impossibilit� 
di procedere alla scelta di un�offerta regolare. 

Conclude la Corte quindi che al fine di definire l�ordine di trattazione del 
ricorso principale e di quello incidentale, e quali siano i conseguenti effetti 
processuali, sia decisivo il principio per il quale il giudice, per essere �imparziale�, 
deve trattare le parti �in condizioni di parit��. 

Dal tenore letterale della pronuncia � possibile ricavarne una interpretazione 
che comunque limita l�applicabilit� del principio all�ipotesi - cos� come 
delineata e �suggerita� dal giudice a quo - di vizi �speculari� ed �escludenti� 
nell�ambito di una gara con due sole partecipanti e ricorrenti. 

Ma ad avviso dello scrivente, il principio ricavibile pu� essere esteso 
anche a fattispecie non del tutto analoghe, in virt� del principio di effettivit� 
della tutela cos� come statuito in C-249/01, Hackerm�ller, laddove la Corte 
afferma che �dall�articolo 1 della direttiva 89/665 deriva che quest�ultima 
mira a consentire la proposizione di ricorsi efficaci contro le decisioni delle 
autorit� aggiudicatrici contrarie al diritto dell�Unione. Secondo il paragrafo 
3 del suddetto articolo, gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le 
procedure di ricorso, secondo le modalit� che gli Stati membri possono determinare, 
almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l�aggiudicazione 
di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a 
causa di una presunta violazione (�) Orbene, dinanzi ad una simile constatazione, 
il ricorso incidentale dell�aggiudicatario non pu� comportare il rigetto 
del ricorso di un offerente nell�ipotesi in cui la legittimit� dell�offerta di 
entrambi gli operatori venga contestata nell�ambito del medesimo procedimento 
e per motivi identici. In una situazione del genere, infatti, ciascuno dei 
concorrenti pu� far valere un analogo interesse legittimo all�esclusione del-
l�offerta degli altri, che pu� indurre l�amministrazione aggiudicatrice a constatare 
l�impossibilit� di procedere alla scelta di un�offerta regolare�. 

A ben vedere, in questo passaggio della motivazione non � dato scorgere 
alcun riferimento al numero di operatori rimasti in gara, ma solo la specularit� 


delle impugnazioni dei due ricorrenti, e ci� vale a maggior ragione se si considera 
la ratio ispiratrice della Direttiva 89/665. 

Ebbene, al di l� di letture pi� o meno restrittive della portata del principio 
affermato dalla Corte, resta il fatto che la peculiarit� del caso in esame ha reso 
di perdurante vitalit� la questione sino alla recente pronuncia dell�Adunanza 
Plenaria n. 9 del 2014 seguita alle ordinanze di remissione del 2013, e ne ha 
in qualche modo indirizzato la soluzione. 

In tale sentenza, risolutiva nell�ottica di una controversia con due soli ricorrenti/
ammessi alla gara pubblica, la Plenaria, senza sconfessare completamente 
le acquisizioni dogmatiche elaborate con la sentenza 4/2011, osserva 
per� che nel particolare caso in cui entrambe le offerte siano inficiate dal medesimo 
vizio che le rende inammissibili, �apparirebbe prima facie contrario 
all�uguaglianza concorrenziale escludere solo l�offerta del ricorrente principale, 
dichiarandone inammissibile il ricorso, e confermare invece l�offerta 
dell�aggiudicatario ricorrente incidentale, bench� suscettibile di esclusione 
per la medesima ragione�. 

La ragione di tale apparente �svolta interpretativa� si evince dal seguente 
passaggio argomentativo �in realt� ci� avviene perch�, essendo il vizio fatto 
valere da entrambi i contendenti il medesimo, in concreto neppure si pone un 
problema di esame prioritario del ricorso incidentale rispetto al ricorso principale: 
prioritario, in questo peculiare caso, � l�esame del vizio; se questo 
sussiste, entrambi i ricorsi devono essere accolti, se non sussiste entrambi dovranno 
essere disattesi e l�aggiudicazione sar� confermata�.

� chiaro l�intento di riportarsi nel solco di una interpretazione delle regole 
processuali di fonte legale che sia rispettosa dei principi di rango comunitario 
di �effettivit�� della tutela, �parit� delle armi� e �non discriminazione� cos� 
come richiamati nella sentenza Fastweb della Corte di Giustizia (2). 

Suddetti principi - afferma la Plenaria - lungi dal comprimerla, confermano 
vieppi� la concezione �soggettiva� del giudizio amministrativo di legittimit�, 
basata sul vizio dedotto e non sull�interesse a dedurlo. 

Rileva la Plenaria che se si intende la giurisdizione amministrativa come 
giurisdizione di diritto soggettivo - e ci� costituisce un approdo interpretativo 
obbligato, in mancanza di una normativa esplicita in senso contrario - l�interpretazione 
delle condizioni dell�azione deve avvenire alla luce di una valutazione 
di reale perseguimento del bene della vita conteso. 

Se l�interesse a ricorrere non assume questa particolare declinazione il 
giudice non pu� pronunciarsi sul ricorso principale se non in punto di rito, dichiarandone 
l�inammissibilit�. 

� quindi l�identit� del vizio contestato nei due ricorsi, che nella sua con


(2) Principi di parit� delle parti e di imparzialit� del giudice sanciti dall�art. 111, secondo comma, 
Cost., e dall�art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell�uomo. 


sistenza fattuale e nella sua speculare deduzione da ambedue le parti, fa s� che 
sussista la legittimazione ad agire in capo al ricorrente principale e che, di conseguenza, 
venga meno l�asimmetria di origine procedimentale tra legittimazione 
a resistere dell�aggiudicatario e legittimazione a ricorrere del concorrente 
pretermesso. 

L�Adunanza spiega, altres�, in quali casi l�identicit� dei motivi di ricorso 
comporti la pari dignit� dell�esame: �sono identici - e dunque consentono l�esame 
incrociato e l�eventuale accoglimento di entrambi i ricorsi - solo i vizi che afferiscono 
alla medesima categoria. Viceversa, non soddisfano il requisito di simmetria 
escludente (perch� non si pongono in una relazione di corrispondenza 
biunivoca), come richiesto dalla sentenza Fastweb, e dunque impediscono l�esame 
congiunto del ricorso principale ed incidentale, i vizi sussumibili in diverse categorie: 
ad esempio, la dedotta (nel ricorso incidentale) intempestivit� della domanda 
dell�impresa non aggiudicataria, a fronte della dedotta (nel ricorso 
principale) carenza di un requisito economico dell�impresa aggiudicataria�.

� evidente dalla lettura della pronuncia che, pur applicando la regola juris 
introdotta dalla sentenza Fastweb, l�Adunanza Plenaria tenga saldi quei principi 
processuali di diritto interno che regolano l�ordine di esame delle questioni 
di rito e di merito, arrivando a derogarvi solo alle stringenti condizioni che: i. 
si versi all�interno del medesimo procedimento, ii. gli operatori rimasti in gara 
siano soltanto due, iii. il vizio che affligge le offerte sia identico per entrambe. 

Diversamente, si ritorna nell�alveo di applicazione della regola processuale 
di fonte legale che impone al giudice di decidere gradatamente le questioni 
pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d�ufficio e quindi il merito 
della causa (3). 

3. Una nuova puntata della vexata quaestio: la recente ordinanza di remissione 
del Consiglio di Giustizia amministrativa per la regione siciliana alla 
Corte di Giustizia (ord. n. 848/2013). 

L�ultima tappa della querelle � giunta al Consiglio di Giustizia amministrativa 
per la Regione siciliana e da questi, nuovamente alla Corte di Giustizia, 
per una fattispecie in cui i concorrenti ammessi a partecipare alla gara d�appalto 
oggetto della controversia sono pi� di due, e dove l�impresa seconda 
classificata e la prima, rispettivamente con ricorso principale ed incidentale 
escludente, hanno contestato la mancata esclusione alla procedura di gara 
dell�altra parte ricorrente. 

(3) Regola processuale disciplinata dall�art. 76, IV co. del c.p.a., che rinvia al II comma dell�art. 
276 c.p.c.. 
L�adunanza Plenaria, in sentenza 9/2014 afferma, in tal senso, che: �siffatta regola, al contrario, garantisce 
ed attua il principio di parit� delle armi perch� predetermina, in astratto ed in via generale, 
per tutti i litiganti, le modalit� di esercizio del potere giurisdizionale�. 


In adempimento alla sentenza di primo grado, che aveva accolto entrambe 
le impugnative, l�amministrazione escludeva le prime due imprese classificate ed 
una volta fatta scorrere la graduatoria, tutte le altre imprese ammesse per inidoneit� 
delle rispettive offerte, senza che nei termini le stesse impugnassero detta esclusione; 
la controversia, pertanto, giungeva al giudizio del Consiglio su gravame 
delle due imprese ricorrenti in primo grado e, di fatto, alle stesse circoscritta. 

In tale ipotesi � evidente che con ancora tutti i concorrenti ammessi, l�accoglimento 
di ambo le contrapposte impugnazioni, non avrebbe realizzato l�interesse 
strumentale del ricorrente principale all�annullamento della gara ma 
esclusivamente l�obbligo dello scorrimento della graduatoria, previa esclusione 
delle prime due classificate. 

Di qui l�interruzione del giudizio di gravame e la sottoposizione della 
questione pregiudiziale avanti alla Corte di Giustizia europea (con ordinanza 

n. 848 del 2013) in merito, tra gli altri, al seguente quesito: 

�Se i principi dichiarati dalla CGUE con sentenza del 4 luglio 2013, in 
causa C-100/12, con riferimento alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio 
pregiudiziale � siano anche applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo 
della fattispecie contenziosa, anche nel caso sottoposto al vaglio di questo 
Consiglio in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara, sebbene 
ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione 
appaltante, senza che risulti l�intervenuta impugnazione di detta esclusione 
da parte di imprese diverse da quelle coinvolte nel presente giudizio, di guisa 
che la controversia che ora occupa questo Consiglio, risulta di fatto circoscritta 
soltanto a due imprese�. 

In attesa della pronuncia della Corte, alcune notazioni critiche si impongono. 

Con il principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia, si � ribadito 
che le considerazioni che hanno ispirato la pronuncia n. 4/2011 della Plenaria, 
confliggono con una esigenza di effettivit� della tutela processuale, che si so-
stanzia in una effettiva parit� delle parti nel giudizio. 

Ne consegue come corollario che nel caso di partecipanti alla gara che 
abbiano proposto censure identiche e reciprocamente escludenti, ciascuna di 
esse pu� far valere un analogo interesse legittimo all�esclusione dell�offerta 
dell�altra, senza che si imponga la regola processuale dell�esame prioritario 
del ricorso incidentale escludente, con la conseguenza di indurre l�Amministrazione 
aggiudicatrice a constatare l�impossibilit� di procedere alla scelta di 
un�offerta regolare. 

Per tali motivi, spetter� al giudice stabilire se sia utile e conforme al principio 
di economia dell�attivit� giudiziale la trattazione congiunta e contestuale 
delle domande proposte, rispettivamente, dal ricorrente principale ed incidentale; 
e, a tale scopo, � considerato sufficiente a giustificare un simultaneus processus 
che le questioni sollevate dalle parti, siano speculari ed egualmente escludenti. 

Nel caso in esame, come leggiamo nella stessa ordinanza di remissione, 


la fattispecie ivi descritta risulta essere, per quanto consta la fase del gravame, 
del tutto analoga dal punto di vista processuale e sostanziale a quella oggetto 
della precedente pronuncia della Corte. 

Si legge, infatti, nell�ordinanza di rimessione anche il presente contenzioso 
vede contrapposte, come segnalato, soltanto �due imprese: ed invero, 
soltanto dette imprese hanno proposto ricorsi (principali e incidentali) nel 
primo e nel secondo grado del giudizio e, per quanto consta a questo Consiglio, 
nessuna delle altre imprese, successivamente escluse dalla gara, hanno 
contestato in sede amministrativa o giurisdizionale siffatta esclusione�. 

Se � vero dunque che nella fattispecie, le posizioni del ricorrente principale 
e del ricorrente incidentale sono simmetriche ed equivalenti, sarebbe contrario 
al principio di parit� delle parti e di imparzialit� del giudice - sanciti 
dall�art. 111, secondo comma, Cost., e dall�art. 6 della Convenzione Europea 
dei diritti dell�uomo - far discendere l�esito del giudizio dal mero ordine logico 
seguito per la decisione delle impugnazioni proposte. 

Le scelte del giudice, difatti, non possono avere rilievo decisivo sull�esito 
della lite quando, riguardando l�ordine di trattazione dei ricorsi, emerge l�identicit� 
dei motivi oggetto delle reciproche contestazioni. 

Tali considerazioni si devono ora declinare in rapporto alla evoluzione 
giurisprudenziale dell�Adunanza Plenaria dalla sentenza n. 4/2011 sino alla 
pronuncia n. 8/2014, quest�ultima, intervenuta nelle more del rinvio pregiudiziale 
in esame, avrebbe certamente reso pi� semplice il ruolo interpretativo 
del giudice di seconda istanza della regione siciliana, in particolare, relativamente 
ai dubbi legati a quale regola juris applicare nella fattispecie in esame. 

A ben vedere, il quesito cos� come posto, se poteva avere un senso alla 
luce della difformit� di orientamento in essere tra l�Adunanza Plenaria - dopo 
la sentenza 4/2011 - e la Corte di Giustizia, risulta ora svuotato di ogni ragion 
d�essere se si considera che l�intervenuta Adunanza Plenaria n. 8/2014 ha di 
fatto ratificato l�orientamento del giudice comunitario superando la rigida regola 
processuale legata all�esame prioritario delle questioni incidentali di rito 
volte a sindacare la legittimazione ad agire. 

Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ordinanza 17 ottobre 
2013 n. 848 -Pres. ff. de Francisco, Est. Carlotti. 
(...) 


A) Esposizione succinta dell�oggetto della controversia. 

(...) A7. - Ai fini del rinvio pregiudiziale � sufficiente segnalare quanto segue: 

- la PFE ad� il T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo, onde ottenere l�annullamento dei provvedimenti 
sopra indicati; 
- l�ATI GSA/Zenith replic� alle censure avversarie e propose un ricorso incidentale, cd. �escludente� 
o �paralizzante�, mirante cio� a contestare l�omessa esclusione dalla gara della PFE e, 
quindi, diretto a far valere il conseguente difetto di interesse della suddetta PFE alla coltiva





zione dell�impugnativa; ci� in considerazione del fatto che, nell�ordinamento italiano, il giudizio 
amministrativo assume tipicamente le caratteristiche di un puro processo di parti, e non 
gi� di diritto oggettivo, di guisa che l�interesse a ricorrere - al quale deve sempre corrispondere 
una correlativa utilit� pratica unicamente realizzabile per via giurisdizionale - costituisce 
un�indefettibile requisito per la proposizione e la prosecuzione di qualunque azione; 


- con la sentenza impugnata il T.a.r. accolse entrambe le impugnative, principale e incidentale, 
cos� espressamente disattendendo i principi enunciati al riguardo dall�Adunanza plenaria del 
Consiglio di Stato n. 4 del 7 aprile 2011 (in seguito anche: sentenza n. 4/2011), in tema di 
priorit� dell�esame del ricorso incidentale escludente rispetto a quello principale; 
- con l�appello principale la PFE � insorta contro la sunnominata sentenza del T.a.r. nelle parti 
recanti statuizioni in ordine a) al rigetto dell�eccezione preliminare di inammissibilit� o di 
improcedibilit� del ricorso incidentale della GSA, b) all�accoglimento dei due motivi del medesimo 
ricorso incidentale e c) al rigetto della domanda risarcitoria, sia in forma specifica sia 
per equivalente, nonch� delle ulteriori e consequenziali domande formulate in prime cure; 
- con l�appello incidentale la GSA ha impugnato la medesima sentenza gravata dalla PFE, ma 
nella parte in cui il Primo Giudice ha definito l�ordine di esame dei ricorsi, principale e incidentale, 
in violazione dei principi enunciati dalla suddetta pronuncia dell�Adunanza plenaria 
del Consiglio di Stato e, in via subordinata, nella parte in cui il T.a.r. ha accolto il primo dei 
motivi del ricorso proposto in primo grado dalla PFE; 
- in particolare, con il primo motivo dell�appello incidentale, la GSA ha dedotto la sussistenza di 
un error in iudicando per aver il T.a.r. ritenuto comunque necessaria, nonostante la proposizione 
di un ricorso incidentale di natura escludente, la disamina anche dei motivi del ricorso principale, 
giacch� - qualora fossero stati rispettati i principi affermati dalla sentenza n. 4/2011 - il Tribunale, 
una volta accolto il ricorso incidentale della GSA, avrebbe dovuto conseguentemente dichiarare 
inammissibile quello proposto in via principale dalla PFE, consentendo cos� alla GSA di vincere 
la causa e di conservare in tal modo l�utilit� rinveniente dall�aggiudicazione della gara; 


-con le ultime memorie depositate in appello le parti hanno ribadito le rispettive posizioni e, in 
dettaglio, la GSA ha affrontato il tema dell'applicabilit�, o no, al caso di specie dei principi dichiarati 
dalla CGUE con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12; inoltre, riguardo alla 
sorte della gara in contestazione, entrambe le imprese in lite hanno allegato che, successivamente 
alla pubblicazione della sentenza del T.a.r. oggetto di gravame, la stazione appaltante dapprima 
escluse dalla procedura sia la PFE sia l�ATI GSA e poi, una volta fatta scorrere la graduatoria, 
l�Airgest escluse altres� tutte le altre imprese ammesse per inidoneit� delle rispettive offerte, poich� 
tutte carenti del requisito rappresentato dalla specifica indicazione dei costi per la sicurezza; 

- in effetti, con lettera di invito, inviata dall�Airgest a norma dell�art. 125, comma 1, del D.Lgs. 
n. 163/2006, risulta esser stata indetta una procedura negoziata mediante cottimo fiduciario 
per l�affidamento del servizio di pulizia dell�aeroporto civile �V. Florio� di Trapani-Birgi e di 
manutenzione delle aree verdi, della durata di tre mesi, prorogabili di ulteriori tre mesi; nel 
preambolo di siffatta lettera di invito si d� conto dell�intervenuta esclusione di tutte le offerte 
presentate nell�ambito della procedura aperta al centro del contendere e anche si subordina 
risolutivamente l�efficacia della gara e dei relativi esiti all�eventuale riforma, da parte di questo 
Consiglio, dell�impugnata sentenza del T.a.r.; 


-come gi� riferito, con la sentenza non definitiva, n. 847/2013, questo Consiglio ha respinto 
in parte l�appello principale proposto da PFE; inoltre si � comunicata alle parti la decisione 
di disporre, con separato provvedimento, un rinvio pregiudiziale alla CGUE onde ottenere 
un�interpretazione del diritto eurounitario. 


B) Contenuto delle pertinenti disposizioni eurounitarie e nazionali, nonch� della pertinente 
giurisprudenza della CGUE e del Consiglio di Stato. 

B1. - Le disposizioni eurounitarie rilevanti ai fini del presente rinvio pregiudiziale, per le ragioni 
che saranno illustrate nella successiva sezione C), sono le seguenti: 

- art. 1, parr. 1 e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina 
le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all�applicazione 
delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di 
lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 
dell�11 dicembre 2007: 

�1. La presente direttiva si applica agli appalti di cui alla direttiva 2004/18/CE del Parlamento 
europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure 
di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, a meno che tali 
appalti siano esclusi a norma degli articoli da 10 a 18 di tale direttiva. 
Gli appalti di cui alla presente direttiva comprendono gli appalti pubblici, gli accordi quadro, 
le concessioni di lavori pubblici e i sistemi dinamici di acquisizione. 
Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda 
gli appalti disciplinati dalla direttiva 2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni 
aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto pi� rapido 
possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2-septies della presente direttiva, 
sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di 
aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono. 
[�] 

3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalit� 
che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere 
l�aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una 
presunta violazione�; 

- art. 267 del TFUE, nella versione in vigore dal 1� dicembre 2009: 

�La Corte di giustizia dell'Unione europea � competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: 
a) sull'interpretazione dei trattati; 
b) sulla validit� e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli 
organismi dell'Unione. 
Quando una questione del genere � sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli 
Stati membri, tale organo giurisdizionale pu�, qualora reputi necessaria per emanare la sua 
sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione. 
Quando una questione del genere � sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo 
giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale 
di diritto interno, tale organo giurisdizionale � tenuto a rivolgersi alla Corte. 
Quando una questione del genere � sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo 
giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce 
il pi� rapidamente possibile�; 

- art. 47, parr. 1 e 2, della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea (2000/C 364/01), 
rubricato �Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale�: 
�Ogni individuo i cui diritti e le cui libert� garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati 
ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel 
presente articolo. 
Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed 



entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. 
Ogni individuo ha la facolt� di farsi consigliare, difendere e rappresentare�; 

- art. 6, par. 1, comma 1, TUE, nella versione in vigore dal 1� dicembre 2009: 

�1. L'Unione riconosce i diritti, le libert� e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali 
dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che 
ha lo stesso valore giuridico dei trattati�; 

- art. 19, par. 1, TUE, nella versione in vigore dal 1� dicembre 2009: 

�1. La Corte di giustizia dell'Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e 
i tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione 
dei trattati. 
Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale 
effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione�. 

B2. - Le disposizioni interne, della Repubblica italiana, rilevanti ai fini del presente rinvio pregiudiziale, 
per le ragioni che saranno illustrate nella successiva sezione C), sono le seguenti: 

- art. 111, ultimo comma, della Costituzione della Repubblica italiana: �Contro le decisioni 
del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso per cassazione � ammesso per i soli 
motivi inerenti la giurisdizione�; 

-art. 99, commi 3 e 4, c.p.a., rubricato �Deferimento all�adunanza plenaria�: 

�3. Se la sezione cui � assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto 
enunciato dall�adunanza plenaria, rimette a quest�ultima, con ordinanza motivata, la decisione 
del ricorso. 

4. L�adunanza plenaria decide l�intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio 
di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente�; 

-art. 1, comma 2, del D.Lgs. 24 dicembre 2003, n. 373 (Norme di attuazione dello Statuto 
speciale della Regione siciliana concernenti l'esercizio nella regione delle funzioni spettanti 
al Consiglio di Stato). 

�2. Il Consiglio di giustizia amministrativa ha sede in Palermo ed � composto da due Sezioni, 
con funzioni, rispettivamente, consultive e giurisdizionali, che costituiscono sezioni staccate 
del Consiglio di Stato�. 

B3. - La sentenza della CGUE, rilevante ai fini del presente rinvio pregiudiziale, per le ragioni 
che saranno illustrate nella successiva sezione C), � la seguente: CGUE, decima sezione, 4 
luglio 2013, in causa C-100/12. 
B4. - La sentenza del Consiglio di Stato, rilevante ai fini del presente rinvio pregiudiziale, 
per le ragioni che saranno illustrate nella successiva sezione C), � la seguente: Consiglio di 
Stato, Adunanza plenaria, del 7 aprile 2011, n. 4 

C) Motivi del rinvio pregiudiziale: oggetto e rilevanza. 

C1. - Con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, avente ad oggetto la domanda di 
pronuncia pregiudiziale rivolta alla Corte dal T.a.r. per il Piemonte con decisione del 25 gennaio 
2012, la CGUE ha conclusivamente dichiarato che: �L�articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 
89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative relative all�applicazione delle procedure di ricorso 
in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata 
dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell�11 dicembre 2007, 
deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l�aggiudicatario che 
ha ottenuto l�appalto e proposto ricorso incidentale solleva un�eccezione di inammissibilit� 
fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell�offerente che ha proposto il ricorso, con 


la motivazione che l�offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall�autorit� 
aggiudicatrice per non conformit� alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, 
tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza 
dell�esame preliminare di tale eccezione di inammissibilit� senza pronunciarsi sulla 
conformit� con le suddette specifiche tecniche sia dell�offerta dell�aggiudicatario che ha ottenuto 
l�appalto, sia di quella dell�offerente che ha proposto il ricorso principale�. 

C2. - Con la sunnominata sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12 ha, in particolare, 
verificato la compatibilit� con il diritto dell�Unione europea della regola stabilita dalla ridetta 
sentenza n. 4/2011 (il cui contenuto non si riassume poich� gi� conosciuto ed esaminato dalla 
CGUE) con la quale si �, in sostanza, imposto - per le ragioni che saranno di seguito spiegate 
-alle Sezioni e ai Collegi del Consiglio di Stato, chiamati a pronunciarsi sugli appelli avverso 
sentenze pronunciate dai T.a.r., di attenersi al principio di diritto secondo cui, nei processi di 
primo grado in cui siano stati proposti sia un ricorso principale sia uno incidentale escludente, 
l�ordine di esame delle impugnative da parte dei T.a.r. debba essere nel senso di riservare prioritario 
esame al ricorso incidentale escludente e, in caso di accertata fondatezza di quest�ultimo, 
di dichiarare improcedibile il ricorso principale (per sopravvenuto difetto di interesse 
alla sua decisione, appunto in conseguenza dell�accoglimento di detto ricorso incidentale), 
senza valutarne il merito. 
C3. - Dalla lettura del tenore della questione pregiudiziale rimessa dal T.a.r. per il Piemonte 
e dei punti 31, 32 e 33 della motivazione della sentenza della CGUE del 4 luglio 2013, in 
causa C-100/12, si evince che la fattispecie concreta, in relazione alla quale � stata resa la dichiarazione 
riportata nel precedente �. C1, riguardava un caso in cui i concorrenti rimasti in 
gara erano soltanto due e coincidevano dal punto di vista soggettivo, rispettivamente, con il 
ricorrente principale e con l�aggiudicatario-ricorrente incidentale, aventi ciascuno di mira, in 
maniera speculare, il risultato di ottenere in via giurisdizionale l�esclusione dell�altro per mancanza, 
nelle rispettive offerte presentate, dei requisiti minimi di idoneit� dell�offerta. In tale 
ipotesi � evidente che, in caso di accoglimento di ambo le contrapposte impugnazioni, la sentenza 
realizza l�azzeramento della gara che - ove ribandita - consente ad entrambe le parti, 
come ad ogni altro operatore del settore, di avere l�ulteriore chance di poter ripresentare domanda 
per la partecipazione alla nuova gara. 
C4. - Nel caso che occupa questo Consiglio la fattispecie concreta � almeno in parte differente 
da quella test� descritta, poich� le imprese ammesse a partecipare alla procedura della cui legittimit� 
si controverte furono pi� di due; nondimeno, dal punto di vista processuale e sostanziale 
- in disparte i distinti profili che sorreggono le reciproche censure di pretesa illegittimit� 
delle rispettive ammissioni alla gara delle due imprese in lite (non essendo stata contestata, 
nel caso che occupa il Collegio, la conformit� delle offerte alle specifiche tecniche, ma unicamente 
la validit� delle dichiarazioni relative al possesso di taluni requisiti generale previsti 
dalla legge italiana per la partecipazione a procedure di affidamento di appalti pubblici) anche 
il presente contenzioso vede contrapposte, come segnalato, soltanto due imprese, la 
PFE e la GSA: ed invero, soltanto dette imprese hanno proposto ricorsi (principali e incidentali) 
nel primo e nel secondo grado del giudizio e, per quanto consta a questo Consiglio, nessuna 
delle altre imprese, successivamente escluse dalla gara, hanno contestato in sede 
amministrativa o giurisdizionale siffatta esclusione. Inoltre, come riferito nella superiore narrativa 
del fatto, la stazione appaltante, intervenuta la pubblicazione della gravata sentenza del 

T.a.r. per la Sicilia, ha escluso tutte le imprese che presero parte alla gara. In forza delle riferite 
circostanze, il presente giudizio ha ad oggetto, a ben vedere, soltanto le reciproche contesta





zioni di due imprese, la PFE e la GSA, le quali - uniche tra tutte quelle originariamente ammesse 
alla procedura di affidamento - conservano un interesse, processualmente tutelabile, 
alla decisione in ordine alla legittimit� della gara. 
C5. - Alla stregua di tutto quanto fin qui osservato, questo Consiglio, avanti al quale � stato 
evocato il principio di diritto dell�Unione europea sancito dalla CGUE nella sentenza del 4 luglio 
2013, in causa C-100/12, si interroga, e ritiene di essere obbligato a rivolgere l�interrogativo 
alla CGUE, se il suddetto principio di diritto dichiarato dalla CGUE possa o debba ritenersi 
applicabile - in disparte il non rilevante profilo dei motivi di diritto per i quali la PFE e la GSA 
ritengono, specularmente, che la rispettiva controparte dovesse essere esclusa dalla gara - anche 
al caso sopra descritto sub A, ossia se la situazione che si � venuta a determinare nella vicenda 
oggetto della presente controversia sia sostanzialmente assimilabile, in ragione del concreto 
isomorfismo che si ravvisa nei termini sopra spiegati, a quella in relazione alla quale � stata 
pronunciata la sentenza della CGUE del 4 luglio 2013, in causa C-100/12 (il quesito � meglio 
precisato, infra, sub D1). Infatti, nel caso odiernamente in esame, parrebbe ipotizzabile - proprio 
in quanto tutte le altre imprese partecipanti alla gara ne sono state escluse con provvedimenti 
rimasti inoppugnati e ormai inoppugnabili - che l�interesse processuale delle due parti 
ora in causa si atteggi nel medesimo modo che se tali due parti fossero state le uniche a partecipare 
alla gara (com�era nel caso che fu deciso dalla citata sentenza di codesta C.G.U.E.): 
sicch� entrambe le parti potrebbero avere interesse all�accoglimento (e, prima ancora, allo 
scrutinio) delle proprie doglianze, anche in caso di accoglimento di quelle di controparte, quantomeno 
per realizzare il proprio interesse (c.d. �strumentale�) all�azzeramento della gara, onde 
poter concorrere alla sua riedizione per rigiocarsi ex novo la chance di vincerla. 
C6. - Non a caso questo Consiglio ha prudenzialmente asserito, nel precedente �. C5, di ritenere 
di dover sottoporre alla CGUE la sopra indicata questione pregiudiziale, posto che tale doverosit� 
del rinvio (nelle ipotesi in cui, ovviamente, ricorrano le condizioni richiamate anche nel punto 
12 delle Raccomandazioni), in virt� delle regole che attualmente governano il processo amministrativo 
di appello, non � prevista e, anzi, potrebbe apparire vietata, quanto meno nei sensi della 
possibilit� di instaurare una diretta relazione tra il giudice amministrativo di ultima istanza (Sezione 
del Consiglio di Stato tabellarmente competente per la trattazione della causa) e la CGUE. 
C7. - Onde chiarire il senso di quanto test� affermato, occorre muovere dalla considerazione 
che, secondo il diritto giurisprudenziale amministrativo italiano, pure al caso concreto oggetto 
del presente giudizio, al pari di quello gi� deciso dalla CGUE con la sentenza del 4 luglio 
2013, in causa C-100/12, dovrebbero applicarsi i principi di diritto enunciati dal Consiglio di 
Stato, nella sentenza n. 4/2011. Sennonch�, mentre per la fattispecie sottoposta al vaglio del 


T.a.r. per il Piemonte, � per l�appunto intervenuta la decisione della CGUE, nella vicenda al 
centro del contenzioso instaurato avanti a questo Consiglio difetta una pronuncia analoga n� 
pu� con certezza reputarsi, stante quanto sopra considerato dubitativamente sub C4 e C5., 
che, nonostante la presenza di forti somiglianze tra le due cause, i principi stabiliti dalla CGUE 
nel precedente citato siano automaticamente trapiantabili anche nel presente contenzioso; al 
contempo � evidente come la soluzione della questione dell�applicabilit�, o no, di detti principi 
nel caso in esame sia fondamentale per le sorti del giudizio, incidendo sensibilmente sull�esito 
della controversia. 
C8. - Tanto premesso, va tuttavia osservato che la situazione appena descritta, risultando ad 
essa residualmente applicabile (a cagione della diversit� della fattispecie concreta) la regula 
iuris dettata dalla sentenza n. 4/2011, imporrebbe a questo Consiglio - in forza della vincolativit� 
del precetto recato dall�art. 99, comma 3, c.p.a., che obbliga a conformarsi al principio 



di diritto enunciato dall�Adunanza plenaria ovvero, come unica alternativa, a rimettere a 
quest�ultima la decisione della causa - di astenersi dal rinviare direttamente la questione sopra 
esposta alla CGUE e ci� nonostante questo Consiglio sia a tutti gli effetti un giudice di ultima 
istanza delle controversie amministrative. 
C9. - L�ultima affermazione merita un precisazione. Il punto 12 delle Raccomandazioni ricorda, 
tra l�altro, ai giudici nazionali che, a norma dell�art. 267 TFUE, le Corti di ultima 
istanza sono tenute a proporre alla CGUE una domanda di pronuncia pregiudiziale. Orbene, 
non vi � dubbio che, secondo il diritto della Repubblica italiana, il Consiglio di Stato sia giudice 
di ultima istanza delle controversie appartenenti alla giurisdizione amministrativa. Vero 
� che contro le decisioni del Consiglio di Stato l�ordinamento interno ammette la possibilit� 
di ricorrere alla Corte suprema di cassazione, ma tale mezzo di impugnazione - per espresso 
dettato costituzionale (art. 111, ultimo comma, Cost.) - non potr� mai riguardare la cognizione 
della res litigiosa, dovendo invece rimanere circoscritto ai soli profili di corretto riparto del 
contenzioso tra le varie giurisdizioni italiane (civile, penale, amministrativa, contabile, tributaria, 
delle acque, ecc.). In altre parole, la Corte suprema di cassazione pu� verificare �se� il 
Consiglio di Stato abbia potest� di decidere una determinata controversia, ma non anche di 
stabilire �come� il Consiglio di Stato debba decidere la causa, con il che il Consiglio di Stato 
� sicuramente giudice di ultima istanza del merito delle liti amministrative e in tal senso � 
anche la giurisprudenza della CGUE. 
C10. - Ora, se il Consiglio di Stato � giudice di ultima istanza, tale � anche questo Consiglio, 
poich� cos� espressamente stabilisce l�art. 1, comma 2, del D.Lgs. 24 dicembre 2003, n. 373 
che configura le due sezioni di cui si compone questo Consiglio alla stregua di altrettante sezioni, 
sebbene staccate, del Consiglio di Stato. 
C11. - Al pari di ogni altro giudice di ultima istanza, dunque, questo Consiglio dovrebbe poter 
domandare alla CGUE una pronuncia pregiudiziale sull�interpretazione del diritto dell�Unione 
europea; sennonch� tale potest� in talune ipotesi, e tra queste quella che viene in rilievo nel presente 
giudizio, parrebbe non essere direttamente esercitabile; e ci� appunto in ragione della vigenza 
di una norma processuale, l�art. 99, comma 3, c.p.a., che obbliga tutte le Sezioni e i Collegi 
del Consiglio di Stato ad applicare, ai fini del decidere sul rito e sul merito delle controversie 
amministrative, i principi di diritto enunciati dall�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, fatta 
salva la facolt� di rimettere le questioni alla stessa Adunanza Plenaria (onde sollecitarne un revirement 
solo eventuale) quando la Sezione o il Collegio intendano da detti principi discostarsi. 
Va osservato che l�art. 99, comma 3, c.p.a. � sorretto da una ratio legis in astratto meritoria, 
atteso che il Legislatore interno ha ritenuto di poter accrescere in tal modo, attraverso cio� il 
rafforzamento del potere nomofilattico dell�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nelle 
materie appartenenti alla giurisdizione amministrativa, la certezza del diritto �giurisprudenziale� 
interno; tuttavia, ad avviso di questo Consiglio, siffatto vincolo procedurale, qualora 
riferito anche alle questioni di diritto eurounitario, finisce per entrare in conflitto con pi� di 
un principio dell�ordinamento sovranazionale e, principalmente, con la riserva dell�interpretazione 
del diritto dell�Unione europea al magistero della CGUE e con il correlato e sinergico 
obbligo di rinvio pregiudiziale gravante su tutti i giudici di ultima istanza degli Stati membri 
(solo per completezza argomentativa, va peraltro segnalato in via incidentale che l�art. 99, 
comma 3, c.p.a. tende ad orientare l�evoluzione del diritto processuale amministrativo italiano 
verso un modello di �common law�, incentrato sulla regola dello �stare decisis�, che pure 
confligge con il primato del diritto scritto, su quello di creazione giurisprudenziale, stabilito 
chiaramente dall�art. 100, primo comma, della Costituzione della Repubblica italiana, secondo 


cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge, fatta salva la primazia del diritto dell�Unione, 
a garanzia della loro indipendenza e quale corollario della separazione dei poteri; l�esame 
della questione costituzionale interna � per� necessariamente postergato alla prodromica soluzione 
di quella eurounitaria). 
C12. - Onde chiarire quanto appena osservato, � d�uopo illustrare con un esempio come operi, 
nel caso di specie, il vincolo procedurale derivante dall�art. 99, comma 3, c.p.a. Innanzitutto, 
non pu� revocarsi in dubbio che l�oggetto del presente giudizio investa una materia, cio� 
quella delle procedure di affidamento degli appalti pubblici, che promana direttamente dal-
l�ordinamento dell�Unione europea. Si � per� sopra chiarito che la fattispecie in esame ricade, 
ancora, nell�alveo applicativo del principio dettato dall�Adunanza plenaria del Consiglio di 
Stato nella sentenza n. 4/2011; pertanto, a questo Consiglio si pone la seguente alternativa: o 
questo Consiglio, ignorando la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12 e i connessi 
dubbi sopra esternati in ordine alla possibile applicabilit� nella fattispecie dei principi in quella 
sentenza affermati, opta per la decisione della controversia seguendo acriticamente la regola 
del prioritario scrutinio del ricorso incidentale (rischiando per� in tal modo di violare il diritto 
dell�Unione europea) oppure questo Consiglio, ritenendo che pure nel caso di specie possano 
attagliarsi i principi enunciati nella ridetta sentenza della CGUE, applica l�art. 99, comma 3, 

c.p.a. e, per l�effetto, rimette la questione dell�applicabilit� alla vicenda in esame dei principi 
dettati dalla sentenza n. 4/2011 all�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, segnalandone il 
parziale contrasto con quelli ricavabili dalla sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12. 
C13. - In ogni caso, ad avviso di questo Collegio, la situazione appena descritta collide sotto 
vari profili con il diritto dell�Unione, giacch�: 

- nel primo caso, si indeboliscono i fondamentali canoni del primato e del massimo effetto 
utile del diritto dell�Unione europea; 

-nel secondo caso si limita sensibilmente la potest�, riconosciuta dal diritto dell�Unione europea 
a ogni giudice di ultima istanza degli ordinamenti degli Stati membri, di sottoporre in via diretta 
alla CGUE domande di pronunce pregiudiziali, atteso che tale potest� viene, nei fatti, ad esser 
concentrata nella sola Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, almeno ogniqualvolta essa 
abbia affermato principi di diritto, s� vincolanti per le Sezioni e i Collegi del Consiglio di Stato, 
ma non compatibili con quelli vigenti nell�Unione europea e dichiarati dalla CGUE; 

- a quanto appena considerato, va altres� aggiunto che siffatta obbligatoria intermediazione 
del rapporto tra giudici amministrativi di ultima istanza e CGUE, attraverso la previsione di 
un vincolo procedurale rappresentato dalla preventiva sollecitazione di una pronuncia del-
l�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, per un verso, incrina la riserva della CGUE sul-
l�interpretazione del diritto dell�Unione (dal momento che il �filtro� sui rinvii pregiudiziali 
esercitato dall�Adunanza plenaria del Consiglio di Stato comunque esplica una funzione deflattiva 
e disincentivante delle relative domande e, in pi�, potrebbe anche non condurre ad 
alcun rinvio pregiudiziale, potendo ritenere l�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nel-
l�esercizio della sua autonoma discrezionalit� giurisdizionale, che talune questioni non meritino 
un vaglio incidentale della CGUE); per altro verso, infine, il �passaggio obbligato� della 
rimessione a norma dell�art. 99, comma 3, c.p.a. infirma anche il primato del diritto del-
l�Unione europea, almeno nella misura in cui il magistero nomofilattico dell�Adunanza Plenaria, 
sicuramente utile nella prospettiva di una maggiore certezza e unit� dell�esegesi del 
diritto amministrativo nazionale, interferisca e finisca per imporsi sul magistero della CGUE 
nelle materie disciplinate dal diritto dell�Unione europea; infine, sotto un ultimo aspetto, il 
meccanismo disciplinato dall�art. 99, comma 3, c.p.a. incide anche negativamente sulla durata 


ragionevole del processo, che costituisce un valore tutelato dal diritto dell�Unione europea 

(v. gli artt. 6 TUE e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea, nonch� l�art. 
1, par. 1, comma 3, della direttiva 89/665/CEE), atteso che - anche a voler prescindere da ogni 
altra considerazione - detto �passaggio obbligato� allunga notevolmente i tempi di un giudizio, 
dovendosi aggiungersi a quelli indispensabili per la definizione del rinvio pregiudiziale anche 
quelli della rimessione all�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato affinch� essa proponga, 
eventualmente, la domanda di pronuncia pregiudiziale alla CGUE. 
C14. - Per tutte le ragioni sopra spiegate questo Consiglio dubita della compatibilit� eurounitaria 
dell�art. 99, comma 3, c.p.a., qualora detta disposizione debba applicarsi anche in controversie 
che siano disciplinate dal diritto dell�Unione europea (o dal diritto interno che 
costituisca recepimento di quello sovranazionale) e nella misura in cui l�applicazione di detta 
disposizione si traduca, nei modi sopra illustrati, in un ostacolo al pieno esercizio della potest� 
di ogni Sezione e Collegio del Consiglio di Stato, in quanto giudice di ultima istanza, di rinviare 
pregiudizialmente una questione alla CGUE; ovvero, e altres�, in un ostacolo al pieno 
esercizio della potest� di ogni Sezione e Collegio del Consiglio di Stato, in quanto giudice di 
ultima istanza, di applicare direttamente, quale giudice comune del diritto dell�Unione europea, 
i principi del diritto euro unitario, per come declinati dalla CGUE, in guisa da assicurarne 
il maggiore (e pi� sollecito) �effetto utile�. I dubbi appena esposti sono condensati nell�articolato 
quesito di seguito declinato sub D2 e al quale ci si riporta. 

D) Formulazione dei quesiti. 

D1. - Se i principi dichiarati dalla CGUE con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, 
con riferimento alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio pregiudiziale, in cui due soltanto 
erano le imprese partecipanti a una procedura di affidamento di appalti pubblici, siano anche 
applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo della fattispecie contenziosa, anche nel 
caso sottoposto al vaglio di questo Consiglio in cui le imprese partecipanti alla procedura di 
gara, sebbene ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione 
appaltante, senza che risulti l�intervenuta impugnazione di detta esclusione da parte di imprese 
diverse da quelle coinvolte nel presente giudizio, di guisa che la controversia che ora occupa 
questo Consiglio risulta di fatto circoscritta soltanto a due imprese; 
D2. - se, limitatamente alle questioni suscettibili di essere decise mediante l�applicazione del 
diritto dell�Unione europea, osti con l�interpretazione di detto diritto e, segnatamente con 
l�art. 267 TFUE, l'art. 99, comma 3, c.p.a., nella parte in cui tale disposizione processuale stabilisce 
la vincolativit�, per tutte le Sezione e i Collegi del Consiglio di Stato, di ogni principio 
di diritto enunciato dall'Adunanza plenaria, anche laddove consti in modo preclaro che detta 
Adunanza abbia affermato, o possa aver affermato, un principio contrastante o incompatibile 
con il diritto dell'Unione europea; e, in particolare, 

-se la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato investiti della trattazione della causa, laddove 
dubitino della conformit� o compatibilit� con il diritto dell'Unione europea di un principio 
di diritto gi� enunciato dall'Adunanza plenaria, siano tenuti a rimettere a quest'ultima, 
con ordinanza motivata, la decisione del ricorso, in ipotesi ancor prima di poter effettuare un 
rinvio pregiudiziale alla CGUE per accertare la conformit� e compatibilit� europea del principio 
di diritto controverso, ovvero se invece la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato 
possano, o piuttosto debbano, in quanto giudici nazionali di ultima istanza, sollevare autonomamente, 
quali giudici comuni del diritto dell'Unione europea, una questione pregiudiziale 
alla CGUE per la corretta interpretazione del diritto dell'Unione europea; 
-se - nell�ipotesi in cui la risposta alla domanda posta nel precedente alinea fosse nel senso 



di riconoscere a ogni Sezione e Collegio del Consiglio di Stato il potere/dovere di sollevare 
direttamente questioni pregiudiziali davanti alla CGUE ovvero, in ogni caso in cui la CGUE 
si sia comunque espressa, viepi� se successivamente all'Adunanza Plenaria del Consiglio di 
Stato, affermando la sussistenza di una difformit�, o di una non completa conformit�, tra la 
corretta interpretazione del diritto dell'Unione europea e il principio di diritto interno enunciato 
dall'Adunanza plenaria - ogni Sezione e ogni Collegio del Consiglio di Stato, quali giudici 
comuni di ultima istanza del diritto dell'Unione europea possano o debbano dare immediata 
applicazione alla corretta interpretazione del diritto dell'Unione europea per come interpretato 
dalla CGUE o se, invece, anche in tali casi siano tenuti a rimettere, con ordinanza motivata, 
la decisione del ricorso all'Adunanza plenaria, con l'effetto di demandare all'esclusiva valutazione 
di quest'ultima, e alla sua discrezionalit� giurisdizionale, l'applicazione del diritto del-
l'Unione europea, gi� vincolativamente dichiarato dalla CGUE; 

-se, infine, un'esegesi del sistema processuale amministrativo della Repubblica italiana nel 
senso di rimandare all�esclusiva valutazione dell�Adunanza Plenaria l�eventuale decisione in 
ordine al rinvio pregiudiziale alla CGUE - ovvero anche soltanto la definizione della causa, 
allorch� questa direttamente consegua all�applicazione di principi di diritto eurounitario gi� 
declinati dalla CGUE -- non sia di ostacolo, oltre che con i principi di ragionevole durata del 
giudizio e di rapida proposizione di un ricorso in materia di procedure di affidamento degli 
appalti pubblici, anche con l'esigenza che il diritto dell'Unione europea riceva piena e sollecita 
attuazione da ogni giudice di ciascuno Stato membro, in modo vincolativamente conforme 
alla sua corretta interpretazione siccome stabilita dalla CGUE, anche ai fini della massima 
estensione dei principi del cd. "effetto utile" e del primato del diritto dell'Unione europea sul 
diritto (non solo sostanziale, ma anche processuale) interno del singolo Stato membro (nella 
specie: sull�art. 99, comma 3, del c.p.a. della Repubblica italiana). 

E) Sospensione del giudizio e disposizioni per la Segreteria. 

E1. - In conclusione, si rimettono all�esame della CGUE le sopra esposte questioni di corretta 
interpretazione del diritto eurounitario. 
(...) 
E3. � Visto l�art. 79 c.p.a. e il punto 29 delle Raccomandazioni, il presente giudizio viene sospeso 
nelle more della definizione del procedimento incidentale di rinvio, e ogni ulteriore decisione, 
anche in ordine alle spese, � riservata alla pronuncia definitiva, una volta ricevuta la 
notificazione della decisione emessa dalla CGUE (v. il punto 34 delle Raccomandazioni). 

P.Q.M. 
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, non 
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, dispone: 
1) a cura della segreteria, la trasmissione alla Corte di giustizia dell�Unione europea della presente 
ordinanza e di copia degli atti sopra indicati, con le modalit� di cui in motivazione; 
2) la sospensione del presente giudizio fino alla notificazione a questo Consiglio, da parte 
della cancelleria della Corte di giustizia dell�Unione europea, della decisione emessa dalla 
suddetta Corte; 
3) che rimanga riservata alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito 
e in ordine alle spese del giudizio. 
Manda la Segreteria per gli altri adempimenti di legge. 
Cos� deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2013. 


Una SCIA-Demaniale: � possibile? 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA SICILIA, 
PALERMO, SEZIONE I, SENTENZA 25 LUGLIO 2013 N. 1543 


Gaetano Molica* 

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La fattispecie e le argomentazioni del giudice. - 3. Lo 
schema �norma-fatto-effetto� vs. �norma-potere-effetto�. - 4. Il demanio marittimo e le concessioni 
demaniali. - 5. Non sussumibilit� del modello concessorio demaniale nello schema 
�norma-fatto-effetto�. 

1. Premessa. 

La sentenza in commento, bench� abbia ad oggetto l�applicazione di una 
norma regionale, presenta profili di interesse che travalicano gli angusti confini 
della portata territoriale della medesima, per investire, ad un pi� ampio livello 
di analisi, la delicata questione della semplificazione dei moduli procedimentali 
e del rapporto tra P.A. e cittadino. 

Pi� nel dettaglio, come si avr� modo di vedere, il decisum oggetto del presente 
intervento, sulla scorta di un dato normativo apparentemente inequivoco, 
sembra ammettere l�applicazione dello schema - noto in materia di s.c.i.a. �
norma-fatto-effetto� per l�ipotesi di destagionalizzazione di attivit� balneari, 
privando la P.A. di ogni potere valutativo in merito all�opportunit� di assentire 
tale operazione e, in ultima analisi, in merito alla valutazione della perdurante 
compatibilit� tra uso particolare e la tutela del c.d. interesse demaniale. 

Le considerazioni che con il presente scritto si intendono fare richiedono, 
tuttavia, una compiuta - sebbene contenuta - analisi della fattispecie e dell�articolato 
ragionamento logico-giuridico che hanno condotto alla sentenza in 
commento. 

2. La fattispecie e le argomentazioni del giudice. 

All�atto del rinnovo di una concessione demaniale avente ad oggetto lo 
sfruttamento di una porzione del litorale sito nel Comune di Palermo per la 
realizzazione di uno stabilimento balneare, l�autorit� demaniale marittima 
competente - in ragione dei precorsi rapporti con il concessionario - aveva ritenuto 
opportuno inserire apposita clausola nell�ambito del provvedimento di 
concessione, con la quale si obbligava il concessionario medesimo, a pena di 
decadenza, a smontare interamente la struttura balneare al termine della stagione 
estiva. 

Conclusa la stagione balneare, dinnanzi al rifiuto del concessionario di 

(*) Dottorando in Diritto Comparato - Universit� degli Studi di Palermo, ammesso alla pratica forense 
presso l�Avvocatura dello Stato. 


adempiere all�obbligo di smontaggio, la P.A. competente adottava il decreto di 
decadenza dalla concessione demaniale ai sensi dell�art. 47, co. 1, lett. f), C.N. 
Contro tale provvedimento, allora, ricorreva la societ� titolare della concessione 
de qua, chiedendone l�annullamento. 

Con la sentenza oggetto del presente commento, il T.A.R. Palermo ha ritenuto 
di accogliere le doglianze del concessionario, annullando il provvedimento 
decadenziale impugnato. 

Le argomentazioni offerte dai decidenti sono diverse e variamente articolate. 
Tra queste, in considerazione del tema trattato, merita particolare attenzione 
l�interpretazione letterale e sistematica della norma oggetto di applicazione. 

Secondo il Collegio, infatti, la disciplina di cui all�art. 2, L.r. n. 15/2005 
sarebbe chiara nell�evidenziare l�estensione annuale del titolo concessorio, previa 
comunicazione dell�intenzione del concessionario di voler destagionalizzare 
l�attivit�. E ci� in quanto si tratterebbe di una disposizione che, 
nell�evidente intento di favorire lo sviluppo delle attivit� turistiche anche oltre 
il consueto orizzonte temporale, avrebbe operato una estensione ex lege dei 
relativi titoli abilitativi, privando l�autorit� demaniale del potere di subordinare 
tale estensione ad una valutazione discrezionale propriamente intesa, posto che 
i concessionari possono avvalersi della concessione demaniale, delle licenze e 
delle autorizzazioni di cui sono gi� in possesso per le attivit� stagionali estive. 

Per corroborare questa interpretazione, il giudice fa uso dell�argomento 
analogico, citando in particolare la giurisprudenza in materia di d.i.a. (oggi 
s.c.i.a.) e ritenendo, essenzialmente, possibile tracciare un parallelo tra la disciplina 
regionale in discorso e lo schema di funzionamento proprio della d.i.a., 
nel senso che �la legittimazione del privato all�esercizio dell�attivit� non � 
pi� fondata sull�atto di consenso della P.A., secondo lo schema �norma-potere-
effetto�, ma � una legittimazione ex lege, secondo lo schema �normafatto-
effetto�, in forza del quale il soggetto � abilitato allo svolgimento 
dell�attivit� direttamente dalla legge, la quale disciplina l�esercizio del diritto 
eliminando l�intermediazione del potere autorizzatorio della P.A�. 

Sulla base di questa premessa, il giudice ha ritenuto che il provvedimento 
decadenziale emesso dall�autorit� demaniale fosse tamquam non esset, posto 
che detta autorit� non avrebbe potuto annullare o revocare la concessione demaniale 
per non aver il concessionario ottemperato a un provvedimento (il diniego 
di destagionalizzazione) non previsto dalla legge come tipologia provvedimentale, 
proprio perch� la legge stessa escluderebbe un potere condizionante l�esercizio 
delle relative facolt� dei concessionari, sicch� nessun inadempimento agli 
obblighi derivanti dalla concessione potrebbe essere loro imputato. 

L�unica via percorribile dalla P.A., secondo i giudici, avrebbe potuto essere 
quella di agire in autotutela ove circostanze e/o fatti nuovi avessero inciso 
sulla perdurante conformit� alla legge e all�interesse pubblico dell�assetto d�interessi 
fissato nella concessione demaniale. 


La sentenza in commento, peraltro, riconosce che la ricostruzione cos� operata 
dell�assetto normativo applicabile indebolisce, in modo problematico, il 
controllo amministrativo sulle attivit� private esercitate sul demanio marittimo, 
riducendo drasticamente i poteri dell�autorit� pubblica competente; tuttavia, 
nella medesima decisione si legge come tale circostanza �non costituirebbe valida 
ragione per praticare una interpretazione della disposizione in esame contraria 
al suo significato normativo e al suo chiaro tenore testuale�. 

Come si pu� agevolmente scorgere da una rapida lettura di quanto fin qui 
evidenziato, il Collegio giudicante, nell�interpretare la normativa applicabile, 
sembra aver impostato la propria analisi essenzialmente sul dato, nudo e crudo, 
di matrice giuridico-formale, senza apparentemente interrogarsi sulla praticabilit� 
sistematica di tale operazione ermeneutica. 

Ci� che, allora, si cercher� di comprendere, in altre parole, riguarda l�effettiva 
possibilit� di discutere dell�applicabilit� di uno schema marcatamente 
liberalizzatore - tale essendo il modulo �norma-fatto-effetto�, pensato in materia 
di d.i.a. - ad una classe di beni, quali quelli appartenenti al demanio marittimo, 
nonch� ad un genus provvedimentale - la concessione demaniale connotati 
da una spiccata singolarit�. 

Tale tentativo di ricostruzione sistematica, dunque, non pu� che passare 
attraverso la considerazione delle menzionate specificit�, in assenza di un dato 
normativo utilizzabile per offrire una rapida soluzione al problema che si intende 
in questa sede risolvere. 

3. Lo schema �norma-fatto-effetto� vs. �norma-potere-effetto�. 

Secondo la ricostruzione operata dal Tar Palermo, la norma di cui all�art. 
2, L.r. n. 15/2005 rientrerebbe nell�alveo di quelle disposizioni mediante le quali 
il Legislatore - regionale, nel nostro caso -, in presenza di presupposti normativamente 
stabiliti, consente l�acquisizione da parte del privato istante di un titolo 
abilitativo all�esercizio di un�attivit� direttamente autorizzata dalla legge. 

In questo senso, dunque, prende forma e consistenza la dinamica �normafatto-
effetto�, giacch� il privato concessionario, nell�ipotesi qui considerata, 
non avrebbe bisogno di alcuna intermediazione dell�Amministrazione per esercitare 
una facolt� che direttamente la legge gli riconosce, quella di mantenere 
la struttura balneare �montata� anche durante il periodo invernale per l�esercizio 
delle attivit� collaterali alla balneazione. 

Nell�interpretazione datane dai giudici parlermitani, infatti, sarebbe sufficiente 
la mera comunicazione di tale volont�, per poter legittimamente estendere 
l�efficacia della concessione demaniale anche al periodo invernale. 

Adottando, dunque, la prospettiva dell�Amministrazione al momento del 
rilascio e/o del rinnovo di una concessione demaniale, la posizione del Collegio 
giudicante � nel senso che questa non potrebbe comprimere un �diritto�, 
che la legge riconosce espressamente al concessionario, imponendo clausole 


che obblighino quest�ultimo a smontare le attrezzature nel periodo invernale, 
stabilendo la sanzione della decadenza dalla concessione a presidio dell�adempimento 
di tale obbligo. Al contrario, una volta rilasciata la concessione, questa, 
anche se limitata temporalmente al periodo estivo, � suscettibile di essere 
estesa anche al periodo invernale sulla base della semplice comunicazione del 
concessionario, senza possibilit� per l�Amministrazione di valutare la perdurante 
compatibilit� tra l�interesse particolare alla destagionalizzazione e l�interesse 
pubblico alla tutela del demanio marittimo. 

Da un punto di vista squisitamente letterale, del resto, la norma applicata 
sembra chiara nell�abilitare i concessionari ad avvalersi della concessione demaniale 
in corso di validit� anche per lo svolgimento delle attivit� collaterali 
alla balneazione durante il periodo invernale, ritenendo sufficiente in tal senso 
la �previa comunicazione di prosecuzione dell�attivit��. 

Questo stato di cose, di per s�, non pone particolari interrogativi. La conformazione 
del rapporto tra cittadino e Amministrazione secondo logiche basate 
su modalit� relazionali che non prevedono un intervento espresso della 
seconda sono, all�evidenza, entrate a far parte stabilmente del moderno diritto 
amministrativo ormai da molto tempo. 

Si tratta, infatti, di moduli procedimentali che - partendo dall�idea per la 
quale una regolazione amministrativa invasiva delle attivit� economiche private 
� una strategia largamente perdente, poich� si pone contro l�esigenza di 
celerit� - ha spinto il legislatore a preferire forme di regolazione dell�iniziativa 
economica improntate tendenzialmente al principio della libert� di accesso e 
di svolgimento. 

In questo senso, le innumerevoli ipotesi di silenzio significativo e la 

s.c.i.a. costituiscono espressione di questo nuovo assetto delle relazioni tra 
amministrante e amministrato. 

In particolare, la disciplina della d.i.a. (oggi s.c.i.a.) - che la sentenza in 
commento pure richiama -, ponendosi in linea con la logica evidenziata, ha 
visto ridurre sempre pi� lo spazio riconosciuto all�Amministrazione, oggi ammesso 
solamente ex post e per un periodo di tempo limitato, decorso il quale 
l�intervento amministrativo � ammesso in ipotesi assolutamente eccezionali e 
previo esaurimento di rimedi alternativi. 

Tuttavia, adottando un prospettiva di sistema, bench� oggi l�istituto della 

s.c.i.a. goda di un ambito di applicazione molto vasto che interessa, anche trasversalmente, 
fattispecie tra loro molto diverse, sembra comunque possibile 
individuare alcuni �connotati indefettibili� dell�istituto in discorso, i quali, a 
parere di chi scrive, possono essere considerati espressione di regole generali 
che governano l�ormai silenzioso dialogo tra P.A. e privati. 

Un primo connotato riguarda la posizione del privato nei rapporti con 
l�Amministrazione. � un dato largamente acquisito, infatti, che lo schema 
norma-fatto-effetto, comportando una prevalenza della sfera della libert� pri



vata rispetto alla sfera autoritativa dell�agire amministrativo, � ammissibile 
solo ove la situazione giuridica che il privato intenda esercitare - e per la quale 
segnala il suo esercizio - appartenga gi� al di lui patrimonio (in senso giuridico, 
ovviamente). Nonostante, a seguito delle recenti modifiche dell�art. 19, 

L. n. 241/90, il Legislatore abbia apertamente escluso il carattere propriamente 
autorizzatorio della s.c.i.a., non si pu� non considerare come tale istituto rimanga, 
nei fatti, un potente strumento abilitativo per il privato il quale, salva 
la responsabilit� penale per la mendacit� delle autodichiarazioni, a seguito 
della segnalazione, � messo nelle condizioni di poter esercitare, ad esempio, 
la libert� di iniziativa economica che gi� la Costituzione gli riconosce. Non vi 
�, dunque, l�attribuzione di alcuna nova utilitas, bens� il venir meno di �ostacoli� 
all�esercizio di una libert� di cui il privato � gi� titolare. 

In secondo luogo - ed in diretta conseguenza di ci� che si � detto - lo stesso 
art. 19, co. 1, L. n. 241/90 espressamente esclude dall�ambito di applicazione 
della s.c.i.a. i casi in cui, per l�esercizio di una determinata attivit�, sia necessario 
un atto per il cui rilascio non sia sufficiente il semplice accertamento dei 
presupposti richiesti dalla legge. Al di l� dell�applicabilit� diretta della s.c.i.a. 
alla fattispecie concreta considerata nel presente scritto - la quale certamente � 
da escludere - il riferito art. 19, co. 1, pu� essere considerato come espressione 
di un principio generale in tema di operativit� dello schema �norma-fattoeffetto�; 
ci� che si vuole sostenere, in altri termini, � che una tale logica �procedimentale� 
pu� presiedere al rapporto tra Amministrazione e privato solo 
qualora la prima sia chiamata a svolgere una funzione meramente ricognitiva 
dei presupposti richiesti dalla legge. Ove, al contrario, all�Amministrazione si 
demandasse l�esercizio di competenze ulteriori, si fuoriuscirebbe dalla dinamica 
�norma-fatto-effetto� per entrare nello schema �norma-potere-effetto�. 

Tale modello, al contrario del precedente, � intimamente connesso alla 
stessa nozione di discrezionalit� amministrativa: immanente ad esso �, dunque, 
la ponderazione di interessi di diversa natura e �segno� con l�interesse pubblico 
primario. La funzione di controllo affidata all�amministrazione �, ovviamente, 
maggiormente vicina a tale schema. 

�, cio�, la ponderazione tra opposti interessi che impone un intervento 
dell�Amministrazione a composizione del riferito contrasto, avendo come 
scopo la cura dell�interesse pubblico secondo principi di proporzionalit�. 

Le superiori affermazioni vanno, dunque, applicate in riferimento al rapporto 
tra demanio marittimo e relativa concessione. 

4. Il demanio marittimo e le concessioni demaniali. 

Con riferimento al demanio marittimo, pi� che al semplice aspetto definitorio, 
in questa sede bisogna volgere lo sguardo alla funzione che esso assolve 
nel quadro della ricerca e della tutela dell�interesse pubblico alla sua 
fruizione. 


Nella ricostruzione di tale profilo, certamente non inedito, meritano di 
essere richiamate le pi� recenti acquisizioni cui � pervenuta la giurisprudenza, 
giovandosi di rimarchevoli contributi dottrinali. 

Il riferimento �, in particolare, alla notissima SS.UU. Cassazione Civile, 

n. 3665/2011, la quale ha posto le basi per la costruzione di un nuovo paradigma 
di �demanio�. 

In tempi di attenzione ai rigori di bilancio e contabilizzazione dei valori 
ambientali e culturali, la Cassazione ha attinto a piene mani ad una concezione 
lato sensu giusnaturalistica del demanio, capace di svincolarsi dalla tradizionale 
e formalistica classificazione tassativa prevista dalla legge, per diventare 
strumento di realizzazione e soddisfazione dei bisogni della persona umana. 

In particolare, nella menzionata sentenza, si osserva come, dagli artt. 2, 
9 e 42 Cost., si ricavi il principio della �tutela della umana personalit� e del 
suo corretto svolgimento nell'ambito dello Stato sociale�, anche nell'ambito 
del "paesaggio", con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per 
classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della 
"propriet�" dello Stato, ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente 
da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca 
natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione 
dell'intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento 
degli interessi della collettivit�. 

L�interpretazione sistematica di cui si discute, per� - anche grazie all�influsso 
della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo - si � 
lasciata alle spalle l�asettica nozione illuministica di �soggetto� per porre al 
proprio centro la nozione di �persona umana�, da rendere effettiva, oltre che 
con il riconoscimento di diritti inviolabili, anche mediante "adempimento dei 
doveri inderogabili di solidariet� politica, economica e sociale"; emerge, cos�, 
l'esigenza interpretativa di guardare al tema dei beni pubblici oltre una visione 
prettamente patrimoniale-proprietaria per approdare ad una prospettiva personale-
collettivistica. 

Tale mutamento paradigmatico, tuttavia, passa per una riqualificazione 
del soggetto che, formalmente, � il titolare del demaine, cio� lo Stato. 

Invero, pi� che allo Stato-apparato, quale persona giuridica pubblica individualmente 
intesa, deve farsi riferimento allo Stato-collettivit�, quale ente 
esponenziale e rappresentativo degli interessi della collettivit� e quale ente preposto 
alla effettiva realizzazione di questi ultimi. In questo modo si approda ad 
una nuova �demanialit��, intesa come �duplice appartenenza alla collettivit� 
ed al suo ente esponenziale, dove la seconda [n.d.r. demanialit�] (titolarit� del 
bene in senso stretto) si presenta, per cos� dire, come appartenenza di servizio 
che � necessaria, perch� � questo ente che pu� e deve assicurare il mantenimento 
delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la loro fruizione�. 

La prospettiva test� adottata, allora, permette di comprendere meglio la 


particolarit� della concessione demaniale (data dal peculiare scopo che la potest� 
amministrativa corrispondente assolve). 

Bench� l�indagine attorno alla natura dello strumento concessorio sia stata 
al centro di un secolare dibattito dottrinale - sul quale, pi� recentemente, ha 
influito notevolmente anche la prospettiva marcatamente economica del diritto 
europeo - pare potersi sostenere, alla luce della premessa fatta in merito alle 
caratteristiche del demanio marittimo, che la concessione demaniale marittima, 
rispetto alle altre tipologie di concessione (ad es. la concessione di servizi), 
conservi una connotazione fortemente dipendente dalle peculiarit� del bene 
pubblico che ne forma l�oggetto. 

Pi� nel dettaglio, alla concessione demaniale non pu� essere sic et simpliciter 
ricollegata la funzione di permettere lo sfruttamento economico di un bene 
ma, riprendendo la concezione tradizionale, si deve rivendicare la sua identit� 
di strumento attraverso il quale l�Amministrazione attribuisce al concessionario 
utilitates che esulano dalla di lui sfera giuridica e che appartengono all�Amministrazione 
medesima, nell�esercizio, insomma, di un potere discrezionale. 

Orbene, essendo l�Amministrazione la titolare del bene demaniale, al momento 
della distrazione di tale bene dalla sua naturale destinazione all�uso generale, 
essa deve poter essere in grado di effettuare una valutazione ad ampio 
spettro della compatibilit� tra uso particolare e interesse demaniale, quest�ultimo 
da intendersi nell�accezione sopra delineata. 

Ove si disconoscesse il potere/dovere dell�Amministrazione, intesa quale 
ente esponenziale della collettivit�, di esercitare tale valutazione discrezionale, 
tanto al momento del rilascio della concessione, quanto durante il rapporto concessorio, 
si si porrebbe insanabilmente in contrasto con la ricostruzione delle 
SS.UU. ut supra descritta, che, al contrario, impone - rimarcando la doverosit� 
della bona gestio - un perdurante controllo e la costante cura del bene demaniale, 
il quale, come detto, assume un ruolo fondamentale per la piena realizzazione 
della personalit� di ciascun consociato e non del solo concessionario. 

5. Non sussumibilit� del modello concessorio demaniale nello schema 
�norma-fatto-effetto�. 

Enucleate le magmatiche regole di sistema che governano la materia de 
qua, pare potersi procedere alla soluzione del problema affrontato, cercando 
di giustapporre le diverse considerazioni fin qui condotte in merito, da un lato, 
al modello norma-fatto-effetto, e dall�altro, alle connotazioni della concessione 
demaniale. 

Tirando le fila del discorso pare, infatti, possibile escludere un�applicazione 
indiscriminata del modulo norma-fatto-effetto alle concessioni demaniali, 
tanto nella fase del loro rilascio, quanto nella fase della conformazione 
delle facolt� del concessionario, quanto ancora nella fase della gestione del 
rapporto di concessione. 


In primo luogo, osta l�endemica incompatibilit� tra l�essenza traslativa della 
concessione e la qualit� latamente autorizzatoria del modello liberalizzatorio. 

Con la prima, infatti, l�Amministrazione trasferisce in capo al privato un 
diritto o una posizione di vantaggio al concessionario, senza per� privarsi del 
potere di riappropriarsene; con la seconda, al contrario, la legge rimuove una 

o pi� barriere interposte tra il privato e l�esercizio di un diritto o di un�utilit� 
di cui egli � gi� titolare. 

In secondo luogo, le caratteristiche del demanio impongono, per le ragioni 
sopra esposte, che l�Amministrazione valuti la compatibilit� tra uso particolare 
e uso generale. 

Con riferimento espresso alla fattispecie da cui ha preso spunto questo 
commento, ammettere la compressione delle legittime attribuzioni dell�Amministrazione, 
significherebbe impedire, nei fatti, l�esercizio della discrezionalit� 
alla stessa demandata dalla legge e che alla stessa riconosce, in chiave 
funzionalistico/umanistica, la pi� recente giurisprudenza. 

Pertanto, in sede di rilascio di una concessione, l�Amministrazione, ove 
ritenga che la compatibilit� tra uso particolare e uso generale possa essere assicurata 
solo limitando l�efficacia della concessione al periodo estivo, deve 
potere inserire un�apposita clausola nel titolo concessorio che imponga al privato 
lo smontaggio della struttura al termine del periodo balneare e, in caso di 
contravvenzione all�obbligo cos� imposto, deve poter intervenire con un provvedimento 
inibitorio. 

Come, allora, conciliare l�apparente tranciante portata della norma regionale 
- che parla di �comunicazione� del privato - con la permanenza di un potere 
discrezionale in capo all�Amministrazione? 

a) una prima soluzione - e anche la pi� semplice - potrebbe indurre a qualificare 
l�utilizzo del termine �comunicazione� come una svista del legislatore. Un 
tale argomento - certo supportato dalla sempre pi� scadente tecnica di redazione 
legislativa lamentata dalla dottrina - non ha per� autonoma capacit� probante; 

b) volendo, al contrario, ritenere intenzionale la scelta del legislatore, potrebbe 
sostenersi che quest�ultimo minus dixit quam voluit. In altre parole, il 
legislatore, da un lato, ha ammesso una oggettiva semplificazione dei rapporti 
tra concedente e concessionario, abilitando quest�ultimo alla destagionalizzazione, 
previa comunicazione di tale intenzione e, dall�altro, ha fatto salvo il 
potere, comunque irrinunciabile, della P.A. di intervenire se, a seguito delle 
proprie valutazioni, ritenga e adeguatamente motivi l�inopportunit� di assentire 
la destagionalizzazione per contrasto tra il prospettato interesse particolare e 
l�uso generale. 

Questa seconda soluzione sembra certamente preferibile. 

In primo luogo, come anticipato, si garantisce l�utilit� del dato testuale, 
senza per� rinunciare alla possibilit� che, ove ritenuto opportuno, l�Amministrazione 
intervenga a salvaguardia del litorale concesso. 


In secondo luogo, tale ricostruzione della normativa applicabile non impedisce 
che l�Amministrazione, sempre secondo una valutazione di opportunit� 
alla stessa demandata, possa conformare il contenuto concreto di una 
concessione demaniale all�esito della riferita ponderazione, con la conseguenza 
che, come successo nella fattispecie oggetto del commento, nulla osta 
a che l�Amministrazione inserisca nel corpo della concessione una clausola 
che imponga al concessionario lo smontaggio dello stabilimento al termine 
della stagione balneare. 

In terzo luogo, alcune utili indicazioni provengono altres� dalla giurisprudenza 
amministrativa siciliana e non solo. In ambito prettamente regionale, 
infatti, il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, all�atto 
di applicare la norma di cui all�art. 2, L.r. n. 15/2005, pur senza lanciarsi 
in obiter dicta in merito alla portata della medesima, ha tassativamente escluso 
che da essa discenda un limite e/o una compressione delle attribuzioni del-
l�Amministrazione. 

Pertanto, all�evidenza, la considerazione finale che si ritiene di poter 
trarre, oltre alle conclusioni gi� ampiamente argomentate, riguarda il delicatissimo 
ruolo del giudice: come osservato da attentissima dottrina, in un periodo, 
quale quello attuale, in cui il diritto amministrativo predilige, per 
salvaguardia di superiori e - purtroppo - irrinunciabili imperativi economici, 
moduli procedimentali in cui l�intervento pubblico espresso assume carattere 
recessivo, il giudice deve poter assicurare quella sensibilit� che permetta di 
mediare le scelte di stimolo all�economia con l�insacrificabile tutela dei fondamentali 
interessi pubblici collettivi. 

Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Palermo, Sezione I, sentenza 25 luglio 
2013, n. 1543 -Pres. ff. Cabrini, Est. Tulumello - Playa Bonita s.a.s. & C. (avv. Spatafora) c. 
Presidenza della Regione Siciliana - Assessorato Regionale Territorio e Ambiente (avv.distr. 
Stato). 

�L�art. 2, co. II, L.r. Sic. n. 15/05 � disposizione che, nell�evidente intento di favorire lo 
sviluppo delle attivit� turistiche anche oltre il consueto orizzonte temporale, ha operato una 
estensione ex lege dei relativi titoli abilitativi, privando l�autorit� preposta al rilascio di tali 
concessioni del potere di subordinare tale estensione ad una valutazione discrezionale propriamente 
intesa; e ci� perch� i concessionari, sulla base del testo di tale norma, possono 
avvalersi �della concessione demaniale in corso di validit�, delle licenze e delle autorizzazioni 
di cui sono gi� in possesso per le attivit� stagionali estive�. 

1. Con ricorso notificato il 14 giugno 2013, e depositato il successivo 4 luglio, la societ� ricorrente 
ha impugnato il decreto del Dirigente Generale dell'Assessorato Regionale Territorio 
e Ambiente, recante il n. 316 del 30/04/2013, con cui alla societ� stessa � stata "dichiarata de-
caduta, ai sensi dell'art. 47, lettere c) ed f) del C.N. e dell'art. 26 del R.C.N.", la concessione 
demaniale marittima n. 193/2012 del 17/05/2012, rilasciata alla ricorrente per realizzare uno 
stabilimento balneare ad uso pubblico�. 


Si � costitutita in giudizio, per resistere al ricorso, l�amministrazione regionale intimata, senza 
peraltro svolgere difese scritte, n� produrre documentazione. 
Con decreto monocratico n. 467 del 9 luglio 2013, � stata accolta la domanda di sospensione 
cautelare degli effetti del provvedimento impugnato. 
All�udienza camerale del 24 luglio 2013, il ricorso � stato trattenuto in decisione sulla domanda 
cautelare. 
Il Collegio ritiene di potere adottare la tipologia di provvedimento decisorio di cui all�art. 60 

d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104, in ragione della ritualit� delle modalit� di instaurazione del contraddittorio 
e della completezza dello stesso, nonch� della superfluit� di ulteriore istruzione 
della causa e comunque dell�assenza delle cause ostative previste dal citato art. 60. 

2. Il provvedimento impugnato ha pronunciato la decadenza dalla concessione demaniale marittima 
sulla base del preteso inadempimento consistito nel non aver smontato le attrezzature 
balneari nel periodo invernale. 
Contro tale provvedimento la societ� ricorrente deduce �Eccesso di potere per contraddittoriet� 
del comportamento dell�azione amministrativa. Violazione di legge in riferimento alla Legge 
26.02.2010 n. 25. Violazione di legge in materia di aziende turistico-balneari. Illegittimit� del-
l�azione amministrativa. Difetto di motivazione. Illegittimit� dell�azione amministrativa anche 
per violazione della legge 241/90, cos� come recepita dalla Regione Siciliana n. 10/1991�. 
In fatto, la ricorrente deduce di avere mantenuto le attrezzature balneari previa comunicazione 
di tale attivit� all�amministrazione, ai sensi dell�art. 2 della l.r. 15/2005. 
3. Osserva il Collegio, in sede di ricostruzione della disciplina applicabile, propedeutica alla 
decisione del ricorso, che il citato articolo 2 era stato in un primo momento abrogato dall�art. 
11, comma 47, L.R. 9 maggio 2012, n. 26; successivamente detto comma 47 � stato abrogato, 
a sua volta, dall�art. 12, L.R. 10 agosto 2012, n. 47: che, in pari tempo, ha disposto, in conseguenza 
della suddetta abrogazione, la reviviscenza, con la medesima decorrenza, della disposizione 
originariamente abrogata (�Il comma 47 dell'articolo 11 della legge regionale 9 maggio 
2012, n. 26 � abrogato, e per gli effetti rivivono l'articolo 2 ed i commi 2 e 3 dell'articolo 3 
della legge regionale 29 novembre 2005, n. 15�). 
La disciplina richiamata � chiara nell�evidenziare l�estensione annuale del titolo concessorio, 
previa comunicazione di prosecuzione dell'attivit�. 
La sentenza n. 2257/2011 di questa Sezione (confermata con sentenza del C.G.A. n. 782/2012), 
citata nella motivazione del provvedimento impugnato a sostegno dell�interpretazione ivi sostenuta, 
non ha affatto proposto una diversa ricostruzione in diritto, tale da legittimare l�esistenza 
di un potere discrezionale circa il prolungamento ultra-stagionale delle attivit� oggetto 
della concessione: ma, in una fattispecie del tutto peculiare, caratterizzata dalla riscontrata mancanza 
di un provvedimento di altra amministrazione relativo alla compatibilit� con un interesse 
pubblico diverso da quello curato dall�autorit� preposta alla gestione del demanio marittimo, 
ha rilevato che la parte ricorrente non si era ritualmente munita di tale provvedimento. 
La stessa sentenza, del resto, ricorda che con ordinanza cautelare n. 785/2010 era stata sospesa 
l�efficacia del provvedimento impugnato; tale ordinanza � motivata con riferimento al rilievo 
che il �ricorso appare supportato da sufficiente fumus boni iuris, avuto riguardo al tenore della 
norma di cui all�art. 2 della legge regionale 15/2005, per come gi� interpretata da questo Tribunale, 
ed alla concreta scansione del procedimento amministrativo seguito alla comunicazione 
della ricorrente di prosecuzione dell�attivit��. 
Il successivo rigetto, nel merito, del ricorso, consegue dunque ad una specifica e peculiare 
vicenda procedimentale, e non esprime pertanto un principio estensibile ad altre e diverse si





tuazioni e, soprattutto, generalizzabile nel senso di una lettura della disposizione regionale in 
commento che si risolva in una interpretatio contra legem. 


4. Quanto alle modalit� di produzione dell�effetto giuridico abilitativo (l�estensione ultra-stagionale 
del titolo), la fattispecie in esame ricalca lo schema norma-fatto-effetto, laddove il 
provvedimento impugnato, al punto c) della motivazione, pretende di rivendicare un potere 
discrezionale in materia (schema: norma-potere-effetto; la distinzione, elaborata da autorevole 
dottrina, � richiamata da Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 9 febbraio 2009, n. 717, in materia 
di d.i.a.: �la legittimazione del privato all�esercizio dell�attivit� non � pi� fondata, infatti, 
sull�atto di consenso della P.A., secondo lo schema �norma-potere-effetto�, ma � una legittimazione 
ex lege, secondo lo schema �norma-fatto-effetto�, in forza del quale il soggetto � 
abilitato allo svolgimento dell�attivit� direttamente dalla legge, la quale disciplina l�esercizio 
del diritto eliminando l�intermediazione del potere autorizzatorio della P.A.�). 
Il Collegio non ignora che la citata decisione del CGA, n. 782/2012, contiene invece un�affermazione 
di segno diverso: �la legge citata demanda pur sempre all�Amministrazione una valutazione 
circa la compatibilit� del protrarsi dell�occupazione con gli interessi pubblici coinvolti�. 
Lo stesso C.G.A. sembra avere per� successivamente operato un revirement giurisprudenziale: 
confermando, con l�ordinanza n. 312/2013, l�ordinanza di questa Sezione n. 223/2013, nella 
quale si � affermato, accogliendo la domanda cautelare proposta contro un provvedimento 
analogo a quello oggetto del presente giudizio, che �l�art. 2 della l.r. n. 15/2005 (�.) presuppone 
una comunicazione e non una autorizzazione�. 
Al di l� di tale dato, tuttavia, � l�esegesi della disposizione in esame ad apparire inconciliabile 
con l�affermazione di una produzione di effetti giuridici collegata all�esercizio del potere e 
non alla legge. 
5. La disciplina legale della fattispecie � identica, sotto questo punto di vista, alla fattispecie 
prevista dall�art. 20, primo comma, della legge regionale n. 4 del 2003, che ha stabilito che 
�In deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggetti a concessioni e/o autorizzazioni 
n� sono considerati aumento di superficie utile o di volume n� modifica della sagoma 
della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a 
metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l'acquisizione 
preventiva del nulla-osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali 
nel caso di immobili soggetti a vincolo�. 
In relazione a tale disposizione, la sentenza n. 2989/2006 di questo T.A.R. che, utilizzando le 
medesime categorie successivamente valorizzate dalla citata decisione n. 717/2009 del Consiglio 
di Stato, aveva gi� affermato che �Nella definizione legale delle facolt� edificatorie del 
proprietario viene dunque esclusa l�intermediazione di un potere amministrativo il cui esercizio 
produca un effetto costitutivo sulla posizione giuridica del titolare del diritto dominicale, 
secondo lo schema norma-fatto-effetto. 
Ne consegue che il provvedimento con il quale l�amministrazione comunale qualifichi diversamente 
le opere in questione, rispetto alla comunicazione effettuata al proprietario, non ha 
effetto conformativo sul regime delle opere stesse, e sul contenuto del diritto immobiliare. 
Si tratta di un atto avente natura dichiarativa inidoneo, se non impugnato, ad alterare il contenuto 
della propriet� edilizia, siccome direttamente individuato dalla fonte legale: tanto che lo stesso 
provvedimento comunale di cui concretamente si discute nel caso di specie (nota prot. 13595 
del 30 giugno 2004), ha il seguente contenuto testuale: �Con la presente si riferisce che la comunicazione 
in oggetto non produce nessuno effetto in quanto le opere che intende regolarizzare, 
per i motivi sopra esposti, non rientrano tra quelle previste dall�art. 20 della L.R. 4/2003�. 





Si tratta di una dichiarazione con la quale l�amministrazione mostra di non voler ritenere efficace 
la comunicazione ex art. 20, non condividendo la qualificazione delle opere che ne 
sono oggetto: un simile dichiarazione, non incidendo sul regime giuridico dell�area (come 
avviene nel caso di diniego di provvedimento abilitativo), non produce alcun effetto lesivo 
nella sfera giuridica dell�interessato, che non � dunque onerato della sua impugnazione, essendo 
direttamente la legge la fonte del diritto di edificare (nella misura in cui la fattispecie 
concreta sia ricompresa nell�ambito di quella astratta)�. 
In detta sentenza si � pure osservato, a proposito della disposizione oggetto di quel giudizio, 
che �si tratta di una norma marcatamente liberalizzatrice, espressione di una politica urbanistica 
che opera un forte depotenziamento del controllo comunale sulle attivit� edilizie (che 
sotto questo profilo pu� essere oggetto di valutazioni critiche e di preoccupazioni delle amministrazioni 
locali in punto di difesa del territorio da usi incompatibili), ma che nel suo tenore 
letterale, e nei suoi effetti applicativi, � oltremodo chiara�. 


6. Valutazioni di identico tenore, evidentemente anche problematico, vanno ripetute con riferimento 
all�art. 2 della l.r. 15/2005. 
Si tratta di una disposizione che, nell�evidente intento di favorire lo sviluppo delle attivit� turistiche 
anche oltre il consueto orizzonte temporale, ha operato una estensione ex lege dei relativi 
titoli abilitativi (non solo demaniali), privando l�autorit� preposta al rilascio di tali 
concessioni del potere di subordinare tale estensione ad una valutazione discrezionale propriamente 
intesa: dal momento che i concessionari possono avvalersi �della concessione demaniale 
in corso di validit�, delle licenze e delle autorizzazioni di cui sono gi� in possesso 
per le attivit� stagionali estive�. 
Dal che si ricava che non solo il titolo demaniale, ma anche quelli relativi ad interessi pubblici 
concorrenti, ove rilasciati, mantengono la loro efficacia e validit� non solo per il periodo 
estivo, ma per tutto l�anno; il che, per alcuni di essi, appare del resto ragionevole, posto che 
l�esito positivo della valutazione di compatibilit� fra interessi pubblici e interesse privato cui 
� subordinato il rilascio di tali titoli non soggiace, salvo specifiche e peculiari situazioni, ad 
un orizzonte temporale stagionale: si pensi alla valutazione di compatibilit� estetico-culturale, 
che, ove operata positivamente, non si presta di regola a differenti declinazioni riferite a diversi 
periodi del medesimo anno). 
Naturalmente questo assetto normativo indebolisce, anche in modo problematico, il controllo 
amministrativo sulle attivit� private esercitate sul demanio marittimo, perch� riduce drasticamente, 
in esito ad una precisa scelta politica del legislatore regionale, i poteri dell�autorit� 
pubblica competente alla gestione del demanio marittimo (peraltro, con riferimento al solo 
profilo dell�estensione temporale): il che, tuttavia, e con tutte le riserve possibili, non costituisce 
una valida ragione per praticare una interpretazione della disposizione in esame contraria 
al suo significato normativo e al suo chiaro tenore testuale. 
7. All�amministrazione rimane dunque un �potere di verifica circa la effettiva ascrivibilit� 
delle attivit� collaterali che il concessionario intende svolgere al novero ristretto delle ipotesi 
in cui l�art. 1 della stessa legge n. 15/2005 consente l�esercizio di attivit� sui beni demaniali 
marittimi� (C.G.A., 782/2012, cit.). 
In relazione a questo profilo, l�art. 1 della L. R. 19 aprile 2007, n. 10, ha stabilito che �Le disposizioni 
di cui al comma 3 dell'articolo 2 della legge regionale 29 novembre 2005, n. 15, si 
applicano a tutte le fattispecie previste dall'articolo 1 della medesima legge� (vale a dire a: 
gestione di stabilimenti balneari e di strutture relative ad attivit� sportive e ricreative; esercizi 
di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio; costru





zione, assemblaggio, riparazione, rimessaggio anche multipiano, stazionamento, noleggio di 
imbarcazioni e natanti in genere, nonch� l'esercizio di attivit� di porto a secco, cantieri nautici 
che possono svolgere le attivit� correlate alla nautica ed al diporto, comprese le attivit� di 
commercio di beni, servizi e pezzi di ricambio per imbarcazioni; esercizi diretti alla promozione 
e al commercio nel settore del turismo, dell'artigianato, dello sport e delle attrezzature 
nautiche e marittime; porti turistici, ormeggi, ripari, darsene in acqua o a secco, ovvero ricoveri 
per le imbarcazioni e natanti da diporto). 
Infine l�art. 2, comma 1, della citata legge regionale n. 10/2007 ha stabilito che �I manufatti 
precari esistenti sul demanio marittimo, destinati all'esercizio delle attivit� di cui alle lettere 
a) e b) del comma 1 dell'articolo 1 della legge regionale 29 novembre 2005, n. 15, realizzati 
alla data del 2 dicembre 2005, oggetto di concessione demaniale marittima e che siano stati 
riconosciuti conformi agli strumenti urbanistici alla stessa data vigenti, possono essere autorizzati 
anche in deroga ai parametri di altezza, sagoma, cubatura, superficie coperta e fronte 
mare, previsti dai Piani di utilizzo delle aree demaniali marittime approvati con decreto del-
l'Assessore regionale per il territorio e l'ambiente�. 


8. Una esegesi di tali disposizioni � contenuta nella citata ordinanza n. 223/2013 di questa 
Sezione (confermata, come ricordato, dalla pure richiamata ordinanza n. 312/2013 del 
C.G.A.), che ha in proposito chiarito che l�art. 2 della l.r. n. 15/2005 �appare applicabile non 
solo agli stabilimenti balneari, ma anche alle spiagge libere attrezzate ed alle aree attrezzate, 
in considerazione della esigenza di favorire la prosecuzione della gestione�. 
Ne consegue che l�autorit� preposta alla gestione del demanio marittimo nell�esercizio del potere 
di autotutela non pu� legittimamente annullare o revocare la concessione demaniale per non avere 
il concessionario ottemperato a un provvedimento (il diniego di de-stagionalizzazione delle attivit� 
suddette) che non � previsto dalla legge come tipologia provvedimentale, proprio perch� la legge 
stessa esclude un potere condizionante l�esercizio delle relative facolt� dei concessionari. 
Si tratta, all�evidenza, di due piani diversi e non sovrapponibili: l�amministrazione pu� sempre, 
acquisendo fatti ed interessi tali da incidere sulla perdurante conformit� alla legge e all�interesse 
pubblico dell�assetto d�interessi fissato dalla concessione demaniale, agire in autotutela 
rispetto a tale concessione; ma non pu� utilizzare, quale fatto legittimante la revoca o l�annullamento, 
l�asserito inadempimento consistente nella mancata ottemperanza al diniego di 
de-stagionalizzazione, giacch� in tale fattispecie � la legge stessa che conforma (in senso abilitante) 
le facolt� del concessionario, sicch� nessun inadempimento agli obblighi derivanti 
dalla concessione pu� essergli imputato. 
Porre alla base dell�esercizio dell�autotutela la mancata osservanza di un provvedimento che 
non avrebbe potuto essere emanato, significa vanificare gli effetti della norma di legge che 
direttamente abilita il concessionario alla de-stagionalizzazione, escludendo un concorrente 
potere abilitante dell�amministrazione. 
9. Nel caso di specie gli elementi allegati (compatibilit� ambientale, ed altro) sono stati dal-
l�amministrazione ritenuti ostativi al mantenimento della concessione non ex se, ma in quanto 
gi� posti a fondamento del diniego di destagionalizzazione, cui il concessionario non si � adeguato 
ritenendo perfezionata la fattispecie abilitante con l�invio della comunicazione. 
Il citato art. 2 ha disciplinato, in ambito regionale, una intera tipologia provvedimentale, conformando 
ex lege l�assetto dei relativi interessi, sicch� rispetto alla volont� del concessionario 
di prolungamento diacronico degli effetti del titolo l�eventuale provvedimento di diniego, propedeutico 
al riscontro di un preteso inadempimento del concessionario, � - per quanto finora 
argomentato - tamquam non esset. 



10. Nonostante il tema sia ampiamente sviluppato in ricorso, appare secondario nella presente 
fattispecie il profilo della proroga legale della concessione demaniale marittima. 
In ogni caso il Collegio non pu� che ribadire in proposito quanto gi� chiarito nella motivazione 
dell�ordinanza n. 223/2013 (sopra richiamata), nel senso che �le concessioni demaniali marittime 
presupposte sono state prorogate ex art. 1, comma 18, del d.l. 194/2009, nel testo vigente, 
come riconosciuto dalla Giunta regionale con la delibera n. 397/2012�. 
N�, � il caso di aggiungere, la Giunta regionale avrebbe potuto fare diversamente: posto che le 
regioni, anche ad autonomia speciale, non sono titolari di alcun titolo competenziale in una materia 
che, incidendo direttamente sulla tutela della concorrenza, � di competenza esclusiva statale. 
Nella specie, peraltro, la rilevanza teorica di un ipotetico spazio per l�intervento normativo regionale 
� ulteriomente e definitivamente preclusa dalla circostanza che il citato decreto-legge 


n. 194/2009, convertito dalla legge 25/2010, presenta profili rilevanti in relazione all�adattamento 
al diritto dell�U.E., in quanto la fissazione di un termine certo per l�apertura al mercato 
delle concessioni demaniali marittime, in esso contenuta, ha costituito oggetto di valutazione 
nell�ambito della procedura di infrazione n. 2008/4908, chiusa in data 27 febbraio 2012 per 
effetto dell�emanazione dell�articolo 11 della legge n. 217/2011 (legge comunitaria 2010). 
Successivamente, l�articolo 34-duodecies del D.L. n. 179/2012, novellando l�articolo 1, 
comma 18, del D.L. n. 194/2009, ha disposto la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni 
demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del D.L. 
n. 194/2009) ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015. 
Infine, l�articolo 1, comma 547 della legge n. 228/2012 (legge di stabilit� 2013) ha esteso le 
previsioni dell�articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, come sopra modificato, alle concessioni 
aventi ad oggetto il demanio marittimo, per concessioni con finalit� sportive; il demanio 
lacuale e fluviale per concessioni con finalit� turistico-ricreative e sportive; i beni 
destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto. 
Ne consegue che la disciplina statale relativa alla proroga del termine di scadenza delle concessioni 
demaniali in essere non pu� che operare ope legis - in quanto, tra l�altro, necessaria 
ad assicurare un ragionevole e compatibile bilanciamento fra esigenze nazionali, non declinabili 
su scala regionale, e necessit� dell�apertura del settore al mercato imposte dal diritto 
dell�U.E. - anche in ambito regionale siciliano. 


11. Un ulteriore profilo di censura concerne il rapporto fra la disposizione in esame, e le concessioni 
demaniali marittime rilasciate dopo la sua entrata in vigore che contengano l�indicazione 
di una efficacia temporale limitata al periodo estivo. 
Il citato art. 2 subordina la prosecuzione della attivit� oltre il periodo estivo all'inoltro di apposita 
comunicazione all'autorit� concedente. 
Conseguentemente la circostanza che la concessione avesse una durata limitata alla stagione 
estiva e onerasse il titolare della dismissione degli impianti alla fine della stessa, non ha alcun 
rilievo contrario. 
Al concessionario � attribuita, dalla legge, la titolarit� di una facolt� di estensione temporale; 
egli pu� valutare sulla convenienza di una prosecuzione della gestione dello stabilimento oltre 
il limite temporale previsto dalla concessione, e pu�, o meno, esercitare tale facolt�. 
Nel secondo caso la concessione segue la scadenza naturale indicata nel provvedimento stesso 
(la funzione di tale indicazione ha dunque certamente un senso per l�ipotesi di mancato invio 
della comunicazione ex art. 2 l.r. 15/2005). 
Nel primo caso, invece, il concessionario che decida di proseguire nelle attivit� oltre il termine 
della stagione estiva, � titolare di una facolt� riconosciuta direttamente dalla legge, cosicch� 





inoltrata la comunicazione e perfezionata la fattispecie si ha una modifica successiva - per effetto 
della fattispecie complessa costituita dalla previsione legale, e dalla comunicazione del 
concessionario che manifesta la volont� di avvalersene - del titolo in punto di durata. 
In tale evenienza l�amministrazione mantiene il potere-dovere di verificare, come gi� chiarito, 
l�ascrivibilit� delle attivit� collaterali che il concessionario intende svolgere al novero delle 
ipotesi di cui all�art. 1 della stessa legge n. 15/2005. 
L�efficacia della disposizione che stabilisce la de-stagionalizzazione delle attivit� sul demanio 
marittimo non trova dunque un limite in simili clausole provvedimentali, che pertanto non 
devono essere oggetto di autonoma impugnazione da parte del concessionario che intenda destagionalizzare 
l�attivit�: non foss�altro che per la funzione cui le stesse adempiono nel contesto 
della ricostruzione normativa - come sopra delineata - di fissazione di una durata naturale 
dell�efficacia del titolo, prorogabile ad iniziativa del concessionario. 
Il senso dell�indicazione del termine finale (stagionale), non � dunque in contrasto con la facolt� 
legale di proroga ultra-stagionale: del resto lo stesso art. 2 cit. non avrebbe senso se non 
si applicasse a provvedimenti concessori con indicazione della scadenza al termine della stagione 
estiva, e conseguente obbligo di smontaggio delle strutture. 
Se infatti la concessione non prevedesse un limite temporale, il problema che la disposizione 
intende disciplinare neppure si porrebbe. 
N� pu� pensarsi - senza incorrere in una interpretazione irragionevole ed illogica - di subordinare 
l�applicazione di una chiara norma liberalizzatrice, che intende azzerare la discrezionalit� 
della P.A. in punto di estensione temporale degli effetti del titolo, alla espressa previsione nel 
titolo stesso del limite temporale oggetto dell�estensione disciplinata dalla norma in questione. 
Ci� �, evidentemente, pacifico per le concessioni rilasciate successivamente all�entrata in vigore 
dell�art. 2 della l.r. n. 15/2005: tanto che, per quelle rilasciate precedentemente, lo stesso 
art. 2 ha previsto un regime attuativo e transitorio. 


12. Infine, quanto alla circostanza relativa alla allegazione o meno, alla comunicazione ex 
art. 2 cit., della necessaria documentazione, il Collegio osserva che l�amministrazione, costituita 
in giudizio, non ha contestato l�affermazione della parte ricorrente circa l�effettiva allegazione 
di tale documentazione alla comunicazione in questione. 
In ogni caso, appare in argomento dirimente la fondatezza della censura che deduce la violazione 
della disciplina statale e regionale in materia di procedimento amministrativo, non 
avendo l�amministrazione invitato la parte ad integrare la documentazione eventualmente 
mancante [art. 6, comma 1, lett. b), l. 241/1990]. 
13. Il ricorso � pertanto fondato, e come tale dev�essere accolto. 
Sussistono le condizioni di legge, alla luce della non univocit� del delineato panorama giurisprudenziale, 
per disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio. 


P.Q.M. 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima) 
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l�effetto 
annulla il provvedimento impugnato. 
Spese compensate. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 24 luglio 2013. 


pareri co co
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Procedimento disciplinare: termini e segreto istruttorio in 
pendenza di procedimento penale per medesimi fatti illetici 

PARERE 14/02/2014-68988, CS 36967/2012, SEZ. III, AVV. FRANCESCO MELONCELLI 

Viene richiesto parere in merito al rapporto intercorrente fra i procedimenti 
disciplinari nell'ambito del pubblico impiego, cos� come previsti dagli 
artt. 55 ss. DLgs 30 marzo 2001, n. 165, ed i procedimenti penali aventi ad 
oggetto i medesimi fatti illeciti. In particolar modo viene richiesto se <<la 
cognizione, da parte dell'amministrazione, della condotta disciplinarmente 
rilevante (ai fini del conseguente obbligo di tempestiva instaurazione del relativo 
procedimento sanzionatorio) si realizzi esclusivamente con la comunicazione 
di tale condotta all'Ufficio competente per i procedimenti 
disciplinari, oppure si perfezioni gi� con l'accertamento operato da parte 
dell'organo ispettivo in sede di indagini, indipendentemente dall'eventuale 
obbligo di riserbo istruttorio>>. Ci� soprattutto nell�<<eventualit� in cui 
gli organi ispettivi di questa Agenzia - che ... nell�ambito della relativa attivit� 
istituzionale svolgono attivit� di polizia giudiziaria e sono forniti della relativa 
qualifica di ufficiali di P.G. - rilevino condotte dei dipendenti perseguibili 
non solo sotto profilo disciplinare ma anche sotto quello penale. In particolare, 
tale evenienza assume connotati di estrema delicatezza qualora la A.G. 
abbia delegato ... lo svolgimento delle attivit� di indagine allo stesso organo 
ispettivo denunciante. In tale situazione pu� dunque accadere che funzionari 
dell�Agenzia - i quali svolgano appunto attivit� investigative a seguito di delega 
dell�A.G. (cui abbiano precedentemente prodotto rapporti in ordine ad 
attivit� illecite rilevate nel corso dello svolgimento dei propri compiti istituzionali) 
- rilevino illeciti di natura penale attribuibili anche a dipendenti 
dell�Agenzia stessa ... Deve peraltro considerarsi che l�organo ispettivo, nel 
momento in cui rilevi a carico di personale dipendente condotte illecite e 
perseguibili tanto sotto il profilo penale che disciplinare, potrebbe - contestualmente 
all�invio del rapporto e/o della denuncia all�A.G. - decidere anche 


di informare comunque l�Ufficio competente per i procedimenti disciplinari. 

In tale evenienza, quest�ultimo Ufficio si troverebbe, in effetti, nella situazione 
di avere conoscenza della condotta disciplinarmente perseguibile, e 
di essere soggetto alla decorrenza dei termini previsti per l�apertura del relativo 
procedimento disciplinare>>. 

Con la trascritta richiesta di parere vengono, in realt�, sottoposte plurime 
questioni, l�una connessa all�altra. 

* * * 

In ordine logico, va chiarita, anzitutto, quella che riguarda l�individuazione 
del momento in cui l�amministrazione abbia conoscenza del fatto che 
potrebbe dar luogo all�apertura del procedimento disciplinare. 

In proposito, la soluzione al quesito va rinvenuta nel disposto dell�art. 55 
bis del DLgs 30 marzo 2001, n. 165, oltre che nei generali principi di rappresentanza 
organica e, quindi, d�imputazione all�amministrazione delle situazioni 
giuridiche oggettive di conoscibilit� in cui si trovino i titolari dei suoi 
organi. 

La disposizione normativa menzionata individua espressamente quale sia 
l�organo a cui � attribuita la titolarit� dell�esercizio del potere disciplinare: il 
responsabile, purch� abbia qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente 
lavora, allorquando <<� prevista l'irrogazione di sanzioni superiori 
al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione 
della retribuzione per pi� di dieci giorni>> ovvero, in tutte le altre ipotesi, 
<<l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari>>. 

Dopo aver attribuito la titolarit� dell�esercizio della potest� disciplinare 
in capo a specifici organi dell�amministrazione, il legislatore si � premurato 
d�indicare i termini perentori d�inizio e di conclusione del procedimento disciplinare. 
La perentoriet� si evince dall�ultimo periodo dei commi 2 e 4 del-
l�art. 55 bis citato: <<La violazione dei termini stabiliti nel presente comma 
comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare>> 
(questa � la formulazione del comma 2, quasi identica a quella del comma 4). 

I termini d�inizio del procedimento sembrano decorrere in funzione della 
competenza amministrativa ad esercitare l�azione disciplinare, ripartita secondo 
i criteri fissati nel comma 1 dell�art. 55 bis citato. I termini decorreranno, 
allora, dal momento in cui il responsabile, con qualifica dirigenziale, 
della struttura in cui lavora il dipendente abbia avuto <<notizia di comportamenti 
punibili con taluna delle sanzioni disciplinari>> (comma 2 dell�art. 55 
bis citato), per le infrazioni di minore gravit�, per le quali � prevista l'irrogazione 
di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione 
dal servizio con privazione della retribuzione per pi� di dieci giorni, ovvero, 
nelle altre ipotesi, dalla data di ricezione degli atti trasmessi all�ufficio competente 
per i procedimenti disciplinari ovvero dalla data nella quale l'ufficio 
stesso ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione (comma 4 dell�art. 55 bis 


citato). Fermo restando che, per il comma 3 dell�art. 55 bis menzionato, il responsabile 
della struttura che sia incompetente, con qualifica dirigenziale o 
no, deve trasmettere gli atti all�ufficio competente entro cinque giorni dal 
giorno in cui ha avuto conoscenza del fatto illecito, dandone comunicazione 
all�interessato (l�art. 66, comma 4, del contratto collettivo nazionale di lavoro 
relativo al personale del comparto delle Agenzia fiscali in vigore deve ritenersi 
abrogato nella parte in cui prevede che quel periodo sia di 10 giorni, per effetto 
degli artt. 67 e 69, comma 1, DLgs 27 ottobre 2009, n. 150, con cui � stato introdotto 
nel DLgs n. 165/2001 il citato art. 55 bis), si noti che, quando � competente 
l�ufficio appositamente istituito per i procedimenti disciplinari, rileva 
un duplice momento, alternativo: il momento della conoscibilit� dell�infrazione, 
decorrente dalla data di ricezione della notizia che � stata trasmessa da 
parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora oppure il momento 
della conoscenza effettiva dell�infrazione da parte dell�ufficio stesso, 
comunque acquisita. Quando titolare dell�esercizio dell�azione disciplinare 
sia, invece, unicamente il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura 
in cui il dipendente lavora, il termine decorre soltanto dal momento in cui 
egli abbia avuto conoscenza effettiva dei comportamenti punibili. La lieve discrasia 
temporale evincibile dal tenore letterale delle disposizioni normative pari 
a cinque giorni - sembra prevista dalla legge per garantire l�effettivo interscambio 
delle informazioni all�interno dell�organizzazione amministrativa 
e non appare perci� sacrificare irragionevolmente il diritto di difesa del lavoratore 
dipendente, perch�, per un verso, gli viene in ogni caso comunicata l�avvenuta 
trasmissione della notizia all�ufficio competente e, per altro verso, non 
mutano per lui i termini conclusivi perentori del procedimento disciplinare, 
come si sta per constatare. 

Per quanto concerne il termine perentorio di conclusione del procedimento 
disciplinare, il regime normativo � il seguente: quando competente all�esercizio 
dell�azione disciplinare sia il responsabile, con qualifica 
dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, il termine per concludere 
il procedimento disciplinare scade in via ordinaria, cio� salva restando 
l�eventuale proroga e/o sospensione e/o interruzione, entro sessanta giorni 
dalla contestazione dell�addebito, che a sua volta deve avvenire senza indugio 
o, al massimo entro venti giorni dalla notizia che il responsabile medesimo 
della struttura abbia dei comportamenti punibili; in sostanza, quindi, il procedimento 
deve concludersi, nell�ipotesi estrema, nel termine di ottanta giorni 
dalla conoscenza effettiva da parte del responsabile della struttura, che abbia 
qualifica dirigenziale (ancora una volta � da ritenersi superato l�art. 66, comma 
7, del citato contratto collettivo nazionale di lavoro). 

Quando invece l�azione disciplinare debba essere esercitata dall�ufficio 
competente per i procedimenti disciplinari, il termine di conclusione del procedimento 
decorre da quello anteriore tra i seguenti due momenti: 


- quello in cui l�ufficio stesso abbia avuto conoscenza effettiva dell�infrazione; 


-quello in cui il responsabile della struttura in cui il dipendente lavora 
abbia avuto conoscenza effettiva dell�infrazione. 

Si noti che in entrambe le ultime due ipotesi � irrilevante la situazione di 
conoscibilit� in cui si sia venuto a trovare l�ufficio per effetto della trasmissione, 
ad esso, della notizia. 

Poich� nella normativa menzionata sono espressamente individuati gli 
organi che devono rispettare i termini del procedimento disciplinare e poich� 
in essa � parimenti esplicitato quali siano gli organi a cui debba imputarsi lo 
stato soggettivo di conoscenza, potenziale o effettiva, che di volta in volta assume 
rilevanza giuridica per la determinazione dei termini, se ne trae il convincimento 
che sia determinante, perch� possano decorrere i termini di legge, 
soltanto lo stato cognitivo dei titolari di quegli organi, cio� del responsabile 
della struttura (in cui lavora il dipendente), con qualifica dirigenziale o no (in 
funzione del termine d�interesse), oppure del titolare dell�ufficio competente 
per i procedimenti disciplinari. 

Stando all�ipotesi prospettata nella richiesta di parere, ne consegue, in definitiva, 
che, se il titolare dell�organo ispettivo, cio� il soggetto che ha avuto 
notizia del comportamento punibile, non rivesta contemporaneamente il ruolo 
di responsabile della struttura in cui lavora il dipendente ovvero il ruolo di titolare 
dell�ufficio competente per i procedimenti disciplinari, il suo stato di 
conoscenza non � imputabile agli organi dell�amministrazione titolari del-
l�esercizio dell�azione disciplinare, cosicch� non pu� decorrere dal suo stato 
soggettivo alcun termine di decadenza dall�azione disciplinare. 

* * * 

Passando gradualmente ad affrontare gli altri problemi prospettati, viene 
ora in rilievo l�ipotesi in cui il soggetto appartenente all�Agenzia partecipi ad 
attivit� d�indagine, come agente o ufficiale di polizia giudiziaria. 

Ci� pu� accadere perch� ai funzionari doganali, nei limiti del servizio cui 
sono destinati, � attribuita la facolt� di accertare le violazioni di ogni legge la 
cui applicazione � demandata alle dogane, tra cui alcuni reati; nell'esercizio 
di tali attribuzioni i funzionari predetti rivestono la qualit� di ufficiali di polizia 
tributaria (art. 324 del DPR 23 gennaio 1973, n. 43; art. 31 L. 7 gennaio 1929, 

n. 4). In quanto ufficiali di polizia tributaria, ai predetti funzionari sono affidate 
le funzioni previste dall�art. 55 cpp e, quindi, essi, nei limiti del servizio cui 
sono destinati e secondo le rispettive attribuzioni, sono agenti ed ufficiali di 
polizia giudiziaria, ai sensi del comma 3 dell�art. 57 cpp. La loro attivit� d�indagine 
pu� essere espletata anche su delega dell�autorit� giudiziaria (art. 55, 
comma 2, cpp). 

Per i dipendenti pubblici sussiste l�obbligo di denunciare, all�organo deputato 
ai procedimenti disciplinari, il fatto storico che potrebbe costituire fatto 


illecito punibile disciplinarmente (arg. ex artt. 13 e 20 DPR 10 gennaio 1957, 

n. 3, ed ex artt. 54 bis e 55 sexies, comma 3, DLgs n. 165/2001). Ci�, del resto, 
costituisce corollario della doverosit� dell�esercizio del potere disciplinare da 
parte della pubblica amministrazione, nonostante che si tratti di rapporto di 
lavoro privatizzato, perch� l�azione amministrativa nel suo complesso deve 
ispirarsi ai principi di efficienza, efficacia e buon andamento (art. 1 L. 7 agosto 
1990, n. 241), sicch� l�esercizio della potest� disciplinare, in tale ottica, assume 
carattere di doverosit� non appena l�amministrazione ne possa disporre e ne 
ricorrano i presupposti. Ne consegue, dunque, che il procedimento disciplinare 
dev�essere iniziato nonostante la contestuale esigenza di tutela del segreto 
dell�indagine penale, come si desume dal testo dell�art. 55 ter DLgs n. 
165/2001 (rubricato proprio: �Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento 
penale� ), il quale prevede, come regola generale: <<Il procedimento 
disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione 
ai quali procede l'autorit� giudiziaria, � proseguito e concluso anche in pendenza 
del procedimento penale>>. In base a tale disposizione, interpretata 
anche secondo l�intenzione del legislatore ex art. 12 delle Disposizioni sulla 
legge in generale, l�inizio del procedimento disciplinare non � in alcun modo 
ostacolato dalla pendenza, in qualunque tempo, di un procedimento penale; 
tanto ci� � vero che neanche il contestuale svolgimento del procedimento penale 
pu�, in linea di principio, costituire ragione di per s� sufficiente per sospendere 
il primo. Infatti, ai sensi del citato art. 55 ter, soltanto quando col 
procedimento disciplinare, il quale comunque dev�essere iniziato dall�amministrazione, 
possano essere irrogate delle infrazioni considerate dalla legge di 
maggior gravit�, cio� punite con sanzione superiore alla sospensione dal servizio 
con privazione della retribuzione per pi� di dieci giorni, l�ufficio competente 
dell�amministrazione pu� sospenderlo, se concorrono ulteriormente 
due condizioni: 

-� di particolare complessit� l�accertamento del fatto addebitato al dipendente; 


- all�esito dell�istruttoria non si dispone di elementi sufficienti a motivare 
l�irrogazione della sanzione. 

S�invita a porre particolare attenzione alla circostanza che l�attivit� istruttoria 
dev�essere comunque svolta dall�ufficio competente prima dell�eventuale 
sospensione, la cui decisione spetta s� discrezionalmente all�amministrazione, 
ma con adeguata motivazione sui descritti requisiti, i quali sono previsti dalle 
predette disposizioni normative proprio per potersi derogare al principio generale 
di autonomia del procedimento disciplinare da quello penale pendente. 

Se ne evince, dunque, che l�art. 68 del contratto collettivo nazionale di 
lavoro citato deve intendersi abrogato e sostituito di diritto in virt� dell�art. 2, 
commi 2 e 3 bis, del DLgs 30 marzo 2001, n. 165, nella parte in cui, il CCNL, 
disciplinando il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale, 


sia in contrasto con l�interpretazione che sՏ appena fornita. 

Come conseguenza del regime finora descritto, si pu� venire a creare una 
situazione in cui l�agente o il funzionario di polizia giudiziaria, che sia gravato 
dall�obbligo di comunicare il fatto storico costituente illecito all�organo competente 
dell�Agenzia ovvero di dare avvio al procedimento disciplinare, si 
trovi al contempo a partecipare alle indagini penali sul fatto (eventualmente 
anche per apposita delega dell'autorit� giudiziaria), col conseguente obbligo, 
la cui violazione � sanzionata penalmente, di mantenere il segreto istruttorio 
ai sensi dell�art. 329 cpp, per il quale, fatti salvi i casi previsti dai commi 2 e 
3 dello stesso articolo, <<Gli atti d'indagine compiuti dal pubblico ministero 
e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato 
non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini 
preliminari>>. 

Occorre, tuttavia, distinguere chiaramente l�ipotesi nella quale l�agente 

o l�ufficiale di polizia giudiziaria non sia componente dell�organo che deve 
esercitare il potere disciplinare dell�Agenzia da quella opposta. 
Nel primo caso, da un lato, la condotta del funzionario doganale che, pur 
essendo agente/ufficiale di polizia giudiziaria, riveli il fatto storico punibile di 
cui ha effettuato la denuncia all�autorit� giudiziaria (come ipotizzato nella 
richiesta di parere) - al fine di dare avvio al procedimento disciplinare, non 
integrerebbe reato, per l�operare della scriminante dell�adempimento del dovere, 
tipizzata dall�art. 51 cp, tanto pi� che, per la giurisprudenza di legittimit� 
(Corte di cassazione, sez. VI, 16 febbraio 2011, n. 20105), il delitto di rivelazione 
di segreti inerenti ad un procedimento penale (art. 379-bis cp) ha ad oggetto 
quelle notizie che siano state apprese in occasione della partecipazione 


o dell'assistenza all'atto posto in essere nel procedimento e riguarda, pertanto, 
l'atto del procedimento in quanto tale, nonch� la sua documentazione, ma non 
il fatto storico oggetto dell'atto e dell'indagine di cui il soggetto abbia avuto 
precedentemente conoscenza. 


Dall�altro lato, ove l�agente/funzionario di polizia giudiziaria, che non 
sia titolare dell�organo deputato all�esercizio del potere disciplinare, non riveli 
il fatto storico al titolare di quell�organo, l�amministrazione non incorre in alcuna 
decadenza dall�azione disciplinare, alla luce di quanto sՏ sostenuto sopra 
circa l�imputazione all�ente dello stato di conoscenza rilevante per legge, sempre 
finch� l�organo deputato ad esercitare l�azione disciplinare non venga a 
conoscere o a poter conoscere altrimenti l�infrazione del dipendente. 

Nel secondo caso, in cui il funzionario/agente di polizia giudiziaria denunciante 
e/o partecipante alle indagini sia componente dell�organo titolare 
dell�esercizio del potere disciplinare, la sua conoscenza comporta che l�Agenzia 
si trovi in quello stato soggettivo idoneo a far decorrere i termini del procedimento 
disciplinare. Fermo restando quanto detto circa la responsabilit� 
penale del funzionario, scriminata ex art. 51 cp, l�Agenzia sarebbe allora tenuta 


a iniziare e a concludere il procedimento disciplinare, i cui termini decorrono 
secondo quanto gi� descritto in questo parere. 

Sul presente parere � stato sentito l�avviso del Comitato Consultivo di 
cui alla legge 103/79, che si � espresso in conformit�. 

Rimborso spese legali ex art. 18 

d.l. 67/1997 in relazione a procedimento penale 

PARERE 22/02/2014-83052, CS 39454/2013, SEZ. IV, AVV. AGNESE SOLDANI (*) 

Con la nota in epigrafe, Codesta Avvocatura Distrettuale ha rimesso alle 
valutazioni di questo G.U., al fine di esprimere un parere di massima, la controversa 
questione circa il rimborso delle spese legali ex art. 18 d.l 67/1997, richiesto 
dall�Ispettore Capo della Polizia di Stato (...), imputato in un procedimento 
penale per i reati di cui agli artt. 326 e 61 n. 10 c.p., poich� avrebbe �delegato 
con � agevolando l�associazione mafiosa in questione, tenendola informata su 
tutte le indagini in corso e volte ad inquinare le investigazioni ...�. 

Il GIP presso il Tribunale di Bari, con sentenza successivamente confermata 
dalla Corte d�Assise d�Appello di Bari, ha assolto l�Ispettore Capo perch� 
�il fatto non sussiste�. 

Codesta Avvocatura dubita della possibilit� di inquadrare la condotta tenuta 
dal pubblico ufficiale in questione - e dalla quale ha avuto origine il procedimento 
penale a suo carico - come inerente ad �atti e fatti connessi con 
l�espletamento del servizio o con l�assolvimento di obblighi istituzionali�, come 
richiesto dal citato art. 18, in considerazione del fatto che in un passaggio della 
motivazione della sentenza la Corte d�Appello avrebbe espresso riserve sulla 
correttezza deontologica e disciplinare della condotta tenuta dall�imputato. 

Viene pertanto sottoposto all�esame di questo G.U. il seguente quesito di 
massima: �se, in assenza di una condanna in sede penale e disciplinare, al 
pubblico dipendente che abbia tenuto un comportamento, che nella motivazione 
della sentenza penale, sia stato censurato sotto il profilo morale, professionale 
e/o deontologico, vada comunque riconosciuto il rimborso delle spese legali 
ex art. 18 D.L. 67/97 o, di contro, debba essere data rilevanza ai citati comportamenti, 
i quali per la loro finalit�, costituiscono una netta cesura tra i fatti 
e/o gli atti posti in essere dal dipendente e il perseguimento delle finalit� isti


(*) Alla stesura del parere ha collaborato il dott. Gionata Fiore, ammesso alla pratica forense presso 
l�Avvocatura dello Stato. 


tuzionali, ponendo dunque fine al necessario rapporto di immedesimazione organica, 
che deve sussistere ai fini del rimborso ex art. 18 D.L. 67/97�. 

A riguardo, sembra opportuno preliminarmente chiarire, in via generale, 
che se � vero che l�Amministrazione deve sostenere gli oneri della difesa del 
suo dipendente solo nei casi in cui �l�imputazione riguardi un�attivit� svolta 
in diretta connessione con i fini dell�ente e sia in definitiva imputabile all�ente 
stesso� (Cons. Stato, sez. VI, 22 novembre 2004 n. 7660), � pur vero che tale 
nesso di strumentalit� va accertato caso per caso a seconda della condotta concretamente 
tenuta e non pu� essere valutato esclusivamente sulla base del titolo 
di reato contestato. 

Pi� in particolare, non � sufficiente che il dipendente sia imputato per un 
reato c.d. �proprio�, vale a dire commesso in qualit� di pubblico ufficiale, affinch� 
tale nesso possa ritenersi automaticamente sussistente. Invero, secondo 
la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in presenza di un�imputazione 
per reato proprio, il rimborso deve essere negato ogni qualvolta la connessione 
della condotta con la qualifica di pubblico ufficiale sia meramente occasionale 
e non ascrivibile al novero delle incombenze direttamente promananti dalla 
posizione funzionale ed organizzativa rivestita dall'interessato nell'ambito della 
struttura dell'Amministrazione di appartenenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 
febbraio 2013 sent. 1190)(1). 

Pertanto la mera considerazione che nel procedimento penale in oggetto 
fosse stato contestato all�imputato il reato di rivelazione di segreti d�ufficio 
(art. 326 c.p.) non � di per s� decisiva al fine di accordare il richiesto rimborso 

(1) �Ai fini del rimborso delle spese legali sostenute da un pubblico dipendente (nella specie, 
un maresciallo aiutante), affinch� sia ravvisabile una connessione tra la condotta tenuta e l'attivit� di 
servizio del dipendente, � necessario che la suddetta attivit� sia tale da poterne imputare gli effetti 
dell'agire del pubblico dipendente direttamente alla Amministrazione di appartenenza, poich� il beneficio 
del ristoro delle spese legali richiede un rapporto causale con una modalit� di svolgimento di 
una corretta prestazione lavorativa le cui conseguenze ricadrebbero sull'Amministrazione n� � sufficiente 
che l'evento avvenga durante e in occasione della prestazione (tra tante, Consiglio Stato sez. 
III, 1 marzo 2010, n. 275). 
L'imputazione basata sulla qualifica di pubblico ufficiale muove da giudizi prognostici ed astratti che 
non possono valere ad indebitamente estendere il perimetro applicativo dell'art. 18 D.L. n. 67 del 1997 
modificandone il paradigma legale, il quale richiede che le condotte siano connesse con l'espletamento 
del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali, e dunque rientranti nell'alveo della riferibilit� 
al valore dell'Amministrazione, con esclusione di quelle che siano occasionalmente ricollegabili ad un 
incarico - come per esempio, come nella specie, l'acquisto a titolo privato di beni quali telefoni cellulari, 
abusando della qualit� - e non pure al diretto svolgimento delle funzioni istituzionali e i cui effetti non 
siano imputabili all'Amministrazione, in quanto non ascritte al novero delle incombenze direttamente 
promananti dalla posizione funzionale ed organizzativa rivestita dall'interessato nell'ambito della struttura 
dell'Amministrazione di appartenenza. 
La mera connessione occasionale delle condotte con la qualifica di pubblico ufficiale non �, quindi, sufficiente 
ai fini dell'ammissibilit� del rimborso delle spese legali, altrimenti dovendo farsi rientrare nel 
campo applicativo della norma tutte le imputazioni relative ai reati propri inerenti a condotte che trovino 
nel servizio la mera occasione di realizzazione� (Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2013 sent. 1190). 


delle spese legali, dovendosi, come accennato, valutare la condotta concretamente 
tenuta dal dipendente. 

Invero, vՏ connessione con il servizio svolto quando la predetta condotta 
sia riconducibile all'attivit� funzionale del dipendente e in rapporto di stretta 
dipendenza con l'adempimento dei propri obblighi, dovendo trattarsi di attivit� 
che necessariamente si ricollegano all'esercizio diligente della pubblica funzione. 
La connessione �, viceversa, certamente esclusa qualora la condotta 
non sia in alcun modo ricollegabile all'espletamento del servizio o all'assolvimento 
di obblighi istituzionali, in quanto non � posta in essere in ragione del 
compimento dei doveri di ufficio, ma risulta addirittura contraria ai medesimi. 

Tuttavia tra questi due estremi �paradigmatici�, � sovente dato ravvisare 
una �zona grigia�, di non agevole definizione, che si configura ogniqualvolta 
la condotta del pubblico dipendente, pur traendo origine da un valido mandato 
dell�Amministrazione, nella sua concreta esecuzione travalichi i limiti dei 
compiti che gli sono stati affidati. 

In linea di principio, nell�ipotesi in cui vi sia un tale travalicamento, il 
rimborso pu� essere negato, in quanto esso determina il venir meno del nesso 
di strumentalit� necessario ai fini dell�applicabilit� della norma in questione. 

Peraltro il predetto travalicamento generalmente coincide, ad avviso della 
Scrivente, con la condotta disciplinarmente rilevante o, comunque, deontologicamente 
scorretta. Come costante giurisprudenza ha chiarito, nei casi in cui 
la P.A. si sia costituita parte civile e/o abbia assunto una iniziativa disciplinare, 
deve considerarsi per ci� stesso sussistente un conflitto d�interessi tra il dipendente 
e l�Amministrazione con conseguente esclusione dell�applicabilit� 
dell�art. 18, a prescindere dall'esito del procedimento penale e dall'accertamento 
della responsabilit� disciplinare (ex plurimis Cons. Stato Sez. V, Sent. 
7 ottobre 2009, n. 6113; Cass. Civ. 19 novembre 2007, n. 23904; Cass. Civ. 
17 settembre 2002, n. 13624). 

Ci� tuttavia non significa che, a contrario, nell�ipotesi di mancata apertura 
di un procedimento disciplinare da parte dell�Amministrazione competente, 
sarebbe in radice preclusa all�Avvocatura dello Stato - al fine di rendere 
il parere ex art. 18 - qualsiasi autonoma valutazione della condotta e della sussistenza 
del predetto nesso di strumentalit�. Ci� in quanto il procedimento disciplinare 
potrebbe non essere stato avviato per ragioni diverse da una 
valutazione negativa dell�Amministrazione circa la rilevanza disciplinare della 
condotta (ad esempio, scadenza dei relativi termini). 

Inoltre, l�Avvocatura � comunque tenuta - a prescindere dalle determinazioni 
assunte dall�amministrazione in sede disciplinare - all�autonoma verifica 
della sussistenza o meno della connessione con il servizio, in quanto quest�ultima 
costituisce uno degli elementi essenziali della fattispecie prevista dall�art. 
18, sulla quale l�Avvocatura dello Stato � chiamata a rendere il proprio parere. 

Per converso deve parimenti affermarsi, come � stato fatto da alcune sen



tenze, che l�Amministrazione, altrettanto autonomamente pu� decidere di discostarsi 
dal parere espresso dall�Avvocatura sull�an della pretesa, salvo l�obbligo 
di congrua motivazione (V. sentenza T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, 
23 marzo 2010, n. 1572)(2). 

Tanto premesso in via generale, nel caso in questione l�Ispettore Capo � 
stato assolto dall�imputazione di rivelazione di segreti d�ufficio (art. 326 c.p.) 
ai sensi del comma 1 dell�art 530 c.p.p. perch� il fatto non sussiste. 

Tuttavia, nella motivazione della sentenza di secondo grado, che ha confermato 
quella assolutoria di primo grado, la Corte d�Appello di Bari ha affermato: 

�Si devono per� confermare le perplessit�, gi� manifestate dal giudice 
di primo grado, circa la scarsa linearit� sul piano deontologico del comportamento 
di quei carabinieri, tra gli imputati, che hanno avuto rapporti di frequentazione 
molto accentuati con ..., come risulta dalle inequivoche 
fotografie che li ritraggono insieme tra loro ed anche con varie donne, in 
ambienti marittimi. 

In proposito al pi� ogni valutazione spetta agli organi disciplinari del-
l�Arma dei Carabinieri (essendo all�uopo necessari opportuni approfondimenti)
� (pag. 131 della sentenza). 

Al riguardo, va anzitutto osservato che non � chiarissimo - non disponendo 
la Scrivente di ulteriori elementi istruttori quali ad esempio le �fotografie� 
citate dalla Corte - se la Corte intendesse riferirsi ad entrambi i due 
imputati che, nel processo, risultavano appartenere alle forze dell�ordine (come 
sembrerebbe suggerire l�uso del plurale) o solo all�imputato R., unico dei due 
che appartenga all�Arma dei Carabinieri. 

Ad ogni modo, anche qualora il giudizio di disvalore espresso dal giudice 
di merito fosse da intendersi riferito anche all�Ispettore, esso comunque non 
concerne i fatti oggetto dell�imputazione di rivelazione di segreti d�ufficio elevata 
a carico del medesimo - imputazione dalla quale � stato assolto perch� il 
fatto non sussiste - ma concerne il contesto e la modalit� delle frequentazioni 

-accertate nel corso del giudizio - nell�ambito delle quali sarebbero intervenute 
le presunte rivelazioni (nello specifico conversazioni telefoniche e incontri in 
uno stabilimento balneare). 

(2) �Il Collegio non ravvisa dalla normativa in questione elementi per affermare la necessit� che 
la valutazione dell'Avvocatura dello Stato sia strettamente limitata all'aspetto relativo al quantum affermato 
da parte ricorrente, risultando ragionevole che la valutazione tecnica da parte della citata avvocatura 
possa riguardare l'intera vicenda inerente al rimborso. 
In ogni caso, la stretta attinenza alla valutazione di congruit� intesa come quantum del rimborso con-
cedibile, potrebbe venire in rilievo ai fini del carattere vincolante del parere inerente a tale valutazione 
(trattasi difatti di parere obbligatorio e vincolante), ma non inficerebbe la possibilit� da parte dell'Avvocatura 
dello Stato, in quanto organo consultivo dell'Amministrazione, di far presente le sue valutazioni 
giuridiche sulla questione, essendo poi rimesso all'Amministrazione la decisione se aderire o meno alle 
valutazioni ricevute, in base al criterio della sussistenza o meno dei presupposti previsti nel pi� volte 
citato art. 18�. 


In altri termini, l�eventuale apertura di un procedimento disciplinare volto 
a verificare se le predette frequentazioni con esponenti della malavita fossero 

o meno corrette sul piano deontologico non avrebbe potuto influire, ad avviso 
della Scrivente, sull�esito del presente parere, in quanto la valutazione della 
sussistenza del diritto al rimborso delle spese legali sostenute nel processo penale, 
ai sensi dell�art. 18, va perimetrata avendo esclusivo riguardo alla condotta 
oggetto dell�imputazione - come accertata in sentenza - che, nel caso di 
specie, riguardava la rivelazione di segreti d�ufficio. 

Pi� in particolare, l�addebito del quale l�Isp. Capo ha dovuto rispondere 
consiste nell�avere, in qualit� di titolare delle indagini ... rivelato ... per il tramite 
del carabiniere R., informazioni sullo stato delle indagini coperte da segreto 
istruttorio. 

Poich� l�imputato � stato assolto perch� il fatto non sussiste, quand�anche 
sui medesimi fatti fosse stato aperto un procedimento disciplinare, il dipendente 
non sarebbe certo stato passibile di sanzione alcuna, atteso che ai sensi 
dell�art. 653 c.p.p. �la sentenza penale di assoluzione ha efficacia di giudicato 
nel giudizio di responsabilit� disciplinare davanti alle pubbliche autorit� 
quanto all�accertamento che il fatto non sussiste�� (art. 653 c.p.p.). 

Alla luce di tali considerazioni, poich� le spese di patrocinio sono state 
sostenute dal dipendente per difendersi da un�accusa di rivelazione di segreti 
d�ufficio e non da un�accusa di tipo diverso, e poich� la sentenza ha accertato 
che egli, in qualit� di incaricato delle indagini ... si � limitato a redigere un�informativa 
di reato il cui contenuto, diversamente da quanto ipotizzato dall�accusa, 
non ha rivelato ... per il tramite del carabiniere R., non sembra possa 
affermarsi che nel caso di specie, avuto riguardo alla condotta oggetto di vaglio 
penale, l�Ispettore abbia travalicato i limiti delle proprie funzioni istituzionali 
s� da interrompere il nesso di strumentalit�, richiesto dall�art. 18, tra condotta 
e servizio svolto. 

Si ritiene pertanto che, nel caso di specie, la richiesta di rimborso possa 
essere accolta, salve le valutazioni di competenza di codesta Distrettuale in 
ordine alla congruit� delle somme richieste. 

Sulla questione � stato sentito il comitato consultivo che nella seduta del 
20 febbraio 2014 si � espresso in conformit�. 


Permuta di un�area di propriet� statale 
con area di propriet� comunale 

PARERE 04/03/2014-98221, CS 39253/2012, SEZ. VI, AVV. MARINA RUSSO 

Con la nota in riferimento, l�Avvocatura Distrettuale in indirizzo riferisce 
di un lungo procedimento, mai portato a compimento, intercorso fra il Ministero 
dell�Economia e Finanze (cui �, nelle more, subentrata l�Agenzia del Demanio) 
ed il Comune di Rimini, volto a realizzare la permuta di un�area di 
propriet� statale con un�area di propriet� comunale, per la realizzazione su 
quest�ultima delle caserme dei Carabinieri di Rimini e Viserba. 

Secondo quanto emerge dagli atti inviati dall�Avvocatura in indirizzo, il 
procedimento - inizialmente avviato in base alla normativa di cui alla legge n. 
16/1985 - si svolse poi secondo la scansione delineata dal R.D.L. 2000/1923, 
recante Norme per la permuta di immobili demaniali adibiti ad uso di pubblici 
uffici, indicata dal M.E.F. nell�atto di autorizzazione quale normativa effettivamente 
applicabile al caso di specie, trattandosi di beni immobili con destinazione 
ad uso pubblico, appartenenti al patrimonio indisponibile. 

Le aree interessate furono consegnate dallo Stato al Comune, e viceversa, 
fin dal 1988. 

Sull�area di propriet� statale, all�epoca, era gi� stata realizzata ad opera 
del Comune una scuola (come risulta dal verbale di consegna provvisoria). 

La porzione di area sulla quale era stata edificata la scuola, peraltro, secondo 
quanto riferito dall�Avvocatura Distrettuale, non sarebbe ormai pi� interessata 
dalla permuta in questione, in quanto gi� inserita nella white list del 
federalismo demaniale. 

Come prescritto dal R.D.L. 2000/1923, il Comune nell�anno 2003 ha 
provveduto - a seguito dell�attualizzazione della stima - a versare allo Stato il 
conguaglio relativo alla differenza di valore delle aree interessate. Medio tempore, 
l�Amministrazione statale aveva altres� completato l�edificazione delle 
due caserme che -ex art. 826 c.c. - ricadono ope legis nel patrimonio indisponibile 
dello Stato. 

Cionondimeno, il passaggio di propriet� per permuta delle aree in parola 
fra Agenzia del Demanio e Comune non veniva mai formalizzato. 

Per effetto dell�entrata in vigore della l. 30 dicembre 2004 n. 311, il 

R.D.L. n. 2000/1923 � stato abrogato. 

Con il quesito sottoposto all�attenzione della Scrivente, l�Avvocatura Distrettuale 
in indirizzo richiede di conoscerne l�avviso circa le problematiche 
connesse alla soppressione, frattanto intervenuta, della normativa regolante la 
materia e, in particolare, circa la praticabilit� di un negozio transattivo a definizione 
della situazione rimasta in sospeso, oltre che in merito alla necessit� 
di regolarizzazione catastale degli immobili coinvolti. 

Sulla questione sopra delineata, si rende il seguente parere. 


Va premesso che la fattispecie presenta peculiarit� affatto singolari, ascrivibili 
all�abnorme durata del procedimento, nelle cui more - da una parte - la 
normativa in forza della quale si era dato corso all�iter finalizzato alla permuta 
� stata abrogata e sostituita da un rinnovato, articolato complesso normativo 
sulla dismissione degli immobili dello Stato; dall�altra, l�iter procedimentale 
� comunque pervenuto alla sua fase conclusiva, essendosene realizzati tutti i 
codificati passaggi in epoca antecedente alle summenzionate modifiche normative, 
salva, sola, la mancata adozione di un atto formale, traslativo della 
propriet�. 

L�anomalia della situazione creatasi sta, essenzialmente, nella discrasia 
fra lo stato di fatto (sostanzialmente corrispondente ad un gi� realizzato trasferimento 
della propriet� dei beni, pur in assenza - ad oggi - di un formale 
atto traslativo) e lo stato di diritto delle aree interessate, oltre che nella sussistenza 
di profili problematici, suscettibili di originare contrastanti pretese fra 
le parti, in termini sia di reciproca rivendicazione dei beni, materialmente consegnati 
da oltre quindici anni dal Comune all�Amministrazione statale e viceversa, 
sia di potenziali, rispettive pretese di carattere economico, connesse 
tanto all�occupazione delle aree, quanto all�irreversibile trasformazione medio 
tempore compiuta - degli immobili interessati. 

Se la sopra descritta situazione comporta un innegabile margine d�incertezza 
quanto all�individuazione della soluzione giuridica pi� appropriata, sono 
tuttavia assolutamente evidenti - da una parte - il comune interesse delle Amministrazioni 
a comporre in via negoziale la vicenda, a definizione di ogni 
possibile reciproca contestazione ed a prevenzione di qualsivoglia turbativa 
rispetto ad una situazione ormai consolidata che sarebbe indubbiamente antieconomico 
alterare (si ricordi che sull�area consegnata dal Comune insistono 
oggi due caserme attualmente in uso); dall�altra, il consolidamento di una situazione 
fattuale sostanzialmente corrispondente ad un intervenuto passaggio 
di propriet� delle aree fin dal 1988, quando furono reciprocamente consegnate 
e poi utilizzate, con successivo versamento del conguaglio da parte del Comune 
nel 2003, previa attualizzazione della stima a quella data ad opera del-
l�Agenzia del Demanio. 

Ci� premesso, sembra che lo strumento che meglio si presta a superare 
la complessa impasse descritta possa essere individuato nella stipula, ad opera 
di un Ufficiale rogante, di un contratto a causa mista, che si ponga in linea con 
la necessit� di adeguare stato di fatto e di diritto, onde evitare qualsivoglia fu-
tura reciproca pretesa rivendicativa, indennitaria e risarcitoria delle parti in 
mancanza, come detto, di formalizzazione del reciproco trasferimento. 

Con il suddetto contratto misto, le Amministrazioni interessate - previa 
ricognizione del mutuo consenso al trasferimento delle propriet� gi� manifestato 
per fatti concludenti attraverso il compimento di tutti gli step procedi-
mentali a tal fine necessari, a partire dalla consegna delle aree e dalla loro 


adibizione a fini di pubblico interesse, fino al pagamento del conguaglio nel 
2003 - trasferiranno l�una all�altra la propriet� degli immobili in questione, 
precisando che ci� avviene anche a transazione e tacitazione di tutte le potenziali, 
reciproche pretese connesse alla vicenda alle quali, perci�, reciprocamente, 
rinunciano. 

In particolare, in tale negozio - la cui bozza l�Amministrazione avr� cura 
di sottoporre all�Avvocatura Distrettuale in indirizzo - si dovr�: 

-dare atto analiticamente in premessa di tutta la lunga vicenda procedi-
mentale sopra descritta, nonch� della necessit� di ultimare l�adeguamento dello 
stato di diritto degli immobili in questione, effettivamente adibiti ad uso pubblico, 
allo stato di fatto consolidatosi nel corso del lunghissimo periodo di 
tempo lungo il quale si � articolato e, sostanzialmente, concluso il procedimento 
con il pagamento del conguaglio, formalizzando il reciproco assenso 
al trasferimento ed all�acquisizione delle rispettive propriet�; 

-chiarire che il negozio vale anche a prevenzione di ogni possibile contenzioso 
fra le parti. A tal fine, si espliciter� che, con detto negozio, le parti 
intendono definire, come in effetti definiscono, tutte le questioni, di fatto e di 
diritto, in qualsiasi modo connesse, correlate o comunque conseguenti al procedimento 
traslativo avviato tramite l�autorizzazione del Ministero dell�Economia 
e Finanze del 30 marzo 1987 e, pertanto, dichiarano di non avere pi� 
nulla a pretendere l�una dall�altra per qualsiasi titolo e/o ragione. 

Del suddetto negozio sar� poi richiesta al competente Conservatore dei 
Registri immobiliari la trascrizione, anche ai fini della regolarizzazione catastale 
dei fabbricati. 

Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo che, nella seduta 
del 20 febbraio 2014, si � espresso in conformit�. 


Parere su �Accordo per la gestione degli atti di pignoramento 

in danno di Amministrazioni dello Stato notificati alla Banca 

d�Italia - Tesoreria dello Stato, in veste di terzo pignorato�(*) 

PARERE 11/03/2014-111107/111139, CT 40397/2013, SEZ. III, AVV. GIUSEPPE FIENGO 

1. Con la nota 3 ottobre 2013 la Ragioneria Generale dello Stato richiede 
il parere dell�Avvocatura dello Stato, in ordine ad una bozza di accordo �predisposto 
dalla Banca d�Italia, con alcune modifiche ed integrazioni effettuate 
da questo Dipartimento, che soddisfano pi� adeguatamente le varie esigenze 
operative della Ragioneria Generale dello Stato�. 

L�accordo, frutto di una serie di incontri svolti presso le sedi della Banca 
d�Italia (Napoli e Roma) prende le mosse da due consultazioni rese dall�Avvocatura 
Distrettuale dello Stato di Napoli con le quali: a) si risolveva un contrasto 
di opinioni tra amministrazioni periferiche in ordine ai presupposti che 
potessero legittimare il ricorso alla procedura di conto sospeso per i pagamenti 
dello Stato a soggetti privati a seguito �dei provvedimenti giurisdizionali e dei 
lodi aventi efficacia esecutiva� (CS 9378/12 GER); b) si segnalavano alla 
Banca d�Italia (e all�Avvocatura Generale dello Stato) alcune irregolarit� ed 
anomalie che caratterizzavano, soprattutto nei pignoramenti presso terzi innanzi 
al Tribunale di Napoli, le procedure esecutive di assegnazione e pagamento 
di somme dovute dallo Stato (CS 10923/12 CNZ). 

Avviato nell�autunno 2012 un �tavolo di lavoro� presso la Banca d�Italia, 
con la presenza di funzionari del Ministero dell�Economia e Finanze e, in una 
fase immediatamente successiva, del Ministero della Giustizia, attraverso progressivi 
affinamenti, si definiva una bozza concordata di accordo, ai sensi 
dell�art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, sulla quale la Ragioneria Generale 
dello Stato aveva modo di richiedere (ed ottenere) dalla Banca d�Italia 
quelle �modifiche ed integrazioni� cui fa cenno nella richiesta di parere. 

2. In linea preliminare la Scrivente concorda sullo schema procedimentale 
adottato secondo cui l�accordo quadro predisposto con gli uffici della Banca 
d�Italia, possa essere regolato ai sensi dell�articolo 15 della legge 7 agosto 
1990, n. 241, a norma del quale �� le amministrazioni pubbliche possono 
sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione 
di attivit� di interesse comune� . 

Come noto, la funzione di Tesoreria provinciale dello Stato � stata affidata 
alla Banca d'Italia, sin dal 1894 mentre con D.lgs. n. 430/97 � stato affidato 
alla Banca d'Italia anche il servizio di Tesoreria centrale, prima svolto dalla 
Direzione generale del tesoro. Per disciplinare entrambi i servizi sono state 
approvate convenzioni con d.m. 17 gennaio 1992 per il servizio di Tesoreria 

(*) Il testo dell�accordo sottoscritto in calce al parere. 


provinciale e d.m 9 ottobre 1998, per quello di Tesoreria centrale che, prevedono, 
tra l�altro, che i compiti delle Sezioni di tesoreria della Banca d�Italia 
siano regolati dalla Legge sulla Contabilit� Generale dello Stato e dal suo Regolamento, 
nonch� dalle Istruzioni Generali sui Servizi del Tesoro (IGST) e 
che �Il Servizio di Tesoreria � soggetto a vigilanza da parte della Direzione 
Generale del Tesoro, ai sensi delle vigenti disposizioni� (1). 

Anche se l�organizzazione delle strutture di tesoreria resta di esclusiva 
competenza della banca, che svolge il servizio senza vincolo gerarchico rispetto 
all�amministrazione statale, dal quadro normativo sinteticamente richiamato 
consta che la Banca d�Italia � �Istituto di diritto pubblico�, �� assolve 
inoltre gli altri compiti ad essa attribuiti dalla legge� e �... esercita il servizio 
di tesoreria dello Stato secondo speciali convenzioni. Pu� svolgere altri servizi 
per conto dello Stato� (artt. 1 e 37 dello Statuto, da ultimo approvato con decreto 
del Presidente della Repubblica 27 dicembre 2013). 

Le attivit� compiute dalla Tesoreria centrale e dalle sezioni di tesoreria 
implicano l�emersione di una precisa figura soggettiva, le cui attivit� finiscono 
per imputarsi direttamente all�amministrazione statale, nella specie il Ministero 
dell�Economia e delle Finanze. Con riferimento al Servizio di Tesoreria 
si �, quindi, di fronte ad un organo dello Stato, del quale - tuttavia - � titolare 
la Banca d�Italia, persona giuridica pubblica distinta dallo Stato, figura soggettiva 
della �persona giuridica titolare di ufficio� (GIANNINI M.S., Diritto 
Amministrativo, 1970, p. 253)(2). 

Le osservazioni finora svolte, se, per un verso, rendono congruo il ricorso 
all�accordo tra pubbliche amministrazioni, previsto dall�art. 15 della legge n. 
241/90, sotto altro profilo mettono in dubbio la natura giuridica di �terzo� 
della Banca d�Italia, laddove esercita funzioni di Tesoreria dello Stato. Una 
conferma indiretta su questo punto si ricava dall�art. 5 comma 1 del D.P.R. 30 

(1) In relazione alle procedure esecutive, l�art. 69 R.D. 2440/1923 e l�art. 498 comma 3 R.D. 
827/1924, richiamano l�obbligo dell�Amministrazione, destinataria di atti di pignoramento, di rendere 
la dichiarazione del terzo (art. 611 c.p.c. 1865 ora art. 543 c.p.c. 1940). Le norme di contabilit� si riferiscono 
alla posizione debitoria dell�Amministrazione e non, in via immediata, a quella della Banca 
d�Italia quale terzo pignorato nella qualit� di tesoriere dello Stato. Cionondimeno, l�art. 165 IGST prevede 
tra le fattispecie di �impedimento� dei pagamenti dovuti dallo Stato la notifica, nelle forme di cui 
all�art. 543 c.p.c. di un atto di pignoramento (richiamato indirettamente attraverso il rinvio all�art. 498 

R.D. 827/1924). A norma dell�art. 4 lett. o) delle IGST, le Sezioni di Tesoreria provinciali hanno il compito 
di attendere al �ricevimento degli atti intesi a sospendere o ad impedire il pagamento di somme 
dovute dallo Stato e alla trasmissione di tali atti, a seconda dei casi, in originale o in copia, all'Avvocatura 
dello Stato o alle amministrazioni interessate�. 
Appare evidente che tali disposizioni si riferiscono essenzialmente ai casi nei quali l�Amministrazione 
dello Stato abbia un debito nei confronti del soggetto privato pignorato e mirano ad individuare le procedure 
idonee per procedere al pagamento di somme dovute dallo Stato a soggetti diversi da quelli che 
ne avevano originario diritto. 

(2) La tesi sembra smentita da Corte Cost. n. 350/98, ma l�affermazione � stata fatta per finalit� 
diverse, afferenti alla rappresentanza e difesa nel giudizio sulla legittimit� costituzionale delle leggi, e 
finisce per assumere nel contesto della citata decisione la funzione logica di un obiter dictum (vedi oltre). 


dicembre 2003 n. 398, pure citato nelle premesse della bozza di accordo, a 
norma del quale �La Banca d'Italia non pu� concedere anticipazioni di alcun 
tipo al Ministero�. La prassi, talvolta utilizzata dalla Banca di far fronte ai pagamenti 
del terzo ricorrendo a fondi propri sembra operativamente volta a evitare 
il pignoramento mobiliare da parte dell�Ufficiale Giudiziario sui beni 
dell�Istituto (3). Ove la stessa assumesse carattere continuativo e valori rilevanti 
potrebbe ritenersi, limitatamente al tempo necessario per il ripianamento 
delle somme da parte dell�amministrazione interessata, non in linea con la normativa 
comunitaria, che - come detto - vieta anticipazioni allo Stato da parte 
delle Banche Centrali (cfr. in particolare gli Artt. 123, 258 e 271, lett. d) TFUE 
all�art. 35.5 e 35.6 dello Statuto del SEBC e al considerando n. 9 del reg. (CE) 
del Consiglio n. 3603/93). 

In altri termini la Banca d�Italia, in relazione alle somme di Tesoreria, 
non � tecnicamente un debitore dello Stato ed i pignoramenti, ai quali una 
prassi ultradecennale sembra averla assoggettata, sembrano non avere le caratteristiche 
del tipico�pignoramenti presso terzi�, ma presentano, al pi�, spiccate 
connotazioni di anomali �pignoramenti diretti�. 

Alle stesse conclusioni conduce un�analisi funzionale delle norme del codice 
di procedura civile: a) ai sensi dell�art. 543, comma 1, l�espropriazione 
forzata presso terzi comprende sia il pignoramento di �crediti del debitore 
verso terzi� sia il pignoramento di �cose mobili�, e, quindi, anche di somme 
di danaro di propriet� del debitore �che siano in possesso di terzi�; b) con riferimento 
alla prima ipotesi (a differenza di quanto accade nel caso di depositi 
bancari, accessivi a contratti di conto corrente di corrispondenza o di ordinarie 
convenzioni di tesoreria, nei quali si configura il cosiddetto deposito irregolare, 
in cui il depositario acquista la propriet� del bene diventando debitore del tandundem 
nei confronti del depositante) lo Stato conserva la piena propriet� 
delle somme depositate in Tesoreria e non diventa quindi creditore del tandundem 
nei confronti della Banca d�Italia; c) con riferimento alla seconda ipotesi 
occorre distinguere il caso in cui il debitore escusso non abbia la 
immediata disponibilit� delle cose mobili (nel caso di specie, il danaro) in possesso 
del terzo (ipotesi nelle quali il pignoramento pu� avvenire nelle forme 
dell�art. 543 c.p.c.), da quello in cui il debitore abbia l�immediata disponibilit� 

(3) Ci si riferisce a quei casi in cui, nonostante una dichiarazione di terzo negativa resa dalla 
Banca d�Italia, il G.E. assegna somme a favore del creditore e quest�ultimo promuove un pignoramento 
presso la Banca d�Italia per riscuotere coattivamente la somma. In tale ipotesi la Banca mette a disposizione 
dell�Ufficiale giudiziario somme attinte dai propri conti e, di norma, si oppone all�esecuzione 
per rientrare in possesso delle somme pignorate. Nell�eventualit� che l�opposizione non venga accolta 
dal Tribunale, la Banca chiede al MEF di essere autorizzata a scritturare le somme pignorate al conto 
sospeso collettivi. Tale meccanismo potrebbe essere evitato se il MEF autorizzasse in via generale l�Istituto 
a scritturare direttamente in tale evenienze le somme pignorate al conto sospeso collettivi, curando 

-ricorrendone i presupposti - direttamente il giudizio di opposizione. 


del danaro, ipotesi nella quale il pignoramento deve invece avvenire nelle 
forme di cui all�art. 513 e segg. c.p.c.; d) ne deriva che l�espropriazione forzata 
per la realizzazione di crediti pecuniari verso lo Stato deve avvenire nelle 
forme di cui all�art. 513 e segg. del codice di procedura civile (pignoramento 
mobiliare diretto), sia perch�, relativamente alle somme giacenti in Tesoreria, 
non esiste un rapporto di credito/debito tra lo Stato e la Banca d�Italia, 
incaricata del servizio di custodia e gestione, sia perch� lo Stato mantiene l�immediata 
disponibilit� delle liquidit� giacenti presso la Tesoreria, escludendosi 
per questa via che si possa trattare di �cose del debitore che sono in possesso 
di terzi� a sensi dell�art. 543 c.p.c.. 

3. Nasce, da quanto sopra riportato, la necessit� di un approfondimento 
sul tema del ricorso all�esecuzione forzata per il pagamento di somme dovute 
da Amministrazioni dello Stato. 

Va premesso che nel recente passato, sul tema della possibilit� di espropriare 
danaro e crediti pecuniari dello Stato e degli enti pubblici, secondo il 
costante indirizzo della giurisprudenza di legittimit�, le somme, ancorch� esistenti 
presso le banche con funzioni di tesoriere, si presumevano destinate al 
pubblico servizio e quindi insuscettibili di pignoramento (cfr. Cass. 3 gennaio 
1976 n. 1). Tale orientamento rispondeva all�esigenza comune di evitare quello 
che comunemente si individua come "assalto alla diligenza", che avrebbe determinato 
serie difficolt� operative per lo Stato, che rischiava - come poi � avvenuto 
- di vedere vincolate le risorse destinate al suo stesso funzionamento. 

Dal 1979 la giurisprudenza si � orientata nel senso contrario, ritenendo 
che il bilancio preventivo non consentisse di collegare le singole entrate a singole 
uscite e pertanto, in s�, l�iscrizione in bilancio non poteva considerarsi 
fonte di vincolo di destinazione, tale da sottrarre le somme in esso affluite al-
l�azione espropriativa dei creditori dello Stato: secondo il nuovo orientamento 
l�ammissibilit� della condanna della P.A. al pagamento di somme di danaro 
comportava come conseguenza imprescindibile la ammissibilit� della esecuzione 
forzata. La Cassazione ritenne quindi che rimettere al debitore P.A. la 
determinazione circa il tempo ed il modo di adempiere un�obbligazione, san-
cita in una condanna giudiziale, avrebbe significato escludere l�esistenza stessa 
dell�obbligazione; che il pagamento fosse comunque atto dovuto privo di margini 
di discrezionalit� a fronte del quale il creditore vanta un diritto soggettivo 
come tale tutelabile innanzi al giudice ordinario nel procedimento di espropriazione 
forzata (cfr. Cass. SS.UU. del 13 luglio 1979 n. 4071 e del 9 marzo 
1981 n. 1299). I principi enunciati in dette sentenze trovarono definitiva consacrazione 
nella sentenza n. 138 del 1 luglio 1981 della Corte Costituzionale, 
che, richiamando anche propri precedenti (n. 32/1970 e n. 161/1971), afferm� 
la ammissibilit� del ricorso alla esecuzione forzata in danno della P.A. secondo 
le norme del codice di rito (in particolare nelle forme della espropriazione 
presso terzi). Anche tale pronuncia, tuttavia, come di seguito si esporr�, va 


letta alla luce della evoluzione del giudizio amministrativo ed in particolare 
del giudizio di ottemperanza. 

Diversamente da quanto si legge anche in recenti pronunce della Cassazione 
(cfr. sentenza n. 7863 del 6 aprile 2011) ed in molti contributi di dottrina 
sull�argomento, non si ritiene che l�introduzione dell�art. 1 bis nella Legge n. 
720/1984 abbia posto fine alla questione. Tale norma infatti prevede espressamente 
il richiamo alla disciplina dell�esecuzione forzata presso la tesoreria 
solo per gli enti ed organismi pubblici di cui all�allegato richiamato nel 
precedente articolo 1 fra i quali, chiaramente non si rinvengono le amministrazioni 
dello Stato. 

L�assunto che si legge nella citata pronuncia della Cassazione secondo 
cui �la normativa sulla tesoreria unica prevede quindi quale unica forma di 
pignoramento del danaro delle pubbliche amministrazioni ivi contemplate (tra 
cui, se non altro per quel che qui interessa, le amministrazioni centrali dello 
Stato) quelle del pignoramento presso terzi presso il tesoriere�, assunto alla 
quale la Corte perviene dopo una attenta ricostruzione del quadro normativo, 
pu� essere condiviso solo nell�ipotesi in cui: a) sia pignorato il credito di un 
terzo verso le amministrazioni dello Stato (e tanto non in forza dell�art. 1 bis 
della L. 720/1984, ma in virt� delle disposizioni del R.D. n. 827/1924 di cui 
agli artt. 498 e segg. e comunque nei limiti da tali norme previsti); b) nell�ipotesi 
di credito che un terzo vanti, non nei confronti delle amministrazioni dello 
Stato, ma nei confronti di enti ed organismi pubblici (in forza, questa volta si, 
della legge n. 720/1984). 

Ci� alla luce di quanto segue: a) non si riviene alcuna norma che preveda, 
per le amministrazioni dello Stato, la possibilit� del ricorso all�esecuzione forzata 
nella forma dell�espropriazione presso terzi (Tesoreria) che veda lo Stato 
quale debitore esecutato, possibilit� che quindi, all�attualit�, deve ritenersi 
ammessa solo per prassi, che non esclude la ragionevolezza di previsioni che 

-concretamente - svuotino tale ritenuta generale applicabilit� dell�espropriazione 
forzata presso terzo; b) gli artt. 498 e segg. del R.D. n. 827/1924 hanno 
riguardo, solo a volere leggere la rubrica del Capo IV nel quale essi sono inseriti 
�degli atti aventi per scopo di impedire e di trattenere il pagamento di 
somme dovute dallo Stato�, alle ipotesi in cui sia lo Stato ad essere terzo; c) 
l�unica fonte normativa secondaria che potrebbe prevedere (come sopra si � 
detto e in certa qual misura smentito) � il D.M. 29 maggio 2007, recante le 
Istruzioni sul servizio di Tesoreria dello Stato, che al capo III, intitolato �Atti 
impeditivi al pagamento� all�art. 165 comma 4 prevede: �qualora l�atto impeditivo 
sia rivolto contro uffici centrali o periferici dello Stato (�) la Tesoreria 
vincola le eventuali disponibilit� del debitore esecutato nella misura 
stabilita dalla legge e rende la conseguente dichiarazione di terzo (�)�. Ma 
anche qui � evidente che il riferimento non � allo Stato debitore. 

Nell�ambito di una riflessione sulle conseguenze che la prassi del ricorso 


all�esecuzione presso terzi per il soddisfacimento di crediti nei confronti dello 
Stato ha comportato, non possono sfuggire le considerazioni che seguono. 

Il vincolo apposto continuativamente sui capitoli di spesa delle amministrazioni 
dello Stato comporta non solo la indisponibilit� dei fondi, che spesso 
si protrae indefinitivamente, per le anomalie che connotano il sistema, ma 
anche la necessit� di proporre un numero molto elevato di opposizioni all�esecuzione 
per far valere la impignorabilit� delle somme, impignorabilit� prevista 
da numerose disposizioni di legge. Infatti, per evitare la paralisi dell�attivit� 
ordinaria della P.A., il legislatore � stato costretto ad introdurre sempre pi� disposizioni 
che impongono vincoli di destinazione (sulla cui estensione � inevitabile 
insorgano questioni anche spesso giuridicamente complesse) con le 
conseguenze immaginabili in termini di durata e del costo dei giudizi. Su tali 
disposizioni particolari, sempre pi� utilizzate dal Legislatore, per garantire la 
continuit� dell�azione amministrativa nel campo dei cosiddetti servizi essenziali 
e ripresa pedissequamente - come sopra descritto - anche in relazione ai 
pagamenti previsti in esecuzione dei decreti di condanna per la Legge Pinto, 
si � - tra l�altro - pronunciata la Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 
350 del 1998. Le conclusioni della Corte, se convincono in ordine alla ragionevolezza 
e legittimit� costituzionale della speciale norma impugnata, lasciano 
aperte e meritano approfondimento in ordine: a) all�esistenza in queste procedure 
di una effettiva tutela del creditore procedente; b) all�estensione che si � 
avuta (soprattutto nei periodi di crisi nei pagamenti dello Stato) a molteplici 
fattispecie della descritta impignorabilit�; c) alla natura del rapporto di tesoreria 
tra Ministero dell�Economia e Banca d�Italia, che non pu� ragionevolmente, 
in assenza di gara o di procedure aperte, risolversi in un ordinaria 
concessione di servizio. Il recente ricorso massiccio al giudizio di ottemperanza 
(artt. 112 e segg. c.p.a.), segnalato dalle amministrazioni statali interessate 
e le forme anomale di pignoramento di azioni di societ� a totale 
partecipazione pubblica in possesso del Ministero del Tesoro, le difficolt�, infine, 
di far fronte alla prassi diffusa dei creditori di proseguire comunque nel 
tentativo di dar corso a pignoramenti presso terzi, costituiscono chiari sintomi 
di una vera e propria �crisi di sistema�. 

Per contro l�evoluzione della giustizia amministrativa, segnata dall�approvazione 
del nuovo codice del processo amministrativo, apre inedite prospettive 
in ordine alla puntuale esecuzione da parte degli organi dello Stato di 
dar corso, in tempi ragionevoli e senza iniqui oneri aggiuntivi, al pagamento 
delle condanne a somme di danaro. 

L�articolo 112 del Codice del processo amministrativo laddove estende, 
al comma 2, il giudizio di ottemperanza agli �altri provvedimenti esecutivi del 
giudice amministrativo� e �delle sentenze passate in giudicato e degli altri 
provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il giudizio di ottemperanza� 
sembra offrire una connotazione residuale e generale al nuovo 


giudizio di ottemperanza, affidandolo ad un giudice specializzato, non di 
sola legittimit�, in grado di condurre per mano, e con duttilit� nelle soluzioni 
in concreto adottate, l�amministrazione alla immediata realizzazione dell�interesse 
del creditore insoddisfatto. 

In altri termini opinione della Scrivente � che, nei giudizi resi dalla Cassazione 
e confermati dalla Corte Costituzionale, ai quali sopra si � accennato, 
il punto essenziale che ha giustificato l�estensione in via meramente interpretativa 
della possibilit�, genericamente prevista dall�ordinamento civile, 
di assoggettare a pignoramento (diretto o presso il terzo tesoriere) le somme 
assegnate dal bilancio statale alle singole amministrazioni, risiede nella circostanza 
che, nella prassi interpretativa dell�epoca, un creditore munito di 
titolo nei confronti dello Stato per somme di danaro non potesse utilmente 
esperire l�azione di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo, ancorch� 
il giudizio di ottemperanza fosse nato proprio per garantire l�esecuzione 
delle condanne rese dal giudice ordinario nei confronti della P.A.. Una volta 
pacificamente ammesso che oggetto del giudizio di ottemperanza possa essere 
l�esecuzione di sentenze di condanna di somme di danaro emesse dal 
giudice ordinario, sarebbero venuti meno i presupposti legittimanti la ammissibilit� 
del ricorso all�espropriazione forzata secondo il codice di rito, 
cos� come � oggi. 

Nulla osta a che il Legislatore intervenga a disciplinare la impignorabilit� 
di ogni risorsa finanziaria dello Stato, considerata l'esistenza dello specifico 
mezzo che consente al creditore di soddisfare la propria pretesa 
attraverso il giudizio di ottemperanza: il principio secondo cui l�Amministrazione 
statale, al pari di ogni altro debitore, risponde delle obbligazioni 
con l'intero patrimonio - principio che ha sorretto e giustificato l'orientamento 
della Corte di Cassazione - informa infatti parimenti l'istituto del giudizio 
di ottemperanza. 

In tale contesto � avviso della Scrivente che sia opportuno che il Legislatore 
intervenga per prevedere che l�unica forma per la soddisfazione coattiva 
di crediti monetari consacrati da titolo giudiziale nei confronti 
dell�Amministrazione statale sia il ricorso al giudizio di ottemperanza, 
norma che garantirebbe la eliminazione, in radice, di tutte le conseguenze 
negative che discendono dal ricorso all�espropriazione presso terzi regolata 
dal codice di rito. Si ritiene che tale previsione normativa possa superare il 
vaglio di costituzionalit� tenuto conto della adeguatezza del rimedio per la 
effettiva soddisfazione (e quindi per l�effettiva tutela giurisdizionale) del 
creditore e della coeva tutela delle posizioni della amministrazione statale 
che trovano copertura costituzionale. 

In linea con le suddette conclusioni � la volont� del Legislatore che, nel 
progetto iniziale della commissione per la adozione del codice del processo 
amministrativo, intendeva sostituire al nome "giudizio di ottemperanza" quello 


di "giudizio di esecuzione". Rimasta immutata la disciplina che ora conosciamo, 
si � tornati al giudizio di ottemperanza: la celerit� del rito, il dimezzamento 
dei termini processuali, gli ampi poteri del giudice amministrativo, 
la sicura soddisfazione del creditore a mezzo degli atti che eventualmente il 
commissario ad acta � chiamato ad adottare, la previsione ed applicazione 
della sanzione pecuniaria per l'inadempimento (4), secondo i parametri dell'art. 
614 bis c.p.c. anche per le statuizioni di condanna non tempestivamente eseguite, 
la proponibilit� del giudizio per la esecuzione di pronunce giurisdizionali 
la cui esecutivit� non sia sospesa (C.d.S. n. 6155/2011), sono tutti elementi 
che dovrebbero fare del giudizio di ottemperanza lo strumento di elezione per 
la soddisfazione delle pretese creditorie nei confronti dello Stato che siano 
consacrate in un titolo esecutivo. 

In tale sede potranno essere anche adottate congrue misure dirette ad evitare 
quelle anomalie e aggravi di spesa che, con dovizia di particolari ed una 
sostanziale ragionevolezza, vengono puntualmente segnalate dal Ministero 
della Giustizia. Evidentemente, ad esempio, occorrer� particolare attenzione 
nel far coincidere la nomina di commissari ad acta con funzionari della stessa 
amministrazione debitrice in grado di redigere efficacemente i mandati 
(elettronici) di pagamento, in modo da evitare che il compito affidato dal 
giudice si sovrapponga, come lavoro aggiuntivo, ai normali compiti d�istituto 
svolti dai diversi dipendenti nominati commissari. L�iniziativa legislativa potrebbe 
trovare la sua sede naturale nei provvedimenti che il Governo sta predisponendo 
proprio in relazione ai pagamenti delle pubbliche amministrazioni. 

4. In questo contesto e sulla base delle considerazioni in diritto sopra 
svolte, la bozza di accordo che si va a sottoscrivere con la Banca d�Italia assume 
una funzione strumentale di regolare al meglio una situazione di fatto, 
che presentava in relazione ai pignoramenti presso la Tesoreria, anche ulteriori 
anomalie e disfunzioni che le parti intendono comunque superare. 

Nell�esprimere, quindi, sostanziale condivisione sulle premesse, sull�oggetto 
e sugli obiettivi della bozza di accordo proposta, una particolare attenzione 
va riposta all�utilizzo degli speciali ordini di pagamento in conto sospeso. 

Su tale tema, in sede di tavolo di lavoro, l�Avvocatura, sulla scorta dei 
pareri resi in varie circostanze (Nota AGS 9356 del 29 gennaio 2003 e, da ultimo, 
dall�Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli) aveva condiviso la 
formula (in verit� generica) circa �un maggiore utilizzo di tale strumento 
anche con riferimento a fattispecie assimilabili a quelle contemplate dalla let


(4) Il ministero della Giustizia ha trasmesso in visione la nota CEDU del 13 dicembre 2012 con 
la quale la Corte segnala, in caso di componimento bonario, l�obbligo di corrispondere per il ritardo 
nell�adempimento (attestato dai ricorsi promossi presso l�organismo internazionale di giustizia) una 
somma forfettaria aggiuntiva di euro 200 a titolo di �danno morale�. La questione, in relazione al giudizio 
amministrativo � oggi all�esame della Corte Costituzionale presso la quale � stata rimessa dall�Adunanza 
Plenaria del Consiglio di Stato. 


tera della norma di legge (transazioni stipulate per atto pubblico, conciliazioni 
giudiziali etc.). Tale formulazione � stata espunta nelle modifiche richieste 
dalla Ragioneria Generale dello Stato. Su tale punto la Scrivente ritiene che il 
testo debba essere reintrodotto o, perlomeno, la questione affrontata. 

Il pagamento in conto sospeso � stato introdotto dall�art. 14 del DL 31 
dicembre 1996, n. 669, convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 
1997, n. 30 e concerne letteralmente �procedure per l'esecuzione dei provvedimenti 
giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti 
l'obbligo di pagamento di somme di danaro�. Il comma 2 prevede 
che: �Nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, nei casi previsti dal 
comma 1, il dirigente responsabile della spesa, in assenza di disponibilit� finanziarie 
nel pertinente capitolo, dispone il pagamento mediante emissione 
di uno speciale ordine di pagamento rivolto all'istituto tesoriere, da regolare 
in conto sospeso. La reintegrazione dei capitoli avviene a carico del fondo 
previsto dall'articolo 7 della legge 5 agosto 1978, n. 468, in deroga alle prescrizioni 
dell'ultimo comma. Con decreto del Ministro del tesoro sono determinate 
le modalit� di emissione nonch� le caratteristiche dello speciale 
ordine di pagamento previsto dal presente comma�. La problematica relativa 
al pagamento da regolare in conto sospeso precede chiaramente le tematiche 
relative al pignoramento e riguarda le amministrazioni presso le cui sedi vengono 
ex lege notificati i titoli esecutivi, ai sensi e per gli effetti di cui all�art. 
14 del D.L. 669/96. L�Avvocatura dello Stato, alla quale il titolo viene notificato 
per l�ulteriore finalit� della decorrenza del termine breve per l�impugnazione 
o comunicato dalla cancelleria dell�autorit� emittente, di norma 
trasmette il titolo all�amministrazione corredandolo del relativo parere sulla 
impugnabilit� o meno della statuizione, raccomandando comunque, ove non 
vi siano ragioni ostative, la pronta esecuzione, con riserva di ripetizione nel-
l�eventualit� di gravame. 

Si segnala che, come gi� affermato dall�Avvocatura Generale con nota n. 
9356 del 29 gennaio 2003 e ribadito con recente parere (CS 9378/12 GER) 
dall�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, l�amministrazione � tenuta 
al pagamento, anche in conto sospeso, a prescindere dalla notifica del titolo 
in forma esecutiva, costituendo la notifica del titolo esecutivo (ed il decorso 
dello spatium adimplendi) solo un onere in capo al creditore ed avendo gi� 
prima il titolo efficacia esecutiva con la operativit� della statuizione di condanna 
del debitore, determinante, ad esempio, la maturazione di interessi in 
capo al creditore, eventualmente statuiti, o comunque legalmente prescritti. 

� avviso della Scrivente che la procedura di conto sospeso possa ragionevolmente 
estendersi, eventualmente attraverso un atto di interpretazione 
autentica del Legislatore, agli atti di transazione e alle clausole conciliative 
le quali ove autenticate (art. 474 c.p.c.) acquistano natura di titolo esecutivo 
per le obbligazioni di somme di denaro in esse contenute. In altri termini sia 


la transazione e, ancor di pi� l�atto conciliativo in sede giudiziaria, nel quale 
pu� agevolmente confluire la stessa transazione, consentirebbero un notevole 
risparmio di spese e, spesso, in relazione a controversie relative ad apposizioni 
a decreti ingiuntivi, un abbattimento della stessa sorte richiesta 
dalla controparte. 

5. In ordine all�impignorabilit� dei fondi l�intesa raggiunta, seppur 
rappresenta un passo avanti rispetto alle attuali prassi, non consente di superare 
del tutto le notevoli difficolt� frapposte dal mondo forense e dagli stessi 
giudici dell�esecuzione in relazione all�applicazione di disposizioni di legge, 
quali quelle che sanciscono la non pignorabilit� di determinate somme, avvertite 
dal mondo giudiziario come ingiuste norme di privilegio. Inoltre 
spesso alla declaratoria legale di impignorabilit� di determinate somme a disposizione 
dell�amministrazione statale non segue l�esplicita esenzione per 
la Tesoreria dall�obbligo di accantonamento, sicch� il riacquisto della disponibilit� 
da parte dell�amministrazione intimata avviene solo all�esito (spesso 
incerto) di un giudizio di opposizione; si rammenta al riguardo l�art. 168 del 
decreto ministeriale 29 maggio 2007 recante le Istruzioni sui servizi del Tesoro 
laddove genericamente prevede che �in tutti i casi in cui l�ordinamento 
giuridico riconosca impignorabili e/o insequestrabili determinate disponibilit�, 
le Tesorerie sono tenute ad apporre ugualmente il vincolo ad eccezione 
dei soli casi in cui norme di legge espressamente le esonerino dall�obbligo 
di accantonare ...�. � una chiara anomalia del sistema, dal momento che l�impignorabilit� 
� stabilita dal Legislatore proprio per evitare che la mancanza 
di disponibilit� di fondi paralizzi attivit� delle amministrazioni statali costituenti 
servizi pubblici essenziali (5). 

(5) A titolo riassuntivo, e probabilmente non esaustivo, si evidenziano le disposizioni che concernono 
le fattispecie di impignorabilit�. 
L�art. 1 DL 313/94 primo comma individua alcuni limiti oggettivi di impignorabilit� per categorie di 
somme di denaro: i fondi di contabilit� speciale a disposizione delle prefetture delle direzioni di amministrazione 
delle Forze armate e della Guardia di finanza; le aperture di credito a favore dei funzionari 
delegati degli enti militari, degli uffici o reparti della Polizia di Stato, della Polizia penitenziaria e del 
Corpo forestale dello Stato, del Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualit� e repressione 
frodi dei prodotti agroalimentari e dei comandi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco o 
del Cassiere del Ministero dell'interno; i fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture 
aventi finalit� giudiziaria o penitenziaria; tutti i fondi comunque destinati a servizi e finalit� di protezione 
civile, di difesa nazionale, di sicurezza pubblica di vigilanza, prevenzione e repressione delle 
frodi nel settore agricolo, alimentare e forestale; al rimborso delle spese anticipate dai comuni per l'organizzazione 
delle consultazioni elettorali; al pagamento di emolumenti e pensioni a qualsiasi titolo 
dovuti al personale amministrato. 
Fuori dei casi di impignorabilit�, questi fondi sono tutti assoggettati esclusivamente alla procedura di 
espropriazione mediante pignoramento diretto di cui al comma 2 dell�art. 1 DL 313/94. Il comma 3 
(�Non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento ai sensi del presente articolo presso le sezioni 
di tesoreria dello Stato a pena di nullit� rilevabile anche d'ufficio. Gli atti di sequestro o di pignoramento 
eventualmente notificati non determinano obbligo di accantonamento da parte delle sezioni medesime 
n� sospendono l'accreditamento di somme nelle contabilit� speciali intestate alle prefetture ed alle di



rezioni di amministrazione ed in quelle a favore dei funzionari delegati di cui al comma 1�) va inteso 
nel senso che i pignoramenti vanno effettuati esclusivamente nelle forme dello speciale pignoramento 
diretto di cui al citato articolo 2. 
Di contro presso la tesoreria non sono ammessi pignoramenti aventi ad oggetto le somme sopra individuate: 
conseguentemente, per espressa disposizione di legge, non sorge alcun obbligo di accantonamento 
in capo al terzo eventualmente irritualmente pignorato. 
Il medesimo espresso divieto di accantonamento riguarda le altre seguenti somme, parimenti dichiarate 
impignorabili e non soggette ad obbligo di accantonamento: 
1) Fondi destinati al pagamento di spese, principali e accessorie, per servizi e forniture aventi finalit� di 
difesa nazionale e sicurezza, nonch� agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato 
dal Ministero della difesa, accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli 
uffici centrali e periferici del Ministero della difesa (art. 4 D.L. 29-12-2011 n. 215). 
2) Fondi intestati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonch� al Ministero della Salute, I 
fondi destinati, mediante aperture di credito a favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici 
del Ministero della salute, a servizi e finalit� di sanit� pubblica nonch� al pagamento di emolumenti 
di qualsiasi tipo comunque dovuti al personale amministrato o di spese per servizi e forniture prestati 
agli uffici medesimi, non sono soggetti ad esecuzione forzata (Art. 1 comma 294 L. 23-12-2005 n. 266 
e Art. 37 L. 4-11-2010 n. 183). 
3) Somme affluite nelle contabilit� speciali intestate a carico degli enti ed organismi pubblici di cui al 
primo comma dell'articolo 1 comma 1-bis L. 29/10/1984 n. 720. 
4) Le somme ed i crediti derivanti dai canoni di locazione e dalla alienazione di alloggi di edilizia residenziale 
pubblica di spettanza degli IACP, iscritti in capitoli di bilancio o in contabilit� speciale (Art. 2 
comma 85 L. 23-12-1996 n. 662). 
5) Emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia, accreditati 
mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero 
della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia (ex art. 1-ter del d.l. n. 
143/2008 conv. in l. 181/2008). 
Quanto alla problematica relativa alla estensione del vincolo di impignorabilit� di cui all�art. 1-ter D.L. 
143 del 16.9.2008 come modificato dalla Legge di conversione n. 181 del 13.11.08, concernente pignoramenti 
sulla contabilit� ordinaria del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione 
nazionale antimafia, come gi� evidenziato dall�Avvocatura Generale con Parere del 21 ottobre 
2009 prot. 311665, �Per i pignoramenti presso terzi notificati successivamente al 16 novembre 2008�, 
data di entrata in vigore della legge di conversione citata, la Banca d�Italia dovrebbe rendere dichiarazione 
negativa nella quale si evidenzi di non aver eseguito alcun accantonamento in quanto l�atto di 
pignoramento, che avrebbe dovuto essere effettuato secondo le modalit� di cui al comma 2 dell�art. 1 
del decreto-legge 25 maggio 1994, n. 313, convertito in Legge 22-7-1994 n. 460, �, in forza di esplicita 
prescrizione, affetto da nullit� e non comporta obbligo di accantonamento da parte delle Tesorerie Provinciali 
dello Stato. 
In tale fattispecie, pertanto, sussistendo la dichiarazione negativa unitamente a mancato accantonamento, 
non vi sarebbe l�esigenza di proporre opposizione all�esecuzione. 
In quella sede si � chiarito altres� la rubrica dell�art. 1-ter sopra citato va letta con riferimento al disposto 
della medesima norma, la quale non stabilisce l�impignorabilit� di qualsiasi somma in giacenza sulla 
contabilit� ordinaria, ma solo le somme ivi presenti che siano �destinate al pagamento di spese per servizi 
e forniture aventi finalit� giudiziaria o penitenziaria, nonch� agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti 
al personale amministrato dal Ministero della giustizia, accreditati mediante aperture di credito in 
favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici 
giudiziari e della Direzione nazionale antimafia�. 

Ci� fermo restando che la forma del pignoramento debba restare quella del pignoramento diretto con le 
conseguenze di cui subito appresso. 
L�art. 1 DL 313/94, richiamato dall�art. 1-ter DL 143/08, deviando dallo schema normativo di cui all�art. 
617 c.p.c. - integra una forma espressa di nullit� (di un atto processuale) insanabile, rilevabile d�ufficio 
e non assoggettata al termine di cui all�art. 617 c.p.c. I pignoramenti debbono essere eseguiti esclusivamente, 
a pena di nullit� rilevabile d'ufficio, secondo le disposizioni del libro III - titolo II - capo II del 
codice di procedura civile (e cio� nelle forme dell�espropriazione mobiliare presso il debitore), con atto 


notificato al funzionario delegato nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati, con l'effetto 
di sospendere ogni emissione di ordinativi di pagamento relativamente alle somme pignorate. Il 
funzionario, semprech� esistano sulla contabilit� speciale fondi pignorabili, provveder� a vincolare l'ammontare 
delle somme pignorate (si veda art. 1, comma 2 del decreto-legge 25 maggio 1994, n. 313 il 
quale espressamente afferma che detti pignoramenti si effettuano secondo le peculiari forme ivi indicate 
e cos� �si eseguono esclusivamente, a pena di nullit� rilevabile d'ufficio�). 
� inoltre espressamente previsto dal successivo comma 3 dell�art. 1 DL 313/94 che �non sono ammessi 
atti di sequestro o di pignoramento ai sensi del presente articolo presso le sezioni di tesoreria dello 
Stato a pena di nullit� rilevabile anche d'ufficio� e che �gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente 
notificati non determinano obbligo di accantonamento da parte delle sezioni medesime�. 
(NB la norma � pedissequamente riproposta all�art. 5 quinquies della legge 89/01. Vedi oltre). 
Dal rapido excursus normativo sin qui effettuato, appare evidente che l�atto di pignoramento, effettuato 
in difformit� dal peculiare modello disciplinato dal D.L. 313/94, � assoggettato al seguente regime: 
a) la forma del pignoramento diretto � l�unica esclusivamente utilizzabile, diversamente opinando, la 
nuova forma del pignoramento diretto presso il debitore non potrebbe mai essere applicata perch� 
l�azione esecutiva o � diretta ad aggredire fondi impignorabili (perch� destinati ai particolari scopi individuati 
dalle singole normative sopra richiamate) oppure altri fondi (fondi diversi) che sarebbero pignorabili 
nelle normali forme dell�espropriazione presso terzi. Ma la previsione di due diverse forme di 
pignoramento non � contemplata dall�art. 1 del D.L. 313/1994; 
b) l�atto difforme dal suddetto paradigma normativo � qualificato espressamente come nullo e tale nullit� 
� espressamente qualificata come rilevabile d�ufficio; 
c) gli atti di pignoramento eventualmente effettuati presso le tesorerie (in difformit� del paradigma normativo) 
sono assolutamente inefficaci in quanto non comportano obbligo di accantonamento. Essi, in 
altri termini, sottraggono all�oggetto dell�espropriazione le somme depositate presso le Tesorerie, e ci� 
fanno privando gli atti di pignoramento erroneamente effettuati di ogni idoneit� all�imposizione del vincolo 
conservativo, cos� evidenziando la voluntas legis di sottrarre le suddette somme al soddisfacimento 
forzato del credito per cui si procede. Trattandosi di nullit� assoluta e rilevabile d�ufficio che � volta ad 
impedire la prosecuzione del processo esecutivo verso l�esito finale, la stessa non pu� ritenersi assoggettata 
ai limiti temporali di rilevabilit� di cui all�art. 617 comma 2 c.p.c., n� il giudice dell�esecuzione 
� libero nel non rilevarla costituendo lo stesso un vero e proprio potere-dovere. L�inefficacia assoluta 
dell�atto di pignoramento - ove effettuato nelle forme di cui agli artt. 543 ss. c.p.c. anzich� nelle forme 
di cui al DL 313/94 - � costruita in modo da impedire il sorgere dello stesso obbligo di accantonamento 
e custodia in capo al terzo e quindi in modo da impedire il sorgere di alcun vincolo di indisponibilit� 
del credito sussistente nei confronti del debitor debitoris. Ci� rinviene la sua ratio, evidentemente, nella 
volont� di sottrarre le somme depositate presso le Tesorerie all�oggetto dell�espropriazione, il che avviene 
privando gli atti di pignoramento erroneamente effettuati di ogni idoneit� all�imposizione del vincolo 
conservativo: emerge cos� la voluntas legis di sottrarre le suddette somme al soddisfacimento forzato 
del credito per cui si procede. 
Infatti, una volta escluso l�obbligo del terzo debitor debitoris di effettuare l�accantonamento, viene a 
mancare l�oggetto stesso dell�espropriazione, giacch� quel credito � sottratto al processo ed � ineseguibile, 
in quanto al medesimo non attratto, per l�assenza di produzione degli effetti preliminari di indisponibilit�. 
Se lo scopo della norma � quello di sottrarre le somme giacenti presso la Tesoreria al processo 
esecutivo, stabilendo per altra via le modalit� con cui vanno individuate le somme destinate al soddisfacimento 
del creditore procedente, allora ammettere che comunque il pignoramento erroneamente effettuato 
nelle forme di cui agli artt. 543 ss. c.p.c. possa proseguire costituirebbe un�interpretazione 
abrogratrice del chiaro dettato normativo che identifica il pignoramento diretto secondo le forme imposte 
dall�art. 1 DL 313/94 quale forma esclusiva a pena di nullit� assoluta delle altre forme di pignoramento 
senza che sia ipotizzabile alcuno spazio residuo per l�espropriazione presso terzi. A mente della consolidata 
giurisprudenza di legittimit� �le situazioni invalidanti, che si producano nella fase che � conclusa 
dalla ordinanza di autorizzazione della vendita, sono suscettibili di rilievo nel corso ulteriore del processo� 
(SS.UU. n. 11178 del 27/10/1995) allorch� impediscano che il processo consegua il risultato che 
ne costituisce lo scopo, e cio� l'espropriazione del bene pignorato come mezzo per la soddisfazione dei 
creditori. Detto principio � stato confermato e precisato da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 837 del 16/01/2007 
con la quale si � statuito che le nullit� �sono suscettibili di rilievo nel corso ulteriore del processo - me



Se cos� stanno le cose, allo stato degli atti la posizione assunta dalla Banca 
d�Italia, laddove dichiara di attenersi ad una �interpretazione restrittiva della 
normativa che dispone le ipotesi di impignorabilit�� e �rende dichiarazione 
negativa solo se la legge contempla espressamente l�esonero dall�obbligo di 
accantonamento�, diverge dall�interpretazione prospettata della ratio e funzionalit� 
della declaratoria di impignorabilit� disposta dalla legge e pone le 
premesse per il protrarsi di un contenzioso inutile e dannoso per l�Erario. Il 
semplice coordinamento dell�attivit� della Banca d�Italia con la difesa assunta 
dall�Avvocatura dello Stato, ancorch� prassi utile (finora raramente seguita) 
non appare misura sufficiente ad una serena trattazione di siffatti �anomali� 
processi esecutivi. 

Evidentemente un atto legislativo che, in relazione a tutti i casi in cui la 
legge prevede l�impignorabilit� di determinati fondi, faccia seguire l�esenzione 
dall�obbligo di accantonamento da parte del terzo, con riguardo al complesso 
delle disponibilit� dell�amministrazione interessata, risolverebbe alla radice il 
problema. In tal modo il terzo (Banca d�Italia) sarebbe esentato dal verificare 
la destinazione dei fondi ed il meccanismo, previsto dal legislatore, dispiegherebbe 
appieno i suoi effetti. 

6. Quanto alle spese di registrazione dei titoli oggetto di esecuzione forzata 
l�intesa operativa con la Banca d�Italia appare utilmente perseguibile, soprattutto 
in relazione all�effetto di svincolo di somme che, date le circostanze, 
resterebbero accantonate e non disponibili da parte dell�Amministrazione per 
tempo indefinito. � apprezzabile altres� sia l�inserimento di una formula di 
salvaguardia nella dichiarazione che va a compiere la Banca d�Italia, sia l�interlocuzione 
che si prospetta con l�Avvocatura dello Stato in ordine all�eventuale 
opposizione al pignoramento. Per quanto concerne la soluzione pratica 
prospettata di ricorrere in talune ipotesi a �conti sospesi collettivi�, la Scrivente 
non pu� che ribadire quanto gi� esposto sul punto nel documento di lavoro a 
suo tempo inviato, che si riporta in nota (6). 

diante opposizione agli atti esecutivi anche oltre il termine dei cinque giorni previsti a pena di decadenza, 
o d'ufficio dal giudice dell'esecuzione�). 
In definitiva, la sottrazione dei fondi delle suddette contabilit� alla possibilit� dell�espropriazione presso 
terzi integra un vizio di nullit� assoluta che, dal lato degli obblighi della tesoreria, impone di non eseguire 
l�accantonamento e, sul versante dell�azione esecutiva (per ci� che concerne l�attivit� dell�Avvocatura) 
� impediente lo svolgimento del processo (il quale sarebbe altrimenti mancante del suo oggetto); il relativo 
vizio � sottratto ai termini di cui all�art. 617 c.p.c. 

(6) � noto al riguardo che le spese di registrazione per sentenze, provvedimenti e gli atti che occorrono 
nei procedimenti contenziosi nei quali sono interessate le amministrazioni dello Stato sono prenotati 
a debito, in quanto, in caso di soccombenza dell�Amministrazione, le stesse costituiscono una 
partita di giro per l�Erario, che non subisce un vero e proprio esborso, rientrando nel c.d. Campione 
Civile (oggi, ai sensi dell�art. 161 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia 
di spese di giustizia �registro delle spese prenotate a debito�). La statuizione del G.E. sul punto sarebbe 
infatti illegittima per violazione del combinato disposto di cui agli artt. 59 del D.P.R. 131/1986 e 158 


del D.P.R. 115/2002 secondo cui si registrano a debito, cio� senza contemporaneo pagamento delle imposte 
dovute, le sentenze, i provvedimenti e gli atti che occorrono nei procedimenti contenziosi nei quali 
sono interessate le amministrazioni dello Stato e sono prenotati a debito, se a carico dell'amministrazione, 
tra gli altri, anche l'imposta di registro ai sensi di detto articolo 59. 
Ove sussista, dunque, un titolo esecutivo (giudiziale) nei confronti dell�Amministrazione dello Stato e 
il G.E., in sede di procedura esecutiva a carico di quest�ultimo, disponga nell�ordinanza di assegnazione 
il pagamento anche delle spese di registrazione, la Tesoreria dovrebbe assumere l�impegno di trasmettere 
immediatamente tale ordinanza all�Avvocatura dello Stato onde consentire la tempestiva proposizione 
di opposizione agli atti esecutivi. 
La Tesoreria, ai sensi dell�art. 170 del citato D.M. 29/5/2007, dovr� comunque eseguire tempestivamente, 
e comunque nel termine di legge, le ordinanze di assegnazione corrispondendo, in aggiunta a quelle indicate 
nel provvedimento, quelle di registrazione solo se il creditore ne comprova il pagamento, trasmettendo 
copia degli atti all�Avvocatura dello Stato per consentire l�azione di ripetizione all�esito 
dell�opposizione agli atti esecutivi. 
In difetto di prova del pagamento si ritiene che la tesoreria abbia l�obbligo di svincolare le somme che 
residuano dopo l�esecuzione dell�ordinanza in quanto il vincolo di indisponibilit� per l�importo pari alle 
spese di registrazione dell�ordinanza di assegnazione, che si risolve in grave danno per le amministrazioni 
debitrici, non sarebbe giustificato, non costituendo l�ordinanza di assegnazione con contestuale 
liquidazione delle spese dell�esecuzione, titolo esecutivo. Essa non pu� contenere neanche una condanna 
in caso di incapienza del residuo credito insoddisfatto (cfr. Cass. Civ. ord. n. 30457 del 30 dicembre 
2011). Con tale pronuncia la S.C. sembra aver superato il precedente orientamento (Cass. 19363/2007 
e 3976/03) secondo cui l�ordinanza di assegnazione costituiva titolo esecutivo non solo per la somma 
assegnata, ma anche per le spese della procedura sia nei confronti del debitore sia nei confronti del terzo. 
Si legge in tale pronuncia:�l�art. 95 c.p.c , in relazione alla espropriazione forzata - ipotesi ricorrente 
nel caso in esame, si limita ad enunciare il principio secondo cui le spese sono a carico di chi ha subito 
l�esecuzione, il che gi� consente di escludere che, in questo tipo di esecuzione, sia consentito al giudice 
dell�esecuzione adottare una pronuncia di condanna, costituente titolo esecutivo, nei confronti del soggetto 
che ha subito l�esecuzione.(�) Deve infatti ribadirsi che, nel procedimento di espropriazione forzata 
- come nella specie - l�onere delle spese non segue il principio della soccombenza, come nel giudizio 
di cognizione, ma quello della soggezione del debitore all�esecuzione con il proprio patrimonio (artt. 
2740 e 2910 c.c.), per cui il provvedimento di liquidazione delle spese, ancorch� autonomamente emesso 
dal giudice dell�esecuzione, ha solo la funzione di verifica del relativo credito, del tutto analoga a quella 
che il giudice dell�esecuzione compie per il credito di cui si procede (ed i relativi interessi) ai fini del 
progetto di distribuzione e dell�assegnazione della somma ricavata dalla vendita dei beni pignorati 
(Cass. 8/5/1998 n. 4653; Cass. ord. 11/10/1994 n. 789). Ne deriva la correttezza della sentenza in questa 
sede impugnata, la quale ha ritenuto che l�ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. non costituisse 
titolo esecutivo nei confronti del debitore n� potesse contenere una condanna, nel caso - verificatosi 
nella specie - di incapienza del residuo credito soddisfatto�. Del resto, sulla inidoneit� dell�ordinanza 
di assegnazione ad acquisire il valore di giudicato si veda Cass. n. 11404/2009. 
Quindi la prassi seguita dalla Banca d�Italia secondo cui, in assenza di prova del versamento dell�imposta 
di registro, gli accantonamenti permangono fino al decorrere del termine ordinario di prescrizione ordinaria 
presuppone, con ci� incorrendo in errore, che l�ordinanza di assegnazione, quanto alle spese di registrazione, 
costituisca titolo esecutivo. 
Ovviamente, nel caso in cui il G.E. nulla disponga, correttamente, sulle spese di registrazione, giammai esse 
dovranno, seppur documentate, essere corrisposte al creditore procedente acquisendo il pagamento, in caso 
contrario, il carattere di indebito alla luce dei richiamati artt. 59 del D.P.R. 131/1986 e 158 del D.P.R. 115/2002. 
Del pari la Tesoreria dovr� astenersi dal dare corso al pagamento di somme intimate con precetto che 
abbiano esse riguardo a spese di registrazione, a spese della procedura esecutiva o al credito residuo per 
incapienza della somma assegnata. 
Sul punto peraltro soccorre anche l�art. 165 comma 5 del D.M. 29/5/2007 di approvazione delle Istruzioni 
sul servizio di tesoreria dello Stato, a mente del quale �le eventuali inibitorie o diffide notificate, anche 
a mezzo ufficiale giudiziario, alla Tesoreria non determinano la sospensione dei pagamenti. La Tesoreria 
d� informativa di tali atti all�amministrazione emittente, senza darne comunicazione agli interessati 
circa l�inefficacia degli atti stessi�. 


7. In relazione all�estensione temporale dell�obbligo del terzo e alle cosiddette 
dichiarazioni integrative la soluzione prospettata nella bozza di accordo, 
soprattutto se letta alla luce della nota della Banca d�Italia n. 269841 
del 15 marzo 2013 allegata all�accordo stesso � - ad avviso della Scrivente pienamente 
satisfattiva. 

Nel documento di lavoro proposto dall�Avvocatura dello Stato si esprimeva 
l�avviso che la questione, derivante da una prassi largamente diffusa nel 
Foro campano, costituisse il punto pi� delicato della trattazione in corso nel 
tavolo di lavoro. 

A fronte di un orientamento tuttora diffuso secondo il quale il pignoramento 
si estende a tutte le somme �dovute e debende� fino all�effettiva determinazione 
e soddisfazione del credito, o mediante dichiarazione o mediante 
sentenza che accerti l�obbligo del terzo, sul punto non pu� che richiamarsi a 
quanto dedotto nel parere dell�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli 
(CS 10923/2012 CNZ), soggiungendo che l�obbligo di accantonamento del 
terzo si arresta, a rigore, alle somme dovute alla data di notifica del pignoramento 
e al pi� tardi al momento della formazione della dichiarazione, che sar� 
poi oggetto di comunicazione a mezzo raccomandata o pec sia all�ufficio giudiziario 
che al creditore procedente ed al debitore esecutato. 

Al riguardo va ricordato, che con riferimento alle procedure esecutive intraprese 
a far data dal 1� gennaio 2013 la novella introdotta con la legge 228/2012 
ha profondamente mutato la natura e la struttura del pignoramento presso terzi. 

� previsto, infatti, che la dichiarazione del terzo venga resa, oltre che a 
mezzo raccomandata, alternativamente anche a mezzo posta elettronica certificata. 
Su questo punto sembra doversi sottolineare l�opportunit� di impiegare 
esclusivamente questo strumento, anche tenuto conto del fatto che l�atto di pignoramento 
� compiuto dalla parte con il patrocinio di difensore, obbligato a 
indicare nell�atto l�indirizzo di PEC. In via legislativa sarebbe opportuno rendere 
obbligatorio, a pena di improcedibilit� dell�esecuzione forzata rilevabile 
anche d�ufficio, l�indicazione del codice IBAN del conto corrente del creditore 
procedente, al fine di snellire le procedure di pagamento (nel caso in cui non 
si ritenga di proporre opposizione) e di evitare la duplicazione continuativa di 
pignoramenti per le spese successive. 

Sempre riguardo alle spese di registrazione ove queste siano poste a carico del creditore procedente (all�esito 
fruttuoso di un giudizio di opposizione), le stesse potranno essere recuperate attivando la riscossione 
mediante ruoli effettuata dall�Ufficio del Campione Civile esistente presso ogni Ufficio giudiziario 
giusta la previsione di cui all�art. 158 del D.P.R. 115/2002 comma 3, a mente del quale �le spese prenotate 
a debito e anticipate dall'erario sono recuperate dall'amministrazione, insieme alle altre spese 
anticipate, in caso di condanna dell'altra parte alla rifusione delle spese in proprio favore�. 

La Tesoreria, in tale eventualit�, e nell�ipotesi in cui si sia corrisposto in esecuzione dell�ordinanza del 

G.E. il pagamento dell�importo pari alle spese di registrazione, dovrebbe quindi impegnarsi a trasmettere 
al suddetto Ufficio del campione Civile la documentazione attestante l�avvenuta liquidazione. 


Se il creditore procedente dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, 
e comunque il terzo non compaia all�udienza, il giudice fissa un�ulteriore 
udienza con ordinanza da notificarsi al terzo almeno 10 giorni prima della 
nuova udienza. Se il terzo non compare a tale ulteriore udienza la somma pignorata 
si considera non contestata e si forma il titolo di assegnazione. Appare 
evidente, come il meccanismo si presti a un utilizzo abusivo da parte del creditore 
procedente, il quale potrebbe omettere il deposito della dichiarazione 
(affermando di non averla ricevuta) onde attivare il meccanismo di non contestazione 
in caso di mancata comparizione in udienza. Si badi che, in vista 
della seconda udienza, non � prevista la possibilit� di emettere dichiarazione 
a mezzo raccomandata o PEC ma � consentita solo la partecipazione all�udienza. 
D�altra parte, non � previsto che il debitore venga a conoscenza 
dell�avvenuta emissione della dichiarazione del terzo onde � altamente probabile 
che non abbia modo di opporsi tempestivamente e fondatamente all�assegnazione 
basata sul meccanismo di non contestazione. Inoltre, l�unica 
ragione di opposizione agli atti riconosciuta al terzo � quella relativa all�eccezione 
di non aver avuto conoscenza della citazione di cui all�art. 543 c.p.c.. 

Possibili rimedi: anzitutto sarebbe opportuno che la dichiarazione del 
terzo venga trasmessa via PEC anche all�Avvocatura dello Stato per il tempestivo 
deposito in vista dell�udienza. In via legislativa: sarebbe auspicabile la 
promozione di una norma che consenta l�invio direttamente alla cancelleria 
del giudice, a mezzo PEC, della dichiarazione di quantit�, affinch� la stessa 
venga d�ufficio aggiunta al fascicolo dell�esecuzione. In tale nuovo contesto 
tuttavia la prassi che intende adottare (ed ha in parte gi� adottato) la Banca 
d�Italia, a seguito della nota a firma Saccomanni n. 269841 del 15 marzo 2013, 
appare ragionevole e non lesiva delle possibilit� di effettiva difesa da parte 
dell�amministrazione che subisce il pignoramento. 

8. Sull�estinzione delle procedure esecutive da lungo tempo pendenti, 
ma tuttora non dichiarate formalmente estinte e sullo svincolo delle relative 
somme accantonate (art. 169 IST), la collaborazione promessa dalla Banca 
d�Italia e dal Ministero della Giustizia appaiono idonee a dar luogo ad uno 
snellimento negli accertamenti necessari. Il dato decisivo appare la possibilit� 
di accesso da parte della Banca d�Italia alle procedure telematiche presso le 
Cancellerie del GE, anche se la disponibilit� di elenchi aggiornati (e dei relativi 
accantonamenti) consentono comunque agli uffici amministrativi e, 
all�occorrenza, all�Avvocatura dello Stato di pervenire in tempi ragionevoli 
ad utili risultati. 
9. In conclusione la Scrivente � dell�avviso che - sia pure nel quadro di 
incertezza normativa sopra delineato - l�accordo predisposto con la Banca 
d�Italia possa essere utilmente sottoscritto, rimettendosi la Scrivente alle valutazioni 
di codeste amministrazioni in ordine: a) all�eventuale ripristino della 
formula a suo tempo concordata relativamente all�art. 3, circa una pi� estesa 



utilizzazione della procedura di pagamento in conto sospeso; b) ad una riformulazione 
dell�art. 4 che tenga conto dell�effettiva portata della impignorabilit�, 
comunque sancita da fonte legislativa. 

In realt� la materia dell�esecuzione per somme di danaro nei confronti di 
organi dello Stato necessita ad avviso della Scrivente di una urgente riscrittura 
unitaria, muovendo, ove se ne ravvisi l�opportunit�, proprio dall�esecuzione 
dei decreti di condanna sulla legge Pinto e chiarendo fino in fondo la 
valenza e l�estensione delle varie �impignorabilit��, diffuse in disposizioni 
sparse e frammentate nella legislazione amministrativa vigente. 

Nei sensi di cui sopra � il richiesto parere, sul quale � stato acquisito l�avviso 
del Comitato consultivo, che si � espresso in conformit�. 

*** ** *** 

ACCORDO PER LA GESTIONE DEGLI ATTI DI PIGNORAMENTO IN DANNO DI AMMINISTRAZIONI 
DELLO STATO NOTIFICATI ALLA BANCA D�ITALIA -TESORERIA DELLO 
STATO, IN VESTE Dl TERZO PIGNORATO 

VISTO l'art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, disciplinante gli accordi tra pubbliche 
amministrazioni; 
VISTI la legge 28 marzo 1991, n. 104, di proroga della gestione del servizio di tesoreria 
provinciale dello Stato, e la relativa convenzione tra il Ministero del Tesoro e la Banca 
d'Italia stipulata il 17 gennaio 1992, nonch� l'art. 6 dei decreto legislativo 5 dicembre 
1997, n. 430, che affida alla Banca d'Italia il servizio di tesoreria centrale dello Stato, e 
la relativa convenzione tra il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione 
economica e la Banca d'Italia stipulata il 9 ottobre 1998; 
CONSIDERATO che in veste di terzo pignorato la Banca d'Italia, in qualit� di esercente il 
servizio di tesoreria dello Stato, riceve e gestisce un rilevante numero di "pignoramenti 
presso terzi in danno di Amministrazioni statali", attenendosi alle disposizioni del codice 
di procedura civile e alle leggi speciali che disciplinano la materia, nonch� alle Istruzioni 
sul Servizio di Tesoreria dello Stato approvate con decreto del Ministro dell'Economia 
e delle Finanze 29 maggio 2007 (d'ora in poi IST); 
CONSIDERATO che, con nota n. 1031394 del 15 dicembre 2011, la Banca d'Italia ha 
proposto all'Avvocatura Generale dello Stato e al Ministero dell'Economia e delle 
Finanze la costituzione di un tavolo di lavoro per esaminare le problematiche derivanti 
dal significativo aumento degli atti di pignoramento presso terzi notificati negli 
ultimi anni alla Banca d'Italia in qualit� di tesoriere dello Stato e che, con nota n. 
243842 dell'8 marzo 2013, la partecipazione ai lavori � stata estesa al Ministero della 
Giustizia, in considerazione delle peculiarit� dei pignoramenti che interessano quest'ultimo 
Dicastero; 
CONSIDERATO che la Banca d'Italia, ai sensi dell'art. 5, comma 1, dei decreto del Presidente 
della Repubblica 30 dicembre 2003, n. 398, non pu� concedere anticipazioni di 
alcun tipo al Tesoro; 
CONSIDERATO quanto emerso dagli approfondimenti condotti nel corso delle riunioni 
svoltesi in data 12 aprile 2012, 19 novembre 2012, 4 e 30 aprile 2013, 23 maggio 2013, 
17 e 24 giugno 2013 e 19 dicembre 2013, anche alla luce del documento di lavoro prodotto 
dall'Avvocatura Generale dello Stato, che contiene tra l'altro una proposta norma



tiva volta a promuovere il ricorso al giudizio di ottemperanza come unica forma per la 
soddisfazione coattiva di crediti nei confronti della P.A.; 
la Banca d'Italia, in qualit� d� esercente il servizio di tesoreria dello Stato, il Ministero 
dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato 
(d'ora in avanti anche Dipartimento della Ragioneria Generate dello Stato), il Ministero 
della Giustizia e l�Avvocatura Generale dello Stato (di seguito, quando considerati 
cumulativamente, indicati come sottoscrittori) sottoscrivono il presente Accordo. 

1. Oggetto 

Il presente Accordo disciplina le attivit� che i sottoscrittori si impegnano a porre in 
essere con riferimento alla gestione dei pignoramenti in danno di Amministrazioni dello 
Stato notificati alla Banca d'Italia -Tesoreria dello Stato in qualit� di terzo pignorato. 

2. Obiettivi 

Gli impegni assunti dai sottoscrittori con il presente Accordo perseguono i seguenti 
obiettivi: 

- accrescere l'efficienza nella gestione degli atti di pignoramento individuando e promuovendo 
attivit� che, senza pregiudizio dei diritti dei creditori, prevengano le azioni 
esecutive, razionalizzino gli adempimenti in capo ai sottoscrittori e riducano i costi, diretti 
e indiretti, sostenuti dalle Amministrazioni debitrici, dalla Banca d'Italia in qualit� 
di terzo pignorato e dal sistema giudiziario; 
- rafforzare la collaborazione interistituzionale tra i sottoscrittori e tra questi e gli uffici 
giudiziari, anche al fine di ridurre i margini d'incertezza nell'interpretazione della normativa 
di riferimento e di contenere i vincoli alla gestione delle ordinarie procedure di 
spesa derivanti dal blocco dei fondi conseguente al pignoramento; 


-promuovere soluzioni normative alle problematiche riguardanti la materia dei pignoramenti 
in danno delle Amministrazioni dello Stato. 

3. Utilizzo degli speciali ordini di pagamento in conto sospeso al fine di prevenire 
le esecuzioni forzate 

Con l'art. 14 del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito nella legge 28 febbraio 1997, 

n. 30, � stato introdotto lo "speciale ordine di pagamento in conto sospeso", di seguito 
"SOP", con il quale le Amministrazioni dello Stato possono effettuare pagamenti per 
prevenire le esecuzioni forzate. Presupposti per l'emissione del SOP sono l'indicazione 
del debito in un provvedimento giurisdizionale o lodo arbitrale avente efficacia esecutiva 
e l'indisponibilit� di somme sul capitolo di bilancio di pertinenza dell'Amministrazione 
debitrice. 
I sottoscrittori riconoscono l'efficacia del SOP in chiave preventiva alle esecuz�oni forzate 
in danno dello Stato e convengono di intraprendere iniziative volte a favorire l'utilizzo 
di tale strumento. 
In relazione a ci�: 

-l'Avvocatura Generate dello Stato si impegna a fornire indicazioni alle Avvocature 
Distrettuali affinch�, nel trasmettere il titolo esecutivo notificato alle stesse ope legis, 
rammentino alle Amministrazioni debitrici l'utilizzo del SOP come strumento di assolvimento 
dell'obbligazione pecuniaria in assenza di fondi sul pertinente capitolo di bilancio, 
sottolineando quanto previsto dall'art. 14, comma 2, D.L. 669/96; 

-Il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato si impegna a predisporre una 


circolare indirizzata alle Amministrazioni dello Stato, che riordini e coordini le istruzioni 
emanate a suo tempo per l'utilizzo dei SOP e legittimi la Banca d'Italia a dar corso ai 
SOP previa verifica della loro regolarit� formale (compresa l'indicazione sul titolo del-
l'Amministrazione emittente e del capitolo di bilancio interessato) e dell'avvenuto riscontro 
tramite apposizione del "visto" da parte degli Uffici Centrali di Bilancio o delle 
Ragionerie Territoriali. 

4. Impignorabilit� dei fondi 

I sottoscrittori convengono che l'ampia produzione normativa, con la quale il legislatore 
ha inteso sottrarre all'esecuzione forzata risorse destinate ad assicurare funzioni pubbliche 
meritevoli di particolare tutela, forma oggetto di un'applicazione non omogenea da 
parte dei tribunali e di un'interpretazione sovente non uniforme da parte delle Amministrazioni 
interessate. 
In tale contesto, si prende atto che la Banca d'Italia, in qualit� di terzo pignorato, si attiene 
a un'applicazione restrittiva della normativa che dispone le ipotesi di impignorabilit�, 
atteso il suo carattere derogatorio ed eccezionale rispetto ai principi generali in 
materia di responsabilit� patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.). 
In relazione a ci�: 

-la Banca d'Italia rende dichiarazione negativa solo se la legge contempla espressamente 
anche l'esonero dall'obbligo di accantonamento (1); 

-l'Avvocatura Generale dello Stato, con specifico riguardo alle ipotesi di interpretazione 
non uniforme della normativa in materia di impignorabilit�, si impegna ad inviare 
alla Banca entro i tempi previsti per la dichiarazione di terzo, una nota nella quale esplicita 
le proprie considerazioni in merito all'impignorabilit� dei fondi; 

-la Banca d'Italia si impegna ad accludere alle dichiarazioni di terzo positive o parzialmente 
positive le note pervenute dall'Avvocatura dello Stato entro i termini di presentazione 
delle dichiarazioni stesse e a indirizzare via PEC alla competente Avvocatura, 
nella stessa data d'invio al creditore, la dichiarazione di terzo resa unitamente all'atto di 
pignoramento. 

5. Spese di registrazione di ordinanze di assegnazione 

Sovente nelle ordinanze sono assegnate alla parte creditrice le spese di registrazione 
delle ordinanze stesse ancorch� detti oneri rientrino tra quelli oggetto d� prenotazione a 
debito (c.d. "campione civile"). 
I sottoscrittori prendono atto che in alcuni casi tuttavia il pagamento di tali spese non 
viene richiesto e documentato alla Tesoreria unitamente ai pagamento della sorte capitale 
e delle altre spese di giudizio; i relativi accantonamenti sono pertanto mantenuti dalle 
Tesorerie per periodi indefiniti nella prospettiva dell'eventuale richiesta di pagamento. 
In relazione a ci�: 

-il Ministero della Giustizia si impegna a richiamare l'attenzione delle Cancellerie dei 
Tribunali, con apposita Circolare, sugli adempimenti concernenti la registrazione "a debito" 
delle ordinanze emesse in esito a pignoramenti in danno di Amministrazioni statali; 

(1) In particolare, con riguardo ai pignoramenti in danno del Ministero della Giustizia, l�esonero dal-
l�obbligo di acconttonamento non pu� essere esteso ai cespisti (quali, ad sempio, quelli finalizzati al 
pagamento di imposte e tributi) che non rientrano nella previsione dell�art. 1-ter della L. 181/08. 


-la Banca d'Italia si impegna a: 

� inserire, nell'ambito delle dichiarazioni di terzo positive o parzialmente positive, la 
precisazione che "ai sensi degli artt. 59 del DPR 131/86 e 158 del DPR 115/02 le spese 
di registrazione dell'eventuale ordinanza di assegnazione emessa in esito della presente 
procedura esecutiva sono prenotate a debito"; 
� trasmettere tempestivamente via PEC alla competente Avvocatura dello Stato l'ordinanza 
concernente le spese di registrazione; 
� pagare le spese di registrazione solo se documentate e richieste contestualmente alla 
liquidazione dell'ordinanza di assegnazione e svincolare le somme residue; 
� nell'ipotesi in cui il creditore assegnatario notifichi successivamente un precetto e promuova 
esecuzione diretta per il recupero delle spese di registrazione, subire il pignoramento 
diretto utilizzando fondi dell'Amministrazione esecutata o, in loro assenza, 
scritturando le somme sul conto sospeso "collettivi", ponendole a carico della stessa 
Amministrazione esecutata; 
� trasmettere tempestivamente l'informativa sul pignoramento sub�to alla competente 
Avvocatura dello Stato, unitamente alla dichiarazione di terzo; 
� svincolare le somme ancora accantonate per far fronte alle eventuali richieste di spese 
di registrazione non documentate; qualora dovesse successivamente essere documentato 
il pagamento di dette spese e richiesto il rimborso, si proceder� secondo l�iter sopra delineato, 
utilizzando fondi disponibili del debitore esecutato ovvero, in mancanza, scritturando 
le somme richieste al conto sospeso collettivi, dandone tempestiva informativa 
al Ministero dell'Economia affinch� provveda a interessare l'Amministrazione esecutata 
per il ripiano della partita scritturata a sospeso; 


-il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato e la Banca d'Italia concordano 
la procedura per autorizzare la Banca stessa a scritturare sul conto sospeso "collettivi" 
le somme di cui al punto precedente, qualora non esistano disponibilit�, libere 
da vincoli, dell'Amministrazione esecutata. 

6. Estensione temporale dell'obbligo del terzo 

Con riferimento all'estensione temporale dell'obbligo del terzo di accantonare e dichiarare 
i fondi sopravvenuti alla data di notifica dell'atto di pignoramento, i sottoscrittori 
condividono, per i pignoramenti notificati dal 1� gennaio 2013, le linee di condotta individuate 
dalla Banca d'Italia e contenute nella nota n. 269841 del 15 marzo 2013, che 
si allega al presente Accordo. 
Per quanto concerne invece le procedure notificate anteriormente al 1� gennaio 2013, 
nell'eventualit� in cui il Giudice dell'Esecuzione inviti il terzo pignorato a rendere una 
"dichiarazione integrativa": 

-la Banca d'Italia si impegna a comunicare tramite PEC al creditore procedente che la 
dichiarazione gi� resa nel termine previsto dagli artt. 543 e 547 c.p.c, non pu� essere 
oggetto di integrazione; 

-l'Avvocatura Generale dello Stato si impegna affinch� la competente Avvocatura Distrettuale 
dello Stato si costituisca per conto dell'Amministrazione esecutata nell'eventuale 
giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo intrapreso nei confronti della Banca 
d'Italia, facendo valere l'inammissibilit� e/o l'infondatezza dell'azione di accertamento 
per difetto della dichiarazione integrativa; 

-il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato si impegna a tenere indenne 


la Banca per il pagamento delle somme accertate nel giudizio di accertamento nonch� 
per l�eventuale condanna alle spese di lite conseguenti alla soccombenza nel relativo 
giudizio di cognizione, da porre a carico dell'Amministrazione esecutata. Gli adempimenti 
procedurali da porre in essere sono concordati tra la Ragioneria Generale dello 
Stato e la Banca. 

7. Estinzione delle procedure pregresse 

I sottoscrittori prendono atto che presso le Tesorerie risultano giacenti accantonamenti 
per procedure esecutive relativamente alle quali non � in molti casi possibile acquisire 
l'attestazione, richiesta dall'art. 169 delle IST, che legittimi la Banca d'Italia allo svincolo 
delle somme. 
In relazione a ci�: 

-la Banca d'Italia si impegna a comunicare via PEC all'Avvocatura dello Stato, al Ministero 
dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello 
Stato, al Ministero della Giustizia e alle Cancellerie dei Tribunali - con cadenza annuale 

-l'elenco delle procedure pendenti da oltre due anni a fronte delle quali sussistono accantonamenti. 
L'elenco conterr� gli elementi relativi alla procedura esecutiva in possesso 
della Banca (indicazione delle parti; numero del titolo esecutivo richiamato nell'atto di 
pignoramento; importo accantonato e, ove gi� noto il numero del Ruolo Generale); 

-Il Ministero della Giustizia si impegna a favorire le opportune iniziative dei Presidenti 
di Tribunale e dei Dirigenti di Cancelleria affinch� sia agevolata, in relazione al punto 
che precede, la ricerca di informazioni sullo stato delle procedure pendenti da oltre due 
anni. Le informazioni acquisite sono messe a disposizione dell'Amministrazione debitrice, 
dell'Avvocatura e della Banca d'Italia. Il Ministero della Giustizia, inoltre, si attiver� 
affinch� la Banca d'Italia e gli altri grandi utenti - terzi pignorati possano avere 
accesso telematico alle Cancellerie. 

8. Ulteriori impegni dei sottoscrittori 

I sottoscr�ttori si impegnano a incontrarsi con cadenza almeno semestrale al fine di verificare 
i risultati delle azioni intraprese e discutere eventuali adeguamenti in relazione 
all'evoluzione del contesto di riferimento, dando atto delle problematiche discusse in 
apposito verbale. 

Roma, 15 APR. 2014 

Per la Banca d'Italia 

Il Direttore Generale 
Salvatore Rossi 

Per il Ministero dell'Economia e delle Finanze 

Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato 
Il Ragioniere Generale dello Stato 
Daniele Franco 

Per il Ministero della Giustizia 

Il Capo Dipartimento per gli affari di giustizia 
Simonetta Matone 

Per l'Avvocatura Generale dello Stato 

Vice Avvocato Generale 
Giuseppe Fiengo 


*** ** *** 

BANCA D'ITALIA 

EUROSISTEMA 

Prot. n. 0269841/13 del 15/03/2013 

SERVIZIO RAPPORTI CON IL TESORO (832) 
DIVISIONE ANALISI NORMATIVA E PAGAMENTI PUBBLICI (025) 


AI CAPI 
DEI SERVIZI E DELLE FILIALI 

Classificazione VI 4 14 
Oggetto Atti di pignoramento presso terzi. Modifiche al c.p.c. 


1. Premessa. 

La legge di stabilit� 2013 (L. 24.12.2012, n. 228) ha modificato alcuni articoli del codice 
di procedura civile riguardanti i pignoramenti presso terzi. 
Le disposizioni introdotte dall�art. 1, co. 20, della legge (1) - che si applicano ai procedimenti 
esecutivi iniziati successivamente al 1� gennaio 2013 (2) - hanno una portata 
fortemente innovativa, con riflessi sugli adempimenti del terzo pignorato riguardanti la 
dichiarazione di quantit�, l'estensione temporale dell'obbligo e il comportamento processuale. 
In particolare, sono stati integrati gli artt. 543 (Forma del pignoramento) e 547 
(Dichiarazione del terzo) e sostituiti gli artt. 548 (Mancata o contestata dichiarazione 
del terzo) e 549 (Accertamento dell'obbligo del terzo). 
Le novit� riguardano: 

� la soppressione del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo e la riconduzione 
dei relativi accertamenti nel processo di esecuzione (artt. 548 e 549 c.p.c.); 
� l'invio della dichiarazione di terzo con posta elettronica certificata; 
� la fissazione di un'apposita udienza per la comparizione del terzo nel caso in cui il creditore 
sostenga di non aver ricevuto la dichiarazione epistolare. 
Si forniscono di seguito - d'intesa con il Servizio Sistema dei Pagamenti - istruzioni per 
la gestione delle procedure esecutive in cui l'Istituto � citato in veste di terzo pignorato; 
per uniformit� di linea di condotta, le istruzioni si applicano sia ai pignoramenti del 
ramo "Banca", sia a quelli del ramo "Tesoreria" ove non diversamente indicato. 


2. Novit� concernenti l'accertamento dell'obbligo del terzo. 

L'art. 549 c.p.c. non contempla pi� il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo ma 
demanda al G.E. - compiuti i "necessari accertamenti" - la definizione con ordinanza 
dei casi di contestazione della dichiarazione. 
La soppressione della possibilit� di instaurare un giudizio autonomo e incidentale di accertamento 
dell'obbligo (3) consente di superare la necessit� per il terzo di vincolare i 
fondi pervenuti in data successiva a quella della dichiarazione, con positivi riflessi sui 
carichi operativi delle unit� Gestione Servizi di Pagamento. Pertanto, la presenza di tali 

(1) Per comodit� di consultazione si riporta, in allegato, il testo vigente degli articoli del codice di procedura 
civile. 
(2) Ai sensi dell'art. 491 c.p.c., l'espropriazione forzata inizia con la notifica dell'atto di pignoramento. 
(3) Il precedente art. 548 c.p.c. stabiliva la possibilit� del giudizio di accertamento anche se il terzo non 
compariva all'udienza stabilita o, comparendo, rifiutava di fare la dichiarazione. Pertanto, l'udienza assumeva 
anche per il terzo un carattere di centralit�. 



fondi non andr� pi� monitorata, nel rispetto delle specificit� di seguito indicate per i pignoramenti 
dei rami "Tesoreria" e "Banca". 
Avuto presente che il codice di procedura civile stabilisce che la dichiarazione va resa 
�entro� dieci giorni dalla notifica dell'atto di pignoramento (artt. 543 e 547 c.p.c.), le 
dichiarazioni negative o parzialmente positive, per ragioni di uniformit� di comportamento 
andranno predisposte, firmate e spedite sempre il decimo giorno, preferibilmente 
tra i primi adempimenti della giornata operativa (4). Le dichiarazioni positive possono 
invece essere via via spedite nell'arco temporale dei dieci giorni previsti dal codice. 
L'art. 549 c.p.c. non specifica gli strumenti e le modalit� secondo cui il G.E. condurr� i 
"necessari accertamenti" per definire le contestazioni. Dall'esame della norma si evince 
che le Filiali potrebbero essere destinatarie di notifiche di provvedimenti con cui il G.E. 
dispone la comparizione del terzo con finalit� istruttorie. In tali ipotesi, si avr� cura di 
interessare tempestivamente per le istruzioni il competente Servizio dell'A.C. e la Consulenza 
legale. 
Nel caso specifico di notifica di ordinanza emessa a norma dell'art. 549 c.pc. suscettibile 
di censure da parte del terzo andranno interessati il competente Servizio dell'A.C. nonch� 
la Consulenza Legale ai fini della valutazione dell'impugnativa ex art. 617 c.p.c., sotto-
posta al termine di decadenza di giorni venti. 

3. Invio della dichiarazione di terzo con posta elettronica certificata. 

� ora espressamente previsto che per l'invio della dichiarazione di terzo al creditore 
l'utilizzo della PEC ha effetti equivalenti a quello della raccomandata (artt. 543, co. 2, 

n. 4 e 547, co.1 c.p.c.). 
Pertanto, la dichiarazione dovr� essere resa al legale del creditore a mezzo PEC, apponendo 
la firma digitale. Per le dichiarazioni del ramo 'Tesoreria", la PEC potr� essere 
utilizzata anche per l'invio delle previste comunicazioni all'Amministrazione interessata 
e all'Avvocatura dello Stato. Resta inteso che nei casi in cui non sia possibile l'utilizzo 
della PEC, la dichiarazione sar� trasmessa a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno. 

4. Onere di comparizione all'udienza ex art. 548 c.p.c.. 

Nelle fattispecie diverse dai pignoramenti riguardanti i crediti di cui all'art. 545, co. 3 e 
4 (5), qualora il creditore dichiari di non aver ricevuto la dichiarazione di terzo, il G.E. 
con ordinanza fissa un'udienza successiva. L'ordinanza � notificata al terzo almeno 10 
giorni prima della nuova udienza. 
In base a tale disposizione, il terzo ha l'onere di comparire all'udienza di rinvio ex art. 
548, co. 2, c.p.c., in difetto il credito si ritiene non contestato e il G.E. potr� assegnarlo. 


(4) Si richiama l'attenzione sulla particolare cura che andr� posta, in caso di dichiarazione negativa o 
parzialmente positiva, nella verifica delle disponibilit� del debitore esecutato pervenute immediatamente 
prima della spedizione della dichiarazione. Per quanto ovvio, alle dichiarazioni negative o parzialmente 
positive continuer� ad accludersi l'elenco delle pregresse procedure in danno del medesimo debitore 
esecutato che non risultano ancora definite. 
Infine, si specifica che i debiti derivanti da contratti della Banca in essere alla data del decimo giorno 
successivo a quello di notifica dell'atto, come gi� in precedenza, andranno inseriti nella dichiarazione 
di terzo e le eventuali somme gi� esigibili e quelle ancora da maturare andranno vincolate fino alla concorrenza 
dell'importo precettato aumentato del 50% come dispone l'art. 546 c.p.c. 
(5) Si tratta delle somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennit� relative al 
rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento. 



All'udienza il terzo comparir� al solo fine di attestare di avere gi� reso la dichiarazione 
di quantit�, producendola in copia unitamente alla documentazione attestante la notifica 
via PEC, ovvero alla ricevuta di accettazione della raccomandata e al relativo avviso di 
ricevimento. Della presenza del terzo e del deposito della documentazione andr� chiesta 
la verbalizzazione all'udienza. 
A tal fine � necessario che le Filiali accertino l'avvenuto ricevimento della dichiarazione 
di quantit� da parte del legale del creditore procedente. 
Qualora nell'ordinanza di rinvio ad altra udienza il G.E., oltre alla comparizione, richieda 
di rendere la dichiarazione di terzo ovvero di integrarla con fondi sopravvenuti, le Filiali 
si limiteranno a confermare e comprovare la spedizione della dichiarazione senza alcuna 
integrazione. 
Nell'eventualit� che il G.E. emetta ordinanza di assegnazione di somme non dichiarate, 
andranno tempestivamente interessati il competente Servizio dell'A.C. nonch� la Consulenza 
Legale perch� possa tempestivamente proporsi l'eventuale opposizione agli atti esecutivi 
per la quale il codice fissa un termine decadenziale di giorni venti (art. 617 c.p.c.). 
La presente comunicazione � disponibile nell'archivio elettronico della normativa collegata 
alle Circolari 245/02 e I TP. (cap. II). 
Distinti saluti. 

IL DIRETTORE GENERALE 

FABRIZIO SACCOMANNI 


legislazione ed attualit�
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
L�ordinamento amministrativo della pubblica sicurezza, 
dalla singolarit� nazionale alla proiezione europea 

Valerio Perotti* 

Conclusa l'analisi dei principi giuridici che caratterizzano il modello europeo 
di ordinamento della pubblica sicurezza (con particolare attenzione, da ultimo, 
alla funzione di coordinamento, decisiva nell'attuazione dei criteri di sussidiariet� 
e leale cooperazione ex art. 4 TUE), lo studio prosegue con l'esame dei 
principali aspetti di quello italiano. 
Di quest'ultimo, in particolare, vengono evidenziate le maggiori criticit� strutturali, 
derivanti dalla sovrapposizione di diverse materie nel corpus della legge 
121/81 e dalla mancata adozione di un criterio-guida di carattere funzionale 
che sancisca la definitiva separazione tra organi (ed attribuzioni) di indirizzo 
ed organi (ed attribuzioni) esecutivi o di gestione. Di tali anomalie si tenta altres� 
di fornire una spiegazione sistematica attraverso la puntuale (e spesso inedita) 
ricostruzione degli antecedenti storici delle norme attualmente in vigore. 
Lo studio si conclude poi con una sintetica verifica delle soluzioni adottate 
negli ordinamenti di pubblica sicurezza di altri Paesi membri dell'UE, tra cui 
quelli del cd. �G6� europeo. 

SOMMARIO: PARTE II -2. Principi generali in materia di pubblica sicurezza: A) Il principio di 
coordinamento tra ordinamento nazionale e comunitario, nel rapporto con la potest� 
ordinatoria dell�Autorit� di governo. A.1) Il modello di coordinamento nel 
sistema amministrativo italiano. A.2) Il modello di coordinamento nelle fonti 
dell�Unione Europea. Conclusioni - 3. Principi generali in materia di pubblica 

(*) Avvocato dello Stato. 

Del presente saggio si pubblica la seconda parte, con l�invito - per il Lettore interessato alla integrale 
fruizione - al precente numero di questa rivista, Rass. 2013, IV, 131 ss. 


sicurezza: B) L�ordinamento italiano alla luce della legge 121/81 e del TULPS: 
linee guida, profili storici e problematicit� di sistema. B.1) L�Amministrazione 
della Pubblica Sicurezza in Italia. B.2) Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza. 
B.3) Le Autorit� provinciali di Pubblica Sicurezza. B.4) Sicurezza urbana e poteri 
del Sindaco quale rappresentante del Governo. Il modello della cd. �sicurezza 
partecipata� - 4. Elementi di diritto comparato nella prospettiva del �modello europeo�. 
La cd. gestione �di prossimit��. Sintesi e conclusioni. 

2. Principi generali in materia di pubblica sicurezza: A) il principio di coordinamento 
tra ordinamento nazionale e comunitario, nel rapporto con lapotest� ordinatoria dell�Autorit� di governo. 

A.1) IL MODELLO DI COORDINAMENTO NEL SISTEMA AMMINISTRATIVO ITALIANO. 

L�ordinamento della pubblica sicurezza italiano, definito dalla legge 1� 
aprile 1981 n. 121, fa perno sul principio di �coordinamento� delle Forze di 
polizia, esercitato dal Ministro dell�Interno per il tramite dell�Amministrazione 
di Pubblica Sicurezza. Le Forze di polizia vengono a loro volta individuate 
dall�art. 16 della medesima legge, ovverosia i due Corpi storicamente deputati 
a tale incombenza - la Polizia di Stato e l�Arma dei Carabinieri, quest�ultima 
quale Forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza - cui vengono 
ad affiancarsi la Guardia di Finanza, la Polizia Penitenziaria ed il Corpo Forestale 
dello Stato. 

A livello centrale la funzione di coordinamento viene svolta in seno al 
Comitato nazionale per l�ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal Ministro 
dell�Interno e composto dal Direttore generale della P.S. (nonch� capo 
della Polizia di Stato), dal Comandante generale dell�Arma dei Carabinieri e 
dal Comandante generale della Guardia di Finanza, mentre a livello decentrato 
vi � deputato il Comitato provinciale per l�ordine e la sicurezza pubblica (uno 
per ogni provincia), presieduto dal Prefetto e composto dal Questore (che vi 
partecipa in qualit� di dirigente territoriale della Polizia di Stato), dal Comandante 
provinciale dell�Arma dei Carabinieri e dal Comandante provinciale 
della Guardia di Finanza. 

In linea operativa e di principio, dunque, tale modello presuppone l�assoluta 
parit� delle Forze di polizia e la loro comune sottoposizione al potere 
direttivo (con correlata responsabilit�) dell�Autorit� politica di governo. 

A sua volta, la legge 3 agosto 2007 n. 124, recante �Sistema di informazione 
per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto�, recante 
la riforma dei servizi segreti italiani, ha istituito il Dipartimento delle 
Informazioni per la Sicurezza (DIS), l�Agenzia Informazioni e Sicurezza 
Esterna (AISE) e l�Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna (AISI) in luogo 
dei preesistenti CESIS, SISMI (militare) e SISDE (civile). 

Il DIS � un Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri deputato 
a vigilare sull�attivit� di AISI ed AISE in merito alla corretta applicazione 


delle disposizioni emanate dal Presidente del Consiglio quale Autorit� nazionale 
per la sicurezza, ferme restando le competenze esclusive delle Agenzie 
per quanto riguarda l�attivit� di ricerca informativa e la collaborazione con i 
servizi di sicurezza degli Stati esteri. 

Il Dipartimento assicura inoltre lo scambio informativo tra AISE, AISI e 
Forze di polizia. 

Come gi� accennato, la legge 121/81, dopo aver confermato la storica 
compresenza delle due Forze di polizia a carattere generale (l�Arma dei Carabinieri 
e la Polizia di Stato, nella quale era nel frattempo confluito il Corpo 
delle Guardie di Pubblica Sicurezza), attribu�, seppur in via concorrente e/o 
residuale, la qualifica di Forze di polizia (con attribuzioni di pubblica sicurezza) 
ad ulteriori tre Corpi con competenze settoriali, cos� da assicurare comunque 
ai Prefetti la disponibilit� di forze sufficienti a fronteggiare eventuali 
emergenze di ordine pubblico (305). 

Per questa ragione, in presenza di una pluralit� di soggetti coinvolti sotto 
il profilo operativo, si pens� di ricorrere all�istituto del coordinamento per assicurare 
un�ordinata gestione del �sistema sicurezza�, il che spiega la necessit� 
di procedere - prima di ogni altra considerazione - alla corretta definizione di 
questo principio giuridico-organizzativo (306). 

Generalmente ne vengono individuate due figure -�amministrativo� e 
�politico� - frutto di una complessa evoluzione storica. 

In passato era comune l�idea che il �coordinamento amministrativo� 
fosse un semplice predicato del vincolo di superiorit� gerarchica, teso ad 
evitare, negli ordinamenti pi� complessi, la contraddittoriet� dell�azione 
amministrativa (di per s� tesa, per quanto possibile, al raggiungimento di 
obiettivi unitari e predeterminati (307)): in questi termini si parlava (308) 
di coordinamento per descrivere una relazione interorganica meno intensa 
di quelle gerarchica (connotata dal potere di ordine) e direttiva (connotata 
dai poteri di propulsione, direzione e controllo), intercorrente tra uffici tutti 
variamente subordinati ad un comune superiore gerarchico che si avvaleva 
di un coordinatore (spesso, ma non necessariamente, sovraordinato agli 

(305) Sull�argomento si veda l�interessante studio di SAVINO, L�assetto delle Forze di polizia in 
Italia: i problemi esistenti e le prospettive di riforma, IRPA Roma 2010. 

(306) Il principio del coordinamento, sviluppatosi contestualmente al progressivo intervento dello 
Stato moderno nei pi� disparati settori della vita economica e sociale, � una caratteristica delle cd. �democrazie 
avanzate� ed inclusive (per utilizzare la terminologia di DAHL, Poliarchia, Milano 1997), destinata 
ad assumere un ruolo crescente a fronte di uno sviluppo sempre pi� articolato e complesso delle 
relazioni sociali, interne ed internazionali. � inoltre una tipica funzione degli ordinamenti decentrati e/o 
federali, atta a comporre i rapporti tra gli organi di vertice dello Stato e le istanze territoriali, generalmente 
alla luce del principio di sussidiariet�. 

(307) In argomento si veda CIRILLO, Il coordinamento amministrativo quale strumento procedi-
mentale nell�epoca del decentramento e della autonomia istituzionale, Roma 2004. 

(308) BACHELET, Coordinamento, in Enc. Dir. X, Milano,1962, pp. 630 ss. 


altri) per assicurare un�unitariet� amministrativa pi� capillare. 

La tesi della derivazione gerarchica era legata alla concezione ottocentesca 
del potere ordinatorio, secondo cui l�attivit� amministrativa altro non sarebbe 
che un�attivit� di polizia (309) volta a contenere (e quindi sindacare) le 
iniziative egoistiche dei sudditi, componendole alla luce dell�interesse generale: 
ci� giustificherebbe un margine di intervento amministrativo quanto pi� 
ampio possibile, fatte soltanto salve le garanzie di legge a tutela dei diritti individuali. 
Da tale premessa discendeva l�idea secondo cui tutte le disposizioni 
di legge possono essere superate - seppur in via temporanea - attraverso l�esercizio 
dispositivo della potest� ordinatoria (310), ogniqualvolta sussistano dei 
rischi per l�integrit� dell�interesse generale che, di fatto, richiedano un intervento 
autoritativo. 

La riserva di un ampio margine di intervento ordinatorio veniva altres� 
giustificata (una volta distinta, con lo Statuto Albertino, la funzione legislativa 
da quella esecutiva) in un�ottica �costituzionalista�, quale strumento per garantire 
l�equilibrio tra i Poteri esecutivo e legislativo, ad evitare che il secondo 
potesse stemperare la ratio politica ed ordinativa sottesa al principio di separazione 
dei Poteri (311). 

Le attribuzioni ordinatoria e di coordinamento sarebbero quindi, secondo 
questa linea di pensiero, manifestazioni - di intensit� diversa - della generale 
potest� amministrativa connaturata agli organi del Potere esecutivo. 

Il progressivo consolidarsi del principio di legalit� in seno all�attivit� amministrativa 
port� peraltro, nel corso dei primi anni del Novecento, ad una significativa 
contrazione dei presupposti dell�attivit� ordinatoria di governo. 

Con l�avvento della dittatura, per�, il modello dello �Stato di polizia� riprese 
nuovo slancio, proprio in reazione al suddetto consolidamento, per essere 
infine consacrato nel TULPS in un�ottica opposta a quella del precedente sistema 
liberale: ci� conseguiva al fatto che il mutamento di regime istituzionale 

(309) Nel senso etimologico del termine (dal greco P�lis, o citt�-Stato), quale complesso delle 
attivit� di amministrazione delle comunit� umane organizzate. L�espressione appare invero pi� congruente 
con la nozione �integrata� di Polit�a elaborata nel Quarto Libro della Politica di Aristotele (IV, 
4 1291-b 7-11, nonch� IV, 2 1289-a 36-37; cfr. IV, 7 1293-a 39-41). 

(310) Consistente nella possibilit� di adottare ordinanze contingibili ed urgenti (idonee a derogare 
pure a disposizioni di legge) e pertanto attribuita solo al Prefetto, in quanto espressione dell�Autorit� di 
governo, nonch� al Sindaco (coerentemente, nei limiti in cui eserciti le funzioni di ufficiale del medesimo 
Governo). � invece tutt�altra cosa il potere di ordinanza del Questore (ex art. 37 D.P.R. 782/85), avente 
correttamente ad oggetto - di converso - solo la precisazione delle linee-guida del coordinamento operativo 
delle Forze di polizia di volta in volta messe a disposizione dai rispettivi Comandi, sulla base di 
quanto in precedenza concordato in sede di Comitato Provinciale per l�Ordine e la Sicurezza Pubblica, 
in presenza di particolari situazioni di pericolo ambientale. La necessit�, in tale ipotesi, di ricorrere ad 
un�ordinanza � dovuta anche alla circostanza che - rispetto a tali Forze - il Questore ed i suoi delegati 
non esercitano alcuna forma di sovraordinazione gerarchica e dunque non possono emettere direttamente 
degli ordini. 

(311) Cfr. VIRGA, La potest� di polizia, Milano 1954. 


venutosi a creare, pur ad ordinamento costituzionale formalmente invariato 
(312), poneva il Governo non pi� come diretta emanazione dell�autorit� del 
Sovrano (ovvero di una contingente maggioranza parlamentare), bens� come 
alter ego di quest�ultimo ed espressione delle reali linee di indirizzo politico-
amministrativo dello Stato. 

In un regime non liberale, per�, una tale ricostruzione fatalmente finiva 
per contraddire i principi dello Stato di diritto. 

In quest�ottica, l�art. 2 attribuiva al Prefetto (rappresentante del Governo) 
�nel caso di urgenza o per grave necessit� pubblica la facolt� di adottare i 
provvedimenti indispensabili per la tutela dell�ordine pubblico e della sicurezza 
pubblica�, formalizzando il principio per cui il potere esecutivo (recte, 
di indirizzo politico-amministrativo, essendo il Prefetto diretta emanazione 
dell�Autorit� di governo) disponeva di un generale potere di ordinanza in materia 
di pubblica sicurezza, non tipizzabile a priori, al fine di assicurarne unit� 
e costanza di indirizzo, anche a fronte di eventi subitanei ed imprevedibili. 

Bench� formalmente circoscritte al �settore sicurezza�, le nuove linee di 
indirizzo descrivevano un sistema pi� ampio ed inclusivo, nel quale di fatto 
tutta l�attivit� amministrativa veniva, in ultima analisi, ad essere ricondotta al 
genus dell�intervento di polizia (quale strumento necessario per la tutela della 
sicurezza sociale), tantՏ vero che il successivo R.D. 3 marzo 1934 n. 383 

(313) attribuiva sempre al Prefetto la potest� di adottare �in caso di urgente 
necessit� i provvedimenti indispensabili nel pubblico interesse nei diversi rami 
del (suo) servizio�. 

Il sistema tracciato dal TULPS, come si avr� modo di approfondire, era incentrato 
sulla figura del rappresentante del Governo, dal quale non a caso dipendeva 
il Questore (appartenente anch�egli alla carriera �civile� dell�Interno, 
a differenza degli organici di polizia, e per questa ragione definito Autorit� di 
P.S., pur con specifiche attribuzioni operative, a fronte delle competenze generali 
del proprio superiore), ma non anche i vertici delle altre Forze di polizia 
(segnatamente i Carabinieri, legati da giuramento al Capo dello Stato e non, 
come il primo, al capo del Governo). 

In tale assetto istituzionale sia la funzione ordinatoria, sia quella di coordinamento 
prefettizia garantivano, a livello territoriale, il necessario equilibrio 
tra il potere governativo (che aveva concretamente assunto anche le 

(312) Lo Statuto Albertino rimase infatti in vigore per circa un secolo, dal 4 marzo 1848 sino al 
1� gennaio 1948, allorch� fu sostituito dall�attuale Costituzione repubblicana. Al pari della Costituzione 
di Weimar in Germania, la sua natura �flessibile� (ossia derogabile gi� solo con legge ordinaria e priva 
di un effettivo apparato sanzionatorio, in caso di violazione) di fatto ne vanific� la funzione di riferimento 
e limite per l�attivit� di governo. Tale concreta irrilevanza fu la vera ragione per cui non ci si pose mai 
il problema di una sua formale abrogazione, neppure a seguito di radicali mutamenti istituzionali. 

(313) Detto anche Testo Unico delle leggi comunale e provinciale (TULPC), abrogato dall�art. 274 
D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL). In argomento, cfr. anche TUFARELLI, Polizia amministrativa, in 
Nss. Dig. It. XIII, Torino 1966. 


funzioni legislative, esautorando di fatto il Parlamento) e la Corona. 

Con il mutato assetto costituzionale dello Stato, per�, anche i presupposti 
giuridici del �sistema sicurezza� enucleato nel TULPS manifestano progressivi 
segni di cedimento: nel corso del tempo, in particolare, la tesi che la funzione 
di coordinamento sia un attributo del potere gerarchico � stata superata dalla 
giurisprudenza di legittimit� (ed implicitamente da quella costituzionale) a favore 
del principio che si tratti piuttosto di un vero e proprio rapporto organizzativo 
nel quale armonizzare l�azione di centri di potest� pubbliche dotati, a 
vario titolo, di autonomia (in primis operativo/amministrativa). 

Questa chiave di lettura si � consolidata anche a livello sovranazionale 
(dove opera in raccordo con i principi di sussidiariet� e di proporzionalit�, ex 
art. 5 TUE) e vede nella funzione di coordinamento �lo strumento pi� idoneo 
a prevenire il rischio che l�attuazione di doverose forme di decentramento amministrativo 
possa eventualmente generare, col tempo, una moltiplicazione di 
centri amministrativi autoreferenziali e di limitata efficacia, una volta riscontrata 
l�inefficienza del precedente modello direttivo-gerarchico� (314). 

Le ragioni di tale evoluzione sono innanzitutto logiche: invero, la tesi (seguita 
almeno sino a tutti gli anni sessanta) secondo cui per �coordinamento� 
non si intenderebbe un�autonoma categoria giuridica, bens� un mero attributo 
della gerarchia (sul presupposto implicito che tra le funzioni del superiore gerarchico 
vi sarebbe stata anche quella di coordinare l�attivit� dei suoi sottoposti), 
in realt� contraddiceva il dato normativo, poich� il rapporto gerarchico 

(315) si caratterizza per il fatto di attribuire all�organo superiore un diretto potere 
di ordine (attributo del rapporto di supremazia), che � invece assente nella 
funzione di coordinamento. 

Tra i critici della teoria della derivazione gerarchica, un primo orientamento 
(316) ricondusse la funzione di coordinamento in quella di direzione, 

(314) Cos�, testualmente, CIRILLO, op. ult. cit. 

(315) Definibile quale rapporto esterno intercorrente tra organi individuali di grado diverso, all�interno 
(generalmente) di uno stesso ramo dell�Amministrazione. Un�eccezione a tal ultima regola viene 
ravvisata, da alcuni, nel vincolo gerarchico che lega il Prefetto anche ad altri Ministri diversi da quello 
dell�Interno, rapporto che la dottrina generalmente riconduce alla nozione di dipendenza funzionale. 

(316) PIGA, Coordinamento (principio del), in Enc. Giur. IX, Roma 1988, pp. 1 ss. ne parla come di 
semplice attributo di altre forme �tipiche� di rapporto interorganico: in particolare, l�attribuzione legislativa 
di un potere di emanare direttive a fini di coordinamento consentirebbe, secondo l�Autore, di ricondurlo 
nell�ambito della direzione. Il �coordinamento� non sarebbe dunque un�autonoma forma organizzatoria, 
bens� una semplice potest� esercitabile nell�ambito di schemi ordinatori preesistenti. Altra dottrina ha pensato 
di fondare tale interpretazione sul disposto degli artt. 16, comma primo lett. e), e 17 comma primo 
lett. d) del D.lgs. 165/2001 che, in materia di pubblico impiego statale, definisce il coordinamento come 
attributo del potere di direzione dei Dirigenti generali. La tesi non appare per� fondata, in ragione sia della 
portata settoriale del D.lgs. 165/01 (che osta alla possibilit� di desumervi un principio di carattere generale), 
sia dell�espressa riferibilit� di tali disposizioni ad un rapporto interorganico, laddove il coordinamento di 
cui si tratta ha invece ad oggetto l�azione di soggetti appartenenti a diverse Amministrazioni, e comunque 
non legati tra loro da alcun vincolo di natura gerarchica (comՏ invece il caso dei Dirigenti 
generali e di quelli semplici, nell�ordinamento per Dicasteri cui si riferiscono le norme citate). 


modulo organizzativo nel quale un soggetto ha la potest� di emanare direttive 
nei confronti di terzi, la cui obbligatoriet� non � per� assoluta come nel caso 
degli ordini, essendo possibile discostarsene previa adeguata motivazione. 

In questi termini, la figura del coordinamento non assumeva ancora un 
rilievo autonomo, continuando ad essere ricondotta ad un rapporto di sovraordinazione 
(sia pur tendenziale) che si esprime nell�adozione di direttive, 
strumentali alla funzione di indirizzo. 

Anche questa ricostruzione non pu� per� dirsi corretta, poich� la funzione 
di coordinamento (consistente nell�armonizzare attivit� diverse, superando 
contrasti e divergenze di metodo) � cosa diversa da quella di indirizzo (che si 
traduce nel prefissare un obiettivo, senza per� individuare le concrete modalit� 
per raggiungerlo (317)): a tal proposito appare decisiva - anche in relazione al 
correlato potere ordinatorio dell�Autorit� di P.S. - la progressiva presa di coscienza 
del collegamento dell�attivit� amministrativa al potere di direzione 
politica del Governo (ex art. 95 Cost.) secondo criteri di imparzialit� (art. 97 
Cost.) che assicurino il perseguimento degli obiettivi istituzionali senza distinzioni 
arbitrarie nei confronti degli amministrati, in attuazione del principio 
di cui all�art. 3 Cost. 

Questi principi portano - con specifico riguardo alla funzione di coordinamento 
amministrativo - al consolidamento del presupposto della piena e 
sostanziale equiordinazione dei soggetti da coordinare, da cui consegue 
che nessuno di essi pu� disporre di un potere di sovraordinazione (e/o direzione) 
rispetto agli altri, essendo per contro tutti egualmente sottordinati agli 
organi di indirizzo politico (la cd. �Civil Authority�, nel diritto anglosassone). 

In merito invece al correlato potere ordinatorio (che del coordinamento 
talvolta rappresenta una modalit� operativa), gli stessi principi comportano 
il progressivo ridimensionamento dell�autonomia valutativa dell�Autorit� 
amministrativa, posto che l�assoggettamento del suo operato al principio di 
legalit� (adesso costituzionalmente imposto) tendenzialmente esclude la disponibilit� 
sia della scelta del provvedimento da adottare, sia del relativo 
contenuto. 

Significativa dottrina (318) ha evidenziato come sin dalle origini la �sicurezza� 
sia stata considerata dal legislatore un fatto di organizzazione ammini


(317) La potest� di �indirizzo�, nel diritto amministrativo, � cosa diversa da quella di ordine, 
tipica della relazione gerarchica, poich� consiste nell�emanare delle semplici direttive con le quali 
non vengono pi� imposti dei puntuali comportamenti, ma sono fissati gli obiettivi concreti da perseguire, 
al pi� con ordine di priorit�. Per l�effetto i destinatari della direttiva (tecnicamente sottordinati 
all�organo dirigente, ma non anche suoi subordinati) conservano un margine pi� o meno ampio di autonomia, 
in relazione ai modi ed ai tempi dell�azione (tantՏ che l�organo sottoposto a direzione pu� 
comunque disattendere la direttiva, purch� motivatamente, ove in contrasto con i propri fini istituzionali 

o per altri validi motivi). 

(318) GIUPPONI, Le dimensioni costituzionali della sicurezza, Bologna 2008. Cfr. anche CHIAPPETTI, 
L�attivit� di polizia. Aspetti storici e dogmatici, Padova 1973. 


strativa (319), tanto nell�assetto accentrato dello Stato assolutista (nel quale l�Autorit� 
di governo, unica interprete delle esigenze della collettivit�, ha sia la capacit� 
di dettare norme speciali ad hoc, sia di portarle ad esecuzione tramite 
l�Amministrazione della Pubblica Sicurezza), quanto nei regimi parlamentari 
inclusivi, nei quali si assiste ad un ulteriore fenomeno, l�iniziale tendenza a �circoscrivere 
le questioni concernenti la sicurezza nell�ambito dell�amministrazione 
interna di polizia, riconoscendo autonomia, da un lato, sia all�apparato 
militare di difesa esterna (costituito e organizzato secondo principi e norme del 
tutto peculiari, vero e proprio ordinamento speciale), sia, dall�altro, alla diversa 
funzione di repressione degli illeciti penali spettante all�autorit� giudiziaria�. 

La distinzione tra le funzioni di sicurezza �interna� ed �esterna�, peraltro, 
come si � visto in precedenza, secondo il �modello europeo� � destinata a 
stemperarsi notevolmente. 

Come efficacemente rilevato (320), l�Autorit� amministrativa nel nuovo 
assetto costituzionale � chiamata ad assolvere le proprie funzioni esecutive attraverso 
l�esercizio discrezionale (321) della potest� di cui � investita, in linea 
con l�indirizzo generale del Governo. La discrezionalit� si traduce nell�autonoma 
determinazione dei contenuti del provvedimento da adottare per l�assolvimento 
della propria missione istituzionale, nel puntuale rispetto dei 
principi generali dell�ordinamento giuridico e nei limiti delle competenze attribuite 
per legge (ex artt. 97 e 98 Cost.). 

In questi termini, nell�esercizio delle potest� ordinatoria e di coordinamento 
entrano in gioco nuovi principi, mutuati anche dall�ordinamento sovranazionale, 
in primis quello di trasparenza, principale corollario 
dell�imparzialit�. 

Del resto, a seguito delle riforme del 1998 e 2001 sulla struttura generale 
dell�Amministrazione dello Stato, il rapporto tra organi amministrativi non 
viene (pi�) configurato in termini gerarchici, bens� di competenza: orbene, un 
tale mutamento di prospettiva non pu� non coinvolgere anche l�Amministrazione 
della Pubblica Sicurezza ed i rapporti tra questa e gli operatori che vi 
contribuiscono, in primis le Forze di polizia. Queste ultime, infatti, sono dotate 
di competenza generale nei rispettivi ordinamenti (322), incontrano gli stessi 
limiti e sono sottoposte ai medesimi vincoli (in primis il rispetto dei principi 
dello Stato di diritto, etc.). 

(319) In termini generali, si veda anche CORSO, Polizia di sicurezza, in Dig. Disc. Pubbl. XI, Torino 
1996, pp. 319 ss.. 

(320) Sul punto LO TORTO, La potest� ordinatoria tra autoritativit� ed autorevolezza, in 
www.giustizia-amministrativa.it, p. 8. 

(321) Laddove per discrezionalit� amministrativa si intende, secondo giurisprudenza consolidata, 
la possibilit� di individuare, tra pi� soluzioni egualmente legittime (in quanto prefissate dal legislatore), 
quella che meglio si attaglia, anche in termini di opportunit�, al caso di specie, consentendo un ottimale 
contemperamento degli interessi coinvolti (id est, la minor lesione possibile di quelli soccombenti). 


In questa logica si iscrive l�articolata attribuzione di potest� ai soggetti 
che operano nel particolare sistema di cui trattasi: �la conformazione al modello 
ordinamentale dello Stato di diritto esclude irreversibilmente ogni possibile 
giustificazione dell�esercizio dispositivo dell�attivit� esecutiva, ed 
impone che anche l�attivit� ordinatoria, in quanto destinata ad incidere sugli 
interessi degli amministrati, debba trovare fondamento nella legge, che ne determina 
estensione e limiti� (323). 

Il potere di ordinanza �extra ordinem�, in quanto idoneo a derogare (seppur 
temporaneamente) a norme dispositive di legge, � un attributo esclusivo 
dell�Autorit� di governo, comՏ vero che viene riservato al Prefetto ed al Ministro 
dell�Interno (artt. 2 e 216 del R.D. n. 773 del 18 giugno 1931, nonch� per 
il primo - gi� ex artt. 19 e 20 del R.D. 383 del 3 marzo 1934); coerentemente, 
ne sono invece privi i soggetti cui spettano compiti esecutivi (ovverosia 
le Forze di polizia), ivi compreso il Questore nelle sue attribuzioni - puramente 
tecniche e non di indirizzo - di Autorit� di P.S. (cfr. infra). 

Sulla base di queste premesse l�Alta Corte (324) ha definito i limiti del 
potere di ordinanza prefettizia ex art. 2 TULPS, precisando che i provvedimenti 
contingibili ed urgenti non possono comunque contrastare con i principi fondamentali 
dell�ordinamento, n� incidere in materie coperte da riserva assoluta 
di legge; nei settori per i quali il Costituente ha previsto una prevalenza solo 
tendenziale della riserva di legge (riserva cd. relativa), � comunque necessario 
che la legge indichi dei �criteri appropriati a delimitare la discrezionalit� 
dell�organo investito del relativo potere�. 

Le ordinanze in questione non sono espressione della potest� normativa 
di governo, ma solamente di un potere amministrativo, non esercitabile al di 
fuori dei casi previsti dalla legge. Integrano dunque un�eccezionale potest� in 
deroga, che per� non consente (pi�) di superare il disposto della legge ordinaria 
per adattarlo alle esigenze del caso concreto, ma solo di intervenite in via 
autoritativa per far fronte a situazioni parimenti eccezionali che non possono 
essere gestite con i mezzi ordinari. Il che implica che i provvedimenti deroga-
tori avranno necessariamente efficacia circoscritta nel tempo, limitata alla so


(322) Ci� vale perlomeno per le due principali, a competenza generale: per l�Arma dei Carabinieri, 
cfr. i D.lgss. nn. 297 (�Norme in materia di riordino dell'Arma dei Carabinieri�) e 298 (�Riordino del 
reclutamento, dello stato giuridico e dell'avanzamento degli Ufficiali dei Carabinieri�), entrambi del 5 
ottobre 2000, nonch� la legge-delega n. 78 del 31 marzo 2000, testi poi recepiti e riordinati nel Codice 
dell�Ordinamento Militare (D.lgs. n. 66/2010) e relativo Testo Unico Regolamentare (D.P.R. 90/2010); 
per la Polizia di Stato, la legge 1� aprile 1981, n. 121 (gli artt. 24 ss.), nonch� il D.P.R. 28 ottobre 1985, 
n. 782 (�Approvazione del regolamento di servizio dell�Amministrazione della Pubblica Sicurezza�). 
La Guardia di Finanza ha invece competenza generale esclusivamente �in materia economica e finanziaria 
sulla base delle peculiari prerogative conferite dalla legge� (cos� l�art. 1, comma primo, del 
D.lgs. 19 marzo 2001, n. 68). 


(323) LO TORTO, op. ult. cit., p. 9. 

(324) Ex multis, Corte Cost. n. 8 del 20 giugno 1956 e n. 26 del 23 maggio 1961. 


luzione dell�emergenza contingente e senza possibilit� di incidere nel quadro 
normativo generale. 

Il potere ordinatorio prefettizio in materia di ordine e sicurezza pubblici 
� dunque legato ad una decisione di indirizzo del Governo, cui corrisponde 
una precisa responsabilit� politica. 

Pi� di recente, sempre in materia di sicurezza, il principio � stato ribadito 
dall�art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del Servizio Nazionale 
della Protezione civile, nel prevedere che �Al verificarsi degli eventi di 
cui all�articolo 2, comma 1, lettera c), il Consiglio dei Ministri, su proposta 
del Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero, per sua delega ai sensi del-
l�articolo 1, comma 2, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, 
delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione 
territoriale�. A tal fine il Consiglio dei Ministri pu� provvedere �anche a 
mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei 
principi generali dell�ordinamento giuridico�. Le ordinanze �in deroga� 
vanno comunque motivate. 

Il legislatore ha stabilito inoltre che l�esercizio delle potest� in deroga 
necessariamente presuppone un atto politico (con conseguente assunzione 
di responsabilit�), in quanto circoscritto agli interventi richiedenti l�esercizio 
di poteri straordinari (ex art. 2, comma primo, lett. a e b della legge 225/92). 

Ne connsegue (conformemente, del resto, a quanto si verifica nella quasi 
totalit� degli ordinamenti improntati ai principi dello Stato di diritto individuati 
dall�OSCE) che sia il potere ordinatorio che quello di coordinamento - relativamente 
al settore sicurezza - sono predicati della sola Autorit� di governo, 
e non anche degli organi esecutivi (anche solo per effetto di delega). 

Ci� premesso, la tesi pi� accreditata e recente (325) supera le contraddizioni 
delle precedenti interpretazioni sul tema del coordinamento alla luce 
delle finalit� indicate dall�art. 97 Cost., evidenziando come se ne possa parlare 
solo quando i soggetti coinvolti siano tra loro assolutamente equiordinati e 
non invece quando l�uno si trovi, rispetto all�altro, in una posizione di (pur 
tendenziale) subordinazione, come ancora si verifica in un rapporto di direzione, 
avente mero carattere procedimentale. 

Questa ricostruzione trova conforto anche nel modello di coordinamento 

(325) In dottrina si vedano SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1989, pp. 237 
ss. e CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2009, pp. 118 ss.. In quest�ottica il coordinamento 
rappresenta una relazione organizzativa che intercorre tra organi posti tra loro in rapporto 
di assoluta equiordinazione e titolari di competenze che, pur essendo autonome e distinte, necessitano 
di essere ricondotte all�interno di un disegno unitario in vista della realizzazione di un interesse comune, 
per conferire coerenza e sistematicit� all�attivit� della Pubblica amministrazione. In relazione alla funzione 
politica si veda invece MANGIAMELI, L�indirizzo e coordinamento: una funzione legislativa costituzionalizzata 
dalla Corte, in Giur. Cost. 1997, pp. 1131 ss. e GABRIELE, Indirizzo e coordinamento (dir. 
cost.), in Dizionario di diritto pubblico (a cura di CASSESE), IV, Milano 2006, pp. 3082 ss. 


amministrativo descritto dalla normativa comunitaria (cfr. infra). 

In base a tale orientamento, ormai pacifico, per coordinamento si intende 
la specifica formula organizzatoria con cui vengono gestite, nel diritto 
amministrativo, le relazioni interorganiche (o intersoggettive) nelle 
quali � necessario salvaguardare l�autonomia dei soggetti coordinati ed 
insieme la possibilit� di un loro indirizzo unitario a determinati fini comuni 
(326): � quindi inconciliabile con l�esistenza di un rapporto gerarchico, 
nel quale l�ordine viene imposto e non - come nel coordinamento - cercato 
insieme con altri, la cui collaborazione � essenziale per il raggiungimento 
del risultato comune. 

Sia il coordinare che l�ordinare sono attivit� finalizzate al raggiungimento 
di un ordine, con la particolarit� che coordinando si raggiunge un ordine condiviso. 
Accettando di essere coordinati, i soggetti coinvolti rinunciano consapevolmente 
ad una parte della propria autonomia, poich� il fine che si intende 
raggiungere, e che tutti condividono, viene ritenuto pi� importante degli obiettivi 
che ciascuno di essi potrebbe perseguire singolarmente, se non riconoscesse 
le limitazioni di cui si � detto (327). 

La funzione di coordinamento riguarda quindi ipotesi in cui i soggetti 
pubblici coinvolti sono tutti titolari di una potest� (328), alla quale per� non 
corrisponde - parallelamente e reciprocamente - una situazione di soggezione: 
il che accade nei casi in cui la cura di un determinato interesse pubblico 
non � esclusiva di un solo organo, ma viene attribuita ad una pluralit� di 
soggetti tra loro indipendenti ed equiordinati. 

Non pu� quindi parlarsi di coordinamento se non in presenza di soggetti 
collocati in posizione giuridica e funzionale assolutamente paritaria, principio 
quest�ultimo che, come si � avuto modo di approfondire, rappresenta 
non solo un elemento caratteristico delle pi� recenti politiche di polizia internazionale, 
ma direttamente il presupposto imprescindibile delle strategie di 
sicurezza dell�Unione Europea, a partire dal Consiglio Europeo di Santa 
Maria da Feira (1999) in poi. 

(326) Cos� BACHELET, op. cit., p. 635. Per quanto attiene il settore della pubblica sicurezza, si 
veda anche ROMANO, Il ruolo di coordinamento del Prefetto tra storia e prospettive future, in Instrumenta 
n. 24/2004, pp. 841 ss.. 


(327) Cos� DE PAOLA, Il ruolo del Prefetto nel sistema della sicurezza pubblica. Le funzioni del 
Comitato provinciale per l�ordine e la sicurezza pubblica nel nuovo quadro ordinamentale delle autonomie 
locali, Roma 2006, p. 47. 

(328) Ad esempio, i rapporti intercorrenti tra le Direzioni generali di uno stesso Ministero, ovvero 
tra pi� soggetti appartenenti ad Amministrazioni diverse ma tutti competenti alla cura del medesimo interesse 
pubblico. 


A.2) IL MODELLO DI COORDINAMENTO NELLE FONTI DELL�UNIONE EUROPEA. 
CONCLUSIONI. 

Lo strumento del coordinamento � tipico del diritto dell�Unione Europea, 
essendo impiegato nel cd. �diritto primario� (o diritto �costituzionale� dei 
Trattati) nell�identificare determinate competenze dell�Unione. In particolare, 
l�art. 6 TFUE, introdotto dal Trattato di Lisbona nel quadro di una complessiva 
riorganizzazione sistematica delle attribuzioni, istituisce in capo all�Unione 
delle �competenze complementari� nei seguenti termini: 

�L�Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare 
o completare l'azione degli Stati membri. I settori di tali azioni, nella loro 
finalit� europea, sono i seguenti: a) tutela e miglioramento della salute umana; 
b) industria; c) cultura; d) turismo; e) istruzione, formazione professionale, 
giovent� e sport; f) protezione civile; g) cooperazione amministrativa�. 

Un ruolo speciale riveste poi il coordinamento delle politiche economiche, 
occupazionali e sociali, al quale � dedicato il precedente art. 5 TFUE, che 
cos� dispone: �1. Gli Stati membri coordinano le loro politiche economiche 
nell�ambito dell'Unione. A tal fine il Consiglio adotta delle misure, in particolare 
gli indirizzi di massima per dette politiche. Agli Stati membri la cui 
moneta � l'euro si applicano disposizioni specifiche. 

2. L�Unione prende misure per assicurare il coordinamento delle politiche 
occupazionali degli Stati membri, in particolare definendo gli orientamenti 
per dette politiche. 
3. L�Unione pu� prendere iniziative per assicurare il coordinamento delle 
politiche sociali degli Stati membri�. 


Specifiche norme disciplinano inoltre i tre settori sovra considerati (in 
particolare, gli artt. 121, 148 e 153 TFUE). 

Bench� nelle materie rientranti nella competenza complementare del-
l�Unione possano adottarsi anche provvedimenti di carattere legislativo, eventualmente 
secondo la procedura ordinaria (ad es. nel caso dell�art. 173 TFUE, 
in materia di politica industriale), di regola non � invece possibile porre in essere 
delle misure finalizzate ad armonizzare tra loro le specifiche normative 
di settore nazionali. 

Quanto sopra pare rispondere alla preoccupazione di stabilire precisi limiti 
alle competenze dell�Unione in settori considerati sensibili dagli Stati 
membri. 

A ci� aggiungasi che in alcune materie, quali le politiche sociali ed occupazionali, 
giovent�, istruzione e formazione, si � applicato, a partire dal 1998 (e 
rafforzato con l�adozione della �strategia di Lisbona� nel 2000 (329)), il c.d. 
�metodo aperto di coordinamento� (MAC), uno strumento non vincolante di co


(329) L�archivio delle relative fonti giuridiche � su http://eur-lex.europa.eu/it/dossier/dossier_13.htm. 


ordinamento delle politiche pubbliche degli Stati membri consistente nello scambio 
di informazioni e best practices. L�art. 148 TFUE (ex art. 128 TCE) rappresenta 
un esempio di tale meccanismo nell�area delle politiche per l�occupazione: 

�1. In base a una relazione annuale comune del Consiglio e della Commissione, 
il Consiglio europeo esamina annualmente la situazione dell'occupazione 
nell'Unione e adotta le conclusioni del caso. 

2. Sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo, il Consiglio, su 
proposta della Commissione, previa consultazione del Parlamento europeo, 
del Comitato economico e sociale, del Comitato delle regioni e del comitato 
per l'occupazione di cui all'articolo 150, elabora annualmente degli orientamenti 
di cui devono tener conto gli Stati membri nelle rispettive politiche in 
materia di occupazione. Tali orientamenti sono coerenti con gli indirizzi di 
massima adottati a norma dell'articolo 121, paragrafo 2. 
3. Ciascuno Stato membro trasmette al Consiglio e alla Commissione una 
relazione annuale sulle principali misure adottate per l'attuazione della propria 
politica in materia di occupazione, alla luce degli orientamenti in materia 
di occupazione di cui al paragrafo 2. 
4. Il Consiglio, sulla base delle relazioni di cui al paragrafo 3 e dei pareri 
del comitato per l'occupazione, procede annualmente ad un esame dell'attuazione 
delle politiche degli Stati membri in materia di occupazione alla luce 
degli orientamenti in materia di occupazione. Il Consiglio, su raccomandazione 
della Commissione, pu�, se lo considera opportuno sulla base di detto 
esame, rivolgere raccomandazioni agli Stati membri. 
5. Sulla base dei risultati di detto esame, il Consiglio e la Commissione 
trasmettono al Consiglio europeo una relazione annuale comune in merito 
alla situazione dell'occupazione nell'Unione e all'attuazione degli orientamenti 
in materia di occupazione�. 


Infine, il coordinamento tra le politiche economiche degli Stati membri 
rientra tra le materie disciplinate dal Trattato sulla stabilit�, il coordinamento 
e la governance (c.d. �Fiscal Compact�) concluso nel marzo 2012: accanto 
alle pi� note disposizioni in tema di disciplina fiscale e relativi meccanismi di 
controllo e sanzione, il Trattato contiene infatti un Titolo IV, intitolato �Coordinamento 
delle politiche economiche e convergenza�, composto dai seguenti 
tre articoli: 

art. 9 �Basandosi sul coordinamento delle politiche economiche, quale definito 
dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, le parti contraenti si 
impegnano ad adoperarsi congiuntamente per una politica economica che favorisca 
il buon funzionamento dell'unione economica e monetaria e la crescita economica 
mediante una convergenza e una competitivit� rafforzate. A tal fine le 
parti contraenti intraprendono le azioni e adottano le misure necessarie in tutti i 
settori essenziali al buon funzionamento della zona euro, perseguendo gli obiettivi 
di stimolare la competitivit�, promuovere l'occupazione, contribuire ulteriormente 


alla sostenibilit� delle finanze pubbliche e rafforzare la stabilit� finanziaria�; 

art. 10 �Conformemente alle disposizioni dei trattati su cui si fonda 
l�Unione europea, le parti contraenti sono pronte ad avvalersi attivamente, 
se opportuno e necessario, di misure specifiche agli Stati membri la cui moneta 
� l�euro, come previsto all�articolo 136 del Trattato sul funzionamento 
dell�Unione europea, e della cooperazione rafforzata, come previsto all�articolo 
20 del Trattato sull�Unione europea e agli articoli da 326 a 334 del Trattato 
sul funzionamento dell�Unione europea, nelle materie essenziali al buon 
funzionamento della zona euro, senza recare pregiudizio al mercato interno�;

art. 11 �Ai fini di una valutazione comparativa delle migliori prassi e 
adoperandosi per una politica economica pi� strettamente coordinata, le parti 
contraenti assicurano di discutere ex ante e, ove appropriato, coordinare tra 
loro tutte le grandi riforme di politica economica che intendono intraprendere. 
A tale coordinamento partecipano le istituzioni dell�Unione europea in conformit� 
del diritto dell'Unione europea�. 

In relazione alla citate norme del TFUE (per l�approfondimento tematico 
delle politiche di sicurezza dell�UE si rimanda alla prima parte di questo lavoro) 
l�attivit� di coordinamento � svolta dall�Unione e talora, pi� specificamente, 
da una sua Istituzione quale il Consiglio, laddove i soggetti coordinati 
sono gli Stati membri (o le loro Istituzioni di vertice), sicch� sarebbe del tutto 
fuorviante inquadrarla in rapporti di tipo �gerarchico�: la funzione di coordinamento 
presuppone infatti, nel diritto dell�Unione, un rapporto di assoluta 
pariordinazione tra i soggetti coordinati e la sua adozione come strumento 
della governance economica europea comprova l�inadeguatezza di una configurazione 
di tipo gerarchico a cogliere i rapporti tra coordinatore e coordinati, 
ovvero l�articolazione delle rispettive competenze. 

Un esempio di ci� � dato dal gi� richiamato �metodo aperto di coordinamento� 
(MAC), strumento col quale Commissione, Consiglio e Consiglio Europeo 
hanno cercato di promuovere il coordinamento delle politiche degli Stati 
membri in materia sociale, a partire dalla seconda met� degli anni novanta: si 
basa - mutuando il modello del coordinamento delle politiche per l�occupazione 
gi� previsto dal Trattato di Amsterdam - su cicli iterativi con periodicit� 
variabile che prevedono, per ciascun settore di policy cui il metodo viene applicato, 
la fissazione a livello europeo di linee guida ed obiettivi, la presentazione 
da parte degli Stati membri di piani nazionali d�azione volti 
all�attuazione di tali obiettivi, la valutazione inter partes (cd. �peer review�) 
di tali piani da parte dell�insieme degli Stati membri ed infine degli esercizi 
di valutazione congiunta da parte di Commissione e Consiglio (330). 

(330) In questi termini, SACCHI, Il metodo aperto di coordinamento, URGE/Moncalieri 2006, p. 2. 
In argomento si veda anche RADAELLI, The Open Method of Coordination: A new governance architecture 
for the European Union?, SIEPS/Stockholm 2003. 


Un tal metodo di azione, esteso nel tempo ad un numero sempre crescente 
di materie (ad es. ricerca ed innovazione, politiche pensionistiche, assistenza 
sanitaria, lotta alla povert�, etc. (331)), rappresenta l�archetipo (332) 
del modello di coordinamento nel sistema giuridico comunitario, poich� ha 
l�enorme vantaggio di neutralizzare eventuali forme di competizione autoreferenziale 
tra i soggetti da coordinare: procede infatti attraverso lo scambio 
delle cd. best practicies tra i soggetti coinvolti, in un�ottica di apprendimento 
reciproco che in nessun modo � in grado di intaccare la loro sovranit� ed l�indipendenza 
delle parti coinvolte. 

Trattandosi di procedure fondate sull�accordo delle parti, i singoli Governi 
nazionali rimangono titolari di un potere di decisione per il quale assumono 
una specifica responsabilit� politica nei confronti dei propri cittadini, con ci� 
minimizzando per contro il rischio di un�intrusione in tali ambiti di Commissione 
e Corte di Giustizia. 

Di converso, la normativa UE individua nell�organismo di indirizzo politico 
�terzo� (il Consiglio Europeo) l�organismo deputato al coordinamento 
ed alla guida del sistema, �per garantire la coerenza globale e l�efficace controllo 
dei progressi finalizzati al conseguimento del nuovo obiettivo strategico� 
(cos� al p.to 36 delle Conclusioni). 

Ulteriore esempio di come la normativa UE concepisca la ratio della 
funzione di coordinamento in chiave paritetica e �volontaristica�, in special 
modo nel settore sicurezza, � l�art. 73 TFUE, a mente del quale �Gli Stati 
membri hanno la facolt� di organizzare tra di loro e sotto la loro responsabilit� 
forme di cooperazione e di coordinamento nel modo che ritengono 
appropriato tra i dipartimenti competenti delle rispettive amministrazioni 
responsabili per la salvaguardia della sicurezza nazionale. Il Consiglio 
adotta misure al fine di assicurare la cooperazione amministrativa tra i 
servizi competenti degli Stati membri nei settori di cui al presente titolo e 
fra tali servizi e la Commissione. Esso delibera su proposta della Commissione, 
fatto salvo l'articolo 76, e previa consultazione del Parlamento eu


(331) Il metodo di coordinamento in questione viene utilizzato anche in settori chiave del �sistema 
sicurezza� quali le politiche di immigrazione ed asilo, in ambito FSJ (cfr. retro). Va per� precisato che 
il mancato raggiungimento degli obiettivi del MAC non d� luogo a sanzioni - se non di carattere politico 

-non potendo lo Stato membro essere convenuto in giudizio, per tale evenienza, avanti alla Corte di 
Giustizia UE. 

(332) In particolare, il MAC viene codificato e riconosciuto, al p.to 7 delle Conclusioni della Presidenza, 
come strumento di governance dell�UE dal Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000: 
�Questa strategia potr� essere attuata migliorando i processi esistenti, introducendo un nuovo metodo 
di coordinamento aperto a tutti i livelli, associato al potenziamento del ruolo di guida e di coordinamento 
del Consiglio europeo ai fini di una direzione strategica pi� coerente e di un efficace monitoraggio 
dei progressi compiuti. Una riunione del Consiglio europeo che si terr� ogni primavera definir� 
i pertinenti mandati e ne garantir� il follow-up�. Documentazione su http://www.consilium.europa. 
eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/00100-r1.i0.htm. Per una sintesi introduttiva, cfr. 
http://europa.eu/legislation_summaries/glossary/open_method_coordination_it.htm 


ropeo� (333), norma quest�ultima che si inquadra nel cd. sistema costituzionale 
�multilivello� dell�UE (334). 

Quanto sopra trova conferma nel pi� recente approccio di �governance� 
europea (o �gouvernance civile�, nell�accezione francese) - come codificato 
dal Consiglio UE nel relativo �Libro bianco� del 2001 [doc. COM(2001) 428 
definitivo/2 (335)] - intesa quale �insieme di norme, processi e comportamenti 
che influiscono sul modo in cui le competenze vengono esercitate�, soprattutto 
per quanto riguarda l�apertura, la partecipazione, la responsabilit�, 
l�efficacia e la coerenza nel processo di elaborazione delle politiche del-
l�Unione, principi che rafforzano quelli di sussidiariet� e proporzionalit�, gi� 
previsti nei Trattati istitutivi. 

Il sistema di �governance� � strettamente legato alla funzione di coordinamento 
(336) e presuppone il coinvolgimento diretto dei soggetti interessati 
nelle tre fasi dell�informazione (comunicazione e trasparenza), della consultazione 
(partecipazione) e dell�implementazione delle decisioni. Si � cos� imposta 
una considerazione pi� attenta ai diversi livelli territoriali di governo 
(�multilevel governance�) senza per� interferire con gli ordinamenti interni 
degli Stati membri: da qui la previsione di forme di dialogo tra la Commissione 
e le associazioni europee e nazionali delle Amministrazioni regionali e locali. 

Una maggiore responsabilit� degli attori-Stati, ma anche di cittadini ed 
imprese, � parimenti implicita nell�adozione del gi� menzionato �metodo 
aperto di coordinamento�, impostato nel �libro bianco� e sviluppato in seguito 
al Summit europeo di Lisbona del 2000. 

Tutto ci� premesso, resta da chiedersi con quali modalit� (337) possa in 
concreto realizzarsi il coordinamento amministrativo, con particolare accento 
sul �settore sicurezza�. 

(333) Parte della dottrina (LADENBURGER, Police and Criminal Law in the Treaty of Lisbon. A 
New Dimension for the Community Method, in EuConst 4/2008, p. 36) ritiene che tale principio valga 
principalmente per i servizi di intelligence. 

(334) Sull�argomento, cfr. PERNICE, The Treaty of Lisbon: Multilevel Constitutionalism in Action, 
Berlin/Princetown 2001. Dello stesso Autore, Multilevel Constitutionalism in the European Union, Berlin, 
WHI Paper 2/2002. 

(335) Pubblicato su http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/com/2001/com2001_0428it02.pdf. 

(336) Con il concetto extragiuridico di governance, di ascendenza anglosassone, si intende il perseguimento 
di un obiettivo unitario a fronte di una realt� complessa, espressione di interessi pluriarticolati. 
Si tratta di un metodo operativo - sotto pi� profili analogo alla funzione amministrativa di 
coordinamento - attraverso il quale le differenti posizioni di pi� soggetti sociali sono tradotte in scelte 
politiche effettive (secondo la definizione di KOHLER-KOCH ed ESING, The Transformation of Governance 
in the European Union, London 1999, pp. 267 ss.) tramite forme di cooperazione ed interazione tra 
Stato e soggetti pubblici o privati (anche collettivi), al di fuori del modello gerarchico. 

(337) Con riferimento specifico al coordinamento delle Forze di polizia si rinvia, per approfondimenti, 
allo studio di MOSCA, Il coordinamento delle Forze di polizia, Padova 2005, nonch� 
all�efficace sinossi di FAVARO, Il Coordinamento delle Forze di Polizia, Lido di Ostia 2003 (su 
http://www.gdf.gov.it/repository/contentmanagement/ 
information/n60981200/il_coordinamento_delle_forze_di_polizia.pdf). 


Due, in particolare, sono i modelli generalmente adottati: il primo (prevalente 
nella legislazione dell�UE) consiste in un accordo tra gli stessi soggetti 
la cui attivit� va coordinata, generalmente raggiunto in seno ad organi collegiali 
o mediante atti di concerto; in alternativa si ricorre ad un soggetto terzo 
che svolga in maniera imparziale il ruolo di coordinatore. 

Il primo modello viene anche attuato in presenza di forme di decentramento 
amministrativo, soprattutto quando si tratti di riconoscere ai soggetti 
coinvolti un potere di indirizzo politico-generale, ovvero di alta amministrazione; 
il secondo viene invece preferito a fronte di attivit� esecutive di 
un indirizzo politico gi� definito da organismi diversi, sovraordinati ai soggetti 
da coordinare. 

In ogni caso, la funzione di coordinamento ha esclusivamente lo scopo 
di favorire l�azione complementare (non necessariamente la collaborazione) 
di diversi soggetti tra loro equiordinati, nel momento in cui possano esservi 
forme di contatto, eliminando potenziali contrasti o anche soltanto ostacoli di 
carattere procedimentale: ci� pu� avvenire o attribuendo ad un terzo - estraneo 
ad entrambe le parti - tale incombenza, ovvero costituendo una struttura collegiale 
formata proprio da questi ultimi, lasciando agli stessi l�onere di individuare 
regole e modalit� tramite le quali disciplinare il reciproco intervento. 

L�istituto del coordinamento, quindi, pi� che una mera formula organizzatoria 
� a tutti gli effetti un rapporto organizzatorio tra distinte 
figure soggettive equiordinate, che si instaura nell�ambito di un procedimento 
pubblicistico per armonizzare le diverse istanze e professionalit� 
di cui sono portatori tali soggetti, onde evitare la frammentazione del-
l�azione amministrativa. 

Il rapporto, pur avendo un�autonoma qualificazione giuridica, non necessariamente 
d� luogo ad una struttura organizzativa stabile, ben potendosi esaurire 
con la conclusione di un singolo procedimento, ma durante la sua vigenza 
assume comunque carattere vincolante (338) per i soggetti coinvolti. In ogni 
caso, la formula del �coordinamento� va intesa pi� come �risultato� che come 
modulo organizzatorio (339). 

Nel sistema della pubblica sicurezza assume poi rilievo la distinta funzione 
del �coordinamento politico�, che nell�ordinamento italiano, ai sensi 
dell�art. 95 Cost., compete al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale 

(338) La natura vincolante del programma concordato tra le parti della cui attivit� operativa si 
tratta (talvolta denominato �atto di disegno di coordinamento�) � da ritenersi, per giurisprudenza costante 
(che talvolta parla di condicio sine qua non), un presupposto implicito, pena il venir meno di ogni 
effettivit� nell�esercizio delle correlate potest� pubblicistiche: ci� anche laddove la legge nulla preveda 
al riguardo, neppure in merito al soggetto cui spetti formalmente adottarlo. Nel sistema francese, ove 
non sia intervenuto un atto atto di concerto direttamente tra i soggetti interessati, si ricorre ad apposite 
conferenze preliminari di servizi (cfr., in Italia, l�art. 14 legge 241/90). 

(339) In argomento si veda PIGA, Premesse ad uno studio sul coordinamento amministrativo, in 
Foro ammin., 1981, pp. 716 ss. 


�dirige la politica generale del Governo e ne � responsabile. Mantiene unit� 
di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l�attivit� 
dei Ministri�; nel modello costituzionale vigente, in effetti, ogni attribuzione 
decisionale sull�indirizzo della pubblica sicurezza � attratta in capo al Governo, 
che delega operativamente le relative incombenze al Ministro dell�Interno. 

Quest�ultimo, come � noto, le esercita avvalendosi delle strutture interne 
del proprio Dicastero, in particolare dell�organico tecnico-strumentale interforze 
del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. 

Ci� spiega perch� sia il Ministro - e non il vertice del Dipartimento di 

P.S. - l�organo coordinatore del sistema sicurezza in Italia: il fatto poi che il 
Ministro dell�Interno disponga di un potere di coordinamento, ma non anche 
di ordine nei confronti delle singole Forze di polizia (340), � coerente con il 
vigente assetto ordinamentale dello Stato, nel quale � venuto meno - da ultimo 
con D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 - ogni vincolo gerarchico tra i Ministri ed i 
dirigenti dei singoli Dicasteri. 

L�art. 3 del Decreto, in particolare, assegna agli �organi di governo � le 
funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi 
da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali 
funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attivit� amministrativa e 
della gestione agli indirizzi impartiti�, laddove ai dirigenti pubblici compete 
�l�adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che 
impegnano l'Amministrazione verso l�esterno, nonch� la gestione finanziaria, 
tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione 
delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via 
esclusiva dell'attivit� amministrativa, della gestione e dei relativi risultati�. 

La norma � espressione non solo del principio di buona amministrazione 
(e responsabilizzazione) di cui all�art. 97 Cost., ma pure dei principi che ispirano 
il pi� complesso sistema amministrativo comunitario, nel quale viene 
nettamente separata l�attivit� di indirizzo politico (cui � correlata l�assunzione 
di responsabilit� per il conforme operato dell�Amministrazione statale (341)) 

(340) Il potere di direzione, peraltro, non � riferito alle Forze di polizia presenti sul territorio 
di una provincia, bens� ai soli �servizi di ordine e sicurezza pubblica� (come precisa l�art. 1, comma 
primo, della legge121/81). 

(341) Ai sensi dell�art. 4 D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 �Gli organi di governo esercitano le funzioni 
di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando 
gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attivit� 
amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti�; di converso �Ai dirigenti spetta l'adozione 
degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso 
l'esterno, nonch� la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa 
di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva 
dell'attivit� amministrativa, della gestione e dei relativi risultati�. A sua volta, l�art. 14 precisa che �Il 
Ministro esercita le funzioni di cui all'articolo 4, comma 1. A tal fine periodicamente, e comunque ogni 
anno entro dieci giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio, anche sulla base delle proposte dei 
dirigenti di cui all'articolo 16: a) definisce obiettivi, priorit�, piani e programmi da attuare ed emana 


da quella esecutiva del medesimo, devoluta alla responsabilit� di apparati tecnici 
e professionali che risponderanno del perseguimento o meno degli obiettivi 
prefissati in sede di indirizzo. 

La funzione di coordinamento nel settore della pubblica sicurezza 
non tanto (e non solo) � dovuta alla presenza di pi� Forze di polizia, 
quanto piuttosto all�interdisciplinarit� della materia, che coinvolge un 
numero pi� o meno elevato di operatori dalle competenze molteplici, cos� 
come un�ampia gamma di possibili tipologie di intervento: oltre alle funzioni 
specifiche delle Forze dell�ordine, infatti, a seconda dei casi troveranno 
impiego le risorse dei Vigili del fuoco piuttosto che dell�Esercito o di altre 
Forze armate (ad es. la Guardia costiera) ovvero ancora le competenze della 
Protezione civile e di altri organismi pubblici a carattere specialistico. 

Di ci� d� piena espressione la vigente normativa dell�UE in materia di pubblica 
sicurezza (interna ed esterna); quest�ultima, inoltre, nel privilegiare il modello 
�integrato� a pluralit� di competenze, secondo parte della dottrina 
contrasterebbe con un assetto della P.S. tendenzialmente �monistico� nel 
quale tali attribuzioni vengano attratte sotto la responsabilit� diretta di un 
unico Dicastero, sia perch� l�apparato burocratico chiamato a gestirle - per 
quanto versatile - non potrebbe mai disporre di sufficienti competenze specialistiche 
e di idonei apparati di supporto, salvo renderlo elefantiaco (e dunque, alla 
lunga, inefficiente e costoso), sia per evidenti esigenze di garanzia istituzionale, 
per cui non sarebbe mai auspicabile un�eccessiva concentrazione di poteri (tanto 
pi� se idonei ad incidere sulla libert� personale dei cittadini) in capo ad un unico 
centro di direzione e/o interessi, ovvero ad un singolo apparato di sicurezza. 

Non a caso, del resto, come si avr� modo di sottolineare, nessun modello 
contemporaneo dello Stato di diritto prevede una simile eventualit�. 

In questi termini, la legge 121/81 individua correttamente nel Ministro 
dell�Interno non il capo di tutte le Forze di polizia dello Stato (e men che mai 

-anche solo pro tempore - degli altri soggetti di volta in volta chiamati a prestare 
servizio), bens� l�organo funzionalmente deputato a tradurre, in materia 
di pubblica sicurezza, l�indirizzo politico maturato collegialmente in seno al 
Governo, tramite il coordinamento degli apparati istituzionalmente tenuti a 
darvi pratica esecuzione. 

Alla natura tecnico/ausiliaria attribuita al Dipartimento di P.S. - unitamente 
alla sua composizione interforze, giacch� diversi sono i soggetti istituzionali 
che costantemente attendono all�esecuzione delle direttive governative - do-

le conseguenti direttive generali per l'attivit� amministrativa e per la gestione � Per l�esercizio delle 
funzioni di cui al comma 1 il Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive competenze 
di supporto e di raccordo con l'amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento adottato 
ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400 � Il Ministro non pu� revocare, 
riformare, riservare o avocare a s� o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei 
dirigenti � Resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimit��. 


vrebbe quindi corrispondere un assetto organizzativo funzionale all�espletamento 
delle funzoni di supervisione e coordinamento operativo cui � deputato. 

La funzione di coordinamento amministrativo esercitata dal Ministro 
dell�Interno presuppone per� il preventivo coordinamento politico svolto dal 
Presidente del Consiglio dei Ministri - ex art. 95 Cost. - nel risolvere gli eventuali 
conflitti di interessi tra questi ultimi, posto che l�individuazione di una 
politica unitaria di sicurezza spetta all�organo collegiale e non al singolo 
Dicastero (in tal senso l�art. 1 comma terzo della legge 121/81 fa salve �le 
competenze del Consiglio dei Ministri previste dalle leggi vigenti�). 

Anche sotto tale profilo costituzionale, dunque, non ha reale pregio giuridico 
la tesi di chi vorrebbe concentrare nelle mani di un unico Dicastero non 
solo la dipendenza funzionale ma pure quella ordinamentale e gerarchica di 
tutte le Forze dell�ordine nazionali. 

Non a caso la normativa speciale (in primis la legge 15 marzo 1997, n. 
59 sulla riforma �federalista� della Pubblica Amministrazione, nonch� il D.lgs. 
attuativo 30 luglio 1999, n. 300), nel considerare la Presidenza del Consiglio 
ed i singoli Ministeri in una prospettiva unitaria, rafforza il ruolo - anche amministrativo 
- della prima, riconoscendole una vera e propria funzione di monitoraggio 
e coordinamento dell�attuazione delle politiche di governo. 

Conclusivamente, alla luce di quanto documentato nei primi due Capitoli si possono 
cos� sintetizzare i caratteri fondamentali del �modello sicurezza� elaborato in ambito sovranazionale, 
sul presupposto che -sebbene le Istituzioni dell�Unione Europea non abbiano 
alcun titolo a sindacare le scelte degli Stati membri per quanto concerne allocazione, ordinamento 
e competenze delle relative Forze dell�ordine - appare pur sempre coerente con 
il principio di leale cooperazione di cui all�art. 4 TUE implementare un assetto interno della 
pubblica sicurezza in linea con tali parametri, in quanto idoneo a meglio rapportarsi con le 
istanze comunitarie: 

1) necessaria distinzione tra organi di indirizzo politico (ivi inclusi gli organismi ausiliari 
di alta amministrazione) ed organi con competenze esecutivo/gestionali delle scelte operate 
dai primi (sia pur specificate dagli organismi ausiliari), con conseguente netta separazione 
delle relative strutture organizzative e di vertice. 

2) Avendo gli organi di indirizzo politico la responsabilit� dell�azione svolta dalle Forze 
dell�ordine (o, pi� in generale, dagli organi esecutivi) in conformit� alle loro direttive in materia 
di sicurezza, agli stessi compete normalmente anche la funzione di coordinarne l�attivit�; 
in alternativa, la funzione di coordinamento pu� essere esercitata sulla base di precedenti 
intese (di settore) intercorse tra gli stessi organi esecutivi. 

3) Nei loro reciproci rapporti, cos� come nelle relazioni che l�Autorit� di indirizzo intrattiene 
con ciascuno di essi, questi ultimi sono tra loro assolutamente equiordinati, nell�ambito 
delle rispettive competenze generali e di settore. 

4) Quale conseguenza dei due punti precedenti, non � prevista la possibilit�, per un organo 
esecutivo/gestionale, di svolgere funzioni di coordinamento e/o direzione di altri organi, 
ai quali sia stata attribuita dalla legge, congiuntamente ad esso, la cura di determinati interessi 
pubblici. 


5) Necessit� di superare - tanto sotto il profilo teorico quanto sotto quello della gestione 
operativa - la tradizionale distinzione tra sicurezza interna ed esterna (e con essa la rigida ripartizione 
delle sfere di intervento dei relativi operatori), con conseguente sviluppo di un approccio 
integrato che coniughi le capacit� operative di entrambi i settori. 

6) Irrilevanza, ai fini dell�individuazione dei soggetti deputati ad operare nel settore sicurezza, 
di questioni relative al loro ordinamento (civile, miltare o misto) ovvero alla loro organizzazione 
interna (accentrata, decentrata o altro), rilevando esclusivamente le funzioni 
concretamente svolte (in quanto attribuite dalla legge o dall�ordine legittimo dell�Autorit� a 
ci� preposta nei singoli ordinamenti nazionali). 

7) Preferenza - nel settore sicurezza complessivamente inteso (�interno� ed �esterno�) per 
la creazione e lo sviluppo di organi esecutivo/gestionali aventi capacit� multidisciplinari, nel-
l�ambito di una medesima linea di comando: in tale contesto viene attribuito un valore aggiunto 
alle Forze di polizia ad ordinamento integrato civile/militare (ovverosia, alle Forze di gendarmeria) 
in quanto pi� di altre idonee ad implementare i principi di cui ai punti precedenti. Per contro, si 
assiste ad un tendenziale sfavore per le rigide segmentazioni di competenze operative - di per s� 
antieconomiche e poco efficienti - salve ovviamente le ipotesi di specialit� qualificate. 

Contrariamente a quanto spesso si crede, tali criteri non valgono solo per le politiche 
dell�Unione relative agli interventi di stabilizzazione civile/militare all�estero (missioni di 
peacekeeping, diplomatiche o altro), ma pi� in generale per tutti gli aspetti delle << politiche 
di sicurezza (o di polizia), comprese quelle "interne" allo spazio comune europeo (nonch� dei 
singoli Stati: settori PESC e FSJ) >>. 

Ci� premesso, si tratta adesso di verificare se - ed in che termini - i vari 
ordinamenti nazionali (con riferimento, in primis, al cd. �G6 europeo�) ed in 
particolare quello italiano siano coerenti con i principi sopra riassunti. 

3. Principi generali in materia di pubblica sicurezza: B) l�ordinamento italiano 
alla luce della legge 121/81 e del TULPS: linee guida, profili storici e 
problematicit� di sistema. 

B.1) L�AMMINISTRAZIONE DELLA PUBBLICA SICUREZZA IN ITALIA. 

Premesso quanto sopra sulla corretta individuazione dei caratteri giuridico/
operativi della funzione di coordinamento e sui principi generali che 
informano il �modello comunitario� della pubblica sicurezza, si pu� passare 
ad un esame degli istituti pi� rilevanti previsti dalla normativa nazionale in 
materia: si esaminer�, in primo luogo, l�Amministrazione della Pubblica 
Sicurezza, strumento operativo di cui si avvale il Ministro dell�Interno quale 
massima Autorit� del settore (342) - nell�assolvere le proprie funzioni 

(342) L�art. 1 della legge 1� aprile 1981 n. 121 qualifica il Ministro dell�Interno �responsabile 
della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica� nonch� �Autorit� nazionale di pubblica sicurezza. 
Ha l'alta direzione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e coordina in materia i compiti e le attivit� 
delle Forze di polizia�. Il comma successivo precisa poi che �Il Ministro dell�Interno adotta i provvedimenti 
per la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica�. 


in materia di tutela dell�ordine e della sicurezza pubblici (cos�, espressamente, 
l�art. 2 della legge 1� aprile 1981 n. 121). La norma, per�, non ne 
fornisce alcuna definizione, che va dunque desunta dal complessivo quadro 
normativo di settore. 

Si tratta, in buona sostanza, di un�articolazione burocratica del Ministero 
dell�Interno, strutturata in sede centrale nell�omonimo Dipartimento di P.S. ed 
a livello periferico in una serie di uffici, in particolare Prefetture e Questure. 

Inizialmente, quella che divenne poi la legge 121/81 avrebbe dovuto semplicemente 
ridefinire l�assetto organizzativo dell�allora Corpo delle Guardie 
di pubblica sicurezza (predecessore dell�odierna Polizia di Stato) che, a far 
seguito alla riforma operata con R.D.L. 2 aprile 1925, n. 383, aveva ordinamento 
militare ed era strutturato secondo i tradizionali ruoli degli ufficiali 
(ruolo ordinario e ruolo degli ufficiali medici (343)), dei sottufficiali e della 
truppa (344), ripristinandone l�integrale ordinamento civile. 

Le funzioni dirigenziali e direttive di pubblica sicurezza facevano per� 
capo a personale estraneo al Corpo, ovverosia i funzionari di P.S. (funzionari 
civili dell�Amministrazione dell�Interno, incardinati in un ruolo ed in una carriera 
diverse rispetto al suddetto personale militare, ovverosia Questori, Vice 
Questori e Commissari), analogamente a quanto ancor oggi capita, almeno in 
parte, per il Corpo della Polizia penitenziaria (laddove il personale di polizia 
� subordinato gerarchicamente e funzionalmente a dirigenti �civili�). 

I funzionari di P.S., a loro volta, in ragione dell�appartenenza ai ruoli civili 

(343) Il ruolo degli Ufficiali (dell�allora Corpo degli Agenti di P.S.) era stato in realt� soppresso 
con R.D. 11 dicembre 1927, n. 2380, attribuendo il comando dei reparti direttamente al personale civile 
delle Questure (ossia i funzionari di P.S., le cui attribuzioni verranno precisate con il successivo Regolamento 
del Corpo del 1930). Il ruolo degli Ufficiali verr� ripristinato solamente con legge 26 gennaio 
1942, n. 524. 

(344) La militarizzazione delle Guardie di P.S., lungi dall�avere una qualche giustificazione ideologica, 
fu voluta, all�indomani della fine della seconda Guerra mondiale, per aggirare le disposizioni 
del Trattato di pace con le Potenze vincitrici, che agli artt. 60, 61 e 65 imponeva una pesante limitazione 
al numero dei soldati che l�Italia, quale Nazione sconfitta, poteva arruolare. In effetti, non essendo le 
Forze di polizia contemplate nelle clausole del diktat, il Governo si serv� di tale �scamotage per accrescere 
di fatto gli organici delle Forze armate, da schierare in caso di necessit�. 
Ci� avvenne riesumando, con D.lgs L.gt n. 365 del 2 novembre 1944, il vecchio Corpo delle Guardie 
di P.S. (del 1852), da quel momento inglobato nelle Forze armate, che successivamente venne ad assorbire 
il Corpo degli Agenti di P.S. (precedentemente gi� inserito nelle FFAA con D.L. n. 687 del 31 luglio 
1943) ed il Corpo di Polizia Repubblicana (operante dal 1943 al 1945 nella R.S.I.), oltre al Corpo di 
Polizia dell�Africa Italiana - P.A.I. (con D.lgs. L.gt. n. 43 del 13 febbraio 1945), tutti sgraditi agli Alleati 
poich� compromessi con il passato regime, di cui erano stati un�emanazione per controbilanciare i Carabinieri 
Reali (il cui giuramento personale al Re li rendeva autonomi dalle strutture del PNF). Anche 
per contrastare tale deficit d�immagine, nel nuovo Corpo di polizia vennero successivamente inseriti 
elementi delle disciolte Brigate partigiane di liberazione. 
Parallelamente si provvide, con D.lgs. L.gt. 21 agosto 1945, n. 508, ad apportare alcune modifiche al 
Corpo degli Agenti di Custodia (dal 1990 Corpo della Polizia penitenziaria), inquadrando pur esso nelle 
Forze armate dello Stato, tra quelle in servizio di pubblica sicurezza (unitamente a Guardie di P.S., Carabinieri 
e Guardie di Finanza). 


dell�Interno erano gerarchicamente subordinati ai Prefetti (345), dei quali 
erano, del resto, organi ausiliari. 

Nel corso dei lavori, per�, si pens� di estendere il campo di intervento 
anche alla struttura organizzativa del Ministero dell�Interno, anzich� prevedere 
per quest�ultima una disciplina ad hoc, interessando in particolare l�allora �Direzione 
Generale della Pubblica Sicurezza�, che venne sostituita dall�odierno, 
omonimo Dipartimento. 

Questa scelta procedurale, unita ad una tecnica normativa non sempre felice, 
fu all�origine di gran parte delle criticit� della legge 121 che, lungi dal risolvere 
le incompatibilit� della normativa previgente con il sopravvenuto 
sistema costituzionale diede in realt� vita ad una sovrapposizione tra due diverse 
sfere di interesse, con frequente confusione dei confini tra l�ordinamento 
del Dipartimento di P.S. (cio� una struttura di governo) e quello della Polizia 
di Stato (una delle Forze di polizia statali). 

L�evoluzione storica della struttura amministrativa della Publica Sicurezza postunitaria 
� essenziale per comprendere le ragioni dell�odierno assetto organizzativo e, nel 
contempo, per collocare in un�obiettiva prospettiva giuridica le problematicit� che verranno 
di volta in volta evidenziate. 

Con R.D. 9 ottobre 1861, n. 255, fu istituita presso il Ministero dell�Interno la Direzione 
generale di pubblica sicurezza, retta da un Direttore generale ed articolata per lo svolgimento 
dei servizi in due Divisioni: una per il personale civile ed una per la polizia amministrativa e 
giudiziaria. Con R.D. 4 gennaio 1863, n. 1194, la Direzione generale venne soppressa e le 
funzioni di pubblica sicurezza furono svolte dalle due Divisioni, poste alle dirette dipendenze 
di un neo-istituito Segretariato generale; peraltro gi� l�anno successivo, con R.D. 30 ottobre 
1864, n. 1980 la Direzione generale venne ricostituita, per poi essere di l� a poco denominata 

-con R.D. 17 luglio 1866, n. 3071 -Direzione superiore di pubblica sicurezza, retta da un Direttore 
superiore ed articolata in due Divisioni. Con R.D. 23 aprile 1868, n. 4551, la Direzione 
superiore di pubblica sicurezza fu nuovamente abolita e le sue funzioni passarono direttamente 
alla Divisione seconda / polizia giudiziaria e amministrativa, mentre le competenze relative 
al personale passarono alla Divisione prima. Nel 1870 la Divisione seconda assunse il nome 
di Divisione della pubblica sicurezza e nel 1877, con R.D. 25 giugno, n. 3925, vi confluirono 
anche le competenze relative al personale. Successivamente al R.D. 7 ottobre 1880, n. 5668, 
i servizi di pubblica sicurezza vennero a loro volta ripartiti in due Divisioni: la seconda per la 
polizia giudiziaria e la polizia amministrativa e la terza per il personale di pubblica sicurezza; 
ad esse si affianc� un ufficio per la trattazione degli affari politici che assunse poi la denominazione 
di Ufficio riservato. Dal 1880 al 1887 un Prefetto in missione diresse i servizi di pubblica 
sicurezza, non essendo previsto nell�organico il ruolo di direttore dei servizi di pubblica 
sicurezza. Con R.D. 3 luglio 1887, n. 4707 venne nuovamente (e questa volta definitivamente) 
istituita la Direzione generale di pubblica sicurezza, retta da un Direttore generale, di solito 
un Prefetto. Negli anni successivi venne istituita la polizia dell�emigrazione ed un Ufficio 

(345) Secondo l�allora previsione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (TULPS), che confermava la 
dipendenza delle Questure dalle Prefetture, pur inserendole in uno speciale ruolo tecnico-operativo. 


esplosivi, mentre la polizia amministrativa - in seguito all�ampliamento delle sue competenze 

-assunse la denominazione di polizia amministrativa e sociale. Nel 1917 venne creato un ufficio 
centrale investigazioni, quindi un ufficio per la prevenzione e la repressione dell�abigeato 
in Sicilia; vennero anche creati un ufficio valori, un ufficio di polizia ferroviaria ed un ufficio 
del bollettino delle ricerche. Con R.D.L. 9 ottobre 1919, n. 1846 i servizi della pubblica sicurezza 
furono ripartiti in cinque Divisioni: gabinetto e servizio ispettivo, affari generali e riservati 
(che subentrava all�ufficio riservato), polizia giudiziaria, polizia amministrativa e sociale, 
personale di pubblica sicurezza. Veniva istituito anche un Ufficio informazioni, poi Ufficio 
confidenziale. Dopo circa tre anni la Divisione polizia giudiziaria e la Divisione polizia amministrativa 
e sociale tornarono a confluire in un�unica Divisione di polizia. 

Con il mutamento del regime politico nel 1922 viene per� meno la separazione istituzionale 
tra vertice della Direzione generale (organo ausiliario del Governo) e vertice delle 
Forze dell�ordine dipendenti dal Ministero dell�Interno, che trovava la sua ragion d�essere 
nel principio liberale della divisione dei poteri e nella regola per cui gli organi esecutivi 
non possono mai coincidere con quelli di controllo: con R.D. 11 novembre 1923, n. 2395 il 
Direttore generale della pubblica sicurezza assunse la denominazione di Intendente generale 
di polizia e di l� a poco, con R.D. 20 dicembre 1923, n. 2908, anche quella di Capo 
della polizia, cumulando le cariche. 

La ragion d�essere di tale commistione, come gi� evidenziato in ordine alla potest� ordinatoria 
del Prefetto, risiedeva nel venir meno della distinzione tra i Poteri legislativo ed esecutivo, 
con prevalenza funzionale di quest�ultimo. 

Dalla Divisione del personale si staccarono, nel 1926, i Servizi di gestione contratti e 
forniture, che vennero elevati a Divisione; quindi, in considerazione dei nuovi e pi� ampi 
compiti preannunciati con circolare della Direzione generale n. 12982 del 25 settembre 1925, 
che sarebbero stati attribuiti alla polizia con l�approvazione del Testo Unico delle leggi di 
pubblica sicurezza (TULPS - del 1931) e della legge istitutiva del Tribunale speciale per la 
difesa dello Stato (legge 25 novembre 1926, n. 2008), a seguito del R.D.L. 9 gennaio 1927, 

n. 33 (�Riordinamento del personale dell�Amministrazione della pubblica sicurezza e dei 
servizi di polizia�) si ebbe una nuova riorganizzazione dei Servizi della Direzione generale, 
che venne cos� strutturata: Segreteria del Capo della polizia da cui dipendevano ispettori generali 
e regionali, �Divisione affari generali e riservati�, �Divisione polizia politica�, �Divisione 
polizia�, �Divisione del personale�, �Divisione polizia di terra e di mare�, poi detta 
�di frontiera e trasporti�, �Divisione Forze armate di polizia� e �Divisione gestione contratti 
e forniture�. Nello stesso anno passava alle dirette dipendenze del Capo del governo 
il Servizio stenografico, poi �Servizio speciale riservato�, costituito nel 1925 nell�ambito 
del Ministero dell�Interno. 

Il R.D. 15 aprile 1940, n. 452, relativo alla ripartizione degli uffici dell�Amministrazione 
centrale del Ministero - abrogato solo con l�art. 24 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 conferm� 
infine che la Direzione generale della pubblica sicurezza fosse retta dal Capo 
della polizia. 

Con la fine del secondo conflitto mondiale si provvide alla soppressione di alcune strutture 
non ritenute pi� adeguate ai tempi (quali l�Ufficio confino politico e la Divisione polizia 
politica) e vennero gradualmente ricondotti nell�ambito della pubblica sicurezza i servizi di 
polizia ferroviaria, stradale, portuale, postelegrafonica espletati precedentemente dalla Milizia 
Volontaria per la Sicurezza Nazionale. La 1egge 18 giugno 1955, n. 517 e il D.P.R. 25 ottobre 
1955, n. 932 stabilirono inoltre le norme per la collaborazione tra l�Autorit� giudiziaria e 


quella di polizia; con 1egge 7 dicembre 1959, n. 1083 vennero poi istituiti i servizi di polizia 
femminile e con D.M. 24 aprile 1961 fu approvato l�Ordinamento interno dei servizi della 
pubblica sicurezza. Con successivo D.M. 6 ottobre 1965 la Direzione generale venne infine 
cosi organizzata: Segreteria; 14 Divisioni: affari riservati, affari generali, affari legislativi e 
documentazione, personale di pubblica sicurezza, Forze armate di polizia, Scuole di polizia, 
polizia amministrativa, polizia criminale, polizia di frontiera e dei trasporti, gestione contratti 
e forniture, accasermamento Forze di polizia, servizi tecnici e telecomunicazioni, motorizzazione, 
assistenza sociale; ispettorato di ragioneria, ispettorato del Corpo delle Guardie di pubblica 
sicurezza; Istituti superiori di istruzione. Dipendevano direttamente dalla Direzione 
generale l�Ispettorato generale di pubblica sicurezza presso la Presidenza della Repubblica, 
quello presso la Citt� del Vaticano e l�Ispettorato generale di pubblica sicurezza presso il Ministero 
dell�Interno. 

Con la legge 121/81 la Direzione generale di pubblica sicurezza venne infine sostituita 
dall�omonimo Dipartimento. 

Storicamente, la legge 121/81 succede ad un lungo equilibrio istituzionale 
(risalente almeno al 1925) che vedeva l�Autorit� di polizia condivisa tra un 
Corpo di Pubblica Sicurezza (variamente denominato nel corso del tempo, con 
spiccate connotazioni di ordine pubblico e presente nei maggiori centri urbani 
del Paese) e l�Arma dei Carabinieri (operante in particolar modo nel settore 
della polizia giudiziaria, dell�attivit� informativa e della prevenzione dei reati), 
entrambi funzionalmente subordinati, in rapporto alle rispettive competenze, 
all�Autorit� di governo (id est, l�Autorit� ministeriale a livello centrale e quella 
prefettizia in provincia). 

� importante, sul punto, chiarire alcuni profili della questione. 

La creazione di un nuovo Corpo accanto ai Carabinieri Reali risale alla legge 11 luglio 
1852, n. 1404, dettata dall�oppportunit� - manifestatasi nel corso dei moti insurrezionali del 
1821 e del 1848 - di assicurare ai Questori di Torino e Genova (funzionari civili di Prefettura 
coadiutori del Prefetto, deputati - per suo conto - alla cura delle questioni di pubblica sicurezza 
del capoluogo) la disponibilit� di una Forza armata cui gli stessi potessero direttamente ed 
immediatamente impartire degli ordini per l�esercizio delle funzioni loro assegnate, senza 
dover cercare ogni volta un preventivo accordo con i Comandi militari territoriali, che sino a 
quel momento avevano avuto il monopolio delle armi e non dipendevano in alcun modo dagli 
Intendenti provinciali e dai Prefetti (346). 

(346) L�ordinamento di polizia sabaudo (poi esteso al resto d�Italia, in seguito all�unificazione 
della Penisola) era infatti nato con le Regie Patenti del 13 luglio 1814, che avevano istituito la Direzione 
del Buon Governo (affidata, con le Regie Patenti del 18 gennaio 1815, al Corpo dei Carabinieri - che in 
tal modo si trov� ad avere insieme funzioni direttive ed esecutive - e quindi sostituita, nel 1816, da un 
Ministero di Polizia) ed i Carabinieri Reali, unica Forza di polizia a competenza generale del Regno di 
Sardegna, sin dall�origine dipendente gerarchicamente dall�Esercito e funzionalmente dall�Autorit� civile. 
Nel 1821, a seguito dell�inefficienza manifestata nel corso dei moti del 1821, il Ministero di Polizia 
venne a sua volta abolito e le competenze trasferite a quello dell�Interno: l�organico allora adibito ad 
attivit� di polizia aveva ordinamento militare e la tutela della sicurezza e dell�ordine pubblico era affidata 
a Comandanti militari (nella specie, in sede periferica, ai Governatori militari ed in loro assenza ai Comandanti 
generali, alle cui dipendenze operava un funzionario civile denominato Commissario di po



Il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza venne quindi istituito con l�intento di dar 
vita ad una sorta di �braccio armato� operativo della Prefettura/Questura, una Forza di polizia 
specifica per i centri urbani metropolitani con prevalenti attribuzioni di ordine pubblico (almeno 
sino al R.D. 14 agosto 1914, n. 1442, allorch� venne creato il Corpo degli Agenti di investigazione, 
peraltro a composizione mista), attese le peculiarit� ambientali (economiche e 
sociali, allora come oggi) di tali contesti rispetto al resto del Paese. 

La natura �metropolitana� del Corpo trov� ulteriore sanzione nella legge 21 dicembre 
1890, n. 7321, che significativamente ne mut� il nome in �Corpo delle Guardie di Citt��, 
mantenuto sino alla soppressione disposta con R.D. 2 ottobre 1919, n. 1790, a seguito del mutato 
regime politico nazionale. 

Eco delle contingenze che l�hanno preceduta � la precisazione, al primo 
comma dell�art. 3, che �l�Amministrazione della Pubblica Sicurezza � civile ed 
ha un ordinamento speciale�, inciso che per�, in termini eminentemente pratici, 
non � particolarmente significativo, ove si consideri che si sta parlando (non 
dell�ordinamento di una singola Forza di polizia, bens�) dell�articolazione amministrativa 
di un Ministero, che per sua natura altro non pu� essere che �civile�. 

Per fare un esempio, lo stesso Ministero della Difesa e le sue strutture 
burocratiche hanno natura di organismo �civile� e non militare: una cosa, infatti, 
� lo status giuridico e disciplinare del personale che vi opera, un�altra la 
collocazione istituzionale dell�organo nel sistema dei Poteri dello Stato individuati 
a livello costituzionale: non a caso, del resto, diversamente dalle singole 
Forze armate - che per� non partecipano della funzione di indirizzo 
politico, trattandosi di soggetti con competenze esecutive - neppure un organo 
costituzionale ed ausiliario quale il Consiglio Supremo di Difesa (347) pu� 
tecnicamente dirsi �militare�. 

La precisazione dell�art. 3 era prettamente simbolica, a rimarcare il processo 
di �smilitarizzazione� del disciolto Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, 
sancito proprio con la legge 121, ma gi� da questi passaggi emergono 

lizia). Ci� spinse Carlo Alberto, nel 1841, a trasferire la direzione della polizia al Ministero della Guerra 
e della Marina. Peraltro, a seguito dei problemi operativi riscontrati nel corso dei moti del 1848, che 
ebbero epicentro proprio nelle aree metropolitane del Paese, il Governo avvert� l�esigenza di dotare i 
propri rappresentanti territoriali in tali contesti (gli Intendenti provinciali, funzionari civili antesignani 
dei Prefetti) di poteri operativi e di ordine analoghi a quelli dei Comandanti militari, da esercitarsi attraverso 
una struttura a ci� dedicata (non potendo gli stessi, chiaramente, impartire degli ordini alle 
Forze armate, che appartenevano ad altra branca dell�Amministrazione pubblica). 
Venne quindi varato il R.D. 30 settembre 1848, n. 798, che prevedeva la devoluzione, anche a livello centrale, 
della direzione di polizia ad un organismo (denominato �Amministrazione di sicurezza pubblica� ) 
dipendente dal Ministero dell�Interno e, di seguito, la legge 11 luglio 1852, n. 1404, che all�art. 5 istituiva 
il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, i cui comandanti erano appunto dislocati uno a Torino e 
l�altro a Genova. Con R.D. 25 luglio 1854 venne poi approvato il regolamento organico del Corpo, mentre 
le sue finalit� istituzionali trovarono sanzione nel R.D. 21 settembre 1854. Con legge 13 novembre 1859, 

n. 3720, infine, l�ordinamento sabaudo fu progressivamente esteso ai vari Stati annessi al Regno d�Italia. 

(347) La partecipazione di quest�ultimo alla funzione di indirizzo, seppur per il tramite indiretto 
dell�esercizio di un�alta funzione consultiva, emerge dall�art. 1 lett. b) della legge 18 febbraio 1997, n. 
25 (cfr. adesso gli artt. 2-9 del D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66). 


le criticit� cui si faceva in precedenza cenno, dovute alla sovrapposizione, 
nello stesso corpo normativo, di materie tra loro assolutamente diverse. 

L�aggettivo in questione sarebbe stato dunque pi� consono a descrivere 
l�ordinamento della neo-istituita Polizia di Stato, tanto pi� ove si consideri che 
l�apporto operativo alle politiche di pubblica sicurezza (implementate, per 
legge, attraverso l�omonimo Dipartimento) � per la maggior parte riconducibile 
a Forze ad ordinamento militare (Carabinieri e Guardie di Finanza (348)): l�Amministrazione 
della Pubblica Sicurezza altro non �, infatti, nel suo impianto 
amministrativo, che un apparato burocratico del Ministero dell�Interno - dunque 
una struttura di governo - dato da un complesso di risorse umane ed uffici deputato 
all�attuazione ed esame delle strategie di ordine e sicurezza pubblici, per 
far fronte ad eventuali situazioni ambientali ingeneranti allarme sociale. 

Una struttura che attualmente si articola - come gi� detto - a livello centrale 
nel Dipartimento di Pubblica Sicurezza ed a livello periferico in Prefetture 
e Questure (ribadendo sul punto quanto originariamente previsto nel 
TULPS), pi� altri uffici minori (inizialmente individuati dall�art. 31 della legge 
121/81, poi sostituito dall�art. 2 del D.P.R. 22 marzo 2001, n. 208). 

In particolare, l�art. 3 comma secondo della legge 121/81 dispone che �le 
sue funzioni sono esercitate: a) dal personale addetto agli uffici del Dipartimento 
della P.S. ed agli altri uffici, istituti e reparti in cui essa si articola; b) 
dalle autorit� provinciali, dal personale da esse dipendente nonch� dalle autorit� 
locali di pubblica sicurezza; c) dagli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza 
sotto la direzione delle autorit� centrali e provinciali di pubblica sicurezza�. 

La norma sembra per� presupporre un�inversione logica del fondamento 
funzionalistico (349) che ispira le politiche di sicurezza in ambito OSCE ed UE: 

(348) Approssimativamente il 73,5% del totale delle segnalazioni di reati, nel 2011 (il 69,9-72% 
essendo riconducibile all�attivit� di presidio territoriale della sola Arma dei Carabinieri, alla quale � altres� 
riferibile il 54% circa dell�attivit� operativa svolta complessivamente sul territorio nazionale: dati 
pubblicati negli Allegati alla Relazione al Parlamento per il 2011 del Ministero dell�Interno, sull��Attivit� 
delle Forze di polizia, sullo stato dell�ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalit� organizzata
�). Un trend analogo viene riscontrato nei Paesi OSCE dotati di apparati �misti� o �integrati� 
(civili/militari) di pubblica sicurezza. 

(349) La connotazione in termini rigorosamente funzionali degli apparati tecnico-amministrativi 
dello Stato (quale indubbiamente � l�Amministrazione di P.S.) discende dalla distinzione tra poteri di 
indirizzo politico (riservati al Governo ed ai suoi organi di diretta rappresentanza territoriale) e poteri 
di gestione (attuativi dei suddetti indirizzi) riservati invece agli organi dell�apparato amministrativo 
dello Stato, proprio in ragione delle funzioni da questi concretamente svolte: tale regola, comunemente 
recepita a livello comunitario, � stata inizialmente formalizzata nell�art. 3 del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 
80 e quindi negli artt. 4, 14 e 16 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, quale espressione dei principi di efficienza, 
trasparenza e buona amministrazione di cui all�art. 97 Cost. Sul tema della funzionalizzazione 
amministrativa nel diritto dell�Unione Europea si richiamano i lavori di IPPOLITO, Fondamento, attuazione 
e controllo del principio di sussidiariet� nel diritto della Comunit� e dell�Unione Europea, Milano 
2007; ANZON, La delimitazione delle competenze dell�Unione Europea, in Dir. Pubblico 2003, pp. 787 
ss.; AZZENA, Il sistema delle competenze dell�Unione Europea, in AA.VV., Istituzioni, diritti, economia. 
Dal Trattato di Roma alla Costituzione europea, Pisa 2004. 


in sede sovranazionale, infatti, si ammette a contribuivi solo chi svolga - in 
base alla legge o anche di fatto (comՏ il caso delle organizzazioni di volontariato) 
- una serie di specifiche attribuzioni considerate rilevanti dal legislatore, 
a prescindere dal suo assetto organizzativo o ordinamentale. Nel caso 
dell�art. 3, invece, sembra riconoscersi a priori l�esercizio di queste ultime ad 
una serie di soggetti, per il sol fatto di essere assegnati a determinati uffici. 

La legge, inoltre, non specifica quali siano, in concreto, le �funzioni� 
dell�Amministrazione di P.S. 

Per prassi potrebbe pensarsi all�esercizio delle potest� che singole norme 
di legge attribuiscono a determinati funzionari, di volta in volta, ai fini della 
cura dell�ordine e della sicurezza pubblici; se cos� fosse, per�, l�impianto della 
legge 121 potrebbe dar adito ad un�incoerenza strutturale. 

Il sistema � tripartito, dal momento che individua tre �insiemi� di soggetti 
chiamati, a vario titolo, ad esercitare le funzioni dell�Amministrazione di P.S. 

La prima ipotesi, invero, non � scevra da perplessit�: per regola generale 

(350) infatti, le potest� pubbliche non fanno capo ai singoli uffici, n� ai singoli 
funzionari in quanto tali, bens� all�organo del quale gli stessi fanno parte, ovverosia 
la persona o il complesso di persone (nel caso di organi collegiali) preposte 
ad un determinato centro di imputazione di competenza amministrativa, 
che in tale ruolo (e limitatamente ad esso) esercitano una pubblica potest�. 

Organo in senso tecnico � solo quello che esercita una pubblica funzione 
(ad es. il Prefetto, il Ministro, etc.), ovverosia un�attivit� che si connota per 
l�esercizio di poteri autoritativi; non anche il funzionario che svolga una mera 
attivit� materiale o esecutiva. La misura dei poteri e delle funzioni che ciascun 
organo � chiamato a svolgere ne individua infine la competenza. 

La lettera a) dell�art. 3 sembra per� ignorare tale criterio, nel momento 
in cui attribuisce - genericamente e senza ulteriori precisazioni di merito - a 
tutto il personale in servizio presso gli uffici che compongono il Dipartimento 
di P.S. l�esercizio delle suddette funzioni. 

Significativamente, infatti, la norma non dice che le funzioni sono esercitate 
dagli uffici, quanto piuttosto - in generale - dal personale addetto a questi ultimi. 

La mera appartenenza all�ufficio - e non tanto il tipo di potest� (eventualmente) 
esercitata - sembra dunque essere il titolo per cui queste persone rientrano 
nel gruppo sub a). 

Dal novero della lettera a) devono per� essere esclusi gli appartenenti alla 
Polizia di Stato (che pacificamente rientrano nell�autonoma ipotesi sub c, oltre 
a quanto previsto dall�art. 39 e che, altrettanto pacificamente, nell�esercizio 
della propria attivit� d�istituto hanno titolo ad esercitare determinate potest� 
nell�interesse pubblico), con la conseguenza che tale disposizione risulta alla 
fine depotenziata. 

(350) Cos� VIRGA, Diritto Amministrativo, I, Milano 2001. 


Per fare un esempio, il personale dell�Amministrazione Civile dell�Interno 
verrebbe a far parte dell�Amministrazione della P.S. solo qualora presti servizio 
in uno di questi uffici, anche nel caso in cui svolga delle funzioni meramente 
amministrative (e dunque pur non partecipi alla concreta gestione dell�ordine 

o della sicurezza pubblici ed all�esercizio delle correlate, tassative potest�). 

Laddove il medesimo personale venga successivamente assegnato ad analoghe 
funzioni, ma presso un diverso Dipartimento (ad es. presso il Corpo dei 
Vigili del Fuoco, stesso Ministero e stessa attinenza alla tutela della sicurezza 
interna, secondo le linee-guida 2003 e 2010 dell�Unione Europea - cfr. retro), 
cesser� invece di farne parte. 

Pu� dunque dirsi - sulla base della norma in esame - che non � l�esercizio 
di una particolare funzione a ricondurre o meno un soggetto all�Amministrazione 
di P.S., bens� il fatto che questi, in un certo momento, presti il proprio 
servizio in uno degli uffici o reparti sub lett. a), a prescindere poi dall�attivit� 
in concreto espletata. 

Sarebbe stato forse pi� corretto precisare, piuttosto, che le funzioni di 
pubblica sicurezza sono esercitate da soggetti appartenenti a determinati organismi 
(in primis, ovviamente, le Forze di polizia) in ragione - e nei limiti della 
specifica attivit� dagli stessi svolta, anzich� far riferimento ad un criterio 
generico quale l�appartenenza ad un mero ufficio amministrativo. 

La lettera b) richiama invece le �autorit� provinciali� ed il �personale 
da esse dipendente nonch� dalle autorit� locali di pubblica sicurezza�. 

Se la prima ipotesi non d� luogo a dubbi, in quanto riferita ad organi dello 
Stato (tali sono il Prefetto ed il Questore, in virt� delle funzioni pubblicistiche 
loro attribuite dalla legge), la seconda pu� dar adito a qualche incertezza: in effetti, 
una volta esclusi - ad evitare una duplicazione con la lettera c) - i funzionari 
e gli agenti della Polizia di Stato, in quanto �dipendenti� dal Questore, non resta 
che il personale della Prefettura-UTG, genericamente inteso. 

In via interpretativa, alcuni Autori ritengono opportuno circoscrivere la 
portata della norma al solo personale che coadiuva il Prefetto nelle sue funzioni 
di Autorit� provinciale di P.S., ma � pur vero che la disposizione di legge � 
formulata in termini ampi. 

A beneficio d�inventario, si ricorda che attualmente sono Autorit� provinciali 
di pubblica sicurezza, secondo un modello organizzativo risalente al 
1907 (351), il Prefetto ed il Questore; � inoltre Autorit� locale di pubblica sicurezza 
il funzionario distaccato o, dove questi manca, il Sindaco quale ufficiale 
di Governo. 

(351) Allora, peraltro, il Questore non era un funzionario di polizia, bens� un funzionario civile (inizialmente 
scelto dai ruoli della magistratura) ausiliario del Prefetto. In particolare il R.D. 30 settembre 
1847, n. 798, gli attribuiva un ruolo meramente esecutivo e privo di discrezionalit� rispetto all�organo sovraordinato, 
limitandosi a prevedere che nelle citt� capoluogo di divisione amministrativa questi affiancasse 
l�Intendente generale operando alle sue dirette dipendenze, al pari degli altri funzionari civili. 


Secondo parte della dottrina il personale dei Commissariati distaccati di 

P.S. rientrerebbe nell�ipotesi sub a), mentre i funzionari �dipendenti� dal Sindaco 
(recte, dall�Ente locale) non potrebbero comunque svolgere funzioni attinenti 
l�Amministrazione della P.S. (tranne gli appartenenti alla polizia locale, 
in determinate circostanze). 

Il terzo insieme, sub lettera c), comprende gli �ufficiali ed agenti di pubblica 
sicurezza sotto la direzione delle Autorit� centrali e provinciali di pubblica 
sicurezza�. 

Per comprendere la portata della norma, occorre porre alcune premesse. 

La legge 121/81, pur presentando elementi di novit� rispetto alla normativa 
previgente, sul punto che ci occupa mutua l�impianto organizzativo del 
TULPS del 1932 (che infatti non ha subito abrogazioni n� modifiche, con 
l�unica eccezione della sottrazione del Questore dalla dipendenza gerarchica 
nei confronti dei Prefetti, una volta ricondottolo a tutti gli effetti nel distinto 
ruolo dei funzionari di polizia). 

Ci� premesso, la lettera c) d� adito a perplessit� interpretative. 

La qualifica di �ufficiale o agente di P.S.� � data da speciali norme di 
legge, che la riservano ad alcuni soggetti (membri delle diverse Forze di polizia) 
non in ragione dell�appartenenza ad un�Amministrazione piuttosto che 
ad un�altra, ovvero allo status civile o militare, bens� in virt� delle funzioni 
e potest� concretamente esercitate. 

Ai sensi dell�art. 17 del Regio Decreto 31 agosto 1907, n. 690, �Sono agenti 
di pubblica sicurezza in servizio permanente i Carabinieri [reali] e le Guardie 
di citt� (352)�. Per il successivo art. 18 �Sono pure agenti di pubblica sicurezza 
le Guardie di finanza forestali, le Guardie carcerarie, nonch� le Guardie campestri, 
daziarie, boschive, ed altre dei comuni, costituite in forza di regolamenti, 
deliberati ed approvati nelle forme di legge, e riconosciute dal Prefetto�. 

Attualmente, la legge attribuisce la qualit� di ufficiale di P.S. agli appartenenti 
al ruolo dei commissari e dei dirigenti della Polizia di Stato ed agli ufficiali 
dei Carabinieri. Sono altres� sostituti ufficiali di P.S. i sostituti 
commissari e gli ispettori superiori della Polizia di Stato, i luogotenenti ed i 
marescialli aiutanti-SUPS dei Carabinieri. 

Sono invece considerati agenti di P.S. tutti gli altri appartenenti all�Arma 
dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, alla Guardia di Finanza, al Corpo forestale 
dello Stato (nei limitati casi in cui venga chiamato a concorrere ai servizi di ordine 
pubblico) ed ai Vigli del fuoco, nonch� alla Polizia penitenziaria in quanto 
organo deputato al mantenimento dell�ordine pubblico negli Istituti di pena. 

Altre categorie residuali ed eventuali sono indicate all�art. 5 del D.P.R. 

(352) Il R.D. 2 ottobre 1919, n. 1790 soppresse il Corpo delle Guardie di citt� ed istitu� in sua 
vece quello originalmente denominato Corpo delle Guardie per la pubblica sicurezza, da cui indirettamente 
deriva l�odierna Polizia di Stato. 


28 maggio 2001, n. 311, previo riconoscimento del Prefetto. 

Orbene, in base alla normativa vigente per rientrare nel gruppo sub c) 
dell�art. 3 legge 121/81 occorre avere attribuzioni di P.S. ed essere contestualmente 
sottoposto alla direzione di un�autorit� di P.S. (attualmente il Prefetto 
ed il Questore); il che si verifica (limitatamente al personale non appartenente 
alla Polizia di Stato che di volta in volta venga eccezionalmente messo a disposizione 
dell�Autorit� di P.S.) a seguito dell�adozione di un�ordinanza di 
servizio questorile ex art. 37 D.P.R. 782/85. 

Se manca anche uno solo dei due requisiti il soggetto non rientra nel 
gruppo in questione. 

Prendiamo in esame il caso di un Carabiniere che presti servizio al corpo 
di guardia del proprio Comando provinciale: in quanto Carabiniere, egli � 
agente di P.S., ma non essendo soggetto alla direzione n� del Prefetto, n� del 
Questore, n� del Sindaco non rientra nell�insieme sub c). 

Non solo. Lo stesso Carabiniere non rientra in alcuna delle categorie individuate 
dall�art. 3 anche quando agisce istituzionalmente di pattuglia per il 
controllo del territorio (oppure opera in una squadra antiterrorismo, antidroga, 
etc.) e dunque, formalmente, anche in tali circostanze non svolge funzioni proprie 
dell�Amministrazione della P.S.. 

Se per� un determinato giorno egli viene impiegato in un servizio allo 
stadio - purch� regolamentato con ordinanza del Questore (�sotto la direzione 
delle autorit� centrali e provinciali di pubblica sicurezza�, come precisa la 
norma in esame) - viene a soddisfare entrambi i requisiti e dunque rientra tra 
i soggetti che svolgono le predette funzioni. 

Analoga incertezza connota il ruolo del personale delle Forze armate diverse 
dall�Arma dei Carabinieri che - coerentemente alle linee-guida del-
l�Unione Europea in materia di sicurezza (cfr. retro) - viene impiegato a presidio 
di determinate aree (353) urbane ed extraurbane per dichiarate ragioni di ordine 
e sicurezza pubbliche, spesso in pattuglie miste con le Forze dell�ordine. 

Anche la lettera c) sembra quindi ricalcare, nella sostanza, il limite gi� 
evidenziato sub lett. a), in quanto non attribuisce rilevanza decisiva alle funzioni 
esercitate, bens� all�instaurarsi di un rapporto, per quanto provvisorio ed 

(353) Si pensi all�operazione �Vespri Siciliani� - durata sei anni, dal 25 luglio 1992 all�8 luglio 
1998, in appoggio alle Forze di polizia - indubitabilmente di ordine pubblico (e non di mero addestramento 
a pattugliamenti, come invece avvenuto per la coeva �Forza Paris� del luglio 1992 in Sardegna), 
ovvero alle pattuglie miste istituite in alcune realt� metropolitane dall�estate 2008 (cfr. gli artt. 7-bis del 

D.L. 92/2008; 2 del D.L. 151/2008; 24, comma 74, del D.L. 78/2009): a tal fine, ancor oggi circa 4.500 
militari dell�Esercito sono dispiegati nei maggiori centri urbani. Pi� di recente, si consideri la presenza 
dell�Esercito a presidio dei cantieri TAV della Val Susa ed il prossimo invio nella �Terra dei fuochi� in 
Calabria. Si veda altres�, in termini generali, l�art. 18 della legge 26 marzo 2001, n. 128, nel combinato 
disposto con l�art. 13 legge 121/81. Per una rassegna pi� puntuale, cfr. (peraltro critico) LETIZIA, Tra richieste 
di riforma e pulsioni di controriforma, in AA.VV. (a cura di CARRER), La Polizia di Stato a trent�anni 
dalla legge di riforma, Milano 2014, pp. 307 ss. 


occasionale, di para-dipendenza (�direzione�, cosa diversa dal coordinamento 

- cfr. retro) da determinati organi amministrativi. 

Deve quindi desumersi, da quanto sopra, che nel sistema individuato 
dal legislatore del 1981 la pi� gran parte degli organici di polizia - nella 
quotidiana attivit� di repressione dei reati oggetto di denuncia - formalmente 
non svolgerebbero funzioni di pubblica sicurezza. 

La decisione di riformare l�Amministrazione della Pubblica Sicurezza sul 
finire degli anni �70 prese le mosse da un lungo dibattito che si proponeva di 
assicurare una gestione efficiente del �sistema sicurezza� alla luce del mutato 
quadro istituzionale, riservando all�Autorit� politica (Ministro e Prefetto) le 
scelte di indirizzo, oltre alla disponibilit�, al coordinamento ed al controllo 
delle Forze sul campo, ed attribuendo invece a queste ultime la concreta esecuzione 
delle direttive a carattere generale. Nel precedente sistema, ad avviso 
degli interessati, la dipendenza gerarchica dei dirigenti delle Questure dai Prefetti 
non avrebbe assicurato una piena espressione delle capacit� di settore, 
determinando per contro un�impropria sovrapposizione tra esercizio di funzioni 
politiche e concreta attuazione delle stesse (354). 

L�obiettivo di una maggior razionalizzazione del sistema incorse per� in 
una duplice impropriet� di metodo: da un lato, la scelta di far confluire nel 
medesimo testo di legge materie tra loro eterogenee (per di pi� senza suddividerle 
in maniera rigorosa all�interno dell�articolato normativo); dall�altro, 
la mancata revisione dell�intera disciplina di settore (pur rappresentata nei lavori 
preparatori della legge (355)) cos� da superare il precedente modello organizzativo 
del TULPS (356). 

Mantenendo in larga parte invariata la normativa generale di P.S. (oggetto, 
tra l�altro, di strutturali censure dell�Alta Corte), con l�unica significativa eccezione 
di romperne l�equilibrio interno facendo venir meno il monopolio quale 
Autorit� di P.S. - del rappresentante del Governo, la mancata ridistribuzione 
delle competenze tra i soggetti deputati all�amministrazione della sicurezza 
sul territorio fa apparire incompiuto - se non incongruo - il sistema 
tracciato dalla legge 121/81. 

Quest�ultimo sconta un vizio di fondo, ovverosia l�aver tentato di innestare una riforma 
(che nelle intenzioni originarie avrebbe dovuto fondarsi sui principi dell�assoluta parit� delle 
Forze di polizia a competenza generale e del coordinamento delle stesse ad opera di un organo 

(354) In argomento, dell�epoca, cfr. LANZARA, Autogoverno della polizia; precedenti storici del-
l�autonomia; capacit� di auto amministrazione della polizia, Riv. Polizia 1958, pp. 433 ss.; ID., Il Prefetto 
� autorit� di p.s. di nome e non di fatto, in Riv. Polizia 1958, pp. 310 ss.; BONELLI, Organizzazione delle 
Forze di polizia, in Riv. Polizia 1966, pp. 358-359. 

(355) Su http://legislature.camera.it/_dati/leg08/lavori/schedela/trovaschedacamera.asp?pdl=895. 

(356) Che manteneva una coerenza logica nella misura in cui accentrava in capo ad un organo 
monocratico e politico (il Prefetto, proiezione territoriale dell�Autorit� di governo) il reale potere di governance 
dell�intera materia, accentramento che sembra invece escluso dalla legge 121/81. 


�terzo� di indirizzo, il cd. �Segretariato generale della pubblica sicurezza�, a composizione 
interforze e verosimilmente esterno al Ministero dell�Interno) nel solco tracciato dal TULPS, 
che si fondava su premesse ideologiche del tutto opposte. 

Una delle contraddizioni pi� rilevanti � data dalla figura del Questore, organo che alle 
ordinarie competenze operativo-logistiche di un dirigente apicale di polizia aggiunge delle 
inedite attribuzioni burocratico-politiche (357) �ereditate� dalla sua precedente posizione di 
funzionario civile di Prefettura: tali attribuzioni, invero, avrebbero logicamente dovuto venir 
meno a seguito della radicale separazione (sancita dalla legge 121/81) di tale carica dal rapporto 
di dipendenza col Prefetto, ma nonostante ci� sono state mantenute poich� previste da 
una norma di legge non incisa dalla riforma, ossia il TULPS (pi� altre disposizioni speciali, 
anche successive). 

Va peraltro evidenziato come - una volta �restituite� tali attribuzioni all�Amministrazione 
civile dell�Interno (i.e., alla Prefettura) - verrebbe automaticamente meno ogni obiettiva 
ragione di mantenere la qualifica (pur essa risalente al TULPS e priva di corrispondenti a livello 
internazionale) di Autorit� (tecnica) provinciale di P.S., seppur solo con funzioni di coordinamento 
(che, del resto, in base ai principi di diritto in precedenza enunciati a rigore dovrebbero 
competere solo ad un soggetto �terzo� rispetto agli organi esecutivi, quale appunto il 
Prefetto, unica vera �Autorit�� decentrata di P.S.). 

A ci� aggiungasi che a tali attribuzioni (si noti, del solo Questore come organo e non 
anche del Corpo di polizia che questi dirige) sono in in gran parte dovuti gli anomali carichi 
burocratici di Commissariati e Questure, che sottraggono a tali strutture - soprattutto nelle 
sedi minori - una gran parte della forza operativa. 

A ci� aggiungasi una serie di incertezze formali, che portano a confondere 
l�Amministrazione di P.S. (per il fatto che si articola in Prefetture, Questure, 
Commissariati, etc., mantenendo cio� l�articolazione antecedente il TULPS) 
con la struttura di una delle Forze di polizia. 

Incertezze che il legislatore talvolta ha addirittura amplificato, con l�utilizzo 
in modo promiscuo delle espressioni �Amministrazione della pubblica 
sicurezza� ed �ordinamento della Polizia di Stato�, quasi coincidessero: valga 
a tal pro l�esempio del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (�Sanzioni disciplinari 
per il personale dell�Amministrazione di Pubblica Sicurezza e regolamenta


(357) Si pensi, a titolo d�esempio, alle attribuzioni in materia di rilascio di permessi di soggiorno 

o di provvedimenti di respingimento, le convalide dei certificati comunali di espatrio dei minori, il rilascio 
delle licenze per il porto di determinati tipi di arma (gli altri essendo di competenza del Prefetto) 
ovvero per l�acquisto, la collezione o la fabbricazione di armi, la ricezione della denunzia di cessioni 
immobiliari, i controlli amministrativi e disciplinari sugli Istituti privati di vigilanza, l�autorizzazione 
al trasporto ed all�uso di gas tossici, il rilascio dei passaporti, la ricezione dai datori di lavoro privati 
della segnalazione di infortuni sul lavoro, nonch� di inizio attivit� per agenzie pubbliche di affari, di recupero 
crediti, pubblici incanti, pubbliche relazioni e per intermediazioni matrimoniali, etc. 

(357 bis) Quest�ultimo, invero, non qualificava �Autorit� tecnico/operative di P.S.� i Comandanti 
territoriali delle Forze di polizia, proprio perch� gli stessi - a differenza del Questore - non facevano 
parte dell�Amministrazione civile dell�Interno, di talch� non potevano configuarsi, formalmente, quali 
organi della struttura (territoriale) di governo; erano per� funzionalmente subordinati ad essa, tantՏ che 
il Prefetto, pur non potendo dar loro direttamente degli ordini, poteva pur sempre disporne, all�occorrenza, 
con ordinanza di necessit�. 


zione dei relativi procedimenti�, i cui artt. 28 e 30 chiariscono come ci si stia 
in realt� rivolgendo alla Polizia di Stato) ed ancor pi� il D.P.R. 28 ottobre 
1985, n. 782 (�Approvazione del regolamento di servizio dell�Amministrazione 
della Pubblica Sicurezza� ), che a dispetto del titolo si riferisce espressamente, 
in ciascun articolo, solo al personale della medesima Forza di polizia (358). 

I Dipartimenti (359) dei Ministeri sono articolazioni della struttura del 
Governo, i cui organi di vertice hanno soprattutto compiti di indirizzo generale: 
le strutture amministrative che vi dipendono (tra cui anche le Forze di polizia, 
facenti capo a distinti Dicasteri, essendo la comune dipendenza dal Viminale 
solo di tipo funzionale), sono invece entit� esecutive che, come tali, non partecipano 
delle funzioni di indirizzo politico, cui contribuisce il vertice del Dipartimento 
nell�esercizio delle sue attribuzioni ausiliarie. 

Diversamente da quanto avviene negli altri Paesi europei (o, per meglio 
dire, negli ordinamenti improntati ai principi giuridici dell�OSCE), la legge di 
riforma dell�ordinamento della pubblica sicurezza, operando sul punto un 
semplice rinvio all�impianto istituzionale del TULPS, considera l�Amministrazione 
della Pubblica Sicurezza - piuttosto che una struttura connotata dalle 
funzioni concretamente esercitate - una semplice articolazione territoriale 
in parte del Ministero dell�Interno ed in parte della Polizia di Stato, amministrativamente 
suddivisa in Prefetture e Commissariati di polizia. 

Il mutato assetto istituzionale dello Stato e delle Autonomie locali avrebbe 
peraltro potuto suggerire una soluzione �integrata� (tale da permettere ampie 
forme di decentramento, sul modello delle Forze di prossimit� - cfr. infra), 
fondata su requisiti di carattere funzionale ed unificata, a livello centrale, da 
una superiore struttura tecnico-operativa interforze (sul modello, ad esempio, 
delle Agenzie di Sicurezza introdotte dalla legge 3 agosto 2007, n. 124), distinta 
ed indifferente all�ordinamento dei soggetti chiamati all�attuazione delle 
politiche di sicurezza ivi definite. 

Va comunque evidenziato che il legislatore, nei successivi (360) interventi 
in materia, sembra aver impresso una svolta verso i modelli amministrativi di 
tipo integrato (o interforze), tentando di ricondurre all�Autorit� di indirizzo 
politico (rappresentata dal Prefetto, a livello provinciale) le principali competenze 
di settore, oltre alla concreta disponibilit� delle Forze sul campo: in tal 
senso va letta la legge 30 dicembre 1991 n. 410 (istitutiva della DIA), per proseguire 
con il D.L. 23 ottobre 1996, n. 554 (il cui art. 2 introduce il comma 2bis 
nella legge 15 gennaio 1991, n. 16 (361)), oltre alle progressive aperture 
nell�organizzazione della stessa Direzione Centrale della Polizia Criminale 

(358) A tali esempi va poi aggiunto il dettato dell�art. 31 legge 121/81, in seguito sostituito dall�art. 
2 del D.P.R. 208/2001. 

(359) Suddivisione organizzativa adesso imposta, in termini generali, dal D.lgs 300/1999. 

(360) A partire dal D.P.R. 11 giugno 1984 n. 423, recante il Regolamento della Scuola di perfezionamento 
per le Forze di polizia (in particolare gli artt. 13 ss.). 


(ovverosia, la struttura portante del Dipartimento di P.S.) ed alla gi� richiamata 
riforma dei Servizi di Sicurezza dello Stato. 

Sotto tale profilo l�impianto organizzativo di questi ultimi appare - anche 
a seguito della novella dell�agosto 2012 (362) - pi� coerente con i principi generali 
di diritto che informano l�ordinamento costituzionale, rispetto a quello, 
complessivo, della legge 121 e del TULPS: vi si distinguono infatti, con estrema 
precisione, tre livelli organizzativi e funzionali, ovverosia quello politico di 
indirizzo (nella specie, il Presidente del Consiglio dei Ministri, cui si affiancano 
il CISR ed il Sottosegretario di Stato delegato), quello di coordinamento 
tecnico/amministrativo (posto in essere dal Dipartimento interforze di riferimento, 
qui il DIS) ed infine quello operativo, dove opera concretamente il 
personale delle due Agenzie. 

Tra il Dipartimento e gli organi esecutivi (AISI ed AISE) non sussiste alcun 
rapporto gerarchico ma, correttamente, solo una dipendenza funzionale, laddove 
la gerarchia opera tra l�Autorit� politica di indirizzo (il Ministro) e l�organo 
ausiliario (il Dipartimento). 

L�impostazione di fondo della riforma del 2007 appare inoltre pi� rispondente 
(rispetto al precedente della legge 121/81, sebbene ancora ampiamente 
incentrato sulla figura �terza� del Prefetto) ai presupposti della funzione di 
coordinamento come in precedenza individuati: � infatti evidente che solo un 
organo terzo ed imparziale rispetto alle �parti in causa� pu� effettivamente co


(361) Istitutiva della �Direzione Centrale per i Servizi Antidroga�. Il D.L. 554/96 introduce il 
principio per cui �alla Direzione Centrale � preposto, secondo un criterio di rotazione, con i rapporti 
di dipendenza operanti nell�ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza in ragione della funzione 
esercitata, un dirigente generale della Polizia di Stato, un generale di divisione dell�Arma dei Carabinieri 
o un generale di divisione della Guardia di Finanza, che abbia maturato specifica esperienza nel 
settore�. Il testo originario della legge 16/1991 � pubblicato sulla GU n. 16 del 19 gennaio 1991. In argomento, 
cfr. anche il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il Decreto Interministeriale (Interno/Tesoro) del 15 
giugno 1991 e la legge 23 dicembre 1996 n. 653. Sotto tali profili, peraltro, la normativa vigente anteriormente 
al varo della legge 121/81 appariva forse ancor pi� rispondente al moderno approccio 
�integrato�, comՏ vero che l�art. 7 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, che poneva direttamente alle 
dipendenze del Ministro - evidenziandone le funzioni di coordinamento e di indirizzo - l�allora �Ufficio 
di direzione e di coordinamento dell�attivit� di polizia volta alla prevenzione e alla repressione del traffico 
illecito delle sostanze stupefacenti o psicotrope�, stabiliva come lo stesso fosse composto da �funzionari 
o ufficiali designati dalla Direzione generale della pubblica sicurezza, da ufficiali designati dal 
Comando generale della Guardia di Finanza, dal Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, nonch� 
da funzionari designati dal Ministro per la sanit�, dal Ministro per la grazia e giustizia e dal Ministro 
per gli affari esteri�. 

(362) Con l�eccezione, probabilmente, dei poteri di gestione unitaria accentrata (in capo al DIS, 
Dipartimento che provvede al coordinamento delle Agenzie) degli approvvigionamenti e dei servizi logistici 
comuni, adesso previsti dalla nuova lett. n-bis) dell�art. 4 comma terzo (�ferme restando le competenze 
operative dell�AISE e dell�AISI� ), ipotesi che, se pu� essere funzionale per i due organismi di 
cui si tratta, difficilmente per� potrebbe essere estesa anche a strutture complesse ed articolate come le 
Forze di polizia nazionali, dotate di specialit� diverse (tanto pi� ove si consideri che una di esse - coerentemente 
con il �modello europeo� di sicurezza - svolge anche compiti militari di Forza armata). Il 
testo della riforma � contenuto nella legge 7 agosto 2012 n. 133. 


ordinarne l�azione in modo trasparente e responsabile, secondo parametri di 
economicit� ed efficienza, fugando cos� il rischio di perseguire interessi di 
parte. Ci� vale innanzitutto per gli organi decisionali di vertice (svolgenti potest� 
ausiliarie ed abilitati a formare e manifestare all�esterno la volont� del-
l�Ente, venendo con ci� ad incidere sulle scelte governative di indirizzo 
politico), in posizione di terziet� rispetto ai soggetti chiamati - in esecuzione 
di tali indirizzi - ad operare sul campo, soggetti che operano in posizione reciproca 
di assoluta parit�, autonomia e dignit� istituzionale. 

In questi termini, taluni Autori hanno letto nella riforma �ibrida� del Dipartimento 
di P.S. (in seno al Ministero dell�Interno) un�occasione persa rispetto 
all�iniziale progetto (363) di creare un Corpo civile di polizia in 
posizione paritetica all�Arma dei Carabinieri ed alla Guardia di Finanza, accanto 
all�istituzione di un Segretario Generale delle Forze di polizia in veste 
di organo terzo di coordinamento (364). 

Complessivamente, pu� concordarsi con la dottrina che qualifica l�Amministrazione 
della P.S. come una specie di �contenitore� le cui dimensioni 
non sono definibili a priori, con intuibili ricadute in materia di programmazione 
ed efficienza: ci� accade, in particolar modo, non tanto per i gruppi sub 
a) e b) dell�art. 3 legge 121/81, ma soprattutto per l�insieme sub c): in alcuni 
momenti essa � composta da un numero notevolissimo di soggetti (ad esempio 
durante una giornata elettorale), per poi nuovamente decrescere. 

Ha dunque dimensioni variabili nel tempo, ed appare altres� di complessa 
collocazione all�interno dell�ordinamento vigente. 

Alcuni soggetti si trovano al centro, presso il Dipartimento della P.S., 
altri stanno in periferia (come i Sindaci) altri ancora (la maggioranza degli organici 
di polizia) solo occasionalmente ne esercitano le funzioni, pur appartenendo, 
in larga parte, ad Istituzioni cui la legge attribuisce competenze generali 
di polizia ed eventualmente impone (come nel caso dei Carabinieri) lo svolgimento 
permanente delle funzioni di pubblica sicurezza (365). 

Esiste, allo stato attuale, una parte strutturata in uffici (Dipartimento ed 
altri uffici e reparti sub art. 3 lett. a)), una parte organizzata nel sistema delle 
Autorit� provinciali e locali di P.S. (Prefetture, Questure e Commissariati) ed 

(363) Nell�ottica dei suoi proponenti, il Corpo civile di polizia sarebbe nato dalla riforma e dalla 
smilitarizzazione del Corpo delle Guardie di P.S., quale organismo civile dello Stato incardinato in 
un�autonoma Direzione generale del Ministero dell�Interno, diretto dal Capo della Polizia ed articolato 
sul territorio in Questure e Commissariati. In argomento, cfr. MOSCA, Profili strutturali del nuovo 
ordinamento della Polizia italiana, Latina 1981. 

(364) Figura che, nell�intendimento di alcuni promotori, avrebbe rappresentato una sorta di corrispondente 
- relativamente al settore della sicurezza �interna� - del Segretario Generale della difesa 
(attualmente disciplinato dagli artt. 41 e 42 del D.lgs. 66/2010). 

(365) Per i Carabinieri, ai sensi dell�art. 155 del D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66; per le Guardie di 
Finanza (prive peraltro di competenze generali al di fuori della materia economica e finanziaria), in base 
all�art. 6 del D.lgs. 19 marzo 2001, n. 68. 


una parte variabile che rende l�Amministrazione della P.S. simile ad una nebulosa, 
dai tratti talvolta indistinti. 

B.2) IL DIPARTIMENTO DELLA PUBBLICA SICUREZZA. 

Come gi� anticipato, l�Amministrazione della Pubblica Sicurezza viene 
talvolta confusa con l�omonimo Dipartimento, se non addirittura con un vero 
e proprio Corpo di polizia. In realt�, in entrambi i casi si tratta di organismi 
diversi ma non estranei l�uno all�altro, in quanto legati da un particolare rapporto 
organizzativo. 

L�art. 4 della legge 121 � dedicato al Dipartimento di Pubblica Sicurezza, 
il pi� importante tra quelli in cui � articolato il Ministero dell�Interno. La 
norma, in particolare, cos� dispone: 

�Nell�ambito dell�Amministrazione della pubblica sicurezza � istituito il Dipartimento 
della pubblica sicurezza che provvede, secondo le direttive e gli ordini 
del Ministro dell�Interno: 1) all�attuazione della politica dell'ordine e della sicurezza 
pubblica; 2) al coordinamento tecnico-operativo delle Forze di polizia; 3) 
alla direzione e amministrazione della Polizia di Stato; 4) alla direzione e gestione 
dei supporti tecnici, anche per le esigenze generali del Ministero dell�Interno�. 

A capo del Dipartimento � posto un Prefetto - generalmente uno dei 17 
provenienti dal ruolo speciale dei Questori - che assume il contestuale incarico 
di Capo della Polizia di Stato (art. 5 comma secondo). 

L�organizzazione del Dipartimento � prevista al successivo art. 5: �Il Dipartimento 
della pubblica sicurezza si articola nei seguenti uffici e direzioni 
centrali: a) ufficio per il coordinamento e la pianificazione, di cui all'articolo 
6; b) ufficio centrale ispettivo; c) direzione centrale della polizia criminale; 
d) direzione centrale per gli affari generali; e) direzione centrale della polizia 
di prevenzione; f) direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, di 
frontiera e postale; g) direzione centrale del personale; h) direzione centrale 
per gli istituti di istruzione; i) direzione centrale dei servizi tecnico-logistici e 
della gestione patrimoniale; l) direzione centrale per i servizi di ragioneria; 
l-bis) direzione generale di sanit�, cui � preposto, il dirigente generale medico 
del ruolo professionale dei sanitari della Polizia di Stato�. 

A questi va recentemente aggiunta la DIA -Direzione Investigativa Antimafia, 
a composizione interforze, istituita con legge 30 dicembre 1991 n. 410. 

Dal combinato disposto delle due norme emerge nuovamente la sovrapposizione 
tra le articolazioni del Dipartimento in quanto organo ministeriale 
(una struttura che si basa sulla concreta gestione interforze della pubblica sicurezza, 
al di l� dei limiti casistici dell�art. 3) e quelle che invece attengono 
all�organizzazione interna della sola Polizia di Stato: il che, oltre a generare 
confusione nell�interprete, appare poco razionale sia in termini di ottimizzazione 
delle risorse, sia ai fini del necessario coordinamento sul territorio degli 
operatori della sicurezza. 


Gi� si � accennato, nella prima parte di questo lavoro, alle perplessit� di 
parte della dottrina circa la rispondenza del sistema vigente alle sollecitazioni 
contenute nella raccomandazione del Consiglio d�Europa n. 10/2001/REC (cd. 
�Codice Etico delle Forze di polizia�), il cui art. 13 esorta ad attribuire la responsabilit� 
delle scelte di indirizzo in materia di sicurezza ai soli organi di 
indirizzo politico, quali Autorit� �civili� dello Stato, sostanzialmente estromettendo 
da tale incombenza le Forze di polizia in ragione del loro specifico 
e distinto ruolo esecutivo e gestionale. 

Distinzione che - gi� recepita nelle linee-guida dell�OSCE (cfr. retro) - appartiene 
in larga parte alle tradizioni costituzionali comuni dei Paesi membri dell�UE. 

Il principio di netta separazione della funzione di indirizzo politico da 
quella amministrativa ha trovato una prima sanzione formale, in Italia, nell�art. 
3 del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80; contemporaneamente, attenta dottrina (366) 
ha evidenziato alcuni aspetti della legge 121 che di fatto porterebbero ad attribuire 
al vertice del Dipartimento della Pubblica Sicurezza un ruolo (chiaramente 
politico) di seconda Autorit� nazionale di P.S., a latere (se non 
prevalente, all�atto pratico) del Ministro dell�Interno. Una proiezione a parti 
invertite di quanto si verifica a livello provinciale, ivi dovuta alla professionalit� 
della carriera prefettizia, rispetto all�onorariet� delle cariche governative. 

In primo luogo, la citata lett. c) dell�art. 3 parla (al plurale) di �� direzione 
delle Autorit� centrali e provinciali�; analogamente, l�art. 43, comma 
ventiquattresimo parla di �� uffici dipendenti dalle Autorit� nazionali e provinciali 
di P.S.�. 

A ci� aggiungasi il fatto che il suddetto organo � definito dalla legge �Direttore 
generale della pubblica sicurezza� e non piuttosto �del Dipartimento 
della Pubblica Sicurezza�, per tale preposto alla direzione generale di tutte le 
attivit� concernenti la suddetta materia: in virt� di ci� sarebbe logicamente 
destinato ad esercitare un potere di supremazia su tutte le Autorit� provinciali 
di P.S., compreso il Prefetto, nonostante questi sia diretta espressione fiduciaria 
di un Potere indubbiamente sovraordinato al suddetto Direttore, quale � quello 
politico del Governo. 

Non si dimentichi, sotto questo aspetto, che a rigore allo stesso Ministro 
dell�Interno � inibita - in materia - qualsiasi concreta attribuzione di ordine o 
direzione, potendo agire solo attraverso l�Amministrazione di cui si � detto. 

L�art. 4 della legge 121/81 stabilisce che �nell�ambito dell�Amministrazione 
di Pubblica Sicurezza � istituito il Dipartimento di Pubblica Sicurezza che provvede 
secondo le direttive e gli ordini del Ministro dell�Interno�. La norma va letta 
in connessione all�art. 1 comma secondo, in base al quale �il Ministro dell�Interno 
adotta i provvedimenti per la tutela dell�ordine e della sicurezza pubblica�. 

(366) MOSCA, Profili strutturali del nuovo ordinamento della Polizia italiana, cit., p. 70. 


Il Ministro dell�Interno, nell�ambito delle sue attribuzioni, pu� emanare 
direttive ed ordini; ai sensi dell�art. 2, comunque, �espleta i propri compiti in 
materia di ordine e sicurezza pubblica avvalendosi dell�Amministrazione di 
pubblica sicurezza�. In quanto articolazione dell�Amministrazione della pubblica 
sicurezza, il Dipartimento non ha competenze (recte, potest�) proprie, 
ma provvede secondo le direttive del Ministro. 

Sempre l�art. 4 elenca le competenze del Dipartimento: 

1) ai sensi del numero 1, provvede all�attuazione della politica dell�ordine 
e della sicurezza pubblica, ossia a mettere in pratica le decisioni, in materia, del-
l�Autorit� ministeriale. Se le linee generali della politica dell�ordine e della sicurezza 
pubblica sono date dal Consiglio dei Ministri, il Ministro dell�Interno, quale 
Autorit� Nazionale di P.S. e responsabile della sicurezza pubblica, adotta i provvedimenti 
per indicare le specifiche e concrete scelte istituzionali in materia. 

Nel sistema previgente la legge 121/81, il Ministro dell�Interno non era 
Autorit� nazionale di P.S., e come tale non aveva formalmente alcuna capacit� 
provvedimentale (riservata all�allora Direzione Generale di P.S.). 

2) Al numero 2 si parla invece di coordinamento tecnico-operativo delle 
Forze di polizia. Il coordinamento cui � deputato il Dipartimento � diverso da 
quello che gi� compete al Ministro dell�Interno, assumendo carattere tecnico 
operativo: il Dipartimento, dunque, non stabilisce la politica dell�ordine e della 
sicurezza pubblica, n� coordina i compiti o le attivit� delle Forze di polizia. Il 
coordinamento � un�attribuzione nuova rispetto al sistema previgente, che non 
comporta compiti di direzione (il che spiega, secondo alcuni Autori, la decisione 
legislativa - ad evitare equivoci - di mutare la precedente denominazione 
di �Direzione Generale� in quella pi� neutra di �Dipartimento�). I compiti 
della struttura sono indicati al successivo art. 6. 

3) In aggiunta alle precedenti funzioni �super partes�, il numero 3 gli 
attribuisce pure la direzione ed amministrazione della Polizia di Stato, mutuata 
dalla precedente Direzione Generale. 

4) Infine, al numero 4, si indicano la direzione e gestione dei supporti tecnici, 
anche per le esigenze del Ministero dell�Interno. Formalizzata per la prima 
volta (in precedenza era prevista solamente in via di fatto), non attiene al coordinamento, 
bens� - come la precedente - al livello di direzione e gestione. 

La funzione di coordinamento tecnico-operativo di diverse Forze di polizia 
(che mantengono - su un piano di parit� istituzionale - i rispettivi ordinamenti 
e dipendenze) � una tipica funzione degli Enti cd. �regolatori� (nel cui 
ambito rientrano Agenzie specializzate, Authorities pubbliche, etc.), necessariamente 
neutrali -e non semplicemente imparziali -rispetto ai soggetti coordinati 
(o funzionalmente diretti). Sebbene di �neutralit�� non sia possibile 
parlare, a legislazione vigente, secondo alcuni Autori la legge 121 assicurerebbe 
comunque un�adeguata separazione dei ruoli - pur con le sovrapposizioni 
di cui si � in precedenza detto - nel distinguere formalmente gli uffici 


del Dipartimento che si occupano dell�amministrazione e direzione del personale 
e delle strutture della Polizia di Stato. 

B.3) LE AUTORIT� PROVINCIALI DI PUBBLICA SICUREZZA. 

Il rapporto tra le Autorit� di pubblica sicurezza rappresenta uno dei punti 
nevralgici della legge 121/81, che essendo stata promulgata �a TULPS invariato� 
ha finito col dar vita, nel corso del tempo, ad un singolare �sistema binario 
incrociato� recante serie criticit�. 

Per chiarire la questione, di rado affrontata negli studi di settore, occorre 
porre alcune premesse di carattere strettamente giuridico. 

L�art. 3 del D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 - norma che per la prima volta 

(367) ordinava la dirigenza dello Stato secondo qualifiche e funzioni proprie 

-attribuiva ai Ministri una serie di poteri tipici del rapporto gerarchico, quale 
quello di �annullamento, revoca e riforma di ogni atto adottato da dirigenti 
entro il termine di quaranta giorni dall�adozione; revoca o modifica, per sopravvenute 
ragioni di pubblico interesse, degli atti dirigenziali aventi ad oggetto 
concessioni di durata pluriennale o rinnovabili o prorogabili; decisione 
dei ricorsi gerarchici sugli atti dei dirigenti; riserva in taluni casi�. La regola 
aveva portata generale e come tale poteva essere derogata solo da disposizioni 
di legge a carattere speciale: tra queste vi era indubbiamente la normativa disciplinante 
l�ordinamento della carriera prefettizia, che ancor oggi prevede 

(368) la possibilit� per il Ministro dell�Interno di esercitare una serie di ben 
pi� penetranti poteri gerarchici nei confronti degli atti adottati dal Prefetto, 
cui si aggiunge un distinto rapporto di dipendenza funzionale con i Ministri 
di volta in volta competenti per materia di intervento. 

In occasione della riforma dell�ordinamento di P.S. - intervenuta nella vigenza 
del predetto D.P.R. 748/72 - il legislatore, a differenza di quanto previsto 
per i Prefetti, non attribu� al Ministro dell�Interno alcuno specifico potere di 
carattere gerarchico nei confronti dei Questori e dei funzionari di polizia, limitandosi 
a parlare di �responsabilit��, �alta direzione�, �coordinamento� 
e �direttive� (artt. 2, 3 e 4): significativamente, del resto, l�unica norma nella 
quale si parla (peraltro senza una precisa contestualizzazione) di �ordini� 
dell�Autorit� ministeriale - l�art. 4 comma primo - indica genericamente quale 
destinatario di essi il �Dipartimento della P.S.� e non anche i singoli funzionari 
che ne fan parte, n� il suo vertice. 

Semplicemente l�art. 65 venne a precisare - stante l�allora vigenza, come 
gi� detto, del D.P.R. 748/72 - che �Gli appartenenti ai ruoli dell�Amministra


(367) Nella specie, il legislatore definiva i dirigenti �organi con funzioni limitate�. 

(368) Si pensi, a tacer d�altro, all�art. 2 comma secondo del TULPS, tuttora in vigore, che attribuisce 
al Ministro dell�Interno la potest� di decidere il ricorso gerarchico contro i provvedimenti adottati dal 
Prefetto �per la tutela dell�ordine pubblico e della sicurezza pubblica�. Il principio trova conferma nel 
successivo art. 6. 


zione della pubblica sicurezza hanno [generici - ndr] doveri di subordinazione 
gerarchica nei confronti: a) del Ministro dell�Interno; b) dei Sottosegretari di 
Stato per l�Interno, quando esercitano, per delega del Ministro, attribuzioni 
in materia di pubblica sicurezza; c) del Capo della polizia-Direttore generale 
della pubblica sicurezza. Restano salvi i doveri di subordinazione funzionali 
degli appartenenti all�Amministrazione della pubblica sicurezza verso il Prefetto 
e, nei casi previsti dalla legge, verso le altre Autorit� dello Stato�. A rigore, 
dunque, la legge 121 formalmente sembrava estendere a tutto il personale 
dell�Amministrazione di P.S. il vincolo gerarchico che il D.P.R. 748/72 prevedeva 
per i soli dirigenti, ma a differenza di quest�ultimo non chiariva - e qui 
sta il punto - in quali forme il Ministro avrebbe potuto esercitarlo. 

Per tali ragioni il valore dell�art. 65 era prettamente simbolico, a ribadire 
cio� che il nuovo assetto dell�Amministrazione della pubblica sicurezza non 
aveva assunto caratteri autoreferenziali, nonostante il venir meno della subordinazione 
gerarchica ai Prefetti, poich� i suoi vertici dipendevano ancora fattivamente 
dall�Autorit� di governo (la cd. �Civil Authority�). 

Questo stato di cose sub� per� un�alterazione nel momento in cui, anche 
sotto la spinta del diritto comunitario, il legislatore nazionale inizi� a distinguere 
sempre pi� nettamente le funzioni di indirizzo politico da quelle dirigenziali 
di gestione, quale corollario del principio costituzionale di buona 
amministrazione ex art. 97 Cost. (369): l�autonomia dirigenziale fu in un primo 
momento prevista per le sole Amministrazioni non statali (con legge 3 aprile 
1990, n. 142), ma di l� a poco divenne regola generale del diritto amministrativo 
con il D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (cd. �prima privatizzazione� del pubblico 
impiego) e soprattutto con il D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (cui seguir� il 
D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, attualmente in vigore). 

Venuta meno la maggior parte delle disposizioni del D.P.R. 748/72 per incompatibilit� 
(370) - da ultimo - con quelle del D.lgs. 165/01 (ai sensi dell�art. 

(369) La dottrina non ha mancato di evidenziare alcune contraddizioni insite nella stessa Carta 
Costituzionale riguardo al ruolo gerarchico o meno del Ministro, in primis tra gli artt. 95 e 97, laddove 
il primo afferma che �i Ministri sono responsabili � individualmente degli atti dei propri dicasteri�, 
con ci� apparentemente optando per un ordinamento amministrativo statale accentrato e gerarchizzato, 
nel quale il Ministro tiene sotto controllo l�azione burocratica del proprio dicastero. Per contro l�art. 
97, nel disporre che �nell�ordinamento dei pubblici uffici sono determinate le sfere di competenza, le 
attribuzioni e le responsabilit� proprie dei funzionari�, sembrerebbe prevedere una distinzione tra il 
momento della scelta politica e quello della sua attuazione amministrativa, demandata a funzionari autonomi 
e responsabili del proprio agire. In questi termini, COLAPIETRO, Governo e amministrazione (I). 
La dirigenza pubblica tra imparzialit� e indirizzo politico, Torino 2004, pp. 50-51. In argomento si veda 
anche il contributo di DAMIANO, La dirigenza pubblica tra politica e amministrazione, Napoli 2008 (su 
http://www.fedoa.unina.it/3447/1/Damiano_Antonio.pdf). 

(370) Nel senso dell�immediata abrogazione implicita (ex art. 15 disp. prel. cc. - almeno fin dall�entrata 
in vigore del D.lgs. 80/1998 - per l�evidente incompatibilit� tra i due sistemi) sono la dottrina prevalente e 
la giurisprudenza. Sul punto, cfr. D�ORTA, Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilit�, in 
AA.VV. (a cura di CARINCI), Il lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche, Milano 1995, p. 229. 


72, comma 1 lett. �b� di quest�ultimo), vennero correlativamente meno gli specifici 
poteri sino a quel momento riconosciuti al Ministro anche nei confronti 
dei vertici del Dipartimento di P.S.: in effetti l�art. 3 del D.lgs. 30 marzo 2001 

n. 165 fa s� salve eventuali disposizioni speciali dettate per determinate categorie 
di pubblici funzionari, tra le quali �le Forze di polizia di Stato, il personale 
della carriera � prefettizia�, ma tale eccezione attualmente permane, in 
concreto, solo per i Prefetti (in base alle norme speciali che li riguardano) e 
non anche per il restante personale dell�Amministrazione di P.S., dal momento 
che - come gi� evidenziato - l�art. 65 della legge 121/81 in realt� non attribuisce, 
nei riguardi di quest�ultimo, alcun potere specifico e concreto al Ministro. 

Una sintesi della materia aiuter� a comprendere la questione. 

Nell�ordinamento vigente, l�Autorit� di pubblica sicurezza �, ai sensi dell'art. 1 del R.D. 
18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), un�entit� deputata: 
�al mantenimento dell�ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumit� e 
alla tutela della propriet�; cura l'osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali 
dello Stato, delle province e dei comuni, nonch� delle ordinanze delle autorit�; presta soccorso 
nel caso di pubblici e privati infortuni; � per mezzo dei suoi ufficiali, e a richiesta delle parti, 
provvede alla bonaria composizione dei dissidi privati�. Ha dunque il compito di garantire 
le condizioni di pace sociale, prevenendo i fattori che potenzialmente la minacciano ed eliminando 
gli stati di turbativa gi� in atto. 

L�Autorit� di pubblica sicurezza � una funzione di governo, che si articola a livello 
nazionale, provinciale e locale. 

Le attribuzioni dell�Autorit� nazionale di pubblica sicurezza sono attualmente esercitate 
dal Ministro dell�Interno (371), al quale l�art. 1 della legge 1� aprile 1981, n. 121 ha attribuito 
la responsabilit� della tutela dell�ordine e della sicurezza pubblica. Non pu� per� esercitarle 
autonomamente ed a propria discrezione, ma deve farlo per il tramite del Dipartimento della 
Pubblica Sicurezza, articolazione del proprio Ministero. 

A capo di tale Dipartimento vi � un organo individuale - il Direttore - che formalmente 
non � qualificato dalla legge come Autorit� (nazionale) di P.S., ma che di fatto, in ragione del 
vincolo sopra evidenziato, ha il reale monopolio della materia. Un monopolio accentuato dalla 
circostanza che per tale organo - unico nell�ordinamento nazionale e probabilmente europeo non 
vale il principio generale della separazione tra le funzioni di indirizzo e quelle esecutive. 

La stessa persona fisica viene infatti a ricoprire, contemporaneamente e con pienezza di 
poteri (372), sia le funzioni di capo di una singola Forza di polizia (avente cio� attribuzioni 
esecutive, essendo chiamato con altri a dare attuazione alle linee di indirizzo formate in sede 
governativa), sia quelle di Capo del Dipartimento che tale indirizzo implementa e coordina (id 
est, un organo ausiliario del Ministro e come tale partecipe della predetta attivit� di indirizzo). 
Tale compenetrazione di funzioni finisce quindi per attribuirgli - contemporaneamente (e paradossalmente) 
- il ruolo sia di controllore che di controllato, nel medesimo contesto operativo. 

Compenetrazione sottolineata dall�ulteriore circostanza che, in caso di impedimento, il 
Direttore della P.S. viene sostituito non da uno qualsiasi dei suoi tre vice-capi (che possono 

(371) Laddove altri ordinamenti le attribuiscono invece al Capo del Governo, attesa la sua naturale 
funzione di organo di coordinamento politico-amministrativo. 


anche provenire dalla carriera civile prefettizia), ma da quello delegato a dirigere la Direzione 
centrale della polizia criminale, che per legge deve provenire dalla carriera della Polizia di Stato. 

Ai sensi del R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l�esecuzione del TULPS) l�Autorit� 
di P.S. � poi anche �provinciale e locale�: in particolare, le attribuzioni dell�Autorit� 
provinciale di pubblica sicurezza sono esercitate dal Prefetto e dal Questore (quest�ultimo solamente 
sotto il profilo operativo): il Prefetto dipende gerarchicamente dal Ministro dell�Interno, 
in via diretta, mentre il Questore dipende funzionalmente dal Prefetto (quale autorit� di 
pubblica sicurezza, alla pari di tutte le altre Forze di polizia operanti sulla provincia) e gerarchicamente 
dal Capo della polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza. 

La situazione che ne risulta d� vita al singolare (ed in parte anomalo) 
schema di rapporti istituzionali che in precedenza � stato definito �binario/incrociato�, 
per le ragioni che seguono: come anticipato, il Prefetto dipende gerarchicamente 
dal Ministro dell�Interno, in via diretta, mentre il Questore (che 
non ha un�analoga dipendenza dal Ministro) dipende solo funzionalmente dal 
Prefetto (quale Autorit� �generale� di pubblica sicurezza) e gerarchicamente 
dal Capo della Polizia. Quest�ultimo, per�, contestualmente � anche, a sua volta, 
Direttore Generale della Pubblica Sicurezza e, se da un lato la sua dipendenza 
gerarchica dal Ministro � ormai solo nominale (sia come Capo della Polizia di 
Stato che come Capo del Dipartimento), dall�altra - pur essendo un organo amministrativo, 
per quanto di grado apicale - finisce per essere funzionalmente 

(373 ) sovraordinato (in quanto, seppur non formalmente �Autorit��, pur sem


(372) Entrambi i ruoli sono caratterizzati da piena effettivit� di poteri: da tale organo-persona fisica 
dipendono infatti, direttamente, la Direzione centrale dell�immigrazione e della polizia delle frontiere, la 
Direzione centrale per le risorse umane, la Direzione centrale di sanit�, la Direzione centrale per gli istituti 
di istruzione, la Direzione centrale dei servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale, la Direzione 
centrale per i servizi di ragioneria, l�Ufficio centrale Interforze per la sicurezza personale, la 
Scuola di perfezionamento per le Forze di polizia e la Scuola superiore di polizia; indirettamente (per il 
tramite cio� di un vicedirettore generale - Direttore centrale della polizia criminale), la Direzione centrale 
della polizia criminale, l�Ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle Forze di polizia, l�Ufficio 
centrale ispettivo, la Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, la Direzione centrale per i servizi 
antidroga, la Direzione investigativa antimafia, la Direzione centrale per gli affari generali della Polizia 
di Stato, la Direzione centrale della polizia di prevenzione e la Direzione centrale per la polizia 
stradale, ferroviaria, delle comunicazione e per i reparti speciali della Polizia di Stato. 

(373) Secondo DI RAIMONDO (Il sistema della pubblica sicurezza, Padova 1984, p. 234) non si potrebbe 
parlare di un rapporto di sovraordinazione (gerarchica) tra il Direttore generale della pubblica sicurezza 
(nonch� Capo della Polizia di Stato) e le Autorit� provinciali e locali di P.S., dal momento che 
l�art. 5 della legge 121/81, pur ponendo il primo al vertice dell�Amministrazione di P.S., significativamente 
non gli attribuisce formalmente la qualifica di Autorit� di pubblica sicurezza. Tale ricostruzione, 
motivata dall�esigenza di sottrarre i Prefetti ad un�anomala inversione dei ruoli (appunto quali subordinati 

- all�atto pratico - dell�organo di vertice della Polizia), non appare del tutto convincente, poich� finisce 
per collegare l�esistenza o meno di un rapporto gerarchico (seppur circoscritto a specifici ambiti delle 
competenze prefettizie) ad un semplice dato nominalistico anzich� - come si conviene - all�effettivit� 
dei poteri e delle funzioni svolte. Inoltre sembra dimenticare che il Questore - anch�egli Autorit� provinciale 
di P.S. - indubbiamente dipende, gerarchicamente, dal proprio organo apicale, che attualmente coincide 
anche con il suddetto Direttore generale. Sostiene la tesi della mera relazione funzionale DE PAOLA 
(Il ruolo del Prefetto nel sistema della sicurezza pubblica, cit., p. 43), in forza della quale �il Dipartimento 
si pone come la sede in cui vengono definiti, in conformit� all�indirizzo politico, i diversi piani generali 


pre �Direttore della Pubblica Sicurezza� a livello nazionale) proprio al Prefetto 
(quale Autorit� �periferica� di P.S.), nonostante questi sia un organo di diretta 
emanazione del potere politico - del Governo e del Ministro dell�Interno - che 
in tale veste esercita istituzionalmente un potere di indirizzo (374). 

Il Prefetto, infatti, � s� un�Autorit� di P.S., ma solo a livello provinciale, 
dunque pur sempre riferita ad un ambito di competenze (politiche ed operative) 
ridotto rispetto a quello nazionale. 

A ci� aggiungasi che lo stesso Ministro dell�Interno non ha un reale potere 
di direzione nei confronti del Capo del Dipartimento di P.S. (laddove lo ha invece 
nei confronti del Prefetto, il quale � per�, in concreto, subordinato a 
quest�ultimo) o di autotutela, n� � in grado di intervenire direttamente nell�attuazione 
delle politiche di sicurezza da lui stesso definite, posto che a tal fine 
deve esclusivamente avvalersi, per legge, proprio del medesimo Dipartimento. 

In questi termini, il sistema italiano presenta un�anomalia strutturale assente 
negli altri ordinamenti del cd. �gruppo G6� dell�Unione, che distinguono 
tra Autorit� di indirizzo (ricomprendendo in tale categoria, oltre al 
Ministro competente in materia ed eventuali Sottosegretari di Stato, anche 
l�organo di vertice operativo dell�Amministrazione di P.S., in ragione delle sue 
funzioni ausiliarie e di alta amministrazione) ed apparati operativo/gestionali 
(nella specie, le singole Forze dell�ordine ed altre strutture di settore: ad 
es. Vigili del fuoco, Protezione civile, etc.). 

Volendo limitarci ad alcune indicazioni di massima, nell�ordinamento 
francese il vertice dell�Amministrazione di P.S. risiede (art. 3 del D�cret n. 851057 
del 2 ottobre 1985 (375)) nel �Secr�taire g�n�ral� del Ministero del-
l�Interno (un funzionario dell�Amministrazione civile, generalmente un 
Prefetto), che esercita le funzioni di coordinamento dell�insieme dei servizi e 
delle strutture della sicurezza nazionale, oltre a rilevanti attribuzioni di indirizzo 
(cfr. commi 5 e 6: �Il est charg� des affaires politiques. - Il est charg� 

attinenti all� ordine e alla sicurezza pubblica, di cui all� art. 6 della legge n. 121/81 e le relative competenze 
del Prefetto�. Presupposto della ricostruzione proposta dall�Autore � che il Prefetto non possa considerarsi 
un elemento organico all�Amministrazione della P.S., pur integrandosi funzionalmente e 
necessariamente in essa: tale (mera) integrazione spiegherebbe il collegamento con il Dipartimento ed 
il suo vertice. Di conseguenza, in occasione �dell�elaborazione dei Piani, il Capo della Polizia potr� 
influire sull�azione dei Prefetti, che dovranno attenersi alle direttive da questi impartite per la loro corretta 
esecuzione in provincia. Tuttavia, questo potere del Capo della polizia non potr� menomare la competenza 
del Prefetto riguardo all�attuazione dell�indirizzo politico governativo a livello provinciale�. 

(374) Sempre DE PAOLA (op. ult. cit., p. 40) rileva che la �politicit�� del Prefetto non si traduce 
in un autonomo potere di elaborazione dell�indirizzo politico, che in materia di pubblica sicurezza spetta 
esclusivamente al Consiglio dei Ministri ed al Ministro dell�Interno. Per �politicit�� dovrebbe piuttosto 
intendersi una competenza generale di attuazione di tale indirizzo, che non si estrinsechi in una mera 
esecuzione delle direttive degli organi politici, quanto piuttosto nell�interpretazione dello stesso e nella 
traduzione in atti d�indirizzo per le Forze di polizia, alla luce delle specificit� della realt� locale. 

(375) Su http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do;jsessionid=2903D196155A93581F50EF789D0D 
B5CF.tpdjo15v_1?cidTexte=LEGITEXT000006064688&dateTexte=20121231. 


de coordonner la politique du Minist�re de l�Int�rieur en mati�re de titres s�curis�s 
�� ), totalmente distinto dai vertici e dalle strutture delle Forze di polizia 
a carattere generalista (Police Nationale e Gendarmerie Nationale: artt. 
5 e 5-bis), che da questi neppure dipendono. 

In Spagna, l�organo amministrativo di vertice � la Secretar�a de Estado 
de Seguridad, anch�essa separata (ai sensi dell�art. 1, comma sesto, lett. �a� 
del Real Decreto n. 400 del 7 febbraio 2012 (376)) dalle strutture e dai vertici 
(tra loro autonomi) delle due Forze di polizia generaliste, che fanno invece 
capo alle distinte (377) ed equiordinate �Direcci�n General de la Polic�a� e 
�Direcci�n General de la Guardia Civil�: cfr. gli artt. 3 e 4, noch� la �Disposici�n 
adicional cuarta� e �quinta - lett. c� e la �Disposici�n transitoria tercera� 
), analogamente agli ulteriori servizi del settore sicurezza (si veda l�art. 
11 per la �Protecci�n Civil y Emergencias� e l�art. 5 relativamente alla �Secretar�a 
General de Instituciones Penitenciarias� ). 

Il Secretario de Estado de Seguridad, ai sensi dell�art. 2, anch�esso (come 
gi� in Francia (378)) un funzionario dell�Amministrazione civile posto all�immediata 
dipendenza gerarchica del Ministro dell�Interno, ha parimenti compiti 
di �direcci�n, coordinaci�n y supervisi�n� delle strutture ed organismi della pubblica 
sicurezza nazionale (379): attraverso tale Secretar�a il Ministro dell�Interno 
svolge anche le proprie funzioni istituzionali di coordinamento (art. 2 comma 
quinto: �Est� adscrita al Ministerio del Interior, a trav�s de la Secretar�a de 
Estado de Seguridad, la Comisi�n Ejecutiva de Coordinaci�n, como �rgano 
estrat�gico de coordinaci�n ejecutiva de dicha Secretaria de Estado� ). 

Anche nei sistemi tedesco (380) ed inglese, la cui organizzazione federale 

(376) Testo consolidato su http://www.boe.es/boe/dias/2012/02/18/pdfs/BOE-A-2012-2396.pdf. 

(377) Il tentativo di unificare i vertici delle due Direzioni generali (con Real Decreto n. 991/2006), 
nella dichiarata prospettiva di conseguire ipotetiche riduzioni di spesa, dopo circa sei anni venne abbandonato 
per ritornare al precedente regime, reintrodotto con il Real Decreto n. 400 del 7 febbraio 
2012, causa le gravi inefficienze cui la novella aveva dato - in concreto - origine. 

(378) Anche ex art. 4 del D�cret n. 2012-771 del 24 maggio 2012, relativo alle attribuzioni del 
Ministro dell�Interno. 

(379) Precisamente, il comma 1 lett. b) dell�art. 2 attribuisce al vertice dell�Amministrazione di 

P.S. spagnola �L�esercizio del comando delle Forze e dei Corpi di sicurezza dello Stato, il coordinamento 
e il monitoraggio dei servizi e delle missioni di loro competenzai� (testualmente: �El ejercicio del mando 
de las Fuerzas y Cuerpos de Seguridad del Estado, la coordinaci�n y la supervisi�n de los servicios y 
misiones que les corresponden�). Occorre ricordare, al proposito, che la Spagna presenta un ordinamento 
con fortissime autonomie territoriali che giustificano - in un�ottica di equilibrio istituzionale - un cos� 
marcato accentramento operativo delle funzioni nazionali di sicurezza: tra le attribuzioni della Secretar�a 
de Estado de Seguritad vi sono inoltre le classiche incombenze di indirizzo politico, individuate dal 
comma terzo, p.to 1, della medesima norma nei termini che seguono: �Desarrollar estrategias espec�ficas 
de lucha contra la criminalidad y elaborar planes conjuntos de actuaci�n en materia de seguridad 
ciudadana, coordinando la actuaci�n de las Fuerzas y Cuerpos de Seguridad del Estado en este �mbito, 
as� como de �stos con las Polic�as Auton�micas y Polic�as Locales�. 

(380) Per un�introduzione, cfr. DUQUE QUICIOS, Modelo de seguridad aleman, in Cuadernos de 
la Guardia Civil XXXVII/2008, pp. 35 ss.. 


delle Forze dell�ordine � oltremodo complessa (cfr. la prima parte di questo 
lavoro, nota 53), vi � una netta distinzione tra le competenze dell�Amministrazione 
di P.S. e le strutture operative che ne fanno parte o che comunque vi collaborano: 
in Germania le principali funzioni federali fanno capo al�Dipartimento-�S� (�Abteilung �ffentliche Sicherheit� ) del Ministero del-
l�Interno (381), retto da un Segretario di Stato (382) e da cui dipendono anche 
la Bundeskriminalamt nonch� i servizi dell�antiterrorismo. Svolge inoltre le 
funzioni di coordinamento tra le numerose Forze dell�ordine operanti nel territorio 
federale e tra queste e le Agenzie strumentali dell�UE. 

A sua volta, il diverso ed autonomo �Dipartmento-B� (�Abteilung Bundespolizei� 
) - facente comunque capo al medesimo Segretario di Stato - supervisiona 
e gestisce le operazioni della Polizia federale (Bundespolizei) 
nonch� (con funzioni di coordinamento e controllo) le �Unit� miste di pronto 
intervento� (�Bereitschaftspolizei�). 

Anche nel modello tedesco (sia a livello federale che di singoli L�nder) 
si d� atto della compartecipazione degli organismi di vertice dell�Amministrazione 
della Pubblica Sicurezza (383) alle funzioni di indirizzo politico (resa 
ancor pi� esplicita dal fatto che a tali strutture sono direttamente preposti dei 
Segretari di Stato di nomina politica), derivandone come conseguenza la netta 
separazione rispetto alle strutture aventi carattere operativo (tra cui le Forze 
dell�ordine e gli apparati di sicurezza). 

In termini strettamente giuridici, la base normativa del sistema operativo 
della pubblica sicurezza federale tedesca � data da sette testi organici di 
legge: 1) la �Gesetz �ber das Bundeskriminalamt und die Zusammenarbeit 
des Bundes und der L�nder in kriminalpolizeilichen Angelegenheiten BKAG� 
[cd. �Bundeskriminalamtsgesetz� (384)]; 2) la �Gesetz �ber die Zusammenarbeit 
des Bundes und der L�nder in Angelegenheiten des Verfassungsschutzes 
und �ber das Bundesamt f�r Verfassungsschutz - BVerfSchG� 
[cd. �Bundesverfassungsschutzgesetz� (385)]; 3) la �Gesetz �ber die Bun


(381) Cfr. http://www.bmi.bund.de/DE/Ministerium/Struktur-Abteilungen/struktur-abteilungen_node.html. 

(382) Proveniente dai ruoli dell�Amministrazione civile dello Stato (ad es. un magistrato) o anche 
un politico di carriera. 

(383) �State secretaries are the highest-ranking civil servants in a federal Ministry. They are responsible 
for ensuring that the Ministry is able to carry out its tasks in line with the Minister�s directions 
and guidance; they also represent the minister as head of this supreme federal authority within the Ministry 
and beyond. Because this position requires a high level of agreement with the minister�s policy 
and subject-related objectives, State secretaries are �political� civil servants, that is, the Federal President 
may suspend their appointment at any time following the recommendation of the Federal Minister, 
who does not need to provide any reasons for this recommendation� (cos� nell�introduzione del portale 
istituzionale del BMI -Bundesminiterium des Innern, novembre 2013). 

(384) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/bkag_1997/index.html. Si tratta 
della legge su ordinamento e funzioni della polizia criminale federale e sulla cooperazione tra questa e 
le autonome polizie criminali dei singoli L�nder. Cfr. AHLF-DAUB-LERSCH-ST�RZER, Bundeskriminalamtgesetz 
(BKAG), Kommentar, Stuttgart 2000. 


despolizei -BpolG� [cd. �Bundespolizeigesetz� (386)]; 4) la �Vereinsgesetz 
-VereinsG� (387); 5) la �Waffengesetz - WaffG� (388); 6) la �Gesetz �ber 
explosionsgef�hrliche Stoffe -Sprengstoffgesetz� [cd. �SprengG� - (389)] 
e 7) la �Zollfahndungsdienstgesetz -ZFdG� (390). A loro volta, i singoli 
L�nder hanno competenze legislative esclusive in merito all�ordinamento 
della pubblica sicurezza �interna�, distinta - seppur con essa coordinata - da 
quella federale (391). 

La struttura dell�apparato operativo di polizia riflette quella federale dello 
Stato, nella quale la maggior parte delle competenze (comprese quelle di pubblica 
sicurezza) appartiene ai singoli L�nder, residuando alla Federazione solamente 
la cura degli affari esteri, del Tesoro, delle Forze armate e della 
protezione delle frontiere, settori cui si sono recentemente aggiunti il controllo 
e la sicurezza degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie, la lotta alla delin


(385) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/bverfschg/BJNR029700990.html. 
Legge sull�Ufficio federale per la protezione dell�ordinamento costituzionale e sulla collaborazione tra 
i Governi federale e dei singoli L�nder in materia. In argomento cfr. KROGER, Bundesverfassungsschutzgesetz, 
M�nchen 1995. 

(386) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/bgsg_1994/BJNR297900994.html. 
Si tratta della legge che istituisce e regolamenta la Bundespolizei (o �Polizia federale�, specializzata in 
antiterrorismo ed ordine pubblico, nata dall�incorporazione della precedente Polizia di frontiera). In merito 
si vedano DREWES-MALMBERG-WALTER, Bundespolizeigesetz BPolG. Zwangsamwendung nach Bundesrecht 
VwVG/UZwG, Stuttgart 2010. 

(387) Su http://www.gesetze-im-internet.de/bundesrecht/vereinsg/gesamt.pdf. � la legge federale sulla 
libert� di associazione, emendata nel 2007. Cfr. anche http://www.gesetze-im-internet.de/vereinsg/index.html. 
Si veda ERBS-KOHLHAAS, Strafrechtliche Nebengesetze. Kommentar, M�nchen 2012. 

(388) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/waffg_2002/index.html. Legge federale 
sulle armi. Si vedano BUSCHE, Kompendium Waffensachkunde, Kiel 2009 ed HELLER-SOSCHINKA, Waffenrecht. 
Handbuch f�r die Praxis, M�nchen 2008. Cfr. anche http://www.gesetze-im-internet.de/awaffv/index.html. 

(389) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/sprengg_1976. Legge federale sulle 
sostanze esplosive. In argomento STEINDORF-PAPSTHART, Waffenrecht: Waffengesetz, Sprengstoffgesetz, 
Gesetz uber die Kontrolle von Kriegswaffen und Durchfuhrungsvorschriften, M�nchen 2012. 

(390) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/zfdg/index.html. Legge federale sui 
servizi di investigazione doganale. In argomento cfr. FEHN-LENZ, Zollfahndungsdienstgesetz (ZFdG): 
Handkommentar, Baden-Baden 2003. 

(391) Bayerischen Polizei (PAG); Bayerisches Landesstraf- und Verordnungsgesetz (LStVG); 
Berlin: Allgemeines Sicherheits- und Ordnungsgesetz (ASOG Bln); Brandenburg: Brandenburgisches 
Polizeigesetz (BbgPolG); Bremen: Bremisches Polizeigesetz; Hamburg: Hamburger Sicherheits- 
und Ordnungsgesetz (SOG); Hessen: Hessisches Gesetz �ber die �ffentliche Sicherheit und 
Ordnung (HSOG); Mecklenburg-Vorpommern: Sicherheits- und Ordnungsgesetz Mecklenburg-Vorpommern 
(SOG M-V); Niedersachsen: Nieders�chsisches Gesetz �ber die �ffentliche Sicherheit und 
Ordnung (Nds. SOG); Nordrhein-Westfalen: Nordrhein-Westf�lisches Polizeigesetz (PolG NRW); 
Ordnungsbeh�rdengesetz (OBG NRW); Rheinland-Pfalz: Rheinland-Pf�lzisches Polizei- und Ordnungsbeh�rdengesetz 
(POG); Saarland: Saarl�ndisches Polizeigesetz (SPolG); Sachsen: S�chsisches 
Polizeigesetz (S�chsPolG); Sachsen-Anhalt: Sachsen-Anhaltisches Sicherheits- und 
Ordnungsgesetz (SOG LSA); Schleswig-Holstein: Schleswig-Holsteinisches Landesverwaltungsgesetz 
(LVwG); Th�ringen: Th�ringer Polizei-aufgabengesetz (unitamente al par. 17 del Th�ringer Ordnungsbeh�rdengesetz). 
Testi consolidati sui singoli portali istituzionali, raccolti nell�archivio 
http://www.justiz-und-recht.de/Gesetze/landesrecht.html. 


quenza organizzata, al traffico di stupefacenti ed al terrorismo (392). 

Due sono le caratteristiche del sistema di polizia tedesco, la separazione 
verticale dei poteri e l�assoluta autonomia dei L�nder nelle proprie decisioni 
di indirizzo (393): correlativamente, a fronte di una normativa processual-penalistica 
unitaria data a livello federale, che detta la disciplina da seguire nel 
contrasto alle attivit� criminali (in particolare, le regole dell�attivit� investigativa 
di polizia), ogni Land approva un�autonoma legge (amministrativa) organica 
di polizia (Polizeigesten) che disciplina missioni, competenze, funzioni 
ed organizzazione di ciascuna delle proprie Forze dell�ordine. 

Nel Regno Unito, a livello �centrale� si colloca l�Home Office (gi� �Home 
Department�, corrispondente al Ministero dell�Interno (394)) e retto da un 
�Home Secretary� (equivalente del Ministro) supportato da un �Permanent 
Secretary� (funzionario di carriera dell�Amministrazione civile) e da alcuni 
�Ministers� (Sottosegretari di Stato, di provenienza politica) preposti alle singole 
Direzioni generali ed Agenzie in cui si articola l�Amministrazione di P.S. 

Anche questo sistema prevede una netta distinzione tra gli organismi di 
indirizzo e le singole strutture di polizia, ad essi sottordinate. 

A differenza della maggior parte degli altri modelli europei (strutturati su 
una pluralit� di Forze di polizia, tra loro autonome ed equiordinate nel rapporto 
di dipendenza funzionale dall�Autorit� di governo), quello polacco viene invece 
generalmente ricondotto ad uno schema �monistico�, fondato cio� su 
un�unica Forza di polizia a competenza generale (o, per meglio dire, �integrale�), 
ripartita al suo interno in una pluralit� di Reparti e Specialit� dotati di 
autonomia operativa pi� o meno marcata. 

Tale presupposto non � per� corretto, poich� anche il �sitema sicurezza� 
polacco � articolato secondo una pluralit� di Forze dell�ordine, tra loro autonome: 
in particolare - oltre alla pi� nota Policja civile - la Guardia di frontiera 
(Str�. Graniczna/SG, il cui ordinamento venne inizialmente dato dalla legge 
12 ottobre 1990 (395)) e l�Ufficio per la sicurezza del Governo (Biuro Ochrony 

(392) La Costituzione, peraltro, attribuisce alla Federazione ulteriori competenze, quali quelle di 
polizia giudiziaria, la difesa dell�integrit� dello Stato, quella delle frontiere ed il contrasto alla delinquenza 
internazionale, laddove sia idonea a compromettere gli interessi comuni federali. 

(393) Unico elemento �unificatore�, la formazione comune dei quadri superiori delle varie Forze 
dell�ordine (appena il 2% del totale degli organici) presso i medesimi centri di istruzione (in particolare, 
l�Accademia di polizia di Hilltrup). 

(394) Si veda il portale istituzionale http://www.homeoffice.gov.uk/about-us/our-organisation. 
Per una sinottica rassegna in materia, cfr. FORD, ACPO UK Police Directory, Hove 2014. Elementi di 
interesse si possono trarre anche dal rapporto The Strategic Policing Requirement, HMIC/London 2014. 

(395) Pubblicata su Dz.U. 1990, n. 78 voce 462, quindi - con emendamenti - su Dz.U. 2005, n. 
234, voce 1997 (l�ultima modifica risale al 2009: cfr. Dz.U. 2009, n. 168, voce 1323). Testo consolidato 
su http://isap.sejm.gov.pl/Download?id =WDU19900780462&type=3. Le attribuzioni di tale Corpo (autonomo 
e non una Specialit� della polizia civile, comՏ invece il caso della Polizia di frontiera italiana) 
sono analoghe, sotto diversi profili, a quelle originarie della Guardia di Finanza (prevenzione e repressione 
dei reati fiscali, etc.). Pur giuridicamente qualificabile come Forza di polizia a status civile, a dif



Rz.du / BOR, regolamentato da ultimo con legge 16 marzo 2001 (396)), peraltro 
non inquadrabile come Forza di polizia, a differenza dell�ABV - Agencja 
Bezpiecze.stwa Wewn.trznego (397). Ad esse vanno poi aggiunte la Stra. 
Ochrony Kolei (polizia ferroviaria), a competenza specialistica e status paramilitare 
(398), la S.u.ba Celna (polizia doganale, dipendente dal Ministero 
delle Finanze (399)) e l�Inspekcja Transportu Drogowego (equivalente della 
polizia stradale (400)). 

Considerazione a parte merita infine la S.u.ba Wi.zienna (polizia penitenziaria), 
dipendente dal Ministero della Giustizia, la cui disciplina ordina-
mentale riposa nella legge 9 aprile 2010 (401), che nell�ordinamento polacco 

-in deroga agli ordinari standard internazionali - viene espressamente qualificata 
come Corpo armato (di polizia, in ragione delle sue attribuzioni di pubblica 
sicurezza (402)). 

L�autonomia istituzionale delle diverse Forze trova una prima sanzione 
nell�art. 14, commi 4 e 5, del Testo Unico del 6 aprile 1990 (403) sulla polizia 
statale, laddove si precisa che (solo) in via eccezionale quest�ultima pu� avvalersi, 
per la propria attivit�, anche dei riscontri informativi della SG e dei 
servizi interni di sicurezza, trattandosi di strutture preposte alla cura di propri 
obiettivi specifici. 

Riscontri informativi, val la pena precisare, che sono attualmente gestiti 

ferenza degli altri Corpi fa uso di gradi di tipo militare. Altre autonome Forze di polizia di frontiera europee 
sono, a titolo d�esempio, la Derzhavna Prykordonna Sluzhba ucraina (a statuto militare), la Rajavartiolaitos 
finlandese (a statuto militare), la Hat�r.rs�g ungherese, la Politsei- ja Piirivalveamet 
estone, la Poli.ia de Frontier. rumena, la UK Border Agency (UKBA) britannica, etc. Tutte fanno riferimento, 
a livello di Unione Europea, al FRONTEX. 

(396) In precedenza questo organismo era disciplinato in via autonoma con legge 22 dicembre 
1999, avente ad oggetto la temporanea subordinazione - a tal fine - di alcune unit� militari, separate 
dalle strutture della Policja civile. 
(397) Seppur dotata di personale in uniforme, si tratta in realt� di un�Agenzia di sicurezza, istituita con 


l. 24/5/2002 (su Dz.U. 2010, n. 29 voce 154 -http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20100290154). 


(398) Cfr. sito istituzionale http://www.kgsok.pl/. � regolamentata dalla legge sul trasporto ferroviario, 
in Dz.U. 2003 n. 86, voce 789 (http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20030860789). 

(399) Polizia istituita con legge 24 luglio 1999 (su Dz.U. 1999, n. 72 voce 802 http://
isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU19990720802) 

(400) Istituita con legge 6 settembre 2001 sul trasporto su strada, dipende dal Ministero delle Infrastrutture 
(maggiori dettagli sul sito istituzionale http://www.gitd.gov.pl/). 

(401) La disciplina ordinamentale della S.u.ba Wi.zienna � pubblicata in Dz.U. 2010, n. 79 voce 
523 (http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20100790523). 

(402) Testualmente, l�art. 1 della legge 9 aprile 2010 cos� recita: �S.u.ba Wi.zienna jest umundurowan. 
i uzbrojon. formacj. apolityczn. podleg.. Ministrowi Sprawiedliwo.ci, posiadaj.c. w.asn. 
struktur. organizacyjn.� (�la Polizia penitenziaria � una formazione armata ed in uniforme alle dipendenze 
del Ministero della Giustizia, con propria struttura organizzativa�). A sua volta, l�art. 2, comma 2 
n. 6 attribuisce a tale Corpo - tra l�altro - il compito di mantenere, in ambito carcerario, l�ordine e la sicurezza 
pubblici (�zapewnienie w zak.adach karnych i aresztach .ledczych porz.dku i bezpiecze.stwa�). 


(403) Pubblicato su Dz.U. 2002, n. 7 voce 58 (versione emendata): testo consolidato su 
http://isap.sejm.gov.pl/Download ?id=WDU20020070058&type=3 


da una struttura centrale interforze, il �Krajowe Centrum Informacji Kryminalnej� 
(KCIK (404)), deputato a svolgere una fondamentale funzione di raccolta, 
elaborazione e comunicazione dei dati e delle informazioni di carattere 
penale, quale organismo terzo di coordinamento operativo. 

Tutte e tre le strutture (unitamente alle due Agenzie di sicurezza, interna ed 
esterna, poste alle dirette dipendenze del Primo Ministro anche sotto il profilo 
gerarchico) sono formalmente subordinate al Capo del Governo, che ne nomina 
i vertici. Intercorre invece una dipendenza funzionale con il Ministro dell�Interno, 
per ragioni eminentemente operative, fermo restando che la competenza 
a definire obiettivi e linee-guida in materia di sicurezza interna ed esterna del 
Paese spetta solamente al Consiglio dei Ministri (art. 146, par 4, p.tti 7 e 8). 

In particolare, in base al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 

n. 248 del 18 novembre 2011 (405), l�esercizio delle funzioni generali in materia 
di pubblica sicurezza, individuate dalla legge 21 giugno 1996, n. 421 
(406), viene affidato (di fatto, una sorta di delega) al neo-istituito Ministero 
dell�Interno (in precedenza �Ministerstwo Spraw Wewn.trznych i Administracji� 
) che a tal pro si avvale, ai fini operativi e pianificatori, di un apposito 
Dipartimento amministrativo (�Dzia.em Administracji Rz.dowej - Sprawy 
Wewn.trzne�) le cui attribuzioni sono previste all�art. 29 della legge 4 settembre 
1997 (407): tra queste, in particolare, la protezione della sicurezza e del-
l�ordine pubblico (�ochrony bezpiecze.stwa i porz.dku publicznego�), 
concretamente svolta con il concorso di una serie di strutture operative (tra 
cui il Comando in Capo della Polizia interna (408), quello della Polizia di frontiera 
(409) e dei Vigili del fuoco, nonch� la Direzione della Difesa Civile Nazionale), 
tra loro autonome ed equiordinate. 

Cos� come in altri ordinamenti europei, anche nel sistema polacco, per assicurare 
un sostanziale equilibrio tra le Forze, queste vengono formalmente subordinate 
non ad uno specifico Ministro, bens� direttamente al Capo del Governo. 

Per contro, non vi � un organismo centrale che coordini le attivit� di tutti 
i servizi: ad esempio, la Policja, la Guardia di frontiera e l�Ufficio per la sicu


(404) Istituito ai sensi della legge 6 luglio 2001 (su Dz.U. 2001, n. 154, voce 1800). Per l�accessibilit� 
a questo servizio anche da parte della gendarmeria, l�art. 40-a del relativo Testo Unico prevede 
che �la Polizia militare pu�, nella misura necessaria per svolgere le sue funzioni di legge, far uso delle 
informazioni raccolte dal Centro Nazionale Informazioni Criminali� (�.andarmeria Wojskowa mo.e, 
w zakresie koniecznym do wykonywania jej zada. ustawowych, korzysta. z informacji kryminalnej zgromadzonej 
w Krajowym Centrum Informacji Kryminalnych�). 

(405) Testo consolidato su http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20112481491. 

(406) Testo consolidato su http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU19961060491. 

(407) Testo consolidato su http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20070650437. 

(408) La cui disciplina ordinamentale � data, da ultimo, dal Testo Unico 14 ottobre 2011 n. 1687 
(su http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20112871687). 

(409) La cui disciplina ordinamentale � data, da ultimo, dal T.U. 11 maggio 2011, n. 675 su 
http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20111160675. 


rezza del Governo fanno riferimento al Ministro dell�Interno, mentre i due servizi 
di sicurezza (interna ed estera) nati dalla divisione dell�ex-Ufficio di protezione 
dello Stato (Urz.d Ochrony Pa.stwa - UOP), sino al 2002 (410) alle 
dipendenze del Ministero dell�Interno, rispondono adesso direttamente al 
Primo Ministro e sono coordinati, nello svolgimento della loro attivit�, da un 
apposito Comitato costituito in seno al Consiglio dei Ministri (cui l�art. 146 
cit. della Costituzione attribuisce collegialmente la competenza a definire la 
politica di sicurezza dello Stato (411)). 

La Gendarmeria, infine, nelle ipotesi in cui concorre al mantenimento 
dell�ordine pubblico al di fuori della compagine militare, se da un lato viene 
a partecipare di tutte le potest� attribuite ex lege alla funzione di polizia civile, 
mantiene pur sempre la propria specificit� ordinamentale e di stato (412), 
anche quanto a dipendenza funzionale e gerarchica. 

L�assenza di un organismo centrale di coordinamento verrebbe per� in 
qualche modo �attenuata� dall�attivit� svolta dal Consiglio sulla Sicurezza nazionale, 
istituito presso il Consiglio dei Ministri ed esercitante funzioni (prevalentemente 
consultive) in materia di programmazione, supervisione e 
coordinamento delle attivit� dei due Servizi di sicurezza nazionali, dei servizi 
segreti militari (Wojskowe Sluzby Informacyjne - WSI), della polizia statale, 
della Guardia di frontiera e della gendarmeria (in breve, dei principali soggetti 
che esercitano funzioni di pubblica sicurezza (413)). 

(410) Con l�intervento della legge di riforma del 24 maggio 2002 (pubblicata su Dz.U. 2002, n. 
74 voce 676). 

(411) Su Dz.U. n. 78 voce 483. Testualmente, �W zakresie i na zasadach okre.lonych w Konstytucji 
i ustawach Rada Ministr�w w szczeg�lno.ci: � 7) zapewnia bezpiecze.stwo wewn.trzne pa.stwa 
oraz porz.dek publiczny; 8) zapewnia bezpiecze.stwo zewn.trzne pa.stwa; �� (trad. �Nell�ambito e 
secondo i principi definiti dalla Costituzione e dalle leggi, il Consiglio dei Ministri in particolare � assicura 
la sicurezza interna dello Stato e l�ordine pubblico; 8. assicura la sicurezze esterna dello Stato�). 

(412) Da un lato, infatti, l�art. 18/a del Testo Unico sulla Polizia statale del 6 aprile 1990 (cit.) 
prevede che la gendarmeria venga ad assumere le potest� tipiche della polizia civile su disposizione del 
Primo Ministro (previo concerto dei Ministri dell�Interno e della Difesa); dall�altro, l�art. 66 del Testo 
Unico sull�ordinamento della Gendarmeria nazionale (legge 24 agosto 2001, pubblicata in Dz.U. 2001, 
n. 123 voce 1353 - testo su http://isap.sejm.gov.pl/Download?id=WDU20011231353&type=3) stabilisce 
in termini generali che �L�art. 76 della legge 4 settembre 1997 sull�organizzazione del Governo (Dz.U.z 
1999, n. 82 voce 928) � sostituito dal seguente: �Il Presidente del Consiglio, su richiesta del Ministro degli 
Affari Interni, del Ministro della Difesa nazionale del Capo dell�Ufficio per la Sicurezza dello Stato [nel 
2002 l�Agenzia � stata divisa in due autonomi servizi (segreti) per la sicurezza interna ed esterna - ndr] dispone, 
con decreto, la ripartizione delle competenze tra la Polizia, l�Ufficio per la sicurezza del Governo, 
la Guardia costiera, la Polizia di frontiera, l�Autorit� nazionale di protezione civile, la Gendarmeria nazionale, 
le Forze dell�ordine ed i servizi di sicurezza, unitamente alle modalit� della loro cooperazione��. 


(413) Per quanto concerne, in particolare, il coordinamento della gendarmeria polacca con le altre 
Forze dell�ordine si richiama l�art. 14 del Testo Unico sull�ordinamento della Gendarmeria nazionale, 
ai sensi del quale quest�ultima, nello svolgimento delle sue funzioni (di cui al precedente art. 4) interagisce 
con l�Agenzia per la sicurezza interna, la Polizia civile, le Guardie di frontiera, le Autorit� doganali, 
quelle di controllo, etc.. Modalit� e portata di tale interazione vengono definite con apposito regolamento 
del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 14 comma 2). 


In ragione delle sue attribuzioni (in particolare, nel rendere i richiesti pareri 
tecnico/consultivi sui disegni di legge inerenti la sicurezza dello Stato, 
con particolare accento sulle forme di cooperazione tra le Forze dell�ordine 
nazionali), il Consiglio partecipa della funzione di indirizzo politico e di alta 
amministrazione (quest�ultima legata soprattutto alla nomina dei responsabili 
dei servizi di sicurezza). 

Il Consiglio � composto dal Primo Ministro, da un Segretario del Consiglio, 
dal Ministro degli Affari Interni e dell�Amministrazione, dal Ministro degli 
Affari Esteri, dal Ministro della Difesa Nazionale, dal Ministro delle Finanze, 
dal Capo del Ufficio presidenziale per la sicurezza nazionale (BBN), dai vertici 
dei servizi segreti (ABW, AW e WSI), nonch� dal Presidente del Comitato parlamentare 
per i servizi di sicurezza. Il Presidente della Repubblica pu� delegare 
un proprio rappresentante a partecipare alle riunioni del Consiglio. 

Sotto molti profili affine al sistema polacco, anche l�ordinamento lituano 
distingue in modo rigido le strutture operative dagli organi ausiliari del Governo 
(in primis il �Dipartimento dell�Amministrazione Interna�), cui spettano funzioni 
di coordinamento e controllo - seppur non cos� marcate come altrove - e 
dunque di sovraordinazione (funzionale) agli organi di vertice delle prime. 

Tra gli organismi con competenze di pubblica sicurezza vanno indicati i 
�servizi di sicurezza� propriamente detti (VSD e SIT, quest�ultimo deputato 
alla lotta alla corruzione nella Pubblica amministrazione), che nel sistema lituano 
non sono subordinati alle contingenti maggioranze di governo, dipendendo 
direttamente dal Presidente della Repubblica (nella sua qualit� di Capo 
dello Stato, carica tendenzialmente stabile e �terza� rispetto all�Esecutivo, non 
essendo la Lituania una Repubblica presidenziale (414)) e dal Parlamento; ad 
essi si affiancano le Forze di polizia tradizionalmente dette (cinque pi� la gendarmeria, 
che ha per� limitate competenze di polizia civile), ovverosia la Lietuvos 
Policija (a competenza generale, articolata sui tre settori di polizia 
criminale, polizia stradale e polizia di sicurezza (415)), il VSAT (Valstyb.s sienos 
apsaugos tarnyba - Servizio di protezione delle frontiere, Corpo a status 
militare funzionalmente dipendente dal Ministero dell�Interno (416)), il VPGT 
(in realt� un servizio di protezione civile a tutti gli effetti, non limitato alla 

(414) Il VSD � disciplinato dalla legge 20 gennaio 1994 e posto alle dirette dipendenze del Presidente 
della Repubblica. Il STT, costituito nel 1997, ha visto la sua autonomia riconosciuta con legge 2 
maggio 2000, che lo assoggetta direttamente al Presidente della Repubblica ed al Parlamento. 

(415) Cfr. l�art. 13 della legge sulla Polizia dell�11 dicembre 1990, n. I-851 (emendata l�11 maggio 2006). 

(416) Inizialmente posto alle dipendenze del Ministero della Difesa, al momento della sua costituzione 
con risoluzione 3 aprile 1990 dell�allora Soviet Supremo della Lituania. Successivamente, con 
legge di riforma del 10 ottobre 2000 (e successiva risoluzione governativa del 22 febbraio 2001), venne 
posto alle dipendenze funzionali (di supervisione e controllo) del Ministero dell�Interno, pur mantenendo 
l�organizzazione militare (in caso di guerra, la legge prevede che venga a fare integralmente parte delle 
Forze Armate: cfr. Cap. I Sez. I art. 2; Sez. 2 art. 5 e Sez. III art. 12 della legge sul Servizio della Guardia 
di Frontiera, 10 ottobre 2000 n. VIII-1996). 


prevenzione degli incendi come la sua denominazione darebbe ad intendere 
(417)), il VAD (Servizio di protezione delle personalit�) ed il FNTT (Servizio 
di investigazione sui crimini finanziari). 

Alle Forze di polizia propriamente dette va poi aggiunta la Polizia penitenziaria 
(dipendente dal Ministero della Giustizia) cui anche l�ordinamento 
lituano attribuisce funzioni di pubblica sicurezza. 

Come gi� nel sistema polacco, la Forza di gendarmeria (Viesojo Saugumo 
Tarnyba - VST, che di conseguenza partecipa ad EUROGENDFOR nella veste di 
Partner) non ha attualmente competenze generali di polizia civile, operando 
principalmente quale polizia militare. 

La regola fondamentale della netta separazione tra strutture (governative) 
di indirizzo e strutture (operative) delle Forze dell�ordine trova poi accoglimento 
anche negli altri ordinamenti europei quali quello del Portogallo, del 
Belgio, dell�Olanda, dell�Austria, etc.. 

Il sistema italiano, invece, sotto questo profilo rappresenta un unicum che 
sembra trovare ormai giustificazione pi� nella casualit� della successione normativa 
che in un�effettiva ratio di politica legislativa. Ci� ha spinto parte della 
dottrina (confortata dalla prassi legislativa che dagli anni �90 in poi mira a diversificare 
strutturalmente le funzioni operative e di gestione da quelle di indirizzo) 
a suggerire un intervento normativo che separi anche in Italia le due 
cariche attualmente cumulate dal Direttore Generale della P.S., devolvendo 
tale attribuzione ad un funzionario dell�Amministrazione civile dello Stato e 
restituendo alla Polizia quell�autonomia di ordinamento e gestione cui da decenni 
non partecipa, unica tra le Forze dell�ordine, con creazione di un suo 
specifico Dipartimento in seno al Ministero dell�Interno (418). 

Tale era, del resto, l�originaria ratio del sistema sicurezza italiano, sino 
allo stravolgimento del precedente sistema liberale negli anni Venti e Trenta 
del secolo scorso, culminato - organizzativamente - con la moltiplicazione 
delle Questure quali duplicazioni/sovrapposizioni dei Comandi territoriali dei 
Carabinieri Reali e normativamente con l�adozione del TULPS (pi� la disciplina 
di attuazione e dettaglio). 

La necessaria separazione tra organi ausiliari di indirizzo ed organi esecutivo/
gestionali dovrebbe peraltro valere tanto a livello centrale quanto periferico 
(id est, provinciale), pena un�evidente anomalia di sistema, con la 
conseguenza (di per s� coerente con la struttura organizzativa e le origini storiche 
del Corpo, presente in forze solo nei centri maggiori) di superare la predetta 
duplicazione territoriale, ripristinado la presenza delle Questure (e dei 

(417) La sigla VPGT sta per Valstybin. prie.gaisrin. gelb.jimo tarnyba (Servizio antiincendi e di 
soccorso). 

(418) Evidenzia la necessit� di separare le due distinte funzioni anche MANCINI PROIETTI, Libert� 
(fondamentali) e (poteri dell�) autorit� in una possibile riforma dell�organizzazione e dell�ordinamento 
della pubblica sicurezza, in AA.VV., La Polizia di Stato a trent�anni dalla legge di riforma, cit., p. 103. 


relativi Commissariati di P.S.) nelle sole citt� metropolitane (419). 

Ci� consentirebbe anche di risolvere le perplessit� suscitate dal cd. �sistema 
binario incrociato�, poich� da un lato si verrebbe ad incardinare il vertice 
del Dipartimento - in quanto organo ausiliario del Ministro - alla diretta dipendenza 
(anche gerarchica) da quest�ultimo, mentre dall�altro il rapporto di 
dipendenza dei Prefetti �territoriali� verrebbe nuovamente ricondotto all�interno 
di una medesima �linea di comando�, nell�ambito cio� dell�Amministrazione 
civile dell�Interno. 

In alternativa, ovviamente, vi sarebbe anche la soluzione pi� �radicale� 
(adottata in alcuni Stati aderenti all�OSCE) di sottrarre al Ministero dell�Interno 
le scelte di indirizzo (420) in materia di pubblica sicurezza - con conseguente 
soppressione del relativo Dipartimento - devolvendole al Presidente del Consiglio 
dei Ministri (come gi� accade per le Agenzie di sicurezza), tramite la 
creazione di un Dipartimento (politico/tecnico interforze) ad hoc. 

Le attribuzioni di indirizzo del Capo del Dipartimento della P.S. trovano 
ulteriore riscontro nella �Direttiva per l�attuazione del coordinamento e della 
direzione unitaria delle Forze di polizia�, adottata dal Ministro dell�Interno a 
seguito della riforma di cui alla legge 31 marzo 2000 n. 78: �Nella logica istituzionale 
delineata dalla legge n. 78/2000, il Dipartimento della pubblica sicurezza 
si colloca in una posizione di snodo tra l�Autorit� politica e le Forze 
di polizia che svolgono compiti tecnico-operativi ed alle quali in ultima analisi 
spetta in concreto di assicurare la compiuta realizzazione della preminente finalit� 
pubblica della tutela dell�ordine e della sicurezza pubblica sull�intero 
territorio nazionale � Altra peculiare funzione del Dipartimento della pubblica 
sicurezza � quindi quella di elaborare e arricchire dei necessari contenuti 
di progettualit� attuativa, le direttive impartite dal Ministro dell�Interno in 
modo da individuare le linee programmatiche lungo le quali le Forze di polizia 
sono tenute a sviluppare, secondo parametri di efficienza ed economicit�, la 
loro attivit� squisitamente operativa� (421). 

Il sistema pu� quindi dirsi �binario� poich� coinvolge due distinti centri 
di Autorit� pubblica, ed �incrociato� per descrivere il sovrapporsi delle rispettive 
funzioni - a livello nazionale e decentrato - con modalit� per� ben 
poco coerenti con il principio di diritto che vuole l�Autorit� esecutiva posta 

(419) Di cui all�art. 114 Cost. ed all�art. 23 TUEL. Da ultimo, cfr. anche l�art. unico della legge 7 aprile 
2014, n. 56. Tale soluzione, giustificata dalle peculiarit� ambientali di tale contesto (si tratta, infatti, di conurbazioni 
che superano ciascuna il milione di abitanti) e dall�opportunit� di disporre di specifiche strutture 
di polizia ad esse dedicate, sarebbe altres� in linea con i rilievi espressi nella �Relazione Giarda� su talune 
irrazionalit� nell�allocazione della spesa pubblica (cfr. retro). 

(420) Riservandogli invece quelle operative connesse (gi� oggi) alla gestione della Polizia di Stato 
oltre che dei vari servizi di emergenza e soccorso (Vigili del fuoco, in parte la Protezione civile, ufficiali 
del Governo, etc.) e relative esigenze logistiche. 

(421) Testo integrale su http://ssai.interno.it/download/allegati1/instrumenta_13_18_direttiva.pdf. 


sotto la responsabilit� di quella di governo e non viceversa. 

Si consideri, in particolare, la posizione assunta dal Prefetto nella legge 
di riforma (la 121/81): il terzo comma dell�art. 13, sviluppando quanto previsto 
nel precedente art. 3, secondo comma, lett. b) e riconoscendo a tale figura una 
funzione di indirizzo e supervisione per ogni questione attinente la sicurezza, 
dispone che lo stesso �Assicura unit� di indirizzo e coordinamento dei compiti 
e delle attivit� degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza nella provincia, 
promuovendo le misure occorrenti�. 

La norma � un�evidente proiezione dell�art. 1, secondo cui (come gi� 
visto) il Ministro dell�Interno dovrebbe coordinare a livello generale i compiti 
e le attivit� delle Forze di polizia in materia di ordine e sicurezza pubblica; il 
Prefetto, in effetti, a sua volta coordina in provincia le attivit� ed i compiti 
degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza (art. 13). 

Il legislatore assegna quindi al Prefetto un ruolo di �filtro� fra la linea politica 
indicata dal Ministro (art. 1, secondo comma) e la gestione tecnico-operativa 
del Questore (a sua volta non adespota ma vincolata a quanto deciso in 
sede di Comitato Provinciale per l�Ordine e la Sicurezza Pubblica) ed in tale 
veste gli attribuisce il compito di attuare le singole direttive ministeriali armonizzando 
la valutazione politica nazionale alle esigenze locali, coordinando 
i compiti e le attivit� degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza e promuovendo 
le misure occorrenti. 

A sua volta l�art. 14, a mente del quale �Il Questore ha la direzione, la 
responsabilit� e il coordinamento, a livello tecnico-operativo, dei servizi di 
ordine e di sicurezza pubblica�, va letto alla luce del precedente art. 13 comma 
2, secondo cui il Prefetto �sovraintende all�attuazione delle direttive emanate 
in materia�. Ne emerge una responsabilit� tecnica del Questore nei confronti 
del Ministro, mediata dalla supervisione/valutazione politica del Prefetto: in 
questi termini, i principi ispiratori della legge presuppongono che la gestione 
tecnico-operativa dell�evento resti agganciata alla direttiva prefettizia da cui 
trae esistenza e dalla quale, in maniera significativa, dev�essere orientata. 

Esaminando pi� nel dettaglio la disciplina di settore, sempre al Prefetto (art. 
13) viene attribuita �la responsabilit� generale dell�ordine e della sicurezza pubblica 
nella provincia e sovraintende all�attuazione delle direttive emanate in materia. 
Assicura unit� di indirizzo e coordinamento dei compiti e delle attivit� degli 
ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza nella provincia, promuovendo le misure 
occorrenti. - A tali fini il Prefetto deve essere tempestivamente informato dal Questore 
e dai Comandanti provinciali dell�Arma dei Carabinieri e della Guardia di 
Finanza su quanto comunque abbia attinenza con l�ordine e la sicurezza pubblica 
nella provincia. - Il Prefetto dispone della Forza pubblica (422) e delle altre Forze 

(422) Per �Forza pubblica�, in assenza di un�espressa definizione di legge (la prima menzione � 
contenuta nel Capo IX della legge 13 novembre 1859, n. 3720, sull�ordinamento dell�Amministrazione 


eventualmente poste a sua disposizione in base alle leggi vigenti e ne coordina le 
attivit�. - Il Prefetto trasmette al Ministro dell�Interno relazioni sull'attivit� delle 
Forze di polizia in riferimento ai compiti di cui al presente articolo�. 

Nello svolgimento di queste funzioni � affiancato da un fondamentale organo 
ausiliario consultivo - vero e proprio strumento di decisione e coordinamento 
- il Comitato Provinciale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica. 

Con la riforma dell�ordinamento di P.S., come gi� detto, � venuta 
meno l�originaria unitariet� delle funzioni di pubblica sicurezza in capo 
al rappresentante del Governo, dal quale - sino all�entrata in vigore della 
legge n. 121/1981 - dipendevano gerarchicamente il Questore e solo funzionalmente 
i vertici delle altre Forze dell�ordine, ai sensi dell�art. 3 del R.D. 6 
maggio 1940, n. 635. 

L�originaria dipendenza gerarchica del Questore dal Prefetto va collocata nel-
l�esatta prospettiva giuridica e storica, per comprendere le ragioni (e le criticit�) del-
l�odierno ordinamento della pubblica sicurezza che, come gi� detto, � stato riformato �a TULPS 
invariato�. La legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato B, recependo l�organizzazione della 
pubblica sicurezza sperimentata precedentemente nel Regno di Sardegna, istitu� degli uffici 
di Questura nelle sole citt� con popolazione superiore a sessantamila abitanti, attribuendo al 
capo dell�ufficio, il Questore (un funzionario dell�Amministrazione civile - inizialmente proveniente 
dall�Ordine giudiziario - e non un poliziotto) l�esercizio dei poteri del Sottoprefetto 
nel circondario metropolitano in cui esercitava le proprie attribuzioni. In quanto Amministrazioni 
periferiche statali, anche le Questure erano direttamente subordinate alle Prefetture, con 
le quali esisteva un rapporto particolarmente stretto (rappresentando le prime la �longa 
manus� operativa delle seconde in materia di ordine pubblico). 

Con legge 21 dicembre 1890, n. 7321 venne istituito in ogni capoluogo di provincia, 
alle dipendenze del Prefetto, un Ufficio provinciale di pubblica sicurezza, ed in ogni capoluogo 
di circondario, alle dirette dipendenze del Sottoprefetto, un Ufficio circondariale di pubblica 
sicurezza; peraltro, solo nelle citt� capoluogo con pi� di 100.000 abitanti all�ufficio provinciale 
poteva essere preposto un Questore. 

� fondamentale sottolineare, per comprendere l�origine dell�odierno assetto della pubblica 
sicurezza in Italia, che l�Ufficio provinciale di pubblica sicurezza - fosse o meno sede 
di Questura - non era altro che una divisione della Prefettura, alla pari dei servizi amministrativi 
o di quello sanitario, ed il Questore, quale ufficiale di pubblica sicurezza, 
era semplicemente uno dei vari collaboratori interni del Prefetto (nella specie, era equiparato 
ad un Sottoprefetto): in quanto tale, coerentemente era posto alla dipendenza gerarchica 
di quest�ultimo, al pari del restante personale civile. 

di P.S. del Regno di Sardegna), si intende convenzionalmente l�insieme dei Corpi armati (di cui all�art. 
16 legge 121/81) posti a disposizione dell�Autorit� di governo (prefettizia), ossia le Forze di polizia 
dello Stato, nonch� le Forze armate allorch� esercitino funzioni di pubblica sicurezza. Anteriormente al 
riordino dell�Amministrazione della P.S., per la dottrina le componenti erano essenzialmente due, l�Arma 
dei Carabinieri ed il Corpo delle Guardie di P.S; per correttezza, va per� ricordato che all�epoca l�unica 
precisazione normativa dei soggetti facentine parte (l�art. 1 della legge 23 aprile 1959, n. 189) menzionava 
un terzo Corpo, pur sprovvisto di specifiche attribuzioni di pubblica sicurezza, ovverosia la Guardia 
di Finanza. 


La legge n. 7321 conflu� successivamente nel Testo Unico sugli ufficiali ed agenti di pubblica 
sicurezza (R.D. 21 agosto 1901, n. 409) che defin� l�assetto organizzativo dell�Amministrazione 
della pubblica sicurezza a livello periferico: nelle pochissime province sedi di 
Questura, questa era contemporaneamente ufficio circondariale e provinciale di pubblica sicurezza, 
ed il Questore (come gi� detto, un funzionario della carriera civile) era Autorit� di pubblica 
sicurezza per il primo circondario e capo di divisione della Prefettura per il resto; nelle 
altre province era invece il Prefetto che provvedeva direttamente agli affari di pubblica sicurezza, 
coadiuvato ai soli fini operativi dal capo dell�Ufficio provinciale di pubblica sicurezza 
(un Commissario, anch�esso appartenente ai ruoli civili dell�Amministrazione). 

Le attribuzioni di direzione e comando in materia di pubblica sicurezza erano riservate 
ai funzionari civili dell�Amministrazione dell�Interno, comՏ vero che l�art. 4 (ripreso pi� pari 
dal successivo R.D. 690/07) chiariva che �Il Questore, nel circondario di sua residenza, ha 
tutte le attribuzioni di pubblica sicurezza spettanti [ordinariamente - ndr] al Sottoprefetto, e 
pu� avere alla sua dipendenza uffici di sezione�. 

Con R.D. 31 agosto 1907, n. 690 venne infine approvato un nuovo Testo Unico relativo 
agli ufficiali ed agli agenti di pubblica sicurezza, il cui art. 1 precisava che �Il servizio di pubblica 
sicurezza dipende dal Ministero dell�Interno e, subordinatamente, dai Prefetti e dai 
Sottoprefetti, ed � eseguito, sotto la loro direzione, dagli ufficiali e dagli agenti di pubblica 
sicurezza, coadiuvati da un personale d�ordine e di servizio�; l�art. 5 ribadiva invece che �Gli 
uffici provinciali e circondariali di pubblica sicurezza fanno parte degli uffici di Prefettura 
e di Sottoprefettura. Le spese di affitto per i locali di ufficio provinciale e circondariali di 
pubblica sicurezza sono a carico della provincia�. Il primato della �Civil Authority� trovava 
quindi sanzione nella regola per cui gli ufficiali di pubblica sicurezza dovevano dirigere il 
servizio di polizia sotto la dipendenza dell�Autorit� pubblica (il Prefetto o il Sottoprefetto, 
che la legge qualificava rappresentanti territoriali dell�Autorit� di governo). 

Con il mutamento di regime politico in Italia - analogamente a quanto occorso nel 1923 
per la Direzione generale per la pubblica sicurezza (cfr. retro) - il sistema istituzionale subisce 
alcuni modifiche strutturali, mediante provvedimenti governativi: con R.D.L. 2 gennaio 1927, 

n. 1 vengono soppresse le Sottoprefetture e subito dopo, con R.D.L. 14 aprile 1927, n. 593 (recante 
la riforma delle Autorit� di pubblica sicurezza) il Questore e il suo ufficio acquisiscono 
il rango di Autorit� provinciale, a fianco (e sia pur alle dipendenze) del Prefetto. 

In questa fase i Questori erano ancora funzionari del ruolo civile dell�Interno e non di 
quello �di polizia�, di talch� l�attribuzione della qualifica di �Autorit�� di P.S. non alterava formalmente 
il principio di separazione tra gli organi di indirizzo e controllo e quelli esecutivo-gestionali. 


Nello stesso tempo, per�, per contrastare l�autorit� regia in materia (che si esprimeva 
attraverso la capillare diffusione del Corpo dei Carabinieri Reali, i cui ufficiali non dipendevano 
dai Prefetti (423), n� prestavano giuramento al Capo del Governo) ed assicurare una 
maggior pervasivit� del controllo operato dalle strutture dal regime, sempre con R.D.L. 593/27 
viene istituito un ufficio di Questura in ogni capoluogo di provincia. Tali finalit� trovarono 
ulteriore sanzione nel TULPS del 1931 e soprattutto nel suo Regolamento di esecuzione (R.D. 
635/1940), il cui art. 3, pur confermando la dipendenza del Questore dal Prefetto, dichiar� 

(423) L�art. 17 del R.D. 690/1907 faceva infatti riferimento ai soli �Carabinieri�, cio� la truppa 
ed i sottufficiali. 


che il primo dovesse assumere �la direzione tecnica di tutti i servizi di polizia e di ordine 
pubblico nella provincia� (424). 

Il fenomeno della moltiplicazione degli Uffici di Questura, le cui numerose attribuzioni 
burocratiche rappresentano in larga parte una condivisione/duplicazione di quelle originarie 
delle Prefetture, ha comportato nel tempo delle criticit� organizzative e finanziarie (soprattutto 
nelle realt� minori, dove l�aliquota fissa di personale necessario per il loro disbrigo finisce 
spesso per coincidere con ampia parte dei funzionari in servizio, conseguentemente distratti 
dallo svolgimento di funzioni operative di P.S.). Tale anelasticit� verso economie di scala 
emerge anche dal recente �Rapporto Giarda� del marzo 2013, avente ad oggetto �Analisi di 
alcuni settori di spesa pubblica� (425) che, pur con i dichiarati limiti euristici dell�indagine 
condotta, pone in evidenza (p. 105) un�ipotesi di inefficienza gestionale (con correlato eccesso 
di spesa) dovuta all�attuale articolazione su base provinciale, pari a 4.604 addetti per il 2011 
(426), in un sistema ordinamentale (p. 115) nel quale il numero di questi ultimi - verosimilmente 
a causa della fissit� di cui si � detto -�non risponde comunque a variazioni nel numero degli 
addetti� delle altre Forze dell�ordine presenti sul territorio (per le quali, invece, tale rigidit� 
non opera), sia complessivamente che per aree di suddivisione amministrativa dello stesso. 

Il Questore, in base all�art. 14 della legge 121/81 (che riprende sul punto 
l�impianto del TULPS), � anch�esso �Autorit� provinciale di pubblica sicurezza. 

(424) Non ha per� la direzione di alcuni importanti servizi della Polizia di Stato quali la Polfer e 
la Polizia postale, nonch� la Polizia stradale (la cui linea di comando � strutturata secondo autonomi 
Compartimenti regionali): quest�ultima, in particolare, generalmente dispone - anche nelle province con 
minor consistenza d�organico - di caserme e centrali operative distinte da quelle cui fanno capo - spesso 
nello stesso conteso urbano - i servizi automontati della Squadra mobile (che invece dipendono dal Questore). 
Al riguardo l�art. 34 legge 121/81 (poi abrogato) prevedeva che �Gli uffici di polizia stradale, 
ferroviaria, postale e di frontiera provvedono, ai livelli di propria competenza territoriale, alla direzione 
e al coordinamento operativo dei rispettivi uffici in cui si articolano ... Ai fini dell�attuazione del coordinamento 
di cui al capo primo, i dirigenti degli uffici suddetti devono riferire al Questore relativamente 
alle questioni concernenti l'ordine e la sicurezza pubblica�. Cfr. adesso l�art. 4 del D.P.R. 208/2001. 

(425)Suhttp://www.sitiarcheologici.palazzochigi.it/www.governo.it/aprile%202013/www.governo.it/rapportiparlamento/ 
documenti/rapporto_spending.pdf. 

(426) Testualmente: �L�inefficienza istituzionale (originata dalla adozione dei confini provinciali 
come strumento di definizione delle unit� operative decentrate) �costa� 4.604 addetti. L�eccesso di 
spesa nelle tre regioni Friuli, Calabria e Sicilia vale 3.382 addetti in pi��. Inoltre, pur trattandosi di 
grandezze non necessariamente sommabili tra loro, poich� originate da fenomeni diversi, �l�eccesso di 
spesa associato a singole osservazioni (equivalente a 2.639 addetti) richiama l�attenzione sulla ipotesi 
di inefficienza gestionale: singole strutture di produzione organizzate a livello provinciale che hanno 
spese superiori agli standard incorporati in altri territori�. Ulteriori diseconomie sarebbero poi riscontrabili 
nei Reparti speciali, per un�eccedenza complessiva stimata in ben 9.918 addetti (p. 99). La scelta 
politica (consolidata nel TULPS e ripresa dalla legge 121/81) di calibrare i servizi di sicurezza su base 
provinciale e regionale produrrebbe diseconomie di scala anche per l�Arma dei Carabinieri, che non deriverebbero 
per� da fattori di inefficienza gestionale (assorbibili dalla sua struttura reticolare), bens� dai 
costi fissi delle strutture di comando, create ex lege in funzione dei confini politici territoriali, piuttosto 
che del bacino di popolazione da servire (cfr. p. 56). 
Per contro, secondo lo studio in questione (che non si prefigge di indicare soluzioni organizzative o gestionali), 
la diversa struttura organizzativa dell�Arma, se da un lato presenta una forte concentrazione di 
personale nelle regioni meridionali del Paese rispetto ad una media nazionale fondata sull�allocazione 
minima della Lombardia, consentirebbe pur sempre la correzione di eventuali criticit� organizzative senza 
doversi strutturalmente incidere sulla sua complessiva dislocazione territoriale. 


Ha la direzione, la responsabilit� ed il coordinamento, a livello tecnico operativo, 
dei servizi di ordine e di sicurezza pubblica e dell�impiego a tal fine 
della Forza pubblica e delle altre Forze eventualmente poste a sua disposizione. 
A tale scopo viene tempestivamente informato dai comandanti locali 
dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza su quanto comunque 
abbia attinenza con l'ordine e la sicurezza pubblica�. 

Secondo un�interpretazione sistematica della norma (letta nel combinato 
disposto degli artt. 13 e 20 legge 121/81), l�obbligo di informazione di cui 
trattasi non avrebbe carattere generale ed assoluto (come invece accade nei riguardi 
del Prefetto, verso il quale � significativamente obbligato anche il Questore), 
ma varrebbe nei limiti in cui quest�ultimo abbia titolo ad adottare 
un�ordinanza ex art. 37 D.P.R. 782/85, ossia previa determinazione del Prefetto 
(ex art. 13 comma 4 cit.) su valutazione del Comitato Provinciale per l�Ordine 
e la Sicurezza Pubblica, ex art. 20 ult. cit. 

L�art. 14, infatti, precisa che l�obbligo informativo vale solo �a tale 
scopo� (ovverosia, nei limitati casi in cui il Questore ha �la direzione, la responsabilit� 
e il coordinamento, a livello tecnico operativo, dei servizi di ordine 
e di sicurezza pubblica e dell�impiego a tal fine della forza pubblica e 
delle altre Forze eventualmente poste a sua disposizione�) e non anche �in 
qualsiasi caso�, come invece previsto dall�art. 13, comma terzo legge 121/81 
per le notizie da riferire al Prefetto; la differente disciplina appare peraltro giustificata, 
dal momento che nel secondo caso l�obbligo di informazione - strumentale 
alla cura dell�interesse pubblico alla sicurezza sociale - � generale ed 
incondizionato proprio perch� finalizzato a consentire l�esercizio di una �responsabilit� 
(parimenti) generale dell�ordine e della sicurezza pubblica nella 
provincia�, attribuita dalla legge solo all�organo prefettizio. 

Il Questore � invece una figura a competenza tecnico-operativa che esercita 
una serie di attivit� proprie della polizia di sicurezza ed amministrativa, 
concretizzate in ordinanze, diffide, permessi, licenze ed autorizzazioni. Peraltro, 
in quanto anche dirigente della Polizia di Stato (in parallelo a quanto accade 
con il Direttore del Dipartimento di P.S.), dirige e coordina autonomamente 
l�attivit� della Questura e delle sue eventuali articolazioni in ambito provinciale: 
in tale veste - non quindi quale Autorit� di P.S. - prende parte al Comitato Provinciale 
per l�Ordine e la Sicurezza Pubblica, presieduto dal Prefetto. 

Come generalmente riconosciuto dalla dottrina, l�attuale modello di amministrazione 
periferica della P.S. � frutto di un compromesso tra la volont� 
delle Questure di emanciparsi dalla tutela prefettizia (427) e la necessit� di riservare 
comunque all�Autorit� politica (di cui il Prefetto � espressione, seppur 

(427) In argomento, cfr. LANZARA, Autogoverno della polizia, cit., pp. 433 ss.; ID., Il Prefetto � 
autorit� di p.s. di nome e non di fatto, cit., pp. 310 ss.; BONELLI, Organizzazione delle Forze di polizia, 
cit., pp. 358-359. 


tecnica, in quanto rappresentante locale del Governo) la decisione ultima sulle 
linee-guida cui improntare le scelte di ordine e sicurezza pubblica sul territorio 
nazionale. 

Non volendosi incidere anche sul TULPS (posto che gi� la riforma dell�allora 
Direzione Centrale di P.S. rappresentava un quid pluris rispetto all�originario 
disegno di legge), si prefer� mantenere l�impostazione della doppia 
Autorit� provinciale di P.S., gi� prevista dal R.D. 6 maggio 1940, n. 635, il 
cui art. 1 cos� recitava: �L�Autorit� di pubblica sicurezza � provinciale e locale. 
Sono Autorit� provinciali il Prefetto ed il Questore. � Autorit� locale, in 
ciascun Comune, il funzionario preposto all'ufficio di pubblica sicurezza. Nei 
Comuni dove non esiste un ufficio di pubblica sicurezza, � Autorit� locale il 
Sindaco o chi ne fa le veci�. 

Il suddetto Regolamento, per�, se da un lato formalmente attribuiva al 
Questore (art. 3) �la direzione tecnica [ma non invece quella operativa, che 
permaneva alle singole Forze dell�ordine nell�ambito dei propri ordinamenti 
e funzioni - ndr] di tutti i servizi di polizia e d'ordine pubblico nella provincia�, 
dall�altro precisava che ci� doveva comunque avvenire �alla dipendenza del 
Prefetto�, e dunque riconduceva le �nuove� attribuzioni - al di l� della condivisibilit� 
o meno, nel merito, di tale scelta - ad una coerente unit� di sistema. 

Col venir meno del rapporto di dipendenza gerarchica l�art. 3, seppur non 
formalmente abrogato, cessa di fatto di avere efficacia ed il precedente modello 
unitario (o �monistico�, secondo alcuni) viene parzialmente eroso: solo parzialmente, 
per�, dal momento che il Prefetto conserva una tendenziale centralit� 
nel sistema sicurezza ed addirittura vede accrescere alcune attribuzioni rispetto 
al precedente regime del TULPS. Per contro, la figura del Questore assume dei 
contorni piuttosto sfocati, poich� diventa s� autonomo rispetto all�Amministrazione 
civile dell�Interno (della quale sino a quel momento faceva parte, nel 
solco della riforma del 1925), ma con poteri di fatto non esorbitanti quelli del 
responsabile di una Forza di polizia, al pari degli altri suoi omologhi (428). 

Generalmente la dottrina (429) non si sofferma sulla questione, ma pone 

(428) In effetti, se � vero che la legge 121/81 introduce, ex novo rispetto al TULPS, una doppia incombenza 
per i Comandanti provinciali di Carabinieri e Guardia di Finanza, che devono informare non 
solo pi� il Prefetto, ma pure il Questore (trattandosi, nei fatti, di un�ulteriore Autorit� operante sul territorio, 
rispetto al passato) �su quanto comunque abbia attinenza con l�ordine e la sicurezza pubblica� 

-seppur nei limiti sopra precisati - � anche vero che il Questore non ha alcun diretto ed autonomo potere 
di ordine o di direzione nei confronti delle altre Forze dell�ordine, in quanto dirigente territoriale della 
sola Polizia di Stato (la potest� di direzione e coordinamento, non a caso, testualmente non � riferita 
agli organici che compongono tali Forze, bens� ai servizi di ordine e sicurezza pubblica ed all�impiego, 
a tal fine, della Forza pubblica: coordina e dirige cio� le modalit� di impiego della Forza, ma non anche 
gli organici che la compongono). 

(429) ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, V, Milano 1959, p. 70. Il tema viene ripreso da 
LUZZI, Il nuovo ordinamento dell�Amministrazione della Pubblica Sicurezza, Firenze 1981, pp. 39-40: 
�Con la ricostituzione del Corpo delle Guardie di P.S., in base al citato R.D. 687/1943, con stato militare 


l�accento su alcuni aspetti della riforma ritenuti particolarmente positivi, in primis 
l�apparente ripristino del sistema �a doppio binario� voluto proprio dal legislatore 
del 1925 (430). Tale chiave di lettura si presta per� ad alcuni rilievi, 
poich� non � contestualizzata alle profonde differenze ordinamentali nel frattempo 
intervenute: secondo i suddetti Autori, invero, con l�entrata in vigore 
della legge 121/81 si sarebbe recuperata la tradizionale conformazione del nostro 
ordinamento giuridico, che vedrebbe coesistere - con evidenti vantaggi per 
il mantenimento degli equilibri democratici nazionali - una Forza di polizia ad 
assetto civile (sia pure a carattere speciale), quale la nuova Polizia di Stato, con 
una Forza di polizia ad ordinamento militare (l�Arma dei Carabinieri, destinata 
al servizio permanente di pubblica sicurezza oltre che ai compiti tipici di una 
Forza armata), la cui conformazione sarebbe meno sensibile - al pari di analoghi 
modelli esteri - a particolarismi e condizionamenti di natura politico/ideologica 
(come del resto testimoniato dall�esperienza del XX secolo). 

Non si tiene per� conto del fatto che tale equilibrio, rispetto al precedente 
preso in considerazione, risulta inciso dalla riduzione dei poteri gerarchici del 
Prefetto (ovverosia, proprio dell�Autorit� territoriale di governo), a fronte della 
quale il legislatore non sembra aver operato una qualche forma di bilanciamento, 
ad esempio disponendo una generale redistribuzione delle attribuzioni 
tecnico-operative tra tutte le Forze dell�ordine. 

In estrema sintesi, il legislatore ha ridotto i poteri della �Civil Authority� 
(il Prefetto, occorre ricordarlo, quale Autorit� di P.S. agisce come rappresentante 
del Governo, e non nella veste di funzionario amministrativo), seppure 
nell�intento di separarne i compiti di indirizzo da quelli puramente gestionali, 
ma a tale riduzione non � corrisposto un riequilibrio delle competenze operative 
del settore sicurezza (essendo intervenuta a TULPS invariato). 

Per il resto, la figura prefettizia conserva pressoch� intatta la sua posizione 

e soggezione alla giurisdizione penale militare, si ebbe � un notevole cambiamento in quella che era 
stata la posizione dei due Corpi di pubblica sicurezza (Arma dei Carabinieri e Corpo degli Agenti di 
P.S.), secondo le disposizioni anteriori � che garantivano una polizia come servizio civile e svincolato 
dall�Autorit� militare, estranea, sotto ogni verso, al servizio stesso�. 

(430) Con R.D.L. 2 aprile 1925, n. 383 - rivelatosi fallimentare l�accorpamento (operato con R.D. 
31 dicembre 1922, n. 1680) del Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza (a sua volta nata 
dallo scioglimento delle Guardie di Citt�, disposto con R.D. 2 ottobre 1919, n. 1790) in seno all�Arma 
dei Carabinieri - venne ricostituito il vecchio Corpo degli Agenti di P.S., risalente al 1848, ma privo di 
dirigenti di provenienza �interna� e posto alle dipendenze (quanto ad inquadramento e servizio di polizia) 
di �ufficiali di P.S.�, in realt� funzionari civili dell�Amministrazione di Pubblica Sicurezza (come tali 
gerarchicamente dipendenti dal Prefetto). In precedenza il sistema della pubblica sicurezza in Italia era 
tendenzialmente monistico anche sotto il profilo operativo, riconoscendo la centralit� dei Carabinieri 
Reali (Corpo a competenza generale, a differenza della Gendarmerie francese, ed unico nato come militare 
per vocazione, anche a garantirne l�indipendenza dalle Autorit� civili a beneficio delle quali svolgeva 
l�attivit�, in quanto subordinato solo alla legge), cui si affiancavano alcuni Corpi minori con 
competenze di settore (ad es. il Corpo delle Guardie doganali del 1861, poi evolutosi nel Corpo della 
Regia Guardia di Finanza del 1881, militarizzato nel 1907-1914). Per un�efficace analisi storica si veda 
TINTI, Dai Reali Carabinieri alla 121, Perugia 1999, pp. 13 ss. 


di primazia rispetto al Questore ed - ovviamente - ai vertici delle altre Forze 
dell�ordine. 

In effetti, rispetto al contenuto dell�art. 1 del TULPS e dell�art. 2 del R.D. 
635/40, i compiti del Prefetto risultano non solo pi� circostanziati, ma ampliati 
(art. 13, commi 3 e 4 legge 121/81) alla luce degli obblighi sanciti per i vertici 
di tutte le Forze di polizia di tenerlo tempestivamente informato �su quanto 
comunque abbia attinenza con l�ordine e la sicurezza pubblica nella provincia�, 
nonch� per la disponibilit� (che a lui solo compete e non anche al Questore) 
della Forza pubblica, con le correlate attribuzioni di coordinamento. 

La primazia del Prefetto nei confronti degli uffici periferici dell�Amministrazione 
statale (ivi comprese le Forze di polizia) � funzionale alla conservazione 
dell�ordine pubblico nel quadro della legalit� istituzionale (data in 
primis dall�equilibrio dei poteri): invero, nell�attuale assetto costituzionale la 
figura di un organo legato da un vincolo fiduciario con il Governo e da un rapporto 
gerarchico con il Ministro dell�Interno (�Alta Autorit� Nazionale di P.S.� 
(431)) appare ineliminabile, atteso che a livello territoriale l�amministrazione 
dell�ordine pubblico - pur dovendo necessariamente essere affidata ad un organo 
di indirizzo politico, in ragione del rango degli interessi coinvolti (432) 

- non appare efficacemente gestibile da organi elettivi locali, che naturalmente 
tenderebbero a rispondere pi� ai propri elettori che al Governo ed al Ministro 
(titolari dell�esclusiva responsabilit� in materia). 

Quella esercitata dal rappresentante del Governo � infatti una funzione 
di equilibrio che - al di l� delle forme amministrative in cui venga concretamente 
tradotta - non pu� mancare in un sistema statale compiuto. 

In questi termini, le molteplici competenze prefettizie devono essere inquadrate 
nella logica unificante della funzione di rappresentanza del Governo 
sul territorio, che altres� giustifica il carattere generale delle relative 
attribuzioni. 

Ci� spiega l�eccezionale rapporto di servizio che lega il Prefetto al Governo, 
simile per molti aspetti a quello degli Ambasciatori, vincolati all�Esecutivo 
- prima ancora che da un rapporto di dipendenza gerarchica - da un 
legame fiduciario (433) che assicura loro una sfera di autonomia (anche di indirizzo 
politico), nel cui esercizio sono per� integralmente chiamati a rispondere 
delle decisioni assunte. 

Particolarit� che viene riconosciuta dalla normativa vigente laddove, 
nell�articolato assetto delle Autorit� (nazionali, provinciali e locali) preposte 

(431) Il rapporto � invece funzionale con gli altri Ministri, che per suo tramite emanano le direttive 
rivolte alle proprie Amministrazioni periferiche. 

(432) Si tratta, in effetti, di funzioni essenziali per la vita dello Stato, che necessariamente richiedono 
l�individuazione di un�Autorit� responsabile unitaria. In questi termini, pi� diffusamente, gi� SANTORO, La 
riforma costituzionale dello Stato. Lo Stato delle autonomie e l�istituto prefettizio, Roma 1978, pp. 17 ss.. 

(433) Cos�, testualmente, MEOLI, op. ult. cit., p. 393. 


all�elaborazione ed all�attuazione delle politiche di ordine e sicurezza pubblica 
(ex lege 121/81, che ribadisce sul punto le attribuzioni ex art. 19 TULCP), il 
Prefetto, quale rappresentante del Potere Esecutivo in provincia, � chiamato 
ad attuare l�indirizzo politico trasmesso dal Ministro dell�Interno - Autorit� 
nazionale di P.S. (434). 

Per contro, appare evidente l�impropriet� di concentrare nelle mani di un 
solo apparato amministrativo (sia esso una Forza di polizia, un Corpo militare 

o quant�altro) un potere che � eminentemente politico. 

Per queste ragioni l�impostazione di fondo della legge 121 appare in parte 
incompleta, in parte incoerente con le sue stesse premesse: da un lato, infatti, 
correttamente l�art. 13 attribuisce al Prefetto (in quanto Autorit� - anche politica 

-di indirizzo) non solo la �responsabilit� generale dell�ordine e della sicurezza 
pubblica� in ambito provinciale, ma pure la sovrintendenza all�attuazione delle 
direttive adottate in materia, il che comporta che tutte le Forze competenti sono 
tenute a tenerlo �tempestivamente informato � su quanto comunque abbia attinenza 
con l'ordine e la sicurezza pubblica nella provincia�, dando applicazione 
al principio generale del primato dell�Autorit� politica di governo (la 
�Civil Authority�, secondo l�accezione anglosassone utilizzata anche dal Consiglio 
d�Europa - cfr. retro) su quella amministrativa (435). 

(434) L�art. 13 della legge 121/81 gli conferisce infatti la responsabilit� generale dell�ordine e 
della sicurezza pubblica nella provincia, oltre alla potest� di sovrintendere all�attuazione delle direttive 
emanate in materia. A ci� aggiungasi quanto previsto dall�art. 12, comma sesto, della legge 12 luglio 
1991 n. 203, a mente del quale lo stesso �assicura l�unit� di indirizzo ed il coordinamento dei compiti 
e delle attivit� degli ufficiali e degli agenti di P.S. promuovendo le misure occorrenti�, misure che possono 
�in qualche modo sostanziare anche un diretto coinvolgimento del Prefetto nella determinazione 
delle modalit� di attuazione concreta dei servizi di polizia� (cfr. MEOLI, op. ult. cit., p. 398). Per le stesse 
ragioni un emendamento governativo al progetto di riforma dell�ordinamento di P.S. del 2001 (il n. 
17.15), poi ritirato, coerentemente prevedeva un riequilibrio delle competenze prefettizie rispetto a quelle 
del Questore, giustificato dalla preponderante posizione di organo di indirizzo politico del primo: �Acquisite 
le proposte e gli altri elementi forniti dai componenti del Comitato [di cui all�art. 20 - ndr], il 
Prefetto individua, nell�ambito delle direttive emanate in materia, gli interventi da effettuarsi, anche da 
parte delle altre amministrazioni interessate, per incrementare la sicurezza nelle diverse aree del territorio 
provinciale e definisce gli obiettivi da conseguirsi da parte delle Forze di polizia operanti nella 
provincia e delle altre forze messe a sua disposizione, adottando gli atti di indirizzo o le intese occorrenti 
e verificando periodicamente i risultati conseguiti�. 
Il Prefetto predispone, in attuazione delle direttive ministeriali (dunque con ampio margine di discrezionalit� 
amministrativa), piani coordinati di controllo del territorio che i responsabili delle Forze di polizia 
devono attuare nel rispetto della propria autonomia. Nella formulazione di questi, come pi� in 
generale nell�attuazione dell'attivit� di coordinamento, il Prefetto si avvale del �Comitato Provinciale 
per l�Ordine e la Sicurezza Pubblica�, organo consultivo del quale fanno parte il Questore, il Comandante 
Provinciale dei Carabinieri ed il Comandante di Gruppo della Guardia di Finanza, la cui composizione, 
estensibile anche a soggetti esterni all�Amministrazione della P.S., contribuisce a rendere 
trasparente e compiuta la natura della funzione di coordinamento. 

(435) Il ruolo primario del Prefetto emerge dalla complessit� delle sue competenze, che giustificano 
l�attribuzione esclusiva - quale strumentale complemento - delle funzioni di ordine e sicurezza pubblica: 
secondo l�art. 11 del D.lgs n. 300/1999 (principio ripreso dal D.P.R. 180/06), ferme restando le proprie incombenze 
(attribuite da specifiche norme di legge), �assicura l�esercizio coordinato dell'attivit� ammini



Di converso, una volta appurato che per evidenti ragioni di opportunit� 
funzionale il legislatore ha inteso attribuire in via esclusiva agli organi operativi 
la concreta attuazione delle indicazioni prefettizie, non si spiega la parallela, 
mancata ri-organizzazione di siffatte attribuzioni tra le diverse Forze 
presenti sul campo, tanto pi� ove si consideri che le politiche di decentramento 
attuate in Italia a partire dagli anni Settanta - un decennio prima del varo della 
riforma - a rigor di logica avrebbero presupposto un�evoluzione del modello 
operativo di pubblica sicurezza verso forme di gestione capillare e decentrata, 
cui sarebbe risultata ben pi� adeguata una struttura �reticolare� rispetto a 
quella (�policentrica�) accentrata del TULPS. 

L�impropriet� della tecnica normativa si riflette infine nella parziale sovrapposizione 
che caratterizza il rapporto tra le due Autorit� provinciali di P.S. 

Si consideri, ad esempio, che l�art. 14 attribuisce al Questore - parallelamente 
alle competenze �politiche e di indirizzo� del Prefetto -�la direzione, la 
responsabilit� ed il coordinamento a livello tecnico operativo dei servizi di ordine 
e sicurezza pubblica�, il che pu� concretamente tradursi - nell�ipotesi non 
infrequente (soprattutto nei capoluoghi non metropolitani, dove l�organico della 
Polizia di Stato � sovente inferiore a quello delle altre Forze dell�ordine) di 
dover ricorrere all�apporto di personale �esterno� per lo svolgimento di determinati 
servizi, laddove risulti insufficiente quello della locale Questura. Personale 
che tendenzialmente dovrebbe anch�esso provenire dagli organici della 
Polizia di Stato (tale sembrerebbe essere la ratio dell�art. 38 D.P.R. 782/85 �
Regolamento di Servizio dell�Amministrazione della Pubblica Sicurezza� ), 
ma che per ragioni di praticit� in concreto risulta spesso attinto dai contingenti 
locali delle altre Forze dell�ordine, a seguito di intese con i rispettivi Comandi 
intercorse in sede di Comitato Provinciale per l�Ordine e la Sicurezza Pubblica. 

In tal caso la valutazione in ordine alla richiesta di tale ulteriore personale 
spetta al Prefetto, ai sensi dell�art. 38 cit., che per� - una volta ottenutolo - non 
potr� poi concretamente dirigerne l�attivit�, n� coordinarne operativamente 

strativa degli uffici periferici dello Stato e garantisce la leale collaborazione di tali uffici con gli enti locali�. 
Nell�esercizio di quest�attivit� di coordinamento, il Prefetto �pu� richiedere ai responsabili delle strutture 
amministrative periferiche dello Stato l'adozione di provvedimenti volti ad evitare un grave pregiudizio 
alla qualit� dei servizi resi alla cittadinanza anche ai fini del rispetto della leale collaborazione con le autonomie 
territoriali. Nel caso in cui non vengano assunte nel termine indicato le necessarie iniziative, il 
Prefetto, previo assenso del Ministro competente per materia, pu� provvedere direttamente, informandone 
preventivamente il Presidente del Consiglio dei Ministri�. In tale contesto, � coadiuvato da una Conferenza 
provinciale permanente, da lui presieduta e composta dai responsabili di tutte le strutture amministrative 
periferiche dello Stato che svolgono attivit� nella provincia, nonch� da rappresentanti degli enti locali. Il 
Prefetto titolare della Prefettura-UTG nel capoluogo della regione � altres� coadiuvato da una Conferenza 
permanente composta dai rappresentanti delle strutture periferiche regionali dello Stato, alla quale possono 
essere invitati i rappresentanti della Regione. Per un comprensivo studio sul tema, cfr. LEGA, Prospettive 
di riordino dell�amministrazione periferica dello Stato: il valore aggiunto dell�UTG, Roma 2008 (in 
http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/15/0254_valore_ 
aggiunto_UTG.pdf). 


l�azione (ove provenga da diverse Forze di polizia), dovendolo invece mettere 
a disposizione del Questore (l�altra Autorit� provinciale di pubblica sicurezza) 
ai fini del coordinamento, con evidente duplicazione di passaggi (436). 

Ancora, tanto il Prefetto quanto il Questore, nel proprio ruolo di Autorit� 
di P.S., sono titolari del potere di emettere ordinanze: l�art. 2 TULPS, in particolare, 
attribuisce al Prefetto la capacit� di emanare ordinanze contingibili ed 
urgenti per far fronte a situazioni di improvvisa necessit� che mettano in pericolo 
l�ordine e la sicurezza pubblica, laddove non sia possibile ricorrere agli 
ordinari mezzi di tutela predisposti dal legislatore. 

Caratteristica delle ordinanze prefettizie � la capacit� di innovare, seppur 
temporaneamente, l�ordinamento giuridico, potendo anche derogare, 
entro certi limiti, ad alcune disposizioni di legge. Per tale ragione, la possibilit� 
di adottarle viene riservata all�Autorit� politica (recte, di governo), 
presupponendo un bilanciamento di interessi che esula dall�attivit� prettamente 
amministrativa. 

Il potere di ordinanza del Questore - dovuto invece alla necessit� di coordinare, 
in eccezionali frangenti, anche il personale di altre Forze di polizia 
da lui non dipendenti - � pi� limitato e riferibile al solo personale inserito, ratione 
temporis, nell�Amministrazione di P.S. (e non anche alle altre Forze di 
polizia nel loro complesso (437)); un potere, in pratica, circoscritto alle tipiche 
ordinanze di servizio ex art. 37 D.P.R. 782/85, con cui il Questore stabilisce 
le modalit� di espletamento dei servizi in materia di ordine e sicurezza pubblica. 
Non pu� quindi trovare accoglimento l�interpretazione di quella dottrina 
che vorrebbe equiparare, quanto a natura giuridica ed efficacia, le ordinanze 
questorili a quelle prefettizie. 

La legge 1� aprile 1981 n. 121 ha formalmente attribuito la responsabilit� 
(politica) della tutela dell�ordine e della sicurezza pubblica al Ministro del-
l�Interno, al quale � stata riconosciuta la qualifica di responsabile nazionale 
di pubblica sicurezza. 

In detta veste, per�, questi non ha alcuna autonomia operativa, posto che 
nello svolgimento concreto delle proprie funzioni deve avvalersi di un complesso 
di uffici costituenti l�Amministrazione della Pubblica Sicurezza, di cui 
fanno parte, a livello centrale, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ed a 

(436) Duplicazione del resto poco comprensibile anche in termini di trasparenza amministrativa, 
ove si consideri la terziet� del Prefetto rispetto alle Forze in campo, a differenza del Questore (che � a 
capo di una di esse). 

(437) La dottrina (GULLOTTI, Riflessioni sul coordinamento delle Forze di polizia in ambito provinciale, 
in Riv. Polizia 12/1996, p. 820) evidenzia come la legge n. 121/81 abbia circoscritto la direzione 
del Questore ai soli servizi di ordine e sicurezza pubblica e non pi� a �tutti i servizi di polizia� 
nella provincia. Inoltre, il coinvolgimento delle altre Forze nei servizi di ordine e sicurezza pubblica 
viene deciso dal Prefetto: invero, se venisse invece deciso dal Questore si sarebbe in presenza di un ordine 
illegittimo, poich� dato in violazione dell�art. 16 della legge n. 121/1981 che mantiene fermi gli 
ordinamenti e le dipendenze di ciascun Corpo o Forza di polizia. 


livello provinciale (ed eventualmente locale) le Autorit� di P.S. ed il personale 
che da queste dipende. 

In tale contesto, a livello provinciale il Prefetto svolge un duplice ruolo 

(438) quale preposto all�attuazione delle direttive ministeriali ed al coordinamento 
(pur non operativo) delle Forze di polizia, nonch� quale responsabile 
provinciale dell�ordine e della sicurezza pubblica. 

Il Prefetto non appartiene alla struttura gerarchica che fa riferimento al 
Capo della Polizia (e di cui fa invece parte il Questore) ma � per contro vincolato 
gerarchicamente al Ministro (a differenza, de facto, degli ultimi due, 
per i quali attualmente non opera pi� alcuna norma speciale che concretamente 
attribuisca specifici poteri gerarchici al Ministro, in deroga al regime generale 
del D.lgs. 165/01): questo singolare �incrocio� di dipendenze porta di fatto a 
marginalizzare le funzioni del Ministro rispetto a quelle esercitate dal proprio 
organo dipartimentale ausiliario, che infatti non solo non � legato al primo da 
un diretto vincolo di subordinazione gerarchica (potendo per contro prevalere 
sul Prefetto territoriale, perlomeno sul piano funzionale), ma pure ha l�esclusivo 
potere di tradurre in pratica le indicazioni generali del Ministro, che operativamente 
(ex lege) non pu� farne a meno. 

B.4) SICUREZZA URBANA E POTERI DEL SINDACO QUALE RAPPRESENTANTE DEL 
GOVERNO. IL MODELLO DELLA CD. �SICUREZZA PARTECIPATA�. 

L�art. 6 del D.L. 92/2008, modificando l�art. 54 del D.lgs. 267/2000 (TUEL 

-Testo Unico delle leggi sull�ordinamento degli Enti locali), ha ampliato le 
attribuzioni del Sindaco nelle funzioni di competenza statale, che attualmente 
sovrintende anche alle seguenti incombenze: a) emanazione di atti in materia 
di ordine e sicurezza pubblica; b) svolgimento di funzioni in materia di pubblica 
sicurezza e di polizia giudiziaria; c) vigilanza su tutto quanto possa interessare 
la sicurezza e l�ordine pubblico, informandone il Prefetto. 

Svolge inoltre compiti in materia elettorale, di stato civile, leva militare 
e statistica. 

Laddove nel Comune non sia presente un Commissario distaccato di P.S. 
� anche Autorit� locale (sussidiaria) di P.S., peraltro piuttosto anomala posto 
che, pur essendo indiscutibilmente un�Autorit� politica (439), in tale veste 
deve pur tuttavia informare il Questore di eventuali pubbliche riunioni non 
preavvisate, provvedendo, in caso di urgenza, ad impedire che queste abbiano 
luogo o a vigilarne lo svolgimento (art. 28 R.D. 635/40). 

(438) Pi� in generale, le aree funzionali di competenza del Prefetto sono quattro, ossia l�amministrazione 
generale, la pubblica sicurezza, l�amministrazione civile e la protezione civile, che riassumono 
la molteplicit� delle funzioni tipiche dell�Autorit� �civile� di governo, rappresentata a livello 
territoriale da tale organo. In argomento si veda MEOLI, Prefetto, in Dig. Disc. Pubbl. XII, Torino 1997, 
pp. 392 ss. 

(439) Nell�esercizio delle funzioni di P.S. agisce, del resto, quale ufficiale del Governo. 


Nello schema della legge 121, in realt�, il Sindaco � inquadrato in una 
posizione di subordinazione funzionale nei riguardi del Prefetto e del Questore, 
dai quali pu� essere chiamato a collaborare (nei limiti delle competenze del-
l�Ente locale) per un miglior espletamento della funzione di P.S. 

L�art. 54 TUEL, nel confermarne la precedente potest� di adottare provvedimenti 
contingibili ed urgenti per prevenire o eliminare situazioni di grave 
pericolo che minaccino l�incolumit� pubblica - potest� riconosciuta proprio 
in quanto Autorit� politica, nonch� ufficiale del Governo - estende tale potere 
ordinatorio ad una nuova materia, la �sicurezza urbana�, da esercitarsi �nel 
rispetto dei principi generali dell�ordinamento�. 

Le ordinanze indicate all�art. 54, comma settimo TUEL possono essere rivolte 
ad una generalit� di destinatari, come pure a soggetti determinati; in questo 
secondo caso, per l�ipotesi di inottemperanza, il Sindaco pu� provvedere 
d�ufficio, a spese degli interessati. 

Nella versione ante-riforma della norma (che non contemplava la �sicurezza 
urbana�), la giurisprudenza amministrativa aveva tentato di definire gli 
ambiti ed i presupposti dell�intervento ordinatorio sindacale: dall�esistenza di 
un concreto ed effettivo pericolo per la pubblica incolumit� alla circostanza 
che tale pericolo non fosse affrontabile con i normali strumenti di amministrazione 
attiva (Cons. Stato, sez. V, 8 maggio 2007, n. 2109); dall�esigenza di 
un�adeguata istruttoria (TAR Lazio, Roma, sez. II, 14 febbraio 2007, n. 1352) 
al rispetto dei principi generali dell�ordinamento (TAR Umbria, 16 aprile 2007, 

n. 314); dalla verifica dei presupposti di urgenza (TAR Veneto, sez. III, 6 
marzo 2007, n. 637) alla necessit� di tenere ben distinti scopi e natura degli 
istituti giuridici, evitando che rimedi finalizzati, ad esempio, ad assicurare la 
sicurezza della circolazione, potessero essere utilizzati, all�opposto, per intervenire 
in materia di ordine pubblico (Cassazione, sez. I civ., sent. 5 ottobre 
2006, n. 21432, in relazione all�esercizio della prostituzione). 

Con la novella del 2008, secondo la relazione al decreto legge (che riprende 
i contenuti del d.d.l. presentato nella precedente legislatura sub A.C. n. 3278), 
si mirava a potenziare �gli strumenti a disposizione del Sindaco per il contrasto 
della criminalit� locale�, in un nuovo �bilanciamento tra le prerogative statali 
in tema di sicurezza pubblica e l�esigenza di valorizzare, anche in tale ambito 
materiale, il ruolo degli enti locali�. Centrale, in questo contesto (440), � quindi 

(440) In base al riparto delle funzioni contenuto nel Titolo V della Costituzione, � possibile individuare: 
A) una riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, nella materia �ordine pubblico 
e sicurezza� (articolo 117, secondo comma, lett. h), materia che, chiarisce la Corte Costituzionale, riguarda 
la prevenzione dei reati ed il mantenimento dell�ordine pubblico e nella quale l�attribuzione in 
via esclusiva consente allo Stato di dettare una disciplina anche di dettaglio (sent. n. 218 del 1988); B) 
una competenza concorrente in una serie di materie particolarmente rilevanti (residuando in tal ambito, 
al legislatore statale, la sola determinazione dei principi fondamentali), che vanno dal governo del territorio 
alla tutela della salute (art. 117, comma 3); C) in terzo luogo, si stabilisce che ogni materia non 


la nozione di �sicurezza urbana� contenuta nel successivo decreto del Ministro 
dell�Interno 5 agosto 2008 (in attuazione della delega contenuta all�art. 4-bis del 

D.L. 92/2008 (441)), a mente del quale �Ai fini di cui all'art. 54 del decreto legislativo 
18 agosto 2000, n. 267, � per incolumit� pubblica si intende l�integrit� 
fisica della popolazione e per sicurezza urbana un bene pubblico da tutelare attraverso 
attivit� poste a difesa, nell'ambito delle comunit� locali, del rispetto 
delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilit� 
nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale�. 

A differenza di quanto previsto per l�incolumit� pubblica, nel secondo 
caso il legislatore fa uso di una nozione piuttosto generica, che coniuga le condizioni 
di vivibilit� dei centri urbani con due ulteriori finalit�: richiamando testualmente 
la pi� recente letteratura sul tema (442), �nello schema del 
provvedimento all�indicazione dell�ambito concettuale delle due nozioni dovrebbe 
far seguito l�indicazione delle fattispecie applicative in relazione alle 

riservata allo Stato sia di competenza legislativa delle Regioni (art. 117, comma 4), tranne la determinazione 
dei livelli essenziali delle prestazioni che riguardano i diritti civili e sociali, che � comunque riservata, 
in maniera uniforme sull�intero territorio nazionale, allo Stato (art.117, secondo comma, lett. 
m). Tra le materie che dunque rientrano nella competenza propria delle Regioni vi � espressamente la 
polizia amministrativa locale nonch� - in virt� del silenzio serbato dalla Carta Costituzionale - ambiti 
quali, ad esempio, i servizi sociali. 
A quest�ordine di competenze fa riferimento il decreto 5 agosto 2008 del Ministro dell�Interno, nel definire 
la nozione di sicurezza urbana, precisando che la tutela dell�ordine e della sicurezza pubblica � 
riservata esclusivamente allo Stato. 
In termini del tutto diversi si presenta, in Costituzione, il riparto delle funzioni amministrative. 
La riforma del 2001 ha infatti abbandonato l�originario parallelismo tra la titolarit� di competenze legislative 
ed amministrative, per adottare due autonomi sistemi: 1) uno basato sul riparto per materie, per 
quanto attiene le funzioni legislative (art. 117); 2) l�altro sul principio di sussidiariet�, per quelle amministrative 
(art. 118). Per l�effetto, queste ultime spettano primariamente al Comune, salvi i casi in cui 
questo risulti inadeguato: �Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni, salvo che, per assicurarne 
l�esercizio unitario, siano conferite a province, citt� metropolitane, regioni e Stato�. Allo Stato 
viene comunque riservata la competenza a fissare e determinare le funzioni fondamentali dei Comuni 
(art.117, secondo comma, lett. p), funzioni che per� non sono state ancora definite. 
Sempre in materia di sicurezza si richiama infine il terzo comma dell�art. 118 Cost. che prevede, in determinati 
settori (quali l�immigrazione e la tutela dei beni culturali), che la legge statale disciplini forme 
di coordinamento tra Stato e Regione: esigenza, questa, fortemente connessa alle cd. politiche integrate 
per la sicurezza, tipiche del modello UE, secondo una concezione che configura la pubblica sicurezza 
come un risultato complessivo coinvolgente pi� settori dell�Amministrazione (e non solo), al quale devono 
quindi concorrere competenze ed istituzioni politiche diverse. 

(441) Attenta dottrina (PAJNO, La Sicurezza Urbana, Santarcangelo di Romagna 2010, pp. 40 ss.) 

-nel ricordare che la sicurezza urbana � pur sempre una funzione statale (secondo la lettura fornita da 
Corte Cost. 1� luglio 2009, n. 196) - evidenzia l�atipicit� di tale rinvio, per effetto del quale la legge rischia 
di tradursi in una �norma in bianco� il cui ambito di applicazione verrebbe determinato da un atto 
di natura �sub legislativa�, qual � un decreto ministeriale: eventualit� potenzialmente illegittima ai sensi 
del secondo comma dell�art. 117 Cost., che riserva comunque una serie di competenze alla legislazione 
dello Stato, come pure del secondo comma dell�art. 118 Cost., che parimenti fa riferimento a funzioni 
conferite con legge, mentre nel caso di specie si sarebbe erroneamente in presenza di un rinvio integrale 
ad una fonte non legislativa. 

(442) PAJNO, op. ult. cit., pp. 38 ss.. 


quali i Sindaci dovrebbero esser chiamati ad esercitare i propri poteri di ordinanza: 
in realt� fra le due disposizioni � esiste uno squilibrio significativo, 
sia perch� in esse diversa sembra essere l�idea di sicurezza urbana che le 
ispira, sia perch� gli interventi indicati all�art. 2 sembrano riferirsi esclusivamente 
alla sicurezza urbana e non anche alla pubblica incolumit��. 

La sicurezza urbana non viene considerata un semplice problema di ordine, 
ma piuttosto una prestazione pubblica cui corrisponde l�interesse del cittadino 
ad un �godimento� della citt�. Una concezione che in parte si discosta 
da quella individuata all�art. 54 TUEL, sia dall�impianto di fondo del TULPS, in 
quanto caratterizzata non solo da interventi di tipo preventivo e repressivo, 
ma anche di carattere promozionale della qualit� della vita (443). 

Va comunque ricordato che la �sicurezza urbana� � materia di esclusiva 
competenza statale (444). 

I poteri del Sindaco, infatti, sono ad esso attribuiti solo in qualit� di ufficiale 
del Governo (art. 54 TUEL, che nella nuova formulazione riconduce le 
attribuzioni del sindaco all�esercizio di funzioni statali e non pi�, come nel 
vecchio testo, di servizi statali) e non invece quale Autorit� amministrativa e/o 
politica locale (ex art. 50 TUEL). 

Poich� rientrano nel pi� vasto ambito della sicurezza pubblica, a seguito 
della riforma del 2008 tutte le ordinanze contingibili ed urgenti adottate dal 
Sindaco devono essere comunicate al Prefetto, anche (ma non solo) ai fini 
della loro attuazione. 

La novit� non � marginale. In precedenza, quando le ordinanze potevano 
essere emanate solo per minacce all�incolumit� dei cittadini, non sussisteva 
alcun obbligo di comunicazione ed il Sindaco poteva darvi diretta esecuzione, 
richiedendo l�assistenza della Forza pubblica solo in caso di effettiva necessit�. 

A seguito della novella, invece, la predisposizione degli strumenti per 
l�attuazione di una qualsiasi ordinanza sindacale ex art. 54 TUEL � in ogni caso 
rimessa al Prefetto, che deve anche valutare se la stessa possa produrre conseguenze 
sui Comuni viciniori e, in caso affermativo, indire un�apposita conferenza 
dei soggetti interessati. 

Se il Ministro dell�Interno pu� adottare dei generali atti di indirizzo per 
l�esercizio delle funzioni previste dall�art. 54 TUEL da parte del Sindaco, per 
contro il Prefetto pu� direttamente esercitare - con proprio provvedimento un 
potere di avocazione, sostituzione ed annullamento anche nei casi di iner


(443) In questi termini, gi� SELMINI (a cura di), La sicurezza urbana, Bologna 2004. 

(444) Depone in tal senso anche la circostanza che sin dalle premesse del provvedimento si richiama 
- a fondamento del potere esercitato - proprio l�art. 117 comma 2 lett. h) Cost., che ribadisce appunto 
la competenza esclusiva statuale, come pure la successiva lettera m), dovendosene dedurre che il 
provvedimento del Sindaco trova giustificazione nel �fine di assicurare uniformit� su tutto il territorio 
nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali�, attributo quest�ultimo 
della sola Amministrazione statale. 


zia: ci� poich� il Sindaco, nella sua qualit� di ufficiale del Governo, opera 
come organo dello Stato in rapporto di dipendenza gerarchica dal Prefetto (da 
ultimo, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 3076/08). 

Quanto sopra trova decisiva conferma nella sentenza n. 196 del 2009 della 
Corte Costituzionale, che ha inquadrato i �nuovi� poteri del Sindaco tra quelli 
finalizzati alla prevenzione e repressione dei reati, con ci� riconducendoli alla 
materia �sicurezza pubblica� prevista dall�art. 117, comma 2, lett. h) Cost. di 
competenza statale - escludendo per contro che si tratti di funzioni di polizia 
amministrativa, attribuite alla competenza normativa regionale; conclusione 
ribadita dall�Alta Corte con le successive sentenze nn. 226 e 274 del 2010. 

In esse viene chiarito che la nozione di �sicurezza urbana� comprende 
anche le attivit� di prevenzione e repressione dei reati, come implicitamente 
desumibile dall�art. 40 del D.L. 92/2008, a mente del quale �I Sindaci, previa 
intesa con il Prefetto, possono avvalersi della collaborazione di associazioni 
tra cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o 
locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni 
di disagio sociale�. Il successivo art. 42 attribuisce preferenza alle associazioni 
costituite da personale in congedo delle Forze dell�ordine, delle 
Forze armate o di altri Corpi dello Stato, precisando che le loro segnalazioni 
vanno indirizzate esclusivamente alle Forze di polizia. 

Trattandosi di materia estranea alle attribuzioni regionali, non trovano 
spiegazione i virtuosismi dialettici di alcune normative regionali che tentano 
di incidere su segmenti di potere statale argomentando su un �sistema di sicurezza 
pubblica integrata� e/o di �sicurezza pubblica negoziata�. 

In materia di sicurezza urbana, inoltre, la Corte Costituzionale (sentenza 
4 aprile 2011, n. 115) ha stabilito che il Sindaco, in base all�art. 54 TUEL, pu� 
emanare unicamente ordinanze contingibili ed urgenti, sempre che ne ricorrano 
i tassativi presupposti: il Giudice delle Leggi ha quindi dichiarato l�illegittimit� 
di sistema dell�art. 54 comma quarto del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (come 
novellato dal D.L. 92/2008) poich� lo stesso avrebbe conferito al Sindaco il 
potere di emettere ordinanze anche al di fuori dei presupposti di necessit� ed 
urgenza, con discrezionalit� sostanzialmente illimitata (445). 

Ci� violerebbe il principio secondo cui �in ogni conferimento di poteri 
amministrativi deve essere osservato il principio di legalit� sostanziale�, che 
non consente �l�assoluta indeterminatezza� del potere conferito e la conseguente 
totale libert� d�azione dell�Autorit� amministrativa; ad avviso della 
Corte, l�illegittimit� va ravvisata nel contrasto con gli artt. 23 e 97 Cost., dai 
quali pu� dedursi che �la legge che attribuisce ad un ente il potere di imporre 

(445) Nella precedente sentenza n. 196 del 2009 la Corte aveva evidenziato come il tenore della 
norma si prestasse anche all�adozione di provvedimenti di �ordinaria amministrazione� a tutela dell�incolumit� 
e della sicurezza urbana. 


una prestazione non lascia all�arbitrio dell�ente impositore la determinazione 
della prestazione�. La mancata previsione, nell�art. 54 comma quarto TUEL, 
di limiti alla discrezionalit� amministrativa viola quindi l�art. 23 Cost. (446). 

Ad ulteriore conferma che il D.L. 92/2008 si mantiene saldamente all�interno 
della logica statuale vi � poi la circostanza che il nuovo comma 4-bis 
dell�art. 54 rinvia ad un Decreto del Ministro dell�Interno (cio� proprio al-
l�Autorit� nazionale di pubblica sicurezza), che determini l�ambito di applicazione 
del nuovo potere di ordinanza ed i concetti di �incolumit� pubblica� 
e di �sicurezza urbana�. 

A ci� aggiungasi la devoluzione, allo stesso Ministro, del potere di adottare 
atti di indirizzo per l'esercizio delle funzioni previste dall'art. 54. 

Va infine escluso che il Sindaco possa delegare ad un assessore o altra 
persona l�esercizio del potere ex art. 54 TUEL, dal momento che solo chi sostituisce 
istituzionalmente il Sindaco pu� esercitarne le funzioni di competenza 
statale, laddove per contro il potere di ordinanza non rientra tra quelli che, ai 
sensi del comma 10 della norma, possono essere delegati. 

La nozione di �sicurezza urbana� � cosa del tutto distinta dalla �polizia 
urbana�, che invece attiene alla polizia amministrativa locale. 

Il nuovo comma 2 dell�art. 54 TUEL stabilisce inoltre che il Sindaco, nel-
l�esercizio delle funzioni di competenza statale, �concorre ad assicurare 
anche la cooperazione della polizia locale con le Forze di polizia statali, nel-
l�ambito delle direttive di coordinamento impartite dal Ministro dell�Interno 

-Autorit� nazionale di pubblica sicurezza�: diversamente da quanto previsto 
all�art. 3 della legge 65/1986 (�Legge quadro sull�ordinamento della polizia 
municipale� ), la collaborazione di quest�ultima - in prospettiva - non dovrebbe 
pi� limitarsi ad ipotesi eccezionali, nell�ambito di operazioni specifiche, per 
divenire istituzionale ed ordinaria. 

In pratica, quando venga a cooperare nell�ambito delle direttive dell�Autorit� 
nazionale di P.S., la polizia municipale verrebbe ad agire nell�ambito di 
competenze statali di pubblica sicurezza (come tale verrebbe posta a disposizione 
del dirigente del servizio, a seconda dei casi un funzionario di polizia o 
un ufficiale dell�Arma dei Carabinieri) e per l�effetto dipenderebbe (447) funzionalmente 
dal Prefetto, operativamente dal Questore e gerarchicamente dal 
proprio Comando. 

(446) Un ulteriore profilo di censura viene individuato sub art. 3 Cost., posto che �gli stessi comportamenti 
potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del 
territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci�. L�imparzialit� della P.A. 
(ex art. 97 Cost.), inoltre, nel sistema dell�art. 54 TUEL non verrebbe garantita per l�assenza di una previsione 
normativa �posta a fondamento, formale e contenutistico, del potere sindacale di ordinanza�. 

(447) Si tratta peraltro di un�ipotesi in fieri, attesa l�estrema complessit� della formazione del personale 
da destinare ai servizi di ordine pubblico (cui sono, non a caso, dedicate apposite specialit� delle 
principali Forze di polizia nazionali) a fronte dell�assenza di capacit� specifiche delle polizie locali, ordinariamente 
dedite a funzioni amministrative e per di pi� frammentate sul territorio. 


Va evidenziato, sotto questo punto di vista, che a differenza dell�art. 3, 
comma secondo, lett. c) legge 121/81, il nuovo art. 54 TUEL (norma speciale 
rispetto alla prima) non limita tale possibilit� ai soli funzionari in possesso 
della qualifica di agenti di pubblica sicurezza: ne discende per� non tanto 
un�apertura del legislatore verso una maggiore collaborazione interforze (verosimile 
ratio della novella legislativa), ma piuttosto un�ulteriore incoerenza 
di sistema, dovuta al fatto che si � operato un isolato �innesto� sulla normativa 
preesistente, senza coordinarlo con la disciplina da questa presupposta (ovverosia 
la legge 121/81 ed il TULPS). 

In effetti, proprio il carattere speciale della previsione di cui all�art. 54 
comma secondo TUEL, unitamente al fatto che si tratta di norma sopravvenuta 
a quella contenente i limiti di cui si � detto (l�art. 3 cit.) consente, a rigore, di 
sostenere che ancora una volta il sistema della pubblica sicurezza, cos� 
come descritto dalla legge 121, pare relegare in secondo piano i requisiti 
funzionali dei soggetti che vi partecipano, per privilegiarne altri di carattere 
pi� propriamente amministrativo. 

Ci� premesso, la riforma dell�art. 54 TUEL non ha mancato di sollevare altre 
questioni, legate in particolare alla logica di decentramento che la ispirerebbe. 

Parte della dottrina (448) ha infatti letto in tale operazione una concreta 
erosione, da parte dell�Autorit� di governo, di attribuzioni amministrative che 
per loro natura avrebbero dovuto competere ai Consigli comunali: premesso 
che la legge non consente di attribuire a questi ultimi (organi dell�Ente locale) 
alcun potere in materia di sicurezza pubblica, non sono infatti rari i casi in cui 
le ordinanze dell�ufficiale di Governo hanno concretamente operato a prescindere 
dalle competenze dell�organo consiliare, soprattutto in materia di polizia 
urbana, materia attribuita alla potest� regolamentare del Comune. 

In tal modo lo Stato, lungi dall�attribuire (decentrare) nuove competenze 
(e potest�) al vertice politico dell�Ente locale, in realt� avrebbe utilizzato la 
stessa persona fisica - stavolta in veste di ufficiale del Governo - per attrarre 
competenze che ai sensi dell�art. 117 comma sesto Cost. avrebbero dovuto essere 
disciplinate in sede consiliare. 

Alla base di ci� vi sarebbe addirittura un�erronea concezione di �sicurezza 
locale� che - anzich� riferirsi alla prevenzione di fenomeni non criminali, ma 
pur sempre idonei a generare un diffuso senso di disagio ed insicurezza (si 
pensi all�abusivismo commerciale, al degrado ambientale, etc.), al fine di assicurare 
il pacifico godimento del contesto urbano (449) - sarebbe stata ricondotta 
nell�ambito dell�ordine pubblico (con ci� rafforzando la figura del 
Sindaco quale organo periferico dello Stato anzich� del Comune). 

(448) PAJNO, op. ult. cit., pp. 33 ss.. 

(449) L�espressione � utilizzata da BONFIGLIO, Sicurezza integrata e sicurezza partecipata, 
DSR/Roma 2011. 


Il D.M. 5 agosto 2008 sembrerebbe porre un correttivo a tale impostazione, 
attribuendo al Sindaco un�articolata serie di potest� che indubbiamente 
si riferiscono innanzitutto alle sue funzioni amministrative e che comunque 
hanno un contenuto preventivo, piuttosto che repressivo: emblematiche le lett. 
b) e c) dell�art. 2, relative alla fruibilit� del patrimonio urbano, ovvero ad incuria, 
degrado ed occupazione abusiva degli immobili. 

Resta per� il fatto, innegabile, che i poteri di ordinanza di cui si tratta 
spettano all�ufficiale del Governo, e non al Primo cittadino del Comune. 

In tale contesto, come gi� ricordato, con sentenza del 4 aprile 2011 n. 115 

(450) la Corte Costituzionale ha ribadito il consolidato orientamento secondo 
cui ogni attribuzione di poteri amministrativi deve essere conforme al principio 
di legalit� sostanziale, che ne presuppone la tipicit� e tassativit�, escludendone 
per contro l�indeterminatezza. 

Come si � avuto modo di anticipare, il sistema dell�Amministrazione di 
pubblica sicurezza tracciato nel TULPS poteva dirsi �policentrico�, in quanto costruito 
- in parte anche sotto il profilo operativo (451) - attorno alla figura dei 
Prefetti, uno per provincia, tra loro autonomi pur se accomunati dal vincolo di 
dipendenza dal Ministro dell�Interno; policentrismo che nella visione iniziale 
del legislatore del 1931 non era per� espressione di �decentramento� (che di per 
s� implica, in nuce, l�esercizio di scelte discrezionali di merito da parte delle 
collettivit� amministrate), quanto piuttosto della necessit� di rafforzare il potere 
centrale dello Stato anche sulle aree periferiche del Paese. In questi termini si 
spiega la sottoposizione dei Sindaci al potere gerarchico del Prefetto (nonch� ai 
controlli del suo ausiliario tecnico, il Questore), laddove eccezionalmente chiamati 
a svolgere funzioni in materia e, di converso, la tendenza a circoscrivere 
quanto pi� possibile l�autonomia operativa delle singole Forze dell�ordine, ad 
evitare che per tale via potessero consolidarsi delle realt� autonome di controllo 
sociale in grado di entrare in concorrenza con l�Autorit� di governo (452). 

In questi termini, � significativo che nel TULPS (cos� come nel suo Regolamento 
di esecuzione) non venga mai menzionata la funzione di �coordinamento�, 
che non solo presuppone - come si � visto -un rapporto paritetico 
tra i soggetti da coordinare, ma soprattutto implica la terziet� del coordinatore, 
escludendo per contro che lo stesso possa generalmente incidere sulla 
concreta esecuzione delle funzioni operative, con poteri di ordine o direzione. 

(450) Per una rappresentazione delle questioni affrontate dalla Consulta, si veda VACCARELLA, Il 
potere di ordinanza sindacale ex art. 54 del TUEL n. 267/2000 come modificato dalla legge 24 luglio del 
2008 n. 125 dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 115 del 7 aprile 2011, in www.giustamm.it, 
pp. 107 ss.. 

(451) Stante l�allora dipendenza gerarchica da questi ultimi del Questore (e dunque, nella sostanza, 
delle Forze precipuamente deputate al mantenimento dell�ordine pubblico). 

(452) Esigenza particolarmente pressante per il regime allora in essere, se solo si considera che 
le Forze armate (nel cui ambito ricadevano pure i Carabinieri) prestavano giuramento di fedelt� al Re, 
anzich� al Capo del Governo o ai suoi Ministri. 


Un�evoluzione si avr� solo con la legge 121/81, che se da un lato correttamente 
devolve tale attribuzione al Prefetto (in quanto soggetto �terzo� rispetto 
alle Forze dell�ordine che operano in ambito provinciale, a seguito della 
sottrazione delle Questure alla sua sfera di potest� gerarchica), dall�altro ha 
l�evidente limite di aver per il resto mantenuto intatto l�impianto di base del 
TULPS, finendo cos� col generare una duplicazione dei centri di autorit� rispetto 
al passato, sia a livello nazionale che territoriale. 

4. Elementi di diritto comparato nella prospettiva del �modello Europeo�.
La c.d. gestione �di prossimit��. Sintesi e conclusioni. 

Grande limite della riforma del 1981 - di cui implicitamente d� atto lo 
stesso legislatore, nel momento in cui interviene ad apportarvi dei significativi 
correttivi nelle successive �novelle� di settore (453) - � la mancata distinzione 
tra funzioni di indirizzo (spettanti ad organi che siano diretta emanazione 
dell�Autorit� di governo) e funzioni di gestione o esecutive (di competenza 
invece degli organi operativi e/o amministrativi: Forze dell�ordine, etc.), distinzione 
che ratione temporis era totalmente estranea all�impostazione del 
TULPS, nella cui prospettiva ordinamentale ben si pu� collocare, al netto di taluni 
aspetti esteriori, la stessa legge 121. 

La logica del TULPS dichiaratamente si contrapponeva al precedente sistema 
liberale, basato su una netta divisione dei poteri, per abbracciare piuttosto 
una visione nella quale la distinzione tra organi legislativi ed esecutivi 
tendeva a dissolversi, a favore di una prospettiva unitaria ed organica del potere 
statuale. 

In questi termini, parte della dottrina sostiene che il principale aspetto da 
riformare sia quello della pluralit� delle Forze di polizia (pluralit� del resto �canonizzata� 
proprio dalla legge 121, e comunque caratteristica necessaria di tutti 
i moderni ordinamenti democratici, stante l�evidente inopportunit� di forme di 
concentrazione - sia sul piano operativo che funzionale - in un settore tanto decisivo 
per le libert� civili); in subordine si parla anche di un loro pi� stretto coordinamento, 
generalmente senza per� precisarne modalit� ed obiettivi. 

Tali prospettive ermeneutiche, per�, non solo ignorano le incoerenze sistemiche 
di cui si � detto (omissione del tutto inspiegabile, se si pensa che tali 
criticit� sono generalmente assenti negli altri ordinamenti nazionali dell�UE, 
caratterizzati dalla netta separazione tra le funzioni esecutive e quelle di indi


(453) Da ultimo, seppur in prospettiva generale, si richiama l�art. 6 della legge 4 marzo 2009, n. 
15 disponente principi e criteri �al fine di rafforzare il principio di distinzione tra le funzioni di indirizzo 
e confronto spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza 
� regolando il rapporto tra organi di vertice e dirigenti titolari di incarichi apicali in modo da 
garantire la piena e coerente attuazione dell�indirizzo politico degli organi di governo in ambito amministrativo�. 



rizzo), ma neppure sembrano porsi il problema gi� solo di spiegare le ragioni 
storico-istituzionali di tale �pluralit�� e delle connesse, possibili sovrapposizioni 
operative nell�esercizio dell�attivit� della poliza di sicurezza, dando cos� 
forma ad una lettura incompleta e decontestualizzata della normativa vigente. 

I limiti metodologici di tale impostazione possono essere ricondotti, in buona sostanza, 
ad una serie di luoghi comuni, parte dei quali gi� anticipati nella prima parte di questo lavoro. 

A prescindere dall�uso improprio della nozione giuridica di �Autorit� civile� (454), per 
cui si rinvia a quanto in precedenza esposto, � soprattutto nel tormentato rapporto Prefetture 
/Questure che si svela l�incoerenza costituzionale di tali ricostruzioni, che all�atto pratico finiscono 
per riproporre - sotto il profilo operativo/sistemico - la ratio sottostante agli interventi 
normativi disposti dal regime negli anni venti e trenta del secolo scorso, in un certo qual senso 
addirittura peggiorandola. 

Non � quindi un caso che risultino, alla fine, in contrasto con i fondamenti dello Stato 
di diritto. 

Si pensi, in primo luogo, all�incredibile volont� di estromettere definitivamente l�Autorit� 
di governo (rappresentata a livello provinciale dal Prefetto, organo caratterizzato da specifica 
professionalit� in materia di pubblica sicurezza) dalla concreta gestione del settore, non 
per� a beneficio degli organi esecutivo/gestionali nel loro insieme (e dunque, a vantaggio 
della relativa funzione), bens� di uno solo di essi. 

Questi, infatti, assumerebbe non solo la veste di dirigente di una delle Forze di polizia, 
ma pure quella - inedita a livello internazionale - di direttore o superiore funzionale di tutte 
le altre, delle quali verrebbe a disporre a sua discrezione. Un organo per di pi� sottratto al 
controllo di legittimit� dei propri atti, comՏ vero che uno dei punti qualificanti di tale impostazione 
(455) consisterebbe nell�eliminare perfino la possibilit� di impugnare in via amministrativa 
(ex lege 1199/71, secondo la procedura nota in dottrina col nome di �ricorso 
gerarchico�) i relativi atti, al pi� residuando il lungo ed oneroso ricorso giurisdizionale. 

Seguendo questa prospettiva, la figura del Questore finirebbe con l'assumere carattere 
autoreferenziale, in netto contrasto non solo con quanto espresso dal (pur non vincolante) art. 
13 della Raccomandazione COE n. 10/2001, ma innanzitutto con i principi cogenti di cui agli 
artt. 95 e 97 Cost. 

Appare quindi assai discutibile giustificare quanto sopra con una presunta esigenza di 
superare un non meglio definito �accentramento amministrativo e totalitario�, se solo si 
pensa che proprio il D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 - che ha introdotto la distinzione tra funzioni 
ed organi di indirizzo politico e funzioni (ed organi) di gestione - espressamente sal


(454) In questi termini, di recente, MANCINI PROIETTI, Libert� (fondamentali) e (poteri dell�) autorit�, 
cit., pp. 69 ss. (ivi, in particolare, p. 71, nell�ottica ermeneutica a suo tempo smentita dell�art. 13 
della Raccomandazione 10/2001/REC del COE). 

(455) Ad esempio, cfr. MANCINI PROEITTI, op. ult. cit., p. 128. Testualmente ivi si legge �� sarebbe 
allora auspicabile che non fosse pi� possibile da parte del prefetto ingerirsi nella direzione tecnica di 
un servizio, quanto piuttosto collocarsi in un momento successivo di controllo del pieno rispetto degli 
indirizzi ricevuti. Controllo che nei casi pi� gravi potrebbe anche sfociare in una corrispondente richiesta 
urgente di sostituzione dell�organo. Il prefetto dovrebbe quindi solo indirizzare l�attivit� del 
questore � ne discenderebbe l�impossibilit� e l�incompatibilit� con il sistema delineato dalla l. n. 
121/81, la possibilit� di ricorrere (gerarchicamente) al prefetto contro gli atti del questore in materia 
di sicurezza pubblica�. 


vaguarda, quale suo immanente corollario - all�art. 9 comma terzo (456) - il potere di annullamento 
ministeriale (in termini generali) e, nello specifico, quello prefettizio per ragioni 
di legittimit�. 

Invero, la concreta attuazione del principio sovra esposto non solo renderebbe ancor pi� 
inestricabile il sistema �binario incrociato� di cui si � in precedenza detto, ma darebbe vita 
all�inedita anomalia costituzionale di un organo esecutivo che verrebbe contemporaneamente 
a svolgere il ruolo di controllore e di controllato, privo di controlimiti operativi (essendo controllore-
direttore di tutte le altre Forze in campo) e sostanzialmente incensurabile negli atti. 
A fronte di ci�, fiduciosamente si suggerisce che, nei casi pi� gravi di mala gestione, l�Autorit� 
di governo potrebbe al pi� chiederne la sostituzione, ma neppure in questo caso ad un organismo 
terzo, bens� alla stessa Amministrazione dalla quale questi dipende (ad esempio, al 
Questore del capoluogo di regione) � 

Invero, secondo i fautori di questa impostazione, l�Autorit� (civile) di governo dovrebbe 
rinunciare pure alla sovraordinazione funzionale nei confronti delle Forze dell�ordine, posto 
che �il rapporto di dipendenza funzionale (non gerarchica) della forza pubblica rispetto all�organo 
prefetto � andrebbe infatti per coerenza istituzionale riservata alla sola Autorit� 
tecnica di poliza, da esercitarsi attraverso l�attuale potere di ordinanza� (457), seppur con 
la conclusiva chiosa per cui tale inedita funzione di direzione e coordinamento �dovrebbe ovviamente 
essere svolta nell�ambito ed in ossequio di quelle che sono le linee di indirizzo e di 
direttiva di volta in volta promanate dall�organo prefetto�. 

� appena il caso di evidenziare come una tale costruzione teorica si ponga in contrasto 
con i fondamenti dello Stato di diritto in materia di pubblica sicurezza: non solo, infatti, pretende 
nei fatti di sovraordinare un organo amministrativo ed esecutivo all�Autorit� di indirizzo 
politico (spogliando quest�ultima, in concreto, di ogni mezzo reale di controllo e sanzione, in 
punto di legittimit� ed opportunit� degli atti), con buona pace della comune sottoposizione di 
tutte le Forze di polizia (e non certo solo di quelle ad ordinamento militare) alla responsabilit� 
della �Civil Authority�, ma nientemeno teorizza l�assurdo di una Forza di polizia che dirige 
le altre, anzich� essere dalle stesse reciprocamente controllata, richiamando il modus operandi 
dei totalitarismi occidentali del Ventesimo secolo, nella sitematica e progressiva opera di duplicazione 
/ sovrapposizione / sostituzione dei Corpi di polizia dello Stato (cfr. retro, Cap. I). 

Il tentativo di spostare il baricentro delle politiche di sicurezza dall�organo di indirizzo 

(456) Recita la norma: �� Il Ministro non pu� revocare, riformare, riservare o avocare a s� o 
altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro 
pu� fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. 
Qualora l'inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente 
competente, che determinino pregiudizio per l'interesse pubblico, il Ministro puo' nominare, salvi 
i casi di urgenza previa contestazione, un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del 
Consiglio dei Ministri del relativo provvedimento. Resta salvo quanto previsto dall'articolo 2, comma 
3, lettera p) della legge 23 agosto 1988, n. 400. Resta altres� salvo quanto previsto dall'articolo 6 del 
testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e 
successive modificazioni ed integrazioni, e dall�articolo 10 del relativo regolamento emanato con regio 
decreto 6 maggio 1940, n. 635. Resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimit��. 
A mente dell�art. 6 TULPS, infine, �Salvo che la legge disponga altrimenti, contro i provvedimenti 
dell'autorit� di pubblica sicurezza � ammesso il ricorso in via gerarchica nel termine di giorni 
dieci dalla notizia del provvedimento�. 

(457) Cos� MANCINI PROIETTI, op. ult. cit., p. 129. 


ad uno esecutivo trova ulteriore spunto nella sottolineatura che quest�ultimo - pur essendo a 
tutti gli effetti un ufficiale di polizia - sarebbe pur tuttavia esonerato - in via del tutto eccezionale 
- dal rivestire anche la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, circostanza che denoterebbe 
l�intento del legislatore di �sottrarre la predetta autorit� da particolari vincoli nei 
confronti dell�autorit� giudiziaria, stanti le sue funzioni eminentemente tecnico-amministrative 
��; anche tale notazione non sembra per� convincente, non essendo tale esclusione, in 
realt�, specifica della figura del Questore ma valendo pure per i generali dei Carabinieri (ai 
sensi dell�art. 178 D.lgs 15 marzo 2010, n. 66) e della Guardia di Finanza; del resto, neppure 
� chiara - se si tien conto delle funzioni realmente svolte dai soggetti coinvolti - l�esatta ragione 
della preferenza accordata al vertice provinciale dell�una piuttosto che dell�altra Forza del-
l�ordine, salvo voler riproporre la screditata esegesi dell�art. 13 della Raccomandazione 
10/2001/REC del COE, di cui si � detto nella prima parte di questo lavoro. 

Analoghi limiti si riscontrano in quegli Autori che pensano invece di individuare una 
prospettiva di maggior coordinamento nell�unificazione non gi� delle Forze di polizia, ma 
(perlomeno) delle loro Centrali operative. Ora, anche a prescindere dalla circostanza che nel 
medesimo ambito territoriale (provinciale) spesso si assiste a duplicazioni non tanto tra le diverse 
Forze dell�ordine (che oltre ad avere competenze autonome, si vedono comunque assegnate 
dai Piani coordinati di controllo del territorio delle pertinenze territoriali specifiche), 
quanto piuttosto all�interno di una stessa Forza (si pensi alla coesistenza - nella medesima 
citt� capoluogo - tra le Centrali operative della Questura/Squadra mobile e quelle della Polizia 
stradale), una tale prospettiva appare del tutto avulsa dalla realt�. 

Richiamando la definizione contenuta in un sito istituzionale, la Centrale operativa di 
una Forza di polizia � tutt�altro che un centralino telefonico (o un call-center) che riceve chiamate 
di soccorso e le �gira� ai vari operatori sul territorio, competenti ad intervenire: se cos� 
fosse, infatti, non vi sarebbero evidenti controindicazioni pratiche - ma al pi�, addirittura, dei 
vantaggi in termini di spesa - a fonderle tutte in un�unica struttura, magari a composizione 
interforze per par condicio. 

In realt� la Centrale operativa � il centro motore del comando, lo strumento fondamentale 
per l�innesco, lo sviluppo ed il completamento di tutta l�attivit� istituzionale della Forza interessata, 
nonch� la sede appropriatamente organizzata, ove pervengono al comandante, in 
continuit�, le notizie di interesse e da cui egli esprime - personalmente e per il tramite del personale 
addetto - gli ordini per la risoluzione dei problemi contingenti. 

Tramite questa struttura viene assicurata l�interoperativit� continua (c.d. �H24�) tra il 
dirigente e/o ufficiale responsabile (o altro delegato) e gli organici disponibili alle sue dipendenze, 
nonch� il flusso di informazioni tra il centro di comando e la periferia, le banche-dati 
interforze ed i servizi di sicurezza (strumenti questi ultimi il cui accesso va limitato alle Forze 
dell�ordine, attesa la natura riservata e sensibile delle aree di riferimento). Inoltre, dal 1999 le 
Centrali operative delle due Forze di polizia a competenza generale sono tra loro interconnesse 
in videoconferenza, al fine di assicurare, sempre mediante procedure condivise, l�intervento 
del personale in grado di agire pi� tempestivamente, nonch� di quello delle altre organizzazioni/
istituzioni (sanitarie, Vigili del fuoco, protezione civile, etc.) la cui opera � ritenuta necessaria 
per un efficace soccorso. 

A ci� si aggiunga che una Centrale operativa, per poter funzionare correttamente, non 
pu� riferirsi ad un bacino territoriale troppo ampio, pena il venir meno della reale possibilit� 
di un effettivo controllo, circostanza che da sola porta ad escludere ipotetiche reductiones ad 
unum (gi� solo su base provinciale). 


In estrema sintesi, tramite la Centrale operativa si decide (con ordine vincolante) chi, 
quando e come deve porre in essere una determinata attivit� operativa, e si ha il vero polso 
del controllo del territorio. Ne discende che un loro ipotetico �accorpamento� si tradurrebbe 
necessariamente nella sottrazione della linea di comando ad una o pi� Forze, per cederla ad 
altre. N� potrebbe pensarsi - semplicisticamente - di creare Centrali operative con pluralit� di 
Comandanti o magari interforze �a rotazione�, dal momento che - oltre all�inevitabile confusione 
- risulterebbe violato il principio generale (alla base dello Stato di diritto) per cui gli organi 
appartenenti ad una determinata Amministrazione non possono impartire ordini a strutture 
inserite in Amministrazioni diverse (tale �, indubbiamente, il rapporto tra le diverse Forze di 
polizia e tra queste e le Forze armate), stante l�inconfigurabilit� giuridica - nei loro reciproci 
rapporti - di un vincolo gerarchico. 

Alla luce delle considerazioni che precedono ben si spiega quindi la ragione per cui, 
contrariamente a quanto talvolta si sostiene, il legislatore non ha mai previsto nulla del genere, 
ma semmai il contrario: l�art. 21 della legge 121/81 (rubricato �Collegamenti e sale 
operative comuni tra le Forze di polizia� ) si limita infatti a dettare una disciplina eventuale 
ed eccezionale nei termini che seguono: �Il Ministro dell�Interno, nell�esercizio delle sue attribuzioni 
di coordinamento, impartisce direttive ed emana provvedimenti per stabilire collegamenti 
[e non unificazioni - ndr] tra le sale operative delle Forze di polizia e istituisce, in 
casi di particolare necessit�, con proprio decreto di concerto con i Ministri interessati, sale 
operative comuni�. 

La norma prevede quindi due distinte ipotesi, l�una avente carattere generico, l�altra eccezionale 
(il legislatore parla, significativamente, di una necessit� che dev�essere addirittura 
particolare, ovverosia di �inevitabilit� altrimenti� nel noto significato giuridico del termine). 
Circa i prefigurati (e non meglio definiti) �collegamenti�, si tratta delle forme di interconnessione 
tra gli operatori, gi� esistenti da anni, laddove gi� solo per assicurare la concreta attuazione 
della richiamata Direttiva 2002/22/CE, le Centrali operative del 112 dei Carabinieri 
svolgono attivit� strumentale anche per le altre Forze dell�ordine, secondo i cd. �Piani coordinati 
di controllo del territorio�. La seconda ipotesi ha invece, generalmente, carattere occasionale 
e temporaneo, comՏ stato il caso delle speciali Centrali operative comuni interforze 
in concomitanza di eventi di particolare rilevanza nazionale (manifestazioni sportive e meetings 
internazionali, ricorrenze pubbliche, etc.). 

Storicamente, la duplicazione delle funzioni di polizia rappresenta una tipica 
manifestazione del passaggio da un regime liberale a forme di governo 
autoritarie; in Italia, principale espressione di ci� fu - dopo la creazione di due 
nuovi Corpi di polizia (la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, con 

R.D. 14 gennaio 1923, n. 31 ed il Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza, 
ricostituito con R.D.L. 2 aprile 1925, n. 383, che andavano di fatto a contrapporsi 
ai Carabinieri Reali ed ai precedenti Corpi specializzati minori (458)) 


(458) Inequivocabili sono, sul punto, le stesse parole del capo del regime, nello scritto Il tempo 
del bastone e della carota. Storia di un anno (ottobre 1942 - settembre 1943), supplemento al Corriere 
della Sera n. 190 del 9 agosto 1944, p. 40: �Nell'Esercito vi era un'Arma che aveva soprattutto carattere 
esclusivamente dinastico: l'Arma dei Carabinieri. Era questa l'Arma del re. Anche qui il fascismo cerc� 
di organizzare una polizia che desse garanzie dal punto di vista politico e vi aggiunse una organizzazione 


la moltiplicazione delle Questure, una per ogni capoluogo di provincia, disposta 
con R.D.L. 14 aprile 1927, n. 593. 

Tali uffici, come gi� accennato, erano stati creati nel Regno di Sardegna 
nel XIX secolo e poi estesi al resto d�Italia, progressivamente al processo di 
unificazione, quali articolazioni ausiliarie delle Prefetture per le sole aree �metropolitane� 
(i capoluoghi con popolazione superiore ai 60.000 abitanti - ossia 
Torino e Genova), essendo finalizzate ad assicurare un pi� coordinato presidio 
di pubblica sicurezza nelle maggiori conurbazioni del Paese, la cui rapida industrializzazione 
e l�elevata concentrazione della popolazione comportavano 

-come comportano ancor oggi - degli specifici problemi di ordine pubblico, 

tali da giustificare l�istituzione di strutture amministrative ad hoc. 
Tale eccezionalit� veniva confermata dall�art. 4 del R.D. 31 agosto 1907, 

n. 690 (a sua volta riproduttivo dell�art. 4 della legge 21 agosto 1901, n. 409), 
che alla luce del nuovo contesto nazionale ed a cinquant�anni dall�unit�, significativamente 
aveva elevato la predetta soglia minima a ben 100.000 abitanti, 
anzich� ridurla. 

Di l� a pochi anni, per�, a seguito del mutato regime istituzionale, le Questure 
vennero ad assumere un ruolo completamente diverso, quali centri del 
controllo ideologico e politico a livello territoriale (vieppi� incentrato sugli 
apparati di sicurezza) su cui verr� a strutturarsi, di l� a poco, l�impianto complessivo 
del TULPS (459); significativa di tale rinnovata funzione, in luogo di 
quella originaria e naturale di presidio di pubblica sicurezza metropolitano, la 
prevalenza accordata agli uffici del �controllo politico� e gli organici quasi 
sempre inferiori a quelli dei preesistenti Comandi territoriali dei Carabinieri 
(con conseguente inidoneit� a svolgere un�analoga attivit� di presidio territoriale, 
situazione che in larga parte perdura tutt�oggi). 

Precisato quanto sopra, per tornare sul piano comparato, in aggiunta ai 
sintetici richiami gi� effettuati agli ordinamenti degli Stati del �G6-UE�, si 
pu� prendere in considerazione - tra gli altri - il sistema portoghese di P.S. 
(460), che presenta una ripartizione delle competenze generali di polizia di si-

segreta: l'OVRA�. Sulla centralit� - anche numerica - dei Carabinieri Reali rispetto alle altre Forze si vedano 
i dati riportati da BONINO, La polizia italiana nella seconda met� dell�Ottocento. Aspetti culturali 
e operativi, Roma 2005, pp. 30, 59 e 63. Inoltre TINTI, Dai Reali Carabinieri alla 121, cit. 

(459) Con le riforme di polizia degli anni Venti (che in qualche modo accentuavano alcune decisioni 
del precedente Ministero Crispi) venne creata una struttura fortemente centralizzata, incentrata 
sulla Direzione della Pubblica Sicurezza e quindi sulla figura del neo-istituito Capo della polizia, il 
quale operava in periferia mediante Ispettori regionali e generali di pubblica sicurezza. Questi ultimi 
erano preposti ad organismi alle sue dipendenze (come l�OVRA) ovvero destinati ad incarichi speciali. 
Col R.D.L. n.1903 del 6 novembre 1926 venne anche istituito il servizio speciale di investigazione politica, 
avente per scopo la difesa dell�ordine costituito dello Stato. 

(460) Per un�introduzione sull�implementazione portoghese delle politiche europee di sicurezza, 
cfr. DE MELO PALMA, European by Force and by Will: Portugal and the European Security and Defence 
Policy, EU Diplomacy Papers 7/2009 (su http://aei.pitt.edu/11868/1/EDP_7_2009_Palma-3.pdf). Inoltre 
ROBINSON, Assessing the Europeanisation of Portuguese Foreign and Security Policy, Bruges 2010. 


curezza (quella giudiziaria essendo rimessa ad un distinto organismo) tra un 
Corpo civile ed uno ad ordinamento miliare (la Guarda Nacional Republicana 

-GNR, una Forza di gendarmeria). 

In merito a quest�ultima, per inciso, il legislatore nazionale appare consapevole 
della natura �integrata� secondo i gi� richiamati standards internazionali, 
precisando (art. 1 della Lei 6 novembre 2007, n. 63 (461)) che si tratta 
di una Forza di polizia a statuto militare, destinata per tale ad assolvere le generali 
funzioni di pubblica sicurezza, di tutela dei diritti civili ed altres� a contribuire 
alla difesa militare dello Stato: in tale veste opera funzionalmente (art. 
2) alle dipendenze del Ministero concretamente responsabile della sicurezza 
interna dello Stato (462) e, nelle ipotesi previste dalla legge, alle dipendenze 
operative del Capo di Stato Maggiore delle Forze armate. 

Caratteristica che ancor pi� trova sanzione all�art. 2 del Decreto-Lei 14 
ottobre 2009, n. 297 (Estatuto dos Militares da Guarda Nacional Republicana 
(463), laddove si precisa che il militare della Guarda - definito significativamente 
�soldado de la lei� - nell�esercizio delle sue funzioni � agente di forza 
pubblica, nonch� autorit� ed organo di polizia a tutti gli effetti (464). 

Il sistema portoghese si ispira tendenzialmente al �modello europeo� 
dell�Amministrazione di P.S.: da un lato, il carattere �inclusivo� ed �integrato� 
� evidente nella composizione del �Conselho Superior de Seguran�a Interna�, 
l�organo consultivo (interministeriale ed interforze) in materia di pubblica sicurezza, 
presieduto dal Primo Ministro e comprendente - dal lato governativo 
�di indirizzo� - i Ministri dell�Interno, della Difesa, della Giustizia, delle Finanze, 
delle Opere pubbliche, dei Trasporti e delle comunicazioni, oltre ai rappresentanti 
del Parlamento e delle Autonomie locali, nonch� il summenzionato 
Secret�rio-Geral do Sistema de Seguran�a Interna (nonch� quello competente 
per i Servizi segreti), mentre sul lato �operativo� include i Comandanti delle 
tre Forze di polizia, il Direttore dei Servizi di informazione strategica, le Autorit� 
militari marittima ed aeronautica, il Direttore generale dei Servizi peni


(461) Testualmente �A Guarda Nacional Republicana, adiante designada por Guarda, � uma 
for�a de seguran�a de natureza militar, constitu�da por militares organizados num corpo especial de 
tropas e dotada de autonomia administrativa. 2 - A Guarda tem por miss�o, no �mbito dos sistemas nacionais 
de seguran�a e protec��o, assegurar a legalidade democr�tica, garantir a seguran�a interna e 
os direitos dos cidad�os, bem como colaborar na execu��o da pol�tica de defesa nacional, nos termos 
da Constitui��o e da lei�. Testo su http://www.gnr.pt/documentos/ Legislacao/LEI_ORGANICA.pdf. 
Le attribuzioni generali di polizia della GNR (tra cui quelle che in Italia fanno capo alla Guardia di Finanza 
- comma 2 lett. d - ed al Corpo Forestale dello Stato - comma 2 lett. a - analogamente a quanto si 
verifica in altri ordinamenti quali quello spagnolo e francese) sono previste all�art. 3. 

(462) Non � infatti corretto sostenere che la GNR sia specificamente posta alle dipendenze del Ministero 
dell�Interno piuttosto che ad un altro Dicastero, posto che l�art. 2 comma primo della Lei 6 novembre 
2007, n. 63, in ottica funzionalista, precisa che �A Guarda depende do membro do Governo 
respons�vel pela �rea da administra��o interna�. 

(463) Testo consolidato su http://www.gnr.pt/documentos/Legislacao/EMGNRNovo.pdf 

(464) Analogo principio trova espressione agli artt. 10 e 11 della Lei 63/2007. 


tenziari, il Responsabile nazionale dei servizi di protezione e soccorso, etc. 
(art. 12). In circostanze particolari pu� anche prendervi parte il Procuratore 
generale della Repubblica. 

La centralit� del Primo Ministro nel �sistema sicurezza� portoghese 
emerge anche dall�art. 9 comma primo legge 53/2008, ai sensi del quale il 
Capo del Governo - politicamente responsabile per la direzione delle politiche 
di pubblica sicurezza - ha tra l�altro l�incarico di proporre al Consiglio dei Ministri 
il piano di coordinamento, controllo e comando operativo delle Forze e 
dei Servizi di sicurezza nazionali. 

Ai sensi dell�art. 13, il CSSI assiste il Primo Ministro nell�esercizio delle 
sue competenze in materia di sicurezza interna (previste all�art. 9): questi, 
in particolare - a differenza dei modelli italiano, tedesco e francese che attribuiscono 
tale competenza al Ministro dell�Interno, che in tali contesti non 
ha un ruolo meramente esecutivo e politicamente subordinato - � l�organo 
politicamente responsabile per la direzione delle politiche di pubblica sicurezza, 
elaborate dal Governo nel suo complesso (ex art. 8: �A condu��o da 
pol�tica de seguran�a interna �, nos termos da Constitui��o, da compet�ncia 
do Governo� ). 

Ma � l�inquadramento delle funzioni di direzione e coordinamento delle 
Forze di polizia (e pi� in generale dei vari operatori del �sistema sicurezza�, 
in un moderno approccio olistico ed integrato) a segnare la differenza con i 
risalenti modelli del �policentrismo autarchico�, quale quello tracciato dal 
TULPS e dalla legge 121/81. 

Dopo aver definito, all�art. 1, la nozione di �sicurezza interna� in termini 
funzionali quale (465) �attivit� dello Stato finalizzata a garantire la pace, 
l�ordine e la sicurezza pubblica, nonch� proteggere le persone ed i beni, prevenire 
e reprimere la criminalit� e contribuire a garantire il corretto funzionamento 
delle istituzioni democratiche, il regolare esercizio dei diritti, delle 
libert� e delle garanzie fondamentali dei cittadini ed il rispetto per la legalit� 
democratica�, l�art. 6 enuncia - tra i principi fondamentali - la regola per cui 
�Le Forze ed i servizi di sicurezza svolgono la propria attivit� conformemente 
ai principi, agli obiettivi, alle priorit�, alle linee-guida ed alle misure individuate 
dalle politiche di sicurezza interna, nell�ambito delle rispettive attribuzioni. 
2 � Fermo quanto disposto al comma precedente, le Forze ed i servizi 
di sicurezza cooperano tra di loro, in particolare attraverso lo scambio di informazioni 
che non rilevino esclusivamente ai fini del perseguimento degli 
specifici obiettivi di ciascuna di esse, ma risultino indispensabili a consentire 

(465) Testualmente: �A seguran�a interna � a actividade desenvolvida pelo Estado para garantir a 
ordem, a seguran�a e a tranquilidade p�blicas, proteger pessoas e bens, prevenir e reprimir a criminalidade 
e contribuir para assegurar o normal funcionamento das institui��es democr�ticas, o regular exerc�cio dos 
direitos, liberdades e garantias fundamentais dos cidad�os e o respeito pela legalidade democr�tica�. 


anche il raggiungimento di quelli degli altri, nel rispetto delle norme sul segreto 
istruttorio e sul segreto di Stato� (466). 

In questo quadro teorico si iscrivono l�attivit� e le funzioni del principale 
organo ausiliario dell�Amministrazione di P.S. portoghese - di nomina politica 
e legato al Primo Ministro da un rapporto fiduciario - ossia il �Secret�rio-
Geral do Sistema de Seguran�a Interna� (artt. 14 ss.), posto alla diretta dipendenza 
(gerarchica) dal Primo Ministro e solo eventualmente dal Ministro 
dell�Interno, che per� in tanto pu� esercitare una qualche potest� nei suoi confronti, 
in quanto sia stato espressamente delegato dal primo a farlo. 

Di converso, il legislatore riconosce che tale organo, in quanto ausiliario 
del Governo, obiettivamente partecipa all�esercizio del potere di indirizzo seppur 
sotto un profilo pi� prettamente tecnico - equiparandolo a tutti gli effetti 
legali ad un Sottosegretario di Stato (467); inoltre, in ragione della sua terziet� 
rispetto alle forze in campo gli viene attribuita la funzione di coordinamento, 
direzione e controllo operativi (art. 15: �tem compet�ncias de coordena��o, 
direc��o, controlo e comando operacional� (468)). Una terziet� che non 
esclude - a differenza di quanto invece accade in altri ordinamenti nazionali 


(466) Testualmente: �As for�as e os servi�os de seguran�a exercem a sua actividade de acordo 
com os princ�pios, objectivos, prioridades, orienta��es e medidas da pol�tica de seguran�a interna e 
no �mbito do respectivo enquadramento org�nico. 2 - Sem preju�zo do disposto no n�mero anterior, as 
for�as e os servi�os de seguran�a cooperam entre si, designadamente atrav�s da comunica��o de informa��es 
que, n�o interessando apenas � prossecu��o dos objectivos espec�ficos de cada um deles, 
sejam necess�rias � realiza��o das finalidades de outros, salvaguardando os regimes legais do segredo 
de justi�a e do segredo de Estado�. 

(467) Art. 14, comma secondo: �O Secret�rio-Geral do Sistema de Seguran�a Interna � equiparado, 
para todos os efeitos legais, excepto os relativos � sua nomea��o e exonera��o, a secret�rio de 
Estado�. Inoltre il successivo comma terzo precisa che il Secret�rio-Geral si avvale di un gabinetto 
tecnico di appoggio (di cui peraltro � prevista la soppressione), al quale � integralmente applicabile il 
regime giuridico dei gabinetti ministeriali (�ao qual � aplic�vel o regime jur�dico dos gabinetes ministeriais�). 


(468) Recita a sua volta l�art. 17: �Compet�ncias de direc��o: 1 - No �mbito das suas compet�ncias 
de direc��o, o Secret�rio-Geral do Sistema de Seguran�a Interna tem poderes de organiza��o e 
gest�o administrativa, log�stica e operacional dos servi�os, sistemas, meios tecnol�gicos e outros recursos 
comuns das for�as e dos servi�os de seguran�a. 
2 - Compete ao Secret�rio-Geral do Sistema de Seguran�a Interna, no �mbito das suas compet�ncias 
de direc��o: 
a) Facultar �s for�as e aos servi�os de seguran�a o acesso e a utiliza��o de servi�os comuns, designadamente 
no �mbito do Sistema Integrado de Redes de Emerg�ncia e Seguran�a de Portugal e da Central 
de Emerg�ncias 112; b) Garantir a interoperabilidade entre os sistemas de informa��o das entidades 
que fazem parte do Sistema de Seguran�a Interna e o acesso por todas, de acordo com as suas necessidades 
e compet�ncias, a esses sistemas e aos mecanismos de coopera��o policial internacional atrav�s 
dos diferentes pontos de contacto nacionais; c) Coordenar a introdu��o de sistemas de informa��o georreferenciada 
sobre o dispositivo e os meios das for�as e dos servi�os de seguran�a e de protec��o e 
socorro e sobre a criminalidade; d) Proceder ao tratamento, consolida��o, an�lise e divulga��o integrada 
das estat�sticas da criminalidade, participar na realiza��o de inqu�ritos de vitima��o e inseguran�a 
e elaborar o relat�rio anual de seguran�a interna; e) Ser o ponto nacional de contacto permanente 
para situa��es de alerta e resposta r�pidas �s amea�as � seguran�a interna, no �mbito dos mecanismos 
da Uni�o Europei�. 


la possibilit�, in concreto, di sceglierlo anche tra i membri (469) delle Forze 
dell�ordine, ma che anche in tal caso viene garantita dall�impossibilit� di continuare 
ad esercitare, in costanza d�incarico, le precedenti attribuzioni, e soprattutto 
dalla rigorosa separatezza (sia sotto il profilo organizzativo che 
funzionale) tra l�Ufficio del Secret�rio-Geral e le strutture da lui coordinate. 

La terziet� dell�Ufficio del Secret�rio-Geral rispetto agli operatori del 
settore sicurezza � evidenziata dalla scelta di incardinarlo presso la Presidenza 
del Consiglio dei Ministri (analogamente a quanto accade in Italia per il DIS, 
che per� ha competenze limitate all�attivit� di intelligence), in virt� del fatto 
che ad essa compete il coordinamento dell�azione dei singoli Ministri per assicurare 
la realizzazione delle politiche di governo, comprese quelle di pubblica 
sicurezza. 

Nel quadro delle sue responsabilit� di coordinamento, il Secret�rio-Geral 
ha il compito di concertare misure, piani ed operazioni tra le diverse Forze di 
polizia, nonch� tra queste ed altri soggetti o servizi pubblici e privati, oltre a 
curare la cooperazione con le organizzazioni internazionali e le Forze dell�ordine 
straniere, conformemente ad un �piano di coordinamento, di controllo e 
di comando operativo delle Forze e dei Servizi di sicurezza�. 

Quest�ultimo, definito dal Presidente del Consiglio dei Ministri sulla base 
dell�apporto paritetico di tutti gli attori coinvolti sul campo, viene approvato 
dal Governo ed ha lo scopo di garantire la miglior collaborazione possibile tra 
le Forze operative sul territorio, nonch� una formazione per quanto possibile 
fondata su principi comuni, secondo il modello �integrato� (civile/militare) 
dell�UE, sul quale viene posta particolare enfasi nell�articolazione del comma 
terzo (470); del resto, la ratio ispiratrice �europea� della riforma dell�Amministrazione 
di P.S. portoghese emerge con chiarezza al comma secondo, lett. 

(469) Indifferentemente intesi, senza che cio� il legislatore pretenda dei requisiti minimi di attribuzioni 
o grado, ovvero lo status militare o civile dell�interessato. Di tale eventualit� d� implicitamente 
conto l�ultimo comma dell�art. 14, riferendosi al trattamento economico. 

(470) In ispecie, �a) Garantir a articula��o das for�as e dos servi�os de seguran�a com o sistema 
prisional [la norma, parlando di coordinamento tra tali strutture, si conforma al principio internazionalistico 
- cfr. retro - che, diversamente dal sistema italiano della legge 121/81, esclude la riconducibilit� 
dei servizi penitenziari a quelli della polizia di sicurezza; ndr] de forma a tornar mais eficaz a preven��o 
e a repress�o da criminalidade; b) Garantir a articula��o entre as for�as e os servi�os de seguran�a e 

o Sistema Integrado de Opera��es de Protec��o e Socorro; c) Estabelecer com o Secret�rio-Geral do 
Sistema de Informa��es da Rep�blica Portuguesa mecanismos adequados de coopera��o institucional 
de modo a garantir a partilha de informa��es, com observ�ncia dos regimes legais do segredo de justi�a 
e do segredo de Estado, e o cumprimento do princ�pio da disponibilidade no interc�mbio de informa��es 
com as estruturas de seguran�a dos Estados membros da Uni�o Europeia; d) Garantir a coordena��o 
entre as for�as e os servi�os de seguran�a e os servi�os de emerg�ncia m�dica, seguran�a rodovi�ria e 
transporte e seguran�a ambiental, no �mbito da defini��o e execu��o de planos de seguran�a e gest�o 
de crises; e) Garantir a articula��o entre o Sistema de Seguran�a Interna e o planeamento civil de 
emerg�ncia; f) Articular as institui��es nacionais com as de �mbito local, incluindo nomeadamente as 
pol�cias municipais e os conselhos municipais de seguran�a; g) Estabelecer liga��o com estruturas privadas, 
incluindo designadamente as empresas de seguran�a privada�. 


d) della norma, laddove si precisa che compete al Secret�rio-Geral �Sviluppare 
sul territorio nazionale i piani d�azione e le strategie dello �Spazio Europeo 
di Libert�, Sicurezza e Giustizia� (settore FSJ, cfr. retro - ndr), che 
implicano un�azione integrata delle Forze e dei Servizi di sicurezza� (471). 

Parallelamente ai poteri di coordinamento - che per tali non incidono su 
attribuzioni, dipendenze e specificit� (472) delle singole Forze di polizia - il 
Secret�rio-Geral si vede attribuite delle specifiche potest� di direzione (art. 
17), ovviamente non riferite all�attivit� operativa di queste ultime bens� (cfr. 
retro, in materia, la riforma 2012 del DIS) all�organizzazione e gestione amministrativa 
e logistica: in breve, alla materia degli approvvigionamenti di servizi 
strumentali (tipo pulizie e vettovagliamento), dotazioni logistiche e 
tecniche comuni alle Forze dell�ordine ed ai Servizi di intelligence, etc. 

Infine, l�art. 18 attribuisce all�organo ausiliario una serie di specifici poteri 
di controllo. 

Neppure la previsione eccezionale di cui all�art. 19 (�Compet�ncias de 
comando operacional�), nell�attribuire formalmente al Secret�rio-Geral un 
potere di comando operativo in presenza di catastrofi nazionali che debbano 
essere affrontate con l�utilizzo congiunto di tutte le Forze disponibili, ivi 
compreso il �Sistema Integrato delle Operazioni di Protezione Civile e Soccorso� 
(473), realmente incide sull�autonomia operativa delle Forze dell�ordine 
(nei reciproci rapporti tra di esse e nei riguardi dell�Autorit� di 
governo), comՏ vero che tali poteri non vengono esercitati direttamente nei 
confronti degli operatori o delle strutture coinvolte, ma attraverso direttive 
rivolte ai rispettivi vertici istituzionali (474), nel rispetto cio� della loro autonoma 
linea di comando. 

In ogni caso, gli ulteriori poteri del Secret�rio-Geral devono essere esercitati 
pur sempre nel quadro del �piano di coordinamento, di controllo e di 

(471) Testualmente: �Desenvolver no territ�rio nacional os planos de ac��o e as estrat�gias do 
espa�o europeu de liberdade, seguran�a e justi�a que impliquem actua��o articulada das for�as e 
dos servi�os de seguran�a�. 

(472) Al riguardo va ricordato che anche l�esercizio dei poteri di controllo del Secret�rio-Geral 
(di cui all�art. 18) non pu� mai tradursi in un�ingerenza dell�organo ausiliario nell�ordinamento e 
nelle attribuzioni specifiche delle Forze di polizia (salvaguardate dalla terziet� dell�organo coordinatore 
e dall�assenza di un rapporto di subordinazione gerarchica nei suoi confronti), dovendo sempre essere 
esercitati per il tramite dei Comandanti delle suddette Forze (ex art. 18 comma secondo) e dunque 
nel rispetto delle rispettive linee di comando interne. Lo stesso dicasi per l�eccezionale attribuzione di 
un potere di �comando operativo�, a fronte delle circostanze di cui all�art. 19. 

(473) Il �Sistema Integrado de Opera��es de Protec��o e Socorro - SIOPS� � attualmente disciplinato 
dal Decreto-Lei n. 134 del 25 luglio 2006. Si vedano anche la Lei n. 27 del 3 luglio 2006 
(Legge Fondamentale della Protezione Civile) ed il Decreto-Lei n. 75 del 29 marzo 2007, su attribuzioni 
e struttura dell�Autoridade Nacional de Protec��o Civil. Per l�elenco delle basi legali, cfr. 
http://www.proteccaocivil.pt/Legislacao/Pages/LegislacaoEstruturante.aspx. 

(474) �� estes s�o colocados na depend�ncia operacional do Secret�rio-Geral do Sistema de 
Seguran�a Interna, atrav�s dos seus dirigentes m�ximos�. 


comando operativo delle Forze e dei Servizi di sicurezza�. 

La funzione di coordinamento esplicata dal Secret�rio-Geral vale - in ottica 
chiaramente �integrata� ed �interforze� - per tutte le Forze di polizia nazionali 
e non solo, come si evince a contrario dall�art. 25 comma secondo che 
richiama, nella categoria generale delle �Forze e Servizi di sicurezza�, �A 
Guarda Nacional Republicana; b) A Pol�cia de Seguran�a P�blica; c) A Pol�cia 
Judici�ria; d) O Servi�o de Estrangeiros e Fronteiras; e) O Servi�o de Informa��es 
de Seguran�a. 3 - Exercem ainda fun��es de seguran�a, nos casos e 
nos termos previstos na respectiva legisla��o: a) Os �rg�os da Autoridade Mar�tima 
Nacional; b) Os �rg�os do Sistema da Autoridade Aeron�utica�. 

L�alta funzione di coordinamento operativo delle politiche di sicurezza attualmente 
delegata al Ministro dell�Interno - alla quale consegue una netta 
distinzione tra gli apparati di vertice del Ministero e quelli dei soggetti coordinati 
(e relative funzioni), codificata da ultimo all�art. 14 del Decreto-Lei n. 
86-A del 12 giugno 2011 (475), trova sanzione anche nell�art. 5 della Lei Organica 
63/2007, a mente del quale, in caso di attivit� simultanee compiute 
dalla Pol�cia de Seguran�a P�blica (l�altra Forza a competenza generale, presente 
nelle maggiori aree urbane del Paese), i settori di competenza della 
Guarda vengono definiti da un decreto del Ministro (476). 

Il principio di netta separazione tra la funzione di indirizzo e coordinamento 
e quella di gestione (e relativi organi) trova ulteriore riscontro nel De-
creto-Lei n. 126-B del 29 dicembre 2011 (477), recante la riforma 
organizzativa del Minist�rio da Administra��o Interna (MAI), il cui art. 6 
comma terzo (da leggere nel combinato disposto con l�art. 4, che riconduce 
nell�ambito dei servizi di diretta competenza statale, svolti sotto la responsabilit� 
del MAI, l�attivit� operativa delle Forze dell�ordine) chiarisce che entrambi 
i Corpi di polizia di cui si � detto �� regem -se por legisla��o pr�pria, 
que define o seu regime, designadamente quanto � sua organiza��o, funcionamento, 
estatuto de pessoal e protec��o social�; correlativamente, l�art. 2 
lett. i) (478) attribuisce alle strutture del MAI il compito di adottare misure 
esecutive e regolamentari con cui attuare le politiche di sicurezza interna adot


(475) �O Minist�rio da Administra��o Interna � o departamento governamental que tem por 
miss�o a formula��o, coordena��o, execu��o e avalia��o das pol�ticas de seguran�a interna, do controlo 
de fronteiras, de protec��o e socorro, de seguran�a rodovi�ria e de administra��o eleitoral�. 
Testo consolidato su http://dre.pt/pdf1s/2011/07/13201 /0000200007.pdf. 

(476) In relazione all�attuale assetto dell�Amministrazione della pubblica sicurezza portoghese 
si richiamano anche le indicazioni contenute nel Relat�rio Anual de Seguran�a Interna 2011, pubblicato 
su http://www.portugal.gov.pt/media/ 555724/2012-03-30_relat_rio_anual_seguran_a_interna.pdf. 

(477) Testo consolidato su http://www.portugal.gov.pt/media/381580/lo_mai.pdf. 

(478) Testualmente �Na prossecu��o da sua miss�o, s�o atribui��es do MAI: � i) Adoptar as 
medidas normativas adequadas � prossecu��o das pol�ticas de seguran�a interna definidas pela Assembleia 
da Rep�blica e pelo Governo, bem como estudar, elaborar e avaliar a execu��o das medidas 
normativas integradas na �rea da administra��o interna�. 


tate da Parlamento e Governo, valutandone altres� la concreta esecuzione. 

Pi� nel dettaglio, la riforma di cui al Decreto-Lei n. 86-A dell�11 luglio 
2011 (successivamente emendato con Declara��o de Retifica��o n. 29 del 2 
settembre 2011) individua nel MAI il Dipartimento governativo �incaricato 
di formulare, coordinare, eseguire e valutare le politiche di sicurezza interna, 
del controllo delle frontiere, di protezione e soccorso, di sicurezza stradale e 
di amministrazione elettorale, mantenendo cos� nella sua sfera di attuazione, 
le aree tradizionalmente consacrate, in una linea di stabilit� evolutiva anzich� 
di partizione�, al quale viene altres� ricondotta la maggior parte delle competenze 
dei soppressi �Governos Civis� territoriali. 

Il �sistema di sicurezza interna� portoghese � autonomamente disciplinato 
con Lei 29 agosto 2008, n. 53 (479), che all�art. 13 individua tre organi 
deputati alla sua attuazione, il �Conselho Superior de Seguran�a Interna�, 
il �Secret�rio-Geral� e il �Gabinete Coordenador de Seguran�a - GCS�, 
tutti inseriti - a garanzia di imparzialit� rispetto alle Istituzioni ed agli operatori 
in campo - non presso il MAI bens� nella struttura della Presidenza del 
Consiglio dei Ministri; quest�ultima, peraltro, � stata recentemente oggetto 
di riforma con Decreto-Lei n. 126-A/2011, il cui art. 47 prevede la futura 
soppressione del GCS, da attuarsi con apposita novella, nonch� la ristrutturazione 
- sempre in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - del Gabinetto 
dell�Autorit� nazionale di pubblica sicurezza (di cui all�art. 21 
comma nono). 

Nel sistema portoghese vi � dunque una netta distinzione tra attribuzioni 
di indirizzo politico, che spettano al Governo ed in via derivata - ai fini del 
coordinamento - al Primo Ministro (nonch�, indirettamente, al suo organo ausiliario), 
funzioni esecutive di alta amministrazione (recte, di pianificazione), 
di competenza del Ministro dell�Interno e funzioni direttamente operativo/esecutive, 
o di gestione, proprie delle Forze dell�ordine. 

Conseguentemente non vi � alcuna sovrapposizione tra le strutture e gli 
organi di queste ultime e quelli del Ministero di riferimento. 

N�, significativamente, l�ordinamento portoghese prevede un accentramento 
delle funzioni di comando delle Forze di polizia in seno ad un unico 
Dicastero, in ragione degli evidenti limiti di efficienza e trasparenza che un 
tale assetto verrebbe a comportare: in effetti, se � vero che - per tradizione storica 
- la Pol�cia de Seguran�a P�blica (ad ordinamento civile) e la Guarda 
Nacional Republicana (a statuto militare) attualmente dipendono organicamente 
da quest�ultimo (la GNR limitatamente all�esercizio delle sue - pur preponderanti 
- funzioni di polizia �civile� (480)), � altres� vero che la terza Forza 
di polizia portoghese (la Polic�a Judicial) dipende invece, organicamente, dal 
solo Ministero della Giustizia (481), ma nonostante ci� � a tutti gli effetti par


(479) Testo sul portale istituzionale http://legislacao.mai-gov.info/i/lei-de-seguranca-interna/. 


tecipe delle politiche si sicurezza interna dello Stato, coordinandosi con gli 
altri soggetti coinvolti. 

Analoghi rilievi possono farsi per quel che riguarda l�esercizio e la pianificazione 
dell�attivit� di pubblica sicurezza a livello territoriale (o decentrato): 
nel caso da ultimo trattato, le competenze che a livello centrale spettano 
all�Autorit� governativa (ministeriale) sino al 2011 (482) erano in parte devolute 
ai Governadores Civis (espressione della medesima funzione propria 
dell�Autorit� �civile� di governo), analogamente a quanto tuttora accade in 
Francia con i Prefetti, in Spagna con i Delegados e Subdelegados del Gobierno 
nelle Comunidades Aut�nomas, etc.. 

Ultimo aspetto da considerare, la diffusione pi� o meno capillare, sul territorio, 
delle varie Forze dell�ordine. Se sul piano comparato da tempo si parla 
di �polizia di prossimit��, su quello interno il legislatore ha previsto, in parallelo 
al decentramento di talune funzioni amministrative di pubblica sicurezza, 
di cui si � detto, degli ulteriori �strumenti� di gestione territoriale dell�ordine 
e sicurezza pubblici, quali i �patti per la sicurezza�. 

Si tratta, in estrema sintesi, di accordi di collaborazione e solidariet� stipulati 
tra lo Stato e gli Enti locali (Province e soprattutto Comuni) che prevedono 
l�azione congiunta di pi� livelli di governo e la promozione di interventi, 
anche in via sussidiaria e nell�ambito delle responsabilit� di ciascuno, per rendere 
effettivo il diritto ad una sicurezza diffusa. O, a fronte del progressivo 
deteriorarsi delle condizioni della finanza pubblica, per mantenere almeno il 
livello di sicurezza sino ad allora raggiunto. 

Tali accordi non derogano alle competenze centralizzate delle Autorit� di 
P.S., n� prevedono una loro gestione in via delegata: obiettivo dei �patti� � la 
progressiva eliminazione delle aree di degrado e di illegalit�, nel rispetto delle 
competenze delle Autorit� di settore, ottimizzando l�integrazione con le poli


(480) La dipendenza, in tempo di pace, della GNR dal Minist�rio da Administra��o Interna risale 
formalmente al Decreto del 3 maggio 1911, che peraltro recupera la disciplina gi� precedentemente data 
nel 1801 per la Guarda Real da Pol�cia de Lisboa e quindi, nel 1834-35, per la Guarda Municipal de 
Lisboa e Porto. Invero, in ragione della sua natura di Forza militare di sicurezza, la GNR ha in realt� una 
doppia dipendenza, dal Ministro da Defesa e dal Ministro da Administra��o Interna (attuale responsabile 
della sicurezza interna dello Stato, ex art. 2 comma primo della Lei 63/2007). 

(481) Gi� dipendente dal Ministero dell�Interno, transitata alla Giustizia nel 1945. Si tratta della 
Polizia criminale (e non di quella penitenziaria), avente per missione di collaborare con i Pubblici ministeri 
nell�attivit� di indagine (art. 2 comma primo: �A PJ tem por miss�o coadjuvar as autoridades 
judici�rias na investiga��o, desenvolver e promover as ac��es de preven��o, detec��o e investiga��o 
da sua compet�ncia ou que lhe sejam cometidas pelas autoridades judici�rias competentes�), la cui organizzazione 
� data dalla Lei 6 agosto 2008, n. 37 (emendata con legge 30 agosto 2010 n. 26). In argomento, 
cfr. il portale istituzionale http://www.policiajudiciaria.pt/. 

(482) A seguito della riforma del 2011, che ne ha disposto la soppressione, tali competenze sono 
state in parte ri-accentrate in capo al Ministero dell�Interno, in parte devolute ad altre Amministrazioni 
pubbliche. 


tiche di sicurezza delle autonomie territoriali ed impegnando maggiormente 
le polizie locali (483). 

In breve, uno strumento operativo mediante il quale dare attuazione al 
modello �integrato� della pubblica sicurezza che contraddistingue il �modello 
europeo�, coordinando tra loro gli operatori di settore di volta in volta interessati: 
i �patti� spesso consistono in piani che prevedono lo stanziamento di 
fondi o l�impiego di maggiori risorse umane, oppure azioni mirate per affrontare, 
ad esempio, la questione di insediamenti abusivi o reati di contraffazione, 
di sfruttamento della prostituzione, di abusivismo commerciale, etc. 

A rigore - pur nel rispetto delle competenze proprie di ciascuna Forza di 
polizia - possono anche comportare la riorganizzazione dei presidi delle Forze 
dell�ordine, l�intensificazione dell�utilizzo dei cd. �poliziotti di quartiere�, etc. 

I �patti per la sicurezza� non rappresentano per� un modello alternativo 
alle funzioni di coordinamento prefettizie tracciate dalla legge 121/81, ma si 
inseriscono nel sistema vigente, tentando di superare il rigido schematismo 
burocratico del TULPS - come �filtrato� dalla legge 121/81 - per dar vita ad un 
ordinamento pi� articolato: in concreto, infatti, sono definiti da protocolli e 
programmi congiunti condivisi tra la Prefettura, il Comitato provinciale per 
l�ordine e la sicurezza pubblica (organo di coordinamento per eccellenza), 
nonch� il Comune o la Provincia interessati, volti ad individuare delle specifiche 
modalit� di pianificazione e/o collaborazione �interforze� coerenti con 
le decisioni assunte in seno al suddetto Comitato Provinciale e con i piani coordinati 
di controllo prefettizi. 

L�art. 7 del D.L. 92/2008 ha poi esteso la predisposizione di piani coordinati 
di controllo del territorio, per specifiche esigenze, anche ai Comuni 
minori ed alle forme associative sovracomunali, per potenziare la capacit� 
di intervento della polizia locale nelle attivit� ordinarie. 

Sempre nell�ottica di una gestione della pubblica sicurezza quanto pi� vicina 
al cittadino ed al territorio si collocano infine le dottrine della cd. �polizia 
di prossimit��, nate nel particolare contesto degli ordinamenti anglosassoni 
(in primis, negli USA degli anni �60) che non conoscevano l�esperienza storica 
delle Forze di gendarmeria territoriali (484). 

Negli anni Ottanta il modello venne poi esteso, in Francia, soprattutto 

(483) Sull�argomento si veda PAJNO, La sicurezza urbana, cit., pp. 142 ss. 

(484) Tipiche invece dell�Europa continentale, tra cui si possono menzionare i Corpi di Marechauss�es 
fiamminghi e francesi, da cui si sono evolute - almeno in parte - le moderne gendarmerie. 
Sull�argomento si vedano gli studi di LUC, Gendarmerie, �tat et Soci�t� au XIX si�cle, cit., EMSLEY, 
Gendarmes and the State in nineteenth-century Europe, Oxford 1999, pp. 27 ss. e LORGNIER, Quand le 
Gendarme juge. Mar�chauss�e, histoire d�une r�volution judiciaire et administrative, Paris 1994. Cfr. 
anche CODRONCHI, Sul riordinamento della P.S. in Italia, in Nuova Antologia CXLIII, 1895, pp. 215 ss., 
nonch� JENSEN, Liberty and Order: The Theory and Practice of Italian Public Security Policy, 1848 to 
the Crisis of the 1890s, New York 1991. 


alla Police Nationale (Forza di polizia allocata nei maggiori centri abitati e 
nelle metropoli), nonch� in Olanda, Belgio e Spagna (qui soprattutto per contrastare 
particolari fenomeni di terrorismo locale). 

Nei Paesi scandinavi, caratterizzati da un�esigua densit� demografica e, 
soprattutto in passato, da una relativa pace sociale (con conseguente elaborazione 
di una peculiare dottrina della pubblica sicurezza su base comunitaria), 
il modello in questione si confonde con le pi� ampie politiche di prevenzione, 
che affiancano alle tradizionali misure della polizia di sicurezza degli articolati 
interventi - su base locale - di sostegno economico ed assistenziale, implementati 
da Consigli di Prevenzione locali che danno vita ad un sistema integrato 
di forze politiche e sociali, in collaborazione tra loro, secondo un 
programma nazionale di prevenzione della criminalit�. 

In ambito UE, come gi� evidenziato, � centrale il modello �integrato� ed 
�olistico�, compendiato nelle conclusioni della Riunione dei Ministri dell�Interno 
di Italia, Francia e Germania del 30 aprile 2001 - di poco posteriore al 
Consiglio UE di Feira - avente per tema �La sicurezza per la libert��, per cui 
�L�efficacia delle politiche di sicurezza e di tranquillit� si basa su un�impostazione 
globale che prevede al prevenzione, la dissuasione e la sanzione, mettendo 
insieme tutti gli attori pubblici e non, in una co-produzione di 
sicurezza�. Tale concetto, �riletto� alla luce del principio comunitario di sussidiariet�, 
si pone alla base di quello di �prossimit��. 

In realt�, nella tradizione amministrativa europea possono individuarsi 
almeno due sistemi generali che mirano ad attuare, per quanto possibile, una 
diretta collaborazione tra Forze dell�ordine e cittadini: il primo � quello, del 
tutto peculiare, della Community policing anglosassone, in base al quale le 
Forze di polizia vengono assegnate a specifiche aree geografiche, al fine di 
stabilire diretti legami con le comunit� ivi residenti e le rispettive formazioni 
sociali (associazioni religiose, di quartiere, gruppi giovanili, etc.). 

Il modello si basa sull�idea che quando la polizia viene interamente coinvolta 
nella vita della comunit� non � pi� avvertita come un�entit� �terza� - assegnata 
dallo Stato al sol fine di far rispettare la legge - e che la prevenzione del crimine 
pu� essere meglio perseguita attraverso un�interazione positiva tra le Forze del-
l�ordine e la comunit� locale: per l�effetto, anche i cittadini finiscono per partecipare 
alla pianificazione ed alla supervisione delle attivit� di polizia, le cui 
responsabilit� di comando vengono operativamente trasferite ai gradi inferiori. 

Tale modello presuppone per� un assetto dello Stato ed una formazione 
delle sue classi dirigenti funzionali ad una gestione locale del potere e delle strutture 
comuni, con conseguente venir meno degli organi di intermediazione tra 
Governo centrale e periferia (per fare un esempio, in Italia e Francia il Prefetto). 

Il secondo modello, di origine francese, � quello dell�il�tage (ossia del-
l�isolato, porzione del centro urbano delimitato da strade), adottato a suo tempo 
per l�attivit� della Police nationale nei maggiori centri urbani (la Gendarmerie 


gi� essendo una tipica polizia territoriale di prossimit�): con tale politica, sviluppata 
a partire dal 1998 (485), si voleva assicurare anche in tali realt� una 
pi� capillare visibilit� delle Forze dell�ordine, per fronteggiare il crescente 
senso di insicurezza dei cittadini. 

Il modello venne tuttavia gradualmente abbandonato a partire dal 2003, 
per essere definitivamente dismesso nel 2010. 

In Italia, con l�espressione �Polizia di prossimit�� (486) si intende, dal 
2002 in poi, un settore della Polizia di Stato, dell�Arma dei Carabinieri e 
della Polizia municipale particolarmente legato al territorio e composto da 
operatori che prendono il nome evocativo di Poliziotti, Carabinieri e Vigili 
�di quartiere�. 

In realt�, una questione di radicamento si pone solo per la prima delle tre 
componenti, stante la tipica connotazione territoriale delle altre due; vero �, 
peraltro, che i servizi in esame vengono utilizzati non nei centri abitati di medie 
dimensioni (dove la Polizia di Stato � generalmente assente), bens� nei capoluoghi 
di provincia e nei centri maggiori, dove anche la diffusione capillare 
dei Carabinieri deve confrontarsi con un tessuto sociale ed urbano spesso disaggregato 
e impersonale. 

Nell�ottica di un maggiore �avvicinamento� ai cittadini, affinch� percepiscano 
anche visivamente la presenza dello Stato, il Poliziotto ed il Carabiniere 
di quartiere si associano, a piedi, all�attivit� svolta dalle pattuglie 
�automontate� che si occupano del controllo del territorio. Dal punto di vista 
organizzativo, sono collocati - non a caso - nell�organico dell�Ufficio Prevenzione 
generale e Soccorso pubblico (U.P.G.S.P.) della Questura, ovvero presso 
i Comandi Stazione Carabinieri. 

Gli operatori in questione svolgono la loro attivit� in �zone� o �quartieri�, 
individuati in sede prefettizia ed aventi una popolazione non superiore ai 

30.000 abitanti circa, al fine di favorire un contatto pi� diretto con i residenti. 

Al di l� dell�apparenza, la logica sottesa al modello �di prossimit�� mira 
a qualificare l�attivit� della polizia di sicurezza in termini particolarmente complessi, 
mutuando per le realt� urbane di maggiori dimensioni il modello di rapporto 
con il pubblico tipico della Stazione dei Carabinieri: la vicinanza fisica 
dell�operatore di polizia ne � solo l�aspetto esteriore, poich� tale modello storico, 
in realt�, presuppone (per poter funzionare e non ridursi a mera apparenza) 
un continuo ed immediato adattamento delle procedure operative alle 
diverse realt� sociali presenti sul territorio (che dunque vanno preventivamente 

(485) Tale modello era gi� stato individuato con la Loi d�orientation et de programmation relative 
� la s�curit� del 21 gennaio 1995. In argomento cfr. FERRET, Police de proximit� en France, Une exp�rience 
de recherche institutionnelle � l�IHESI entre 1998 et 2001, in Les Cahiers de la s�curit� int�rieure, 
46/4, (Paris 2001) pp. 97-118. 

(486) Sull�argomento, per un�introduzione generale, si veda CARRER, La polizia di prossimit�: la 
partecipazione del cittadino alla gestione della sicurezza nel panorama internazionale, Milano 2003. 


vissute), cos� da garantire al cittadino adeguate forme di collaborazione, concretando 
l�operatore di polizia la propria funzione di rappresentante dello Stato 
nel senso pi� autentico del termine. 

In difetto di tali presupposti, il modello in questione rischia di tradursi 
in una mera duplicazione delle funzioni, fonte di inefficienze destinata al 
fallimento. 

Un articolato modello teorico di �polizia di prossimit�� � presente anche 
nella Raccomandazione 31 marzo 2007, n. 216, del Congresso dei Poteri Locali 
e Regionali del Consiglio d�Europa (487), utile ai fini descrittivi bench� 
priva di qualsiasi valore vincolante: in questi termini, la polizia di prossimit� 
rappresenta una componente - applicabile ai maggiori centri urbani o negli 
Stati privi di una Forza di polizia territoriale a competenza generale - del pi� 
ampio modello della cd. �sicurezza partecipata� (coinvolgente cio� un numero 
di soggetti e strutture maggiore rispetto a quelle tradizionali di pubblica sicurezza), 
che si estende oltre i fatti penalmente rilevanti sino a comprendere manifestazioni 
di diverso genere ma che pur sempre incidono sulla tranquillit� 
sociale e sulla percezione stessa della sicurezza. In pratica, un concorso fattivo 
di tutti i soggetti - pubblici e privati - che con il loro intervento possono rendere 
pi� efficace il lavoro delle Forze dell�ordine. 

Alcuni Autori teorizzano che la polizia �di prossimit�� possa rappresentare 
il primo passo per la realizzazione di una polizia �di comunit��, intesa 
come reale collaborazione di tutte le Istituzioni responsabili di qualche 
aspetto della �sicurezza sociale�, evitando la compartimentazione tra gli Enti 
territoriali, quelli preposti alla prevenzione sociale o quelli deputati alla prevenzione 
e repressione criminale (Forze di polizia a competenza generale e 
speciale, Prefetture, magistratura), etc., compartimentazione che invece ancora 
informa l�impianto organizzativo del TULPS, il cui rigido modello monistico 
delle Autorit� provinciali di P.S. solo in parte � stato scalfito dalle 
pi� recenti riforme legislative. 

In Italia le politiche della sicurezza ispirate alla �nuova prevenzione� 
si sono indirizzate verso il sistema dei �Protocolli d�intesa�, un variegato 
insieme di iniziative e forme di �partenariato� che il Ministero dell�Interno 
ha progressivamente sviluppato con gli Enti locali, soprattutto per reperire 
maggiori risorse, con iniziative rivolte in particolare alle categorie di cittadini 
pi� a rischio: anziani, donne, portatori di handicap, etc.. Gli strumenti 
di attuazione sono risultati essere, col tempo, i pi� vari ed atipici, quali contratti 
sociali, protocolli, convenzioni, ordinanze, etc., al fine di regolamentare, 
innanzitutto, le relazioni tra Amministrazioni centrali e locali, per 
intervenire direttamente sui fenomeni che in uno specifico contesto destano 
particolare allarme sociale. 

(487) Testo integrale, nella versione ufficiale francese, su https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=1145663. 


All�atto pratico, per�, va rilevata la sostanziale crisi di tale modello, incompatibile 
con il vigente assetto dell�Amministrazione di P.S.: non solo, infatti, 
� privo di una definita base legale, ma soprattutto - in considerazione dei 
noti e persistenti problemi della finanza pubblica - non si attaglia alla distribuzione 
territoriale frammentaria (al di fuori delle aree metropolitane) della 
Forza a competenza generale alla quale avrebbe dovuto realmente applicarsi. 
Invero, la Circolare 23 dicembre 2010 n. 225/B/2010/91482/U della Direzione 
Centrale Anticrimine della Polizia di Stato (488), avente ad oggetto la riorganizzazione 
dell�Ufficio Prevenzione generale e Soccorso pubblico (UPG-SP � 
settore che coordina la centrale operativa e le volanti della Squadra mobile), 
nel creare, in seno ai Commissariati di P.S. sezionali e distaccati il nuovo �Ufficio 
Controllo del Territorio� (UTC), destinato ad assorbire tutte le altre organizzazioni 
interne diversamente denominate ed a divenire il �terminale di 
una rete provinciale coordinata dall�UPG e SP�, precisa che �Il servizio polizia 
di quartiere viene organicamente unificato in seno all�UPG e all�SP, quale ulteriore 
momento strumentale all�operativit�, anche perch� il conseguimento 
di alcuni obiettivi di prevenzione richiede spesso lo sviluppo di progetti di 
prossimit� di �impatto� da svolgere in tutte le zone in maniera uniforme e 
con metodologie omogenee ��. 

Viene inoltre correttamente precisato che ai fini delle assegnazioni di personale 
�deve essere valutata la generale diminuzione di risorse ed il venir 
meno dell�unit� di riserva del poliziotto di quartiere. In tale ottica non potr� 
escludersi la necessit� di una riduzione del numero di aree coperte dal servizio� 
e comunque �la riorganizzazione in argomento non deve determinare 
�migrazioni� logistiche di strutture e di risorse umane tali da inficiare l�efficacia 
dell�azione delle pattuglie ��. 

A ci� aggiungasi che la natura subordinata e strumentale dell�UTC rispetto 
alle strutture �centrali� della Questura, unitamente all�esigua presenza di presidi 
della Polizia di Stato al di fuori dei maggiori centri urbani del Paese, sebbene 
coerente con il vigente impianto del TULPS appare poco funzionale alla 
necessit� di una gestione �reticolare� ed �integrata� del controllo di pubblica 
sicurezza, presupposte dal modello della polizia �di prossimit�� e dalle linee-
guida europee. 

A questo punto del discorso si possono trarre alcune conclusioni. 

Secondo l�insegnamento dell�Alta Corte (489), gi� richiamato in precedenza, 
nell�ordinamento costituzionale vigente per pubblica sicurezza deve 
intendersi �la funzione inerente al mantenimento dell�ordine pubblico, cio� 

(488) Circolare sul sito non istituzionale http://www.anfp.it/gestionale/upload/cms/elementi_portale/news/ 
documenti/attivita_controllo_progetto_uct.pdf 

(489) Corte Cost., sent. 7 aprile 1995, n. 115 (cit.). Per uno studio sui profili giuridici della materia, 
cfr. DI RAIMONDO, Ordine pubblico e sicurezza pubblica, cit. 


alla tutela dei beni giuridici fondamentali o degli interessi pubblici primari 
sui quali si regge la civile convivenza�. La relativa competenza � riservata 
allo Stato, ai sensi dell�art. 4 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 382, nonch� dell�art. 
117, comma secondo lett. d) Cost. 

Non siamo quindi in presenza di un modulo organizzativo - civile, militare 

o misto - bens� di una funzione che prescinde del tutto dalle caratteristiche ordinamentali 
degli operatori che vi attendono, rilevando solamente gli obiettivi, 
le modalit� ed i limiti della loro azione. 

Si tratta, in particolare, di una funzione �preventiva�, a carattere prettamente 
amministrativo, con la quale lo Stato mira ad anticipare e colpire specifiche 
attivit� in grado di mettere in pericolo l�ordine pubblico: in sintesi, 
tende ad assicurare la pacifica convivenza tra i cittadini e l�ordinato svolgersi 
delle relazioni sociali attraverso l�imposizione di limiti, vincoli e prescrizioni 
per tutelare - da danni e pericoli eventuali - tanto i consociati quanto le Istituzioni 
pubbliche. 

Ad essa si collega, strumentalmente, l�attivit� della �polizia di sicurezza� 
(490), branca della �polizia amministrativa� (491) deputata ad esplicare prevalentemente 
un�attivit� di prevenzione, impedendo lo svolgimento di atti ed 
attivit� in grado di mettere in pericolo l�ordinata convivenza civile (492). 

Cosa diversa � la funzione di �polizia giudiziaria�, avente natura prevalentemente 
repressiva e legata, per contro, all�attivit� giurisdizionale sia sotto 
il profilo organizzativo/formativo che sotto quello funzionale: ai sensi dell�art. 
55 cpp �La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia 
dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne 
gli autori � Svolge ogni indagine e attivit� disposta o delegata 
dall�Autorit� giudiziaria�. A differenza di quelle precedentemente citate, le 
funzioni di polizia giudiziaria vengono svolte alle dipendenze e sotto la dire


(490) In argomento si veda CORSO, Polizia di sicurezza, in Dig. Disc. Pubbl., XI, Torino 1996, 
pp. 319 ss. In merito all�ordinamento previgente, RANELLETTI, La polizia di sicurezza, in Primo trattato 
di diritto amministrativo italiano (a cura di ORLANDO), IV/1, Milano 1904, pp. 205 ss.. Per un�esposizione 
compendiata dei concetti e delle funzioni di polizia si rinvia a CHIAPPETTI, Polizia (dir. pubbl.), in 
Enc. dir. XXXIV, Milano 1985, pp. 120 ss. nonch� all�efficace studio comparativo di BERTACCINI, I modelli 
di polizia, cit. 

(491) Per tale intendendosi l�attivit� di polizia volta ad attuare le misure amministrative, preventive 
e repressive necessarie affinch� i privati pongano in essere le proprie attivit� senza arrecare danno alla 
societ�: in questi termini si pone anche la definizione riportata all�art. 159 del D.lgs 31 marzo 1998, n. 

112. In argomento, per un�introduzione generale (sebbene antecedente a tale precisazione normativa) si 
veda NOVA, Polizia amministrativa, in Dig. Disc. Pubbl., XI, Torino 1996, pp. 315 ss. 

(492) Storicamente, la legge 20 marzo 1865 n. 2248, Allegato B (che stabil� la dipendenza funzionale 
delle Forze di polizia dal Ministro dell�Interno - a livello nazionale - ed a livello provinciale dal 
Prefetto) rappresenta l�antecedente poi ripreso dall�art. 1 del TULPS nel definire le funzioni di pubblica 
sicurezza in termini di �mantenimento dell'ordine pubblico, sicurezza dei cittadini, loro incolumit� e 
tutela della propriet�; � osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle 
province e dei comuni, nonch� delle ordinanze delle autorit��. 


zione dell�Autorit� giudiziaria (493) e generalmente vengono ricondotte - sul 
piano internazionale (494) - alle attribuzioni del Ministero della Giustizia. 

Le distinzioni di cui sopra, al di l� delle finalit� compilative, riflettono le 
diverse attribuzioni - a monte - degli apparati di indirizzo dello Stato e sono 
strumentali ad un ordinato riparto delle connesse funzioni esecutive, ad evitare 
improprie sovrapposizioni che - prima ancora dell�efficacia e della trasparenza 
dell�azione amministrativa - possano attingere gli stessi presupposti materiali 
del principio della divisione dei Poteri, cardine dello Stato di diritto: eventualit� 
tutt�altro che peregrina, se solo si considera la scrupolosa attenzione dei 
vari legislatori europei nell�evitare reciproche �invasioni di campo� nel settore 
della pubblica sicurezza. 

Atteso l�autonomo rilievo assunto dalla funzione amministrativa nei modelli 
costituzionali dell�Europa continentale (495), si spiega la necessit� di 
una sua netta differenziazione dalla funzione di indirizzo, che rappresenta un 
fondamentale attributo non solo dell�amministrazione cd. �attiva�, ma pure 
dell�iniziativa legislativa: esigenza che, seppur entrata solo in tempi relativamente 
recenti nell�agenda legislativa italiana, pur tuttavia � oggetto di qualificati 
riscontri, da ultimo l�art. 6 della legge 4 marzo 2009, n. 15 che 
contiene principi e criteri �al fine di rafforzare il principio di distinzione tra 
le funzioni di indirizzo e confronto spettanti agli organi di governo e le funzioni 
di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza � regolando il rapporto 
tra organi di vertice e dirigenti titolari di incarichi apicali in modo da 
garantire la piena e coerente attuazione dell�indirizzo politico degli organi 
di governo in ambito amministrativo�. 

Nell�assetto istituzionale presupposto dalla divisione dei Poteri, la struttura 
di Governo - composta dai vari Dicasteri - non esplica funzioni operativo/
gestionali, bens� di indirizzo politico ed iniziativa legislativa: per l�effetto, 

(493) Dovendosi peraltro distinguere tra Servizi di P.G. - istituiti presso le strutture delle singole 
Forze dell�ordine e dipendenti dall�ufficiale di P.G. preposto agli stessi (unico responsabile verso il Procuratore 
della Repubblica dell�operato della struttura) - e Sezioni di P.G., istituite presso ciascuna Procura 
della Repubblica (a composizione interforze) e direttamente dipendenti dal Procuratore (cfr. gli artt. 56 
e 59 cpp). 

(494) Basti ricordare la Raccomandazione 10/2001/REC del Consiglio d�Europa (cfr. infra) e le 
fonti OSCE (idem). Nel sistema italiano, per contro, talune attribuzioni permangono in capo al Ministero 
dell�Interno. 

(495) Rilievo sancito, nell�Europa continentale, a seguito delle grandi codificazioni ottocentesche. 
L�individuazione di un autonomo Potere esecutivo, distinto ed equiordinato rispetto a quello legislativo 
e giudiziario, � successiva alla Rivoluzione francese e riposa sull�idea giacobina per cui l�Amministrazione 
� un soggetto sovraordinato rispetto ai privati cittadini, proprio in ragione delle sue funzioni naturali, 
in quanto deputato alla promozione e tutela dell�interesse generale, da ritenersi comunque 
prevalente. In argomento, cfr. BURDEAU, Histoire du droit administratif de la R�volution au d�but des 
ann�es 1970, Paris 1995 e REDOR, De lՃtat legale � lՃtat de droit. L�evolution des conceptions de la 
doctrine pubbliciste fran�aise 1874-1914, Paris 1992. Il termini pi� ampi, ZOLO, Teoria e critica dello 
Stato di diritto, in AA.VV. (a cura di COSTA-ZOLO), Lo Stato di diritto. Storia, teorica, critica, Milano 
2002. 


se da un lato si avvale di organi ausiliari che - nell�esercizio delle funzioni 
di amministrazione generale -operano quale �anello di congiunzione� con 
gli organi esecutivi dell�Amministrazione statale, dall�altro non pu� integrare 
al suo interno parte di questi ultimi, pena una contraddizione di sistema 
e la confusione tra gli organi di coordinamento e controllo ed i soggetti 
sottoposti a quest�ultimo. 

Tale distinzione, sia organizzativa che funzionale, rappresenta il tratto caratteristico 
degli ordinamenti dell�Amministrazione di pubblica sicurezza dei 
vari Stati europei, a prescindere dalle particolarit� storiche di ciascuno di essi 
e, sostanzialmente, valeva anche in Italia, sino ai mutamenti istituzionali dei 
primi anni Venti del secolo scorso. 

Per contro, il sistema italiano ha invece salvaguardato - quasi a contrappeso 
- un ulteriore principio fondamentale di democrazia classica, anch�esso 
presente nella maggior parte degli ordinamenti continentali seppur con minor 
evidenza, ovverosia la netta distinzione tra la dipendenza organizzativo/ordinamentale 
delle varie Forze dell�ordine (suddivisa tra diversi Dicasteri, in ragione 
della natura di ciascuna di esse, oltre che per evidenti ragioni di 
equilibrio istituzionale) rispetto alla loro comune dipendenza funzionale da 
quello dell�Interno, per le (sole) attivit� di pubblica sicurezza (496). 

Soluzione che, come riconosciuto anche a livello internazionale, non solo 
risponde alle naturali differenze tra i vari operatori del settore, ma soprattutto 
garantisce la trasparenza ed il costante monitoraggio di un contesto assai delicato, 
non a caso stimato per� tra i pi� efficienti e versatili - operativamente 
parlando - a livello mondiale. 

Tale soluzione, del resto, � di tutta evidenza la pi� conforme al cd. �modello 
europeo� che, oltre a privilegiare un approccio �integrato�, � strutturato 
in chiave rigorosamente �funzionale�: in questi termini, ci� che rileva � l�esercizio 
istituzionale di determinate incombenze nel rispetto di ben precisi standard 
qualitativi, e non invece l�organizzazione accentrata o decentrata di una 
struttura, ovvero l�ordinamento civile piuttosto che militare, una dimensione 
generalista o circoscritta per luogo ed oggetto, etc. 

(496) Altri ordinamenti, quali quello portoghese (cfr. retro), nei quali alla dipendenza funzionale 
si associa anche, in modo pi� o meno marcato, la dipendenza ordinamentale di pi� Forze dell�ordine 
(ma non di tutte) dal medesimo Dicastero, la salvaguardia dell�equilibrio istituzionale � stata ricercata 
nella devoluzione ad un organo terzo - quale il Presidente del Consiglio dei Ministri (in ragione del suo 
ruolo istituzionale di coordinamento dell�indirizzo di governo: il Portogallo � un regime semi-presidenziale 
di tipo parlamentare, nel quale il ruolo del Primo Ministro, nominato dal Presidente della Repubblica 
e vincolato alla fiducia del Parlamento, entrambi eletti a suffragio diretto, � tendenzialmente 
residuale) - delle potest� di pubblica sicurezza, eventualmente delegabili al Ministro dell�Interno ma 
solamente sotto il profilo tecnico. Soluzione che invece risulta impropria in un sistema presidenziale 
pieno (quale quello francese, dove la parziale riforma del 2009 ha dato adito a seri spunti critici), poich� 
finisce per determinare - analogamente a quanto accadrebbe nei regimi parlamentari, per ragioni speculari 
- delle concentrazioni di attribuzioni poco coerenti con i principi di trasparenza e controllo. 


Questi aspetti possono al pi� attenere a questioni ulteriori, legate a valutazioni 
di efficienza ed efficacia, nonch� alla capacit� dei suddetti organismi 
di soddisfare il secondo requisito-cardine del modello sovranazionale, ossia 
l�attitudine ad inserirsi organicamente in un�azione integrata (multidisciplinare 

o interforze); aspetto, quest�ultimo, che ha portato le Istituzioni dell�Unione a 
riconoscere un ruolo determinante e decisivo alle cd. �Forze ibride� - tanto 
sul piano della sicurezza interna che di quella esterna - nell�implementazione 
delle politiche comuni. 

Il presupposto della distinzione delle funzioni e dei poteri si presenta per� 
in modo variabile nei singoli ordinamenti europei. 

L�idea di una differenziazione qualitativa nelle forme di esercizio del-
l�autorit� pubblica risale, secondo alcuni, gi� ai Glossatori del Trecento, che 
con BALDO DEGLI UBALDI scomposero l�imperium absolutum del Princeps 
dalla sfera della iurisdictio, propria dei soli magistrati subordinati; in realt�, 
di una consapevole distinzione delle funzioni pubblicistiche si pu� incominciare 
a parlare solo nel Sei-Settecento nel mondo anglosassone, ove vennero 
per� ridotte a quella del legiferare e dell�eseguire (espressione con la quale 
ci si riferiva solamente all�odierna attivit� giurisdizionale dell�applicazione 
delle leggi). 

Va infatti ricordato - anche a definitivo chiarimento della nozione-chiave, 
nel settore che qui ci occupa, della �Civil Authority�, con la quale abbiamo 
significativamente introdotto questo lavoro - che nel sistema inglese non viene 
generalmente riconosciuta un�autonoma funzione esecutiva (sul modello �tripartito� 
dell�Europa continentale), in ragione del ruolo autocratico e supremo 
di quella legislativa, a fronte della quale vi � solamente un generale obbligo 
di vigilanza. 

Le ragioni di ci� risiedono nella particolare evoluzione istituzionale di 
un ordinamento che gi� nel 1265 vide il Ruler �de facto� of England, Simone 
di Montfort, convocare il primo Parlamento elettivo dell�Europa medievale 
che, non a caso, da subito assunse il controllo dell�Esercito, sottraendolo al 
monarca, con ci� reclamando le funzioni militari all�Autorit� (cd. �civile�, da 
civitas) dello Stato ed anticipando cos� un principio politico che sul Continente 
trover� sanzione con BODIN e MACHIAVELLI. 

Come osserva la dottrina (497), sul piano interno gli organi amministrativi 
hanno qui il compito di assicurare il rispetto della legge, al pi� provvedendo 
alla nomina dei magistrati, all�esecuzione delle loro sentenze ed all�occorrenza 
all�emanazione di norme integrative (cd. �proclamations�): al di fuori di que


(497) Cos�, testualmente, MANNORI, op. ult. cit., p. 123. In argomento si veda anche l�ampio studio 
di VILE, Constitutionalism and the Separation of Powers, Indianapolis 1968 (online all�indirizzo 
http://oll.libertyfund.org/index.php?option=com_staticxt&staticfile=show.php%3Ftitle=677&Itemid=28), 
in particolare il terzo capitolo. 


sto ristretto ambito rimane solo la tipica funzione giurisdizionale, dal momento 
che �la legge � sempre concepita come un comando rivolto ai sudditi, che non 
lascia altro spazio agli organi dello Stato se non quello di vigilare sulla sua 
corretta osservanza e di irrogare ai contravventori le sanzioni del caso. In 
questa prospettiva, l�esecuzione della legge � in primo luogo rimessa ai membri 
del corpo sociale ed in subordine agli apparati giudiziari preposti a constatare 
il mancato rispetto dei precetti legali. Fu cos� che la raggiunta 
percezione di un �potere esecutivo� non corrispose affatto all�emergere di 
una �funzione esecutiva�, intesa come un terzo genere di attivit� pubblica individuabile 
sulla base di contenuti giuridici specifici rispetto alla legislazione 
ed alla giurisdizione�. 

In un sistema concettuale nel quale il �Potere esecutivo� altro non � che 
�the Power of the Sword�, secondo la celebre definizione di DALLISON (498), 
ossia il potere/dovere di proteggere lo Stato dai nemici esterni, e dunque attiene 
al comando dell�Esercito ed alla cura delle relazioni internazionali (in 
breve, a quelle prerogative che LOCKE riassume nel termine �Federative 
Power� (499)), ben si spiega la particolare accezione che assume la nozione 
di �Civil Authority�: non dunque una forma organizzativa, bens� una funzione 
di indirizzo e di scopo, centrale nel pensiero dei costituzionalisti inglesi da 
LAWSON in poi. 

Se gi� il titolo della �Politica Sacra et Civilis� (500) anticipa l�idea che 
essa si sostanzi nel potere dell�Autorit� statuale di dettare le leggi, ossia i lineamenti 
fondamentali dell�indirizzo politico dello Stato, nel successivo svolgimento 
(501) verr� canonizzata l�essenza del correlato potere �civile�, laddove 
�There is a threefold power civil, or rather three degrees of that power. The 
first is legislative. The second judicial. The third executive� e - significativamente 
-�Legislation, Judgement and Execution by the Sword, are the three 
essential acts of supreme Power civil in the administration of the State� (502). 

(498) DALLISON, The Royalist�s Defence, London 1648, tesi poi ripresa da Lawson. � significativo 

-tanto pi� nella prospettiva di questo lavoro - rilevare come tale principio rappresenti uno dei capisaldi 
della teoria della �Balanced Constitution�, che trae origine dalla distinzione di BRACTON (De legibus et 
consuetudinibus Angli�, 1210-1268 ca.) tra scelte di indirizzo politico, svincolate dal dirtitto vigente 
(gubernaculum) e iurisdictio (la successiva fase esecutiva, nella quale vengono prodotte ed applicate le 
norme giuridiche, con decisioni vincolate al diritto). Sullo svolgimento delle teorie costituzionaliste inglesi 
nel periodo della guerra civile, si veda il classico di WORMUTH, The origins of the modern constitutionalsm, 
New York 1949. 

(499) LOCKE, Two Treaties on Government (1680-1690), II, 12, par. 146: �This, therefore, contains 
the power of war and peace, leagues and alliances, and all the transactions with all persons and communities 
without the commonwealth, and may be called federative if any one pleases. So the thing be 
understood, I am indifferent as to the name�. 

(500) LAWSON, Politica Sacra et Civilis, London 1660. 

(501) Che sul punto riprende quanto gi� sviluppato nel precedente An Examination of the Political 
Part of Mr. Hobbs his Leviathan, London 1657, p. 8. 

(502) LAWSON, An Examination, cit., p. 8. 


Un potere �civile� che non � dunque minimamente contrapposto a quello 
�militare� (503), bens� lo ricomprende quale sua naturale, immanente funzione, 
finalizzata al pari dei suoi altri attributi - la potest� legislativa e quella 
giudicante - ad assicurare il rispetto delle leggi e la salvaguardia dell�ordine 
pubblico generale. 

(503) Come invece un secolo dopo avverr� nella dottrina statunitense, che a differenza di quella 
inglese non tanto concepiva il potere �civile� come detentore della suprema autorit� militare, bens� - di 
fatto - quasi come un antagonista di quest�ultima. Tale linea di sviluppo pu� trovare una spiegazione sia 
nell�influenza dell�utilitarismo puritano, sia nella mancata creazione, all�origine dello Stato, di una Forza 
militare nazionale con finalit� aggreganti (secondo un modello teorizzato in Europa gi� da Machiavelli), 
che venne invece �surrogata� - soprattutto per le esigenze di ordine pubblico - da disorganiche milizie 
regionali soggette s� ai Governi locali, ma spesso impopolari per la presenza, nelle loro fila, di un gran 
numero di avventurieri e sbandati. 


contributi dottrina
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Le notifiche nel processo civile telematico 
alla luce dei pi� recenti decreti ministeriali 

Alfonso Contaldo* 
Michele Gorga** 

SOMMARIO: 1. Le notifiche nel processo civile telematico: le prime previsioni normative. 

- 2. Il regime delle comunicazioni e delle notifiche telematiche nel processo civile. - 3. Le no-
tifiche a mezzo posta elettronica ex art. 149-bis c.p.c. - 3.1 Le notifiche tramite PEC alla luce 
del Decreto ministeriale 3 aprile 2013 n. 48. - 3.2 Gli indirizzi PEC utilizzabili per le notifiche. 
- 4. Le pronunce di merito e di legittimit� in tema di notifiche telematiche nel processo civile. 


1. Le notifiche nel processo civile telematico: le prime previsioni normative. 

Con le norme di modifica al codice di procedura civile, introdotta con 
l�art. 51 del decreto-legge del 25 giugno 2008 n. 112, convertito in legge n. 
133 del 6 agosto 2008, nel quadro pi� generale di riforma del rito civile il nostro 
legislatore non solo ha introdotto importanti novit� in tema di comunicazioni 
e notificazioni telematiche (1) ma si � anche preoccupato - per rendere 
obbligatorio l�utilizzo della telematica - di prevedere che a decorrere dalla data 
fissata con decreto del Ministro della Giustizia, tutte le notificazioni e le comunicazioni 
nel corso del procedimento alla parte costituita e al consulente, 
che non abbiano comunicato l'indirizzo elettronico, saranno fatte direttamente 
presso la cancelleria del Tribunale. Le notificazioni e le comunicazioni di cui 

(*) Avvocato, Docente a c. di Informatica giuridica - Universit� di Perugia. 
(**) Avv. Prof., Cassazionista. Docente a c. presso la S.S.P.L. dell�Universit� del Molise per il modulo 
sul Processo Civile Telematico. 


(1) Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., GORGA M., Le comunicazioni e le notifiche di cancelleria 
per via telematica anche alla luce delle pi� recenti novit� normative, in Ciberspazio e diritto, 
2009, 63 ss. 


al primo comma dell'art. 170 e dell�art. 192, dovranno essere, quindi, effettuate 
per via telematica all'indirizzo elettronico comunicato dagli avvocati ai sensi 
dell'art. 7 13 febbraio 2001, n. 123. 

In forza di detta previsione quindi ai sensi dell�art. 170 c.p.c., dopo la costituzione 
in giudizio tutte le notificazioni e le comunicazioni relative allo 
svolgimento del processo (comunicazione delle ordinanze rese fuori udienza 
dal giudice; provvedimenti del giudice istruttore; provvedimenti del collegio 
e comunicazione della sentenza), dovranno essere fatte, dalle cancellerie, ai 
procuratori costituiti (2) solo ed esclusivamente per via telematica. Identica 
procedura seguiranno le cancellerie per la notifica dell�ordinanza al consulente 
tecnico ex art. 192 c.p.c., per quanto attiene all�invito a comparire all�udienza 
fissata per il conferimento dell�incarico e l�assegnazione dei quesiti. Dette comunicazioni 
saranno effettuate, quindi, dalle cancellerie, nel primo caso, per 
gli avvocati costituiti nel giudizio, all�indirizzo elettronico comunicato da questi, 
al Consiglio dell'ordine di appartenenza, e da quest�ultimo reso disponibile 
mediante comunicazione al Ministero della giustizia. Questi indirizzi elettronici 
degli avvocati, cos� come quelli degli uffici giudiziari e degli uffici noti-
fiche (UNEP), saranno resi consultabili, anche in via telematica, secondo le 
modalit� operative stabilite ai sensi dell'art. 3, comma 3 d.P.R. n. 123 del 2001. 
La cogenza della norma (3) in esame � stata, poi, rafforzata dalla previsione 
che a decorrere dalla data fissata in decreto (o nei decreti) del Ministero della 
Giustizia tutte le notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento 
alla parte costituita e al consulente, che non ha comunicato l'indirizzo elettronico 
(4), saranno fatte direttamente presso la cancelleria (5) del Tribunale. Per 

(2) Vedi CALAMANDREI P., Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1961, 142, in cui l�A. 
esplicita che: �Per poter esercitare il �ministero� del difensore rappresentante bisogna che questi, a differenza 
del difensore assistente, sia munito di �procura� scritta (art. 83 cpc): per questo la legge distingue 
il �difensore con procura� (art. 86) che rappresenta la parte, dal difensore �senza procura� che per incarico 
che pu� essere puramente verbale, si limita ad assisterla�. 
(3) L�art. 51 prevede al 4� comma che a decorrere dalla data fissata ai sensi del comma 1, le notificazioni 
e le comunicazioni di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 17 d. lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, si effettuano 
ai sensi dell'articolo 170 del codice di procedura civile. Al 5 co., poi in materia di modifica alla legge 
sulla professione degli avvocati prevede che all�articolo 16 del regio decreto legge 27 novembre 1933, 
n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, sono apportate le seguenti 
modificazioni: a) dopo il primo comma � aggiunto il seguente: �Nell'albo � indicato l'indirizzo elettronico 
attribuito a ciascun professionista dal punto di accesso ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente 
della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123�; b) il quarto comma � sostituito dal seguente: �A decorrere 
dalla data fissata dal Ministro della giustizia con decreto emesso sentiti i Consigli dell'Ordine, gli albi 
riveduti debbono essere comunicati per via telematica, a cura del Consiglio, al Ministero della giustizia 
nelle forme previste dalle regole tecnico-operative per l'uso di strumenti informatici e telematici nel 
processo civile�. Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., GORGA M., Il Processo Civile Telematico 
(PCT) come occasione della diffusione delle best pratices nel settore giustizia, in Rass. Avv. Stato, 2009, 
n. 4, 382 ss. 
(4) L�indirizzo di posta elettronico avr� valenza quindi di domicilio legale. Per la distinzione si 
veda: TEDESCHI V., Domicilio, residenza e dimora, in Nuovissimo Digesto Italiano, III, Torino, 1957, 
652 ss. 



i soggetti diversi dagli avvocati, e cio� per i CTU e per gli altri esperti ed ausiliari 
del giudice, l'indirizzo elettronico sar� quello comunicato da quest�ultimi 
ai propri ordini professionali o all'albo dei consulenti tenuto dai singoli 
Tribunali. Per tutti gli altri soggetti, invece, quali ad esempio la parte stessa; 
gli informatori; i testi ecc., l'indirizzo elettronico al quale le cancellerie dovranno 
inviare le comunicazioni, e fare le notificazioni sar� quello dichiarato 
al certificatore della firma digitale al momento della richiesta di attivazione 
della procedura informatica di certificazione della firma digitale, ove reso disponibile 
nel certificato, da parte di detti soggetti. L�attuazione della norma in 
esame tuttavia richiede oltre ad una necessaria preliminare fase d�intesa fra il 
Ministro della Giustizia e l'Avvocatura Generale dello Stato; Consiglio Nazionale 
Forense e Consigli dell'Ordine degli Avvocati interessati, anche una 
necessaria verifica territoriale delle infrastrutture telematiche (6). Quindi nel 
corso del processo le comunicazioni saranno effettuate dalle cancellerie agli 
avvocati costituiti in giudizio, all�indirizzo elettronico da essi comunicato al 
Consiglio dell'ordine di appartenenza. Sicch� ogni eventuale eccezione di non 
conoscenza dell�atto sar� improponibile in quanto gi� adesso la giurisprudenza 
pi� volte si � espressa negativamente in materia. Fra le pi� rilevanti decisioni 
va ricordata quella della Corte di Cassazione Civile la n. 4061 del 2008 (7), 
con la quale � stato affermato la validit� della comunicazione della cancelleria 
via e-mail all�indirizzo elettronico dell�avvocato dichiarato al proprio consiglio 
dell�ordine al quale il destinatario aveva dato risposta non in automatico ma 
con ricevuta documentata dalla relativa stampa cartacea. Deve poi essere segnalata 
anche l�ordinanza del 1� febbraio 2008 del Tribunale di Milano con la 
quale si � affermato che � valida la procura alle liti spedita all�interno della 
busta telematica sottoscritta con firma digitale dall�avvocato che ha presentato 
e depositato telematicamente il ricorso (8). 

� stata anche prevista una preliminare necessaria fase di verifica della 
funzionalit� dei servizi di comunicazione dei documenti informatici, nei singoli 
uffici giudiziari, nonch� l�individuazione dei circondari dei Tribunali nei 

(5) Vedi ANDRIOLI V., Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1964, 430 ss., per il quale 
il difetto della dichiarazione o dell�elezione (qui da intendere come difetto di inserimento nell�atto del-
l�indirizzo elettronico) ha per conseguenza non gi� che le notificazioni e le comunicazioni possano eseguirsi 
presso la cancelleria del giudice adito, ma che non debbano eseguirsi affatto. 
(6) Nella trasmissione di documenti informatici nell'ambito del processo civile trovano applicazione 
tutte le prescrizioni contenute nel d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, nel D.Lgs. 23 gennaio 2002, 
n. 10, e successive modificazioni. I documenti informatici prodotti nel processo civile sono sottoscritti 
con firma digitale, nei casi previsti dall'art. 4, comma 3, del d.P.R. 3 febbraio 2001, n. 123. Vedi al riguardo 
le analisi di COROSANITI G., Esperienza giuridica e sicurezza informatica, Milano, 2003, 221 ss. 
(7) Corte di Cassazione, Sez. I civ., sentenza 12 luglio 2008 n. 4061. Sul punto vedi ancora CONTALDO 
A., GORGA M., Le comunicazioni e le notifiche di cancelleria per via telematica alla luce della 
pi� recenti novit� normative, cit., 68 ss. 
(8) Vedi al riguardo BUONOMO G., Il processo telematico (commento al d.P.R. n. 123/2001), in 
Codice di procedura civile. Commentario, a cura di PICARDI N., V ed., Tomo III, Milano, 2011, 341 ss. 



quali dovr� essere data applicazione alle disposizioni sulle comunicazione e 
sulle notificazioni telematiche. Rispetto a tali verifiche territoriali non � da 
escludere che si potrebbe avere una diffusione a macchia di leopardo nell�avvio 
delle comunicazioni e delle notifiche telematiche nei processi. Anche in 
questo settore si corre il rischio di una discriminazione informatica ossia del 
digital divide per singoli Tribunali di diverse zone del paese a secondo del livello 
infrastrutturale delle singole realt� locali. La notifica on-line �, quindi, 
alle porte per tutti gli avvocati, nessuno escluso dato che l�alternativa prevista, 
per tutti coloro che non si adegueranno all�utilizzo nell�attivit� forense agli 
strumenti informatici e telematici, �, per legge, il recapito della posta elettronica 
presso le cancellerie degli uffici giudiziari dove gli avvocati nell�orario 
d�ufficio in fila potranno chiedere delle notifiche elettroniche a loro recapitate. 
Sulla base dei decreti ministeriali autorizzativi (9), quindi, cancellerie e studi 
professionali dovranno dialogare, in via prioritaria, attraverso il solo personal 
computer. Dopo la prima esperienza �passivizzante� del Polisweb, che ha permesso 
agli avvocati di consultare i propri fascicoli direttamente dallo studio 
legale tramite il pc e la normale rete internet, nell�immediato futuro, in tutto 
il territorio nazionale, avvocati e uffici giudiziari diventeranno �attori� e dovranno 
scambiarsi �normalmente� documenti per via telematica. 

2. Il regime delle comunicazioni e delle notifiche telematiche nel processo civile. 


Con la legge del 6 agosto 2008 n. 133 (10) il nostro legislatore aveva introdotto 
importanti novit� in tema di comunicazioni e notificazioni per via telematica 
(11). Queste novit� sono state recentemente rivisitate dalla legge di 
riforma al codice di procedura civile che ha modificato la seconda parte del


(9) Con D.M. del 26 maggio 2009, n. 57, pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 124 del 30 maggio 
2009 con decorrenza dal 1 giugno 2009, si applicano, nel circondario del tribunale di Milano, le disposizioni 
di cui all�art. 51, co. 1, 3 e 4 del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito in legge 6 agosto 
2008 n. 133 secondo il quale le notificazioni e le comunicazioni in corso di causa (ex artt. 170 e 192 
cpc) sono effettuate unicamente per via telematica all'indirizzo elettronico, ossia alla CPECPT del punto 
di accesso. 
(10) Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., GORGA M., Il processo telematico, Torino, 2012, 
221 ss. ed alla bibliografia col� citata. 
(11) Vedi BIAVATI P., Diritto Processuale dell�Unione Europea, Milano 2005, 155 ss. Una caratteristica 
di notevole importanza � che nel processo dell�Unione tutte le notificazioni sono effettuate d�ufficio, 
a cura del cancelliere (art. 20, co. 3, statuto; art. 79, par. 1�, co. 1, reg. proc. Corte; art. 100, par. 
1�, co. 1�, reg. Proc. Trib.). Le forme della notificazione sono molteplici. Prima di tutto, � prevista la 
notificazione a mani o per mezzo del servizio postale. Il cancelliere pu� infatti curare che sia consegnata 
una copia dell�atto, verso ricevuta, oppure che la copia sia spedita in plico raccomandato con ricevuta 
di ritorno. Le pi� recenti novellazioni hanno poi introdotto, come strumento corrente di notificazione, 
il fax (telescopia) e ogni altro mezzo tecnico di comunicazione (posta elettronica art. 79, par. 2� reg. 
proc. Corte). L�ammissibilit� di questa forma di notificazione � subordinata al consenso del destinatario, 
che pu� essere unicamente un avvocato. In tal senso si veda anche art. 2 D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 
(sul nuovo rito societario). 



l�art. 137 stabilendo che se l�atto da notificare o da comunicare � costituito da 
un documento informatico e il destinatario non possiede indirizzo di posta 
elettronica certificata, l�ufficiale giudiziario esegue la notificazione mediante 
consegna di una copia dell�atto su supporto cartaceo, da lui dichiarata conforme 
all�originale, e conserva il documento informatico per i due anni successivi. 
Inoltre �se richiesto, l�ufficiale giudiziario invia l�atto notificato anche 
attraverso strumenti telematici all�indirizzo di posta elettronica dichiarato dal 
destinatario della notifica o dal suo procuratore, ovvero consegna ai medesimi, 
previa esazione dei relativi diritti, copia dell�atto notificato, su supporto informatico 
non riscrivibile�. Se la notificazione non pu� essere eseguita a mani 
proprie del destinatario, tranne che nel caso previsto dal secondo comma del-
l�art. 143 c.p.c., l�ufficiale giudiziario consegna o deposita la copia dell�atto 
da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico 
della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all�originale 
e alla copia dell�atto stesso. Sulla busta non possono essere apposti segni o 
indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell�atto. � disposto poi che 
predette disposizioni si applicano anche alle comunicazioni effettuate con biglietto 
di cancelleria ai sensi degli artt. 133 e 136 c.p.c. Orbene le norme qui 
in parola sono state ampiamente modificate dall�art. 4 decreto legge 29 dicembre 
2009 n. 193 (12), il quale prevede che a decorrere dal quindicesimo 
giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della 
Repubblica Italiana dei decreti con il quale il Ministro autorizza i singoli distretti 
di Corte di Appello per le notifiche telematiche, negli uffici giudiziari 
autorizzati, le notificazioni e le comunicazioni di cui all�art. 170 comma 1 e 
art. 192 c.p.c. e ogni altra comunicazione al consulente devono essere effettuate 
per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata di cui all'articolo 
16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con 
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 (13). Inoltre dispone la novella 
che allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa 
dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 
2, del codice di procedura penale. � stato poi previsto che la notificazione o 
la comunicazione che contiene dati sensibili deve essere effettuata solo per 
estratto e contestualmente deve essere messo a disposizione, sul sito internet 
individuato dall'amministrazione, l'atto integrale al quale il destinatario pu� 
accedere mediante gli strumenti di cui all'art. 64 d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 
(14). Inoltre con uno o pi� decreti aventi natura non regolamentare e previa 
audizione dell�Avvocatura generale dello Stato, del Consiglio Nazionale Fo


(12) Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., GORGA M., Il processo telematico, cit., 222 ss. 

(13) Vedi BARALE M., Il processo civile telematico di cognizione: uno sguardo sul futuro, in Corr. 
Giur., 2012, 285 ss. 

(14) Vedi BASSOLI E., Fondamenti di diritto della comunicazione elettronica, Padova, 2014. 


rense e dei Consigli dell'Ordine degli Avvocati interessati, il Ministro della 
giustizia accerta la funzionalit� dei servizi di comunicazione, ed individua gli 
uffici giudiziari nei quali trovano applicazione le disposizioni che autorizzano 
alle notifiche telematiche. Dopo che saranno emanati, ed entrati in vigore, i 
decreti autorizzativi per ogni singolo distretto le notificazioni e le comunicazioni 
nel corso del procedimento alle parti costituite o agli altri soggetti che 
non avranno provveduto ad istituire ed a comunicare ai relativi ordini l'indirizzo 
elettronico, le comunicazioni e le notifiche, saranno fatte presso la cancelleria 
o la segreteria dell'ufficio giudiziario procedente dove i procuratori e 
gli altri soggetti dovranno recarsi per ritirale. La novella in esame poi ha modificato 
anche il co. 2 dell'art. 16 R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, 
con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, in quanto � stato 
previsto che nell'albo tenuto dai Consigli degli Ordini forensi � indicato, oltre 
al codice fiscale (15), che � una novit� assoluta per la tenuta dell�albo, anche 

(15) Tribunale di Varese, Sezione I Civile Ordinanza del 16 aprile 2010 proc. civ. n. 83/2010. 
�L�Omessa indicazione del codice fiscale non comporta nullit�. In tal senso. Negli atti del difensore e 
nella procura manca il codice fiscale. Il ricorso � stato depositato sotto la vigenza del decreto-legge 29 
dicembre 2009, n. 193 (in G.U. del 30 dicembre 2009 ed entrato in vigore il 31 dicembre 2009, ex art. 
5) convertito dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, che ha modificato l�impianto del codice di rito, per 
quanto qui interessa, negli artt. 125, 163, 167 c.p.c., introducendo nelle disposizioni processuali richiamate 
l�obbligo di inserimento del codice fiscale: per l�attore (art. 163, comma III, n. 2 c.p.c.), per il convenuto 
(art. 167, comma I, c.p.c.) e per il difensore (art. 125, comma I, c.p.c.). 
Va precisato che l�art. 163, comma III, n. 2 richiede anche l�indicazione del codice fiscale delle persone 
che �rappresentano o assistono� le parti: ma tale aggiunta non va intesa come riferimento agli avvocati 
(per cui, infatti, � stato appositamente modificato l�art. 125 c.p.c.) bens� come richiamo agli istituti della 
rappresentanza e dell�assistenza di cui all�art. 182 c.p.c. e, dunque, ai soggetti che, in virt� di specifiche 
disposizioni normative, agiscono come sostituti processuali o rappresentanti legali (ad es. v. art. 273, 
comma I, c.c.). L�omessa indicazione del codice fiscale non pu� tradursi in una ipotesi di nullit�. In 
primo luogo, non pu� essere pronunciata la nullit� per inosservanza di forme di alcun atto del processo, 
se la nullit� non � comminata dalla legge (art. 156, comma I, c.p.c.); in secondo luogo, il raggiungimento 
dello scopo, comunque preclude l�insorgere della patologia invalidante (art. 156, comma III, c.p.c.). 
� vero che l�art. 164, comma I, c.p.c. afferma essere la citazione nulla se omesso o assolutamente incerto 
alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell'art. 163 c.p.c. (e proprio nel n. 2 si innesta la modifica 
legislativa con introduzione dell�obbligo di indicazione del codice fiscale): ma tale inciso va ricondotto 
all�identificazione �della persona della parte�, secondo una interpretazione che sia coerente con il sistema 
ed impedisca mere nullit� formali non giustificate dalla violazione del diritto di difesa altrui. Ed, allora, 
sulla scorta di una giurisprudenza ben consolidata, la nullit� della citazione, ai sensi dell�art. 163 n. 2, 
pu� essere pronunciata soltanto se e quando l�omissione determini una incertezza assoluta in ordine alla 
individuazione della parte, altrimenti l�omissione costituisce una violazione meramente formale che si 
traduce in una irregolarit� non invalidante l�atto giudiziale. Vi �, poi, che la grave sanzione della nullit�, 
per l�omessa indicazione del codice fiscale, costituirebbe anche un�aporia nella teoria generale delle 
nullit� processuali. Il codice fiscale, infatti, ha la precipua funzione di identificare in modo univoco a 
fini fiscali le persone residenti sul territorio italiano (iscrivendo, dunque, il contribuente nel registro del-
l�anagrafe tributaria, v. decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605 e d.P.R. 2 novembre 
1976, n. 784). 
Esso, pertanto, non afferisce ai rapporti tra le parti o tra il giudice e le parti ma alla relazione tra queste 
ultime e l�amministrazione finanziaria, cosicch� la violazione di una norma che disciplina un rapporto 
estraneo al processo non pu� riverberare i suoi effetti sul procedimento. In effetti, volendo fornire un� 


l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato ai sensi dell'art. 16, d.l. 
29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 
2009, n. 2, che � una ulteriore novit�, ma relativa in quanto gi� gli ordini 
forensi, indipendentemente dalla previsione normativa, da tempo forniscono 
nell�albo anche gli indirizzi e-mail degli avvocati che lo comunicano. Gli indirizzi 
di posta elettronica certificata ed i codici fiscali sono aggiornati �con 
cadenza giornaliera, sono resi disponibili per via telematica al Consiglio nazionale 
forense ed al Ministero della giustizia nelle forme previste dalle regole 
tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie 
dell'informazione e della comunicazione�. 

Sempre la novella in esame al comma 4 modifica l'art. 40 Testo unico 
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia 
(dPR 30 maggio 2002, n. 115), aggiungendo un ulteriore comma - 1 bis - il 
quale, agendo sul costo delle copie, ha lo scopo precipuo di disincentivare il 
rilascio di copie in formato cartaceo con l�espressa previsione che �l'importo 
del diritto di copia rilasciata su supporto cartaceo � fissato in misura superiore 
di almeno il cinquanta per cento di quello previsto per il rilascio di copia in 
formato elettronico�. Tuttavia subito dopo al successivo comma 5 si prevede 
che fino all'emanazione del regolamento di cui all'art. 40 dPR 30 maggio 2002, 

n. 115, i diritti di copia, di cui all'All. 6 dello stesso, sono aumentati del cinquanta 
per cento ed i diritti di copia rilasciata in formato elettronico degli atti 
esistenti nell'archivio informatico dell'ufficio giudiziario, sono determinati in 
ragione del numero delle pagine memorizzate, nella misura precedentemente 
fissata per le copie cartacee. Qui il legislatore in verit� effettua una manovra 
tanto vessatoria quanto ingiustificata in quanto da un lato d� l�apparente sensazione 
di voler incentivare il ricorso alle copie in formato elettronico poste 
ad un costo inferiore del 50% rispetto a quelle cartacee, dall�altro poi subito 

interpretazione coerente e sistematica, deve ritenersi che l�art. 4 d.l. 193/09 (come convertito), introducendo 
l�obbligo di indicazione del codice fiscale in seno agli atti di cui agli artt. 125, 163, 167 abbia di 
fatto provocato una estensione dell�ambito applicativo dell�art. 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 (che 
indica gli �atti nei quali deve essere indicato il numero di codice fiscale�). 
Ed, allora, l�omessa indicazione del codice fiscale non � sanzionata con la nullit� processuale, ma con 
le sanzioni speciali previste dalla legislazione vigente (es. art. 13 d.P.R. 605/73, come prima modificato 
dall'art. 1, D.P.R. 23 dicembre 1977, n. 955, poi dall'art. 20, L. 30 dicembre 1991, n. 413 ed infine come 
sostituito dall'art. 20, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 473). Non pu�, peraltro, essere sottaciuto che, invero, 
secondo la giurisprudenza tributaria, le irregolarit� meramente formali, che non comportano evasione 
di imposta, quale l'omessa indicazione del codice fiscale, non sono pi� sanzionabili ex art. 10, comma 
3 legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del contribuente: v., ad es. Commissione Tributaria Centrale, Sez. 
IX, 13 agosto 2001, n. 5983): sarebbe, allora, eccentrico sanzionare in seno al diritto processuale civile, 
con la nullit�, una condotta che in seno al suo alveo naturale, quello tributario, non trova pi� - in linea 
di principio - alcuna sanzione. Per i motivi sin qui esposti, in caso di omessa indicazione del codice fiscale, 
delle parti, di chi li rappresenta o assiste oppure dei difensori, il giudice non deve pronunciare la 
nullit� dell�atto ma pu�, tutt�al pi�, sollecitare una condotta che vada a rimuovere l�irregolarit�. P.q.m. 
Visti gli artt. 175 c.p.c., 4 d.l. 193/2009 conv. il l. 24/2010 invita i difensori che non lo abbiano ancora 
fatto ad indicare il codice fiscale richiesto dagli artt. 125, 163, 167 c.p.c., negli atti ivi indicati�. 


si appresta ad aumentare il diritto di copia nella stessa misura del 50% per le 
copie informatiche annullando, di fatto, il dichiarato vantaggio ed incentivo 
sia pure fino all�emanazione del regolamento ex art. 40 dPR n. 115 del 2002. 

� previsto poi che il maggior gettito derivante dall'aumento dei diritti di 
cui ai commi 4 e 5 dovr� essere riassegnato, per la quota parte eccedente rispetto 
a quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, lettera b), ad appositi capitoli 
del Ministero della giustizia per il funzionamento e lo sviluppo del sistema informatico, 
con esclusione delle spese di personale. Quindi il maggior gettito 
dovr� essere investito solo ed esclusivamente nelle infrastrutture informatiche 
e telematiche nell�ambito del principio di solidariet� nazionale e ridistribuzione 
su base nazionale. Il Ministero della giustizia all�uopo potr� avvalersi 
di Consip Spa (16), anche sulla base di apposita convenzione, anche in qualit� 
di centrale di committenza per l'attuazione delle iniziative in tema di digitalizzazione 
dell'Amministrazione della giustizia e per le ulteriori attivit� di natura 
informatica individuate con decreto del Ministero della giustizia. 

3. Le notifiche a mezzo posta elettronica ex art. 149-bis c.p.c. 

Sempre con il decreto legge n. 193 del 2009 (17), convertito in legge nel 
2010 n. 24, al codice di procedura civile sono state apportate ulteriori modifiche 
nel senso che in relazione al comma 1 dell�art. 125 c.p.c. � stato previsto 
l�inserimento negli atti di parte del codice fiscale del difensore, mentre in relazione 
all�art. 163, comma 3 le parole: �il cognome e la residenza dell'attore� 
sono state sostituite con �il cognome, la residenza e il codice fiscale dell'attore
� e le parole: �il nome, il cognome, la residenza o il domicilio o la dimora 
del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono
� sono sostituite con: �il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza 

o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente 
li rappresentano o li assistono�. Infine l�art. 167 comma 1 le generalit� e il codice 
fiscale devono essere indicate nella comparsa di risposta. � stato poi inserito 
un nuovo articolo il 149-bis relativo alle notifiche a mezzo posta 
elettronica. Prevede quest�ultimo articolo che se non � fatto espresso divieto 
dalla legge, la notificazione pu� eseguirsi a mezzo posta elettronica certificata, 
anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo. La notifica 
a mezzo posta elettronica certificata � stata introdotta nel nostro ordinamento, 
quindi, come notifica �ordinaria� in quanto alla stessa deve farsi 
sempre ricorso salvo che sia espressamente disposto diversamente per un altro 
tipo di notificazione quale ad esempio: per posta ordinaria, a mani proprie o 
per pubblici proclami. Inoltre per notifica mediante PEC si deve procedere 

(16) Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., La contrattazione telematica e la pubblica amministrazione, 
in Manuale di diritto dell�informatica, a cura di VALENTINO D., Napoli, 2011, 488 ss. 

(17) Ci si permette di rinviare ancora a CONTALDO A., GORGA M., Il processo telematico, cit., 231 ss. 


anche quando dal documento cartaceo presentato per la notifica si estrae copia 
informatica per la notifica. Quando l�ufficiale provvede per via telematica alla 
notifica dell�atto mediante posta elettronica certificata ne trasmette copia informatica 
dell'atto sottoscritta con firma digitale all'indirizzo di posta elettronica 
certificata del destinatario risultante da pubblici elenchi. In questo caso � 
essenziale rilevare che la norma prevede che in tale modalit� la notifica si intende 
perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento 
informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario. 
La notifica si perfeziona quindi con la consegna al gestore essendo irrilevante 
che il destinatario ne abbia o no conoscenza, basta che egli possa accedervi e 
la notifica si deve intendere legalmente effettuata e conosciuta. Nelle notifiche 
telematiche poi l'ufficiale giudiziario deve redige la relazione di notifica di cui 
al comma 1 dell�art. 148 c.p.c., mediante la certificazione dell�eseguita attivit� 
datata e sottoscritta apposta in calce all�originale e alla copia dell�atto notificato, 
e ci� su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale 
e congiunto all'atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, che saranno 
individuati con un apposito decreto del Ministero della giustizia. Anche nel-
l�inciso �congiunzione dell�atto a cui si riferisce� il legislatore riproduce la 
norma gi� introdotta con la n. 69 del 2009 in tema di procura informatica, ma 
qui con l�intenzione di eliminare in radice, ogni possibile interpretazione in 
ordine alla congiunzione degli atti informatici. � stato poi previsto che la relazione 
che contiene le informazioni di cui all'art. 148, comma 2, comporta la 
sostituzione - ovviamente - del luogo della consegna con l'indirizzo di posta 
elettronica presso il quale l'atto � stato inviato. Infine si prevede che al documento 
informatico originale o alla copia informatica del documento cartaceo 
sono allegate, come per la relata, mediante strumenti informatici, le ricevute 
di invio e di consegna previste dalla normativa concernente la trasmissione e 
la ricezione dei documenti informatici trasmessi in via telematica. Eseguita la 
notificazione, l'ufficiale giudiziario restituisce all'istante o al richiedente, anche 
per via telematica, l'atto notificato, unitamente alla relazione di notificazione 
e agli allegati ossia le ricevute dell�avvenuta consegna presso il gestore della 
posta elettronica certificata. Qui per� si pongono non pochi problemi, cui facciamo 
solo alcuni cenni. Prima di tutto viene in rilievo il comma 4 che rimanda 
a successivi Decreti Ministeriali le regole tecniche volte ad assicurare che le 
comunicazioni e le notificazioni per via telematica siano effettuate, nei casi 
consentiti, mediante posta elettronica certificata, ai sensi del decreto legislativo 
7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, del d.P.R. 11 febbraio 2005, 

n. 68. Gli effetti immediati della previsione consistono nel passaggio dalla Casella 
di Posta Elettronica Certificata per il Processo Telematico (18) (CPECPT) 

(18) Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., GORGA M., E-Law Le professioni legali la digitalizzazione 
delle informazioni giuridiche e il processo telematico, Soveria Mannelli (CZ), 2006, spec. 122 ss. 


alla Posta Elettronica Certificata (PEC) di cui al decreto legge n. 185 del 2008, 
convertito nella legge n. 2 del 2009 (19), con il conseguente mutamento del 
gestore del Punto di accesso di cui all�art. 11 del D.M. 17 luglio 2008, dato 
che lo diventano tutti i gestori iscritti nell�elenco CNIPA (ora DigitPA). Si 
pongono quindi non secondari problemi in ordine alle minori garanzie di certezza 
sulla certificazione dello status dei titolari della PEC, da qui la logica 
previsione sull�aggiornamento giornaliero degli indirizzi di PEC degli iscritti 
per via telematica (20), da parte dei Consigli degli Ordini forensi Locali, al 
Consiglio Nazionale Forense ed al Ministero della Giustizia. 

3.1 Le notifiche tramite PEC alla luce del Decreto ministeriale 3 aprile 2013 

n. 48. 

Con l�obbligatoriet� del deposito telematico degli atti processuali durante 
il processo stesso (21) di cui all�art. 1 comma 19 d.l. 18 ottobre 2012, convertito 
con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, si � dovuto apportare 
delle nuove previsioni altres� alle modalit� per definire le notificazioni tramite 
PEC degli avvocati autorizzati. Il D.M. 3 aprile 2013, n. 48, ha modificato 
l�art. 18 delle regole tecniche del processo telematico (D.M. n. 44 del 2011) 
sotto pi� aspetti che attengono le copie informatiche da notificare come allegati 
alla PEC. Bisogna ricordare come l�art. 3 bis utilizzi impropriamente l�espressione 
�copia informatica�, perch� in realt� si riferisce alla �copia informatica 

(19) Ancora BASSOLI E., op. loc. supra cit. 

(20) La norma qui riproduce la previsione gi� fatta con il decreto legge n. 112 del 2008 ma qui 
introduce, ed � questa la sua differenza, l�inserzione su un apposito sito Internet di atti contenenti dati 
sensibili. 
(21) Questa norma entra in vigore per i tribunali dal 30 giugno 2014 e negli altri uffici giudiziari 
diversi dai tribunali dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della 
Repubblica italiana dei decreti, aventi natura non regolamentare, con i quali il Ministro della giustizia, 
previa verifica, accerta la funzionalit� dei servizi di comunicazione. Dispone in concreto la nuova norma 
quindi che per i tribunali che, a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di 
volontaria giurisdizione il deposito degli atti processuali e dei documenti di parte, dei difensori e dei 
loro consulenti e delle parti in precedenza gi� costituite deve avvenire esclusivamente nella modalit� 
telematica. Il deposito si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna 
da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. Nel processo esecutivo 
il deposito telematico degli atti nel processo si effettua sempre con decorrenza successiva al 
deposito cartaceo con il quale si d� inizio all�esecuzione, cos� come nelle procedure il deposito telematico 
� da intendere esclusivamente riferibile al deposito degli atti e dei documenti da parte del curatore, del 
commissario giudiziale, del liquidatore, del commissario liquidatore e del commissario straordinario. 
Sempre con decorrenza dal 30 giugno 2014, per il procedimento di ingiunzione, escluso il giudizio di 
opposizione, il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti dovr� avvenire esclusivamente 
con modalit� telematiche sempre per� nel pieno rispetto della normativa anche regolamentare 
concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Il presidente del 
tribunale pu� tuttavia autorizzare anche il deposito con modalit� non telematiche quando i sistemi informatici 
del dominio giustizia non sono funzionanti laddove sussista per� urgenza altrimenti non rinviabile 
indifferibile ovvero pu� ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per 
ragioni specifiche. 



per immagine�: ci� si desume dal rinvio all�art. 22, comma 2, del CAD (22) 
che riguarda, appunto, le attestazioni di conformit� di questa tipologia di copie 
informatiche �per immagine�. 

L�avvocato che intenda notificare per via telematica un atto cartaceo ai 
sensi dell�art. 3 bis, deve estrarre, mediante scansione, una copia informatica 
�per immagine�, attestandone la conformit� all�originale ai sensi dell�art. 22, 
comma 2, del CAD e, quindi, allegando l�atto alla PEC. Bisogna per� considerare 
che l�art. 22, comma 2, CAD prevede che sia un pubblico ufficiale ad 
attestare tale conformit�, con dichiarazione allegata al documento informatico 
e asseverata secondo le regole tecniche di cui all�art. 71 CAD (23). L�avvocato, 
dunque, per la norma in esame, pu� assumere le vesti del pubblico ufficiale, 
ai sensi dell�art. 6 della legge n. 53 del 1994, perch�, quanto rilevato, 
che a causa della mancanza delle regole tecniche di cui all�art. 71 CAD la 
notifica tramite PEC di copie informatiche per immagine era dubbiosa, oggi, 
invece � possibile grazie alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 
12 marzo 2014 delle regole tecniche sui sistemi di conservazione dei documenti 
informatici. Quindi l�avvocato pu� effettuare, ai sensi dell�art. 3 bis 
della legge n. 53 del 1994, la notifica via PEC di copie informatiche per immagine 
di originali cartacei cos� come pu� effettuare la notifica via PEC di 
documenti informatici �nativi�. 

L�incidenza su tale quadro normativo del nuovo art. 18 Regole tecniche 
del PCT � rilevante; al nuovo comma 4 dell�art. 18, l�avvocato che estrae 
copia informatica per immagine dell�originale cartaceo compie l�asseverazione 
di cui all�art. 22, comma 2, CAD, inserendo la dichiarazione di conformit� 
all�originale nella relata di notifica, ai sensi dell�art. 3 bis, comma 5, 
della legge n. 53 del 1994. Ora, l�art. 18 riformulato sembra innovare, eludendo 
l�asseverazione dal richiamo alle regole tecniche di cui all�art. 71 
CAD, e stabilendo che tale asseverazione sia fatta, dall�avvocato, inserendo 
la dichiarazione di conformit� nella relata (anche se suscita qualche riserva 
che un regolamento tecnico possa disciplinare la materia diversamente dalla 
legge, considerando per giunta che il D.M. n. 48 del 2013 � stato emanato 
proprio per adeguare l�art. 18 delle regole tecniche del PCT alle modifiche 
della legge n. 53 del 1994). 

Occorre peraltro notare che l�art. 18 precisa che l�inserimento, da parte 
dell�avvocato, della dichiarazione di conformit� nella relata deve essere effettuato 
a norma dell�art. 3 bis, comma 5, della legge 53/1994; quindi, secondo 
quest�ultima norma, la relata di notifica deve essere redatta dall�avvocato su 

(22) Vedi al riguardo CASSANO G., GIURDANELLA C., Il codice della pubblica amministrazione digitale, 
Milano, 2005, 131 ss.; MACRI I., MACRI U., PONTAVOLPE G., Il nuovo codice dell�amministrazione 
digitale, Milano, 2011, 110 ss. 

(23) Ancora MACRI I., MACRI U., PONTAVOLPE G., op. supra cit., 208 ss. 


documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale e allegato alla 
PEC; tuttavia, lo stesso comma 5, nell�elencare gli elementi che costituiscono 
il contenuto obbligatorio della relata, indica anche l�attestazione di conformit� 
di cui all�art. 22, comma 2, CAD, cio� quella che allo stato non � possibile attivare 
per la mancanza delle regole tecniche ex art. 71 CAD. 

Quindi l�avvocato pu� inserire nella relata di notifica la dichiarazione di 
conformit� all�originale cartaceo e allega la relata alla PEC, unitamente alla 
copia per immagine, ritenendo con ci� soddisfatti sia il requisito dell�asseverazione, 
sia quello dell�allegazione, ma ignorando i rinvii alle regole tecniche 
di cui all�art. 71 CAD (con il rischio peraltro che ci� sia rilevato da un 
giudice, forse eccessivamente �rigido�, chiamato a verificare la regolarit� 
della notifica). 

L�art. 18 riformulato dispone altres� che l�avvocato notificante alleghi alla 
PEC �documenti informatici o copie informatiche, anche per immagine�, di 
originali cartacei: ci� significa che l�avvocato potrebbe notificare anche una 
copia informatica (non per immagine). Qui, ammesso che non siano stati utilizzati 
impropriamente i termini relativi alle copie informatiche, si apre un 
grosso problema: infatti, le copie informatiche (non per immagine) sono attivit� 
tipiche del pubblico ufficiale depositario, ai sensi dell�art. 22, comma 1, 
CAD, che non � richiamato da alcuna norma della legge n. 53 del 1994, la 
quale non prevede quindi che, per tale attivit�, l�avvocato possa assumere la 
veste del pubblico ufficiale (mentre ci� � previsto per le copie informatiche 
per immagine di cui all�art. 22, comma 2, CAD). 

Appare inoltre singolare che il �nuovo� art. 18 contempli la possibilit� di 
estrarre copia informatica (non per immagine) dell�originale cartaceo, senza 
prevedere alcuna regolamentazione tecnica di tale possibilit� che, per quanto 
ci concerne, non pu� trovare applicazione. 

Per quanto riguarda la firma digitale (24), il nuovo testo dell�art. 18 delle 
Regole tecniche del processo telematico vincola l'avvocato notificante in maniera 
assai peculiare. L�art. 18 comma 4 prevede che l�avvocato, dopo aver 
estratto la copia informatica per immagine dell'originale cartaceo, firmi digitalmente 
la relata contenente la dichiarazione di conformit�, ma non la copia 
informatica per immagine (a differenza della versione precedente dell�art. 18): 
quindi, leggendo (solo) il comma 4, la soluzione appare la seguente: l�avvocato 
notificante allega alla PEC la scansione dell�originale cartaceo senza firma digitale, 
e la relata con la sua firma digitale. 

(24) Vedi ZANELLI P., Funzione notarile e firma digitale, in Contr. Impr., 2005, 232 ss.; FINOCCHIARO 
G., Tecniche di imputazione della volont� negoziale: le firme elettroniche e la firma digitale, in 
I contratti informatici, a cura di CLARIZIA R., XIII Trattato dei contratti diretto da RESCIGNO P. e GABRIELLI 
E., Torino, 2007, 201 ss.; MAGGIPINTO A., NIGER S., Documento informatico e firme elettroniche, 
in La posta elettronica: profili giuridici e tecnico-informatici, a cura di BASSOLI E., IASELLI M., QUADRELLI 
M., Roma, 2007, spec. 42 ss. 


Questa soluzione potrebbe lasciare smarriti: perch� il comma 4 sembra 
aver eliminato la firma digitale dell'avvocato notificante dalla scansione del-
l'originale cartaceo, riservandola alla relata. In realt� tale soluzione non dovrebbe 
sorprendere, in un contesto tecnico-giuridico in cui sia accuratamente 
regolamentato il profilo del documento informatico separato contenente l�attestazione 
di conformit�, ove occorre obbligatoriamente la firma digitale. Inoltre 
occorre considerare che la copia informatica per immagine contiene 
l�acquisizione digitale delle sottoscrizioni autografe dell�originale cartaceo, e 
ci� si inserisce nel solco della nuova disciplina del documento informatico, 
richiamata dal comma 3 bis, comma 1, della legge n. 53 del 1994. 

Sembrerebbe, quindi, che l'avvocato notificante possa procedere alla notifica 
solo con la firma digitale della relata, congiunta alla scansione dell'originale 
cartaceo mediante PEC. Attenzione, per�, al comma 1 dell'art. 18: 
purtroppo la scelta infelice di costruire una disciplina inedita e delicata, quale 
quella delle notifiche telematiche degli avvocati, attraverso continui rimandi 
normativi, anzich� precisi dettagli informatico-giuridici, genera dannose incertezze: 
infatti, se � vero che il comma 4 dell'art. 18 prevede la firma digitale 
solo sulla relata e non sulla scansione dell'atto, il comma 1 precisa che anche 
le scansioni informatiche da notificare devono essere redatte nei formati consentiti 
dalle specifiche tecniche del processo telematico. Queste ultime, all'art. 
12, prevedono che l'atto del processo sia, tra l'altro, in formato PDF con firma 
digitale p7m (il PDF non firmato � previsto invece per gli allegati degli atti 
processuali). Pertanto si potrebbe sostenere che la firma digitale del documento 
informatico contenente la scansione, abrogata dalla previsione normativa di 
un comma, riviva grazie alla previsione normativa di un altro comma dello 
stesso articolo. 

L'avvocato prudente, considerato quanto sopra, apporr� la sua firma digitale 
alla scansione dell'atto originale cartaceo, allegando alla PEC anche il 
PDF non firmato, fermo restando che comunque non potranno essere rispettati 
altri requisiti dell'art. 12 delle specifiche tecniche, quali le informazioni strutturate 
in XML e, naturalmente, il divieto della scansione per immagini. 

Nell�ipotesi in cui l'atto informatico da notificare sia originato dall'avvocato, 
e quindi non sia generato attraverso la copia di un atto cartaceo, il nuovo 
art. 18 stabilisce solo che il documento informatico sia privo di elementi attivi 
e redatto nei formati consentiti dalle specifiche tecniche del processo telematico, 
gi� esaminate sopra per le copie informatiche. In tal caso, peraltro, non 
essendoci l'esigenza di trasformare in digitale un originale cartaceo, si potr� 
rispettare il divieto di scansione di immagini: il PDF sar� quindi strutturato 
come testo, oltre ad essere privo di elementi attivi. L'eventuale procura potr� 
essere contenuta in un documento informatico separato, ottenuto anche mediante 
scansione dell'originale cartaceo, ed allegato alla PEC ai sensi del nuovo 
comma 5 dell'art. 18. Una volta formato l'atto in PDF, l'avvocato notificante 


dovr� apporre la sua firma digitale, naturalmente con certificato valido, e allegare 
l'atto cos� firmato alla PEC, avendo cura di impostare la ricevuta completa 
di avvenuta consegna, ora prevista dal comma 6 dell'art. 18. 

Il nuovo art. 18 si riferisce genericamente a documenti informatici nativi 
che l'avvocato potrebbe notificare, quindi in tale ambito possono essere compresi 
anche quelli non formati dall'avvocato, ma provenienti dall'ufficio giudiziario, 
come i provvedimenti del giudice. Tuttavia su tali documenti si 
registra il silenzio sia del nuovo art. 18, sia della legge n. 53 del 1994, che per 
questa tipologia di atti non attribuiscono la qualit� di pubblico ufficiale all'avvocato 
notificante. Pertanto non � praticabile la notifica in proprio di questi 
atti, se non quando sar� percorribile la strada della richiesta e del rilascio delle 
copie autentiche informatiche (o duplicati) degli originali informatici da parte 
delle cancellerie, come previsto dalle regole e dalle specifiche tecniche del 
processo telematico. 

3.2 Gli indirizzi PEC utilizzabili per le notifiche. 

Per individuare gli indirizzi PEC utilizzabili per le notifiche degli avvocati 
autorizzati, dobbiamo esaminare l�art. 3 bis della legge n. 53 del 1994, in 
quanto richiamato dal nuovo art. 18. L�art. 3 bis precisa che le notifiche si possono 
eseguire soltanto tramite indirizzi PEC risultanti da pubblici elenchi; tali 
elenchi, utilizzabili ai fini delle notifiche, sono indicati dall�art. 16 ter decreto 
legge n. 179 del 2012 e sono i seguenti: a) domicili digitali dei cittadini inseriti 
nell�anagrafe nazionale della popolazione residente (art. 4 decreto legge n. 
179 del 2012); b) elenco degli indirizzi PEC delle P.A. formato dal Ministero 
della Giustizia (art. 16, comma 12, decreto legge n. 179 del 2012); c) INI-PEC 
(indice nazionale degli indirizzi PEC di imprese e professionisti) di cui all'art. 
6-bis CAD; d) elenchi di indirizzi PEC di cui all�art. 16 decreto legge n. 185 
del 2008; e) REGINDE (registro generale degli indirizzi elettronici) del processo 
telematico. L�art. 16 ter stabilisce, poi, che tali elenchi si considerano 
pubblici, ai fini delle notifiche. 

� innegabile che l�utilizzo della posta elettronica certificata comporta 
vantaggi che sono di carattere economico, ma anche di sicurezza e rapidit� 
nella trasmissione e nella ricezione degli atti. La integrit� e la mole dei dati 
trasmessi, la possibilit� di un invio multiplo, cio� a pi� destinatari contemporaneamente, 
comporta innegabili vantaggi. La tracciabilit� della casella mittente 
e quindi del titolare, la possibilit� di consultare il proprio indirizzo e-mail 
anche da postazioni diverse da quella del proprio ufficio o dall�abitazione, e 
la permanenza in memoria del messaggio e di quanto allegato, sempre accessibile, 
� un innegabile vantaggio anche organizzativo. 

Inoltre si tenga presente che il gestore ha l�obbligo di archiviare sia i Log 
dei messaggi PEC che gli allegati, per un periodo di trenta mesi conservando 
la traccia di ogni singola operazione, in modo tale che qualora il mittente che 


abbia smarrito le ricevute, possa comunque ricostruire le operazioni effettuate. 

Tuttavia nonostante questi innegabili vantaggi sulla base di un analisi 
scientifica delle disposizioni giuridiche sulla posta elettronica certificata (25), 
sono da evidenziare criticit� e problematiche che mettono in dubbio la legittimazione 
giuridica del sistema di posta e la sua utilizzabilit� nel processo civile 
telematico, problematiche che hanno la loro radice dal confuso e 
disorganico processo di produzione normativa volto pi� alla propaganda del 
risparmio che dell�evoluzione tecnologica di una P.A. informatizzata (26) e di 
un processo civile telematico non pi� rinviabile mentre con norme contraddittorie 
si vanno ad annullare quelle che erano le poche certezze del processo 
telematico secondo la previsione di caselle di poste certificate solo per il processo 
telematico con altrettanti, limitati, punti di accesso. 

4. Le pronunce di merito e di legittimit� in tema di notifiche telematiche nel 
processo civile. 

Con riguardo alla notifica, telematica, si sono formati diversi orientamenti 
giurisprudenziali, ancorati, al concetto di inesistenza, di nullit� e di irregolarit�, 
dell�attivit�. Alla conclusione dell�inesistenza della notifica � pervenuto il Tribunale 
di Monza, che, con ordinanza in data 30 dicembre 2004 (27), ha sottolineato 
come il legislatore, facendo riferimento al fax ed alla posta elettronica, 
in termini di mere modalit� operative, non abbia, in realt�, dato alcuna indicazione 
�circa il soggetto legittimato all�utilizzo di tali mezzi di trasmissione�. 
Per questa decisione quindi la �forma legale� della notificazione non pu� prescindere 
dal fatto che deve essere, comunque, eseguita dall�organo deputato a 
tali atti e cio� dall�ufficiale giudiziario e non sarebbe consentita (al di fuori 
delle regole tecniche previste) la trasmissione diretta tra difensori. � stato evidenziato, 
infatti, che lo <<scambio diretto tra difensori>> costituisce una valida 
forma di notifica nel rito societario solo se attestato da una fisica 
<<sottoscrizione per ricevuta sull�originale>> (art. 17) mentre non pare essere 
consentito per le forme di trasmissione a mezzo fax o posta elettronica, a meno 
che non si rispettino le norme <<concernente la sottoscrizione e trasmissione 
dei documenti informatici e teletrasmessi>>. In forza di detta decisione sarebbe 
anche possibile la notifica per posta elettronica, che costituisce l�equivalente 
dello scambio diretto tra difensori di cui all�art. 17, I comma lett. c) 
del rito societario, solo se entrambi i difensori siano, come � ovvio, certificati, 

(25) BASSOLI E., op. loc. supra cit. 

(26) Sul punto vedi BOMBARDELLI M., Informatica pubblica, e-government e sviluppo sostenibile, 
in Riv.it.dir. pubbl.com., 2002, 991 ss.; ci si permette di rinviare a CONTALDO A., Dalla teleamministrazione 
all�E-Government: una complessa transizione in fieri, in Foro. Amm.- CdS, 2002, 696 ss.; IDEM, 
Le politiche pubbliche per la Societ� dell�informazione, Padova, 2012, 112 ss. 
(27) Trib. Monza, Ord. 30 dicembre 2004 (Giudice D�Aietti), in Giur. it., 2005, 2330 ss., citata in 
BUONOMO G., Il nuovo processo telematico, Milano, 2009, 176 ss. 



ovvero abilitati a trasmettere documenti con firma digitale e con attestazione 
informatica di trasmissione e se dotati di casella di posta elettronica certificata. 
In questi casi, ovviamente, la reciproca attestazione informatica di trasmissione 
e ricezione degli atti costituirebbe l�equivalente digitale della fisica sottoscrizione 
per ricevuta sull�originale dell�atto scambiato. 

In modo diametralmente opposto si � espresso il Tribunale di Bari (28) 
che ha, invece, ravvisato, nell�art. 17 d.lgs. n. 5 del 2003, l�intenzione del legislatore 
di legittimare forme di notificazioni e comunicazioni ulteriori e diverse 
rispetto a quelle di cui agli artt. 136 e seguenti, eliminando cos� 
l�esclusiva competenza dell�ufficiale giudiziario, ci� in quanto lo stesso art. 
137, 1 comma, c.p.c. stabilisce che le notificazioni sono eseguite dall�ufficiale 
giudiziario �quando non � disposto altrimenti�. Quest�ultima previsione renderebbe 
quindi compatibile la notifica effettuata anche da altri soggetti. Con 
predetta ordinanza � stato poi, verificato anche se la notifica effettuata a mezzo 
posta elettronica sia rispondente al tipo normativo. In merito ha ritenuto il Tribunale 
che la novella legislativa (lex specialis) prevede l�utilizzo di mezzi alternativi 
di trasmissione degli atti processuali � che la parte, attraverso il 
proprio difensore che aveva comunicato formalmente le proprie coordinate 
tecniche, che ne assicuravano la reperibilit� attraverso tali mezzi di comunicazione, 
in costanza della dichiarazione del difensore di volersi avvalere di 
quei mezzi alternativi faceva ritenere sanata la notificazione che, pur invalida, 
in quanto avvenuta con l�inosservanza della normativa concernente la sottoscrizione 
e la trasmissione dei documenti informatici o teletrasmessi, aveva 
comunque raggiunto lo scopo. La notificazione alternativa per posta elettronica, 
con esclusione del tramite dell�ufficiale giudiziario, ma con il rispetto 
delle modalit� descritte per legge, prevede, quale elemento essenziale l�assunzione 
di responsabilit� del difensore destinatario dell�atto. Lo stesso Tribunale 
ha, poi, precisato che anche se l�e-mail � forma scritta, quale documento informatico, 
provvista di firma elettronica leggera o �debole� ci� tuttavia non 
ne garantisce l�immodificabilit�, la integrit� e la sicurezza nella provenienza 
dal soggetto che ne appare l�autore ed � proprio ci� che la rende radicalmente 
differente con il sistema della posta elettronica certificata. 

Il Tribunale di Roma (29), ha esaminato la questione della trasmissione 
per posta elettronica con riferimento alla memoria di replica, sancendone la 
nullit� della notifica ai sensi dell�art. 160 c.p.c. (30). Nella stessa direzione � 
andato anche il Tribunale di Milano, sia con la sentenza del 14 dicembre 2005 

(28) Trib. Bari, Ordinanza 2 giugno 2005 (Giudice D�Alessandro). Ci si permette di rinviare a 
CONTALDO A., GORGA M., L�arringa elettronica. Il foro virtuale come strumento di trasparenza e doverosa 
pubblicit� nell�attivit� amministrativa di supporto all�esercizio del potere giurisdizionale, in Dir. 
econ. mezzi com., 2010, n. 1, 42 ss. 
(29) Sentenza in data 23 maggio 2005, riportata in CONTALDO A., GORGA M., Il processo telematico, 
cit., 214 ss. 



che con l�Ordinanza del 1 marzo 2006 (31), che vanno segnalate in quanto il 
Tribunale, sempre in materia di processo societario, ha ritenuto che anche se 
la notifica � fatta su supporto informatico sottoscritto con firma digitale ai 
sensi dell�art. 2 del d.P.R. n. 123 del 2001, attraverso il sistema informatico 
del S.I.C.I. (32), reso operativo dal d.m. 14 ottobre 2004 con la previsione del 
Gestore Centrale, presso il ministero, ed i Gestori Locali, presso le sedi degli 
Uffici Giudiziari e gli uffici UNEP all�indirizzo elettronico dichiarato, ai sensi 
dell�art. 7, richiede pur sempre la collaborazione dell�Ufficiale Giudiziario. 
Nello stesso solco deve essere segnalata anche la decisione del Tribunale di 
Torino assunta con ordinanza del 18 aprile 2006 (33) che in relazione all�art. 
17 del d. lgs. n. 5 del 2003 ha ritenuto che l�utilizzo di posta elettronica certificata 
soddisfa i requisiti imposti dall�art. 14 dPR 28 dicembre 2000 n. 445 

(34) e quindi � validamente effettuata la notifica della comparsa di risposta 
tra i difensori a mezzo fax o posta elettronica certificata. In senso contrario, 
ma solo sotto il profilo non gi� dell�inesistenza della notifica bens� della nullit� 
si � espresso il Tribunale dell�Aquila con l�ordinanza del 22 febbraio 2006 
(35). Quest�ultimo Tribunale sempre in relazione agli atti notificati direttamente 
tra difensori nel rito societario, per il quale vi � espresso utilizzo del 
fax, ha ritenuto nulla tale notifica per incertezza assoluta sulla data di trasmissione. 
Sempre nel senso della nullit� della notifica a mezzo fax si � pronunciato 
anche il Tribunale di Bologna con l�Ordinanza del 15 giugno 2005 (36). In 
modo analogo si era poi gi� espressa la Cassazione con la Sentenza 25 marzo 
2003 n. 4319 (37). La Corte di Cassazione, ha individuato alcuni casi di inesistenza 
della notifica laddove l�atto era manchevole di requisiti indispensabili, 
come la firma dell�ufficiale giudiziario (38), l�omessa indicazione della data 
(39) nella relata, o nell�ipotesi di consegna al legale privo della rappresentanza 
(30) In tal senso anche il Tribunale di Biella. Sentenza del 22 marzo 2006, in Giur. merito 2007, 
1692. Nella stessa direzione anche il Tribunale di Napoli, ord. 8 maggio 2006, in Societ�, 2008, 361. 


(31) Ci si permette di rinviare ancora a CONTALDO A., GORGA M., Il processo telematico, cit., 222 ss. 

(32) Ci si permette di rinviare CONTALDO A., GORGA M., Il processo civile telematico come occasione 
della diffusione delle best pratices nel settore giustizia, in Rass. Avv. Stato, IV, 2009, 322 ss. 
(33) Tribunale di Torino Ordinanza del 18 aprile 2006 in Giur. merito 2007, 1690. 


(34) Vedi BOMBARDELLI M., Il testo unico delle disposizioni sulla documentazione amministrativa, 
in Giorn. Dir. amm., 2001, 664 ss.; FERRARA M., MIELE T., PANASSIDI G., VOLPE I., La documentazione 
amministrativa, Milano, 2001, 92 ss. 
(35) Tribunale de l�Aquila Ordinanza del 22 febbraio 2006 in Foro it. 2006, 1, 1551. 
(36) Tribunale di Bologna Ordinanza del 15 giugno 2005, in Giur. it. 2006, 1242. 




(37) Cassazione civile 25 marzo 2003 n. 4319, Foro it., 2003, I, 2358 secondo cui, tale forma di 
di notificazione sebbene autorizzata dall�A.G. non pu� prescindere dai requisiti essenziali della notificazione, 
quali la certificazione per iscritto delle attivit� dell�ufficiale giudiziario, la consegna di copia 
conforme dell�atto, l�osservanza di formalit� idonee a garantire la conoscenza legale del medesimo e 
un grado di certezza non inferiore a quello offerto dai procedimenti ordinari, con la conseguente inesistenza 
della notifica effettuata via fax. 
(38) Cass. civ., I sez., sentenza n. 6377/1988. 
(39) Cass. civ. II sentenza, n. 3068/1987. 







processuale (40). Per la Corte di Cassazione la nullit� dell�atto processuale si 
determina quando la violazione di norme attinenti ai requisiti formali, sia cos� 
grave da rendere l�atto non idoneo al raggiungimento del suo scopo processuale 
cui � destinato, fatto comunque salvo il raggiungimento dello scopo nel 
caso concreto. E proprio nell�ambito della categoria della nullit�, e non del-
l�inesistenza, la Suprema Corte ha iscritto la notifica di un atto processuale 
effettuata da soggetto non abilitato, in quanto al di fuori della previsione di 
cui alla legge n. 53 del 1994, che consente all�avvocato munito di regolare 
procura ed alle specifiche condizioni ivi previste, di procedere a notifica, in 
via del tutto eccezionale ed in deroga alla notifica a mezzo ufficiale giudiziario 
(41). Quindi anche l�attivit� di notificazione svolta dagli avvocati ai sensi della 
legge n. 53 del 1994, in assenza dei requisiti previsti dalla legge, determina 
nullit� della notifica, sanabile con la costituzione (42). 

Orbene tutta questa contraddittoria giurisprudenza e l�incertezza dottrinale 
pare trovare fondamento nella non corretta comprensione della natura 
dell�e-mail (43). Si ritiene, pertanto, utile illustrare in questa sede alcune nozioni 
fondamentali e preliminarmente sulla PEC, che eliminando in radice 
l�incertezza genetica dell�e-mail ne ha reciso ogni possibile fraintendimento 
in ordine al suo valore legale. Orbene internet pu� qui essere rappresentato 
come un binario (telefonico) sul quale, cos� come sul binario dei treni, passano 
pi� convogli tra loro diversi bench� sempre sugli stessi binari, cos� anche sul 
canale telefonico possono passare servizi tra loro diversi. Di questi servizi che 
passano sulla rete Internet i pi� noti sono il Word Wide Web (www), Chat, 
Mailing List; la e-mail e tanti altri che per comodit� espositiva qui non elenchiamo. 
Ora venendo al nostro discorso � da dire che la e-mail � costruita, 
come protocollo, da un nome utente - che individua il soggetto registrato - da 
un at @ (o chiocciolina) che sta ad indicare che l�utente � presso un determinato 
indirizzo IP ossia un dominio comunemente elencato sotto le forme di .it 
(per la nazionalit� o paese di riferimento), .com (per quanto attiene ad una attivit� 
commerciale), .org (se una organizzazione, che sta a rappresentare appunto, 
secondo la scelta fatta o la nazionalit� o il tipo di servizio reso). Gi� 
l�art. 45 CAD aveva previsto che i documenti trasmessi con qualsiasi mezzo 
informatico o telematico soddisfano il requisito della forma scritta, tuttavia � 
solo con l�art. 48 CAD (44) che � stato previsto che la trasmissione del docu


(40) Cass. civ. I sentenza, n. 12002/1998. 

(41) Idem Tribunale di Foggia 21 aprile 2006, in Giur. merito, 2007, 692, secondo la quale decisione 
la notifica telematica a mezzo e-mail o fax non richiede il necessario intervento dell�ufficiale giudiziario. 
(42) Cass. civ. I sentenza, n. 10208/2004. 


(43) Mail in Inglese significa posta, e-mail significa posta elettronica che viaggia tramite Internet. 
Per una panoramica giuridica delle problematiche al riguardo vedi BASSOLI E., Fondamenti di diritto 
della comunicazione elettronica, cit., 208 ss. 



mento informatico per posta elettronica certificata equivale, nei casi consentiti 
dalla legge alla notificazione per mezzo della posta. Quindi con la PEC la trasmissione 
d� certezza legale ma lo � solo per i casi in cui tale trasmissione sia 
considerata forma legale in modo espresso da una disposizione di legge. 

(44) Vedi BELISARIO E., La disponibilit� dei dati delle pubbliche amministrazioni nel Codice dell� 
amministrazione digitale, in Inform. Dir., 2005, n. 1-2, 165 ss. 


Le nuove procedure di conciliazione dopo 
il Collegato lavoro e la riforma Fornero 

Matteo Maria Mutarelli* 

SOMMARIO: 1. La conciliazione nei rapporti di lavoro. Considerazioni preliminari. - 2. 
Cenni sull�evoluzione del tentativo di conciliazione. - 3. La nuova conciliazione amministrativa 
dopo la l. n. 183/2010. - 4. Le novit� per la conciliazione sindacale e giudiziale. - 5. Le 
residue ipotesi di tentativo obbligatorio di conciliazione. - 6. Il nuovo tentativo obbligatorio 
di conciliazione antecedente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. 

1. La conciliazione nei rapporti di lavoro. Considerazioni preliminari. 

In mancanza di una definizione legislativa univoca di conciliazione, appare 
opportuno descriverne il contenuto in relazione all�obiettivo di tale strumento, 
ovvero la composizione di una lite, attraverso la partecipazione di un 
soggetto terzo indipendente, alternativamente ai procedimenti giudiziari cui 
l�ordinamento normalmente devolve la tutela dei diritti e la definizione delle 
relative controversie. � evidente che con il termine �conciliazione� ci si pu� 
riferire a due diverse fattispecie: 1) la conciliazione-procedimento, ovvero l�attivit�, 
variamente procedimentalizzata attraverso interventi regolatori, per 
mezzo della quale le parti possono trovare una composizione dei propri divergenti 
interessi; 2) la conciliazione-negozio, ossia l�atto negoziale, che si compie 
a valle del procedimento conciliativo, il quale determina la risoluzione 
della controversia e che al suo interno pu� contenere variegate tipologie di atti 
giuridici (ad esempio rinunzie e transazioni, negozi di accertamento, riconoscimenti 
debitori). 

Sul piano generale si distingue tra diverse tipologie di conciliazione in 
relazione alla sede (giudiziale/extragiudiziale), alla composizione dell�organo 
conciliativo (collegiale/ monocratica), al ruolo svolto dal conciliatore (facilitativa/
aggiudicativa), alla eventuale correlazione con la successiva fase processuale 
(facoltativa/obbligatoria). 

Nel diritto del lavoro le conciliazioni assumono un particolare rilievo in 
relazione alle previsioni contenute nell�art. 2113 c.c. (come risultanti a seguito 
dell�intervento di riforma operato dalla legge n. 533/1973). ComՏ noto tale 
disposizione stabilisce, da una parte, che le rinunzie e le transazioni, che 
hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni in


(*) Ricercatore di Diritto del lavoro, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell�Universit� degli Studi 
di Napoli Federico II. 

Il presente scritto � la Relazione dell�Autore al Convegno �La conciliazione e l�arbitrato in materia di 
lavoro�, promosso da C.L.A.A.I. - Associazione dell�artigianato e della piccola e media impresa. Napoli 
3 dicembre 2013. L�Autore ringrazia Teleconsul. 


derogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti 
di cui all�art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide; dall�altra 
parte, che l�impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro 
sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia e della 
transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima; dall�altra 
parte ancora, che le predette rinunzie e transazioni possono essere impugnate 
con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a 
renderne nota la volont� di porre nel nulla tali atti. Ebbene, il comma 4 dell�art. 
2113 c.c. stabilisce che le norme contenute nei primi tre commi della disposizione 
non si applicano alle conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 
410 e 411 c.p.c., nonch� a quelle intervenute ai sensi degli artt. 412-ter e 412quater 
c.p.c. (le ultime due fattispecie sono state inserite a seguito dell�intervento 
della legge n. 183/2010, c.d. Collegato lavoro). Inoltre, ai sensi di quanto 
oggi espressamente previsto dagli artt. 11 e 12 del d.lgs. n. 124/2004, i primi 
tre commi dell�art. 2113 c.c. non si applicano neanche al verbale sottoscritto 
dalle parti nell�ambito della conciliazione monocratica o della conciliazione 
promossa a seguito di diffida accertativa. In tutte queste ipotesi, pertanto, la 
conciliazione � inoppugnabile e rende intangibili i rapporti obbligatori come 
definiti dalle parti (salvi, naturalmente, sul piano oggettivo, i diritti assolutamente 
indisponibili e, sul piano soggettivo, i vizi della volont�). 

2. Cenni sull�evoluzione del tentativo di conciliazione. 

Va evidenziato come, nel sistema originariamente delineato dalla legge 

n. 533/1973, le esclusioni previste dal quarto comma dell�art. 2113 c.c. riguardassero, 
oltre la conciliazione giudiziale, due forme di conciliazione facoltativa: 
quella sindacale, da sempre variamente disciplinata dalla contrattazione 
collettiva, e quella amministrativa, introdotta proprio dalla legge n. 533/73. 

Negli anni �90 del secolo scorso, tuttavia, il legislatore ha introdotto l�obbligatoriet� 
del tentativo di conciliazione in sede sindacale ed amministrativa, 
dapprima limitatamente all�impugnazione giudiziale dei licenziamenti individuali 
nei rapporti di lavoro alle dipendenze di imprese che occupano sino 
a 15 dipendenti (art. 5, legge n. 108/1990), poi generalizzando tale scelta per 
tutte le controversie di lavoro (art. 36, d.lgs. n. 80/1998, e art. 19, comma 8, 
d.lgs. n. 387/1998, che hanno riscritto gli artt. 410 e ss. c.p.c.) ed anche per 
le controversie dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (assoggettati, 
tuttavia, ad una specifica disciplina con larghi tratti differenziali, artt. 65 e 
66 del d.lgs. n. 165/2001). Il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui al 
rinnovato art. 410 c.p.c. si configurava, quindi, quale condizione di procedibilit� 
della domanda, la cui carenza, cio�, comportava la sospensione del processo 
in attesa dell�esperimento della procedura conciliativa e della 
successiva riassunzione. 

L�applicazione pratica del tentativo obbligatorio di conciliazione, tuttavia, 


ha evidentemente fallito il suo scopo. Da una parte, durante la sua vigenza, i 
benefici deflattivi si sono rivelati assai modesti, dall�altra l�istituto della conciliazione 
obbligatoria ha di fatto realizzato una dilatazione dei tempi del processo. 
Sostanzialmente l�esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione 
si risolveva nell�assolvimento di un mero adempimento burocratico. 

Da pi� parti, dunque, si � invocata una riforma del tentativo di conciliazione 
che fosse in grado di rilanciare la funzione deflattiva dell�istituto, e in 
questo quadro � intervenuto l�art. 31 della legge n. 183/2010, il quale ha definito 
una disciplina ampiamente innovativa (concretizzatasi, sul piano delle 
fonti, nella riscrittura degli artt. 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater c.p.c. e 
del comma 4 dell�art. 2113 c.c., e nell�abrogazione degli artt. 410-bis e 412bis 
c.p.c.) che ne ha, da una parte, reintrodotto la facoltativit�, dall�altra, moltiplicato 
le sedi conciliative (art. 31, comma 13, legge n. 183/2010) e, 
dall�altra ancora, dettato una disciplina uniforme per il lavoro pubblico e privato 
(gli artt. 65 e 66 del d.lgs. n. 165/2001 sono stati, infatti, abrogati). 

3. La nuova conciliazione amministrativa dopo la l. n. 183/2010. 

Per l�attivazione della procedura prevista per il nuovo tentativo di conciliazione 
in sede amministrativa � necessario che l�istante faccia pervenire 
alla Commissione di Conciliazione, da individuarsi con i criteri di competenza 
stabiliti dall�art. 413 c.p.c., una comunicazione scritta. Tale comunicazione 
va consegnata oppure inviata per raccomandata a.r. ed una copia va 
parimenti consegnata o spedita con raccomandata a.r. anche alla controparte. 
� possibile, altres�, l�inoltro per il tramite di una associazione sindacale, tuttavia 
� sempre necessario che la parte sottoscriva l�istanza personalmente 
(art. 410, comma 5, c.p.c.). 

Le Commissioni di conciliazione sono presiedute dal direttore della Direzione 
territoriale del lavoro o da un suo delegato, oppure da un magistrato 
collocato a riposo; gli altri componenti sono costituiti da quattro rappresentanti 
effettivi e quattro supplenti dei datori di lavoro, 4 rappresentanti effettivi e 4 
supplenti designati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative 
a livello territoriale. Ove se ne manifesti l�opportunit�, � altres� consentito 
alle Commissioni di articolarsi in sottocommissioni, che devono rispettare la 
composizione paritaria dei rappresentanti delle diverse parti ed essere comunque 
presiedute dal direttore o da un suo delegato. In ogni caso per la validit� 
della riunione � necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante 
dei datori di lavoro e dei lavoratori. 

La richiesta di esperire il tentativo di conciliazione deve contenere (art. 
410, comma 6, c.p.c.): i dati anagrafici e la residenza dell�istante e del convenuto 
ovvero la denominazione e la sede per le persone giuridiche, le associazioni 
e i comitati; il luogo dove il rapporto di lavoro � sorto, o dove si trova 
l�azienda o la dipendenza alla quale � (o era) addetto il lavoratore, necessario 


ai fini di determinare la competenza territoriale ex art. 413 c.p.c.; il luogo dove 
devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni relative alla procedura; 
l�esposizione dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa. Deve 
rilevarsi, a tale ultimo proposito, come la norma abbia omesso di indicare tra 
i contenuti essenziali dell�istanza il petitum; non pu� non ritenersi, tuttavia, 
che l�oggetto della domanda debba essere sempre determinato nell�istanza, 
sia pure con margini di elasticit�. 

Quanto agli effetti sostanziali e processuali, ai sensi dell�art. 410, comma 
2, c.p.c., la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione 
interrompe la prescrizione e sospende ogni termine decadenziale 
per tutta la durata del tentativo di conciliazione nonch� per i venti giorni successivi. 
La previsione non chiarisce se la produzione di tali effetti consegua 
all�invio della comunicazione sia alla Commissione di conciliazione sia alla 
controparte. In proposito, in applicazione delle regole civilistiche che disciplinano 
in generale gli istituti della prescrizione (artt. 2943 e ss. c.c.) e della 
decadenza (artt. 2965 e ss. c.c.), sembra potersi distinguere tra l�effetto interruttivo 
della prescrizione, che potr� prodursi anche ove la comunicazione sia 
inviata esclusivamente alla controparte (sempre che, naturalmente, dall�istanza 
risulti adeguatamente determinabile l�oggetto della domanda), e la sospensione 
della decadenza, per la quale sar� sempre necessario trasmettere la richiesta 
alla Commissione di conciliazione. 

Per la valida instaurazione del contraddittorio � necessario il deposito 
presso la Commissione da parte della controparte di una memoria difensiva, 
contenente difese ed eccezioni in fatto e in diritto nonch� l�eventuale domanda 
riconvenzionale, entro venti giorni dal ricevimento della copia dell�istanza. In 
mancanza il tentativo si riterr� implicitamente non accettato e, decorsi i venti 
giorni, ciascuna parte � libera di adire l�autorit� giudiziaria (art. 410, comma 
7, c.p.c.). Deve ritenersi ammissibile, altres�, che la controparte, anticipatamente 
rispetto allo spirare dei venti giorni decorrenti dalla ricezione della copia 
dell�istanza, formalizzi espressamente il proprio rifiuto alla Commissione ed 
anche alla parte istante, determinando cos� l�anticipata cessazione del tentativo 
e dei suoi effetti. 

In caso di accettazione del tentativo di conciliazione, entro dieci giorni 
la Commissione fissa la comparizione delle parti da tenersi entro i successivi 
trenta giorni e, ove il tentativo abbia esito positivo, sia pure parzialmente, se 
ne redige verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della Commissione. 
Il verbale non costituisce titolo esecutivo ma assume tale efficacia a seguito 
del decreto del giudice emesso su istanza di parte (art. 411, comma 1, c.p.c.). 

In caso, invece, di esito negativo del tentativo, la Commissione deve procedere 
alla formulazione di una proposta transattiva che, se non accettata, � 
riassunta in un verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti 
(art. 411, comma 2, c.p.c.). � evidente che la funzione del verbale di mancato 


accordo � quella di cristallizzare l�emersione delle responsabilit�. Il giudice 
dell�eventuale giudizio successivamente instaurato, infatti, per espressa previsione 
normativa, deve tenere conto �in sede di giudizio� della proposta formulata 
dalla Commissione qualora non accettata senza adeguata motivazione, 
ossia - � da ritenersi - deve tenerne conto per la determinazione delle spese 
(art. 91 c.p.c.) ed anche per trarne argomenti di prova (art. 116 c.p.c.). 

Inoltre, in qualunque fase del tentativo di conciliazione le parti possono 
accordarsi per la risoluzione arbitrale della lite, affidando alla stessa Commissione 
innanzi alla quale si sta tenedo il tentativo di conciliazione il mandato a 
risolvere in via arbitrale la controversia (art. 412 c.p.c.). 

Infine, va rimarcato come l�art. 31, comma 13, l. n. 183/2010, abbia esteso 
la possibilit� di esperire il tentativo di conciliazione di cui all�art. 410 c.p.c. 
anche presso le sedi degli organi di certificazione di cui all�art. 76 del d.lgs. 

n. 276/2003, ovvero gli enti bilaterali (territoriali e/o nazionali), le province, 
le universit� pubbliche e private comprese le fondazioni universitarie, la Direzione 
generale del Ministero del lavoro (in talune ipotesi), i Consigli provinciali 
dei consulenti del lavoro nell�ambito di intese definite tra il Ministero 
del lavoro e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. 

4. Le novit� per la conciliazione sindacale e giudiziale. 

Tra le norme riscritte dall�art. 31, l. n. 183/2010, ve ne sono due che si 
occupano espressamente delle conciliazioni sindacali, l�art. 411, comma 3, e 
l�art. 412-ter c.p.c. 

L�art. 412-ter c.p.c. stabilisce che la conciliazione pu� essere svolta 
presso le sedi e con le modalit� previste dai contratti collettivi sottoscritti 
dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. Tale norma, dunque, 
innanzitutto ribadisce la piena legittimit� e l�efficacia delle conciliazioni 
sindacali, previsione rafforzata da quanto si legge nell�art. 411, comma 3, 
c.p.c., secondo il quale se il tentativo si � svolto in sede sindacale ad esso non 
si applicano le previsioni di cui all�art. 410 c.p.c., previsione quest�ultima 
dalla quale sembra potersi desumere una sorta di completa immunit� delle 
conciliazioni sindacali rispetto al procedimento della conciliazione amministrativa 
che, se da una parte appare idonea ad esaltarne la duttilit�, dall�altra 
lascia facilmente preconizzare una preferenza per il ricorso a tale strumento 
da parte degli operatori. 

A ben guardare, comunque, dal rinnovato assetto normativo emerge 
anche una maggiore formalizzazione rispetto al passato, in quanto dalle disposizioni 
di legge si desume la necessit� che le conciliazioni sindacali si 
svolgano nel pieno rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi in ordine 
sia alle sedi sia alle modalit� procedimentali del tentativo di conciliazione. 
Per il conseguimento degli effetti di cui all�art. 2113, comma 4, c.c., inoltre, 
risultano abilitate solo le conciliazioni sindacali previste dai contratti collettivi 


sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, requisito 
evidentemente imposto dal legislatore, in considerazione della pi� ampia 
attendibilit� di tale soggetti, al fine di contrastare prassi lassiste largamente 
emerse in passato. Quanto al livello, nazionale, territoriale o aziendale, dei 
contratti collettivi, nel silenzio della legge appare preferibile, anche in virt� 
di elementari esigenze di affidabilit�, ritenere che la norma si riferisca esclusivamente 
alle procedure di conciliazione sindacale introdotte dai contratti 
collettivi nazionali. 

Naturalmente, anche dopo l�intervento della legge n. 183/2010, devono 
ritenersi ferme le acquisizioni giurisprudenziali in tema di conciliazione sindacale, 
e in particolare la necessit� per la piena validit� della conciliazione 
della biunivocit� ed effettivit� dell�assistenza sindacale ricevuta dalle parti. 
Sul punto, da ultimo, si � espressa Cass. 23 ottobre 2013, n. 24024, la quale 
ha enunciato il seguente principio di diritto: �per il combinato disposto dell�art. 
2113 c.c. e degli artt. 410 e 411 c.p.c., le rinunzie e le transazioni aventi ad 
oggetto diritti del prestatore derivanti da disposizioni inderogabili della legge 

o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione sindacale, non 
sono impugnabili ex art. 2113 c.c., commi 2 e 3, solo a condizione che l�assistenza 
prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, consentendo al 
lavoratore di sapere a quale diritto rinunzia ed in che misura, e, nel caso di 
transazione, a condizione che dall�atto si evinca la res dubia oggetto della lite 
(in atto o potenziale) e le �reciproche concessioni� in cui si risolve il contratto 
transattivo ai sensi dell�art. 1965 c.c.�. 

In caso di esito positivo della conciliazione sindacale, l�art. 411, comma 
3, c.p.c. dispone la redazione del verbale ed il suo successivo deposito presso 
la Direzione territoriale del lavoro, anche per il tramite dell�associazione sindacale; 
quindi il Direttore della DTL, accertatane l�autenticit�, deve provvedere 
al deposito presso la cancelleria del Tribunale competente. Anche in tal 
caso, per l�attribuzione al verbale dell�efficacia di titolo esecutivo, � necessario 
il decreto del giudice, che potr� provvedere su istanza di parte e previo 
accertamento della regolarit� formale del verbale (cos�, ancora, l�art. 411, 
comma 3, c.p.c.). 

La conciliazione giudiziale, a sua volta, � disciplinata dagli artt. 185 e 
420, comma 1, c.p.c. Si tratta della conciliazione che il giudice del lavoro, all�udienza 
di discussione, tenta dopo aver interrogato liberamente le parti presenti. 
Anche per tale istituto vi sono alcune novit�. L�art. 31, comma 4, legge 

n. 183/2010, innanzitutto, ha inserito all�art. 420, comma 1, c.p.c. la previsione 
secondo cui il giudice non pu� pi� limitarsi a facilitare l�eventuale �spontanea� 
conciliazione delle parti o a registrarne la volont� negativa ma deve formulare 
ad esse anche una propria proposta transattiva. Se ne desume un significativo 
cambiamento del ruolo del giudice, il quale assume anche una funzione valutativa, 
la quale si presenta alquanto opinabile in relazione alla necessaria im



parzialit� e terziet� degli organi giudicanti. Naturalmente la proposta transattiva 
giudiziale pu� essere diversa da quella emersa nell�eventuale fase conciliativa 
precedente. 

Il secondo periodo del comma 1 dell�art. 420 c.p.c., come modificato 
dall�art. 31, comma 4, legge n. 183/2010, stabilisce, poi, che il rifiuto della 
proposta transattiva del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento 
valutabile dal giudice ai fini del giudizio, formula con la quale, 
non diversamente da quanto osservato in relazione al verbale di mancato accordo 
redatto a seguito del tentativo di conciliazione amministrativa, il legislatore 
ha inteso riferirsi alla determinazione delle spese di giudizio (art. 91 
c.p.c.) ed agli argomenti di prova desumibili dal contegno processuale delle 
parti (art. 116 c.p.c.). 

Se la conciliazione riesce si redige verbale, che ha immediatamente efficacia 
di titolo esecutivo (art. 420, comma 3, c.p.c.) senza necessit� di ulteriori 
adempimenti data la sede in cui si realizza. 

Infine, va segnalata l�introduzione ad opera della legge n. 183/2010 di 
una conciliazione del tutto innovativa, quella prevista dal rinnovato art. 412quater 
c.p.c. che disciplina la possibilit� per le parti di ricorrere ad un Collegio 
di conciliazione ed arbitrato. In proposito pu� osservarsi come, in realt�, la 
norma disciplini una particolare modalit� di devoluzione della controversia 
ad arbitri, con la procedimentalizzazione di un previo tentativo di conciliazione 
che il Collegio deve espletare. 

5. Le residue ipotesi di tentativo obbligatorio di conciliazione. 

A fronte della generalizzata eliminazione del carattere obbligatorio del 
tentativo di conciliazione, disposta in favore della facoltativit� dal nuovo art. 
410 c.p.c. introdotto dal Collegato lavoro, il comma 2 dello stesso art. 31, 
legge n. 183/2010 precisa che �il tentativo di conciliazione di cui all�art. 80, 
comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, � obbligatorio�. 

Si tratta del previo tentativo di conciliazione prescritto a carico di chi intenda 
ricorrere in giudizio contro la certificazione, introdotto dal legislatore 
del 2003 come variante del tentativo obbligatorio di conciliazione all�epoca 
prescritto per tutte le controversie di lavoro, caratterizzato dalla circostanza 
di doversi necessariamente svolgere innanzi alla stessa commissione di certificazione 
responsabile dell�emissione dell�atto in contestazione. 

Le ragioni che hanno indotto il legislatore del Collegato lavoro a salvaguardare 
espressamente la natura obbligatoria di tale tentativo di conciliazione 
vanno inquadrate nell�ambito del pi� generale disegno di rilancio dell�istituto 
della certificazione perseguito dalla legge n. 183/2010. 

Tuttavia, modalit�, procedimento ed effetti interruttivi e sospensivi del 
tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all�art. 80, comma 4, d.lgs. n. 
276/2003, non trovano nella legge una specifica disciplina, per cui devono ri



tenersi applicabili, nei limiti di compatibilit�, le regole disposte in generale 
per il tentativo facoltativo oggi vigente. Considerata, poi, la natura obbligatoria 
del tentativo, appare scontato che il giudice adito debba rilevarne d�ufficio 
l�eventuale mancato esperimento. 

Il legislatore, tuttavia, avrebbe fatto bene ad occuparsi espressamente 
delle conseguenze dell�omissione di tale tentativo di conciliazione, dal momento 
che l�abrogazione dell�art. 412-bis c.p.c., disposta dall�art. 31, comma 
16, l. n. 183/2010, ha tranciato di netto la disciplina di riferimento. 

In mancanza di norme di riferimento, innanzitutto, non sembra potersi 
dubitare che tale tentativo di conciliazione sia prescritto a pena di improcedibilit�, 
e non di improponibilit�, della domanda. In questo senso milita innanzitutto 
la circostanza che, quando � stato introdotto, lo speciale tentativo 
obbligatorio di conciliazione per le controversie inerenti alle certificazioni rappresentava 
un segmento del tentativo obbligatorio di conciliazione di applicazione 
generalizzata per tutte le controversie di lavoro, della cui 
riconducibilit� alle condizioni di procedibilit� non poteva dubitarsi stante il 
chiaro dettato dell�art. 412-bis, comma 1, c.p.c. Pertanto, in mancanza di esplicite 
indicazioni normative in senso contrario, sembra logico ritenere che il legislatore 
abbia inteso preservare l�istituto cos� com�era. Una tale conclusione, 
poi, appare obbligata ove si ritenga il condizionamento dell�azione connesso 
all�improponibilit� in contrasto con i principi costituzionali. ComՏ noto, infatti, 
in caso di improcedibilit� la litispendenza sopravvive al vizio e, a seguito 
della sanatoria, attraverso un semplice atto di impulso (ossia la riassunzione) 
il processo pu� riprendere il suo corso, con conseguente consolidamento di 
tutti gli effetti riconducibili alla domanda al momento della sua originaria formulazione; 
in caso di improponibilit�, invece, la litispendenza cessa e, con 
essa, tutti gli effetti sostanziali e processuali della domanda, i quali possono 
conservarsi esclusivamente qualora il processo si concluda con una sentenza 
di merito. Se ne deduce che il meccanismo dell�improponibilit�, a differenza 
dell�improcedibilit�, si pone in contrasto con il dettato dell�art. 24 Cost., comportando 
l�espropriazione di un mezzo della tutela giurisdizionale dei diritti 
come la domanda e l�immediatezza dei suoi effetti, volti ad impedire che il 
decorso del tempo possa estinguere un diritto soggettivo (in termini gi� Corte 
cost. 4 marzo 1992, n. 82). 

Quanto alle conseguenza dell�omissione, poi, � necessario colmare in via 
interpretativa il vuoto determinato dall�abrogazione dell�art. 412-bis c.p.c. 
circa la sospensione del giudizio, la fissazione di un termine per l�assolvimento 
del tentativo, l�obbligo di riassunzione del processo, dovendosi ritenere in insanabile 
conflitto con il diritto alla tutela giurisdizionale garantito dall�art. 24 
Cost. una sospensione del processo sine die. Invero, come gi� prospettato in 
altra sede, sembra possibile l�applicazione della disciplina dettata dall�art. 443 

c.p.c. (a grandi linee coincidente con quella gi� prevista dall�abrogato art. 412



bis, comma 2, c.p.c.): tale disposizione, che trova applicazione in relazione 
alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, stabilisce: 
a) l�improcedibilit� della domanda fino all�esaurimento dei procedimenti per 
la composizione in sede amministrativa (ovvero fino al decorso dei termini 
per il loro compimento); b) che il giudice che rileva l'improcedibilit� deve sospendere 
il giudizio e fissare (solo) all'attore un termine perentorio di sessanta 
giorni per rimuovere la condizione di improcedibilit�; c) che il processo deve 
essere riassunto, a cura dell'attore, nel termine perentorio di 180 giorni decorrente 
dalla cessazione della causa della sospensione. 

Infine, per completezza, va affrontata la questione se il dissolversi della 
generale obbligatoriet� del tentativo di conciliazione lasci riemergere o meno 
il tentativo obbligatorio di conciliazione per le controversie relative a licenziamenti 
nelle imprese minori contenuto nell�art. 5, legge n. 108/1990, che si 
riteneva implicitamente abrogato per effetto della sopravvenuta generalizzazione 
dell�obbligatoriet� del tentativo di conciliazione conseguente alla riscrittura 
degli artt. 410 e ss. c.p.c. operata dal d.lgs. n. 80/1998. 

Alla problematica sembra doversi rispondere negativamente, in quanto 
l�avvenuta abrogazione, ad opera della legge n. 183/2010, della norma abrogatrice 
(ossia il testo dell�art. 410 c.p.c. come novellato dal d.lgs. n. 80/1998) 
non appare idoneo a determinare la reviviscenza dell�art. 5, legge n. 108/1990. 
Infatti deve escludersi il ritorno in vita di norma abrogata da norma a sua volta 
abrogata in considerazione della natura istantanea, definitiva e non retroattiva 
dell�effetto abrogativo, inidoneo perci� a rimuovere gli effetti prodotti da una 
precedente legge abrogatrice, potendosi al pi� ammettere la reviviscenza di 
una norma abrogata solo allorch� venga disposta testualmente dal legislatore 
oppure nel caso in cui la norma abrogativa abbia come suo unico oggetto diretto 
una precedente norma espressamente ed esclusivamente abrogativa. In 
conclusione, pu� serenamente escludersi che l�intervento della legge n. 
183/2010 abbia comportato la �risurrezione� del tentativo obbligatorio di conciliazione 
per le controversie relative ai licenziamenti nelle imprese minori. 

6. Il nuovo tentativo obbligatorio di conciliazione antecedente al licenziamento 
per giustificato motivo oggettivo. 

L�art. 1, comma 40, della legge n. 92/2012 (c.d. riforma Fornero), attraverso 
l�integrale riscrittura dell�art. 7 della legge n. 604/1966, ha istituito una 
nuova procedura conciliativa da espletarsi obbligatoriamente prima dell�intimazione 
di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. 

Essa presenta l�evidente finalit�, da un lato, di deflazionare il contenzioso 
e, dall�altro lato, di restringere gli spazi di aleatoriet� dell�eventuale 
giudizio, anticipando ad un momento antecedente al licenziamento l�emersione 
di elementi che altrimenti potrebbero manifestarsi solo in sede di contenzioso 
(quali, ad esempio, le circostanze di fatto idonee a dimostrare la 


sussistenza e la non pretestuosit� della ragione posta a base del licenziamento 
o, per altro verso, la presenza di eventuali posti disponibili per l�assolvimento 
dell�obbligo di rep.chage). 

Il nuovo tentativo di conciliazione ha una applicazione generalizzata 
nell�area coperta dalla tutela reintegratoria di cui all�art. 18 St. lav., con le sole 
esclusioni dei licenziamenti per superamento del periodo di comporto, per fine 
lavoro nel settore edile e per quelli seguiti da nuove assunzioni nei cambi di 
appalto (art. 7, comma 6, legge n. 604/1966, come riscritto dall�art. 7, comma 
4, d.l. n. 76/2013, conv. dalla legge n. 99/2013). 

Merita di essere preliminarmente chiarito come tale procedimento condizioni 
solo la legittimit�, non la validit�, dell�eventuale licenziamento per 
giustificato motivo oggettivo disposto dal datore. Sotto il profilo sanzionatorio, 
poi, qualora il licenziamento risulti effettuato in violazione della procedura 
conciliativa obbligatoria, il datore potr� essere condannato solo al pagamento 
di una indennit� risarcitoria compresa tra un minimo di sei e un massimo di 
dodici mensilit� dell�ultima retribuzione globale di fatto, secondo quanto previsto 
dal nuovo testo dell�art. 18, comma 6, St. lav. come modificato dalla 
legge n. 92/2012, con esclusione, dunque, della reintegrazione (salva, naturalmente, 
la sussistenza di ulteriori profili relativi alla carenza della giustificazione 
del licenziamento stesso). 

La procedura deve essere avviata dal datore di lavoro con comunicazione 
scritta, da una parte, trasmessa alla Direzione territoriale del lavoro competente 
in base al luogo di svolgimento dell�attivit� lavorativa, e, dall�altra parte, 
inviata per conoscenza al lavoratore interessato. 

La comunicazione datoriale deve esplicitare l�intenzione di procedere al 
licenziamento per giustificato motivo oggettivo e deve includere i motivi del 
licenziamento nonch� le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del 
lavoratore art. 7, commi 1e 2, legge n. 606/1966. La comunicazione, dunque, 
ha ad oggetto l�intenzione di procedere al licenziamento e deve necessariamente 
precedere l�effettiva intimazione dello stesso. 

Una volta ricevuta la richiesta del datore di lavoro, la DTL deve convocare 
le parti entro il termine, espressamente definito perentorio, di sette giorni 
dalla ricezione della richiesta, indicando giorno e ora dell�incontro da svolgersi 
innanzi alla Commissione provinciale di conciliazione di cui all�art. 410 c.p.c. 
(art. 7, comma 3, legge n. 606/1966). 

La mancata convocazione nel termine di sette giorni non inficia la legittimit� 
del licenziamento successivamente disposto e, qualora la convocazione 
sia disposta tardivamente, viene meno l�obbligo per le parti di intervenire all�incontro. 
In sostanza, in caso di convocazione tardiva da parte della DTL, 
l�esperimento del tentativo di conciliazione da obbligatorio si trasforma in facoltativo, 
essendo del tutto rimessa alle parti la scelta se prendervi parte o 
meno. Ad ogni modo, la procedura conciliativa si estingue entro 20 giorni, 


comprensivi dei giorni necessari alla consegna delle raccomandate, che decorrono 
dal momento in cui la DTL ha effettuato la convocazione per l�incontro. 
Tale termine pu� essere prorogato per un massimo di quindici giorni 
esclusivamente in caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore 
a partecipare alla riunione, ovvero, stavolta senza limitazioni temporali, dalle 
parti di comune accordo ove queste ultime ravvisino l�opportunit� di proseguire 
gli incontri in vista del raggiungimento dell�accordo. In altre parole, secondo 
quanto � possibile inferire dalla formulazione dell�art. 7, comma 6, della 
legge n. 604/1966, indipendentemente dai risultati concretamente conseguiti 
nel corso della procedura, il decorso dei termini, vuoi per la convocazione, 
vuoi per lo svolgimento del tentativo di conciliazione, consente al datore di 
lavoro di intimare il licenziamento senza il rischio di subire la sanzione prevista 
dall�art. 18, comma 6, St. lav. 

Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza 
alle quali siano iscritte o abbiano conferito mandato, da un componente della 
rappresentanza sindacale che opera sul luogo di lavoro (r.s.a. o r.s.u.), da un 
avvocato o da un consulente del lavoro (art. 7, comma 5, legge n. 604/1966). 

Esse possono esaminare nell�ambito del tentativo conciliativo soluzioni 
alternative al recesso come, ad esempio, la risoluzione consensuale. Tale soluzione 
� incentivata dalla previsione (art. 7, comma 7, legge n. 604/1966) 
che, equiparando la condizione del lavoratore che abbia consensualmente risolto 
il contratto a quella del disoccupato involontario, gli garantisce la fruizione 
dell�Aspi in deroga alla disciplina generale. In tal caso � anche prevista 
la possibilit� di affidare il lavoratore, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, 
ad una delle agenzie per il lavoro disciplinate dall�art. 4, comma 
1, lett. a) e b) del d.lgs. n. 276/2003. Infine, sempre con riferimento alla risoluzione 
consensuale conclusa nell�ambito del nuovo tentativo di conciliazione 
di cui all�art. 7, legge n. 604/1966, il Ministero del lavoro, con la circolare 16 
gennaio 2013, n. 3, ha chiarito che ad essa non si applica la nuova procedura 
di convalida di cui all�art. 4, comma 17, legge n. 92/2012. 

La Commissione di conciliazione � tenuta a formulare una propria proposta 
conciliativa ed a redigere un apposito verbale di conciliazione, come si 
desume dal comma 8 dell�art. 7, legge n. 604/1966. La stessa disposizione stabilisce 
altres� che il giudice dell�eventuale giudizio successivamente instaurato 
deve tener conto del comportamento delle parti nella fase conciliativa, oltre 
che per la definizione delle spese legali (art. 91 c.p.c.), anche per la determinazione 
della nuova indennit� risarcitoria per il licenziamento ingiustificato 
prevista dall�art. 18, comma 7, St. lav. 

Infine, allo scopo di prevenire possibili comportamenti opportunistici od 
ostruzionistici da parte del lavoratore, l�art. 1, comma 41, della legge n. 
92/2012, ha stabilito che il licenziamento intimato all�esito del nuovo procedimento 
conciliativo produce comunque effetto a partire dal giorno della co



municazione con cui il tentativo � stato avviato, salvo l�eventuale diritto del 
lavoratore al periodo di preavviso ovvero alla relativa indennit� sostitutiva, e 
che gli effetti del licenziamento restano sospesi solo in caso di impedimento 
del lavoratore derivante da infortunio sul lavoro ovvero in relazione alle sospensioni 
disposte dal d.lgs. n. 151/2001 (Testo unico per la tutela della maternit� 
e paternit�). 


Finito di stampare nel mese di maggio 2014 
Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma