ANNO LXVI - N. 2 APRILE - GIUGNO 2014 


RASSEGNA 
AV V O C AT U R A 
DELLO STATO 


PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 


COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino -
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 

DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 

COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria 
Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano 
Varone. 

CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo Luigi 
Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni 

- Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola 
Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 

HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Ugo Adorno, Vincenzo Cardellicchio, Francesco 
Maria Ciaralli, Enrico De Giovanni, Giuseppe Dell�Aira, Carlo Deodato, Pierluigi Di Palma, 
Salvatore Faraci, Angela Fragomeni, Fabrizio Gallo, Federico Maria Giuliani, Arturo Camillo 
Jemolo, Antonio Mastrone, Adolfo Mutarelli, Giovanni Palatiello, Giuseppe Palma, Paola 
Palmieri, Sara Peluso, David Romei, Sabrina Scalini, Rocco Steffenoni, Antonio Tallarida. 

E-mail: 
giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 
maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829562 

ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................� 40,00 
UN NUMERO .............................................................................................. � 12,00 


Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico 
bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 
42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare 
la spedizione, codice fiscale del versante. 

I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo 

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 


Stampato in Italia - Printed in Italy 

Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


INDICE - SOMMARIO 


TEMI ISTITUZIONALI 

IL DECRETO LEGGE 90/2014 
Premessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Le norme di impatto diretto sulle funzioni di Istituto . . . . . . . . . . . . . . . . 
Dai lavori Parlamentari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Carlo Deodato, I limiti costituzionali alla spending review: quello che il 
Governo e il Parlamento possono (e non possono) fare per ridurre la 
spesa pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Palma, Una sana �curiositas� giuridica (auspicabile non 
�vana�) sul nuovo sistema retributivo degli appartenenti all�Avvocatura 
di Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Arturo Camillo Jemolo, L�avvocatura dello Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Una sentenza dei giudici amministrativi sul ruolo degli avvocati dello 
Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Fiengo, Tre scritti per riflettere ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuseppe Dell�Aira, Dal Leopoldo alla Leopolda: ovvero, l�involuzione 
acritica della scuola giuridica fiorentina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Salvatore Faraci, Due e-mail di un avvocato dello Stato. . . . . . . . . . . . . 

CONTENZIOSO NAZIONALE 

Antonio Mastrone, Sul termine di decadenza per la presentazione della 
domanda di rimborso in materia tributaria (Cass., Sez. Un., sent. 16 giugno 
2014 n. 13676). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 


Paolo Gentili, Note sul redditometro ed onere della prova (Cass. civ., 
Sez. Trib., sent. 19 marzo 2014 n. 6396) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 


Federico Maria Giuliani, 
Simulazione e fisco ancora all�esame della Suprema Corte (Cass. civ., 
Sez. V, sent. 27 gennaio 2014 n. 1568). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Abuso e elusione nel procedimento e nel processo (Cass. civ., Sez. V, sent. 
4 aprile 2014 n. 7961) (coautrice Sabrina Scalini). . . . . . . . . . . . . . . . . . 


Autonoma impugnabilit� di atti endoprocedimentali tributari: il Consiglio 
di Stato si pronuncia sul verbale di contestazione (Cons. St., Sez. IV, 
sent. 14 aprile 2014 n. 1821) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Giovanni Palatiello, Sulla Direttiva Reati: il giudice dell�esecutivit� riconosce 
l�accesso all�indennizzo nelle sole situazioni transfrontaliere (C. 
app. Roma, ord. 9 maggio 2014 n. 7072/13 RG) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Ugo Adorno, Cittadinanza extracomunitaria ed accesso ai pubblici impieghi 
(Trib. lav. Perugia, ord. 27 marzo 2014) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Francesco Maria Ciaralli, Le astreintes nel processo civile e amministrativo 
(Cons. St., Ad. Plen., sent. 25 giugno 2014 n. 15). . . . . . . . . . . . . . . 

pag. 1 
�� 3 
�� 8 

�� 15 

�� 30 
�� 37 

�� 61 
�� 71 

�� 82 
�� 92 

�� 95 
�� 106 

�� 114 
�� 122 

�� 128 

�� 135 
�� 163 
�� 170 


I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

Stefano Varone, Sulle procedure concorsuali nella P.A. . . . . . . . . . . . . . 
Paola Palmieri, Requisiti di nomina dei Presidenti e dei Commissari delle 
Autorit� portuali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Paola Palmieri, Natura giuridica dell�Istituto di Ricovero e Cura a Carattere 
Scientifico (IRCCS) di propriet� dello Stato Vaticano . . . . . . . . . 
Sergio Fiorentino, Canone dovuto dalle imprese di trasporto alla Rete 
Ferroviaria Italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Enrico De Giovanni, Rimborso spese legali a dipendente pubblico nel 
caso di archiviazione per prescrizione da parte del G.I.P.. . . . . . . . . . . . 

LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 

Antonio Tallarida, Federalismo fiscale e nuova finanza locale . . . . . . . . 

Vincenzo Cardellicchio, Fabrizio Gallo, Stazione unica appaltante e Centrale 
di committenza: lo sviluppo degli istituti nella prospettiva di riorganizzazione 
dei livelli di Governo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Pierluigi Di Palma, Il trasporto aereo tra Stato e Regioni. . . . . . . . . . . . 

Sara Peluso, La sponsorizzazione dei beni culturali: opportunit� e criticit� 
dello strumento alla luce del caso Colosseo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Rocco Steffenoni, L�abolizione delle province: evoluzione di un processo 
di semplificazione delle autonomie locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

CONTRIBUTI DI DOTTRINA 

Adolfo Mutarelli, L�insostenibile pesantezza economica dei diritti. Nuovo 
rito speciale sugli appalti pubblici: verso un processo senza giudizio? 

Angela Fragomeni, Il problema (irrisolto) del rapporto tra esame del ricorso 
principale e ricorso incidentale alla luce dei principi comunitari 

David Romei, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni 
o condizionamento mafioso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

pag. 195 
�� 201 
�� 208 
�� 213 
�� 231 
�� 235 
�� 250 
�� 268 
�� 278 
�� 296 
�� 319 
�� 324 
�� 358 


TEMI ISTITUZIONALI 
Il Decreto Legge 90/2014 

L�iniziativa del Governo di intervenire d�urgenza, con il decreto legge 24 
giugno 2014 n. 90, sugli stipendi, gli onorari e sul collocamento a riposo degli 
avvocati e procuratori dello Stato ha creato, oltre a ragguardevoli reazioni 
emotive, la voglia e la necessit� di molti colleghi di interrogarsi sulle funzioni 
e sulle vocazioni di un Istituto, quale l�Avvocatura dello Stato, che affonda le 
proprie radici agli albori dello �Stato di diritto� e che ha sempre ritenuto di 
costituire un pezzo significativo nell�assetto delle istituzioni della Repubblica. 

Di qui l�idea di raccogliere nella sezione �temi istituzionali� della Rassegna, 
con le norme di rilevanza diretta introdotte dal decreto legge governativo 
e dalla legge di conversione, gli interventi, gli spunti ed i saggi, vecchi e 
nuovi, che consentono di focalizzare i temi cruciali di un dibattito, soprattutto 
interno, che si svolge oramai da oltre quattro mesi sul ruolo effettivo (e sulla 
stima) dell�Avvocatura dello Stato. 

I primi due documenti, che seguono il florilegio delle norme che direttamente 
ci riguardano, appartengono ai lavori parlamentari e riassumono i contenuti 
delle audizioni svolte presso la Camera dei deputati dall�Avvocato 
Generale, avv. Michele Giuseppe Dipace, e dalle Associazioni rappresentative 
della categoria. Si tratta quindi di �atti ufficiali�, dai quali tuttavia emergono 
direttamente e con forza le �ragioni a difesa� dell�Istituto da parte di 
coloro che lo dirigono e lo rappresentano. Si tratta di dati e considerazioni 
che, ancorch� in certa misura pretermesse nella scelta parlamentare, � significativo 
che restino a testimonianza di quel che si � detto. 

Seguono, nella prima parte del dossier, tre saggi e una sentenza del TAR 
del Lazio. Il primo � una valutazione generale sui limiti, che la legislazione 
sopravveniente trova, per Costituzione e principi di diritto europeo, ad intervenire 
unilateralmente su rapporti di durata in corso di svolgimento. L�estensore 
� il consigliere di Stato Carlo Deodato, che ha svolto le funzioni di Capo 
dell�Ufficio Legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il secondo 


� un articolo richiesto ah hoc, al prof. Giuseppe Palma, ordinario di diritto 
amministrativo dell�Universit� Federico II di Napoli. Ricordavo dello stesso 
Autore un bell�intervento svolto nel novembre 2012 ad un convegno che aveva 
ad oggetto proprio le Avvocature Pubbliche, e il testo originario del decreto 
legge (ed in parte anche il testo della legge approvata) recano una strana interazione 
tra l�Avvocatura dello Stato e gli uffici legali di enti pubblici territoriali 
e non. Il terzo saggio � un articolo del 1968 di Arturo Carlo Iemolo, 
che, in una fase delicata nei rapporti tra l�Avvocatura dello Stato ed il Governo 
(quella stessa fase che poi ha dato avvio all�iter della Riforma del 1979), 
offre un�attenta e ancora attuale ricostruzione del ruolo dell�Avvocatura dello 
Stato nell�amministrazione pubblica. 

La sentenza del TAR Lazio n. 10205/11, resa in una controversia sulla legittimit� 
di affidare solo ad alcune categorie �scelte� il ruolo di giudici tributari, 
indica anch�essa le particolari connotazioni della professione di 
avvocato dello Stato. 

Nella seconda parte, un collage di tre documenti (atti parlamentari e stralci 
di articoli) dai quali l�autore della composizione, cerca di cogliere, sul piano 
delle vicende storiche e della curiosit� filologica, la connessione che sembra 
esistere tra la questione degli onorari, spesso riproposta in pi� sedi, e l�affidamento 
in esclusiva agli avvocati e procuratori dello Stato della rappresentanza 
processuale, spesso mal sopportata dalle Amministrazioni in giudizio. 

Restano infine - terza parte - due ulteriori documenti, sui quali la direzione 
della Rassegna ha mantenuto il dubbio sull�opportunit� della pubblicazione. 
Il primo � un saggio inviato a Lexitalia da Giuseppe Dell�Aira, 
Avvocato distrettuale di Palermo, immediatamente a ridosso dell�emanazione 
del decreto legge n. 90 del 2014; il secondo, di tono confidenziale, sono due 
e-mail inviate a tutti i colleghi dal giovane avvocato Salvatore Faraci, in servizio 
presso l�Avvocatura distrettuale dello Stato di Caltanisetta. Si tratta di 
documenti che contestano le scelte del Governo �con toni non consoni ad una 
rivista di servizio�. Tuttavia tali scritti testimoniano egregiamente lo stato 
d�animo e il senso di smarrimento di chi sente di subire ingiustamente le gravi 
conseguenze sul piano professionale delle decisioni che il Governo andava 
assumendo. Considerando che l�Avvocatura dello Stato resta comunque �fatta 
di persone�, che credono nel valore istituzionale del proprio lavoro, la direzione 
della Rivista pur non condividendo �in toto� quanto in tali documenti 
viene rappresentato e sostenuto, ritiene che sarebbe ingiusto non pubblicarli... 

Il direttore responsabile 
avv. Giuseppe Fiengo 


SOMMARIO: 1. Le norme di impatto diretto sulle funzioni di Istituto - 2. Dai lavori Parlamentari. 
PARTE I - 3. Testimonianze recenti e passate: Carlo Deodato, I limiti costituzionali 
alla spending review: quello che il Governo e il Parlamento possono (e non possono) fare 
per ridurre la spesa pubblica - (segue) Giuseppe Palma, Una sana �curiositas� giuridica 
(auspicabile non �vana�) sul nuovo sistema retributivo degli appartenenti all�Avvocatura di 
Stato -(segue) Arturo Camillo Jemolo, L�avvocatura dello Stato -(segue) Una sentenza dei 
giudici amministrativi sul ruolo degli avvocati dello Stato. PARTE II - 4. Tre scritti per riflettere 
... - 4.1. Dibattito parlamentare 19 giugno 1889 - 4.2. (segue) Stralcio di un saggio sull�Avvocatura 
dello Stato e la sua storia - 4.3. (segue) Articolo pubblicato sul Sole24Ore. PARTE 
III - 5. Testimonianze �a caldo� di due avvocati dello Stato: Giuseppe dell�Aira, Dal Leopoldo 
alla Leopolda: ovvero, l�involuzione acritica della scuola giuridica fiorentina - (segue) Salvatore 
Faraci, Due e-mail di un avvocato dello Stato. 

1. Le norme di impatto diretto sulle funzioni di Istituto. 

Testo del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 
144 del 24 giugno 2014), coordinato con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 114, recante: 
�Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza 
degli uffici giudiziari.�. (14A06530) (GU Serie Generale n.190 del 18-8-2014 - Suppl. 
Ordinario n. 70). 

Art. 1 

(Disposizioni per il ricambio generazionale 
nelle pubbliche amministrazioni) 

1. Sono abrogati l'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, l'art. 72, commi 
8, 9, 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 6 agosto 2008, n. 133, e l'art. 9. comma 31, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 
78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 
2. Salvo quanto previsto dal comma 3, i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata 
in vigore del presente decreto sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro 
scadenza se prevista in data anteriore. I trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni 
pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 
165, e non ancora efficaci alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge sono 
revocati. 
3. Al fine di salvaguardare la funzionalit� degli uffici giudiziari, i trattenimenti in servizio, 
pur se ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili 
e militari che alla data di entrata in vigore del presente decreto ne abbiano i requisiti 
ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni, 
sono fatti salvi sino al 31 dicembre 2015 o fino alla loro scadenza se prevista 
in data anteriore. 
(...) 


Art. 8 

(Incarichi negli uffici di diretta collaborazione) 

1. All'art. 1, comma 66, della legge 6 novembre 2012 n. 190, sono apportate le seguenti 
modificazioni: 
a) le parole: �compresi quelli di titolarit� dell'ufficio di gabinetto,� sono sostituite dalle 


seguenti: �compresi quelli, comunque denominati, negli uffici di diretta collaborazione, 
ivi inclusi quelli di consulente giuridico, nonch� quelli di componente degli 
organismi indipendenti di valutazione,�; 
b) dopo il primo periodo � inserito il seguente: �� escluso il ricorso all'istituto dell'aspettativa.
�. 

2. Gli incarichi di cui all'art. 1, comma 66, della legge n. 190 del 2012, come modificato 
dal comma 1, in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente 
decreto, cessano di diritto se nei trenta giorni successivi non � adottato il provvedimento 
di collocamento in posizione di fuori ruolo. 
3. Sono fatti salvi i provvedimenti di collocamento in aspettativa gi� concessi alla data di 
entrata in vigore del presente decreto. 
4. Sui siti istituzionali degli uffici giudiziari ordinari, amministrativi, contabili e militari 
nonch� sul sito dell'Avvocatura dello Stato sono pubblicate le statistiche annuali inerenti 
alla produttivit� dei magistrati e degli avvocati dello Stato in servizio presso 
l'ufficio. Sono pubblicati sui medesimi siti i periodi di assenza riconducibili all'assunzione 
di incarichi conferiti. 


Art. 9 

(Riforma degli onorari dell'Avvocatura generale dello Stato 
e delle avvocature degli enti pubblici) 

1. I compensi professionali corrisposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 
1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, 

agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura 
dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo 
di cui all'art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni. 

2. Sono abrogati il comma 457 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e il 
terzo comma dell'art. 21 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 
1611. L'abrogazione del citato terzo comma ha efficacia relativamente alle sentenze 
depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 
3. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, 
le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni 
di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e 
con le modalit� stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi 
del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. La parte rimanente 
delle suddette somme � riversata nel bilancio dell'amministrazione. 
4. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle 
controparti, il 50 per cento delle somme recuperate � ripartito tra gli avvocati e pro-
curatori dello Stato secondo le previsioni regolamentari dell'Avvocatura dello Stato, adottate 
ai sensi del comma 5. Un ulteriore 25 per cento delle suddette somme � destinato a 
borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato, 
da attribuire previa procedura di valutazione comparativa. Il rimanente 25 per cento � destinato 
al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all'art. 1, comma 431, della 
legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni. 
5. I regolamenti dell'Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i contratti col



lettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 
e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri 
oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualit� negli adempimenti 
processuali. I suddetti regolamenti e contratti collettivi definiscono altres� i criteri 
di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso 
sistemi informatici, secondo principi di parit� di trattamento e di specializzazione 
professionale. 

6. In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli 
di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 
1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti 
compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti 
dello stanziamento previsto, il quale non pu� superare il corrispondente stanziamento relativo 
all'anno 2013. Nei giudizi di cui all'art. 152 delle disposizioni per l'attuazione del 
codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 
1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari 
o contrattuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento 
previsto. Il suddetto stanziamento non pu� superare il corrispondente stanziamento relativo 
all'anno 2013. 
7. I compensi professionali di cui al comma 3 e al primo periodo del comma 6 possono 
essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al 
suo trattamento economico complessivo. 
8. Il primo periodo del comma 6 si applica alle sentenze depositate successivamente alla 
data di entrata in vigore del presente decreto. I commi 3, 4 e 5 e il secondo e il terzo periodo 
del comma 6 nonch� il comma 7 si applicano a decorrere dall'adeguamento dei regolamenti 
e dei contratti collettivi di cui al comma 5, da operare entro tre mesi dalla data 
di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In assenza del suddetto 
adeguamento, a decorrere dal 1� gennaio 2015, le amministrazioni pubbliche 
di cui al comma 1 non possono corrispondere compensi professionali agli avvocati 
dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello 
Stato. 
9. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare minori risparmi rispetto a 
quelli gi� previsti a legislazione vigente e considerati nei saldi tendenziali di finanza pubblica. 


Art. 19 

(Soppressione dell'Autorit� per la vigilanza sui contratti pubblici 
di lavori, servizi e forniture e definizione delle funzioni 
dell'Autorit� nazionale anticorruzione) 

... 5. In aggiunta ai compiti di cui al comma 2, l'Autorit� nazionale anticorruzione: 
a) riceve notizie e segnalazioni di illeciti, anche nelle forme di cui all'art. 54-bis del decreto 
legislativo 30 marzo 2001, n. 165; 
a-bis) riceve notizie e segnalazioni da ciascun avvocato dello Stato il quale, nell'esercizio 
delle funzioni di cui all'art. 13 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611, venga a conoscenza di violazioni di disposizioni di legge o di regolamento 
o di altre anomalie o irregolarit� relative ai contratti che rientrano nella di



sciplina del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Per gli avvocati 
dello Stato segnalanti resta fermo l'obbligo di denuncia di cui all'art. 331 del codice 
di procedura penale; 

(...) 

Art. 33 

(Parere su transazione di controversie) 

1. La societ� Expo 2015 p.a. nel caso di transazione di controversie relative a diritti soggettivi 
derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, pu� 
chiedere che l'Avvocatura Generale dello Stato esprima il proprio parere sulla proposta 
transattiva entro dieci giorni dal ricevimento della richiesta. 

Art. 40 

(Misure per l'ulteriore accelerazione dei giudizi 
in materia di appalti pubblici) 

1. All'art. 120 dell'allegato 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo 
amministrativo), sono apportate le seguenti modificazioni: 
a) il comma 6 � sostituito dal seguente: �6. Il giudizio, ferma la possibilit� della sua definizione 
immediata nell'udienza cautelare ove ne ricorrano i presupposti, viene comunque 
definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d'ufficio e da tenersi 
entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse 
dal ricorrente. Della data di udienza � dato immediato avviso alle parti a cura della 
segreteria, a mezzo posta elettronica certificata. In caso di esigenze istruttorie o quando 
� necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto di termini a difesa, la definizione 
del merito viene rinviata, con l'ordinanza che dispone gli adempimenti istruttori 

o l'integrazione del contraddittorio o dispone il rinvio per l'esigenza di rispetto dei termini 
a difesa, ad una udienza da tenersi non oltre trenta giorni. Al fine di consentire lo spedito 
svolgimento del giudizio in coerenza con il principio di sinteticit� di cui all'art. 3, 
comma 2, le parti contengono le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nei 
termini stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio 
nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonch� le associazioni di categoria 
riconosciute degli avvocati amministrativisti. Con il medesimo decreto sono stabiliti 
i casi per i quali, per specifiche ragioni, pu� essere consentito superare i relativi 
limiti. Il medesimo decreto, nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli 
atti difensivi, tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica 
e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. 
(...) 

Art. 44 

(Obbligatoriet� del deposito telematico 
degli atti processuali) 

... 2. All'art. 16-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, sono apportate le seguenti modificazioni: 
a) al comma 1 � aggiunto, in fine, il seguente periodo: �Per difensori non si intendono i 
dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente.
�; 
b) il comma 5 � sostituito dal seguente: 



�5. Con uno o pi� decreti aventi natura non regolamentare, da adottarsi sentiti l'Avvocatura 
generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense ed i consigli dell'ordine 
degli avvocati interessati, il Ministro della giustizia, previa verifica, accertata la funzionalit� 
dei servizi di comunicazione, pu� individuare i tribunali nei quali viene anticipato, 
nei procedimenti civili iniziati prima del 30 giugno 2014 ed anche 
limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine fissato dalla legge 
per l'obbligatoriet� del deposito telematico.�. 
c) dopo il comma 9-bis, introdotto dall'art. 52, comma 1, lettera a), del presente decreto, 
� aggiunto il seguente: 
�9-ter. A decorrere dal 30 giugno 2015 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria 
giurisdizione, innanzi alla corte di appello, il deposito degli atti processuali e dei documenti 
da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente 
con modalit� telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente 
la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso 
modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati 

o delegati dall'autorit� giudiziaria. Le parti provvedono, con le modalit� di cui al presente 
comma, a depositare gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. Con 
uno o pi� decreti aventi natura non regolamentare, da adottarsi sentiti l'Avvocatura 
generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense ed i consigli dell'ordine degli avvocati 
interessati, il Ministro della giustizia, previa verifica, accertata la funzionalit� 
dei servizi di comunicazione, pu� individuare le corti di appello nelle quali viene anticipato, 
nei procedimenti civili iniziati prima del 30 giugno 2015 ed anche limitatamente 
a specifiche categorie di procedimenti, il termine fissato dalla legge per 
l'obbligatoriet� del deposito telematico.�. 
(...) 

Art. 50 

(Ufficio per il processo) 

... 2. All'art. 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, sono apportate le seguenti modificazioni: 
a) al comma 1: 
1) dopo le parole: �i tribunali ordinari,� sono inserite le seguenti: �gli uffici requirenti di 
primo e secondo grado,�; 
2) il secondo periodo � soppresso; 
b) dopo il comma 11 � inserito il seguente: 
�11-bis. L'esito positivo dello stage, come attestato a norma del comma 11, costituisce 
titolo per l'accesso al concorso per magistrato ordinario, a norma dell'art. 2 del decreto 
legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni. Costituisce altres� titolo 
idoneo per l'accesso al concorso per magistrato ordinario lo svolgimento del tirocinio 
professionale per diciotto mesi presso l'Avvocatura dello Stato, sempre che sussistano 
i requisiti di merito di cui al comma 1 e che sia attestato l'esito positivo del tirocinio
�. 



2. Dai lavori parlamentari. 

CAMERA DEI DEPUTATI, COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI 


AUDIZIONE 3 LUGLIO 2014 
AVVOCATO GENERALE, AVV. MICHELE DIPACE 


1. Sono qui nella mia veste istituzionale di Avvocato Generale dello Stato con l�unica finalit� 
di esporre alcune considerazioni sugli effetti delle disposizioni dell�art. 9 del d.l. in materia 
di abbattimento degli onorari per l�Avvocatura dello Stato. 
Innanzi tutto, mi sento di affermare fin da ora che, quali che siano gli sviluppi dell�iter parlamentare 
del D.L., gli Avvocati dello Stato tutti continueranno a svolgere la loro delicata funzione 
di difesa e patrocinio del governo e degli altri organi costituzionali con il consueto e 
riconosciuto senso del dovere e professionalit� secondo la consolidata tradizione dell�Istituto. 
2. Le disposizioni in materia di onorari di causa recate dall�art. 9 del D.L. n. 90 del 2014 incidono 
in modo cos� significativo sull�assetto ordinamentale dell�Avvocatura dello Stato e 
sulla figura professionale dei suoi componenti che potrebbe a regime incidere anche sulla 
stessa funzionalit� dell�Istituto. 
La predetta disposizione, comՏ noto, azzera gli onorari in precedenza attribuiti dalla legge 
agli avvocati e procuratori dello Stato nei casi di esito definitivamente vittorioso della lite con 
compensazione delle spese del giudizio (spese compensate) e limita al dieci per cento del 
totale gli onorari ripartibili tra gli avvocati quando questi siano liquidati dal giudice e riscossi 
nei confronti delle controparti (spese liquidate). Sostanzialmente, viene cos� eliminato un 
compenso che ha costituito, da sempre, il segno distintivo del carattere professionale dell�Avvocatura 
dello Stato. 
L�Avvocatura dello Stato �, comՏ noto, l�organo pubblico di tutela legale dell�Esecutivo e 
degli altri organi anche costituzionali affidati al suo patrocinio. 
In ragione delle funzioni da loro svolte, che non differiscono in alcun modo, quanto ad oneri 
e responsabilit�, da quelle di ogni altro avvocato, fin dal tempo dell�istituzione dell�Avvocatura 
dello Stato, risalente al 1876, il legislatore ha sancito il diritto degli avvocati e procuratori 
dello Stato, selezionati per concorso pubblico tra i pi� rigorosi in Italia, in aggiunta al trattamento 
stipendiale, alla percezione degli onorari delle (sole) cause vinte, quale corollario imprescindibile 
del carattere professionale dell�attivit� a loro demandata. 
Nella relazione in data 22 dicembre 1875 della commissione incaricata di elaborare il regolamento 
preordinato all�istituzione dell�Avvocatura dello Stato, realizzata nell�ambito della 
riforma degli uffici del pubblico ministero prefigurata dalla legge 28 novembre 1875, n. 2781, 
furono infatti rimarcati gli evidenti vantaggi di interessare i difensori al buon successo delle 
liti per l�Amministrazione; proprio su questo presupposto l�art. 15 del regolamento 16 gennaio 
1876, n. 2914, previde che ciascuna Avvocatura era deputata a curare �l�esazione delle competenze 
d�avvocati e procuratori poste a carico della controparte nei giudizi sostenuti direttamente 
da quegli Uffici, per ripartirle tra i loro funzionari, secondo le norme da approvarsi dal 
Ministro delle finanze, di concerto con quello della giustizia�. 
Di questo sistema, nel dibattito parlamentare sviluppatosi negli anni immediatamente successivi, 
ne fu espressamente ravvisata l�imprescindibilit� nel fatto che la mancanza di �quella disposizione 
per la quale l�avvocato erariale ha diritto a prendere egli il compenso cui � condannata la 
parte soccombente� avrebbe irrimediabilmente �spezzato i suoi legami col foro� e �mutato i 
cardini dell�istituzione�; in altri termini, l�avvocato �erariale� sarebbe diventato �assolutamente 
un impiegato dello Stato� (On. Spirito, Atti Parlamentari, Sessione 1889), con conseguente pre



giudizio per l�effettivit� della difesa dello Stato e per l�interesse della collettivit�. 
Mi permetto di richiamare il resoconto di quella seduta della Camera dei deputati del 19 giugno 
1889 perch� la questione che si tratt� � praticamente identica a quella che oggi ci occupa; 
essa fu dibattuta con una ricchezza e finezza di argomentazioni, una coerenza logica ed una 
saggezza tali che, pur essendo passato da allora molto pi� di un secolo, davvero non so individuare 
oggi ragioni pi� efficaci per dimostrare che negare al difensore istituzionale dello 
Stato il diritto a percepire l�onorario delle cause integralmente vinte possa rivelarsi un attacco 
alla natura professionale dell�attivit� difensiva svolta dagli Avvocati dello Stato. 
Sia chiaro: oggi come allora si pu� essere certi che �gli avvocati erariali non abbiano bisogno 
di questo stimolo per compiere il loro dovere�. Ma, oggi come allora, � altrettanto certo che 
eliminare o anche solo intaccare il diritto a percepire gli onorari delle cause vinte significherebbe 
disconoscere quel segno di comunanza con la libera professione forense che � innegabilmente 
alla base della dedizione, dimostrata in tutta la storia dell�Istituto dagli avvocati e 
procuratori dello Stato, ad affrontare il proprio lavoro con grande spirito di sacrificio, senza 
mai risparmiarsi, senza mai rivendicare limiti massimi ai carichi di lavoro pro capite, con reperibilit� 
sull�intera giornata, con un assiduo lavoro giornaliero per rispettare i termini processuali 
di scadenza. Ne costituisce inequivocabile riprova il fatto che, nonostante un organico 
di cui si � reiteratamente segnalata la macroscopica inadeguatezza e che attualmente, per effetto 
delle note limitazioni del turn over, � fermo ad appena trecentoquaranta avvocati e pro-
curatori e a meno di novecento impiegati amministrativi, l�Istituto continua ugualmente a far 
fronte ad un contenzioso imponente e complesso. Contenzioso che si � addirittura pi� che 
quadruplicato solo negli ultimi cinque lustri e che di anno in anno si accresce secondo la media 
dell�ultimo decennio di almeno 180 mila nuovi affari (con punte superiori a 200 mila), di cui 
pi� di 50.000 solo a Roma. 
Da studi esterni recentemente svolti si rileva che ciascun affare costa in media allo Stato (tenuto 
conto, oltre che degli emolumenti spettanti al personale togato e amministrativo, di ogni 
altra voce di bilancio degli oneri di funzionamento dell�Istituto, ivi compresi i fitti figurativi 
degli immobili utilizzati) 800 euro circa, ossia un decimo dei costi di mercato. 
Pur in presenza di questa impressionante mole di lavoro - che si riflette in un carico medio di 
circa 500 nuovi affari legali per anno per avvocato, che si sommano alle migliaia di quelli 
pendenti - l�efficacia dell�impegno, dei sacrifici e delle capacit� professionali degli avvocati 
e procuratori dello Stato � testimoniata dall�esito pienamente vittorioso per le Amministrazioni 
difese (almeno il 70 per cento, per un valore di circa 18 miliardi di euro) delle controversie 
trattate non ultime quelle in materia di lotta all�evasione fiscale. 
In questo quadro, le misure recate dall�art. 9 del D.L. n. 90 del 2014 appaiono obiettivamente 
poco comprensibili, oltre che, in certo senso, contraddittorie con l�esigenza comunemente avvertita, 
e che andrebbe ancor pi� valorizzata, di correlare l�erogazione dei compensi accessori 
all�impegno profuso e ai risultati concretamente ottenuti. Come tali, in effetti, esse sono percepite 
non solo dagli avvocati e procuratori dello Stato, ma anche dal personale amministrativo 
(si ricorda che quest�ultimo, per effetto dell�art. 43 della legge n. 69 del 2009, � destinatario 
di una quota pari al 12,50 per cento degli onorari spettanti agli avvocati e procuratori dello 
Stato): personale che, in funzione di supporto a quello togato, con questo condivide parte 
degli oneri e delle responsabilit� dell�attivit� professionale dell�Istituto. 
Il sostanziale azzeramento degli onorari (che proprio in ragione della loro natura di compenso 
professionale non sono pensionabili), ove confermato, avrebbe, dunque, un effetto obiettivamente 
disincentivante e frustrante, destinato inevitabilmente a pregiudicare la funzionalit� dell�Istituto: 


effetto, questo, gi� manifestatosi nella richiesta formulata dalle associazioni di categoria di determinare 
il limite dei carichi di lavoro individuali, come per il personale delle altre magistrature. 
Gli Avvocati dello Stato sono ben consapevoli della necessit�, nell�attuale situazione di drammatica 
crisi economica, che tutte le componenti della pubblica amministrazione debbono compiere 
dei sacrifici anche economici, ai fini del contenimento della spesa pubblica, ma al 
riguardo la recente legge di stabilit� n. 147/2013 ha gi� previsto, per un triennio una decurtazione 
degli onorari complessivamente stimabile oltre il 20% del loro ammontare. 
L�abbattimento degli onorari ora disposto si traduce in un totale e irrimediabile snaturamento 
di un Istituto di alta qualificazione tecnico-professionale ed in una mortificazione dei propri 
componenti. 
Sono certo che sia stato ben compreso come la finalit� del mio intervento non � quella di assecondare 
rivendicazioni di tipo corporativo: null�altro ho voluto fare, in coscienza, che adempiere 
al dovere, per me imprescindibile, di fare tutto il possibile affinch� sia preservato, 
nell�esclusivo interesse della collettivit� nazionale, quel carattere coessenzialmente professionale 
dell�attivit� d�Istituto che continuamente si esprime nelle centinaia di migliaia di giudizi 
che vedono coinvolte le Amministrazioni patrocinate davanti ai giudici nazionali, 
internazionali e comunitari. 
Appellandomi alla consapevole sovrana volont� del Parlamento non posso, dunque, che concludere 
con l�auspicio accorato che sia evitato il totale ed irrimediabile snaturamento di un 
Istituto che da quasi centoquarant�anni contribuisce ad assicurare al Paese l�attuazione dei 
principi dello Stato di diritto e la salvaguardia delle sue Istituzioni. 

AUDIZIONE 8 LUGLIO 2014 


ASSOCIAZIONE UNITARIA AVVOCATI E PROCURATORI DELLO STATO 
ASSOCIAZIONE NAZIONALE AVVOCATI E PROCURATORI DELLO STATO 


Desideriamo innanzitutto ringraziare il Presidente e gli Onorevoli componenti della I Commissione, 
per l�opportunit� che viene offerta alle Associazioni di categoria dell�Avvocatura 
dello Stato, di interloquire sugli effetti che la riforma degli onorari, introdotta dall�art. 9 del 

D.L. 90/2014, ha per l�Avvocatura dello Stato. 
Siamo qui per offrire una serie di dati conoscitivi che consentano di valutare appieno il servizio 
che l�Avvocatura dello Stato rende ai cittadini di questo Paese; siamo qui per rispondere alle 
Vostre domande, tentare di dare un contributo al dibattito e fornire riflessioni utili sul modello 
di P.A. che si vuole perseguire, al fine di individuare le misure normative pi� adatte a realizzare 
l�obiettivo dell�efficienza e dell�economicit� dell�amministrazione. 
L'Avvocatura dello Stato � un organo tecnico, altamente specializzato, autonomo e indipendente 
dalla molteplicit� delle amministrazioni patrocinate, preposto al contenimento della spesa pubblica 
attraverso l'esercizio dell'attivit� consultiva e di difesa esclusiva dello Stato in giudizio. 
Non si pu� che partire dai dati. Come avremo modo di dimostrare sono i numeri, nella loro 
nuda oggettivit�, a testimoniare che l�Avvocatura dello Stato � un modello efficiente, che garantisce, 
a basso costo, risultati estremamente positivi in termini di controllo della legalit�, 
contenimento della spesa pubblica e, in definitiva, tutela delle tasche dei cittadini italiani. 
Solo partendo da questa premessa comune, fondata su dati oggettivi ed incontrovertibili, � 
possibile ragionare insieme sulle misure necessarie a migliorare il servizio, anche in termini 
di economicit�. 


Questi allora, in sintesi, i dati dell�Avvocatura dello Stato. 
Attivit�: i 340 avvocati dello Stato, attualmente in servizio, curano in via esclusiva l�assistenza 
legale e la difesa dello Stato (compresi gli Organi Costituzionali, e quindi Presidenza della 
Repubblica, Camera e Senato, oltre le Regioni e degli altri Enti ammessi al patrocinio), su 
tutto il territorio nazionale, e anche dinanzi a giurisdizioni sovranazionali, nei giudizi civili, 
penali, tributari e amministrativi, in 180.000 nuovi affari ogni anno, per una media di circa 
500 nuovi affari all�anno per ogni avvocato; curano anche la consulenza legale a favore 
delle amministrazioni in sede amministrativa, stragiudiziale e precontenziosa. 
Ogni giorno, dunque, nello studio di un avvocato dello Stato transitano decine di atti e di fascicoli 
e, con riferimento a ciascuno di essi viene presa, con velocit� e precisione, una decisione. 
Ogni giorno vengono elaborati una pluralit� di atti che richiedono studio delle questioni 
ed elaborazione di argomenti defensionali. 
Rilevanza economica del contenzioso: il valore economico del contenzioso curato ogni anno 
dall�Avvocatura dello Stato � stimabile in 25-26 miliardi di euro all�anno. Occorre precisare 
che si tratta di stime basate su proiezioni, considerato che � ben possibile, perch� � gi� accaduto, 
che un solo contenzioso possa da solo superare di gran lunga tali cifre (si pensi alla controversia 
sull�Irap da 100 miliardi di euro vinta dall�Avvocatura dello Stato davanti alla Corte 
di Giustizia). 
Costo per lo Stato: il costo complessivo annuale di tutta l�Avvocatura dello Stato � di soli 
150 milioni di euro (nei quali vanno computate le retribuzioni del personale togato e amministrativo, 
compresi gli onorari di causa, nonch� ogni altra voce di bilancio concernente gli 
oneri di funzionamento dell�Istituto, compresi i canoni di affitto degli immobili utilizzati, 
spese informatiche, per carta, cancelleria etc.). Si tratta di un costo medio pari a 800 euro a 
causa, per tutti i gradi di giudizio, indipendentemente dal valore della causa, anche quando 
milionario (di media, meno di 300 euro per ogni grado di giudizio), di gran lunga inferiore rispetto 
ai valori di mercato e al costo di qualunque attivit� di assistenza e patrocinio legale 
presso altre realt� pubbliche (basti guardare in proporzione ai costi di assistenza legale di 
Poste Italiane o di Ferrovie dello Stato, un tempo difese dall�Avvocatura dello Stato). 
Risultati: oltre a svolgere attivit� consultiva (attivit� particolarmente apprezzata, a presidio 
della legalit� e della spesa, tanto che l�art. 33 del d.l. 90/2014 l�ha prevista in via di urgenza 
a favore della societ� Expo 2015 s.p.a., per la soluzione transattiva delle controversie), l�Avvocatura 
dello Stato registra una percentuale di completa vittoria nel 70% circa delle cause 
patrocinate (senza considerare quelle ove si registra una soccombenza minima), garantendo 
la salvaguardia di un risparmio per lo Stato di circa 18 miliardi di euro. 
Retribuzioni: la retribuzione dell�Avvocato dello Stato � costituita da una parte fissa e da 
una parte variabile, questa ultima legata ad oggettivi risultati positivi ottenuti in giudizio, pari 
ad una quota delle spese legali relative alle cause totalmente vinte: si tratta di un compenso 
tipico della professione forense, legato al merito pieno (solo per le cause totalmente vinte) 
certo ed oggettivo (frutto della decisione di un Giudice terzo); tale parte variabile non comprende 
l�attivit� di consulenza legale svolta dall�avvocato dello Stato n� il patrocinio curato 
dinanzi alla Corte Costituzionale o alle giurisdizioni sovranazionali, ove non cՏ regolamento 
di spese. 
L�Avvocato dello Stato, peraltro, non ha carichi di lavoro predeterminati, n� limiti di orario 
ed � soggetto a termini ineludibili e a responsabilit� immediata, diretta e personale dinanzi 
alla Corte dei Conti in relazione alla trattazione di cause anche milionarie. 
Il modello Avvocatura dello Stato assicura dunque competenza e risultati particolarmente sod



disfacenti nel rapporto costo benefici: fornisce infatti totale assistenza legale allo Stato in tutte 
le sue articolazioni e a una pluralit� di enti pubblici, in via esclusiva, al costo complessivo di 
800 euro a causa, vincendo il 70% delle cause e offrendo anche consulenza legale per l�adozione 
di provvedimenti amministrativi complessi, in funzione di presidio della legalit� e controllo 
della spesa. 
Tutto ci� � possibile grazie alla competenza di un gruppo di avvocati scelti all�esito di una 
selezione durissima: si accede per doppio concorso, il secondo - quello per Avvocato dello 
Stato - aperto a magistrati amministrativi e/o ordinari, procuratori dello Stato, professori universitari, 
dirigenti e avvocati del libero foro con una certa anzianit� (4 prove scritte e 15 materie 
orali, oltre ad una difesa orale relativa ad una contestazione giudiziale). 
L�Avvocatura dello Stato ha bisogno di attrarre merito, efficienza e competenza per poter 
combattere ogni giorno, a difesa delle risorse pubbliche, contro agguerriti studi legali privati, 
che sempre di pi� sono dotati di una elevata specializzazione e di una organizzazione strutturata, 
talvolta anche a carattere internazionale, per far fronte ad un contenzioso complesso, 
come quello concernente la lotta all�evasione fiscale (ove la percentuale di vittoria delle cause 
patrocinate in Cassazione dall�Avvocatura dello Stato si attesta intorno all�85%). 
Anche di recente l�Istituto e le Associazioni sindacali hanno segnalato situazioni di criticit� 
dipendenti dall'esplosione del contenzioso verificatasi negli ultimi venti anni cui non ha corrisposto 
un proporzionale adeguamento dell'organico, la cui scopertura si � anzi aggravata 
negli ultimi cinque anni per via del blocco del turn over. 
Sono stati conseguentemente chiesti il completamento dell�organico mediante il reclutamento 
di giovani preparati, l'autonomia finanziaria, la modernizzazione degli strumenti operativi e 
decisionali (quali, CAPS a maggioranza elettiva, incarichi direttivi a tempo determinato, investimenti 
per l�informatizzazione, borse di studio per i giovani praticanti), nonch� una verifica 
ancora pi� stringente dei risultati e della produttivit� individuale e di quella dei titolari di 
incarichi direttivi. 
Noi crediamo, infatti, che quando un modello funziona - e l�Avvocatura dello Stato certo funziona 
e porta risultati oggettivi - il risparmio di spesa si raggiunge non tagliando, ma investendo; 
ci� perch� l�investimento su un modello vincente ha rendimenti molto pi� alti dei 
costi e consente immediati recuperi di efficienza e di performance del servizio garantito ai 
cittadini. Servizio e risultati che, nel caso dell�Avvocatura, si traducono in immediati risparmi 
di spesa o nuove entrate per l�Erario. 
Basti pensare che anche solo riuscendo - con investimenti mirati - ad aumentare del 3 o 4% 
le vittorie in giudizio, si otterrebbe un risparmio stimato di spesa pari a 1 miliardo di euro, 
e cio� pari a circa 7 volte il costo complessivo annuale di tutta l�Avvocatura dello Stato, 
nonch� a pi� di 30 volte il valore dell�intervento che si propone. 
In questo contesto sorprende che la misura contenuta nell�art. 9 proponga solo un isolato taglio 
lineare dei compensi legati al merito dimostrato sul campo, un sostanziale azzeramento del compenso 
professionale previsto per le cause totalmente vinte, che colpisce indistintamente tutti gli 
avvocati dello Stato, indipendentemente dalla loro produttivit� e soprattutto i pi� giovani. 
Viene cancellato il compenso previsto per il merito certo, pieno e oggettivo dell�Avvocato (la 
vittoria totale della causa, consacrata dal passaggio in giudicato della decisione), deciso da 
un Giudice terzo (e non dalla stessa amministrazione, magari all�esito di oscuri percorsi di 
autovalutazione). Diciamo cancellato perch� a seguito del taglio di cui all'art. 9 cit. in futuro 
gli avvocati dello Stato si vedranno corrisposta una somma pari all'uno per cento degli onorari 
sino ad oggi riconosciuti. 


Si tratta invero di una norma estranea agli stessi principi ispiratori della riforma della p.a. (merito, 
responsabilit�, economicit�), che sgancia l�attivit� professionale degli avvocati dello 
Stato dal risultato, cos� rischiando di trasformare l�avvocato dello Stato in un �burocrate�. 
Per una serie di elementari considerazioni la norma taglia onorari snatura l�Avvocatura dello 
Stato, muovendosi in senso contrario a quella ricerca della performance cui invece dovrebbe 
tendere tutta la p.a. 
L�avvocato dello Stato �, anzitutto, un avvocato e, al fine di garantire la massima efficacia 
della difesa in giudizio dello Stato, � necessario che percepisca se stesso ed il proprio ruolo 
in tale specifica prospettiva. La misura in esame invece snaturando lo status dell�avvocato 
dello Stato, ne snatura la funzione, minando seriamente la possibilit� che l�avvocato dello 
Stato possa, in futuro, competere ad armi pari con gli avvocati del libero foro. 
Non solo. La misura in esame, paradossalmente, colpisce principalmente i giovani avvocati 
e procuratori dello Stato e produce, quindi, anche un effetto di vera e propria distorsione generazionale. 
I giovani avvocati e procuratori dello Stato, infatti hanno retribuzioni lorde pi� basse rispetto 
ai loro colleghi e assai lontane dal tetto stipendiale (anche 1/5 rispetto al tetto); a causa di tale 
misura perdono immediatamente una voce variabile con cui si dava significativo e qualificante 
riconoscimento alle proprie competenze e responsabilit�, al risultato del proprio lavoro e al 
successo in giudizio, cos� mutando improvvisamente un percorso professionale su cui tanto 
hanno investito e nel quale credono. 
In questo senso, considerando la peculiarit� dell�attivit� svolta dall�Avvocato dello Stato con 
un carico di lavoro indeterminato, scadenze ineludibili e responsabilit� immediata e diretta 
per cause anche milionarie - si corre il serio rischio che i giovani pi� brillanti per capacit� e 
professionalit� non sceglieranno questa carriera, con una perdita di competenze e di appetibilit�, 
che non potr� non riverberarsi su risultati e sulla competitivit� futura. 
� indubbio, dunque, che gli effetti di tale disposizione non si esauriscono nel programmato 
risparmio di spesa iniziale, che anzi rischia di essere solo apparente, dovendo scontare inevitabili 
effetti in termini di indebolimento di un modello allo stato efficiente e competitivo, di 
presidio delle pubbliche finanze, con conseguente indiretto e futuro aggravio di costi per le 
casse dello Stato. 
L�art. 9 cit., infatti, potrebbe conseguire l�effetto paradossale di realizzare la penalizzazione 
del merito, delle migliori intelligenze, dell�efficienza e dei risultati oggettivi gi� raggiunti, 
mentre l�avvocatura dello Stato avrebbe bisogno di misure volte a conseguire la modernizzazione 
dei modelli organizzativi e decisionali, in funzione di miglioramento dell�efficienza, 
dell�economicit� e dell�organizzazione lavorativa, con virtuose ricadute sui risultati per le 
casse dello Stato. 
La domanda allora �: vogliamo una struttura di controllo e contenimento della spesa pubblica 
efficiente, che produce risultati oggettivi e verificabili, costa meno del privato, guarda al 
merito e attira competenze? O vogliamo un modello di difesa dei conti pubblici debole? 
Vogliamo rafforzare e mantenere un modello di assistenza legale pubblica ed esclusiva, a costi 
irrisori e con risultati di eccellenza? O vogliamo un modello diverso, di affidamento - con i 
soldi pubblici - di incarichi e consulenze legali a professionisti privati, con ricadute disastrose 
in termini di aumento della spesa? 
Avere avvocati pubblici preparati e agguerriti, che si confrontano ogni giorno sul campo con 
avversari e studi legali bene organizzati, vincendo le cause solo per lo Stato a costi non paragonabili 
con quelli del settore privato, non pu� essere considerato un costo insopportabile n� 


un privilegio da tagliare. Ma la scelta intelligente di chi sceglie e premia il suo avvocato per 
competenza e merito. 
Questa � la domanda cruciale. Queste le nostre ragioni. Ed � su questo che ci piacerebbe discutere 
nell�interesse del Paese. 
Non vogliamo che l�occasione vada sprecata. Perch� il tempo delle riforme � qui ed � ora. 
Naturalmente noi Avvocati dello Stato non ci siamo mai sottratti e non intendiamo certo sottrarci 
ai sacrifici e al contributo che bisogna dare al Paese in questo momento di grave congiuntura 
economica. 
Nella legge di stabilit� 2014 (Legge 27 dicembre 2013, n. 147) � stato gi� disposto infatti il 
taglio del 25% di tale forma di compenso legato al merito e al successo in giudizio. 
Qui per� non si discute di misure transitorie dirette a fronteggiare una congiuntura momentaneamente 
sfavorevole, ma di una misura strutturale, unicamente finalizzata alla sostanziale 
e definitiva eliminazione di una voce qualificante legata al merito e alla performance; il tutto, 
in assenza di corrispondenti misure di rafforzamento e modernizzazione del modello efficiente 
di avvocatura erariale. 
Il meccanismo premiale, che caratterizza e qualifica questo modello virtuoso di difesa dello 
Stato e presidio di legalit� va invece, per le ragioni sin qui illustrate, conservato e salvaguardato. 
E si auspica l�abbandono della strada dell�isolato e improduttivo taglio lineare e strutturale. 
Il che non vuol dire che gli avvocati dello Stato siano chiusi al confronto o abbiano un atteggiamento 
diretto alla conservazione dell'esistente. 
Chiediamo tuttavia che questo contributo sia davvero utile al Paese. Per questo chiediamo che 
non si cancelli proprio il meccanismo qualificante del modello vincente di avvocatura erariale; 
per questo chiediamo che si dia ancora maggiore forza e riconoscimento alle competenze e ai 
risultati raggiunti in termini di tutela delle finanze pubbliche. Per questo chiediamo una modernizzazione 
degli strumenti operativi e decisionali ed una verifica ancora pi� stringente dei 
risultati e della produttivit� individuale e di quella dei titolari di incarichi direttivi. 
Perch�, quando il modello funziona, solo investendo e adeguandolo ai tempi � possibile aumentare 
l�efficienza e l�economicit� dell�azione a presidio della legalit� e delle pubbliche finanze. 
Perch� crediamo che qualunque misura di riforma, anche eventualmente temporanea e congiunturale, 
non possa prescindere da obiettivi di modernizzazione e investimento, finalizzati 
al miglioramento della performance. 
Solo cos� possiamo davvero rendere un servizio al Paese e non sprecare l�opportunit� della 
riforma. 
Siamo dunque disponibili all�introduzione di misure di ammodernamento e rafforzamento del 
modello di Avvocatura dello Stato e chiediamo che di essi si discuta nell�ambito di una riforma 
complessiva, nella sede appropriata della riforma della giustizia in corso di preparazione. 
Lo chiediamo in nome dei risultati ragguardevoli gi� raggiunti al servizio dello Stato e a difesa 
delle tasche dei cittadini. E lo chiediamo soprattutto a tutela dei giovani e delle generazioni 
di avvocati dello Stato che verranno e che decideranno di mettere i loro talenti e le loro migliori 
competenze al servizio dello Stato. 

Per il Presidente dell�AUAPS 
Avv. Antonio Gangemi 

Il Segretario dell�AUAPS 
Avv. Giuseppe Zuccaro 

Il Presidente dell�ANAPS 
Avv. Rosario Di Maggio 


PARTE I - 3. Testimonianze recenti e passate: Carlo Deodato, I limiti costituzionali alla 
spending review: quello che il Governo e il Parlamento possono (e non possono) fare per ridurre 
la spesa pubblica - (segue) Giuseppe Palma, Una sana �curiositas� giuridica (auspicabile 
non �vana�) sul nuovo sistema retributivo degli appartenenti all�Avvocatura di Stato 

-(segue) Arturo Camillo Jemolo, L�avvocatura dello Stato - (segue) Una sentenza dei giudici 
amministrativi sul ruolo degli avvocati dello Stato. 

CARLO DEODATO 

I limiti costituzionali alla spending review: quello che il Governo eil Parlamento possono (e non possono) fare per ridurre la spesa pubblica 

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. I limiti costituzionali all�adozione di misure di contenimento 
della spesa relative a rapporti di durata - 3. I limiti stabiliti dalla Corte Europea dei diritti 
dell�uomo - 4. La compatibilit� con la Costituzione e con la Convenzione Europea dei diritti 
dell�uomo della spending review italiana - 5. Considerazioni finali. 

1. Premessa. 

Nel presente studio ci dedicheremo ad identificare i limiti costituzionali 
all�attivit� legislativa preordinata alla riduzione della spesa pubblica. 

ComՏ noto, la necessit� di rispettare i vincoli finanziari europei (cristallizzati 
nel c.d. fiscal compact) e l�obiettivo, ormai costituzionalizzato (con la 
legge costituzionale n. 1 del 2012), del pareggio di bilancio (1) hanno imposto 
un�opera di revisione, in senso riduttivo, dei programmi di spesa pubblica, 
meglio nota come spending review. 

L�analisi delle voci di spesa risulta, in tal senso, finalizzata alla previa individuazione 
(essenzialmente politica) di quelle che possono essere ridotte ed 
alla successiva adozione delle misure (amministrative o normative, a seconda 
del titolo della spesa) mirate alla produzione dell�effetto della diminuzione 
dei relativi impegni finanziari. 

Ora, a fronte dell�esigenza di intervenire su voci di spesa attinenti a diritti 
patrimoniali relativi a rapporti giuridici di durata, appare indispensabile scrutinare 
la compatibilit� costituzionale delle diverse misure adottabili, come contributo 
scientifico di riflessione, in un�ottica costruttiva (e per nulla polemica), 
sui principi costituzionali che possono rivelarsi vulnerati da una declinazione 
rozza, arbitraria o, comunque, poco consapevole della necessit� (per molti 
versi ineludibile) di riduzione della spesa pubblica. 

E proprio per evitare qualsivoglia sospetto di critica politica all�operato 
del Governo (di quello in carica o di quelli che lo hanno proceduto) o, peggio, 
di militanza nel partito della spesa pubblica, o, ancora peggio, di difesa corporativa 
di prerogative o di diritti quesiti, ci asterremo dalla disamina di singoli 

(1) R. DICKMANN, Governance economica europea e misure nazionali per l'equilibrio dei bilanci 
pubblici, Roma, 2013. 


provvedimenti e manterremo la nostra analisi su un piano generale e astratto, 
limitandoci a tracciare i confini all�interno dei quali devono essere concepite 
ed attuate le misure di riduzione della spesa (per sfuggire a fondate censure di 
incostituzionalit�) ed esaminando, sempre in astratto ed alla stregua dei predetti 
parametri, le diverse tipologie di interventi. 

Per offrire un contributo di riflessione che sia utile, attendibile e scientificamente 
coerente, fonderemo la nostra analisi sugli insegnamenti che la 
Corte Costituzionale ha avuto modo di elaborare ed impartire sulla materia in 
questione, in modo da verificare, sulla base di quei principi, le misure che appaiono 
o meno compatibili con la Costituzione. 

Esigenze di completezza della trattazione impongono, da ultimo, di non 
trascurare i postulati della Corte Europea dei diritti dell�uomo in merito alla 
tutela dei diritti dei cittadini relativi a rapporti di durata e, anzi, di esaminare 
la legittimit� delle misure italiane di spending review anche con riguardo ai 
principi della CEDU. 

Il tema si presta, peraltro, ad essere analizzato anche secondo una prospettiva 
pi� propriamente politologica, che esamini, segnatamente, l�influenza 
della crisi del debito sulla forma di Stato, sulla trasformazione del welfare, sul 
grado di protezione dei diritti sociali e, in particolare, sulla possibile evoluzione 
dello Stato sociale (che riconosce ai cittadini perlopi� diritti a prestazioni 
sociali pubbliche) in Stato liberale (che riconosce ai cittadini perlopi�, se non 
solo, libert� negative) (2). 

Ma ci limiteremo, sotto questo profilo, a sommarie e necessariamente incomplete 
riflessioni nelle considerazioni conclusive. 

2. I limiti costituzionali all�adozione di misure di contenimento della spesa 
relative a rapporti di durata. 

2.1- La Corte Costituzionale si � occupata gi� da diversi anni delle questioni 
attinenti alla compatibilit� con la Carta fondamentale della Repubblica 
di disposizioni legislative che comportano l�estinzione o la riduzione di diritti 
patrimoniali relativi a rapporti di durata e si � preoccupata, con una serie ormai 
copiosa di decisioni, di descrivere l�ambito entro il quale tale tipologia di 
norme sfugge alle censure di incostituzionalit� e resta confinata nell�alveo (a 
dire il vero piuttosto angusto) della conformit� ai principi costituzionali (3). 

2.2- La Corte ha, innanzitutto, chiarito (ormai da parecchi anni) che il 
principio di irretroattivit� delle leggi (codificato all�art. 11 delle disposizioni 

(2) Per una compiuta analisi di tale tema si veda P. GRIMAUDO, Lo stato sociale e la tutela dei 
diritti quesiti alla luce della crisi economica globale: il caso italiano, in Federalismi. 
(3) Non dedicheremo un�attenzione particolare alle leggi di interpretazione autentica, atteso che 
la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto che, ai fini del giudizio di costituzionalit� di una legge 
retroattiva, resta indifferente la sua autoqualificazione come di interpretazione autentica (Corte Cost. 
nn. 36/1985, 167/1986, 233/1988 e, pi� di recente, 41/2011 e 308/2013). 



sulla legge in generale, c.d. preleggi), ancorch� non costituzionalizzato (4) (se 
non, per la sola materia penale, all�art. 25 Cost.), rappresenta �una regola essenziale 
del sistema a cui, salvo un�effettiva causa giustificatrice, il legislatore 
deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce 
un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillit� dei 
cittadini� (5). 

Adoperando un lessico forse pi� appropriato per esprimere la valenza di 
un principio costituzionale, il canone di irretroattivit� delle leggi � stato, infatti, 
definito condicio sine qua non della certezza del diritto (6), elemento essenziale 
di civilt� giuridica (7), fondamento dello Stato di diritto (8) e principio 
generale dell�ordinamento (9). 

Il rispetto di tale regola implica, in particolare, che la nuova legge non 
possa essere applicata non solo ai rapporti giuridici che hanno esaurito i loro 
effetti prima della sua entrata in vigore, ma anche a quelli originati anteriormente 
e ancora efficaci (nella misura in cui la disposizione sopravvenuta privi 
di efficacia il fatto giuridico genetico verificatosi prima di essa). 

Il Giudice delle leggi non ha, tuttavia, negato la compatibilit� costituzionale 
di disposizioni legislative che incidano, in senso peggiorativo, su situazioni 
soggettive attinenti a rapporti di durata (e che, nei limiti sopra precisati, 
possono essere qualificate come leggi retroattive o, comunque, equiparate a 
queste ultime, ai fini che qui rilevano), ammettendo, anzi, esplicitamente, che 
tale fattispecie di norme non incontra nella Costituzione un divieto assoluto 

(10) (la cui violazione implica, di per s� ed automaticamente, l�incostituzio(
4) Deliberatamente non costituzionalizzato, essendo stato respinto dall�Assemblea costituente 
l�emendamento dall�on. Domined� finalizzato a tutelare dalle leggi retroattive i diritti quesiti (�la legge 
non dispone che per l�avvenire: essa non ha efficacia retroattiva nei confronti dei diritti quesiti�), come 
ricordato da G. GROTARELLI DE� SANTI, Profili costituzionali dell�irretroattivit� delle leggi, Milano, 1975, 
p. 48. 
(5) Corte Cost., n. 155/1990. 
(6) Corte Cost., n. 194/1976. 
(7) Corte Cost., n. 13/1977. 
(8) Corte Cost., n. 108/1981. 
(9) Corte Cost., n. 91/1982. 






(10) R. GUASTINI, Le fonti del diritto e l'interpretazione, Milano, Giuffr�, 1993; R. QUADRI, Applicazione 
della legge in generale, in Commentario del codice civile Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 
1974; A. CERRI, Leggi retroattive e Costituzione. Spunti critici e ricostruttivi, in Giur. Cost., 1975; L. 
PALADIN, Appunti sul principio di irretroattivit�, in Il foro amministrativo, 1959; A. FALZEA, Efficacia 
Giuridica, in Enciclopedia del diritto, vol. XIV, 1965, p. 432; R. CAPONI, La nozione di retroattivit� 
della legge, in Giurisprudenza Costituzionale, 1990, p. 103 e ss.; CIAN G. -TRABUCCHI A., Commentario 
breve al Codice civile, Padova, 2011, p. 26 e ss.; G.U. RESCIGNO, Leggi di interpretazione autentica e 
leggi retroattive non penali incostituzionali, in Giurisprudenza costituzionale, 1964, p. 780 e ss.; M. PATRONO, 
Legge (vicende della), in Enciclopedia del diritto, vol. XXIII, 1973, p. 927 e ss.; A. PIZZORUSSO, 
Commentario al Codice civile, Art. 1-9. Fonti del diritto. Disposizioni preliminari, Bologna, 2011, p. 
255 e ss.; G. GROTTARELLI DE� SANTI, Profili costituzionali dell�irretroattivit� delle leggi, Milano, 1975, 
p. 48: T. MARTINES, Diritto Costituzionale, Milano, 2010, p. 99 e ss.; A.M. SANDULLI, Il principio della 
irretroattivit� della legge e la Costituzione, in Foro amministrativo, 1947, II, p. 81 e ss.; C. ESPOSITO, 



nalit�), ma ha presidiato la pertinente attivit� legislativa di una serie di vincoli 
la cui inosservanza (questa s�) comporta il vizio di incostituzionalit� (11). 

Sono stati, in particolare, identificati alcuni valori costituzionali che fungono 
da argini, nel senso che il loro superamento integra gli estremi della violazione 
costituzionale, all�approvazione di disposizioni legislative modificative 
in peius di diritti soggettivi perfetti relativi a rapporti di durata. 

In tale prospettiva, la Corte ha precisato che l�approvazione di leggi con 
efficacia retroattiva deve intendersi preclusa o, comunque, limitata dal necessario 
rispetto dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza (12), del legittimo 
affidamento dei cittadini sulla stabilit� della situazione normativa preesistente 

(13) e sulla certezza delle situazioni giuridiche ormai consolidate (14), della 
coerenza dell�ordinamento (15), nonch� di altri valori costituzionali quali, ad 
esempio, le garanzie del lavoro, la libert� di iniziativa economica (16) e l�indipendenza 
della magistratura (17). 

Tale indirizzo � stato, da ultimo, confermato, se non rafforzato, da una 
recentissima pronuncia (18) con la quale i giudici di Palazzo della Consulta 
hanno ribadito e chiarito che la retroattivit� deve trovare adeguata giustificazione 
�nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, 
che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale�. 

� stato, peraltro, ulteriormente precisato che la modifica in senso sfavorevole 
della disciplina dei rapporti di durata non pu� mai essere arbitraria o 
irrazionale (19) e dev�essere, in ogni caso, giustificata da esigenze eccezionali 
ed idonee, come tali, ad imporre sacrifici �eccezionali, transeunti, non arbitrari 
e consentanei allo scopo prefisso� (20). 

La irragionevolezza (e, quindi, la incostituzionalit�) delle misure pu�, 
inoltre, essere esclusa solo se le decurtazioni previste sono imposte da esigenze 
straordinarie di contenimento della spesa pubblica e presentano un�ef-

La Costituzione italiana, Padova, 1954; P. BARILE, Note e pareri sull�irretroattivit� delle norme tributarie, 
in Diritto dell�economia, 1957, p. 41 e ss.; M. NIGRO, In tema di irretroattivit� della legge e principi 
costituzionali, in Foro amministrativo, 1957, I, p. 35 e ss.; I. MANZONI, Sul problema della 
costituzionalit� delle leggi retroattive, in Rivista di diritto finanziario, 1968, p. 319 e ss.; S. CAIANELLO, 
La retroattivit� della norma tributaria, Napoli, 1981. 

(11) A. VALENTINO, Il principio d�irretroattivit� della legge civile nei recenti sviluppi della giurisprudenza 
costituzionale e della Corte europea dei diritti dell�uomo, in www.associazionedeicostituzionalisti.
it. 

(12) Corte Cost., n. 282/2005. 
(13) Corte Cost., n. 160/2013, n. 209/2010, n. 525/2000. 
(14) Corte Cost., n. 24/2009, n. 74/2008, n. 156/2007. 
(15) Corte Cost., n. 209/2010. 
(16) Corte Cost., n. 211/1997. 
(17) Corte Cost., n. 397/1994. 
(18) Corte Cost., n. 156/2014. 
(19) Corte Cost., nn. 417 e 179/1996, 390/1995, 330/1999. 
(20) Corte Cost., n. 245/1997. 



ficacia temporale limitata e circoscritta (e, cio�, se non modificano a regime 
i diritti incisi) (21). 

Non solo, ma i sacrifici non possono essere irragionevolmente imposti 
ad una sola categoria di cittadini (22), integrandosi altrimenti gli estremi del 
vizio di violazione del principio di eguaglianza (a causa della disparit� di trattamento 
che pu� essere ravvisata nella differente previsione di prestazioni patrimoniali 
a carico di diverse categorie di cittadini). 

2.3- Come si vede da questa sintetica rassegna, il Giudice delle leggi ha, 
s�, ammesso la compatibilit� costituzionale di leggi modificative in peius di 
diritti soggettivi perfetti attinenti a rapporti di durata, ma ha circondato l�affermazione 
di tale astratta autorizzazione (rivolta al legislatore ordinario) di 
una serie di cautele, di avvertenze, di vincoli, di limiti che hanno reso piuttosto 
impervio e stretto il sentiero che pu� essere utilmente percorso per giungere 
alla meta dell�approvazione di disposizioni legislative del tipo in esame che 
sfuggano (prima) alle censure e (poi) alla declaratoria di incostituzionalit� 
(come confermato dall�elevato numero di pronunce con cui � stato riscontrato 
il predetto vizio). 

La Consulta ha, in particolare, valorizzato, per un verso e con molteplici 
statuizioni, l�esigenza di garantire il legittimo affidamento dei cittadini sulla 
certezza dei rapporti giuridici e sulla stabilit� delle situazioni soggettive (quale 
principio cardine della convivenza civile) e, per un altro, l�interesse alla tutela 
di altri valori costituzionali coinvolti (quali quelli relativi al lavoro ed alla libert� 
di iniziativa economica, oltre ch� il principio di eguaglianza), quali limiti 
invalicabili all�attivit� legislativa in esame. 

Ovviamente la Corte si � anche fatta carico della straordinariet� delle esigenze 
di contenimento della spesa pubblica ed ha, quindi, riconosciuto in esse 
gli estremi della causa giustificatrice dell�approvazione di leggi con efficacia 
retroattiva, ma ha, al contempo, presidiato queste ultime di ulteriori vincoli, 
perlopi� riferiti alla temporaneit� dei sacrifici imposti ai cittadini ed alla stretta 
strumentalit� di questi ultimi alla soddisfazione delle necessit� di bilancio. 

2.4- Si tratta, in definitiva, di una giurisprudenza, ormai consolidata ed 
intrinsecamente coerente con le esigenze di tutela di tutti gli interessi costituzionali 
coinvolti, che non descrive, tuttavia, un percorso lineare e sicuro per 
conseguire lo scopo dell�approvazione di leggi sicuramente immuni da vizi di 
incostituzionalit�, ma che certamente dissemina la strada di segnali e di avvertimenti 
che dovrebbero (se rettamente intesi) scongiurare quel pericolo. 

Saggiamente, in ogni caso, la Corte ha enucleato una serie di principi, di 
parametri valutativi e di paradigmi di giudizio che le consentano quel margine 
di apprezzamento nella delibazione del bilanciamento dei diversi valori in 

(21) Corte Cost., n. 310/2013. 
(22) Corte Cost., n. 113/2013, 223/2012. 



gioco che non pu� che restare riservato, in ultima istanza, alla prudente e sapiente 
decisione del Giudice a cui resta affidata la custodia dei principi su cui 
� fondata la Repubblica. 

3. I limiti stabiliti dalla Corte Europea dei diritti dell�uomo. 

3.1- Anche la Corte EDU, espressamente investita della questione, si � 
preoccupata di individuare i principi della Convenzione che vietano l�approvazione 
di disposizioni legislative che introducono una reformatio in peius di 
rapporti giuridici di durata. 

E, nel medesimo solco tracciato dalla Corte Costituzionale, anche la Corte 
di Strasburgo si � preoccupata di stabilire i limiti all�interno dei quali le norme 
del tipo in esame possono ritenersi rispettose dell�art. 6 della CEDU e dell�art.1 
del Protocollo addizionale. 

Dall�esegesi della prima clausola, che sancisce il diritto al giusto processo, 
la Corte EDU ha, in particolare, ricavato due corollari: il divieto di ingerenza 
per il legislatore nelle controversie pendenti in cui � parte lo Stato e 
il principio di parit� delle armi, che impediscono l�approvazione di disposizioni 
retroattive finalizzate a risolvere (in favore dello Stato ed in danno del 
privato) cause pendenti (23). 

La seconda disposizione citata, che sancisce la tutela della propriet� privata, 
� stata, invece, valorizzata dalla Corte di Strasburgo al fine di assicurare 
la protezione delle legittime aspettative (esp�rance l�gitime) dei cittadini nei 
confronti di disposizioni legislative ablative dei loro diritti, anche di credito 
(equiparati, a questi fini, a beni materiali), o finalizzate a ridurne il contenuto 
patrimoniale (24). 

3.2- Anche la Corte EDU non ha, peraltro, escluso la compatibilit� con gli 
artt. 6 della Convenzione e 1 del Protocollo addizionale (che, si ripete, afferma 
il principio della protezione della propriet�, ma che � stato interpretato come 
esteso anche alla tutela dei crediti e delle aspettative legittime) di disposizioni 
legislative retroattive che modifichino in peius rapporti di durata a tutela di un 
preminente interesse generale, ma ha chiarito che l�incisione dei diritti, per essere 
giudicata conforme ai suddetti parametri, dev�essere giustificata dall�indefettibile 
sussistenza, oltre ch� di un motivo imperativo di interesse generale 
(imp�rieux motifs d�int�ret g�n�ral), dal ragionevole vincolo di proporzionalit� 
tra il contenuto delle disposizioni �ablative� e lo scopo perseguito. 

In mancanza del rispetto della predetta condizione (e, cio�, della proporzionata 
adeguatezza del mezzo prescelto rispetto al fine generale), ogni disposizione 
idonea ad imporre ai cittadini un sacrificio irragionevole, squilibrato 

(23) Raffinerie greche Stran e Stratis Andreatis/Grecia, sentenza 9 dicembre 1994. 

(24) De Stefano/Italia, 3 giugno 2008, ricorso 28443/06; Beyeler/Italia, 5 gennaio 2000, ricorso 
33202/96; Ambruosi/Italia, 19 ottobre 2000, ricorso 31227/96. 


e sproporzionato confligge con le richiamate clausole della CEDU ed implica 
la condanna dello Stato che l�ha approvata (25). 

3.3- Come si vede, la giurisprudenza della Corte Costituzionale e di quella 
di Strasburgo obbediscono ai medesimi canoni valutativi ed affermano, in definitiva, 
gli stessi principi, cos� riassumibili: le leggi retroattive che indicono 
sfavorevolmente su situazioni soggettive attinenti a rapporti di durata sono 
ammesse solo se si fondano sull�esigenza di realizzare un preminente interesse 
generale e se il sacrifico imposto a diritti, o anche ad aspettative legittime e 
consolidate, non risulta sproporzionato, irragionevole o complessivamente 
squilibrato. 

4. La compatibilit� con la Costituzione e con la Convenzione Europea dei diritti 
dell�uomo della spending review italiana. 

4.1- Cos� tracciati i confini entro i quali il legislatore ordinario appare legittimato 
a estinguere o a ridurre il contenuto di diritti economici attinenti a 
rapporti di durata ovvero a conformarli secondo una diversa e pi� sfavorevole 
disciplina giuridica, senza violare i principi della Costituzione Repubblicana 
e della CEDU, resta da verificare in che termini le misure di contenimento della 
spesa pubblica attinenti alla spending review ed ipotizzate o gi� deliberate dal 
Governo in carica e da quelli precedenti risultano rispettose dei limiti sopra 
individuati. 

4.2- Giova, al riguardo, premettere che i canoni di costituzionalit� della 
tipologia delle disposizioni considerate sono stati (consapevolmente) enunciati 
dalla Corte con un lessico tale da non vincolare il legislatore ordinario 
secondo parametri cogenti e stringenti e, soprattutto, in modo da riservare 
a s� quella valutazione discrezionale di ragionevolezza e quell�apprezzamento 
sul bilanciamento dei diversi valori costituzionali, nei quali si risolve 
il proprio giudizio. 

Cos� chiarito che i confini tracciati dal Giudice delle leggi sono rimasti 
volutamente incerti e mobili, tenteremo di declinare i principi dallo stesso ripetutamente 
affermati nelle diverse opzioni di intervento proposte nel programma 
di revisione della spesa, al fine di scrutinarne la coerenza con gli 
insegnamenti ricordati. 

E ci�, si ripete, non al fine di costruire censure di incostituzionalit� all�indirizzo 
delle disposizioni gi� approvate o progettate, ma al diverso scopo 
di offrire un contributo scientifico alla confezione di interventi (che dovranno 
necessariamente essere declinati nella prossima manovra di finanza pubblica 
o, comunque, nella legge di stabilit� per il 2015) che riescano a coniugare le 
esigenze di contenimento della spesa pubblica con la tutela degli interessi e 

(25) Agrati ed altri/Italia, 7 giugno 2011, ricorsi nn.549/08, 107/09, 5087/09; Maggio e altri/Italia, 
sentenza 31 maggio 2011. 


dei valori costituzionali indicati dalla stessa Consulta come limiti invalicabili 
alla reformatio in peius di rapporti di durata e, quindi, in definitiva, a scongiurare 
l�ipotesi di approvazione di norme destinate ad essere dichiarate incostituzionali, 
con i conseguenti, noti effetti dannosi per le casse dello Stato. 

Come gi� avvertito nella premessa, ci asterremo dalla disamina delle singole 
disposizioni gi� efficaci o di quelle semplicemente progettate, ma limiteremo 
la nostra analisi alle tipologie astratte delle misure di riduzione della spesa 
che incidono su diritti patrimoniali attinenti a rapporti di durata, nella duplice 
consapevolezza del carattere inevitabilmente incompleto e non esaustivo del-
l�analisi e, nondimeno, della sua utilit� (nella misura in cui identifica i canoni 
di costituzionalit� che devono governare l�attivit� legislativa in discussione). 

Non trascureremo, ovviamente, il rilievo che ha assunto, sulla questione 
esaminata, la modifica costituzionale dell�art. 81, gli impegni finanziari europei 
assunti dall�Italia e, pi� in generale, la crisi del debito sovrano. 

4.3- Occorre ancora premettere, in via generale, che i rapporti di durata 
sono, di per s�, esposti alle modificazioni imposte dal mutamento delle condizioni 
che, nel loro momento genetico, avevano consentito di configurare un 
assetto di interessi economicamente equilibrato (tanto che, anche nei rapporti 
negoziali privati, � prevista dall�art. 1467 del codice civile la risoluzione del 
contratto per eccessiva onerosit� sopravvenuta). 

Anche nei rapporti di durata che incidono sulla spesa pubblica appare, 
quindi, configurabile una situazione per cui le mutate condizioni di bilancio 
rendano non pi� sostenibile, in un quadro di finanza pubblica profondamente 
mutato rispetto al momento genetico dei diritti attribuiti al cittadino, il mantenimento 
di questi ultimi ed impongano, quindi, una riduzione del loro contenuto 
patrimoniale. 

4.4- Si tratta, allora, di verificare in che termini e con quali modalit� la 
decurtazione (gi� deliberata o ancora da approvare) di stipendi (ma non ci occuperemo, 
per evidenti ragioni, di quelli dei magistrati), di compensi per incarichi 
a tempo determinato, di pensioni o di corrispettivi di contratti in cui � 
parte una pubblica amministrazione soddisfi o meno i canoni di legittimit� 
(lato sensu intesa) postulati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte EDU (ut 
supra ricordati). 

4.5- Con una prima, generale avvertenza occorre rilevare che le disposizioni 
destinate a produrre effetti pregiudizievoli su diritti soggettivi perfetti 
attinenti a rapporti di durata possono ritenersi conformi ai principi sopra dettagliati 
solo se la reformatio in peius risulta compensata da comparabili benefici 
per il sistema di riferimento o, comunque, riequilibrata da vantaggi interni 
al comparto inciso dalle stesse (26). 

In altri termini, � necessario che il legislatore abbia concepito e costruito 

(26) Corte Cost. n. 92/2013. 


la disposizione in modo che il sacrificio imposto ai destinatari della stessa 
venga bilanciato da utilit� che appaiono idonee a giustificare la misura sfavorevole 
e che, al contrario, quest�ultima non si riveli esclusivamente sorretta 
da esigenze di risparmio, che, diversamente opinando, risulterebbero, di per 
s�, capaci di legittimare qualsiasi norma ablativa di diritti soggettivi perfetti. 

La delibazione della costituzionalit� del tipo di disposizioni in esame si 
fonda, quindi, su un giudizio complessivo di ragionevolezza e di proporzionalit� 
delle stesse che, a sua volta, postula l�apprezzamento del bilanciamento 
degli effetti pregiudizievoli prodotti con la consistenza ed il rilievo costituzionale 
dei valori che beneficiano dei corrispondenti e speculari vantaggi. 

4.6- Passando alla disamina delle misure astrattamente concepite o concepibili, 
occorre, innanzitutto, distinguere, su un piano concettuale, due diverse 
tipologie di situazioni soggettive esposte al rischio di essere incise da nome 
di risparmio: quelle attinenti a rapporti di durata a tempo indeterminato che 
trovano la loro fonte in disposizioni legislative o in contratti collettivi e quelle 
attinenti a rapporti a tempo determinato che trovano la loro fonte in contratti, 
convenzioni, accordi o provvedimenti amministrativi che, comunque, implicano 
l�adesione volontaria della persona fisica o giuridica interessata. 

Tale distinzione non serve solo a una sistemazione dogmatica delle fattispecie 
scrutinate ma vale, soprattutto, a discernere due tipologie di situazioni 
che esigono l�applicazione di diverse regole di compatibilit� costituzionale. 

4.7- Principiando dalla disamina delle disposizioni che incidono su posizioni 
soggettive che attengono a rapporti di durata a tempo indeterminato (che 
si risolvono, in sostanza, nel �taglio� delle pensioni o degli stipendi dei dipendenti 
pubblici), occorre, innanzitutto, avvertire che la Consulta ha gi� esaminato 
la loro compatibilit� costituzionale, negandola ma individuando implicitamente, 
e contestualmente al rilievo dei vizi di incostituzionalit�, i canoni di legittimit� 
(insussistenti nella fattispecie giudicata) di tale tipo di norme. 

In particolare, la Corte ha riconosciuto il vizio di disparit� di trattamento 
a carico di disposizioni che, prevedendo un contributo (peraltro non concertato) 
a carico di dipendenti pubblici (senza che rilevi, a questo fine, la distinzione 
tra personale �contrattualizzato� e personale in regime di diritto pubblico) che 
superano una certa soglia di reddito, devono essere qualificate come norme 
dispositive di una prestazione patrimoniale imposta e, quindi, di un prelievo 
fiscale, incostituzionalmente applicato ad una sola categoria di contribuenti 

(27) (in violazione degli artt. 3 e 53 Cost.). 

In esito a tale qualificazione del contributo (desunta dal riscontro, nella fattispecie 
esaminata, dei tre elementi indefettibili dell�obbligazione tributaria indicati 
al punto 12.3 della sentenza n. 223/2012), la Corte ha, quindi, escluso la 
compatibilit� costituzionale di norme costruite con l�escamotage della riduzione 

(27) Corte Cost. nn. 223/2012, 116/2013. 


del trattamento economico dei dipendenti pubblici, ma sostanzialmente impositive 
di un prelievo fiscale a carico solo di questi ultimi, siccome violative del 
principio di eguaglianza, che esige il pari trattamento, a parit� di reddito, tra diverse 
categorie di contribuenti (nella specie: lavoratori pubblici e privati) (28). 

Ne consegue che, se si vogliono validamente introdurre nell�ordinamento 
disposizioni finalizzate a ridurre gli stipendi dei dipendenti pubblici o le pensioni, 
occorre immaginare un meccanismo diverso da quello gi� giudicato incostituzionale 
(e, quindi, non pi� riproponibile in quei termini) e l�unico finora 
concepito � quello che opera con l�introduzione di un limite massimo alle retribuzioni 
percepibili a carico delle finanze pubbliche (da declinarsi come unica 
soglia o come pi� soglie a seconda della tipologia di incarico o di qualifica) e 
che implichi, quindi, la decurtazione della parte di stipendio che superi il �tetto�. 

Si tratta, allora, di verificare se tale modalit� di incisione degli stipendi o 
delle pensioni possa o meno reputarsi conforme ai principi affermati in materia 
dalla Consulta. 

Ora, si pu� anche prescindere dal (peraltro plausibile) rilievo che gli indici 
dai quali � stata desunta la natura tributaria del �contributo� imposto dalle disposizioni 
giudicate incostituzionali con le sentenze nn. 223/2012 e 116/2013 
potrebbero ravvisarsi anche in disposizioni costruite con il meccanismo dei 
�tetti� stipendiali (potendosi, di contro, obiettare che l�introduzione di soglie 
massime a carico di stipendi ed emolumenti che gravano sulla finanza pubblica 
obbedisce, con modalit� ragionevoli, non discriminatorie e non arbitrarie, ad 
imperative esigenze di riduzione generale ed uniforme della spesa pubblica), 
ma non si possono ignorare gli altri �paletti� imposti dalla Corte. 

Sovvengono, al riguardo, due vincoli, tra quelli ripetutamente affermati 
dalla Consulta: il carattere temporaneo del sacrificio imposto e la preordinazione 
del risparmio alla soddisfazione di straordinarie esigenze di finanza pubblica. 

Dalla giurisprudenza sopra passata in rassegna si evince, infatti, che il 
superamento di tali due limiti (o anche di uno solo di essi) potrebbe comportare, 
con ragionevole probabilit�, la declaratoria di incostituzionalit� delle relative 
disposizioni. 

Quanto al primo, � sufficiente ricordare le numerose pronunce nelle quali 
la Corte, investita della questione della compatibilit� costituzionale di disposizioni 
che indicono sfavorevolmente su diritti perfetti relativi a rapporti di 
durata (e, cio�, di fattispecie analoghe, se non identiche, a quella qui conside


(28) O. BONARDI, La corta vita dei contributi di solidariet�, in Argomenti di diritto del lavoro, n. 
6/2012; S.M. CICCONETTI, Dipendenti pubblici e principio di uguaglianza: i possibili effetti a catena 
derivanti dalla sentenza n. 223 del 2012 della Corte Costituzionale, in www.giurcost.org; D. PICCIONE, 
Una manovra governativa di contenimento della spesa �tra il pozzo e il pendolo�: la violazione delle 
guarentigie economiche dei magistrati e l�illegittimit� di prestazioni patrimoniali imposte ai soli dipendenti 
pubblici, in Giur. Cost., 2012, 3353; F. CALZAVARA, La sentenza della Corte Costituzionale n. 223 
del 2012 e la sua implicita potenzialit� espressiva, in Federalismi. 


rata), ha indicato il carattere transeunte delle norme (e, cio�, la loro efficacia 
temporale limitata) quale indefettibile presupposto della costituzionalit� delle 
stesse (29) (Corte Cost., n. 299/1999 ha riconosciuto la compatibilit� costituzionale 
delle disposizioni scrutinate solo �in quanto il sacrificio imposto ai 
pubblici dipendenti� � stato limitato a un anno�). 

Non solo, ma la durata limitata nel tempo dev�essere strettamente preordinata 
a coprire un arco temporale pari a quello al quale sono riferite le esigenze 
di bilancio che hanno determinato (e giustificato) l�intervento. 

Ne consegue che, al contrario, disposizioni che modifichino in peius e a 
regime - e non con efficacia temporanea e strumentale al soddisfacimento delle 
straordinarie esigenze finanziarie addotte quale causa giustificatrice dell�intervento 
- diritti patrimoniali attinenti a rapporti di durata incorrerebbero, verosimilmente, 
in un giudizio di incostituzionalit�. 

Quanto, invece, al secondo dei limiti sopra indicati, basti rilevare che, 
anche qui, la Corte ha chiarito che solo esigenze eccezionali di bilancio integrano 
gli estremi di una causa che giustifichi ed autorizzi l�incisione, con efficacia 
retroattiva, di diritti perfetti attinenti a rapporti di durata (30). 

Nell�ipotesi in cui, viceversa, i risparmi ottenuti dalla decurtazione degli stipendi 
e delle pensioni venissero destinati, anzich� al bilancio dello Stato, a coprire 
norme di spesa o a compensare minori entrate conseguenti a provvedimenti che 
arrecano benefici (in misura irragionevole) ad altre categorie di cittadini potrebbe 
lecitamente dubitarsi della conformit� costituzionale delle relative norme. 

In effetti, nelle fattispecie finora scrutinate dalla Corte solo esigenze extra 
ordinem di finanza pubblica sono state ritenute idonee a legittimare interventi 
del tipo qui considerato, sicch� esigenze finanziarie diverse (soprattutto se riferite 
a provvedimenti che avvantaggiano categorie di cittadini diverse da 
quelle pregiudicate) dovrebbero giudicarsi del tutto inidonee ad assicurare la 
compatibilit� costituzionale delle disposizioni in questione. 

I valori della certezza del diritto e del legittimo affidamento, a ben vedere, 
possono ritenersi ragionevolmente e proporzionalmente sacrificati (secondo 
il ricordato insegnamento della Consulta) solo se i relativi interventi risultano 
finalizzati a soddisfare imperiose ed indifferibili esigenze di bilancio, ma non 
certo se si rivelano preordinati a coprire altre norme di spesa. 

Ne consegue che, ad avviso di chi scrive (ma con il conforto della giurisprudenza 
della Corte Costituzionale), norme che, operando con la logica dei 
�tetti�, producono effetti di decurtazione di stipendi o di pensioni in godimento 
possono ritenersi immuni da vizi di incostituzionalit� solo se rivestono un�efficacia 
temporale limitata e se risultano strettamente funzionali alla soddisfazione 
di eccezionali esigenze di finanza pubblica. 

(29) Corte Cost., n. 299/1999 n. 99/1995. 
(30) Corte Cost., n. 299/1999. 



4.8- La questione della costituzionalit� di disposizioni che incidono su 
situazioni soggettive ricollegabili a rapporti a tempo determinato (siano essi 
contratti con imprese o incarichi di lavoro a persone fisiche) dev�essere invece 
scrutinata alla stregua di coordinate peculiari e differenti. 

Soccorre, al riguardo, la giurisprudenza che si � formata nella disamina 
di disposizioni che hanno inciso diritti di credito relativi a rapporti convenzionali 
o a incarichi di lavoro o, pi� in generale, a rapporti a tempo determinato 
tra persone fisiche o giuridiche e pubbliche amministrazioni e che si fondano 
su un accordo tra le parti in ordine alle condizioni giuridiche ed economiche 
(tale dovendosi intendere anche l�accettazione di un incarico formalizzato con 
un provvedimento amministrativo e non con un contratto). 

In tali giudizi la Corte ha avuto modo di chiarire che la tutela del legittimo 
affidamento sulla certezza giuridica e sulla stabilit� (pi� volte indicata quale 
principio cardine dello Stato di diritto (31)) di situazioni soggettive generate 
da accordi e relative a rapporti a tempo determinato esige che il sacrificio economico 
autoritativamente imposto ai titolari dei relativi diritti di credito non 
leda posizioni consapevolmente acquisite dal privato e ormai consolidate (32) 
e non pregiudichi aspettative cristallizzate dall�uniforme trattamento per un 
lungo periodo delle situazioni potenzialmente incise (33). 

Da tali rilievi pu�, in definitiva, evincersi il principio della incompatibilit� 
costituzionale di disposizioni che comportino una novazione legale ed autoritativa 
del rapporto, fondata esclusivamente su esigenze di finanza pubblica e 
senza alcuna partecipazione del privato alla modifica (ovviamente in senso 
sfavorevole) delle relative condizioni. 

Diversamente opinando, invero, si perverrebbe all�inaccettabile conseguenza 
di permettere al legislatore di modificare autoritativamente ed unilateralmente 
�la specifica disciplina in ossequio alla quale le parti (entrambe le 
parti) hanno raggiunto l�accordo e assunto le relative obbligazioni�, ledendo 
cos� �quello specifico affidamento in un fascio di situazioni (giuridiche ed 
economiche) iscritte in un rapporto convenzionale regolato iure privatorum 
tra pubblica amministrazione� e imprese private (34). 

Con l�affermazione dei predetti principi la Corte ha, quindi, inteso accordare 
una tutela pi� pregnante ai diritti afferenti a rapporti pattizi (35), nei quali, 

(31) Corte Cost., n. 390/1995. 

(32) Corte Cost., n. 399/2008 ha ritenuto incostituzionale una disposizione che, avendo introdotto 
una disciplina pi� stringente delle collaborazioni coordinate e continuative, ha previsto la cessazione anticipata, 
rispetto alla scadenza naturale, dei contratti gi� instaurati al momento della sua entrata in vigore. 
(33) Corte Cost., n. 160/2013, che valorizza le esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato 
dal pacifico trattamento giuridico ed economico riservato agli interessati per un lungo periodo ai 
fini della declaratoria di incostituzionalit� di una disposizione sopravvenuta che lo modifica in peggio. 
(34) Corte Cost., n. 92/2013, che ha dichiarato l�incostituzionalit� di disposizioni che hanno modificato 
in senso sfavorevole la disciplina dei compensi dovuti, su base convenzionale, ai custodi di veicoli 
sequestrati. 



quindi, il privato si � liberamente determinato ad assumere obbligazioni nei 
confronti di pubbliche amministrazioni in esito ad una valutazione circa la 
convenienza (per lui) dell�assetto economico degli interessi regolati nella convenzione 
formalizzata e che non pu� poi essere (per i rapporti in essere) stravolto 
(ovviamente in senso peggiorativo) da sopravvenute disposizioni 
legislative che non prevedano (pena la loro incostituzionalit�, anche per violazione 
della libert� di iniziativa economica consacrata all�art. 41) meccanismi 
di riequilibrio e compensazioni (che non possono certo essere individuati in 
mere esigenze di risparmio per l�erario). 

Il rispetto dei �paletti� sopra ricordati postula due soluzioni: l�applicazione 
degli effetti dannosi (per il privato) ai soli rapporti o contratti perfezionati 
successivamente all�entrata in vigore delle disposizioni in questione (36) 
(e, quindi, in sostanza l�esplicita esclusione dell�efficacia delle decurtazioni 
in danno di quelli in essere) ovvero la previsione dell�operativit� anche a quelli 
vigenti, ma previa ridefinizione convenzionale del loro contenuto patrimoniale 
(con meccanismi di rinegoziazione obbligatoria, anche assistita da ragionevoli 
e proporzionate sanzioni, ma senza la modifica automatica ed unilaterale del 
rapporto). 

Al di fuori dei confini appena tracciati, ogni riduzione legale di diritti afferenti 
ad accordi o convenzioni a tempo determinato risulta esposta al rischio 
(rectius: all�elevata probabilit�, se non alla certezza) di essere eliminata dal-
l�ordinamento e di perdere, quindi, efficacia in esito ad un sicuro giudizio di 
incostituzionalit�. 

Una disposizione che operi direttamente la modifica, in senso riduttivo, 
di diritti soggettivi perfetti liberamente negoziati ed acquisiti dal privato in un 
rapporto a tempo determinato con una pubblica amministrazione si risolverebbe, 
a ben vedere, in un�ablazione della parte del credito estinta per legge, 
che la Corte ha gi� ritenuto inaccettabile, in difetto di meccanismi compensativi 
ed in presenza di un�alterazione secca, legale e non concordata dell�equilibrio 
economico cristallizzato nell�accordo concluso tra la parte pubblica e 
quella privata. 

4.9- Quand�anche, tuttavia, le disposizioni modificative in malam partem 
dei trattamenti retributivi dei dipendenti pubblici (afferenti a rapporti di lavoro 

(35) Corte Cost., n. 24/2009, che, giudicando una disposizione che aveva modificato, in senso 
peggiorativo per il privato, la disciplina relativa all�efficacia degli accordi sull�indennit� di espropriazione, 
ne ha rilevato l�incostituzionalit� in quanto �essa interviene su situazioni in cui si � consolidato 
l�affidamento del privato riguardo alla regolamentazione giuridica del rapporto, dettando una disciplina 
con essa contrastante e sbilanciandone l�equilibrio a favore di una parte (quella pubblica) e a svantaggio 
dell�altra (il proprietario)�. 
(36) Corte Cost. n. 399/2008, che ha dichiarato incostituzionale una disposizione proprio perch� 
applicabile anche ai contratti in corso, modificandoli in senso sfavorevole per il privato (quanto alla 
loro efficacia). 



sia a tempo indeterminato, che a tempo determinato) fossero confezionate nel 
rispetto dei limiti sopra indicati, le stesse potrebbero essere reputate, comunque, 
configgenti con l�art. 36 della Costituzione. 

Senza sviluppare un�analisi compiuta dei profili di compatibilit� con il 
predetto parametro delle norme in questione (che esula dai confini della presente 
indagine), ci limitiamo a rilevare che, a fronte del riconoscimento costituzionale 
del diritto del lavoratore �ad una retribuzione proporzionata alla 
quantit� ed alla qualit� del suo lavoro�, ogni modificazione legale del trattamento 
retributivo postula (per la sua compatibilit� costituzionale) la verifica 
della conservazione di quel proporzionato equilibrio tra prestazione e stipendio 
imposto dal menzionato precetto costituzionale. 

A prescindere, infatti, dalla genesi contrattuale o legale della determinazione 
del trattamento retributivo modificato in peius dallo ius superveniens, il 
rispetto del canone costituzionale in questione esige che non venga alterato 
(in danno del lavoratore) quel vincolo di proporzionalit� tra il contenuto degli 
obblighi del lavoratore e quello del suo stipendio, che (si suppone) era stato 
(prima) considerato e (poi) cristallizzato nella quantificazione originaria di 
quest�ultimo. 

Ora, una riduzione significativa dello stipendio (e, quindi, del diritto del 
lavoratore), a fronte del mantenimento della stessa quantit� e qualit� della prestazione 
dovuta (e, quindi, degli obblighi del lavoratore), potrebbe risolversi 
in una rottura del sinallagma e, quindi, in una lesione del principio della proporzionalit� 
della retribuzione. 

Ovviamente il vizio di incostituzionalit� potr� essere riscontrato solo in 
fattispecie nelle quali la misura della decurtazione si riveli idonea ad inficiare 
(squilibrandolo) il vincolo di corrispettivit� tra lavoro e retribuzione, ma la 
delicatezza del relativo apprezzamento, che non pu� che restare riservata, in 
ultima istanza, alla Corte Costituzionale, ci esime dal formulare qualsivoglia 
ipotesi o conclusione al riguardo. 

Basti, in questa sede, aver posto il problema e imposto una riflessione ai 
decisori pubblici circa l�esigenza di evitare che le misure di spending review 
comportino (pena la loro incostituzionalit�) uno stravolgimento degli equilibri 
economici dei rapporti di lavoro sui quali sono destinate ad incidere. 

4.10- Cos� chiariti gli ambiti entro i quali le disposizioni di risparmio afferenti 
a rapporti di durata possono reputarsi costituzionalmente compatibili, 
resta da verificare in che termini la recente modifica dell�art. 81 della Costituzione 
possa incidere sulle conclusioni ut supra raggiunte. 

Senza avventurarci sull�impervio sentiero (che esula dai confini della presente 
indagine) della disamina della valenza e dell�influenza della predetta 
modifica costituzionale sulla politica economica del Governo, ci pare di poter 
affermare che le esigenze connesse al pareggio di bilancio possono rafforzare 
il rilievo e la forza assegnati alle necessit� finanziarie dello Stato (quale ra



gione giustificatrice di leggi che incidono su rapporti di durata), ma non valgono 
in alcun modo a diminuire o a ridimensionare la tutela che la Consulta 
ha riconosciuto agli altri valori costituzionali individuati come limiti all�attivit� 
legislativa in esame. 

5. Considerazioni finali. 

La crisi del debito sovrano e le connesse esigenze di contenimento della 
spesa pubblica stanno comportando un radicale mutamento della concezione 
dei rapporti economici tra lo Stato e i cittadini. 

Il mantenimento dell�assetto (dello Stato sociale) che si era consolidato 
fino a circa un decennio fa non risulta pi� sostenibile e la conservazione tout 
court dei diritti patrimoniali dei cittadini (nei confronti dello Stato) risulta 
ormai antistorica e non pi� difendibile. 

Si tratta, allora, di prendere atto della profonda crisi che sta soffrendo il 
quadro macroeconomico, di farsi carico della conseguente necessit� di revisione 
della spesa pubblica e, soprattutto, di governare questa transizione verso 
uno Stato (finanziariamente) pi� leggero in modo da evitare traumi sociali, 
tensioni politiche e defatiganti contenziosi (tra Stato e cittadini). 

Sennonch�, per governare questo processo evolutivo (che scardina decenni 
di gestione miope e, a volte, dissennata della spesa pubblica), appare indispensabile 
che i decisori politici (innanzitutto il Governo, ma, poi, anche il 
Parlamento) riescano a identificare modalit� di risparmio ragionevoli, proporzionate, 
socialmente sostenibili, non eccessivamente onerose e, in definitiva, 
rispettose degli insegnamenti impartiti al riguardo dalla Corte Costituzionale. 

In difetto di tale sapiente ed equilibrata gestione delle indifferibili e cogenti 
esigenze di revisione della spesa pubblica, ogni deliberazione normativa 
sproporzionatamente lesiva delle aspettative legittime dei suoi destinatari produrrebbe 
allarmi e reazioni sociali, oltre a comportare l�inevitabile effetto della 
sua declaratoria di incostituzionalit�. 

Il prezzo che verrebbe pagato, in quest�ultima sciagurata ipotesi, sarebbe 
davvero troppo alto per l�intero sistema, perch� non si limiterebbe alle onerose 
obbligazioni restitutorie e risarcitorie a carico dello Stato (conseguenti alla 
eliminazione delle norme dispositive, in violazione della Costituzione, dei risparmi 
di spesa), ma finirebbe per risolversi nella perdita di fiducia, di tranquillit� 
e di sicurezza dei cittadini (da valersi quali valori ripetutamente indicati 
dalla Corte Costituzionale quali beni da proteggere dagli effetti, per certi versi 
destabilizzanti, delle leggi irragionevolmente retroattive). 

Ma ci sentiamo di escludere che il Governo voglia sfidare la sorte ed infrangere 
le preziose ed ineludibili istruzioni del Giudice delle leggi e siamo, 
al contrario, sicuri che si preoccuper� di confezionare proposte legislative rispettose 
di quei principi e capaci di coniugare le stringenti esigenze di risparmio 
con la necessit� di non conculcare arbitrariamente i diritti dei cittadini. 


GIUSEPPE PALMA 

Una sana �curiositas� giuridica (auspicabile non �vana�) sul nuovosistema retributivo degli appartenenti all�Avvocatura di Stato (*) 

1. L�interesse ad esaminare la questione, che non poteva non allarmare gli 
attuali Avvocati dello Stato, nasce a dir cos� in modo spontaneo in seguito alla 
costatazione che � sempre pi� diffuso il metodo adottato di procedere alle riforme 
dell�ordinamento preesistente con scarsissimo apporto dei cultori professionali 
della vita giuridica, quasi completamente sostituiti dai professionisti 
della politica, contrariamente al passato in cui i primi (e le Universit�) venivano 
frequentemente consultati, e ci� non � follia pensare che costituisca l�ultimo 
retaggio del pensiero pratico, diffusosi diversi decenni orsono, allorch� si contrapponeva 
al vigore delle norme giuridiche la cd. mera �volont� politica�. 

Certo nel periodo presente il modus procedendi trova il sopraggiunto motivo 
efficiente nell�allarme suscitato dalla situazione finanziaria, la quale consiglia 
di liberarsi dai �lacciuli� tecnico-giuridici ed in parte ci� � ragionevole, 
ma non si pu� (e non si deve) obliterare che molto spesso le fessure causate 
alla �cristalleria� (per cos� dire) istituzionale, per ci� stesso di intuibile fragilit�, 
diverranno, superata la ritenuta momentanea esigenza, di difficilissima riparazione, 
specialmente ad opera del feroce conflitto tra le inimmaginabili opinioni 
politiche, tutte in buona fede prospettate come frutto di originale razionalit�. 

Senonch� in proposito occorre un forte patrimonio etico-politico per assumere 
il modus procedendi dell�adelante Pedro, con judicio di comune conoscenza 
letteraria. In questa sede ci si intende riferire alla disposizione 
contenuta nell�art. 9 del D.L. n. 90 del 2014, primo comma, secondo cui il recupero 
delle spese legali, nell�ipotesi di sentenze favorevoli, vengono ripartite 
tra gli avvocati dello Stato nella ridotta misura del solo dieci per cento, laddove 
finora era sancita la ripartizione della somma totale. E ci� deve supporsi per 
quanto appena premesso per ragioni di economia di scala, infatti si ricorda che 
anche gli emolumenti di altre categorie di dipendenti burocrati dell�apparato 
della p.A. risultano contestualmente ridotte. 

Benvero in questa sede non si nutre l�intento di introdurre una rivendicazione 
sindacale di categoria, non soltanto perch� a tanto non si � legittimati, 
ma anche perch� la questione non appare riproponibile in termini s� fatti, si 
intende piuttosto immergerla nell�ambito delle coordinate tecnico-giuridiche 
in virt� proprio del richiamo metodologico premesso. A tal proposito va introdotta 
una prima precisazione. L�art. 36 della Cost., ed � appena il caso di 
ricordare la rigidit� della nostra Costituzione, avverte e prescrive come ogni 
prestatore delle proprie capacit� lavorative abbia il diritto ad una retribuzione 
�proporzionata alla qualit� e quantit�� della sua prestazione, e non rileva in 

(*) N.B. Articolo redatto prima della legge di conversione 11 agosto 2014 n. 114 del D.L. 90/2014. 


questa sede l�ulteriore prescrizione che la retribuzione sia sufficiente ad assicurare 
a s� ed alla famiglia un�esistenza libera e dignitosa. 

Consegue da una tale prescrizione che non spetta certamente (o se si vuole 
soltanto) alle forze sindacali imporre il grado di �qualit� e quantit�� del lavoro 
delle singole categorie, per cui la relativa forza sindacale, capace di farsi ascoltare, 
determina il regime giuridico retributivo che l�apparato pubblico � indotto 
a riconoscere e ad adottare (differente conclusione andrebbe condivisa in ordine 
alla restante parte prescrizionale del citato articolo), bens� il grado della 
qualit� del lavoro, in altri termini la sua importanza (funzionale) ai fini della 
corretta vita istituzionale in un dato momento storico-politico deve, in coerenza 
con la norma, essere il prodotto dell�organica valutazione politica, del 
soggetto responsabile della corretta vita istituzionale (si sottintende Stato). Ed 
il ricordato test� rapporto retribuzione-qualit� della prestazione (= importanza 
del funzionamento del relativo ruolo nella scala, a dir cos�, gerarchica della 
societ�) risulta imposta inderogabilmente ai supremi organi democratici preposti 
alla conduzione della suddetta vita sociale e deve ritenersi anche nel-
l�epoca di �angosce� economico-finanziarie, le quali richiedono ovviamente 
l�adozione di opportune misure per ovviare a queste ultime ma sempre e costantemente 
con la salvaguardia del necessario (perch� costituzionalizzato) 
rapporto differenziale intercorrente tra le varie categorie di dipendenti; in proposito 
non pu� legittimamente provocarsi una interruzione dell�efficacia del 
regime costituzionale anche a fronte di gravi crisi economiche, peraltro sempre 
pi� frequenti e periodiche nell�ambito di una economia che si avvia a trotto 
verso una finanza globalizzata. 

2. Giunti a questo punto si intuisce che il discorso deve procedere sul piano 
del valore socio-istituzionale del ruolo dell�avvocato di Stato, anzi degli appartenenti 
all�Organo Avvocatura di Stato e se ne comprenderanno in seguito i motivi. 

Anche in questa prospettiva va introdotta un�essenziale premessa. Non 
pare importante e concludente risalire alle antiche origini della istituzione 
nell�originario clima dell�ordinamento giuridico dell�unificazione, non tanto 
perch� un tale itinerario � gi� stato da me percorso in altra sede, ma soprattutto 
perch�, al fine di valutare il �valore� (cos� ci si esprime pi� sopra) e/o l�importanza 
della funzione istituzionale della Avvocatura e quindi dei suoi singoli 
componenti, � necessario interrogare l�attuale grado dell�evoluzione da esso 
subita anche per effetto (e perch� no) del nuovo regime (introdotto) costituzionale, 
a parte per le recenti dinamiche istituzionali (e sociali). 

Nell�appena citata sede, cui si rinvia, si metteva in luce la ininterrotta linea 
evolutiva che la istituzione qui esaminata aveva percorso specialmente nel 
nuovo clima, non pi� inquinato dai residui del regime accentratore, nel quale � 
avvenuta la fioritura di una giustizia non pi� esclusivamente condizionata alle 
esigenze di difesa degli interessi dell�apparato amministrativo, di cui l�avvocato 


di Stato assumeva il ruolo di braccio difensivo ad oltranza, ma in questo ambito 
ha finito per assumere un proprio ruolo, a dir cos� a tutto tondo, di garante della 
legalit� tout court, distaccandosi dall�ambiente gerachizzato della burocrazia e 
ponendosi come insostituibile rapporto dialettico tra i cittadini-attori e organi 
amministrativi titolari del potere esercitato (1); sotto questo particolare riflesso 
come si fa a non notare che l�Avvocatura (ed il singolo componente), assumendo 
il ruolo di garanzia della legalit� (che ricomprende il valore della giustizia), 
ha conquistato a pieno diritto il ruolo di ausiliario del potere 
giurisdizionale (e ci� non soltanto in virt� dell�attivit� contenziosa, ma soprattutto 
dell�attivit� consultiva, come si sottolineava a suo tempo). 

Infatti ha assunto - si faceva rilevare - la connotazione istituzionale di organo 
ausiliario, poggiante sulla incontrovertibile costituzione materiale, il 
quale come tale (cos� come gli altri organi ausiliari che ebbero la fortuna di 
ottenere il riconoscimento) (art. 100 Cost.), per un motivo o per un altro, si 
avviano da tempo ad introdursi appunto come organo dello Stato comunit�, 
distanziandosi della originaria configurazione di articolazione della complessa 
realt� governativa. 

Invero in questo periodo, nel quale si � costretti a vivere, si pu� notare 
come i notevoli dubbi sollevati, lungi dall�essere superati, restino come intensa 
nebbia che offusca ogni possibile razionale condivisibile deduzione. Pertanto, 
se intorno all�ultima impostazione vi fossero ancora perplessit�, � sufficiente 
consultare i lavori preparatori della Costituente e specificamente la seduta pomeridiana 
del 10 gennaio 1947 (2^ Sottocommissione) nella quale Ambrosino 
portava a conoscenza che, in seguito ad una memoria ricevuta, condivideva 
l�opportunit� di inserire nella Costituzione un preciso riconoscimento dell�Avvocatura 
di Stato, organo ausiliare della giustizia, al fine di sancire il principio 
secondo cui veniva estesa a questa le �medesime garanzie che spettavano ai 
Magistrati�. Sul punto intervennero anche Bossi e Targetti i quali non si dimostrarono 
contrari al principio che volevasi consacrare, ma non ritennero che il 
principio �poteva trovar posto� in sede di disciplina del potere giudiziario ed il 
problema fu rinviato all�Assemblea costituente nella quale (seduta del 27 novembre 
1947) fu messo ai voti l�articolo 105 cos� formulato �l�avvocatura dello 
Stato provvede alla consulenza legale ed alla difesa in giudizio dello Stato e 
degli altri enti indicati dalla legge �e soprattutto� agli avvocati e procuratori 
dello Stato competono garanzie adeguate per l�esercizio delle loro funzioni�. 
Pur tuttavia, ancorch� favorevolmente si esprimesse Domenid�, asserendo tra 
l�altro che all�Avvocatura sarebbe spettata sempre maggiore attivit� �al fine di 
assicurare l�osservanza del diritto da parte dell�amministrazione� e che perci� 
avrebbe posto �nella massima evidenza la collaborazione alla funzione della 

(1) Cfr. Prospettive sul ruolo dell�avvocatura pubblica nell�articolazione costituzionale della Repubblica, 
in Amministrativamente, www.amministrativamente.com. 


giustizia�, la maggioranza vot� alla fine contro, sostenendo che l�Avvocatura 
risultava gi� compiutamente disciplinata dalla vigente legge. 

Ma la filosofia politico-istituzionale, da cui muoveva il principio, non pu� 
dirsi entrata in un buco nero, altrettanto politico, maggiormente se si � costretti 
a riconoscere che le successive coordinate istituzionali, evolvendosi secondo 
lo spirito della Costituzione, si sono incaricate a conformare in tal modo l�istituzione 
Avvocatura, soprattutto sul piano del pratico esercizio delle sue funzioni. 
In conseguenza gli avvocati dello Stato, ancorch� non si ponga l�accento 
sulle difficolt� della selezione concorsuale, le quali indubbiamente sono garanti 
della notevole preparazione professionale costantemente riconosciutagli, risultano 
componenti di un organo ausiliario pertanto non � pi� lecito equipararli 
ai dipendenti burocratici quantunque in posizione di alta dirigenza (2). 

In conclusione, riconosciuto un tale valore, una tale importanza ad essa 
va rapportato il criterio di commisurazione del regime retributivo, il quale, 
anche alla luce delle preoccupazioni economico-finanziarie generali, non pu� 
giustificatamente muoversi all�unisono del criterio riformativo delle retribuzioni 
degli altri dipendenti pubblici, perch� ormai non pi� omologabili. 

Di seguito si proceder� ad alcune ulteriori argomentazioni allo scopo di 
sottolineare le possibili ripercussioni negative proprie sul piano della funzione 
giustiziale. Va rilevato a tal proposito come, oltre alle negative condizioni finanziarie, 
sul tavolo verde della discussione politica, ivi inclusa quella del-
l�opinione pubblica, rimane da tempo irrisolta la problematica del 
funzionamento della giustizia (civile, penale ed amministrativa) per cui sarebbe 
pi� giustificabile che si richiedesse ai singoli differenti operatori (giudici 
ed avvocati) un maggiore impegno operativo e non la previsione di nuove disposizioni 
causa, se mai, di un loro progressivo disinteresse, di un attenuato 
impegno, che finirebbe a sua volta per procrastinare il �rinnovamento� della 
azione giurisdizionale. 

Basta muoversi nella prospettiva che il regime retributivo, che ora si intende 
modificare in chiave riduttiva, � stato a suo tempo adottato in modo intelligente 
e quindi proficuo - � da riconoscersi - poich� l�integrazione 
stipendiale, il cui importo non era commisurato a quote prestabilite, bens� rapportabile 
dinamicamente al numero di cause risoltesi in modo favorevole all�apparato 
pubblico, assumevano anche la funzione di incentivazione 
dell�attivit� svolta, pertanto veniva assicurata la certezza che il singolo avvocato 
rivolgesse la massima attenzione (di scienza e coscienza) al caso contenzioso 
trattato in aula, nondimeno nell�esprimere un parere la cui ponderazione 
attenta e profonda finiva per atteggiarsi come presupposto tecnico-giuridico 
dell�eventuale risultato favorevole della causa ove proposta dal destinatario 
dell�atto amministrativo conformemente adottato. 

(2) Cfr. ibidem. 


Orbene, se il metodo di incentivazione previsto perde la sua spinta all�efficienza, 
anche la efficienza e l�efficacia dell�azione amministrativa viene 
con s� trascinata verso bassi livelli di profitto sociale nel presente periodo 
dell�annebbiata civilt� giuridica e per la quale da tempo, anche da parte dei 
cultori professionali della scienza amministrativistica, si opera per ristabilire 
una siffatta efficienza, altrettanto imposta dalla Costituzione (il ben noto art. 
97). Resterebbe da domandare se, assicurare l�efficienza amministrativa non 
possa costituire anch�essa un mezzo, tra quelli validi, a rendere la p.A. impermeabile 
a ipotesi di collusione, al posto di incrementare la pletora di nuove 
autorit� apposite (3). 

Al contrario la diminuita attenzione a seguito della ridotta incentivazione, 
nonch� il minore interesse che spinge (e non potrebbe diversamente) ad aggiornarsi 
in termini tecnico-scientifici, che concorre inovviabilmente al conseguimento 
di risultati favorevoli alla p.A., pu� spingere il singolo avvocato, 
in sede contenziosa, di limitarsi a tradurre in giudizio le motivazioni esplicative 
esposte dallo stesso funzionario che ha adottato il provvedimento impugnato, 
ovvero a sollecitarlo ad integrare ex post la lacunosa e/o carente motivazione 
provvedimentale. Il che, per quanto gi� oggi accolto dall�autorit� giurisdizionale 
adita, non ci si accorge che in quest�ultimo caso si finisce per ammettere, 
sia pure sotto mentite spoglie, una sorta di interrogatorio-testimonianza del 
funzionario presunto colpevole dell�atto illegittimo, laddove un�uguale facolt� 
non viene attribuita alla parte privata con la conseguente violazione di molti 
principi fondamentali del giusto processo (art. 111 Cost.) e nel primo caso il 
giudizio finisce per divenire nella sostanza una sorta di procedimento amministrativo 
di secondo grado, specialmente allorch� si ritiene di rendere irrilevante, 
sul piano della legittimit�, il mancato invito al privato di partecipare al 
procedimento, sostenendosi dal giudice la necessit� che sia il privato, non invitato, 
a chiarirgli cosa mai avrebbe contraddetto in sede procedimentale. 

E si potrebbe continuare. Ma occorre domandarsi: una degradata situazione 
di tal fatta non � una prova provata che per risollevarla occorre l�insostituibile 
collaborazione fattiva del difensore avvocato di Stato, soprattutto 
cosciente e consapevole del suo rinnovato ruolo? Occorre quindi evitare di operare 
interventi i quali, quantunque giustificabili da differenti esigenze pubbliche, 
finiscano per ripercuotersi in modo grave sul diverso settore sensibile della vita 
associata quale la giustizia tesa a tutelare ed a garantire gli interessi soggettivi 
del cittadino (e ci� anche nell�ambito della giurisdizione amministrativa), componenti 
essenziali del suo personale patrimonio costituzionale, anzicch� arrendersi 
di fronte ad una giustizia che tende a ridivenire autoreferenziale (4). 

Prima di introdurre un differente ordine argomentativo, occorre sgom


(3) Cfr. A margine del convegno sul contrasto al fenomeno della corruzione nelle amministrazioni 
pubbliche, ivi. 


brare il campo da una prevedibile pietra di inciampo. Non si obietti che l�integrazione 
stipendiale non viene totalmente eliminata ma soltanto ridotta (al 
10 per cento). � vero che la mera riduzione svela all�occhio attento che la sottostante 
esigenza � comunque avvertita, pur tuttavia la confessione implicita 
relativa alla permanente esigenza non � sufficiente in concreto a far permanere 
nella sua interezza il risultato, anzi e meglio lo stimolo al risultato che si vorrebbe 
pur sempre conseguire, d�altro canto non bisogna spendere pi� parole 
per dimostrare che � il criterio in s� di commisurazione, la sua logica esistenziale 
ad assicurare lo scopo ultimo, che deve risultare direttamente e coerentemente 
conforme al sistema previgente. 

3. � appena il caso di notare come l�ulteriore ordine di considerazione 
possa apparire proficuo al presente discorso soltanto e se si � disposti a ritenere 
la disciplina costituzionale non come un insieme di norme singole tra loro prevalentemente 
slegate a dir cosi, e non invece come componenti di un complessivo 
organico, di un coerente programma che in tale chiave pretende di 
essere attuato. 

In quest�ultima prospettiva vale coerentemente da domandarsi a quale titolo 
la gran parte dell�importo delle spese legali finora spettanti all�avvocatura 
di Stato viene stabilito per legge che spetti in futuro alle finanze statali e questo 
aspetto non � indifferente, ovvero insignificante, perch� non � difficile notare 
la notevole differenza tra le altre ipotesi, pur previste, di riduzione dell�importo 
stipendiale a danno dei differenti dipendenti burocratici, in ordine ai quali contabilmente 
trattasi di una sostanziale economia di spendita riservata allo Stato 

-datore di lavoro - mentre l�ipotesi, che interessa il caso degli avvocati di Stato 
in ordine ai quali lo Stato procede a prelevare parte dell�importo delle entrate, 
per cos� dire ab externo, delle spese legali, di quelle spese cio� che vengono 
versate obbligatoriamente dai privati che chiamano in giudizio un soggetto pubblico 
(nella maggior parte, si intende, da un privato-cittadino che � condannato 
dal giudice adito). � diversa. In questo caso il prelievo operato riguarda 
l�esborso cui � tenuto nella maggior parte dei casi il privato-cittadino che ha 
azionato il suo �tentativo� di conservare e/o assicurarsi il c.d. bene della vita. 

A parte l�osservazione critica che per il progressivo incremento dei contributi 
obbligatori si rende sempre pi� difficile nutrire la speranza di ottenere 
giustizia, peraltro in un periodo nel quale si avverte sempre pi� l�esigenza di 
ricorrere all�autorit� di un giudice (nella speranza che vi sia un giudice a Berlino), 
e conseguentemente si riducono progressivamente i ricorsi-azioni pro-
posti (forse anche quest�ultimo fenomeno appare indirettamente strumentale 

(4) Cfr. Il Consiglio di Stato consolida la vocazione di accrescere l�efficienza della giustizia amministrativa 
muovendo decisamente lungo il potenziale indirizzo costituzionale. A proposito della legittimazione 
al ricorso, ivi. 


a ridurre l�eccessivo arretrato ed i tempi dei processi intentati), rimane il fatto 
che l�attuale mano pesante (per cos� dire) del giudice nel quantificare l�entit� 
delle spese giudiziarie, oggetto di condanna, specialmente in seguito al largo 
riconoscimento della temerariet� della lite, si tramuta forse involontariamente 
in un incremento del prelievo dello Stato, cos� come qui definito, a danno del 
cittadino attore o (anche) convenuto in giudizio. 

Insomma si vuole indurre ad intravedere in questa ablazione alle finanze 
pubbliche dell�esborso del privato la forma occulta di un ennesimo prelievo 
fiscale e/o tributario, e come tale si distingue dalla maggior parte dei versamenti 
generalmente previsti come �costo� di un servizio prestato dalla mano 
pubblica, tra i quali se mai vanno inclusi i soprannominati contributi obbligatori, 
che hanno sostituito i famosi storici �ciceroni�. Ma se � da riconoscere 
che il prelievo assume la �veste� di tributo, allora non si pu� evitare di scomodare 
la disciplina contenuta nell�art. 53 Cost., anche nell�ipotesi in cui, 
come nel caso di specie, la legge che impone il prelievo contributivo evita di 
impiegare una terminologia appropriata, poich� � l�essenza intima della misura 
adottata a rendere necessariamente applicabile nella specie l�indirizzo consacrato 
nell�articolo citato. 

L�indirizzo in esso consacrato � che rende legittimo il prelievo tributario 
� quello della �progressivit��, che va rapportato alle condizioni della potenzialit� 
economico-patrimoniale del singolo soggetto tenuto al versamento. 
Nella specie viceversa una siffatta progressione non risulta quale criterio secondo 
cui quantificare il prelievo, poich� � lo stesso giudice che nella quantificazione 
delle spese legali prescinde dalla situazione di potenzialit� 
economica della parte processuale, cosicch� pu� verificarsi che la parte pi� 
economicamente sprovveduta finisca a concorrere in maggiore misura al prelievo 
fiscale, configurandosi come un�occulta debitrice di imposta. 

Il tono del discorso intrapreso da ultimo potrebbe agevolmente dilungarsi, 
ma non conviene; l�intento perseguito era soltanto quello di richiamare l�attenzione 
che in un Stato a regime costituzionale, come il nostro, non � rinvenibile 
alcuna esimente per il non rispetto della complessiva disciplina fondamentale, 
n� tampoco una sospensione della sua vigenza anche a fronte di differenti esigenze 
e necessit�, se non altro a favore di una adeguata educazione democratica 
che oggi non pare del tutto radicata o perlomeno dappertutto. 

Non si pu� non rilevare per� in conclusione come una siffatta prospettiva 
di intervento riformatore non soltanto lascia aperto una serie di problemi irrisolti, 
ma soprattutto pu� minare in radice la potenzialit� di funzionamento 
dell�organo ausiliario dell�Avvocatura, nel quale invece dovrebbe concentrarsi 
ogni utile considerazione da parte di coloro che anelano sempre pi� ad una 
giustizia �giusta� e ad una legalit� diffusa, nella cui generalizzata assenza 
(forse) � da rinvenire anche l�origine del diffuso stato di corruzione che appare 
difficile da estirpare. 


Sui restanti aspetti, posso ricordare con Kafka che sono profondamente 
ignorante ci� nonostante la verit� esiste. 

ARTURO CARLO JEMOLO 

L�avvocatura dello Stato (*) 

1. Quante volte sento affermare che lo Stato � sempre servito peggio dei 
privati, mi sorge spontanea l'obiezione: - Per� c'� l'Avvocatura dello Stato -. In 
quanto crederei arduo dimostrare che vi sia grande impresa che dal lato dell'assistenza 
legale ottenga un servizio migliore di quello che presta l'Avvocatura. 

Un tempo molto alimentata da magistrati (1), oggi con un sistema di concorsi 
cui partecipano giovani magistrati, avvocati del foro libero, e giovani 
che gi� appartengono all'istituto nei ruoli dei procuratori, cui pure si accede 
mediante altro concorso; diretta negli ultimi sessant'anni da uomini diversi, 
tra cui solo un grande avvocato del foro libero, il Villa, ma gli altri tutti provenienti 
dai ranghi dell'Avvocatura medesima, con prevalenza di quelli che 
avevano dato opera alla consulenza piuttosto che alla trattazione di cause dinanzi 
al foro: l'istituto ha ragglunto nell'ambiente forense un alto prestigio. 

Tutti noi avvocati del foro libero sentiamo di avere avversari di prim'ordine 
ed ausiliari preziosi nei colleghi dell'Avvocatura dello Stato, a seconda 
che li troviamo nel campo opposto od invece alleati, allorch� l'interesse del 
nostro cliente � parallelo a quello dello Stato. 

Le critiche che si fanno alla difesa erariale come sistema non hanno a vedere 
con questo valore degli avvocati, che ritengo sia da tutti riconosciuto. 

Quelle critiche toccano il sistema della legge, con il foro erariale e particolarmente 
quella nullit� insanabile (fortunatamente un temperamento � stato 
posto dalla sentenza della Corte costituzionale 8 luglio 1967, n. 97) se la notifica 
non sia seguita presso l'Avvocatura, che colpisce gli avvocati inesperti, ed in 
definitiva gli umili, che non possono fare capo agli avvocati pi� provetti; ed 
altres� un certo comportamento dell'Avvocatura, che non ha spese di causa e 
quindi non suole cedere e porta ogni causa fino alla Cassazione, se non ottenga 
vittoria in gradi anteriori; a questo per�, che � l'aspetto esteriore, quel che si 
vede, occorrerebbe contrapporre un lato meno apparente, i pareri ch'essa d� in 
tema di transazioni. Per il poco che � dato sapere, l'Avvocatura sarebbe conci


(*) Estratto dall'Archivio Giuridico, Vol. CLXXV, Fasc. 1-2 (Sesta Serie, Vol. XLIV, Fasc. 1-2) 1968, 
Modena: S.T.E.M. Mucchi, 1968. 

(1) La possibilit� di nomina di magistrati, oltre che di avvocati e professori di diritto, ai vari gradi 
dell'Avvocatura, si d� sempre per l'art. 31 del t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611; per� � poco o nulla praticata. 


liativa dove siano in gioco minori interessi, cos� nelle cause di responsabilit� 
civile dello Stato per investimenti automobilistici; rigida molto, dove si profili 
la questione di massima, o ci siano di mezzo grossi interessi economici. 

La difesa dell'Avvocatura � particolarmente accanita nella materia fiscale, 
e direi soprattutto in quel settore della imposta di registro, che gi� in tempi 
lontani aveva in seno all'Avvocatura insigni specialisti. Non conosco il rapporto 
tra Ministero delle Finanze ed Avvocatura (ma certamente l'impulso deve 
partire dal Ministero); noi avvocati possiamo solo constatare che alcune agevolazioni 
che il legislatore aveva ritenuto di accordare nell'interesse generale, 
attraverso le tesi dell'Avvocatura e l'accoglienza che hanno avuto da parte della 
Cassazione (che in qualche caso ha accolto l'istanza dell'Avvocatura di portare 
alle Sezioni unite questioni che erano fino allora state risolte sempre dalla Sezione 
semplice contro l'Amministrazione) sono rimaste in fatto annullate; 
penso in particolare agli artt. 12, 14, 20 della legge 2 luglio 1949 n. 408 ed 
art. 3 della legge 2 febbraio 1960 n. 35 per la costruzione di case non di lusso 
ed alla punizione che la giurisprudenza � venuta ad infliggere al costruttore di 
buona volont� che ha fabbricato rapidamente il primo edificio, prendendo respiro 
per avere i mezzi onde costruire i successivi, mentre ha fatto fruire del 
beneficio fiscale quegli che ha atteso l'ultimo giorno utile per iniziare tutte le 
costruzioni; nonch� agli artt. 1� e 2 della legge 4 aprile 1953 n. 261, relativa, 
al trattamento fiscale delle cessioni dei crediti degli appaltatori, ed alla giurisprudenza 
a termini della quale non si riscontrer� mai l'atto di cessione a banca 
che possa fruire del beneficio fiscale. 

Su pi� larga scala che non sia quella degli avvocati ha fatto impressione 
l'atteggiamento assunto dall'Avvocatura dello Stato in tutte le cause in cui si � 
costituita dinanzi alla Corte costituzionale: difendendo sempre il permanere in 
vigore di disposizioni di legge che i giudici di merito dubitavano fossero in contrasto 
con la Costituzione, ed enunciando tesi, necessariamente sconfinanti nel 
terreno politico, di carattere accentuatamente conservatore. Qui in particolare 
del massimo interesse conoscere a chi spetti l'iniziativa e della posizione assunta 
e delle tesi in concreto svolte, se al Governo od all'Avvocatura Generale. 

Ma questo non ha a vedere con il meritato alto prestigio del corpo degli 
avvocati dello Stato. 

2. Era pressoch� fatale che il processo che io chiamo di disfacimento dello 
� Stato moderno � non potesse restare senza eco in una istituzione che accoglie 
uomini di tanto valore. 

Quando parlo di disfacimento dello �Stato moderno � intendo del tipo di 
Stato, che, grosso modo, pu� dirsi s'instaurasse con Luigi XIV (La presa del 
potere di Luigi XIV di Rossellini ha voluto mostrarne l'aspetto spettacolare) e 
che ha a caratteristica non soltanto l'abbattimento di quanto restava di potere 
feudale, ma anche dell'autonomia dei grandi corpi dello Stato, Sorbona e Par



lamenti. Questa l'opera di creazione dello Stato moderno, perseguita poi incessantemente 
e perfezionata con Napoleone, che cercher� d'inquadrare anche 
la gerarchia ecelesiastica entro lo Stato. Nei regimi costituzionali importa che 
non ci sia attivit� dello Stato di cui un ministro non abbia a rispondere dinanzi 
al Parlamento; il guardasigilli non risponder� del contenuto delle sentenze, ma 
dell'assiduit� dei giudici, del loro comportamento. 

Tale struttura sta rapidamente crollando in Italia dopo la seconda guerra 
mondiale, e non � questo il luogo per esaminare se sia fenomeno nostro nazionale 
o se si scorga anche oltre frontiera, n� per ricercarne le cause. 

In questo clima, dopo l'Universit� e la magistratura, anche l'Avvocatura 
ha ritenuto di poter rivendicare una sua autonomia. 

I testi di tale rivendicazione sono anzitutto alcune espressioni che si leggono 
nella nota introduttiva dell'Avvocato Generale alla sua relazione al Presidente 
del Consiglio dei Ministri sull'opera svolta dall�istituto negli anni 
1961-65; cos�, che �l'azione dell'Avvocatura dello Stato � venuta a costituire 
una componente indispensabile ad assicurare l'ordinato svolgimento della comunit� 
nazionale. Azione che non si svolge nella sola difesa giudiziale degli 
interessi dello Stato, e cio� della comunit�, ma sempre pi� si esprime in una 
continua e preziosa mediazione fra gli interessi e le esigenze statali e quelle 
dei singoli e, cosa anch'essa molto importante, fra le attribuzioni e gli interessi 
statali e quelli regionali e degli altri enti pubblici �: funzione di mediazione 
di cui nessuno disconosce la importanza, ma che molti saremmo tratti a 
considerare funzione politica: essendo proprio della funzione politica del Governo 
vedere entro l'ambito del diritto positivo quale pi� o meno largo uso 
abbia a fare dei poteri che la legge attribuisce agli organi del potere esecutivo. 

Si legge ancora in tale relazione: � Chi oggi ponesse mente all'Avvocatura 
dello Stato considerandola, esclusivamente, sotto il profilo di organo legale 
costituito per la d�fesa degli interessi puramente patrimoniali della pubblica 
Amministrazione, darebbe a vedere di non avere molto chiari sia i fini che lo 
Stato democratico moderno ha posto a fondamento della sua stessa esistenza 
e della sua azione, sia il metodo adottato per la loro attuazione �. 

� Se nel nostro ordinamento, come in tutti gli ordinamenti civili, l'avvocato 
deve obbedire soltanto all'imperativo etico "di comportarsi secondo 
scienza e coscienza ", un tale principio non poteva non essere riaffermato per 
l'organo legale dello Stato cui spetta il patrocinio della pubblica Amministrazione, 
la quale non � concepibile che litighi per motivi pretestuosi e futili 
come, invece, pu� avvenire per i privati. Ma a ben vedere il fondamento del-
l'indipendenza dell'Istituto va ricercato nel sistema stesso dell'ordinamento 
statale. Una volta, infatti, creato un apposito organo con l'attribuzione di una 
specifica competenza tecnica o professionale, sarebbe inconcepibile che esso 
possa, nell'espletamento dell'attivit� consultiva e nello svolgimento delle sue 
attribuzioni nel corso dei procedimenti giurisdizionali, ricevere disposizioni 


e direttive da altro organo non ugualmente qualificato sul piano tecnico e professionale. 
L'indipendenza di giudizio �, inoltre, condizione indispensabile per 
ottenere che la pubblica Amministrazione, nei suoi contrasti con i privati, 
adotti un atteggiamento sereno, obiettivo ed imparziale, conformemente al 
giudizio che sulle sue ragioni, al di fuori di ogni dipendenza od imposizione 
gerarchica, esprime l'organo legale, alla cui specifica competenza e responsabilit� 
spetta, dopo le opportune intese con gli uffici amministrativi interessati, 
di stabilire quali vertenze debbano essere sostenute giudizialmente, quali composte, 
quali abbandonate �. 

Un'altra affermazione dell'Avvocatura intorno ai suoi poteri ed alla sua 
posizione si riscontra nelle premesse della ricordata decisione della Corte costituzionale 
n. 97 del 1967: l'Avvocatura sosteneva di essere � organo autonomo 
dello Stato e fuori della gerarchia burocratica �, che agisce direttamente 
per lo Stato, � non per l'organo investito della capacit� processuale, usando di 
un proprio potere decisorio nel procedimento formativo della volont� statale 
circa la provocazione della lite o la resistenza in giudizio. L'Avvocatura 
avrebbe cosi la titolarit� della disponibilit� della lite �, La � dialettica dei poteri 
sarebbe � strumentalizzata attraverso un organo dello Stato istituzionalmente 
ordinato all'esercizio della funzione del giudizio �. La funzione dell'Avvocatura 
sarebbe �assimilabile a quella del pubblico ministero �, e pertanto l'insanabilit� 
delle notifiche effettuate non presso l�avvocatura competente sarebbe 
sullo stesso piano delle norme del codice di procedura civile e la insanabilit� 
delle nullit� afferenti all'intervento del pubblico ministero. 

Alcune delle affermazioni contenute nella relazione hanno provocato una 
interpellanza Trabucchi rivolta in Senato al Presidente del Consiglio, annunciata 
nella seduta del 4 aprile 1967, per conoscere se il Governo condivida 
quella tesi o se non sia da riaffermare � l'indiscutibile diritto riservato all'amministrazione 
ed al Potere esecutivo che ne risponde, di adottare anche nelle 
vertenze internazionali ed in quelle con i cittadini e con gli enti minori direttive 
di azione che, fermo il rispetto del diritto, corrispondano agli interessi della 
collettivit� e ad una concezione che si inquadri nei principi dettati dalla Costituzione 
della Repubblica �, ed altres� se, anche nella scelta della linea di 
condotta processuale, � l'Avvocatura dello Stato non possa, all'occorrenza, essere 
richiamata alla necessit� di non avvalersi di eccezioni formali (quali quelle 
meramente processuali) se queste non si inquadrino in una linea di difesa che 
tenda a riportare i rapporti sostanziali fra Stato ed enti minori, e quelli fra lo 
Stato ed i cittadini su di un piano di assoluto rispetto della legge e dei principi 
costituzionali, nella lettera e nello spirito informatore �. Interpellanza che non 
venne a discussione e cui non fu quindi data risposta. 

3. Pu� non essere superfluo, per inquadrare il tema, ricordare quelli che 
sono i rapporti tra il privato ed il legale cui egli affidi la sua difesa (molto pi� 


semplici quelli con l'avvocato cui richieda soltanto un parere). 

Soglio dire che in fatto noi siamo tra i professionisti i pi� disgraziati, perch� 
non c'� cliente, per quanto ignorante di legge, che non creda di essere in 
grado di dirigerci e darci lumi, l� dove non avrebbe tale pretesa di fronte al 
medico od all'ingegnere. 

Ma ha sicuramente ragione il legale che respinge i consigli del cliente, e 
gli pone l'alternativa, od avere fiducia in lui, o cercare altro difensore. 

Occorre tuttavia distinguere: vi sono materie �n cui chi si rivolge ad un 
avvocato ha diritto d'imporgli una certa linea: lo patrocini nella causa di separazione 
per colpa della moglie, ma punti solo sulle male parole, le ingiurie di 
questa, la sua trascuratezza nell'accudire alla casa, ed invece, per riguardo ai 
figli, non accenni all�adulterio, che pure ha commesso; in altra causa: faccia 
assolvere il cliente dalla domanda di quegli che si asserisce suo creditore; ma 
non invochi la prescrizione; chi adisce l'avvocato vuole una sentenza che dica 
che l'altro � un mentitore, ch'egli non ha mai dovuto nulla, non una che venga 
ad affermare o lasciar credere che approfitta del fatto che l'attore ha lasciato 
trascorrere troppo tempo per proporre una domanda che sarebbe stata fondata, 
sicch� egli si arricchisce di somme che non avrebbe avuto diritto di trattenere. 

Sono questi dei casi in cui sicuramente il legale deve seguire chi a lui si 
rivolge. 

Ma che dire delle cause infondate, che risposta si deve dare a quegli che dice 

-perderemo, ma se ho un respiro di un paio di anni mi tiro su - o semplicemente 

-se anche le alee favorevoli sono venti contro ottanta, tuttavia voglio tentare?. 

Occorre subito distinguere cause e cause; non pratico il foro penale, ma 
mi sembra impossibile essere avvocato di parte civile senza essere convinti 
della reale colpevolezza dell'imputato; e nel foro civile vi sono cause ... - d'interdizione, 
di disconoscimento di paternit� - che non si possono assumere 
senza sentirsi convinti della veridicit� del proprio asserto. 

Nelle cause strettamente economiche un legale non potr� mai abbassarsi 
a sostenere tesi aberranti; peraltro nell'ambito dell'opinabile gli � lecito sostenere 
la tesi meno probabile contro la pi� probabile, cercar di scuotere la giurisprudenza 
consolidata (bene inteso, quando cos� voglia l'assistito, che sar� 
stato informato della difficolt� di fare mutare la giurisprudenza affermatasi). 

Nella condotta del processo l'avvocato � veramente padrone, cos� nella 
scelta dei mezzi di prova, nel ritenere pericoloso l'esperimento della prova per 
testi, su cui il cliente contava. Tuttavia non potr� essere sordo al desiderio di 
questi o che la causa vada per le lunghe o che invece abbia un corso celere 
(salvo sempre, in questo secondo caso, il suo diritto di non negare un rinvio 
al collega infermo o preso da un'altra discussione, malgrado ogni premura che 
l'interessato gli rivolga). 

Non mi sembra che i rapporti possano essere sostanzialmente diversi tra 
lo Stato e l'Avvocatura. 


Direi anzi che per lo Stato pi� che per un privato possa esserci un'assoluta 
necessit� di iniziare cause che sarebbero sconsigliabili dal punto di vista delle 
probabilit� di successo e di non muoverne invece altre che sarebbero quasi sicuramente 
vinte. 

Si pensi ai rapporti internazionali, si ricordi come l'opinione italiana, pure 
cos� rispettosa della indipendenza della magistratura, abbia sentito male di 
certe assoluzioni o mancati appelli nei processi austriaci contro i terroristi del-
l'Alto Adige, e sar� facile concepire una serie d'ipotesi in cui � necessario che 
lo Stato mostri di voler portare dinanzi ai tribunali una propria richiesta od invece 
rinunci a ci� fare. 

Come esigenze politiche portano quasi quotidianamente lo Stato a scelte 
antieconomiche, cos� molto spesso tali esigenze possono condurre a scelte che 
il buon legale non suggerirebbe. 

Come scrivevo, siamo in un periodo di disgregazione dello Stato liberale 
che, da noi come altrove, nella concezione comune a Cavour come a Crispi 
come a Sonnino come a Giolitti, importava un Parlamento che possa pronunciarsi 
e censurare ogni cattivo funzionamento di qualsiasi lato dell'apparecchio 
dello Stato (2); sicch� l'opinione pubblica avrebbe ritenuto inammissibile che 
il ministro della Istruzione, interpellato ad es. sul pessimo governo che una 
facolt� fa dei suoi insegnamenti coprendo cattedre secondarie e lasciando scoperti 
insegnamenti principali, chiamando i meno capaci e respingendo gli aspiranti 
migliori, con il visibile intento di favorire parenti od amici degli attuali 
titolari, dovesse rispondere di non avere nulla a dire, perch� per l'autonomia 
universitaria il governo che le facolt� facciano dei loro insegnamenti e relativi 
titolari sfugge al suo potere; e del pari che il ministro della Giustizia interpellato 
su pretori che non stanno in sede e non fanno sentenze, dovesse limitarsi 
a dire che trasmetter� al Consiglio superiore della magistratura la lagnanza. 
Ed � altres� vero che ogni periodo storico ha i suoi miti e le finzioni che scambia 
per realt�; con cecit� mentali che ai posteri sono altrettanto incompenetrabili 
come le storie delle streghe e degli untori. Sicch� potrebbe anche avvenire 
che, come oggi si � affermato il mito delle autonomie sorretto dalla idea che 
il grande colpevole, il grande peccatore, � sempre l'esecutivo, sono sempre i 
ministri, mentre i vari corpi sono gelosi custodi del loro buon funzionamento, 
severi censori del comportamento dei propri appartenenti, cosi domani apparisse 
accettabile l'idea di un ministro che richiesto perch� non abbia rivendicato 
quel credito dello Stato, perch� non si sia costituito parte civile in quella causa, 
potesse rispondere: perch� l'avvocato generale dello Stato non lo ha voluto. 

(2) Sui mutamenti del rapporto tra Parlamento e potere esecutivo, vedi le belle, lucide pagine, 
pacate, scevre del rimpianto del passato, e che non scorgono la disgregazione che scorge l'a. di queste 
righe, che si rinvengono in C. MORTATI, Le leggi provvedimento, Milano 1968, in particolare pg. 47 sgg., 

119. 


Che cos� si formasse un settore, di natura schiettamente politica, sottratto pur 
esso alla responsabilit� ministeriale ed al sindacato parlamentare. 

Peraltro l'evoluzione della opinione pubblica non ha ancora toccato questo 
punto. 

4. Mi sembra quindi si debba dire che i ministri hanno sempre il d�r�tto 
di esigere che certe cause siano o non siano promosse. Poich� ho visto su giornali 
di categoria che le avvocature di enti parastatali avanzavano rivendicazioni 
analoghe a quelle dell'Avvocatura dello Stato, direi anzi che sarebbe meno inconcepibile 
che il presidente dell'l.N.P.S. o dell'I.N.A.I.L. si sentisse le mani 
legate dalla propria avvocatura, che non che ci� avvenisse per i ministri; in 
quanto non pu� parlarsi per quegli enti della funzione politica, della scelta politica 
che, come pu� andare contro i dettami della economia, cos� pu� andare 
contro quelli della previsione intorno alle sorti della causa, scelta politica che 
� invece proprio funzione e dovere del governo. 

Se si ritorna quindi al parallelo con i rapporti tra il libero professionista 
ed il suo cliente, dovr� dirsi che giustamente l'Avvocatura dello Stato dovrebbe 
opporre un rifiuto sdegnoso al ministro che chiedesse il parere ostensibile in 
un certo senso; che � suo dovere pronunciarsi con assoluta indipendenza di 
giudizio intorno alle cause che sia bene intraprendere o non intraprendere, ai 
gravami da coltivare o meno. Ma occorre poi che la decisione ultima se intraprendere 
o meno la causa, appellare o meno, sia presa dal ministro responsabile: 
bene inteso, se questi s'interessi della vicenda giudiziaria, se non siamo 
ai processi da cui esula ogni aspetto politico, ogni questione di massima, e che 
costituiscono la grande maggioranza: rispetto ai quali l'Amministrazione lascia 
veramente ampissima libert� di assumere ogni determinazione all'Avvocatura. 
Da avvertire tuttavia che il termine � politica � non va assunto in senso stretto; 
in materia fiscale il sostenere o meno certe interpretazioni di una legge pu� 
avere ripercussioni in tutto il settore della economia nazionale; e male fa il 
ministro delle Finanze se si disinteressa (ed anche i ministri dell'Industria e 
dell'Agricoltura se non ritengono di poter avvertire il collega delle ripercussioni 
di certe giurisprudenze); male il ministro se lascia ai suoi uffici, naturalmente 
portati per abito mentale a non considerare che lo stretto interesse 
fiscale, di dire loro la parola decisiva, senza ch'egli la controlli. 

Direi che il parallelismo continui anche oltre il primo fondamentale punto, 
che spetta al cliente (qui all'Amministrazione) la scelta se iniziare o meno la 
causa, resistere o meno alla pretesa avversaria, appellare o meno dalla sentenza 
sfavorevole: con la avvertenza che mi parrebbe caso di scuola, che mai si nasconder�, 
quello della tesi cos� assurda, che non possa un avvocato sottoscrivervi 
senza proprio disdoro. 

Penso pertanto che la condotta di causa debba essere lasciata all'Avvocatura, 
ma non senza la possibilit� di ragionevoli interventi dell'Amministrazione: 


sia nella richiesta di cercar di dilazionare l'andare a sentenza, in quanto sono in 
corso trattative di componimento, sia nel chiedere ad es. che non sia citata come 
teste una determinata personalit� (nel medesimo modo il cliente potr� chiedere 
all'avvocato che non indichi a teste quel tale, che pure potrebbe rendere la testimonianza 
pi� favorevole e decisiva, perch� ci sono ragioni intime, delicatissime, 
per cui non vuole ci sia neppure l'apparenza ch'egli abbia ottenuto 
qualcosa grazie ad un aiuto di quegli che dovrebbe essere citato a teste). 

Mentre su questi punti non credo si diano notevoli divergenze, se ne d� 
invece uno di particolare importanza, su cui il parallelismo con il patrocinio 
privato si arresta: quello delle tesi da far valere. 

Qui l'avvocato del foro libero � veramente sovrano: non pu� lasciarsi imporre 
dal cliente di sostenere che l'obbligazione era contrattuale od extracontrattuale, 
solidale od indivisibile, che siamo in un caso di prescrizione o di 
decadenza; e nella normalit� dei casi lo stesso seguir� rispetto all'Avvocatura 
dello Stato. 

Peraltro, specie nei giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, possono delinearsi 
delle tesi di schiettissima natura politica, rispetto a cui � difficile ammettere 
un agnosticismo governativo; anche perch�, attesa l'unicit� dell'istituto 
Avvocatura, la grande seriet� di questo istituto, non potrebbe esso, in un giudizio 
avvenire, sostenere per opportunit� di condotta di causa, tutto un diverso 
indirizzo. 

Cos� nei rapporti tra Stato e Regioni. Dove tuttavia c'� un limite, nella 
maggior parte dei casi, in quanto l'impugnativa di una legge regionale dev'essere 
chiesta dal Commissario del governo, e non pu� l'Avvocatura proporla di 
sua iniziativa; sicch� essa, non ha ad esempio la responsabilit� di non avere 
�mpugnato la legge regionale sarda 12 aprile 1957 n. 10, che ammette azioni 
al portatore per le societ� che nell�isola diano vita a nuove attivit� industriali 
od armatoriali, mentre invece venne impugnata con successo dalla Presidenza 
del Consiglio dei ministri analoga legge della Valle d�Aosta. 

Vi sono stati per� altri casi in cui nei giudizi costituzionali le tesi dell'Avvocatura 
hanno avuto ampia eco e sono state oggetto di discussioni, che necessariamente 
toccavano concetti eminentemente politici, orientamenti che di 
solito sono alla base della politica governativa. 

II pi� noto concerne la questione che ha dato luogo alla sentenza della 
Corte costituzionale 19 febbraio 1965 n. 9, con la difesa da parte dell'Avvocatura 
della legittimit� costituzionale dell'art. 553 cod. pen. e 112 del t.u. delle 
leggi di pubblica sicurezza. La difesa dell'Avvocatura provoc� la nota di M.S. 
Giannini, Per una maggiore ponderazione degli interventi del Presidente del 
Consiglio (3) che terminava: �Il risultato ultimo � che il Presidente del Con


(3) Giurisprudenza costituzionale, 1965, pg. 67 sgg.; vedi anche S. TOSI, ll governo davanti alla 
Corte nei giudizi incidentali di legittimit� costituzionale, Milano, 1963. 


siglio dei ministri si presenta all'opinione pubblica, come un sostenitore della 
teoria della mistica della stirpe! �; soggiungendo per� subito che non si trattava 
di un problema politico, bens� di un � caso, particolarmente vistoso ed esasperato, 
di quella disfunzionalit� della Presidenza del Consiglio, che ormai da 
tanto tempo si lamenta �. Perch� il Giannini non poneva neppure in dubbio il 
potere-dovere del Governo di decidere esso la tesi da sostenere, escludendo 
la scelta di questa fosse insindacabile apprezzamento dell'Avvocato Generale 
dello Stato. 

Meno nota, ma anche pi� impegnativa sul terreno politico, � la difesa che 
l'Avvocatura Generale aveva fatto dell'art. 5 del Concordato (la norma sui sacerdoti 
apostati o irretiti da censure), in una questione di legittimit� costituzionale, 
che non venne decisa dalla Corte, in quanto questa ritenne che non 
avesse natura giurisdizionale l'organo che l'aveva ad essa sottoposta. 

Ivi l'Avvocatura sostenne l'incompetenza della Corte costituzionale ad 
esaminare questioni di costituzionalit� aventi ad oggetto norme del Concordato; 
� che i Patti lateranensi pongono in essere un sistema speciale, al riparo 
dall'influsso di norme eterogenee, che la Costituzione ha espressamente riconosciuto 
non in contrasto con le altre sue disposizioni anche se idoneo a derogarle 
come ogni eccezione ai principi �; che � il sacerdote apostata o irretito 
da censura si trova nella stessa situazione del laico condannato o a carico del 
quale sia stata accertata una causa d'indegnit� morale, che precluda, in base 
alla legge, l'accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive � (4). 

Degne di nota anche le posizioni prese dall'Avvocatura, sempre nelle difese 
dinanzi alla Corte costituzionale, in tema di cerimonie di culto e libert� 
di propaganda dei culti ammessi. 

Non occorre insistere su ci� che abbiano di carica politica tali tesi, di ci� 
che, in particolare la seconda, possa pesare su tutti i rapporti avvenire tra Stato e 
Chiesa. Ritenere che il Govemo non abbia os ad loquendum rispetto all'enunciazione 
di tali tesi, equivarrebbe a negare che spetti ad esso la funzione politica (5). 

Ma anche rispetto ad ipotesi, in cui la politicizzazione del caso sia meno 
palese, difenderei il diritto di scelta del Governo, rispetto all'Avvocatura; direi 
qui proprio rispetto a chi ne sta al vertice, all'Avvocato Generale, con il quale 
potrebbe in definitiva delinearsi il contrasto. 

Premetto che non � il caso di fare qui appello al caso di coscienza per dire 
che la coscienza dell'avvocato non pu� essere coartata: se non si altera il valore 
dei termini, e si chiama caso di coscienza la scelta tra due tesi giuridiche. 

(4) A.C. JEMOLO, Premesse ai rapporti tra Chiesa e Stato, Milano, 1965, pg. 120. 

(5) Per critiche in sede parlamentare all'atteggiamento dell'Avvocatura nei giudizi dinanzi alla 
Corte costituzionale, cfr. i discors� alla Camera dell'on. Gullo nelle tornate del 13 luglio 1956, 21 luglio 
stesso anno, 30 ottobre 1962, 27 maggio 1964, 10 marzo 1965, Atti parlamentari, Camera, leg, II, pg. 
27474 sg., 28214 sg., leg. III, pg. 35370 sg., leg. IV, pg. 7390 sg., 13501 sg. 


Non so invero immaginare che si profili qui alcuna delle ipotesi che possono 
davvero costituire il caso di coscienza degli avvocati, quelli cui accennavo 
delle cause d'interdizione o di disconoscimento di paternit�, gli altri 
d'impugnativa di un matrimonio allorch� uno dei coniugi tiene enormemente 
al legame, di accuse di falsificazione di testamento o di circonvenzione, la richiesta 
di somme che � molto dubbio siano dovute. Tantoppi� che sicuramente 
l'Avvocato Generale non ha i poteri del Procuratore generale della Corte dei 
conti, non pu� in base ad informazioni avute od alla lettura dei giornali chiedere 
alle amministrazioni documenti per giudicare se sia o meno da instaurare 
una vertenza. L'ipotesi che si avvicina pi� alla evocazione del caso di coscienza 
� quella dell'Avvocatura investita di una vertenza amministrativa od 
una lite civile, che ravvisi l'opportunit� di una denuncia penale o di una querela 

o di una costituzione di parte civile. 

E pu� anche ricordarsi che tra le tante voci corse negli anni passati, e che 
Dio solo sa se avessero o meno qualche fondamento, ci fu quella di un certo malumore 
da parte della Presidenza del Consiglio per l'atteggiamento assunto dal-
l'Avvocatura in noti processi contro presidenti od alti funzionari di enti pubblici, 
accusati di peculato per il modo con cui avrebbero erogato i fondi dei loro enti, 
non appropriandoseli, bens� destinandoli a finalit� che non avrebbero risposto a 
quelle contemplate dalle leggi organiche o dagli statuti degli enti stessi. 

Chi rammenta quei processi, ricorda anche che c'era in proposito una netta 
divisione in seno all'opinione pubblica; tra chi condivideva la tesi della responsabilit� 
penale, sostenuta, anche con qualche asprezza, dall'Avvocatura 
dello Stato, oltre che dal pubblico ministero, ed accolta poi, sia pure con attenuazioni, 
dalla magistratura giudicante, e chi invece riteneva quei presidenti 

o funzionari, od almeno alcuni tra loro, dei benemeriti, che avevano supplito 
con la loro iniziativa a deficienze di leggi o ad inerzia di Ministeri e di altri 
organi collegiali, permettendo agli enti di raggiungere i loro scopi (e si � detto 
che per qualcuno di questi enti la scomparsa del preteso reo ha rappresentato 
un crollo, di attivit� e di prestigio). 

Avessero ragione gli uni o gli altri, c'era questa divisione della opinione 
pubblica, e trattavasi di casi clamorosi, oggetto d'intere pagine di giornali, di 
tavole rotonde. In queste circostanze sarebbe stato pieno diritto del Govemo 
di prescrivere all'Avvocatura di non costituirsi parte civile: naturalmente assumendo 
la responsabilit� della decisione, dichiarandola in Parlamento, ed eventualmente 
in un comunicato stampa. Ed a mio avviso male ha fatto l'Avvocatura 
se ha provveduto di sua iniziativa, senza informare il ministro competente. 
(Va da s� che se organi di governo, informati che l'Avvocatura intendeva costituirsi 
parte civile, si sono limitali a storcere la bocca, ed a dire dei forse e 
dei ma, bene invece ha fatto l'Avvocatura a procedere per la via che le sembrava 
migliore). 


5. Queste osservazioni, sulla inalienabilit� da parte del Governo della sua 
funzione politica, anche nei riflessi ch'essa ha in trattazioni di cause (e sul potersi 
ravvisare l'ambito della politica quante volte siamo di fronte a casi che 
appassionano l�opinione pubblica, non intorno alla persona di Tizio o di Caio, 
ma ad una questione di massima che si profila) mi sono sembrate riferirsi ad 
una realt� cos� palese, da dover essere subito enunciate; lasciando ad un secondo 
momento di esaminare se le tesi dell'Avvocatura trovino qualche conferma 
nei testi di legge. 

A questo proposito il pi� ovvio rilievo � che la Costituzione, mentre menziona 
tra gli organi ausiliari del Governo il Consiglio di Stato e la Corte dei 
conti - ed ha poi un titolo relativo a � La magistratura �, individuando in seno 
a questa anche il pubblico ministero -, non contiene alcun cenno dell'Avvocatura 
dello Stato. 

L'art. 1� del t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611 sull'Avvocatura (il t.u. ha subito 
lievi modifiche, che qui non interessano, con le leggi 20 giugno 1955 n. 519 e 
23 novembre 1966 n. 1035) stabililisce che ad essa spetta la rappreaentansa, il 
patrocinio e l�assistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato, anche 
organizzate ad ordinamento autonomo �, e pure nei successivi articoli si parla 
costantemente di amministrazioni dello Stato; cos� all'art. 14 si legge che �L'avvocatura 
dello Stato corrisponde direttamente con le amministrazioni dello 
Stato, alle quali richiede tutti gli schiarimenti, le notizie e i documenti necessari 
per l'adempimento delle sue attribuzioni�. L'art. 13 suona: � L'avvocatura dello 
Stato provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle 
consultazioni legali richieste dalle amministrazioni ed inoltre a consigliarle e 
dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi; esamina 
progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle ammmistrazioni, 
qualora ne sia richiesta; predispone transazioni d'accordo con le 
amministrazioni interessate; esprime pareri sugli atti di transazione redatti dalle 
amministrazioni; prepara contratti e suggerisce provvedimenti intorno a reclami 

o questioni mossi amministrativamente che possano dar materia di litigio �. 

Altres� da ricordare l'art. 17 (� Gli uffici dell'Avvocatura dello Stato dipendono 
dal capo del governo e sono posti sotto la immediata direzione del-
l'avvocatura generale dello Stato �) e l'art. 23 ( � Gli avvocati dello Stato sono 
equiparati ai magistrati dell'ordine giudiziario in conformit� della tabella B 
annessa al presente t.u. �). 

Ancora da menzionare l'art. 20 della legge 11 marzo 1953 n. 87 sulla Corte 
costituzionale, per cui � il Governo, anche quando intervenga nella persona 
del Presidente del Consiglio dei ministri o di un ministro a ci� delegato, � rappresentato 
e difeso dall'avvocato generale dello Stato o da un suo sostituto �. 

Mi pare che nessuno di questi testi avalli la tesi che l'Avvocatura abbia 
un suo potere di decidere intorno alle cause da instaurare o meno, da transigere 

o meno; � previsto che le transazioni siano predisposte direttamente anche 


dalle amministrazioni interessate, e che l'Avvocatura esprima soltanto un parere; 
nessun accenno ad una spogliazione di un potere di decidere da parte 
delle amministrazioni dello Stato. 

Non mi sembra neppure che resti confermata la tesi che l'Avvocatura agisca 
direttamente per lo Stato e non per l'organo investito della capacit� processuale, 
se dovesse con ci� intendersi che essa non patrocinasse gi� di volta 
in volta le singole amministrazioni, ma sempre lo Stato astraendo dalle amministrazioni 
medesime. Tesi che mi resta astrusa, in un sistema come il nostro, 
in cui l'azione dev'essere diretta necessariamente contro una certa branca del-
l'Amministrazione, e spesso l'Avvocatura eccepisce la carenza di legittimazione 
processuale dell'Amministrazione convenuta, e talora anche la 
decadenza o prescrizione dell'azione che fu s� proposta in termine, ma diretta 
contro un 'Amministrazione diversa da quella che aveva legittimazione (6). 

L'espressione dell'art. 13 del t.u., per cui l'Avvocatura provvede alla tutela 
legale dei diritti e degl'interessi dello Stato � espressione esatta e sintetica, ma 
questo non toglie che tali diritti ed interessi abbiano sempre per titolare una 
branca dell'Amministrazione, e che l'Avvocatura si presenti come rappresentante 
e tutrice di questa branca. Lo Stato in astratto avulso da ogni branca di 
amministrazione, non lo incontriamo mai; anche dinanzi alla Corte costituzionale, 
nei casi in cui sia interessata la funzione politica dello Stato, � un determinato 
organo, la Presidenza del consiglio dei ministri, quello che 
impersona l�interesse dello Stato. 

Quel che pu� solo dirsi � che l'Avvocatura ha la rappresentanza e la tutela 
di tutte le amministrazioni dello Stato, indistintamente, ed altres� ch'essa non 

(6) Anche in G. BELLI, v. Avvocatura dello Stato, n. 1, Enciclopedia del diritto, IV, pg. 670 sg., si 
legge che �l'avvocatura dello Stato � istituzionalmente l'organo di difesa legale e di consulenza, non di 
una singola amministrazione, ma dello Stato considerato nella sua unitariet� �; ci� ch'� pienamente accettabile 
nel senso che � l'organo a disposizione di tutte le Amministrazioni per la difesa e consulenza 
legale (ma anche le Prefetture, ed altri organi ancora, possono del pari essere richiesti di svolgere attivit� 
per conto di tutte le amministrazioni); e potrebbe anche farsene risultare il corollario affermato dall'a., 
sia pure senza una base testuale, che pure Camera e Senato dovrebbero fare capo all'Avvocatura quando 
si controvertesse su contratti da loro formati. Ma una coa � parlare di organo che abbia la capacit� di 
agire per tutte le amministrazioni dello Stato (cio� di volta in volta ora per l'una ora per l'altra amministrazione) 
e diversa cosa � concepire un'attivit� che si svolga nell'interesse dello Stato nella sua unit�, e 
non gi� attraverso lo schermo delle singole anministrazioni. 
Quanto ai precetti agli avvocali dello Stato di tenere presenti nelle loro difese gl'interessi dello Stato 
tutto, di non correre il rischio di sostenere tesi diverse secondo l'opportunit� della vertenza, siamo in 
tema di deontologia professionale, e ci� non ha a vedere con il profilo giuridico dell'istituto. 
Per G. DUNI, Lo Stato e la responsabilit� patrimoniale, Milano, 1968, pg. 414 sg., poich� le norme sulla 
eh�amata in giudizio dello Stato contenute nel t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611 prevedono solo azioni fondate 
contro singole amministrazioni statali, esse non sarebbero applicabili per le azioni da intentarsi contro 
lo Stato basate su attivit� del potere legislativo (che il Duni ammette, indipendentemente dalle questioni 
di costituzionalit� di singole leggi); peraltro a quelle norme del t.u. dovrebbe farsi ricorso in via di analogia, 
come pure sarebbe da utilizzare per la soluzione da scegliere l'art. 20, comma 3, della legge 11 
marzo 1953 n. 87; sarebbe quindi da convenire il Presidente del Consiglio; applicabili comunque le 
norme del t.u. sul foro erariale. 


� organo burocratico interno della Presidenza del Consiglio dei ministri: che 
la sua dipendenza da questo � connessa eminentemente alla impossibilit� di 
organi - tolte le Camere e la Corte costituzionale - che non facciano capo ad 
un'Amministrazione dello Stato impersonata da un ministro, almeno per ci� 
ch'� nomina del personale e bilancio delle spese inerenti al suo funzionamento; 
ma che la sua funzione si svolge indipendentemente dalla Presidenza del consiglio, 
in costante rapporto con le singole amministrazioni. 

Di ci� che possa desumersi o meno dalla tabella di assimilazione tra avvocati 
dello Stato e magistrati (senza distinzione tra magistrati della giudicante 
e della requirente) (7) trattano le decisioni del Consiglio di Stato che oltre ricordiamo. 
Qui basti ricordare che anche agli avvocati dello Stato � applicato 
il limite di et� per il collocamento a riposo fissato per i magistrati (decr. leg. 
4 maggio 1948 n. 844, che peraltro non richiama norme stabilite per i magistrati 
e si limita ad estendere a tutti gli avvocat� dello Stato il limite che l'art. 
34 del t.u. fissava per gli avvocati di grado superiore a quello di sostituto); che 
la legge 24 maggio 1951 n. 292 all'art. 12 a fini di trattamento economico assimila, 
secondo una tab. D annessa alla legge, magistrati del Consiglio di Stato, 
della Corte dei conti, della giustizia militare ed avvocati e procuratori dello 
Stato (il trattamento dei magistrati dell'ordine giudiziario � considerato in altra 
tabella) e la relazione del guradasigilli Piccioni suona � quanto all'Avvocatura 
dello Stato � da rilevare che i suoi componenti sono gi� equiparati ai magistrati 
dell'ordine giudiziario secondo un principio che � espressamente sancito nel 
vigente ordinamento (art. 23 t.u. 30 ottobre 1933 n. 1811) che trova fondamento 
nel peculiare carattere della funzione in cui si estrinseca una diretta collaborazione 
con gli organi giurisdizionali. Non sarebbe ora evidentemente 
opportuno discostarsi da questo principio con l'abrogazione espressa della 
norma citata: ci� in relazione, tra l'altro, alla esigenza di assicurare anche per 
l'avvenire il migliore reclutamento del personale dell'Avvocatura, che viene 
principalmente tratto dai magistrati ordinari� (quest'ultima affermazione non 
sembra esattissima). Parole da cui ben poco si pu� ricavare. Il trattamento 
delle tabelle annesse a questo decreto del '51 � stato poi sostituito da quello 
delle tabelle annesse alla legge 29 dicembre 1956 n. 1433 (ancora una tabella 
per i magistrati dell'ordine giudiziario ed una per quelli del Consiglio di Stato, 
della Corte dei conti, della giustizia militare e per gli avvocati dello Stato); 
l'art. 12 della legge 24 maggio 1951 terminava: �Per quanto non � preveduto 
in questo articolo, continuano ad applicarsi le disposizioni generali relative 

(7) Ignoro se esista ancora presso l'Avvocatura generale la cartella di una pratica, dei primissimi 
anni del secolo, che vidi vari anni or sono. L'avvocato generale erariale del tempo rivendicava per il suo 
ufficio il rango di procuratore generale della Cassazione (eravamo al tempo delle cinque cassazioni, ma 
i procuralori generali come i presidenti fruivano di quello ch'era allora il pi� alto trattamento economico, 
comune solo al Presidente del Consiglio di Stato, a quello della Corte dei Conti ed ai generali di esercito). 
La Presidenza del Consiglio aveva respinto la istanza. 


agli impiegati dello Stato e quelle dei rispettivi ordinamenti�; l'art. 5 della 
legge 29 dicembre 1956 n. 1433 suona: al personale qui contemplato � si applicano 
le disposizioni dello statuto degli impiegati civili dello Stato, contenute 
nel decr. 11 gennaio 1956 n, 17, solo in quanto non siano contrarie ai rispettivi 
ordinamenti�, e sulla stessa linea l'art. 384 del decr. pres. 10 gennaio 1957 n. 
3 usa la dizione - che non � peraltro netta esclusione dell'applicabilit� delle 
norme vigenti per la comune degl'impiegati - � Le disposizioni del presente 
decreto si applicano a tutti gli impiegati civili dello Stato, salvo le disposizioni 
speciali vigenti ... per quelli addetti agli uffici giudiziari, al Consiglio di Stato, 
alla Corte dei conti, ai Tribunali militari e all'Avvocatura dello Stato... � (8). 

A questo proposito, dell'assimilabilit� o meno degli avvocati dello Stato 
ai magistrati, si suole spesso ricordare una decisione del Consiglio di Stato, 
sez. IV, 13 ottobre 1942 n. 454 (9), adottata a proposito dell'applicazione delle 
infauste leggi razziali, in cui si neg� che agli avvocati dello Stato spettasse il 
trattamento fatto da una legge ai funzionari inamovibili. 

Ritenne allora il Consiglio di Stato che non fosse sufficiente per stabilire 
la inamovibilit� che il funzionario non possa essere rimosso se non in 
seguito ad un � giudizio di pari �, cio� della commissione del personale del-
l'Avvocatura, costituita soltanto da avvocati; in quanto un organo costituito 
tutto da funzionari del medesimo ruolo pu� ben costituire qualcosa di diverso 
dall'organo di pari, nel significato tradizionale ed arcaico del termine, 
pu� cio� rappresentare soltanto un collegio tecnico di funzionari dello stesso 
istituto che si sostituisce al consiglio di amministrazione del comune personale 
burocratico. 

Non parve al Consiglio neppure argomento probante per la tesi della inamovibilit� 
la esistenza delle tabelle di equiparazione ai magistrati: sia perch� 
queste menzionavano anche i magistrati del pubblico ministero che non godevano 
le stesse garanzie dei magistrati della giudicante; sia perch� � trattasi 
di una equiparazione di rango avente una origine tradizionale e storica, proveniente 
fin dal tempo della istituzione delle Avvocature erariali, quando il 
personale di queste fu prelevato in gran parte dalla magistratura e, dati i passaggi 
pi� frequenti, che non siano ora, che si operavano, fra i detti organismi �. 

Sembr� invece al Consiglio che occorresse guardare � al criterio sostanziale, 
o, meglio, razionale, che sta a base e, insieme, contiene la giustificazione 
dell'istituto della inamovibilit� ... criterio offerto dalla finalit� dell'istituto �: 
assicurare a dati funzionari � indipendenza ed autonomia di giudizio e di de


(8) L'art. 384 non aveva corrispondente nei decreti 11 gennaio 1956 nn. 16, 17, che facevano solo 
salvi, provvisoriamente, gli ordinamenti speciali in vigore, fino a che non fosse provveduto al coordinamento 
previsto dall'art. 4 della legge 20 dicembre 1954 n. 1181; il decreto n. 17 chiamava a fare parte 
come membri ordinari del consiglio superiore della pubblica amministrazione due sostituti avvocati generali 
dello Stato, che pi� non figurano all'art. 138 del decr. pres. 10 gennaio 1957 n. 3. 

(9) Riv. dir. pubbl., 1943, II, 40 sgg.; Foro it., 1943, III, 34 sgg. 


cisione �; questo si d� per i magistrati della giudicante e per i professori, non 
per gli avvocati dello Stato. 

E qui occorre riprodurre la decisione, perch�, se pure questo non fosse 
sicuramente nell'intenzione della IV Sezione, potrebbe trovare in essa un qualche 
appoggio la tesi che l'Avvocato generale si stacchi da tutto il personale ad 
esso sottoposto e non abbia a subire alcuna direttiva (la decisione non dice 
ci�, per� negli esempi che fa di sottoposizione a direttive non menziona chi � 
al vertice dell'istituto). Si legge invero: i sostituti ed i viceavvocati � nel redigere 
le loro difese e nel preparare i pareri sono sottoposti alle direttive del-
l'avvocato distrettuale; lo stesso avvocato distrettuale pu� ricevere direttive 
dall'Avvocatura generale; l'Avvocato generale sovraintende alla trattazione 
degli affari contenziosi e consultivi con generali disposizioni e speciali norme 
direttive, risolve le divergenze sia tra gli uffici distrettuali dell'Avvocatura sia 
tra quelli e gli uffici amministrativi (art. 15 t.u. del '33). Quindi non pu� mai 
darsi il caso che un avvocato dello Stato, sia pure un avvocato distrettuale, 
abbia il potere di rimanere fermo al proprio avviso come avviene, invece, per 
il giudice, singolo o collegiale, il cui giudidizio pu� essere bens� riformato o 
annullato, dalla autorit� giudiziaria superiore, ma al quale non si pu� fare obbligo 
di uniformars�, nell'esprimere tale giudizio, all'avviso dell�organo burocratico 
superiore, o come avviene anche per per il professore universitario, 
che ha la libert� di esprimere quelle idee o di aderire a quelle correnti scientifiche 
che egli ritiene, senza essere soggetto ad alcun controllo che non sia 
quello della generale critica scientifica... Come nella trattazione degli affari 
contenziosi e consultivi, cos� anche nella rappresentanza in giudizio, l'avvocato 
dello Stato rappresenta l'ufficio e non la persona fisica che in un determinato 
momento lo dirige; da ci� la facolt� di sostituzione e di avocazione, gl'interventi 
diretti anche della Avvocatura generale... il che � evidentemente inconcepibile 
rispetto all'opera del funzionario inamovibile, come, ad esempio, per 
quella del giudice >>. 

Calamandrei che aveva difeso la tesi del ricorrente, non accolta dal Consiglio 
di Stato, annotava la decisione, partendo dalla visione di quello che � il 
compito dell'avvocato nel foro libero, reagendo alla opinione di Carnelutti che 
scorgeva. nell'avvocato un nuncius della parte, affermando la sua indipendenza 
rispetto al cliente; e chiedendosi se poteva ammettersi che questo, che era per 
l'avvocato del foro libero, potesse non essere per l'avvocato dello Stato; e, scriveva: 
� L�indipendenza del difensore � sentita come una esigenza di ordine pubblico, 
posta, anche se in contrasto coll'interesse del cliente, nell'interesse della 
giustizia; si deve ritenere che questo interesse della giustizia non conti pi� 
quando la parte in causa � la pubblica amministrazione, e che in tal caso la giustizia 
non si accorga pi� che l'asservimento del difensore si risolve sempre in 
una minaccia per l'indipendenza del giudice? �. E gi� sosteneva quel che e la 
tesi oggi della relazione dell'Avvocato generale: �Se fra l�Avvocatura e gli uffici 


amministrativi sorgono divergenze sulla soluzione di una questione o sul modo 
di trattare una causa, l'ultima parola in proposito spetta all'avvocato generale�. 

Non contestava che in una diversit� di vedute intorno al miglior modo di 
condurre una causa, dovesse prevalere l'opinione del superiore gerarchico, avvocato 
distrettuale od avvocato generale; ma in tal caso il superiore avrebbe dovuto 
avocare a s� la trattazione, od affidarla ad altro avvocato; non avrebbe mai 
potuto costringere l'inferiore a trattare la causa contro la propria coscienza, n� il 
rifiuto di questi avrebbe mai potuto assurgere a mancanza disciplinare (10). 

La tesi di Calamandrei va tenuta nel massimo conto, e su quest'ultimo 
punto occorrer� ancora tornare. 

Penso peraltro ch'egli nelle sue premesse partisse da una idealizzazione 
della funzione dell'avvocato che non ha riscontro non solo nella realt�, ma nel 
nostro stesso sistema giuridico; il dovere di lealt� della parte, anche se interpretato 
rigidamente, non assurge a dovere di essere convinta anche della tesi di 
diritto che intende fare valere (pu� essere posizione moralmente non certo condannabile 
quella di chi lotta per fare prevalere uno ius condendum, che ritiene 
rispondente ai canoni di giustizia superiore, di fronte a quello che pur sa essere 
ius conditum); parallelamente il dovere del difensore � di non ingannare il giudice, 
non esporre fatti che sappia non veri - ma non � dato spingersi fino ad imporgli 
di non tacere intorno alle circostanze avverse al suo cliente, - e di non 
sostenere, anche per rispetto a s� stesso, tesi assurde. Ma non credo che la rispettabilit� 
dell'avvocato venga meno se oggi nell'interesse del cliente invoca 
la giurisprundenza consolidata, e domani, in un'altra causa, tenta scuoterla. 

Questa concezione dell'avvocato che nell'interesse della g�ustizia deve 
anche contrastare all'interesse del cliente, o la si prende nel senso pi� semplice, 
che l'avvocato � anzitutto uomo e dev'essere uomo morale, ed in tale caso non 
patrociner� mai colui che vuole compiere una sopraffazione a danni di altri, e 
gli rifiuter� il suo patrocinio, o diversamente mi pare piuttosto propria di uno 
di quei regimi statolatri che Calamandrei detestava, con la fede nello Stato capace 
di realizzare la giustizia, tutti coadiutori dello Stato in questo compito, 
colui che perde la causa, se buon cittadino, convinto di avere errato e che la 
sua pretesa era infondata. Sarebbe porre l'avvocato in quella che in un sano 
tempo era la posizione dell'arbitro di parte (ora decaduto al rango di primo avvocato, 
di cui quegli che figura avvocato di parte non � che un coadiutore), 
arbitro che veramente aveva anzitutto presente la necessit� di pronunciare un 
lodo giusto. 

A parte il rovello che aveva in s� chiunque difendesse un perseguitato dalle 
leggi razziali, poteva in Calamandrei quel suo nobilissimo tormento, quel suo 
martirio, cos� bene reso da Satta (11), quel suo idealismo, che lo portava a porre 

(10) Gli avvocati dello Stato e l'inamovibilit�, Foro ital., 1943, III, 34. 
(11) S. SATTA, Interpretazione di Calamandrei, Riv. trimestrale di diritto e procedura, 1967, 397 sgg. 



tanto in in alto, su un eletto soglio, giudici ed avvocati (mentre, occorre pur 
dirlo, era tratto dalla formazione mentale, dalle origini familiari, dalla fede dei 
vecchi repubblicani, a poco sentire quanto fosse esigenza dell'amministrazione). 

Ma a me sembra che fosse nel vero la decisione del Consiglio di Stato allorch� 
stabiliva la posizione degli avvocati dello Stato, omettendo solo di soggiungere 
che anche l'Avvocato generale deve in definitiva piegarsi alla volont� 
dell'Amministrazione (omissione che non era sfuggita a Calamandrei, il quale 
deduceva: all'avvocato generale, che non ha � al di sopra di s� superiori gerarchici 
che possano sovrapporsi al suo avviso, la inamovibilit� dovrebbe essere 
senz'altro riconosciuta �). 

Una delle norme sulla epurazione, il decr. luog. 4 gennaio 1945 n. 2, doveva 
poco dopo stabilire al suo art. 10, che i benefici economici previsti per il 
personale inamovibile dall'art. 3 del decr. luog. 11 ottobre 1944 n. 257 e dal-
l'art. 9 dell'attuale decreto, si sarebbero applicati anche nei confronti degli avvocati 
dello Stato che fossero collocati a riposo in base al detto decreto n. 257. 
Ma non mi sembra che questa norma incida sulla questione di quelli che sono 
i poteri dell'Avvocatura nel rifiutare direttive dell'Amministrazione, o dei singoli 
avvocati nel rifiutare di dare alla trattazione delle cause l�impulso proposto 
dai loro superiori. 

Il ricorso di un procuratore dello Stato, che reclamava per il proprio collocamento 
a riposo il limite di et� stabilito per gli avvocati, ha dato luogo alle 
considerazioni della decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 31 ottobre 1961 

n. 513 (12). Ivi si considera ancora l'argomento della tabella di equiparazione 
ai magistrati del t.u. del 1933, osservandosi che si tratta di � equiparazione di 
rango e di dignit�, ma non di stato giuridico �, essendo sempre rimaste distinte 
le norme regolatrici dei rispettivi stati giuridici. 

Dopo altre considerazioni, e sulla diversit� non solo di stato giuridico, 
ma anche di limiti di et� per il collocamento a riposo dei vari personali considerati 
nelle leggi del '51 e del 56, e sulla differente attivit� svolta dagli avvocati 
e dai procuratori, la decisione ha alcune affermazioni che possono interessare 
per il tema qui trattato. Il limite di et� fissato per il collocamento a riposo degli 
avvocati dello Stato � uno dei limiti posti come garanzia d�indipendenza, per 
sottrarre ad eventuali suggestioni o pressioni od arbitri; e un limite posto � per 
esigenze sostanziali di indipendenaa della funzione �; a questa si connette la 
facolt� del Governo, di cui all'art. 5 del t.u. del 1933, di chiedere l'assistenza 
di avvocati del foro libero: norma � introdotta non gi�, come talora si ritiene, 
per supplire ad insufficienze tecniche della difesa erariale, ma anzi per conciliare 
la piena facolt� di giudizio dell'avvocatura dello Stato, che potrebbe esprimere 
avvisi contrari alla tesi del Governo, con la discrezionalit� di questo, che 
potrebbe ciononostante ritenere necessario sostenere una tesi dalla quale l'Av


(12) Il Consiglio di Stato, 1961, I, 1605 sgg. 


vocatura dello Stato dissente. Malgrado la mancanza d'espressa disposizione 
costituzionale, pu� estendersi la qualifica di �organo ausiliario del Governo � 
alla Avvocatura. 

Queste affermazioni mi lasciano dubbi. 

Per giudicare se possa ancora parlarsi del limite di et� come garanzia d'indipendenza, 
mi occorrerebbe conoscere - ci� che nessun testo mi dice - se si 
diano oggi dei collocamenti a riposo di funzionari, contro la loro volont�, 
prima del compimento dei limiti tabellari (a prescindere, naturalmente, dalle 
ipotesi di superati limiti di aspettativa per ragioni di salute, o di sopravvenuta 
incapacit� ad adempiere alla funzione). 

La facolt� di ricorrere ad un avvocato del foro libero non � mai stata esercitata. 
Non pu� evidentemente pensarsi che sarebbe da esplicare nel caso in 
cui non si trovasse in tutta l'Avvocatura un avvocato disposto a sostenere la 
tesi dell'Amministrazione, perch� ci� mostrerebbe essere la tesi cos� assurda, 
da costituire quasi ingiuria chiedere a quell'avvocato del foro libero di sostenerla; 
occorrerebbe quindi pensare che fosse l'Avvocato generale che si rifiutasse 
di fare difendere quella tesi dal suo istituto, e che la legge gli riconoscesse 
proprio quella facolt�, di dire: - l'Avvocatura non si presta. - Ma la dizione 
dell'art. 5 del t.u. non conforta una tale concezione: � Nessuna amministrazione 
dello Stato pu� richiedere l'assistenza di avvocati del libero foro se non per 
ragioni assolutamente eccezionali inteso il parere dell'avvocato generale dello 
Stato e secondo norme che saranno stabilite dal consiglio dei ministri. L'incarico 
nei singoli casi dovr� essere conferito con decreto del capo del governo 
di concerto col ministro dal quale dipende l'amministrazione interessata e col 
ministro per le finanze �. La norma ha tutto l�aspetto di essere dettata per impedire 
un certo clientelismo, ministri od anche direttori generali che volessero 
affidare cause ad avvocati amici; non � l'avvocato generale che prende l'iniziativa, 
secondo la lettera dell'articolo essa sembra partire dalla amministrazione 
e l'avvocato generale dev'essere soltanto sentito, n� sembra affatto che 
sarebbe lesivo del prestigio dell'Avvocatura pensare che vi fossero casi in cui 
occorresse ricorrere ad uno specialista estraneo ad essa; per cause di natura 
storica, od in cui occorresse la conoscenza di un diritto straniero di un tipo diverso 
da quello dei Paesi occidentali ed americani, che ci � ormai sufficientemente 
familiare. 

Infine organi ausiliari dell'intera amministrazione sono molteplici; vediamo 
oggi gli uffici tecnici erariali determinare le indennit� delle imprese 
elettriche trasferite all'Enel, ci� ch'� estraneo alle attribuzioni del Ministero 
da cui dipendono; e tutti i Ministeri penso possano non solo agire attraverso i 
Prefetti, ma anche chiedere l'opera degli uffici del Genio civile, comunque 
avere da questi dei pareri. La menzione nella Costituzione del Consiglio di 
Stato e della Corte dei conti mi sembra significhi qualcosa di pi�, l'idea di una 
necessaria cooperazione ad un'attivit� di buon governo; e sta comunque che 


quella menzione importa che questi organi non potrebbero venire soppressi 
senza una legge costituzionale, ci� che non si d� per l'Avvocatura. 

6. Affermato che non vi sono nel diritto positivo elementi che consentano 
di attribuire all'Avvocatura mansioni che abbiano una qualsiasi rilevanza costituzionale, 
che ne facciano un organo ausiliare del Governo nel senso in cui 
lo sono Consiglio di Stato e Corte dei conti - per i quali del resto la qualit�ca 
derivante dal collocamento della loro menzione nella Carta costituzionale � 
incompleta e non del tutto esatta, - che l'esistenza dell'Avvocatura non toglie 
alle singole amministrazioni statali il potere di decidere in ultima analisi l'atteggiamento 
da prendere ogni volta che si profili il problema se fare valere o 
meno una pretesa, resistere o meno ad una pretesa altrui: resta tuttavia a considerare 
la peculiarlt� comune a tutti gli organi dello Stato che pur dovendo 
sottostare a direttive, non importa se di superiori gerarchici o di altri organi 
dell'Amministrazione che affidano loro compiti o danno prescrizioni, esplicano 
per� mansioni strettamente tecniche; ed altres� l'altra peculiarit� - che per lo 
pi� coincide con la prima - della esposizione del nome del singolo impiegato 

o funzionario (13). Ed a questo proposito sar� a guardare non pi� all'Avvocato 
generale, di cui gi� si � detto, ma ai singoli avvocati. 

Nei comuni organi burocratici - Ministeri, Prefetture, Intendenze di finanza 
- il singolo impiegato trova un limite al suo dovere di non sottostare 
alle prescrizioni del superiore nella norma dell'art. 17 dello statuto degl'impiegati 
civili dello Stato: se ritenga l'ordine palesemente illegittimo, deve farne 
rimostranza al superiore che ha impartito quell'ordine, dichiarando le ragioni 
del proprio convincimento; ma se l'ordine � rinnovato per scritto, deve darvi 
esecuzione: salvo peraltro che l'atto fosse vietato dalla legge penale (ad es. il 
funzionario di un Ministero addetto ai contratti che si veda ordinato dal suo 
ministro di ammettere alla gara chi non abbia i requisiti per parteciparvi, pu� 
chiedere al ministro l'ordine scritto in tal senso; ma una volta che lo abbia ricevuto, 
deve darvi esecuzione). 

Lo statuto prevede soltanto l'ordine illegittimo; non quello erroneo; rispetto 
al quale potrebbe tuttavia applicarsi analogicamente l'art. 16, comma 

2: � Quando, nell'esercizio delle sue funzioni, l'impiegato rilevi difficolt� od 

(13) Non mi consta - ma chi pu� leggere tutto il moltissimo che si scrive? - che i cultori del diritto 
del lavoro abbiano appuntato l'attenzione sul caso del dipendente che sottoscrive in proprio (non come 
rappresentante della impresa) una dichiarazione od attestazione, rivolta al pubblico, nell'interesse della 
impresa. Cos� ricordo di aver visto sull'involucro di un prodotto alimentare l'attestazione con la firma di 
un dottor X sulle sostanze contenute nel prodotto, con relativa analisi quantitativa; il dottor X era un dipendente 
della impresa produttrice. L'esposizione della sottoscrizione ha una conseguenza sulla posizione 
(di dirigente, d'impiegato con funzioni dirett�ve, ecc.) del dipendente? questa esposizione pu� considerarsi 
coperta dalla retribuzione, anche se non vi sia un contratto individuale che espressamente la contempli 
tra gli obblighi del dipendente stesso? 


inconvenienti, derivanti dalle disposizioni impartite dai superiori per l'organizzazione 
o lo svolgimento dei servizi, deve riferirne per via gerarchica, formulando 
le proposte a suo avviso opportune per rimuovere la difficolt� o 
l�inconveniente �; non mi pare dubbio che incorrerebbe in colpa grave e nella 
relativa responsabilit� l'impiegato che eseguisse senza batter ciglio un ordine 
palesemente erroneo. Ed � altres� a notare che spesso errore ed illegittimit� 
coincidono: cos� se venga ordinato di effettuare per una data causale un pagamento, 
allorch� il pagamento connesso a quella causale gi� sia stato eseguito. 

Comunque nella burocrazia non appare conturbante l�ipotesi dell'impiegato 
che debba stendere un provvedimento, od in una relazione manifestare 
una opinione, contro quello che sarebbe il suo convincimento: chi sottoscrive 
� il Ministro od il Prefetto; del minutante non c'� traccia fuori del fascicolo 
d'uff�cio (se il minutante avesse la mia abitudine, di scrivere gi� a macchina 
la brutta copia, neppure nel fascicolo resterebbe traccia della sua persona, se 
nella sua amministrazione non ci sia l'uso della sigla di chi ha minutato; in 
questo caso niente vieta al minutante di scrivere sulla minuta: �redatta secondo 
le istruzioni ricevute dal direttore di divisione �; ma anche quando sorgono 
controversie in tema di responsabilit�, non si risale mai a quello che un tempo 
era l'umile segretario, oggi divenuto consigliere). 

Il provvedimento amministrativo inoltre molte volte � una scelta operata 
dall'Amministrazione entro certi limiti di libert�; � vero che si danno casi in 
cui essa sarebbe vincolata a fare o non fare, e che pu� quindi parlarsi di tecnicismo 
nella interpretazione della legge. Sappiamo tuttavia che questa interpretazione 
lascia quasi costantemente un margine d'incertezza; anche i veri 
errori di diritto che talvolta coglie la giurisprudenza del Consiglio di Stato, 
sono cosa diversa dagli errori di calcolo dell'ingegnere o di analisi del chimico. 
La giurisprudenza sulla responsabilit� dell'avvocato che ha errato non pu� correre 
parallela a quella sulla responsabilit� del chimico, o di chi compie un calcolo 
sulla resistenza dei materiali, o del chirurgo che non si attiene a certe 
prescrizioni. 

Per questa ragione la posizione del burocrate cui � ordinato di stendere un 
provvedimento ch'egli ritiene errato, non pu� essere assimilata a quella dell'altro 
burocrate - ingegnere del Genio civile o del Corpo delle miniere - cui venisse ordinato 
di redigere un progetto od un'analisi di roccie, che egli ritenesse errati. 

Qui veramente la erroneit� ed il falso coinciderebbero, ed egli a buon diritto 
si rifiuterebbe di stendere quell'elaborato, anche se non dovesse venire 
da lui sottoscritto. (Ma anche nel campo tecnico vi sono scelte dell'Amministrazione; 
ho sentito parlare di un certo porto non so se di terza o quarta categoria, 
che tutte le ragioni tecniche, di venti, correnti e maree, vorrebbero fosse 
costruito a sud di un dato promontorio; mentre l�Amministrazione vuole sia 
costruito a nord, per non rischiare che attragga a s� il traffico di un altro porto; 
questa � ancora una scelta politica, in contrasto con consigli della tecnica, di 


spettanza dell'Amministrazione; la quale non potrebbe invece mai, insistiamo, 
esigere dal pi� umile dei suoi dipendenti di preparare, sia pure non sottoscrivendoli, 
calcoli o rilievi errati). 

Dove poi c'� l'esposizione personale del funzionario che sottoscrive, potrebbe 
parere che, anche rimossa ogni idea di alterazione della verit� e rimanendo 
sul terreno dell'opinabile, anche ricordato che non siamo mai qui dinanzi 
ai veri casi di coscienza, quelli che implicano per il credente l'idea di peccato, 
dovesse pur sempre affermarsi che nessuno possa essere costretto a sostenere 
una tesi che non senta (si diceva gi� al mio tempo che non solo il colonnello 
comandante del reggimento non poteva imporre al sottotenente medico di dichiarare 
sano il soldato che quello ritenesse malato, ma anche il capitano medico 
avrebbe potuto sovrapporre il suo giudizio a quello del subalterno, non 
per� costringere questi a sottoscrivere una diagnosi cui non credeva). 

Pu� trasferirsi senz'altro questo nell'ambito dell'avvocatura? 

Mi riporto al foro libero e potrei anche fare appello a reminiscenze personali. 
In uno studio di qualche importanza (anche i nostri; in altri Paesi gli 
studi di avvocati sono quasi piccoli ministeri) accanto ad un titolare ci sono 
dei sostituti; ma uno o due di questi per et� e per esperienza assumono rango 
di associati; e sottoscrivono con il titolare memorie e ricorsi (talora sono fatti 
apparire unici difensori di un litisconsorte). L'opera di collaborazione si svolge 
in perfetta cordialit�, di solito, e di fronte al giudice i vari avvocati appaiono 
sul medesimo piano; sta peraltro che alla parit� giuridica non si accompagna 
una parit� reale, e soprattutto che il cliente si � rivolto al titolare dello studio, 
all'avvocato di maggiore fama. Il meno anziano molte volte constata che le 
osservazioni di questi, i mutamenti ch'egli suggerisce nella linea di difesa, corrispondono 
all'interesse del cliente; qualche volta pu� invece non essere persuaso. 
Ma, per venire ai miei ricordi personali, non mi sono sentito umiliato 
le poche volte che, pure non essendo convinto, ho mod�f�cato la comparsa od 
il ricorso secondo ci� che ritenevano Enrico Redenti o poi V.E. Orlando, che 
credevano in un mezzo di ricorso in cui io non credevo, che ritenevano pericoloso 
quell'argomento che a me sembrava buono, e che loro pensavano potesse 
suggerire all'avversario una tesi affascinante a suo pro; o semplicemente 
urtare il giudice. Non vedo perch� l'avvocato dello Stato, che, firma s� la comparsa, 
ma � inserito in un organismo a tutti noto, con gradi e gerarchia, sicch� 
pu� sempre dire, come in effetto dice, che quella linea � stata voluta dall'Avvocato 
generale o dall'avvocato distrettuale, dovrebbe sentirsi umiliato. (Pu� 
del resto notarsi che nelle difese gli avvocati dello Stato possono sostituirsi 
l'uno all'altro, senza che occorrano particolari provvedimenti; sicch� � costante 
e lodevole uso che le difese scritte siano firmate da chi ne � l'autore, ma nulla 
vieterebbe che recassero invece la sottoscrizione dell'Avvocato generale o di 
quello distrettuale). 

Non si d� un 'apposita norma che regoli i rapporti tra gli avvocati distret



tuali ed il personale dei loro uffici o tra l'Avvocato generale e quello addetto 
alla avvocatura generale (quando l'art. 15 del t.u, suona: l'avvocato generale 
�sovraintende alla trattazione degli affari contenziosi e consultivi con generali 
istruzioni e speciali norme direttive �, mi pare si riferisca all'andamento del 
servizio nel suo complesso, e non alle mansioni che sono proprie dell'Avvocatura 
generale, come quella che patrocina dinanzi alle giurisdizioni superiori 
e che esercita le mansioni di avvocatura distrettuale per il distretto di Roma); 
in mancanza di quest'apposita norma e cercando di conciliare i pr�ncipi generali 
con la peculiarit� del funzionario statale che sottoscrive in proprio, direi: 
che un avvocato dello Stato non possa rifiutarsi di compilare gli scritti difensivi 
secondo le direttive impartite dall'avvocato distrettuale o dall'Avvocato generale; 
che in un caso di reciso dissenso potr� pregare di passare il compito ad 
un collega, e un superiore per poco che conosca l'arte del saper vivere, non rifiuter� 
di accedere a questa preghiera, ov'essa sia veramente eccezionale, 
quanto a dire impartita una tantum: ma se non fosse possibile accedervi, ad 
es. per mancanza di personale, non potrebbe l'avvocato rifiutarsi di seguire 
nelle difese quelle direttive. Ma cos� in questo caso, come nell'altro, dello 
scritto defensionale steso dall'avvocato e profondamente modificato dal superiore, 
con modifiche non di pura forma, credo che potrebbe l'avvocato rifiutare 
la sua sottoscrizione, chiedendo al superiore di apporre la propria. 

Non ritengo che potrebbe invece rifiutare di prestarsi alla discussione 
orale: con il cumulo di lavoro che si d� in molte avvocature non � a pensare 
siano sempre possibili sostituzioni. La discussione orale � assai meno impegnativa 
della sottoscrizione di una comparsa o di un ricorso: anche sommi avvocati 
si trovano talora a dover discutere, associati all'ultimo momento, con il 
rovello che la difesa non sia stata diversamente architettata; siccome ormai il 
gioco � fatto, non si d� menomazione della loro rinomanza se si limitano a 
cercare i migliori argomenti per sostenere l'impalcatura che altri, che con la 
firma ne ha assunto la responsabilit�, ha eretto. 

Non scorgo una norma di legge che preveda questi casi, ma la soluzione 
che prospetto mi sembra il contemperamento delle due situazioni, quella burocratica 
del capo dell'ufficio che pu� dare direttive e sui cui ricade in definitiva 
la responsabilit� dell'esito buono o meno buono della pratica, e quella 
peculiare del dipendente che sottoscrive come proprio lo scritto. 

7. � stata di recente dibattuta la questione se dagli artt. 15 (l'Avvocato 
generale fa tutte le proposte per le nomine e per ogni altro provvedimento riguardante 
il personale dell'Avvocatura), e 17 (� Gli uffici dell'Avvocatura dello 
Stato dipendono � dal Presidente del Consiglio, � e sono posti sotto la immediata 
direzione dell'Avvocato generale �) del t.u., e dalle norme degli artt. 55, 
56 e 57 del regol. 30 ottobre 1933 n. 1612 per cui � il Presidente del Consiglio, 
su proposta dell'Avvocato generale, che provvede ai trasferimenti, alle desti



nazioni a capo degli uffici distrettuali, alle missioni degli avvocati dello Stato, 
possa vedersi un rapporto di gerarchia tra l'Avvocato generale ed il Presidente 
del Consiglio, sicch� sia dato ricorso gerarchico avverso i provvedimenti del 
primo; problema per cui � a tener presente l'art. 40 del t.u. (� la censura e la 
riduzione dello stipendio sono inflitte dall'Avvocato generale con provvedimento 
definitivo �, ci� che pare accennare ad una non definitivit� di altri provvedimenti, 
e pertanto alla esistenza di una gerarchia). 

Tale questione della possibilit� di ricorso gerarchico alla Presidenza del 
Consiglio avverso provvedimenti dell'Avvocato generale ha formato oggetto 
di un parere del Consiglio di Stato, ad. gen., 23 novembre 1967 (14). 

L'Avvocatura generale sosteneva che per essa, come per il Consiglio di 
Stato e per la Corte dei conti, non pu� darsi gerarchia tra chi � a capo di questi 
istituti ed il Presidente del Consiglio dei ministri. Un rapporto di gerarchia si 
costituirebbe solo tra organi di amministrazione attiva; per quanto attiene al-
l'amministrazione dell'Avvocatura e cos� del personale, l'Avvocato generale ha 
il complesso di poteri che normalmente spettano ai ministri, ma che ha pure il 
presidente della Corte dei conti in virt� dell'autonomia di questo istituto. Ci sono 
alcuni provvedimenti che debbono venire adottati dalla Presidenza del Consiglio, 
ma sempre su proposta dell'Avvocato generale; in questi casi si ha attivit� coordinata 
dei due organi, che � cosa ben diversa dal rapporto gerarchico. 

La Presidenza del Consiglio negava invece l'assimilazione dell'Avvocatura 
al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti, fondandosi soprattutto sulla menzione 
nella Costituzione dei due ultimi e non dell'Avvocatura, ma facendo altres� 
presente che non solo non poteva porsi in dubbio l'assoluta indipendenza 
dello svolgimento della funzione giurisdizionale dei due organi e di quella di 
controllo della Corte dei conti, ma doversi notare che anche la funzione consultiva 
del Consiglio di Stato si svolge a garanzia della obiettivit� e legalit� 
dell'azione amministrativa, mentre l'Avvocatura rimarrebbe compresa nell'Amministrazione, 
quale organo tecnico cui spetta curare la realizzazione e la tutela, 
per le vie giurisdizionali, degl'interessi propri dell'Amministrazione rappresentata. 
Il Consiglio di Stato e la Corte dei conti sarebbero organi dello Stato-comunit� 
o Stato-ordinamento, l'Avvocatura dello Stato-amministrazione. 

Il Consiglio di Stato nel suo parere ha dato rilievo alla posizione costituzionale 
del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, tradizionale nel nostro 
ord�namento, e che pu� anche riannodarsi agli istituti del regno di Sardegna. 
Invece l'Avvocatura trae le sue origini dagli uffici del contenzioso finanziario, 
organi del Ministero delle Finanze, istituiti con un r.d. 9 ottobre 1862 n. 915. 
Ed ha poi detto che occorre far capo al rapporto che lega l'Avvocatura all'Amministrazione, 
ma collegare questo rapporto a quello che lega il comune av


(14) Il Consiglio di Stato, 1967, I, pg. 2349; Giustizia civile, 1968, II, 151. 


vocato alla parte. Questa � l'Amministrazione, e nel Presidente del Consiglio 
�si riassumono la direzione e l'impulso dell'attivit� amministrativa �, mentre 
l'Avvocato generale �deve rendersi interprete delle esigenze di questa �; la responsabilit� 
economica, giuridica, anche politica, del giudizio cade sempre 
sull'Amministrazione. Certo l'Avvocatura non pu� essere tenuta a sostenere 
una causa che ritenga indifendibile; �la dignit� dell'Amministrazione dovrebbe 
a priori escludere che questa decida di comparire in giudizio nella veste del 
litigante temerario; comunque per il caso in cui si realizzi un insanabile contrasto 
di valutazione fra l'Amministrazione e l'Avvocatura, si pu� ricorrere all'art. 
5 del t.u. 30 ottobre 1933, che prevede la possibilit� che la difesa dello 
Stato sia affidata a un avvocato del libero foro �. 

Quindi possibilit� in massima di ricorso gerarchico contro il provvedimento 
dell'Avvocato generale al Presidente del Consiglio dei ministri. 

Concorderei nella conclusione e nelle parti essenziali del parere. Non su 
ogni punto. 

Cos� non so ravvisare differenza di sostanza tra l'attivit� consultiva del Consiglio 
di Stato e quella dell'Avvocatura, entrambe volte a ricercare che il provvedimento 
divisato sia conforme a legge e sia conveniente per l'Amministrazione. 

Cos� non ritengo, come ho detto, che possa l'Avvocatura rifiutare d'instaurare 
una causa che il Governo intenda invece espletare; ed il parere non 
mi sembra tenga conto di ci� che avrebbe di pregiudizievole il ricorso all'avvocato 
del foro libero, se esso dovesse istituzionalmente significare che l'Avvocatura 
ritiene assolutamente indifendibile la tesi dell'Amministrazione. 

8. Vorrei ancora accennare ad un'altra peculiarit� dell'Avvocatura: che, 
pur essendovi gradi e promozioni di grado, non si hanno competenze specifiche 
per grado; per l'art. 1� del t.u. � gli avvocati dello Stato esercitano le loro 
funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni �. Non gioca quindi per loro una norma 
sulle attribuzioni dei vari gradi, come si d� nello statuto degl�impiegati civili, 
e la norma dell'art. 31 di detto statuto, � L'impiegato ha diritto all'esercizio 
delle funzioni inerenti alla sua qualifica... pu� essere destinato a qualunque 
altra funzione purch� corrispondente alla qualifica che riveste � non pu� trovare 
che un'applicazione particolare. 

Non ne farei per� discendere la conseguenza che qui l'avvocato dello 
Stato sia in balia del superiore come non � l'impiegato della burocrazia, e che 
mentre il direttore di divisione non potrebbe essere ridotto alle mansioni di 
consigliere, il sostituto avvocato generale possa venire ridotto alle pi� modeste 
mansioni, a curare questioni d'ingiunzioni fiscali, od in genere ad attendere 
alle vertenze che nel foro libero sono di spettanza dei giovani legali. Ogni impiegato 
di qualsiasi ruolo e grado ha diritto a disimpegnare le sue funzioni; un 
diritto morale di non minore importanza di quello economico alla retribuzione; 
sarebbe assurdo negare tale diritto a chi ha la posizione moralmente pi� ele



vata. Se qualcuno viene dal superiore ritenuto ormai inabile all'esercizio delle 
sue funzioni, deve aprirsi il procedimento per la dispensa dal servizio; diversamente 
anche in seno all'Avvocatura deve seguirsi la consueta regola di attribuire 
a ciascuno un lavoro inerente al suo grado ed alla sua anzianit�, e pure 
l'avvocato dello Stato ha le difese che avrebbero il direttore di divisione ed il 
direttore di sezione nel caso che il direttore generale volesse fare loro compiere 
il lavoro normalmente svolto dai consiglieri. 

In un giudizio di legittimit� potr� esserci qualche difficolt� a riscontrare 
quando ci� segua; tutti sappiamo che stendere una citazione � molte volte assai 
pi� impegnativo che non redigere un ricorso in Cassazione e che anche dinanzi 
ad un pretore pu� venire agitata una questione di massima di grande rilievo. 
Ci� non toglie che dallo stesso diritto positivo, che contempla un albo speciale 
degli abilitati al patrocinio in Cassazione, emerga che sono ritenuti di particolare 
rilievo i giudizi dinanzi alle giurisdizioni superiori, sicch� la sistematica 
sottrazione ad un avvocato di questi ricorsi, non compensata dall'attribuzione 
d� lavori del ramo consulenza di particolare importanza, integrerebbe quella 
lesione della sua posizione che gli darebbe diritto d'insorgere. 

Una sentenza dei giudici amministrativisul ruolo degli avvocati dello Stato 

N. 08127/2012 REG.PROV.COLL. 

N. 08898/2011 REG.RIC. 

N. 10205/2011 REG.RIC. 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio 

(Sezione Seconda) 
ha pronunciato la presente 

SENTENZA 
sul ricorso numero di registro generale 8898 del 2011, proposto da: 
(...), rappresentati e difesi dall�avv. Enrico Iossa ed elettivamente domiciliati presso lo studio 
dell�avv. F. Pontesilli in Roma, Via Orestano, n. 21; 

contro 
il MINISTERO DELL�ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore ed il 
CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA, in persona del rappresentante legale 
pro tempore, rappresentati e difesi dall�Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede 
domiciliano per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12; 

e con l'intervento di 
ad opponendum: 
(...), tutti rappresentati e difesi dall�avv. Giuseppe Nerio Carugno ed elettivamente domiciliati 
presso lo studio SPW & Associati in Roma, Via Bertoloni, n. 27; 


sul ricorso numero di registro generale 10205 del 2011, proposto da: 
CONSIGLIO DELL�ORDINE DEGLI AVVOCATI DI COSENZA, in persona del legale rappresentante pro 
tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Oreste Morcavallo, Giovanni Spataro e Giancarlo 
Gentile ed elettivamente domiciliato presso lo Studio Morcavallo in Roma, Via Arno, n. 6; 


contro 

il MINISTERO DELL�ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore ed il 
CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA, in persona del rappresentante legale 
pro tempore, rappresentati e difesi dall�Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede 
domiciliano per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12; 

e con l'intervento di 

ad opponendum: 
(...), tutti rappresentati e difesi dall�avv. Giuseppe Nerio Carugno ed elettivamente domiciliati 
presso lo studio SPW & Associati in Roma, Via Bertoloni, n. 27; 


per l'annullamento 
quanto al ricorso n. 8898 del 2011: 

- del bando di concorso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale in data 16 agosto 2011 per la copertura 
di 960 posti vacanti di giudici presso le Commissioni tributarie regionali e provinciali; 


-di ogni altro atto e provvedimento, preordinato, connesso, collegato e conseguente se ed in 
quanto lesivo degli interessi dei ricorrenti. 
quanto al ricorso n. 10205 del 2011: 
del bando di concorso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 agosto 2011 per n. 960 posti 
di giudici tributari indetto dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. 
Visti i ricorsi con i relativi allegati; 
Vista la costituzione in entrambi i giudizi delle Amministrazioni intimate nonch� gli interventi 
ad opponendum negli stessi proposti e tutti i documenti depositati; 
Esaminate le ulteriori memorie con i documenti prodotti; 
Visti gli atti tutti delle cause; 
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2012 il dott. Stefano Toschei e uditi per le 
parti i difensori come specificato nel verbale; 
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 


FATTO e DIRITTO 

1. - Con il ricorso rubricato al n. R.g. 8898 del 2011 alcuni dipendenti del�Agenzia delle 
entrate (meglio specificati in epigrafe), con una maturata professionalit� nell�ambito del settore 
tributario per avere svolto attivit� di difesa dell�amministrazione innanzi alle commissioni 
tributarie e comunque per avere sempre operato in detto settore, contestano la legittimit� del 
bando di concorso per la copertura di 960 posti vacanti di giudice tributario nella parte in cui 
esso si presenta riservato ad una sola delle categorie di legittimati ad essere nominati giudice 
tributario, previo superamento di concorso, indicate tassativamente nell�art. 4 del decreto legislativo 
31 dicembre 1992 n. 545, vale a dire a quella (macrocategoria) riconducibile alla 
lettera a) del predetto articolo 4 e quindi �i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, 
in servizio o a riposo, e gli avvocati e procuratori dello Stato a riposo�. 
Premettono i ricorrenti che il bando impugnato � stato pubblicato in seguito all�introduzione 
nel nostro ordinamento dell�art. 39 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella 
legge 15 luglio 2011 n. 111 che, al comma 4, ha previsto l�espletamento di un concorso per 
la copertura di posti vacanti per 960 giudici tributari da reclutarsi esclusivamente tra i soggetti 
appartenenti alle categorie di cui all�art. 4, comma 1, lett. a) del decreto legislativo n. 545 del 





1992 �in servizio, che non prestino gi� servizio nelle predette commissioni�. 
Ad avviso dei ricorrenti il bando � illegittimo in quanto adottato in applicazione di una disposizione 
di legge che manifesta palesi contrasti con numerosi principi costituzionali. 
Un primo contrasto si appalesa con riferimento ai principi di cui agli artt. 3 e 97 cost. per la 
�ingiustificata disparit� di trattamento operata tra i dirigenti dell�Agenzia delle Entrate e gli 
avvocati e procuratori dello Stato, entrambe categorie apicali di dipendenti pubblici che non 
hanno nessuna differenziazione dal punto di vista giuridico� (cos�, testualmente, a pag. 5 del 
ricorso introduttivo) dal momento che, nello specifico, i ricorrenti �hanno sempre svolto attivit� 
di difesa dell�amministrazione nei giudizi pendenti innanzi le Commissioni tributarie o 
quanto meno hanno operato nel settore tributario, maturando quelle capacit� tecniche ed extragiuridiche 
che il Legislatore del 1992 ha inteso garantire. Tecnicismo che non appartiene 
alla categoria degli avvocati e procuratori dello Stato che non presenziano mai alle udienze 
innanzi le Commissioni Tributarie essendo le funzioni delegate ai funzionari dell�Agenzia 
delle Entrate� (cos�, testualmente, alle pagg. 4 e 5 del ricorso introduttivo). 
Peraltro nella norma in questione si manifesterebbe una evidente violazione dei principi di 
uguaglianza e di non discriminazione, ledendo anche i principi di diritto comunitario, palesandosi 
in quella disposizione restrittiva un patente contrasto con l�art. 51 cost., in relazione 
al principio di eguaglianza dei cittadini per l�accesso ai pubblici uffici e con l�art. 97 in ordine 
al buon andamento della Pubblica amministrazione. 
Del resto, soggiungono i ricorrenti, anche la giurisprudenza �attribuisce valore preminente 
all�interesse dell�amministrazione ad operare la selezione dei candidati da assumere nell�ambito 
della pi� amplia platea possibile dei concorrenti� (cos�, testualmente, a pag. 8 del ricorso 
introduttivo), mentre la norma in questione deroga irragionevolmente alla disciplina generale, 
fissata dal Legislatore nel 1992, introducendo una disparit� di trattamento ingiustificata tra le 
categorie dei soggetti legittimati ad aspirare alla nomina a giudice tributario, attribuendo un 
sacrificio non giustificato nei confronti delle categorie escluse. 
Sotto altro versante, ad avviso dei ricorrenti, va rimarcato come il principio di uguaglianza 
operi come criterio di giudizio sulle leggi anche secondo l�avviso dei giudici comunitari (in 
proposito viene citata la decisione della Corte di giustizia UE 12 luglio 2001, causa C189/
2001) e, di conseguenza, costituendo una specificazione del ridetto principio, il Legislatore 
nell�introdurre disposizioni di legge deve tenere conto anche del principio di non discriminazione 
di matrice comunitaria (in proposito viene richiamata la decisione della Corte di giustizia 
UE 12 dicembre 2000, causa C-442/2000): con riferimento ad entrambi i principi la previsione 
normativa in esame si presenta violativa di entrambi ed ingiustificata, oltre che irragionevole. 
Da qui la proposizione della questione di illegittimit� costituzionale dell�art. 39 del decreto legge 
6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 nella parte in cui, al comma 4, 
ha previsto l�espletamento di un concorso per la copertura di posti vacanti per 960 giudici tributari 
da reclutarsi esclusivamente tra i soggetti appartenenti alle categorie di cui all�art. 4, 
comma 1, lett. a) del decreto legislativo n. 545 del 1992, per violazione degli artt. 3, 51 e 97 
Cost. oltre che per contrasto con i principi di matrice comunitaria di uguaglianza e di non discriminazione 
e la conseguente richiesta di annullamento, in via derivata, del bando impugnato. 


2. � Si � costituita in giudizio l�Avvocatura generale dello Stato per il Ministero intimato e 
per il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria contestando analiticamente le avverse 
prospettazioni e rilevando come la norma, posta dai ricorrenti sotto i riflettori dell�indagine 
in merito alla sua compatibilit� costituzionale, sia pienamente rispettosa dei principi costituzionali 
e comunitari invocati dai medesimi ricorrenti, in particolare non potendosi considerare 





irragionevole � n� tanto meno contrastante con le diposizioni costituzionali invocate � l�obiettivo 
perseguito con la norma in questione dal Legislatore di voler �rafforzare ulteriormente 
(il) processo di inserimento progressivo di un consistente numero di giudici togati nelle Commissioni 
tributarie�, al fine di garantire la soddisfazione �delle esigenze dei contribuenti di 
ottenere giustizia in tempi brevi, con provvedimenti emessi da organi la cui futura composizione 
garantir� maggiore terziet� e imparzialit�� (cos�, testualmente, alle pagg. 7 e 8 della 
memoria conclusiva). 
Hanno spiegato intervento ad opponendum alcuni magistrati ordinari, che hanno presentato 
domanda di partecipazione al concorso in questione, sostenendo l�inammissibilit� del ricorso 
per difetto di causa petendi e di petitum, avendo dedotto i ricorrenti come censura principale 
del gravame esclusivamente la illegittimit� costituzionale della disposizione in attuazione 
della quale � stato bandito il concorso, sicch� il petitum del ricorso proposto pu� considerarsi 
come tendente ad un vantaggio non immediato ma esclusivamente condizionato all�esito del-
l�eventuale giudizio costituzionale, senza peraltro che nel ricorso stesso venga evidenziato 
alcun deficit di legittimit� proprio del bando. Nel merito gli intervenienti rappresentano come 
il gravame debba essere respinto posto che l�obiettivo di salvaguardia dell�interesse pubblico 
consistente nell�assicurare �una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria, garantendo 
altres� imparzialit� e terziet� del corpo giudicante� (cos�, testualmente, a pag. 6 del-
l�atto di intervento) risulta essere ben marcato ed esplicitato nella norma di legge in attuazione 
della quale � stato pubblicato il bando di concorso qui principalmente impugnato. 


3. � Con separato ricorso, rubricato al n. R.g, 10205 del 2011, il Consiglio dell�Ordine degli 
avvocati di Cosenza, sul presupposto di voler tutelare gli appartenenti alla categoria forense 
iscritta a quell�ordine dalla ingiusta esclusione dal novero dei legittimati a partecipare al concorso 
in questione, ha anch�esso impugnato il relativo bando prospettandone la illegittimit� 
derivata dalla illegittimit� costituzionale delle disposizioni contenute nell�art. 39, comma 4, 
del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111. 
Nel contestare il grave contrasto costituzionale il Consiglio ricorrente evidenzia come le cennate 
disposizioni siano state emanate in palese conflitto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost. nonch� 
con l�art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea, perch� scorrettamente 
invasive dei principi di uguaglianza, non discriminazione, di libero accesso al pubblico impiego 
ed alle cariche pubbliche. 
Conseguentemente il Consiglio ricorrente chiedeva al Tribunale amministrativo adito di sollevare 
la questione di illegittimit� costituzionale della fonte primaria che si pone a presupposto 
dell�emanazione del bando, sussistendo la rilevanza della questione e la non palese infondatezza 
della stessa. 
4. � Anche in questo secondo ricorso si � costituita in giudizio l�Avvocatura generale dello 
Stato per il Ministero intimato e per il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria eccependo 
preliminarmente il difetto di legittimazione attiva in capo al Consiglio dell�Ordine degli 
avvocati (di Cosenza). Nel merito la difesa erariale ha confermato la correttezza del bando in 
quanto pienamente aderente alla disposizione di fonte primaria della quale esso costituisce 
attuazione e ha ribadito la perfetta compatibilit� costituzionale della ridetta disposizione che 
non manifesta alcun contrasto con i principi costituzionali nonch� con quelli comunitari la 
cui violazione � paventata dal Consiglio ricorrente. 
Hanno spiegato intervento ad opponendum alcuni magistrati ordinari, che hanno presentato 
domanda di partecipazione al concorso in questione, sostenendo anch�essi il difetto di legittimazione 
attiva del consiglio ricorrente. Come � avvenuto in occasione dell�intervento nel 





primo ricorso del quale si � pi� sopra detto (seppure gli intervenienti, in questo caso, siano 
persone fisiche diverse da quelle intervenute nel primo giudizio), anche in questo secondo 
atto di intervento � stata eccepita, per le stesse ragioni gi� illustrate, l�inammissibilit� del ricorso 
per difetto di causa petendi e di petitum. Nel merito gli intervenienti riproducono quanto 
gi� rappresentato in occasione del primo giudizio chiedendo la reiezione del gravame. 


5. � Nel corso del giudizio le parti presentavano ulteriori memorie confermando le gi� rassegnate 
conclusioni. 
6. � Va anzitutto rilevata la evidente sussistenza dei presupposti richiesti dall�art. 70 c.p.a. per 
disporre la riunione dei due ricorsi perch� siano decisi in un unico contesto, dal momento che 
tra gli stessi intercorrono palesi connessioni, sia dal punto di vista soggettivo che da quello 
oggettivo, trattandosi di contenziosi attinenti ad una medesima procedura selettiva ed assumendosi 
in entrambi il contrasto della medesima disposizione di fonte primaria con taluni 
principi costituzionali e comunitari che coincidono nelle deduzioni che accompagnano gli atti 
introduttivi dei due gravami. 
Pu�, dunque, disporsi la riunione del ricorso n. R.g. 10205 del 2011 al ricorso n. R.g. 8898 
del 2011. 
7. � Va preliminarmente verificata la fondatezza della eccezione sollevata dagli intervenienti e 
dalla difesa erariale nell�ambito del ricorso n. R.g. 10205 del 2011 con riferimento alla paventata 
carenza di interesse a ricorrere in capo al Consiglio dell�Ordine degli avvocati di Cosenza. 
Come � noto le associazioni di settore sono legittimate a difendere in sede giurisdizionale gli 
interessi di categoria dei soggetti di cui hanno la rappresentanza, con il rigoroso ed inderogabile 
limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni concernenti i singoli iscritti, ovvero 
capaci di dividere la categoria in posizioni disomogenee. L'interesse collettivo deve identificarsi 
con l'interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata, e non 
con interessi di singoli associati o gruppi di associati, perch� l'associazione di categoria � legittimata 
a proporre ricorso soltanto a tutela della totalit� dei suoi iscritti, e non anche per la 
salvaguardia di posizioni proprie di una parte sola degli stessi. In particolare, gli enti esponenziali 
- secondo i principi che vietano conflitti infraassociativi anche meramente potenziali 


-non possono sostituirsi processualmente ad una componente non totalitaria dei propri iscritti 
per impugnare bandi dei quali altri iscritti potrebbero invece decidere di avvalersi, per partecipare 
in modo proficuo alla selezione cos� bandita (ritenendo convenienti clausole che, viceversa, 
l'associazione di riferimento sostiene essere lesive per la categoria). 
Nel caso di specie, il bando in questione esclude tutti gli avvocati (tranne quelli dello Stato) 
dalla partecipazione al concorso e ci� perch� previsto dall�art. 39, comma 4, del decreto legge 
n. 98 del 2011. Appare dunque evidente che ciascun avvocato del libero foro ovvero avvocato 
operante in avvocature pubbliche diverse dall�Avvocatura dello Stato sia legittimato, in quanto 
escluso dalla partecipazione al concorso in questione, a proporre ricorso contro il relativo 
bando e cos� i singoli consigli dell�Ordine (non ultimo il Consiglio nazionale forense), con la 
conseguenza che l�eccezione di carenza di legittimazione ad impugnare il bando sollevata nei 
confronti del Consiglio dell�Ordine degli avvocati di Cosenza si presenta infondata. 


8. - Ancora in rito va rilevato che non appare convincente l�eccezione sollevata dagli intervenienti, 
con riferimento ad entrambi i giudizi, secondo i quali si paleserebbe l�inammissibilit� 
dei ricorsi in quanto l�impugnazione del bando non costituirebbe un bersaglio diretto dei due 
contenziosi, ma avrebbe uno scopo meramente strumentale stante il principale interesse dei ricorrenti 
a veder sollevata dal Tribunale amministrativo adito la questione di illegittimit� costituzionale 
della disposizione contenuta nell�art. 39, comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011. 





Infatti la legittimit� o meno del bando di concorso impugnato, una volta verificata la sua piena 
coerenza con la norma alla quale con la sua pubblicazione viene data attuazione (fatto che non 
� contestato da nessuna delle parti in causa) e con essa la sussistenza o meno del potere in capo 
all�Amministrazione (e per essa al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria) di bandire 
il concorso con le modalit� qui contestate, possono essere scrutinati esclusivamente in seguito 
alla verifica di compatibilit� costituzionale della norma recata dalla fonte di livello primario, 
dalla quale scaturisce il potere di bandire la selezione per l�arruolamento di 960 nuovi magistrati 
tributari limitando la partecipazione ad alcune categorie di aspiranti rispetto a tutte quelle tassativamente 
determinate in via generale dal decreto legislativo n. 545 del 1992. Deriva da ci� 
che non si palesa alcuna carenza di attualit� dell�interesse a ricorrere da parte dei ricorrenti in 
ordine all�impugnazione del bando di gara, dal momento che � proprio con la pubblicazione 
del bando che diviene attuale e concreto il pregiudizio provocato dalla introduzione di una 
norma di legge nel nostro ordinamento che si afferma essere contrastante con principi costituzionali 
e comunitari e quindi di portata pregiudizievole per i soggetti destinatari. 


9. � Nel merito, come si � gi� detto, entrambi i ricorsi si soffermano sulla necessit� di sottoporre 
alla Corte costituzionale la questione circa la compatibilit� delle disposizioni recate 
dall�art. 39, comma 4, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 
2011 n. 111 che cos� recita (nella versione prodotta dalla modifica intervenuta per effetto della 
legge di conversione n. 111 del 2011 e, successivamente, ad opera dell'art. 2, comma 35-quinquies, 
lett. b), del decreto legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 14 settembre 2011 n. 148): �4. Al fine di coprire, a decorrere dal 1� gennaio 2012, i 
posti vacanti alla data di entrata in vigore del presente decreto, il Consiglio di Presidenza 
provvede ad indire, entro due mesi dalla predetta data, apposite procedure ai sensi dell'articolo 
9 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, senza previo espletamento della procedura 
di cui all'articolo 11, comma 4, del medesimo decreto legislativo, per la copertura di 960 posti 
vacanti presso le commissioni tributarie. Conseguentemente le procedure di cui al citato articolo 
11, comma 4, avviate prima della data di entrata in vigore del presente decreto sono revocate. 
I concorsi sono riservati ai soggetti appartenenti alle categorie di cui all'articolo 4, 
comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, in servizio, che non 
prestino gi� servizio presso le predette commissioni. Ai fini del periodo precedente, si intendono 
in servizio i magistrati non collocati a riposo al momento dell'indizione dei concorsi.�. 
Nello stesso art. 39, il comma 1 chiarisce in via generale l�intento del Legislatore nell�introdurre 
nuove disposizioni nel settore della giustizia tributaria precisando che: �Al fine di assicurare 
una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria, garantendo altres� 
imparzialit� e terziet� del corpo giudicante, sono introdotte disposizioni volte a: a) rafforzare 
le cause di incompatibilit� dei giudici tributari; b) incrementare la presenza nelle Commissioni 
tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari, e 
contabili in servizio o a riposo ovvero tra gli avvocati dello Stato a riposo; c) ridefinire la 
composizione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria in analogia con le previsioni 
vigenti per gli organi di autogoverno delle magistrature�. 
Per completezza illustrativa delle norme che hanno rilievo nel presente contenzioso, l�art. 9 
del decreto legislativo n. 545 del 1992 (recante la disciplina dei procedimenti di nomina dei 
componenti delle commissioni tributarie) nella sua nuova formulazio cos� dispone: �1. I componenti 
delle commissioni tributarie sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica 
su proposta del Ministro delle finanze, previa deliberazione del consiglio di presidenza, secondo 
l'ordine di collocazione negli elenchi previsti nel comma 2. 2. Il consiglio di presidenza procede 



alle deliberazioni di cui al comma 1 sulla base di elenchi formati relativamente ad ogni commissione 
tributaria e comprendenti tutti gli appartenenti alle categorie indicate negli articoli 3, 
4 e 5 per il posto da conferire che hanno comunicato la propria disponibilit� all'incarico e sono 
in possesso dei requisiti prescritti. 2-bis. Per le commissioni tributarie regionali i posti da conferire 
sono attribuiti in modo da assicurare progressivamente la presenza in tali commissioni 
di due terzi dei giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, 
in servizio o a riposo, ovvero gli avvocati dello Stato, a riposo. 3. Alla comunicazione di disponibilit� 
all'incarico deve essere allegata la documentazione circa l'appartenenza ad una delle 
categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5 e il possesso dei requisiti prescritti, nonch� la dichiarazione 
di non essere in alcuna delle situazioni di incompatibilit� indicate all'art. 8. 4. La formazione 
degli elenchi di cui al comma 2 � fatta secondo i criteri di valutazione ed i relativi 
punteggi indicati nella tabella E e sulla base della documentazione allegata alla comunicazione 
di disponibilit� all'incarico. 5. Il Ministro delle finanze stabilisce con proprio decreto il termine 
e le modalit� per le comunicazioni di disponibilit� agli incarichi da conferire e per la formazione 
degli elenchi di cui al comma 2. 6. Le esclusioni dagli elenchi di coloro che hanno comunicato 
la propria disponibilit� all'incarico, senza essere in possesso dei requisiti prescritti, � fatta con 
decreto del Ministro delle finanze, su conforme deliberazione del consiglio di presidenza.�. 
Orbene tutti i ricorrenti sostengono che le nuove disposizioni introdotte con il surriprodotto art. 
39, comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011 contrastino con i principi presidiati dagli artt. 3, 
51 e 97 Cost. nonch� con l�art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea, dal 
momento che tali previsioni di fonte primaria invadono e colpiscono i principi di uguaglianza, 
non discriminazione, di libero accesso al pubblico impiego ed alle cariche pubbliche. 
In particolare i ricorrenti di cui al ricorso rubricato al n. R.g. 8898 del 2011 sostengono, nella 
loro qualit� di dipendenti dell�Agenzia delle entrate e di consueti difensori dell�Amministrazione 
finanziaria dinanzi alle Commissioni tributarie, di essere stati ingiustificatamente esclusi 
dal novero delle categorie di aspiranti alla nomina di 960 giudici tributari presso le Commissioni 
tributarie regionali e provinciali, quando non solo l�art. 9 del decreto legislativo n. 545 
del 1992 li elenca tra le categorie dei naturali legittimati a partecipare alle procedure per la 
nomina di giudice tributario, ma incomprensibilmente tra i soggetti legittimati a partecipare 
alla selezione di cui al bando qui gravato compaiono gli avvocati dello Stato che, in via ordinaria, 
si astengono dal difendere l�Amministrazione finanziaria dinanzi alle Commissioni tributarie, 
delegando tale attivit� proprio ai dipendenti dell�Amministrazione finanziaria stessa. 
Ci� determina una evidente disparit� di trattamento tra pubblici dipendenti, quali sono anche 
gli avvocati dello Stato, non potendo soccorrere a giustificare la ragionevolezza della disposizione 
contestata l�obiettivo di accentuare la presenza di giudici tributari provenienti da categorie 
di soggetti per le quali � pi� spiccato il carattere di terziet�, dal momento che tale 
profilo, tra le categorie favorite dall�art. 39, comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011, � proprio 
dei magistrati ma certo non degli avvocati dello Stato. 
Analogamente il Consiglio dell�Ordine degli avvocati di Cosenza, nel ricorso rubricato al n. 

R.g. 10205 del 2011, denuncia il carattere decisamente discriminatorio della norma appena 
richiamata, attraverso la quale � favorito ingiustificatamente l�accesso ad una carica pubblica 
di una categoria di soggetti, gli avvocati dello Stato, pretermettendo coloro che aspirano a 
svolgere le funzioni di giudice tributario e che attualmente, al pari degli avvocati dello Stato, 
svolgono la (medesima) professione forense. 

10. � Il Collegio, pur ritenendo rilevanti le questioni sollevate in entrambi i giudizi, ne evidenzia 
la manifesta fondatezza. 


Va premesso, in via generale, che l'esame delle censure formulate nei confronti della legge 
che si vuole sottoposta a controllo di costituzionalit� deve tener conto del vasto ambito di discrezionalit� 
che spetta al legislatore nelle scelte relative alla creazione e all'organizzazione 
dei pubblici uffici. Tali scelte - come � stato precisato in numerose circostanze dalla Corte 
costituzionale - non si sottraggono al sindacato sotto il profilo del buon andamento e dell'imparzialit� 
proclamati dall'art. 97, primo comma, della Costituzione. Le valutazioni consentite 
alla Corte costituzionale, tuttavia, per non esorbitare dagli apprezzamenti propri del controllo 
di costituzionalit� sulle leggi e non travalicare in quelli riservati agli organi legislativi, non 
possono eccedere i limiti del controllo di irragionevolezza. 
L'applicazione dell'anzidetto criterio di giudizio non permette di condividere il rilievo generale 
da cui espressamente muovono i ricorrenti: che la legge denunciata, non costituendo altro che 
un mero provvedimento di favore nei confronti di una determinata categoria di dipendenti 
pubblici, quella degli avvocati e procuratori dello Stato (atteso che le censure si appuntano 
soprattutto sulla previsione che favorirebbe i procuratori e gli avvocati dello Stato, senza sviluppare 
particolari rilievi al riguardo della previsione che individua nei magistrati ordinari, 
amministrativi e contabili, ulteriori categorie preferite dal legislatore per l�arruolamento dei 
nuovi 960 giudici tributari), al fine dell�inserimento di tali dipendenti nel novero delle pochissime 
categorie di soggetti legittimati a partecipare alla selezione di cui al bando qui principalmente 
impugnato. 
Come pu� leggersi agevolmente nei lavori preparatori alle disposizioni legislative qui contestate 
ed in particolare nella relazione illustrativa, l'articolo 39 del decreto legge n. 98 del 2011 
detta disposizioni volte a rafforzare le cause di incompatibilit� dei giudici tributari e a incrementare 
la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati 
ordinari, amministrativi, militari, e contabili ovvero tra gli Avvocati dello Stato, in servizio o 
a riposo, nonch� a modificare correlativamente alcune disposizioni relative al Consiglio di 
presidenza della giustizia tributaria. In questo ambito la disposizione recata dal comma 4 
�mira a consentire, nel pi� breve tempo possibile, la copertura di 960 posti vacanti. Ci� nel-
l�intento di arginare le gravi inefficienze che potrebbero derivare dall�impossibilit� di far funzionare 
i collegi giudicanti per carenza di personale giudicante dimessosi per incompatibilit� 
sopravvenuta� (cos�, testualmente, nella relazione illustrativa). 
Con ulteriore specifico riferimento alle questioni qui in esame, nella relazione illustrativa si 
legge anche che l�intendimento del Legislatore che si vuole raggiungere incrementando la 
presenza di magistrati ed avvocati dello Stato all�interno delle commissioni coincide con la 
necessit� di �rispondere all�esigenza di ammodernare la composizione delle commissioni tributarie 
regionali, alla luce dell�evoluzione del processo tributario dagli anni novanta ad oggi, 
che ha risentito del sempre maggiore tecnicismo della materia tributaria (�)�. 
Orbene appare evidente, anche dalla lettura della relazione illustrativa al testo di legge in esame, 
che le previsioni normative censurate per un verso costituiscono prescrizioni urgenti ed eccezionali 
(da qui la loro presenza in un decreto legge) per sopperire a condizioni di estrema difficolt� 
nelle quali versa la giustizia tributaria (non a caso il testo impone letteralmente e con 
marcata definitivit� il periodo di indizione del concorso straordinario, entro due mesi dal 1� 
gennaio 2012) nonch�, sotto altro versante, che la scelta del governo prima e del legislatore 
poi in sede di conversione, di attingere per tale reclutamento straordinario in alcune categorie 
tra quelle legittimate sin dal 1992 ad aspirare alla nomina di giudice tributario, si muove nel 
solco della duplice esigenza di rafforzare la caratteristica della terziet� del giudice tributario, 
garantendo al tempo stesso quella ormai necessaria alta specializzazione nel settore. 


Indubbiamente tali caratteristiche corrispondono alla figura degli avvocati dello Stato 
che, pur se tecnicamente difensori della parte pubblica, garantiscono nello svolgimento 
delle loro funzioni una attivit� tendenzialmente rivolta alla cura del pubblico interesse, 
piuttosto che compendiarsi in una difesa acritica dell�operato dell�Amministrazione. 
Con riguardo poi al livello di competenze nel settore, � noto che gli avvocati dello Stato 
tendono a specializzarsi in discipline e ci� accade anche per quella tributaria rispetto alla 
quale attualmente patrocinano dinanzi a tutte le Corti della giustizia tributaria per la difesa 
delle Amministrazioni finanziarie coinvolte nei contenziosi in materia, limitandosi 
soltanto a delegare talvolta (il che vuol dire che la titolarit� della difesa tecnica si mantiene 
in capo all�Avvocatura pubblica) ai funzionari dell�Agenzia delle entrate la difesa giudiziale 
dell�Amministrazione presso le commissioni di prima istanza, fermo restando che 
quando la natura o l'importanza delle questioni dibattute lo consiglino, l�Amministrazione 
finanziaria pu� sempre richiedere l�intervento dell�Avvocatura (distrettuale o generale), 
che � poi in ogni caso necessario negli eventuali gradi successivi di giudizio. 
Peraltro l�Avvocatura dello Stato assume la difesa delle Amministrazioni patrocinate 
sempre come istituzione (pur avendosi un affidamento personalizzato di ciascun affare, 
con garanzie interne che ne condizionano la revocabilit�), gli avvocati e procuratori dello 
Stato sono forniti di mandato promanante direttamente dalla legge (art. 1 del regio decreto 
30 ottobre 1933 n. 1611, recante il Testo unico sull�Avvocatura dello Stato), che li 
abilita all'esercizio delle loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni sulla base della semplice 
contezza della loro qualit� ed il patrocinio ha caratteri di esclusivit�, non potendo 
esso essere sostituito dalle amministrazioni statali, e neanche dagli enti pubblici che se 
ne avvalgono (quando tale utilizzazione non sia meramente facoltativa), se non nei casi 
e nelle forme previste dalla legge. 
L�attivit� degli avvocati e procuratori dello Stato assume quindi, indubbiamente, anche 
per le garanzie derivanti dalla riserva di legge che ne copre l'organizzazione e il funzionamento 
e per il principio di autonomia che ne informa la funzione nell'ambito dell'organizzazione 
complessiva dello Stato, una rilevanza istituzionale a livello di ordinamento 
generale, che non consente alcuna assimilazione con l'attivit� di qualsiasi altra struttura 
organizzata per l'assistenza legale ad un determinato soggetto ovvero con gli avvocati 
professionisti che operano nel libero foro. 
D'altro canto va anche sottolineata la differenza tra l�Avvocatura dello Stato e gli uffici 
legali costituiti presso enti pubblici nonch� rispetto a quegli altri uffici (spesso denominati 
con sigle che si avvicinano, non coincidendo per� le funzioni, a quelle pi� proprie 
degli uffici legali composti da avvocati iscritti negli elenchi speciali presso i Consigli 
dell�Ordine degli avvocati) che costituiscono mere articolazioni organizzative degli enti 
stessi, in nulla dissimili dalle altre strutture amministrative che ne assicurano il funzionamento, 
ed ai quali, nella ripartizione interna dei compiti, viene assegnato quello di curare 
pratiche legali della pi� varia natura, per cui non sia richiesta obbligatoriamente 
assistenza legale, e di seguire i rapporti con i liberi professionisti o con l�Avvocatura 
dello Stato, che dell'ente assumono la rappresentanza processuale e la difesa in giudizio, 
potendo saltuariamente essere delegati a rappresentare l�ente in giudizio specialmente 
quando non � richiesto, per la parte processuale privata, l�ausilio di una difesa tecnica. 
In questo caso ci si trova, chiaramente, dinanzi a semplici uffici amministrativi (quali 
anche soggetti privati ad organizzazione complessa usano costituire) che non assumono 
le caratteristiche e non svolgono istituzionalmente ed esclusivamente la funzione di pa



trocinare (in senso tecnico) l�ente nei giudizi nei quali � coinvolto. 
Da quanto si � sopra osservato discende che il plesso dell�Avvocatura dello Stato � connotato 
da peculiari caratteri di autonomia che lo rende istituzionalmente non confondibile 
con le amministrazioni patrocinate, sottolineandosi non da ultimo, quale significativa 
garanzia del ruolo svolto da quell�Istituzione, l�elevato prestigio professionale degli avvocati 
e procuratori che ne fanno parte, grazie anche ai rigorosi criteri di selezione. 

Appare nello stesso tempo evidente che non tutte le caratteristiche sopra rappresentate possono 
(legislativamente) rilevarsi nella categoria dei dipendenti dell�Agenzia delle entrate n� in 
quella dei professionisti del libero foro. 

11. - Il legislatore nazionale, quindi, nella sua discrezionalit� e responsabilit� politiche, ha 
provveduto a ridefinire un'attivit� e un'organizzazione, quale � quella della giustizia tributaria, 
caratterizzandole in maniera diversa e pi� rigorosa rispetto al passato, e ci� attraverso previsioni 
che, in ragione di quanto si � fin qui detto, non appaiono irragionevoli o idonei ad evidenziare 
una illogicit� dei contenuti normativi rispetto agli obiettivi prefissati e chiaramente 
definiti nelle medesime norme qui oggetto di contestazione. 
Lo strumento prescelto dal legislatore nel caso in esame (e cio� quello di limitare la partecipazione 
al concorso straordinario per la nomina di 960 giudici tributari ad alcune soltanto tra 
le categorie di tradizionali aspiranti) appare congruente e, nell'insieme, non palesemente irragionevole, 
tenuto conto delle gi� accennate esigenze di accrescere il profilo di terziet� del-
l�organo giudicante nella materia del contenzioso tributario e di garantire una risposta efficace 
al profondo tecnicismo che ormai caratterizza la materia stessa. Il legislatore ha ritenuto che 
l�inserimento di nuovi giudici tributari selezionati tra magistrati dei tre plessi (ordinario, amministrativo 
e contabile) e tra gli appartenenti all�Avvocatura dello Stato (avvocati e procuratori) 
possa costituire una efficace risposta alle esigenze sopradette che si sono manifestate 
in tutta la loro rilevanza negli ultimi anni, determinando un momento di serio impasse nel 
funzionamento della giustizia tributaria (al pari del resto di altri settori giudiziari che, proprio 
per le ridette ragioni, sono oggetto di incisivi interventi legislativi di riordino nel corso della 
presente Legislatura). 
Tali considerazioni, del resto, appaiono in linea con il costante pensiero espresso dalla Corte 
costituzionale che, in sede di interpretazione della portata della regola del concorso pubblico, 
ha sovente sottolineato come la facolt� del legislatore di introdurre deroghe al principio del 
concorso pubblico aperto non pu� essere esclusa in assoluto, seppur deve essere delimitata in 
modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali 
esse stesse alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione e ove ricorrano peculiari e 
straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (cfr., ex plurimis, le sentenze 
18 febbraio 2011 n. 52 e 4 giugno 2010 n. 195). 
Ad avviso del Collegio i suindicati parametri di compatibilit� costituzionale sono stati rispettati 
dal legislatore nella redazione del testo di legge qui contestato dai ricorrenti, di talch� esso 
non si palesa in manifesto contrasto con i principi desumibili dagli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonch� 
dai connessi principi di diritto comunitario in tema di restrizioni all�accesso a posti di 
pubblico impiego o a cariche pubbliche. 
12. � In ragione delle suesposte considerazioni i ricorsi, per come riuniti, vanno respinti. 
Sussistono nondimeno i presupposti per compensare integralmente tra le parti costituite le 
spese di giudizio, ai sensi dell�art. 92 c.p.c. come richiamato dall�art. 26, comma 1, c.p.a., tenuto 
conto della peculiarit� delle questioni sottese alle controversie qui decise. 


P.Q.M. 


pronunciando in via definitiva sui ricorsi indicati in epigrafe: 
1) dispone la riunione del ricorso n. R.g. 10205 del 2011 al ricorso n. R.g. 8898 del 2011; 
2) li respinge entrambi; 
3) spese compensate. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella Camera di consiglio del 18 aprile 2012 con l'intervento dei magistrati: 


Luigi Tosti, Presidente 
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore 
Silvia Martino, Consigliere 


DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
Il 26/09/2012 


PARTE II - 4. Tre scritti per riflettere... - 4.1. Dibattito parlamentare 19 giugno 1889 


4.2. (segue) Stralcio di un saggio sull�Avvocatura dello Stato e la sua storia - 4.3. (segue) 
Articolo pubblicato sul Sole24Ore. 

4. Tre scritti per riflettere ... 
Tre scritti di epoca diversa spiegano come il tema degli onorari (dellecause vinte poste a carico delle controparti) si collega per gli avvocati delloStato ad un tema pi� prezioso, quale quello della �rappresentanza dello Stato 
in giudizio� e, conseguentemente della cosiddetta �gestione delle liti�. 
Il primo documento � il resoconto del dibattito parlamentare del 19 giugno 
1889, nel quale il ministro del Tesoro, Giovanni Giolitti si opponeva allo stanziamento 
in bilancio delle somme (versate all�Erario dalle controparti soccombenti) 
da restituire agli avvocati a compenso della loro attivit�. La Camera dei 
deputati, dopo un serrato dibattito, respingeva la proposta del ministro. 
Il secondo documento � uno stralcio del saggio di presentazione dell�Avvocatura 
dello Stato e della sua storia inserito nel volume �La chiesa, la biblioteca 
Angelica e l�Avvocatura Generale dello Stato - Il complesso di S. 
Agostino in Campo Marzio� edito dall�I.P.Z.S. nel 2009. L�interesse di questo 
richiamo ritorna ad Antonio Giolitti, che nel 1907 riprende, sotto altro profilo, 
l�argomento che lo aveva visto soccombente venti anni prima e modifica, 
smantellandolo, l�originario ordinamento dell�avvocatura erariale (si chiamava 
cos� ...). Gli avvocati diventano �funzionari�e la rappresentanza legale 
dello Stato passa in via esclusiva alle direzioni generali dei ministeri e/o comunque 
agli uffici burocratici. L�esito dell�esperimento, sia sul piano funzio


nale che economico, non � dei pi� felici ed il suo fedelissimo avv. Giovanni 
Villa, nominato Avvocato Generale, ritorna all�antico nel 1913. 


Il terzo contributo � un articolo del direttore della Rassegna apparso sul 
Sole 24 Ore nel mese di agosto, nel quale, rispetto alle riforme introdotte con 
il decreto legge n. 90/2014 dal Governo Renzi, cerca di ritrovare, nel dibattito 
in corso, un filo istituzionale che col generico richiamo all�abolizione dei �privilegi 
di casta� sembra essersi perso ... 

g.f. 

4.1. Dibattito parlamentare 19 giugno 1889. 
Atti Parlamenari - 2757 -Camera dei Deputati 

LEGISLATURA XVI � 3a SESSIONE � DISCUSSIONI �2 a TORNATA DEL 19 GIUGNO 1889 

XCII 
2a TORNATA DI MERCOLED� 19 GIUGNO 1889 


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BIANCHERI. 

SOMMARIO. �= Seguitasi la discussione del bilancio del tesoro e prendono parte alla discussione 
i deputati Cavalletto, Cucchi Luigi, Ungaro, Ricci Vincenzo, Napodano, Spirito, Grimaldi, 
il relatore deputato Cadolini ed il ministro del tesoro - Sono approvati i capitoli e gli 
articoli del disegno di legge =... ... ... 

La seduta comincia alle 2,20 pomeridiane. loro carico nei giudizi sostenuti dalle avvo(�) 
cature erariali. 
Capitolo 137 bis. Quote dovute ai funzionari Dir� brevemente le ragioni per le quali ho 
delle Avvocature erariali sulle somme versate creduto di presentare questa proposta. La Cadalle 
controparti per competenze di avvocati mera poi far� quello che creder� di fare. 
e procuratori poste a loro carico nei giudizi Intorno a cotesta questione ho ricevuto una 
sostenuti dalle Avvocature erariali e paga-quantit� di memorie e di opuscoli, gran parte 
menti di spese gravanti le competenze mede-dei quali spero non provenga da funzionari 
sime (Spesa d'ordine). della avvocatura erariale, perch� gli argo-
La Commissione propone lo stanziamento di menti legali che vi si trovano, hanno un va110,000 
lire. lore cos� misero ch� se da quei funzionari 
L'onorevole ministro ha facolt� di parlare. provenissero mi farebbero dubitare molto del 
Giolitti, ministro del tesoro. Siccome la vantaggio che lo Stato pu� ricavare dall'opera 
Commissione del bilancio ha espresso il de-loro. (Si ride). Ma spero e confido che non 
siderio che dicessi prima io l'avviso del Mi-vengano da quella parte. 
nistero, ho approfittato della facolt�, datami La questione della legalit� � stata mossa da 
dal presidente, di parlare per abbreviare fino questo punto di vista. Si � sostenuto cio� che 
a un certo punto la questione. il regolamento del 16 gennaio 1876, il quale 
Il Ministero propone di incamerare a benefi-all'articolo 15 diede all'avvocatura erariale 
cio dello Stato quelle quote che finora i fun-questa partecipazione, avesse forza di legge. 
zionari delle avvocature erariali riscuotevano Ora a me baster� citare due circostanze per 
sulle somme versate dalle controparti per dimostrare che quel regolamento non pu� 
competenze di avvocati e procuratori poste a avere forza di legge. 


La prima � una circostanza di fatto, perch� 
quel regolamento per tuttoci� che riguarda la 
misura degli stipendi, il numero delle avvocature 
erariali, il numero dei funzionari di 
ogni avvocatura � stato modificato quasi ogni 
anno per semplice decreto reale e senza che 
s'invocasse la necessit� di una legge. 
Tutte le volte adunque che si � trattato di aumentare 
la spesa, non c'� mai stato nessuno il 
quale abbia trovato che vi facesse ostacolo 
quel regolamento; la prima volta in cui si propone 
di diminuire la spesa, si sostiene che 
quel regolamento ha forza di legge. 
E lo si sostiene per questa ragioni, che l'articolo 
7 della legge 28 novembre 1875 che istitu� 
le avvocature erariali, dopo alcune 
disposizioni relative ad argomenti estranei 
alla presente questione, ordinava che il regolamento 
�disporr� per tuttoci� che pu� occorrere 
per l'attuazione della presente 
legge.� 

Ora io osservo che quando una legge delega 
al potere esecutivo delle facolt� che il potere 
esecutivo per se non avrebbe, allora l'atto 
compiuto dal potere esecutivo in virt� del potere 
delegato � una legge; ma quando non si 
fa altro che dire al Governo: voi farete un regolamento 
per provvedere all'esecuzione 
della legge, con questo si ricorda puramente 
e semplicemente quella facolt� che il Governo 
ha dallo Statuto fondamentale del 
regno di provvedere per regolamento all'esecuzione 
delle leggi. 
In esecuzione del citato articolo 7 della legge 
del 1875 � stato fatto il regolamento del 16 
gennaio 1876, in cui era stabilita all'articolo 
15 la distribuzione ai funzionari dell' avvocatura 
erariale delle somme per compenso d'avvocato 
ripetute dalla parte avversaria. 
Ho gi� detto e ripeto che questo regolamento 
� stato mutato quasi ogni anno, modificando 
gli stanziamenti di bilancio, ed accrescendo 
gli stipendi ed il numero dei funzionari. Mi 
parrebbe strano l'ammettere la tesi che questo 
documento sia legge quando si tratta di diminuire 
la spesa, e sia decreto quando si tratta di 
accrescerla. Sul punto della legalit�, mi pare 
quindi che non vi possa essere contestazione. 
Ora a me pare che sarebbe fare ingiuria al 
corpo cos� rispettabile dell'avvocatura erariale, 
le cui origini gloriose risalgono al compianto 
nostro collega Mantellini, che ricord� l'onorevole 
Cavalletto, il supporre che questi avvocati 
erariali, se loro si toglie questa speciale retribuzione, 
invece di andare innanzi ai tribunali 
a dire delle ragioni buone ci vadano a dire delle 
ragioni cattive. Questa ingiuriosa ipotesi, 
messa innanzi in alcune di quelle memorie, 
delle quali ho parlato poco fa, la escludo in 
modo assoluto e considero la questione dal 
punto di vista della misura degli stipendi. 
Ora, se la Camera osserva la misura degli stipendi 
degli avvocati erariali, vedr� che l'avvocato 
erariale � trattato alla pari della 
magistratura. 
D'altra parte noto che questa partecipazione 
� data in modo da compensare una parte sola 
del lavoro delle avvocature. Questi uffici 
hanno attribuzioni consultive che forse sostanzialmente 
sono le pi� importanti, perch� 
allo Stato interessa soprattutto di fare contratti 
i quali non diano luogo a liti. 
Tale parte di lavoro non ha compenso all'infuori 
dello stipendio. 
Nella parte della difesa delle cause poi succede 
questo fatto che nelle cause dove la ragione 
dello Stato � evidente e quindi la difesa 
facile, l'avvocatura ripete le spese dalla parte 
contraria; nelle cause dubbie invece nelle 
quali pi� difficile � la difesa, per lo pi� le 
spese si dichiarano compensate, e nulla percepisce 
l'avvocatura. 
Infine nel compenso di cui parliamo vi � la 
massima disuguaglianza tra una avvocatura 
erariale e l'altra. 
Citer� solo due cifre. 
Nell'esercizio 1887-88 l'avvocatura erariale di 
Milano ha avuto fra tutti i suoi funzionari 1924 
lire, mentre l'avvocatura di Napoli ne ha avute 
43,200. Cito queste due cifre per dimostrare 
che almeno il modo di riparto, come � stato 
fatto finora � assolutamente inammissibile. 


Di San Donato. Dipende dal numero degli 
affari. 
Giolitti, ministro del tesoro. Non dipende da 
ci�. 
Di San Donato. E allora come lo spiegate? 
Giolitti, ministro del tesoro. Io constato il 
fatto, � inutile ora andarne a ricercare la 
causa. 
Conchiudo dicendo che qui si tratta di una 
spesa di 110 mila lire che ho creduto, senza 
danno del servizio e senza illegalit�, si potesse 
risparmiare. Detto questo ed esposte le 
ragioni per le quali ho creduto di dover proporre 
l�economia, me ne rimetto interamente 
alla Camera. 
Presidente. Ha facolt� di parlare l�onorevole 
Napodano. 
Napodano. Ringrazio l'onorevole ministro 
che ha voluto prevenire le osservazioni che 
intendevo di fare. 
Incomincier� ringraziandolo dell'ultima sua 
dichiarazione, di rimettersene completamente 
alla Camera, la quale potr� cos� riguardare la 
questione con la massima imparzialit�. 
Anzitutto, trattandosi di sole centodieci mila 
lire non mette il conto di spostare gli interessi... 
(Rumori). 
Se si trattasse di somme rilevanti, comprenderei 
l'interesse dell'erario, ma, per uno stanziamento 
cosi tenue, pu� benissimo la 
Camera passarci sopra. 
Vengo ora al doppio ordine di considerazioni 
svolte dall'onorevole ministro: illegalit� e 
convenienza. Qnanto alla illegalit�, io non 
posso sotto scrivere all'opinione sua che il regolamento 
del 15 giugno 1876, che fu emesso 
in virt� dei poteri delegati dalla Camera al 
Governo, per l'ordinamento delle avvocature 
erariali, possa considerarsi come un atto governativo 
da potersi modificare con un semplice 
atto del potere esecutivo. 
Questo regolamento � il fondamento dell'ordinarnento 
delle avvocature erariali; le quali 
sorsero e crebbero sotto l'impero di esso. 
Coloro i quali hanno fatto concorsi, esami per 
entrare nell'avvocatura erariale, fecero assegnamento 
sulla disposizione del regolamento 
stesso secondo la quale potevano partecipare ai 
proventi delle cause che riuscissero a vincere. 
Quindi non credo che, con un semplice provvedimento 
del bilancio, si possa derogare legalmente 
a quello che fu organicamente 
costituito, a quello su cui i fanzionari delle 
avvocature erariali fecero assegnamento, a 
quello che ha ricevuto la consacrazione del-
l'uso. 
Alla questione di legalit�, pare a me per� che 
sia superiore la questione di convenienza, e 
dir� anche la questione d'interesse pubblico. 
Io comprendo che non si possa fare agli avvocati 
erariali il torto di pensare che, ove sia 
accettata la proposta del ministro, essi sostituiscano 
alle buone le cattive ragioni. Ma 
l'onorevole ministro deve considerare che gli 
avvocati erariali difendono tutte le cause nel-
l'interesse delle pubbliche amministrazioni, e 
che solamente per le cause che vincono possono 
partecipare ai compensi che si riscuotono 
dai soccombenti: mentre per le cause 
che perdono (e credo che forse potranno essere 
il maggior numero) essi perdono il lavoro 
insieme alla causa. 
L'onorevole ministro ha ricordato la maniera 
con la quale segue la ripartizione di questi 
compensi, ed ha notato come questi ascendano 
a una cifra minima a Milano, e ad una 
somma abbastanza cospicua a Napoli. Ma 
questo, a mio credere, non sta a prova della 
ineguaglianza della distribuzione della 
somma; sta invece a provare che il numero 
delle cause trattate e vinte a Napoli � superiore 
a quello delle cause trattate e vinte a Milano; 
e basta questo doppio coefficiente a 
spiegare la diversit� delle cifre citate dal-
l�onorevole ministro. 
L'onorevole ministro ha poi notato che l�Avvocatura 
erariale, a parit�, di condizioni, � 
trattata assai meglio dell'ordine giudiziario. 
Ma se questa asserzione vale a dimostrare che 
i magistrati sono malissimo retribuiti, non vale 
per indurne la conseguenza che sia necessario 
pagar male anche gli avvocati erariali. 


Se fosse presente l'onorevole guardasigilli, 
potrei ricordargli le dichiarazioni da lui ripetutamente 
fatte in sede conveniente di bilancio 
a tutti quelli che presero parte a quella 
discussione, e notarono la troppo umile retribuzione 
concessa ai funzionari dell'ordine 
giudiziario: e infatti gli sforzi dell'illustre 
guardasigilli, coi disegni di legge che sono 
gi� innanzi alla Camera, mirano precisamente 
a portare una riforma alla circoscrizione giudiziaria, 
per migliorare la condizione economica 
dei magiatrati. 
Ma da questo, onorevole ministro, non pu� 
derivare, ripeto, la conseguenza che bisogni 
togliere questo compenso che godono gli avvocati 
erariali. Io non dico gi� che questi 
compensi siano la ragione assoluta che li 
spinga a lavorare bene, con rettitudine, con 
alacrit�, perch�, indubbiamente, in Italia vi � 
troppa onest� nei pubblici funzionari, per 
supporre che essi vogliano proporzionare alla 
retribuzione il modo col quale debbono attendere 
all'adempimento dei loro doveri. 
Ma � pur vero per� che quei proventi costituiscono 
un compenso per certe cause abbastanza 
gravi per le quali non basta il tempo di 
ufficio, e per le quali l'avvocato erariale, per 
istudiarle, ha bisogno di un lavoro indefesso, 
accurato, indipendente da quello a cui sarebbe 
tenuto per ragione di orario. 
Inoltre diciamo le cose come sono. Se togliete 
la speranza di maggior guadagno, toglierete 
maggiore stimolo all'azione umana, in fatto 
di lavoro, perch� il lavoro stesso sia compiuto 
nel modo migliore. 
E per�, onorevole ministro e onorevoli colleghi 
della Camera, senza dilungarmi pi� oltre 
vorrei che teneste conto dell�eco che questa 
questione ha sollevato anche in alcuni corpi 
importanti dell'avvocatura: perch� gi� parecchi 
Consigli dell'ordine degli avvocati, come 
quello di Roma, quello di Napoli ed altri, han 
fatto voti affinch� gli avvocati erariali, assimilati 
ad ogni altra avvocatura libera, possano 
conservare questo emolumento che rappresenta 
il frutto dei loro lavori professionali. 

Presidente. Ha facolta di parlare l�onorevole 
Spirito. 
Spirito. Io mi associo alle considerazioui del-
l'onorevole Napodano; e quindi aggiunger� 
poche parole soltanto. 
Anzitutto dir� che sono convinto che la instituzione 
dell'avvocatura erariale abbia gi�, 
portatato importanti beneficii alle pubbliche 
amministrazioni, e che potr� portarne anche 
maggiori. 
E dico ci� perch� mi pare che la proposta che 
il Ministero ora ha quasi abbandorata, piccola 
in apparenza, potrebbe avere in realt� una 
portata assai pi� grave, inquantoch� colpirebbe 
al vivo l'istituzione stessa. 
Essa � stata concepita a questo modo: lo avvocato 
erariale non � un impiegato, n� un magistrato, 
n� un avvocato; ma � ad un tempo 
impiegato, magistrato ed avvocato. E soprattutto 
egli non ha spezzato i suoi legami col 
foro: locch� � dovuto appunto a quella disposizione 
per in quale 1'avvocato erariale ha diritto 
a prendere egli il compenso cui � 
condannata la parte soccombente. 
Sopprimete questo, e l'avvocato erariale diventer� 
assolutarnente un impiegato dello Stato e 
voi avrete mutato i cardini della istituzione. 
Non � gi� che, mancando la prospettiva di 
quel piccolo utile, debba in tutto venir meno 
lo zelo degli avvocati erariali. No; sarebbe 
un'esagerazione; nelle avvocature erariali 
sono uomini di valore e di cuore, i quali continuerebbero 
a compiere onestamente il loro 
dovere. Ma l�uomo � mestieri prenderlo quale 
�: quel piccolo interesse personale acuisce 
l'ingegno e lo zelo dell'avvocato erariale. 
Non dimentichiamo un precedente storico. 
Noi avemmo per alcuni anni la istituzione 
dell'avvocato dei poveri, il quale non era che 
uno stipendiato dello Stato. Ebbene, quella 
istituzione and� di mano in mano cadendo e 
poi si dov� sopprimerla, ch� quegli avvocati 
non avevano il prestigio del magistrato, n� 
potevano gareggiare con l'avvocatura libera. 
Invece l'avvocatura erariale gareggia di prestigio 
e di valore con gli avvocati liberi che 


invece di esserne gelosi, hanno nobilmente 
fatto manifestazioni favorevoli alla tesi che 
noi sosteniamo. 
lo non entro nella questione legale di vedere 
se il Governo possa o no ritenere per s� i 
compensi che pagano le parti soccombenti. 
Credo anzi che lo potrebbe; poich� il regolamento 
del gennaio 1876 non parmi che abbia 
carattere legislativo. 
Ma io domando: � conveniente, � opportuno, 

o non � forse molto pericolosa la proposta ministeriale. 
Il ministro dice che questi benefici non si dividono 
equamente. Io tengo alla precisione 
del linguaggio: questi utili non si dividono 
egualmente ma equamente. La equit� sta appunto 
nella disuguaglianza, la quale � soltanto 
formale, perch� colui che ha meno � 
quegli che meno ha lavorato ed a cui meno 
ha arriso la vittoria. Ed � quindi giusto che 
egli abbia meno, e che abbia di pi� chi pi� ha 
lavorato e chi ha ottenuto maggiori vittorie, 
con grande vantaggio della pubblica finanza. 
Tolto quindi di mezzo il dubbio di una qualsiasi 
ingiustizia nella distribuzione degli utili, 
non so vedere perch� di straforo, in un articolo 
del bilancio, noi dovremo portare un 
colpo cos� grave ad una istituzione che non 
da oggi soltanto, ma da lungo tempo io credo 
utile al paese. Sono gi� parecchi anni che 
nella qualit� di consigliere del municipio di 
Napoli, feci la proposta di un'avvocatura municipale 
sul medesimo tipo dell'avvocatura 
erariale. Nel mio concetto era anzi prevalente 
il criterio di cointeressare quegli avvocati alle 
cause municipali, dando ad essi i compensi 
da pagarsi dalle parti soccombenti. 
N� dica, onorevole ministro, che v'� incoerenza 
nel fatto che il lavoro consultivo dell'avvocato 
erariale, che � forse pi� importante del 
lavoro propriamente giudiziario, non ha alcuna 
retribuzione speciale. Ma chi dovrebbe 
darla questa retribuzione? Lo Stato; ma lo 
Stato d� lo stipendio per quell'opera n� vi � bisogno 
di retribuzione speciale. Invece � giusto 
e conveniente che l'avvocato erariale abbia 
una retribuzione speciale, quando con l�opera 
sua ha assicurato la vittoria della causa. 
Ora, trovando io logica ed equa questa disposizione, 
mi parebbe pericolosa la soppressione 
di essa. Ed � per ci� che, ringraziando 
l�onorevole ministro della dichiarazione fatta 
di non insistere nella sua idea e rimettersene 
alla decisione della Camera, prego vivamente 
gli onorevoli colleghi di accettare la proposta 
della Commissione di ripristinare lo stanziamento 
di 110,000 lire. 
Presidente. Ha facolt� di parlare l�onorevole 
Grimandi. 
Grimaldi. Dopo la proposta della Commissione 
generale del bilancio di reintegrare le 
110,000 lire sul capitolo in questione, e dopo 
che in argomento hanno parlato gli onorevoli 
Napodano e Spirito, a me non resta se non 
riepilogare brevemente la discussione, inquantoch� 
il mio parere � perfettamente conforme 
a quello espresso da essi or ora alla 
Camera. 
E perch� la Camera intenda la questione nei 
suoi veri termini mi permetto di ricordare come 
del resto ha gi� fatto la Commissione, che questa 
somma ha la contropartita nel bilancio 
dell�entrata, e che si tratta delle competenze attribuite 
ai funzionari dell�avvocatura erariale 
sulle somme versate dalle parti soccombenti, 
per competenze poste a loro carico nei giudizi 
sostenuti dagli avvocati erariali, e pagamenti di 
spese gravanti le competene medesime. 
Io non tratto la questione legalit�, sulla qule 
si � versato l�onorevole ministro del tesoro, 
che con equanimit� ha finito col rimetteresi 
al giudizio della Camera. Non entro nella 
questione della legalit�, non posso per� fare 
a meno di notare una circostanza che certo ha 
dovuto fare impressione nell�animo dell�onorevole 
ministro: e la circostanza � la seguente. 
L�avvocatura erariale sorse dietro la legge del 
1875 ed � governata dalla legge medesima, e 
dal regolamento del 1876. Sia che si possa, 
sia che non si possa in sede di bilancio mutare 
ci� che nel regolamento � stato detto; sia che 
si dia o no a questo regolamento il carattere 


legislativo; certo � che questa istituzione � 
nata con la sicurezza di avere da una parte lo 
stipendio, dall�altra le competenze in questione. 
Ora in forza appunto di questo duplice 
vantaggio, molti giovani del foro e della magistratura 
passarono all�avvocatura erariale, 
la quale, secondo le disposizioni finora vigenti, 
loro assicurava questa duplice natura di 
assegno: sicch� a me pare che vi sia un certo 
diritto acquisito. Certamente questo pu� essere 
mutato con un�altra legge, se al ministro 
parr� di dare una diversa base a questa istituzione; 
ma senza questa legge e nello stato 
delle cose � pi� opportuno, e pi� prudente, e 
pi� conveninete consiglio lasciare le cose 
come sono. 
N� mi impone la circostanza della non equa ripartizione 
di questa somma. Come dice il ministro; 
n� voglio entrare nei criteri con cui 
viene essa fatta, noti all�onorevole ministro pi� 
che a me. Certo �, che la differenza tra una Avvocatura 
erariale e l�altra nascono, come ben 
disse l�onorevole Napodano, dalla quantit� 
delle cause che si trattano in ciascuna di esse, 
e dal numero delle vittorie riportate; perch� 
queste competenze sono il risutato delle spese 
dei compensi che pagano le parti soccombenti. 
Credo anch�io che gli avvocati erariali non abbiano 
bisogno di questo stimolo per compiere 
il loro dovere, e che lo compiono con zelo e 
premura lodevole; ma � innegabile che la posizione 
degli avvocati erariali, mentre da una 
parte � uguale a quella di tutti gli altri funzionari 
dello Stato, dall�altra � soggetta a maggior 
fatica e maggior cura che li accomuna alla libera 
professione forense. 
E sul proposito dico che torner� gradito certamente 
all�onorevole ministro il fatto che 
una istituzione da lui dipendente abbia avuto 
il suffragio di tre curie nobilissime, quali sono 
Roma, Palermo e Napoli, nelle quali citt� i 
Consigli dell�Ordine si sono riuniti per pregare 
il ministro e la Camera di lascire queste 
competenze, oltre gli stipendi agli avvocati 
erariali, con cui giornalmente lottano nella 
palestra forense. 

Onorevoli colleghi, se vՏ da modificare la ripartizione, 
se vՏ da modificare l�istituzione, 
facciamolo; ma facciamolo guardando il problema 
in tutte le sue parti, non in una parte 
sola, quale � quella delle quote di competenze. 
Cerchiamo di vedere se questo sistema 
sia utile; e nel caso che non sia utile, vediamo 
di aumetare gli stipendi, come lo stesso ministro 
pensa; ma ad ogni modo risolviamo il 
problema interamente e non parzialmente, 
come faremmo elimando lo stanziamento 
proposto nel capitolo, del quale discutiamo. 
Una ultima parola mi sia concessa. 
Io, sempre, e dai banchi del Governo e sui 
banchi di deputato, ho sostenuto la istituzione 
dell�Avvocautra erarile, e la sosterr�. Prego 
la Camera di voler considerare una cosa sola 
Se non vi fosse questa istituzione, composta 
di persone che hanno per compito di difendere 
contro tutti e sempre gli interessi dello 
Stato pensi la Camera a che conseguenze si 
andrebbe incontro. Vi sono nei bilanci dello 
Stato parecchi milioni; ed un ministro del tesoro 
non avendo quella istituzione, avrebbe 
bisogno di ricorrere agli avvocati liberi. Quali 
potrebbero essere gli effetti di questo sistema, 
io, avvocato, non lo dico; lo lascio alle considerazioni 
della Camera. Non veniamo dunque 
a colpire una istituzione, che � proficua 
e soprattutto onesta. (Bene!) 
Presidente. Ha facolt� di parlare l'onorevole 
ministro del tesoro. 
Giolitti, ministro del tesoro. Ringrazio gli 
onorevole Spirito, Napodano e Grimaldi di 
avere riconosciuto che nella proposta del Governo 
non c'era nulla che offendesse disposizioni 
di legge. Questo � il punto a cui tengo di 
pi�, perch� l'accusa di aver fatto una proposta 
contraria alla legge mi sarebbe rincresciuta. 
Quanto al merito della questione io non ho 
nulla da ripetere. Voglio solamente dichiarare 
che non era nelle mie intenzioni, quando proposi 
di sopprimere codesto assegno di recare 
la menoma offesa ad una istituzione che altamente 
apprezzo, e alla quale appartengono 
carissimi amici miei. 


Dichiarato questo, non ho nulla da soggiungere 
senonch� la Camera faccia quello che 
crede, per parte mia non prender� neppure 
parte al voto. Se la Camera sopprimer� lo 
stanziamento tutto sar� finito; se lo lascer� dichiaro 
che sar� necessario qualche provvedimento 
affinch� quel provento sia ripartito con 
criteri pi� uniformi. 
Presidente Ha facolt� di parlare l'onorevole 
Cavalletto. 
Cavalletto. Dopo il discorso irrefutabile del-
l'onorevole Grimaldi, al quale mi associo pienamente, 
e dopo le promesse dell'onorevole 
ministro di studiare l'argomento, io credo che 
si possa andare ai voti approvando lo stanziamento 
di 110,000 lire proposto dalla Commissione. 
Presidente. Onorevole relatore, Ella deve riferire 
intorno ad una petizione, mi pare. 
Cadolini, relatore. Faccio notare all'onorevole 
presidente che nella relazione � stata 
menzionata la petizione del Consiglio dell'ordine 
degli avvocati di Roma. E se non ho creduto 
necessario di esporre gli argomenti in 
essa contenuti, si � perch� in conclusione 
sono sempre le ragioni esposte a nome della 
maggioranza della Giunta; e siccome questa 
presenta una proposta conforme ai voti del 
Consiglio dell'ordine degli avvocati, cos� non 
occorre fare un maggior svolgimento delle 
idee contenute nella petizione. 
Presidente. Come dunque la Camera ha udito, 
al capitolo 137bis il Governo aveva proposto 
di sopprimere lo stanziamento degli anni 
scorsi: la Commissione invece lo ha riproposto, 
o l'onorevole ministro ha dichiarato di rimettersene 
alla deliberazione della Camera. 
Io dunque pongo a partito lo stanziamento 
proposto dalla Commissione al capitolo 
137bis in lire 110,000. 
Coloro che lo approvano vogliano alzarsi. 

(Dopo prova e controprova la Camera op-
prova lo stanziamento proposto dalla Commissione 
al capitolo 137bis). 

4.2. (segue) Stralcio di un saggio sull�Avvocatura dello Stato e la sua storia (*). 

� Pur tuttavia gli anni del Giolittismo e dei nuovi interessi emergenti nel-
l'Italia di fine secolo non sono facili per l'Avvocatura Erariale: l'interesse pubblico 
generale si disperde, le potenzialit� espansive dell'Istituto creato dalla 
Destra Storica si imbattono in un'articolazione della macchina statale che diventa 
sempre pi� complessa e tende a regolarsi secondo schemi autoreferenziali. 
Ed � in questo clima che matura un'aspra polemica tra gli avvocati generali 
erariali e il mondo politico amministrativo degli inizi del secolo, polemica che 
culminer� con le dimissioni nel 1913 di Adriano De Cupis, l'ultimo avvocato 
generale erariale espressione dell'oligarchia creata dal Mantellini (24). 

(*) Da�L�Avvocatura dello Stato: una sfida culturale aperta�, GIUSEPPE FIENGO e PAOLO GENTILI, in 
�La chiesa, la biblioteca Angelica e l�Avvocaura Generale dello Stato - Il complesso di S.Agostino in 
Campo Marzio�, Roma, I.P.Z.S., 2009. 

(24) Le fonti su questa vicenda restano alquanto sibilline. La nota biografica di Adriano De Cupis 
in L'Avvocatura dello Stato, Roma, I.P.Z.S., 1976, p. 558, recita: "... Giuspubblicista di notevole valore 
(di lui basti ricordare la fondamentale opera sulla Contabilit� di Stato, che costitu� la prima trattazione 
sistematica della materia), profondo conoscitore della Pubblica Amministrazione, si impegn� durante i 
nove anni in cui resse l'Istituto nel suo perfezionamento e potenziamento, forte anche della nomina a 
Senatore conferitagli nel 1905. La legge 14 luglio 1907, n. 485 sul riordinamento dell'Avvocatura ed i 


Un chiarimento su queste dimissioni traspare direttamente dai dati normativi 
e dalla curiosa vicenda dell'endiadi "rappresentanza e difesa". La legge 
4 luglio 1907 n. 485, coeva alla legge 7 luglio 1907 n. 42, che sottraeva all'Avvocatura 
Erariale gran parte delle controversie delle Ferrovie dello Stato, 
segna infatti un durissimo attacco del Parlamento all'Istituto e alla sua formula 
mantelliniana: scompare ogni accenno alla rappresentanza, sostituito dall'endiadi 
"la difesa delle cause e le consultazioni legali nell'interesse dello Stato"; 
si estende la possibilit� delle amministrazioni attive di derogare alla difesa 
dell'Avvocatura Erariale; l'intero regolamento del 16 gennaio 1876 viene esplicitamente 
abrogato (25). E, tanto per far capire che da una parte pendeva il 
potere, si stabilisce che "i funzionari" dell'Avvocatura Erariale dovessero essere 
assunti per concorso. 

La rappresentanza, espunta dalla legge, ricompare - dopo la nomina di 
Villa, un fedelissimo di Giolitti, ad avvocato generale - nella stessa formulazione 
mantelliniana, nel regolamento per l'esecuzione del testo unico delle 
leggi sulla regia avvocatura approvato con R.D. 24 novembre 1913 (art. 1) in 
connessione con la previsione legislativa di una riserva di deliberazione del 
Consiglio dei Ministri per dar la stura alla possibilit� per le amministrazioni 
attive di nominare e comunque utilizzare direttamente avvocati del libero foro. 
Solo in epoca fascista la rappresentanza riacquista pari dignit� della difesa 
nel testo unico emanato con R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, in gran parte tuttora 
vigente, laddove (art. 1) si stabilisce che "la rappresentanza, il patrocinio e 
l'assistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato, anche se organizzate 
in ordinamento autonomo, spettano all'Avvocatura dello Stato ". 

E in effetti il vigente Testo Unico del 1933, emanato allo scopo di coordinare 
la normativa preesistente con le regole del foro dello Stato (abolizione 
dei delegati erariali) e con quelle della rappresentanza e difesa dell'Amministrazione 
autonoma delle Ferrovie dello Stato, segna storicamente un momento 
di razionalizzazione e di reviviscenza dell'ordinamento Mantellini, nel senso 
che vi � una chiara tendenza del legislatore a ribadire quei principi in parte di-

successivi provvedimenti legislativi 22 giugno 1913, n. 679 e 24 novembre 1913 n. 1303 e 1304 furono 
frutto della sua opera e della convinta determinazione con cui affront� - da vero grand commis dello 
Stato - ogni difficolt�, senza arretrare nemmeno dinanzi alla risorsa ultima delle dimissioni". 
L'indirizzo di saluto rivolto da Adriano De Cupis ai colleghi al momento di lasciare l'incarico nel gennaio 
del 1913 reca nel primo capoverso alcuni cenni a un profondo disagio: "Non per superbire (voi mi conoscete) 
ma per legittima protestazione dico, con la franchezza di sicura coscienza, che all'alto e difficile 
ufficio io non mancai, nulla avendo trascurato di quanto della grandezza e dignit� degli Uffici e del 
grado che vi tenni poteva essere richiesto; ultima prova di ci� (poich� voi ne sapete la ragione) � il dipartirmi 
da voi...". 

(25) Del regolamento 16 gennaio 1876 restano in vita solo poche disposizioni, tra le quali l'art. 8, 
il cui tenore, avulso dall'organico testo originario, finisce per giustificare quell'interpretazione giurisprudenziale 
che si era andata consolidando sulla vigenza delle tabelle organiche del 1965 e sulla spettanza 
agli organi di amministrazione attiva della rappresentanza processuale. 


spersi dalla giurisprudenza e dagli atti normativi dell'inizio del secolo. L'accorpamento 
in un unico articolo della formula sulla rappresentanza e difesa 
con il principio, stabilito al secondo comma dell'art. 1 che "gli avvocati dello 
Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni, in qualunque 
sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie 
richiedono il mandato speciale bastando che consti la loro qualit�", 
mostra chiaramente la volont� di incentrare nell'organo tecnico di difesa (che 
assume ora il nome di Avvocatura dello Stato) tutti i poteri di rappresentanza 
e di patrocinio anteriormente distinti tra difensore e amministrazione �. 

4.3. (segue) Articolo pubblicato sul Sole24Ore (*). 

C'� largo consenso all'idea del presidente Renzi che le amministrazioni 
pubbliche italiane, confusionarie e costose rispetto al contesto europeo, abbiano 
bisogno di una buona sfoltita. Tuttavia la fretta e, forse, la scarsa conoscenza 
dei temi da trattare creano problemi che rischiano di mettere in 
discussione le basi su cui si fondano le democrazie liberali. 

Al riguardo � noto che uno dei princ�pi giuridici, posti agli albori del-
l'Unificazione del Regno d'Italia, fu quello che lo Stato (e il re), chiamati davanti 
a un giudice per risolvere una questione civile o criminale, dovessero 
comunque e sempre "affrontarsi con i privati ad armi pari": era ostico far capire 
alla nascente borghesia come un giudice, nominato, promosso e pagato dal re, 
potesse senza apprensione dargli torto. Fu cos� che fu sancita la regola che davanti 
ai tribunali le amministrazioni pubbliche non potessero presentarsi direttamente 
con i propri funzionari, ma dovessero sempre agire, come il privato 
cittadino, con l'intermediazione di un avvocato. 

Questa regola di civilt� non fu estesa, per ragioni di controllo sociale, alle 
questioni criminali, laddove lo Stato continuava a svolgere istituzionalmente 
il duplice ruolo di accusatore e giudice. Nondimeno gli avvocati, pubblici e 
privati, divennero i garanti di un sistema che assicurava ai giudizi civili, sulle 
tasse e sulle eredit�, trasparenza e oggettivit�. Un ulteriore passaggio, finalizzato 
a spogliare il potere esecutivo dalla "gestione delle liti", fu l'istituzione, 
per le cause dell'amministrazione centrale, dell'Avvocatura dello Stato, una 
sorta di General Attorney, di nomina non politica, che cumulava l'esclusiva 
della difesa in giudizio con la responsabilit� propria dell'avvocato. 

I provvedimenti sull'Avvocatura dello Stato, inseriti nel decreto legge 
sulla Pa 90/2014, convertito in legge, sembrano dimenticare il tema, che resta 
importante. Le disposizioni proposte dal Governo tendono ad eliminare la particolare 
prerogativa della difesa dello Stato in giudizio, riconducendo il ruolo 
degli avvocati dello Stato a quello di semplici dipendenti pubblici. E poich� 

(*) Il Sole24Ore - Commenti & Inchieste, 12 agosto 2014, �Regole di civilt� nella difesa dello Stato�, 
GIUSEPPE FIENGO. 


evidenti ragioni di spesa non consentono gli affidamenti della difesa e di consulenze 
ai migliori (e non raccomandati) avvocati del Foro Libero, si finisce 
inevitabilmente per tornare a una situazione "di difesa diretta" da parte degli 
uffici interni, che si riteneva eliminata in Italia, come in Europa, con la legge 
abolitiva del contenzioso amministrativo del 1865. 

Questa scelta "non dichiarata" del Governo interrompe un sistema consolidato 
che, almeno per le cause in cui � parte un'amministrazione statale, 
aveva una sua logica, una funzionalit� e costi contenuti. C'erano aspetti critici, 
ma l'idea che si ricava � quella di una scarsa consapevolezza della posta in 
gioco, per cui, nell'intenzione di accorpare funzioni e stipendi, si finisce per 
"gettare l'acqua sporca con tutto il bambino". 

Il punto di arrivo - che con le innovazioni introdotte dal Governo � destinato 
a valere anche nei giudizi civili ed amministrativi - � davanti agli occhi 
di tutti: nei giudizi penali la difesa diretta conserva l'iniqua identificazione dei 
ruoli tra l'accusatore e il giudice e cos� la giustizia penale, sul piano pratico 
dell'efficienza e linearit�, non funziona: credo che l'Italia sia uno dei pochi 
Paesi al mondo nel quale un imputato di un grave reato possa essere assolto, 
dopo lunghi anni di processo e tante udienze, senza che il giudice provveda al 
rimborso delle spese legali, che l'azione intentata ha ingiustamente provocato. 
Vale ancora il vecchio principio che "il Re non ha mai torto.". 

Un risultato analogo rischia di profilarsi nei giudizi civili con la partecipazione 
diretta di funzionari amministrativi e/o con l'affidamento delle cause 
a legali scelti "fiduciariamente" dalle direzioni generali. La professionalit� e 
la deontologia di un avvocato non sono facilmente surrogabili; le amministrazioni 
sono funzionalmente strutturate in modo da massimizzare il loro interesse 
di settore e spesso mancano di una visione generale dei problemi. Se 
questo � l'effetto dei provvedimenti in corso di adozione, al di l� di facili battute 
sugli stipendi elevati degli avvocati dello Stato, sembra chiaro che, su 
temi cos� importanti, che attengono alle garanzie fondamentali dei cittadini 
nei confronti dello Stato, sia necessario un momento di riflessione per conoscere 
l'obiettivo dell'azione del Governo: in quali mani vanno a finire la rappresentanza 
e la difesa dello Stato nei giudizi civili e amministrativi? 


PARTE III - 5. Testimonianze �a caldo� di due avvocati dello Stato: Giuseppe dell�Aira, 
Dal Leopoldo alla Leopolda: ovvero, l�involuzione acritica della scuola giuridica fiorentina 

-(segue) Salvatore Faraci, Due e-mail di un avvocato dello Stato. 

GIUSEPPE DELL�AIRA 

Dal Leopoldo alla Leopolda: ovvero,
l�involuzione acritica della scuola giuridica fiorentina (*) 


SOMMARIO: 1. L�Avvocato dello Stato e la sua indipendenza - 2. Le origini storiche del-
l�Istituto e l�intuizione di Pietro Leopoldo di Toscana: solo il tiranno non ha bisogno di un Avvocato. 
Dall�Avvocatura regia all�Avvocatura erariale - 3. Il ruolo professionale e la retribuzione. 
Magistrati, ministeriali ed incentivazione - 4 . Chi si onerer� in concreto dei costi dell�operazione: 
un risparmio che � solo di facciata - 5. Le informazioni che mancano alla pubblica opinione sul-
l�incomparabile carico dell�intera categoria - 6. Il dubbio sugli obiettivi reali: cui prodest? 

1. L�Avvocato dello Stato e il suo patrocinio indipendente. 

Quando, nel corso di una Conferenza stampa in streaming, l�attuale Presidente 
del Consiglio, anticipando quanto non � ancora di pubblico dominio neanche 
mentre scrivo (anzi, le notizie diffuse su internet erano di ben altro tenore), 
ha ridacchiato compiaciuto sullo zero - mostrato ai cronisti che vedeva contenti 
perch� vogliosi del sangue altrui (ma restii a donare il proprio!) - pari all�onorario 
di chi, da un secolo e mezzo, si danna per sanare i danni di legislatori spesso 
inadeguati, mi ha colto un irriverente, ma incontenibile, senso di sconcerto. 

Il lettore penser� all�isterica contestazione dell�appartenente ad una casta 
privilegiata e irredimibile. 

Ma devo deluderlo. 

Si trattava di reazione istintiva al semplicismo con cui chi dovrebbe applicare 
i fondamenti della democrazia, specie quando si avventura in riforme 
epocali, affronta un delicatissimo momento storico, indulgendo in verbosi e 
populistici proclami. 

Parlare qui di giacobinismo suonerebbe quasi offensivo per l�irripetibile fucina 
di uguaglianza che comunque fu, nel bene e nel male, la rivoluzione francese. 

Ma il richiamo pu� giovare, perch� nel messaggio plurisecolare di quegli 
eventi ancora oggi � dato cogliere la centralit� del pubblico interesse, e la strumentalit� 
a quell�obiettivo di ogni altra misura, pi� o meno utile che fosse alla 
conquista del consenso delle masse. 

Invero, cos� dovrebbe essere per tutte le decisioni e le scelte dell�Amministratore, 
che solo al benessere dei cittadini, non al loro disinformato consenso, 
dovrebbe mirare. Ed invece, ci� che quotidianamente constatiamo dimostra 
tutti gli anni luce che ci separano da quelle essenziali regole di condotta. 

(*) Sulla pubblicazione del saggio si rimanda alle considerazioni in premessa. 


Ciascuno dei tanti, compiaciuti sostenitori del vecchio adagio su feste, 
farina e forca, con indifferenza sembra oggi accantonare le regole dello Stato 
democratico, ignorando la storia e talvolta offendendo con irriverenza chi, 
dopo anni di studio e notti insonni, ha sacrificato svago e affetti all�idea, ormai 
peregrina, di contribuire al meglio nella realizzazione degli interessi dell�Amministrazione 
pubblica, ovvero della collettivit� intera. 

Probabilmente una dimensione municipale degli orizzonti non contribuisce 
a chiarire che l�apertura alle auto dei diversamente abili degli accessi alle 

Z.T.L. costituisca garanzia di un fondamentale interesse generale, non certo 
immotivato privilegio per chi dispone della deroga, salvo che la coscienza non 
rimorda sui criteri che hanno guidato il rilascio dei permessi. E nella stessa 
dimensione pu� apparire problematica la percezione della differenza tra il vincolo 
di immedesimazione organica, che lega un Avvocato dello Stato alla Presidenza 
del Consiglio, e quello, pi� intenso e diretto, che dal Vertice politico 
di un Ente viene imposto al Dirigente, incaricato, con riserva di spoil system, 
di guidare l�Ufficio legale dello stesso Ente (o peggio per i nepotismi pi� impensabili 
viene assegnato a quell�attivit� contenziosa). 

Non intendo mettere in dubbio la professionalit� e l�indipendenza di nessuno. 

Ma � certo che a caratterizzare il ruolo del difensore di una parte pubblica 
dovrebbe sempre essere l�incondizionata autonomia di chi lo svolge, perch� 
chiamato non a tutelare l�Amministratore, ma l�Amministrazione, e cos� i pubblici 
interessi di cui per definizione � tenuta a farsi portatrice. 

Un Avvocato che, per organizzazione e carriera, contrappone la sua totale 
autonomia operativa al Capo dell�esecutivo � l�archetipo dello �Stato di diritto�, 
principio ancora oggi garantito dalla parit�, davanti al Giudice terzo, 
tra titolare dell�interesse qualificato, e Amministrazione, che quell�interesse 
pu� pretendere di sacrificare solo operando in conformit� alla legge. 

Sembra tuttavia che simili criteri, propri del nostro sistema, ma anche di 
quello che l�Europa vuole realizzare, non dissuadano dal proposito di sopprimere 
il Giudice degli interessi, solo perch� ha osato annullare provvedimenti 
dei Sindaci. E non convincano, invece, della necessit�, a tutela della generalit�, 
che piuttosto siano proprio quei Sindaci ad impegnarsi per adottare provvedimenti 
quanto pi� possibile legittimi (ovvero conformi alle regole imposte dal 
diritto vigente in una societ� democratica!). 

2. Le origini storiche dell�Istituto e l�intuizione di Pietro Leopoldo di Toscana: 
�solo il tiranno non ha bisogno di un Avvocato�. Dall�Avvocatura regia della 
Toscana all�Avvocatura erariale dell�unificazione. 

Fin qui alcuni dei principi fondanti della democrazia. 

Quanto alla storia, se anche in questo campo qualcuno avesse tempo e 
voglia di addentrarsi, potrebbe facilmente constatare che l�idea di un corpo 
unico di difensori pubblici si debba - nientemeno - all�illuminato governo di 


Pietro Leopoldo di Toscana (� il primo sintomo delle singolari coincidenze 
astrali che convergono sulla sorte degli avvocati pubblici), il cui lungimirante 
(per l�epoca) concetto di organizzazione democratica si esprimeva gi� nella 
considerazione che �solo i tiranni non hanno bisogno di un avvocato� (cui 
oggi � lecito aggiungere l�aggettivazione �libero�). 

Invero, in quella felice regione italiana era attivo, addirittura gi� nel 1282, 
un �Archivio delle Riformazioni della Toscana�, cui veniva richiesto ogni parere 
sulle controversie giurisdizionali, e che si ergeva a massimo tutore delle 
prerogative sovrane. 

Ai tempi della Repubblica fiorentina (siamo alla met� del XVI secolo) di 
tale organo furono celebratissimi segretari Niccol� Machiavelli e Donato Gian-
notti, nonch�, nei secoli a venire, altrettante illustri personalit�, fino all�istituzione, 
ad opera di Pietro Leopoldo e con motuproprio del 27 maggio 1787, di 
un�Avvocatura regia. 

L�ufficio, temporaneamente soppresso dal Governo francese, fu significativamente 
ripristinato gi� nel 1814, e mantenne le sue prerogative fino a 
quando il titolare della funzione, grazie alle leggi del neonato Stato Nazionale, 
mut� la sua denominazione da Avvocato regio della Toscana a primo Avvocato 
Erariale del Regno. 

Ebbene, Pietro Leopoldo aveva istituito l�Avvocatura regia �perch� le 
cause del Fisco, della regalia e del patrimonio regio fossero trattate e difese 
con puro spirito di verit� e di giustizia, n� l�interesse del Fisco mai prevalesse 
alla ragione dei privati�. Per questa illuminata ragione aveva affidato all�Avvocato 
regio il compito esclusivo di promuovere o sopire le liti, e di patrocinare 
le cause dello Stato, non solo davanti al Magistrato supremo di Firenze, 
ma anche in ogni altro Tribunale, davanti al quale era abilitato ad avvalersi di 
delegati residenti, chiamati ad agire secondo le sue istruzioni. 

Nessuna lite cio� poteva iniziarsi se non consigliata dall�Avvocato regio, 
cos� come nessuna transazione poteva concludersi senza il suo assenso, essendo 
quell�Avvocato il consulente primo dell�Amministrazione, oltre che il 
vero e unico dirigente addetto al contenzioso e al consultivo. 

Risale invece al 1862 la costituzione delle prime Direzioni del contenzioso 
finanziario del Regno, inizialmente modellate sull�inefficiente sistema 
borbonico, proprio delle Agenzie del contenzioso, le quali si limitavano a distribuire 
a liberi avvocati i patrocini delle liti dell�Amministrazione. 

Continua per� ad essere sintomaticamente rilevante che sin dal 1866 
alcune Direzioni, compresa, nel 1870, la Direzione di Roma, si accorparono 
a quella di Firenze (ancora!); e fu per via delle radicali innovazioni sul contenzioso 
pubblico, introdotte dalle note ed ancor oggi basilari leggi del 1865, 
che al Direttore di Firenze venne conferita per la prima volta la qualifica di 
�Generale�. 

Questi, nonostante fiorentino, nelle sue relazioni annuali di null�altro per� 


si doleva se non della noncuranza per quelle funzioni mostrata dall�Italia unificata. 
Anzi, nella sua relazione per l�anno 1874 riferiva di 8335 cause, incrementate 
di altre 478 nel 1875, e del successo conseguito su 3470 il primo anno, 
ma salito ad oltre 5000 in quello successivo. 

Soprattutto per�, quel Direttore Generale si doleva che i costi di gestione 
delle liti fossero in costante e ingiustificato aumento, e, pi� direttamente, che 
quel lievitare andasse imputato al fatto che i Magistrati di province diverse da 
quelle lombarde e venete �procedono con una certa larghezza nella liquidazione 
delle spese a carico dell�erario�. 

Non mancava di citare, a mo� d�esempio, le vicende di una controversia 
con la societ� ferroviaria dell�Alta Italia, vinta in prime cure davanti al Tribunale 
di Firenze con favorevole liquidazione di L. 54 per spese. Tuttavia la 
Corte d�Appello, cui aveva fatto ricorso la societ�, riformando la decisione di 
primo grado aveva liquidato le spese a carico dell�Erario nella sproporzionata 
misura di L. 2.055,50, che la parte pubblica avrebbe dovuto pagare se non 
fosse intervenuta la successiva, favorevole pronuncia della Cassazione. 

� probabilmente ai contenuti di quella relazione che si debbono le successive 
iniziative del legislatore statale, il quale, fallito il progetto di affidare 
il patrocinio all�Ufficio del Pubblico Ministero, istitu�, dal 1876 e nelle citt� 
del regno pi� popolate di cause e d�affari, tante Avvocature regie �di tipo toscano� 
(sic!), sotto la direzione di un unico Avvocato generale, affinch� come 
Ufficio �difendessero le liti dell�Amministrazione, le componessero, le rinunziassero, 
consigliassero su ogni negozio di essa amministrazione, ne sciogliessero 
i quesiti, accudissero alle contrattazioni�,. 

Nascevano cos� Uffici chiamati, come riferiscono le cronache del tempo, 
a �dirigere per davvero� il contenzioso, senza limitarsi a trasmettere note, a 
delegare patrocini e a liquidare compensi. 

Sicch�, con decreto reale del 16 gennaio 1876 vennero istituite otto regie avvocature 
(Roma, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Torino e Venezia). Ed 
� con l�art. 15 di quel decreto che fu assegnato alle neo istituite Avvocature anche 
il compito di riscuotere i compensi di patrocinio, posti a carico delle controparti, e 
ripartire poi le somme riscosse tra i titolari, secondo i criteri fissati da un decreto 
ministeriale che, e non � poco, port� la firma di un Ministro come Depretis. 

�Si volle interessare alla vittoria gli Avvocati regi e i sostituti - recitano 
sempre le sagge cronache del tempo - la qual molla va toccata con delicato 
accorgimento, e fu solo dopo gli effetti che ha persuaso i pi� restii a mantenerla�, 
in aggiunta al trattamento economico che, nel 1880, veniva �classato� 
in due separate fasce �retributive�, rispettivamente di 8 e 9 mila lire (prebende 
consistenti per quei tempi, ma rispettose della severa selezione cui l�accesso 
alla funzione era gi� allora condizionato). 

A dettare le regole fondamentali fu infine il primo, grande preposto alla 
funzione di Avvocato Generale Erariale, quel Giuseppe Mantellini - neanche 


a dirlo anche lui toscano! - che, recependo a motto e modello dell�Istituto il 
�fortiter in re et suaviter in modis�, sugger� ad ogni Avvocato dello Stato la 
concisione di Demostene, unita alla prudenza e sapienza di Papiniano, advocatus 
fisci e procuratore di Cesare. 

3. Il ruolo professionale e la retribuzione. Magistrati, ministeriali e incentivazione. 


Oggi � sempre da Firenze, e paradossalmente da chi alla �Leopolda� 
ispira le sue idee di riforma, che viene decretata la fine di questa Istituzione 
storica, e soprattutto della professionalit� dei suoi componenti, che si vogliono 
ridurre a semplici travets. 

L�idea, invero, non � per niente nuova. 

Infatti, personaggi di incomparabile spessore politico, come Giovanni 
Giolitti, ci tentarono sul finire del XIX secolo. Ma furono costretti a ricredersi 
sull�utilit� di simile misura da una difesa plebiscitaria della categoria, spontaneamente 
assunta da tutte le componenti intellettuali e addentro al problema, 
fossero Avvocati liberi professionisti (che non temevano la concorrenza, non 
confidavano in potenti amicizie, e testimoniavano lealmente la capacit� dei 
loro contraddittori in giudizio) o docenti universitari, pi� attenti ai principi 
fondanti del diritto pubblico che a quelli di altra sconosciuta branca, di cui gli 
italiani dovranno constatare la centralit�, e cio� il diritto municipale. 

Dai lavori parlamentari del lontano 19 Giugno 1889 (ancora una volta � 
la cronologia degli eventi a testimoniare coincidenze astrali per alcune inopportune 
iniziative) si trae la volont� di Giovanni Giolitti, all�epoca Ministro 
del Tesoro, ma stranamente di origini piemontesi, di cassare gli stanziamenti 
per le �quote dovute ai funzionari delle Avvocature erariali per competenze di 
avvocati e procuratori nei giudizi sostenuti dalle Avvocatura stesse�. 

La proposta, allora come oggi, si proponeva di �incamerare a beneficio 
dello Stato le quote che fino ad allora i funzionari riscuotevano sulle somme 
versate dalle controparti per competenze di avvocati e procuratori poste a loro 
carico nei giudizi sostenuti dalle avvocature erariali�. 

Altrettanto singolare � che la proposta, come quella odierna, si giustificasse 
e motivasse con la parit� di trattamento economico di base tra Avvocati Erariali 
e Magistrati, e ipotizzasse un risparmio di spesa pari a 110mila lire del tempo. 
Il che, sempre per quelle strane correlazioni di tempo e luogo che caratterizzano 
nei secoli la vicenda, ciclicamente giudicata, ma a sproposito, decisiva per le 
pubbliche finanze, si motiva, altrettanto singolarmente, per essere stato il Giolitti 
caposezione del Ministero delle Finanze, per dichiararsi impegnato nella 
severa politica tributaria e nella tendenza al pareggio di bilancio, e per operare 
lo stesso Ministro come Magistrato che, in contrapposizione a De Pretis, intendeva 
contenere la spesa pubblica, gi� all�epoca furori controllo. 

Allora, come oggi, a sostenere l�iniziativa era lo stesso equivoco di fondo 


sulla titolarit� del credito da espropriare a vantaggio della voracit� di guerra-
fondai, allora, o di salvatori dalle acque, oggi; ma a suo tempo, diversamente 
da oggi, il tema venne democraticamente dibattuto in Assemblea legislativa, 
nell�ovvio presupposto che nessuna improrogabile urgenza imponesse di utilizzare, 
come oggi si pretende, per di pi� a dispetto di inderogabili principi 
costituzionali, meccanismi di normazione eccezionale, come il decreto legge. 

Ebbene, i resoconti parlamentari dell�epoca, oltre a testimoniare l�attenzione 
dei (veri) rappresentanti del popolo per quello che l�Istituto rappresenta, 
concordano sulla funzione, gi� allora giudicata decisiva, propria degli Avvocati 
dello Stato, saggiamente riconoscono che le �differenze stipendiali� con altre 
magistrature possono al pi� riguardare l�incongruit� dei trattamenti altrui, e 
non l�eccesso di quelli riconosciuti agli Avvocati dello Stato, e confermano 
che quei proventi �aggiuntivi� costituiscono compenso per �certe cause abbastanza 
gravi, per le quali non basta il tempo di ufficio, e per le quali l�avvocato 
erariale, per istudiarle, ha bisogno di un lavoro indefesso, accurato, 
indipendente da quello a cui sarebbe tenuto per ragione di orario�. 

Senza qui aggiungere, con quei, saggi, politici del tempo, che �se togliete la 
speranza di maggior guadagno, toglierete il maggiore stimolo all�azione umana, 
in fatto di lavoro, perch� il lavoro stesso sia compiuto nel modo migliore�. 

4. Chi si onerer� dei costi dell�operazione: un risparmio che � solo di facciata. 


A supportare le unanimi opposizioni al disegno ministeriale era pertanto 
la constatazione che l�avvocato erariale �non � un impiegato, n� un magistrato, 
n� un avvocato: ma � ad un tempo impiegato, magistrato e avvocato. E soprattutto 
egli non ha spezzato i suoi legami con il foro: lo che � dovuto appunto 
a quella disposizione per la quale l�avvocato erariale ha diritto a prendere egli 
il compenso cui � condannata la parte soccombente�. 

Onde, si legge alla fine di quel resoconto parlamentare, se �sopprimete 
questo, l�avvocato erariale diventer� assolutamente un impiegato dello Stato 
e voi avrete mutato i cardini della istituzione�, considerato che �vi sono nei 
bilanci dello Stato parecchi milioni [oggi miliardi di Euro! N.d.r.], ed un Ministro 
del Tesoro non avendo quella istituzione avr� bisogno di ricorrere ad 
Avvocati liberi�. 

�Quali potrebbero essere gli effetti di questo sistema - si interrogava al 
tempo il qualificato interveniente - io, avvocato, non lo dico [a interloquire 
era l�on. Grimaldi n.d.r.]; lo lascio alle considerazioni della Camera. Non veniamo 
per� a colpire una istituzione che � proficua, e soprattutto onesta�. 

La Camera, ovviamente, approv� lo stanziamento, che quindi dal 1876, 
ovvero da quasi 150 anni, conferma simili modalit� di riconoscimento ai connotati 
professionali esclusivi dell�attivit� degli Avvocati dello Stato. 

Ad indurre alla riflessione dovrebbero oggi essere, in primo luogo, le te



stimonianze del passato, coniugate alla constatazione che altre Avvocature 
pubbliche, comprese le regionali e comunali, hanno nei decenni consentito, 
modellandosi per struttura e, parzialmente, per funzione su quella dello Stato, 
l�incremento di enormi risparmi sui costi del contenzioso. 

Questi risparmi per� non potranno essere garantiti, per qualit� dei risultati 
e per quantit� degli esborsi, dalle odierne scelte irrazionali, cui seguir� la prevedibile 
perdita, a breve, di tantissime professionalit�, dotate di esperienza 
non facilmente sostituibile. 

Forse chi si occupa di pubblica funzione dovrebbe poi leggere meglio il 
senso di alcuni dati, che riguardano la, ormai sporadica, collocazione nel mercato 
del lavoro dei pi� preparati laureati in giurisprudenza. 

Orbene, a difficolt� di selezione ipoteticamente pari (il che � opinabile, 
perch� gli Avvocati dello Stato sostengono due successivi concorsi pubblici, 
molto impegnativi per le limitatissime disponibilit� esistenti nei ruoli organici 
separati di procuratore e Avvocato dello Stato, alla data odierna non del tutto 
coperte), � provato dalle circostanze che chi - si tratta di pochissimi - ha superato 
contestualmente i concorsi per procuratore dello Stato e per magistratura 
ordinaria, ha prevalentemente optato per la prima delle due alternative, confidando, 
comՏ logico presumere, su un trattamento economico pi� favorevole, 
nonostante l�altrettanto oggettivo maggior carico di lavoro da affrontare. 

Altrettanto, ma in senso �inverso�, accade per il concorso di secondo 
grado. 

I pi� giovani e preparati dei procuratori dello Stato propendono alla partecipazione, 
con riscontrato e significativo ampio successo, ai concorsi per 
magistrato del TAR o della Corte dei Conti, ed optano poi per quelle carriere 
alternative, le quali garantiscono, indipendentemente dalla minore redditivit� 
della funzione, carichi di lavoro pi� umanamente gestibili e limitati, e soprattutto, 
quanto a termini decadenziali e conseguenti responsabilit�, direttamente 
governabili. 

Tutto questo ha motivazioni precise, da ricercare nell�abnorme impegno 
che si pretende dagli Avvocati dello Stato, e che gli stessi profondono, come 
confermato dai dati che, a questo punto, diventa necessario fornire a chi legge. 

5. Le informazioni negate alla pubblica opinione e l�inumano onere per l�intera 
categoria. 

Si � detto che l�organico nazionale complessivo, suddiviso nei due ruoli 
degli Avvocati e Procuratori dello Stato, � pari a 370 unit�. 

Attualmente tale organico � coperto nei limiti di 340 posti; i restanti 30 
sono disponibili nel ruolo dei procuratori, ma sono vacanti per le improvvide 
disposizioni sui limiti alle nuove assunzioni ed allo stesso turn over. 

Al concorso pubblico per procuratore dello Stato (tre prove scritte e otto 
orali) si accede con la laurea in giurisprudenza, mentre a quello per Avvocato, 


che si articola in quattro prove scritte e nove orali, possono partecipare sia coloro 
che, da almeno un triennio, appartengono al ruolo dei procuratori, sia i 
magistrati amministrativi e/o ordinari, nonch� i docenti universitari, i dirigenti 
pubblici e gli avvocati liberi professionisti che vantino particolari anzianit�. 

L�Istituto, comՏ noto, cura in via esclusiva il patrocinio di tutte le Amministrazioni 
statali, e di quelle, regionali o autonome, che hanno deliberato 
di avvalersene. 

Fa eccezione la Regione Siciliana, che per norma di attuazione del suo 
Statuto fruisce da decenni di modalit� di patrocinio pubblico in tutto e per tutto 
identiche a quelle dello Stato. 

Ne segue che su quelle 340 unit� professionali gravano annualmente pi� 
di 170.000 nuovi affari contenziosi, che, comprese le giurisdizioni internazionali, 
producono un costante incremento annuo del carico, pari, in media, a 500 
nuove cause pro capite. 

Poich� la durata media minima di ciascun giudizio � pari, in Italia, a tre 
anni per ogni grado, se ne trae, sempre in via di approssimazione media e per 
difetto, che il carico individuale per ciascun avvocato dello Stato debba stimarsi 
in 4.000 cause attive, cui si sommano i giudizi di legittimit�, quelli davanti 
alle giurisdizioni internazionali, e quelli relativi ad incidenti di 
costituzionalit�. 

Il valore economico di tale contenzioso �, sempre per approssimato difetto, 
da stimare pari a 25/26 miliardi di Euro annui, mentre il costo a carico dello 
Stato (non si computano n� i vantaggi per le regioni, n� quelli per tutti gli altri 
soggetti che del patrocinio fruiscono in forma totalmente gratuita!) per il funzionamento 
dell�intera struttura, comprensivo quindi di tutti gli oneri per il personale 
e dei costi di gestione per mezzi e sedi, non supera i 150 �/M.ni per anno. 

Da qui un costo effettivo, per ciascuna causa e per tutti i possibili gradi 
di giudizio, pari a meno di 900 Euro, con una spesa che, come prova la comune 
esperienza, � di gran lunga inferiore non solo agli ordinari valori di mercato, 
ma addirittura al puro costo di qualsivoglia attivit� di patrocinio e consulenza 
legale, anche se fornita presso altre amministrazioni pubbliche. 

Una rapida verifica delle omologhe causali della spesa, sostenuta da soggetti 
pubblici che in passato hanno fruito del patrocinio dell�Avvocatura dello 
Stato, e sono nel tempo transitati ad un regime di diritto privato, pu� meglio 
provare l�illogicit� dell�odierna scelta governativa. Si tenga conto che trattasi 
di singole componenti del complesso �pubblica Amministrazione�, la cui articolazione 
comprende invece centinaia di attuali �fruitori� del patrocinio statale 
del quale si discute. 

Ebbene, S.p.A. Poste Italiane, pur disponendo di un proprio Ufficio legale 
interno, ha speso nel 2012 per �consulenze varie e assistenze legali� quasi 42 
milioni di Euro, contro i circa trenta del 2013 (i dati si leggono a pag. 232 
dell�ultimo bilancio): da sola, ha quindi erogato il 20% di quanto complessi



vamente costa l�intera struttura dell�Avvocatura dello Stato. 

A sua volta, S.p.a. Ferrovie dello Stato gi� nel primo anno in cui - come 
ente pubblico economico - declin� il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, 
spese oltre 10 miliardi delle vecchie lire per la difesa legale. Oggi il consolidato 
2012, alla voce prestazioni professionali e consulenze, denuncia una spesa 
di 36 milioni di Euro (altro 20%, che sommato al precedente raggiunge per 
due sole entit� pubbliche un importo pari al 40% della spesa totale per l�Avvocatura 
dello Stato). 

Ancora, il bilancio di ANAS s.p.a. (altro soggetto sostanzialmente pubblico, 
che pur avendo creato una propria struttura legale interna, con costi che 
non sono qui scorporabili da quelli complessivamente sostenuti per il personale, 
si avvale ordinariamente di legali esterni, affidando alla facoltativit� del 
patrocinio dell�Avvocatura quanto l�uno e gli altri scelgono di non fare) denuncia 
oneri per il contenzioso pari nel 2011 ad oltre 15 milioni di euro, arrivando 
a pi� di 16,5 nel 2013 (somma un altro 10%, che porta alla met� del 
costo complessivo per la difesa di tutti i Ministeri, della Regione Siciliana e 
di ogni altro Ente pubblico che dell�Avvocatura dello Stato si avvale!). 

Ma la ciliegina sulla torta la mette AGEA, Agenzia per le erogazioni in 
Agricoltura. 

Sul quotidiano Italia Oggi del 4 Dicembre scorso ciascuno ha potuto leggere 
di un contenzioso tra detta Agenzia e l�Agenzia delle Entrate per un rimborso 
IVA del valore di circa 100 milioni di Euro. Questo contenzioso, quanto 
a difesa davanti le Commissioni Tributarie competenti, affidata ad un commercialista 
libero professionista, sarebbe costato alle finanze pubbliche ben 
5,5 milioni di Euro. E qui non � neanche immaginabile una proporzionalit� 
percentuale ai tanto vituperati costi delle pubbliche difese! 

6. Il legittimo dubbio sugli obiettivi reali: cui prodest? 

Si pu� ritenere notorio, tanto da motivare l�inserimento nell�elenco delle 
prime riforme di sistema e da giustificare primari interventi urgenti a salvataggio 
della Nazione, il fatto che ciascun Avvocato dello Stato fruisca di una 
componente retributiva fissa, ragguagliata, per fasce di equipollenza ed anzianit�, 
a quella dei magistrati, ma per la quale non � previsto incremento alcuno 
per lo svolgimento di funzioni direttive, e di una componente variabile, non 
pensionabile (caso unico nella definizione dei trattamenti retributivi corrisposti 
con regolare periodicit� nel lavoro dipendente!) e costituita appunto dalle 
quote onorari spettati nel caso di incondizionato esito favorevole del giudizio. 

Quest�ultima componente � quindi strettamente legata ai riscontri oggettivi 
sui risultati, essendo costituita da quota parte delle spese legali relative a 
cause definite con esito del tutto favorevole all�Amministrazione (basta cio� 
il rigetto di una domanda riconvenzionale, o la pronuncia di una condanna minima, 
a dispetto delle originarie richieste milionarie di parte avversa, per esclu



dere ogni titolo al riparto, nonostante il risultato finale complessivo possa aver 
garantito risparmi elevatissimi all�Ufficio patrocinato!). 

Trattasi, a tutta evidenza, di compenso tipico della professione forense, 
legato a risultati che in forma incondizionata (esiti in toto favorevoli) e oggettiva 
(il riconoscimento su qualit� e rilevanza del risultato proviene da soggetto 
terzo e imparziale, quale � il Giudice) esprimono il merito di chi ha prestato 
la propria opera professionale. 

D�altra parte, ed � quanto non solo giustifica, ma rende significativa, perch� 
dimostra con evidenza la non comune qualit� professionale di tutti gli Avvocati 
dello Stato, la �contestata� entit� rilevante delle risorse, l�Istituto, che 
svolge anche tantissima attivit� consultiva, vanta una percentuale di vittorie 
pari al 70% delle controversie patrocinate, e cos� garantisce alla parte pubblica 
la salvaguardia di risorse in contestazione, stimabili in circa 18 miliardi di 
Euro (sulla media di 26, oggetto complessivamente di contestazione). 

Pensare oggi di eliminare l�unico compenso incentivante legato, con criteri 
oggettivi, ai risultati conseguiti dal dipendente pubblico esprime eclatante 
insensatezza e superficialit�, se non altro perch� fortissimo � il rischio che all�indifferenza 
per il risultato corrisponda un impegno meno intenso nel raggiungimento 
dell�utilit� finale, e soprattutto un disincentivo al merito, che 
potr� incidere negativamente sull�accesso ai ruoli dell�Istituto delle professionalit� 
pi� qualificate, che il mercato � nelle condizioni di offrire. 

Il sospetto, a fronte di cos� tanta irrazionalit� ed incoerenza, � che si perseguano 
obiettivi che nulla hanno a che vedere con il contenimento della spesa 
e con la redistribuzione delle risorse. 

Piuttosto, sulla falsariga della costosa scelta, di cui nessuno parla, di un 
difensore inglese per i due mar�, i quali detenuti erano e tali continuano a restare 
nella lontana India (dalla lettura del curriculum si apprende che sir Daniel 
Bethlehem � cresciuto in Sudafrica, � stato consigliere legale esterno del Foreign 
Office, ma sarebbe principalmente un manager di scuba diving, un 
esperto di trekking e uno scalatore di alte montagne, con buona pace della spiccata 
propensione mostrata dal Governo sui temi di diritto), � facile sospettare 
che l�attenzione ai risparmi di spesa finisca per essere il pi� remoto, anche se 
il pi� verbosamente pubblicizzato, degli obiettivi. 

Da Leopoldo alla Leopolda: si pu� esprimere cos�, con quello che non � 
un banale gioco di parole, n� un irrilevante cambiamento di genere, ma una 
radicale differenza di attenzione nella gestione democratica del sistema. 

E paradossalmente, l�impronta maschile, pur risalente nei secoli, finisce 
per smentire la condivisa prevalenza qualitativa dell�amministrare al femminile. 


SALVATORE FARACI 

Due e-mail di un avvocato dello Stato 

Da: Salvatore Faraci [mailto:salvatore.faraci@avvocaturastato.it] 
Inviato: mercoled� 11 giugno 2014 12:10 

A: 'Avvocati_tutti' 
Oggetto: riforma p.a. punto 35 


Sono in pausa in attesa delle ripresa dell�udienza d�assise per la strage di Capaci. 
Ieri sera avevo scritto questa mail che, poi, non ho inviato. 
Alla luce delle considerazioni svolte dai colleghi penso che vada inviata. 


Cari colleghi scusate lo sfogo. 
Ottime le lettere in oggetto inviate alle Autorit�. Ottime tutte le proposte. 
Per� al Ministro manderei questo semplice resoconto della giornata odierna (e non � detto 
che all�esito del 13 giugno non lo faccia). 


� Signor Ministro non voglio tediarla per� � bene che Ella, a nome del Governo, conosca il 
lavoro dei suoi avvocati anche quello pi� usuale e quotidiano e lontano dai riflettori. 
Sono le ore 20,31 p.m. e sono ancora in ufficio da stamattina dalle 9,30. Sono cos� stanco e 
sfinito che mi butterei dalla finestra. Sono solo naturalmente a quest�ora. 
Ho una forte distorsione alla caviglia - abbastanza gonfia - che mi opprime continuamente 
per una caduta. Non ho fatto un pasto decente n� credo riuscir� a farlo in serata. 
Lavoro di oggi : 
1) redazione di memoria per l�agenzia delle Dogane su un 702 bis che scade domani. 
2) redazione di opposizione di terzo all�esecuzione ex art. 619 per l�agenzia dei beni seque


strati: scade domani perch� cՏ l�udienza per la - eventuale - vendita. 
3) redazione di comparsa in appello con appello incidentale per responsabilit� dei giudici 

segnatamente del Tar Palermo e del C.G.A.; scade domani. 
4) redazione di comparsa in appello con appello incidentale per epatite; scade domani. 
5) redazione note conclusive proc. penale in abbreviato per parte civile Agenzia delle Dogane; 

udienza discussione domani. 
6) studio dell�udienza dibattimentale strage Capaci c.d. troncone quater domani Corte Assise. 
7) studio di tutti i miei fascicoli di corte appello civile domani (n. 10) con compilazione al 

collega degli statini . 
Beninteso ho dovuto preparami anche parte dei fascicoli e collazionarli. 
Il tutto utilizzando al massimo l�intelligenza che il Buon Dio mi ha dato, con la lucidit� necessaria 
e la seriet� dovuta alla funzione. 
Naturalmente la giornata di oggi non � dissimile da quella di ieri ne lo sar� da quella di domani. 
Mi sento in colpa con me stesso e con la mia famiglia. Ha ragione mia moglie quando mi 
dice �stai attento� �tutto questo stress pu� farti ammalare sul serio� . 
Ebbene io non posso restituire alcun titolo per protesta, come suggerisce qualche collega, 
non essendo n� cavaliere n� commendatore: 
per� potrei pi� semplicemente smettere di farmi del male e in aderenza al principio di auto-
protezione mettermi, come mio diritto, in malattia (magari per qualche settimana) 


perch� non sto bene e non � giusto che mi affligga oltre il consentito ed il lecito; se poi qualche 
decina - o centinaia - di milioni di euro andr� in fumo � pazienza. 
Il diritto alla Salute prima di ogni cosa � o no? Non credo che Ella possa acconsentire a deroghe 
di tal fatta. 
Non sono venuto in avvocatura dello Stato per farmi suicidare dal lavoro Sig. Ministro, concluderei, 
soprattutto se non volete ricompensarmi nemmeno in minima parte. 
Grato per la sua attenzione le porgo distinti saluti �. 


Spero proprio di non dovere inviare una lettera simile. 
Un saluto a tutti. 

Ebbene se ci saranno ulteriori riforme penalizzanti mi riservo, senza indugio, azioni legali a 
tappeto anche per l�emergente danno alla salute e l�assenza dei carichi di lavoro. 
Un abbraccio a tutti. 

Da: Salvatore Faraci [mailto:salvatore.faraci@avvocaturastato.it] 
Inviato: gio 03/07/2014 13.53 

A: Noviello Giustina; Avvocati_tutti 
Oggetto: R: URGENTE- Ordine del giorno assemblea generale del 4.7.2014 ore 12 

Cari colleghi 
nessuno deve avere timore o paura di esprimere sinceramente la propria �meditata� opinione 
su ci� che sta accadendo, che incide in modo rilevante non solo sul reddito ma anche su aspetti 
ben pi� profondi ed importanti della nostra vita e di cui ciascuno, a seconda della sua sensibilit�, 
sta gi� sperimentando gli effetti. Ci� anche quando l�opinione non sia non ortodossa o 
accomodante. 
Ho il massimo rispetto di tutti e delle opinioni di tutti. Ho il massimo rispetto del coraggio o 
della titubanza di tutti e non posso che ringraziare le associazioni, seppur non iscritto a nessuna 
delle due, per ci� che stanno facendo e faranno anche laddove non ne condivida l�azione. 
Per� ci� non pu� esimermi dall�avere rispetto, anzitutto, del mio pensiero. 
Ovvio che non ho magiche soluzioni n� la pretesa di indicare vie risolutive, ma letto l�ordine 
del giorno ho deciso di non partecipare all�assemblea n� di delegare alcuno. 
Lo dico senza polemica, senza disfattismo e senza voler creare ulteriori conflitti con nessuno. 
Ho riflettuto molto in questi giorni e le conclusioni a cui sono pervenuto sono abbastanza 
semplici: 

-la mia analisi, al netto di retorica e stile garibaldino, era ed � corretta ed � avallata da inoppugnabili 
fatti. Non voglio pi� tornarci sopra perch� mi sono scocciato di affabulare sull�evidenza, 
n� voglio parlare di ci� di cui, secondo il noto detto di Wittgenstein, � meglio tacere. 


-l�unica via, per quanto mi riguarda, che, nel futuro, vedo utile e percorribile - comunque vadano 
le cose - � solo quella giudiziaria. 
Pensare di votare, per affidare a qualsivoglia un parere sulla legittimit� costituzionale dell�art. 
9, mi fa semplicemente inorridire. 
Intanto perch� la legge - e non un parere - dispone che sia l�Istituto ad esprimere formalmente 
le eventuali criticit� costituzionali dell�intervento normativo, poi perch� anche uno studentello 
al 3 anno di legge avrebbe buon gioco a dimostrare la palese incostituzionalit� della norma, 



infine perch� la questione di pregiudizialit� � gi� stata respinta. 
Pensare di votare sulla scelta di una societ� di comunicazione non mi crea meno orrore. Non 
sar� pi� un avvocato ma, ancora, non sono diventato un pluri-mandatario di succhi di frutta 
e yogurt che ha bisogno della pubblicit� o dell�interessamento di un terzo per �un asserito 
quanto inutile ed indimostrato lobbismo parlamentare� . 
In ogni caso anche sorvolando su questo la proposta non � consentanea allo scopo. 
Intanto perch� la votazione in aula � fissata per il 14 luglio e non si vede cosa si possa fare in 
meno di 10 giorni (considerato che il marketing � una scienza), poi perch� per magnificare il 
prodotto � sufficiente interloquire seriamente, tramite l�audizione richiesta ed ottenuta, in 
Commissione Affari Costituzionali, infine perch� l�opinione pubblica non sar� mai dalla nostra 
parte qualunque cosa possa essere propagandata. 
Sulla gestione del sito che tipo di votazione potremmo mai fare? 
Sulla gestione economica delle iniziative a tutela della categoria valgono le negative considerazioni 
di cui sopra. 
Sull�informativa dei lavori parlamentari che tipo di votazione potremmo fare? 
Sulla predisposizione d�emendamenti dico che l�ipotesi � semplicemente inutile (vedi dichiarazione 
on. PD) e persino ulteriormente dannosa. Meglio lasciare tutto comՏ. 
In ogni caso ha ragione il collega Vigoriti. Senza un�organica riforma dell�Istituto e delle 
norme processuali in materia di spese, l�abrogazione tout court dell�art. 21, dati gli inalterati 
carichi di lavoro, � semplicemente irricevibile ed � materia da sottoporre esclusivamente al-
l�esame del giudice competente alla tutela. 
Rilevo infine che il funzionamento del caps e del co.co. non sono strettamente attinenti alla 
questione in esame, ne lontanamente decisive per la sorte del D.L., cos� come la riunificazione 
delle associazioni. 
Spero che il mio motivato dissenso possa comunque, essere utile all�assemblea per ulteriori 
riflessioni. 


CONTENZIOSO NAZIONALE 
Sul termine di decadenza per la presentazione 
della domanda di rimborso in materia tributaria 

CASSAZIONE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 16 GIUGNO 2014 N. 13676 

Antonio Mastrone* 

La controversia sulla quale si sono pronunciate le Sezioni Unite con la 
decisione in commento, attiene ad una domanda di rimborso di parte delle trattenute 
fiscali operate dal datore di lavoro in qualit� di sostituto d�imposta. 

La domanda era proposta a seguito della pronuncia della sentenza della 
Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 21 luglio 2005, resa in causa C207/
04, Vergani, che dichiarava la normativa nazionale in contrasto con la direttiva 
del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, relativa all'attuazione 
del principio della parit� di trattamento tra uomini e donne in relazione all'accesso 
al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni 
di lavoro. 

Infatti, il camma 4 bis dell�art. 19 del Dlgs n. 344 del 2003 aveva previsto, 
nell�originaria formulazione, un'aliquota ridotta alla met� sulle somme erogate 
in favore dei lavoratori che avevano superato 50 anni, se donne, e 55 anni, se 
uomini. 

Il giudice d'appello, in particolare, respingendo le difese dell'Ufficio, 
aveva confermato la sentenza di primo grado ribadendo il diritto al rimborso 
del contribuente anche per l'anno 2001 ritenendo che, la decorrenza del termine 
quadriennale per proporre l'istanza (2001-2004 nel caso), stabilito dall'art. 38, 

D.P.R. n. 602/1973, dovesse essere individuata nella data di pubblicazione 
della citata sentenza della Corte di giustizia, solo a seguito della quale si sarebbe 
realizzato il presupposto del diritto alla restituzione. 

(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 


La domanda di rimborso, per la restituzione delle suddette somme, era, 
infatti, stata presentata solo in data 1� febbraio 2006. 

La VI sezione civile aveva rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale 
assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, rilevando il contrasto interno 
alla giurisprudenza di legittimit� in ordine alla suddetta questione della decorrenza 
del termine per l'esercizio del diritto al rimborso di somme versate in 
applicazione di una norma impositiva dichiarata in contrasto col diritto comunitario. 
Le SSUU hanno, con la pronuncia in commento risposto al seguente 
quesito: se il termine di decadenza previsto dalla normativa tributaria nazionale 
(art. 38 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602) per l�esercizio del diritto di rimborso 
di un�imposta che sia stata dichiarata, in epoca successiva all�indebito versamento, 
incompatibile dalla sopra citata sentenza della Corte di Giustizia Europea, 
decorra dalla data di versamento dell�imposta oppure da quella in cui 
� intervenuta la pronuncia che ne abbia sancito la contrariet� all�ordinamento 
comunitario. 

Con l�ordinanza di rimessione il collegio rimettente aveva auspicato un 
punto di equilibrio tra le diverse pronunce interpretative susseguitesi nel corso 
del tempo (1). 

Secondo il collegio, infatti, tale equilibrio poteva essere raggiunto escludendo 
dall�ambito di operativit� dei meccanismi decadenziali impeditivi del-
l�esercizio delle azioni di rimborso le ipotesi di inerzia incolpevole ossia di 
inerzia giustificata, dall�affidamento del contribuente nella legittimit� comunitaria 
della norma impositiva interna e sulla prassi amministrativa o sugli 
orientamenti prevalenti nella giurisprudenza nazionale. 

Le SSUU tuttavia hanno per� disatteso la suddetta indicazione enunciando 
il principio secondo cui, in caso di imposta dichiarata incompatibile 
con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di Giustizia Europea in 
epoca successiva al versamento, il termine di decadenza per l�esercizio del diritto 
al rimborso, ai sensi dell�art. 38 D.P.R. 602/1973, decorre dalla data del 
versamento e non da quella in cui � intervenuta la pronuncia. 

In effetti la sentenza appare essere del tutto compatibile con il principio 
di �adattamento del diritto interno a quello comunitario� secondo cui il diritto 
dell�UE prevale, in ragione del principio di effettivit�, nei confronti del diritto 

(1) In particolare secondo l�orientamento prevalente e pi� antico il termine decorre dalla data del 
pagamento dell�imposta, a nulla rilevando che in quel momento non fosse stata ancora dichiarata l�incompatibilit� 
della norma interna con il diritto comunitario (Cass. SSUU 3458/1996, in tema di rimborso 
della c.d. tassa sulle societ�; Cass. 4670 e 13087 del 2012, sull�imposta oli lubrificanti). 
Secondo altro orientamento il dies a quo di decorrenza del termine va individuato nella data di deposito 
della sentenza della Corte di Giustizia , e ci� in virt� dei principi elaborati dalla Corte stessa in tema di 
overruling (Cass. SSUU n. 15144 del 2011) nel senso che l�imprevedibile mutamento della giurisprudenza 
non pu� ridondare a svantaggio del cittadino che ha fatto incolpevole affidamento sul precedente 
consolidato orientamento. 


interno. Tale principio � altres� sancito dagli artt. 10 e 11 e 117 co.1 (cosi come 
riformato dalla l. 3/2001), della Costituzione. 

La Suprema Corte ha quindi ritenuto fondato il ricorso proposto dal-
l�Agenzia delle Entrate anche in considerazione del principio di certezza del 
diritto attuato con gli istituti della prescrizione e della decadenza sanciti dal 
codice civile agli artt. 2934 e ss. 

A conferma di ci� i giudici di Piazza Cavour hanno, apprezzabilmente, 
ritenuto estendibile la disciplina di cui all�art. 2935 c.c. �decorrenza della prescrizione� 
anche al caso di specie affermando che detto articolo deve essere 
interpretato con riferimento alla possibilit� legale di agire, salve le eccezioni 
stabilite dalla legge relative all�impossibilit� di fatto di agire in cui venga a 
trovarsi il titolare del diritto. 

In effetti, la decadenza consiste nella perdita del diritto da parte del titolare 
che non ha agito entro un termine perentorio, come tale posto a tutela delle situazioni 
giuridiche in attuazione del principio di certezza del diritto. 

Nel caso di specie infatti, il giudice di legittimit� ha considerato che 
l�eventuale contrasto tra norma interna e norma comunitaria pu� sempre essere 
fatta rilevare in giudizio dal soggetto che si reputasse leso dalla presenza di 
una norma ritenuta in contrasto con l�ordinamento comunitario. In questo caso 
l�interessato pu� sempre chiedere che venga sollevata la relativa questione dinanzi 
all�organo competente. Qualora, come nel caso di specie, il soggetto rimanga 
inerte � ovvio che il rapporto venga ad esaurirsi e quindi il titolare perda 
la possibilit� di agire per la sua stessa inerzia. Da ci� ne deriva che non pu� 
essere ravvisato un impedimento c.d. �legale� ad agire prima che una norma 
nazionale sia dichiarata incompatibile con il diritto comunitario (Cass. 10231 
del 1998, cit. 7176 del 1999, 18276 del 2004). 

La Corte ha altres� dichiarato fondato il ricorso dell�Agenzia delle Entrate 
rilevando che qualora il contrasto sia affermato e rilevato da una sentenza della 
Corte di Giustizia Europea in tema di tributi, detta pronuncia produce effetti 
analoghi alla dichiarazione di illegittimit� costituzionale (Cass. 3306/04; 
20863/10). 

Ad ulteriore giustificazione e conferma di quanto esposto il supremo organo 
giudicante ha altres� escluso, nel caso di specie, la rilevanza del c.d. fenomeno 
dell�overruling cosi come prospettato dal Collegio rimettente. Tale 
principio, infatti, ricorre solo quando si registra una svolta repentina della giurisprudenza 
rispetto ad un precedente diritto vivente consolidato che si risolve 
in una compromissione del diritto di azione e di difesa di una parte. Ci� � confermato 
anche dalla sentenza delle SSUU della Suprema Corte di Cassazione 

n. 15144 dell�11 luglio 2011 secondo cui �Il fenomeno del cd. overruling ricorre 
quando si registra una svolta inopinata e repentina rispetto ad un precedente 
diritto vivente consolidato che si risolve in una compromissione del 
diritto di azione e di difesa di una parte. Elementi costitutivi sono quindi: 


l�avere a oggetto una norma processuale, il rappresentare un mutamento imprevedibile, 
il determinare un effetto preclusivo del diritto di azione o difesa. 
In applicazione del valore del Giusto processo, deve essere esclusa l�operativit� 
della preclusione derivante dall�overruling nei confronti della parte che 
abbia confidato nella consolidata precedente interpretazione della regola 
stessa. Per essa, insomma, la tempestivit� dell�atto deve essere valutata con 
riferimento alla giurisprudenza vigente al momento dell�atto stesso�. 

Alla luce di detta pronuncia emerge che il presupposto affinch� possa applicarsi 
detto istituto, derivante dall�ordinamento anglosassone, non � ravvisabile 
solo nell�applicazione di una diversa norma processuale o nella 
compressione del diritto alla difesa di un soggetto, ma da un improvviso cambiamento 
della giurisprudenza, che nella questione in esame non � avvenuto. 

Infatti, per eliminare qualsiasi ombra di dubbio circa l�impossibilit� applicativa 
di tale principio � sufficiente osservare come non pu� considerarsi 
un �cambiamento repentino giurisprudenziale� la pronuncia di una sentenza 
della Corte di Giustizia Europea, attraverso la quale si dichiara l�incompatibilit� 
di una norma nazionale con una di natura comunitaria. Peraltro la Corte 
di Giustizia, nel caso di specie, non sembra essersi pronunciata n� su norme 
di carattere processuale (quale ad esempio un improvviso effetto preclusivo 
dell�esercizio di un diritto) n� sulle norme sostanziali riguardanti gli istituti 
della decadenza e della prescrizione. 

Ed infatti, il principio di overruling ha rilevanza quando il repentino mutamento 
interpretativo riguardi una norma processuale e che incida su di un 
diritto sul quale il soggetto aveva, in buona fede, fatto affidamento. 

Ne deriva, giustamente, che tale principio non sembra applicabile al caso 
in esame, in quanto nessuna compressione del diritto di difesa � stato leso. 

Le SSUU, con la sentenza in commento, hanno solamente proceduto ad 
applicare le norme sugli istituti della decadenza e della prescrizione cos� come 
interpretati e specificati dal c.c. agli artt. 2935 e ss. 

In conclusione la sentenza in commento appare apprezzabile sia per l�applicazione 
data al principio di effettivit� del diritto comunitario sia per la definizione 
in essa contenuta dei �rapporti c.d. esauriti� in relazione al principio 
di certezza dell�ordinamento applicato agli istituti della prescrizione e della 
decadenza. 

Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 16 giugno 2014 n. 13676 -Primo Pres. f.f. Adamo, 
Pres. Sez. Rordorf, Rel. Virgilio, P.M. Ceniccola (difforme) - Agenzia entrate (avv. gen. Stato) 

c. P.F. (n.c.). 

Ritenuto in fatto 

1. L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della 
Commissione tributaria regionale del Veneto indicata in epigrafe, con la quale, per quanto qui 
ancora rileva, � stato rigettato l'appello dell'Ufficio locale dell'Agenzia e confermato il diritto 


di P.F. al rimborso della maggiore IRPEF che era stata trattenuta dal datore di lavoro, Banca 
Nazionale del Lavoro, sulle somme corrispostegli dal 2001 al 2004 a titolo di incentivo alle 
dimissioni, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 4 bis, (poi divenuto - a seguito 
della nuova numerazione introdotta dal D.Lgs. n. 344 del 2003 - art. 19, comma 4 bis). 

La domanda di rimborso, presentata in data 1 febbraio 2006, era basata sulla sentenza della 
Corte di giustizia dell'Unione Europea del 21 luglio 2005, resa in causa C-207/04, Vergani, 
con la quale la norma nazionale sopra indicata (secondo la quale era prevista un'aliquota ridotta 
alla met� sulle somme erogate in favore dei lavoratori che avevano superato i 50 anni, se 
donne, e i 55 anni, se uomini) era stata dichiarata in contrasto con la Direttiva del Consiglio 
9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parit� di trattamento 
tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione 
professionali e le condizioni di lavoro. 

Il giudice d'appello, in particolare, respingendo l'eccezione dell'Ufficio, ha confermato il 
diritto al rimborso anche per l'anno 2001, ritenendo che la decorrenza del termine quadriennale 
per proporre l'istanza, stabilito dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, dovesse essere individuata 
nella data di pubblicazione della citata sentenza della Corte di giustizia, solo a seguito della 
quale si era realizzato il presupposto del diritto alla restituzione. 

2. Il P. non ha svolto attivit� difensiva. 

3. La sesta sezione civile, sottosezione tributaria, con ordinanza n. 959 del 2013, depositata 
il 16 gennaio 2013, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione del 
ricorso alle sezioni unite, considerato che la questione della decorrenza del termine per l'esercizio 
del diritto al rimborso di somme versate in applicazione di una norma impositiva dichiarata 
in contrasto col diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia � stata 
decisa in senso difforme da pronunce della sezione tributaria ed anche in ragione della particolare 
rilevanza della questione stessa. 

4. Il ricorso � stato, quindi, fissato per l'odierna udienza. 
5. La ricorrente ha depositato memoria. 


Considerato in diritto 

1.1. La questione sottoposta all'esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se il termine 
di decadenza, previsto dalla normativa tributaria (nella specie, trattandosi di imposta sui redditi, 
dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38) per l'esercizio, attraverso la presentazione 
di apposita istanza, del diritto al rimborso di un'imposta che sia stata dichiarata, in epoca successiva 
all'indebito versamento, incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della 
Corte di giustizia, decorra comunque - come sostiene l'Agenzia delle entrate - dalla data del 
detto versamento, oppure - come ha ritenuto il giudice a quo - da quella in cui � intervenuta 
la pronuncia che ne ha sancito la contrariet� all'ordinamento comunitario. 

1.2. La vicenda normativa che ha dato origine alla controversia in esame ha avuto uno svolgimento 
alquanto peculiare. 

In sintesi: 

a) l'art. 17, comma 4 bis, del TUIR, comma introdotto dal D.Lgs. n. 314 del 1997 e poi ri


prodotto nel D.Lgs. n. 344 del 2003, art. 19, comma 4 bis, ("nuovo" TUIR), prevedeva che 
"per le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare 
l'esodo dei lavoratori che abbiano superato l'et� di 50 anni se donne e di 55 anni se uomini, di 
cui all'art. 16 (poi 17), comma 1, lett. a), l'imposta si applica con l'aliquota pari alla met� di 
quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennit� e 
somme indicate alla richiamata lett. a) del comma 1 dell'art. 16"; 


b) la Corte di giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza emessa il 21 luglio 2005 nella 
causa C-207/04, Vergani, afferm� che tale disposizione si poneva in contrasto con la direttiva 
del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parit� 
di trattamento fra gli uomini le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione 
e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro; 

c) il D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 23, convertito in L. n. 248 del 2006, abrog� l'art. 
19, comma 4 bis, TUIR, cit., ma dispose che tale disciplina "continua ad applicarsi con riferimento 
alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati prima della data di 
entrata in vigore del presente decreto, nonch� con riferimento alle somme corrisposte in relazione 
a rapporti di lavoro cessati in attuazione di atti o accordi, aventi data certa, anteriori 
alla data di entrata in vigore del presente decreto"; 

d) l'Amministrazione finanziaria, con la risoluzione n. 112/E del 13 ottobre 2006, espresse 
l'avviso che le istanze di rimborso proposte in base alla detta sentenza non potessero essere accolte, 
argomentando che non necessariamente l'adeguamento della legislazione nazionale alla 
statuizione della Corte Europea si sarebbe dovuto risolvere nell'applicazione agli uomini del 
pi� favorevole limite di et� di accesso al beneficio previsto per le donne (50 anni), giacch�, almeno 
in linea teorica, tale adeguamento si sarebbe potuto realizzare anche applicando alle 
donne il pi� sfavorevole limite di et� di accesso al beneficio (55 anni) previsto per gli uomini; 

e) la Corte di giustizia, nuovamente investita della questione, con ordinanza del 16 gennaio 
2008, nelle cause riunite da C-128/07 a C- 131/07, Molinari e aa., ha statuito che "qualora 
sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finch� non 
siano adottate misure volte a ripristinare la parit� di trattamento, il giudice nazionale � tenuto 
a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la 
previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita 
lo stesso regime che viene riservato alle persone dell'altra categoria"; 

f) con circolare n. 62/E del 29 dicembre 2008, l'Amministrazione ha definitivamente preso 
atto di quanto stabilito dalla Corte di giustizia. 

1.3. L'ordinanza di rimessione, premesso che sulla specifica fattispecie oggetto del giudizio 
non vi sono precedenti nella giurisprudenza di legittimit�, segnala che in pi� occasioni, invece, 
la Corte � stata chiamata ad occuparsi del problema della decorrenza del termine di decadenza 
dal diritto al rimborso di altre imposte dichiarate comunitariamente illegittime. 

Da un lato, l'orientamento prevalente e pi� antico, � nel senso della decorrenza del termine 
dalla data del pagamento, a nulla rilevando che in quel momento non fosse stata ancora dichiarata 
l'incompatibilit� della norma interna con il diritto comunitario: si segnalano Cass., 
sez. un., n. 3458 del 1996 (in tema di rimborso della c.d. tassa sulle societ�), Cass. n. 4670 e 

n. 13087 del 2012 (sull'imposta di consumo sugli oli lubrificanti). 

Dall'altro, secondo Cass. n. 22282 del 2011 (resa anch'essa in tema di accisa versata sugli 
oli lubrificanti), il dies a quo di decorrenza del termine va individuato nella data di deposito 
della sentenza della Corte di giustizia, e ci� in virt� dei principi elaborati da questa Corte in 
tema di overruling (Cass., sez. un., n. 15144 del 2011), nel senso, cio�, che l'imprevedibile 
mutamento di giurisprudenza - che introduca una decadenza o una preclusione prima escluse 

- non pu� ridondare a svantaggio del cittadino che ha fatto incolpevole affidamento sul precedente 
consolidato orientamento. 

Il Collegio rimettente, premesso di ritenere che i principi affermati in tema di overruling 
non si attagliano direttamente al caso qui in esame, afferma, tuttavia, che gli stessi costituiscono 
indice di un processo evolutivo tendente ad introdurre nell'ordinamento dei tempera



menti al principio della intangibilit� dei meccanismi decadenziali, al fine di renderlo compatibile 
con la effettivit� della tutela dei diritti soggettivi: in tale prospettiva la decadenza non 
si ricollegherebbe al decorso del tempo, ma si configurerebbe, almeno in parte, come sanzione 
dell'inerzia colpevole del soggetto interessato (nella specie, del contribuente). Ma, soprattutto, 
prosegue l'ordinanza, ci� che, gi� prima della sentenza sull'overruling, si � andato sempre pi� 
valorizzando � il principio di tutela dell'affidamento del cittadino, come norma fondamentale 
che presidia la regolazione dei rapporti tra legge, giurisprudenza e fattispecie concreta. 

In definitiva, conclude la Corte, un punto di equilibrio tra le opposte esigenze potrebbe essere 
individuato escludendo dall'ambito di operativit� dei meccanismi decadenziali impeditivi 
dell'esercizio delle azioni di rimborso le ipotesi di inerzia incolpevole, ossia di inerzia giustificata 
dall'affidamento del contribuente nella legittimit� comunitaria della norma impositiva 
interna, che risulti fondato sulla prassi amministrativa o sugli orientamenti prevalenti nella 
giurisprudenza nazionale. 

2.1. Ad avviso del Collegio, non vi � spazio per introdurre temperamenti od eccezioni a 
principi ed esigenze fondamentali dell'ordinamento, quali quelli coinvolti nella fattispecie, 
consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, della Corte costituzionale e della Corte di 
giustizia dell'UE. 

2.2. Va premesso, in linea generale, come si dir� meglio in seguito, che gli istituti della 
prescrizione e della decadenza sono posti a presidio del principio, irrinunciabile in ogni ordinamento 
giuridico, della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche, con il corollario 
della conseguente intangibilit� dei c.d. rapporti esauriti. 

Per quanto riguarda la fissazione della durata del termine di prescrizione dei diritti, o di 
decadenza dagli stessi, il legislatore gode di ampia discrezionalit�, con l'unico limite del-
l'eventuale irragionevolezza, qualora esso venga determinato in modo da non rendere effettiva 
la possibilit� di esercizio del diritto cui si riferisce e quindi inoperante la tutela voluta accordare 
al cittadino leso (cfr., tra le tante, Corte cost. n. 234 del 2008). 

Anche la Corte di giustizia ha sempre ritenuto compatibile con il diritto dell'Unione la fissazione 
di ragionevoli termini di ricorso a pena di decadenza, nell'interesse della certezza del 
diritto, in quanto termini del genere non siano tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente 
difficile l'esercizio dei diritti attribuiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione 
(da ult., sentenza 16 gennaio 2014, C-429/12, Pohl, punto 29). 

2.3. Va ora affrontato il tema - in cui si inquadra la questione rimessa a queste sezioni unite 

-della decorrenza del termine, cio� della individuazione del momento a partire dal quale il 
termine inizia a decorrere. 

In materia tributaria (premesso che nell'ordinamento tributario italiano vige, per la ripetizione 
del pagamento indebito, un regime speciale basato sull'istanza di parte, da presentare, 
a pena di decadenza dal relativo diritto, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta, o, 
in mancanza di queste, dalle norme sul contenzioso tributario, e tale regime impedisce, in 
linea di principio, l'applicazione della disciplina prevista per l'indebito di diritto comune: cfr. 
Cass. n. 11456 del 2011), rilevano, in particolare, per quanto qui interessa, il D.P.R. n. 602 
del 1973, art. 38, il quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, stabilisce il dies a 
quo nella "data del versamento" o in quella "in cui la ritenuta � stata operata", e il D.Lgs. n. 
546 del 1992, art. 21, comma 2, norma residuale e di chiusura del sistema, in virt� del quale 
"la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non pu� essere presentata 
dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si � verificato il presupposto 
per la restituzione". 


L'orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte � rigoroso nella identificazione 
(di regola) nel giorno del versamento del dies a quo (come tale non computabile) del 
termine di decadenza per l'esercizio del diritto al rimborso dell'importo pagato. 

Si �, infatti, affermato, ad esempio, che: a) il termine di decadenza per la presentazione 
dell'istanza di rimborso, con riferimento ai versamenti in acconto, decorre dal versamento del 
saldo nel caso in cui il diritto al rimborso derivi da un'eccedenza dei versamenti in acconto, 
rispetto a quanto risulti poi dovuto a saldo oppure qualora derivi da pagamenti cui inerisca un 
qualche carattere di provvisoriet�, poich� subordinati alla successiva determinazione in via 
definitiva dell'obbligazione o della sua misura, mentre decorre dal giorno del versamento del-
l'acconto stesso, nel caso in cui quest'ultimo, gi� al momento in cui venne eseguito, non fosse 
dovuto o non lo fosse nella misura in cui fu versato, ovvero qualora fosse inapplicabile la disposizione 
di legge in base alla quale venne effettuato, poich� in questi casi l'interesse e la 
possibilit� di richiedere il rimborso sorge sin dal momento in cui avviene il versamento (tra 
le altre, Cass. nn. 56 del 2000, 4282, 7926 e 14145 del 2001, 21557 del 2005, 13478 del 2008, 
4166 del 2014); b) il termine di decadenza per la presentazione della domanda di rimborso 
non pu� farsi decorrere dalla data della emanazione di circolari o risoluzioni ministeriali interpretative 
delle norme tributarie in senso favorevole al contribuente, non avendo detti atti 
natura normativa ed essendo, quindi, inidonei ad incidere sul rapporto tributario (Cass. nn. 
11020 del 1997, 813 del 2005, 23042 del 2012, 1577 del 2014) (n�, ai fini di una diversa conclusione 
sul punto, assume rilievo la sentenza della Corte di giustizia 15 dicembre 2011, C427-
10, Banca Popolare Antoniana Veneto, attinente a vicenda del tutto peculiare). 

Deroghe al detto principio sono state individuate, in applicazione del D.Lgs. n. 546 del 
1992, art. 21 cit., comma 2, nei casi di procedimenti di riconoscimento di agevolazioni tributarie, 
poich� � dal momento della conclusione di tale procedimento che sorge per il contribuente 
il diritto alla restituzione della differenza tra l'imposta versata nella misura ordinaria 
e quella risultante dall'applicazione dei benefici fiscali, con la conseguenza che la domanda 
di rimborso deve essere presentata nel termine di due anni, decorrente dall'anzidetto momento 
(Cass. nn. 7116 del 2003, 10312 del 2005, 24183 del 2006, 16328 del 2013); oppure nel caso 
in cui una legge sopravvenuta aveva introdotto, con effetto retroattivo, un beneficio fiscale 
prima non previsto, peraltro con l'esplicita previsione di decorrenza del termine per proporre 
domanda di rimborso dalla data di entrata in vigore dello ius superveniens (Cass. n. 3575 
del 2010). 

2.4. Deve ora esaminarsi il quesito specifico, qui direttamente rilevante, relativo all'individuazione 
del giorno di decorrenza del termine decadenziale del diritto al rimborso qualora, 
successivamente al versamento del tributo, intervenga una pronuncia della Corte di giustizia 
che dichiari la disciplina impositiva nazionale in contrasto con il diritto comunitario. 

Anche in tale ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte �, in misura assolutamente prevalente 
(come riconosce la stessa ordinanza di rimessione), nel senso della decorrenza del termine 
comunque dal giorno successivo al versamento poi rivelatosi indebito. 

Gi� con riferimento al problema della decorrenza del termine decadenziale nel caso di ritardata 
trasposizione nell'ordinamento interno di direttiva comunitaria (self executing, cio� 
con contenuto incondizionato e preciso), questa Corte, nell'individuare il dies a quo nel giorno 
del pagamento, ha avuto occasione di affermare che: a) il principio posto dall'art. 2935 cod. 
civ., secondo cui la prescrizione "comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto pu� essere 
fatto valere" - il quale � da ritenersi applicabile anche alla decadenza - deve essere inteso con 
riferimento alla sola possibilit� legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le 


eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilit� di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare 
del diritto (Relazione al codice, p. 1198) (Cass. n. 10231 del 1998, che richiama Cass. n. 9151 
del 1991); b) tra gli impedimenti "di fatto" va annoverato anche l'ostacolo all'esercizio di un 
diritto rappresentato dalla presenza di una norma costituzionalmente illegittima, in quanto chi 
si ritenga leso da tale limitazione ha il potere di percorrere la via dell'instaurazione di un giudizio 
e nel corso di tale giudizio richiedere che venga sollevata la relativa questione; se subisce 
passivamente detto impedimento, non pu� sfuggire alla conseguenza che il rapporto venga 
ad esaurirsi; c) a maggior ragione, non pu� essere ravvisato un impedimento "legale", come 
tale idoneo ad incidere sulla decorrenza della prescrizione, nella presenza di una norma di diritto 
nazionale incompatibile con il diritto comunitario, posto che - mentre l'accertamento 
della illegittimit� costituzionale di una norma � riservato ad un organo diverso dall'autorit� 
giurisdizionale, con la conseguenza che, quando la questione sia sollevata nel corso di un giudizio, 
esso deve essere sospeso fino a quando la questione non sia decisa (L. 11 marzo 1953, 

n. 87, art. 23) - il contrasto tra la norma di diritto interno e quella comunitaria pu� essere rilevato 
direttamente dal giudice che, sulla base di tale premessa, � tenuto a non darle applicazione, 
anche quando sia stata emanata in epoca successiva a quella comunitaria (Cass. nn. 
10231 del 1998, cit., 7176 del 1999 e succ. conff.; cfr., anche, Cass. n. 18276 del 2004). 

Tali principi sono stati confermati, sulla base delle stesse ragioni, anche per le ipotesi in 
cui l'incompatibilit� del diritto interno con il diritto comunitario sia stata dichiarata con sentenza 
della Corte di giustizia (cfr. Cass. nn. 4670 e 13087 del 2012). 

Del resto, � altrettanto consolidato il principio della equiparazione, ai fini che qui interessano, 
tra tributi dichiarati costituzionalmente illegittimi e tributi dichiarati in contrasto con il diritto 
comunitario (Cass. nn. 3306 del 2004 e 20863 del 2010). Ci� anche in considerazione del fatto 
che la Corte di giustizia ha affermato che l'interpretazione di una norma di diritto dell'Unione 
data dalla Corte nell'esercizio della competenza attribuitale dall'art. 267 TFUE chiarisce e precisa, 
quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata di detta norma, quale deve o avrebbe 
dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore: in altri termini, una 
sentenza pregiudiziale ha valore non costitutivo bens� puramente dichiarativo, con la conseguenza 
che i suoi effetti risalgono, in linea di principio, alla data di entrata in vigore della norma 
interpretata (da ult., sentenza 16 gennaio 2014, C- 429/12, cit., punto 30). 

3. Deve escludersi che sulla questione in esame possa esplicare effetti diretti la nota pronuncia 
di questa Corte in tema di overruling (Cass., sez. un., n. 15144 del 2011, cui adde 
Cass., sez. un., n. 24413 del 2011 e n. 17402 del 2012). 

La portata applicativa del principio ivi affermato � stata pi� volte chiarita dalla giurisprudenza 
successiva, che queste sezioni unite condividono, secondo la quale, affinch� un orientamento 
del giudice della nomofilachia non sia retroattivo come, invece, dovrebbe essere in 
forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, ovvero affinch� 
si possa parlare di prospective overruling, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: 
che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; 
che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente 
consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cio�, da indurre la parte a un ragionevole 
affidamento su di esso; che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di 
azione o di difesa della parte (Cass. nn. 28967 del 2011, 6801 e 13087 del 2012, 5962 e 20172 
del 2013). 

� sufficiente osservare, in linea generale, che nel caso di pronuncia che dichiari la contrariet� 
di una norma nazionale al diritto comunitario non si � in presenza di un "mutamento 


della giurisprudenza"; e, con riferimento alla questione in esame e con argomento ancor pi� 
decisivo, va rilevato che la sentenza della Corte di giustizia non solo non � intervenuta (in 
malam partem, cio� con effetti preclusivi dell'esercizio del diritto) su norme di carattere processuale, 
ma neanche sulle disposizioni, di natura sostanziale, che qui interessano, relative ai 
termini (di prescrizione o decadenza) per l'esercizio del diritto alla ripetizione dell'indebito 
tributario, bens�, con effetto ampliativo, su una norma tributaria che riduceva illegittimamente 
la portata di un beneficio fiscale. 

4.1. Di ci�, come gi� detto, � consapevole lo stesso Collegio rimettente, il quale, tuttavia, 
rinviene nella ratio sottesa alla giurisprudenza in tema di overruling (e non solo), ed anche a 
recenti interventi legislativi (in particolare, all'art. 153 c.p.c., comma 2, in tema di rimessione 
in termini, introdotto dalla L. n. 69 del 2009), una sempre maggiore valorizzazione della tutela 
dell'affidamento incolpevole del cittadino nella certezza delle norme vigenti, come interpretate 
ed applicate: e ne trae l'auspicio che sia fatta salva dall'operativit� del meccanismo decadenziale 
(il cui dies a quo andrebbe fatto coincidere con la declaratoria di illegittimit� comunitaria) 
l'ipotesi della inerzia incolpevole del cittadino contribuente nella legittimit� comunitaria della 
norma impositiva interna. 

4.2. La tesi non pu� essere condivisa. 

Deve ribadirsi che costituisce principio immanente in ogni Stato di diritto quello in virt� 
del quale qualsiasi situazione o rapporto giuridico diviene irretrattabile in presenza di determinati 
eventi, quali lo spirare di termini di prescrizione o di decadenza, l'intervento di una 
sentenza passata in giudicato, o altri motivi previsti dalla legge, e ci� a tutela del fondamentale 
e irrinunciabile principio, di preminente interesse costituzionale, della certezza delle situazioni 
giuridiche: si tratta della nota categoria dei c.d. rapporti esauriti, la cui definizione spetta solo 
al legislatore determinare, nel rispetto dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza. 

Dalla detta finalit� discende che non sono configurabili, contrariamente a quanto ritiene 
l'ordinanza di rimessione, profili di carattere sanzionatorio nei citati istituti (e in particolare 
nella decadenza). 

Il limite dell'esaurimento del rapporto in ordine alla efficacia retroattiva delle pronunce di 
illegittimit� costituzionale � principio pacifico e non si ravvisano ragioni, sotto questo aspetto, 
come gi� detto, per distinguere dette pronunce dalle sentenze, aventi anch'esse efficacia dichiarativa, 
con le quali la Corte di giustizia afferma l'incompatibilit� di una norma nazionale 
con il diritto comunitario. 

La ratio della giurisprudenza sull'overruling, con il valore in essa attribuito all'affidamento 
incolpevole nel "diritto vivente", non � trasferibile al caso in esame. 

Qui non si � in presenza di un soggetto che, avendo esercitato il proprio diritto nel termine 
previsto dalla legge, come all'epoca costantemente interpretata, si ritrova ex post decaduto in 
ragione di un imprevedibile revirement giurisprudenziale che ha, in sostanza, abbreviato il 
termine, situazione per la quale appariva doveroso, in ossequio al valore superiore del giusto 
processo e quindi alla garanzia di effettivit� dei mezzi di azione e di difesa (come chiaramente 
esposto nella sentenza n. 15144 del 2011), apprestare una tutela che facesse salva la sua posizione, 
attraverso una sorta di autocorrezione del sistema per via interpretativa. 

Nella fattispecie, vi �, invece, una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea 
che, con effetto retroattivo analogo a quello di una sentenza di illegittimit� costituzionale, ha 
dichiarato in contrasto con una direttiva comunitaria self executing una norma nazionale di 
agevolazione fiscale, ampliandone la portata soggettiva. 

La posizione del soggetto che, in vigenza della norma che lo escludeva dal beneficio, � ri



masto inerte fino all'intervento della sentenza (o anche successivamente), cos� trovandosi in 
tutto o in parte decaduto dal diritto al rimborso, non � assimilabile, sotto il profilo dell'esigenza 
di tutela, a quella sopra esposta: pur prescindendo dal fatto che si verte in materia non processuale 
ed anche a voler ammettere la configurabilit� di un affidamento incolpevole nella 
legittimit� (nel caso, comunitaria) della norma vigente, la tutela di una tale situazione deve 
ritenersi recessiva rispetto al principio della certezza delle situazioni giuridiche (tanto pi� cogente 
in materia di entrate tributarie), che riceverebbe un grave vulnus, in ragione della sostanziale 
protrazione a tempo indeterminato dei rapporti tributari che ne deriverebbe. 

Spetta, in definitiva, al solo legislatore, in casi come quello in esame (cos� come in quello 
del sopravvenire di una legge retroattiva), la valutazione discrezionale, nel rispetto dei principi 
costituzionali coinvolti, in ordine all'eventuale introduzione di norme che prevedano termini 
e modalit� di "riapertura" di rapporti esauriti. 

5. Alla stregua degli enunciati principi, il ricorso dell'Agenzia delle entrate va accolto e, 
non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (essendo pacifico che l'istanza di rimborso 
� stata presentata dal contribuente il 1 febbraio 2006), la causa va decisa nel merito, dichiarando 
non dovuto il rimborso per l'anno 2001. 
6. In considerazione delle ragioni che hanno dato luogo all'ordinanza di rimessione al Primo 
Presidente, le spese dell'intero giudizio devono essere compensate. 


P.Q.M. 

La Corte, a sezioni unite, accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, dichiara non dovuto 
il rimborso per l'anno 2001. 

Compensa le spese dell'intero giudizio. 

Cos� deciso in Roma, il 25 febbraio 2014. 


Note sul redditometro ed onere della prova 

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. V, SENTENZA 19 MARZO 2014 N. 6396 

Paolo Gentili* 

Questa sentenza contiene un ripensamento circa l�onere del contribuente, 
attinto da accertamento basato su redditometro, di provare, quanto alla componente 
di maggior reddito indotta da spesa per incrementi patrimoniali, che 
tale spesa fu specificamente sostenuta con redditi esenti o soggetti a ritenuta 
alla fonte a titolo di imposta. La sentenza ritiene sufficiente la prova della disponibilit� 
di tali redditi; non richiede anche quella della loro destinazione a 
tale spesa. 

Il punto era in discussione da tempo (accenni a dubbi gi� in Cass. 
3111/2014). 

Una critica pu� muovere dalla considerazione che se la prova �ridotta� 
ora richiesta si giustifica con la presunzione che i redditi esenti o soggetti a ritenuta 
di imposta siano stati utilizzati per finanziare gli incrementi patrimoniali, 
si addossa all�amministrazione una prova contraria impossibile, come 
sarebbe la prova che il contribuente, invece, per finanziare gli incrementi ha 
utilizzato disponibilit� diverse. Il che � contrario al principio di vicinanza della 
prova; e sul piano del diritto sostanziale, si traduce in una interpretazione abrogante 
dell�art. 38 comma 6 vecchio testo dpr 600/73: se l�amministrazione, 
del tutto legittimamente, ricorre all�accertamento sintetico basato su spese per 
incrementi patrimoniali, e la semplice prova della disponibilit� di redditi esenti 

o soggetti a ritenuta di imposta fa cadere tale accertamento, l�amministrazione 
dovrebbe procedere, in realt�, ad accertamento ordinario per dimostrare che 
vi erano ulteriori disponibilit� non dichiarate e utilizzate per finanziare gli incrementi 
patrimoniali. Ma ci� non � spesso possibile in fatto, perch� sono maturati 
i termini di decadenza; e, soprattutto, in diritto, perch� l�accertamento 
sintetico ex 38 c. 6 non � una forma di accertamento parziale, integrabile con 
accertamenti successivi. �, al contrario, definitivo, per cui lo si pu� integrare 
solo in caso di sopravvenienza di elementi conoscitivi. 

La questione, a partire dal 2010, � ovviamente superata dal nuovo comma 
4 dell�art. 38, che codifica la necessit� che il contribuente provi anche la destinazione 
specifica della spesa �incrementativa�. 

Ma per il passato vi sono numerosi contenziosi in cui si discute la questione 
trattata dalla sentenza allegata. Comunque, la riforma del 2010 contiene 
un ulteriore argomento a favore dell�interpretazione precedente: l�attuale 

(*) Avvocato dello Stato. 

Osservazioni inviate per e-mail, lun. 7 aprile 2014, dall�avv. Gentili ai colleghi tributaristi. 


comma 7 dell�art. 38 prevede il previo contraddittorio obbligatorio, per cui il 
pericolo che le prove fornite dal contribuente facciano cadere l�accertamento 
sintetico dopo la sua emanazione, viene meno. Il contribuente dovr� �scoprire 
le carte� prima dell�emanazione dell�accertamento, e cos� l�amministrazione 
potr� regolarsi per tempo se procedere in via sintetica o in via ordinaria. Prima 
questo non era possibile, per cui la controprova richiesta in giudizio al contribuente 
doveva per forza di cose essere integrale, e non parziale. 

Cassazione, Sez. V civile, sentenza 19 marzo 2014 n. 6396 -Pres. Bielli, Rel. Conti, P.M. 
Fimiani (conforme) - Z.A.G. (avv. ti Miani e Conte) c. Ministero economia e finanze, Agenzia 
delle entrate (avv. gen. Stato). 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

1. L'Agenzia delle Entrate di Milano 6 notificava al contribuente Z.A.G. un avviso di accertamento 
per la ripresa a tassazione di IRPEF, addizionale regionale e sanzioni relativi all'anno 
2004, rettificando il reddito dichiarato - pari a Euro 3.708,00 - ai sensi del D.P.R. n. 600 del 
1973, artt. 38 e 41 bis, e ritenendolo incongruo rispetto agli acquisti di autovetture ed imbarcazioni 
operati dal contribuente fra il 2003 ed il 2005, al possesso di due autovetture e di 
un'ulteriore imbarcazione nonch� alla disponibilit� di cinque immobili, per un valore complessivo 
pari a Euro 1.230.000,00. 
2. L'Ufficio, considerando il reddito per anno necessario per le disponibilit� riscontrate, ride-
terminava per l'anno in esame il reddito del contribuente in Euro 391.737,00. 
3. Il contribuente proponeva ricorso innanzi alla CTP di Milano sostenendo l'incongruit� dei 
conteggi operati dall'Ufficio, la motivazione incongrua dell'avviso di accertamento e rilevando 
l'esistenza di disponibilit� economiche che avevano giustificato gli acquisti. 
4. La CTP di Milano accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando il reddito del contribuente 
in Euro 174.924,92. 
5. Avverso la decisione di primo grado il contribuente e l'Ufficio proponevano rispettivamente 
appello principale e appello incidentale. 
6. La CTR della Lombardia, con sentenza n. 5/24/2012 pubblicata il 10.1.2012 respingeva le 
impugnazioni compensando le spese. 


6.1 Secondo i giudici di appello l'accertamento fondato sui parametri di cui ai D.M. 10 settembre 
1992, e D.M. 19 novembre 1992, si fondava sulla presunzione legale a favore del-
l'Amministrazione nascente dai parametri, dovendo il contribuente fornire con qualsiasi 
argomentazione la dimostrazione della insussistenza degli elementi e delle circostanze di fatto 
sulle quali si basa l'accertamento e conseguentemente del reddito accertato. 

6.2 Il contribuente, inoltre, aveva dimostrato di non essere pi� titolare dell'autovettura Jaguar 
dall'anno 1981, pure documentando che l'acquisto dell'imbarcazione AZIMUT 55 era avvenuto 
non in contanti ma in forza di un contratto di leasing. Sulla base di questi due elementi la CTP 
aveva correttamente rideterminato il reddito del contribuente. Non poteva, tuttavia - per la 
CTR - condividersi l'assunto del contribuente in ordine al sostenimento delle spese con la donazione 
di Euro 700.000,00 ricevuta dalla madre del suddetto nell'anno 2004, la stessa risultando 
da scrittura privata non autenticata non suffragata da data certa, nemmeno potendosi 
considerare la data di inserimento nella denunzia di successione che sembrava rivestire "i crismi 
di una strategia difensiva per contrastare l'accertamento in esame". 


6.3 Aggiungeva la CTR, quanto ai redditi da capital gain, che non appariva sufficientemente dimostrata 
la provenienza ed effettiva disponibilit� finanziaria per l'effettuazione delle acquisizioni. 

6.4 La CTR rigettava, infine, l'appello incidentale ritenendo che le spese sostenute negli anni 
2006 e 2007 non erano state adeguatamente esplicitate nell'avviso di accertamento. 

6.5 Il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione affidato a un'unica complessa censura, 
al quale ha resistito l'Agenzia delle entrate con controricorso e ricorso incidentale affidato a 
un unico motivo. La parte contribuente ha depositato controricorso e memoria ex art. 374 

c.p.c. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

7. Con l'unica complessa censura la parte ricorrente principale deduce i vizi di violazione di 
legge e di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, rilevando che il giudice di appello, 
pur affermando che il contribuente poteva fornire prova contraria agli accertamenti del-
l'Ufficio sinteticamente determinati, aveva omesso di considerare gli elementi, 
documentalmente prodotti nel corso del giudizio di primo grado, che erano in grado di provare 
il possesso di redditi esenti, soggetti a imposizione alla fonte o legalmente esclusi dalla formazione 
della base imponibile per giustificare le spese indicate dall'Ufficio. 

7.1 In questa direzione, ad avviso del ricorrente, deponevano le ampie disponibilit� finanziarie, 
rappresentate da titoli azionali, obbligazionari e titoli di stato oltre che la donazione di 
700.00,00 Euro ricevuta dalla madre e documentata, nel corso del giudizio, dalla produzione 
della scrittura privata e del versamento sul conto corrente intestato al contribuente del novembre 
2004. Le motivazioni esposte dalla CTR erano sul punto sbrigative quanto alle disponibilit� 
certificate dalla Banca Euromobiliare ed errate quanto alla donazione della madre 
dovendosi ritenere, nonostante quanto prospettato dalla CTR, che la scrittura privata, indicata 
nella denunzia di successione e per la quale era stata pagata la relativa imposta, aveva quanto 
meno data certa dalla morte della donante ed era comunque attestata dal versamento risultante 
sul conto corrente. Il vizio di motivazione era dunque palese sotto il profilo della decisivit� 
degli elementi non considerati. 
8. L'Agenzia delle entrate, nel controricorso, ha dedotto l'infondatezza delle censure tanto 
sotto il profilo della violazione di legge che rispetto al prospettato vizio di motivazione. 


8.1 Quanto alla prima questione, evidenzia che la giurisprudenza di questa Corte aveva ormai 
ammesso la piena operativit� del sistema dell'accertamento sintetico alla stregua del D.P.R. 

n. 600 del 1973, art. 38, determinando una presunzione di fondatezza della pretesa impositiva 
che aveva l'effetto di spostare l'onere della prova sul contribuente. 

8.2 Quanto al dedotto difetto di motivazione, l'Agenzia osserva che la CTR aveva correttamente 
esaminato il materiale probatorio agli atti, ritenendo che il contribuente non aveva fornito la 
prova di avere utilizzato le disponibilit� esistenti o parte di esse a giustificazione delle spese 
sostenute per incrementi patrimoniali rilevati a suo carico. Peraltro, proprio dalla documentazione 
prodotta dal contribuente era risultata una minusvalenza patrimoniale che, ben lungi dal 
tradursi in una potenzialit� finanziaria, costituiva ulteriore elemento incompatibile con gli incrementi 
patrimoniali e con gli indici di spesa posti a fondamento della pretesa erariale. 

8.3 Anche la documentazione relativa al capital gain, a parte la sua scarsa intelligibilit�, non 
era oggettivamente idonea, per l'Agenzia, a comprovare con certezza la provenienza ed effettiva 
disponibilit� della provvista finanziaria necessaria per l'effettuazione degli acquisti, riscontrati 
come enormemente sproporzionati rispetto al reddito dichiarato. 
9. La parte contribuente, nel controricorso ex art. 371 c.p.c., comma 4, depositato in replica 
al ricorso incidentale dell'Agenzia, ha poi esposto ulteriori argomenti a sostegno della censura 



formulata in ricorso, contestando le prospettazioni esposte dall'Agenzia. Non poteva infatti 
sostenersi che il contribuente fosse gravato dell'onere di dimostrare che proprio le somme 
possedute fossero quelle effettivamente spese per gli incrementi patrimoniali. Cos� facendo, 
infatti, l'Agenzia aveva finito col pretendere una prova diabolica o quasi diabolica. In realt�, 
per superare gli elementi indicati dall'ufficio il contribuente era tenuto solamente a dimostrare 

-e ci� aveva fatto in concreto - "... di avere delle ricchezze a disposizione per donazioni, oppure 
per disponibilit� di redditi esenti da imposta o da obbligo dichiarativo in quanto assoggettati 
ad imposta sostitutiva". 

10. Per un pi� agevole esame della vicenda � opportuno premettere che la parte contribuente 
non pone in discussione che, per effetto dell'accertamento sintetico disciplinato dal D.P.R. n. 
600 del 1973, art. 38 - nella versione ratione temporis vigente -, l'Ufficio possa beneficiare di 
una presunzione legale relativa fondata sui coefficienti redditometrici che il contribuente pu� 
superare fornendo la prova contraria. Su tale questione, decisa conformemente dalla CTR, 
deve ritenersi ormai formato il giudicato, ancorch� si rinvengano precedenti di questa Corte 
che tale principio hanno talvolta declinato in maniera parzialmente diversa - cfr., da ultimo, 
Cass. n. 25532/12 - a fronte di un indirizzo, numericamente pi� consistente, orientato in maniera 
conforme ai principi esposti dalla CTR sul presupposto che � la fonte legale (D.P.R. n. 
600 del 1973, art. 38, cit.) a prevedere che la disponibilit� di taluni beni (art. 2, D.P.R. ult.cit.) 
costituisce una presunzione legale di capacit� contributiva che il contribuente pu� vincere 
provando che il reddito presunto sia esente, soggetto a ritenuta d'imposta o sia alimentato da 
indebitamento o da erogazione di patrimonio - v. Cass. n. 14168/12 -. 

10.1 A parte tale questione, che nel caso di specie assume marginale rilievo, il tema di indagine 
demandato a questa Corte � dunque esclusivamente correlato alle valutazioni che la CTR ha 
espresso in ordine alle prove che il contribuente assume di avere fornito per superare la presunzione 
alla quale l'Ufficio si � richiamato per giustificare la ripresa a tassazione. 

10.2 Secondo la parte ricorrente principale, infatti, la motivazione addotta dalla CTR sarebbe 
"sbrigativa" in quanto il contribuente aveva fornito tutti gli elementi documentali idonei a dimostrare 
l'esistenza di disponibilit� finanziarie capaci di giustificare le spese correlate al possesso 
di beni e gli incrementi patrimoniali, inizialmente stimate dall'Ufficio, per l'anno in 
esame, in Euro 1.230.000,00. 

10.4 A tale risultato l'Amministrazione era giunta considerando, per il periodo 2003/2005: a) 
per l'anno 2003, la vendita di un' imbarcazione per Euro 10.000,00; b) per l'anno 2004, l'acquisto 
di altra imbarcazione (Zanuc II - stimato quale incremento patrimoniale pari ad Euro 
280.000,00 sulla base del prezzo di vendita dello stesso natante riscontrato nell'anno 2005); 
c) per l'anno 2005, l'acquisto dell'imbarcazione da diporto Azimut a mezzo leasing per un corrispettivo 
stimato in Euro 960.000,00, da considerare come spese per incremento patrimoniale 
che l'Ufficio ha ritenuto sostenute, come tutte le precedenti indicate, con redditi conseguiti in 
quote costanti nell'anno in cui era stata effettuata e nel quadriennio precedente. A tali dati 
l'Ufficio aveva aggiunto i valori correlati al possesso di un auto a benzina Jaguar e di un'altra 
a gasolio, al possesso dell'imbarcazione a motore ed al possesso della residenza principale e 
di altre quattro residenze secondarie. 

10.5 Sulla base di tali dati l'Ufficio, a fronte di un reddito dichiarato per l'anno 2004 in Euro 
3.708,00, rideterminava il reddito per l'anno in esame in Euro 391.737,00. 

10.6 In definitiva, l'Ufficio aveva determinato in via sintetica il reddito del contribuente avvalendosi, 
in parte, del meccanismo del c.d. redditometro che desumeva in via induttiva l'esistenza 
di elementi indicativi di capacit� contributiva in forza dei D.M. che individuano la 


disponibilit� dei beni ivi indicati come indici e coefficienti presuntivi di capacit� contributiva 
ai fini dell'applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, (accertamento 
con metodo sintetico) nella condizione di chi "a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa 
utilizzare i beni" - nel caso di specie il possesso di immobili e di autovetture - (v. Cass. n. n. 
7408 del 31/03/2011, Cass. 1294 del 22/01/2007 e Cass. n. 12448 del 08/06/2011). Per altro 
verso, l'Amministrazione procedeva all'accertamento sulle somme impiegate per incrementi 
patrimoniali alla stregua dell'art. 38, comma 5, D.P.R. ult. cit. 

10.7 A fronte di tale accertamento il contribuente aveva contestato, per un verso, l'esistenza 
di un errore di calcolo nella quota relativa alle spese sostenute - pari ad Euro 246.000,00 - e, 
per altro, la circostanza che l'"acquisto" dell'imbarcazione Azimut era stato fatto con le forme 
del leasing, operando un pagamento del maxi canone con compensazione del credito che il 
ricorrente contribuente aveva maturato per la vendita di altro natante. Tali elementi, incidenti 
sulla determinazione del reddito accertato dall'Ufficio, avrebbero dovuto imporre la rideterminazione 
dei valori considerati dall'Ufficio in complessivi Euro 345.986,40 ed in quota parte 
di Euro 69.197,28 per l'anno di riferimento. 

10.8 Per altro verso, il contribuente deduceva il possesso di disponibilit� economiche ingenti, 
evidenziate, a suo dire, dalla gestione titoli che per gli anni 2004 e 2005 indicava somme in 
Euro comprese fra i 2.100.000,00 ca. ed i 2.700.000,00 ca. per anno. Inoltre, il contribuente 
depositava certificati rilasciati dalla Banca Euromobiliare dalla quale risultavano minusvalenze 
pari ad Euro 2.207.108,63 per l'anno 2004 e ad Euro 913.920,51 per l'anno 2005, da ci� 
desumendo una potenzialit� finanziaria di almeno Euro 3.121.029 per l'anno 2003. 

10.9 Quanto alla donazione di Euro 700.000,00 ottenuta dalla madre, la stessa veniva documentata 
dal contribuente, giusta scrittura privata risalente al luglio 2004, alla quale doveva 
riferirsi il versamento sul di lui conto corrente, in data 18.11.2004, del relativo importo, anch'esso 
documentato da un estratto conto prodotto nel corso del giudizio di primo grado. 

10.10 Ora, a fronte di tale compendio documentale, la CTR ha per un verso escluso la rilevanza 
della donazione di Euro 700.000,00, ritenendola non documentata ed anzi lasciando 
intravedere un'operazione di aggiramento postumamente posto in essere dal contribuente all'atto 
della morte della genitrice - al solo fine di contrastare l'accertamento. Quanto al rendiconto 
del capital gain, la CTR ha dichiarato che "... non appare sufficientemente dimostrata 
la provenienza ed effettiva disponibilit� finanziaria per l'effettuazione delle acquisizioni di 
cui trattasi". 

10.11 Occorre a questo punto rammentare che, secondo un indirizzo giurisprudenziale di questa 
Corte,in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'ufficio determini sinteticamente 
il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la 
prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, 
comma 6, non riguarda la sola disponibilit� di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti 
a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche l'essere stata la spesa per incrementi patrimoniali 
sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, 
e non gi� con qualsiasi altro reddito (dichiarato) cfr. Cass. n. 6813 del 20/03/2009; conf. Cass. 
23785/2010 e Cass. n. 4183/2013. 

10.12 Si � in particolare ritenuto, nella prima delle decisioni teste evocate - alle quali le sentenze 
successive fanno pedissequo riferimento -, che per l'art. 38, comma 6, ult. cit. "... non � 
sufficiente la prova della sola disponibilit� di redditi - e men che mai di redditi esenti ovvero 
di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta - ma � necessario anche la prova che 
la spesa per incrementi patrimoniali sia stata sostenuta, non gi� con qualsiasi altro reddito 


(ovviamente dichiarato), ma proprio con redditi esenti o... soggetti a ritenuta alla fonte a titolo 
d'imposta". Secondo questa interpretazione "... senza (la prova anche de) il nesso eziologico 
tra possesso di redditi e spesa per incrementi patrimoniali, questa spesa (siccome univocamente 
indicativa, per presunzione di legge, della percezione di un reddito corrispondente) 
continuerebbe a produrre i suoi effetti presuntivi a danno del contribuente, non avendo lo 
stesso superato la forza della presunzione iuris tantum (la stessa si presume) posta, a suo svantaggio, 
dalla norma ...". 

10.13 In definitiva, secondo l'indirizzo appena espresso, sembra implicita al sistema normativo 
l'esistenza, accanto all'onere di dimostrare l'esistenza di redditi esenti capaci di sostenere le 
spese per incrementi patrimoniali anche di altro - aggiuntivo - onere di tenere i propri conti 
in modo de ricostruire i movimenti finanziari per fornire giustificazioni in merito al sostenimento 
delle proprie spese in caso di accertamento. 

10.14 Ora, rileva il Collegio che a seguire l'indirizzo appena ricordato dovrebbe ritenersi comunque 
corretta la decisione impugnata ed infondata la censura esposta dal ricorrente principale, 
in quanto il contribuente ha dedotto solo la disponibilit� di redditi sufficienti per la 
disponibilit� e gli incrementi patrimoniali contestati dall'Ufficio, ma non risulta avere neppure 
allegato n� che proprio quei redditi erano stati impiegati per affrontare le "spese per incrementi 
patrimoniali" recuperata a tassazione dall'Ufficio. 

10.15 Ma a tale indirizzo non ritiene di aderire questa Corte. 

10.16 Ed invero, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, nella versione ratione temporis 
vigente all'epoca del presente giudizio, dispone testualmente che "... il contribuente ha facolt� 
di dimostrare, anche prima della notificazione dell'accertamento, che il maggior reddito determinato 
o determinabile sinteticamente � costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da 
redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta. L'entit� di tali redditi e la durata del 
loro possesso devono risultare da idonea documentazione". 

10.17 A ben considerare, il testo della norma - qui la Corte limitando ovviamente l'indagine 
all'art. 38, comma 6, ult. cit. nel testo vigente all'epoca, in relazione all'irrilevanza delle modifiche 
normative successivamente intervenute in materia - non impone affatto la dimostrazione 
dettagliata: dell'impiego delle somme per la produzione degli acquisti o per le spese di 
incremento, semmai richiedendo al contribuente di vincere la presunzione - semplice o legale 
che sia - che il reddito, dichiarato non sia stato sufficiente per realizzare gli acquisti e gli incrementi. 
Il che, a ben, considerare, significa che nessun'altra prova deve dare la parte contribuente 
circa l'effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli 
incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell'esistenza di tali redditi. 

10.18 N� dalla disciplina normativa anzidetta pare potersi evincere un onere di dimostrazione, 
aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l'effettiva disponibilit� finanziaria delle somme occorrenti 
per gli acquisti operati dal contribuente. 

10.19 Se, infatti, l'Ufficio ha desunto dagli incrementi un maggior reddito rispetto a quello 
dichiarato e il contribuente ha dedotto e dimostrato attraverso il prospetto di gestione titoli di 
Stato, azionari e obbligazionari l'esistenza di disponibilit� finanziarie sottoposte a tassazione 
separata capaci di consentire detti incrementi, il fatto presuntivo esposto dall'Ufficio non pu� 
continuare a produrre i propri effetti in ragione della condotta del contribuente, ove la stessa 
sia idonea a comprovare l'esistenza di redditi non dichiarati capaci di realizzare gli incrementi 

o e spese correlate al possesso di beni. 

10.20 Una diversa interpretazione, in nessun modo correlata al tenore testuale del ricordato 
art. 38, comma 6, ult.cit., determinerebbe in definitiva, una sorta di trasfigurazione del pre



supposto impositivo, non pi� correlato all'esistenza di un reddito ma, piuttosto, all'esistenza 
di una spesa realizzata da redditi imponibili ordinali e congrui o da redditi esenti o da redditi 
assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d'imposta. 

10.21 Orbene, appare evidente, in relazione a quanto test� affermato, la fondatezza dei rilievi 
esposti nel motivo di ricorso principale. 

10.22 Ed invero, l'iter motivazionale esposto dal giudice di appello � gravemente lacunoso, 
contenendo anche non marginali errori in diritto che viziano l'iter logico della decisione quanto 
alla rilevanza delle disponibilit� finanziarie. 

10.23 Per un verso, quanto alla donazione della somma di Euro 700.00,00, non pare potersi 
revocare indubbio che l'omesso esame, da parte della CTR, della certificazione relativa al versamento 
di Euro 700.00,00 sul conto del contribuente per l'anno 2004 non poteva in ogni caso 
essere tralasciato dalla CTR al fine di verificare la disponibilit� finanziaria dello stesso, se 
appunto si considera che l'omissione di tale elemento ha condizionato l'intero passaggio argomentativo 
del giudice di appello, il quale ha apoditticamente ritenuto di non considerare 
veritiera la scrittura privata relativa alla donazione indicata nella denuncia di successione. 

10.24 L'identit� tra l'importo della donazione fatta dalla madre e l'importo versato sul conto 
del contribuente nello stesso anno indicato nella scrittura privata (anche se non autenticata e 
priva di data certa) avrebbe dovuto indurre il giudice di appello ad un pi� attento esame del-
l'intera documentazione, mancando il quale l'affermazione circa il carattere artificioso dello 
stesso risulta illogica. 

10.25 Del resto, proprio su tale punto questa Corte ha avuto modo di chiarire che, qualora 
l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi 
patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalit�, ai sensi 
del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, la prova delle liberalit� medesime deve essere 
fornita dal contribuente con la produzione di documenti, ai quali la motivazione della sentenza 
deve fare preciso riferimento - cfr. Cass. n. 24597 del 03/12/2010; conf. Cass. n. 11389/2008. 

10.26 Non meno lacunose ed, anzi, addirittura fondate su un presupposto contrario a legge, 
appaiono le argomentazioni spese dalla CTR in ordine alla irrilevanza delle rendite finanziarie 
del contribuente ai fini della controversia, posto che il giudice di appello ha illogicamente 
motivato la decisione di rigetto del ricorso escludendo ogni valore probatorio alla documentazione 
prodotta dal contribuente sul presupposto, errato in diritto, che detto contribuente 
fosse tenuto a "dimostrare la provenienza ed effettiva disponibilit� finanziaria per l'effettuazione 
delle acquisizioni". 

10.27 Tale motivazione si fonda, infatti, per l'un verso su argomentazioni in netto contrasto 
con i principi fatti propri da questo Collegio ed esposti nei paragrafi precedenti e, per altro 
verso, si dimostra gravemente lacunosa, non contenendo un esame analitico delle disponibilit� 
finanziarie allegate dalla parte contribuente, sottoposte a tassazione separata, e alla loro idoneit� 
a giustificare i fatti posti a base dell'accertamento fiscale. 
11. Passando all'esame dell'appello incidentale, affidato ad un unico motivo, l'Agenzia lamenta 
l'insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rappresentato 
dalla quantificazione delle spese prospettate dall'Ufficio. La CTR, dedicando due sole righe 
per rigettare l'impugnazione incidentale proposta, avrebbe tralasciato di rispondere ai rilievi 
esposti dall'Ufficio in ordine alla quantificazione degli incrementi patrimoniali considerati in 
sede di avviso di accertamento. 
12. La parte contribuente ha dedotto l'inammissibilit� e infondatezza della censura. 
13. Il motivo � inammissibile. 



13.1 � noto infatti, che la motivazione omessa o insufficiente � configurabile soltanto qualora 
dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la 
totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero 
quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento 
logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, 
ma non gi� quando, invece, vi sia difformit� rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte 
ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, 
altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del 
convincimento di quest'ultimo tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente 
estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione - per tutti, da ultimo, Cass. n. 
24148del 25/10/2013. 

13.2 Orbene, nel caso di specie la ricorrente incidentale si � limitata a prospettare la carenza 
motivazionale della decisione impugnata, erroneamente deducendo che la CTR avesse dedicato 
solo due righe di motivazione all'appello incidentale proposto in appello. 

13.3 Cos� facendo l'appellante incidentale non si � avveduta che il giudice di appello aveva 
specificamente individuato gli elementi fattuali dai quali inferire che l'originario accertamento 
compiuto dall'Ufficio aveva erroneamente valutato alcuni elementi, considerando la titolarit� 
di una autovettura gi� da tempo ceduta dal contribuente e omettendo di considerare il maxi 
canone di leasing corrisposto per l'"acquisto" dell'imbarcazione Azimut mediante compensazione 
di somma proveniente da alienazione di altro natante. Ci� la CTR aveva fatto condividendo 
le prospettazioni difensive esposte dalla parte contribuente - v. infatti il conteggio 
riprodotto a pag. 8 del ricorso dal contribuente a suo tempo esposto nel ricorso introduttivo 


13.4 Orbene, rispetto a tale ricostruzione degli incrementi patrimoniali e del possesso di beni 
l'Ufficio non ha formulato alcuna critica all'operato della CTR, invece limitandosi a riproporre 
le tesi difensive rivolte, in definitiva, a determinare un risultato diverso dagli accertamenti 
compiuti dalla CTR che, in quanto esenti da illogicit� e incongruit�, non possono essere rivisti 
in questa sede. 
L'appello incidentale va quindi rigettato. 
14. In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto, mentre quello incidentale va rigettato. 
La sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia 
che si uniformer� ai principi sopra esposti, provvedendo altres� sulle spese del giudizio 
di legittimit�. 


P.Q.M. 
La Corte accoglie il ricorso principale, Rigetta il ricorso incidentale. 
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Lombardia che si uniformer� 
ai principi sopra esposti, provvedendo altres� sulle spese del giudizio di legittimit�. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 28 gennaio 
2014. 


Simulazione e fisco ancora all�esame della Suprema Corte 

CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE, SENTENZA 27 GENNAIO 2014, N. 1568 

Federico Maria Giuliani * 

SOMMARIO: 1. Premessa: Cass., Sez. V Civile, 27 gennaio 2014, n. 1568 - 2. Le questioni 
risolte: a) il binomio simulazione/interpretazione - 3. (Segue): b) l�applicazione delle norme 
codicistiche sulla simulazione in accertamento e contenzioso tributario - 4. (Segue): c) la dicotomia 
simulazione/abuso - 5. Le questioni aperte: a) la prova dell�elemento soggettivo - 6. 
(Segue): b) la tendenza interpretativa �neo-amministrativista� sul procedimento tributario. 

1. Premessa: Cass., Sez. V Civile, 27 gennaio 2014, n. 1568 (1). 

1.1. Se soltanto un lustro fa il tema della simulazione ai danni del fisco 
rimaneva in ombra nella giurisprudenza, esso � ora sempre pi� affrontato dalle 
commissioni tributarie e dalla Quinta Sezione Civile della Cassazione. Ne sortiscono 
utili precisazioni che contribuiscono a chiarire l�argomento, sulla cui 
rilevanza pratica interpreti e operatori non nutrono dubbi. In questo senso si 
segnala ancora una recente sentenza del Supremo Collegio. 

1.2. La Sezione Tributaria di piazza Cavour si occupa di un accertamento 
basato sull�assunto per cui il contribuente - imprenditore collettivo -, ponendo 
in essere una simulazione contrattuale ai danni del fisco, incorrerebbe nella 
omissione di fatture e conseguente evasione dall�imposta sul valore aggiunto. 

La vicenda s�appunta sul diverso regime I.V.A. applicabile da una parte 
al contratto di procacciamento d�affari e dall�altra parte al mandato a vendere 
senza rappresentanza - tenendo presente che, per l�occasione, l�oggetto di tali 
operazioni � costituito da beni mobili registrati (autovetture). 

Mentre infatti il mandatario a vendere senza rappresentanza acquista dal 
mandante la propriet� del bene e la ritrasferisce al terzo acquirente, il procacciatore 
d�affari - osserva la Cassazione - � figura contrattuale atipica, priva del 
vincolo di stabilit� dell�agente e priva al contempo dei poteri decisori del mandante. 
Il procacciatore si limita a trasferire al soggetto, per conto del quale 
opera, le proposte contrattuali raccolte - di solito a mezzo di moduli fornitigli 
dalla �casa madre�. Sicch� nel caso del mandatario senza rappresentanza si 
delineano, in capo all�intermediario, due compravendite soggette a I.V.A. (cosa 
che non accade neppure in capo all�agente); mentre nel caso del procacciatore 
vi � il semplice corrispettivo d�intermediazione e una sola compravendita di 
cui il procacciatore stesso non � parte. 

Assume l�Agenzia delle entrate che l�asserito procacciatore ivi dissimuli, 

(*) Avv. del Libero Foro (Milano) e libero scrittore. 

(1) In il fisco, n. 8/2014, fascicolo 1, p. 786 ss., con commento di M. DENARO. 


d�intesa con il preponente e il terzo acquirente, una doppia compravendita ai 
danni del fisco, ostentando surrettiziamente il contratto d�intermediazione 
complessivamente meno oneroso sul piano dell�imposta sul valore aggiunto. 

2. Le questioni risolte: a) il binomio simulazione/interpretazione. 

Si tendeva a opinare, fino a epoca recente, che la mutazione del tipo contrattuale, 
quale esito dell�accertamento tributario, non potesse corrispondere di 
per se stessa all�assunto simulatorio, riducendosi piuttosto a semplice qualificazione 
negoziale: operazione giuridica riconducibile soltanto agli artt. 1362 ss. c.c. 

Sicch� appariva a molti commentatori - e in allora allo stesso giudice di legittimit� 
- incongrua e ipertrofica, per esempio, l�affermazione per cui dividend 
stripping e dividend washing dissimulassero contratti diversi da quelli asseriti 
dai contribuenti (2). Si riteneva, inoltre, che una cosa � qualificare, ad esempio, 
un usufrutto azionario o una doppia compravendita cartolare come un quid alii, 
mentre altra cosa � affermare che detti contratti sono simulati; anche perch� - si 
aggiungeva - simulati non possono essere perch� �effettivamente voluti�. 

Se non che la Corte Suprema � andata cospicuamente affinando lo sguardo 
su questi aspetti, sviluppando a pi� riprese un concetto, la cui rilevanza essenziale 
pu� forse sfuggire a un�analisi superficiale, ma non pu� essere negletta da 
interpreti e operatori attenti. Il concetto consiste nel superamento del luogo comune, 
per cui simulazione e interpretazione contrattuale sono due sfere diverse 
che nulla hanno in comune tra loro. Di contro, accertare/individuare/divisare 
una simulazione costituisce un�operazione anzitutto e per lo pi� interpretativa 
di testo e contesto negoziali. � un�operazione, cio�, consistente nel fare emergere 
(quasi in maieutica) le anfibolie testuali e contestuali, che risultano insopprimibili 
se non a mezzo dell�istituto simulatorio mutante il tipo (3). 

Questo concetto sembra ormai compenetrato nell�argomentare della Sezione 
Quinta Civile di piazza Cavour; e ci� sia in recenti arresti di cui ci siamo 
gi� occupati (4), sia da ultimo nella sentenza del 27 gennaio 2014. 

Nel momento in cui la Sezione ragiona in termini di possibile doppia 
compravendita dissimulata sotto le mentite spoglie di un procacciamento d�affari, 
essa oltrepassa il vetusto refrain secondo cui: a) non avrebbe senso alcuno 
parlare di riqualificazione contrattuale da parte dell�amministrazione finan


(2) Contra, isolatamente, G. FALSITTA, Usufrutto di azioni e contratto in maschera, in ID., Per 
un fisco civile Giuffr�, Milano, 1996, p. 183; ID., Elusione fiscale illegittima, contratto travestito e 
societ� <<contagocce>>, ivi, p. 191 ss.; F.M. GIULIANI, La simulazione dal diritto civile all�imposizione 
sui redditi, in Le monografie di Contratto e impresa, Cedam, Padova, 2009, passim; ID., Simulazione 
e fisco (sotto la specie dell�imposizione sui redditi) tra diritto civile e diritto tributario, in 
www.federicomariagiuliani.com (2007). 
(3) Ci permettiamo di rinviare ancora a F.M. GIULIANI, La simulazione, cit. 


(4) F.M. GIULIANI, La prova presuntiva della simulazione assoluta alla luce di un recente arresto 
della S.C., in il fisco, n. 33/2013, fascicolo n. 2, p. 5178 ss. 



ziaria, dacch� essa �qualificherebbe� semmai, e non �ri-qualificherebbe� per 
definizione (5); b) la sola ri-qualificazione a rigore concepibile sarebbe quella 
della simulazione, emergente da ricostruzioni logico-giuridiche del negozio, 
che sono ridotte per� al fondo a ri-categorizzazioni del tipo. 

Questi falsi miti appaiono archiviati in nomofilachia, sebbene sembri talvolta 
che i commentatori tendano ad � archiviare tale archiviazione. 

Ch� se poi si volesse, per avventura, obiettare alla sentenza in commento 
di negligere la teoria del c.d. doppio trasferimento automatico nel mandato a 
vendere senza rappresentanza (o con rappresentanza indiretta) (6) - sicch� non 
avrebbe senso concepire l�ipotesi di due compravendite separate con doppia 

I.V.A. in luogo di un doppio trasferimento istantaneo da committente a commissionario 
e da questi a terzo acquirente -, a tale critica si replicherebbe come segue: 
a) la teoria del doppio trasferimento automatico non � affatto unanime in 
dottrina e giurisprudenza civilistiche (7); 

b) quand�anche si decida di aderire a tale teoria - il che gi� di per s� non 
� scontato -, � palese che essa vale al pi� per i beni mobili, ma non de plano 
per immobili e mobili registrati (8); e si d� il caso che nella specie fossero in 
considerazione cessioni di autovetture; 

c) ultima ma non minima replica, non � affatto scontato che anche un 
doppio trasferimento automatico, sebbene istantaneo, non importi doppia imposta 
sul valore aggiunto sulla doppia cessione di propriet�. 

3. (Segue): b) l�applicazione delle norme codicistiche sulla simulazione in accertamento 
e contenzioso tributario. 

Altro punto teorico-pratico, su cui Cass. n. 1568/2014 pone un importante 
accento, � l�assunto per cui, onde potere il fisco fare valere la simulazione 
consumata a proprio danno dal contribuente, invoca e applica gli artt. 1414 
ss. c.c., e in specie l�art. 1417 sulla prova della simulazione opposta dai terzi 
interessati. In uno con ci� la sentenza precisa che l�onere della prova incombe 
all�Agenzia delle entrate - in accertamento e contenzioso - e che tale prova 
pu� essere fornita anche a mezzo di presunzioni. 

Chi scrive si era gi� espresso in questi termini anni fa, giustapponendo 
alle norme civilistiche sulla simulazione l�art. 37, comma 3, d.p.r. n. 600/1973 
(9). Eppure in allora appariva forzata - siccome troppo civilistica - questa trasposizione 
di una norma quale l�art. 1417 nel coacervo dei poteri dell�amministrazione 
in accertamento tributario, atteso che a questi ultimi sono preposte 
norme settoriali. 

(5) Cfr. op.ult.cit. 
(6) Cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Ed. sc. it., XIV ed., Napoli, 2009, p. 1177. 
(7) Cass., 27 maggio 2003, n. 8393; Cass., 7 dicembre 1994, n. 10522. 
(8) F. GAZZONI, op.loc.cit. 
(9) F.M. GIULIANI, La simulazione, cit. 



Anche sotto quest�angolo in un lustro molta acqua � passata sotto i ponti. 
Il diritto pretorio ha chiaramente dissipato le resistenze sulla portata generale 
dell�art. 1417 del codice civile. 

4. (Segue): c) la dicotomia simulazione/abuso. 

Di notevole momento, ancora, � che Cass. n. 1568/2014 non operi alcuna infelice 
confusione tra simulazione ai danni del fisco e abuso del diritto tributario. 

N� si dica che ci� accade perch�, nel caso di specie, la pretesa del fisco � 
nata gi� in accertamento come facente riferimento alla simulazione; poich� si sa 
come l�abuso possa, per giurisprudenza, essere rilevato anche dal giudice d�ufficio 

-con il solo baluardo del contraddittorio processuale sulla c.d. questione nuova. 

Piuttosto simulazione e abuso costituiscono due sfere tutt�affatto distinte, 
non fosse altro perch� non si vede come la teoria dell�abuso tributario, che di 
per s� gi� costituisce un allargamento sistematico/atipico dell�elusione tipizzata, 
possa andare a sovrapporsi a un istituto civilistico consolidato e disciplinato 
quale la simulazione. 

Anche a questo riguardo la giurisprudenza di legittimit� evidenzia un percorso 
di utile chiarificazione, poich� fino a qualche anno fa non ci si sarebbe 
stupiti pi� di tanto, in un caso quale quello esaminato da Cass. n. 1568/2014, 
di leggere in parte motiva che la questione era quella di acclarare se la societ� 
intermediaria avesse abusato dell�istituto dell�agenzia o del procacciamento 
d�affari, anzich� acquistare e poi rivendere, al solo (o precipuo) fine di conseguire 
un complessivo risparmio d�I.V.A. 

Tutt�al contrario qui la Cassazione conclude confermando l�impugnata 
sentenza di seconde cure, che aveva escluso la simulazione; e lo fa affermando 
che il giudice di merito ha sufficientemente motivato sul mancato conseguimento 
delle prove della simulazione stessa da parte dell�Agenzia delle entrate. 
Di abuso, perspicuamente, non vi � nemmeno l�ombra. 

5. Le questioni aperte: a) la prova dell�elemento soggettivo. 

� in linea di principio non revocabile in dubbio l�assunto di Cass. n. 
1568/2014, secondo cui la prova simulatoria, incombente all�amministrazione in 
accertamento e contenzioso, attiene sia al profilo oggettivo sia a quello soggettivo. 

Se non che la ricerca dell�intento simulatorio, essendo per sua natura v�lta 
all�individuazione di un volere, consiste inevitabilmente nella ricerca d�indici 

o indizi oggettivi, dai quali inferire il c.d. animus simulandi. Talch� in buona 
sostanza tale prova si espleta sulla base di quelle stesse contraddizioni, testuali 
e contestuali del contratto, che presiedono all�affermazione dell�esistenza oggettiva 
della simulazione. 

Nel caso, peraltro, della simulazione ai danni del terzo-fisco, l�evasione 
d�imposta rappresenta il clou del componente finalistico. 
Sicch� alla luce di queste considerazioni appare forse pletorica, ancorch� 


tradizionalmente - e istituzionalmente - corretta, la tesi della necessit� di una 
prova anche di tipo soggettivo. O quanto meno l�assunto della necessit� di una 
tale prova meriterebbe maggiori precisazioni, in punto di simulazione specifica 
ai danni del fisco. 

6. (Segue): b) la tendenza interpretativa �neo-amministrativista� sul procedimento 
tributario. 

Mette poi conto di menzionare il recente sviluppo interpretativo, che attiene 
al contraddittorio endo-procedimentale tributario. 

Dopo una fase storica in cui la legge sul procedimento amministrativo (n. 
241/1990) era per lo pi� vista, dal punto di vista tributario, come un testo normativo 
da cui prendere le distanze - stante il carattere speciale dell�accertamento 
dell�Agenzia delle entrate -, si assiste nell�ultimo torno di tempo a una 
rivalutazione sistematica della necessaria dialettica fisco/contribuente nella 
fase anteriore alla notificazione dell�atto impositivo. 

Si ritiene militino, a sostegno di una tale generalizzazione del contraddittorio 
endo-procedimentale, norme quali quelle sulle garanzie del contribuente 
nell�anti-elusione. Si aggiungono prescrizioni dello Statuto del 
contribuente (l. 212/2000), quali quella sulla buona fede e sulle osservazioni 
e richieste relative al processo verbale di constatazione. E naturalmente dietro 
tutto questo si enfatizza il sostrato della legge n. 241/1990. 

In questo contesto evolutivo - all�interno del quale, se pure peculiarmente, 
gi� si attende una pronuncia del Giudice delle leggi (10) -, ricade di necessit� 
anche l�ipotesi dell�accertamento basato sulla simulazione. Se, cio�, un contraddittorio 
endo-procedimentale s�imponesse - come taluno ritiene - sempre 
e in ogni caso prima della notificazione di qualsiasi atto accertativo, anche la 
contestazione della simulazione dovrebbe essere elevata dagli uffici in un momento 
anteriore al provvedimento impugnabile, per consentire al contribuente 
(asserito simulatore) una previa confutazione extra/ante-processuale. 

Non � questa la sede per addentrarsi in questo complesso tema, ma esso 
va tenuto presente nella sua portata anche operazionale, e nei suoi prossimi 
sviluppi giurisprudenziali. 

Cassazione civile, Sez. V, sentenza 27 gennaio 2014 n. 1568 -Pres. Cirillo, Rel. Valitutti, 

P.M. Del Core (difforme) - Agenzia delle entrate (avv. gen. Stato) c. G. SNC (avv. D�Arrigo). 

Svolgimento del processo 

1. Nel corso di una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza di Bolzano nei confronti 

(10) Vedi Cass., Sez. Trib., ord. 5 novembre 2013, n. 247, in banca dati fisconline. Ivi la peculiarit� 
sta nel fatto che si pone un problema di discrasia tra elusione e abuso quanto alle garanzie endo-procedimentali; 
e chiaramente, nel caso di elusione e abuso, si � in presenza di una sorta di sotto-insieme rispetto 
a un insieme. 


della societ� A.L. s.n.c., i verbalizzanti acquisivano elementi dai quali traevano il convincimento 
che tra quest'ultima e la societ� G. s.n.c. sussistesse un rapporto di commissione, in 
forza del quale la commissionaria G. s.n.c. avrebbe ceduto alla committente A.L. s.n.c. diverse 
autovetture senza emissione di regolare fattura. L'Ufficio, mediante emissione di due avvisi 
di rettifica per gli anni 1995 e 1996, recuperava, pertanto, a tassazione l'IVA non versata dalla 

G. s.n.c., oltre interessi e sanzioni. 


2. Gli atti impositivi venivano impugnati dalla contribuente dinanzi alla CTP di Brescia, che 
rigettava il ricorso. 


2.1. La CTR della Lombardia, con sentenza n. 252/65/05, depositata il 18.1.06, accoglieva, 
peraltro, l'appello proposto dalla contribuente, ritenendo sussistente nella specie, tra le due 
societ�, non un rapporto di commissione, bens� un rapporto di procacciamento di affari, in 
forza del quale la A.L. s.n.c. procurava alla G. s.n.c. la vendita di auto a clienti stranieri, emettendo 
fattura per le proprie prestazioni di intermediazione. 
3. Per la cassazione della sentenza n. 252/65/05 ha, quindi, proposto ricorso l'Agenzia delle 
Entrate, affidato a due motivi. 
La G. s.n.c. ha replicato con controricorso. 


Motivi della decisione 

1. Con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate denuncia la contraddittoria ed insufficiente 
motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., 

n. 5 e art. 111 Cost., comma 6. 

1.1. L'impugnata sentenza non esporrebbe, infatti, le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento 
della decisione adottata, non consentendo, pertanto, di ricostruire l'iter logico-giuridico 
seguito dal Collegio, in relazione alle questioni sollevate dalle parti ed agli elementi di 
prova offerti a sostegno delle stesse. 

1.2. Il motivo � infondato. 

1.2.1. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, la motivazione omessa o insufficiente 
� configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante 
dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero 
condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso 
della medesima sentenza, del procedimento logico che ha indotto il giudicante, sulla 
base degli elementi acquisiti, al suo convincimento. 
Per converso, il vizio in parola non pu� ritenersi sussistente quando vi sia difformit� rispetto 
alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice 
di merito agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile 
istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo, tesa 
all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del 
giudizio di legittimit� (cfr., tra le tante, Cass. S.U. 24148/13; Cass. 3370/12; 6288/11). 

1.2.2. Ebbene, nel caso di specie, la CTR ha compiutamente ed esaustivamente esaminato, 
dandone atto nella motivazione della decisione adottata, gli elementi di prova documentale 
versati in atti, e segnatamente le fatture emesse dalla A.L. s.n.c. nei confronti della G. s.n.c, 
traendone il convincimento, adeguatamente motivato, che il rapporto tra le due societ� fosse 
da qualificare come un rapporto di procacciamento di affari. In forza di tale rapporto, a parere 
del giudice di appello, la A.L. s.n.c. procurava dei clienti privati tedeschi alla G. s.n.c., che 
provvedeva a rimetterle il compenso per l'intermediazione e l'assistenza alla vendita. Ed i passaggi 
essenziali di tale ricostruzione, operata dalla CTR, sono stati riportati dalla stessa Agenzia 
delle Entrate nel motivo di ricorso. 


1.2.3. Se ne deve necessariamente inferire, a giudizio della Corte, che il dedotto vizio motivazionale 
finisce per tradursi in una richiesta di riesame del procedimento logico-giuridico 
effettuato dalla CTR, poich� non conforme alle aspettative di parte ricorrente; istanza questa, 
peraltro, non accoglibile in questa sede di legittimit�, per i motivi suesposti. 
2. Con il secondo motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione 
degli artt. 1731, 1742 e 2729 c.c. e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all'art. 
360 c.p.c., n. 3. 


2.1. Sostiene, invero, l'Amministrazione finanziaria che l'A.L. s.n.c, in qualit� di mandante, 
desse incarico alla G. s.n.c., in qualit� di mandatario, di provvedere all'acquisto di autovetture 
da destinare alla vendita a clienti tedeschi, in forza di un contratto di commissione, ai sensi 
degli artt. 1731 c.c. e segg. 
Configurando la fattispecie negoziale in questione una forma particolare di mandato senza 
rappresentanza - stante il tenore letterale dell'art. 1731 c.c., che fa riferimento a vendite o acquisti 
da effettuarsi per conto del committente ed in nome del commissionario - la G. sarebbe 
stata, pertanto, obbligata - secondo la ricorrente - a trasferire le auto acquistate per conto della 


A.L. s.n.c. a quest'ultima, in adempimento del contratto suindicato (art. 1706 c.c., comma 2). 
Con la conseguenza che, trattandosi di passaggi dal commissionario al committente di beni 
acquistati in esecuzione di un contratto di commissione, la commissionaria G. s.n.c. avrebbe 
dovuto fatturare le diverse cessioni delle autovetture alla committente A.L. s.n.c, attesa la previsione 
del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 2, n. 3), che assoggetta tali operazioni ad 
IVA, assimilandole alle cessioni ordinarie di beni. 


2.2. Per contro, la G. s.n.c. - secondo la ricostruzione operata dall'Ufficio - aveva provveduto 
ad alienare direttamente ai clienti tedeschi le autovetture acquistate per conto della A.L. s.n.c, 
omettendo di fatturare la cessione delle auto a quest'ultima, in adempimento del contratto di 
commissione. 
La A.L. s.n.c. aveva provveduto, peraltro, ad emettere fatture per le proprie provvigioni di intermediazione 
e di assistenza alla vendita nei confronti della G. s.n.c. 


2.3. In tal modo le due societ�, ad avviso dell'Ufficio, avrebbero simulato l'esistenza di un 
contratto di procacciamento di affari, dissimulando il reale contratto di commissione tra le 
stesse intercorso, al fine di evitare alla commissionaria G. s.n.c. la fatturazione ed il conseguente 
versamento dell'IVA sulle cessioni operate, in qualit� di commissionaria, nei confronti 
della committente A.L. s.n.c. 
3. La censura � infondata. 


3.1. � noto che la figura contrattuale atipica del procacciatore di affari, la cui attivit� consiste 
nel raccogliere le ordinazioni dei clienti, trasmettendole, poi, alla casa, che resta libera di accettarle 
o meno, � chiaramente distinguibile da quella dell'agente, per un verso, e da quella 
del mandatario, per altro verso. 


3.1.1. A differenza dell'agente - il quale non si limita a raccogliere episodicamente le ordinazioni 
dei clienti, ma promuove stabilmente la conclusione di contratti (senza tuttavia concluderli 
direttamente, neppure se fornito di poteri di rappresentanza) per conto del preponente, 
nell'ambito di una determinata sfera territoriale - il procacciatore di affari opera senza alcun 
vincolo di stabilit� ed in via del tutto episodica, raccogliendo le ordinazioni dei clienti e trasmettendole 
all'imprenditore da cui ha ricevuto l'incarico di procurare tali commissioni (Cass. 
13629/05; 12776/12). 


3.1.2. Inoltre - ed � il profilo che qui pi� interessa - il procacciatore di affari si differenzia dal 
mandatario senza rappresentanza - tenuto a compiere uno o pi� atti giuridici per conto del 



mandante (art. 1703 c.c.), acquistando i diritti ed assumendo gli obblighi derivanti dagli atti 
compiuti per i terzi, per ritrasferirli, poi, al mandante - poich� non dispone dei poteri decisori 
del mandatario, operando il procacciatore come semplice veicolo di trasmissione delle proposte, 
che di regola raccoglie per iscritto in appositi moduli fornitigli dalla casa, nel cui interesse 
egli procura gli affari (Cass. 3932/68). 

3.2. Orbene, � evidente che, stante la chiara e netta distinzione operabile tra le figure contrattuali 
sopra descritte, costituisce - sul piano generale - onere di colui che affermi la sussistenza 
dell'una, dissimulata attraverso la simulazione dell'altra, di fornire la prova della vicenda simulatoria 
dedotta (Cass. 9012/09). 
Con specifico riferimento alla prova dei contratti che possano integrare una frode al fisco, 
questa Corte ha - di poi - avuto modo di affermare che, in base al criterio stabilito in via ordinaria 
dall'art. 2697 c.c., l'Amministrazione finanziaria, qualora faccia valere la simulazione 
assoluta o relativa di un contratto stipulato dal contribuente, ai fini della regolare applicazione 
delle imposte, non � dispensata dall'onere della relativa prova, la quale, tenuto conto della 
qualit� di terzo dell'Amministrazione, pu� essere offerta con qualsiasi mezzo, e quindi anche 
mediante presunzioni. 
Ed � evidente che, incidendo l'accordo simulatorio sulla volont� stessa dei contraenti, detta 
prova non pu� rimanere circoscritta ad elementi di rilevanza meramente oggettiva, ma deve 
necessariamente proiettarsi anche su dati idonei a disvelare convincentemente i profili negoziali 
di carattere soggettivo, riflettentisi sugli scopi perseguiti, in concreto, dalle parti (cfr. 
Cass. 17221/06; 1549/07; 12249/10). 

3.3. Senonch�, nel caso di specie, a fronte dell'unico dato documentale certo, costituito dalle 
fatture emesse dalla A.L. nei confronti della G. s.n.c., per le provvigioni relative all'attivit� di 
intermediazione e di assistenza nelle vendite operate dalla G. s.n.c. ai clienti esteri procurati 
dalla stessa A.L. s.n.c, che dimostravano - con evidenza - l'esistenza di un rapporto di procacciamento 
di affari, nessuna prova di segno contrario ha offerto l'Amministrazione finanziaria, 
a sostegno della pretesa simulazione di tale contratto. 
La sussistenza di un dissimulato contratto di commissione � rimasta, invero, nel ricorso introduttivo 
del presente giudizio, al livello di una mera asserzione sfornita del bench� minimo 
elemento di riscontro sul piano probatorio, in violazione dei principi suesposti, in materia di 
onere della prova della simulazione. 
4. Per tutti i motivi che precedono, pertanto, il ricorso deve essere rigettato. 
5. Le spese del presente giudizio vanno poste a carico della ricorrente, nella misura di cui in 
dispositivo. 


P.Q.M. 
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente 
giudizio, che liquida in Euro 4.500,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed accessori di 
legge. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione Tributaria, il 2 dicembre 2013. 


Abuso e elusione nel procedimento e nel processo 

CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE, SENTENZA 4 APRILE 2014, N. 7961 

Federico Maria Giuliani e Sabrina Scalini * 

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Una doverosa �distinction� - 3. Le norme di riferimento 


4. L�abuso del diritto tributario, allo stato, �beneficia� della rilevabilit� d�ufficio (a differenza 
dell�elusione) nel processo, ma per contrappasso subisce un procedimento meno garantista 

-5. Conclusione. 

1. Premessa. 

Con perspicua pronuncia (1) la Sezione Tributaria della Corte Suprema 
enuncia una regola di diritto che, sebbene gi� alle volte male massimata (confondendo 
elusione e abuso tributario), lumeggia un problema di coordinamento 
sistematico-distintivo. L�abuso del diritto tributario continua a essere 
rilevabile d�ufficio dal giudice in ogni grado del processo tributario. Di contro 
l�elusione, di cui all�art. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973, deve essere puntualmente 
contestata nell�avviso di accertamento, con citazione della norma della 
legge medesima; s� che l�accertamento non pu� in alcun modo essere meglio 
qualificato giuridicamente nel processo, invocando in atti difensivi per la 
prima volta (l�amministrazione) l�art. 37-bis. 

2. Una doverosa �distinction�. 

Abbiamo pi� volte rimarcato nei nostri scritti una corriva tendenza, nel 
linguaggio parlato e scritto, a fare un tutt�uno delle nozioni di elusione e abuso. 
Si dice infatti che in buona sostanza si tratta della stessa cosa. 

La Corte di Cassazione, nella sentenza da cui si prende spunto (2), pone 
invece una linea di demarcazione assai netta fra le due categorie, operando 
una distinzione che non � soltanto terminologica, ma greve di conseguenze 
sul piano della disciplina sostanziale e processuale. 

Sicch� s�impone di tenere ben chiare le idee, evitando quanto pi� possibile 
commistioni - anche se puramente esplicative -, foriere di perigliose confusioni, 
in senso bens� teorico ma soprattutto pratico. 

3. Le norme di riferimento. 

Il quadro di riferimento normativo � piuttosto semplice. 
Nel caso di specie, non a caso, l�amministrazione aveva emanato, nei con


(*) Avv.ti del libero Foro. 

(1) Cass., Sez. V Civ., 4 aprile 2014, n. 7961, in il fisco, 2014, n. 19, p. 1866 s. 
(2) Supra, alla nota precedente. 



fronti di una s.r.l., un avviso di accertamento rettificativo d�Irpef e Ilor, vigenti 
al tempo delle dichiarazioni, motivato con la sola menzione dell�art. 39, d.p.r. 

n. 600/1973. 
La notifica dell�avviso stesso non era stata preceduta da alcuna richiesta 

di chiarimenti, destinata alla societ� contribuente. 
Nessun cenno vi era all�art. 37-bis. 

3.1. Ora come noto, il suddetto art. 39 disciplina i casi di rettifica dei redditi 
d�impresa delle persone fisiche, distinguendo al suo secondo comma - rispetto 
al primo - l�accertamento extra-contabile, emanabile in presenza di 
taluni presupposti fattuali (omessa indicazione tout court del reddito d�impresa 
in dichiarazione, sottrazione e/od omessa tenuta di scritture contabili, inattendibilit� 
complessiva di queste ultime, ecc.). 

L�accertamento extra-contabile, oltre a prescindere dalle scritture nella 
rideterminazione del reddito d�impresa, pu� essere costruito e argomentato 
anche a mezzo di presunzioni semplici (non dotate dei requisiti di gravit�, precisione 
e concordanza). 

Sta di fatto che un richiamo motivazionale accertativo, che si esaurisce 
nell�art. 39 (richiamato per i soggetti Ires, gi� Irpeg, dall�art. 40), non � 
stato ritenuto adeguato dai supremi Giudici acciocch� l�amministrazione 
potesse sostenere, nel processo tributario, che si fosse in presenza di atti 
e/o negozi e/od operazioni elusive, riconducibili all�art. 37-bis, d.p.r. n. 
600/1973. 

3.2. Puntualmente, non avendo l�ufficio accertatore contestato l�elusione 
ex art. 37-bis, la stessa amministrazione non procedette affatto a previa instaurazione 
del contraddittorio endo-procedimentale col contribuente, cos� come 
dettato - a pena di nullit� dell�avviso - dal comma 4� dello stesso art. 37-bis 
(�richiesta di chiarimenti�). 

Del resto, che quest�ultima precisazione sia puntuale e non revocabile in 
dubbio, � dimostrato palesemente dal comma 5� dell�art. 37-bis medesimo, 
laddove la legge impone - di nuovo a pena di nullit� - che, a seguito della ricezione 
delle �giustificazioni� scritte dal contribuente (dopo l�apposita richiesta), 
l�avviso debba essere specificamente motivato tenendo conto delle 
osservazioni fornite dal contribuente. 

3.3. Ora l�arresto nomofilattico in questione non si limita a stabilire 
quanto appena detto: che cio� un avviso di accertamento, se non motivato 
espressamente con la menzione dell�art. 37-bis, non pu� a posteriori essere 
(ri-)qualificato come antielusivo dall�Agenzia delle Entrate. 

Aggiunge infatti la Corte che l�interpretazione e applicazione dell�art. 37bis, 
ove non contestata apertis verbis in rettifica, non pu� essere rilevata d�ufficio 
dal giudice in ogni stato e grado del processo. 

Dipoi la sorte dell�avviso, emanato in presenza di fatti pur riconducibili 
all�art. 37-bis, e per� non motivato (n� proceduralmente spiccato) sulla base 


dello stesso articolo, non pu� che essere l�annullamento da parte del giudice 
tributario. 

4. L�abuso del diritto tributario �beneficia�, allo stato, della rilevabilit� d�ufficio 
(a differenza dell�elusione) nel processo, ma per contrappasso subisce 
un procedimento meno garantista. 

4.1. Nell�affermare quanto dianzi esposto all�Alta Corte non sfugge la 
contraddizione potenzialmente ravvisabile con la stessa giurisprudenza tributaria, 
affermativa del principio per cui l�abuso del diritto tributario, quale regola 
generale evincibile da precetti costituzionali, ben pu� essere rilevato 
d�ufficio dal giudice in ogni grado del processo. 

E in effetti le domande, che il lettore pratico-teorico della sentenza s�bito 
si pone, sono le seguenti: ma se � vero - come � vero - che l�art. 42 cpv. d.p.r. 

n. 600/1973 dispone che l�avviso di accertamento deve essere motivato con 
l�indicazione delle �ragioni giuridiche� che lo hanno determinato (ergo le 
norme di legge), perch� per i casi di elusione s�impongono menzione (e procedure) 
di cui all�art. 37-bis, e invece nel caso di un asserito (dall�ufficio) 
abuso, la specifica menzione dello �abuso� stesso non � necessaria, cos� come 
non � necessaria la menzione delle norme costituzionali posta a presidio del-
l�omonima teorica giurisprudenziale? E perch� l�abuso pu� essere rilevato ex 
officio dal giudice tributario in ogni stato e grado del processo, cosa che non 
pu� invece intervenire nei casi di elusione, sussumibili sotto l�art. 37-bis del 
decreto sull�accertamento? 

4.2. A questi interrogativi rispondono i giudici di piazza Cavour sottolineando 
non tanto il fatto che l�abuso - siccome categoria dedotta dal Supremo 
Collegio dal sistema (in specie costituzionale) - non trova riscontro 
esplicito in una norma di legge ad hoc. Piuttosto ci� che si sottolinea � il 
concetto d�invalidit�/inoppugnabilit� di negozi e operazioni all�amministrazione 
finanziaria. 

Siccome, per norma tipica, tale inopponibilit� � dettata dall�art. 37-bis, 
se manca il riferimento esplicito a quella nella motivazione accertativa il giudice 
tributario - in qualunque stato e grado del processo - non pu� supplire 
alla irrimediabile carenza (violativa di legge), consumata dall�ente accertatore 
sul piano del contraddittorio endo-procedimentale. 

Questa sembra essere la logica del costrutto. 

Detto altrimenti, l�inopponibilit� negoziale al fisco passa attraverso il necessario 
contraddittorio endo-procedimentale prescritto ex lege a pena di nullit�. 
Se in pi� manca la menzione dell�art. 37-bis in motivazione, l�accertamento 
non pu� pi� essere qualificato come antielusivo da nessuno in alcuna sede. 

5. Conclusione. 

Non � pi� proponibile alcuna confusione tra abuso ed elusione, come in



vece � sovente accaduto e accade, su riviste e primari quotidiani, anche economici, 
nazionali. 

Quand�anche si voglia dire che l�elusione � un sottoinsieme dell�insieme 
�abuso� - e che l�elusione � tipizzata ex lege mentre l�abuso non lo � -, ogni 
assimilazione tra i due concetti rappresenta un fatto latore di malintesi grevi 
di ponderosi corollari operazionali. 

Si pu� invero prendere nota del fatto che l�apparente distonia di disciplina 
tra elusione e abuso, sul piano della garanzia del contraddittorio endoprocedimentale 
tra ufficio e contribuente, � gi� all�esame della Corte Costituzionale 
su rimessione della Cassazione. 

Ma ci� semmai rappresenta la conferma - e non gi� la negazione - di una 
dicotomia ineluttabile tra le due nozioni, sotto pi� profili, nel diritto vivente. 

Cassazione civile, Sezione V, sentenza 4 aprile 2014 n. 7961 -Pres. Cappabianca, Rel. Crucitti, 
P.M. Sepe (conforme) - U.C. s.r.l. (avv. Negroni) c. Agenzia delle Entrate (avv. gen. Stato). 

Svolgimento del processo 
La Commissione Tributaria del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, riformava, su appello 
proposto dall'Agenzia delle Entrate, la decisione di primo grado che aveva accolto i ricorsi 
proposti dalla U.C. s.r.l. avverso avvisi di accertamento, ai fini iperg-ilor per gli anni 
1996 e 1997 e di rettifica iva per l'anno 1997, fondati sulle risultanze del bilancio della Societ�, 
ritenute non confortate da alcuna logica di mercato, e sulla circostanza che la contribuente 
avesse operato un ricarico macroscopicamente contrastante con quello medio di settore; laddove, 
di contro, la documentazione prodotta in risposta al questionario inviato dall'Ufficio 
era generica ed insufficiente. 
Il Giudice di appello, in particolare - osservato "in conformit� al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 
37 bis introdotto dal D.Lgs. n. 358 del 1997, che il caso di specie fosse riconducibile all'ipotesi 
di elusione di imposta ove, quand'anche le scritture contabili risultino complete e regolari ..., 
l'attivit� posta in essere dal contribuente si manifesti antieconomica in relazione al settore 
merceologico nel quale lo stesso opera - riteneva che in siffatta ipotesi la legittima presunzione 
di elusione fiscale pu� essere vinta soltanto con giustificazioni oggettive, razionali ed attendibili 
le quali, nel caso di specie, invero non sono state fornite se non con un generico richiamo 
a subappalti che, peraltro, nella catena creata vieppi� sembrano confermare l'intento elusivo 
della contribuente". 
Infine, il Giudice di appello, rilevato, in ordine agli errori di calcolo lamentati dalla contribuente, 
che istituzionalmente la Commissione non poteva n� verificarli n� riformularli, invitava 
l'Ufficio a controllare e "se, del caso, a riformulare i conteggi effettuati, per la definitiva 
quantificazione dell'imposta dovuta, considerando quale percentuale di ricarico quella 
dell'8%". 
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, U.C. s.r.l. 
Ha resistito con controricorso l'Agenzia delle Entrate. 

Motivi della decisione 

1. L'eccezione, sollevata dall'Agenzia delle Entrate, di inammissibilit� del ricorso perch� notificato 
a "Agenzia delle Entrate, Ufficio Roma ... - Area Controllo -Team legale" non merita 
accoglimento. 





L'orientamento di questa Corte �, in effetti, consolidato (cfr. sentenze citate dalla controricorrente) 
nel ritenere - sia pure ai diversi fini della idoneit� a far decorrere il termine breve per 
proporre il ricorso per cassazione - la nullit� della notificazione delle sentenze delle commissioni 
tributarie regionali eseguita nei confronti del "Team Assistenza Legale" dell'Agenzia 
delle Entrate, dovendosi escludere che detto "Team" abbia funzioni di rappresentanza dell'ente 
ed essendo impossibile stabilire se tale struttura e le persone che ne fanno parte siano incaricate 
di ricevere le notifiche o addette alla sede. Ma, nel caso in esame, la tempestiva costituzione 
dell'Agenzia delle Entrate la quale ha resistito, con controricorso, dibattendo anche sul merito 
della controversia, ha sanato detta nullit� (cfr.tra le tante, di recente Cass. Ordinanza n. 
18238/2012). 


2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la sentenza impugnata di omessa, insufficiente 
e contraddittoria motivazione per avere la Commissione Tributaria Regionale omesso ogni 
valutazione sulla doglianza relativa all'inammissibilit� dell'appello per mancanza di specifiche 
censure e, inoltre, insufficientemente motivato in ordine alla dedotta rinuncia al contendere 
per l'annualit� del 1997. Si deduce ancora la contraddittoriet� ed illogicit� della motivazione 
laddove si demanda all'Ufficio la verifica sulla correttezza dei calcoli. 


2.1. La prima doglianza � inammissibile. Il mezzo difetta di specificit� laddove, impedendo 
a questa Corte ogni valutazione al proposito, non riporta n� il contenuto dell'appello della 
controparte n� dello scritto difensivo nel quale sarebbero stati dedotti la mancanza di specificit� 
dei motivi di impugnazione e l'asserita rinuncia al contendere da parte dell'Agenzia delle 
Entrate relativamente all'annualit� 1997. Ma, ancor prima, il mezzo � inammissibile per l'assenza 
del c.d. "momento di sintesi", necessario ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. applicabile all'odierno 
ricorso per essere stata la sentenza impugnata depositata il 5.4.2006. 
Anche l'ultima doglianza (illogicit� e contraddittoriet� della motivazione in ordine ai paventati 
errori di calcolo dei quali sarebbero stati inficiati gli avvisi di accertamento) va incontro alla 
sanzione di inammissibilit�. 
Il mezzo, infatti, non � autosufficiente non avendo la ricorrente riportato con completezza la 
contestazione, mossa nel giudizio di merito, in ordine all'inesattezza dei calcoli come effettuati 
dall'Ufficio; ma, ancor prima, la doglianza � inconducente, laddove la motivazione resa, al 
proposito, dalla C.T.R. (dichiaratasi istituzionalmente priva del potere di verificare e riformulare 
i detti calcoli) equivale ad una pronuncia di rigetto della relativa domanda e l'invito, 
rivolto all'Ufficio, al controllo e se, del caso, alla riformulazione dei conteggi costituisce mera 
sollecitazione priva di contenuto decisorio ed ordinatorio. 
3. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 
1973, artt. 37 bis e 42. In particolare, la ricorrente si duole della circostanza che il riferimento 
al citato art. 37 bis fosse stato introdotto per la prima volta in atto di appello laddove l'avviso 
di accertamento faceva riferimento solo all'art. 39 stesso D.P.R. con ulteriore violazione, 
quindi, dell'art. 42 il quale prescrive che l'avviso di accertamento deve contenere l'indicazione 
delle norme giustificative dell'operato dell'Ufficio mentre, secondo la giurisprudenza, detta 
motivazione non pu� essere integrata in corso di giudizio. Inoltre, secondo la prospettazione 
difensiva, nella specie non era applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis in quanto non 
erano stati richiesti, come prescritto a pena di nullit� dalla norma al suo quarto comma, i chiarimenti 
al contribuente. 


3.1. Il motivo � fondato. 
Agli atti � pacifico e non contestato tra le parti che gli avvisi di accertamento, oggetto di contenzioso, 
vennero emessi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ai fini IPERG ed ILOR, 





ed ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 ai fini IVA. L'Agenzia delle Entrate, in contro-
ricorso, nel non disconoscere che la questione in ordine alla sussistenza, nella specie, di una 
finalit� elusiva di imposta fosse stata introdotta per la prima volta nel giudizio di secondo 
grado, ha ribadito che, nella specie, non era stata data una diversa qualificazione giuridica al 
rapporto dedotto in giudizio n� era stata indicata una diversa base normativa, ma si erano 
svolte delle semplici osservazioni giuridiche che il giudice di appello si era limitato a condividere. 
L'assunto non pu� essere condiviso. 
L'esistenza di un generale principio antielusivo, traente fonte non solo dalla giurisprudenza 
comunitaria, ma, per le imposte dirette, anche e soprattutto dagli stessi principi costituzionali 
che informano l'ordinamento tributario italiano � pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza 
di questa Corte la quale ha avuto modo di rilevare, anche, che l'esistenza di detto principio 
generale non scritto volto a contrastare le pratiche consistenti in abuso del diritto 
consente al giudice tributario di utilizzare, anche d'ufficio, lo strumento dell'inopponibilit� 
all'amministrazione anche per ogni altro profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente 
pretenda far discendere dall'operazione elusiva (cfr. Sez. V, Sentenza n.30057 del 
23/12/2008). 
Quanto esposto, per�, non si attaglia al caso in specie, laddove il Giudice tributario - lungi 
dal rilevare una causa di invalidit� o di opponibilit� all'amministrazione dei negozi opposta 
dal contribuente - ha illegittimamente mutato la stessa motivazione degli avvisi di accertamento 
fondandoli su una diversa norma di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis) la cui 
applicabilit�, peraltro, per la sua natura, anche, procedimentale, non � rilevabile ex officio. 


4. In conclusione, quindi, in accoglimento del secondo motivo e rigettato il primo, la sentenza 
impugnata va cassata e la controversia rinviata al Giudice di merito affinch� proceda al riesame 
alla luce dei principi sopra illustrati e provveda al regolamento delle spese processuali 
di questo grado. 


P.Q.M. 
La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento 
delle spese processuali a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale 
del Lazio. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 dicembre 2013. 


Autonoma impugnabilit� di atti endoprocedimentali tributari: 
il Consiglio di Stato si pronuncia sul verbale di contestazione 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, SENTENZA 14 APRILE 2014, N. 1821 

Federico Maria Giuliani * 

SOMMARIO: 1. Il caso - 2. La soluzione - 3. Considerazioni critiche - 4. Conclusioni. 

1. Premessa: il caso. 

1.1. In un perspicuo e recente arresto (1), dotato di notevole rilevanza 
operazionale, il Supremo Consesso della giustizia amministrativa si occupa 
dei presupposti (giurisdizione, interesse) per l�ammissibilit� dell�azione contro 
i vizi del processo verbale di constatazione. 

L�arresto merita attenzione anche perch� la sua motivazione evoca e investe 
il pi� ampio tema della tutela del contribuente avverso le patologie di 
atti tributari endoprocedimentali ufficiosi (in specie, oltre ai processi verbali 
di constatazione, comunicazioni d�irregolarit� e avvisi bonari). 

1.2. Il caso concreto � facilmente riassumibile. 

La Direzione regionale abruzzese dell�Agenzia delle entrate redige processo 
verbale di constatazione a carico di societ� di capitali sita in Lanciano, 
a seguito e per effetto di verifica fiscale nei locali commerciali di questa. 

La societ� verificata impugna il p.v.c. avanti il T.A.R. Abruzzo, deducendo 
violazione di principi e norme tributarie, violazione della legge sul procedimento 
amministrativo, violazione dell�art. 52, d.p.r. istitutivo dell�I.V.A., 
nonch� violazione degli artt. 7 e 12 dello Statuto del contribuente. 

E ci� poich� - asserisce l�istante - vi � carenza di potere accertativo in 
capo all�ufficio finanziario, carenza di firma congiunta dei due verificatori, 
nonch� omessa indicazione del responsabile del procedimento. 

Si tratta di asserite �carenze strutturali� del processo verbale, che non intaccano 
il merito delle contestazioni fiscali dei verbalizzanti. 

Nondimeno il T.A.R. dell�Abruzzo dichiara inammissibile il gravame, 
per carenza di giurisdizione amministrativa, in favore del giudice tributario. 

A nulla rileva - secondo il Tribunale - che nel frattempo fosse stato esperito, 
davanti al giudice tributario, ricorso avverso l�avviso di accertamento basato 
sul p.v.c.; e ci� proponendo le medesime lagnanze gi� declinate, s�bito dopo il 
p.v.c., nel processo amministrativo. A nulla rileva altres� - per il T.AR. Abruzzo 

-che il giudizio tributario, al momento della definizione del processo amministrativo 
di primo grado, pendesse ormai davanti alla Corte di Cassazione. 

(*) Avvocato del libero Foro di Milano, libero scrittore. 

(1) Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2014, n. 1821, Pres. Numerico, Est. Spagnoletti. 


Piuttosto importa, per il Tribunale stesso, la giurisprudenza costante su 
�pienezza� ed �esclusivit�� (cos� alla lettera) della giurisdizione tributaria a 
scapito del G.A., sugli atti aventi natura e contenuto fiscali. E invero, in specie 
dopo la novella di cui all�art. 12, legge n. 448/2001 - sostitutiva dell�art. 2, 
d.lgs. n. 546/1992 -, osserva il T.A.R. che la giurisdizione delle commissioni 
tributarie assorbe oramai tutte le controversie su imposte e tasse, fatta eccezione 
per la fase dell�esecuzione forzata e per l�impugnazione dei regolamenti 
(dove per� non � il G.A., bens� l�A.G.O. a intervenire). 

Tale arresto di primo grado viene impugnato dalla societ� contribuente davanti 
al Consiglio di Stato, dove in punto di giurisdizione la tesi del contribuente 
appellante � quella per cui il p.v.c. - siccome atto meramente preparatorio/istruttorio, 
e quindi privo di pretesa pecuniaria e di effetti tributari diretti nella sfera 
patrimoniale del contribuente - non � autonomamente impugnabile davanti al 
giudice tributario. Tanto � vero - aggiunge il ricorrente in appello - che il processo 
verbale di constatazione non compare nell�elenco degli atti autonomamente 
impugnabili, di cui all�art. 19 del decreto sul contenzioso tributario. 

2. La soluzione. 

La Sezione Quarta di Palazzo Spada, investita della questione, respinge 
l�appello del contribuente, ribadendo il difetto di giurisdizione amministrativa. 

Secondo il Supremo consesso il p.v.c. � bens� atto privo di effetti procedimentali 
tributari, e non produttivi di efficacia lesiva immediata e diretta. Infatti 
dal p.v.c pu�, ma non deve, promanare poi un avviso di accertamento, il 
quale sar� bens� questa volta impugnabile. 

Tutto ci� per� non toglie che il giudice competente sia la Commissione 
tributaria. 

E comunque, specie quando il gravame si fonda su asseriti vizi procedi-
mentali/formali del p.v.c. - come � accaduto nel caso concreto - il C.d.S. afferma 
che essi possono bens� essere fatti oggetto d�impugnazione 
giurisdizionale, ma soltanto non immediatamente n� autonomamente, cio� in 
un secondo momento eventuale, che � l�impugnazione nel giudizio tributario 
dell�avviso di accertamento conseguente (2). 

Peraltro - conclude il Consiglio di Stato - quegli atti, che sono per legge 
presupposto necessario di talune attivit� ispettive particolarmente invasive 
(prodromiche all�accertamento), ricadono anch�esse sotto il controllo della 
giurisdizione tributaria (3). � il caso, per esempio, dell�autorizzazione del Procuratore 
della Repubblica, necessaria acciocch� gli uffici finanziari - o per essi 
la polizia tributaria - possano procedere a perquisizione personale e/o domi


(2) Ex multis nello stesso senso Cass., Sez. Trib., 29 maggio 2006, n. 12789; id., 20 gennaio 2004, 

n. 787; id., 30 ottobre 2002, n. 15305, tutte leggibili in banca dati fisconline. 

(3) Cos� infatti gi� Cons. Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2008, n. 6045. 


ciliare (scil. fuori dai locali dell�impresa). E ci� per il combinato disposto degli 
artt. 33, comma 1, d.p.r. n. 600/73 e 52, commi 2 e 3, d.p.r. n. 600/73. 

3. Considerazioni critiche. 

Prescindendo qui dalle questioni teoriche (processuali), cui la sentenza 
in rassegna in sottofondo rinvia, s�impongono per� alcune riflessioni complessive. 


3.1. Un primo corollario della sentenza � il seguente. 

Durante gli accessi dell�ufficio impositore o della guardia di finanza 
(quale suo collaboratore), il contribuente che ritiene ricorrano violazioni delle 
garanzie poste dalla legge a tutela della sua riservatezza [tanto pi� aumenta 
l�invasivit� dei controlli, tanto pi� occorrono autorizzazioni e/o presupposti 
di fatto], non pu� certo adire urgentemente il giudice tributario, onde ottenere 
un immediato provvedimento giurisdizionale che ordini alla P.A. di cessare 
l�attivit� ispettiva non consentita. Ch� non sono in gioco ivi atti autonomamente 
impugnabili, bens� condotte attizie endoprocedimentali, non foriere di 
per s� stesse di pretese pecuniarie da parte del fisco. 

E invero neppure, a quello stesso fine, pu� il contribuente adire il T.A.R, 
chiedendo una tutela cautelare ancorch� questa, come noto, nel processo amministrativo 
sia atipica e dunque adattabile alle esigenze del caso concreto. 

Per il G.A., infatti, non soltanto difetta la giurisdizione in materia tributaria 
(salvo situazioni sempre pi� sparute e isolate), ma difetta altres� un presupposto 
per addivenire a una pronuncia sul merito qual � l�interesse a 
ricorrere. Infatti l�art. 35, comma 1, d.lgs. n. 104/2010 (�C.P.A.�), statuendo 
l�inammissibilit� (rilevabile anche d�ufficio) del ricorso privo d�interesse ad 
agire, si porta dietro il radicato concetto dell�interesse magari anche non economico, 
e per� necessariamente attuale, a fronte di una lesione concreta e immediata 
(4). 

Alla luce di ci�, evidentemente, l�atto prodromico ad altro atto (accessi, 
ispezioni, verifiche rispetto all�avviso di accertamento) non � autonomamente 
impugnabile, perch� anzitutto non � certo che all�accesso faccia seguito l�emanazione 
di un atto impositivo ufficioso; inoltre l�atto prodromico endoprocedimentale, 
di per s� solo, non intacca la sfera economico-patrimoniale del 
contribuente. 

3.2. Ora per�, siccome si � soliti affermare in giurisprudenza e dottrina 
che - come poc�anzi accennato - l�interesse a ricorrere non deve essere necessariamente 
economico, ma pu� essere altres� morale - purch� attuale e non 
probabilistico -, viene da chiedersi se una immediata lesivit� non patrimoniale, 
per esempio, di una perquisizione domiciliare non debitamente autorizzata, 

(4) Per tutti si consulti sul punto R. GAROFOLI, Compendio di diritto amministrativo, Nel Diritto 
ed., Roma, 2012, p. 405 s. 


possa integrare gli estremi dell�interesse a ricorrere, con tanto di domanda di 
tutela cautelare. 

Da questo punto di vista l�assunto del C.d.S. sulla spettanza al solo giudice 
tributario di un vizio endoprocedimentale quale quello test� ipotizzato 
(5), non pu� che portare a una risposta sistematica che si articola come segue: 

a) al giudice amministrativo � sul punto preclusa la giurisdizione, ch� si 
versa in un procedimento tributario, se pure in in fase istruttoria. Al giudice 
tributario, per parte sua, la legge impone di occuparsi del vizio in parola non 
immantinente, ma solo se e quando quello sar� chiamato a giudicare 
sull�(eventuale) avviso di accertamento conseguente, cio� sulla incidenza del 
vizio endoprocedimentale sull�atto ufficioso autonomamente impugnabile. 

b) in quest�ultima sede dovr� stabilirsi qual � l�effetto �a catena� del vizio 
istruttorio, sia sul piano del processo (p.e. inutilizzabilit� delle prove cos� acquisite), 
sia sul piano della validit�/invalidit� dell�accertamento ufficioso. 

c) nel processo tributario non � contemplata, fra le altre cose, una tutela cautelare 
ante causam quale quella del nuovo codice del processo amministrativo; 

d) in conclusione, si potr� al pi� pensare a un�azione di risarcimento dei 
danni morali cagionati con l�ingiusta perquisizione. Ma, all�uopo, l�azione ex 
art. 2043 ss. non pu� che competere al giudice civile (ch� il G.A. ne � tagliato 
fuori giusta quanto sopra; e al G.T. non � data una possibile giurisdizione sui 
danni come invece al G.A.). 

4. Conclusioni. 

4.1. La sentenza del C.d.S. in commento, negando l�autonoma impugnabilit� 
del processo verbale di constatazione (oltre a dichiarare il difetto di giurisdizione 
amministrativa in favore di quella tributaria, con per� tutela 
�differita�), assume - come gi� detto - una posizione in linea con la Suprema 
Corte in ordine a tale atto (6). 

Di contro, a conclusione opposta (impugnabilit� autonoma/immediata) � 
pervenuto lo stesso Supremo Collegio, col noto revirement del 2012 (7), in 
punto di comunicazioni d�irregolarit�. A queste si tendono ad assimilare, con 
una sorta di lettura estensiva dell�arresto, i c.d. avvisi bonari (8). 

E se convergenza giurisprudenziale vi � sull�ormai acquisita �esclusivit�� 

-piuttosto che mera �specialit�� - della giurisdizione tributaria (9), la dottrina 
� in parte contraria all�autonoma impugnabilit� delle comunicazioni d�irrego


(5) V. supra, par. 2 al fondo. 

(6) Fra le molte Cass., Sez. I, 28 aprile 1998, 4312; Cass., Sez. trib., 20 gennaio 2004, n. 787, 
ambedue in banca dati fisconline. 
(7) Cass., 11 maggio 2012, n. 7344, in banca dati fisconline. 


(8) Se cos� �, Cass. n. 7344/2012 ribalta Cass., Sez. Trib., 15 ottobre 2004, n. 1791, che statuiva 
la non autonoma impugnabilit� degli avvisi bonari (vedile entrambe in banca dati fisconline), 


(9) Vedi Cons. St. n. 1821/2014, cit. e Cass. n. 7344/2012, cit. 


larit� e degli avvisi bonari (10), e in altra parte favorevole al revirement impresso 
nel 2012 dal giudice nomofilattico al riguardo (11). 

4.2. Il quadro complessivo diventa pi� chiaro, sol che si distinguano come 
perspicuamente suggerito (12) - le nozioni di autonoma impugnabilit� 
(facoltativa) e onere d�immediata/autonoma impugnazione (autonoma impugnabilit� 
obbligatoria). 

E invero la Corte di Cassazione, nel suo arresto del 2012 sulle comunicazioni 
d�irregolarit� (13), delinea chiaramente un�impugnabilit� dell�atto 
senza per� l�onere d�impugnazione. Ci� in quanto - osserva il S.C. - la successiva 
cartella di pagamento � atto sostitutivo della pregressa comunicazione: 
sicch� il contribuente pu� bens� impugnare la cartella senz�avere previamente 
impugnato la comunicazione d�irregolarit�; se d�altronde egli aveva scelto 
d�impugnare autonomamente e immediatamente la comunicazione, allora con 
la notifica della cartella il processo avente a oggetto la comunicazione si estingue 
per sopravvenuta carenza d�interesse ad agire. 

Se si tiene in debito conto quest�ultimo dato, una certa quale apparente 
disarmonia tra Cass. e C.d.S., sul tema generale della tutela avverso gli atti 
endoprocedimentali tributari, si attenua. 

N� vi sarebbe da stupirsi di ulteriori novit� giurisprudenziali in materia magari 
proprio in punto d�impugnabilit� autonoma del p.v.c (pur senz�onere 
d�impugnazione). 

In quest�ultimo senso (d�immediata proponibilit� di un gravame avverso 
il processo verbale) non a caso si sono gi� espressi autorevoli giudici tributari 
di merito (14). 

Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 14 aprile 2014 n. 1821 -Pres. Numerico, Est. Spagnoletti 
- B. s.p.a. (avv.ti Di Trani e Sciacchitano) c. Ministero dell�Economia e delle Finanze, 
Agenzia delle Entrate - Direzione regionale dell�Abruzzo (avv. gen. Stato). 

FATTO e DIRITTO 
1.) La societ� B. S.r.l., ora B. S.p.A., con sede in Lanciano, con il ricorso in primo grado n.r. 
168/2008 ha impugnato un processo verbale di constatazione, formato da funzionari del-
l'Agenzia delle Entrate - Direzione regionale dell'Abruzzo, in data 27 dicembre 2007, relativo 
ad una verifica fiscale, deducendone l'illegittimit� con unico motivo complesso articolato 
sotto tre rubriche ( 1) Violazione di norme e principi generali in materia fiscale tributaria; 2) 
Violazione della legge n. 241/1990 art. 7; 3) Violazione dell'art. 52 d.P.R. n. 633/1972, dell'art. 

(10) F. TESAURO, Gli atti impugnabili e i limiti della giurisdizione tributaria, in Giust. Trib., a 
www.datalexis.it 

(11) R. LUPI, Torna l�impugnazione degli avvisi bonari, in www.fondazionestuditributari.com 
(12) Op. ult. cit. 
(13) Supra, nt. 9. 
(14) Comm. Trib. Reg. Lombardia, sent. 6 aprile 2012, n. 46/28/2012, in banca dati fisconline. 



36 d.P.R. n. 600/1973, degli artt. 7 e 12 della legge n. 212/2000), in relazione a lamentate carenze 
strutturali dell'atto (carenza di potere accertativo in capo all'Ufficio finanziario, carenza 
di firma congiunta dei due verificatori, omessa indicazione del responsabile del procedimento). 
Con la sentenza n. n. 84 del 25 gennaio 2013 il T.A.R. per l'Abruzzo ha dichiarato inammissibile 
il ricorso per carenza di giurisdizione amministrativa in favore della giurisdizione tributaria, 
in base ai rilievi di seguito testualmente riportati: 
"... in disparte il fatto che le censure dedotte avverso il suddetto processo verbale di contestazione 
sono state poi integralmente reiterate nel successivo ricorso proposto avverso il conseguente 
avviso di accertamento (ricorso rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale, e 
in sede di appello, dalla Commissione Tributaria Regionale, e ora pendente in Cassazione), 
deve ritenersi assorbente il fatto che la Giurisprudenza ha da tempo chiarito che la giurisdizione 
delle Commissioni Tributarie, essendo piena ed esclusiva, si estende non soltanto al-
l'impugnazione del provvedimento impositivo ma anche alla legittimit� di tutti gli atti del 
procedimento e che a seguito della riforma di cui all'articolo 12 della legge 28 dicembre 2001 

n. 448, la giurisdizione del Giudice Tributario, si estende ormai a qualunque controversia in 
materia di imposte tasse che non attenga al momento della esecuzione in senso stretto (Cassazione 
civile, sezioni unite, 14 marzo 2011, ordinanza n. 5928; Consiglio di Giustizia Amministrativa 
della Regione Siciliana 28 luglio 2011 n. 523)". 
Con appello notificato il 24 aprile 2013 e depositato l'8 maggio 2013, la sentenza � stata impugnata 
deducendone l'erroneit�, quanto alla declaratoria di difetto di giurisdizione amministrativa, 
rilevando, in sintesi, sul che il processo verbale di constatazione � atto preparatorio 
e istruttorio, privo di effetti tributari diretti, non impugnabile in via autonoma dinanzi al giudice 
tributario, n� ricompreso nell'elencazione degli atti impugnabili nel processo tributario, 
con riproposizione delle censure gi� dedotte con il ricorso in primo grado. 
Nel giudizio si sono costituiti il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle 
Entrate, che hanno dedotto, a loro volta, l'infondatezza dell'appello. 
Nella camera di consiglio del 2 luglio 2013 l'appello � stato discusso e riservato per la decisione. 
2.) L'appello in epigrafe � destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato, con la conferma 
della sentenza impugnata e quindi della declaratoria del difetto di giurisdizione amministrativa. 
Il processo verbale di constatazione � l'atto in cui si condensano le risultanze degli accessi 
nei locali destinati all'esercizio di attivit� commerciali, agricole, artistiche o professionali, finalizzati 
a "... ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta 
utile per l'accertamento dell'imposta e per la repressione dell'evasione e delle altre violazioni...", 
da parte di funzionari dell'amministrazione finanziaria (ora dell'Agenzia delle Entrate) 
e/o muniti di apposita autorizzazione; dal medesimo debbono risultare "... le ispezioni 
e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte 
ricevute" e "... deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare 
il motivo della mancata sottoscrizione", fermo il diritto del contribuente di ottenerne copia 
(art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, applicabile anche in materia di imposte dirette sui 
redditi ai sensi dell'art. 33 comma 1 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). 
� evidente che trattasi di atto privo di contenuto ed effetti provvedimentali, dal quale pu� 
eventualmente scaturire l'emanazione di un accertamento tributario, privo pero ex se di effetti 
tributari e di efficacia lesiva, e in quanto tale, appunto, non impugnabile in via diretta e autonoma 
dinanzi alle commissioni tributarie, secondo giurisprudenza affatto pacifica (Cass. civile, 
Sez. Trib., 29 maggio 2006, n. 12789; id., 20 gennaio 2004, n. 787, che rileva come esso sia 
atto endoprocedimentale, sfornito di rilevanza giuridica esterna e di valore impositivo; id., 30 


ottobre 2002, n. 15305, che ha altres� negato che la non impugnabilit� - da escludere ai sensi 
del previgente art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, e ora dell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 
1992, n. 546 - configuri profili d'illegittimit� costituzionale). 
� altres� chiaro che la non immediata impugnabilit� non preclude che eventuali vizi del processo 
verbale, che infirmino l'efficacia probatoria del medesimo, quanto alle modalit� del-
l'accesso e/o all'acquisizione dei documenti, possono comunque essere fatti valere in relazione 
all'impugnazione dell'atto di accertamento, e in tal senso, come osservato dal giudice amministrativo 
abruzzese, non � senza significato che "... le censure dedotte avverso il suddetto 
processo verbale di contestazione sono state poi integralmente reiterate nel successivo ricorso 
proposto avverso il conseguente avviso di accertamento ...", ancorch� il relativo ricorso tributario 
sia stato rigettato dalla commissione tributaria provinciale con sentenza confermata 
dalla commissione tributaria regionale, pendendo, all'epoca dell'emanazione della sentenza 
gravata nella presente sede, ricorso per cassazione. 
D'altro canto, questa Sezione ha gi� avuto modo di chiarire che atti che si pongano quali presupposti 
di attivit� ispettiva e acquisitiva prodromica all'accertamento sono sindacabili dinanzi 
alla giurisdizione tributaria ed esulano dalla giurisdizione amministrativa (nella specie l'autorizzazione 
del Procuratore della Repubblica alla perquisizione del domicilio del contribuente 

o del legale che lo rappresenta: Cons. Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2008, n. 6045). 
3.) In conclusione, l'appello deve essere rigettato, con la conferma della sentenza gravata, e 
con la condanna della societ� appellante alla rifusione delle spese e onorari del giudizio d'appello, 
liquidati come da dispositivo. 

P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) rigetta l'appello in epigrafe n.r. 
3431/2013 e, per l'effetto, conferma la sentenza del T.A.R. per l�Abruzzo, Sede de L�Aquila, 
Sezione I, n. 84 del 25 gennaio 2013 e condanna la societ� B. S.p.A., in persona del legale 
rappresentante pro-tempore, alla rifusione in favore dell'Avvocatura generale dello Stato, distrattaria 
ex lege, delle spese e onorari del giudizio d'appello, liquidati in complessivi � 
5.000,00 (cinquemila/00). 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2013. 


Sulla Direttiva Reati: il giudice dell�esecutivit� riconosce 
l�accesso all�indennizzo nelle sole situazioni transfrontaliere(*) 

CORTE DI APPELLO DI ROMA, ORDINANZA 9 MAGGIO 2014 R.G. 7072/13 

IN ALLEGATO: 1. Atto defensionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri - 2. Ordinanza 
della Corte di Giustizia UE 30 gennaio 2014, C-122/13. 

Con ordinanza in data 9 maggio 2014 la Corte d�appello di Roma - pronunciandosi 
per la prima volta sull�ambito di applicabilit� della c.d. Direttiva 
Reati n. 80/2004 dopo la recente ordinanza della Corte di Giustizia UE del 30 
gennaio 2014 - ha sospeso l�esecutivit� dell�impugnata sentenza del Tribunale 
di Roma n. 22327/13 (a cui, a suo tempo, i mezzi di informazione hanno dato 
ampio risalto), ritenendo �le ragioni poste dall�Avvocatura dello Stato a fondamento 
dell�appello incidentale ... provviste di adeguato fumus�. 

All. 1) 

CT 31313/2009 Avv. G. Palatiello 

Avvocatura Generale dello Stato 

ECC.MA CORTE DI APPELLO DI ROMA 
SEZIONE PRIMA CIVILE 

(R.G. n. 7072/13 � rel. Cons. Ferdinandi 
Prima udienza di comparizione 29.4.2014) 

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA 
con APPELLO INCIDENTALE TEMPESTIVO 
e contestuale ISTANZA DI SOSPENSIONE ex art. 283 c.p.c. 
DELLA SENTENZA IMPUGNATA 


Nell'interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri (c.f. 80188230587), in persona 
del Presidente del Consiglio in carica, e del Ministero della Giustizia (c.f. 80184430587), 
in persona del Ministro in carica, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura 
Generale dello Stato (c.f. 80224030587 per il ricevimento degli atti FAX 0696514000 
e PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, 
via dei Portoghesi n. 12; 

- appellati/appellanti in via incidentale 


contro 

G.G. e G.A.M., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Claudio Defilippi e Debora Bosi ed 
elettivamente domiciliati in Roma, Via Marco Celio Rufo n. 40, presso lo studio del-
l�Avv. Barbara Pezzetta; 

- appellanti/appellati in via incidentale per 
la riforma della sentenza n. 22327/13, emessa inter partes (nella causa n. 62440/09 
di R.G.) dal Tribunale di Roma Sezione II Civile (Giudice dott. Federico Salvati), de


(*) Sul punto e per gli atti pregressi si rimanda a quanto gi� pubblicato in Rass. 2013, III, 26 ss. 


positata in cancelleria in data 8.11.2013, e notificata con formula esecutiva a mezzo del 
servizio postale il 30.12.2013; 

FATTO e SVOLGIMENTO DEL PROCESSO DI PRIMO GRADO 

Con atto di citazione notificato in data 11 settembre 2009, i sig.ri G.G. e G. A.M. - allegando 
che Z.J. (rispettivamente nipote e figlia di essi attori), in data 29 aprile 2006 
(mentre si trovava al nono mese di gravidanza ed era, pertanto, prossima al parto), fu 
barbaramente uccisa dal N.L., condannato con sentenza definitiva n. 461/08 dal Tribunale 
di Venezia per il reato di omicidio volontario - hanno convenuto in giudizio le Amministrazioni 
dello Stato in epigrafe al fine di sentir accertare la responsabilit� delle 
stesse per il mancato recepimento della direttiva 2004/80/CE <<direttiva del Consiglio 
relativa all�indennizzo delle vittime di reato>> e conseguentemente condannarle al risarcimento 
del danno morale iure proprio, biologico iure proprio, non patrimoniale da 
uccisione del congiunto, esistenziale e patrimoniale iure proprio, per la somma complessiva 
di � 500.000,000; in subordine, accertare la responsabilit� ex artt. 2043 e 2059 

c.c. delle medesime amministrazioni e conseguentemente condannarle al risarcimento 
dei danni subiti, sempre nella misura di � 500.000,00. 
La deducente Avvocatura Generale dello Stato si costituiva in giudizio nell�interesse 
delle Amministrazioni intimate con comparsa del 15.2.2010 contestando diffusamente 
le avverse domande, delle quali chiedeva il rigetto, siccome del tutto infondate. 
All�udienza di prima comparizione e trattazione del 18.3.2010, il G.I. designato assegnava 
i termini di cui all�art. 183, comma 6�, c.p.c. rinviando per l�ammissione dei mezzi 
di prova all�udienza del 25.11.2010. 
Con memoria ex art. 183, co. 6, n. 1 c.p.c. del 16.4/17.4.2010, la difesa erariale svolgeva 
ulteriori argomentazioni giuridiche a sostegno delle tesi affermate nella comparsa 
di risposta. 

All�udienza del 25.11.2010, il G.I., ritenuta non necessaria alcuna attivit� istruttoria, 
rinviava la causa al 18.4.2013 per la precisazione delle conclusioni. 
A tale ultima udienza le parti precisavano le conclusioni riportandosi ai rispettivi scritti 
e la causa veniva assunta in decisione con l�assegnazione dei termini di legge ex art. 
190 cpc per il deposito di comparse conclusionali e repliche. 
In data 17.6.2013 la difesa erariale depositava comparsa conclusionale. 
Indi il Tribunale emetteva la sentenza in epigrafe con la quale accoglieva parzialmente 
le domande e, per l�effetto, cos� provvedeva: 

�a) rigetta la domanda proposta da G.G.; 
b) condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di A.M.G. 
della somma di � 80.000,00, oltre ad interessi al saggio legale ex art. 1248 c.c. maturati 
dall�11.9.2008, fino al pagamento; 
c) compensa le spese processuali tra tutte le parti�. 
Avverso la sentenza di prime cure, nella parte in cui � stata respinta la domanda risarcitoria 
proposta dal Sig. G.G. ed in ordine al quantum liquidato in favore della Sig.ra 
G.A.M., oltre che in relazione al capo di sentenza che ha disposto la compensazione delle 
spese processuali del grado, i Sig.ri G.G. e G.A.M., con atto notificato il 19.12.2013 
hanno proposto appello (nei confronti sia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sia 
del Ministero della Giustizia), affidato a tre distinti motivi, al quale si resiste, rilevandone 
l�assoluta inammissibilit� e/o infondatezza per le seguenti ragioni in punto di 


DIRITTO 

1) In via preliminare si eccepisce inammissibilit� delle domande risarcitorie riproposte 
in appello dai Sig.ri G. nei confronti del Ministero della Giustizia per inter-
venuta formazione di giudicato interno ex art. 329 , co. 2, c.p.c. 

Alla pagine 2 e 3 della comparsa di risposta depositata in primo grado, la scrivente difesa 
erariale aveva eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Giustizia, 
evidenziando che �la domanda risarcitoria di parte attrice trova fondamento nell�asserito 
mancato recepimento della Direttiva 2004/80/CE e nella Convenzione europea 
del 24.11.1983, entrambe in materia di indennizzo delle vittime dei reati violenti. 
Orbene, al riguardo, al Ministero della Giustizia non � imputata, n� imputabile, alcuna 
delle condotte esposte nell�atto di citazione, non avendo lo stesso alcuna competenza 
riguardo all�adozione delle misure di recepimento della Direttiva 2004/80/CE o in merito 
alla Convenzione. 
Il mancato recepimento di norme comunitarie, quale fatto complessivamente imputabile 
allo Stato, � un illecito che trova passivamente legittimata la sola Presidenza del Consiglio 
quale organo di vertice dell�intero apparato amministrativo statale�. 
Il Tribunale di Roma ha accolto tale eccezione, statuendo, in proposito, che �Tenuta al 
risarcimento del danno � soltanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri, questo essendo 
il soggetto istituzionale che rappresenta lo Stato rispetto all�attivit� legislativa 
di recepimento delle direttive europee, non attribuita ad alcun ministero, a prescindere 
dalle competenze a questo attribuite. Infatti, ai sensi dell�art. 3 del D.lgs. n. 300/99, 
spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare l�azione del 
Governo diretta ad assicurare la piena partecipazione dell�Italia all�Unione Europea 
e lo sviluppo del processo di integrazione europea. In particolare, poi, al secondo 
comma, � stabilito che compete al Presidente del Consiglio la responsabilit� per l�attuazione 
degli impegni assunti nell�ambito dell�Unione Europea. Ne consegue che, 
sulla base della prospettazione attorea ed in relazione alla disciplina prevista per il 
rapporto controverso, l�unico soggetto su cui grava l�obbligo risarcitorio � la Presidenza 
del Consiglio dei Ministri, organo al quale la legge rimette il compito di recepire 
la normativa comunitaria e che, conseguentemente, ha la responsabilit� in caso di 
mancata o tardiva attuazione nell�ordinamento interno� (cfr. pagina 13, alla fine, della 
sentenza di primo grado). 
Tale capo di sentenza, non essendo stato impugnato da parte dei Sig.ri G., deve intendersi 
passato in giudicato ex art. 329, comma 2, c.p.c., con conseguente inammissibilit� delle 
domande risarcitorie dai medesimi riproposte nei confronti del Ministero della Giustizia. 

2) Nel merito, infondatezza dell�avverso appello principale. 

Il Tribunale capitolino, pur avendo ritenuto che lo Stato italiano sarebbe inadempiente 
all�obbligo previsto dall�art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE, poich� non 
avrebbe stabilito un sistema di indennizzo per le vittime dei reati (nella specie, l�omicidio 
volontario) legati alla criminalit� comune, commessi nel proprio territorio, ha, tuttavia, 
respinto la domanda risarcitoria proposta dal Sig. G.G., sulla scorta della seguente motivazione 
(pag. 11) : �Il tribunale ritiene, infine, che il presupposto costituito dalla pronuncia 
della sentenza di condanna al risarcimento del danno cagionato dalla 
commissione del reato intenzionale violento si sia verificato in relazione alla sola A. 

M.G. in favore della quale, in veste di parte civile costituita nel processo penale, � stata 
emessa la condanna del N. al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, con 


assegnazione della somma di � 80.000,00 a titolo di provvisionale provvisoriamente 
esecutiva, ai sensi dell�art. 539 c.p.p. 4.8 Come evidenziato in precedenza, non risulta 
invece che L.N. sia stato condannato in sede penale o civile, a risarcire anche il danno 
subito da G.G. 
La domanda di condanna al risarcimento del danno proposta da quest�ultimo nei confronti 
delle Amministrazioni convenute non pu� quindi essere accolta, non essendo verificatosi 
uno dei presupposti richiesti dalla direttiva 2004/80/CE per beneficiare della 
tutela indennitaria a carico dello Stato. 
Con motivo di appello rubricato �in ordine al rigetto della domanda proposta dal sig. 
G.G.: violazione della direttiva comunitaria�, il medesimo Sig. G.G. censura la decisione 
del primo giudice per non aver riconosciuto il suo presunto �diritto al c.d. danno 
tanatologico�, nonch� alla rifusione delle spese funerarie, quantificate in � 3.798,71� 

(v. pag. 8 dell�atto di appello) 
A tale riguardo, l�appellante, dopo aver premesso che, secondo il legislatore comunitario, 
nella nozione di vittima di reato intenzionale violento sarebbero ricompresi 
anche i prossimi congiunti della persona uccisa, e che sarebbe possibile ricorrere alla 
tutela rimediale contemplata dalla direttiva 2004/80/CE �anche nel caso in cui non 
vi sia una sentenza penale definitiva di condanna (diversamente dal caso in esame)�, 
sostiene che �a maggior ragione deve ritenersi si possa ricorrere anche quando non 
vi sia stata costituzione di parte civile nel processo penale ovvero non sia stato azionato 
un procedimento civile volto ad ottenere il risarcimento danni nei confronti del 
responsabile del violento ed intenzionale crimine�. Pertanto, ad avviso dell�appellante 
principale, �il profilo della sussidiariet� richiesto dalla normativa comunitaria al fine 
di usufruire di tale forma di ristoro deve essere intesa quale impossibilit� da parte 
della vittima di poter conseguire il risarcimento del danno dall�autore del reato n� 
tanto meno da responsabili civili diversi dagli autori materiali dei reati� (v. pag. 7 
dell�atto di appello). 
Non sarebbe quindi richiesto, in altri termini, che la �vittima� debba ottenere un �accertamento 
giudiziale� circa il danno da reato risarcibile. 
2.1) Contrariamente a quanto ex adverso dedotto, la decisione del Tribunale di Roma, 
nella parte in cui ha disatteso la domanda di risarcimento del danno proposta dal Sig. 
G.G., merita di essere confermata. 
Ed invero, anche a voler ritenere, per un momento, che nella nozione comunitaria di 
vittima rientrino anche i prossimi congiunti della persona uccisa <<laddove, invece, 
come si evidenzier� infra con apposito motivo di appello incidentale, deve recisamente 
escludersi che gli odierni appellanti principali, rispettivamente madre e nonno della povera 
J.Z., siano legittimati a rivendicare iure proprio l�indennizzo previsto dalla direttiva 
2004/80/CE>>, e che sia ravvisabile, nella specie, la responsabilit� risarcitoria dello 
Stato italiano per incompleta attuazione della direttiva 2004/80/CE <<responsabilit� 
che, in realt�, come dedotto infra con apposito motivo di appello incidentale, deve radicalmente 
escludersi>>, non vՏ dubbio che il Sig. G.G. non abbia alcun titolo per far 
valere la predetta responsabilit�, attesa l�assoluta carenza dei presupposti di applicabilit� 
della direttiva 2004/80/CE. 
Al riguardo, assume rilevanza decisiva il decimo �considerando� della direttiva, da cui 
si trae il principio per cui l�indennizzo pu� essere richiesto agli Stati membri nei soli 
casi in cui le vittime del reato �non possano ottenere un risarcimento dall�autore del 


reato, in quanto questi pu� non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una 
condanna al risarcimento del danno, oppure pu� non essere identificato o perseguito�. 
Ne discende, con ogni evidenza, che soltanto quando sia stata emessa una pronuncia di 
condanna, o in sede penale o in sede civile, al risarcimento dei danni in favore della vittima 
e a carico dell�autore del reato, e quest�ultimo non sia a sua volta in grado di ottemperare 
alla stessa, potrebbe astrattamente invocarsi la tutela rimediale prevista dalla 
direttiva 2004/80/CE. 
Pertanto, anche qualora fosse addebitabile alla Repubblica italiana l�omesso recepimento 
dell�art. 12, par. 2, della direttiva, (ci� che, invece, come si vedr� infra, deve essere recisamente 
escluso), la pretesa fatta valere dal Sig. G.G. difetterebbe, comunque, 
(come, in effetti, difetta) del presupposto dell� �accertamento del danno da reato�, 
essendo pacifico in causa che costui non si � costituito parte civile nel processo penale, 
n� ha mai instaurato un autonomo processo civile per ottenere un siffatto accertamento. 


Di qui la manifesta infondatezza del suddetto motivo di appello principale, che merita, 
pertanto, di essere respinto. 
3) In ordine alla domanda risarcitoria proposta dalla Sig.ra G.A.M., il Tribunale, dopo 
aver ritenuto sussistente - come gi� detto - la responsabilit� dello Stato italiano per mancata 
attuazione della direttiva 2004/80/CE, ha quantificato il danno risarcibile in � 
80.000, ritenendo che (pag. 13): �nel caso in esame i canoni dell�equit� e dell�adeguatezza 
siano soddisfatti determinando l�ammontare dell�indennizzo in misura corrispondente 
all�intero importo liquidato dal giudice penale a titolo di provvisionale�. 
Con motivo di appello rubricato �in ordine al quantum della domanda avanzata dalla 
sig.ra A.M.G.: violazione della direttiva 2004/80/CE�, l�appellante principale sig.ra 

G.A.M. ha contestato tale quantificazione del danno ed ha richiesto la liquidazione di 
ulteriori � 420.000,00. 
La Sig.ra G.A.M., partendo dalla premessa che la somma liquidata dal primo Giudice 
non possa ritenersi conforme ai criteri dell�equit� e dell�adeguatezza, torna, infatti, a 
sostenere che il danno risarcibile dovrebbe essere quantificato tenendo conto, anzich� 
della provvisionale determinata dal giudice penale, delle seguenti specifiche voci: danno 
morale iure proprio, danno biologico iure proprio, danno esistenziale, danno patrimoniale 
e non patrimoniale, inteso come danno alla vita (v. pag. 12 dell�atto di appello). 
3.1) Giova subito premettere che, in verit�, la decisione di accoglimento della domanda 
proposta dalla Sig.ra G.A.M., appare errata sotto, altri, molteplici profili, sicch� avverso 
la medesima statuizione si proporr� infra appello incidentale. 
Ad ogni modo, per il momento, ci si pu� limitare a rilevare la palese infondatezza del-
l�appello principale proposto dalla sig.ra G.A.M., poich� esso muove dal presupposto, 
del tutto errato, che la direttiva in esame assicuri alle vittime di reato intenzionale violento 
il ristoro integrale dei danni subiti in conseguenza del delitto. 
La sig.ra G.A.M. ha, infatti, agito nei confronti dello Stato come se questo fosse responsabile 
civile dello spregevole reato commesso da N.L., mentre la ratio della normativa 
nazionale e comunitaria in tema di indennizzo delle vittime di reati violenti non � certo 
quella di sostituire (o aggiungere) lo Stato all�autore del delitto nella responsabilit� verso 
le vittime. 
L�obbligo che la Direttiva pone agli Stati membri � solo quello di predisporre �un indennizzo 
equo e adeguato�. 


I criteri di liquidazione di tale indennizzo (e, quindi, del presunto danno conseguente al 
mancato recepimento della Direttiva) dovrebbero, pertanto, essere del tutto autonomi 
rispetto ai parametri di liquidazione del risarcimento ordinario dovuto dal responsabile 
del fatto. 
N� lo Stato, in base al diritto interno, pu� essere chiamato a rispondere dell�omicidio 
commesso da N.L., non ricorrendo alcuna delle fattispecie di responsabilit� (diretta e/o 
indiretta) dello Stato per il fatto altrui ai sensi degli artt. 185 cod. pen. e 2043 e 2047 e 
ss. cod. civ. 
Senza recesso alcuno dal proposto appello incidentale, deve allora, concludersi che l�indennizzo 
riconosciuto dal Tribunale di Roma, quantificato in � 80.000,00, oltre interessi 
legali dal d� della domanda (11.9.2009), � pienamente idoneo a garantire alla �vittima� 
del reato quel ristoro serio e non simbolico richiesto, in ipotesi, dalla direttiva 
2004/80/CE. 
3.2) Per completezza, come gi� evidenziato nel corso del giudizio di primo grado, si ribadisce 
che, in ogni caso, la domanda attrice appare comunque del tutto sfornita di prova 
circa i titoli e l�entit� del �risarcimento� richiesto. 
Esaminando le singole voci di danno richieste si osserva che: 
a) Quanto alle varie voci di danno non patrimoniale richieste iure proprio (ossia il danno 
morale, il danno biologico, il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, ed il 
danno esistenziale), � da osservare, in primo luogo, che, nell�avverso appello, al pari 
della citazione in primo grado, si rinviene soltanto l�allegazione da parte dell�appellante 
della sua qualit� di soggetto che avrebbe subito lesioni, e la trascrizione di principi dottrinali 
e giurisprudenziali in materia. 
Manca ogni indicazione delle circostanze concrete che dovrebbero condurre ad ipotizzare 
la lesione della sfera psico-fisica di parte attrice in conseguenza dell�illecito. 
�, poi, da osservare che la pi� recente giurisprudenza della Suprema Corte, ha evidenziato 
che sebbene il risarcimento del danno non patrimoniale alla salute debba essere liquidato 
in modo da tenere conto di tutti i pregiudizi patiti, non risulta, tuttavia, possibile 
duplicare il risarcimento attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, quale la con-
giunta attribuzione del danno morale, del danno alla vita di relazione e del danno esistenziale, 
categoria, quest�ultima, priva nel nostro ordinamento di configurazione 
autonoma (v. Cass. SS.UU. n. 26972/2008). 
b) Si contesta, comunque, la quantificazione di tutte le voci di danno, effettuata senza 
l�aggancio ad alcun parametro di valutazione. 
4) Del pari infondato � il terzo motivo di appello, concernente la statuizione di compensazione 
delle spese del primo grado, atteso che le circostanze, espressamente indicate 
dal Tribunale in motivazione, (e cio�, �la novit� della questione� e �la carenza di precedenti 
al momento della proposizione della domanda�) integrano pienamente quelle 
gravi ed eccezionali ragioni che, ai sensi dell�art. 92 c.p.c. come novellato dalla legge 

n. 69 del 2009, consentono al giudice di compensare tra le parti le spese di causa. 
A ci� si aggiunga che la questione controversa presenta consistenti profili di dubbio, 
ove si consideri che la stessa sentenza della Corte d�appello di Torino, Sez. III, n. 106/12, 
a cui il Tribunale di Roma dichiara di volersi conformare, � stata impugnata per cassazione 
dall�Avvocatura Generale dello Stato, con ricorso n. 13168/12 di R.G., tuttora 
pendente, e che la medesima Corte d�appello di Torio con ordinanza in data 11.9.12 ha 
sospeso ex art. 373 c.p.c. l�efficacia esecutiva di tale sentenza (v. all. 5). 


Di qui la manifesta infondatezza anche del terzo motivo di appello principale, che merita, 
pertanto, di essere respinto. 

**** 
Ferma l�infondatezza dell�appello principale dei Sig.ri G., la Presidenza del Consiglio 
dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, ut supra rappresentata, 
difesa ed elettivamente domiciliata, propone 

APPELLO INCIDENTALE 

avverso e per la riforma della sentenza n. 22327/13, emessa inter partes (nella causa n. 
62440/09 di R.G.) dal Tribunale di Roma Sezione II Civile (Giudice dott. Federico Salvati), 
depositata in cancelleria in data 8.11.2013, e notificata con formula esecutiva a 
mezzo del servizio postale il 30.12.2013, nella parte in cui: 
a) ha ritenuto che sia la madre che il nonno (rispettivamente G.A.M. e G.G.) della vittima 
(J.Z.) fossero legittimati ad agire iure proprio al fine di ottenere la corresponsione 
dell�indennizzo previsto dalla Direttiva 2004/80/CE, in favore delle vittime di reati intenzionali 
violenti; 
b) sia con riferimento alla posizione della sig.ra G.A.M., sia con riguardo alla posizione 
di G.G., ha ritenuto che lo Stato italiano sarebbe inadempiente all�obbligo previsto dal-
l�art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE, che imporrebbe a tutti gli Stati membri 
l�obbligo di indennizzare i residenti che siano stati vittime, nel territorio del proprio 
Stato, di reati intenzionali violenti, ivi compreso l�omicidio volontario; 
c) ha, comunque, parzialmente accolto la domanda della Sig.ra G.A.M., liquidando il 
risarcimento in misura (� 80.000,00) del tutto errata ed esorbitante; 
d) in via del tutto subordinata, la sentenza del Tribunale �, comunque, errata nella parte 
in cui ha fatto decorrere gli interessi legali sull�indennizzo liquidato in favore della Sig.ra 

G. dall�11 settembre 2008, anzich� dall�11 settembre 2009. 
La sentenza in epigrafe merita, dunque, di essere riformata per i seguenti: 


MOTIVI 

Prima di passare all�esposizione delle ragioni a sostegno della proposta impugnazione 
incidentale, appare opportuno precisare che, esclusivamente in relazione alla domanda 
risarcitoria riproposta dal Sig. G.G., i primi due motivi del proposto appello incidentale 
(relativi ai capi della sentenza di prime cure recanti il riconoscimento della legittimazione 
ad agire iure proprio nonch� l�accertamento dell�inadempimento dello Stato italiano 
all�obbligo di recepire l�art. 12, par. 2, della direttiva in esame) rimangono, 
ovviamente, condizionati alla denegata ipotesi di accoglimento dell�appello principale 
del medesimo Sig. G.G. 
Sussiste, invece, in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, l�interesse attuale e 
concreto alla proposizione dell�impugnazione in via incidentale con riguardo alla posizione 
della Sig.ra G.A.M., rispetto alla quale la medesima amministrazione � integralmente 
soccombente. 

��� 
Fatta tale doverosa premessa, la Presidenza del Consiglio dei Ministri affida il proposto 
gravame incidentale ai seguenti 

MOTIVI 

1. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 29.4.2004 N. 2004/80/CE (DIRETTIVA 
DEL CONSIGLIO RELATIVA ALL�INDENNIZZO DELLE VITTIME DI REATO); IN 


PARTICOLARE DELL�ART. 12, COMMA 2, IN COMBINATO DISPOSTO CON I �CONSIDERANDO� 
NN. 5, 6 E 10, E CON LA DECISIONE QUADRO 2001/220/GAI DEL CONSIGLIO IN 
DATA 15 MARZO 2001 RELATIVAALLA POSIZIONE DELLAVITTIMA NEL PROCEDIMENTO 
PENALE (RICHIAMATA NEL CONSIDERANDO N. 5 DELLA DIRETTIVA); NONCH� DELL�ART. 
90, COMMA 3, C.P.P.; CARENZA DI LEGITTIMAZIONE ATTIVA AD AGIRE IURE PROPRIO IN 
CAPO ALLA SIG.RA G.A.M. E AL SIG. G.G., RISPETTIVAMENTE MADRE E NONNO DELLA 
PERSONA DECEDUTA IN CONSEGUENZA DI REATO INTENZIONALE VIOLENTO (OMICIDIO 
VOLONTARIO), AL FINE DI OTTENERE LA CONDANNA DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO 
DEI MINISTRI ALLA CORRESPONSIONE, IN LORO FAVORE, DELL�INDENNIZZO PREVISTO 
DALLA DIRETTIVA 2004/80/CE, ESCLUSIVAMENTE IN FAVORE DELLE VITTIME 
DIRETTE DI REATI INTENZIONALI VIOLENTI. 

Anche alla luce dell�art. 342 c.p.c. come sostituito, in sede di conversione, dall'art. 54 
del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, 

n. 143, con il presente motivo di gravame si intende appellare la sentenza di primo grado 
nella parte in cui ha affermato (pag. 10): �(�) che il rapporto di parentela che legava 
gli attori alla vittima, non contestato, consente di qualificare i primi come �prossimi 
congiunti� della seconda ai sensi dell�art. 187 c.p. e che pertanto gli attori possono 
astrattamente beneficiare della tutela accordata dalla direttiva 2004/80/CE, essendo la 
vittima deceduta in conseguenza del reato. In base alla norma interna (art. 90, comma 
3, c.p.p.), infatti, �qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le 
facolt� ed i diritti attribuiti dalla legge alla persona offesa possono essere esercitati dai 
prossimi congiunti�. 

Giova preliminarmente evidenziare che l�indennizzo previsto dalla citata direttiva DIRETTIVA 
29.4.2004 N. 2004/80/CE (DIRETTIVA DEL CONSIGLIO RELATIVA ALL�INDENNIZZO 
DELLE VITTIME DI REATO) � riconosciuto esclusivamente in favore della �vittima� del 
reato intenzionale violento. 
Costituendo tale indennizzo un�elargizione di natura solidaristica, posta a carico del-
l�intera collettivit� sociale, l�espressione �vittima� deve intendersi in senso restrittivo, 
come riferita esclusivamente alla persona offesa, cio� al titolare dell�interesse protetto 
dalla norma incriminatrice. 
Tale interpretazione del termine �vittima�, ai fini della Direttiva in esame, trova conferma, 
proprio in ambito comunitario, nella Decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio 
in data 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale 
(richiamata nel considerando n. 5 della Direttiva) che ha, appunto, definito la vittima 
come �la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze 
psichiche, danni materiali causati direttamente da atti od omissioni che costituiscono 
una violazione del diritto penale di uno Stato membro�. 

Di contro, la Convenzione Europea del 1983, relativa al risarcimento delle vittime di 
reati violenti, che, a detta di parte appellante principale, appresterebbe tutela anche in 
favore dei congiunti della vittima, non � stata mai ratificata dall�Italia, per cui tale convenzione 
non � idonea a fondare, in capo alle odierne controparti, alcuna pretesa direttamente 
azionabile in sede giudiziale nei confronti dello Stato italiano. 
Nel caso di specie, G.A.M. e G.G., rispettivamente madre e nonno di J.Z., hanno agito 
iure proprio al fine di ottenere la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri 
alla corresponsione, in loro favore, dell�indennizzo previsto dalla Direttiva 2004/80/CE, 
esclusivamente in favore delle vittime di reati intenzionali violenti. 


Sennonch�, i predetti sig.ri G. sono qualificabili come danneggiati dal reato commesso 
da N.L., non come vittime di tale spregevole delitto (tali essendo, esclusivamente, la 
povera J.Z. ed il nascituro che portava in grembo), con la conseguenza che le loro 
pretese fondate in via diretta sulla predetta direttiva, in quanto azionate iure proprio 
e non iure hereditatis, devono ritenersi inammissibili per difetto di legitimatio ad causam 
attiva, o comunque, destituite di pregio nel merito, per palese difetto di titolarit� 
del diritto fatto valere. 
Il Tribunale di Roma, per superare tale l�ostacolo, ha ritenuto di poter fondare la legittimazione 
iure proprio della madre e del nonno della vittima sul disposto dell�art. 
90, comma 3, c.p.p. a mente del quale: �qualora la persona offesa sia deceduta in 
conseguenza del reato, le facolt� e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai 
prossimi congiunti�. 

Cos� decidendo, il primo Giudice ha, di fatto, ampliato, oltre ogni limite di ragionevolezza, 
l�ambito applicativo dell�art. 12, par. 2, della direttiva in esame: e ci� ha fatto traendo 
spunti di interpretazione dal disposto di una norma interna, appunto l�art. 90, 
comma 3, c.p.p. 
Preme subito rilevare che, gi� sotto il profilo metodologico, una siffatta attivit� ermeneutica 
non pu� condividersi: se una stessa norma europea dovesse essere interpretata 
dai Giudici dei singoli Stati membri secondo i principi e le norme dei rispettivi ordinamenti 
nazionali, si avrebbe che, a fronte di una medesima disposizione comunitaria, vi 
sarebbero regole diverse nel diritto vivente dei vari Paesi dell�Unione. In tal modo, ogni 
qualvolta i giudici nazionali si trovassero dinanzi ad incertezze sul significato o sulla 
portata di una norma comunitaria da applicare, ne potrebbero dare un�interpretazione 
autonoma fondata su criteri ermeneutici �nazionali�, con l�evidente rischio di una difforme 
interpretazione ed applicazione del diritto comunitario all�interno dell�Unione. 
Per evitare un simile rischio, incompatibile con l�esigenza di una uniforme applicazione 
del diritto europeo in tutto il territorio dell�Unione, non vՏ dubbio che l�interpretazione 
della norma comunitaria debba essere condotta tenendo conto esclusivamente dell�acquis 
comunitario che, come sopra ricordato, intende attribuire determinate prerogative 
esclusivamente alla �vittima� del reato, nell�accezione restrittiva prima illustrata. 
Peraltro, anche a voler fare applicazione dell�art. 90, comma 3, c.p.p. - come fatto dal 
Tribunale - dovrebbe ugualmente escludersi la legittimazione iure proprio in capo agli 
odierni appellati incidentali. Tale disposizione si riferisce, infatti, solo ed esclusivamente 
alle facolt� processuali spettanti alla persona offesa nell�ambito del processo penale, e 
non ha, viceversa, alcuna attinenza con le pretese risarcitorie sostanziali derivanti dal 
reato. Detto in altri termini, nel caso di decesso della vittima, la legge, ai soli fini processuali, 
riconosce in proprio ai prossimi congiunti il ruolo di persona offesa, ma 
non li legittima ad esercitare iure proprio le pretese sostanziali risarcitorie e/o indennitarie 
spettanti alla vittima. 
In sostanza, i prossimi congiunti della persona offesa che sia deceduta in conseguenza 
del reato potranno esercitare, ai sensi dell�art. 90, comma 3, c.p.p., soltanto i diritti e le 
facolt� processuali che sarebbero spettate alla vittima, e cio� esclusivamente le prerogative 
processuali previste dall�art. 90, comma 1 c.p.p. e dalle altre norme del codice di 
rito penale. 
Resta fermo, invece, che i prossimi congiunti non potranno certamente agire iure proprio 
per far valere le pretese sostanziali (indennitarie e/o risarcitorie) spettanti alla vittima. 


In parte qua, la sentenza del primo giudice �, dunque, gravemente viziata, in quanto, 
come sopra argomentato, la Direttiva in esame si limita a tutelare i soli cittadini comunitari 
che si spostino da uno Stato membro ad un altro e che per questo subiscano un 
reato: essa quindi esclude un diritto proprio all�indennizzo a favore di soggetti (come 
per esempio i congiunti) diversi da chi � stato la diretta vittima del reato. 
In definitiva, anche sotto tale profilo, le avverse domande risultavano sprovviste di fondamento 
trattandosi di pretese avanzate iure proprio da soggetti danneggiati, diversi 
dalla vittima del reato. 

2.) IN VIA SUBORDINATA: VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL� ART. 10 (EX ARTICOLO 
5) DEL TRATTATO CHE ISTITUISCE LA COMUNITA� EUROPEA (TCE); DELL�ART. 
I�5 DEL TRATTATO CHE ADOTTA UNA COSTITUZIONE PER L�EUROPA (C.D. TRATTATO DI 
ROMA); DELL�ART. 4, COMMA 3, DEL TRATTATO SULL�UNIONE EUROPEA (TUE); DELL�ART. 
288 (EX ARTICOLO 249 TCE), COMMA 3, DEL TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO 
DELL�UNIONE EUROPEA (TFUE); DELL�ART. 117, COMMA 1, COST.; DELLA DIRETTIVA 
29.4.2004 N. 2004/80/CE (DIRETTIVA DEL CONSIGLIO RELATIVA ALL�INDENNIZZO DELLE 
VITTIME DI REATO), IN PARTICOLARE L�ART. 12, COMMA 2, IN COMBINATO DISPOSTO 
CON I �CONSIDERANDO 1, 2 7, 10, 11 E 14� E CON L�ART. 18, COMMA 1; DELL�ART. 1173 COD. 

CIV. INSUSSISTENZA, NELLA FATTISPECIE, DELLE CONDIZIONI GIURIDICHE RICHIESTE 
DALLA GIURISPRUDENZA, COMUNITARIA ED INTERNA, AI FINI DELL�AFFERMAZIONE 
DELLA RESPONSABILIT� DELLO STATO PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO. 

Anche alla luce dell�art. 342 c.p.c. come sostituito, in sede di conversione, dall'art. 54 
del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, 

n. 143, con il presente motivo di gravame si intende appellare la sentenza di primo grado 
nella parte qui integralmente trascritta: (pag. 5 ss.) �Con riferimento alla pretesa fatta 
valere con riferimento a quanto prescritto dalla direttiva 2004/80/CE del Consiglio 
(�relativa all�indennizzo delle vittime di reato�), si osserva quanto segue (�). Il Capo 
II, invece, � volto a disciplinare - nell�unico articolo che lo compone - i Sistemi di indennizzo 
nazionale. Il secondo comma dell�art. 12, infatti, prevede che �tutti gli Stati 
membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l�esistenza di un sistema 
di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi 
territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato alle vittime�. Il primo comma 
prescrive che le disposizioni riguardanti l�accesso all�indennizzo nelle situazioni transfrontaliere 
dovranno essere applicate sulla base di vari sistemi nazionali la cui costituzione 
� prevista dal secondo comma. La direttiva, quindi, impone agli Stati membri 
di adottare normative che consentano alle vittime di reati intenzionali violenti in essi 
residenti, ove ne ricorrano i presupposti, di ottenere l�indennizzo sia qualora il reato 
sia commesso nello Stato di residenza, sia qualora sia commesso in un altro Stato membro; 
in tal caso la richiesta sar� formulata allo Stato di residenza (v. anche cons. 2), 
allo scopo di �facilitare l�accesso all�indennizzo�. La creazione di sistemi di indennizzo 
in ciascuno Stato membro per i reati commessi sul proprio territorio in danno di residenti, 
costituisce quindi il necessario presupposto per consentire al residente che abbia 
subito la lesione in un altro Stato membro, di richiedere l�indennizzo al proprio Stato 
di residenza. Che la direttiva imponga la creazione del sistema per indennizzare i residenti 
che siano stati vittime dei reati violenti nel territorio del proprio Stato (e non solo 
in situazioni transfrontaliere) lo si desume - oltre che dal settimo considerando - anche 
dalla previsione relativa all�attuazione contenuta al primo comma dell�art. 18, che in



dividua due distinti termini perch� gli Stati membri si conformino: il 1.1.2006 di carattere 
generale e il 1.7.2005, per il solo art. 12 paragrafo 2. La previsione della duplicit� 
del termine trova giustificazione nell�esigenza che i sistemi di indennizzo di ciascuno 
Stato membro siano gi� predisposti al momento dell�entrata in funzione, in tutti gli Stati 
membri, delle strutture deputate al coordinamento degli Stati, allo scopo di dare realizzazione 
concreta al diritto all�indennizzo per le situazioni transfrontaliere. Per tali ragioni 
deve concludersi che con la direttiva 2004/80/CE � stato imposto agli Stati membri 
l�obbligo di adottare un sistema che consenta di percepire l�indennizzo di cui si tratta 
anche alle vittime di reati violenti che risiedano nel medesimo Stato in cui � stato commesso 
il reato (in tal senso anche C. App. Torino n. 106 del 23.1.2012). La Repubblica 
italiana non ha integralmente adempiuto all�obbligo di conformarsi alla direttiva nella 
parte in cui impone l�adozione di �sistemi di indennizzo nazionale�. Come condivisibilmente 
gi� affermato dalla citata sentenza della Corte di appello di Torino n. 
106/2012, il d.lgs. 6.11.2007, n. 204 (�attuazione della direttiva 2004/80/CE relativa 
all�indennizzo delle vittime di reato�), non ha dato completa attuazione alla direttiva, 
poich� si � limitato a regolare (peraltro tardivamente) la procedura per l�assistenza alle 
vittime di reato, commessi in un altro Stato membro, le quali risiedano in Italia (art. 1), 
ma non ha dato attuazione al disposto dell�art. 12, par. 2, della direttiva, che imponeva 
agli Stati membri a che la normativa interna prevedesse un sistema di indennizzo delle 
vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, entro il termine 
dell�1.7.2005, previsto dall�art. 18. Se � infatti vero che sussistono numerose norme interne 
volte ad assicurare, anche in forma indennitaria, la tutela delle vittime di reati 
violenti commessi nello Stato italiano (ad es., in materia di reati di criminalit� organizzata 
di stampo mafioso o di terrorismo) � anche vero che in Italia �non esiste alcun sistema 
di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalit� comune� (come 
riconosciuto dalle Amministrazioni convenute nella comparsa di risposta, alla pag. 7). 
Ci� premesso, il Tribunale ritiene che non possa essere posto in dubbio che il delitto di 
omicidio volontario costituisca un �reato intenzionale violento�. Come si � detto, per i 
danni conseguenti alla commissione di tale delitto - ove la fattispecie concreta non sia 
riconducibile, come nel caso in esame, alle specifiche tipologie contemplate dalle norme 
vigenti - l�ordinamento interno non prevede attualmente alcuna forma di tutela indennitaria 
qualora la vittima non riesca a conseguire il risarcimento del danno. In conclusione, 
lo Stato italiano non ha dato compiuta attuazione alla direttiva 2004/80/CE, non 
colmando i vuoti di tutela in favore delle vittime di reati violenti intenzionali, nel cui 
ambito rientra la situazione oggetto del presente giudizio�. 
Come risulta dalla motivazione test� riportata, in sostanza, il Tribunale di Roma ha ritenuto 
che lo Stato Italiano non avrebbe pienamente adempiuto all�obbligo stabilito 
dall�articolo 12, par. 2, della Direttiva n. 2004/80/CE di introdurre un sistema di indennizzo 
generalizzato per le vittime dei reati di omicidio. 
In particolare, il Tribunale, conformandosi a quanto statuito dalla Corte d�appello di Torino, 
Sez. III, con sentenza n. 106/12 -peraltro impugnata per cassazione dall�Avvocatura 
Generale dello Stato con ricorso n. 13168/12 di R.G., tuttora pendente, e sospesa 
ex art. 373 c.p.c. con ordinanza in data 11.9.12 della medesima Corte d�appello - ha ritenuto 
che la predetta direttiva, all�art. 12, par. 2, imporrebbe a tutti gli Stati membri 
l�obbligo di indennizzare i residenti che siano stati vittime di reati violenti nel territorio 
del proprio Stato (e non solo in situazioni transfrontaliere). 


Poich� la Repubblica italiana non avrebbe stabilito un sistema di indennizzo per le vittime 
dei reati legati alla criminalit� comune, commessi nel proprio territorio (nella specie, 
l�omicidio volontario), a giudizio del Tribunale, sarebbe inadempiente all�obbligo 
previsto dal ricordato par. 2 dell�art. 12. 
Ritenuto, dunque, l�inadempimento della Repubblica Italiana a quanto disposto dall�art. 
12, par. 2, della Direttiva, il Tribunale capitolino - richiamando i principi affermati dalla 
sentenza n. 9147/2009 delle Sezioni Unite della Suprema Corte in materia di responsabilit� 
civile dello Stato per il mancato recepimento delle direttive non self executing ha, 
altres�, accertato, sia pure in favore della sola A.M.G. - madre della vittima deceduta 
in conseguenza del reato - il diritto al ristoro del danno asseritamene derivante dal predetto 
inadempimento dello Stato, consistente, nel caso in esame, nell�impossibilit� di 
ottenere l�erogazione dell�indennizzo �equo ed adeguato� previsto dalla Direttiva n. 
2004/80/CE, determinandolo equitativamente nella misura di � 80.000,00, esattamente 
corrispondente all�importo liquidatole dal giudice penale a titolo di provvisionale. 
Tali assunti non possono essere affatto condivisi. 
Giova premettere che secondo la giurisprudenza costante della Corte di Giustizia delle 
Comunit� europee, la responsabilit� di uno Stato membro per i danni arrecati ai singoli 
da una violazione del diritto comunitario presuppone che: 
a) la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli; 
b) la violazione sia grave e manifesta; 
c) esista un nesso causale diretto tra la violazione dell�obbligo incombente allo Stato 
ed il danno subito dai soggetti lesi. 
Ai fini del risarcimento �, dunque, necessario che la direttiva, seppur non autoesecutiva, 
ovvero non dotata di efficacia diretta, attribuisca diritti ai singoli, e che tali diritti 
siano chiaramente desumibili dal contenuto della stessa; inoltre, deve trattarsi di una 
violazione grave e manifesta, da parte dello Stato membro, dei limiti posti al suo potere 
discrezionale. 
A tale riguardo, fra gli elementi da prendere in considerazione, vanno sottolineati, in 
particolare, il grado di precisione e di chiarezza della norma violata e l�ampiezza del 
potere discrezionale che tale norma riserva alle Autorit� nazionali, la scusabilit� del-
l�eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un�istituzione 
comunitaria abbiano potuto concorrere all�omissione, all�adozione o al mantenimento 
in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario. 
Quanto al nesso di causalit�, occorre, infine, che il danno discenda in via diretta dal 
fatto che la direttiva non � stata recepita tempestivamente; ovverosia, che il diritto attribuito 
al singolo in sede comunitaria non possa essere tutelato in altro modo (si vedano, 
in particolare, Corte giust. 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90 �Francovich�; 
Corte giust. 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, �Brasserie du pecheur 
e Factortame�; Corte giust. 8 ottobre 1996, cause riunite C-178/94, C-179/94 e 
da C-188/94 a C-190/94 �Dillenkofer�; Corte giust. 15 giugno 1999 causa C-140/97; 
Corte giust. 30 settembre 2003, causa C-224/01; Corte giust. 25 gennaio 2007, causa 
C-278/05 �Robins�; Corte giust. 26 marzo 1996 causa C- 392/93 �The Queen c. H.M. 
Treasury, ex parte British Telecommunications pic.�). 
Gli insegnamenti della Corte di Giustizia sono stati recepiti dalla giurisprudenza interna 
che ha enunciato i seguenti principi di diritto: 
a) anche l�inadempimento riconducibile al legislatore nazionale obbliga lo Stato a ri



sarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario; 
b) il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto allorch� la norma comunitaria, non 
dotata di carattere self-executing, sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione 
sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra la violazione ed il danno 
subito dai singoli (cfr. Cass., S.U. n. 9147/2009; Cass. n. 5842/2010; Cass. n. 
10813/2011). 
Nella fattispecie in esame non sono per� affatto ravvisabili le condizioni giuridiche richieste 
dalla giurisprudenza, comunitaria ed interna, ai fini dell�affermazione della responsabilit� 
dello Stato per violazione del diritto comunitario. 
2.1) Ed invero, lo scopo e le finalit� della Direttiva 2004/80/CE sono ben chiarite nei 
�considerando� che precedono l�articolato. 
In particolare, nel I� considerando, si legge che �uno degli obiettivi della Comunit� 
Europea consiste nell�abolizione degli ostacoli (�) alla libera circolazione delle persone 
(�)�, di cui la tutela dell�integrit� personale dei cittadini che si recano in un 
altro Stato membro costituisce un corollario (secondo �considerando�); a tal fine il 
settimo �considerando� precisa che �la presenta direttiva stabilisce un sistema di 
cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l�accesso all�indennizzo nelle situazioni 
transfrontaliere, che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati 
membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi 
nei rispettivi territori�. 
I successivi undicesimo, dodicesimo e quattordicesimo �considerando�, precisano poi, 
rispettivamente, che: 
-�dovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autorit� degli Stati membri 
per facilitare l�accesso all�indennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in 
uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede�; 

-�questo sistema dovrebbe consentire alle vittime di reato di rivolgersi sempre ad 
un�Autorit� del proprio Stato membro di residenza e dovrebbe ovviare alle eventuali 
difficolt� pratiche e linguistiche connesse alle situazioni transfrontaliere�; 

- �il sistema dovrebbe comprendere le disposizioni necessarie a consentire alla vittima 
di trovare le informazioni richieste per presentare la domanda di indennizzo e a permettere 
una cooperazione efficiente tra le autorit� coinvolte�. 

Dunque la direttiva disciplina l�accesso all�indennizzo delle vittime di reati violenti 
nelle situazioni c.d. �transfrontaliere� e non attribuisce alcun diritto ai residenti 
verso il proprio Stato di residenza. 
E ci� in quanto, come noto, il diritto comunitario non disciplina le �situazioni meramente 
interne�, tanto che l�art. 12, par. 1, della direttiva prevede che le disposizioni 
riguardanti l�accesso all�indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano all�interno 
degli Stati membri sulla base dei rispettivi sistemi, quindi entro i limiti nei quali 
un sistema di indennizzo sia stato previsto. 
L�indennizzo nelle c.d. situazioni transfrontaliere, in altre parole, � riconosciuto entro i 
limiti in cui i singoli ordinamenti (i �sistemi degli Stati membri�) riconoscano tale diritto 
ai propri cittadini. 
Il legislatore comunitario, quindi, nell�ambito dei rapporti tra i singoli Stati membri ed 
i loro residenti, rimette alla discrezionalit� del legislatore interno la scelta della tipologia 
dei sistemi di indennizzo da prevedere. 
Nell�ambito del nostro ordinamento esistono una serie di leggi speciali che prevedono 


sistemi di indennizzo (1) in relazione ad alcune specifiche tipologie di reati (associazione 
mafiosa, usura etc., etc.), individuate per il particolare allarme sociale che suscitano e 
per la loro pervasivit�, ma non esiste alcun sistema di indennizzo per le vittime dei reati 
legati alla criminalit� comune. 
Da quanto appena esposto, pertanto, pu� inferirsi che la direttiva 2004/80/CE non costituisce 
fonte di alcun diritto direttamente azionabile dai residenti nei confronti 
del loro Stato di appartenenza. 

La tesi qui patrocinata - ovvero la necessaria riferibilit� alle sole situazioni c.d. transfrontaliere 
- ha, del resto, ricevuto l�autorevole avallo della Corte di Giustizia delle Comunit� 
Europee, la quale ha avuto modo di affermare che �la direttiva istituisce un 
sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l�accesso all�indennizzo 
in situazioni transfrontaliere. Essa intende assicurare che, se un reato intenzionale 

(1) Nel nostro ordinamento sono presenti numerose norme settoriali che disciplinano l�erogazione 
di speciali elargizioni a favore di particolari categorie di vittime di reato, indicate nel seguente 
elenco: 
1) legge 13 agosto 1980, n.466, articoli 3 e 4, recante norme in ordine a speciali elargizioni a 
favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche; 
2) legge 20 ottobre 1990, n.302, articoli 1, 3, 4 e 5, recante norme a favore delle vittime del terrorismo 
e della criminalit� organizzata; 
3) decreto legge 31 dicembre 1991, n.419 - convertito dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172 - articolo 
1, di istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive; 
4) legge 8 agosto 1995, n.340, articolo 1 - nel quale sono richiamati gli articoli 4 e 5 della legge 
n.302/1990 - recante norme per l�estensione dei benefici di cui agli articoli 4 e 5 della legge 
n.302/1990, ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica; 
5) legge 7 marzo 1996, n.108, articoli 14 e 15 recante disposizioni in materia di usura; 
6) legge 31 marzo 1998, n.70 articolo 1 - nel quale sono richiamati gli articoli 1 e 4 della legge 
n.302/1990 - recante benefici per le vittime della cosiddetta �Banda della Uno bianca�; 
7) legge 23 novembre 1998, n.407, articolo 2, recante nuove norme in favore delle vittime del 
terrorismo e della criminalit�; 
8) legge 23 febbraio 1999, n.44 articoli 3, 6 , 7 e 8 recante norme in materia di elargizioni a favore 
dei soggetti danneggiati da attivit� estorsiva; 
9) D.P.R. 28 luglio 1999, n.510, art. 1, regolamento recante nuove norme in favore delle vittime 
del terrorismo e della criminalit� organizzata; 
10) legge 22 dicembre 1999, n.512, articolo 4, recante istituzione del Fondo di rotazione per la 
solidariet� alle vittime dei reati di tipo mafioso; 
11) decreto legge 4 febbraio 2003, n.13 - convertito con modificazioni dalla legge n.56/2003 - recante 
disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalit� organizzata; 
12) decreto legge 28 novembre 2003, n.337 - convertito con modificazioni dalla l.n. 369/2003 articolo 
1, recante disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici 
all�estero; 
13) legge 3 agosto 2004, n.206, articolo 1, recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo 
e delle stragi di tale matrice; 
14) legge 23 dicembre 2005, n.266, finanziaria 2006, che all�articolo 1 commi 563, 564 e 565, 
detta disposizioni per la corresponsione di provvidenza alle vittime del dovere, ai soggetti equi-
parati ed ai loro familiari; 
15) legge 20 febbraio 2006, n.91 norme in favore dei familiari dei superstiti degli aviatori italiani 
vittime dell�eccidio avvenuto a Kindu l�11 novembre 1961; 
16) D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 regolamento concernente termini e modalit� di corresponsione 
delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati. 


violento � stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede 
abitualmente, quest�ultima sia indennizzata da tale primo Stato� (cos� Corte di 
Giustizia sent. 28.6.2007, Dell�Orto, C-467/05, punto 57). 
Ed in termini ancora pi� chiari si � di recente espresso il medesimo Giudice Comunitario, 
che, occupandosi incidentalmente dell�ambito operativo della direttiva 2004/80/CE ha 
ribadito che, �come risulta segnatamente dal suo articolo 1, (...) << tale direttiva: 
n.d.r.>> � diretta a rendere pi� agevole per le vittime della criminalit� intenzionale 
violenta l'accesso al risarcimento nelle situazioni transfrontaliere, mentre � pacifico 
che, nel procedimento principale, le imputazioni riguardano reati commessi (�) in 
un contesto puramente nazionale� (cfr. Corte di giustizia, sentenza 12 luglio 2012, 
Giovanardi, C-79/11, punto 37). 
Anche quanto previsto nel � 2 dell�art. 12 della direttiva in esame dovr� pertanto essere 
esaminato alla luce della predetta ratio, tenendo, cio�, ben presente che l�unico diritto 
che la normativa comunitaria attribuisce attiene alle situazioni transfrontaliere. 
La Direttiva stabilisce dunque - al predetto art. 12, � 2 - che tutti gli Stati membri provvedano 
�a che le loro normative interne prevedano l�esistenza di un sistema di indennizzo 
delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che 
garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime�. 
Tale disposizione non pu� che essere interpretata alla luce di quanto disposto dal gi� 
esaminato � 1 (�le disposizioni della presente direttiva riguardanti l�accesso all�indennizzo 
nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri 
in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei 
rispettivi territori�), nel senso che l�art. 12, mentre nel � 1 rimanda ai sistemi di indennizzo 
gi� previsti dai singoli Stati membri, nel � 2 prescrive agli altri Stati membri -che 
ne siano sprovvisti - di predisporre un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali 
violenti commessi nei rispettivi territori. 

Il � 2, in altri termini, non si applica agli Stati membri (come l�Italia) che, all�entrata 
in vigore della direttiva, si fossero gi� dotati di un tale sistema di indennizzo 
(si veda nota 1), n� � possibile ritenere - come fatto dal Tribunale - che il legislatore 
europeo abbia voluto imporre a tutti gli Stati membri (e quindi anche a quelli, come 
l�Italia i cui ordinamenti gi� prevedevano un adeguato sistema di indennizzo delle vittime 
de quibus) di introdurre, con legge o norma di pari grado, una ulteriore ipotesi di 
indennizzo (rispetto a quelle gi� esistenti de iure condito) in favore delle vittime del 
reato di omicidio volontario. E ci� per la fondamentale ragione che il Diritto dell'Unione 
non ha, e non aveva nemmeno nel 2004 all'epoca dell'emanazione della direttiva, alcuna 
competenza per disciplinare il trattamento processuale dei reati di violenza comune, ivi 
comprese le loro conseguenze patrimoniali specifiche. 
Per convincersene � sufficiente considerare che l�odierno Trattato sul Funzionamento 
dell'Unione Europea prevede, all'art. 82, una serie di poteri nell'ambito della "cooperazione 
giudiziaria in materia penale", volti a facilitare la circolazione e l'esecuzione dei 
provvedimenti giudiziari nello spazio europeo. �, viceversa, assente una qualsivoglia 
delega di poteri al livello di governo europeo rispetto al diritto penale sostanziale o processuale: 
pertanto gli Stati membri mantengono la piena sovranit� tanto sulla tipizzazione 
degli illeciti penali quanto sul rito e sulle sanzioni irrogabili. Ne � evidente 
conferma il successivo art. 83, il quale prevede che possano emanarsi direttive le quali 
intervengano a fissare "norme minime relative alla definizione del reati e delle sanzioni 


in sfere di criminalit� particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale". 
Segue un elenco, che si riferisce ai reati di terrorismo, tratta degli esseri umani, 
traffico internazionale di armi o stupefacenti ed altro (Va peraltro notato che non si � finora 
compiutamente proceduto neppure in tali materie). 
Sono in ogni caso esclusi da questa sfera di possibile intervento tutti i reati non menzionati 
dall'elenco di cui all'art. 83, e che non presentano quindi - secondo il Trattato - quel 
carattere transfrontaliero e di eccezionale rilievo sovranazionale che impone una definizione 
minima comune. Pertanto, nonostante possano esservi reati di particolare gravit� 
ed allarme sociale, quali appunto l�omicidio c.d. comune, ci� non comporta alcuna cessione 
di competenza nei confronti del livello normativo europeo. 
Il reato di omicidio comune resta, pertanto, assoggettato alla competenza del legislatore 
nazionale, tanto sotto profilo della sua definizione, quanto in merito al suo trattamento 
processuale, sanzionatorio e risarcitorio. 
Un ulteriore argomento a sostegno delle tesi qui patrocinate si ricava dalla previsione, 
nel corpo dell�art. 18, par. 1, della direttiva, di due diversi termini per l'attuazione della 
stessa: un primo termine, fissato al 1� luglio 2005, entro il quale gli Stati membri (sprovvisti 
di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti) avrebbero dovuto 
dare attuazione alla disposizione contenuta nell'art. 12, par. 2, dando immediata 
comunicazione alla Commissione delle norme approvate al riguardo; ed un secondo, e 
successivo termine, fissato al 1� gennaio 2006, entro il quale, sulla base dei sistemi di 
indennizzo introdotti ex art. 12, par. 2, cit., �mettere in vigore� �le disposizioni legislative, 
regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva�. 

Contrariamente a quanto ritenuto dal primo Giudice, il termine del 1� luglio 2005 per 
l'attuazione dell'art. 12, comma 2, deve intendersi stabilito per i soli Stati membri che, 
sprovvisti di sistemi di indennizzo per le vittime di reati violenti, debbano introdurli ex 
novo nei rispettivi ordinamenti, onde, poi, potersi conformare, nel successivo termine 
del 1� gennaio 2006, alle altre norme della direttiva, di natura organizzativa e procedurale, 
poste a tutela delle situazioni transfrontaliere. 
Ne � riprova il fatto che la Commissione Europea ha contestato alla Repubblica Italiana 
unicamente il mancato adempimento, entro il secondo termine menzionato nell'art. 18, 
par. 1, (1� gennaio 2006), dell'obbligo di adottare �le disposizioni legislative, regolamentari 
e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva�, e non anche l'inadempimento 
del par. 2 dell�art. 12; e ci�, evidentemente, perch� la Repubblica Italiana, 
come si � visto, era gi� munita di un articolato sistema di indennizzo per varie categorie 
di reati intenzionali violenti (cfr. Corte di Giustizia CE, Sent. 112 del 29.11.2007), non 
imponendo, viceversa, la direttiva alcun obbligo di prevedere forme di indennizzo anche 
per il reato di omicidio comune. 
Del resto, come gi� rilevato nel corso del giudizio di primo grado, il predetto 12, � 2, 
della Direttiva 2004/80/CE si distingue dalle altre norme della Direttiva: a differenza di 
queste ultime (che prevedono in maniera dettagliata gli adempimenti di ciascuno Stato 
membro in ordine alla predisposizione della procedura per la presentazione della domanda 
di indennizzo), l�art. 12, � 2, non effettua affatto una puntuale ricognizione delle singole 
fattispecie di reato cui riconnettere l�obbligo di indennizzo, n� fornisce criteri atti a determinare 
la misura �equa� della somma da riconoscere alle vittime, limitandosi ad enumerare 
il duplice criterio della �intenzionalit�� e della �natura violenta� del crimine. 
� evidente che sul punto il legislatore comunitario, conformemente alla clausola di cui 


al � 1 dell�art. 12 (che prevede il limite rappresentato dai sistemi indennitari di ciascuno 
Stato membro), ha inteso, all�art. 12 � 2, demandare ai singoli ordinamenti l�individuazione 
delle fattispecie indennizzabili e dei parametri in base ai quali determinare il quantum 
dell�indennizzo stesso (2). 

Dunque, l�art. 12, comma 2, della direttiva richiamata non � di diretta applicabilit�, 
ma necessita, al contrario, della intermediazione della Autorit� pubblica statale, 
comportando soltanto l�obbligo di raggiungere un determinato risultato, senza contenere 
alcuna definizione puntuale dei criteri cui il legislatore interno deve attenersi 
nel raggiungerlo. 
Le determinazioni in parola rientrano, pertanto, nella esclusiva competenza del legislatore 
interno, senza che allo stesso possano essere mossi rimproveri di inadempimento 
al diritto comunitario. 
La discrezionalit� che il legislatore comunitario lascia agli Stati membri nel determinare 
il modello di tutela indennitaria � amplissima, potendo la stessa - comՏ avvenuto in 
Italia - essere limitata solo ad alcune tipologie di reati ovvero essere subordinata a determinate 
condizioni (ad esempio, alla verifica del comportamento della vittima, che 
non deve avere neppure colposamente agevolato o provocato la commissione del reato, 
alla dimostrata insolvenza del responsabile del reato; e cos� via). 
Tale aspetto non � sfuggito ad autorevole dottrina (R. Conti, in Corr. Giur., 2/2011, 248 
e ss.), la quale ha osservato quanto segue: �Nemmeno pu� sottacersi che la disposizione 
contenuta al par. 2 dell�art. 12, nella parte in cui impone di costituire sistemi che garantiscano 
un indennizzo equo ed adeguato delle vittime, appare connotata da profili 
di scarsa specificit� e determinatezza, tale da incidere fortemente sull�idoneit� della 
stessa ad integrare un�ipotesi di responsabilit� dello Stato per violazione del diritto 
dell�Unione europea (�). In definitiva, il testo finale della Direttiva, depurato da tutte 
quelle disposizioni che, nella proposta originaria, avevano delineato un meccanismo 
di base sul quale poter edificare la pretesa del danneggiato - anch�esso delimitato nella 
proposta originaria - � rimasto cos� privo di quei caratteri di precisione e determinatezza 
che non solo escludono di poter ipotizzare l�immediata efficacia della direttiva 
non trasposta, ma rendono estremamente problematica l�ipotizzabilit� di una responsabilit� 
dello Stato per violazione del diritto dell�Unione europea�. 

Tale lettura, da ultimo, � stata integralmente condivisa anche dalla giurisprudenza nazionale. 
Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 7565/2013 (v. all. 4), sconfessando 
espressamente la propria precedente giurisprudenza � alla quale, come detto, si � richiamato 
anche il Tribunale di Roma con la sentenza impugnata � ha chiarito che la Direttiva 
2004/80/CE ha ad oggetto esclusivamente �situazioni transfrontaliere, nella prospettiva 
della cooperazione e in applicazione del principio di libera circolazione delle persone�. 

(2) Ci� che, peraltro, � stato riconosciuto anche dallo stesso Tribunale: alla pag. 11 della motivazione 
si legge, infatti, che �l�indennizzo che avrebbe dovuto essere riconosciuto ad A.M.G. non 
sarebbe stato corrispondente alla somma che sarebbe stata liquidata a titolo risarcitorio a carico 
di L.N., ma avrebbe dovuto essere determinato - secondo gli specifici criteri prescelti dal legislatore 
nazionale - con riferimento ai concetti di equit� ed adeguatezza. Esso non avrebbe potuto 
essere perci� meramente simbolico, ma in ogni caso idoneo a consentire una forma di ristoro del 
pregiudizio subito, e avrebbe dovuto essere proporzionato alla gravit� del reato e quindi del bene 
della vita su cui la condotta dell�agente ha inciso�. 


Che quella appena esposta sia la tesi preferibile, lo si pu� ricavare anche da altri argomenti. 
A questo riguardo, � sufficiente analizzare le vicende che hanno portato all�adozione 
della Direttiva in questione, muovendo dalla analisi della proposta presentata dalla Commissione 
il 16 ottobre 2002 (pubblicata in GUCE C 45 E/69 del 25 febbraio 2003). 
Nell�iniziale articolato, la sezione I, composta di ben 15 articoli, prevedeva espressamente 
quale obiettivo della Direttiva la fissazione di �norme minime per il risarcimento 
alle vittime� (art. 1); dettagliava (art. 2) l�ambito di applicazione soggettivo e territoriale, 
definendo la nozione di �vittima�; di �reato intenzionale� e di �lesioni personali�; prevedeva 
che fosse lo Stato membro sul cui territorio il reato � stato commesso ad erogare 
il risarcimento (art. 3); individuava (art. 4) i princ�pi relativi alla determinazione del-
l�importo del risarcimento, prevedendo altre norme estremamente dettagliate, propedeutiche 
alla creazione di un sistema uniforme di risarcimento delle vittime di reato. 
Dal confronto tra il testo della proposta ed il testo dell�attuale direttiva, emerge chiaramente 
come l�obiettivo iniziale sia stato abbandonato, a causa sia dell�impossibilit� di 
raggiungere un compromesso politico proprio sulla introduzione di norme c.d. minime, 
sia della difficolt� di individuare un�adeguata base giuridica nel trattato, che permettesse 
tale �invasione� delle competenze nazionali da parte del diritto comunitario. 
Ritenere che tale sistema di norme c.d. minime sia stato comunque creato in forza del � 
2 dell�art. 12 della Direttiva significherebbe vanificare il lavoro di mediazione che ha 
portato alla elaborazione del testo definitivo, facendo rivivere le parti della Direttiva 
che gli Stati membri non hanno voluto accettare, pretendendone l�eliminazione per dare 
il proprio consenso all�approvazione finale della Direttiva. 
In definitiva, come riconosciuto da autorevole dottrina �la direttiva del 2004, trasfigurata 
per effetto dei notevoli rimaneggiamenti subiti nel corso del suo iter di approvazione, 
non intendeva creare alcuna armonizzazione fra i Paesi membri in ordine ad un 
sistema comune di tutela per i reati violenti, limitandosi a demandare ai singoli Stati il 
compito di regimentare, secondo modalit� non armonizzate, un sistema di indennizzo 
per la vittime di reato valevole per le situazioni transfrontaliere� (R. Conti, in Corriere 
Giur., 2013, 11, 1387). 
La conformit� dell�ordinamento italiano rispetto agli obblighi comunitari � peraltro confermata 
anche alla luce della comparazione con gli ordinamenti degli altri Paesi europei. 
Esemplificativamente, si ricorda infatti che: 

-secondo l�ordinamento greco, lo Stato risponde solamente per i reati posti in essere da 
parte dei pubblici ufficiali; 
-in Spagna, per l�indennizzo statale � richiesto che, in conseguenza del reato, si siano verificate 
la morte, le lesioni personali gravi ovvero gravi danni alla salute fisica o mentale; 


-nei Paesi Bassi, l�indennizzo da parte dello Stato � possibile solamente nel caso di decesso 
o lesioni gravi; 


-in base all�ordinamento austriaco, � ammissibile un indennizzo solo per il reato che 
abbia prodotto una lesione personale o un danno alla salute della vittima; 


-nella Repubblica Francese, � stato istituito un fondo che indennizza solo le vittime di 
reati gravi contro la persona ovvero di reati sessuali; 


-in Germania, infine, il diritto al risarcimento � condizionato alla presenza di una menomazione 
fisica o mentale quale conseguenza dell�aggressione violenta. 
Come si pu� vedere, ciascuno Stato membro ha modulato in via autonoma l�accesso all�indennizzo 
di cui alla direttiva comunitaria, a conferma del carattere ampiamente di



screzionale dell�attivit� rimessa a ciascun ordinamento dal legislatore soprannazionale. 
L�Italia, dal canto suo, ha ritenuto di dover circoscrivere la possibilit� di adire lo Stato 
a fini indennitari alle sole ipotesi di reato sopra elencate, le quali - con tutta evidenza rappresentano 
le fattispecie delittuose pi� gravi del sistema penalistico interno. 
In parte qua, la sentenza del primo giudice �, dunque, affetta da vistosi errori, in fatto e 
in diritto, in quanto, come sopra argomentato,: 
a) non ha tenuto conto che la Direttiva 2004/80/CE si applica soltanto alle vittime 
di reati intenzionali violenti commessi sul territorio di uno Stato membro diverso 
da quello di residenza, e che rimangono invece escluse dal suo campo di applicazione 
le ipotesi in cui il reato venga commesso nello stesso Stato membro in cui la 
vittima risiede abitualmente; 
b) ha di conseguenza, erroneamente, riconosciuto l�inadempimento dello Stato italiano 
a quanto disposto dall�art. 12, par. 2, della Direttiva e condannato lo stesso al risarcimento 
del danno in favore della Sig.ra A.M.G. 

��� 
Concludendo sul punto, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Roma, 
l�art. 12, comma 2, della Direttiva n. 2004/80/CE non attribuisce in via diretta ed 
immediata ai congiunti del residente in Italia, che ivi sia rimasto vittima di omicidio, 
alcun diritto all�indennizzo verso lo Stato italiano, nel caso di impossibilit� di 
ottenere il risarcimento dall�autore del reato, demandando, viceversa, ai singoli 
Stati membri, l�individuazione, secondo apprezzamenti ampiamente discrezionali, 
delle fattispecie indennizzabili e dei parametri e criteri in base ai quali determinare 
il quantum dell�indennizzo stesso. 
Poich� il predetto art. 12, comma 2, asseritamente violato, non � �preordinato a conferire 
diritti ai singoli�, alla luce dei superiori principi, non ricorrono i presupposti per 
condannare lo Stato al risarcimento del danno per violazione del diritto comunitario. 
2.2.) In ogni caso, la violazione del diritto comunitario, in ipotesi, addebitabile nella 
specie allo Stato italiano, non � �grave e manifesta�, ove si considerino, da una parte, 
la scarsa chiarezza dell�art. 12, comma 2, della Direttiva in esame (testimoniata, del 
resto, dal presente contenzioso e, da numerosi altri, analoghi, pendenti dinanzi ai giudici 
di merito), e, dall�altra, le condotte tenute, nella specie, dalle istituzioni comunitarie che 
hanno ingenerato, nello Stato Italiano, il ragionevole convincimento che il sistema di 
indennizzo dei reati intenzionali violenti, gi� esistente nell�ordinamento interno alla data 
del 1� luglio 2005 (v. art. 18 della Direttiva), fosse conforme al diritto europeo. 
In relazione al primo profilo, se si tiene conto dell�esistenza di precedenti nella giurisprudenza 
comunitaria e nazionale che suffragano la tesi del carattere �transnazionale� 
dell�ambito applicativo della suddetta direttiva (cos� la citata sentenza n. 7565/2013 del 
Trib. Torino) o, quanto meno, se si pone mente ai dubbi interpretativi recentemente sollevati 
da autorevole dottrina e dalla medesima giurisprudenza nazionale, (v. Trib. Firenze, 
ordinanza del 20/2 � 15.3.2013, che, come sopra rilevato, ha sottoposto alla Corte 
di Giustizia, in via pregiudiziale, la questione interpretativa del citato art. 12, par. 2), 
non si pu� certamente affermare che la normativa europea sia sufficientemente 
chiara e precisa da importare quale unica interpretazione ragionevole quella contraria 
alle scelte operate dal Legislatore italiano, che ha ritenuto di non introdurre 
alcun sistema di indennizzo per le vittime, nel proprio territorio, del reato di omicidio 
volontario c.d. comune. 


Quanto alla condotta tenuta dalle istituzioni comunitarie, giova nuovamente evidenziare 
che la Commissione Europea ha contestato alla Repubblica Italiana unicamente il 
mancato adempimento, entro il secondo termine menzionato nell'art. 18, par. 1, 
(1� gennaio 2006), dell'obbligo di adottare �le disposizioni legislative, regolamentari 
e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva�, e non anche l'inadempimento 
del par. 2 dell�art. 12, evidentemente ritenendo che la Repubblica Italiana 
si fosse gi� munita di un adeguato sistema di indennizzo per varie categorie di reati 
intenzionali violenti (cfr. Corte di Giustizia CE, Sent. 112 del 29.11.2007). 
Peraltro, come gi� segnalato nel corso del giudizio di primo grado, la stessa Commissione 
Europea, in data 20 aprile 2009, ha predisposto una Relazione al Consiglio, al 
Parlamento Europeo ed al Comitato economico e sociale europeo sulla applicazione 
della Direttiva 2004/80/CE, nella quale vengono esaminati aspetti inerenti l�applicazione 
della disciplina, la sua efficacia e - soprattutto - viene effettuata l�analisi comparata dei 
sistemi di indennizzo degli Stati membri, valutando la conformit� dei relativi sistemi 
con le disposizioni della direttiva medesima. 
Ebbene, nella sezione 3.4.1 (�Esistenza di sistemi di indennizzo nazionali�) l�unico ordinamento 
interno oggetto di censure risulta essere quello greco: �Tutti gli Stati membri, 
salvo la Grecia, garantiscono un indennizzo alle vittime di reati intenzionali 
contro la persona�. L�unica contestazione mossa all�Italia � invece quella inerente la 
mancata comunicazione delle misure di attuazione degli artt. 1-3 della Direttiva, relativi 
alla individuazione delle autorit� cui presentare la domanda (obbligo ora assolto con 
l�emanazione del D.lgs n. 204/2007). 
Da quanto precede discende che l�eventuale inadempimento dello Stato al disposto del-
l�art. 12, comma 2, � dipeso da errore scusabile e non pu�, pertanto, dare luogo a responsabilit� 
risarcitoria. 
2.3) In via ulteriormente gradata, va comunque evidenziato che non ricorre il requisito 
del nesso di causalit� diretto tra la violazione dell�obbligo incombente allo Stato ed il 
danno subito dai soggetti lesi. 
La sola sig.ra G.A.M., come accertato dallo stesso Tribunale (v. pag. 11), si � costituita 
parte civile nel processo penale che ha visto la condanna (definitiva) dell�omicida della 
figlia. 
Nella sede penale quest�ultimo � stato, altres�, condannato al risarcimento dei danni nei 
confronti di essa parte civile, con il riconoscimento di una provvisionale (come noto 
provvisoriamente esecutiva) di � 80.000. 
� pacifico in causa che la Sig.ra G.A.M. non ha mai posto in esecuzione la provvisionale 
nei confronti dell� autore del reato per ottenere il risarcimento del danno gi� liquidato 
in sede penale. 
L�inerzia serbata nella vicenda dalla Sig.ra G.A.M. vale ad escludere anche il nesso causale 
tra il lamentato pregiudizio e l�asserito inadempimento della direttiva. 
Anche sotto questo profilo, dunque, la sentenza d�appello appare radicalmente errata. 
Quanto al Sig. G.G., invece, la carenza del nesso di causalit� tra il danno lamentato e la 
violazione dell�obbligo incombente allo Stato � confermata dalla pacifica constatazione 

-sopra illustrata - che costui non si � costituito parte civile nel processo penale, n� ha 
mai instaurato un autonomo processo civile per ottenere l�accertamento del danno da 
reato. 

��� 


Nella denegata ipotesi in cui si ritenesse di non condividere gli argomenti che precedono, 
vorr� codesta Ecc.ma Corte, data la notevole rilevanza della questione, rivolgere alla 
Corte di Giustizia dell�UE ex art. 267 TFUE (gi� art. 234 TCE) i seguenti quesiti pregiudiziali: 
� 1) dica codesta Corte di Giustizia se l�art. 12, comma 2, della Direttiva 
29.4.2004 n. 2004/80/CE (Direttiva del Consiglio relativa all�indennizzo delle vittime 
di reato), letto in combinato disposto con i �considerando� nn. 5, 6 e 10 della medesima 
Direttiva, nonch� con quanto previsto dalla Decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio 
in data 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale 
(richiamata nel considerando n. 5 della Direttiva), debba essere interpretato nel 
senso che l�indennizzo ivi previsto in favore delle vittime di reati intenzionali violenti 
spetti, iure proprio e non iure hereditatis, anche ai prossimi congiunti (nella specie 
madre e nonno) della persona deceduta in conseguenza del reato (nella specie omicidio 
volontario), dovendo anche tali soggetti essere equiparati alla vittima del predetto reato, 
cio� alla persona offesa, titolare dell�interesse protetto dalla norma incriminatrice o 
se, invece, debba essere escluso un diritto proprio all�indennizzo ai sensi della Direttiva 
sopra richiamata a favore di soggetti (come prossimi congiunti) diversi da chi � stato 
la diretta vittima del reato di omicidio volontario�; 2) nel caso in cui il quesito che precede 
venga risolto nel senso che un diritto proprio - e non iure hereditatis - all�indennizzo 
previsto dall� art. 12, comma 2, della Direttiva 29.4.2004 n. 2004/80/CE (Direttiva 
del Consiglio relativa all�indennizzo delle vittime di reato) debba essere riconosciuto 
anche in favore dei prossimi congiunti (madre e nonno) della vittima diretta del reato 
di omicidio volontario, dica, altres�, codesta Corte di Giustizia se l�art. 12, comma 2, 
della Direttiva 29.4.2004 n. 2004/80/CE (Direttiva del Consiglio relativa all�indennizzo 
delle vittime di reato), a mente del quale �tutti gli Stati membri provvedono a che le 
loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime 
di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo 
equo ed adeguato delle vittime�, debba essere interpretato nel senso che gli Stati 
membri hanno lo specifico obbligo di introdurre, nei rispettivi ordinamenti, norme nazionali 
che istituiscano forme di indennizzo in favore delle vittime del delitto di omicidio 
volontario, o se, invece, tale secondo paragrafo del predetto art. 12 si limiti ad imporre 
agli Stati membri che ne siano sprovvisti l�obbligo di predisporre un sistema di indennizzo 
delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, a prescindere 
dall�ampiezza di tale sistema e dalle singole ipotesi di reato ivi contemplate, 
di talch� il predetto art. 12, par. 2 non si applica agli Stati membri che, come l�Italia, 
gi� prevedessero, alla data di entrata in vigore della direttiva, un adeguato sistema di 
indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori; 
3) Nel caso in cui il predetto art. 12, par. 2 debba essere interpretato nel senso che gli 
Stati membri abbiano lo specifico obbligo di introdurre, nei rispettivi ordinamenti, 
norme nazionali che istituiscano forme di indennizzo in favore delle vittime del delitto 
di omicidio volontario, dica, infine, codesta Corte di Giustizia se il predetto art. 12, 
comma 2, della Direttiva 29.4.2004 n. 2004/80/CE vada, altres�, interpretato nel senso 
che esso attribuisce in via diretta ed immediata al residente nel territorio dello Stato 
membro (ed ai suoi prossimi congiunti, anch�essi residenti nello Stato membro) che ivi 
sia rimasto vittima (e quindi sia deceduto in conseguenza) del reato di omicidio volontario, 
un diritto all�indennizzo verso lo Stato di residenza ove il reato � stato commesso 

o se, invece, sia corretta l�interpretazione dell�art. 12, par. 2, della Direttiva 


2004/80/CE, secondo cui quest�ultimo si applica solo alle vittime di reati intenzionali 
violenti commessi sul territorio di uno Stato membro diverso da quello di residenza, 
mentre rimangono escluse dal suo campo di applicazione le ipotesi, come quella rilevante 
in questa sede, in cui il reato venga commesso nello stesso Stato membro in cui 
la vittima risiede abitualmente�. 
Per completezza si evidenzia che, con ordinanza in data 20 febbraio/15 marzo 2013, il 
Tribunale civile di Firenze ha chiesto alla Corte di Giustizia dell�Unione Europea di 
pronunciarsi in via pregiudiziale, ai sensi dell�art. 267 TFUE, sulla seguente questione: 

�1) Se l�art. 12 della direttiva 2004/80/CE debba essere interpretato nel senso che esso 
permette agli Stati membri di prevedere l�indennizzo per le vittime di alcune categorie 
di reati violenti o intenzionali od imponga invece agli Stati membri, in attuazione della 
citata Direttiva, di adottare un sistema di indennizzo per le vittime di tutti i reati violenti 
ed intenzionali�. 

In tale causa pregiudiziale C-122/13, la Corte di Giustizia ha deciso di statuire senza 
trattazione orale e senza conclusioni dell�Avvocato Generale (v. all. 6). 
� quindi ragionevole presumere che la decisione verr� depositata entro l�estate del corrente 
anno 2014. 


3. IN VIA ASSOLUTAMENTE SUBORDINATA: IN RELAZIONE AL QUANTUM liquidato in favore 
della Sig.ra G. A.M.: Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1173, 2043, 
2056, 1226 c.c.; dell�art. 185 c.p.; nonch� dell� art. 12 Direttiva n. 2004/80/CE. Erronea 
assimilazione dello Stato al responsabile (civile) del reato e conseguente confusione 
dell�indennizzo asseritamente dovuto dallo Stato in base alla direttiva in 
esame con il risarcimento integrale del danno ex lege Aquilia. 

Anche alla luce dell�art. 342 c.p.c. come sostituito, in sede di conversione, dall'art. 54 
del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, 

n. 143, con il presente motivo di gravame (dedotto in via assolutamente subordinata) si 
intende appellare la sentenza di primo grado nella parte in cui ha affermato (pag. 13): 

�l�ammontare dell�indennizzo dovuto dallo Stato in virt� della direttiva 2004/80/CE 
potrebbe non corrispondere alla somma liquidata a titolo risarcitorio a carico dell�autore 
del reato. Il tribunale ritiene per� che nel caso in esame i canoni dell�equit� e del-
l�adeguatezza siano soddisfatti determinando l�ammontare dell�indennizzo in misura 
corrispondente all�intero importo liquidato dal giudice penale a titolo di provvisionale�. 
In particolare, in ordine al quantum debeatur, il Tribunale di Roma ha riconosciuto alla 
Sig.ra G., la somma di � 80.000,00, determinata secondo �i canoni dell�equit� e del-
l�adeguatezza�. 

Tale somma corrisponde esattamente alla provvisionale riconosciuta alla sig.ra G.A.M. 
in sede penale (v. pag. 13 della sentenza impugnata). 
Da quanto precede emerge, con tutta evidenza, che il Tribunale - pur avendo, dapprima, 
riconosciuto, che �l�indennizzo potrebbe non corrispondere alla somma liquidata a titolo 
risarcitorio� - ha poi finito, in sede di liquidazione del quantum debeatur, per confondere 
il concetto di risarcimento con quello di indennizzo, ritenendo che la domanda 
di indennizzo possa essere intesa come una domanda di ristoro integrale dei danni che 
l�attrice ha subito in conseguenza del delitto di cui la figlia � stata vittima. 
Il che appare confermato dal fatto che la condanna indennitaria a carico dello Stato � 
stata commisurata proprio alla provvisionale riconosciuta alla Sig.ra G. A.M. in sede 
penale. 


In altri termini, il Tribunale ha determinato il risarcimento a carico dello Stato come se 
questo fosse il diretto responsabile del reato. 
Tuttavia, come gi� ricordato, la ratio della normativa nazionale e comunitaria in tema 
di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non pu� essere certamente quella 
di sostituire o aggiungere lo Stato all�autore del delitto nella responsabilit� verso le vittime: 
a tutto concedere l�obbligo che la direttiva pone agli Stati membri �, invero, solo 
quello di predisporre un indennizzo �equo ed adeguato�, necessariamente diverso dal-
l�integrale ristoro del danno civile. 
I criteri di liquidazione di tale indennizzo (e - quindi - dell�asserito danno conseguente 
al mancato recepimento della direttiva) dovrebbero, pertanto, essere del tutto autonomi 
e diversi rispetto ai parametri di liquidazione del risarcimento ordinario ex lege aquilia 
dovuto dai responsabili del fatto di reato. 
N�, del resto, pu� lo Stato italiano essere chiamato a rispondere, in base al diritto interno, 
del reato in questione, non ricorrendo (ovviamente) alcuna delle fattispecie di responsabilit� 
(diretta od indiretta) dello Stato per il fatto altrui, ai sensi degli artt. 2043 cc., 
28 Cost. e 185 c.p., surrettiziamente applicati dal primo giudice. 
In punto di determinazione del quantum debeatur, la sentenza del primo giudice �, dunque, 
affetta da vistosi errori di diritto in quanto ha confuso l�indennizzo asseritamente 
dovuto dallo Stato in base alla direttiva in esame con il risarcimento integrale del danno 
ex lege Aquilia, pervenendo, cos�, ad una liquidazione del tutto erronea ed esorbitante, 
che andr�, perci�, operata ex novo (alla luce dei criteri sopra illustrati) ed ulteriormente 
ridimensionata. 

4.) IN VIA ASSOLUTAMENTE GRADATA: VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 
2043, 2056, 1224 E 1284 C.C. ERRONEA INDIVIDUAZIONE DELLA DATA DI DECORRRENZA 
DEGLI INTERESSI MORATORI AL TASSO LEGALE DOVUTI SULLA SOMMA CAPITALE LIQUIDATA 
IN FAVORE DELLA SIG.RA A.M.G. 

In via del tutto subordinata, la sentenza del Tribunale di Roma �, comunque, errata nella 
parte in cui ha fatto decorrere gli interessi legali sull�indennizzo liquidato in favore della 
Sig.ra G. dall�11 settembre 2008, anzich� dall�11 settembre 2009, che � la data effettiva 
della notifica della domanda giudiziale. 

&&& 

ISTANZA DI SOSPENSIONE EX ART. 283 C.P.C. 
Dall'esposizione che precede emerge con evidenza il fumus boni iuris che assiste la proposta 
impugnazione incidentale. 
Quanto al periculum in mora, si rappresenta che, in ragione dell�entit� non irrisoria del-
l�importo riconosciuto alla Sig.ra G.A.M. e, soprattutto, della difficile situazione economica 
in cui ella dichiara di trovarsi (v. pag. 25, rigo 18 ss., dell�atto di citazione in primo 
grado (3)) � concreto il rischio per l�Amministrazione, nell�ipotesi di accoglimento del 
gravame, di non poter recuperare le somme che dovessero essere corrisposte nelle more 
del giudizio di appello in esecuzione della sentenza impugnata in via incidentale. 
Nella specie, come riconosciuto anche dalla Corte d�appello di Torino in relazione a fattispecie 
analoga a quella in esame (C. App. Torino, ordinanza del 11.9.12: cfr. all. 5), 

(3) Ove, appunto, si afferma che, al fine di sostenere le spese per il funerale della loro congiunta, 
la predetta Sig.ra A.M.G. ha dovuto fare ricorso all�aiuto economico di altri parenti. 


sussistono, dunque, gravi e fondati motivi, in relazione al concreto pericolo di insolvenza 
dell�appellata in via incidentale, che suggeriscono la sospensione della efficacia esecutiva 
e/o dell�esecuzione della sentenza impugnata in via incidentale. 
Di contro, la sospensione della sentenza impugnata non arrecherebbe alcun apprezzabile 
pregiudizio all� odierna appellata incidentale, essendo lo Stato, per definizione soggetto, 
�solvibile�. 


��� 
Tanto premesso, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Giustizia, 
come in epigrafe rappresentati, difesi ed elettivamente domiciliati, rassegnano le seguenti 


CONCLUSIONI 

"Piaccia all'Ecc.ma Corte d�appello adita, respinta ogni altra difesa, eccezione o deduzione, 
previo accoglimento dell'istanza di inibitoria ex art. 283 c.p.c. spiegata con l�appello 
incidentale, e previa domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia 
dell�UE ex art. 267 TFUE (gi� art. 234 TCE) nei termini esposti in narrativa, respingere 
l�appello principale, siccome infondato ed accogliere l�appello incidentale e, per l�effetto, 
in integrale riforma della sentenza impugnata, respingere tutte le domande proposte 
in primo grado dagli odierni appellanti principali; con vittoria di spese, competenze ed 
onorari di entrambi i gradi di giudizio�. 
Unitamente alla presente comparsa di risposta si produrranno: 
1) copia notificata dell�appello principale; 
2) � 2) bis) copie autentiche della sentenza appellata, notificate il 30.12.2013; 
3) il fascicolo di parte del precedente grado; 
4) sentenza del Tribunale di Torino n. 7565/2013; 
5) ordinanza della Corte d�appello di Torino dell�11.9.12; 
6) avviso di cancelleria della Corte di Giustizia dell�Unione Europea, relativo alla causa 
pregiudiziale C-122/13. 
Ai sensi degli artt. 9 e 13 dpr 115/2002 e succ. modd. ed int. si dichiara che il valore 
della controversia introdotta con l�appello incidentale � pari a circa Euro � 80.000,00 
Roma, 28.1.2014 

l�Avvocato dello Stato 
Giovanni Palatiello 

All. 2) 

ORDINANZA DELLA CORTE (Sesta Sezione) 

30 gennaio 2014 
�Rinvio pregiudiziale � Cooperazione giudiziaria in materia penale � Direttiva 
2004/80/CE � Articolo 12 � Indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti � Situazione 
puramente interna � Manifesta incompetenza della Corte� 

Nella causa C.122/13, 
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi 
dell�articolo 267 TFUE, dal Tribunale ordinario di Firenze (Italia) con decisione del 20 
febbraio 2013, pervenuta in cancelleria il 15 marzo 2013, nel procedimento 
Paola C. 


CONTENZIOSO NAZIONALE 159 

contro 
Presidenza del Consiglio dei Ministri, 


LA CORTE (Sesta Sezione), 
composta da A. Borg Barthet, presidente di sezione, M. Berger (relatore) e F. Biltgen, 
giudici, 
avvocato generale: Y. Bot 
cancelliere: A. Calot Escobar 
vista la fase scritta del procedimento, 
considerate le osservazioni presentate: 

� per la sig.ra C., da P. Pellegrini, avvocato, 
� per il Regno di Spagna, da S. Centeno Huerta, in qualit� di agente, 
� per la Repubblica italiana, da G. Palmieri e G. Palatiello, in qualit� di agenti, 
� per il Regno dei Paesi Bassi, da M. K. Bulterman, in qualit� di agente, 
� per la Commissione europea, da A.-M. Rouchaud-Jo�t e F. Moro, in qualit� di 
agenti, 
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l�avvocato generale, di statuire con ordinanza 
motivata, conformemente all�articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura 
della Corte, 
ha emesso la seguente 


Ordinanza 

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione dell�articolo 12 
della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all�indennizzo 
delle vittime di reato (GU L 261, pag. 15). 
2 Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia tra la sig.ra C. e la 
Presidenza del Consiglio dei Ministri in merito alla responsabilit� di quest�ultima derivante 
della mancata trasposizione, da parte della Repubblica italiana, della direttiva 
2004/80 e al danno in tal modo subito dalla sig.ra C. 

Contesto normativo 

Il diritto dell�Unione 

3 I considerando 7 e 11 della direttiva 2004/80 cos� recitano: 
�(7) La presente direttiva stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle 
vittime di reato l�accesso all�indennizzo nelle situazioni transfrontaliere; (...). 
(...) 


(11) Dovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autorit� degli Stati 
membri per facilitare l�accesso all�indennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso 
in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede�. 
4 L�articolo 12 di tale direttiva, che fa parte del suo Capo II, intitolato �Sistemi di 
indennizzo nazionali�, cos� dispone: 

�1. Le disposizioni della presente direttiva riguardanti l�accesso all�indennizzo nelle situazioni 
transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia 
di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. 

2. Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l�esistenza 
di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi 
nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime�. 

Il diritto italiano 

5 La direttiva 2004/80 � stata recepita in Italia, segnatamente, mediante il decreto 


legislativo 9 novembre 2007, n. 204, attuazione della direttiva 2004/80/CE relativa all�indennizzo 
delle vittime di reato (Supplemento ordinario alla GURI n. 261 del 9 novembre 
2007). Tale decreto rinvia, per quanto riguarda i requisiti sostanziali per la 
concessione di un indennizzo a carico dello Stato italiano, a leggi speciali che prevedono 
le forme di indennizzo delle vittime di reati commessi nel territorio nazionale. Tuttavia, 
non tutti i tipi di reati violenti intenzionali sono contemplati da tali leggi speciali. Quindi, 
nessuna legge speciale garantisce un indennizzo equo ed adeguato, ai sensi dell�articolo 
12 della direttiva 2004/80, della vittima di un reato di violenza sessuale, come quello di 
cui trattasi nel procedimento principale. 

Procedimento principale e questione pregiudiziale 

6 La sig.ra C. ha chiesto al giudice del rinvio di condannare la Presidenza del Consiglio 
dei Ministri al risarcimento dei danni, quantificati in EUR 150 000, previo accertamento 
della responsabilit� di quest�ultima per mancata attuazione della direttiva 
2004/80. 
7 A sostegno della sua domanda la ricorrente nel procedimento principale afferma 
di essere stata vittima di violenze sessuali commesse dal sig. M. Quest�ultimo � stato 
condannato, in particolare, a corrisponderle la somma di EUR 20 000 a titolo di provvisionale. 
Tuttavia, il sig. M. non vi ha mai ottemperato. Al momento della sua condanna, 
infatti, era detenuto, nullatenente e senza impiego n� dimora. Ad avviso della sig.ra C., 
quando il sig. M. uscir� di prigione, sar� insolvente e verr� espulso dall�Italia, cosicch� 
essa perder� qualsiasi possibilit� di ottenere da parte di quest�ultimo un indennizzo equo 
ed adeguato. Orbene, la Repubblica italiana non avrebbe adottato le misure necessarie 
a garantirle comunque un indennizzo equo ed appropriato, in violazione dell�obbligo 
che graverebbe su tale Stato membro in virt� dell�articolo 12 della direttiva 2004/80. 
8 Dinanzi al giudice del rinvio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri chiede il rigetto 
della domanda in quanto irricevibile e infondata. Essa sostiene in particolare che 
la direttiva 2004/80 � diretta a disciplinare solo l�indennizzo delle vittime di reati violenti 
intenzionali nelle situazioni transfrontaliere, mentre il reato in esame � stato commesso 
nel territorio italiano e la vittima � una cittadina italiana. 
9 Il giudice del rinvio ritiene, in proposito, che, se l�obiettivo della direttiva 2004/80 
consiste nella creazione di misure volte a facilitare l�indennizzo delle vittime di reato 
nelle situazioni transfrontaliere e nel consentire che la vittima di un reato possa sempre 
rivolgersi ad un�autorit� dello Stato membro di residenza, l�articolo 12, paragrafo 2, di 
tale direttiva potrebbe tuttavia essere interpretato nel senso che obbliga tutti gli Stati 
membri ad adottare strumenti idonei a garantire l�indennizzo delle vittime di reati violenti 
e intenzionali. In tal caso, la Repubblica italiana sarebbe venuta meno ai suoi obblighi 
in quanto la sua normativa interna prevede un sistema di indennizzo limitato a 
determinati reati, con esclusione di quelli commessi con violenze sessuali. 
10 Ci� premesso, il Tribunale ordinario di Firenze ha deciso di sospendere il procedimento 
e di sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale seguente: 
�[S]e l�articolo 12 della direttiva [2004/80/CE] debba essere interpretato nel senso che 
esso permette agli Stati membri di prevedere l�indennizzo per le vittime di alcune categorie 
di reati violenti o intenzionali o imponga invece agli Stati membri, in attuazione 
della citata direttiva, di adottare un sistema di indennizzo per le vittime di tutti i reati 
violenti od intenzionali�. 

Sulla competenza della Corte 


CONTENZIOSO NAZIONALE 161 

11 Si deve ricordare, anzitutto, che la direttiva 2004/80, come emerge dal suo considerando 
7, �stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di 
reato l�accesso all�indennizzo nelle situazioni transfrontaliere�. Il considerando 11 di 
tale direttiva precisa in proposito che �[d]ovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione 
tra le autorit� degli Stati membri per facilitare l�accesso all�indennizzo nei 
casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la 
vittima risiede�. 
12 La Corte ha gi� sottolineato che la direttiva 2004/80 prevede un indennizzo unicamente 
nel caso di un reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro diverso 
da quello in cui la vittima risiede abitualmente (sentenza del 28 giugno 2007, 
Dell�Orto, C.467/05, Racc. pag. I.5557, punto 59). 
13 Nell�ambito del procedimento principale, tuttavia, emerge dalla decisione di rinvio 
che la sig.ra C. � stata vittima di un reato intenzionale violento commesso nel territorio 
dello Stato membro in cui ella risiede, vale a dire la Repubblica italiana. Pertanto, la situazione 
di cui trattasi nel procedimento principale non rientra nell�ambito di applicazione 
della direttiva 2004/80, bens� solo del diritto nazionale. 
14 Orbene, in una situazione puramente interna, la Corte non �, in linea di principio, 
competente a statuire sulla questione posta dal giudice del rinvio. 
15 � vero che, secondo una giurisprudenza costante, anche in una simile situazione, 
la Corte pu� procedere all�interpretazione richiesta nell�ipotesi in cui il diritto nazionale 
imponga al giudice del rinvio, in procedimenti come quello principale, di riconoscere 
ai cittadini nazionali gli stessi diritti di cui il cittadino di un altro Stato membro, nella 
stessa situazione, beneficerebbe in forza del diritto dell�Unione (v., in particolare, sentenza 
del 21 febbraio 2013, Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia e a., C.111/12, 
non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 35 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, 
non spetta alla Corte prendere l�iniziativa in tal senso se dalla domanda di pronuncia 
pregiudiziale non risulta che al giudice del rinvio � effettivamente imposto siffatto obbligo 
(v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, Omalet, C.245/09, Racc. pag. 
I.13771, punti 17 e 18). 
16 Infatti, la Corte � tenuta a prendere in considerazione, nell�ambito della ripartizione 
delle competenze tra i giudici dell�Unione e i giudici nazionali, il contesto di fatto e di 
diritto nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dalla decisione 
di rinvio (sentenza del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C.378/07 a C.380/07, Racc. 
pag. I.3071, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). 
17 Orbene, nel caso di specie, � sufficiente constatare che, mentre la Commissione 
europea ha sostenuto nelle sue osservazioni scritte che siffatto obbligo deriva dal diritto 
costituzionale italiano, dalla decisione di rinvio stessa non risulta che il diritto italiano 
imponga al giudice del rinvio di riconoscere alla sig.ra C. gli stessi diritti di cui un cittadino 
di un altro Stato membro, nella medesima situazione, beneficerebbe in forza del 
diritto dell�Unione. 
18 Ne consegue che, sul fondamento dell�articolo 53, paragrafo 2, del suo regolamento 
di procedura, la Corte � manifestamente incompetente a rispondere alla questione 
posta dal Tribunale ordinario di Firenze. 

Sulle spese 

19 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce 
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. 


Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono 
dar luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) cos� provvede: 


La Corte di giustizia dell�Unione europea � manifestamente incompetente a rispondere 
alla questione posta dal Tribunale ordinario di Firenze (Italia). 

Corte di appello di Roma, ordinanza 9 maggio 2014 R.G. 7072/2013 -Pres. Roberto Reali, 
Rel. Francesco Ferdinandi. 
(...) 
ritenuto che per quanto apprezzabile in questa sede di sommaria delibazione e fatta salva ogni 
diversa valutazione in sede di merito, le ragioni poste dall'avvocatura dello Stato a fondamento 
dell'appello incidentale appaiono provviste di adeguato �fumus� sembrando che la direttiva 
CE 80/2004 ed il sistema indennitario ivi previsto possano trovare applicazione al solo caso 
di reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima 
risiede abitualmente, come opinato dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea con recentissima 
ordinanza (ord. 30.1.14, causa C-122/13), sulla base del considerando settimo, ove 
si precisa che la direttiva stabilisce un sistema dl cooperazione volto a facilitare alle vittime 
di reato l'accesso all�indennizzo nelle situazioni transfrontaliere e del considerando undicesimo, 
ove si prevede che venga ad essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autorit� 
degli Stati membri per facilitare l'accesso all'indennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso 
in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede; 
che ricorre anche il pericolo nel ritardo, sussistendo il fondato timore che lo Stato non possa 
ripetere quanto pagato in esecuzione della sentenza di primo grado, avuto riguardo alle condizioni 
economiche di G.A.M., che essa stessa ebbe a prospettare come precarie nell'atto di 
citazione dinanzi il Tribunale, rappresentando che aveva potuto affrontare le spese del funerale 
della vittima solo grazie all'aiuto dei parenti; 

PQM 
sospende l'esecutivit� della sentenza n. 22327/13 del Tribunale di Roma depositata il 8.11.13 
nel procedimento n 62440/09 RG, e fissa per le conclusioni l'udienza del 23.1.18, ore 9,30. 
Cos� deciso in Roma, li 6.5.14 


Cittadinanza extracomunitaria ed accesso ai pubblici impieghi 

TRIBUNALE PERUGIA, SEZ. LAVORO, ORDINANZA 27 MARZO 2014, R.G. 2272/2013 

Ugo Adorno* 

Da: Ugo Adorno [mailto:ugo.adorno@avvocaturastato.it] 
Inviato: mar 08/04/2014 12.53 

A: Montagnoli Riccardo; Bellisario Dario; Capaldo Lorenzo; Laura Paolucci; Avvocati_tutti 
Oggetto: Cittadinanza non UE e accesso ai pubblici impieghi. 

... in materia di �discriminazione� lamentata da cittadini extracomunitari nel-
l�accesso ai pubblici impieghi, ... trasmett[o] l�ordinanza con cui il Tribunale 
del lavoro di Perugia ha rigettato la domanda proposta da una extracomunitaria 
docente, che contestava la sua esclusione dalle GAE. 
L�ordinanza (art. 702-bis cpc) si segnala per l�equilibrio delle riflessioni, del 
tutto scevre da connotazioni di politica sociale. 
In punto di fatto, il giudice ha affermato che la ricorrente aveva acquisito lo 
status di titolare del permesso di soggiorno di lungo periodo nel 2102, dopo, 
cio�, che le graduatorie scolastiche erano state trasformate in GAE e chiuse 
(con alcune tassative eccezioni) a nuovi inserimenti a prescindere dalla cittadinanza. 
Ne segue che la stessa non poteva lamentare alcuna discriminazione, 
non potendo ella conseguire un bene della vita precluso a chiunque, a prescindere 
dalla cittadinanza. Con la precisazione che tutto ci� non riguarda la 
situazione futura, in cui per effetto dell�attuazione, nell�ordinamento interno, 
del disposto della direttiva comunitaria 109/03, con la modifica dell�art. 38 
TUPI, la straniera lungo soggiornante avr� diritto all�inserimento nelle graduatorie 
d�istituto al pari dei cittadini italiani. 
In punto di diritto, l�ordinanza, nel dare atto della peculiarit� della materia 
dell�accesso ai pubblici impieghi (artt. 51 e 98 Cost.), ha rilevato che l�adempimento 
a un obbligo comunitario (reso necessario anche dall�apertura di 
procedura di infrazione nei confronti dell�Italia) con previsione eccezionale 
(e di stretta interpretazione) estensiva della possibilit� di accedere al p.i. a 
individuate categorie di soggetti, conferma che tale possibilit� non riguarda, 
n� pu� riguardare, extracomunitari appartenenti a categorie differenti, cio� 
non in possesso di titolo di soggiorno di lunga durata: l�accesso al pubblico 
impiego non concerne diritti in materia civile (di cui all�art. 2 comma 2 TUI e 
alla convenzione OIL), n� si pu� riscontrare violazione del d. l.gs. n. 215/03 

(*) Avvocato dello Stato. 

Unitamente alla ordinanza segnalata dall�avv. Adorno - per mezzo di posta elettronica come da prassi 
consolidata per scambio/condivisione in tempo quasi reale di aggiornamenti giurisprudenziali - se ne 
pubblica l�abstract. 


che (art. 2 comma 3) esclude dal suo ambito di applicazione le differenze di 
trattamento basate sulla nazionalit�, n� vi � violazione dell�art. 14 CEDU che 
concerne il godimento di diritti e libert� fondamentali fra cui non rientra l�accesso 
al pubblico impiego. 
Conclude, al riguardo, il provvedimento rilevando che �il fatto che la legge 
riconosca l'accesso al pubblico impiego solo a categorie di cittadini stranieri 
che hanno dimostrato di avere instaurato un legame stabile e non occasionale 
con il territorio dello Stato o tutelate in virt� del peculiare statuto internazionale 
(si pensi ai rifugiati) non sembra confliggere con l'art. 3 Cost. perch� la 
diversit� di trattamento non appare irragionevole, anche in considerazioni 
delle peculiarit� tipiche dello statuto del pubblico impiego, come disegnato 
dallo stesso Costituente agli artt. 51 e 98 Cost�. 

Ugo Adorno 

Tribunale di Perugia, Sezione lavoro, ordinanza 27 marzo 2014, n. 2272 R.G. anno 2013 

-Giud. Marco Medoro - S.X.D. (avv. Ballerini) c. Ministero Istruizione, Universit� e Ricerca, 
Ufficio Scolastico regionale per l�Umbria (avv. distr. Stato Perugia). 

1. X.S.D. si � rivolta a questo Tribunale per sentire dichiarare il carattere discriminatorio del-
l'art. 8 del D.M. 44/2011, nella parte in cui subordina l'accesso alle graduatorie provinciali ad 
esaurimento del personale docente al requisito della cittadinanza italiana o di uno stato membro 
dell'U.E. e per ottenere che venga ordinato al MIUR di cessare il comportamento discriminatorio 
tenuto nei confronti dei cittadini "extracomunitari" e della ricorrente in particolare 
e, per l'effetto, condannare il suddetto Ministero ad inserire la ricorrente (senza alcuna riserva 
afferente la cittadinanza) nelle graduatorie sopra menzionate per l'insegnamento della lingua 
inglese nonch� a risarcire alla stessa "i danni tutti patrimoniali e non patrimoniali patiti e patiendi" 
per effetto della discriminazione subita. Il giudizio, originariamente radicato presso il 
Tribunale di Genova, � stato riassunto dinanzi a questo Ufficio a seguito di ordinanza dichiarativa 
dell'incompetenza emessa dal primo Giudice. A sostegno delle domande, ha spiegato 
atto di intervento l'organizzazione sindacale FLC-CGIL Camera del Lavoro Metropolitana di 
Genova. 
2. In via del tutto preliminare, in accoglimento dell'eccezione sollevata dalle parti resistenti, 
va dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione l'intervento ad adiuvandum dell'organizzazione 
sindacale FLC-CGIL Camera del Lavoro Metropolitana di Genova. 
L'organizzazione sindacale argomenta, al riguardo, che, qualora il rapporto oggetto di causa 
venisse considerato "analogo a quello di lavoro", il suo diritto di prendere parte al processo 
sarebbe indiscutibile, in quanto si tratterebbe di giudizio che ella avrebbe addirittura potuto 
incardinare autonomamente quale ente esponenziale riconosciuto di interessi collettivi ai sensi 
dell'art. 44, comma 10, del d.lgs. 286/1998. Aggiunge che, in ogni caso, avrebbe titolo a partecipare 
al processo in qualit� di soggetto impegnato sui temi della parit� tra italiani e stranieri 
e della solidariet� tra italiani e migranti. 
Ritiene il Giudicante che nessuna delle due argomentazioni sia convincente: quanto alla prima, 
la disposizione invocata dall'organizzazione ha carattere eccezionale, riferendosi alle sole relazioni 
lavorative in essere ed � perci� non estendibile in via interpretativa e - in ogni caso attribuisce 
la prerogativa di alfiere dell'interesse collettivo "alle rappresentanze locali delle 





organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale", fattispecie che 
non si attaglia al caso in esame, in cui a volere intervenire � la Camera del Lavoro di Genova 
e non quella di Perugia. Quanto alla seconda, si tratta, all'evidenza, della spendita di un mero 
interesse di fatto, mentre � pacifico che la partecipazione ad un processo civile da parte di un 
terzo allo scopo di appoggiare l'azione o la resistenza altrui deve essere corroborato da un interesse 
che abbia una consistenza giuridicamente riconosciuta (cfr, ex multis, Cass., sez. III, 
1111/2003; sez. I, 5736/1993). 


3. Sempre in via preliminare, va dichiarata l'inammissibilit� del ricorso proposto nei confronti 
dell'Istituto scolastico "Cavallotti" per difetto di legittimazione passiva: in materia di rapporto 
di lavoro scolastico, il MIUR e l'USR sono le sole amministrazioni provviste di legittimazione 
a resistere in giudizio, il primo, quale unico potenziale datore di lavoro della docente ricorrente 
e il secondo in forza dell'espresso disposto dell'art. 8 del d.p.r. 17/2009 (come modificato dal 


d.p.r. 132/2011). 

4. Nel merito, il ricorso � infondato e deve essere rigettato per le considerazioni dappresso 
esposte, nell'ambito della cognizione sommaria tipica della presente sede. 

4.1 Espone la ricorrente: 

-di essere cittadina albanese regolarmente soggiornante in Italia in forza di permesso di soggiorno 
di durata illimitata rilasciato dalla Questura di Perugia successivamente ad un primo 
titolo temporaneo rilasciato dalla medesima autorit� per motivi di famiglia; 

- di avere fatto ingresso in Italia nel 2007 assieme al marito S.G. e al figlio minorenne S. A. 
al fine di sottoporre quest'ultimo a cure mediche necessarie ed urgenti; 

-di avere deciso di fissare stabilmente la propria residenza in Italia e di avere perci� chiesto 
al Miur il riconoscimento del titolo professionale acquisito in Albania; 
-di avere presentato, in data 8.5.2009, istanza di iscrizione nelle graduatorie per il personale 
docente e di esservi stata ammessa con riserva, in attesa del superamento dell'esame di lingua 
italiana presso l'Universit� per Stranieri di Perugia e di avere tempestivamente comunicato il 
superamento dell'esame avvenuto nel maggio 2010; 


- di avere stipulato con 1'IPSAARCT "Cavallotti" di Citt� di Castello un contratto a termine 
quale supplente di lingua inglese dal 12.1.11. al 3.4.11 e che, tuttavia, il dirigente scolastico 
dell'istituto, il 19.5.2011, dando atto di avere commesso un errore, in quanto la docente risultava 
inserita in graduatoria con riserva, salvo il trattamento economico corrisposto, negava il 
riconoscimento del servizio prestato ai fini giuridici; 

-che in seguito il Miur non consentiva il suo accesso alle graduatorie, confermando la propria 
decisione anche in seguito a reclamo, spiegando che ostava allo scopo la mancanza del requisito 
della cittadinanza italiana e mantenendo detto avviso anche a seguito di diffide inoltrate 
a mezzo legale; 

- che il Miur non ha provveduto a modificare il proprio orientamento sebbene sul punto l'Ufficio 
Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR istituito presso il dipartimento Pari Opportunit� 
della Presidenza del Consiglio dei Ministri) abbia formulato l'ipotesi che l'esclusione 
della docente dalle graduatorie ad esaurimento costituisca una discriminazione diretta in 
quanto espressione di un trattamento diseguale in ragione della cittadinanza di uno Stato 
esterno all'U.E. 

4.2 Argomenta, quindi, la ricorrente, in punto di diritto: 

-che l'esclusione dalle graduatorie sarebbe discriminatoria in quanto fondata sull'unica ragione 
della carenza del requisito della cittadinanza italiana o di altro Stato appartenente all'U.E. ed 
avrebbe leso l'affidamento ingenerato nella stessa in ordine alla possibilit� di prestare servizio 





come docente per effetto di assunzione a termine da parte dell'Istituto "Cavallotti" e, ancor 
prima, per essere stata indotta dal Miur a completare la procedura di abilitazione all'insegnamento 
sostenendo l'esame di italiano e da ci� deriverebbe il diritto ad essere inserita nelle 
graduatorie ed ottenere il risarcimento dei danni sofferti; 


-che le disposizioni regolamentari che ne precludono l'accesso alle graduatorie violano gli 
art. 2 e 43 del d.lgs. 286/1998 essendo fondate su una diversificazione di trattamento in base 
alla cittadinanza; 


- che nella medesima direzione militerebbero le disposizioni della convenzione OIL n. 
143/1975, ratificata dall'Italia, l'art. 14 della CEDU ed altre disposizioni settoriali (dettate in 
materia di persone cui � riconosciuto lo status di rifugiato, lettori universitari); 

-che, da ultimo, la direttiva 2003/109 CE, attuata dal d.lgs. 3/2007 e dalla legge 97/2013 consente 
ai cittadini di Stati estranei all'U.E., titolari di permessi di soggiorno di lunga durata, di 
accedere a pubblici impieghi eccezion fatta per quelli che comportino l'esercizio di poteri 
pubblici. 

5. Le doglianze della ricorrente vanno esaminate dividendo - in quanto profondamente differenti 
- le situazioni in fatto e in diritto, rispettivamente, successive e precedenti all'acquisto, 
da parte della ricorrente, della qualit� di titolare di permesso di soggiorno di lunga durata. 
Ci� alfine di verificare se in detti stati e con riferimento al bene della vita negato dal Miur 
alla ricorrente ed oggetto dell'odierna lite, che � costituito dalla pretesa di inserimento nelle 
graduatorie provinciali ad esaurimento, sia stata consumata o meno una discriminazione ai 
sensi dell'art. 43, primo comma, del d.lgs. 286/1998. 

5.1 Con riguardo alla situazione pi� recente ed attuale, va rilevato che la ricorrente ha acquistato 
lo status di titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo in data 27.10.2012 (doc. 
1 fasc. ric.) e cio� decorsi cinque anni dal suo ingresso regolare in Italia (pag. 2 ricorso) ai 
sensi dell'art. 9 del d.lgs. 286/1998 come interpolato dal d.lgs. 3/2007 attuativo della direttiva 
2003/109 CE (cfr in particolare art. 4). 
Va con ci� esclusa la rilevanza di tale status ai fini di indagare la discriminazione denunciata 
e ci� non solo perch� questa si riferisce ad atti gestori posti in essere dal Miur in periodi precedenti 
al 27.10.2012, ma soprattutto perch� le graduatorie provinciali per i docenti sono state 
definitivamente chiuse a nuovi ingressi (restando possibili solo aggiornamenti del punteggio 
e trasferimenti da una graduatoria provinciale all'altra) per effetto dell'art. 1, comma 605, lett. 
c) della legge 296/2006, vigente dal 1.1.2007, ad eccezione degli inserimenti - per il biennio 
2007-08 - dei docenti gi� in possesso di abilitazione o in procinto di conseguirla in quanto 
frequentanti i corsi abilitanti speciali ex dl. 97/2004, i corsi di specializzazione all'insegnamento 
secondario (SISS) o i corsi biennali accademici di secondo livello ad indirizzo didattico 
(COBASLID), o quelli di didattica della musica presso i Conservatori di musica e il corso di 
laurea in Scienza della formazione primaria. 
In altri termini, la ricorrente non pu� sostenere che il rifiuto di farla accedere alle graduatorie 
provinciali ad esaurimento sia discriminatorio traendo spunto dalla normativa che tutela i titolari 
di permesso di soggiorno di lunga durata giacch� ella ha acquisito detto status quando 
le graduatorie in questione erano chiuse per legge da anni a ingressi di nuovi docenti e ci� a 
prescindere dalla cittadinanza posseduta dagli stessi e, peraltro, in quanto oggetto di doglianza 
sono condotte precedenti all'acquisizione del permesso in questione. 
Occorre rilevare - per mera completezza di analisi - che, per effetto dell'approvazione della 
legge 6.8.2013 n. 97 (c.d. legge europea), a decorrere dal 4.9.13, l'art. 38 del d.lgs. 165/2001 

(c.d. T.U.P.I.) � stato modificato recependo pienamente gli obiettivi imposti dalla direttiva 


2003/109 CE relativa allo status dei cittadini di paesi esterni all'U.E. titolari di permesso di 
lungo soggiorno, cos� che i suddetti, al pari dei cittadini dell'Unione, possono oggi accedere 
ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche ". . . che non implicano esercizio diretto 

o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale" demandando 
ad un successivo D.P.C.M. l'individuazione concreta di detti posti e dei requisiti 
necessari per l'accesso ai posti in questione dei cittadini di paesi stranieri. Ne consegue che 
attualmente non pare revocabile in dubbio, in assenza del decreto attuativo della norma primaria 
(ma si pu� prendere come tertium comparationis il D.P.C.M. 7.2.1994 N. 174 con ci� 
escludendo che la docenza costituisca una funzione che comporta esercizio di poteri pubblici), 
che la ricorrente ha la possibilit� di accedere all'insegnamento al pari di una cittadina italiana 
o di altro Stato dell'U.E., per esempio attraverso supplenze conferite attingendo il suo nome 
dalle graduatorie di istituto, ma ci� ovviamente non le consente di accedere ad opportunit� 
(quale � l'iscrizione alle graduatorie provinciali ad esaurimento) precluse ratione temporis 
per legge a tutti i docenti, quale ne sia la cittadinanza. 


5.2 Ritiene il Tribunale che la denunciata discriminazione non sussista nemmeno con riferimento 
all'esclusione dalle graduatorie della ricorrente come cittadina di Stato esterno all'U.E. 

tout court. 

Va premesso che l'accesso al pubblico impiego costituisce materia connotata da un'insopprimibile 
peculiarit�, che deriva direttamente dalla Costituzione che, all'art. 51, chiarisce che 
l'estensione di tale prerogativa a categorie diverse dai cittadini dello Stato italiano � un'eccezione, 
il perimetro della quale deve essere disegnato dalla legge ordinaria e ci� in quanto l'art. 
98 Cost. prevede che gli impiegati pubblici sono vincolati ad un servizio da prestare "nell'esclusivo 
interesse della Nazione". 
La disamina del quadro normativo attuale non autorizza a ritenere che ai cittadini di Stati non 
appartenenti all'U.E. che non siano titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo sia stato 
attribuito il diritto ad accedere al pubblico impiego. 
Proprio il fatto che la legge europea del 2013 (n. 97 del 6.8.13) - che si prefigge lo scopo di 
attuare pienamente gli obblighi stabiliti dalla direttiva 109/2003 CE - ha sancito ai fini che ci 
occupano la completa parificazione ai cittadini italiani e comunitari dei cittadini di Stati esterni 
all'U.E. purch� titolari di permesso di lungo soggiorno, dimostra che coloro che sono sprovvisti 
di detto titolo non sono posti sullo stesso piano dei primi. Del resto, la novella in questione 
ha, per definizione, carattere eccezionale giacch� estende, come si � detto, una prerogativa in 
linea di principio riservata ai possessori dello status civitatis e la sua approvazione � stata preceduta 
da una procedura di infrazione (casi EU Pilot 1769/11/JUST e 2368/11/HOME citati 
nella rubrica dell'art. 7 della legge 97/13) aperta dalla Commissione U.E. nei confronti del-
l'Italia proprio a causa dell'inesatto adempimento degli obblighi imposti dalla direttiva 
109/2003. Il fatto che ci sia stato bisogno di un'apposita disposizione per affermare che gli 
stranieri titolari di permesso di lungo soggiorno possono accedere ai posti di impiego pubblico 
non comportanti esercizio di poteri pubblici conferma che tale prerogativa non era contemplata 

-in violazione della direttiva 109/2003 - dall'ordinamento interno precedente e che parimenti, 
allora come adesso, detta prerogativa non riguarda gli stranieri non titolari di permesso di 
soggiorno di lunga durata. 

5.3 Sebbene le osservazioni sin qui svolte appaiano assorbenti, mette conto rilevare che le 
conclusioni qui formulate non mutano alla luce degli altri parametri normativi invocati dalla 
difesa della ricorrente. 
In particolare, appare inconferente ai fini che ci occupano l'art. 2, comma 2 del d.lgs. 286/1998 


che attribuisce ai cittadini di Stati esterni all'U.E. l'eguaglianza dei diritti in materia civile, e 
del successivo comma 3 che richiama la convenzione OIL n. 143/1975 ratificata dall'Italia 
con la legge n. 158/1981, che non contiene alcuna norma che attribuisce ai cittadini stranieri 
il diritto di accesso al pubblico impiego. 
Inconferenti sono anche i riferimenti della difesa della ricorrente all'art. 49 del d.p.r. 349/1999, 
regolamento attuativo del testo unico in materia di cittadini stranieri, che riguarda il riconoscimento 
dei titoli abilitanti all'esercizio delle professioni e al d.lgs. 215/2003, inerente misure 
contro le discriminazioni basate sulla razza e l'origine etnica, attesa anche l'inequivocabile 
specificazione dell'art. 3, comma 2 di detta fonte: "Il presente decreto legislativo non riguarda 
le differenze di trattamento basate sulla nazionalit� e non pregiudica le disposizioni nazionali 
e le condizioni relative all'ingresso, al soggiorno, all'accesso all'occupazione, all'assistenza 
e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato, n� qualsiasi 
trattamento, adottato in base alla legge, derivante dalla condizione giuridica dei predetti 
soggetti". 

Confermano e non smentiscono l'assunto precedentemente esposto, in ragione del carattere 
di specialit� che le caratterizza, le norme dettate in materia di lettori e professori universitari 
(art. 27 del d.lgs. 286/1998) e di rifugiati (art. 25 d.lgs. 251/2007). Se l'ordinamento avesse 
previsto, in via generale e illimitata, che tutti i cittadini stranieri potessero accedere ai pubblici 
impieghi non comportanti l'esercizio di pubblici poteri, non vi sarebbe stata alcuna ragione di 
stabilire, nella seconda disposizione citata che "� consentito al titolare dello status di ri�giato 
l'accesso al pubblico impiego, con le modalit� e le limitazioni previste per i cittadini del-
l'Unione europea". 

Da ultimo, non pertinente � il riferimento all'art. 14 della CEDU che vieta ogni forma di discriminazione 
riguardante il godimento dei diritti e delle libert� fondamentali riconosciute 
dalla stessa convenzione, tra le quali non v'� l'accesso a pubblici impieghi e senza limiti a cittadini 
stranieri. 

5.4 Alla luce delle considerazioni tutte sin qui esposte, deve concludersi nel senso che la ricorrente 
non ha subito, una discriminazione illegittima ad opera del Miur, ma semplicemente 
l'applicazione delle disposizioni regolamentari applicative dell'art. 70, comma 13, del T.U.P.I. 
che, richiamando il d.p.r. 487/1994, riservava l'accesso al pubblico impiego ai cittadini italiani 
e a quelli di Stati dell'U.E., eccettuati i casi previsti dal D.P.C.M. 7.2.1994. 
Non vi sono ragioni per ritenere l'assetto normativo sin qui descritto seriamente sospetto di 
illegittimit� costituzionale: il fatto che la legge riconosca l'accesso al pubblico impiego solo 
a categorie di cittadini stranieri che hanno dimostrato di avere instaurato un legame stabile e 
non occasionale con il territorio dello Stato o tutelate in virt� del peculiare statuto internazionale 
(si pensi ai rifugiati) non sembra confliggere con l'art. 3 Cost. perch� la diversit� di trattamento 
non appare irragionevole, anche in considerazioni delle peculiarit� tipiche dello 
statuto del pubblico impiego, come disegnato dallo stesso Costituente agli artt. 51 e 98 Cost. 
Tale convincimento non � toccato dall'ordinanza n. 139/2011 della Corte Costituzionale menzionata 
dalla difesa della ricorrente che, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 38 TUPI sollevata dal Tribunale di Rimini, nella parte in cui detta norma 
preclude l'accesso al pubblico impiego dei cittadini di paesi esterni all'U.E., si � limitata a rilevare 
che l'ordinanza di rimessione era palesemente contraddittoria in quanto, pur avendo 
sostenuto una lettura delle norme che avrebbe superato il dubbio di costituzionalit� ipotizzato, 
ha posto la questione sol perch� l'amministrazione resistente in quel giudizio sosteneva una 
tesi differente senza con ci� patrocinare alcuna particolare ipotesi ermeneutica. 



6. Le domande articolate non possono trovare accoglimento neppure in base al preteso affidamento 
che la ricorrente sostiene avere maturato in ragione del comportamento tenuto dal-
l'amministrazione. � dirimente osservare al riguardo che, anche ammesso che dal compimento 
di atti gestori contra legem possa derivare un affidamento, la lesione dello stesso pu� determinare, 
al pi�, il risarcimento dei danni sofferti per avere ragionevolmente confidato nell'acquisizione 
di un certo diritto, nella misura dell'interesse negativo (ai sensi dell'art. 1337 c.c.) 
consistente nell'attribuzione di una somma equivalente a ci� che si � perduto per avere investito 
in una prospettiva poi non realizzatasi e non certamente l'attribuzione di un bene della 
vita che l'ordinamento non riconosce (cfr Cass., 21700/13; 14333/2003). 
7. Il rigetto della domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non, "patiti e patiendi" 
dalla ricorrente discende automaticamente da quanto statuito nei punti precedenti e, in ogni 
caso, consegue dal fatto che la pretesa non � sorretta, prima che dalla prova, neppure dall'individuazione 
delle voci di danno che dovrebbero essere ristorate. Il fatto che l'art. 28 del d.lgs. 
150/11 consenta espressamente che, con l'ordinanza definitoria del giudizio, il Giudice possa 
statuire sul risarcimento del danno, anche non patrimoniale (comma 5) non dispensa la ricorrente 
dagli oneri di allegazione e prova di avere sofferto il pregiudizio di cui chiede il ristoro. 
8. Visto l'art. 92 c.p.c., la complessit� della materia del contendere, esaltata dalla sommariet� 
del rito con cui la stessa viene trattata e l'esistenza di tensioni giurisprudenziali costituiscono 
ragioni sufficientemente gravi ed eccezionali per disporre l'integrale compensazione delle 
spese di lite tra tutte le parti in causa. 


P.Q.M. 

Visti gli artt. 44 del d.lgs. 286/1998, 28 del d.lgs. 150/2011 e 702 ter c.p.c.: 

- dichiara inammissibile l'intervento di FLC-CGIL - Camera del lavoro metropolitana di Genova; 
- dichiara inammissibile il ricorso nei confronti dell'Istituto Professionale per i servizi alberghieri 
e ristorazione IPSSARCT F. Cavallotti" di Citt� di Castello; 


-respinge nel resto il ricorso; 

-compensa integralmente le spese di lite tra tutte le parti in causa. 
Il Giudice 

Marco Medoro 
Si comunichi. 
Perugia, 27/03/2014 


Le astreintes nel processo civile e amministrativo 

CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, SENTENZA 25 GIUGNO 2014 N. 15 (*) 

Francesco Maria Ciaralli** 

SOMMARIO: Premessa - 1. Le origini e la natura dell�istituto. Profili comparatistici - 2. 
Le astreintes nell�ordinamento italiano. L�art. 614 bis c.p.c. - 3. Le misure coercitive indirette 
in diritto amministrativo. L�art. 114 c.p.a. a confronto con l�astreinte civilistico - 4. Il perimetro 
applicativo dell�astreinte secondo il Consiglio di Stato - 5. Rilievi conclusivi. 

Premessa 

L�esigenza di evitare che �una decisione giudiziale definitiva e vincolante 
resti inoperante a danno di una parte� (1) � all�origine della ricerca di strumenti 
compulsori suscettibili di indurre il soccombente ad eseguire la sentenza. 

L�esecuzione diretta, infatti, che consente di realizzare in via immediata 

(*) Sentenza gi� segnalata dall�avv. Stato D�Avanzo con l�e-mail che integralmente si riproduce: 

Da: Gabriella D'Avanzo [mailto:gabriella.davanzo@avvocaturastato.it] 
Inviato: gio 10/07/2014 16.51 

A: Avvocati_tutti 
Oggetto: Astreinte art. 114, comma 4 lett. e) c.p.a. 


Con la recente sentenza n. 15 del 2014 il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, ha affermato il seguente 
principio di diritto secondo cui �Nell�ambito del giudizio di ottemperanza la comminatoria delle 
penalit� di mora di cui all�art. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo, � ammissibile 
per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto 
prestazioni di natura pecuniaria�. 

La stessa pronuncia, tuttavia, si pronuncia in senso favorevole sul secondo ordine di motivi da noi proposto 
(e cio� che doveva ritenersi del tutto illegittima la liquidazione �automatica� della predetta misura, 
visto che la disposizione in esame consente il riconoscimento previa verifica dei presupposti cui il legislatore 
ha inteso subordinare la condanna) affermando che: �l�art. 114, comma 4 lett. e c.p.a., proprio 
in considerazione della specialit�� del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficolt� nel-
l�adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza 
di specifici interessi pubblici - ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquit�, previsto 
nel codice di rito civile (art. 614 bi c.p.a.) quello del tutto autonomo della sussistenza di altre ragioni 
ostative. 

Ferma restando l�assenza di preclusioni astratte sul piano dell�ammissibilit�, spetter� allora al giudice 
dell�ottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale, sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti 
che in sede di determinazione dell�ammontare della sanzione, verificare se le circostanze addotte 
dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne l�importo �.

�, pertanto, opportuno sollecitare l�Amministrazione intimata a comunicarci con assoluta tempestivit� 
quali adempimenti siano stati posti in essere per dare corso alle richieste dei ricorrenti, o le ragioni della 
mancata esecuzione del giudicato, posto che l�omessa produzione, da parte del debitore pubblico, di osservazioni 
sul punto indurr�, �in sede di verifica concreta�, il giudice dell�ottemperanza a ritenere la 
sussistenza dei presupposti stabiliti dall�art. 114 cit. per l�applicazione della sanzione di cui trattasi. 
Un caro saluti a tutti 
G 

(**) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 


il diritto oggetto del procedimento, senza necessit� di cooperazione alcuna da 
parte del debitore, non costituisce strumento efficace nelle ipotesi in cui la 
partecipazione dell�obbligato sia necessaria per conseguire il soddisfacimento 
del creditore. 

I mezzi esecutivi indiretti mirano, viceversa, ad �indurre� l�obbligato ad 
osservare quella condotta collaborativa che � indefettibile ai fini della realizzazione 
del diritto creditorio, provocando �l�adempimento mediante minaccia 
all�obbligato di una sanzione che gli arrechi uno svantaggio pi� grave di 
quello che gli arreca l�adempimento� (2). 

Il principale mezzo di coercizione indiretta, recentemente introdotto 
nell�ordinamento processuale italiano ma gi� da tempo noto in altre esperienze 
europee, si rinviene nel c.d. astreinte, definito come strumento a carattere 
esclusivamente patrimoniale che ha lo scopo di incentivare l�esecuzione di 
una sentenza attraverso la minaccia di condanna al pagamento di una somma 
di denaro, che diviene concreta nel caso di mancata o tardiva esecuzione del 
provvedimento del giudice (3). 

Tale strumento di coazione indiretta � attualmente operante, sia pur con talune 
rilevanti differenze, sia nel processo civile che in quello amministrativo (4). 
Proprio lo iato venutosi a creare nella formulazione del medesimo istituto da parte 
dei due codici di rito ha indotto il Consiglio di Stato a chiarire la ratio, i limiti e 
le peculiarit� dell�astreinte nel processo amministrativo, pronunciando in Adunanza 
Plenaria la sentenza numero 15 del 25 giugno 2014, qui in commento. 

(1) Cos� ha statuito la Corte Europea dei Diritti dell�Uomo in due arresti, sent. Hornsby c. Grecia, 
13 marzo 1997, nonch� Ventorio c. Italia, 17 maggio 2011, entrambe disponibili sul sito istituzionale 
della Corte. 
La relazione intercorrente tra l�irrogazione delle astreintes e le garanzie poste dalla Convenzione europea 
per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali � attentamente presa in considerazione 
dalla dottrina francese. In particolare, parte della dottrina sostiene l�estensione delle garanzie previste 
in materia penale anche ai procedimenti in esito ai quali vengono applicate astreintes, sulla base 
del carattere sostanzialmente afflittivo delle stesse (DECOCQ, L�application de la Convention europ�enne 
aux proc�dures communautaires de concurrence pouvant aboutir � des amendes ou � des astreintes, in 
M�langes en hommage � Louis Edmond Pettiti, Bruxelles, 1998, pp. 298 ss.). 
(2) PROTO PISANI, Appunti sull�esecuzione forzata, in Foro italiano, 1994, V, p. 306. 
(3) CAPPONI, Astreintes nel processo civile italiano?, in Giustizia civile, 1999, n. 4, p. 157. 




(4) L�art. 614 bis, rubricato �Attuazione degli obblighi di fare infungibili o di non fare�, � stato 
inserito nel codice di procedura civile dall�art. 49, comma primo, l. 18 giugno 2009, n. 69, con efficacia 
a decorrere dal 4 luglio 2009. 
L�art. 114, comma quarto, lett. e), codice del processo amministrativo, recato con d.lgs. 2 luglio 2010, 
n. 104, prevede in sede di ottemperanza l�irrogabilit�, su richiesta di parte, della condanna a versare una 
determinata somma di denaro per ogni violazione, inosservanza o ritardo del soccombente nell�esecuzione 
della sentenza. 
Le analogie e differenze tra l�applicazione delle astreintes nel processo civile e amministrativo sono 
esaminate funditus infra. 



1. Le origini e la natura dell�istituto. Profili comparatistici. 

Per quanto la funzione essenziale perseguita dall�astreinte sia la medesima 
in tutti gli ordinamenti nei quali � in vigore, l�istituto si atteggia diversamente 
per alcuni tratti della disciplina che ne determinano portata e incisivit�. 

Le prime applicazioni dei mezzi di esecuzione indiretta si rinvengono nel 
diritto romano classico, giusta il quale, nei casi di condanna a rilasciare un 
fondo o a realizzare un opus, �si stabiliva che il soccombente avrebbe dovuto 
in difetto pagare una somma pari ad una multa del valore del fondo o del-
l�opera da realizzare� (5). 

Giova porre in rilievo che secondo il diritto romano i mezzi di coazione 
indiretta erano irrogabili per assicurare l�esecuzione di qualunque sentenza di 
condanna, a prescindere dalla fungibilit� dell�oggetto, e si configuravano come 
misure alternative all�esecuzione. Viceversa, in epoca medievale l�applicazione 
degli strumenti di induzione all�adempimento era circoscritta ai casi in 
cui l�interesse del creditore non potesse essere soddisfatto attraverso l�esperimento 
dell�esecuzione diretta, abbisognando necessariamente della partecipazione 
del debitore. 

In Francia, madrepatria dell�astreinte e precursore - ancora una volta delle 
novelle codicistiche italiane, tale mezzo di coazione � stato per la prima 
volta formalizzato da una sentenza del Tribunale di Cray del 1811, mediante 
la quale il soccombente fu condannato a �compiere una pubblica ritrattazione 
sotto pena di dover pagare tre franchi per ogni giorno di ritardo nell�adempimento� 
(6); conseguentemente, l�astreinte fu strutturato come una pena privata, 
non avente il fine di riparare un pregiudizio bens� quello di �stimolare� 
il soccombente a conformarsi tempestivamente allo iussum del giudice (7). 

L�art. 1036 dell�abrogato codice di procedura civile stabiliva che: �Les 
tribunaux, suivant a gravit� des circostances, pourront, dans les causes dont 
ils seront saisis, pronocer, meme d�office, des injonctions�, le quali si qualificavano 
come vera e propria sanzione accessoria avente il fine di colmare il 
vuoto tra i tradizionali mezzi di esecuzione forzata e la �rassegnazione� all�inadempimento 
dell�ordine giudiziale (8). 

La legge 5 luglio 1972, n. 626, ha qualificato l�astreinte come sanzione 

(5) CRIVELLI, Penalit� di mora, astreintes, figura consimili, in I danni risarcibili nella responsabilit� 
civile, Il danno in generale, Torino, 2005, p. 462. 
(6) TRAPUZZANO, Le misure coercivite indirette, Padova, 2011, p. 27 s. 


(7) L�art. 6, legge 5 luglio 1972, qualifica l�astreinte come �ind�pendente des dommages-int�rets� 
e dunque se ne palesa la natura di sanzione civile indiretta, mirante a punire l�inosservanza di un ordine 
e non a riparare un pregiudizio patrimoniale. 
Occorre rilevare che nell�ordinamento francese l�astreinte, antecedentemente alla menzionata legge del 
1972, si configurava come un istituto di diritto pretorio, nato dall�esigenza di superare il principio della 
piena alternativit� tra risarcimento del danno ed esecuzione in forma specifica sancito dal Code Napol�on, 
in ossequio ai canoni liberal-individualistici di ripulsa da ogni mezzo coercitivo che colpisse la 
sfera giuridica dei privati. 



oggetto di condanna accessoria il cui adempimento non estingue l�obbligazione 
principale. Conseguentemente, il soccombente pu� essere condannato 
a corrispondere un determinato importo al creditore vittorioso a prescindere 
dall�allegazione di un danno ed in aggiunta al risarcimento del medesimo, 
stante la cumulabilit� della misura reintegrativa con quella sanzionatoria. 

Inoltre, per quanto concerne la giustizia amministrativa, la legge 8 febbraio 
1995 ha conferito sia ai Tribunaux Administratifs sia alle Cours Administratives 
d�Appel il potere di irrogare a carico dell�Amministrazione, gi� in 
sede di pronuncia sul merito, l�astreinte in funzione dissuasiva per ogni successivo 
inadempimento alla sentenza. 

Occorre rilevare che nell�ordinamento francese, al pari di quello romano, 
l�astreinte � comminabile per indurre il soccombente ad eseguire ogni sentenza 
di condanna, non rilevando che la condotta ordinata sia infungibile, come statuito 
peraltro dalla giurisprudenza di legittimit� in numerosi arresti (9). 

Da ci� discende che lo strumento in esame � costruito, nell�ordinamento 
francese, come mezzo sanzionatorio che giustifica un trasferimento di ricchezza 
dal soccombente inadempiente al creditore vittorioso e che, in ossequio 
alla sua natura meramente compulsorio-retributiva, mira a �punire� l�inosservanza 
di ogni tipo di sentenza di condanna, indipendentemente dalla fungibilit� 
della prestazione ordinata dal giudice. 

Ulteriore conseguenza � la possibilit� di concorso tra due distinte procedure 
esecutive, una per l�astreinte e l�altra per l�esecuzione forzata della prestazione 
originaria (10). 

Emerge qui una rilevante differenza tra la struttura dell�astreinte vigente 
nel diritto processuale francese ed i connotati essenziali degli analoghi strumenti 
diffusi negli altri ordinamenti europei. 

La natura compulsoria dell�istituto, infatti, mirante a punire una disobbedienza 
all�ordine del giudice prescindendo dall�allegazione e dalla dimostrazione 
di un qualunque pregiudizio sub�to dal creditore, ha indotto i 
legislatori tedesco ed inglese ad individuare nello Stato il destinatario dell�importo 
che il soccombente inadempiente � condannato a corrispondere (11). 

(8) PERROT, L�effettivit� dei provvedimenti giudiziari nel diritto civile, commerciale e del lavoro 
in Francia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1985, p. 1588, riportato in CRIVELLI, op. cit., p. 463. 
(9) Si veda la decisione del 20 dicembre 1993, in Bullettin Civil de la Cour de Cassation, 1993, 
I, p. 380. 
(10) TRAPUZZANO, op. cit., p. 29. 


(11) Sia la misura coercitiva tedesca (Zwangsgeld) sia quella inglese (Contempt of the Court) 
sono suscettibili di conversione in arresto qualora il patrimonio dell�obbligato non sia capiente, in applicazione 
di istituti rispettivamente denominati Zwangsgeld/Ordnungshaft ed arrest for the Contempt 
of the Court. 
Per un esame approfondito delle applicazioni dell�astreinte negli ordinamenti di civil law e common 
law, si veda PUCCIARIELLO - FANELLI, L�esperienza straniera dell�esecuzione forzata indiretta, in CAPPONI, 
L�esecuzione processuale indiretta, Milano, 2011. 



Alla stregua della legislazione inglese e tedesca, dunque, non pu� tradursi 
in arricchimento del creditore vittorioso la sanzione irrogata per mera inosservanza 
di un comando dell�autorit� giudiziaria, perch� altrimenti quest�ultimo 
conseguirebbe un vantaggio patrimoniale surrogandosi, nei fatti, allo 
Stato il cui comando � rimasto ineseguito (12). 

Non si pu� omettere di rilevare, tuttavia, il deficit di effettivit� in cui l�istituto 
dell�astreinte cos� concepito potrebbe incorrere qualora debitrice soccombente 
fosse una Pubblica Amministrazione, poich� in tal caso si verificherebbe 
il fenomeno per cui lo Stato persona sarebbe condannato a corrispondere una 
sanzione pecuniaria allo Stato comunit�, sub specie, tuttavia, proprio di un�articolazione 
dello Stato persona. 

Un�ulteriore articolazione si sviluppa poi tra gli ordinamenti inglese e tedesco, 
poich� in quest�ultimo l�astreinte pu� assistere esclusivamente gli obblighi 
di fare infungibile o di non fare, che non possono essere adempiuti senza 
la collaborazione del debitore e abbisognano quindi di uno strumento coercitivo 
- beninteso a carattere patrimoniale - di �persuasione�, non pleonastico 
con riferimento invece agli obblighi a contenuto fungibile, per la realizzazione 
dei quali l�esecuzione forzata costituisce uno strumento sufficiente. 

Proprio le caratteristiche assunte dall�istituto nei vari ordinamenti in cui 
� operante consentono di apprezzarne meglio la natura, unica nonostante le 
specificit� nazionali. 

Sul piano funzionale, la tutela coercitiva, mirante a prevenire la verificazione 
di un pregiudizio, � distinta dalla tutela risarcitoria, la quale ha invece lo 
scopo di neutralizzare successivamente un pregiudizio gi� verificatosi, attraverso 
la reintegrazione in forma specifica del bene danneggiato o, nei casi in 
cui ci� non sia possibile, attraverso l�attribuzione di una somma di denaro (13). 

Sul piano dogmatico, la dottrina, pressoch� unanime (14), qualifica 
l�astreinte come strumento di esecuzione indiretta che tende �ad influire sulla 
volont� dell�obbligato perch� si determini a prestare ci� che deve� (15), cui 
si aggiunge la finalit� di retribuire la disobbedienza ad un ordine del giudice. 
Se questo � il tratto comune a tutte le applicazioni dell�istituto, le legislazioni 
nazionali pongono diverso accento sulla finalit� compulsoria ovvero retributiva 
dell�astreinte. 

(12) Soprattutto in Germania, l�astreinte ha una marcata connotazione pubblicistica, �la cui funzione 
prevalente � identificata dall�esigenza di rafforzamento del prestigio e dell�autorit� delle decisioni 
giudiziarie� (TRAPUZZANO, op. cit., p. 32). 
(13) TRAPUZZANO, op. cit., p. 96. 


(14) Autorevole, sia pur minoritaria, dottrina contesta che gli strumenti di coercizione indiretta 
rientrino nel novero dei mezzi esecutivi, in quanto miranti ad ottenere l�osservanza di un precetto giuridico 
ad opera del debitore soccombente, sia pure attraverso il �meccanismo della coazione psicologica�, 
mentre il quid proprium dei procedimenti esecutivi risiederebbe nel �prescindere totalmente 
dalla volont� e dall�attivit� del soggetto obbligato� (MONTELEONE, Recenti sviluppi nella dottrina del-
l�esecuzione forzata, in Riv. dir. proc., 1982, p. 296). 



Ove maggiore rilevanza viene annessa all�esigenza di punire la disobbedienza 
ad una sentenza (Germania e Regno Unito), l�astreinte � configurato 
come sanzione pecuniaria da corrispondere allo Stato, quale ente 
esponenziale anche del potere (giudiziario) la cui decisione � stata colpevolmente 
disattesa. 

Ove, invece, fa premio l�esigenza di assicurare la realizzazione dell�interesse 
creditorio (Francia), l�importo � direttamente devoluto alla parte che 
ha prevalso in giudizio, non a titolo di risarcimento del danno bens� quale 
strumento per dissuadere il debitore soccombente dal procrastinare l�inadempimento. 


Ulteriore differenza si riscontra per quanto concerne le condotte coercibili, 
sia pure indirettamente, mediante astreintes. In taluni ordinamenti (Germania, 
Romania, Grecia, Slovenia e, parzialmente, Italia) lo strumento � 
concepito per assistere le sole sentenze di condanna il cui adempimento non 
pu� essere utilmente assicurato tramite esecuzione forzata, quali quelle che 
ordinano una condotta di fare infungibile o non fare, mentre in altri ordinamenti 
(Francia, Regno Unito e, parzialmente, Italia) l�astreinte � configurato 
come un rimedio di carattere generale, impiegabile a prescindere dalla qualificazione 
della condotta ordinata con la condanna. 

2. Le astreintes nell�ordinamento italiano. L�art. 614 bis c.p.c. 

Il processo che ha condotto all�introduzione delle misure coercitive indirette 
nell�ordinamento italiano � stato lungo ed articolato, poich� molto hanno 
pesato le diffidenze liberal-individualistiche verso strumenti che si riteneva 
integrassero �una forma di eccessiva ingerenza dello Stato nelle libere scelte 
degli individui anche in merito all�osservanza, in forma specifica o meno, di 
un comando giudiziale� (16). 

Tuttavia, e sia pur limitatamente ai soli obblighi di facere e non facere, 
gi� nel 1923 l�art. 667 del Progetto Carnelutti affermava che �Se l�obbligo 
consiste nel fare o non fare, il creditore pu� chiedere che il debitore sia condannato 
a pagargli una pena pecuniaria per ogni giorno di ritardo nell�adempimento 
a partire dal giorno stabilito dal giudice�. Nei medesimi termini, 
inoltre, si esprimeva il disegno di legge Reale risalente al 1975. 

La dottrina italiana, nonostante le resistenze riscontrate in sede legislativa, 
aveva in ogni caso raggiunto un consenso nell�escludere che la tutela tramite 
astreintes fosse ammissibile nei casi in cui fosse viceversa esperibile 

(15) CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1953, p. 252 

(16) In tali termini si esprime il Consiglio di Stato nella sentenza in commento. 
La preoccupazione per una eccessiva ingerenza dei pubblici poteri � sentita anche dalla pi� recente dottrina, 
secondo cui l�uso delle misure coercitive �deve essere pur sempre cauto e limitato, appunto per 
non ledere in modo non tollerabile le sfere di libert� individuale� (TRAPUZZANO, op. cit., p. 95). 


l�esecuzione diretta (17). Tale convinzione ha goduto di una duratura influenza, 
sino a costituire una delle ragioni che hanno indotto il Consiglio di 
Stato a pronunciare, in Adunanza Plenaria, la sentenza in commento. 

Misure coercitive indirette di carattere pecuniario sono state introdotte, 
prima della novella del 2009 al codice di procedura civile, solo con riguardo 
ad ipotesi previste da leggi speciali ed insuscettibili di applicazione analogica. 

Tra le principali applicazioni dell�istituto � da menzionare l�art. 18, ult. 
comma, della l. 20 maggio 1970, n. 300, cosiddetto Statuto dei lavoratori, in 
virt� del quale, nei casi di licenziamento illegittimo di dirigenti delle rappresentanze 
sindacali aziendali, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza 
che dispone la reintegra � tenuto, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a 
favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari alla retribuzione 
dovuta al lavoratore (18). 

Ulteriori sanzioni pecuniarie sono previste dagli artt. 124, comma 2, e 
131, comma 2 del codice della propriet� industriale, nonch� dall�art. 156 della 
legge sul diritto d�autore, che dispongono l�irrogazione della misura nei casi 
in cui l�autore della violazione non ottemperi alla pronuncia inibitoria. Tali 
norme perseguono una funzione preventiva, in quanto mirano a dissuadere il 
soccombente dal reiterare l�illecito. 

Occorre tuttavia segnalare che, nei casi da ultimo citati, autorevole dottrina 
ha espresso riserve sull�autonomia delle misure in parola dalla riparazione, sia 
pure indiretta, del pregiudizio insito nella prosecuzione di una condotta attuata 
in violazione dell�altrui diritto d�autore o di privativa industriale (19). 

Per quanto concerne, inoltre, la materia dei ritardi nei pagamenti delle 
transazioni commerciali, nei casi in cui sia accertata l�iniquit� dell�accordo 
sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardo, il giudice pu� disporre, 
anche su richiesta dell�associazione esponenziale procedente, il pagamento 
di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell�adempimento 
da parte del soccombente (art. 8, comma 3, d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231). 

Tra le misure coercitive previste da leggi speciali, particolare rilevanza 
va annessa al cosiddetto astreinte consumeristico, previsto dall�art. 140, 
comma sette, del codice del consumo. In virt� di tale disposizione il giudice, 
con il provvedimento che definisce il giudizio, fissa un termine per l�adempimento 
degli obblighi stabiliti e, anche su domanda della parte attrice, dispone 
il pagamento di una somma di denaro per ogni inadempimento ovvero giorno 
di ritardo rapportati alla gravit� del fatto (20). 

Occorre evidenziare che in materia di protezione dei consumatori, cos� 

(17) La dottrina civilistica maggioritaria rileva infatti che con lo strumento dell�astreinte �si vuole 
conferire una tutela effettiva per gli obblighi non suscettibili della tutela surrogatoria offerta dell�esecuzione 
forzata� (CRIVELLI, op. cit., p. 464). 
(18) � rilevante evidenziare che secondo lo Statuto dei lavoratori, dunque, destinatario del-
l�astreinte non � il lavoratore leso, in armonia con la natura di sanzione civile indiretta dell�istituto. 



come dei lavoratori illegittimamente licenziati, l�importo dovuto dal soccombente 
inadempiente non � destinato alla parte vittoriosa in giudizio, bens� ad 
un fondo pubblico, in armonia con la natura retributiva e non riparatoria del-
l�astreinte. Dispone, infatti, l�art. 140, comma 7, ult. periodo, codice del consumo, 
che le somme determinate dal giudice devono essere versate 

�all�entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con decreto del 
Ministro dell�economia e delle finanze al fondo da istituire nell�ambito di apposita 
unit� previsionale di base dello stato di previsione del Ministro delle 
attivit� prodottive [attualmente, Ministro dello sviluppo economico, n.d.r.], 
per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori�. 

Un�ulteriore ipotesi di astreinte, inserita nel codice di rito dalla legge 8 
febbraio 2006, n. 54, si rinviene nell�art. 709 ter, secondo comma, n. 4), c.p.c., 
giusta il quale nell�ambito di controversie insorte tra genitori in ordine all�esercizio 
della potest� genitoriale o delle modalit� di affidamento, il giudice pu� 
condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa 
pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. 

� gi� possibile, dunque, trarre qualche conclusione dalla disamina delle 
fattispecie di astreintes previste nell�ordinamento italiano prima del 2009. Il 
legislatore, in tutti gli interventi presi in considerazione, ha circoscritto l�applicabilit� 
delle misure coercitive indirette ai soli casi in cui l�esecuzione forzata, 
attesa l�infungibilit� dell�obbligo rimasto inadempiuto, non � utilmente 

(19) Parte della dottrina ha, conseguentemente, configurato le misure in esame come preordinate 
al �risarcimento di danni futuri�, poich�, nel caso in cui vengano violate disposizioni inibitorie in materia 
di marchi, brevetti e diritti d�autore, �la riduzione in pristino � estremamente difficoltosa e in certi 
casi sostanzialmente impossibile, e rispetto alla violazione la tutela risarcitoria si mostra davvero carente� 
(CRIVELLI, op. cit., p. 466). 
Autorevole dottrina ha osservato, invece, che pu� configurarsi un risarcimento solo qualora il danno si 
sia gi� effettivamente verificato ovvero concorrano tutte le condizioni per il suo prodursi in futuro, non 
potendosi sostenere che, in materia di obblighi di non fare, il semplice ritardo determini ipso facto l�insorgere 
di un pregiudizio che l�attore non deve allegare n� provare (FRIGNANI, Le penalit� di mora e le 
astreintes nei diritto che si ispirano al modello francese, in Riv. Dir. Civ. 1981, p. 524). 
La giurisprudenza di merito ha valorizzato la natura sanzionatoria delle misure coercitive in oggetto, 
statuendo la qualificazione in termini risarcitori �non pare corretta dato che, prescindendo dall�anomalia 
di una condanna relativa a fatti futuri ed eventuali e di una liquidazione anticipata del danno che pare 
corrispondere pi� alla logica dell�autonomia privata che alla ratio ed ai limiti dell�intervento del legislatore, 
sembra invero pi� esatto ritenere che la penale in questione debba essere intesa quale forma di 
esecuzione e di rafforzamento del provvedimento di inibitoria e sia quindi del tutto svincolata dalla pronuncia 
di condanna al risarcimento del danno� (Trib. Milano 18 maggio 1978, in Giurisprudenza annotata 
di diritto industriale, 1978, p. 1052, tratta da CRIVELLI, op. cit., p. 467. � opportuno rilevare che, 
pi� recentemente, anche la giurisprudenza di legittimit� � pervenuta alle stesse conclusioni dei giudici 
di merito; si veda, in proposito, la Cass. n. 613/2003). 
(20) Per quanto concerne, inoltre, l�inadempimento degli obblighi previsti dal verbale di conciliazione, 
debitamente sottoscritto e depositato per l�omologazione nella cancelleria del Tribunale del 
luogo nel quale si � svolto il procedimento di conciliazione, le parti possono adire il Tribunale medesimo 
in camera di consiglio affinch�, accertato l�inadempimento, disponga l�astreinte (art. 140, comma 7, secondo 
periodo, codice del consumo). 



esperibile, in armonia con la tradizionale dicotomia tra mezzi di surrogazione 
e mezzi di coazione (21). 

La limitazione dell�astreinte ai soli obblighi infungibili ha indotto la giurisprudenza 
di legittimit� a precisare i requisiti il cui concorso identifica una 
res fungibile, qualificandosi come tali solo le cose �individualizzate e diversificate, 
nella valutazione sociale, dai loro elementi strutturali e dalla loro 
funzione, s� da essere esclusa ogni sostituibilit� e surrogabilit� � (22). 

Inoltre, in conformit� alla natura sanzionatoria dell�astreinte, il legislatore 
non ha sovente ritenuto che il mero inadempimento dell�obbligato, disgiunto 
da qualsiasi dimostrazione di un danno sofferto dall�avente diritto, possa costituire 
titolo per un arricchimento della parte vittoriosa in giudizio, destinando 
di conseguenza gli importi ad un organismo pubblico. 

Tale situazione � stata parzialmente innovata dall�introduzione nel codice 
di procedura civile, ad opera della legge 18 giugno 2009, n. 69, di una figura 
generale di astreinte preordinata ad assicurare l�attuazione degli obblighi di 
fare infungibile e di non fare (23). 

Ai sensi dell�art. 614 bis, dunque, il giudice pu�, con il provvedimento 
di condanna, determinare su richiesta di parte la somma di denaro dovuta 
dall�obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni 
ritardo nell�esecuzione del provvedimento. 

Requisito negativo della fattispecie � costituito dalla �manifesta iniquit�� 
dell�irrogazione dell�astreinte, il cui ammontare � determinato �tenuto conto 
del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato 
o prevedibile e di ogni altra circostanza utile� (24). 

La caratteristica saliente dell�istituto si rinviene nel potere attribuito al 
giudice di comminare l�astreinte gi� nel giudizio di cognizione, con il prov


(21) CHIOVENDA, ibidem. 

(22) Cass. 24 novembre 1977, n. 5113, in GC, 1978, I, p. 471, citata da TRAPUZZANO, op. cit., p. 
149 s. La Suprema Corte ha delineato, altres�, la nozione di res infungibile per volont� delle parti, statuendo 
che le parti contraenti �possono considerare e valutare come infungibile una cosa fungibile per 
sua natura, attribuendo rilevanza e preminenza a determinate sue caratteristiche individualizzanti che, 
nella valutazione sociale, non costituiscono elementi strutturali essenziali, mentre non possono trasformare 
in fungibile una cosa infungibile, come i beni immobili, rispetto ai quali la localizzazione e la confinazione 
costituiscono elementi strutturali essenziali, con caratteri individualizzanti e diversificanti�. 
(23) � rilevante notare che la rubrica dell�art. 614 bis c.p.c., introdotto con la novella del 2009, 
fa riferimento agli obblighi di fare infungibile e di non fare, senza specificare se anche con riferimento 
alle condotte di disfare sia necessario il requisito di infungibilit� dell�obbligo ai fini dell�applicazione 
della nuova disciplina (CAPPONI, op. cit., p. 5). 
Un indirizzo minoritario in dottrina ha argomentato, proprio a partire dalla ellittica formulazione della 
rubrica, l�applicabilit� dell�astreinte civilistico a tutti gli obblighi di fare e disfare, a prescindere dal-
l�infungibilit�, stante il noto brocardo secondo cui �rubrica non est lex� (SALETTI, Commentario alla 
riforma del codice di procedura civile (legge 18 giugno 2009, n. 69), Torino, 2009, p. 192 s.). 
(24) A ci� aggiungasi che la nuova e generale fattispecie di astreinte non si applica �alle controversie 
di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa 
di cui all�art. 409�, ai sensi dell�art. 614 bis, comma 1, ult. periodo, c.p.c. 



vedimento che definisce il merito, anteriormente, quindi, alla verificazione 
dell�inadempimento da parte del soccombente alla sentenza di condanna (25). 

L�astreinte ex art. 614 bis c.p.c. si configura, quindi, come �sanzione ad 
esecuzione differita, in quanto la sentenza che la commina si atteggia a condanna 
condizionata (o in futuro) al fatto eventuale dell�inadempimento del 
precetto giudiziario nel termine all�uopo contestualmente fissato� (26). � inoltre 
il caso di rilevare che, per espressa disposizione del codice di rito, il provvedimento 
di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle 
somme dovute per ogni violazione o inosservanza. 

3. Le misure coercitive indirette in diritto amministrativo. L�art. 114 c.p.a. a 
confronto con l�astreinte civilistico. 

Abbiamo gi� avuto modo di osservare come in Francia, ordinamento 
d�origine delle misure coercitive indirette, le astreintes siano irrogabili, come 
strumento di �pressione� sull�Amministrazione inadempiente, con la sentenza 
che definisce il merito sia dai Tribunali amministrativi che dalle Corti amministrative 
d�appello (27). 

Inoltre, nei casi in cui l�esecuzione della sentenza postuli l�adozione di 
un provvedimento avente contenuto vincolato, l�Autorit� giudiziaria amministrativa 
d�Oltralpe ha il potere di ordinare all�Amministrazione soccombente 
l�adozione di tale atto nonch� di fissare un termine entro il quale 
adempiere (28). 

Il d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, ha introdotto anche nel processo amministrativo 
italiano l�istituto dell�astreinte, sia pure con talune rilevanti differenze 
rispetto al modello francese. 

L�art. 114, comma 4, lett. e), attribuisce al giudice amministrativo il potere 
di fissare, su richiesta di parte, �la somma di denaro dovuta dal resistente per 
ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell�esecuzione 
del giudicato�. A differenza dell�ordinamento francese, in Italia 
l�astreinte pu� essere irrogato solo in sede di ottemperanza e non anche di me


(25) La giurisprudenza maggioritaria ritiene che le misure coercitive indirette siano applicabili 
anche ai provvedimenti cautelari, atteso il riferimento dell�art. 614 bis ad ogni decisione avente contenuto 
condannatorio (Trib. Verona, 9 marzo 2010, in G. mer. 10, 7-8, p. 1857; nonch� Trib. Bari 10 maggio 
2011, in DeJure, riportati in CARPI - TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 
2013, p. 2853). 
(26) In tali termini si esprime, in sede ricognitiva delle disposizioni civilistiche in materia di 
astreinte, la sentenza qui annotata. 
(27) Il decreto 30 luglio 1963 in origine riservava al solo Conseil d�Etat il potere di comminare 
misure coercitive patrimoniali a carico della Pubblica Amministrazione inadempiente. 
(28) L�azione di esatto adempimento, in esito alla quale il giudice ha il potere di ordinare all�Amministrazione 
di adottare il provvedimento satisfattorio, � prevista nel nostro ordinamento dall�art. 31, 
comma 3, c.p.a. in materia di silenzio; dall�art. 124 c.p.a. in materia di contratti pubblici; nonch� dall�art. 
4, d.lgs. 198/2009, nell�ambito dell�azione collettiva di classe (cfr. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, 
Roma, 2014, p. 19 s.). 



rito, da ci� discendendo che nel processo amministrativo italiano la misura 
coercitiva non si configura come sanzione ad esecuzione differita, destinata a 
divenire attuale se ed in quanto l�Amministrazione non esegua l�ordine contenuto 
nella sentenza di merito, ma presuppone che l�inadempimento del debitore 
sia gi� stato accertato dal giudice dell�ottemperanza (29). 

L�astreinte amministrativistico contempla, inoltre, due requisiti negativi, 
cio� che il provvedimento di condanna alla misura coercitiva non sia �manifestamente 
iniquo� e che non ricorrano �ragioni ostative�, quest�ultimo requisito 
non previsto dalla corrispondente fattispecie civilistica. 

L�art. 114 c.p.a. tace, a differenza dell�art. 614 bis c.p.c., sia sui parametri 
in base ai quali calcolare il quantum della sanzione sia sui genera di condotte 
che possono essere assisti dallo strumento in esame. Dottrina e giurisprudenza 
hanno avuto, dunque, il compito di chiarire il perimetro applicativo dell�art. 
114 c.p.a., profilandosi due opzioni ermeneutiche che tra loro si distinguono 
in base alla ricostruzione della ratio nonch� in base all�autonomia che viene 
annessa all�istituto di diritto amministrativo rispetto alla generale previsione 
di astreinte prevista nel codice di procedura civile. 

Secondo un pi� risalente orientamento, �tutte le volte in cui un obbligo 
sia eseguibile in una delle forme tipiche di esecuzione non � ammissibile la 
tutela indiretta� (30), in virt� della considerazione secondo cui comminare 
una misura coercitiva nelle ipotesi in cui siano utilmente esperibili rimedi surrogatori 
vulnererebbe la ratio stessa dell�istituto, preordinato ad assicurare 
uno strumento di �pressione� nei casi in cui, attesa l�infungibilit� della condotta, 
la soddisfazione del creditore non pu� prescindere dalla collaborazione 
dell�obbligato soccombente (31). 

Tale orientamento dottrinario, di conseguenza, recisamente nega la possibilit� 
di ricorrere all�astreinte per assicurare l�esecuzione di una condotta 
fungibile, ed in particolare di dare pecuniario. Inoltre, a prescindere da ogni 
discorso sulla struttura ontologica dell�istituto, la cumulabilit� della somma ricevuta 
a titolo di astreinte con gli interessi legali sarebbe suscettibile di condurre 
ad una �duplicazione ingiustificata delle misure volte a ridurre l�entit� 

(29) Si veda in proposito CLARIZIA, Resoconto del seminario sui Libri IV e V (ottemperanza, riti 
speciali e norme finali) del progetto di Codice del processo amministrativo, svoltosi il 7 maggio 2010 
presso l�Istituto per le ricerche e attivit� educative - Napoli; in giustamm.it. 
La giurisprudenza ha altres� ritenuto che possa farsi luogo all�astreinte solo qualora la sentenza le cui 
prescrizioni si assumono violate sia passata in giudicato (Tar Basilicata, 21 luglio 2011, n. 416, citato 
in FERRARI, Il nuovo codice del processo amministrativo, Roma, 2012, p. 587). 
(30) CRIVELLI, op. cit., p. 466; in termini sostanzialmente analoghi MANDRIOLI, Diritto processuale 
civile, Torino, 2011, p. 177 ss. Sorprendentemente, dopo aver rilevato che �la norma di cui all�art. 114 
in commento ha aspetti affini all�istituto del processo civile�, non si esprime sul punto VITOCOLONNA, 
in GAROFOLI - FERRARI, Codice del processo amministrativo, Roma, 2010, p. 1571 s. 
(31) CHIOVENDA, ibidem, costruisce in modo rigidamente dicotomico le misure di surrogazione e 
quelle compulsorie, esperibili qualora l�infungibilit� dell�obbligo non renda possibile l�esecuzione diretta. 



del pregiudizio� (32), finanche con la conseguenza paradossale che tale cumulo 
possa raggiungere un ammontare maggiore della sorte per cui � stata proposta 
l�azione, determinando un ingiustificato arricchimento per il creditore. 

Un altro indirizzo dottrinario, accolto dalla giurisprudenza maggioritaria 
(33), sostiene invece che, in termini di ratio, nulla osta all�applicazione delle 
misure coercitive anche al di fuori del tradizionale perimetro degli obblighi 
infungibili. In particolare, finalit� dell�astreinte sarebbe quella di sanzionare 
la mancata conformazione del soccombente all�ordine del giudice, non rilevando 
in chiave strutturale il genus della condotta rimasta inadempiuta, analogamente 
a quanto, del resto, � previsto nell�ordinamento francese (34). 

Deporrebbe, inoltre, a favore dell�interpretazione estensiva l�argomento 
a contrario, atteso che il legislatore quando ha inteso circoscrivere l�astreinte 
alle sole condotte infungibili lo ha statuito espressamente (art. 614 bis c.p.c. 
nonch� ipotesi previste dalle leggi speciali), mentre l�art. 114 c.p.a. nulla dispone 
al riguardo. 

4. Il perimetro applicativo dell�astreinte secondo il Consiglio di Stato. 

L�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha accolto l�opzione ermeneutica 
estensiva, enunciando il seguente principio di diritto: �Nell�ambito 
del giudizio di ottemperanza la comminatoria della penalit� di mora di cui 
all�art. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo, � ammissibile 
per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi 
comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria�. 

L�Adunanza Plenaria � giunta a tale conclusione valorizzando il dato letterale 
dell�art. 114 c.p.a., che non contiene - a differenza dell�art. 614 bis c.p.c. 

-alcuna espressa limitazione del perimetro applicativo dell�astreinte ai soli 
obblighi infungibili di facere e non facere. Stante il noto brocardo �ubi lex 
voluit dixit, ubi noluit tacuit�, � preferibile l�interpretazione secondo cui il legislatore, 
in considerazione delle peculiarit� del processo amministrativo, non 
abbia voluto circoscrivere il raggio d�azione delle misure coercitive a determinate 
condotte. 

Non pu� neanche sostenersi, secondo il Consiglio di Stato, che l�astreinte 
debba essere limitato ai soli obblighi fungibili in virt� di un limite intrinseco 
alla sua natura, dato che proprio in Francia, �madrepatria� delle misure coercitive 
indirette, tale istituto � configurato come sanzione per punire ogni disobbedienza 
all�ordine del giudice, a prescindere dal suo contenuto. 

Il Consiglio di Stato prende altres� in considerazione l�argomento, for


(32) Cons. Sato, Sez. III, 6 dicembre 2013, n. 5819, in collegiumiuris.it. 

(33) Ex multis, tra le pi� recenti, Cons. Stat., Sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462, in gazzattaamministrativa.
it.; nonch� Cons. Stat., Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3781, in giustamm.it. 
(34) Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688, in giustamm.it. Per l�astreinte nell�ordinamento 
francese si veda, anche per i riferimenti bibliografici, supra il paragrafo 2. 



mulato dalla Difesa erariale, secondo cui l�estensione dell�astreinte nel giudizio 
di ottemperanza anche agli obblighi infungibili ed, in particolare, a quelli 
di �dare pecuniario� produrrebbe uno squilibrio rispetto al processo civile, 
ove invece le misure coercitive sono irrogabili solo per assistere un obbligo 
infungibile. Ne conseguirebbe una disparit� di trattamento per la Pubblica Amministrazione 
debitrice inadempiente, a differenza dei soggetti privati contro 
cui pu� agirsi esclusivamente ex art. 614 bis c.p.c. 

Il Consiglio di Stato ha ritenuto tale obiezione superabile, in virt� della 
considerazione secondo cui l�art. 114 c.p.a. �si inserisce armonicamente in una 
struttura del giudizio di ottemperanza complessivamente considerata, proprio 
per la specialit� del debitore, da un potere di intervento del giudice particolarmente 
intenso, come testimoniato dall�assenza del limite dell�infungibilit� 
della prestazione, dalla previsione di una giurisdizione di merito e dall�adozione 
di un modello surrogatorio di tutela esclusiva�. 

La sentenza in commento ha, inoltre, evidenziato che l�art. 114 c.p.a. 
contempla un limite aggiuntivo a quello della �manifesta iniquit�� previsto 
dall�art. 614 bis c.p.c., in quanto subordina l�irrogazione dell�astreinte al requisito 
negativo della sussistenza di �altre ragioni ostative�. 

Da ci� discende che, proprio in ragione delle �difficolt� nell�adempimento 
collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica 
e alla rilevanza di specifici interessi pubblici�, spetter� volta per volta 
al giudice dell�ottemperanza, �dotato di un ampio potere discrezionale sia in 
sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione del-
l�ammontare della sanzione�, verificare se le circostanze addotte dal debitore 
pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o mitigare l�importo. 

L�irrogazione dell�astreinte, dunque, non potr� configurarsi come conseguenza 
automatica dell�inadempimento ad una sentenza da parte della Pubblica 
Amministrazione, dovendosi in sede di ottemperanza ponderare 
l�interesse del creditore alla pronta esecuzione con gli interessi pubblici specificamente 
rilevanti, primi fra tutti quelli attinenti allo stato della finanza pubblica. 


5. Rilievi conclusivi. 

L�Adunanza Plenaria, mediante la sentenza 25 giugno 2014, n. 15, ha 
statuito il principio secondo cui le misure coercitive indirette sono irrogabili 
in sede di ottemperanza a prescindere dalla fungibilit� dell�obbligo rimasto 
inadempiuto, a differenza di quanto previsto dall�art. 614 bis c.p.c. che invece 
circoscrive l�astreinte ai soli obblighi di non fare e fare infungibile. 

Il portato pi� rilevante della decisione qui in commento si rinviene nella 
formalizzazione di uno iato tra gli strumenti di esecuzione indiretta disponibili 
nel processo civile e l�astreinte di cui all�art. 114 c.p.a. Con la conseguenza 
che, a fronte della medesima sentenza di condanna, il carattere pubblicistico 


del debitore inadempiente � idoneo a far conseguire al creditore vittorioso una 
tutela di cui non potrebbe giovarsi se il soccombente fosse un soggetto privato. 

Il Consiglio di Stato sembra avvedersi del rischio immanente a tale distonia, 
nella misura in cui statuisce che l�astreinte deve essere irrogato solo a 
seguito di specifica ponderazione dell�interesse pubblico contrario, il quale 
tuttavia non pu� che risolversi nella considerazione dello �stato della finanza 
pubblica�. Con la conseguenza di reintrodurre, sia pure sub specie di requisito 
negativo della fattispecie, quell�interpretazione restrittiva che configura 
l�astreinte come rimedio esperibile solo nei casi in cui il soddisfacimento del 
creditore non possa prescindere dall�irrogazione della misura coercitiva, alla 
stregua di una valutazione di indispensabilit� tale da far apparire recessivo 
l�interesse pubblico alla salvaguardia dei vincoli di bilancio, che devono essere 
tenuti in considerazione dal giudice in sede di ottemperanza. 

Con l�ulteriore conseguenza che, stante il carattere diffuso del sindacato 
sulla prevalenza dell�interesse creditorio o di quello erariale, affidato a ciascun 
giudice dell�ottemperanza, � facile prevedere lo sviluppo di filoni giurisprudenziali 
difformi sul territorio nazionale, residuando in capo al Consiglio di 
Stato l�onere di operare la �reductio ad unum�. Sicch� non � affatto escluso 
che l�interpretazione restrittiva, dopo essere stata prima facie esclusa dalla sentenza 
qui in commento, sia destinata, per cos� dire, a �rientrare dalla finestra�. 

Si avverte, inoltre, il pericolo che, stante la cumulabilit� dell�astreinte 
con gli interessi legali e l�eventuale risarcimento del danno, il creditore possa 
conseguire, in esito al giudizio, una somma di denaro anche notevolmente superiore 
alla sorte iniziale, con conseguente vulnus al principio generale secondo 
cui in giudizio non pu� ottenersi pi� di quanto spetti secondo i rapporti 
di diritto sostanziale che vengono azionati. 

Il pericolo, quindi, di un abuso dell�astreinte specialmente si pone con 
riguardo ai giudizi in materia di equa riparazione per violazione del termine 
di ragionevole durata del processo, di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, in 
quanto i ricorrenti, stante l�ammontare ordinariamente modesto del risarcimento, 
troveranno difficilmente resistibile la possibilit� di domandare l�irrogazione 
di una misura suscettibile di aumentare, anche esponenzialmente, la 
sorte originaria della riparazione. 

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 25 giugno 2014, n. 15 -Pres. Giovannini, 
Est. Caringella - Ministero della Giustizia (avv. Stato) c. M.A.F. ed altri (avv.ti Porpora, Ussani 
D�Escobar. 

FATTO 

1. Con gli appelli in epigrafe il Ministero della Giustizia impugna le sentenze in epigrafe 
anche, o solo, nella parte in cui � stata disposta la condanna dell'Amministrazione al pagamento 
di somme di denaro a titolo di penalit� di mora ex art. 114, comma 4, lett. e), del codice 
del processo ammnistrativo, in ragione della mancata esecuzione dei decreti della Corte di 


Appello di Roma di condanna alla corresponsione di un indennizzo a titolo di equa riparazione 
per eccessiva durata del processo di cui alla L. 24 marzo 2001 n. 89 (cd. Legge Pinto). 
I gravami in esame sono affidati alla deduzione della violazione dell'art. 114, comma 4, cod. 
proc. amm., dell'art. 6 par. i) della CEDU, dell'art. 117 della Costituzione, degli artt. 2 e 3, 
comma 7, della legge n. 89 del 2001. 
I motivi di ricorso possono cos� essere compendiati. 


1.1. Con un primo motivo la difesa erariale ha ricordato come un primo orientamento giurisprudenziale 
abbia ritenuto doversi escludere l'ammissibilit� dell'astreinte nel caso in cui l'esecuzione 
del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro, in quanto la penalit� 
di mora costituisce un mezzo di coazione indiretta sul debitore, utile in modo particolare 
quando si � in presenza di obblighi di facere infungibili: di qui l�iniquit� della condanna del-
l'Amministrazione al pagamento di ulteriori somme di denaro, quando l'obbligo di cui si chiede 
l'adempimento consiste, esso stesso, nell'adempimento di un'obbligazione pecuniaria. 
Il Tribunale di prime cure, con le decisioni impugnate, avrebbe invece seguito l�orientamento 
per cui la naturale "coercibilit�" degli obblighi di fare dell'Amministrazione nel giudizio amministrativo 
di ottemperanza e la collocazione della misura sanzionatoria nell'ambito di tale 
giudizio non consentono, in linea di principio, di escluderne la riferibilit� anche alle sentenze 
di condanna pecuniarie secondo il modello originario dell'astreinte, e non secondo quello di 
cui all'art. 614 bis c.p.c. 
In coerenza, per il Ministero appellante: 

-deve escludersi la possibilit� di far ricorso all'astreinte quando l'esecuzione del giudicato 
consista nel pagamento di una somma d� denaro, che, come tale, � gi� assistito, a termine del 
vigente ordinamento, per il caso di ritardo nel suo adempimento, dall'obbligo accessorio degli 
interessi legali; 
-- la somma dovuta a titolo di penalit� andrebbe indebitamente ad aggiungersi agli altri accessori 
determinando un ingiustificato arricchimento del soggetto gi� creditore della prestazione 
principale e di quella accessoria; 
-- l'interpretazione seguita dal primo Giudice contraddirebbe la ratio della norma in questione 
rinvenibile nella Relazione Governativa di accompagnamento al Codice ove si sottolinea il sostanziale 
parallelismo con la nuova previsione dell'art. 614 bis c.p.c. (introdotta dall'art. 49 comma 
1, 1. 18 giugno 2009 n. 69) che fa riferimento a �obblighi di fare infungibile o di non fare�; 
-- la formulazione dell'art. 114, comma 4 lettera e) del cod. proc. amm. � identica a quella del 
nuovo art. 614-bis c.p.c., come introdotto dall'art. 49, comma 1, della L. 18 giugno 2009, n. 
69, con l�unica differenziazione relativa all'inciso "se non sussistono altre ragioni ostative"; 
-- si finirebbe per offrire uno strumento ulteriore di coercizione indiretta all'effettivit� della 
tutela (art. 1 cod. proc. amm), la quale non � certo volta a garantire al ricorrente pi� di quanto 
gli spetti secondo diritto; 
-- l'istituto de quo si attaglia propriamente a quelle situazioni nelle quali si tratta di porre in 
essere un' attivit� amministrativa da svolgersi, per quanto possibile, nel rispetto dell'ordine 
fisiologico delle competenze (si pensi all'adozione di una deliberazione in materia urbanistica), 
in quanto contribuisce a prevenire l'intervento del commissario ad acta: esigenza, questa, 
estranea alla logica che ispira la disciplina degli adempimenti di prestazioni a carattere pecuniario, 
sia sul piano fisiologico sia sul piano della patologia derivante dal ritardo, il cui paradigma 
di riferimento si rinviene essenzialmente nella disciplina civilistica degli interessi e 
del risarcimento del danno. 

1.2. Con un secondo ordine di motivi si rileva, poi, che sarebbe del tutto illegittima la liqui





dazione automatica della predetta misura dato che, l'art. 114, comma 4, lett e) cod. proc. amm., 
consente il riconoscimento della misura ivi prevista previa la verifica dei presupposti cui il 
legislatore ha inteso subordinare la condanna anche al pagamento di una somma di denaro ed 
in particolare: dell'effettiva inerzia dell'Amministrazione nell'esecuzione della sentenza di 
equa riparazione, della ragionevolezza dei tempi alla luce della giurisprudenza che si � pronunciata 
in materia (da ultimo, Cass. n. 5924/2012; Cass., sez. unite n. 6312/2014) e delle 
esigenze di bilancio. 
Non si sarebbe potuto prescindere dal vagliare puntualmente la condotta amministrativa ai 
fini dell'eventuale riscontro di responsabilit�. 


2. Si sono costituite in giudizio le controparti in epigrafe specificate. 
3. Con l�Ordinanza 18 aprile 2014, n. 14, la sezione quarta di questo Consiglio ha riunito gli 
appelli di cui in epigrafe, in ragione della ricorrenza di profili di connessione oggettiva e parzialmente 
soggettiva. 
Con la stessa Ordinanza si � disposta la rimessione dei ricorsi all�esame dell�Adunanza Plenaria 
in ragione dei contrasti giurisprudenziali gi� registratisi in merito alle questioni relative: 
a) alla natura ed all'ammissibilit� in generale dell'astreinte di cui all'art. 114, comma 4, lett. 
e) cod. proc. amm. nel caso in cui l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una 
somma di denaro; 
b) alla sua applicabilit�, in particolare, all�equa riparazione di cui alla c.d. legge Pinto, per 
l�indebita �automaticit�� della condanna dell�Amministrazione fatta in assenza della previa 
verifica dei presupposti indicati dal c.p.a. 


DIRITTO 

1. � sottoposta al vaglio dell�Adunanza Plenaria la quaestio iuris relativa all�ammissibilit� 
della comminatoria delle penalit� di mora, di cui all'art. 114, comma 4, lett. e), del codice del 
processo amministrativo, nel caso in cui il ricorso per ottemperanza venga proposto in ragione 
della non esecuzione di una sentenza che abbia imposto alla pubblica amministrazione il pagamento 
di una somma di denaro. 
Ai fini della soluzione del problema � necessaria un�indagine sulla genesi e sulla fisionomia 
dell�istituto in esame. 
2. L'art. 114, comma 4, lett. e, c.p.a. prevede che il giudice dell�ottemperanza, in caso di accoglimento 
del ricorso in executivis, �salvo che ci� sia manifestamente iniquo, e se non sussistono 
altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal 
resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell�esecuzione 
del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo�. 


La norma, che costituisce una novit� nel processo amministrativo italiano, delinea una misura 
coercitiva indiretta a carattere pecuniario, inquadrabile nell�ambito delle pene private o delle 
sanzioni civili indirette, che mira a vincere la resistenza del debitore, inducendolo ad adempiere 
all�obbligazione sancita a suo carico dall�ordine del giudice (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 
dicembre 2011, n. 6688). 
La norma d� la stura, in definitiva, ad un meccanismo automatico di irrogazione di penalit� 
pecuniarie in vista dell�assicurazione dei valori dell�effettivit� e della pienezza della tutela 
giurisdizionale a fronte della mancata o non esatta o non tempestiva esecuzione delle sentenze 
emesse nei confronti della pubblica amministrazione e, pi� in generale, della parte risultata 
soccombente all�esito del giudizio di cognizione. 
Il modello della penalit� di mora trova un antecedente, nell�ambito del processo civile, nell�art. 
614-bis (inserito nel c.p.c. dall�art. 49, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69), rubricato 


�attuazione degli obblighi di fare infungibile o non fare�. La norma in analisi dispone che �Con 
il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ci� sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta 
di parte, la somma di denaro dovuta dall�obbligato per ogni violazione o inosservanza 
successiva, ovvero per ogni ritardo nell�esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di 
condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione 

o inosservanza. (�)�. Al comma II viene precisato che �Il giudice determina l�ammontare 
della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura 
della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile�. 

3. Sia l�istituto previsto dal codice del processo amministrativo sia quello contemplato dal 
codice di procedura civile sono fortemente innovativi rispetto alla nostra tradizione processuale. 
Il legislatore nazionale si �, infatti, mostrato in passato restio all�abbandono dell�ispirazione 
liberal-individualistica di matrice ottocentesca, manifestando diffidenza per il recepimento 
dell�istituto delle misure coercitive indirette, ritenute una forma di eccessiva ingerenza dello 
Stato delle libere scelte degli individui anche in merito all�osservanza, in forma specifica o 
meno, di un comando giudiziale. 
Prima della riforma del 2009, dunque, la possibilit� che un provvedimento giurisdizionale di 
condanna fosse assistito da una penalit� di mora era prevista, in modo episodico, solo con riferimento 
a fattispecie tassativamente individuate da norme speciali, insuscettibili di applicazione 
analogica. Tra queste vanno ricordati l�art. 18, ultimo comma, dello Statuto dei 
lavoratori, in base al quale il datore di lavoro, in caso di illegittimo licenziamento, � tenuto al 
pagamento di una somma commisurata alle retribuzioni dovute dal momento del licenziamento 
fino a quello dell�effettivo reintegro; gli artt. 124, co. 2, e 131, co. 2, del codice della 
propriet� industriale, che, in tema di brevetti, prevede l�adozione di una sanzione pecuniaria 
in caso di violazione della misura inibitoria applicata nei confronti dell�autore della violazione 
del diritto di propriet� industriale; l�art. 156 della legge sul diritto d�autore, relativo alla protezione 
del diritto d�autore, che prevede parimenti una sanzione pecuniaria in caso di inosservanza 
della statuizione inibitoria; l�art. 8, co. 3, d. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, che, in tema 
di ritardato pagamento nelle transazioni commerciali, contempla la possibilit� di irrogare 
un�astreinte in caso di mancato rispetto degli obblighi imposti dalla sentenza che abbia accertato 
l�iniquit� delle clausole contrattuali; l�art. 140, co. VII, del codice del consumo, che 
ha previsto misure pecuniarie per il caso di inadempimento del professionista a fronte di pronunce 
rese dal giudice civile su ricorsi proposti dalle associazioni di tutela degli interessi collettivi 
in materia consumeristica; l�art. 709-ter, co. 2, n. 4, cod. proc. civ., che, con riferimento 
alle controversie relative all�esercizio della potest� genitoriale o alle modalit� dell�affidamento 
dei figli, prevede, a carico del genitore inadempiente alle obbligazioni di facere, il pagamento 
di una sanzione amministrativa pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. 
Con l�art. 614-bis cod. proc. civ. e con l�art. 114, comma 4, lettera e, cod. proc. amm., il nostro 
ordinamento, conferendo alla misura in esame un respiro generale, ha esibito, quindi, una 
nuova sensibilit� verso l�istituto delle sanzioni civili indirette, dando seguito ai ripetuti moniti 
della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo, secondo cui �il diritto ad un tribunale sarebbe fittizio 
se l�ordinamento giuridico interno di uno Stato membro permettesse che una decisione 
giudiziale definitiva e vincolante restasse inoperante a danno di una parte� (sent. Hornsby 

c. Grecia, 13/03/1997, e Ventorio c. Italia, 17/05/2011). 
Nell�adeguamento dell�ordinamento nazionale al panorama degli ordinamenti pi� evoluti in 
subiecta materia il legislatore ha seguito il modello francese delle cc. dd. �astreintes�, costi



tuenti misure coercitive indirette a carattere esclusivamente patrimoniale, che mirano ad incentivare 
l�adeguamento del debitore ad ogni sentenza di condanna, attraverso la previsione 
di una sanzione pecuniaria che la parte inadempiente dovr� versare a favore del creditore vittorioso 
in giudizio. 
Il carattere essenzialmente sanzionatorio della misura, prevista dall�ordinamento francese con 
riferimento ad ogni tipo di sentenza di condanna, � dimostrato dal tenore della legge 5 luglio 
1972, ove, all�art. 6, si prevede specificamente che l�astreinte � �ind�pendante des dommages-
int�rets�. La natura giuridica della misura coercitiva indiretta francese, dunque, non � 
ispirata alla logica riparatoria che permea la teoria generale della responsabilit� civile, dovendosi 
configurare la sua comminatoria alla stregua di una pena privata o, pi� precisamente, 
di una sanzione civile indiretta. Trattasi, quindi, di una pena, e non di un risarcimento, che 
vuole sanzionare la disobbedienza all�ordine del giudice, a prescindere dalla sussistenza e 
dalla dimostrazione di un danno. � altres� pacifica, nella stessa prospettiva, la cumulabilit� 
della penalit� con il danno cagionato dall�inosservanza del precetto giudiziale, al pari della 
non defalcabilit� dell�ammontare della sanzione dall�importo dovuto a titolo di riparazione. 
Nel campo dei rapporti amministrativi la legge 8 febbraio 1995 ha poi attribuito anche ai Tribunaux 
Administratifs e alle Cours Administraves d�Appel il potere, prima assegnato dal decreto 
30 luglio 1963 al solo Conseil d�Etat, di disporre l�astreinte a carico dell�amministrazione inadempiente, 
anticipando al momento della pronuncia della sentenza la possibilit� di disporre il 
mezzo di coercizione indiretta e introducendo un nuovo potere del giudice amministrativo, nei 
casi in cui l�esecuzione del giudicato amministrativo comporti necessariamente l�emanazione 
di un provvedimento dal contenuto determinato, di ordinare all�amministrazione l�adozione 
dell�atto satisfattorio e, quando risulti opportuno, di fissare un termine per l�esecuzione (si veda 
la disciplina oggi prevista dagli artt. L.911-4 e 911-5 del code de justice administrative). 
Norme simili, pur se con modulazioni diverse, sono presenti anche negli ordinamenti tedesco 

(c.d. Zwangsgeld) e inglese (c.d. Contempt of Court). 
Le Zwangsgeld, in particolare, possono assistere esclusivamente provvedimenti di condanna 
a obblighi di fare infungibili o di non fare (come negli ordinamenti rumeno, greco e sloveno) 
e consistono in una condanna al pagamento di una somma di denaro (Zwangsgeld/Ordnungsgeld) 
in favore dello Stato, con la possibilit� di conversione in arresto (Zwangsgeld/Ordnungshaft) 
nel caso in cui il debitore non disponga di un patrimonio capiente. 
Il Contempt of Court, invece, pu�, come avviene per le astreintes francesi, essere pronunciato 
a fronte della violazione di ogni provvedimento dell�autorit� giudiziaria, a prescindere dal suo 
contenuto, e consiste in una sanzione pecuniaria da versarsi allo Stato (in alternativa al sequestro 
di beni) o in una sanzione detentiva (arrest for the contempt of the court), con facolt� di scelta 
discrezionale per il giudice tra la misura patrimoniale e quella limitativa della libert� personale. 

3.1. Tutte le misure descritte sono ispirate dalla medesima esigenza di offrire uno strumento 
di coazione all�adempimento delle pronunce giurisdizionali. 
La breve ricognizione comparatistica effettuata, mettendo in luce l�eterogeneit� delle opzioni 
abbracciate nei vari ordinamenti circa l�ambito di applicazione delle penalit� di mora, consente 
di mettere in chiaro che la scelta attuata dall�art. 614-bis c.p.c., al pari di alcuni degli altri ordinamenti 
passati in rassegna, di limitare l�astreinte al solo caso di inadempimento degli obblighi 
aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile, non deriva da un limite concettuale 
insito nella ratio o nella struttura ontologica dell�istituto ma � il frutto di un�opzione discrezionale 
del legislatore. 
4. Si deve, a questo punto, segnalare che la penalit� di mora disciplinata dall�art. 114, comma 



4, lett. e, c.p.a. si distingue in modo significativo da quella prevista per il processo civile. 
I profili differenziali rispetto all�omologo istituto di cui all�art. 614 bis c.p.c. sono, infatti, 
molteplici e di rilevante importanza: 
a) mentre la sanzione di cui al 614-bis c.p.c. � adottata con la sentenza di cognizione che definisce 
il giudizio di merito, la penalit� � irrogata dal Giudice Amministrativo, in sede di ottemperanza, 
con la sentenza che accerta il gi� intervenuto inadempimento dell�obbligo di 
contegno imposto dal comando giudiziale; 
b) di conseguenza, nel processo civile la sanzione � ad esecuzione differita, in quanto la sentenza 
che la commina si atteggia a condanna condizionata (o in futuro) al fatto eventuale del-
l�inadempimento del precetto giudiziario nel termine all�uopo contestualmente fissato; al 
contrario, nel processo amministrativo l�astreinte, salva diversa valutazione del giudice, pu� 
essere di immediata esecuzione, in quanto � sancita da una sentenza che, nel giudizio d�ottemperanza 
di cui agli artt. 112 e seguenti c.p.a., ha gi� accertato l�inadempimento del debitore; 
c) le astreintes disciplinate dal codice del processo amministrativo presentano, almeno sul 
piano formale, una portata applicativa pi� ampia rispetto a quelle previste nel processo civile, 
in quanto non si � riprodotto nell�art. 114, co. 4, lett. e, c.p.a., il limite della riferibilit� del 
meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un 
fare infungibile; 
d) la norma del codice del processo amministrativo non richiama i parametri di quantificazione 
dell�ammontare della somma fissati dall�art. 614 bis c.p.c.; 
e) il codice del processo amministrativo prevede, accanto al requisito positivo dell�inesecuzione 
della sentenza e al limite negativo della manifesta iniquit�, l�ulteriore presupposto negativo 
consistente nella ricorrenza di �ragioni ostative�. 

4.1 La questione dell�applicabilit� delle astreintes nel caso in cui sia chiesta, nell�ambito di 
un giudizio di ottemperanza, l�esecuzione di un titolo giudiziario avente ad oggetto somme 
di danaro, trae origine dalla terza delle differenze delineate. 
Per il processo amministrativo, infatti, manca una previsione esplicita che limiti la riferibilit� 
delle penalit� di mora al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non 
fare o un fare infungibile. Nasce quindi il problema relativo alla possibilit� di richiedere l�applicazione 
delle penalit� anche nel caso dell�ottemperanza a sentenze aventi ad oggetto un 
dare pecuniario. 
5. Mentre la dottrina � in gran parte favorevole ad una lettura estensiva della norma de qua, 
la giurisprudenza amministrativa ha manifestato significative divisioni sulla questione rimessa 
all�Adunanza Plenaria. 


5.1. L�opinione prevalente ammette l�applicazione delle penalit� di mora anche per le sentenze 
di condanna pecuniaria (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462, Cons. 
Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3781; Cons. Stato, sez. V, sent., 19 giugno 2013, n. ri 3339, 
3340, 3341 e 3342; Cons. Stato, sez. III, 30 maggio 2013, n. 2933; C.g.a.r.s., 30 aprile 2013, 


n. 424; Cons. Stato, sez. IV, 31 maggio 2012, n. 3272; Cons. Stato, sez. V, 14 maggio 2012, 
n. 2744; Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2011 n. 6688; Cons. di Stato, Sez. IV, 21 agosto 
2013, n. 4216; C.g.a.r.s., 22 gennaio 2013, n. 26; Cons. Stato sez. VI, 6 agosto 2012, n. 4523, 
Cons. Stato sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4685). 
Deporrebbero a favore di tale opzione ermeneutica (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 29 
gennaio 2014, n. 462) le seguenti argomentazioni: 
a) il tenore letterale della disposizione, che, a differenza dell�art. 614-bis cod. proc. civ., non 
pone �alcuna distinzione per tipologie di condanne rispetto al potere del giudice di disporre, 



su istanza di parte, la condanna dell'amministrazione inadempiente al pagamento della penalit� 
di mora� (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462), con una scelta che 
�appare coerente con il rilievo che il rimedio dell�ottemperanza, grazie al potere sostitutivo 
esercitabile, nell�alveo di una giurisdizione di merito, dal giudice in via diretta o mediante la 
nomina di un commissario ad acta, non conosce, in linea di principio, l�ostacolo della non 
surrogabilita degli atti necessari al fine di assicurare l�esecuzione in re del precetto giudiziario� 
(cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688); 
b) la peculiare natura giuridica della penalit� di mora ex art. 114, comma 4, lettera e), cod. 
proc. amm., che, in virt� della sua diretta derivazione dal modello francese delle cc. dd. 
�astreintes�, �assolve ad una finalita sanzionatoria e non risarcitoria in quanto non mira a 
riparare il pregiudizio cagionato dall�esecuzione della sentenza ma vuole sanzionare la disobbedienza 
alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all�adempimento� (cfr. Cons. 
Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688), integrando un strumento �di pressione nei confronti 
della p.a., inteso ad assicurare il pieno e completo rispetto degli obblighi conformativi discendenti 
dal decisum giudiziale� (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462); 
c) il rilievo secondo cui la matrice sanzionatoria della misura, idonea a confutare il rischio di 
duplicazione risarcitoria, � confermata dalla considerazione da parte dell�art. 614-bis, comma 
2, cod. proc. civ., sempre nell�ottica dell�aderenza al modello francese, della misura del danno 
quantificato e prevedibile come �solo uno dei parametri di commisurazione in quanto prende 
in considerazione anche altri profili, estranei alla logica riparatoria, quali il valore della 
controversia, la natura della prestazione e ogni altra circostanza utile, tra cui si pu� annoverare 
il profitto tratto dal creditore per effetto del suo inadempimento� (cfr. Cons. Stato, 
Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688). 

5.2 L�opposto orientamento d� risposta negativa alla questione (cfr. di recente Cons. Stato, 
Sez. IV, 13 giugno 2013 n. 3293; Cons. Stato, Sez. III, 06 dicembre 2013, n. 5819) sulla scorta 
delle seguenti argomentazioni: 
a) la considerazione per la quale la funzione della penalit� di mora nel giudizio di ottemperanza 
sarebbe quella di �incentivare l'esecuzione di condanne di fare o non fare infungibile 
prima dell'intervento del commissario ad acta, il quale comporta normalmente maggiori oneri 
per l'Amministrazione, oltre che maggiore dispendio di tempo per il privato�, di modo che 
�ove il giudizio di ottemperanza sia prescelto dalla parte per l'esecuzione di sentenza di condanna 
pecuniaria del giudice ordinario, la tesi favorevole all'ammissibilit� dell'applicazione 
dell'astreinte finirebbe per consentire una tutela diversificata dello stesso credito a seconda 
del giudice dinanzi al quale si agisca atteso che il creditore pecuniario della p.a. nel giudizio 
di ottemperanza potrebbe ottenere maggiori e diverse utilit� rispetto a quelle conseguibili 
nel giudizio di esecuzione civile solo in base ad un'opzione puramente potestativa� (cfr. Cons. 
di Stato, Sez. III, 6 dicembre 2013, n. 5819); 
b) la valorizzazione dell�iniquit� della condanna al pagamento di una somma di danaro laddove 
l'obbligo oggetto di domanda giudiziale sia esso stesso di natura pecuniaria, di talch� sarebbe 
gi� assistito, per il caso di ritardo nel suo adempimento, dall�obbligo accessorio degli interessi 
legali, cui la somma dovuta a titolo di astreinte andrebbe ulteriormente ad aggiungersi, con le 
conseguenze della �duplicazione ingiustificata di misure volte a ridurre l'entit� del pregiudizio 
derivante all'interessato dalla violazione, inosservanza o ritardo nell'esecuzione del giudicato, 
nonch� dell�ingiustificato arricchimento del soggetto gi� creditore della prestazione principale 
e di quella accessoria� (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 6 dicembre 2013, n. 5819); 
c) l�impossibilit� di cumulare un modello di esecuzione surrogatoria con uno di carattere com



pulsorio, dal momento che il sistema nazionale di esecuzione amministrativa della decisione, 
connotato da caratteri di estrema incisivit� e pervasivit�, porrebbe gi� a presidio delle ragioni 
debitorie dell�amministrazione �la doppia garanzia sul piano patrimoniale del riconoscimento 
degli accessori del credito e su quello coercitivo generale dell�intervento del Commissario 
ad acta� (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, ord. 18 aprile 2014, n. 2004). 

6. L�Adunanza Plenaria ritiene di aderire all�orientamento prevalente che ammette l�operativit� 
dell�istituto per tutte le decisioni di condanna adottate dal Giudice Amministrativo ex art. 112 
c.p.a., ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni pecuniarie. 

6.1. A sostegno dell�opzione estensiva si pone, innanzitutto, un argomento di diritto comparato. 
Si deve considerare, infatti, che il sistema francese, modello sul quale sono stati coniati gli 
istituti nazionali che prevedono l�irrogazione della penalit� di mora, � connotato da un�indiscussa 
funzione sanzionatoria, essendo teleologicamente orientato a costituire una pena per 
la disobbedienza alla statuizione giudiziaria, e non un risarcimento per il pregiudizio sofferto 
a causa di tale inottemperanza. 
Il modello transalpino, quindi, in aderenza al favor espresso dalla giurisprudenza della CEDU 
verso la massima estensione, anche in executivis, dell�effettivit� delle decisioni giurisdizionali, 
dimostra che il rimedio compulsorio in esame pu� operare anche per le condanne pecuniarie, 
in quanto non conosce limiti strutturali in ragione della natura della condotta imposta dallo 

iussum iudicis. 

Si conferma, in questo modo, che la delimitazione dell�ambito oggettivo di operativit� della 
misura � frutto di una scelta di politica legislativa e non un limite concettuale derivante dalla 
fisionomia dell�istituto. 

6.2. L�argomento di diritto comparato si salda con l�argomento letterale. 
L�analisi del dato testuale dell�art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., chiarisce, infatti, 
che, in sede di codificazione del processo amministrativo, il legislatore ha esercitato la sua 
discrezionalit�, in sede di adattamento della conformazione dell�istituto alle peculiarit� del 
processo amministrativo, nel senso di estendere il raggio d�azione delle penalit� di mora a 
tutte le decisioni di condanna. La norma in analisi non ha, infatti, riprodotto il limite, stabilito 
della legge di rito civile nel titolo dell�art. 614-bis, della riferibilita del meccanismo al solo 
caso di inadempimento degli obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile. 
Si deve aggiungere che la norma in esame non solo non contiene un rinvio esplicito all�art. 
614-bis, ma neanche richiama implicitamente il modello processual-civilistico. 
Decisiva risulta la constatazione che l�art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., modifica 
l�impianto normativo del rito civile prevedendo l�ulteriore limite negativo rappresentato dal-
l�insussistenza di �ragioni ostative�. 
Significativa appare, in questa direzione, anche la considerazione che nel giudizio civile 
l�astreinte � comminata dalla sentenza di cognizione con riguardo al fatto ipotetico del futuro 
inadempimento, mentre nel processo amministrativo la penalit� di mora � applicata dal giudice 
dell�esecuzione a fronte del gi� inverato presupposto della trasgressione del dovere comportamentale 
imposto dalla sentenza che ha definito il giudizio. 
Non pu�, dunque, essere attribuito un rilievo decisivo ai lavori preparatori, in quanto il riferimento, 
operato dalla Relazione governativa di accompagnamento, alla riproduzione dell�art. 
614-bis cod. proc. civ., va inteso come richiamo della fisionomia dell�istituto e non come recepimento 
della sua disciplina puntuale. 
In definitiva, a fronte dell�ampia formulazione dell�art. 114, co. IV, lett. e, cod. proc. amm., 
un�operazione interpretativa che intendesse colmare una lacuna che non cՏ attraverso il ri



chiamo dei limiti previsti dalla diversa norma del processo civile, si tradurrebbe in un�inammissibile 
analogia in malam partem volta ad assottigliare lo spettro delle tutele predisposte 
dal codice del processo amministrativo nel quadro di un potenziamento complessivo del giudizio 
di ottemperanza. 

6.3. Occorre mettere l�accento, a questo punto, sull�argomento sistematico. 
La diversit� delle scelte abbracciate dal legislatore per il processo civile e per quello amministrativo 
si giustifica in ragione della diversa architettura delle tecniche di esecuzione in cui 
si cala e va letto il rimedio in esame. 
Nel processo civile, stante la distinzione tra sentenze eseguibili in forma specifica e pronunce 
non attuabili in re, la previsione della penalit� di mora per le sole pronunce non eseguibili in 
modo forzato mira a introdurre una tecnica di coercizione indiretta che colmi l�assenza di una 
forma di esecuzione diretta. Detto altrimenti, nel sistema processual-civilistico, con l�innesto 
della sanzione in parola il legislatore ha inteso porre rimedio all�anomalia insita nell�esistenza 
di sentenze di condanna senza esecuzione, dando la stura ad una tecnica compulsoria che supplisce 
alla mancanza di una tecnica surrogatoria. 
Nel processo amministrativo, per converso, la norma si cala in un archetipo processuale in 
cui, grazie alle peculiarit� del giudizio di ottemperanza, caratterizzato dalla nomina di un 
commissario ad acta con poteri sostitutivi, tutte le prestazioni sono surrogabili, senza che sia 
dato distinguere a seconda della natura delle condotte imposte. 
La penalit� di mora, in questo diverso humus processuale, assumendo una pi� marcata matrice 
sanzionatoria che completa la veste di strumento di coazione indiretta, si atteggia a tecnica 
compulsoria che si affianca, in termini di completamento e cumulo, alla tecnica surrogatoria 
che permea il giudizio d�ottemperanza. 
Detta fisionomia impedisce di distinguere a seconda della natura della condotta ordinata dal 
giudice, posto che anche per le condotte di facere o non facere, al pari di quelle aventi ad oggetto 
un dare (pecuniario o no), vige il requisito della surrogabilit�/fungibilit� della prestazione e, 
quindi, l�esigenza di prevedere un rimedio compulsivo volto ad integrare quello surrogatorio. 

6.4. Le considerazioni esposte sono suffragate anche dall�argomento costituzionale. 

6.4.1. Non pu� ravvisarsi, in primo luogo, la paventata disparit� collegata all�opzione potestativa, 
esercitabile da parte del creditore, attraverso la scelta, in sostituzione del rimedio dell�esecuzione 
forzata civile - priva dello strumento della penalit� di mora per le sentenze di condanna pecuniaria 
-, dell�ottemperanza amministrativa, rafforzata dalla comminatoria delle astreintes. 
Il riscontro di profili di disparit� dev�essere, infatti, effettuato tenendo conto dei soggetti di 
diritto e non delle tecniche di tutela dagli stessi praticabili. 
Ne deriva che la possibilit�, per un creditore pecuniario della pubblica amministrazione, di 
utilizzare, in coerenza con una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo 
Consiglio, due diversi meccanismi di esecuzione, lungi dal porre in essere una disparit� 
di trattamento, per la quale difetterebbe il referente soggettivo discriminato, evidenzia un arricchimento 
del bagaglio delle tutele normativamente garantite in attuazione dell�art. 24 Cost. 
in una con i canoni europei e comunitari richiamati dall�art. 1 c.p.a. 

6.4.2. Non pu� neanche ravvisarsi, sotto altra e complementare angolazione, una discriminazione 
ai danni del debitore pubblico, per essere lo stesso soggetto, diversamente dal debitore 
privato, a tecniche di esecuzione diversificate e pi� incisive. 
Tale differenziazione � il precipitato logico e ragionevole della peculiare condizione in cui 
versa il soggetto pubblico destinatario di un comando giudiziale. 
La pregnanza dei canoni costituzionali di imparzialit�, buona amministrazione e legalit� che in



formano l�azione dei soggetti pubblici, qualificano in termini di maggior gravit� l�inosservanza, 
da parte di tali soggetti, del precetto giudiziale, in guisa da giustificare la previsione di tecniche 
di esecuzione pi� penetranti, tra le quali si iscrive il meccanismo delle penalit� di mora. 
In questo quadro va rimarcato che la previsione di cui all�art. 114, comma 4, lett. e, c.p.a., si 
inserisce armonicamente in una struttura del giudizio di ottemperanza complessivamente caratterizzata, 
proprio per la specialit� del debitore, da un potere di intervento del giudice particolarmente 
intenso, come testimoniato dall�assenza del limite dell�infungibilit� della 
prestazione, dalla previsione di una giurisdizione di merito e dall�adozione di un modello surrogatorio 
di tutela esecutiva. 

6.5. La tesi esposta non �, infine, scalfita dall�argomento equitativo su cui fanno leva i fautori 
della tesi restrittiva, richiamando il rischio di duplicazione di risarcimenti, con correlativa locupletazione 
del creditore e depauperamento del debitore. 
L�argomento � inficiato dal rilievo che la penalit� di mora, come fin qui osservato, assolve ad 
una funzione coercitivo-sanzionatoria e non, o quanto meno non principalmente, ad una funzione 
riparatoria, come dimostrato, tra l�altro, dalle caratteristiche dei modelli di diritto comparato 
e dalla circostanza che nell�articolo 614 bis c.p.c. la misura del danno � solo uno di 
parametri di quantificazione dell�importo della sanzione. 
Trattandosi di una pena, e non di un risarcimento, non viene in rilievo un�inammissibile doppia 
riparazione di un unico danno ma l�aggiunta di una misura sanzionatoria ad una tutela risarcitoria. 
�, in definitiva, insito nella diversa funzione della misura, da un lato, che a tale sanzione, 
diversamente da quanto accade per i punitive damages, si possa accedere anche in 
mancanza del danno o della sua dimostrazione; e, dall�altro, che al danno da inesecuzione 
della decisione, da risarcire comunque in via integrale ai sensi dell�art. 112, comma 3, c.p.a., 
si possa aggiungere una pena che il legislatore, pur se implicitamente, ha inteso destinare al 
creditore insoddisfatto. 
Si deve soggiungere che la locupletazione lamentata, frutto della decisione legislativa di disporre 
un trasferimento sanzionatorio di ricchezza, ulteriore rispetto al danno, dall�autore della 
condotta inadempitiva alla vittima del comportamento antigiuridico, si verifica in modo identico 
anche per sentenze aventi un oggetto non pecuniario, per le quali parimenti il legislatore, 
pur se non attraverso meccanismi automatici propri degli accessori del credito pecuniario (rivalutazione 
e interessi), prevede l�azionabilit� del diritto al risarcimento dell�intero danno da 
inesecuzione del giudicato (art. 112, comma 3, cit), in aggiunta alla possibilit� di fare leva 
sul meccanismo delle penalit� di mora. 
Anche sotto questo punto di vista, quindi, le sentenze aventi ad oggetto un dare pecuniario 
non pongono problemi specifici e non presentano caratteristiche diverse rispetto alle altre pronunce 
di condanna. 
Va soggiunto che la funzione deterrente e general-preventiva delle penalit� di mora verrebbe 
frustrata dalla mancata erogazione della tutela in analisi ove vi sia gi� stato o possa essere assicurato 
un integrale risarcimento. 

6.5.1. Si deve, infine, osservare che la considerazione delle peculiari condizioni del debitore 
pubblico, al pari dell�esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, 
costituiscono fattori da valutare non ai fini di un�astratta inammissibilit� della domanda relativa 
a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti 
per l�applicazione della misura nonch� al momento dell�esercizio del potere discrezionale 
di graduazione dell�importo. 
Non va sottaciuto che l�art. 114, comma 4, lett. e, c.p.a., proprio in considerazione della spe



cialit�, in questo caso favorevole, del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficolt� 
nell�adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza 
pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici - ha aggiunto al limite negativo della 
manifesta iniquit�, previsto nel codice di rito civile, quello, del tutto autonomo, della sussistenza 
di altre ragioni ostative. 
Ferma restando l�assenza di preclusioni astratte sul piano dell�ammissibilit�, spetter� allora 
al giudice dell�ottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio 
delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dell�ammontare della sanzione, verificare 
se le circostanza addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione 
o di mitigarne l�importo. 

7. L�Adunanza Plenaria afferma pertanto il seguente principio di diritto: �Nell�ambito del giudizio 
di ottemperanza la comminatoria delle penalit� di mora di cui all�art. 114, comma 4, 
lett. e), del codice del processo amministrativo, � ammissibile per tutte le decisioni di condanna 
di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura 
pecuniaria�. 
8. Ci� affermato l�Adunanza Plenaria, ai sensi dell�art. 99, comma 4, c.p.a., restituisce gli atti 
alla Sezione quarta di questo Consiglio per le ulteriori pronunce di rito, sul merito della controversia 
e sulle spese del giudizio. 


P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) affermato il principio di diritto 
di cui in motivazione, restituisce gli atti alla Sezione quarta per ogni ulteriore statuizione 
di rito, nel merito della controversia e sulle spese del giudizio. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2014. 


PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Sulle procedure concorsuali nella p.A. 

PARERE 15/04/2014-169698, CS 39605/2008, SEZ. AG, AVV. STEFANO VARONE 

Si riscontra la richiesta di parere in oggetto in merito agli effetti prodotti 
dalla sentenza del Consiglio di Stato che ha accolto il ricorso dell�ing ... inerente 
il bando del 7 dicembre 2007 per la copertura di complessivi 8 posti da 
dirigente di seconda fascia, di cui sei per dirigenti con formazione giuridica, 
uno per dirigente con formazione economica ed uno per dirigente con formazione 
tecnica. Codesta Autorit� ha allegato le seguenti circostanze fattuali: 

-che l�Ingegnere, il quale ha partecipato alla procedura ma non � risultato 
utilmente collocato in graduatoria, ha impugnato dinanzi al TAR Lazio il 
bando e la determinazione 15 luglio 2008 con la quale l�Autorit� aveva approvato 
la graduatoria di merito. 
-che il TAR Lazio, in parziale accoglimento del ricorso, ha annullato la 
graduatoria finale del concorso e la conseguente determinazione del Presidente 
dell�Autorit� del 15 luglio 2008, ordinando all�Amministrazione di procedere, 
nei limiti dell�interesse del ricorrente, fermo restando il punteggio delle prove 
orali, dapprima ad un motivato apprezzamento dei titoli riferibili al ricorrente 
stesso e ai soli candidati utilmente collocati in graduatoria e, poi, alla redazione 
della graduatoria finale. 
-che in esecuzione della citata sentenza la Commissione di concorso procedeva 
ad un nuovo apprezzamento dei titoli riferibili al ricorrente e, successivamente, 
alla redazione di una nuova graduatoria finale, la quale � stata 
approvata dal Consiglio dell�Autorit� con il provvedimento di cui al verbale 
n. 27 del 29-30 luglio 2009. Anche in detta graduatoria l�Ingegnere non si � 
collocato fra i vincitori. 


- che l�approvazione della graduatoria a seguito della rivalutazione, effettuata 
in data 29-30 luglio 2009, non sarebbe mai stata impugnata dall'Ingegnere 
(nemmeno nel successivo e diverso ricorso da lui proposto al TAR Lazio 
contro il provvedimento dell�Autorit� adottato nell�adunanza del 14 ottobre 





2009, con cui era stato deliberato lo scorrimento della graduatoria a favore 
degli idonei). 


- che l�Ingegnere ha impugnato la sentenza del TAR Lazio dinanzi al Consiglio 
di Stato e che, quest�ultimo ha accolto il motivo ritenuto assorbente, relativo 
alle modalit� di svolgimento del concorso, annullando il bando e gli atti 
conseguenziali. 


-che la Dott.ssa (...) e la Dott.ssa (...), in qualit� di controinteressate sopravvenute 
hanno proposto opposizione di terzo avverso la sentenza del Consiglio 
di Stato. 

Codesta Autorit� ha, quindi, evidenziato che l�annullamento della procedura 
porrebbe rilevanti e delicati problemi, soprattutto alla luce del potenziale 
impatto sull�organizzazione (nonch� sul buon andamento dell�azione amministrativa) 
in ragione del fatto che a partire dal 2008 sono stati immessi in 
ruolo i soggetti utilmente collocati sulla base della graduatoria, i quali svolgono 
da circa sei anni funzioni strategiche per l�Amministrazione, la quale 
non sarebbe in grado di ovviare al deficit gestionale che si verrebbe a determinare 
in caso di caducazione dei relativi contratti. 

Ha, quindi, richiesto alla scrivente Avvocatura di rendere una parere in 
merito: a) al comportamento che l�Autorit� � tenuta ad eseguire nelle more 
del giudizio di opposizione, anche chiarendo se vi siano soggetti diversi dalle 
parti in giudizio che possano pretenderne l'ottemperanza; b) al significato da 
attribuire al passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato ove 
si afferma che laddove permangano le esigenze di provvista di nuovo personale, 
l�Amministrazione dovr� far luogo alla rinnovazione della selezione a 
mezzo della predisposizione di un altro bando concorsuale che risulti immune 
dai vizi rilevati, chiarendo se il termine �rinnovazione� implichi una rinnovazione 
�totale� mediante l�obbligo di pubblicazione di un nuovo bando di concorso 
e se il nuovo bando debba essere aperto solo a coloro i quali erano in 
possesso del requisito di partecipazione al momento della pubblicazione del 
bando di concorso annullato oppure a tutti coloro che risultino in possesso dei 
requisiti prescritti dal bando al momento della sua pubblicazione. 

Al riguardo osserva la Scrivente che il Consiglio di Stato, con la sentenza 
citata, ha accolto l�impugnazione dell�Ingnere ritenendo fondato il primo motivo 
di doglianza con cui il ricorrente aveva dedotto la violazione dell�art. 28 
del d.lgs. 165 del 2001 e dell�art. 5 del d.P.R. n. 272 del 2004. In particolare, 
era stato censurato il bando l� dove ha previsto che le prove di esame in concreto 
assegnate ai candidati consistevano in una prova teorica ed una teorico-
pratica da espletarsi a mezzo di un unico colloquio. Sosteneva infatti il 
ricorrente che, in base dell�art. 8, comma 8, del d.lgs. n. 163 del 2006, la procedura 
concorsuale si sarebbe dovuta svolgere sulla base di due prove scritte 
e di una orale. 

Tale censura � stata condivisa dal Collegio per il quale, in assenza di di



verse diposizioni regolamentari, la procedura concorsuale non corrispondeva 
alle modalit� di svolgimento delle prove prefissate dal legislatore statale per 
l�accesso alle qualifiche dirigenziali. La pronuncia ha, quindi, rilevato il carattere 
assorbente del motivo, chiarendo testualmente che �gli effetti caducanti 
che derivano, merc� il suo accoglimento, sull�intera procedura concorsuale, 
comportano che non rileva l�esame dei motivi ulteriori dedotti in primo grado, 
dovendo l�Autorit� far luogo - ove permangano le esigenze di provvista di 
nuovo personale e ove sussistano tutte le altre condizioni - alla rinnovazione 
della selezione a mezzo della predisposizione di un altro bando concorsuale 
che risulti immune dai vizi rilevati� e che �In definitiva, l�appello va accolto 
e, in riforma della impugnata sentenza, va disposto l�integrale annullamento 
degli atti concorsuali in primo grado impugnati�. 

Come noto la giurisprudenza � sostanzialmente concorde nell�affermare 
che il giudicato amministrativo di annullamento � autoesecutivo nel senso che 
non ha bisogno di essere seguito da ulteriori atti, comportamenti od attivit� 
dell'ente obbligato, producendo automaticamente un effetto demolitorio sui 
provvedimenti cui si riferisce, che comporta, altrettanto automaticamente, la 
loro cancellazione dal mondo giuridico sin dal momento della loro emanazione 
(Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2013, n. 130). 

Anche in presenza del giudizio di opposizione di terzo l�efficacia esecutiva 
della pronuncia non pu� essere discussa, salva l�adozione di atti di sospensione 
da parte del Consiglio di Stato, di cui occorrerebbe in ogni caso 
esaminare gli effetti dal punto di vista dell�estensione soggettiva, sulla base 
dell�eventuale provvedimento adottato dall�organo giurisdizionale. 

Come sopra illustrato, d�altronde, il Consiglio di Stato ha esplicitamente 
sostenuto un effetto caducante sull�intera procedura concorsuale, tanto � vero 
che il Collegio ha affermato che l�Autorit� deve dar luogo a rinnovazione della 
selezione a mezzo della predisposizione di un altro bando, precisando che ci� 
pu� avvenire alla condizione che permangano le esigenze di provvista di 
nuovo personale e �sussistano tutte le altre condizioni�. Ci� risulta conforme 
alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale afferma l�esistenza di un 
effetto caducante automatico, a prescindere da oneri impugnatori degli atti �a 
valle�, nell'ipotesi in cui il provvedimento successivo abbia carattere meramente 
esecutivo degli atti presupposti, ovvero faccia parte di una sequenza 
procedimentale che lo pone in rapporto di immediata derivazione dagli atti 
precedenti (Cons. Stato Sez. IV, Sent., 4 settembre 2013, n. 4441; Cons. Stato, 
Sez. IV, 27 marzo 2009 n. 1869). 

Va, tuttavia, considerato che l�effetto caducante ha ad oggetto la serie procedimentale 
inerente la procedura concorsuale e, alla luce della giurisprudenza 
maggioritaria, non comporta l'automatica caducazione del negozio giuridico 
a valle, producendo piuttosto un�invalidit� derivata (cos� detto effetto viziante), 
che deve essere dedotta davanti al giudice avente giurisdizione sull'atto nego



ziale (Cons. Stato, ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10), vale a dire il giudice ordinario 
in base alla disciplina di cui all�art. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001. Peraltro 
risulta che la questione � stata oggetto di remissione all�adunanza 
plenaria del Consiglio di Stato, con ordinanza 14 ottobre 2013, n. 4999, in relazione 
alla tematica dei contratti �derivati� degli enti locali. 

In assenza di norme specifiche (come quelle inerenti le procedure di affidamento 
degli appalti) alla luce dell�attuale assetto �, pertanto, da ritenere 
che una controversia che sia rivolta ad accertare le condizioni di validit� e di 
efficacia del contratto, spetta al giudice ordinario, posto che ha ad oggetto non 
gi� i provvedimenti riguardanti procedura selettiva ma sostanzialmente il rapporto 
privatistico discendente dal negozio (Cass., Sez. Un. 29 maggio 2012, 

n. 8515; 5 aprile 2012, n. 5446, ordinanza). 
Tali considerazioni assumono carattere decisivo. 
Accedendo alla tesi che la caducazione automatica non si pu� concretiz


zare in relazione agli atti negoziali a valle, la tematica � quella della verifica 
della relativa validit� dal punto di vista civilistico. 

A tal fine non pu� essere trascurata la giurisprudenza che ha analizzato 
in termini di patologia negoziale il vizio del contratto e che � stata resa principalmente 
in tema di procedure ad evidenza pubblica. La Cassazione in passato 
ha, infatti, sovente ritenuto che, pur sussistendo fra gli atti del 
procedimento amministrativo che precede la stipulazione del contratto ad evidenza 
pubblica e il negozio stesso un nesso obbiettivo, determinato dall'essere 
i primi gli antecedenti in senso logico-giuridico del negozio di diritto privato, 
tuttavia, i vizi degli atti della sequenza procedimentale costitutiva o integrativa 
della volont� negoziale, anche se rilevati e oggetto di pronuncia costitutiva di 
annullamento da parte del g.a., non avrebbero determinato automaticamente 
l'invalidit� del contratto, incidendo piuttosto sul negozio se ed in quanto in-
quadrabili tra le cause di invalidit� disciplinate dal codice civile. Nell'ambito 
delle possibili fattispecie di invalidit� �civilistica� si � spesso ricorsi alle categorie 
dell'inefficacia o dell'annullabilit� relativa, a seconda che i lamentati 
vizi attenessero all'approvazione o al visto, intesi quali requisiti di efficacia, 
ovvero alla deliberazione a contrarre e all'aggiudicazione, intesi come requisiti 
di validit�. La giustificazione sistematica di tale orientamento, ora contrastato 
da non pi� sporadiche pronunce del giudice amministrativo, � stata prevalentemente 
sostenuta o inquadrando le fattispecie nell'ambito dei vizi del consenso 
ai sensi degli artt. 1427 e ss. c.c. (per tutte Cass., 8 maggio 1996, n. 
4269), ovvero facendo ricorso alla discussa categoria della legittimazione negoziale, 
con conseguente possibilit� di configurare un vizio di incapacit� (relativa) 
delle parti contraenti da ricondurre al disposto di cui all'art. 1425 c.c. 
(Cass. 21 febbraio 1995 n. 1885; Cass. 7 aprile 1989 n. 1682). 

La trasposizione di tale impostazione nel caso di specie, che comporterebbe 
un residuo margine decisorio per la PA nella scelta se agire giudizial



mente per l�annullamento dei contratti, parrebbe, tuttavia, ostacolata dalla constatazione 
della regola del concorso pubblico, riconosciuta, ai sensi dell'art. 
97 della Costituzione, come forma generale e ordinaria di reclutamento per il 
pubblico impiego, con la conseguenza che le assunzioni poste in essere sulla 
base della procedura annullata risulterebbero effettuate senza il necessario presupposto. 
L'indisponibilit� degli interessi pubblici inerenti alla determinazione 
dell'attivit� lavorativa dei dipendenti richiede, infatti, che la selezione del personale 
avvenga sulla base della regola generale del concorso. 

Tale lettura, che pare preferibile, comporta che l�Amministrazione, annullata 
la procedura concorsuale, si trova di fronte ad una serie di contratti 
con cui si � provveduto all�assunzione di dipendenti a tempo indeterminato 
sulla base di una procedura concorsuale annullata ex tunc e da considerare, 
pertanto, giuridicamente inesistente. 

Non pare d�altronde possa incidere su tale esito la circostanza che la sentenza 
del Consiglio di Stato riguarda una graduatoria annullata e sostituita immediatamente 
all'esito del giudizio di primo grado. �, infatti, vero che all�esito 
del giudizio di primo grado � stata redatta una graduatoria ulteriore dalla Commissione 
di concorso (Verbale del 28 luglio 2009) la quale � stata impugnata 
al TAR ed il relativo giudizio � attualmente pendente dinanzi al Tar Lazio. 
Tuttavia la circostanza che il Consiglio di Stato abbia annullato il bando per 
vizi radicali suoi propri implica che il TAR potr� semplicemente prendere atto 
dell�intervenuta caducazione dell�atto a monte e del conseguente travolgimento 
degli atti consequenziali che non possono vivere di vita propria una 
volta venuto meno l�atto prodromico. 

In definitiva, � da ritenere che i contratti di lavoro posti in essere sulla 
base della procedura annullata siano civilisticamente viziati, ma la carenza di 
giurisdizione da parte del Giudice Amministrativo implica che ogni questione, 
tanto susseguente ad atti di risoluzione dei rapporti adottati da codesta Autorit� 
sulla base della pronuncia del GA, quanto ad eventuali azioni giudiziali di accertamento 
della sopravvenuta invalidit� dei negozi, sia di competenza del 
Giudice Ordinario. 

Per quanto concerne gli ulteriori aspetti dell�esecuzione della pronuncia 
del Consiglio di Stato citata, l�Autorit� dovr� tenere conto delle graduatorie 
tutt�ora vigenti. Come sopra illustrato, infatti, la predetta decisione dispone 
che l�Autorit� deve provvedere �alla rinnovazione della selezione a mezzo 
della predisposizione di un altro bando concorsuale che risulti immune dai 
vizi rilevati� ma ci� solo �ove permangano le esigenze di provvista di nuovo 
personale e ove sussistano tutte le altre condizioni�. 

Con il richiamo alle �altre condizioni� � da ritenere che il Consiglio di 
Stato faccia riferimento tanto a profili di fatto condizionanti l�indizione di una 
procedura concorsuale (es. disponibilit� finanziaria) quanto normativi. Al momento 
dell'ottemperanza alla decisione occorre indagare se il ripristino dello 


status quo ante sia compatibile con lo stato di fatto e di diritto prodottosi medio 
tempore. Ci� in quanto assumono rilevanza le sopravvenienze normative o di 
fatto al provvedimento impugnato, alle quali si attribuisce la capacit� di limitare 
o escludere gli effetti ulteriori del giudicato (Cons. Stato Sez. VI, 27 dicembre 
2011, n. 6849). � stato, infatti, pi� volte sostenuto che (Cons. Stato, 
Sez. VI 30 giugno 2010, n. 4175; in precedenza Cons. Stato, Sez. VI, 22 ottobre 
2002, n. 5816) l'esecuzione del giudicato amministrativo trova ostacolo 
nelle sopravvenienze della normativa verificatesi anteriormente alla notificazione 
della sentenza, mentre non rilevano quelle successive a tale data. 

Tale profilo pare assumere rilievo decisivo nel caso di specie in quanto 
ai sensi dell�art. 4 D.L. 31 agosto 2013 n. 101, convertito in l. 30 ottobre 2013, 

n. 125 �Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, 
le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, l'autorizzazione 
all'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo 35, comma 4, 
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, � 
subordinata alla verifica: 

a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di 
tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici 
per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate 
non temporanee necessit� organizzative adeguatamente motivate; 

b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle 
proprie graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1� gennaio 2007, relative 
alle professionalit� necessarie anche secondo un criterio di equivalenza�. 

Solo in detti limiti � attualmente possibile, pertanto, l�indizione di una 
procedura concorsuale di reclutamento, dovendo, quindi, l�Amministrazione, 
valutate le attuali esigenze di organico e gli ulteriori presupposti normativi, 
verificare la sussistenza di graduatorie tutt�ora vigenti per le professionalit� 
richieste. 

La questione � stata esaminata dal Comitato Consultivo, che si � espresso 
in conformit� nella seduta del 9 aprile 2014. 


Requisiti di nomina dei Presidenti e dei Commissari 
delle Autorit� portuali 

PARERE 24/05/2014-226901, CS 11837/2014, SEZ. VII, AVV. PAOLA PALMIERI 

Con nota del 29 aprle 2014 prot. 16788, pervenuta il 6 maggio 2014, codesto 
Ministero, successivamente al parere reso dalla Scrivente con nota del 
26 marzo u.s., prot. 137564 con cui, dopo avere chiarito alcuni aspetti in ordine 
alla procedura da seguire per la nomina del Presidente dell�Autorit� portuale 
di Napoli, ci si riservava un pi� ampio approfondimento sugli aspetti di massima, 
ha nuovamente richiesto l�avviso di questo G.U. 

Con la nota da ultimo pervenuta, in particolare, codesto Ministero - premesso 
di dover procedere con ogni consentita urgenza alle nomine di taluni 
Presidenti e Commissari di Autorit� portuali - ritiene necessario acquisire il parere 
di questo G.U. in ordine al corretto iter procedurale da seguire in relazione 
alle menzionate nomine, �anche tenendo conto degli indirizzi tracciati dalle 
pronunce del Consiglio di Stato relativamente ai requisiti di idoneit� dei candidati 
ed ai limiti attinenti le prerogative di selezione del predetto Ministero�. 

I) Sui requisiti dei Presidenti delle Autorit� portuali. 

Come gi� osservato in occasione della precedente consultazione, la giurisprudenza 
consolidata, in analogia con la posizione assunta in relazione alla 
nomina di organi di vertice delle Amministrazioni statali, ha costantemente 
affermato che il provvedimento di nomina del Presidente dell�Autorit� portuale, 
ai sensi dell�art. 8, comma 1, della l. n. 84 del 1994, � riconducibile nel-
l�alveo proprio della c.d. alta amministrazione in quanto: 

-non necessita di una valutazione comparativa tra gli altri aspiranti, rendendosi 
necessario che sia comprovato il possesso dei requisiti prescritti; 

-� informato a criteri eminentemente fiduciari, essendo comunque 
espressione della complessa potest� di indirizzo e di governo delle autorit� 
preposte alle amministrazioni stesse; 

-presuppone solo la previa definizione dei soggetti individuati in ragione 
del possesso dei titoli previsti dalla norma; 

-� pur sempre assistito dalle garanzie generali e dai limiti propri degli 
atti amministrativi, essendo sempre volto alla cura degli interessi pubblici. 

Il provvedimento in questione, quale atto di alta amministrazione, ha dunque, 
una funzione di raccordo tra il momento politico e quello amministrativo. 
Diversamente dagli atti politici tuttavia, non � altrettanto libero nei fini ed �, 
pertanto, assoggettato ad un sindacato sia pure c.d. �debole�, ovvero limitato 
al profilo della ragionevolezza e logicit� della scelta effettuata (Cons. di Stato, 
VI, n. 1783 del 2007; Consiglio di Stato, 13 maggio 2013, n. 2596). 

Le considerazioni che precedono rispondono ai principi generali gi� costantemente 
affermati dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento alle 
nomine dei pi� alti vertici delle amministrazioni statali. Ex multis: Cons. di 


St. n. 2706 del 2005 : �Le nomine degli organi di vertice delle amministrazioni 
sia centrali che locali, si configurano certamente come provvedimenti da adottare 
in base a criteri eminentemente fiduciari, riconducibili nell'ambito degli 
atti di �alta amministrazione�, in quanto espressione della potest� di indirizzo 
e di governo delle autorit� preposte alle amministrazioni stesse; tuttavia il 
singolo provvedimento di nomina, comportando una scelta nell'ambito di una 
categoria di determinati soggetti in possesso dei titoli specifici, deve esporre 
le ragioni che hanno condotto alla nomina di uno di essi, anche se la motivazione 
della scelta - effettuata intuitu personae - da formularsi all'esito di un 
apprezzamento complessivo del candidato e senza alcuna valutazione comparativa 
rispetto agli altri aspiranti, comporta soltanto la necessit� di comprovare 
la avvenuta valutazione del possesso dei prescritti requisiti del 
prescelto, in modo che possa dimostrarsi la ragionevolezza della scelta effettuata 
(cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 febbraio 1999, n. 120; 1� settembre 1998, n. 
1139)�. Nel medesimo senso, con riferimento ai pi� diversi settori delle Amministrazioni 
statali, Cons. Stato, sez. VI, 1 marzo 2005, n. 810; Cons. Stato, 
sez. IV, 26 settembre 2001, n. 5050, TAR del Lazio, sez. II, 15 dicembre 1997, 

n. 13361, TAR del Lazio, Sez. I, 5 marzo 2012, n. 2223. 

Proprio per l'ampia discrezionalit� che innegabilmente connota la nomina, 
la stessa si configura come una scelta tra tutti i soggetti che potenzialmente 
siano dotati dei requisiti prescritti dalla legge, scelta che deve basarsi su presupposti 
congrui ed essere adeguatamente motivata come richiesto, in linea 
generale, dalla legge sul procedimento e dalla giurisprudenza ormai consoli-
data, con riferimento anche agli atti connotati da elevata discrezionalit� (In tal 
senso, da ultimo, anche Cons. di St., n. 1321 del 2014). 

Tali generali premesse sono state sostanzialmente riaffermate dalla recente 
sentenza n. 4768 del 2013 con cui il Giudice di appello, tornando ad occuparsi 
delle nomine dei Presidenti delle Autorit� portuali ha, tuttavia, 
affermato principi parzialmente difformi rispetto alla giurisprudenza finora 
invalsa in subiecta materia. 

La decisione, in particolare, nel pronunciarsi sulla legittimit� della nomina 
del Presidente dell'Autorit� portuale di Cagliari, non si � limitata a valutare 
la scelta effettuata dal Ministro (di intesa con la Regione), sul mero piano 
della logicit� e della ragionevolezza, ma ha indagato i contenuti dei requisiti 
richiesti, spingendosi ad affermare che, pur in assenza di una espressa previsione 
normativa, ҏ di norma necessario il possesso di una laurea connessa, 
affine, collegata o collegabile con la materia portuale� per poter definire il 
nominato quale esperto del settore, oltre che una �specifica qualificazione culturale 
teorica e pratica nelle materie indicate dalla legge�. 

Nel caso sottoposto alla attenzione del Consiglio di Stato, pertanto, tanto 
il titolo di studio posseduto dal designato (laurea in medicina), quanto le esperienze 
svolte quale parlamentare all�interno delle competenti Commissioni, 


secondo i Giudici di appello, non sono state ritenute sufficienti al fine di integrare 
quel massimo grado inderogabilmente richiesto dall�art. 8 comma 1, 
giungendo ad una declaratoria (di illegittimit�) del provvedimento di nomina 
opposta a quella cui il medesimo Giudice era pervenuto in un caso del tutto 
analogo, solo pochi anni prima (Cons. di St. 1783/2007). 

Il Consiglio di Stato, oltre a ricollegare in modo espresso la elevata qualificazione 
professionale ad uno specifico titolo di studio, si � inoltre spinto 
fino ad esaminare, in modo pi� pregnante, i contenuti e la rilevanza della esperienza 
professionale del candidato. 

Essendosi ravvisato nella decisione in esame un travalicamento dei limiti 
propri di quel sindacato �debole� solitamente ammissibile per casi analoghi, 
la decisione sopra richiamata, come � noto, � stata impugnata in sede di legittimit� 
da questo G.U. (oltre che dalla Provincia di Cagliari) per difetto assoluto 
di giurisdizione. La discussione del ricorso risulta fissata per il 19 giugno p.v. 

Tenuto conto dei principi cos� affermati, in linea generale, si osserva che, 
indubbiamente, l�art. 8, comma 1, della l. n. 84 del 1994, nel disciplinare la 
nomina del Presidente dell'Autorit� portuale, fa riferimento ad una terna di 
�esperti� tra i quali deve essere operata la scelta, i quali devono essere in possesso 
della �massima e comprovata qualificazione professionale nei settoridell�economia dei trasporti e portuale� . 

La nomina, dunque, gi� alla stregua del dato letterale della norma, impone 
che i designati siano in possesso di una specifica qualificazione che deve essere 
massima e comprovata. Come gi� osservato nel parere gi� reso il 26 marzo 
u.s., pertanto, � possibile ribadire che, indubbiamente, la scelta discrezionale 
del Ministro, bench� caratterizzata da una elevato tasso di discrezionalit�, deve 
svolgersi necessariamente nel confine segnato dall'art. 8, ovvero nei confronti 
di candidati in possesso dei richiamati requisiti. 

Ci�, tuttavia, a parere della Scrivente, non consente di concludere, necessariamente, 
che tali requisiti comunque presuppongano un titolo di studio 
�connesso, affine collegato o collegabile con la materia portuale�, trattandosi 
di presupposto non contemplato dalla normativa, come del resto affermato in 
tempi non troppo lontani dal medesimo Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza 
n. 1783 del 2007 ove si legge che �ai fini del riconoscimento ai soggetti 
qualificati della qualifica di esperto di massima e comprovata qualificazione 
professionale, la richiamata norma non richiede che il candidato sia munito 
di specifico titolo di studio n� che abbia svolto un particolare percorso professionale, 
imponendo soltanto che l'esperienza sia maturata nei settori, anche 
essi genericamente indicati, dell'economia dei trasporti e portuali� . 

D�altra parte, come la stessa decisione n. 4768/2013 evidenzia, le competenze 
affidate all'Autorit� portuale e al suo Presidente sono molteplici e tali 
da coinvolgere profili che richiedono non solo una determinata preparazione 
culturale ma anche competenze tecniche ed esperienze gestionali, oltre che la 


conoscenza dei settori di riferimento e delle problematiche, tecniche, giuridiche 
e economiche che ad essi solitamente si ricollegano. Rientra, pertanto, 
nella discrezionalit� riconosciuta all�Amministrazione valutare la sussistenza 
di tali aspetti in capo al possibile candidato in modo, comunque, da poter pervenire 
ad un giudizio complessivo di massima e comprovata qualificazione. 

Se �, dunque, vero - come affermato dalla pi� recente decisione - che, di 
norma, l�esperienza nel settore si ricollega al possesso di una laurea connessa, 
affine o collegata con la materia portuale, � vero anche che la scelta possa concentrarsi 
anche su soggetti che, seppur privi di un titolo di tal fatta, siano dotati 
di una innegabile e particolare esperienza nello specifico settore, tale da far ritenere, 
secondo una valutazione ampiamente discrezionale, che l�interessato 
possieda la necessaria idoneit� a svolgere le funzioni richieste. In ogni caso, 
l'esperienza e la qualificazione necessaria, dovranno essere riconducibili ai settori 
dell'economia dei trasporti e portuale, come chiaramente indicato dal Legislatore 
nella legge istituiva delle Autorit�, il dato normativo impedendo la 
possibilit� di valorizzare esperienze gestionali e manageriali - sia pure fornite 
di caratteristiche di eccellenza - ma svolte in settori diversi da quelli indicati. 

Va, inoltre, considerato che, pur essendo precluso al Giudice amministrativo 
un penetrante sindacato delle scelte effettuate, le stesse ben potranno essere 
valutate sul piano della logicit� e della ragionevolezza e che il possesso 
di un titolo di studio totalmente estraneo al tipo di funzioni che il designato � 
chiamato a svolgere, pu� essere considerata di per s� - e in assenza di un bagaglio 
culturale comunque fornito da una significativa esperienza professionale 
nel settore - possibile sintomo di illogicit� ed irrazionalit� della scelta, 
oltre che costituire violazione diretta dell'art. 8 della l. n. 84 del 1994. 

Pertanto � bene sottolineare che, nel caso in cui si voglia prescindere da 
un percorso culturale ad hoc o meglio, quanto pi� ci si allontani dallo stesso, 
l'esperienza maturata dovr� essere di livello tale da far presumere che, pur in 
assenza di laurea o altro titolo connesso o affine, il soggetto prescelto sia pienamente 
idoneo ad adempiere ai rilevanti compiti che lo attendono e di ci� 
dovr� essere dato atto con congrua motivazione, nel provvedimento di nomina, 
anche attraverso gli opportuni richiami ai contenuti del curriculum presentato. 

Non possono ignorarsi, al riguardo, i delicati compiti rimessi dall'art. 8, 
comma terzo, della L. n. 84/1994 al Presidente, tenuto conto che detto organo, 
non solo ha la rappresentanza dell'ente, ma, solo per indicare alcune delle funzioni 
principali, presiede il Comitato portuale, sottopone al Comitato portuale 
il piano operativo triennale, il piano regolatore portuale e le pi� rilevanti de-
libere riguardanti la vita dell'Ente, oltre a provvedere al coordinamento delle 
attivit� svolte nel porto dalle pubbliche amministrazioni, nonch� al coordinamento 
e al controllo delle attivit� soggette ad autorizzazione e concessione. 

Richiamando le parole della Corte costituzionale � possibile affermare 
che il Presidente �, in effetti, posto �al vertice di una complessa organizza



zione, che vede coinvolti e soggetti al suo coordinamento anche organi schiettamente 
statali (presiede, tra l'altro, il Comitato Portuale, del quale fanno parte 
il Comandante del Porto e, in rappresentanza dei Ministeri delle Finanze e dei 
Lavori Pubblici, un dirigente dei servizi doganali ed uno dell'ufficio speciale 
del genio civile) e gli � assegnato un ruolo fondamentale, anche di carattere 
propulsivo, perch� il porto assolva alla sua funzione (di rilevanza internazionale 
o nazionale, secondo la classe di appartenenza) comunque interessante 
l'economia nazionale� (in tal senso Corte Cost. n. 378 del 2005; v. anche Cons. 
di St. 13 maggio 2013, n. 2596). 

Si ritiene, pertanto, che la nomina debba comunque garantire la elevata 
professionalit� richiesta, in modo da far presumere che il nominato sia in grado 
di assolvere le delicate funzioni attribuite dalla legge oltre che gli eventuali 
obiettivi di volta in volta indicati. 

Si osserva, infine, che, nell�attesa di un possibile consolidarsi della posizione 
espressa dal Consiglio di Stato con la pi� recente decisione, occorre 
prendere atto che la giurisprudenza sembra avviarsi verso una pi� rigorosa interpretazione 
dei requisiti indicati dalla legge oltre che verso un pi� penetrante 
controllo dell�azione amministrativa per cui - allo stato - si sottolinea l�opportunit� 
di un atteggiamento prudenziale, gi� suggerito in occasione della precedente 
consultazione, che, pur non ritenendoli vincolanti, tenga conto dei 
titoli culturali oltre che professionali del candidato. 

II) Con la nota che si riscontra, codesta Amministrazione ha chiesto anche 
di conoscere l�avviso di questo G.U. in ordine alle nomine dei Commissari 
delle Autorit� portuali, sempre in relazione ai requisiti richiesti dalla normativa 
ed agli ambiti di discrezionalit� riservati al Ministro. 

L�art. 7, comma terzo, della legge n. 84/1994, si limita a prevedere la 
possibilit�, per il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di disporre, nei 
determinati casi ivi previsti, la revoca del mandato del Presidente e lo scioglimento 
del Comitato portuale nonch� di nominare, con il medesimo decreto, 
un commissario che eserciti, per un periodo massimo di sei mesi, le attribuzioni 
conferitegli con il decreto stesso. 

Al di l� delle espresse previsioni di cui alla norma da ultimo richiamata, 
la sussistenza di un potere di vigilanza individuato dall�art. 12 della menzionata 
legge in capo al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, consente di 
affermare che detto potere di vigilanza pu� essere esercitato anche attraverso 
la rimozione degli organi direttivi dell'Autorit� portuale e la successiva nomina 
di organi straordinari, ancorch� al di fuori delle due ipotesi espressamente indicate 
all'art. 7 della legge n. 84/1994, costituendo tale potere esplicazione dei 
cosiddetti "poteri impliciti" che l'ordinamento attribuisce alla Pubblica Amministrazione, 
pur in difetto di una esplicita previsione di legge (TAR Lazio, 
Sez. III 23 giugno 2011, n. 5623, Cons di St. IV, 13 maggio 2013, n. 2569). 


Autorevole fondamento alla teoria dei �poteri impliciti� � stato rinvenuto 
nella sentenza di Corte Cost., 20 gennaio 2004 n. 27, laddove si afferma che 
�il potere di nomina del Commissario straordinario costituisce attuazione del 
principio generale, applicabile a tutti gli enti pubblici, del superiore interesse 
pubblico al sopperimento, con tale rimedio, degli organi di ordinaria amministrazione, 
i cui titolari siano scaduti o mancanti�. 

Tale potere - afferma la Corte Costituzionale - � volto ad assicurare �il 
soddisfacimento delle esigenze di continuit� della azione amministrativa ed 
impedire stasi connesse alla decadenza degli organismi ordinari� (Corte Cost. 
27 luglio 2005, n. 339) e �non � esercitabile liberamente� (Corte Cost. 20 
gennaio 2004, n. 27). 

In assenza di riferimenti normativi nonch� di una specifica autoregolamentazione 
da parte di codesto Ministero volta ad individuare i criteri di nomina 
di tali organi, sulla base dei principi generali �, dunque, possibile 
affermare che la nomina di un Commissario straordinario, in sostituzione del 
massimo organo di vertice di un ente pubblico, riveste la natura di atto di alta 
amministrazione, al pari della nomina del Presidente e che, pertanto, ne condivide 
la natura di provvedimento ampiamente discrezionale, connotato da 
tratti di fiduciariet� e, di conseguenza, � sottoposto al sindacato del giudice 
amministrativo sotto l�esclusivo profilo della logicit� e della ragionevolezza 
della scelta effettuata (in ordine al profilo della fiduciariet� della nomina dei 
Commissari delle Autorit� portuali: TAR del Lazio, Sez. III ter, 9 febbraio 
2011, n. 1260). 

Individuata la natura giuridica del provvedimento di nomina e venendo 
allo specifico profilo qui in discussione occorre chiarire, analogamente alla 
problematica trattata sub I), quali siano i requisiti richiesti ai fini della nomina 
a Commissario straordinario nominato ai sensi del richiamato art. 7, comma 
terzo, L. n. 84/1994, ovvero in tutte quelle ipotesi in cui occorra assicurare la 
continuit� dell�azione amministrativa nell�esercizio del potere ministeriale 
di vigilanza. 

Avuto riguardo a tale specifico profilo, va preliminarmente rilevato che 
la legge istitutiva delle Autorit� non prevede, per il caso della nomina di un 
Commissario, specifici requisiti culturali o professionali n�, allo scopo, il Legislatore 
ha ritenuto di dover richiamare i medesimi requisiti richiesti dall�art. 
8 ai fini della nomina del presidente dell�Autorit� portuale. 

Tale mancato richiamo, a parere di questo G.U., potrebbe far ritenere che, 
nella scelta del Commissario, il Ministro non sia direttamente vincolato dagli 
stringenti requisiti di �massima e comprovata qualificazione� richiesti con riferimento 
espresso alle nomine del solo organo di vertice ordinario dell�Ente. 
Il procedimento di nomina di un Commissario straordinario ai sensi della legge 

n. 84/1994, in effetti, costituisce una procedura diversa ed autonoma rispetto 
al procedimento di nomina del Presidente, quest�ultima interamente ed espres



samente disciplinata dall�art. 8 della medesima legge (in tal senso la gi� menzionata 
sentenza del TAR del Lazio, sez. III ter n. 1260 del 2011). 

Tuttavia, non vi � dubbio che il Commissario straordinario - in particolare 
nei casi in cui la nomina consegua ad una cattiva gestione o ad un malfunzionamento 
dell�ente - � investito di tutta la attivit� di gestione, quanto meno per 
il tempo necessario al completamento delle fasi di rinnovo degli organi ordinari, 
oltre che dei poteri straordinari al medesimo attribuiti, e che, pertanto, 
tale scelta presuppone una attenta valutazione del curriculum del candidato, 
con particolare riferimento alle competenze professionali ed alle esperienze 
maturate, in coerenza con i principi sopra indicati per la nomina a Presidente. 

Pertanto, la relativa istruttoria andr� necessariamente svolta secondo criteri 
di professionalit� e di competenza - elementi, questi, che andranno opportunamente 
richiamati a sostegno della motivazione del provvedimento tenendo 
conto dei compiti che il Commissario � chiamato a svolgere e ci�, sia 
in relazione alla situazione fattuale che ha determinato l�esigenza della nomina, 
sia in relazione ai compiti che la legge demanda al Commissario, sia, 
infine, agli obiettivi di volta in volta attribuiti dal Ministro in relazione al caso 
concreto, in modo da far concludere - secondo l�indicato parametro di logicit� 
e di ragionevolezza - che il designato sia un soggetto pienamente idoneo allo 
svolgimento dei compiti per i quali � stato nominato. 

**** 

Trattandosi di questione di massima il presente parere � stato sottoposto 
all�esame del Comitato consultivo, ai sensi dell�art. 26 della legge 3 aprile 
1979, n. 103, che si � espresso in conformit� nella seduta del 22 maggio 2014. 


Natura giuridica dell�Istituto di Ricovero e Cura a Carattere 
Scientifico (IRCCS) di propriet� dello Stato Vaticano 

PARERE 24/05/2014-226911, CT 35469/2012, SEZ. VII, AVV. PAOLA PALMIERI 

Con la richiesta di parere in oggetto codesta Amministrazione ha chiesto 
alla Scrivente di pronunciarsi in ordine alla natura pubblica o privata dell�Istituto 
di Ricovero e Cura a carattere scientifico IRCCS �Casa Sollievo della 
Sofferenza - gestione della omonima Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza 
- Opera di San Pio da Petrelcina�, di propriet� dello Stato vaticano e da 
esso vigilata - e proponente, per il tramite del proprio Istituto di ricovero e 
cura a carattere scientifico - IRCSS, di diversi progetti nell�ambito dell�Invito 
relativo al P.O.N. �Ricerca e competitivit��. 

Tale quesito veniva sollevato in relazione alla nota con cui, la omonima 
Fondazione, riferiva di essere stata considerata dagli istituti di credito incaricati 
delle verifiche finanziarie, talvolta quale persona giuridica privata e talvolta 
quale struttura assimilabile ad una struttura pubblica. 

Pertanto, la stessa chiedeva di confermare ad entrambi gli istituti bancari 
l'assimilabilit� dell'IRCCS Casa sollievo ad un ente pubblico, quanto meno 
con riferimento alla necessit� di stipulare una fideiussione a garanzia del finanziamento 
erogato nell'ambito del bando PON. A sostegno, veniva inoltre 
richiamata la garanzia accordata dal Ministero della Salute in occasione di uno 
�starting grant� da parte del Consiglio europeo della ricerca (ERC), detto Ministero 
avendo considerato l�Istituto in parola quale ente riconducibile allo 
Stato Citt� del Vaticano. 

Con nota interlocutoria del 26 novembre 2012 prot. 467357 questo G.U. 
chiedeva di trasmettere il bando PON 2007-2013 e di indicare le fonti che disciplinano 
la garanzia del finanziamento erogato nell�ambito del bando PON 
I nonch� il VII programma quadro e il bando relativo al progetto 
CBCD260888 cui si riferiva la garanzia prestata dal Ministero della salute. 

Tale nota non risultava pervenuta presso codesto Ministero che, in seguito 
alla rinnovata richiesta, il 28 gennaio u.s. inoltrava per le vie brevi il decreto 
direttoriale con cui era approvato lo schema di garanzia a prima richiesta, utilizzabile 
per le iniziative di cui al D.Lgs. 297 del 1999 rappresentando, al contempo, 
di non poter fornire il bando cui si riferiva la garanzia prestata dal 
Ministero della salute. 

Successivamente, veniva trasmessa ulteriore documentazione (istanza di 
partecipazione all�Avviso indetto da codesto ministero, decreti di riconoscimento 
adottati in favore dell�ente, Statuto dell�ente datato 2010). 

Dagli elementi cos� raccolti � possibile rilevare che, soggetto proponente 
nell�ambito della procedura di cui all�Avviso in oggetto, unitamente ad altri 
partners, � l�IRCSS Casa sollievo della sofferenza che, come testualmente si 
evince dalla domanda di presentazione del progetto, possiede la forma giuri



dica di ente privato con personalit� giuridica - �Fondazione esclusa la Fondazione 
bancaria�. 

Si osserva inoltre, che a tale Fondazione - ente morale di diritto ecclesiastico 
- � stata riconosciuta la personalit� giuridica con DPR 14 gennaio 1971, 
ai sensi dell�art. 29 lett. d) del concordato e dell�art. 4 della legge n. 848 del 
1929, che ne riconosce la personalit� giuridica e ne approva lo Statuto. 

Si osserva, al riguardo, che il riconoscimento � avvenuto prima della modificazione 
del Concordato attuata con Accordo del 18 febbraio 1984 ratificato 
con legge 25 marzo 1985, n. 121 e della nuova legge 20 maggio 1985, n. 222 
sugli enti ecclesiastici. 

Anche nel vigore della precedente disciplina era, tuttavia, da escludere 
che il riconoscimento degli enti ecclesiastici, fra cui le fondazioni di culto e 
di religione, comportasse il conferimento di una personalit� giuridica pubblica 
nell'ordinamento dello Stato. 

Come ben chiarito dalla Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 2656 
del 1990, �ci� risultava chiaramente dagli accordi fra Stato e Chiesa e dalle 
relative leggi d'attuazione, in cui pi� volte veniva precisato che il riconoscimento 
era effettuato "agli effetti civili" (art. 31 del Concordato 11 febbraio 
1929 e art. 4 della legge 27 maggio 1929, n. 848) e che tali effetti si riassumevano 
nella capacit� di acquistare e possedere, salve le disposizioni concernenti 
gli acquisti dei corpi morali (e cio� le autorizzazioni previste dal codice civile 
per gli acquisti immobiliari delle persone giuridiche private) (art. 30 del Concordato 
e artt. 4, 9 e 10 della legge n. 848 del 1929). 

�Ma la natura pubblica degli enti ecclesiastici� - prosegue la decisione in 
esame - ҏ da escludere anche in base ai principi generali dell'ordinamento 
giuridico dello Stato, sia perch� fra i fini propri della Repubblica non possono 
ricomprendersi quelli della religione cattolica (art. 7 e 8 Cost.) sia perch� detti 
enti, a differenza degli Enti pubblici, sono sottratti a qualsiasi controllo dello 
Stato sui beni e sugli organi, controllo che appartiene esclusivamente alle competenti 
autorit� della Chiesa (art. 30 del Concordato 11 febbraio 1929) (vedi 
in questo senso Cass. 13 dicembre 1983 n. 7357; Cass. 10 luglio 1980 n. 4430; 
Cass. 28 novembre 1978 n. 5580)�. 

�Tale situazione non sarebbe, inoltre, mutata a seguito delle modifiche al 
Concordato adottate il 18 febbraio 1984 e a seguito della legge 20 maggio 
1985, n. 222; con tali provvedimenti si � ribadito che gli enti ecclesiastici vengono 
riconosciuti "come persone giuridiche agli effetti civili" e si � stabilito 
l'obbligo a carico, anche degli Enti ecclesiastici preesistenti, dell'iscrizione nel 
registro delle persone giuridiche private, prevista dall'art. 33 c.c. (artt. 1, 4, 5 
e 6 della legge n. 222 del 1985). 

In particolare, col nuovo accordo � stato precisato che l'equiparazione effettuata 
dal Concordato del 1929 del fine di culto e di religione ai fini di beneficenza 
e di istruzione agli effetti tributari (art. 29, lett. h) vale solo per le 


attivit� dirette a quei fini (art. 7, n. 3) e cio� all'esercizio del culto e alla cura 
delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla 
catechesi e all'educazione cristiana (art. 16, lett. a, della legge n. 222 del 1985), 
mentre le altre attivit� svolte dagli enti ecclesiastici, e cio� quelle di assistenza 
e beneficenza, istruzione, educazione e cultura nonch� quelle commerciali o 
a scopo di lucro (art. 16, lett. b, della legge n. 222 del 1985 suddetta) sono 
soggette alle leggi dello Stato concernenti tali attivit� e al regime tributario 
previsto per le medesime (art. 7, n. 3, modifica del Concordato)�. 

Poich� la Fondazione persegue finalit� sociali di assistenza, pure essendo 
priva di fini di lucro, la stessa dovrebbe pacificamente rientrare tra gli enti di 
diritto privato sulla base dei principi suesposti. 

Va, tuttavia, considerata la possibilit� di riconoscere natura pubblica al-
l�ente in oggetto sulla base di altro iter argomentativo in relazione alla qualificazione 
della Fondazione quale IRCCS - Istituto di ricovero e cura a carattere 
scientifico privato, ad essa pervenuta con decreto del 16 aprile 2007, con cui 
il Ministero della Salute, accertata la sussistenza dei requisiti di cui all�art. 13, 
comma 3 lett. da a) ad h) del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288, ha 
conferito a detto ente il riconoscimento del carattere scientifico della �Casa 
Sollievo della Sofferenza, Istituto con personalit� giuridica di diritto privato�. 

Nella specifica veste di Istituto scientifico di ricovero e cura ex lege n. 
288/2003, l�Ospedale Casa sollievo della sofferenza, svolge attivit� ospedaliera, 
� inserito nel Servizio Sanitario nazionale ed � sottoposto alla vigilanza 
del Ministero della Salute (art. 1 della L. 288/2003: Gli Istituti di ricovero e 
cura a carattere scientifico sono enti a rilevanza nazionale dotati di autonomia 
e personalit� giuridica che, secondo standards di eccellenza, perseguono finalit� 
di ricerca, prevalentemente clinica e traslazionale, nel campo biomedico 
e in quello dell'organizzazione e gestione dei servizi sanitari ed effettuano prestazioni 
di ricovero e cura di alta specialit� o svolgono altre attivit� aventi i 
caratteri di eccellenza di cui all'articolo 13, comma 3, lettera d). 

La normativa, inoltre, a partire dalla L. n. 132 del 1968, ha equiparato gli 
ospedali �classificati� ai sensi della medesima legge (quale � l�Ospedale Casa 
sollievo della sofferenza), gestiti dagli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, 
alle strutture ospedaliere pubbliche (nel senso della parit� di trattamento 
ai fini dell�osservanza dei tetti di spesa). 

Tali indici, con particolare riferimento alle finalit� pubblicistiche perseguite 
e alla vigilanza statale, potrebbero far concludere per una connotazione 
pubblicistica dell�ente in esame anche al di l� delle generali considerazioni 
relative ai meri enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. 

Nonostante la suddetta equiparazione ex lege si �, tuttavia, affermato in 
giurisprudenza che ci� non determina un mutamento della natura giuridica di 
detti enti che, pertanto, per il consolidato orientamento della Corte di Cassazione 
(che si � pronunciata pi� volte in relazione alla natura dei rapporti di la



voro instaurati con gli IRCCS) sono da ricondurre agli enti di diritto privato. 

In tal senso e con espresso riferimento all�ente in oggetto: �Cass. civ., 15 
marzo 1985, n. 2019 - Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, esercenti 
attivit� ospedaliera (nella specie: casa sollievo della sofferenza), anche 
quando ottengano la classificazione del proprio ospedale a norma dell�art. 1 
ultimo comma, L. 12 febbraio 1968, n. 132, non assumono la qualit� di enti 
pubblici, poich� tale classificazione, se comporta l�inserimento di detta affinit� 
nell�ambito della programmazione della rete ospedaliera pubblica, ponendola 
sotto la vigilanza dei ministro della sanit� e della competente usi (art. 18 citata 

L. n. 132 del 1968 e 41, L. 23 dicembre 1978, n. 833), non interferisce sulla 
natura degli enti cui l�attivit� medesima fa capo, i quali mantengono piena autonomia 
organizzativa e finanziaria; ne consegue che le controversie inerenti 
al rapporto di lavoro dei dipendenti degli ospedali dei suddetti enti ecclesiastici 
esulano dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di 
pubblico impiego, e spettano alla cognizione dei giudice ordinario�. Nel medesimo 
senso: Cass. civ., 10 ottobre 1983 n. 5865: �Gli enti ecclesiastici civilmente 
riconosciuti che esercitano attivit� ospedaliera, quale la casa sollievo 
della sofferenza, non sono inquadrabili fra gli enti ospedalieri in senso stretto, 
cio� fra gli enti pubblici non economici, secondo la disciplina della L. 12 Febbraio 
1968, n. 132, non modificata in proposito dalla L. 23 dicembre 1978, n. 
833 istitutiva dei servizio sanitario nazionale (il cui art. 41 si limita ad aggiungere 
alla vigilanza del ministero della sanit� quella dell�usi), nemmeno quando 
essi abbiano ottenuto la classificazione del loro ospedale a norma dell�art. 1 
6� comma della citata legge del 1968, la quale spiega rilievo solo al fine di inserire 
tali ospedali nella programmazione propria della rete ospedaliera pubblica; 
anche in detto caso, pertanto, le controversie inerenti al rapporto di 
lavoro dei dipendenti degli indicati enti ecclesiastici esulano dalla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo e spettano alla cognizione del giudice 
ordinario�. 

Alla luce di tali elementi pare innegabile la natura privatistica dell�ente, 
peraltro affermata dallo stesso Istituto, che ha partecipato all�avviso indetto 
da codesta Amministrazione in qualit� di ente privato, come dichiarato dallo 
stesso soggetto interessato in sede di domanda. Nella scheda di presentazione 
relativa al progetto Virtualab, in particolare, si afferma testualmente che �la 
natura giuridica dell'Ospedale � quella di un ente privato, di propriet� della 
Santa Sede, che eroga pertanto un servizio pubblico�. 

Se all�interno del nostro ordinamento l�ente in esame opera quale ente di 
diritto privato assoggettato alle leggi dello Stato, ne discende che, ai fini del-
l�ammissione ai benefici agevolativi sul fondo FAR lo stesso soggiace alle regole 
poste dall�Avviso e dalla normativa primaria e regolamentare di 
riferimento che, con riferimento agli enti e societ� di natura privata, impone 
la verifica della stabilit� economico finanziaria affinch� sia garantita la corretta 


assegnazione di risorse pubbliche e subordina l�erogazione delle anticipazioni 
sul contributo in favore di enti privati alla prestazione di una idonea garanzia. 

Ci� non toglie che, a determinati fini, il medesimo ente possa rilevare 
quale ente con personalit� giuridica pubblica di diritto straniero, nella specie 
dello Stato Citt� del Vaticano, alla stregua del diritto canonico. Ci� sembrerebbe 
giustificare - a quanto � possibile affermare sulla base della limitata documentazione 
inviata - il rilascio di una garanzia da parte del Ministero della 
Salute alla Fondazione di cui trattasi, ente appartenente ad uno Stato (Citt� 
del Vaticano), non firmatario del VII PQ. 

Codesto Ministero non ha potuto inviare, come richiesto, la copia del progetto 
a cui si riferisce il Ministero della salute. Sembra, tuttavia, che in quello 
specifico caso la garanzia sia stata accordata all'ente nella sua qualit� di public 
body riconducibile ad uno diverso Stato. La problematica, pertanto, sembra 
attenere al diverso ambito dei rapporti tra Stati, ed alle garanzie che uno Stato 
aderente pu� prestare in favore di altri Stati non firmatari, ovvero in favore di 
enti ed a questi ultimi riconducibili. 

Tale profilo, tuttavia, a parere di questo G.U. non viene in rilievo nel caso 
di specie, in cui l'esenzione dalla verifica economica sembra riferirsi ai soli 
enti configurabili quali enti di diritto pubblico secondo l'ordinamento interno 
tra i quali, anche per ragioni prudenziali e in assenza di pronunce giurisprudenziali 
che affermino il contrario, non pu� essere annoverato l'ente in oggetto 
alla luce delle considerazioni e delle pronunce sopra esposte. 

Si resta a disposizione per ulteriori chiarimenti. 

***** 

Trattandosi di questione di massima il presente parere � stato sottoposto 
all�esame del Comitato consultivo, ai sensi dell�art. 26 della legge 3 aprile 
1979, n. 103, che si � espresso in conformit� nella seduta del 22 maggio 2014. 


Canone dovuto dalle imprese di trasporto 
alla Rete Ferroviaria Italiana 

PARERE 26/05/2014-228508, CS 16868/2014, SEZ. AG, AVV. SERGIO FIORENTINO 

1. Premessa 

Con la nota in riferimento, si chiede di conoscere l�avviso della scrivente 
in ordine all�eventuale coinvolgimento di codesta Autorit� nelle attivit� di esecuzione 
della sentenza del Consiglio di Stato del 22 febbraio 2013, n. 1110, 
anche alla luce dell�interpretazione contenuta nella successiva sentenza 19 
marzo 2014, n. 1345, resa in sede di ottemperanza, con la quale il Consiglio 
di Stato: 

-ha disposto che �Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., il Ministero delle infrastrutture 
e dei trasporti e l�Ufficio per la regolazione dei servizi ferroviari 
diano integrale esecuzione al giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio 
di Stato, Sezione Quarta, n. 1110 del 22 febbraio 2013, adottando gli atti necessari 
nel termine di giorni sessanta dalla notifica della presente sentenza�; 
-ha disposto altres� che �in caso di ulteriore inadempimento, scaduto il 
termine di sessanta giorni predetto e su richiesta delle parti ricorrenti, alle 
necessarie incombenze provveda il commissario ad acta, qui nominato nella 
persona del segretario generale dell�Autorit� di regolazione dei trasporti, con 
facolt� di subdelega a dirigente del proprio ufficio, con espressa facolt� di 
procedere anche all�eventuale annullamento in autotutela dei provvedimenti 
emessi dopo la ricezione della richiesta di provvedere�. 


*** 

2. La vicenda processuale. 

La controversia che ha dato luogo alle citate sentenze � stata incardinata 
da alcune imprese ferroviarie che esercitano il trasporto merci in Italia ... (d�ora 
in poi, collettivamente, gli �operatori ferroviari�) attraverso l�impugnazione 
del decreto ministeriale 11 luglio 2007, n. 92T, adottato dal Ministero dei trasporti 
(in prosieguo il �Ministero�), nella parte in cui esso stabiliva che l�applicabilit� 
del criterio del canone d�accesso denominato K2 (c.d. �sconto K2�) 
sul canone di utilizzo dell�infrastruttura ferroviaria, disciplinato dal precedente 

D.M. n. 44T del 22 marzo 2000, fosse condizionata all�effettiva corresponsione 
dei contributi statali al gestore dell�infrastruttura. 

La rete ferroviaria nazionale � gestita da Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. 
(in prosieguo, �R.F.I.�), societ� interamente controllata dalla holding pubblica 
Ferrovie dello Stato S.p.A., la quale controlla anche Trenitalia S.p.A., principale 
operatore ferroviario nazionale. 

R.F.I. � tenuta a concedere l�accesso all�infrastruttura ferroviaria alle imprese 
ferroviarie nazionali ed europee che lo richiedano per il trasporto merci, 
sulla base di criteri non discriminatori, dietro il pagamento di un canone di 
accesso. Il rapporto tra R.F.I. e le singole imprese ferroviarie � regolato da 


contratti di servizio individualmente negoziati, disciplinati dal diritto privato. 

Con il gi� citato D.M. n. 44T del 22 marzo 2000, si � stabilito che il canone 
dovuto dalle imprese ferroviarie avrebbe dovuto tenere conto del criterio 
di computo denominato K2, ossia di uno �sconto� giustificato dal fatto che 
l�arretratezza tecnologica e le insufficienze tecniche che caratterizzavano il 
regime di utilizzo della rete, rendendo impossibile il ricorso a convogli con 
un solo macchinista (c.d. �ad agente unico�), determinavano iniqui costi supplementari 
per le imprese ferroviarie. 

Sul presupposto che lo sconto K2 dovesse gravare economicamente sullo 
Stato - quale onere di servizio pubblico - e non sul gestore dell�infrastruttura, 
sono state previste idonee compensazioni economiche in favore di R.F.I. nel 
Contratto di programma 2001/2005, ossia nello strumento che ha regolato i 
rapporti di finanziamento tra lo Stato e il gestore dell�infrastruttura ferroviaria 
per tale periodo. 

Nell�anno 2005, in vista dell�esaurimento di tale provvista finanziaria, 

R.F.I. ha contestato di dover continuare ad accordare lo sconto, ritenendo che 
l�obbligo verso le imprese fosse giuridicamente condizionato dall�esistenza 
di un idoneo finanziamento statale. Ne � insorto un primo contenzioso tra 
R.F.I. e gli operatori ferroviari: questi ultimi hanno proposto ricorso amministrativo, 
ai sensi dell�art. 37 del D.lgs n. 188 del 2003, all�Ufficio per la regolamentazione 
dei servizi ferroviari (�URSF�) che, con provvedimento del 20 
gennaio 2006, ha imposto a R.F.I. di continuare ad applicare lo sconto K2, nei 
termini gi� definiti, fino al realizzarsi delle condizioni oggettive per l�adozione 
del modulo di condotta �ad agente unico� ovvero fino a un�eventuale modifica 
della disciplina relativa all�erogazione dello sconto medesimo. Nel contempo, 
l�URSF ha intimato agli operatori ferroviari di dotare i propri locomotori dei 
cc.dd. �sottosistemi di bordo�, necessari per l�attivazione del modulo di condotta 
�ad agente unico�, secondo quanto previsto dal �Sistema di controllo 
della marcia del treno� (imperniato, per l�appunto, sull�interazione tra sottosistemi 
di bordo e di terra). R.F.I. ha impugnato il provvedimento dell�URSF 
dinnanzi al T.A.R. del Lazio e il giudizio � tuttora pendente con il numero 
2792/2006 di R.G. Mette conto evidenziare che, in seno a tale ricorso, R.F.I. 
aveva proposto istanza cautelare, che il Tribunale ha rigettato in quanto, tra 
l�altro, il ricorso �incentrandosi sulla corrispettivit� tra l�applicazione dello 
sconto K2 e la corresponsione del contributo statale� si risolveva �in una pretesa 
di finanziamento di cui si lamenta l�esaurimento�. 


L�erroneit� dell�interpretazione di R.F.I., sulla base del quadro normativo 
e regolamentare all�epoca esistente, � stata ribadita dall�URSF in un successivo 
provvedimento del 30 marzo 2007, nel quale si dava atto che �l�interpretazione 
data dal Gestore ... [�] da ritenersi errata e non pu� pertanto incidere 
sui rapporti contrattuali presenti e futuri�, dovendosi escludere che vi fosse 
�connessione tra la materia dello sconto ed i finanziamenti erogati dallo Stato 


al Gestore, posto che tale connessione pu� essere prevista solo con modifiche 
al D.M. 44T del 2000 o provenienti da fonti di livello superiore�. Anche tale 
provvedimento � stato impugnato da R.F.I. dinnanzi al T.A.R. del Lazio: il 
conseguente procedimento � tuttora pendente con il numero 4775/2007 di R.G. 

In questo contesto � stato adottato il decreto ministeriale n. 92T dell�11 
luglio 2007, oggetto della sentenza ora posta in esecuzione. 

Il decreto, all�articolo 1, stabiliva che �(l)�applicabilit� dello sconto sul 
canone di utilizzo dell�infrastruttura ferroviaria previsto dal decreto ministeriale 
44/T del 22 marzo 2000 resta in ogni caso condizionata alla effettiva 
corresponsione di appositi contributi da parte dello Stato al Gestore dell�infrastruttura 
in assenza dei quali non sussiste alcun obbligo da parte del Gestore 
medesimo di applicare il predetto sconto n� il diritto da parte delle 
Imprese ferroviarie a rivendicarne l�applicazione� e che, conseguentemente, 
�il presupposto di applicazione dello sconto K2 � da ritenersi venuto meno a 
partire dal 1� gennaio 2006�, ossia dall�epoca della prima scadenza del Contratto 
di programma 2001/2005, atteso che nel IV Addendum a tale contratto 
non era stato previsto, per l�anno 2006 e per gli anni successivi, alcun contributo 
statale riferito allo sconto K2 medesimo. 

Si vede, quindi, come il decreto - oltre a sospendere la concessione dello 
sconto K2 per il futuro - si proponeva di incidere anche sulla spettanza dello 
sconto medesimo per i periodi pregressi, utilizzando, in buona sostanza, la 
tecnica dell�interpretazione autentica del precedente D.M. del 2000 (1). 

In data 15 ottobre 2007, l�URSF ha adottato un provvedimento del tutto 
consequenziale, nel quale prendeva atto dell�assetto determinato dal nuovo 
decreto ministeriale. 

Con separati ricorsi, poi riuniti, gli operatori ferroviari hanno impugnato 
il decreto ministeriale del 2007 e il consequenziale provvedimento dell�URSF. 

Con sentenza n. 1110 del 2013, Il Consiglio di Stato confermando la decisione 
del T.A.R. del Lazio, ha annullato i due suddetti provvedimenti, ritenendo, 
tra l�altro: 

-che �il Ministero ha in realt� introdotto una disciplina che non rimuove 
precedenti ambiguit� nel contesto dell� �interpretato� D.M. 22 marzo 2000 n. 
44/T, ma che ha inammissibilmente integrato l�ordinamento mediante disposizioni 
innovative con effetto retroattivo�; 

- che, in ogni caso - e, dunque, anche volendo avere riguardo ai soli effetti 
futuri del decreto - era stata �omessa ... l�acquisizione, pur dovuta ex lege, di 
un nuovo parere del C.I.P.E., nonch� dell�intesa con la Conferenza permanente 

(1) L�ultima delle premesse al decreto recita, infatti, �(r)itenuto che, in presenza di dubbi interpretativi 
circa la portata delle disposizioni contenute nel richiamato decreto ministeriale 44/T del 22 
marzo 2000, sia opportuno procedere alla precisazione delle corrette modalit� applicative del decreto 
medesimo�. 


per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di 
Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza: e ci� proprio nella riscontrata 
natura non interpretativa, ma innovativa del provvedimento�. 

La sentenza concludeva con l�affermazione - in parte, come si vedr�, 
contraddetta dal successivo intervento reso dal medesimo Giudice in sede di 
ottemperanza - secondo la quale non doveva �essere esercitata nella specie 
un�ulteriore azione amministrativa: la caducazione dei provvedimenti impugnati 
�, per cos� dire, �automatica�, e da essa discende che, essendo gi� stata 
resa al riguardo una pronuncia da parte dell�U.R.S.F. impugnata da R.F.I. innanzi 
al giudice di primo grado sub R.G. 4775 del 2007, ogni conflitto tra le 
parti nella materia qui trattata dovr� essere ivi deciso dal giudice medesimo, 
ovviamente a prescindere dal contenuto dei provvedimenti qui annullati e solo 
con riferimento al periodo in cui non era applicabile per la maggior parte 
delle linee il sistema di guida �ad agente unico��. 

Non essendo stata data esecuzione alla sentenza, gli operatori ferroviari 
hanno nuovamente adito, in sede di ottemperanza, il Consiglio di Stato che, 
con la sentenza n. 1345 del 2014, nell�accogliere il ricorso, nei termini gi� riportati 
in �Premessa�, ha affermato che: 

-sebbene la sentenza posta in esecuzione avesse �posto l�accento sul-
l�immediata caducazione dei provvedimenti de qua, come unico esito necessario 
del proprio giudizio (...) � il contenuto stesso dell�azione amministrativa 
che rimane in tal modo monco, venendo a mancare la definitiva considerazione 
del canone dovuto dalle imprese ferroviarie ricorrenti. Ci� impone la 
riedizione dell�azione amministrativa, proprio come conseguenza dell�intervento 
annullatorio del giudice�; 

-�i soggetti passivi della ... decisione, a norma dell�art. 111 c.p.c., sono 
quelli sopra indicati, come desumibili dalla sentenza ottemperanda e dalla 
domanda delle parti ricorrenti, con l�ovvia precisazione che l�eventuale soppressione 
di uffici (in particolare dell�Ufficio per la regolazione dei servizi 
ferroviari a seguito dell�entrate in funzione dell�Autorit� di regolazione dei 
trasporti) dovr� essere valutata secondo gli ordinari criteri della successione 
nel munus�. 

*** 

3. Il quadro normativo. 

Il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, recante �Attuazione della direttiva 
2001/12/CE, della direttiva 2001/13/Ce e della direttiva 2001/14/CE�, 
all�art. 17, rubricato, �Canoni per l�utilizzo dell�infrastruttura ferroviaria�, 
dispone: 

�1. Ai fini dell�accesso e dell�utilizzo equo e non discriminatorio dell�infrastruttura 
ferroviaria da parte delle associazioni internazionali di imprese 
ferroviarie e delle imprese ferroviarie, con decreto del Ministro delle infrastrutture 
e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del gestore 


dell�infrastruttura ferroviaria, previo parere del Comitato interministeriale 
per la programmazione economica e sentita la Conferenza permanente per i 
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano 
limitatamente ai servizi di loro competenza, � approvata la proposta del gestore 
per l�individuazione del canone dovuto per l�accesso all�infrastruttura 
ferroviaria nazionale. Il decreto � pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della 
Repubblica italiana e nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit� europee. 

2. Il gestore dell�infrastruttura ferroviaria, sulla base di quanto disposto 
al comma 1, calcola il canone dovuto dalle associazioni internazionali di imprese 
ferroviarie e dalle imprese ferroviarie per l�utilizzo dell�infrastruttura 
e procede alla riscossione dello stesso� 

3. � 9 � (Omissis) � 

10. Nelle more dell�emanazione del decreto di cui al comma 1, della conseguente 
determinazione dei canoni da parte del gestore dell�infrastruttura e 
del recepimento delle modalit� e termini di calcolo del prospetto informativo 
della rete, i canoni di utilizzo dell�infrastruttura ferroviaria continuano ad essere 
calcolati sulla base dei criteri dettati dal D.M. 21 marzo 2000 e dal D.M. 
22 marzo 2000 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, pubblicati nella 
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 94 del 21 aprile 2000, e successive 
modifiche e integrazioni. 
11. Con uno o pi� decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, 
da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, sono definiti 
il quadro per l�accesso all�infrastruttura, i principi e le procedure per l�assegnazione 
della capacit� di cui all�articolo 27 del presente decreto, per il calcolo 
del canone ai fini dell�utilizzo dell�infrastruttura ferroviaria e dei 
corrispettivi dei servizi di cui all�articolo 20 del presente decreto, non ricompresi 
in quelli obbligatori inclusi nel canone di accesso all�infrastruttura, nonch� 
le regole in materia di servizi di cui al medesimo articolo 20. 


11-bis � 11-quinquies � (Omissis) ��. 
Il successivo art. 37, rubricato �Organismo di regolazione�, del medesimo 
decreto legislativo, dispone: 

�1. L�organismo di regolazione indicato all�articolo 30 della direttiva 
2001/14/CE � il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o sue articolazioni. 
Esso vigila sulla concorrenza nei mercati dei servizi ferroviari e agisce 
in piena indipendenza sul piano organizzativo, giuridico, decisionale e della 
strategia finanziaria, dall�organismo preposto alla determinazione dei canoni 
di accesso all�infrastruttura, dall�organismo preposto all�assegnazione della 
capacit� e dai richiedenti, conformandosi ai princ�pi di cui al presente articolo. 
� inoltre funzionalmente indipendente da qualsiasi autorit� competente 
preposta all�aggiudicazione di un contratto di servizio pubblico. 

1-bis. Ai fini di cui al comma 1, l�ufficio del Ministero delle infrastrutture e 
dei trasporti che svolge le funzioni di organismo di regolazione � dotato di auto



nomia organizzativa e contabile nei limiti delle risorse economico-finanziarie 
assegnate. L�Ufficio riferisce annualmente al Parlamento sull�attivit� svolta. 

1-ter. All�ufficio di cui al comma 1-bis � preposto un soggetto scelto tra 
persone dotate di indiscusse moralit� e indipendenza, alta e riconosciuta professionalit� 
e competenza nel settore dei servizi ferroviari, nominato con decreto 
del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle 
infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dell�articolo 19, commi 4, 5-bis, e 6 del 
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. La proposta 
� previamente sottoposta al parere delle competenti Commissioni parlamentari, 
che si esprimono entro 20 giorni dalla richiesta. Le medesime 
Commissioni possono procedere all�audizione della persona designata. Il responsabile 
dell�Ufficio di cui al comma 1-bis dura in carica tre anni e pu� essere 
confermato una sola volta. La carica di responsabile dell�ufficio di cui 
al comma 1-bis � incompatibile con incarichi politici elettivi, n� pu� essere 
nominato colui che abbia interessi di qualunque natura in conflitto con le funzioni 
dell�ufficio. A pena di decadenza il responsabile dell�ufficio di cui al 
comma 1-bis non pu� esercitare direttamente o indirettamente, alcuna attivit� 
professionale o di consulenza, essere amministratore o dipendente di soggetti 
pubblici o privati n� ricoprire altri uffici pubblici, n� avere interessi diretti o 
indiretti nelle imprese operanti nel settore. L�attuale Direttore dell�Ufficio 
resta in carica fino alla scadenza dell�incarico. 

2. L�organismo di regolazione collabora con gli organismi degli altri 
Paesi membri della Comunit� europea, scambiando informazioni sulle proprie 
attivit�, nonch� sui princ�pi e le prassi decisionali adottati, al fine di coordinare 
i rispettivi princ�pi decisionali in �mbito comunitario. 
3. Salvo quanto previsto dall�articolo 29 in tema di vertenze relative al-
l�assegnazione della capacit� di infrastruttura, ogni richiedente ha il diritto 
di adire l�organismo di regolazione se ritiene di essere stato vittima di un trattamento 
ingiusto, di discriminazioni o di qualsiasi altro pregiudizio, in particolare 
avverso decisioni prese dal gestore dell�infrastruttura o eventualmente 
dall�impresa ferroviaria in relazione a quanto segue: 


a) prospetto informativo della rete; 

b) procedura di assegnazione della capacit� di infrastruttura e relativo esito; 

c) sistema di imposizione dei canoni di accesso all�infrastruttura ferro-
viaria e dei corrispettivi per i servizi di cui all�articolo 20; 

d) livello o struttura dei canoni per l�utilizzo dell�infrastruttura e dei cor


rispettivi per i servizi di cui all�articolo 20; 
e) accordi per l�accesso di cui all�articolo 6 del presente decreto; 
f) [soppresso]. 

4. L�organismo di regolazione, nellՈmbito dei propri compiti istituzionali, 
ha facolt� di chiedere al gestore dell�infrastruttura, ai richiedenti e a 
qualsiasi altra parte interessata, tutte le informazioni che ritiene utili, in par





ticolare al fine di poter garantire che i canoni per l�accesso all�infrastruttura 
ed i corrispettivi per la fornitura dei servizi di cui all�articolo 20, applicati 
dal gestore dell�infrastruttura, siano conformi a quanto previsto dal presente 
decreto e non siano discriminatori. Le informazioni devono essere fornite 
senza indebiti ritardi. 


5. Con riferimento alle attivit� di cui al comma 3, l�organismo di regolazione 
decide sulla base di un ricorso o eventualmente d�ufficio e adotta le misure 
necessarie volte a porre rimedio entro due mesi dal ricevimento di tutte 
le informazioni necessarie. Fatto salvo il comma 7, la decisione dell�organismo 
di regolazione � vincolante per tutte le parti cui � destinata. 
6. In caso di ricorso contro un rifiuto di concessione di capacit� di infrastruttura 
o contro le condizioni di una proposta di assegnazione di capacit�, 
l�organismo di regolazione pu� concludere che non � necessario modificare 
la decisione del gestore dell�infrastruttura o che, invece, essa deve essere modificata 
secondo gli orientamenti precisati dall�organismo stesso. 


6-bis. L�organismo di regolazione, osservando, in quanto applicabili, le 
disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, 

n. 689, provvede: 
a) � d) � (Omissis) � 

7. � 8 � (Omissis) ��. 

Si vede, quindi, come nel sistema delineato dal D.lgs n. 188 del 2003, 
con il quale sono state recepite le direttive del c.d. �primo pacchetto ferroviario�, 
le competenze proprie dell�organismo di regolazione venivano svolte da 
un ufficio del Ministero, il cui funzionamento era circondato da particolari garanzie 
normative che ne assicuravano l�autonomia e l�imparzialit� (l�URSF), 
il quale aveva, tra l�altro, il compito di dirimere in via amministrativa le controversie 
tra imprese ferroviarie e gestore dell�infrastruttura ferroviaria, vertenti 
sulla misura dei canoni di accesso all�infrastruttura medesima (ivi 
compresa, quindi, la questione dell�applicabilit� dello sconto K2). L�importo 
di tali canoni era determinato con decreto del Ministro delle infrastrutture e 
dei trasporti, nel rispetto del procedimento previsto dall�art. 17, comma 1 e 
dei criteri eventualmente definiti da un diverso decreto del Ministro, previsto 
dal comma 11 del medesimo art. 17. 

Occorre, ora, verificare la tenuta di tale quadro regolatorio (risultante da 
disposizioni non espressamente novellate), alla stregua: 

(i) della sua compatibilit� con il diritto dell�Unione europea, principalmente 
alla luce della sentenza della Corte di giustizia dell�Unione europea del 
3 ottobre 2013, resa nella causa C-369/11, Commissione europea/Repubblica 
italiana, vertente su una procedura di infrazione contro l�Italia, appunto per 
scorretto recepimento delle direttive del �primo pacchetto ferroviario�; 
(ii) delle sopravvenute novit� legislative e, in particolare, di quelle che 
hanno messo capo alla costituzione della nuova Autorit� di regolazione dei 



trasporti (art. 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con 
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214). 

Sotto il primo profilo, viene in considerazione l�art. 17, commi 1 e 2, del 
D.Lgs n. 188 del 2003, nella parte in cui affida ad un decreto del Ministro 
delle infrastrutture e dei trasporti la determinazione dei canoni di accesso all�infrastruttura 
ferroviaria, riservando al gestore della medesima compiti di 
mera liquidazione degli importi dovuti. 

Ora, la Corte di giustizia, nella richiamata sentenza del 3 ottobre 2013, 
ha chiarito che �ai sensi dell�articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/14, 
�[i]l gestore dell�infrastruttura determina i diritti dovuti per l�utilizzo dell�infrastruttura 
e procede alla loro riscossione�� mentre �dalla formulazione del 
decreto legislativo n. 188/2003, in particolare del suo articolo 17, emerge 
chiaramente che la determinazione del diritto deve avvenire di concerto con 
il Ministro, e che la decisione di quest�ultimo pu� vincolare il gestore� (punto 
45) e che �(�) pur vero che, come sostenuto dalla Repubblica italiana, il Ministro 
esercita un mero controllo di legittimit� in materia. Tuttavia, in base al 
sistema istituito dalla direttiva 2001/14, un simile controllo di legittimit� dovrebbe 
spettare all�organismo di regolamentazione, nel caso di specie l�URSF, 
e non al Ministro. Di conseguenza, dato che la decisione del Ministro riguardante 
la fissazione dei diritti di accesso all�infrastruttura vincola il gestore 
dell�infrastruttura, se ne deve concludere che la normativa italiana non consente 
di garantire l�indipendenza di quest�ultimo. Pertanto, tale normativa 
non soddisfa, sotto tale profilo, i requisiti di cui all�articolo 4, paragrafo 1, 
della suddetta direttiva� (punto 46). 

Per tali ragioni, la Corte ha accolto il pertinente motivo di ricorso proposto 
dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana, vertente 
sul mancato riconoscimento della necessaria indipendenza del gestore dell�infrastruttura 
nella determinazione dei canoni di utilizzo della medesima. 

Dunque, ricordato che le sentenze della Corte di giustizia si collocano tra 
le fonti del diritto dell�Unione europea, ne emerge un regime nel quale: 

-i canoni per l�utilizzo dell�infrastruttura sono determinati autonomamente 
dal gestore; 
-all�organismo di regolamentazione (all�epoca l�URSF, oggi, come si vedr�, 
l�Autorit� di regolazione dei trasporti) sono riservate funzioni di vigilanza. 

� pur vero che la Corte di giustizia si � pronunciata avendo come riferimento 
una precedente versione dell�art. 17, comma 1, del D.Lgs n. 188 del 
2003 (2); tuttavia appare quanto meno dubbio che la nuova formulazione - pur 

(2) Tale comma, anteriormente alle modifiche introdotte dall�art. 24 del decreto-legge 21 giugno 
2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, recitava: �Ai fini dell�accesso 
e dell�utilizzo equo e non discriminatorio dell�infrastruttura ferroviaria da parte delle associazioni internazionali 
di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, con decreto del Ministro delle infrastrut



riservando al gestore dell�infrastruttura espressamente poteri di proposta (Ǐ 
approvata la proposta del gestore per l�individuazione del canone dovuto�) sia 
idonea a superare i rilievi della Corte di giustizia. 

Resta da dire che la successiva evoluzione del diritto dell�Unione europea 
ha confermato, sul punto qui rilevante, l�assetto dichiarato dalla Corte di giustizia. 
Si confronti la direttiva 21 novembre 2012, n. 2012/34/UE, che istituisce 
uno spazio ferroviario europeo unico (c.d. direttiva recast), art. 29, par. 1, 
comma 3: �Il gestore dell�infrastruttura determina i canoni dovuti per l�utilizzo 
dell�infrastruttura e procede alla loro riscossione in conformit� del quadro 
stabilito per l�imposizione dei canoni e le relative norme�. E tale scelta 
sembrerebbe essere destinata a essere confermata nei futuri recast della direttiva 
(si confronti la proposta di modifica della direttiva 2012/34/UE presentata 
dalla Commissione europea il 30 gennaio 2013, n. COM(2013) 29 final). 

Sotto il secondo profilo, viene in rilievo l�art. 37 del decreto-legge 6 dicembre 
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 
214, con il quale, come gi� anticipato, � stata istituita l�Autorit� di regolazione 
dei trasporti e ne sono state disciplinate le funzioni, destinate a essere esercitate 
dall�Autorit� medesima a decorrere dalla sua piena operativit� (condizione 
poi realizzatasi il 15 gennaio 2014). 

Con tale articolo, rubricato �Liberalizzazione del settore dei trasporti�, 
nel testo modificato dall�art. 36, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, 

n. 1, convertito, con mod., dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, si � stabilito 
quanto segue: 

�1. Nell�ambito delle attivit� di regolazione dei servizi di pubblica utilit� 
di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481, � istituita l�Autorit� di regolazione 
dei trasporti, di seguito denominata �Autorit��, la quale opera in piena autonomia 
e con indipendenza di giudizio e di valutazione. � (Omissis) � L�Autorit� 
� competente nel settore dei trasporti e dell�accesso alle relative 
infrastrutture e ai servizi accessori, in conformit� con la disciplina europea e 
nel rispetto del principio di sussidiariet� e delle competenze delle regioni e 
degli enti locali di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione. L�Autorit� 
esercita le proprie competenze a decorrere dalla data di adozione dei 
regolamenti di cui all�articolo 2, comma 28, della legge 14 novembre 1995, 
n. 481. All�Autorit� si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni orga


nizzative e di funzionamento di cui alla medesima legge. 
1-bis. � 1-ter � (Omissis) � 

ture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del gestore dell�infrastruttura ferroviaria, 
previo parere del Comitato interministeriale per la programmazione economica e d�intesa con la Conferenza 
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano 
limitatamente ai servizi di loro competenza, � stabilito il canone dovuto per l�accesso all�infrastruttura 
ferroviaria nazionale. Il decreto � pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nella 
Gazzetta Ufficiale delle Comunit� europee�. 


2. L�Autorit� � competente nel settore dei trasporti e dell�accesso alle relative 
infrastrutture ed in particolare provvede: 

a) a garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, l�efficienza 
produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le 
imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle 
infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali, fatte 
salve le competenze dell�Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali 
di cui all�articolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con 
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonch� in relazione alla mobilit� 
dei passeggeri e delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche 
collegata a stazioni, aeroporti e porti; 

b) a definire, se ritenuto necessario in relazione alle condizioni di concorrenza 
effettivamente esistenti nei singoli mercati dei servizi dei trasporti 
nazionali e locali, i criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti 
delle tariffe, dei canoni, dei pedaggi, tenendo conto dell�esigenza di assicurare 
l�equilibrio economico delle imprese regolate, l�efficienza produttiva delle gestioni 
e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i consumatori; 

c) a verificare la corretta applicazione da parte dei soggetti interessati 
dei criteri fissati ai sensi della lettera b); 

d) a stabilire le condizioni minime di qualit� dei servizi di trasporto nazionali 
e locali connotati da oneri di servizio pubblico, individuate secondo 
caratteristiche territoriali di domanda e offerta; 

e) � h) � (Omissis) � 

i) con particolare riferimento all�accesso all�infrastruttura ferroviaria, 
a svolgere tutte le funzioni di organismo di regolazione di cui all�articolo 37 
del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, e, in particolare, a definire i criteri 
per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dell�infrastruttura 
e i criteri di assegnazione delle tracce e della capacit� e a vigilare sulla loro 
corretta applicazione da parte del gestore dell�infrastruttura; 

l) l�Autorit�, in caso di inosservanza di propri provvedimenti o di mancata 
ottemperanza da parte dei soggetti esercenti il servizio alle richieste di 
informazioni o a quelle connesse all�effettuazione dei controlli, ovvero nel 
caso in cui le informazioni e i documenti non siano veritieri, pu� irrogare sanzioni 
amministrative pecuniarie determinate in fase di prima applicazione secondo 
le modalit� e nei limiti di cui all�articolo 2 della legge 14 novembre 
1995, n. 481. L�ammontare riveniente dal pagamento delle predette sanzioni 
� destinato ad un fondo per il finanziamento di progetti a vantaggio dei consumatori 
dei settori dei trasporti, approvati dal Ministro delle infrastrutture 
e dei trasporti su proposta dell�Autorit�. Tali progetti possono beneficiare del 
sostegno di altre istituzioni pubbliche nazionali e europee; 

m) � (Omissis) � 
n) � (Omissis) � 



3. Nell�esercizio delle competenze disciplinate dal comma 2 del presente 
articolo, l�Autorit�: 

a) pu� sollecitare e coadiuvare le amministrazioni pubbliche competenti 
all�individuazione degli ambiti di servizio pubblico e dei metodi pi� efficienti 
per finanziarli, mediante l�adozione di pareri che pu� rendere pubblici; 

b) determina i criteri per la redazione della contabilit� delle imprese regolate 
e pu� imporre, se necessario per garantire la concorrenza, la separazione 
contabile e societaria delle imprese integrate; 

c) propone all�amministrazione competente la sospensione, la decadenza 

o la revoca degli atti di concessione, delle convenzioni, dei contratti di servizio 
pubblico, dei contratti di programma e di ogni altro atto assimilabile comunque 
denominato, qualora sussistano le condizioni previste dall�ordinamento; 

d) richiede a chi ne � in possesso le informazioni e l�esibizione dei documenti 
necessari per l�esercizio delle sue funzioni, nonch� raccoglie da qualunque 
soggetto informato dichiarazioni, da verbalizzare se rese oralmente; 

e) se sospetta possibili violazioni della regolazione negli ambiti di sua 
competenza, svolge ispezioni presso i soggetti sottoposti alla regolazione mediante 
accesso a impianti, a mezzi di trasporto e uffici; durante l�ispezione, 
anche avvalendosi della collaborazione di altri organi dello Stato, pu� controllare 
i libri contabili e qualsiasi altro documento aziendale, ottenerne copia, 
chiedere chiarimenti e altre informazioni, apporre sigilli; delle operazioni 
ispettive e delle dichiarazioni rese deve essere redatto apposito verbale; 

f) ordina la cessazione delle condotte in contrasto con gli atti di regolazione 
adottati e con gli impegni assunti dai soggetti sottoposti a regolazione, 
disponendo le misure opportune di ripristino; nei casi in cui intenda adottare 
una decisione volta a fare cessare un�infrazione e le imprese propongano impegni 
idonei a rimuovere le contestazioni da essa avanzate, pu� rendere obbligatori 
tali impegni per le imprese e chiudere il procedimento senza 
accertare l�infrazione; pu� riaprire il procedimento se mutano le circostanze 
di fatto su cui sono stati assunti gli impegni o se le informazioni trasmesse 
dalle parti si rivelano incomplete, inesatte o fuorvianti; in circostanze straordinarie, 
ove ritenga che sussistano motivi di necessit� e di urgenza, al fine di 
salvaguardare la concorrenza e di tutelare gli interessi degli utenti rispetto al 
rischio di un danno grave e irreparabile, pu� adottare provvedimenti temporanei 
di natura cautelare; 

g) valuta i reclami, le istanze e le segnalazioni presentati dagli utenti e 
dai consumatori, singoli o associati, in ordine al rispetto dei livelli qualitativi 
e tariffari da parte dei soggetti esercenti il servizio sottoposto a regolazione, 
ai fini dell�esercizio delle sue competenze; 

h) favorisce l�istituzione di procedure semplici e poco onerose per la conciliazione 
e la risoluzione delle controversie tra esercenti e utenti; 
i) ferme restando le sanzioni previste dalla legge, da atti amministrativi 


e da clausole convenzionali, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria 
fino al 10 per cento del fatturato dell�impresa interessata nei casi di inosservanza 
dei criteri per la formazione e l�aggiornamento di tariffe, canoni, pedaggi, 
diritti e prezzi sottoposti a controllo amministrativo, comunque 
denominati, di inosservanza dei criteri per la separazione contabile e per la 
disaggregazione dei costi e dei ricavi pertinenti alle attivit� di servizio pubblico 
e di violazione della disciplina relativa all�accesso alle reti e alle infrastrutture 
o delle condizioni imposte dalla stessa Autorit�, nonch� di 
inottemperanza agli ordini e alle misure disposti; 

l) applica una sanzione amministrativa pecuniaria fino all�1 per cento 
del fatturato dell�impresa interessata qualora: 

1) i destinatari di una richiesta della stessa Autorit� forniscano informazioni 
inesatte, fuorvianti o incomplete, ovvero non forniscano le informazioni 
nel termine stabilito; 

2) i destinatari di un�ispezione rifiutino di fornire ovvero presentino in 
modo incompleto i documenti aziendali, nonch� rifiutino di fornire o forniscano 
in modo inesatto, fuorviante o incompleto i chiarimenti richiesti; 

m) nel caso di inottemperanza agli impegni di cui alla lettera f) applica 
una sanzione fino al 10 per cento del fatturato dell�impresa interessata. 

4. Restano ferme tutte le altre competenze diverse da quelle disciplinate 
nel presente articolo delle amministrazioni pubbliche, statali e regionali, nei 
settori indicati; in particolare, restano ferme le competenze in materia di vigilanza, 
controllo e sanzione nell�ambito dei rapporti con le imprese di trasporto 
e con i gestori delle infrastrutture, in materia di sicurezza e standard 
tecnici, di definizione degli ambiti del servizio pubblico, di tutela sociale e di 
promozione degli investimenti. Tutte le amministrazioni pubbliche, statali e 
regionali, nonch� gli enti strumentali che hanno competenze in materia di sicurezza 
e standard tecnici delle infrastrutture e dei trasporti trasmettono al-
l�Autorit� le delibere che possono avere un impatto sulla concorrenza tra 
operatori del settore, sulle tariffe, sull�accesso alle infrastrutture, con facolt� 
da parte dell�Autorit� di fornire segnalazioni e pareri circa la congruenza con 
la regolazione economica. Restano altres� ferme e possono essere contestualmente 
esercitate le competenze dell�Autorit� garante della concorrenza disciplinate 
dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287 e dai decreti legislativi 2 agosto 
2007, n. 145 e 2 agosto 2007, n. 146, e le competenze dell�Autorit� di vigilanza 
sui contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e le 
competenze dell�Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali di cui 
all�articolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98. 

5. � (Omissis) � 
6. � (Omissis) � 


6-bis. Nelle more dell�entrata in operativit� dell�Autorit�, determinata 
con propria delibera, le funzioni e le competenze attribuite alla stessa ai sensi 


del presente articolo continuano ad essere svolte dalle amministrazioni e 
dagli enti pubblici competenti nei diversi settori interessati. A decorrere dalla 
stessa data l�Ufficio per la regolazione dei servizi ferroviari (URSF) del Ministero 
delle infrastrutture e dei trasporti di cui all�articolo 4, comma 1, lettera 
c), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 
dicembre 2008, n. 211, istituito ai sensi dell�articolo 37 del decreto legislativo 
8 luglio 2003, n. 188, � soppresso. Conseguentemente, il Ministero delle infrastrutture 
e dei trasporti provvede alla riduzione della dotazione organica 
del personale dirigenziale di prima e di seconda fascia in misura corrispondente 
agli uffici dirigenziali di livello generale e non generale soppressi. 
Sono, altres�, soppressi gli stanziamenti di bilancio destinati alle relative 
spese di funzionamento. 

6-ter. Restano ferme le competenze del Ministero delle infrastrutture e 
dei trasporti, del Ministero dell�economia e delle finanze nonch� del CIPE in 
materia di approvazione di contratti di programma nonch� di atti convenzionali, 
con particolare riferimento ai profili di finanza pubblica�. 

Da tale complessa disposizione, si evince - con riferimento al trasporto 
ferroviario e, in particolare, a quanto di interesse per la presente vicenda - che 
l�Autorit� di regolazione dei trasporti � subentrata in tutte le funzioni precedentemente 
attribuite, dall�art. 37 del D.lgs n. 188 del 2003, al soppresso URSF. 

All�Autorit� spettano, pertanto, funzioni di vigilanza sulla concorrenza 
nei mercati dei servizi ferroviari - dovendo, in tale contesto, essa agire �in 
piena indipendenza�, tra l�altro, �dall�organismo preposto alla determinazione 
dei canoni di accesso all�infrastruttura� (art. 37, comma 1, D.lgs 188/03) nonch� 
poteri di controllo sul sistema di imposizione dei canoni di accesso all�infrastruttura 
ferroviaria e sul livello o la struttura dei canoni (art. 37, commi 
5 e 6, D.lgs 188/03). 

Tali funzioni derivano all�Autorit� sia dalla competenza generale a essa 
attribuita nell�intero settore dei trasporti - si confronti l�art. 37, comma 2, del 

d.l. n. 201/11 secondo il quale l�Autorit� provvede a garantire �condizioni accesso 
eque e non discriminatorie alle infrastrutture� di trasporto (lett. a), a 
definire �i criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti � dei canoni
� (lett. b) e a verificare �la corretta applicazione da parte dei soggetti interessati 
dei criteri fissati ai sensi della lettera b� (lett. c) - sia dalla speciale 
previsione, specifica per il trasporto ferroviario, contenuta nella successiva 
lettera i) del medesimo comma 2, secondo la quale l�Autorit� � competente 

�con particolare riferimento all�accesso all�infrastruttura ferroviaria, a svolgere 
tutte le funzioni di organismo di regolazione di cui all�articolo 37 del decreto 
legislativo 8 luglio 2003, n. 188�. 

Si deve aggiungere che il subentro in tali funzioni, con decorrenza dalla 
piena operativit� dell�Autorit�, non pu� ritenersi determinare un fenomeno 
successorio dell�Autorit� medesima al Ministero delle infrastrutture e dei tra



sporti, sia pure in relazione ai rapporti gi� facenti capo all�URSF. Come rileva 
codesta Autorit� nella richiesta di parere, infatti, ai fini della successione nei 
rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo all�URSF sarebbe stata necessaria 
una disposizione espressa o, quanto meno, sicuri indici normativi (quali, ad 
es., il trasferimento dei relativi uffici, del personale, degli affari pendenti, etc.), 
viceversa non rinvenibili nell�art. 37 del d.l. n. 201/2011. Ne consegue che 
deve escludersi anche la successione automatica nei rapporti processuali, ai 
sensi dell�art. 110 cod. proc. civ. 

Le fonti normative sopra richiamate consentono di affermare che l�Autorit� 
� subentrata anche nelle funzioni regolatorie in precedenza attribuite al 
Ministero dell�infrastrutture e dei trasporti dall�art. 17, comma 11, del D.lgs 

n. 188 del 2003, ossia nella competenza a definire �il quadro per l�accesso 
all�infrastruttura, i principi e le procedure per l�assegnazione della capacit� 
di � [e] per il calcolo del canone ai fini dell�utilizzo dell�infrastruttura ferro-
viaria�. In tal senso depone nuovamente, in particolare, l�art. 37, comma 2, 
lett. i) del d.l. n. 201 del 2011, nella parte in cui stabilisce che l�Autorit� � 
competente �a definire i criteri per la determinazione dei pedaggi da parte 
del gestore dell�infrastruttura e i criteri di assegnazione delle tracce e della 
capacit� e a vigilare sulla loro corretta applicazione da parte del gestore del-
l�infrastruttura�. Definitiva conferma si ricava, a contrario, dall�art. 37, 
comma 4, del medesimo d.l. n. 201 del 2011, secondo il quale, nell�ambito 
dei rapporti con i gestori delle infrastrutture, restano ferme le precedenti competenze 
delle amministrazioni pubbliche nelle sole materie della �sicurezza e 
standard tecnici, di definizione degli ambiti di servizio pubblico, di tutela sociale 
e di promozione degli investimenti�. 

� senz�altro da escludere, per contro, il subentro dell�Autorit� nella competenza 
alla individuazione dei canoni dovuti per l�utilizzo dell�infrastruttura 
ferroviaria, di cui all�art. 17, comma 1, del D.lgs n. 188 del 2003. 

In tal senso militano numerosi argomenti, fra i quali ci si pu� limitare a 
evidenziare: 

-il ricordato principio del diritto dell�Unione europea, secondo il quale 
spetta al gestore dell�infrastruttura definire, in piena indipendenza, l�importo 
dei canoni, mentre spetta all�organismo di regolamentazione (e dunque, ora, 
all�Autorit�) la funzione di vigilanza; 

- l�art. 37, comma 1, del D.lgs n. 188 del 2003, secondo il quale l�organismo 
di regolamentazione (ora l�Autorit�) agisce �in piena indipendenza (...) 
dall�organismo preposto alla determinazione dei canoni di accesso all�infrastruttura
�, dal che si evince che le due competenze non possono essere riunite 
in capo al medesimo soggetto. Al riguardo, si deve ritenere che la funzione di 
�determinazione� dei canoni coincida con quella di �individuazione� dei medesimi 
- che l�art. 37, comma 1, continua ad affidare al decreto del Ministro 
delle infrastrutture e dei trasporti - e non con quella di �calcolo� dei canoni 


stessi, che il successivo comma 2 del medesimo articolo gi� attribuisce al gestore 
dell�infrastruttura (3); 

-pi� in generale, la sicura incompatibilit� fra le funzioni di regolazione 
(�a monte�) e di vigilanza (�a valle�) affidate all�Autorit� e funzioni di amministrazione 
attiva, quali quelle implicate dalla determinazione dei canoni. 
Funzioni, queste ultime, sicuramente non attribuite all�Autorit�, come chiarito 

- sia pure nel raffronto con le attribuzioni spettanti alle Regioni, ma con argomentazioni 
estendibili al nostro caso - anche nella sentenza della Corte costituzionale 
n. 41 del 2013, nella quale la Corte ha affermato che �le funzioni 
conferite all�Autorit� di regolazione dei trasporti, se intese correttamente alla 
luce della ratio che ne ha ispirato l�istituzione, non assorbono le competenze 
spettanti alle amministrazioni regionali in materia di trasporto pubblico locale, 
ma le presuppongono e le supportano. Valgono anche in questo caso i 
principi affermati dalla Corte in una fattispecie analoga: �le attribuzioni 
dell�Autorit� non sostituiscono n� surrogano alcuna competenza di amministrazione 
attiva o di controllo; esse esprimono una funzione di garanzia, in 
ragione della quale � configurata l�indipendenza dell�organo� (sentenza n. 
482 del 1995). Compito dell�Autorit� dei trasporti �, infatti, dettare una cornice 
di regolazione economica, all�interno della quale Governo, Regioni e 
enti locali sviluppano le politiche pubbliche in materia di trasporti, ciascuno 
nel rispettivo ambito. Del resto la stessa disposizione censurata prevede, al 
comma 1 dell�art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011, che l�Autorit� di regolazione 
dei trasporti sia tenuta al rispetto delle competenze delle Regioni e 
degli enti locali di cui al Titolo V della parte seconda della Costituzione. Infatti, 
in relazione alle disposizioni sottoposte all�esame della Corte, per quanto 
riguarda le tariffe, i canoni e i pedaggi, le disposizioni impugnate (lettera b 
del comma 2 dell�art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011) attribuiscono al-
l�Autorit� il compito di stabilire solo i criteri, mentre resta impregiudicata in 
capo ai soggetti competenti la determinazione in concreto dei corrispettivi per 
i servizi erogati�. 

Da ultimo, nessuna competenza pu� ritenersi spettare all�Autorit� con riferimento 
alla regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e il gestore del-
l�infrastruttura e, in particolare, alla questione della ricomprensione 
dell�eventuale rimborso dello sconto K2 nell�ambito delle compensazioni per 
oneri di servizio pubblico, che lo Stato concede al gestore. Come gi� ricordato, 
infatti, ai sensi dell�art. 37, comma 4, del d.l. 201 del 2011 restano ferme le 
precedenti competenze delle amministrazioni pubbliche nella �definizione 
degli ambiti del servizio pubblico� e, dunque, anche quelle che presiedono, 

(3) Ci�, sebbene un argomento in senso contrario possa ricavarsi dal tenore dell�art. 37, comma 
10, del D.lgs n. 188 del 2003, il quale ascrive la funzione di �determinazione dei canoni� all�ambito 
delle attivit� demandate al gestore dell�infrastruttura dal precedente comma 2. 


nell�an e nel quantum, alla fissazione delle relative compensazioni. Inoltre, ai 
sensi del successivo comma 6-ter del medesimo articolo, restano ferme anche 
le previgenti competenze �in materia di approvazione di contratti di programma 
nonch� di atti convenzionali, con particolare riferimento ai profili di 
finanza pubblica�. Ed � appunto il contratto di programma lo strumento nel 
quale sono - o avrebbero eventualmente dovuto essere - previste le compensazioni 
in esame. 

*** 

4. L�esecuzione delle sentenze del Consiglio di Stato. 

Sulla base del quadro fattuale e normativo sopra descritto � possibile individuare, 
ad avviso della scrivente Avvocatura, i soggetti chiamati a dare esecuzione 
alle sentenze in esame. 

Si � visto che la sentenza resa nel giudizio di cognizione ha ritenuto che 
la misura dei canoni dovuti dagli operatori ferroviari, ivi compreso l�importo 
dello sconto K2, dovesse essere determinata sulla base del D.M. n. 44T del 
22 febbraio 2000, in quanto l�annullamento del successivo D.M. n. 92T dell�11 
luglio 2007 impediva che questo producesse effetti sia nella direzione di interpretazione 
autentica del precedente decreto, sia nella direzione in cui si proponeva 
di innovarne il contenuto precettivo. 

La sentenza resa in sede di ottemperanza ha, tuttavia, inequivocabilmente 
affermato che l�intervento annullatorio del Giudice della cognizione impone 
la �riedizione dell�attivit� amministrativa�. 

Ci�, sebbene l�art. 17, comma 10, del D.lgs n. 188 del 2003 - e, lo si noti, 
in una versione modificata dall�art. 62 della legge 23 luglio 2009, cio� in epoca 
successiva a quella in cui, come si vedr�, erano certamente venute meno le 
condizioni per la concessione dello sconto K2 - disponga che �(n)elle more 
dell�emanazione del decreto di cui al comma 1, della conseguente determinazione 
dei canoni da parte del gestore dell�infrastruttura e del recepimento 
delle modalit� e termini di calcolo del prospetto informativo della rete, i canoni 
di utilizzo dell�infrastruttura ferroviaria continuano ad essere calcolati 
sulla base dei criteri dettati dal D.M. 21 marzo 2000 e dal D.M. 22 marzo 
2000 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, pubblicati nella Gazzetta 
Ufficiale della Repubblica italiana n. 94 del 21 aprile 2000, e successive modifiche 
e integrazioni�. 

Tanto premesso, si pu� astrattamente ipotizzare che l�ulteriore attivit� amministrativa, 
alla quale allude il Giudice dell�ottemperanza, si debba estrinsecare: 

(i) in una mera attivit� di �calcolo� dello sconto (ossia dei canoni al netto 
di tale sconto), demandata al gestore dell�infrastruttura, ai sensi dell�art. 17, 
comma 2, del D.Lgs n. 188 del 2003, ovvero 
(ii) nell�attivit� di �individuazione� del canone dovuto, che l�art. 17, 
comma 1, del medesimo D.Lgs n. 188 del 2003 affida a un decreto del Ministro 
delle infrastrutture e dei trasporti (salvo che si ritenga imposta la disapplica



zione della disposizione, in attuazione della sentenza del 3 ottobre 2013 della 
Corte di giustizia dell�Unione europea). 

L�ipotesi sub (i) sembra, tuttavia, doversi escludere in quanto, dal tenore 
letterale dell�art. 17, comma 2, del D.Lgs n. 188 del 2003, si evince che l�attivit� 
di �calcolo� dei canoni da parte del gestore dell�infrastruttura deve necessariamente 
costituire attuazione del decreto di cui al precedente comma 1, 
con la conseguenza che essa non si pu� realizzare a prescindere da tale decreto. 
In tal senso depone anche il comma 10 del medesimo articolo, attraverso l�inciso 
�nelle more dell�emanazione del decreto di cui al comma 1, della conseguente 
determinazione dei canoni da parte del gestore dell�infrastruttura�. In 
altre parole, la disciplina normativa non sembra prevedere un�attivit� di �calcolo�, 
da parte del gestore dell�infrastruttura, attuativa dei D.M. del marzo 
2000 che, in forza del regime transitorio dell�art. 37, comma 10, del D.Lgs n. 
188 del 2003, regola attualmente la materia. 

Fuori da tali argomenti letterali, emerge dal contesto fattuale e dalla vicenda 
processuale prima descritti, che l�ulteriore attivit� amministrativa al 
quale si riferisce il Giudice dell�ottemperanza implica scelte discrezionali che 
trascendono l�attivit� di mero �calcolo� dei canoni. 

Occorrer�, infatti, innanzi tutto accertare l�epoca in cui sono venute meno 
le condizioni per l�erogazione dello sconto K2: fatto, questo, che appare pacifico 
tra tutte le parti e che dovrebbe collocarsi intorno all�inizio del 2008, 
ma che non � stato ancora recepito in una fonte idonea a riverberarsi sui rapporti 
tra il gestore e gli operatori ferroviari. 

Un simile accertamento certamente non contrasterebbe con il giudicato 
formatosi sulla sentenza n. 1110/13 del Consiglio di Stato, che pure ha affermato 
che gli importi spettanti agli operatori ferroviari dovevano essere regolati 
dal D.M. n. 44T del 22 marzo 2000. Infatti, questo stesso decreto qualificava, 
all�art. 1, come �temporaneo� lo sconto, enunciando, all�art. 2, comma 2, che 
�(l)o sconto viene meno al realizzarsi delle condizioni previste dal comma 1�, 
ossia al momento in cui le condizioni della rete ferroviaria avrebbero consentito 
la guida di convogli ad agente unico. E la medesima sentenza resa nel giudizio 
di cognizione afferma, in motivazione, che la disciplina dello sconto K2 
� �certamente ex se transitoria proprio in quanto deputata a sovvenire al disagio 
proprio del non ancora attivato regime generale della conduzione dei 
convogli ad �agente unico��. 

Si deve, quindi, concludere che l�ulteriore attivit� amministrativa cui si 
riferisce il Giudice dell�ottemperanza debba tradursi in �modifiche o integrazioni
� al D.M. n. 44T del 22 marzo 2000, attuate, �ora per allora�, nell�esercizio 
della competenza di cui all�art. 17, comma 1, del D.lgs n. 188 del 2003. 

La riedizione dell�attivit� amministrativa implicherebbe, pertanto, l�adozione 
di un decreto ministeriale, con il procedimento previsto dal citato art. 
17, comma 1. Sennonch�, come pi� volte ricordato nel presente parere, �, 


quanto meno, seriamente da dubitarsi della compatibilit� di tale norma con il 
diritto dell�Unione europea e, in particolare, con il principio affermato nella 
sentenza del 13 ottobre 2013 della Corte di giustizia dell�Unione europea, secondo 
il quale la determinazione dei canoni spetta all�autonoma responsabilit� 
del gestore. 

Stante tale situazione, sembrerebbe opportuno che una delle parti interessate 
all�esecuzione della sentenza (Ministero e R.F.I.) promuova incidente 
di esecuzione, ai sensi dell�art. 112 del codice del processo amministrativo. 

Esula, invece, dall�attivit� di ottemperanza della sentenza - la quale si � 
limitata a escludere, sulla base delle fonti esistenti, l�esistenza di un nesso tra 
rapporto di provvista, intercorrente tra lo Stato e il gestore dell�infrastruttura, 
e rapporto di valuta, intercorrente tra il secondo e gli operatori ferroviari - la 
questione della spettanza, a R.F.I., di compensazioni ulteriori, che implicherebbero 
nella sostanza un intervento, nuovamente �ora per allora�, sul contratto 
di programma vigente pro tempore. Tale questione dovr� essere oggetto di distinte 
determinazioni da parte dei Ministeri competenti, ivi compreso il Ministero 
dell�economia e delle finanze. 

Dalla trattazione che precede emerge, a giudizio della scrivente, l�estraneit� 
dell�Autorit� di regolazione dei trasporti alla fase di diretta esecuzione della 
sentenza, atteso che questa non implica l�esercizio di alcuna delle funzioni nelle 
quali l�Autorit� medesima � subentrata (risolvendosi, come detto, queste ultime 
in attivit� di regolazione e di vigilanza, e non di amministrazione attiva). 

N� pare opportuno il coinvolgimento dell�Autorit� - invece ipotizzato 
nelle comunicazioni del gestore dell�infrastruttura inviate alla scrivente - in 
sedi di concertazione collegiale tra le parti pubbliche delle misure di attuazione 
in questione. 

Ci� in quanto l�Autorit� medesima potrebbe essere nuovamente chiamata 
a pronunciarsi sul risultato della nuova attivit� amministrativa, nell�esercizio 
del generale potere previsto dall�art. 37, comma 2, lett. c) del d.l. n. 201 del 
2011 e di quelli specifici previsti dall�art. 37, commi 3 e 6, del D.lgs. n. 188 
del 2003. Ci�, in particolare, in relazione a eventuali profili rimasti impregiudicati 
dalla sentenza di merito del Consiglio di Stato e, dunque, a spazi di intervento 
�restituiti� alla discrezionalit� o all�autonomia dei soggetti interessati. 

La predetta conclusione non appare inficiata dalla scelta del Giudice 
dell�ottemperanza di individuare nel Segretario Generale dell�Autorit� il commissario 
ad acta, per il caso di ulteriore inottemperanza alla sentenza da parte 
dei soggetti obbligati, posto che tale nomina si riferisce alla persona fisica preposta 
all�Organo e non impegna la responsabilit� dell�Autorit� medesima. 

Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo che si � espresso in 
conformit� nella seduta del 22 maggio 2014. 


Rimborso spese legali a dipendente pubblico nel caso di 
archiviazione per prescrizione da parte del G.I.P. 

PARERE 04/06/2014-240745, CS 47105/2013, SEZ. V, AVV. ENRICO DE GIOVANNI 

In ordine al quesito posto da codesta Avvocatura, concernente la possibilit� 
di concedere il rimborso delle spese legali richiesto da dipendente a fronte 
di un provvedimento di archiviazione per prescrizione emesso nella fase preliminare 
di un procedimento penale, si osserva quanto segue. 

Come � noto, la fattispecie di rimborso in esame � disciplinata dall�art. 18 
(rubricato �rimborso delle fattispecie di patrocinio legale�) del D.L. 25 marzo 
1997 n. 67, convertito in L. 135/1997, che cos� recita: �Le spese legali relative 
a giudizi per responsabilit� civile, penale ed amministrativa, promossi nei confronti 
di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi 
con l�espletamento del servizio o con l�assolvimento di obblighi istituzionali 
conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilit�, sono 
rimborsate dalle Amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui 
dall�Avvocatura di Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'Avvocatura di 
Stato, possono concedere anticipazione del rimborso salva la ripetizione nel 
caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilit�". 

La ratio della norma, disciplinante il rimborso ai dipendenti delle pubbliche 
amministrazioni delle spese legali affrontate per procedimenti giudiziari 
strettamente connessi all'espletamento dei loro compiti istituzionali, � quella 
di tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome e per conto, ed anche 
nell'interesse, dell'Amministrazione di appartenenza, sollevando i funzionari 
pubblici dall�onere economico derivante da eventuali conseguenze giudiziarie 
connesse all'espletamento delle loro attivit� istituzionali (si vedano a tal proposito 
Cons. Stato sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190; Cons. Stato sez. IV, 7 
marzo 2005 n. 913; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 23 marzo 2010 n. 1572; 
TAR Liguria, sez. I, 22 agosto n. 882). 

Il rimborso da parte dell'amministrazione delle spese legali sostenute dal 
dipendente si �ncora a due presupposti fondamentali: da un lato vi � la stretta 
connessione fra i fatti che hanno dato origine al provvedimento e l'espletamento 
del servizio e/o l'assolvimento degli obblighi istituzionali, che va ritenuta 
sussistente quando sia possibile ricondurre l'attivit� del pubblico 
dipendente direttamente all'Amministrazione di appartenenza (la Suprema 
Corte parla al riguardo di "comunanza di interessi" perseguiti attraverso il 
reato ipotizzato con quello dell'ente pubblico di appartenenza, che si verifica 
laddove il fine ultimo perseguito da quest'ultimo avrebbe potuto essere realizzato 
solo con quella condotta). 

Il secondo elemento necessario � costituito da una pronuncia che escluda 
la responsabilit�; sotto tale profilo il quesito posto da codesta Avvocatura richiede 
idoneo approfondimento. 


Nel caso di specie il dipendente pubblico, a fronte di un procedimento 
penale conclusosi nella fase delle indagini preliminari con ordinanza di archiviazione 
per prescrizione dei presunti reati ascrittigli, ordinanza pronunciata 
dal G.I.P. in data 10 gennaio 2013, chiede di poter beneficiare del ristoro delle 
spese sostenute durante il procedimento. 

L'Avvocatura distrettuale pone in evidenza la circostanza che il provvedimento 
di archiviazione � intervenuto ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e che il dipendente 
pubblico non aveva la possibilit� giuridica di insistere per ottenere 
una pronuncia pienamente assolutoria nel merito, non essendo prevista nella 
fase delle indagini preliminare la facolt� di rinunciare ad avvalersi della prescrizione 
per ottenere la piena assoluzione e non essendo applicabile, comunque, 
il comma 2 dell'art. 129 citato. 

Come � noto l�art. 129 c.p.p. cosi recita: 

"Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilit�. 


1. In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il 
fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce 
reato o non � previsto dalla legge come reato ovvero che il reato � estinto 

o che manca una condizione di procedibilit�, lo dichiara di ufficio con sentenza. 

2. Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta 
evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che 
il fatto non costituisce reato o non � previsto dalla legge come reato, il giudice 
pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula 
prescritta". 

Codesta Avvocatura osserva esattamente (citando Cass. pen. S.U., 
12283/05) che secondo la giurisprudenza l'art. 129 c.p.p. non � applicabile 
nella fase delle indagini preliminari. 

Si rileva che effettivamente la giurisprudenza di legittimit� � orientata in 
senso univoco per siffatta interpretazione; si veda, ex multis, oltre la decisione 
gi� citata, C. Cass. Sez. I, sent. n. 5755 del 27 maggio 1991: "Il momento applicativo 
dell'obbligo dell'immediata declaratoria di determinate cause di non 
punibilit� � collocato dall'art. 129 cod. proc. pen. in "ogni stato e grado del 
processo" e non gi� del "procedimento"; il disposto di tale norma riguarda, 
quindi, il vero e proprio processo, come esercizio della giurisdizione e, pertanto, 
durante le indagini preliminari, che appartengono alla fase anteriore, 
esso non pu� trovare applicazione, trovando, invece, applicazione il diverso 
istituto dell'archiviazione il quale presuppone la necessaria richiesta del P.M.". 

Da ci� discende, secondo codesta Avvocatura, l'opportunit� di tenere comunque 
indenne il dipendente dalle spese processuali ove ricorra il primo requisito 
richiesto dall'art. 18 sopra ricordato, riconoscendo il diritto al rimborso 
a fronte di un procedimento penale conclusosi nella fase delle indagini preliminari 
con archiviazione per prescrizione. 


Siffatte pur apprezzabili considerazioni non consentono, tuttavia, a giudizio 
di questo G.U., di superare il puntuale disposto dell'art. 18 citato, con riferimento 
alla necessit� che il giudizio si sia concluso "con sentenza o 
provvedimento che escluda la ... responsabilit�". 

La norma di cui al citato art. 18, per consolidato indirizzo della giurisprudenza, 
� norma di stretta interpretazione, e deve essere applicata nel senso di 
rigettare ogni richiesta risarcitoria che non sia suffragata da un provvedimento 
che escluda qualsiasi profilo di responsabilit� del dipendente, risultando applicabile 
ai soli casi espressamente disciplinati ex lege (si veda ex plurimis 
Cass. 3 gennaio 2008 n. 2). 

In questo senso si devono leggere le pronunce anche recenti in subiecta 
materia della magistratura contabile ed amministrativa (si vedano ad esempio 
Cons. St. sez. II 21 giugno 2013 n. 2908, in Giustizia Civile, 10, 2256; Cons. 
St. sez. VI 29 aprile 2005, n. 2041; C. Conti 30 novembre 2010 n. 205; C. 
Conti 23 aprile 2007 n. 201). 

La rigorosa interpretazione della citata disposizione deve confermarsi 
anche nel caso (come quello di cui ci si occupa) in cui la prescrizione del reato 
venga dichiarata nella fase delle indagini preliminari, giacch� una decisone di 
siffatto tenore non esclude la responsabilit�: infatti, poich� la disposizione di 
cui al citato art. 18 attribuisce un vantaggio a carico del dipendente e corrispettivamente 
un onere economico a carico dell'amministrazione, la sua applicazione 
deve essere limitata ai soli casi espressamente previsti dalla legge, 
con esclusione di applicazioni analogiche o estensive. 

Dunque, giacch� nel caso di specie non si rinviene nessuna pronuncia assolutoria 
nel merito, non potendosi equiparare, sotto il profilo del diritto al 
rimborso, l'archiviazione nella fase delle indagini preliminari ad una sentenza 
di assoluzione piena nel merito, l'Amministrazione investita della richiesta 
dovr� respingerla, negando il rimborso. 

Sul presente parere si � espresso in conformit� il Comitato Consultivo in 
data 22 maggio 2014. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Federalismo fiscale e nuova finanza locale 


Antonio Tallarida* 

SOMMARIO: 1. La Finanza locale derivata - 2. Il sistema costituzionale del 1948 - 3. Le 
tappe dell�autonomia finanziaria - 4. Il federalismo municipale e provinciale - 5. Le entrate 
tributarie - 6. Le entrate extratributarie e demaniali - 7. Le entrate da trasferimenti nazionali 

-8. Le entrate da trasferimenti comunitari - 9. Le risorse da indebitamento - 10. La giurisprudenza 
costituzionale e i tributi propri - 11. Conclusioni. 

1. La Finanza locale derivata. 

Il federalismo fiscale � la nuova frontiera dell�autonomia finanziaria degli 
Enti locali, dopo decenni di finanza derivata, spesso inutilmente dispendiosa 
ed � finalizzato a raggiungere un�effettiva responsabilizzazione dei diversi livelli 
di governo attraverso il dimensionamento delle entrate alle reali esigenze 
di spesa, sotto il diretto controllo delle collettivit� di riferimento. 

Per questo, in materia di finanza locale, occorre respingere la facile tentazione 
di pensare soprattutto al sistema delle imposte, tasse, compartecipazioni, 
diritti e altri analoghi balzelli. In realt�, il punto di partenza deve essere 
quello della spesa pubblica da cui discende la necessit� di trovare i mezzi materiali 
per il suo sostentamento da parte dell�ente locale. 

� stato efficacemente scritto che �la spesa � il convitato di pietra di tutti 
i ragionamenti� in materia (1). 

In questa consapevolezza gi� si muoveva il R.D. n. 1175 del 1931 (T.U. 
per la finanza locale) che - ai primi articoli (art. 4-9) - poneva proprio la classificazione 
delle spese dei Comuni e delle Province, distinguendole in obbligatorie 
e facoltative. 

(*) Vice Avvocato Generale. 

(1) F. BASSO, in Corriere della Sera, 2014, n. 129, pag. 2. 


A tale proposito, poich� la parte predominante delle risorse destinate a 
coprire le suddette spese era costituita da trasferimenti erariali, si parla correttamente 
di finanza derivata. 

Tuttavia, ai Comuni era nominalmente attribuito il potere di istituire ed 
applicare un gran numero di imposte, tasse, contributi e diritti. 

Si andava cos� dalle imposte di consumo su generi alimentari (bevande, 
carni, pesce, dolciumi, formaggi) e diversi (profumi, gas ed energia elettrica, 
materiali di costruzione, mobili e pellicce), all�imposta sul valore locativo 
delle abitazioni, dall�imposta di famiglia all�imposta sul bestiame e sui cani, 
da quelle sulle vetture e i domestici a quelle sui pianoforti e biliardi, dall�imposta 
sull�industria, commercio, professioni, arti e mestieri all�imposta di 
soggiorno e cura e all�imposta di licenza, fino alle tasse di occupazione di 
spazi e aree pubbliche, di circolazione, di smaltimento dei residui solidi urbani, 
ai contributi di miglioria generica e specifica e di fognatura, alla sovrimposta 
fondiaria, ai diritti su pesi e misure, oltre alle varie tariffe per i 
servizi municipalizzati. 

Ma il raggiungimento di una vera autonomia finanziaria era ancora un 
obiettivo lontano. 

2. Il sistema costituzionale del 1948. 

Nemmeno la Costituzione ha originariamente previsto in modo espresso 
l�autonomia finanziaria degli Enti locali, limitandosi a riconoscerla solo alle 
Regioni ordinarie e a prevedere che �le leggi della Repubblica coordinano la 
finanza regionale con quella dello Stato, delle Province e dei Comuni� (art. 
119, testo originario, Cost.). 

Peraltro, i successivi articoli 128-130 Cost., relativi a detti Enti, qualificavano 
Comuni e Province come enti autonomi e di decentramento amministrativo, 
nell�ambito delle leggi della Repubblica che ne stabiliscono le funzioni. 

Era il segnale di un cambio rispetto al recente passato, un significativo 
ritorno alle tradizionali autonomie municipali, iniziato gi� con la modifica del 

T.U. com. e prov. del 1934 e il recupero di parte di quello del 1915. 

Un forte spirito autonomistico gi� permeava invece gli statuti delle Regioni 
a ordinamento speciale, approvati con le coeve leggi cost. n. 2, 3, 4 e 5 
del 1948. In particolare quello della Regione Siciliana all�art. 36 attribu� alla 
regione un�ampia autonomia finanziaria, stabilendo che �al fabbisogno finanziario 
della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della regione a 
mezzo di tributi deliberati dalla medesima�; quello della Regione Sardegna 
assegn� alla regione �una propria finanza� (art. 7) e �altri tributi propri che 
la regione ha facolt� di istituire con legge in armonia con i principi del sistema 
tributario dello Stato� (art. 8, lett. h); quello della Regione Valle d�Aosta stabil� 
che �La Valle pu� istituire proprie imposte e sovrimposte osservando i 
principi dell�ordinamento tributario vigente� (art. 12). 


Una spiccata autonomia finanziaria � riconosciuta anche alla Regione 
Trentino-Alto Adige e alla Regione Friuli-Venezia Giulia. 

3. Le tappe dell�autonomia finanziaria. 

L�istituzione delle Regioni, avvenuta a seguito dell�approvazione della 
legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l�attuazione delle 
regioni ordinarie) e il conseguente dibattito federalista, sviluppatosi specie 
negli anni �80-�90, portarono ad una prima riforma dell�ordinamento degli 
E.L., con l�approvazione della L. 4 giugno 1990, n. 142 (ordinamento delle 
autonomie locali) che, per la prima volta, riconosceva a Comuni e Province, 
oltre all�autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa, 
anche quella impositiva e finanziaria, nell�ambito dei propri statuti e regolamenti 
e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica (art. 2). Il successivo 
art. 54 stabiliva che la finanza dei comuni e delle province era costituita 
da imposte proprie, addizionali a imposte erariali o regionali, tasse e diritti per 
servizi pubblici, trasferimenti erariali e regionali, entrate patrimoniali, risorse 
per investimenti, speciali contributi statali per situazioni eccezionali. 

Queste entrate dovevano essere destinate a finanziare i servizi pubblici 
necessari e indispensabili, mentre per la realizzazione di opere pubbliche di 
preminente interesse sociale ed economico era previsto un fondo nazionale 
ordinario accanto ad un fondo nazionale speciale perequativo per opere pubbliche 
definite dalla legge statale. 

Con la successiva legge 23 ottobre 1992, n. 421 fu data delega per la 
revisione, tra l�altro, della finanza territoriale (art. 4). Ad essa seguirono alcuni 
provvedimenti attuativi, costituiti dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 
(riordino della finanza locale), istitutivo dell�ICI, e attributivo ai Comuni della 
tassa sulla raccolta dei rifiuti solidi urbani (TARSU), dell�imposta provinciale 
per l�iscrizione dei veicoli al PRA e di tre fondi di trasferimenti erariali (ordinario, 
consolidato e perequativo) variamente alimentati (addizionale energia 
elettrica, contributi statali, ecc.) e dal d.lgs. 30 dicembre 1993, n. 507, istitutivo 
della tassa per l�occupazione di aree pubbliche (TOSAP) e dell�imposta 
sulla pubblicit�. 

Un�ulteriore spinta in senso autonomista fu impressa dalla legge finanziaria 
per il 1997 (L. 23 dicembre 1996, n. 662), con delega per il riordino 
dei tributi locali (art. 3, commi 143-152), attuata con il d.lgs. n. 446 del 1997, 
istitutivo dell�IRAP, dell�ILOR e dell�IPT e attributivo ai Comuni e alle Province 
del potere di regolamentare le proprie entrate (ad eccezione delle fattispecie 
imponibili, dei soggetti passivi e delle aliquote massime) indispensabile per 
la disciplina dei propri tributi (art. 52) e con il d.lgs. n. 244 del 1997, di riordino 
del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali (fondo ordinario per 
le province e i comuni, fondo per le comunit� montane, fondo consolidato, 
fondo per la perequazione e gli incentivi, fondi nazionale ordinario e speciale 


per gli investimenti, fondo per lo sviluppo degli investimenti degli enti locali). 

Nonostante i progressi compiuti sulla via dell�autonomia finanziaria, si 
restava sostanzialmente nell�ambito della finanza derivata, per la forte prevalenza 
dei trasferimenti statali rispetto alle entrate proprie. Si pensi che il solo 
fondo ordinario per i Comuni e le Province ammontava a lire 16.646 miliardi 
e 900 milioni (art. 1, c. 1, lett. b), cui dovevano aggiungersi le varie migliaia 

o centinaia di miliardi degli altri fondi. Come curiosit�, pu� ricordarsi che nel 
fondo consolidato erano gi� previsti contributi per le nuove province e per il 
Comune di Roma quale concorso dello Stato agli oneri di Capitale della Repubblica 
(art. 1, c. 4, lett. f, d.lgs. n. 244 del 1997). 

Su tale processo, hanno esercitato una significativa influenza la riforma 
Bassanini (L.n. 59/1997) e i successivi decreti attuativi (specie il d.lgs. n. 112 
del 1998), che hanno mutato il volto dello Stato, attraverso un forte decentramento 
amministrativo (unico attuabile a Costituzione invariata) operato con 
conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato a Regioni, Province, 
Comuni e Citt� metropolitane. 

La legge ha avuto anche l�accortezza di prevedere che tale conferimento 
doveva essere accompagnato (ed avere decorrenza) dal trasferimento effettivo 
delle risorse necessarie per il loro esercizio (art. 7), determinate secondo il criterio 
della spesa storica. 

La riforma del TUEL, approvata con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ha ancora 
una volta revisionato le funzioni di Comuni e Province e riconosciuto 
loro �nell�ambito della finanza pubblica, autonomia finanziaria fondata su 
certezza di risorse proprie e trasferite� (art. 149, comma 2). Queste dovevano 
essere costituite da: imposte proprie, addizionali e compartecipazioni a imposte 
erariali e regionali, tasse e diritti per servizi pubblici, trasferimenti erariali 
e regionali, altre entrate proprie, anche di natura patrimoniale, risorse per investimenti. 
Erano contemplati inoltre contributi statali per fronteggiare situazioni 
eccezionali e due fondi nazionali (ordinario per contribuire ad oo.pp., e 
perequativo), nonch� finanziamenti regionali specifici. 

Il testo unico detta anche norme in materia di ordinamento finanziario e 
contabile, fissando i principi di programmazione, gestione, rendicontazione, 
e di revisione del bilancio (art. 150 e ss.). 

Tuttavia, il sistema cos� costruito faticava a funzionare perch� il parziale 
ampliamento dell�autonomia impositiva (in parte compensato in negativo dalla 
riduzione dei trasferimenti erariali) non riusciva a supportare adeguatamente 
la rilevante crescita delle funzioni conferite agli Enti locali e la �fame� endemica 
di questi. 

Era necessaria una svolta decisiva. 

4. Il federalismo municipale e provinciale. 

Questa svolta si � avuta con la modifica costituzionale del Titolo V, ap



provata con L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, che ha dato dignit� costituzionale 
alla riforma Bassanini e posto le basi costituzionali del federalismo fiscale, riscrivendo 
l�art. 119 Cost. 

Il nuovo testo, come integrato dalla L. cost. n. 1 del 2012, contiene le seguenti 
disposizioni fondamentali: 

-I Comuni, le Province, le Citt� Metropolitane e le Regioni hanno autonomia 
finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell�equilibrio dei relativi 
bilanci e concorrono all�osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti 
dall�ordinamento dell�U.E. 

-Essi hanno risorse autonome, costituite da tributi ed entrate propri e 
dispongono di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibile al loro 
territorio. 

-Un fondo perequativo erariale, senza vincolo di destinazione, � riservato 
per i territori con minore capacit� fiscale. 

-Per finalit� specifiche (sviluppo, coesione e solidariet� sociale, riequilibrio 
economico-sociale, diritti alla persona o scopi diversi) lo Stato pu� destinare 
risorse aggiuntive e interventi speciali in determinati territori. 

-I Comuni e le Province hanno un proprio patrimonio e possono ricorrere 
all�indebitamento ma solo per finanziare spese di investimento, senza garanzia 
statale. 

Le funzioni da finanziare con dette risorse sono quelle attribuite a tali enti 
e menzionate nei precedenti articoli 117, 2� comma, lett. p) e 118 Cost. (funzioni 
proprie, fondamentali e conferite). 

Inoltre il nuovo art. 81 Cost., come sostituito dalla l. cost. n. 1 del 20 
aprile 2012 ha prescritto che �Lo Stato assicura l�equilibrio tra le entrate e le 
spese del bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del 
ciclo economico�, principi questi espressamente estesi anche ai bilanci degli 
Enti Locali, con L. 24 dicembre 2012, n. 243. 

La legge La Loggia 5 giugno 2003, n. 131 (adeguamento dell�ordinamento 
della Repubblica alla legge cost. n. 3/2001), mentre conteneva la delega per la 
individuazione delle funzioni fondamentali di comuni, province e citt� metropolitane 
(art. 2), nonch� la disciplina della potest� normativa degli enti locali 
(art. 3) e le modalit� di conferimento a detti enti delle funzioni amministrative 
(art. 7), non ha potuto dare attuazione ai principi di autonomia finanziaria. 

Un punto a favore del federalismo municipale � stato per� segnato 
dall�art. 1, commi 145-149, della Legge Finanziaria 2007 (l. n. 296/2006) 
che ha autorizzato i Comuni a istituire con proprio regolamento �un�imposta 
di scopo destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese 
per la realizzazione di opere pubbliche individuate dai comuni nello stesso 
regolamento�. L�imposizione di scopo ha infatti il duplice vantaggio di rendere 
evidente al contribuente il collegamento tra imposta e spesa, consentendo 
cos� un maggior controllo sull�operato dell�ente, e di obbligare questo 


a destinare effettivamente il relativo gettito allo scopo prefisso (2). 
� stato per� necessario attendere l�approvazione della L. 5 maggio 2009, 

n. 142 (delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione del-
l�art. 119 Cost.) prima di poter dare concreta attuazione al dettato costituzionale. 

Tale legge �reca disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i principi 
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario� 
(art. 1) e fissa una serie di principi e criteri direttivi, generali (art. 2) e 
specifici (dall�art. 5 al 29), per l�adozione dei decreti legislativi, volti a dare 
attuazione a quello che � stato definito un federalismo cooperativo e solidale, 
attraverso la determinazione delle modalit� di finanziamento delle spese relative 
alle funzioni attribuite a Comuni e Province e l�armonizzazione dei rispettivi 
sistemi contabili (3). 

Il federalismo fiscale municipale e provinciale cos� disciplinato � fondato 
sulla classificazione delle spese, sul superamento del sistema della finanza derivata 
e sull�incremento dell�autonomia di spesa e di entrata degli E.L., nel rispetto 
dei principi di solidariet�, riequilibrio territoriale, pareggio di bilancio, 
coesione sociale e si ispira alle seguenti finalit�: 

-finanziamento delle spese riconducibili all�esercizio delle funzioni fondamentali 
e dei livelli essenziali con tributi propri, compartecipazioni e addizionali; 
delle spese riconducibili alle altre funzioni anche con il fondo 
perequativo basato sulla capacit� fiscale per abitante e delle ulteriori spese 
con i contributi speciali e i finanziamenti europei 

-superamento del criterio della spesa storica e determinazione dei fabbisogni 
e costi standard 

-soppressione dei trasferimenti erariali, salvo quelli previsti dalla Costituzione, 
di perequazione e per interventi speciali 

-equilibrio della gestione finanziaria. 

Ai Comuni � riconosciuta una partecipazione all�attivit� di accertamento 
tributario e attribuita una quota del maggior gettito derivato e delle 
sanzioni catastali irrogate e viene previsto l�interscambio dei dati informatici 
(art. 2, c. 10 e 11). 

Esso inoltre si accompagna alla previsione di meccanismi di premialit� 
e sanzionatori, di un patto di convergenza, dei costi e fabbisogni standard 
(art. 18), di misure di armonizzazione dei sistemi contabili e di bilancio e di 
disposizioni in materia di attribuzione e valorizzazione di beni demaniali e 
patrimoniali (4). 

Un altro passaggio chiave � stato infine segnato dalla individuazione delle 
funzioni fondamentali da finanziare, effettuata direttamente dall�art. 14, 

(2) A. URICCHIO, Imposizione di scopo e federalismo municipale, Maggioli, 2013. 
(3) M. NICOLAI, (a cura di), Finanza pubblica e Federalismo, Maggioli, 2012. 
(4) G. IELO, Il federalismo fiscale municipale, IPSOA, Milano, 2011. 



comma 27, D.L. n. 78/2010, conv. in L. n. 122/2010, non essendo stata attuata 
la delega prevista dalla legge La Loggia. 

A questo punto il quadro degli elementi indispensabili per passare alla 
concreta attuazione del federalismo fiscale � completo. 

All�attualit� sono stati emanati 8 decreti legislativi: n. 85/2010 (patrimonio 
degli E.L.), n. 216/2010 (costi e fabbisogni standard), n. 23/2011 (federalismo 
municipale), n. 68/2011 (costi e fabbisogni standard nel settore sanitario; 
tributi regionali), n. 88/2011 (risorse aggiuntive e interventi speciali), n. 
91/2011 (armonizzazione dei sistemi contrabili), n. 118/2011 (bilanci), n. 
149/2011 (meccanismi sanzionatori e premiali), oltre a quelli su Roma Capitale, 
n. 156/2010 e n. 61/2012. 

Si pu� quindi affermare, sulla base della normativa come si � venuta assestando, 
(ancora non del tutto) attraverso la lunga evoluzione dianzi descritta, 
che la nuova finanza degli Enti Locali � oggi costituita da: 

-entrate tributarie (tributi propri, tasse, addizionali, compartecipazioni) 

-entrate extratributarie e demaniali 

-trasferimenti da Stato, Regioni e altri Enti Pubblici 

-trasferimenti dall�Unione Europea 

-ricorso all�indebitamento. 

5. Le entrate tributarie. 

I decreti legislativi n. 23 e n. 68 del 2011 disciplinano il federalismo fiscale 
municipale e provinciale, pur avendo subito gi� notevoli modificazioni. 

Il quadro sintetico delle entrate tributarie dei Comuni, alla luce del d.lgs. 

n. 23 del 2011 e delle sue successive modifiche, � dato all�attualit� (2014) da: 

a) Imposta municipale propria, sulle abitazioni non principali dovute dal 
proprietario o dal titolare di diritto reale; aliquota ordinaria 0,76%; stessa base 
imponibile ICI. La legge di stabilit� 2014, l. 27 dicembre 2013, n. 147, ha per� 
profondamente modificato questa imposta, trasformandola in imposta unica 
comunale (IUC), basata su due presupposti (possesso di immobili e fruizione 
dei servizi comunali) e articolata in tre tributi (IMU, di natura patrimoniale; 
TASI, per i servizi indivisibili; TARI per il servizio di raccolta dei rifiuti) la cui 
aliquota massima complessiva non pu� superare i limiti prefissati per la sola 
IMU (10,6 per mille) (art. 1, commi 639 e ss.). Ma ulteriori modifiche sono 
state apportate dal d.l. n. 16 del 2014, convertito dalla legge 2 maggio 2014, 

n. 68, consentendo tra l�altro il superamento di detti limiti, per il 2014, in misura 
non superiore allo 0,8 per mille (art. 1). 

b) Imposta municipale secondaria, sulla occupazione di aree e spazi 
pubblici, anche a fini pubblicitari (sostituisce le analoghe precedenti imposte 
comunali). 

c) Devoluzione della fiscalit� immobiliare, ossia del gettito delle imposte 
erariali relative ai trasferimenti (registro, ipocatastali, tributi speciali) e alle 


locazioni (registro, cedolare secca) degli immobili siti nel territorio del Comune 
e dell�Irpef fondiaria (anticipata a decorrere dal 2011). 

d) Imposta di soggiorno (art. 4), nelle citt� capoluogo di provincia, unioni 
di Comuni, citt� turistiche e d�arte - max � 5. 

e) Imposta di sbarco (art. 4, c. 3 bis), nelle isole minori (esclusi i residenti 
ed equiparati, i lavoratori e studenti pendolari) - � 1,50. 

f) Imposta di scopo, (art. 6), istituita dalla l. n. 296/2006, per finanziare 
(sino al 30%) opere pubbliche (trasporto pubblico, strade, arredo urbano, parchi 
e giardini, beni artistici, spazi culturali, edilizia scolastica straordinaria); 
aliquota 0,5%, per massimo 10 anni. 

g) Tassa sui rifiuti: ex TARSU, TIA 1 (con decorrenza 1999), TIA 2 (dal 
2010), TARES (2013), TARI componente ora della IUC (l. n. 147/2013). 

h) Tassa per partecipazione a concorsi comunali (L. n. 240/2000, art. 23) 

-max � 10,33. 
i) Addizionale comunale all�IRPEF, sui redditi dei soggetti con domicilio 
fiscale nel comune al 1 gennaio dell�anno di imposta; aliquota 0,8%. 
l) Addizionale comunale sui diritti di imbarco su aeromobili (d.l. n. 
80/2004); � 5,50. 
La compartecipazione all�IVA, � stata sospesa per il 2013 e 2014 ex l. n. 
228/2012 e abrogata dall�art. 1, comma 729, lett. h, l. n. 147/2013. 
L�addizionale all�accisa sull�energia elettrica � stata soppressa dal 2012 
(ex art. 2 d.lgs. n. 23/2011). 
Le entrate fiscali delle Province, come previste dal d.lgs. n. 68/2011 (5), 

sono all�attualit�: 

-imposta sulla RCA 

-imposta ambientale (stessa base imponibile e soggetti passivi della 
tassa rifiuti) 

-imposta provinciale di trascrizione (IPT) sulle formalit� al PRA 

-tassa per l�occupazione di spazi e aree pubbliche (TOSAP) 

-tributo speciale per deposito in discarica (l. n. 549/1995, art. 3) 

-addizionale provinciale all�IRPEF 

-compartecipazione IRPEF (art. 18 d.lgs. n. 68/2011); aliquota 0,60% (6). 

La nuova legge sulle Province (n. 56/2014) ha per� ridefinito le funzioni 

delle Province (art. 1, commi 85-91) e dato delega al Governo per l�adozione 
di decreti legislativi �in materia di adeguamento della legislazione statale 
sulle funzioni e sulle competenze dello Stato e degli enti territoriali e di quella 
sulla finanza e sul patrimonio dei medesimi enti� (art. 1, comma 97). 

(5) S. VILLANI, Il sistema delle entrate delle Province dopo il decreto sul federalismo fiscale, in 
Il Fisco, 2011, 31, 5030. 
(6) F. STRADINI, Profili attuali delle compartecipazioni delle regioni e degli enti locali ai tributi 
statali, in Rass. tributaria, 2012, 1, 183. 



� infatti evidente che al mutamento delle funzioni dovr� corrispondere 
una consistente modifica della finanza provinciale. 

6. Le entrate extratributarie e demaniali. 

Le entrate extratributarie dei Comuni e delle Province non trovano disciplina 
unitaria nei decreti legislativi sopra richiamati, ma sono catalogate in 5 
categorie ai fini contabili (D.P.R. 31 gennaio 1996, n. 194): 

1) proventi dei servizi pubblici 

2) proventi dei beni dell�ente 

3) interessi su anticipazioni e crediti 

4) utili netti delle aziende speciali e partecipate, dividendi di societ� 

5) proventi diversi. 

La prima categoria di proventi � tradizionalmente distinta in proventi derivanti 
da servizi pubblici a rilevanza economica e gestiti in regime concorrenziale 
(es. servizio idrico integrato, gas, energia elettrica, fognature e 
depurazione, centrali del latte, ecc.) e consistono nelle relative tariffe, variamente 
determinate, e servizi privi di rilevanza economica, prestati per fini di 
utilit� sociale e, normalmente, a domanda (es., asili nido, case di riposo, diurni, 
ecc.), il cui costo, nel caso di Enti deficitari, deve essere coperto dai proventi 
tariffari, in misura non inferiore al 36% del loro costo (art. 243 TUEL). 

La seconda � costituita dai proventi derivanti dall�utilizzo dei beni demaniali 
e indisponibili e dei beni patrimoniali (es. canoni di concessione, canoni 
di locazione, diritti ecc.). 

La terza comprende i proventi finanziari, costituiti dagli interessi, premi 
e altri introiti derivanti da obbligazioni e titoli posseduti dall�ente. 

La quarta � costituita dagli utili derivanti dalla partecipazione ad aziende 
pubbliche e dai dividendi societari. 

La quinta comprende ogni altro provento non classificabile tra i precedenti. 

Si tratta nel complesso di entrate non particolarmente consistenti, che 
per� potrebbero essere incrementate attraverso l�utilizzo delle facolt� (alienazioni, 
valorizzazione dei beni) messe a disposizione dal federalismo demaniale 
(d.lgs. n. 85/2010 e provvedimenti attuativi) (7). 

7. Le entrate da trasferimenti erariali, regionali e di altri E.P. 

Tali entrate sono state molto penalizzate dalla riforma federalista, tendendo 
questa ad assicurare l�autosufficienza degli enti locali attraverso l�aumento 
della loro capacit� impositiva. 

Infatti, il d.lgs. n. 23 del 2011 ha previsto la riduzione dei trasferimenti 
erariali ai Comuni in misura corrispondente ai tributi devoluti (art. 2, comma 

(7) A. POLICE, Il federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o dismissioni locali?, in Giornale 
Dir. Amm., 2010, 12, 1233. 


8) e il d.lgs. n. 68 del 2011 ha disposto la soppressione dei trasferimenti statali 
alle Province (art. 18). 

Il medesimo d.lgs. n. 68 ha previsto la soppressione dei trasferimenti regionali 
ai Comuni di parte corrente e in conto capitale (ove non finanziati con 
il ricorso all�indebitamento) (art. 12) e di quelli analoghi alle Province (art. 19). 

Contestualmente, in applicazione dell�art. 119 Cost., � stata prevista l�istituzione 
di un Fondo perequativo per comuni e province nel bilancio dello 
Stato, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro svolte 
(art. 13 d.lgs. n. 23/2011), pi� volte in seguito ridotto (v. art. 16, comma 6, d.l. 

n. 95/2012). 

Nelle more della istituzione del suddetto fondo � stato istituito un fondo 
sperimentale di riequilibrio statale (art. 2, c. 3, d.lgs. n. 23/2011) e un fondo 
sperimentale di riequilibrio regionale (art. 12, comma 4, d.lgs. n. 68/2011) 
della durata di 3 anni. 

A decorrere dal 2013, il Fondo statale sperimentale per i Comuni � stato 
soppresso e sostituito da un Fondo di solidariet� comunale, alimentato in parte 
da una quota dell�imposta municipale propria (l. 24 dicembre 2012, n. 228, 
art. 1, comma 380 e ss.). La dotazione del fondo, a decorrere dal 2015, � pari 
a � 6.547.114.923,12 (l. n. 147 del 2013, art. 1, c. 730). 

Le quote non fiscalizzate dei trasferimenti erariali continuano ad essere 
corrisposte in base alle disposizioni dell�art. 2, comma 45, d.l. n. 225 del 2010 
(art. 4, comma 6, d.l. n. 16 del 2012). 

8. Le entrate da trasferimenti comunitari. 

Le entrate rivenienti dalle assegnazioni della U.E. sono particolarmente 
aumentate con il progressivo espandersi della politica comunitaria di coesione 
economica e sociale. 

Si tratta dei fondi strutturali per interventi a favore delle regioni a sviluppo 
ritardato o delle aree in declino industriale, o del sistema agrario o dell�occupazione, 
e cio� del FESR, FSE e di altri strumenti finanziari (FEASR, FEP, FC, FEI), 
che per� gli E.L. spesso non riescono ad impegnare tempestivamente. 

9. Le risorse da indebitamento. 

Si tratta delle entrate derivanti dall�eventuale ricorso all�indebitamento, 
per acquisti di beni immobili, di attrezzature o per opere pubbliche. 

Sulla base del gi� citato D.P.R. n. 194 del 1996, esse si distinguono in 

-anticipazioni di cassa 

-mutui e prestiti 

-finanziamenti a breve termine 

-prestiti obbligazionari. 

Il loro utilizzo � sottoposto a stringenti condizioni e limitazioni. 

Al riguardo, l�art. 119 Cost., come modificato dalla l. cost. n. 1/2012, pre



scrive che Comuni, Province e Citt� metropolitane �possono ricorrere all�indebitamento 
solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione 
di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso deglienti di ciascuna Regione sia rispettato l�equilibrio di bilancio. � esclusa ogni 
garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti�. 

Tradizionalmente, anche se non pi� obbligatoriamente (dopo il d.l. n. 
310/1999), gli E.L. si rivolgono per l�assunzione di mutui alla Cassa Depositi 
e Prestiti, oggi societ� per azioni, ma possono chiederli anche all�INPS, all�Istituto 
per il credito sportivo, a banche o alla BEI. 

I prestiti obbligazionari consistono nella emissioni di titoli, anche per il 
finanziamento di una specifica opera pubblica, di durata superiore a 5 anni e 
interesse non superiore al rendimento lordo degli analoghi titoli di Stato. 

Il recente d.l. n. 16/2014 ha consentito agli E.L. di derogare ai limiti previsti 
dal TUEL, per gli anni 2014 e 2015 (art. 5). 

Fortissime limitazioni infine riguardano il ricorso ai prodotti derivati (su 
cui v. anche C. Cost., sent. n. 70 del 2012). 

10. La giurisprudenza costituzionale e i tributi propri. 

La Corte Costituzionale ha avuto modo di occuparsi a pi� riprese, a seguito 
della modifica dell�art. 119 Cost., del potere impositivo degli Enti Territoriali 
sottolineando la novit� e complessit� del sistema di autonomia 
finanziaria di tali Enti e precisando che esso va coordinato con altre disposizioni 
della Costituzione. 

Si tratta in particolare dell�art. 117, secondo comma, lett. e) (che attribuisce 
allo Stato potest� legislativa esclusiva in materia di �sistema tributario e 
contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie� ), terzo comma 
(che attribuisce alla potest� concorrente dello Stato e delle Regioni il �coordinamento 
della finanza pubblica e del sistema tributario�) e quarto comma 
(che attribuisce alla potest� residuale delle Regioni �ogni materia non espressamente 
riservata alla legislazione dello Stato�), nonch� dell�art. 81 (nuovo 
testo) (sull�obbligo di �equilibrio tra le entrate e le spese� e di copertura finanziaria 
di ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri) e dell�art. 53 (secondo 
cui �il sistema tributario � informato a criteri di progressivit��). 

Infatti, secondo il lungimirante orientamento della Corte, sia l�obbligo di 
equilibrio del bilancio, espresso dall�art. 81, primo comma, che quello di copertura 
delle leggi di spesa si applicano anche alle leggi regionali (sent. n. 26 
del 2013 e n. 176 del 2012). Analogamente, la Corte ha affermato che �ai 
sensi dell�art. 3, secondo comma, Cost., la progressivit� � principio che deve 
informare l�intero sistema tributario� cui devono ispirarsi anche le Regioni 
nell�esercizio del loro autonomo potere impositivo (sent. n. 2 del 2006). 

Ci� posto, proprio la consapevolezza della novit� del sistema ha indotto 
la Corte a subordinare la sua attuazione alla previa adozione di una legislazione 


nazionale che consenta �il passaggio dall�attuale sistema - caratterizzato dalla 
permanenza di una finanza regionale ancora in non piccola parte derivata 
cio� dipendente dal bilancio statale e da una disciplina statale unitaria di tutti 
i tributi, con limitate possibilit� delle Regioni e degli Enti locali di effettuare 
scelte autonome, ad un nuovo sistema� (sent. n. 423/2004) e conseguentemente 
a postulare la necessit� di un intervento legislativo statale per coordinare 
l�insieme della Finanza Pubblica. A tal fine la legge �dovr� non solo fissare i 
principi fondamentali cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma dovr� 
anche determinare le grandi linee dell�intero sistema tributario e definire gli 
spazi e i limiti entro i quali potr� esplicarsi la potest� impositiva, rispettivamente 
di Stato, Regioni ed Enti locali� (sent. n. 37 e n. 261 del 2004). 

Da tali assiomi, la Corte (con sent. 26 marzo 2010, n. 123) ha tratto le seguenti 
conseguenze: 

�a) in forza del combinato disposto del secondo comma, lettera e), del 
terzo comma e del quarto comma dell�art. 117 Cost., nonch� dell�art. 119 
Cost., non � ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potest� 
regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento 
dettata dal Parlamento nazionale (sentenze n. 102 del 2008 e n. 
37 del 2004); 

b) di conseguenza, fino a quando l�indicata legge statale non sar� emanata, 
rimane precluso alle Regioni il potere di istituire e disciplinare tributi 
propri aventi gli stessi presupposti dei tributi dello Stato e di legiferare sui 
tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali (sentenze n. 102 del 2008; 

n. 75 e n. 2 del 2006; n. 397 e n. 335 del 2005; n. 37 del 2004);

c) va considerato statale e non gi� �proprio� della Regione, nel senso 
di cui al vigente art. 119 Cost., il tributo istituito e regolato da una legge statale, 
ancorch� il relativo gettito sia devoluto alla Regione stessa (sentenze n. 
298 e n. 216 del 2009); 

d) la disciplina, anche di dettaglio, dei tributi statali � riservata alla legge 
statale e l�intervento del legislatore regionale � precluso anche solo ad integrazione 
della disciplina, se non nei limiti stabiliti dalla legislazione statale 
stessa (sentenze n. 298 e n. 216 del 2009; n. 2 del 2006; n. 397 del 2005)�. 

In questa fase, unico limite per il Legislatore statale nell�intervenire sul-
l�assetto tributario vigente, � costituito �dal divieto di procedere in senso inverso 
a quanto oggi prescritto dall�art. 119, sopprimendo senza una loro 
sostituzione gli spazi di autonomia gi� riconosciuti dalle leggi statali vigenti 
alle Regioni ed Enti locali, ovvero di configurare un sistema complessivo che 
si ponga in contraddizione con i principi del medesimo art. 119� (sent. n. 37 
del 2004; n. 241 del 2012). 

La prova che la riduzione o soppressione del tributo statale determini una 
contrazione del gettito regionale tale da compromettere lo svolgimento delle 
funzioni fondamentali compete alla regione ricorrente (v. sent. n. 121/2013), 


onere questo che grava anche sulle Regioni a Statuto Speciale (sent. n. 36 del 
2014), non essendo loro garantita la invarianza del gettito (sent. n. 241 del 2012). 

In applicazione di tali indirizzi, sono state considerate statali, e non tributi 
propri, in quanto istituite e disciplinate dalle leggi dello Stato, tutta una serie 
di imposte il cui gettito � devoluto alle Regioni o agli Enti locali, anche se definite 
dalle leggi stesse come �regionali�, �comunali� o �provinciali�. 

Si tratta, tra le altre: 

-dell�IRAP (sent. n. 153 del 2013; n. 99 e 50 del 2012; n. 241 del 2004; 

n. 296 del 2003) 
-dell�ICI (sent. n. 298 del 2009; n. 75 del 2006; n. 397 del 2005; n. 37 
del 2004) 
-della tassa automobilistica regionale (sent. n. 451 del 2007; n. 455 e 

462 del 2005; n. 311 del 2003) 

-di alcuni tributi regionali derivati (sent. n. 30, 32, 33 del 2012) 

-della tassa di deposito in discarica (sent. n. 24 del 2008; n. 412 del 
2006; n. 335 del 2005) 

-dell�addizionale comunale e provinciale all�IRPEF (sent. n. 37 del 2004). 

Per la Corte, quindi, �allo stato attuale della normativa regionale, non 
risultano sussistere tributi regionali propri (nel senso di tributi istituiti e disciplinati 
dalla Regione Campania) che possano essere considerati ai fini 
dell�agevolazione in questione� compresi i tributi regionali cosiddetti �derivati�, 
e cio� i tributi istituiti e disciplinati con legge statale, il cui gettito sia 
attribuito alle Regioni� (sent. n. 123 del 2010; n. 32 del 2012). 

Il discorso - riferito a specifiche Regioni (Campania, Abruzzo) - in realt� 
pu� estendersi a tutto il previgente ordinamento della finanza regionale e locale, 
salvo per quanto attiene alle Regioni ad autonomia differenziata, per i 
pi� ampi poteri che queste ultime dispongono in materia. 

Cos�, nella fondamentale pronunzia n. 102 del 2008, relativa alla Regione 
Sardegna, che aveva istituito tre nuove imposte regionali (sulle plusvalenze 
dei fabbricati, sulle seconde case e sugli aeromobili e le unit� di diporto), la 
Corte ha premesso che nella fattispecie si trattava di �tributi propri della Regione 
- in quanto istituiti con L.R. ai sensi dell�art. 8, lett. h) dello Statuto�, e 
ha delineato il seguente quadro: 

�Il nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione prevede che; a) lo 
Stato ha competenza legislativa esclusiva in materia di �sistema tributario 
[...] dello Stato� (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.); b) le Regioni 
hanno potest� legislativa esclusiva nella materia tributaria non espressamente 
riservata alla legislazione dello Stato, con riguardo, beninteso, ai presupposti 
d'imposta collegati al territorio di ciascuna Regione e sempre che l'esercizio 
di tale facolt� non si traduca in un dazio o in un ostacolo alla libera circolazione 
delle persone e delle cose tra le Regioni (art. 117, quarto comma, e 120, 
primo comma, Cost); c) le Regioni e gli enti locali �stabiliscono e applicano 


tributi e entrate propri in armonia con la Costituzione e secondo i principi di 
coordinamento [...] del sistema tributario� (art. 119, secondo comma, Cost.); 
d) lo Stato e le Regioni hanno competenza legislativa concorrente nella materia 
del �coordinamento [...] del sistema tributario�, nella quale � riservata 
alla competenza legislativa dello Stato la determinazione dei principi fondamentali. 
Tale riserva di competenza legislativa nella materia del coordinamento 
del sistema tributario non pu� comportare, tuttavia, alcuna riduzione 
del potere impositivo gi� spettante alle Regioni a statuto speciale e alle Province 
autonome, perch�, ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 
del 2001, la nuova disciplina costituzionale si applica ad esse (fino all'adeguamento 
dei rispettivi statuti) solo per la parte in cui prevede �forme di autonomia 
pi� ampie rispetto a quelle gi� attribuite� e, pertanto, non pu� mai 
avere l'effetto di restringere l'�mbito di autonomia garantito dagli statuti speciali 
anteriormente alla riforma del Titolo V della Parte II Cost. (ex multis, 
sentenza n. 103 del 2003). 

Il quadro normativo risultante dalla riforma costituzionale � stato interpretato 
da questa Corte nel senso, da una parte, che lo spazio riservato a detta 
potest� dipende prevalentemente dalle scelte di fondo operate dallo Stato in 
sede di fissazione dei principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario 
e, dall'altra, che l'esercizio del potere esclusivo delle Regioni di autodeterminazione 
del prelievo � ristretto a quelle limitate ipotesi di tributi, per 
la maggior parte "di scopo" o "corrispettivi", aventi presupposti diversi da 
quelli degli esistenti tributi statali.� 

La Corte nella medesima pronuncia ha inoltre affermato che non cՏ alcun 
principio che vieti l�istituzione di nuove imposte comunali. 

Nel caso, invece della Regione Siciliana, che con L.R. n. 2 del 2002 aveva 
istituito un�imposta propria ambientale sulle condutture di trasporto del gas 
metano installate nel territorio regionale, la Corte di Giustizia CE ne ha dichiarato 
l�illegittimit� comunitaria con sentenza 21 giugno 2007 in causa C173/
05, in quanto tassa ad effetto equivalente a dazio doganale (8). 

La Corte Costituzionale inoltre si � occupata anche dei nuovi decreti legislativi 
(n. 118 e 149 del 2011) per dichiararne la parziale incostituzionalit� 
ed escluderne la immediata e diretta applicazione alle autonomie differenziate 
(sent. n. 219 del 2013 e n. 178 del 2012) o (con riguardo al d.lgs. n. 68 del 
2011) per ritenerne invece la legittimit� (sent. n. 8 del 2014). 

La Corte ha anche riconosciuto che �il coordinamento della finanza pubblica 
perseguito attraverso l�istituzione dell�unione� � �titolo legittimante� per 
l�affidamento all�unione della titolarit� della potest� impositiva dei comuni associati 
sui tributi propri, in quanto tale atttribuzione appare coerente e questa 
�per� ha bisogno di risorse per perseguire le sue finalit�� (sent. n. 44 del 2014). 

(8) S. PERAZZELLI, Il caso della �tassa sul tubo�, in Istituzioni del Federalismo, 2007, 6, 823. 


Moltissimo impegno infine � stato dedicato dalla Corte alla compatibilit� 
delle varie manovre statali, che impongono riduzioni o razionalizzazioni della 
spesa di Regioni ed Enti locali, con le regole dell�autonomia finanziaria, riconosciuta 
dall�art. 119 Cost. (v., fra le tante, sent. n. 61 del 2014, n. 236 del 2013 e 

n. 148 del 2012). 

11. Conclusioni. 

Il quadro della nuova Finanza locale cos� delineato non � per� ancora stabilizzato, 
come insegnano le tante modifiche anche recentissime (e le �convulsioni� 
sull�IMU e la TASI) n� sembra ancora in grado di assicurare agli Enti 
locali una vera autosufficienza, anche se � aumentato in maniera apprezzabile 
il livello generale di autonomia finanziaria. 

La piena e completa attuazione dell�autonomia finanziaria degli Enti locali 
necessita in ogni caso della entrata a regime anche di tutti gli altri provvedimenti 
che accompagnano il federalismo fiscale (armonizzazione dei 
bilanci, federalismo demaniale, costi standard, meccanismi premiali) dianzi 
citati e approvati. 

Va peraltro segnalato che l�attuazione della delega ha gi� subito modifiche 
anche consistenti per via ordinaria (e cio� non con decreti correttivi) per effetto 
di ripensamenti dovuti a fattori esterni (crisi economica, mutamenti politici), 
tra cui clamoroso � il caso dell�IMU, sopra ricordato, ma rilevanti sono anche 
i casi del radicale riordino delle Province (l. n. 56 del 2014), delle modificazioni 
apportate al decreto sulle misure premiali (d.l. n. 174 del 2012, conv. in 

l. n. 213 del 2012, art. 1 bis ) e di quelle riguardanti il regime di Roma Capitale 

(d.l. n. 225 del 2010, n. 138 del 2011 e n. 16 del 2014). 

Ulteriori modifiche sono da attendersi al momento dell�attuazione della 
delega di cui alla L. 11 marzo 2014, n. 23, per un sistema fiscale pi� equo, 
trasparente e orientato alla crescita. 

Resta la constatazione che proprio la tormentata e complessa vicenda 
della finanza locale dimostra che i problemi della autonomia finanziaria degli 
enti territoriali non si risolvono solo con la istituzione di nuove imposte proprie 
e di nuove addizionali o compartecipazioni ma - come si diceva all�inizio con 
la qualificazione, il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica 
e con il sostegno della crescita e lo sviluppo dell�economia (9), in 
armonia con i principi costituzionali dell�equilibrio di bilancio, di progressivit�, 
di capacit� fiscale territoriale e di solidariet� e coesione sociale. 

(9) Corte dei Conti -Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, maggio 2014. 


Stazione unica appaltante e centrale di committenza: lo sviluppo 
degli istituti nella prospettiva di riorganizzazione dei livelli di 
Governo 

Vincenzo Cardellicchio* 
Fabrizio Gallo** 

� maturata nei lunghi anni ed in tanti tra quelli di noi che hanno reso 
Servizio per le massime Autorit� dello Stato ed in ruoli di estrema responsabilit� 
pubblica, la convinzione che il sistema di difesa dalle infiltrazioni mafiose 
debba tessere una pi� fitta rete che aiuti a selezionare ci� che cՏ di 
buono da ci� che �, invece, cattivo e pericoloso. 

Per far questo occorre ineludibilmente stringere un sempre pi� sistematico 
collegamento tra le diverse �reti�, oggi gi� abbondantemente presenti 
anche sul nostro territorio, tale da rilevare con ogni possibile anticipo, 
i prodromi e le avvisaglie di tentativi di infiltrazione e di condizionamenti 
nella macchina pubblica e correggere con crescente anticipo malfunzionamenti 
e distorsioni. 

E ci� � stato ben evidenziato dal Capo di Gabinetto del Ministero del-
l�Interno Prefetto Giuseppe Procaccini nell�introduzione dell�Anno Accademico 
della SSAI 2011 quando gi� allora fece espresso riferimento al tema 
della �rete nelle reti� da stringere nelle salde mani del Ministero e dei Prefetti, 
gi� custodi delle leve pi� delicate della tenuta democratica del Paese (elezioni, 
sicurezza, cura degli organi enti locali ed ordine pubblico) ed ancor pi� illuminante 
fu l�espressione usata, nello stesso anno, dall�allora Procuratore Nazionale 
Antimafia Dottor Pietro Grasso che, in occasione della sottoscrizione 
del Patto per la sicurezza di Roma, descrisse l�attivit� dei Prefetti in questa 
materia come �sentinelle dell�anti-mafia� ed entrambe queste posizioni trovano 
poi sintesi nella definizione che uno dei pi� autorevoli Prefetti della Repubblica 
Carlo Mosca, oggi Consigliere di Stato, dava della funzione 
esercitata dai Prefetti quale valvola di scarico attraverso la quale hanno trovato 
�sfogo democratico� le tensioni del sistema amministrativo destinate altrimenti 
a produrre pericolose fratture. 

A complementare corredo dell�obiettivo anzidetto e dei soggetti cui 

(*) Prefetto. Ha diretto la prefettura di Crotone e, presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, la 
Direzione Centrale delle Risorse Umane e la Segreteria del Dipartimento. Presso il Gabinetto del Ministro 
dell'Interno ha assolto le funzioni di Vice Capo Gabinetto Vicario e poi quelle di prefetto di Perugia 
ed attualmente � comandato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 

(**) Viceprefetto. Dirigente della prefettura di Crotone, poi in servizio presso l'Ufficio Ordine e Sicurezza 
Pubblica del Gabinetto del Ministro dell'Interno; presiede ora la Commissione territoriale per il riconoscimento 
della protezione internazionale di Crotone. 


ascriverne la responsabilit� viene valida una ulteriore intima convinzione 
riferita alla gestione delle Amministrazioni sciolte per mafia nelle diverse 
realt� del Paese. 

In questa materia tantissimi, tra coloro che in anni recenti si sono misurati 
con essa, - ed io sono stato - professionale custode di tante riflessioni da 
parte di colleghi e probi amministratori - ritengono che l�assenza di adeguati 
anticorpi presenti nelle strutture burocratiche di quelle Amministrazioni siail pi� insidioso vulnus del sistema. � evidente, infatti, anche al pi� distratto 
Osservatore, che il solo allontanamento del Sindaco o dell�Amministratore 
collegato in qualche modo alla criminalit�, non pu� da solo restituire legalit� 
e correttezza d�azione se permane un contesto compromesso, un tessuto logoro 
e lacerato, una comunit� vittima e inconsapevole complice della mala 
amministrazione. 

Sistematicamente, infatti, mafia, camorra, �ndrangheta e sacra corona 
unita si sono insinuati all�interno degli apparati pubblici nei livelli pi� diversificati 
della burocrazia anche locale. 

Ed ancora, affidare ad un Commissario od al massimo ad una terna di 
Commissari la responsabilit� di invertire quel deleterio senso di marcia e lasciare 
questi funzionari in tanta solitudine tra mura, a volte assolutamente 
ostili, a lottare contro una schiacciante pressione criminale, � di per s� una 
strategia troppo debole e decisamente perdente e rischia di apparire una voluta 
trascuratezza. 

L�antimafia e l�anticorruzione (che ne pu� essere spesso l�antidoto) necessitano 
di migliori e pi� organizzate energie, che nel nostro Paese ci sono 
e che sono presenti anche nei disgraziati territori da cui questi fenomeni hanno 
origine e che ormai sono diffusi senza alcun limite di territorio e materia. 

Ma ora pi� che mai occorre stringere un sistema pi� coeso, pi� articolato 
e ordinariamente allertato, abbandonando qualsiasi scorciatoia offerta dalla 
straordinariet� e dell�eccezionalit�. 

Orbene, presso le Prefetture � operativo gi� dall�entrata in vigore del 
Dec. Leg.vo n. 300 del 1999 una Conferenza provinciale permanente composta 
dai responsabili di tutte le strutture amministrative periferiche dello Stato. Ed 
� tra di loro che pu� trovarsi, in primis, la sinergia per collegare tutte le diverse 
banche dati. 

Non si pu� pi� assistere alla istituzione di una Commissione speciale per 
la gestione ed il controllo di ogni appalto appena pi� che ordinario e continuare 
a veder rilasciare deroghe al Codice degli appalti per recuperare ritardi 
strumentali e velocizzare tempistiche per modalit� artificiosamente involute.

� indispensabile dare avvio e rapido corpo a quella struttura di difesa 
dalla corruzione che trova nelle Prefetture e nel Ministero dell�Interno la sua 
naturale collocazione. 

A tal proposito � gi� pronto uno straordinario lavoro meticolosamente 


soppesato e scrupolosamente validato all�interno di uno specifico Gruppo di 
lavoro costituito presso il Gabinetto del Ministro dell�Interno per assemblare 
una piattaforma informatica denominata �Sciamano� dalla quale si possono 
desumere spunti di immediata operativit�. 

E nella medesima ottica deve inserirsi la circolare del 5 ottobre del 2011 
con cui il Ministro Maroni, che proprio attraverso la rete dei Prefetti, promosse 
la diffusione della esperienza della Stazione Unica Appaltante in campo nazionale, 
ed in queste pagine il paziente lettore trover� spunti di analisi e riflessione. 

E vieppi�, pur nel contesto di una riorganizzazione delle Prefetture di cui 
se ne intravedono all�orizzonte i contorni con l�istituzione di un Ufficio Unico 
di Garanzia, si ritiene utile proporre una ulteriore e pi� puntuale riflessione. 

Infatti, prendendo spunto da quanto si � sin qui detto, gioverebbe molto 
ai Commissari nominati per la gestione dei comuni sciolti per mafia potersi 
avvalere nella sede della Prefettura di riferimento di una Sezione di vigilanza, 
promanazione della stessa Conferenza permanente, obbligatoriamente incaricata, 
con provvedimento del Prefetto, di esprimere pareri vincolanti circa 
atti e determine riferiti ad opere pubbliche di rilevante valore economico o 
ad atti regolamentari o di gestione del territorio, tanto da esercitare un vero 
controllo responsabile e collaborativo sull�attivit� degli apparati comunali a 
garanzia dell�azione dell�amministrazione straordinaria, argine all�azione 
malamente diretta di organi infedeli dell�apparato territoriale a tutela del-
l�attivit� della pubblica amministrazione nel suo complesso. 

Esclusivamente pel tramite della posta elettronica della Prefettura e nel 
tempo massimo di 10 giorni questo organo potrebbe esprimere il proprio giudizio 
di validazione, congruit� giuridico funzionale e di compatibilit� economico-
finanziaria (superando i tradizionali parametri di merito e legittimit�) dal quale 
motivatamente potersi discostare ma non poter colpevolmente ignorare. 

Tempi e forme rigidamente fissate per non cadere nelle trappole burocratiche 
del passato, evitando questa volta di buttare via �il bambino con l�acqua 
sporca� cosi come, invece, sՏ fatto con il controllo sugli atti di comuni, 
province e regioni. 

Infatti la spesa pubblica che ha devastato il bilancio nazionale ha origine 
e causa anche, se non soprattutto, da riforme effettuate in queste materie sotto 
la spinta del populismo e le semplificazioni delle piazze. 

E l�attualit� di queste necessit� trovano oggi rilancio nelle tesi del giudice 
Lombardo (cft intervista al settimanale LEFT del maggio 2014 allegato al 
quotidiano L�Unit�) che nell�affrontare un delicatissimo caso giudiziario si 
interroga sui benefici (troppo pochi) e sui danni (troppi) prodotti dalla costruzione 
dottrinario-giudiziaria del concorso esterno in associazione mafiosa, 
allorquando si ascrive un ruolo di direzione strategica al �colletto bianco� 

c.d. esterno alla consorteria malavitosa. 


SOMMARIO: 1. Le origini dell�istituto - 2. I dati del Ministero dell�Interno sul funzionamento 
della stazione appaltante - 2.1 Le diverse tipologie di Stazione unica appaltante - 2.2 
Modalit� di funzionamento - 2.3 Procedure gestite - 2.4 Dati quantitativi e contenzioso - 3. 
Obbligo di affidamento degli appalti dei piccoli comuni ad una centrale di committenza e 
stazione unica appaltante - 3.1 La centrale di committenza nel diritto comunitario - 3.2 La 
centrale di committenza ed i piccoli comuni. Profili soggettivi - 3.3 Procedure attratte alla 
competenza della centrale unica di committenza - 3.4 Aspetti organizzativi - 4. Conclusioni: 
la situazione attuale e possibili sviluppi. 

1. Le origini dell�istituto. 

Nel corso della prima decade di questo secolo, si sono manifestate, sia a 
livello di normazione primaria sia nell�esperienza pratica, i primi corposi segnali 
di un�innovativa tendenza nel campo dei modelli organizzativi di gestione 
degli appalti pubblici. 

In particolare, dopo decenni di proliferazione delle stazioni appaltanti pubbliche, 
connessa anche a processi di lungo periodo di decentramento amministrativo 
e di sviluppo delle autonomie locali, si andavano delineando esigenze di 
carattere diverso che confluivano nell�articolazione di nuovi modelli di gestione. 

La prima di tali esigenze era rappresentata dalla necessit� di semplificare 
i meccanismi procedurali e di stimolare risparmi di spesa (1). La seconda faceva 
riferimento alla ricerca di strumenti sempre pi� affinati di prevenzione e contrasto 
della criminalit� organizzata. Sotto quest�ultimo profilo (2), in quegli 
anni si era sviluppato un approfondito dibattito nell�ambito dei lavori delle 
commissioni parlamentari d�inchiesta sul fenomeno delle mafie (3) che, partendo 
anche dalla constatazione del primo esperimento di accorpamento di stazioni 
appaltanti realizzatasi in Sicilia proprio in quel periodo (4), evidenziava 
la notevole importanza che si annetteva a quella misura organizzativa al fine 
di rendere trasparenza al delicato settore e, per quella via, rendere pi� semplici 
i controlli e pi� difficoltosi i tentativi di infiltrazione criminosa nel settore. 

L�esigenza di carattere finanziario, invece, si affermava preliminarmente 
a livello di normazione europea. Infatti, prendendo spunto da diverse esperienze 
pratiche che si erano concretizzate in alcuni paesi, peraltro virtuose ai 
fini dello stimolo alla concorrenza (5), la Direttiva 18/2004/CE delineava per 

(1) NICOLA PIGNATELLI, La centrale di committenza unica dei piccoli comuni: la gestione obbligatoriamente 
associata delle gare ad evidenza pubblica, in Lexitalia.it, n. 3/2012. 
(2) Si veda al riguardo, CARDELLICCHIO-GALLO, La stazione unica appaltante provinciale di Crotone: 
genesi e prospettive evolutive, in Rass. Avv. Stato, anno LIX, n. 1, gennaio-marzo 2007. 
(3) Ibidem, p. 29. 
(4) Si tratta degli Uffici regionali per l�esecuzione di gare d�appalto, istituiti con legge regionale 




n. 10 del 12 gennaio 1993, che furono poi effettivamente costituiti in attuazione di un�altra legge regionale, 
la n. 7 del 20 agosto 2002. 
(5) Si veda, in proposito, ALESSANDRO GIARDETTI, Principali interventi normativi in materia di 
centrali di committenza, in Diritto.it e NICOLA PIGNATELLI, op. cit. 



la prima volta la centrale di committenza, prevedendo, tuttavia, per gli Stati 
membri, la facolt� di consentire alle amministrazioni aggiudicatrici di far ricorso 
a tali strutture (6). Tale previsione � stata poi ripresa dal Codice degli 
appalti (7), all�art. 3, comma 34. 

La spinta delle due esigenze di fondo sopra delineate giunse ad un punto 
di caduta concreto nel 2007, con la costituzione di un nuovo modello di gestione 
associata degli appalti, dapprima limitato ai soli lavori pubblici, poi 
esteso l�anno successivo anche a forniture e servizi, costituito dalla Stazione 
unica appaltante provinciale di Crotone (8). 

I risultati positivi conseguiti in tempi rapidi dalla nuova struttura, realizzata 
nell�ambito del �Programma Calabria� (un piano d�azione ideato ed attuato 
in quegli anni dalla Conferenza regionale delle autorit� provinciali di 
pubblica sicurezza calabresi), indussero alla gemmazione di molteplici esperienze 
simili, dapprima in Calabria e poi su tutto il territorio nazionale, tanto 
che l�istituto � stato poi previsto all�art. 13 della L. 13 agosto 2010, n. 136 
(Piano straordinario contro la mafia), con le modalit� di attuazione delineate 
dal D.P.C.M. 30 giugno 2011 (9). 

A distanza di sette anni dalla nascita dell�istituto, � ora opportuno approfondire 
una riflessione sullo stesso e ci� sia perch� sono disponibili dati statistici 
ufficiali del Ministero dell�Interno (10), sia perch� le nuove norme 
stratificatesi negli ultimi anni in materia di spending review fanno riferimento 
anche all�obbligo per alcuni enti di costituire centrali di committenza, sia perch� 
pare ormai irreversibile il processo di revisione dei livelli di governo con 
importanti ricadute sui sistemi organizzativi pubblici del territorio. 

2. I dati del Ministero dell�Interno sul funzionamento della stazione unica appaltante. 


2.1 Le diverse tipologie di Stazione unica appaltante. 

La riflessione sull�argomento si pu� fondare oggi su una base solida 
che � costituita da un monitoraggio avviato dal Ministero dell�Interno a maggio 
2012 e confluito in una sintesi finale di cui ha dato notizia, come sopra 
riferito, il quotidiano �Italia Oggi� del 22 novembre 2012. La predetta rilevazione 
era finalizzata anche all�attuazione dell�art. 1, comma 4 del 

D.P.C.M. 30 giugno 2011, che ha dettato norme in materia di stazione unica 

(6) Art. 11 della Direttiva. 
(7) D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163. 


(8) Per una ricostruzione delle vicende che portarono alla costituzione della S.U.A. di Crotone, si 
veda CARDELLICCHIO-GALLO, op. cit. 
(9) Sull�inquadramento della Stazione unica appaltante nell�ambito delle nuove misure antimafia 
in materia di pubblici appalti, si veda ROSANNA DE NICTOLIS, La nuova disciplina antimafia in materia 
di pubblici appalti, in Urbanistica e Appalti, 2010, 10, 1129. 


(10) Divulgati su Italia Oggi del 22 novembre 2012, p. 32. 


appaltante, in attuzione dell�art. 13 della legge 13 agosto 2010, n. 136, secondo 
il quale �Il Governo, le regioni e le province autonome, in sede di 
Conferenza unificata, si scambiano annualmente, ai sensi dell�articolo 9, 
comma 2, lettera e), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, dati ed 
informazioni relativi all�attuazione del presente decreto, con riguardo ai rispettivi 
ambiti di competenza�. 

I dati del Ministero dell�Interno sono organizzati secondo quattro aree tematiche: 
numero delle stazioni uniche appaltanti costituite e principali elementi 
organizzativi, funzioni espletate, elementi quantitativi sulle attivit� 
svolte, contenzioso. 

In primo luogo, il lavoro di monitoraggio ha messo in luce che, alla data 
della sua stesura, erano state costituite 13 stazioni uniche appaltanti, che accorpavano 
477 amministrazioni aggiudicatrici, tra cui 205 comuni. Gi� il rapporto 
del Ministero dell�Interno dava atto che erano in corso di costituzione 
altre strutture simili (come quelle del Comune di Genova e della Regione Liguria) 
ed invero il numero di tali uffici � in costante crescita, come si riferir� 
con maggiore dettaglio al paragrafo 3. 

Le strutture costituite non fanno riferimento ad un unico impianto ma a 
quattro modelli fondamentali, evidentemente articolati in relazione alle diverse 
esigenze di contesto territoriale. L�approccio diversificato alle modalit� organizzative 
� peraltro l�opzione prescelta nel DPCM 30 giugno 2011 che, nel-
l�attribuire alla SUA natura giuridica di centrale di committenza, prevede la 
possibilit� che la stessa operi in ambito regionale, provinciale ed interprovinciale, 
comunale ed intercomunale. 

Il primo modello, risalente all�esperienza inziale della provincia di Crotone, 
si impernia sull�incardinamento della struttura nell�organizzazione del-
l�amministrazione provinciale. In questo caso, la Stazione unica appaltante � 
costituita attraverso una convenzione ex art. 30, D. L.vo 18 agosto 200, n. 267, 
e tende ad assorbire tutte le amministrazioni aggiudicatrici del territorio. In 
questo ambito, � particolare l�esempio di Trento, per il particolare rilievo costituzionale 
di quell�Amministrazione provinciale (11). 

Il secondo assetto organizzativo fa riferimento invece alla Regione (Stazione 
unica appaltante regionale). Operativa, alla data del segnalato rapporto 
del Ministero dell�Interno, in due regioni, � istituita con legge regionale e si 
occupa tendenzialmente delle procedure di gara dei diversi uffici regionali e 
degli enti subregionali ed � finalizzata anche a realizzare economie di scala 
attraverso la centralizzazione degli acquisti. 

Il terzo esempio rilevato dal monitoraggio � quello che si fonda sull�attivit� 
del Provveditorato alle opere pubbliche ed � regolato da un provvedimento 

(11) La struttura, prima denominata Agenzia dei servizi ora Agenzia provinciale per gli appalti 
ed i contratti, � stata costituita con Legge provinciale 16 giugno 2006, n. 3. 


di tale ufficio. Nato per intervenire su casi specifici (12), si va delineando 
come una struttura a valenza generalizzata, sull�esempio della S.U.A. incardinata 
nelle amministrazioni provinciali. 

Il quarto tipo, infine, si � sviluppato nell�ambito delle Unioni dei Comuni 
e delle Comunit� Montane ed � espressione dell�esercizio associato di funzioni 
da parte degli enti locali. 

Un caso a parte, infine, � costituito dagli Uffici regionali per la gestione 
della gare d�appalto (U.R.E.G.A.), istituiti in Sicilia, nella loro attuale configurazione, 
con Legge regionale n. n. 7 del 2 agosto 2002 ed oggi disciplinati 
dall�art. 9 della legge regionale n. 12 del 12 luglio 2011. Di tale struttura, antesignana 
della Stazione unica appaltante, hanno l�obbligo di avvalersi gli enti 
territoriali per appalti di lavori da affidare con procedure di asta pubblica, per 
importi superiori ad Euro 1.250.000. 

2.2 Modalit� di funzionamento. 

Particolare interesse suscitano le modalit� di funzionamento concretamente 
realizzate. Quasi tutte le Stazioni uniche appaltanti utilizzano personale degli enti 
convenzionati. Solo in un caso si fa ricorso a forme pi� flessibili di reclutamento 
delle risorse umane. Gli oneri di funzionamento, nei modelli a base provinciali, 
sono sostenuti attarverso la previsione di una percentuale del quadro economico 
dell�intervento, destinata alla Stazione unica appaltante. Le strutture di livello regionale, 
invece, attingono direttamente al bilancio dell�Ente di riferimento. 

Il nucleo fondamentale delle funzioni della S.U.A. si conferma essere 
l�espletamento della procedura di gara, in linea con l�art. 3 del D.P.C.M. 30 
giugno 2011, partendo dalla predisposizione del bando di gara per giungere 
all�aggiudicazione provvisoria. Peraltro, quasi tutte le stazioni uniche appaltanti 
svolgono funzioni ulteriori e, in particolare, procedono all�acquisizione 
delle informazioni antimafia, in tal modo ribadendosi la finalizzazione del-
l�istituto anche alla prevenzione antimafia, alcune si occupano della valutazione 
del progetto, della predisposizione del contratto e di altre incombenze 
in fase esecutiva. Parte delle Stazioni uniche appaltanti svolgono, inoltre, funzioni 
di centralizzazione degli acquisti, richiamandosi, in tal modo la confluenza 
tra i due modelli della S.U.A. e della centrale di committenza. 

2.3 Procedure gestite. 

Tutte le Stazioni uniche appaltanti, poi, si occupano di lavori, servizi e 
forniture (13), ad eccezione degli U.R.E.G.A. che si interessano solo della 
prima tipologia di contratti pubblici. 

(12) Il riferimento principale � costituito dall�esperienza della Stazione unica appaltante di Napoli 
(si veda CARDELLICCHIO-GALLO, Stazione Unica Appaltante: tenuta di un impianto e nuovi contesti, in 
Rass. Avv. Stato, Anno LXII - n. 3 luglio-settembre 2010). 


Di notevole interesse sono, ancora, i dati relativi al tipo di procedure gestite. 
Tutte le strutture rilevate dal Ministero dell�Interno si occupano di procedure 
aperte ed un numero sempre crescente si occupa anche di procedure 
ristrette e negoziate, cottimi fiduciari, procedure dinamiche di acquisto, project 
financing e procedure in economia. 

Rilevante, in proposito, � il parere reso dalla Sezione regionale di controllo 
per la Basilicata della Corte dei Conti, in esito ad una richiesta formulata 
dal Sindaco del Comune di Savoia di Lucania (14). 

Nel caso sottoposto alla sua attenzione, il Sindaco esponeva che l�Ente 
di appartenenza aveva aderito ad una Stazione unica appaltante costituita in 
forma associata. Al riguardo, il predetto chiedeva di conoscere se la procedura 
negoziata senza bando, di cui all�art. 122, comma 7, D.L.vo 12 aprile 
2006, n. 163, doveva ritenersi assegnata alla competenza della centrale di 
committenza o se l�assenza del bando o di invito a presentare offerta doveva 
far ritenere che l�incombenza fosse di pertinenza esclusiva del responsabile 
unico del procedimento. 

La richiamata Sezione di controllo della Corte dei Conti, previa analisi e 
differenziazione tra gli istituti della centrale di committenza e della stazione 
unica appaltante, ha dapprima rilevato che la questione proposta non attiene 
all�ambito di applicazione dell�art. 33, comma 3 bis del D.L.vo 12 aprile 2006, 

n. 163, concernente l�obbligatoria affidamento degli appalti a centrali di committenza 
per i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, su cui 
torneremo nel paragrafo successivo, ma � diretta a conoscere se in capo al-
l�ente che abbia aderito ad una Stazione unica appaltante residui la possibilit�, 
in caso di contratti sotto soglia, di svolgere attivit� per l�affidamento del contratto 
senza rivolgersi alla S.U.A. 

In proposito, la Corte dei Conti ha evidenziato che le finalit� sottese alla 
norma istitutiva della S.U.A. (art. 13, L. 13 agosto 2010, n. 136) devono essere 
rinvenute, da un lato, nell�esigenza di assicurare trasparenza, regolarit� ed economicit� 
della gestione dei contratti pubblici, dall�altro in quella di prevenire 
il rischio di infiltrazioni criminali. 

In ragione di ci�, malgrado alcune delle funzioni esplicitate nella disciplina 
regolamentare della S.U.A. facciano riferimento a procedure di gara, 
un�interpretazione sistematica ed orientata dalla ratio dell�intervento legislativo 
portava a concludere che anche le procedure negoziate senza pubblicazione 
del bando devono essere ritenute attratte alla competenza dell�Ufficio 
unico. In relazione alla natura pattizia degli atti costitutivi della Stazione unica 
appaltante, rientranti nella tipologia oggetto di esame da parte del Giudice 

(13) Nelle diverse esperienze sono fissate soglie diversificate di valore per l�attivazione della Stazione 
unica appaltante. 

(14) C. Conti Basilicata, Sez. contr., Delib. 1 luglio 2013, n. 68. 


contabile, ovviamente, va fatta salva la possibilit� che le relative convenzioni 
possano regolare diversamente la questione. 

Le conseguenze di una tale interpretazione sono rilevanti non solo sotto 
il profilo organizzativo e gestionale ma anche per l�aspetto pi� specificamente 
giuridico. La giurisprudenza (15), infatti, ha stabilito che non si pu� dubitare 
dell�attualit� e della cogenza dell�obbligo, gravante sulle amministrazioni aggiudicatrici 
aderenti, di ricorre alla S.U.A. per la concreta gestione delle gare 
derivando, in caso contrario, l�annullamento dell�atto di aggiudicazione. 

2.4 Dati quantitativi e contenzioso. 

Tornando ai dati sull�attivit� della stazione unica appaltante, la rilevazione 
del Ministero dell�Interno evidenzia che il totale delle gare espletate dal sistema, 
fino al 2011, erano 3.133, per un importo complessivo di 3.247 mld di 
euro. L�analisi per anno degli importi risultava in crescita tendenziale fino al 
2011, anno nel quale, invece, si registrava una flessione. Il dato � comparabile 
al decremento complessivo degli importi dei lavori pubblici che, per quel-
l�anno, veniva quantificato nel � 13,9% dall�Autorit� di vigilanza sui contratti 
pubblici (16). 

La comparazione tra aggiudicazioni provvisorie e gare introitate, tra il 
2007 (81,6%) ed il 2011 (87%) segnala un andamento crescente dell�efficacia 
dell�azione della stazione unica appaltante. 

Specifico interesse � costituito anche dall�andamento del contenzioso che 
si compendia nel censimento di 136 ricorsi avverso procedure gestite dal sistema 
delle stazioni uniche appaltanti. Il dato complessivo � pari al 5,6% delle 
gare trattate, superiore alla media nazionale del 4,3% (17). Tale elemento informativo 
necessita peraltro di due specificazioni. In primo luogo, nel novero 
dei ricorsi sono indicati anche i gravami aventi ad oggetto le informazioni antimafia 
ostative acquisite spesso, come abbiamo visto, proprio dalle stazioni 
uniche appaltanti ma che non possono essere ricondotte alla gestione della 
procedura di gara. Inoltre, il dato del contenzioso relativo alle S.U.A. costituite 
in ambito provinciale, il segmento pi� innovativo e significativo, � pari al 2,8% 
del totale dei procedimenti trattati. Pertanto la mole del contenzioso, cos� analizzata 
nel dettaglio, assume dimensioni inferiori alla met� del dato complessivo 
nazionale. 

(15) T.A.R. Calabria Reggio Calabria, Sez. I, 2 luglio 2010, n. 682. 

(16) A.V.C.P., Relazione al Parlamento per l�anno 2011, in 
http://www.avcp.it/portal/public/classic/Comunicazione/Pubblicazioni/RelazioneParlamento/_relazioni?id=5158a0c 
0a7780a500216b2fa52e504a. 
(17) Relativa a contratti di lavori conclusi nel periodo 2000-2009, in: L�attuazione della legge 
obiettivo, 6� Rapporto per l�VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici, in collaborazione 
con l�Autorit� di vigilanza sui contratti pubblici, Camera dei Deputati, 5 settembre 2011, pp. 17 ss. 



3 Obbligo di affidamento degli appalti dei piccoli comuni ad una centrale di 
committenza e stazione unica appaltante. 

3.1 La centrale di committenza nel diritto comunitario. 

Il concetto di centrale di committenza � originato, come detto in precedenza, 
nel sistema normativo europeo ed ha preso le mosse dalla constatazione 
di tecniche di centralizzazione della committenza sviluppatesi nei paesi membri 
(18). 

La Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 aveva cristallizzato l�istituto 
tenendo conto delle esperienze suddette che consistevano nell�individuazione 
di un unico soggetto da incaricare, ad opera delle amministrazioni aggiudicatrici, 
allo scopo di procedere agli acquisti, di aggiudicare appalti o di stipulare 
accordi quadro. 

Nella definizione normativa, fissata dalla fonte europea e ripresa dal Codice 
dei contratti, dunque, per �centrale di committenza� si intende un�amministrazione 
aggiudicatrice che, per conto di altre amministrazioni 
aggiudicatrici: 

1. acquista forniture e/o servizi; 
2. aggiudica appalti pubblici; 


3. conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni 
aggiudicatrici o ad altri enti aggiudicatori (19). 

Si tratta, in realt�, di un istituto a recepimento facoltativo da parte degli 
Stati membri e tale logica di non vincolativit� ha un duplice profilo: quello 
esterno, legato alla possibilit� di scelta da parte dello Stato membro circa l�inclusione 
dell�istituto nella legislazione nazionale, e quello interno, per il quale 
le amministrazioni aggiudicatrici devono essere destinatarie di una facolt� a far 
ricorso alla centrale di committenza (20). Il diritto interno, come detto, ha ripreso 
la definizione comunitaria nel Codice degli appalti, all�art. 3, comma 34. 

L�applicazione pratica dell�istituto in questione si � avuta, da una parte, 
con l�esperienza della CONSIP (21) e tuttavia, sotto il profilo dell�accorpa


(18) Per una ricostruzione della nozione, si veda C. Conti Basilicata, Sez. Contr., Delib. 1 luglio 
2013, n. 68. 
(19) ALESSANDRO GIARDETTI, op. cit. 


(20) V. al riguardo NICOLA PIGNATELLI, La centrale di committenza unica dei piccoli comuni: la 
gestione obbligatoriamente associata delle gare ad evidenza pubblica, in Lexitalia.it. 
(21) C.O.N.S.I.P., la cui ragione sociale originariamente era C.O.N.S.I.P. 'Concessionaria Servizi 
Informativi Pubblici', nasce nel 1997 come strumento di cambiamento della gestione delle tecnologie 
dell'informazione nell'allora Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica. 
Con il Decreto legislativo 19 novembre 1997 n. 414 sono state affidate alla C.O.N.S.I.P. le attivit� informatiche 
dell'Amministrazione Statale in materia finanziaria e contabile. Nel 2000, viene affidata a 


C.O.N.S.I.P. anche l'attuazione del Programma per la razionalizzazione degli acquisti nella P.A. Infatti, 
attuando la Legge finanziaria per il 2000, con il Decreto ministeriale del 24 febbraio 2000 il Ministero 
dell'Economia e delle Finanze ha individuato nella C.O.N.S.I.P. la struttura di servizio per gli acquisti 
di beni e servizi per le P.A. (www.consip.it). 


mento delle amministrazioni aggiudicatrici sul territorio, la pi� rilevante 
espressione concreta � stata la Stazione unica appaltante. 

3.2 La centrale di committenza ed i piccoli comuni. Profili soggettivi. 

Nello sforzo di porre rimedio alle gravissime difficolt� della finanza pubblica, 
anche attraverso un processo di revisione e qualificazione della spesa 
pubblica, negli ultimi anni il concetto di centrale unica di committenza ha 
preso un nuovo vigore, a partire dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (22) . Tale 
norma prevede che i comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti 
non possano pi� bandire gare e debbano necessariamente avvalersi di una centrale 
di committenza unica per l�acquisizione di lavori, servizi e forniture. 

Dal punto di vista soggettivo, la norma fa riferimento ai comuni della classe 
dimensionale sopraindicati (23) che si trovano nella medesima provincia. 

Sotto il profilo oggettivo, l�attribuzione obbligatoria alla centrale di committenza 
riguarda lavori, servizi e forniture ed il soggetto destinatario della 
competenza pu� essere: 

1. un�Unione dei comuni gi� esistente; 
2. un apposito Consorzio tra comuni. 


A proposito di tale ultima possibilit�, connessa alla stipula di un accordo 
consortile, la dottrina ha rilevato il contrasto sistematico con la precedente 
scelta legislativa di soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, 
imposta agli stessi dall�art. 2, comma 186, lett. a), L. 23 dicembre 2009, n. 
191 (24). 

In tal senso, preferendo un�interpretazione maggiormente aderente alla 
ratio della norma, tesa a garantire risparmi di spesa e non ad istituire nuovi 
enti, e valorizzando il termine �accordi� nell�espressione �accordi consortili�, 
la predetta dottrina si � orientata nel senso di ritenere praticabile, in ossequio 
alla disciplina in esame, la stipula di convenzioni ex art. 30, D. L.vo 18 agosto 
2000, n. 267 per l�istituzione della centrale unica di committenza. 

3.3 Procedure attratte alla competenza della centrale unica di committenza. 

Un�ultima questione si pone con riguardo alla delimitazione delle procedure 
di selezione del contraente che debbono ritenersi ricomprese nell�ambito 
di operativit� della centrale di committenza. 

(22) Convertito con L. 22 dicembre 2011, n. 214 (V. ALESSANDRO GIARDETTI, op. cit.). Per un�analisi 
della norma, si veda anche MARCO LIBANORA, Le nuove centrali di committenza dei comuni, in Azienditalia, 
2012, 5, 373. 
(23) Per le problematiche specifiche dei �piccolissimi� comuni, con popolazione sino a 10.000 
abitanti, si veda la disamina in NICOLA PIGNATELLI, op. cit. 
(24) V. NICOLA PIGNATELLI, op. cit., e PASQUALE MONEA, Stazione unica appaltante in Unione o 
convenzione, in http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2013-03-11/stazione-unica-appalti-unione064455.
shtml?uuid=AbhaMqcH 



Secondo un primo orientamento (25), per risolvere la questione occorre 
valorizzare due elementi. Il primo � costituito dall�elemento testuale del richiamo 
alle �gare bandite successivamente al 31 marzo 2012�, previsto dal-
l�art. 23, comma 5, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, come termine per 
l�operativit� del nuovo sistema. 

Il riferimento alle gare bandite, secondo tale opzione, consente di poter ritenere 
incluse tutte le procedure di gara il cui importo sia superiore od inferiore 
alla soglia comunitaria. In questo senso, militerebbe anche la relazione tecnica 
al provvedimento legislativo che si commenta, secondo il quale la finalit� della 
disciplina � quella di superare il sistema di frammentazione degli appalti pubblici 
e ridurre i costi di gestione delle procedure ad evidenza pubblica. 

Un maggiore approfondimento viene dedicato alle acquisizioni in economia 
di beni, servizi e lavori. In proposito, viene rammentata la tradizionale ripartizione 
tra amministrazione diretta, in cui le acquisizioni sono effettuate 
con materiale e mezzi propri e con personale proprio dell�amministrazione, 
ed il cottimo fiduciario, una procedura negoziata in cui le acquisizioni avvengono 
mediante affidamento a terzi nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, 
parit� di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori 
economici (26). 

Secondo l�opzione interpretativa in esame (27), la ratio della normativa 
induce a ritenere che il cottimo fiduciario debba essere ricompreso nell�ambito 
della gestione associata obbligatoria (28). Gli elementi interpretativi suddetti, 
invece, indurrebbero ad escludere l�inclusione di affidamenti diretti e delle acquisizioni 
in amministrazione diretta. 

Argomenti per una diversa soluzione della questione si possono individuare 
nel citato parere reso dalla Sezione regionale di controllo per la Basilicata 
della Corte dei Conti (29) al Comune di Savoia. In quell�atto, la Corte dei Conti 
ha espresso l�avviso, come detto, che le finalit� di trasparenza, regolarit� ed 
economicit�, di prevenzione delle infiltrazioni criminose sottese all�istituto 
della stazione unica appaltante siano tali da superare il riferimento testuale alle 
�procedure di gara� contenuto nella relativa disciplina regolamentare (30). 

(25) Si veda, NICOLA PIGNATELLI, op. cit., C. Conti, Sez. Contr. Piemonte, Delib. 4 luglio 2012, n. 
271, C. Conti Sez. Contr. Lombardia, Delib. 24 aprile 2013, n. 165. 
(26) Sul punto, v. C. Conti, Sez. Contr. Piemonte, cit. 
(27) Ibidem e NICOLA PIGNATELLI, op. cit. 
(28) NICOLA PIGNATELLI, op. cit. 
(29) C. Conti Basilicata, Sez. Contr., Delib. 1 luglio 2013, n. 68. 




(30) D.P.C.M. 30 giugno 2011. Nel senso dell�allargamento dell�ambito di operativit� delle centrali 
di committenza, si veda STEFANO USAI, L�obbligo per i piccoli comuni di espletare la propria attivit� 
contrattuale attraverso la stazione unica appaltante secondo la Corte dei Conti, in 
http://www.oggipa.it/index.php?option=com_content&view=article&id=143:l-obbligo-per-i-piccoli-comuni-diespletare-
la-propria-attivita-contrattuale-attraverso-la-stazione-unica-appaltante-secondo-la-corte-deiconti&
catid=112&Itemid=574. 



3.4 Aspetti organizzativi. 

Si pu� ora passare all�aspetto organizzativo collegato all�attuazione delle 
norme in questione che, come si � visto, originariamente dovevano essere applicate 
alle gare bandite successivamente al 31 marzo 2012. Il termine � stato 
poi prorogato di dodici mesi dal D.L. 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con 

L. 24 febbraio 2012, n. 14, art. 29 e poi al 31 dicembre 2013, con D.L. 26 aprile 
2013, n. 43, convertito con L. 24 giugno 2013, n. 71. Il D.L. 30 dicembre 2013, 

n. 150 (c.d. �Milleproroghe"), nel testo di conversione appena approvato definitivamente 
in Parlamento, prevede un ulteriore slittamento al 30 giugno 2014. 

� indubbio che le attivit� di tipo regolamentare e pratico che dovranno 
essere messe in campo per l�attivazione della norma non potranno non considerare 
che l�unico esempio diffuso sul territorio di concentrazione della committenza 
per lavori, servizi e forniture � la Stazione unica appaltante (31). La 
disciplina dell�istituto, l�art. 13 della L. 13 agosto 2010, n. 136, il regolamento 
attuativo ed ancora di pi� la prassi applicativa su cui sono stati dati ampi cenni 
nei paragrafi precedenti, costituiscono un �paradigma funzionale� (32) molto 
rilevante per l�operazione in questione. 

Tale parametro, anzitutto, � significativo per la delimitazione delle attivit� 
tra amministrazione aggiudicatrice e centrale di committenza. In proposito, 
l�art. 4 del D.P.C.M. 30 giugno 2011 prevede che la S.U.A. si occupi delle seguenti 
attivit�: 

a) collabora con l�ente aderente alla corretta individuazione dei contenuti 
dello schema del contratto, tenendo conto che lo stesso deve garantire la piena 
rispondenza del lavoro, del servizio e della fornitura alle effettive esigenze 
degli enti interessati; 

b) concorda con l�ente aderente la procedura di gara per la scelta del contraente; 


c) collabora nella redazione dei capitolati di cui all�articolo 5, comma 7, 
del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163; 

d) collabora nella redazione del capitolato speciale; 

e) definisce, in collaborazione con l�ente aderente, il criterio di aggiudicazione 
ed eventuali atti aggiuntivi; 

f) definisce, in caso di criterio dell�offerta economicamente pi� vantaggiosa, 
i criteri di valutazione delle offerte e le loro specificazioni; 

g) redige gli atti di gara, ivi incluso il bando di gara, il disciplinare di gara 
e la lettera di invito; 

h) cura gli adempimenti relativi allo svolgimento della procedura di gara 
in tutte le sue fasi, ivi compresi gli obblighi di pubblicit� e di comunicazione 
previsti in materia di affidamento dei contratti pubblici e la verifica del pos


(31) NICOLA PIGNATELLI, op. cit. 
(32) Ibidem. 



sesso dei requisiti di ordine generale e di capacit� economico-finanziaria e 
tecnico-organizzativa; 

i) nomina la commissione giudicatrice in caso di aggiudicazione con il 
criterio dell�offerta economicamente pi� vantaggiosa; 

l) cura gli eventuali contenziosi insorti in relazione alla procedura di affidamento, 
fornendo anche gli elementi tecnico-giuridici per la difesa in giudizio; 

m) collabora con l�ente aderente ai fini della stipulazione del contratto. 

Inoltre, proprio la prassi applicativa delle stazioni uniche appaltanti gi� operative 
consente di individuare oculate soluzioni al problema del reperimento e 
del sostenimento dei costi di funzionamento della centrale di committenza. 

Se quindi la Stazione unica appaltante � un fondamentale paradigma per 
le centrali di committenza da costituire, a maggior ragione deve ritenersi che 
quelle gi� esistenti soddisfino i requisiti di legge. In proposito, tenuto conto 
che un numero rilevante di stazioni uniche appaltanti � stato costituito con 
convenzioni ex art. 30, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, deve ritenersi da privilegiare 
l�opinione ermeneutica per la quale il termine �accordi consortili� 
riportato dall�art. 33, comma 3 bis del Codice degli appalti, quale strumento 
per l�attribuzione obbligatoria alle centrali uniche di committenza, debba intendersi 
riferito proprio alla predetta tipologia di patti tra enti locali. Qualora 
dovesse prevalere una diversa opzione interpretativa, sarebbe necessaria una 
modifica della norma suddetta per inserire la convenzione ex art. 30 del Testo 
unico degli enti locali tra i mezzi utilizzabili per l�attuazione dell�obbligo di 
accorpamento della funzione. 

4 Conclusioni. La situazione attuale e i possibili sviluppi. 

Gi� i dati rilevati dal Ministero dell�Interno e riportati dalla stampa specializzata 
consentono di affermare che il sistema delle stazioni uniche appaltanti 
� saldamente inserito nel panorama amministrativo italiano, 
configurandosi come la pi� importante novit�, insieme all�istituzione della 
C.O.N.S.I.P., rispetto ai modelli organizzativi per la gestione degli appalti nel 
nostro Paese. 

Gli elementi quantitativi censiti, relativi alla situazione antecedente al 
2012, riferiscono di 13 stazioni uniche appaltanti funzionanti, che hanno consentito 
di accorpare 477 amministrazioni aggiudicatrici, tra cui 205 comuni. 
Le sottolineature critiche sull�istituto, sia dal punto di vista teorico che pratico 
(33), appaiono, dopo due anni dalla predetta rilevazione, non confortate dalla 
incessante evoluzione del sistema in cui, evidentemente, i caratteri di fondo 
ed i positivi risultati hanno avuto un ruolo cruciale. 

(33) In proposito, si veda ANDREA MASCOLINI, Gare, flop stazioni uniche, in Italia Oggi del 22 
novembre 2012, e GABRIELLA MARGHERITA RACCA, Ius publicum - Report on italian public contracts 
(first part), in Urbanistica e Appalti, 2012, 8. 


Un�analisi speditiva compiuta attraverso fonti internet in raffronto ai dati 
rilevati dal Ministero dell�Interno (34), permette di individuare gi� oggi almeno 
undici ulteriori stazioni uniche appaltanti di diverso genere. La situazione 
� destinata ad evolvere ulteriormente in tempi rapidi, nel senso di una 
notevole estensione del modello anche in relazione all�attuazione dell�obbligo 
di attribuzione degli appalti dei piccoli comuni ad una centrale unica di committenza 
che, come notato in precedenza, scatter� con riferimento alle gare 
bandite a decorrere dal 30 giugno prossimo. 

Al riguardo, si deve notare che tale riforma riguarder� ben 5.868 comuni, 
per un territorio pari al 50% di quello nazionale ed una popolazione corrispondente 
al 40% del totale (35). 

A tale ultimo proposito, ferma restando la libera determinazione dei comuni 
interessati nel fissare le modalit� per l�attuazione dell�obbligo menzionato, 
i commentatori sono unanimi nell�individuare la S.U.A. come paradigma 
imprescindibile, anche in considerazione della circostanza che la Stazione 
unica appaltante � l�unica espressione diffusa di concentrazione degli appalti 
a livello territoriale (36). 

Quanto alla questione pi� generale relativa all�opportunit� di prevedere 
che tutte le amministrazioni aggiudicatrici sul territorio debbano aderire ad 
una stazione unica appaltante, si ritiene che tale opzione non sia la pi� efficace. 
In primo luogo, sembrano militare per l�opzione negativa considerazioni di 
legittimit� costituzionale in quanto una generale obbligatoriet� di adesione ad 
una Stazione unica appaltante potrebbe essere giudicata in contrasto con l�autonomia, 
in particolare per gli enti locali, stabilita in Costituzione. 

Inoltre, la disamina di altre modalit� di accorpamento delle funzioni in materia 
di lavori pubblici (37) ha dimostrato come sia necessaria la condivisione degli enti 
aderenti per raggiungere l�obiettivo dell�effettiva funzionalit� della struttura. 

Una pi� ampia e decisiva diffusione del modello della Stazione unica appaltante 
potr� quindi determinarsi a seguito dell�attuazione dell�obbligo di accorpamento 
delle funzioni di appalto previsto per i piccoli comuni. In relazione 
a ci�, come pure notato in precedenza, � indispensabile sciogliere il nodo degli 
strumenti utilizzabili per il conferimento delle funzioni allo scopo di evitare 
che stazioni uniche appaltanti costituite con lo strumento convenzionale e gi� 

(34) Si cita, a titolo di esempio, la Stazione unica appaltante di Foggia, istituita nel 2013 e l�elenco 
di centrali di committenza regionali censite sul sito www.acquistinretepa.it. 

(35) Dati dell�Associazione Nazionale Piccoli Comuni d�Italia in 
http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento_evento_procedura_commissi 
one/files/000/000/752/ANPCI.pdf. 

(36) NICOLA PIGNATELLI, op. cit.; FABIO CACCO, La stazione unica appaltante, in I contratti dello 
Stato e degli Enti pubblici, Anno XX, n. 2, p. 32; PASQUALE MONEA, op. cit. 
(37) Si veda, in proposito, per un�analisi dell�esperienza degli U.R.E.G.A., CARDELLICCHIOGALLO, 
La stazione unica appaltante provinciale di Crotone: genesi e prospettive evolutive, in Rass. 
Avv. Stato, anno LIX, n. 1, gennaio-marzo 2007. 



funzionanti da anni, siano ritenute non utili per l�adempimento dell�obbligo 
in questione, in spregio alla ratio dell�intervento legislativo teso alla razionalizzazione 
della spesa e del sistema amministrativo. 

In proposito potrebbe soccorrere un�interpretazione convergente dell�Autorit� 
di vigilanza sui contratti pubblici e delle Amministrazioni centrali competenti 
in materia, eventualmente supportate da parere del Consiglio di Stato. 

Qualora tale ipotesi dovesse ritenersi non percorribile, sarebbe necessario 
un intervento ortopedico sulla norma sopraindicata allo scopo di aggiungere 
la convenzione ex art. 30, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 tra gli strumenti utilizzabili 
per la costituzione della centrale di committenza. 

Sarebbe opportuno prevedere, sempre in chiave di evoluzione del sistema, 
l�obbligo di adesione alla S.U.A., e non la facolt�, come oggi previsto dall�art. 
101 del D.L.vo 6 settembre 2011 n. 159, per gli enti locali i cui organi siano stati 
sciolti ai sensi dell�art. 143 del Testo unico degli enti locali (vale a dire per infiltrazioni 
o condizionamenti della criminalit� organizzata) e per le amministrazioni 
subentrate alle commissioni straordinarie insediate ai sensi della norma predetta. 

Ancora, sarebbe utile prevedere che la Stazione unica appaltante costituisca 
uno strumento indispensabile, in abbinamento alle sezioni specializzate del Comitato 
di coordinamento per l�alta sorveglianza sulle grandi opere ed ai correlati 
gruppi interforze, per prevenire infiltrazioni criminali negli interventi legati a 
grandi opere ed a tipologie assimilabili (ad esempio ricostruzioni post-sisma) 
nel caso in cui siano competenti diverse amministrazioni aggiudicatrici. 

In proposito, � utile rilevare l�esempio dell�Expo 2015, un evento come 
noto di importanza mondiale, per il quale sono stanziati cospicui finanziamenti 
pubblici ed in ordine al quale vi � la massima attenzione diretta ad evitare infiltrazioni 
criminose (38). Parimenti, con D.P.C.M. 22 ottobre 2008, � stata 
istituita la Societ� di gestione �Expo 2015 S.p.A.� cui sono state affidate, tra 
l�altro, tutte le attivit� da eseguire per lo svolgimento dell�evento tra cui opere 
di programmazione e costruzione del sito, opere infrastrutturali di connessione 
al sito stesso, opere riguardanti la ricettivit�, opere di natura tecnologica nonch� 
attivit� di organizzazione e gestione dell�evento. In altri termini, lavori, 
forniture e servizi, ordinariamente di competenza di diverse amministrazioni 
aggiudicatrici, sono stati affidati ad una struttura del tutto assimilabile, in questo, 
ad una stazione unica appaltante (39). 

Da ultimo si pone il problema della collocazione della Stazione unica appaltante, 
in specie di quel particolare genere che ha finora fatto riferimento 

(38) Per un�analisi degli strumenti di prevenzione attivati, si veda CARDELLICCHIO -GALLO, Stazione 
Unica Appaltante: tenuta di un impianto e nuovi contesti, in Rass. Avv. Stato, anno LXII, n. 3, luglio-
settembre 2010. 

(39) Si veda, in ordine al dibattito precedente all�adozione della scelta organizzativa in questione, 
una dichiarazione dell�allora Ministro della Giustizia sull�argomento in 
http://napoli.repubblica.it/dettaglio-news/laquila-09:09/3681740. 


alle amministrazioni provinciali, in un quadro ordinamentale in grande movimento 
proprio per ci� che riguarda l�articolazione dei livelli di governo. 

Il disegno di legge costituzionale n. 1543, attualmente pendente presso 
la Camera dei Deputati, prevede, come noto, la soppressione delle province. 
Ci� pone, tra l�altro, il problema dell�assegnazione delle relative funzioni tra 
cui rileva, in particolare, il coordinamento dell�area vasta. 

Si tratta di temi di grande rilevanza per i quali il disegno di legge costituzionale 
rinvia ad una legge dello Stato ed ad un�attivit� successiva di Stato 
e Regioni. 

Tale questione, nel sistema attuale, potrebbe trovare una soluzione individuando 
la Conferenza provinciale permanente, istituita presso le Prefetture 
e disciplinata dal D. L.vo 21 gennaio 2004, n. 29 e dal D.P.R. 3 aprile 2006, 

n. 180, come luogo ordinario di coordinamento dell�area vasta. 

Il predetto organismo, infatti, � costituito dai responsabili di tutte le strutture 
amministrative periferiche dello Stato che svolgono la loro attivit� nella 
provincia nonch� da rappresentanti degli enti locali ed disegnata dalla legislazione 
vigente come luogo imparziale di coordinamento e di leale collaborazione 
tra diversi livelli di governo. 

Proprio quella struttura, nell�ambito della quale, peraltro, sono state definite 
le negoziazioni per l�istituzione delle prime stazioni uniche appaltanti, 
potrebbe essere individuata allo scopo di coordinare le attivit� necessarie per 
la costituzione delle nuove centrali di committenza. 

In quell�ambito, quindi, dovrebbero essere definiti gli accordi convenzionali 
per la costituzione di uffici unici (40) che dovrebbero fare riferimento 
funzionale ad uno specifico �Nucleo operativo per i contratti pubblici, da costituire 
con composizione mista nel seno della stessa Conferenza. A titolo di 
esempio, possono essere richiamate le esperienze pregresse registrate in alcune 
province italiane in cui � stata attivata la Stazione unica appaltante (41). 

Un tale disegno della Stazione unica appaltante, che dovrebbe quindi essere 
costituita attraverso una convenzione ex art. 30 del Testo unico degli enti 
locali, negoziato in Conferenza provinciale permanente, costituita in Ufficio 
unico in raccordo funzionale con il predetto �Nucleo�, servirebbe anche a soddisfare 
una diffusa esigenza di collocazione della struttura in posizione di autonomia 
rispetto a tutte le amministrazioni aggiudicatrici aderenti. � stato 
scritto, infatti (42), che poich� la S.U.A. nasce nell�ambito della legislazione 
antimafia, primariamente con la finalit� di rafforzare l�economia legale e di 

(40) Possibilit� quest�ultima espressamente prevista dall�art. 30, comma 4. 

(41) Si veda, in proposito, l�attivit� posta in essere presso la Prefettura di Crotone, in CARDELLICCHIO 
-GALLO, La stazione unica appaltante provinciale di Crotone: genesi e prospettive evolutive, in Rass. 
Avv. Stato, anno LIX, n. 1, gennaio-marzo 2007. Per l�analoga strutturazione presso la Prefettura di Caserta, 
si veda la segnalazione in Stazione unica: nuove adesioni, in Lexautonomie del 17 ottobre 2009. 

(42) FABIO CACCO, op. cit. 


innalzare il livello di prevenzione delle infiltrazioni criminali, essa dovrebbe 
avere una netta autonomia rispetto agli enti per conto dei quali deve operare. 
Al predetto �Nucleo�, in una logica complessiva di sistema, dovrebbero 
quindi essere affidate le seguenti competenze: 

1. Monitoraggio delle gare e del rispetto di vincoli derivanti dall�adesione 
alla S.U.A.; 
2. Recepimento di tutte le determinazioni e le delibere in materia di contratti 
pubblici (dalla fase della programmazione fino all�aggiudicazione definitiva 
e con riguardo anche all�approvazione di varianti) da parte delle 
amministrazioni aggiudicatrici che dovrebbero essere destinatarie di un obbligo 
in tal senso; 
3. Possibilit� di inoltrare raccomandazioni agli enti locali, anche con il previo 
raccordo con l�Autorit� di vigilanza sui contratti pubblici, al fine di garantire 
la trasparenza e la legittimit� delle procedure gestite in ambito contrattuale; 
4. Possibilit� di segnalare al Prefetto ed alla Procura regionale della Corte 
dei Conti eventuali elementi informativi ritenuti rilevanti ai fini dell�esercizio 
delle rispettive attribuzioni. 


Un tale sistema di gestione e controllo, ovviamente qui solo abbozzato e 
da meglio tarare con i soggetti pubblici competenti in materia, potrebbe dare 
un assetto stabile e razionale alle centrali di committenza, riconducendo ad 
unit� l�esercizio sul territorio delle funzioni in materia di contratti pubblici. 


Il trasporto aereo tra Stato e Regioni 

Pierluigi Di Palma* 

Il riparto di competenze tra Stato e Regioni �, da anni, al centro di un acceso 
dibattito e di forti contrasti che hanno portato a numerosi conflitti di competenze 
innanzi la Corte Costituzionale successivamente alla modifica del Titolo 
V della Costituzione ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 

Come noto, la richiamata legge costituzionale ha profondamente modificato 
il Titolo V della parte seconda della Costituzione (Regioni, Province e 
Comuni) e, con specifico riferimento alla potest� legislativa, la novella ha introdotto 
un nuovo riparto di competenze fra Stato e Regioni, riconoscendo 
allo Stato, non pi� una generale potest� normativa, ma un potere legislativo 
esercitabile in materie tassativamente elencate. In tutte le altre materie, la riforma 
del Titolo V ha aperto lo spazio d�intervento al legislatore regionale, in 
concorrenza con il legislatore nazionale o in via esclusiva. 

Per quanto attiene, in particolare, la materia porti e aeroporti, essa � stata 
collocata, nell�ambito dell�art. 117, tra le materie di legislazione concorrente, 
concretamente delineando una necessaria cooperazione tra Stato e Regioni, 
rectius �leale collaborazione�, come enunciato dalla Corte Costituzionale. 

� indubbio che tale elemento di novit�, nella fase di avvio, ha dato qualche 
buon risultato fungendo da �pungolo� per la conservatrice burocrazia ministeriale 
di cultura centralista e avversa al principio del libero mercato di derivazione 
comunitaria, per poi tornare ad �arenarsi�, nel corso degli ultimi anni, 
in questo come in altri settori, al punto che il tema della �controriforma� del 
Titolo V � oggi pi� che mai di attualit�, per interrompere una copiosa legislazione 
regionale che, abbandonata la iniziale fase riformatrice, ha rotto gli argini 
assumendo le caratteristiche di uno strumento di spesa senza controllo alcuno. 

Insomma, dopo oltre dodici anni dall�adozione della legge costituzionale 
del 18 ottobre 2001, n. 3 � dunque il momento di tirare le somme e valutare 
se il nuovo impianto normativo abbia contribuito ad un miglior governo del 
settore del trasporto aereo. 

Non pu� non tenersi conto, poi, con specifico riferimento a detto settore, 
che con i decreti legislativi nn. 96/2005 e 151/2006 anche il codice della navigazione 
� stato oggetto di una importante opera di revisione che ha condotto, 
fra l�altro, alla integrale modifica dell�art. 698. 

Detta norma, oggi, prevede una distinzione tra gli aeroporti e i sistemi aeroportuali 
di interesse nazionale, quali nodi essenziali per l'esercizio delle com


(*) Avvocato dello Stato, Presidente del Centro Studi Demetra -Development of European Mediterranean 
Transportation. 


petenze esclusive dello Stato, e quelli di interesse regionale, da individuarsi (i 
primi) con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio 
dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, 
d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le 
Province autonome di Trento e di Bolzano e sentita l'Agenzia del demanio. 

La richiamata distinzione, tra aeroporti di interesse nazionale e interesse 
regionale, peraltro, ha trovato, negli stessi anni, riconoscimento anche a livello 
comunitario, dapprima nella Comunicazione (2005/c 312/01) e, poi, nella Direttiva 
2009/12/CE che individua gli aeroporti con un traffico di passeggeri 
superiore ai cinque milioni di passeggeri quale elemento dirimente per la diversa 
qualificazione giuridica. 

Tale distinzione, come vedremo, ha dunque una rilevanza importante, 
forse troppo spesso sottovalutata dal Legislatore nazionale che continua a utilizzare 
strumenti per recepire la normativa comunitaria per �frenare� le novit� 
che sono introdotte a livello continentale piuttosto che per accelerarle. 

Fatta questa breve premessa, al fine di trarre qualche utile spunto di riflessione 
sull�attuale riparto di competenze fra Stato e Regioni nel settore del trasporto 
aereo, appare utile prendere le mosse dall�esame di alcuni casi concreti. 

Nel 2003 si � avviato un acceso confronto tra Regione Puglia e Governo, 
sul riparto di competenze in materia di affidamento delle gestioni aeroportuali, 
teso a scardinare il sistema burocratico-interdittivo che, sino ad allora, aveva 
determinato forti ritardi nel processo di privatizzazione e liberalizzazione del 
sistema aeroportuale, da correlarsi alle resistenze nell�attuare i principi del libero 
mercato in un settore da decenni ancorato a logiche monopoliste ed assistenziali 
a tutela degli interessi esclusivi del vettore di bandiera. 

Ed invero, non avendo, all�epoca, l�Autorit� statale nel suo complesso 
ancora provveduto, ai sensi del decreto ministeriale n. 521/1997 disciplinante 
l'affidamento delle concessioni delle gestioni totali aeroportuali a societ� di 
capitale appositamente costituite, al rilascio delle suddette concessioni in riscontro 
alle istanze presentate, sin dal 1999, da diverse societ� aeroportuali 
titolari di gestione parziale o precaria, la Regione Puglia ha deciso di agire 
esercitando la propria competenza legislativa. 

Nell�inerzia dell�Autorit� statale, invocando la competenza legislativa 
concorrente nella materia �porti ed aeroporti� riconosciuta alle Regioni dal 
novellato art. 117 della Costituzione, la Regione Puglia, dunque, ha adottato 
il Disegno di Legge n. 1 del 22 gennaio 2003 per l�affidamento alla propria 
societ�, la S.E.A.P. S.p.A., la gestione totale del sistema aeroportuale pugliese. 

Si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge: �la riformulazione 
dell�articolo 117 della Costituzione reca, tra le materie in regime 
di legislazione concorrente, anche �porti e aeroporti� civili; materia che, pertanto, 
deve ritenersi certamente rientrante nell�ambito delle discipline attribuite 
alla competenza legislativa regionale, la quale deve essere, come sopra ricor



dato, esercitata nel rispetto dei principi definiti dal legislatore statale. Nella richiamata 
prospettiva, la regione Puglia ben pu� avviare una iniziativa diretta 
ad affidare, attraverso uno specifico atto normativo, in coerenza con i principi 
fondamentali stabiliti dallo Stato, la gestione totale degli aeroporti che insistono 
sul proprio territorio, ferme restando le attribuzioni dell�ENAC quale soggetto 
regolatore del sistema per quanto attiene a tutti gli aspetti tecnici. [�] � ormai 
pacificamente riconosciuta da un consolidato e risalente indirizzo interpretativo 
del Giudice delle leggi la possibilit� di tutte le Regioni di legiferare, traendo 
esse stesse, in via deduttiva e per successive astrazioni dal complesso delle leggi 
vigenti, i principi fondamentali che incidono su ciascuna materia di legislazione 
concorrente (da ultimo, Corte Costituzionale 26 giugno 2002, n. 282)�. 

Ebbene, il suddetto disegno di legge regionale della Puglia non � stato poi 
perfezionato, ma la forte funzione sollecitatoria, derivante dalla pubblicazione 
dell�iniziativa legislativa regionale, � fuor di dubbio, che abbia indotto il Ministero 
dei trasporti ad adottare, pur di mantenere a s� intestata una surrettizia 
competenza, piuttosto che lasciare spazio alla legislazione regionale concorrente, 
il decreto ministeriale del 6 marzo 2003 con cui � stato approvato l�affidamento 
della gestione totale quarantennale del Sistema aeroportuale pugliese 
alla S.E.A.P. S.p.A., probabilmente per scongiurare un conflitto costituzionale 
che avrebbe potuto rivelarsi uno �scomodo� precedente per il Governo. 

L�iniziativa regionale, dunque, determina un positivo confronto istituzionale 
e rappresenta una prima occasione, come propugnato dal Ministro dei 
trasporti Pierluigi Bersani, per riflettere sull�importanza di trasferire in favore 
di societ� partecipate per lo pi� da enti locali e territoriali, senza drenare risorse 
per le finanze pubbliche statali, un rilevante patrimonio, essenziale allo sviluppo 
economico sociale dei bacini di traffico circostanti gli scali aeroportuali. 

A tale vicenda � dedicato un libro, dal titolo �Il trasporto aereo nell�Europa 
delle Regioni: valorizzazione del sistema aeroportuale italiano. La Puglia: 
un esempio che fa discutere�, primo volume della Collana �I quaderni 
dell�Aviazione Civile�, curata dal Centro Studi Demetra, in cui si documenta 
il complesso percorso burocratico amministrativo che ha portato il Governo a 
dover riconoscere alla SEAP, solo alla vigilia dell�approvazione della citata 
legge regionale, la concessione quarantennale degli scali di Bari Palese, Brindisi 
Papola Casale, Taranto Grottaglie, Foggia Gino Lisa. 

La necessit� di superare la vecchia cultura colbertista, basata su un pervasivo 
intervento da parte dello Stato nell�economia, in favore delle nuove societ� 
di capitali, affidatarie della gestione aeroportuale totale, che garantiscono uno 
stretto collegamento con le diverse realt� territoriali, � ben rappresentata nella 
quarta di copertina del libro sul caso Puglia, dal Presidente dell�ENAC Vito 
Riggio che scrive: �Le autonomie territoriali rappresentano da sempre il naturale 
punto di forza dello sviluppo economico ed industriale di ogni nazione progredita, 
che non pu� prescindere da una seria programmazione per quel che 


concerne il rapporto tra infrastrutture e territorio. In questo contesto, assume 
una valenza strategica il trasporto aereo che pu� assumere un ruolo fondamentale 
nello sviluppo, in particolare, di regioni geograficamente ed economicamente 
svantaggiate; la valorizzazione del sistema aeroportuale nazionale, 
collocato nell�ambito di un quadro pi� generale costituito dalla crescente domanda 
di servizi aerei per l�effettuazione di collegamenti tra scali europei di 
dimensione regionale, deve necessariamente essere perseguito, non solo al fine 
di garantire un ordinato sviluppo delle infrastrutture, ma anche come modello 
stabile di riferimento per esperienze analoghe. Per raggiungere questo obiettivo 
non si pu� prescindere da una valida riforma del settore che si fondi e promuova 
una efficace politica della concorrenza. Naturalmente, realizzare un vero sistema 
concorrenziale in un settore di tipo colbertista, cio� nel quale la presenza 
della pubblica autorit� � stata l�unica condizione per potersi dotare di un apparato 
efficiente nel trasporto aereo, comporta tuttora una serie di responsabilit� 
aggiuntive che vanno dalla riqualificazione degli apparati amministrativi 
ad un potenziamento dell�efficienza della dimensione dei vettori. Solo a queste 
condizioni sar� possibile intervenire efficacemente per il rilancio strutturale di 
regioni che da tempo, non solo nel nostro Paese, ma anche nell�ambito comunitario, 
giustamente pretendono di ottenere anch�esse un percorso coerente di 
sviluppo socio-economico. Abbiamo bisogno non di altri aeroporti, ma di aeroporti 
nuovi nella concezione e nella gestione che costituiscano una vera garanzia 
per lo sviluppo e per la tutela del diritto alla mobilit��. 

Ed ancora, Raffaele Fitto, all�epoca Governatore della Puglia, nella prefazione 
del libro sottolinea la necessit� di riflettere sulla distanza che separa 
le decisioni politiche dalla loro concreta e completa applicazione in tempi ragionevoli, 
evidenziando l�opportunit� di superare le inefficienze della pubblica 
amministrazione, a cominciare dalla semplificazione delle procedure eccessivamente 
�bizantine�. Scrive il Governatore della Puglia: �L�Europa costituisce 
una formidabile opportunit� di sviluppo per quelle Regioni che abbiano 
vocazione e stimoli alla crescita, che sappiano svecchiarsi per innovare, progettare 
e consumare in un attento confronto con le regole del mercato. All�interno 
del processo di integrazione europea, la riforma della Pubblica 
Amministrazione � senz�altro uno dei cambiamenti maggiormente attesi dai 
cittadini, proprio per le importanti ricadute positive che, cos�, si verrebbero 
a determinare sul sistema produttivo. Le aspettative - che sottendono esigenze 
reali e sempre meno eludibili - si polarizzano verso uno snellimento dei processi 
decisionali, tali da garantirne l�attuazione in tempi compatibili con le 
attese dei cittadini e degli operatori interessati. Il nostro Paese ha conosciuto, 
salvo eccezioni, una burocrazia spesso vissuta dai cittadini come una presenza 
ingombrante, avviluppata in procedure inutilmente complesse e bizantine. Cittadini 
e operatori hanno vissuto sulla propria pelle con infastidita rassegnazione 
gli oneri e le inefficienze nelle quali spesso si � tradotta �l�azione 


amministrativa�: ostacolo insormontabile per molti, insolitamente docile con 
altri. Porre questi problemi, (�) vuol dire interrogarsi sulle ragioni del declino 
del nostro Paese e, con pazienza da enigmisti, rintracciare - se non lecause - almeno alcune prudenti piste di riflessione. � evidente che uno dei 
motivi delle difficolt� che l�Italia conosce sia riconducibile alla complessit� 
delle procedure applicative della legislazione nazionale o comunitaria. La 
leva della Pubblica Amministrazione si trova cos� sprovvista di un fulcro, in 
grado di integrare in un quadro coerente decisioni politiche e politica di sviluppo 
economico�. (�) �Lo scopo dell�autore - senz�altro ambizioso - � di 
porsi al servizio dell�opinione pubblica segnalando le difficolt� che incontra 
un settore strategico per l�economia nazionale come quello del trasporto 
aereo. Si tratta di iniziare a misurare la distanza che separa le decisioni politiche 
dalla loro concreta e completa applicazione in tempi ragionevoli. Tempi 
utili a permettere ai soggetti interessati di regolare le loro condotte sulle decisioni 
prese e di formulare le necessarie previsioni, con la sicurezza di un 
progetto politico che venga effettivamente attuato e portato a termine�. 

Dopo il caso della Puglia che, come visto, non approda innanzi alla Corte 
Costituzionale per una ben precisa scelta dell�Autorit� statale che preferisce, 
come si legge nelle premesse del d.m. 6 marzo 2003, �innovare i precedenti 
indirizzi ministeriali in materia, in ragione del mutato quadro di riferimento 
di fatto e di diritto� piuttosto che abdicare ad una parte delle proprie competenze, 
la medesima Corte, negli anni successivi, � chiamata ad intervenire per 
dirimere altri conflitti di competenza tra Stato e Regioni, che si risolvono con 
alcune decisioni pretorie che svolgono un�importante funzione interpretativa, 
anche rispetto alle novellate previsioni della parte aeronautica del codice della 
navigazione, nonch� fungono da stimolo per il legislatore, inducendolo a dare 
attuazione al processo di liberalizzazione e privatizzazione del trasporto aereo 
e ad aprire, senza indugi, il mercato alle regole della concorrenza. 

Da segnalare, innanzitutto, la sentenza n. 51/2008, con cui la Corte costituzionale, 
accogliendo parzialmente i ricorsi proposti da alcune Regioni avverso 
la c.d. Legge sui �Requisiti di Sistema� (decreto legge n. 203/2005, 
convertito con modificazioni dalla legge n. 248/2005), ha ricollocato nell�ambito 
del principio di leale collaborazione le diverse competenze in materia aeroportuale 
devolute dalla novella del titolo V alla legislazione concorrente. 

La Corte, nell�ambito di tale sentenza, ha chiarito come la regolazione 
tariffaria in ambito aeroportuale sia una disciplina complessa che si colloca 
alla confluenza di un insieme di materie che riguardano, oltre agli aeroporti, 
l'ordinamento civile e la tutela della concorrenza (materie rientranti nella potest� 
esclusiva dello Stato), di talch� assurge a principio fondamentale quello 
della leale collaborazione tra Stato e Regioni. 

Detto principio, come chiarito nella sentenza, �si deve sostanziare in momenti 
di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento 


dei livelli di governo statale e regionale (sentenze n. 240 del 2007 e n. 213 del 
2006). [�] Questa Corte ha gi� rilevato che �il principale strumento che consente 
alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni 
atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale � costituito 
dal sistema delle Conferenze. Esso [�] realizza una forma di cooperazione 
di tipo organizzativo e costituisce una delle sedi pi� qualificate per l'elaborazione 
di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione�. 

Riaffermato, dunque, il principio di leale collaborazione anche nella materia 
aeroportuale, la Corte ha dichiarato l�incostituzionalit� dell�art. 11 nonies 
del d.l. n. 203/2005, nella parte in cui non prevedeva che, prima dell�adozione 
della delibera CIPE, fosse acquisito il parere della Conferenza unificata, nonch� 
dell�art. 11 undecies, comma 2, del d.l. n. 203/2005, nella parte in cui, con riferimento 
ai piani di intervento infrastrutturale, non prevedeva che fosse acquisito 
il parere della Regione interessata. 

In seguito, la Corte Costituzionale, adita in via diretta dalla Presidenza del 
Consiglio dei Ministri, � tornata ad occuparsi della materia aeroportuale con la 
sentenza n. 18/2009, dichiarando l�illegittimit� costituzionale della legge regionale 
della Lombardia n. 29/07, in materia di �trasporto aereo, coordinamento 
aeroportuale e concessioni di gestione aeroportuale�, con la quale la 
Regione Lombardia ha legiferato su materie non riconducibili esclusivamente 
alla materia �aeroporti�, trattando di clearance aeroportuale (artt. 2-8) e di 
concessioni di gestione aeroportuale (artt. 9-11), con riferimento agli �aeroporti 
situati nel territorio regionale� (art. 1), che afferiscono a materie ulteriori. 

In particolare, secondo la Corte, �Dall'esame della normativa comunitaria 
e di quella interna di attuazione emerge che la disciplina dell'assegnazione delle 
bande orarie negli aeroporti coordinati risponde, da un lato, ad esigenze di sicurezza 
del traffico aereo, e, dall'altro, ad esigenze di tutela della concorrenza, 
le quali corrispondono ad ambiti di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, 
comma secondo, lettere e) ed h), Cost). La legge regionale impugnata nel presente 
giudizio, pur riguardando sotto un profilo limitato ed in modo indiretto 
gli aeroporti, non pu� essere ricondotta alla materia �porti e aeroporti civili�, 
di competenza regionale concorrente. Tale materia - come questa Corte ha gi� 
affermato (sentenza n. 51 del 2008) - riguarda le infrastrutture e la loro collocazione 
sul territorio regionale, mentre la normativa impugnata attiene all'organizzazione 
ed all'uso dello spazio aereo, peraltro in una prospettiva di 
coordinamento fra pi� sistemi aeroportuali. La distribuzione delle bande orarie 
richiede, infatti, almeno una corrispondenza tra i due aeroporti del volo, quello 
di partenza e quello di arrivo, oltre che il coordinamento dei voli nello spazio 
aereo considerato. Le norme in esame, pertanto, incidono direttamente ed immediatamente 
sulla disciplina di settori (l'assegnazione delle bande orarie, il 
rilascio delle concessioni aeroportuali) che sono stati oggetto dei richiamati interventi 
del legislatore comunitario, e poi del legislatore statale, riconducibili 


alle materie sopra indicate, attribuite alla competenza esclusiva dello Stato�. 

Anche in tale occasione la Consulta, pur dichiarando l�illegittimit� della 
legge regionale contestata, richiama la necessaria collaborazione tra Stato ed 
Enti territoriali per il governo del sistema aeroportuale. 

In particolare, la Corte Costituzionale concentra il proprio ragionamento 
sui regolamenti comunitari per l�assegnazione di bande orarie (Reg. 
95/93/CEE come modificato dal Reg. 793/2004/CE), desumendo �che la disciplina 
da essi recata � essenzialmente volta al fine di garantire l�accesso al 
mercato di tutti i vettori secondo regole trasparenti e non discriminatorie�. 

Dall�esame della normativa comunitaria e di quella interna di attuazione 
(art. 807 cod.nav.) la Corte ritiene �che la disciplina di assegnazione delle 
bande orarie negli aeroporti coordinati risponde da un lato, ad esigenze di 
sicurezza del traffico aereo, e, dall�altro, ad esigenze di tutela della concorrenza, 
le quali corrispondono ad ambiti di competenza esclusiva dello Stato�. 

In conclusione, la Consulta precisa, come gi� affermato con la decisione 

n. 51/08, che la competenza regionale concorrente nella materia controversa 
riguarda �le infrastrutture e la loro collocazione sul territorio regionale�. 

Al contrario, sono da ritenersi attribuite alla competenza esclusiva dello 
Stato l�assegnazione delle bande orarie ed il rilascio delle concessioni, materie 
che vanno oltre �la dimensione regionale� e che si riferiscono �alla sicurezza 
del traffico aereo ed alla tutela della concorrenza (�) all�organizzazione ed 
all�uso dello spazio aereo, peraltro in una prospettiva di coordinamento fra 
pi� sistemi aeroportuali�. 

In seguito, proprio prendendo le mosse da tali pronunce, nello sforzo di 
rispettare i �paletti� segnati dalla Consulta nel corso degli anni, si muovono 
due pi� recenti proposte di legge della Regione Lazio elaborate con il supporto 
del centro studi Demetra, la n. 89/2010 (proposta dal Cons. Francesco Scalia) 
e la n. 317/2012 (proposta dal Cons. Ernesto Irmici), aventi ad oggetto rispettivamente 
�Norme in materia di aeroporti di interesse regionale� e �aeroporti 
di interesse regionale�, volte a permettere alla Regione Lazio, nell�ambito 
dell�esercizio della propria competenza concorrente, di localizzare i siti ove 
possano sorgere nuove infrastrutture aeroportuali di rilevanza regionale, nonch� 
di riservare alla Regione stessa il potere di rilasciare la concessione della 
gestione totale dei medesimi scali aeroportuali. 

La questione se il rilascio della concessione della gestione degli aeroporti 
di rilevanza regionale possa essere ricollocata nell�ambito delle competenza 
concorrente delle Regioni, o vada invece riservata alla competenza esclusiva 
dello Stato, non solo non trova risposta negativa nelle richiamate pronunce 
della Corte Costituzionale, ma � ricavabile, in senso positivo, da altri pronunciamenti 
della Consulta e, in generale, dai principi generali dell�ordinamento. 

A tale proposito, si ricorda che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 
89 del 2006, si � gi� cimentata sulla �[�] delimitazione dell�ambito delle 


competenze, statali e regionali, in riferimento alle procedure amministrative 
per il rilascio delle concessioni demaniali marittime [�]�. La Corte, infatti, 
nell�ambito di una procedura per conflitto di attribuzioni, aveva dichiarato che 
non spettava alle autorit� marittime statali la competenza amministrativa relativa 
al rilascio di concessioni demaniali per i porti �di rilevanza economica 
regionale e interregionale�. 

Il vero nodo della questione, dunque, riguardo la legittimit� di un intervento 
normativo della Regione, su di una materia di competenza concorrente, 
in assenza della previa adozione, da parte dell�Autorit� statale, dei provvedimenti 
necessari per definire la cornice dei principi entro i quali � chiamata a 
muoversi la Regione, pu� ritenersi risolto nei termini anzidetti. 

Vero �, tuttavia, che le proposte di legge della Regione Lazio sono rimaste 
tali e, ad oggi, nessuna concreta iniziativa � stata posta in essere, a livello territoriale, 
per esercitare nuove possibili competenze in materia aeroportuale. 

Tali proposte normative della Regione Lazio, peraltro, si inseriscono nel-
l�ambito di una pi� grande querelle istituzionale concernente l�individuazione 
del terzo scalo del Sistema aeroportuale del Lazio, di rilevanza nazionale, verso 
il quale delocalizzare il traffico ricadente sull�aeroporto di Ciampino, destinato 
ad un forte ridimensionamento per problemi di inquinamento acustico. 

Trattasi, come tanti nel nostro Paese, di un progetto non realizzato, nonostante 
la stipula nel 2008 di un atto di intesa programmatica tra il Ministro 
delle infrastrutture e dei trasporti e il Presidente della Regione Lazio volto a 
promuovere, per motivi di compatibilit� ambientale, la delocalizzazione del 
traffico aereo gravante su Ciampino, con la realizzazione dell�aeroporto di 
Viterbo, quale terzo scalo del Lazio di rilevanza nazionale, e rimettendo al-
l�ente territoriale la responsabilit� di individuare uno scalo di interesse regionale 
nel sud del Lazio. 

Nonostante l�impiego di rilevanti risorse pubbliche in studi di fattibilit�, 
come detto, il progetto non ha trovato attuazione, avendo il Ministro dei trasporti 
e delle infrastrutture pro tempore, con un nuovo atto di indirizzo, stabilito 
di concentrare tutto il traffico aereo della Capitale sull�aeroporto di Fiumicino !! 

Ci� dimostra che tutti gli sforzi compiuti, anche attraverso le indicazioni 
provenienti dalle pronunce della Corte costituzionale, per procedimentalizzare 
l�iter per l�individuazione degli aeroporti di rilevanza nazionale e quelli di rilevanza 
regionale, attraverso la leale collaborazione tra Stato e Regioni, nonostante 
i buoni auspici della fase di avvio, non hanno centrato l�obiettivo, 
anche per la persistente e coriacea resistenza di assetti burocratici interdittivi 
propensi a salvaguardare gli interessi degli interessi piuttosto che porre, come 
dovuto, attenzione alla tutela dell�interesse pubblico. 

Di talch�, l�esperienza sembra indicare che il percorso sino ad oggi seguito 
va rimeditato: meglio sarebbe stato, probabilmente, attenersi alle chiare 
indicazioni del legislatore comunitario che, come visto, fissa nella soglia dei 


cinque milioni di passeggeri annui il discrimen per l�individuazione degli aeroporti 
regionali e nazionali, ancorando tale distinzione ad un dato oggettivo, 
sottratto a dannosi conflitti di competenze. 

Peraltro, proprio di recente, la neo istituita Autorit� di Regolazione dei 
trasporti, nell�elaborare i nuovi modelli di regolazione tariffaria in ambito aeroportuale, 
ha previsto tre diversi modelli tariffari riguardanti, rispettivamente, 
gli aeroporti con volumi di traffico superiore ai cinque milioni di passeggeri 
per anno, gli aeroporti con volumi di traffico compresi tra i tre ed i cinque milioni 
di passeggeri per anno e gli aeroporti con volumi di traffico annuo inferiore 
a i tre milioni di passeggeri per anno, modificando l�intensit� della 
regolazione al ridursi dei volumi di traffico. 

Da segnalare, infine, che l�Autorit� di regolazione dei trasporti ha gi� trovato 
un�importante legittimazione da parte della Corte Costituzionale che con 
la sentenza n. 41 del 15 marzo 2013 ha respinto il ricorso proposto dalla Regione 
Veneto per la declaratoria di illegittimit�, per violazione degli artt. 117, 
118, 119 della Costituzione, nonch� del principio di leale collaborazione, della 
norma che ne ha previsto l�istituzione (art. 36, comma 1, lettera a), del d.l. n. 
1/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. 27/2012). 

La Consulta, al riguardo, ha avuto modo di chiarire che �le funzioni conferite 
all�Autorit� di regolazione dei trasporti, se intese correttamente alla 
luce della ratio che ne ha ispirato l�istituzione, non assorbono le competenze 
spettanti alle amministrazioni regionali in materia di trasporto pubblico locale, 
ma le presuppongono e le supportano. Valgono anche in questo caso i 
principi affermati dalla Corte in una fattispecie analoga: �le attribuzioni 
dell�Autorit� non sostituiscono n� surrogano alcuna competenza di amministrazione 
attiva o di controllo; esse esprimono una funzione di garanzia, in 
ragione della quale � configurata l�indipendenza dell�organo. [�] non vi � 
ragione di ritenere che le Autorit� di tale natura [�] possano produrre alterazioni 
dei criteri costituzionali in base ai quali viene ripartito l�esercizio delle 
competenze amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali�. 

In conclusione, a 12 anni dalla novella del Titolo V della Costituzione e 
dopo quasi 10 anni dalla riforma della parte aeronautica del codice della navigazione, 
si pu� affermare che il rinnovato riparto di competenze tra Stato e 
Regioni, come concretamente affermatosi, non funziona, neppure dopo gli apprezzabili 
sforzi �interpretativi� della Consulta, tesi a massimizzare il coinvolgimento 
degli enti territoriali, attraverso il richiamo al principio di leale 
collaborazione. 

Nel senso di un rafforzamento delle competenze centrali, sembra oggi 
militare il Piano Nazionale degli aeroporti, da approvarsi con un decreto della 
Presidenza della Repubblica, assurgendo, cos�, non gi� ad un mero atto di indirizzo, 
ma ad un atto normativo che individua, nel panorama nazionale, 11 
aeroporti strategici e 26 aeroporti di interesse nazionale. 


Non resta che vedere, a questo punto, se e come gli assetti istituzionali di 
riferimento, decideranno di valorizzare o meno �gli aeroporti di interesse regionale 
o locale appartenenti al demanio aeronautico civile statale e le relative 
pertinenze, diversi da quelli di interesse nazionale cos� come definiti 
dall�articolo 698 del Codice della navigazione� che, ai sensi dell�art. 5, 
comma 1, lettera c) del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, saranno trasferiti 
a detti Enti. 

Ma invocare un ritorno al passato, seppure appaga chi di fronte al fallimento 
di una esperienza avverte la responsabilit� di una scelta politico istituzionale 
forte, non � detto che sia una soluzione efficace. 

Forse oggi, di fronte ad un meccanismo che tende a riprodursi e alla necessit� 
di un cambiamento � necessario cercare la via maestra di collegarsi direttamente 
all�Europa che, effettivamente, ha la responsabilit� di governare il 
settore affermando, sempre pi�, i principi del libero mercato attraverso una 
legislazione chiara ed efficace. 

� indubbio che per governare il settore del trasporto aereo servono norme 
semplici e procedure ragionevoli. La nostra sovrabbondante disciplina nazionale 
� sicuramente strutturalmente contraddittoria rispetto alla valenza e alla 
funzione delle norme comunitarie in materia. 

La linearit� delle norme comunitarie che hanno introdotto un sano principio 
di concorrenzialit� in un libero mercato, salvaguardando i diritti dei passeggeri 
e la loro sicurezza, non sono sempre compatibili con una legislazione nazionale 
che tende ad adattare, a tutela di interessi specifici, il diritto comunitario. 

In Europa, come ricordato dal collega Giuseppe Fiengo per quanto concerne 
il settore dei lavori pubblici, le procedure sono oggettive ed efficaci, in 
casa le regole risultano, a volte, fatte �su misura�. 

Ma nell�applicare le regole comunitarie, occorre un nuovo modo di amministrare 
legato alla capacit� per chi decide di assumere la piena responsabilit� 
di quello che fa, cosa non facile per una classe dirigente che, per lo pi�, 
non ha autonomia nei confronti di una classe Politica che, fino ad oggi, non 
ha dimostrato capacit� di elaborazione di linee di indirizzo strategico per garantire 
nel settore aerospaziale lo sviluppo economico ed occupazionale che 
il nostro Paese merita. 


La sponsorizzazione dei beni culturali: opportunit� 
e criticit� dello strumento alla luce del caso Colosseo 

Sara Peluso* 

La "sponsorizzazione" sui beni culturali paga, nella prassi amministrativa 
italiana, tutte le difficolt� di utilizzazione di un modello di contratto mercantile 
preso in prestito da un'area estranea al mondo culturale: lo sponsor 
normalmente si fa pubblicit� con un soggetto o un bene di stretta pertinenza 
individuale, lega il suo nome ad un viso o ad un qualcosa di noto, che diviene 
in tal modo anche la sua immagine esclusiva. 

Secondo la definizione di Wilkipedia "Sponsorizzare qualcosa o qualcuno 
(dal latino sponsor 'garante, manlevatore', ovvero dal verbo spondere 'promettere 
solennemente') significa sostenere un evento, un'attivit�, una persona o 
un'organizzazione, finanziariamente oppure attraverso la fornitura di prodotti 

o servizi. Per sponsor s'intende l'individuo o l'azienda che fornisce tale sostegno. 
La sponsorizzazione pu� pertanto consistere in un accordo che preveda 
pubblicit� in cambio dell'impegno a finanziare un ente o un evento popolare. 

Di qui la prima regola, che sembra emergere, � che un operatore pubblico 
(nella specie il Ministero per i beni e le attivit� culturali) per scegliersi il suo 
sponsor deve aprire una sorta di gara e non pu� fare alcuna discriminazione 
tra le varie aziende europee, che potenzialmente potrebbero essere interessate 
all'operazione, che mantiene una forte valenza economica e commerciale. 

La seconda regola deriva dalla difficolt� di adattamento del meccanismo 
descritto, di identificazione tra l'attivit� commerciale dello sponsor e l'attivit� 
che riguarda il bene sovvenzionato: i beni culturali appartengono naturaliter 
ad una collettivit�, prevalentemente territoriale, che quel bene usa e che in 
quel bene si rappresenta; questa collettivit� diffusa non accetta istintivamente 
di riconoscersi con il mondo ed i prodotti che lo sponsor intende pubblicizzare 

o vendere. Di qui l'altra regola che l'intervento dello sponsor debba assumere, 
nel settore dei beni e delle attivit� culturali, una forma prevalentemente "istituzionale", 
se non neutra, facendo venir meno in gran parte la funzione economico 
sociale (i giuristi la chiamano "causa") del contratto civilistico di 
sponsorizzazione. 

In questo contesto, venute meno, anche per ragioni di insufficiente protezione 
fiscale, le forme di mecenatismo tradizionali, le sponsorizzazioni sui 
beni e sulle attivit� culturali hanno avuto vita difficile: molte fondazioni ban


(*) Docente a contratto di Diritto dell�Economia - Universit� di Modena e Reggio Emilia. 

L�articolo � gi� edito in Gazzetta Ambiente, 2013, n. 5, e se ne ripropone la pubblicazione per consentirne 
la libera consultazione ai Lettori interessati. 


carie che volevano attribuire ai loro interventi una forte valenza territoriale, 
chiamando a lavorare soprattutto maestranze locali (sorreggendo in tal modo 
le attivit� artigianali e le piccole imprese territoriali) hanno preferito, viste 
le difficolt� operative con i beni culturali di propriet� dello Stato, Province e 
Comuni, rivolgere le loro risorse ai beni ecclesiastici, nei cui confronti esistono 
oggettivamente vincoli meno stringenti. 

Eppure la formula dell'articolo 111 del Codice dei beni culturali e del 
paesaggio concernente la "valorizzazione" dovrebbe essere foriera di utili applicazioni: 
"1) Le attivit� di valorizzazione dei beni culturali consistono nella 
costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella 
messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, 
finalizzate all'esercizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalit� 
indicate all'articolo 6. A tali attivit� possono concorrere, cooperare o partecipare 
soggetti privati. 2) La valorizzazione � ad iniziativa pubblica o privata. 
3) La valorizzazione ad iniziativa pubblica si conforma ai principi di libert� 
di partecipazione, pluralit� dei soggetti, continuit� di esercizio, parit� di trattamento, 
economicit� e trasparenza della gestione. 4) La valorizzazione ad 
iniziativa privata � attivit� socialmente utile e ne � riconosciuta la finalit� di 
solidariet� sociale". 

Ed � proprio su questi aspetti che si muove lo studio di Sara Peluso, che, 
in modo sistematico attraverso l'analisi dell'evoluzione normativa, della dottrina 
e della giurisprudenza amministrativa, tende a fornire il quadro evolutivo 
del sistema delle sponsorizzazioni sui beni culturali, mettendo in evidenza tutte 
le opportunit� e le criticit� dello strumento. 

G.F. 

SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. I privati e i beni culturali tra mecenatismo e sponsorizzazioni 
- 3. Dal contratto di sponsorizzazione come contratto pubblico al contratto di sponsorizzazione 
nel Codice dei Beni Culturali - 4. Il caso Colosseo - 5. Conclusioni. 

1. Introduzione. 

Il d.lgs. 62/2008 ha modificato e innovato il Codice dei Beni Culturali 
determinando importanti cambiamenti nella disciplina relativa al contratto di 
sponsorizzazione, soprattutto in riferimento alla portata dell�ambito applicativo. 
La lettura di queste modifiche in relazione al contratto di sponsorizzazione 
recentemente sottoscritto dalla Tod�s S.p.A. per la ristrutturazione del 
Colosseo si presta indubbiamente a fornire un valido spunto per esaminare le 
caratteristiche salienti dell�istituto e tratteggiare il fenomeno della sponsorizzazione 
nel settore dei beni culturali, attraverso l�identificazione dei possibili 
effetti positivi generabili sia in termini pi� generali di sussidiariet� tra pubblico 
(proprietario) e privato (sponsor), in attuazione del principio all�art. 118, c. 4, 


della Costituzione, sia in termini di risultati ottenibili nella tutela e nella valorizzazione 
del patrimonio culturale nazionale, cos� come auspicato dall�art. 9 
della Costituzione. 

ComՏ noto infatti, secondo tale disposizione, che stabilisce peraltro il 
principio del collegamento tra tutela del patrimonio storico-artistico e promozione 
dello sviluppo della cultura, la tutela dei beni culturali � compito riservato 
alla Repubblica, laddove Repubblica sta in generale ad indicare i pubblici poteri, 
ovvero lo Stato in tutte le articolazioni territoriali che lo compongono ex 
art. 114 della Costituzione. Si tratta dunque di un compito non delegabile ai 
privati, il cui esercizio implica da un lato la riserva di tale funzione al soggetto 
pubblico, dall�altro un dovere imprescindibile associato ad essa. Diverso � il 
discorso da farsi sul compito di valorizzazione dei beni culturali, affidato dalla 
Costituzione alla legislazione concorrente Stato/Regioni all'art. 117, c. 3, per il 
quale l�intervento dei privati � ammesso e perfino incentivato dal Codice. 

2. I privati e i beni culturali tra mecenatismo e sponsorizzazioni. 

Il settore dei beni culturali � da considerarsi senza ombra di dubbio di 
straordinaria rilevanza per l'Italia, dotata di un patrimonio senza pari, e non 
solo perch� impatta notevolmente su altri settori ad esso collegati, come quello 
del turismo, ma anche e soprattutto perch� custodisce la memoria nazionale e 
collettiva del popolo italiano. Tuttavia, negli ultimi anni, l�intero sistema dei 
beni culturali ha patito i tagli alla spesa pubblica vedendo progressivamente 
erodersi le risorse a disposizione, destinate piuttosto a vantaggio di altri settori 
dell'economia pi� adatti a compiacere l�elettorato. Per questo e per molti altri 
motivi, come le crescenti difficolt� organizzative e manageriali della pubblica 
amministrazione sul terreno dell'organizzazione e della gestione del bene culturale 
(1), l'intervento pubblico si � dimostrato insufficiente rendendosi, dunque, 
necessario individuare forme di partecipazione nel settore, anche al fine 
di attrarre capitali e competenze specifiche. 

Col delinearsi di un simile contesto non stupisce quindi che ad un certo 
punto si sia tentato di coinvolgere i privati e le relative risorse per finanziare 
gli interventi pubblici di tutela e valorizzazione dei beni culturali. A questo 
proposito � per� utile ricordare che prima dell�entrata in vigore del d.lgs. 
42/2004, non vi era mai stato da parte del legislatore un intervento organico 
per disciplinare la materia, col risultato che questi interventi prendevano le 
mosse senza una precisa cornice normativa di riferimento, basandosi sostanzialmente 
su soluzioni giuridiche ibride riconducibili a istituti di volta in volta 
differenti, e in particolare attraverso due sistemi alternativi: 

(1) Almeno attenendosi ai dati sul fatturato del settore riportati da M. CAMMELLI, 2011, dai 
quali risulta come l'Italia sia palesemente indietro pur possedendo un patrimonio culturale di gran 
lunga pi� ricco di altri Paesi in posizioni migliori in classifica. 


a) da un lato quello delle erogazioni liberali, legate al fenomeno del c.d. 
mecenatismo culturale. Si tratta principalmente di donazioni al settore, elargite 
da soggetti privati in un sistema di esenzioni ed agevolazioni fiscali designato 
ad hoc, costruito proprio per incentivare i privati a partecipare agli interventi 
di valorizzazione sui beni culturali. Il fenomeno si fonda dunque su un meccanismo 
di leva basato su strumenti di detraibilit� e deducibilit� fiscale delle 
somme elargite al settore dai soggetti donanti. Il sistema delle erogazioni liberali 
non � stato per� in grado di produrre risultati economici sostanziali, probabilmente 
a causa della, tutto sommato, trascurabile convenienza fiscale 
ottenibile, della scarsa visibilit� legata alle donazioni al settore culturale per 
il soggetto donante, rispetto a donazioni destinate ad altri scopi (ad esempio, 
quelle per la ricerca medica, la povert�, ecc.) pi� inclini a produrre consensi e 
dunque ad attrarre capitali, e dunque del mancato ritorno effettivo dell�investimento, 
legato oltretutto non di rado a tortuosi iter burocratici, in barba al 
principio generale della semplificazione dei procedimenti amministrativi. 

b) dall�altro lato, le sponsorizzazioni, ovvero contratti a prestazioni corrispettive 
attraverso i quali il privato, a fronte di una certa somma da versare, 
acquisisce il diritto, in varie forme, di sfruttare a proprio vantaggio l'immagine 

o il nome del bene culturale interessato dal contratto, incorporandolo ad esempio 
in iniziative legate a un certo prodotto o a una certa operazione imprenditoriale. 
A voler fare un confronto con le erogazioni liberali salta dunque subito 
agli occhi come queste forme di contribuzione offrano l'indubbio pregio di 
consentire un ritorno dell�investimento per lo sponsor in termini di immagine 
e visibilit� traducibile in un cospicuo vantaggio commerciale sui diretti con-
correnti legato alla pubblicit� che ne deriva. 

Il funzionamento di entrambi gli strumenti appena tratteggiati, seppure a 
grandi linee, prevede comunque che i ruoli del soggetto pubblico e del soggetto 
privato siano divisi e ben definiti, per cui il soggetto pubblico riceve un finanziamento 
dal soggetto privato, che si limita ad elargirlo, conservando la governance 
sul bene culturale in relazione ai vari aspetti di tutela, valorizzazione 
e gestione. Pare infatti opportuno sottolineare, senza per� addentrarsi troppo 
nel merito della questione, come forme diverse e pi� estese di partecipazione 
dei soggetti privati alla funzione di gestione del bene culturale abbiano da 
sempre incontrato una certa resistenza all�interno del nostro ordinamento, vista 
la prevalente attenzione alla tutela, alla conservazione e alla fruizione del bene 
culturale in stretta conformit� all'interesse pubblico, da considerarsi pertanto 
bene pubblico indissolubilmente legato al soggetto pubblico e insuscettibile 
di essere trasferito ad un privato che possa esercitarvi una qualunque attivit�, 
malgrado l�applicabilit� del principio di sussidiariet�, gi� prima richiamato. 

Questo tradizionale modello di divisione dei ruoli tra soggetto pubblico 
e soggetto privato pare, per�, oggi in discussione proprio alla luce delle evidenti 
difficolt� incontrate dalle pubbliche amministrazioni nell�effettivo eser



cizio di tutela e conservazione del patrimonio culturale nazionale, sempre pi� 
trascurato, quando non degradato e, certo, non valorizzato, anche a causa degli 
stringenti vincoli di bilancio. A tal proposito pare infatti opportuno porre in 
evidenza come in altri ambiti dell�ordinamento, e si pensi in particolare al settore 
dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, si siano di fatto sviluppate 
nuove soluzioni contrattuali in relazione alle possibilit� offerte dal 
partenariato pubblico privato, modelli che varrebbe di certo la pena prendere 
in considerazione anche per intervenire opportunamente nel settore dei beni 
culturali, chiaramente operando le necessarie modifiche in considerazione 
della peculiare natura di questi beni. 

Ad ogni modo, al momento, anche per effetto del processo di legittimazione 
che il contratto di sponsorizzazione ha sperimentato sia in dottrina e che 
in giurisprudenza, tra i contratti atipici onerosi a prestazioni corrispettive, e 
nondimeno per gli intervenuti atti legislativi che ne hanno disciplinato forme 
e contenuti, e a livello generale (artt. 43 della l. 449/1997, 119 del d.lgs. 
267/2000 e 26 del d.lgs. 163/2006), e a livello speciale (art. 120 del Codice 
dei beni culturali), la sponsorizzazione pare oggi uno degli strumenti senz�altro 
pi� efficaci e appropriati perch� pubbliche amministrazioni e privati possano 
collaborare produttivamente come partner per la tutela e la valorizzazione del 
patrimonio storico-artistico. 

3. Dal contratto di sponsorizzazione come contratto pubblico al contratto di 
sponsorizzazione nel Codice dei Beni Culturali. 

Da un punto di vista strettamente privatistico, il contratto di sponsorizzazione 
istituisce un rapporto contrattuale atipico e consensuale, a titolo oneroso 
e sinallagmatico, per cui un soggetto, anche detto sponsee, acconsente a prestare 
la propria immagine e/o il proprio nome, per promuovere il marchio, il 
nome, l�immagine, l�attivit� o i prodotti di un altro soggetto, anche detto sponsor. 
Tali caratteristiche differenziano la sponsorizzazione da altri tipi di soluzioni 
economiche a favore di terzi: in primo luogo dal mecenatismo, che si 
basa su dazioni di denaro a titolo gratuito, senza dunque la previsione di obblighi 
a carico del beneficiario; ma anche dal contratto pubblicitario, poich� 
la sponsorizzazione genera una forma di pubblicit� solo indiretta in favore 
dello sponsor, ovvero il ritorno pubblicitario di per s� non costituisce il contenuto 
del contratto ma si configura piuttosto come un effetto dello stretto legame 
che viene ad instaurarsi, col contratto stesso, tra l'immagine o comunque 
i segni distintivi dello sponsor e l�oggetto cui lo sponsor ha scelto di destinare 
le proprie risorse, confidando nella capacit� dell�oggetto di promuovere la propria 
immagine presso un certo pubblico. 

Prima di andare ad indagare il peso specifico dell�art. 120 del Codice dei 
beni culturali in termini di effettivi benefici apportabili alla tutela e alla valorizzazione 
del patrimonio storico e artistico nazionale, pare opportuno, quan



tomeno a grandi linee, puntualizzare le norme fissate dal legislatore per la partecipazione 
della Pubblica Amministrazione a un contratto di sponsorizzazione. 
In passato la legittimit� stessa della partecipazione della P.A. a un simile 
rapporto contrattuale era stata pi� volte messa in discussione, dunque solo a 
partire dalla fine degli anni Novanta il legislatore ha deciso di intervenire per 
eliminare ogni dubbio a riguardo, cominciando gradualmente a riconoscere 
questa possibilit� al soggetto pubblico: in un primo momento ai soli enti statali 
e a patto che si trattasse di sponsorizzazioni passive c.d. �pure�, in cui la controprestazione 
dello sponsor � rappresentata da dazioni in denaro ex art. 43 l. 
449/1997, e solo in seguito anche agli enti locali, ex art. 119 d.lgs. 267/2000. 

Queste disposizioni, per�, nulla di fatto dicevano circa le procedure applicabili 
in caso di contraente pubblico, una lacuna colmata solo successivamente 
dall�art. 26 del d.lgs.163/2006, che ha previsto, accanto alle 
sponsorizzazioni passive pure, l�introduzione di sponsorizzazioni passive c.d. 
�tecniche�, da realizzarsi attraverso lavori, prestazioni di servizi o forniture 
di beni da parte degli sponsor alle PA. Per cui oggi, semplificando, le prestazioni 
dello sponsor possono consistere non solo nella dazione di somme di 
denaro ma anche in prestazioni di dare e fare. La disposizione ha inoltre esteso 
la possibilit� di concludere contratti di sponsorizzazione in qualit� di sponsee, 
oltre che alle c.d. amministrazioni aggiudicatrici ex art. 3, c. 25, del Codice 
dei contratti, anche a qualsiasi altro ente aggiudicatore ai sensi dell�art. 3, c. 

29. Quanto allo sponsor, invece, l�articolo, limitandosi a indicare che si debba 
trattare di soggetti che �non siano un�amministrazione aggiudicatrice o altro 
ente aggiudicatore�, ha di fatto potenzialmente legittimato anche enti privati 
senza scopo di lucro a rivestire tale ruolo, ad esclusione chiaramente di eventuali 
�organismi di diritto pubblico�. Infine dalla disposizione che chiude la 
norma � possibile anche evincere quali siano i compiti effettivi che le parti 
contrattuali possono assumere nell�esecuzione del contratto. In particolare, 
l�art. 26, c. 2, riprendendo quanto dettato dall�art. 2, c. 2, del d.lgs. 30/2004, 
per le sponsorizzazioni aventi ad oggetto il restauro di beni culturali, ha previsto 
che in tutti i casi di sponsorizzazioni tecniche in cui sia coinvolta la P.A, 
lo sponsor possa sia realizzare la progettazione dell�opera sia dirigerne l�esecuzione, 
pur restando in capo alla pubblica amministrazione, in qualit� di sponsee, 
il potere di controllo sull�operato del privato. 

Tale norma ha quindi gettato le basi per una disciplina generale e completa 
delle sponsorizzazioni, fino ad allora regolate solo da disposizioni frammentarie, 
individuando con sufficiente puntualit� sia le procedure a cui i 
contratti di sponsorizzazione e i contratti ad essi assimilabili sono assoggettati, 
sia i possibili contenuti di queste fattispecie. Inoltre, val la pena porre in evidenza 
come inserire l�art. 26 proprio nel Titolo II, Parte I, del Codice dei contratti, 
avente ad oggetto �i contratti esclusi in tutto o in parte dall�ambito di 
applicazione del Codice� abbia significato in sostanza anche slegare la spon



sorizzazione dai rigidi iter ad evidenza pubblica tradizionalmente previsti per 
i contratti stipulati dalla P.A., bench�, a ben vedere, si sia trattato di un�esclusione 
solo parziale, dovendosi comunque applicare a questi contratti i criteri 
comunitari dell�economicit�, dell�efficacia, dell�imparzialit� e della parit� di 
trattamento per la scelta dello sponsor, come precisato dal seguente art. 27. E 
proprio con l�intento di perseguire i succitati principi, il legislatore nazionale 
ha scelto di disporre una procedura semplificata ad evidenza pubblica, in un 
certo senso �depotenziata�, secondo la quale la P.A. deve necessariamente far 
precedere l�affidamento da un invito ad almeno cinque concorrenti, compatibilmente 
con l�oggetto del contratto, a prescindere dal valore monetario del 
contratto concluso. Se dunque i contratti di sponsorizzazione tecnica sono stati 
compiutamente disciplinati dall�art. 26 del Codice degli appalti, le sponsorizzazioni 
pure restavano, in teoria, ancora regolate dalla precedente normativa 
(2), per quanto farraginosa, se non incompleta, il che avrebbe reso difficile 
comprendere se per la scelta del contraente dovessero essere applicate le norme 
previste dall�art. 3, R.D. n. 2440/ 1923, oppure quelle del Codice dei contratti, 
che in realt� si riferiscono alla sola disciplina dei contratti di sponsorizzazione 
passiva tecnica. La questione � rimasta peraltro a lungo aperta, sebbene fosse 
di certo pi� sensato ritenere possibile l�applicazione degli artt. 26 e 27 del Codice 
anche alle sponsorizzazioni pure, se non altro perch� diversamente le 
sponsorizzazioni pure sarebbero risultate ingiustificatamente pi� gravose delle 
sponsorizzazioni tecniche. 

Il quadro legislativo generale di riferimento non appena tratteggiato consente 
una pi� consapevole analisi della normativa speciale di dettaglio contemplata 
dal d.lgs. 42/2004 per i soli contratti di sponsorizzazione nell�ambito 
dei beni culturali. La decisione di regolare tale fattispecie con il d.lgs. 42/2004 
si radica nella progressiva presa di coscienza da parte del legislatore delle opportunit� 
derivanti da un coinvolgimento dei privati a sostegno delle amministrazioni 
pubbliche per perseguire la tutela e la valorizzazione del patrimonio 
culturale, storico e artistico del paese. Il fatto che il settore dei beni culturali, 
incrociando una pluralit� di interessi, necessiti della collaborazione di una 
molteplicit� di soggetti per essere efficientemente gestito ed esperito, pare 
oggi del tutto assodato, anche in relazione al principio di sussidiariet� orizzontale 
e ai gi� menzionati ostacoli organizzativi e finanziari che gli enti pubblici, 
proprietari e gestori del patrimonio culturale, si trovano oggi a 
fronteggiare. Un�analisi dell�istituto della sponsorizzazione, di cui al Titolo 
II, capo II, del Codice dedicato ai �Principi della valorizzazione dei beni culturali�, 
dunque, non pu� prescindere dal prendere preliminarmente atto di 
queste constatazioni. 

(2) Considerando che con l�entrata in vigore del Codice degli appalti non sono stati abrogati n� 
l�art. 43 del d.lgs. 449/1997, n� l�art. 119 del d.lgs. 267/2000. 


Non diversamente da quanto gi� previsto dalla normativa generale del 
Codice dei contratti, l�art. 120, come modificato dal d.lgs. 62/2008, pone immediatamente 
in evidenza la natura sinallagmatica della sponsorizzazione definendola, 
al comma 1, come �ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato 
per la progettazione o l�attuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero 
alla valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il 
nome, il marchio, l�immagine, l�attivit� o il prodotto dell�attivit� del soggetto 
erogante�. In particolare il successivo comma precisa poi che il corrispettivo 
a favore dello sponsor debba tradursi nel diritto a legare il proprio nome, marchio, 
immagine, attivit� o prodotti al relativo progetto di valorizzazione o tutela 
del patrimonio culturale sponsorizzato, posto chiaramente che la cosa sia 
pienamente compatibile �con il carattere artistico o storico, l�aspetto e il decoro 
del bene culturale da tutelare o valorizzare�. E proprio al fine di garantire 
che l�esecuzione del contratto avvenga correttamente, lo stesso articolo dispone 
specifiche forme di controllo: stabilendo che il Ministero debba farsi 
garante delle operazioni di controllo nella fase antecedente alla stipula del contratto 
verificando �la compatibilit� di dette iniziative con le esigenze della tutela�; 
specificando che nel contratto debbano essere accuratamente regolate 
le modalit� di erogazione del contributo dello sponsor; introducendo l�obbligo 
di disporre anche accessorie �forme di controllo, da parte del soggetto erogante, 
sulla realizzazione dell�iniziativa cui il contributo si riferisce�. La disposizione 
poi conferma, al pari del Codice dei contratti pubblici, la legittimit� 
delle sponsorizzazioni tecniche anche in ambito culturale, e parimenti identifica 
il possibile contributo dello sponsor in prestazioni di fare e di dare in relazione 
alla tutela o alla valorizzazione del patrimonio culturale, ritenendo 
quindi le sponsorizzazioni pure non espressamente disciplinate dal d.lgs. 
163/2006. L�operativit� della norma, dapprima circoscritta alle sole iniziative 
del Ministero, � stata poi estesa anche a quelle �delle regioni, degli altri enti 
pubblici territoriali nonch� di altri soggetti pubblici o di persone giuridiche 
private senza fine di lucro� e alle �iniziative di soggetti privati su beni culturali 
di loro propriet��. 

Differentemente da quanto avviene nel Codice dei Contratti, nel Codice 
dei beni culturali e del paesaggio viene espressamente prevista la possibilit� 
di rivestire il ruolo di sponsor anche per i soggetti pubblici. L�art. 120, dunque, 
rappresenterebbe una sorta di eccezione ad un principio generale se si ritiene 
che l�omissione di ogni riferimento a questa facolt� per gli enti pubblici dal-
l�art. 43, l. 449/1997, dall�art. 119 d.lgs. 267/2000 e dall�art. 26 del Codice 
dei contratti si traduca implicitamente in un divieto alla conclusione di contratti 
di sponsorizzazione attiva per gli enti pubblici. A ben vedere - anche in base 
a quanto disposto dall�art. 6, c. 9, del d.l. 78/2010, che, vietando alle P.A. di 
stipulare contratti di sponsorizzazione attiva, con l�intento di porre dei limiti 
alla spesa pubblica, in realt� ammette, seppure in modo implicito, che questa 


possibilit� esista - giungere a una tale conclusione sembrerebbe se non altro 
semplicistico. Non poche difficolt� interpretative emergono anche in riferimento 
alle procedure previste per la stipulazione dei contratti di sponsorizzazione 
ai sensi dell�art. 120 del Codice dei beni culturali. Prima della sua 
abrogazione, l�art. 2 del d.lgs. 30/2004 escludeva �l�applicazione delle disposizioni 
nazionali e regionali in materia di appalti di lavori pubblici, ad eccezione 
di quelle sulla qualificazione dei progettisti e dei soggetti esecutori� per 
i contratti di sponsorizzazione stipulati nell�ambito dei beni culturali. Successivamente, 
con l�entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici, alle sponsorizzazioni 
operate ai sensi dell�art. 120 del Codice dei beni culturali si sono 
poi applicate le gi� richiamate disposizioni degli artt. 26 e 27, che, si tiene a 
ribadirlo, dispongono una procedura semplificata ma comunque rispondente 
ai principi comunitari di cui sopra. Tuttavia, in seguito ai tristi eventi di deterioramento 
e danneggiamento che hanno interessato Pompei mostrando al 
mondo lo stato di indicibile declino dell�inestimabile sito archeologico, il legislatore 
ha recentemente introdotto un�eccezionale deroga alla regola generale, 
con l�emanazione dell�art. 2, c. 7, del d.l. 34/2011, convertito poi nella l. 
75/2011, semplificando oltremodo la procedura per la scelta del contraente, 
proprio con l�intento di incentivare ulteriormente gli sponsor privati a partecipare. 
La nuova procedura prevede che gli obblighi comunitari di economicit�, 
trasparenza, pubblicit� e proporzionalit� possano essere assolti attraverso 
la sola pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale - ed eventualmente 
anche in quella dell�Unione Europea, e in almeno due quotidiani a tiratura nazionale, 
per un minimo di trenta giorni - che contenga l�elenco degli interventi 
con relativa indicazione dell�importo massimo stimato previsto per ciascuno. 
Nel caso in cui siano presenti pi� proposte di sponsorizzazione, alla Soprintendenza 
� affidato il compito di assegnare a ciascun candidato uno specifico 
intervento, definendo le modalit� di promozione dello sponsor ai sensi dell�art. 
120 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Mentre, nel caso in cui il 
numero di candidature si riveli insufficiente, al Soprintendente viene riconosciuta 
la possibilit� di coinvolgere altri sponsor anche in trattativa privata, pur 
di garantire la conclusione della sponsorizzazione. 

Chiariti i profili giuridici e procedurali delle sponsorizzazioni, � dunque 
gi� possibile cominciare a domandarsi quali siano di fatto i benefici che questi 
strumenti possono offrire, in particolare al contraente privato. Se infatti le ragioni 
pubbliche a favore della stipulazione di simili contratti paiono di facile 
individuazione, costituendo le sponsorizzazioni, da un punto di vista se non 
altro operativo, strumenti efficaci per incanalare risorse nella tutela e nella valorizzazione 
del patrimonio culturale, meno evidenti paiono i motivi che guidano 
invece i privati in tal senso. La strategia d�attrazione delle risorse private 
verso il settore dei beni culturali dell�ordinamento italiano ha sempre principalmente 
fatto perno su agevolazioni fiscali a beneficio del privato che le elar



gisce, prevedendo in particolare per la stipula di un contratto di sponsorizzazione 
sgravi �sia per lo sponsor, sia per lo sponsee [�] con riferimento sia 
alle imposte sul reddito, sia all�imposta sul valore aggiunto�. 

In realt� per�, tenendo conto del limitato numero di interventi finora realizzati 
per mezzo di questi strumenti, pare piuttosto evidente che n� le agevolazioni 
fiscali connesse alla conclusione del contratto n� le varie forme di 
promozione a favore dello sponsor siano state in grado di svolgere adeguatamente 
il ruolo di incentivi per attirare significativi capitali nel settore. La bassa 
percentuale di successo finora registrata dalle sponsorizzazioni sembrerebbe 
suggerire che sia forse giunto il momento, anche in ragione della carenza ormai 
cronica di fondi pubblici da destinare al settore, perch� il legislatore intervenga 
per individuare e normare nuove forme di agevolazioni e incentivi, introducendo, 
per esempio, vantaggi legati alla possibilit� di entrate dirette, e, per lo 
meno in certi casi, di gestione del bene sponsorizzato, chiaramente prefissando 
nel contratto le relative modalit� nel dettaglio. L�eventuale introduzione di simili 
misure presenterebbe inoltre l�indubbio vantaggio di coinvolgere in questo 
tipo di iniziative anche tutti i soggetti medio-piccoli che di fatto oggi 
risultano estranei alle opportunit� delle vigenti disposizioni, pur caratterizzando 
per numerosit� il panorama imprenditoriale del paese. 

4. Il caso Colosseo. 

Le considerazioni svolte finora ben possono essere lette alla luce del 
tanto discusso caso Colosseo. Il restauro del celebre Anfiteatro, infatti, si pu� 
dire che abbia fatto scuola in tema di sponsorizzazioni, nel bene e nel male, 
soprattutto se si pensa che il progetto di finanziamento dei lavori da parte 
della Tod�s S.p.A. abbia addirittura spinto il Ministero dei beni culturali a 
emanare nuove norme per meglio dettagliare il rapporto tra sponsor e sponsee, 
dalle modalit� di finanziamento alla possibilit� di sfruttamento del logo 
fino all�utilizzo dei ponteggi a scopo pubblicitario. Il decreto ministeriale approntato 
da una commissione del Mibac e approvato il 19 dicembre 2012 � 
proprio intervenuto a integrare la materia delle sponsorizzazioni dei beni culturali 
con norme tecniche e linee guida applicative per inquadrare pi� puntualmente 
indirizzi e indicazioni operative e per risolvere i punti problematici 
della normativa cui si � fatto cenno, tratteggiando le disposizioni di riferimento 
di cui sopra. 

Il quadro normativo risulta pertanto oggi pi� chiaro, anche per effetto 
della conseguente introduzione dell�art. 199 bis, disciplina delle procedure 
per la selezione di sponsor, nel Codice dei Contratti Pubblici, con l�entrata in 
vigore del d.l. 5/2012, noto anche come decreto semplifica-Italia, recante disposizioni 
urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo. Il provvedimento 
ha in sostanza dato il via libera alle P.A. sia per le sponsorizzazioni 
pure che per quelle tecniche, ribadendo la differenza tra i due istituti: nel primo 


caso lo sponsor si limita ad erogare il finanziamento mentre le prestazioni restano 
in capo alla sovrintendenza responsabile, come per il Colosseo, mentre 
nel secondo caso le prestazioni vengono operate direttamente dallo sponsor e 
il finanziamento viene erogato ad una ditta incaricata sulla base dei progetti 
approvati dalla sovrintendenza responsabile. Il regolamento ha poi introdotto 
la formulazione di convenzioni quadro tese ad indicare con esattezza i termini 
delle modalit� di promozione dello sponsor, senza chiaramente escludere la 
possibilit� di dazioni liberali, e approntando inoltre diversi allegati per fornire 
esempi pratici e schemi base operativi, dai quali partire per poi operare opportuni 
adattamenti a seconda delle specifiche esigenze di ciascun caso concreto, 
mirando ad agevolare i compiti delle parti del contratto. 

Detto ci�, val la pena ricostruire le complesse vicende relative al contratto 
di sponsorizzazione del Colosseo a partire dal principio. 

Nel maggio 2010 il Ministero per i Beni e le Attivit� Culturali e il Comune 
di Roma scelgono di ricorrere alla sponsorizzazione per rendere possibile la 
realizzazione di un �Piano degli interventi� relativo al progetto di restauro del 
celebre anfiteatro, in attesa di lavori da ben 74 anni. Il Piano degli Interventi, 
dal valore complessivo stimato di 25 milioni di euro, prevede in particolare: 
�1. la sostituzione dell'attuale sistema di chiusura delle arcate perimetrali 
(fornici) con cancellate; 2. il restauro dei prospetti settentrionale e meridionale; 
3. il restauro degli ambulacri; 4. il restauro dei sotterranei (ipogei); 5. 
la messa a norma e l'implementazione degli impianti; 6. la realizzazione di 
un centro servizi che consenta di portare in esterno le attivit� di supporto alla 
visita che sono attualmente nel monumento (accoglienza, biglietteria, bookshop, 
servizi igienici)�. 

Il 4 agosto 2010 si d� dunque avvio alla procedura di sponsorizzazione 
con la pubblicazione di un bando, a termine 30 ottobre 2010 per la presentazione 
delle proposte, per la ricerca di un soggetto che faccia da sponsor per il 
finanziamento e la realizzazione dei lavori previsti dal piano di interventi. Si 
tratta per la verit� di un avviso dal contenuto piuttosto innovativo poich� non 
solo distribuisce il piano di lavori in distinti ambiti di intervento cos� da proporre 
una pi� ampia gamma di scelta ai potenziali soggetti interessati, prevedendo 
quindi la possibilit� di una pluralit� di sponsor, ma richiede anche che 
sia lo stesso sponsor a occuparsi dei lavori nell�ottica di sveltire le operazioni 
di cantiere, riconoscendo inoltre al soggetto finanziatore un ritorno, per cos� 
dire, �pubblicitario� sulla base di un piano di comunicazione composito, con 
possibilit� di affissione pubblicitaria limitata alle recinzioni del cantiere. Il 
bando suscita non poco interesse considerando che ben 19 soggetti fanno richiesta 
per accedere ai documenti ma al termine nessuna delle offerte presentate 
risulta conforme ai requisiti richiesti. A questo punto, la Pubblica 
Amministrazione ha almeno quattro opzioni a disposizione: 1) sospendere la 
procedura nell�ottica di riproporla in una fase di ripresa del mercato; 2) pro



rogare il termine per la presentazione delle offerte; 3) modificare le condizioni 
dell�avviso pubblico; 4) avviare una trattativa privata, essendo stato gi� assolto 
l�onere pre-concorrenziale e di trasparenza. La P.A. decide di optare per l�ultima 
soluzione e procedendo a una fase di trattativa privata, conclusasi con la 
convenzione stipulata a Roma il 21 gennaio 2011 tra la Tod�s S.p.A. di Diego 
Della Valle, in qualit� di sponsor, lo Stato, in persona di Roberto Checchi, 
Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti nelle aree 
archeologiche di Roma e Ostia Antica, in qualit� di sponsee, e la Soprintendenza 
speciale per i Beni archeologici di Roma, la cui presenza tra le parti 
contrattuali si giustifica in relazione ai compiti di controllo previsti ai sensi 
dall�art. 120 del Codice dei beni culturali. 

Dalle premesse del contratto � immediatamente possibile individuare il 
ricorso alla procedura �semplificata� per la scelta del contraente di cui agli 
artt. 26 e 27 dal Codice dei contratti, mediante la pubblicazione di un avviso 
pubblico, secondo le modalit� normativamente previste. L�art. 1 specifica poi 
l�oggetto della sponsorizzazione, ovvero il progetto di restauro del Colosseo, 
inquadrando il contratto tra le sponsorizzazioni passive pure, laddove precisa 
che la prestazione dello sponsor consti esclusivamente di un contributo in denaro. 
Concetto ribadito anche nel successivo art. 2 della convenzione ove, tra 
gli impegni a carico dello sponsor, si esplicita che l�obbligazione assunta dal 
soggetto privato ha ad oggetto la sola messa a disposizione di un importo omnicomprensivo 
pari a 25 milioni di euro per la realizzazione del piano degli 
interventi, �da erogarsi alle imprese appaltatrici dei lavori sulla base degli 
stati di avanzamento lavori preventivamente approvati dallo sponsee, secondo 
la tempistica definita nel capitolato speciale di ciascun intervento�. Nel caso 
di specie viene inoltre riconosciuto allo sponsor il diritto ad ottenere �informazioni 
sullo svolgimento delle varie fasi di restauro incluse le fasi di collaudo� 
e ad �accedere al cantiere secondo modalit� da concordare con la 
Direzione dei Lavori�, direttamente o attraverso incaricati esterni. I successivi 
artt. 4, 5 e 6 confermano la natura sinallagmatica del contratto, precisando viceversa 
l�oggetto della controprestazione a carico del soggetto promotore e 
della Soprintendenza, individuabile nella clausola di esclusiva volta a garantire 
alla Tod�s S.p.A. che nessun altro soggetto potr� rivestire il ruolo di sponsor, 
per l�intera durata del contratto. In particolare lo sponsee si impegna a non stipulare 
ulteriori contratti di sponsorizzazione con soggetti terzi per gli interventi 
di restauro del Colosseo e a non concedere ad altri �l�uso, a qualsiasi titolo, 
di marchi, nomi, immagini o altri segni distintivi relativi al Colosseo con riferimento 
ai lavori di restauro del Colosseo di cui al Piano degli Interventi� 
n� �il diritto di associare a fini promo-pubblicitari la propria immagine e/o i 
propri segni distintivi al Colosseo e/o ai lavori di restauro del Colosseo di cui 
al Piano degli interventi�, tantomeno �diritti in grado di ledere gli interessi 
dello sponsor perseguiti con il presente accordo�. In sostanza dunque si di



spone da un lato l�esclusivit� del progetto sponsorizzato con correlati diritti 
in tal senso e dall�altro si puntualizzano l�oggetto e l�entit� della controprestazione, 
legati alla realizzazione, in via diretta o indiretta, del piano di comunicazione, 
anche attraverso la costituzione di un�associazione ad hoc. E difatti 
il contratto attribuisce specifici diritti in esclusiva sia alla Tod�s S.p.A. che alla 
costituenda associazione senza fini di lucro �Amici del Colosseo�, istituita 
proprio in relazione al progetto. La registrazione del contratto viene prevista 
per il 20 giugno 2011, data dalla quale il rapporto contrattuale sarebbe dovuto 
dunque risultare pienamente operativo. Cos� non � stato e di fatti il progetto 
di restauro dell�Anfiteatro Flavio � entrato nella fase esecutiva solo nell�ottobre 
2013. Nel mezzo numerosi ricorsi e sentenze, trattative e polemiche tra 
Comune, Tar Lazio, Codacons, Della Valle, e chi pi� ne ha pi� ne metta. Cosa 
� in effetti accaduto? 

Il primo intoppo pu� essere fatto risalire gi� al 18 marzo 2011, quando 
l�UIL Beni Culturali inoltra un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica 
di Roma e alla Procura della Corte dei Conti contro le modalit� dell'aggiudicazione 
dei lavori di restauro del Colosseo, ritirandolo circa un anno dopo a 
causa dell�aggressione mediatica subita per averlo proposto. 

Successivamente, il 3 novembre 2011, il Codacons presenta al TAR 
Lazio un ricorso per l�annullamento, previa sospensione, del contratto. Posto 
che l�iniziale avviso pubblico prevedeva la sponsorizzazione per il solo periodo 
del restauro, precisando in particolare all�art. 7 che �la disponibilit� 
dei diritti d�uso � stabilita per la durata dei lavori prevista dal �Piano degli 
Interventi�, decorrente dalla data di effettiva consegna dei cantieri, e non 
pu� essere protratta oltre, anche in presenza di eventuali proroghe dei termini 
di esecuzione degli interventi motivatamente concesse dalla Soprintendenza 
vigilante�, col sostanziale corollario per cui il vincitore poteva beneficiare 
del monumento in esclusiva per sponsorizzare il proprio marchio solo per la 
durata dei lavori pi� ulteriori due anni successivi, nella convenzione firmata 
il 21 gennaio la durata della possibilit� di sfruttamento del marchio viene invece 
prolungata di 15 anni oltre il termine dei lavori. Dunque il Codacons si 
chiede: �come fece il termine perentorio sui diritti d�uso a passare dai due 
anni oltre il termine dei lavori ai due anni oltre la fine dei lavori pi� ulteriori 
15 attuali? Chi � intervenuto tra il 30 dicembre 2010 e il 21 gennaio 2011 ad 
inserire nel contratto di sponsorizzazione l�associazione Amici del Colosseo 
facendo lievitare gli anni di uso esclusivo dei diritti sul monumento ed enormemente 
il valore del contratto? Non solo, con le note n. 268 e 269 del 
10.01.2011 la P.A. ribadiva ai concorrenti RYANAIR e FIMIT i limiti fissati 
dall�art. 7 del bando. Come mai a Ryanair e Fimit non fu detto che la durata 
dell�esclusiva poteva essere di oltre 15 anni dopo il termine dei lavori? 
L�estensione temporale dei diritti, infatti, molto probabilmente avrebbe spinto 
le societ� a una lotta serrata per accaparrarsi i lavori di restauro del Colos



seo � (3). In sostanza oggetto principale della contestazione � il cambiamento 
delle condizioni contrattuali dal bando pubblico all�assegnazione, che, operato 
in trattativa privata, avrebbe favorito il gruppo Tod�s, aggiungendo al 
contratto un surplus che, se presente nei termini iniziali della procedura pubblica, 
avrebbe senz�altro attirato molte altre aziende concorrenti, il che ha 
fatto sospettare che dietro queste modifiche si nascondessero altri illeciti. 

Mentre il TAR Lazio � chiamato a pronunciarsi nel merito, il 20 dicembre 
2011 anche l�AGCM interviene con una nota sul caso, formulando una serie 
di osservazioni critiche sulla procedura adottata per la stipula del contratto, e 
contestualmente inoltrando, il 27 dicembre 2011, all�Autorit� di vigilanza sui 
contratti pubblici una nota, per eventuali profili di competenza sulla delibera 
del 14 dicembre 2011 inerente la procedura di affidamento, unitamente alla 
segnalazione inviata dal Codacons. A questo punto il patron del gruppo Tod�s 
Diego Della Valle, chiaramente preoccupato per la piega tortuosa che sta prendendo 
la vicenda, manifesta l�intenzione di voler recedere dal contratto. L�allora 
Ministro per i Beni e le Attivit� Culturali, Prof. Lorenzo Ornaghi, si 
affretta dunque ad incontrarlo per accertarsi che la sponsorizzazione si realizzi, 
rendendo poi noto in un comunicato stampa del 12 gennaio 2012 di aver rivolto 
nell�occasione allo sponsor �un convinto invito ad attendere prima dimaturare una decisione definitiva. � infatti convinzione del Ministro che il 
buon esito della trattativa, la quale vede per la prima volta affiancati pubblico 
e privato in una cos� importante operazione di tutela e valorizzazione di un 
bene culturale straordinario quale � il Colosseo, sia significativo e paradigmatico 
in una fase in cui il Paese intende rilanciare fattori e motivazioni del 
proprio sviluppo�. 

Con la delibera n. 9 dell�8 febbraio 2012, l�Autorit� per la vigilanza sui 
contratti pubblici si esprime col primo via libera a favore dell�intervento puntualizzando 
che �i contratti di sponsorizzazione di puro finanziamento, in 
quanto contratti attivi, sono sottratti alla disciplina del D. Lgs. n. 163/2006 e 
sottoposti alle norme di contabilit� di Stato, le quali richiedono l�esperimento 
di procedure trasparenti�, ma soprattutto che �la mutata volont� della stazione 
appaltante di concludere un contratto di sponsorizzazione di puro finanziamento 
in luogo del contratto di sponsorizzazione tecnica ex art. 26 del 
Codice, nei termini indicati, giustifica il ricorso ad una procedura negoziata 
con gli operatori interessati alla precedente procedura ad evidenza pubblica 
e non appare in contrasto con i principi di legalit�, buon andamento e trasparenza 
dell�azione amministrativa�. Il 24 febbraio 2012 l�AGCM dichiara 
dunque di ritenere superata ogni riserva sul caso precedentemente espresse. Il 
3 luglio 2012 giunge anche la pronuncia favorevole del TAR Lazio che re


(3) Codacons, note n. 268 e n. 269 del 10.01.2011. 


spinge il ricorso del Codacons ritenendolo inammissibile in relazione al fatto 
che il Codacons non risulta legittimato a contestare il contratto poich� �la legittimazione 
sussiste solo ove i provvedimenti che si impugnano abbiano effettivamente 
leso un interesse collettivo dei consumatori e degli utenti, la cui 
tutela viene assunta dalla relativa associazione�. Il Codacons non ci sta e subito 
dopo presenta appello davanti al Consiglio di Stato. Esattamente un anno 
dopo, con la sentenza n. 4034 del 31 luglio 2013, la VI sezione del Consiglio 
di Stato conferma l�inammissibilit� del ricorso, ribadendo che �la qualit� di 
associazione di protezione ambientale non legittimava il Codacons al ricorso 
proposto� e sblocca di fatto l�avvio dei lavori. Dunque dopo quasi trentaquattro 
mesi, lo scorso ottobre si � dato il via alla fase del montaggio delle impalcature 
per coprire la superficie del monumento pi� visitato d'Italia fino in cima 
alle arcate interessate dai lavori: restauratori e tecnici hanno avuto il via libera 
per salire sui ponteggi e mettersi all�opera per le verifiche necessarie prima di 
procedere con l'attivit� di pulitura necessaria per rimuovere depositi di smog 
e polveri dalla facciata. Al di sotto del cartello di cantiere coi relativi dati sulla 

"sponsorizzazione per il finanziamento del piano di interventi da realizzarsi 
nell'Anfiteatro Flavio�, � possibile scorgere, in uguale proporzione, i loghi del 
Ministero dei Beni Culturali e di Tod's. 

Il piano di restauro � scaglionato in tre fasi. La prima fase, per cui la gara 
d�appalto � stata gi� aggiudicata in fase provvisoria, interesser� i prospetti settentrionale 
e meridionale, gli ambulacri e i cancelli sulle arcate perimetrali e 
dovrebbe partire a dicembre 2013 e concludersi nel 2015. La seconda fase, 
per cui la gara d�appalto non � stata ancora indetta, riguarda la progettazione 
e la realizzazione di un centro servizi con biglietteria e bookshop annessi e 
dovrebbe durare 18 mesi. La terza fase, la cui durata � stimata tra i 18 e i 24 
mesi, riguarda invece l�ammodernamento degli interni e degli impianti. Le tre 
fasi dovrebbero complessivamente concludersi entro il 2 marzo 2016, nell�arco 
di circa 915 giorni, e durante l�intero periodo il Colosseo rester� comunque 
sempre aperto. Purtroppo, � molto probabile che i lavori incontrino nuovi ostacoli 
e rallentamenti sia in relazione alla volont� del Codacons di presentare 
un ulteriore ricorso alla Corte di Cassazione, sia in relazione al ricorso promosso 
dalla ditta Lucci, seconda classificata dietro la societ� Gherardi nella 
gara d�appalto gi� aggiudicata. Col che, di fatto, i probabili esiti conclusivi 
delle vicende riguardo questa iniziativa di sponsorizzazione restano ahim� ancora 
imprevedibili. 

Se dunque oggi le norme non mancano, giacch� il quadro normativo pare 
ormai ben definito, l�ostacolo principale a questo genere di iniziative risiede 
piuttosto nel come si sceglie di applicarle e interpretarle perch� � chiaro che 
ogni cosa al microscopio pu� mostrare lacune e imperfezioni, ma questo non 
pu� far s� che imperfezioni e lacune blocchino del tutto il funzionamento di 
un certo sistema, soprattutto laddove si rischia di perdere preziose risorse, pi� 


che mai indispensabili, per vischiosit� burocratica e pressione mediatica. In 
un settore troppo a lungo trascurato come quello dei beni culturali, peraltro 
indubbio punto di forza del nostro paese, pare oggi quanto mai giusto e nel-
l�interesse generale agire piuttosto che procrastinare, per evitare le drammatiche 
conseguenze della stasi, e Pompei costituisce un esempio eclatante del 
problema, pur nell�assoluto rispetto dello spirito delle norme. 

5. Conclusioni. 

Il percorso argomentativo proposto ha voluto porre in evidenza come lo 
sforzo del legislatore per inquadrare e normare con certezza il contratto di 
sponsorizzazione, in particolare nelle ipotesi di coinvolgimento di una P.A., 
pur avendo eliminato le ambiguit� dell�incompleta e frammentaria disciplina 
del passato, non sembra aver comunque prodotto gli effetti sperati, poich� 
l�utilizzo dei contratti di sponsorizzazione nell�ambito dei beni culturali resta 
un fenomeno isolato e i pochi casi di applicazione, peraltro di grande rilievo, 
come la sottoscrizione della convenzione per la ristrutturazione del Colosseo 

o del Ponte di Rialto, incontrano notevoli difficolt� a procedere arenandosi tra 
i cavilli del mare magnum del contenzioso amministrativo. 

Gli ostacoli procedurali sommandosi ai limitati ritorni economici diretti 
e indiretti derivabili dal prendere parte a queste iniziative per i privati tutti, e 
in particolare per le imprese medio-piccole che rappresentano la quasi totalit� 
delle imprese italiane, certo non contribuiscono alla popolarit� e all�appetibilit� 
dello strumento. Soprattutto alla luce di un altro fattore chiave legato al modello 
�elitario� tradizionalmente associato alla fruizione dei beni culturali. Per 
quanto paradossale, � difatti evidente come in Italia manchi non solo la convinzione 
che le dovute cure al settore possano oggi essere realizzate solo stimolando 
la collaborazione tra soggetti pubblici e privati sulla base del 
principio di sussidiariet� orizzontale, ma anche la consapevolezza che la diffusione 
e la produzione di cultura, a tutti i livelli, siano la condizione igienica 
minima per qualsiasi forma di sviluppo a venire, sia di tipo sociale che economico. 
Manca in sostanza una visione del patrimonio culturale che assegni 
alla valorizzazione un ruolo preminente per generare ricadute positive in termini 
di marketing culturale attraverso interventi precisi e mirati. Coinvolgere 
i privati in questo senso deve ritenersi obiettivo programmatico essenziale per 
lo sviluppo del settore, a maggior ragione in assenza di risorse pubbliche da 
destinare allo scopo. 

L�istituto della sponsorizzazione pu� in effetti rivestire un ruolo di indubbio 
rilievo strategico in questa nuova visione d�insieme, data la capacit� insita 
di operare sinergicamente a cavallo tra interessi pubblici e privati quale efficace 
strumento per far fronte alla domanda di investimenti in cultura, soppiantando 
dunque i tradizionali meccanismi operativi legati al finanziamento di attivit� 
intraprese direttamente dal soggetto pubblico. A differenza delle erogazioni li



berali, che sono rimaste sempre contenute a causa di fattori quali l'insufficiente 
convenienza fiscale, il mancato ritorno di immagine per il donatore, la farraginosa 
burocrazia delle procedure e la concorrenza con donazioni in iniziative 
dal pi� alto valore etico percepito, le sponsorizzazioni sembrano possedere caratteristiche 
di partenza pi� appetibili consentendo agli sponsor di associare 
convenientemente la propria immagine a progetti con buona visibilit� e un utile 
ritorno commerciale, soprattutto laddove la P.A. implementi best pratices per 
indirizzare gli iter procedurali e forme di agevolazione fiscale per avvantaggiare 
lo sponsor. La sponsorizzazione infatti, se ben implementata, pu� apportare 
moltissime risorse, che una volta instillate in un settore tanto strategico 
per il nostro paese potrebbero addirittura fare da volano per la creazione di 
altre risorse ancora. In quest�ottica le P.A. devono cercare un giusto equilibrio 
flessibile tra l�opera di costruzione e aggiornamento continuo degli istituti normativi 
e la ricerca di modalit� e tecniche atte a dare forte impulso al fenomeno, 
tenendo conto del fatto che se le agevolazioni sono poche, i cavilli burocratici 
remano proprio in senso contrario. Chiaramente bisogna al contempo far s� che 
sussistano adeguati strumenti di trasparenza per garantire che si tratti di sponsorizzazioni 
vere e non di strumentalizzazioni affaristiche. 

Tuttavia per�, al di l� delle possibili implementazioni migliorative, pare 
doveroso sottolineare come, rispetto alla effettiva possibilit� di attrarre capitali 
privati, la natura stessa delle sponsorizzazioni presenti limiti non secondari, e 
in particolare: il fatto che l�effettivo ritorno commerciale per lo sponsor, peraltro 
di per s� conseguibile anche diversamente, possa avvenire solo indirettamente, 
a seconda dell�impatto del progetto; le spese destinate a promozione 
e pubblicit� tendono a essere fisse nel breve-medio periodo, quindi sono soggette 
a bruschi tagli in tempi di crisi. 

Se dunque le future prospettive in tema di valorizzazione e gestione dei 
beni culturali non possono che indirizzarsi verso un sistema di collaborazione 
e confronto tra tutti i soggetti sulla scacchiera e l�unico dato certo pare essere 
legato al fatto che l�apporto economico del settore privato ai beni culturali presenta 
indiscutibili potenzialit� di leva per rimettere in moto il sistema cultura 
dell�Italia, proprio a partire dal necessario processo di recupero e valorizzazione 
del patrimonio storico e artistico nazionale, occorrerebbe forse valutare operazioni 
che consentano ai privati di trarre benefici diretti dall'operazione, al fine 
di coinvolgerli fino in fondo nel settore a fronte degli investimenti sostenuti. 

La possibilit� di inserire all�interno dello strumentario delle operazioni 
possibili nell�ambito dei beni culturali soluzioni di partenariato pubblico privato, 
formulando nuovi modelli e nuovi compiti per i partner coinvolti in relazione 
alla peculiare natura del bene, meriterebbe quantomeno attente 
considerazioni. Certo, l'applicazione di simili soluzioni operative al settore 
porrebbe serie difficolt� in relazione alle previsioni costituzionalmente statuite 
per la tutela diretta da parte dello Stato, ma una soluzione potrebbe essere, ad 


esempio, quella di limitare la gestione privata alla sola attivit� di valorizzazione, 
chiaramente nell�ottica di dotare questi strumenti del giusto equilibrio 
tra efficienza economica ed equit� normativa. 

Bibliografia 

AINIS M., FIORILLO M., 2003, I beni culturali, in S. CASSESE (a cura di) Trattato di diritto amministrativo, 
Diritto amministrativo speciale, t. II, 2� ed., Milano. 
BARBATI C., CAMMELLI M., SCIULLO G., 2011, Diritto e gestione dei beni culturali, Il Mulino. 
BIANCA M., 1990, Il contratto di sponsorizzazione, Rimini, Maggioli. 
CAMMELLI M., 2007, Pubblico e privato nei beni culturali: condizioni di partenza e punti di arrivo, in 
�Aedon - Rivista di arti e diritto on line� n. 2, Bologna, Il Mulino. 
CAMMELLI M., 2010, La sponsorizzazione tra evidenza pubblica ed erogazione in �Aedon - Rivista di 
arti e diritto on line�, n. 1, Bologna, Il Mulino. 
CAMMELLI M., 2011, Pluralismo e cooperazione. In: Diritto e Gestione dei Beni culturali, a cura di 
CARLA BARBATI, MARCO CAMMELLI. 
GATTI S., 1990, Sponsorizzazione, in: Enc. Dir., XLIII. Milano: Giuffr�. 
GATTO C., 2011, Art. 26. In: Codice dell�appalto pubblico, a cura di STEFANO BACCARINI, GIUSEPPE 
CHIN�, ROBERTO PROIETTI. Milano: Giuffr�. 
CHIEPPA R., 2008, I contratti di sponsorizzazione, in Trattato sui contratti pubblici, M.A. SANDULLI DE 
NICTOLIS - R. GAROFOLI, Milano. 
DE GIORGI M.V., 1988, Sponsorizzazioni e mecenatismo, Padova, Cedam. 
MANFREDI GIUSEPPE, 2011, La valorizzazione come assetto necessario dei beni culturali. In: Atti del 
workshop �Le ragioni di una rivista�, Fermo 6-7 maggio 2011. �Il capitale culturale�, (2011), n. 3, c.s. 
MARCHETTI F., in collaborazione tra Ceradi, Fondazione Bruno Visentini e Associazione Civita, L'intervento 
privato nel settore dei beni culturali - Aspetti fiscali e amministrativi, pubblicata sul sito della 
Fondazione Bruno Visentini e sulla rivista on line Archivio Ceradi della Luiss. 
MASTRAGOSTINO F., 2010, Sponsorizzazioni e pubbliche amministrazioni: caratteri generali e fattori di 
specialit�. �Aedon - Rivista di arti e diritto on line�, n. 1. Bologna: Il Mulino. 
MASTRAGOSTINO F., 2009, Il contratto di sponsorizzazione. �Aedon - Rivista di arti e diritto on line�, n. 


2. Bologna: Il Mulino. 
PELLIZZARI S., 2010, Il ruolo dei privati e la tutela del patrimonio culturale nell�ordinamento giuridico 
inglese: un modello da esportare? �Aedon - Rivista di arti e diritto on line�, (2010), n. 1. Bologna: Il 
Mulino. 
PIPERATA G., 2005, Sponsorizzazione ed interventi di restauro sui beni culturali. �Aedon - Rivista di arti 
e diritto on line�, (2005), n. 1. Bologna: Il Mulino. 
PIPERATA G., 2008, Servizio per il pubblico e sponsorizzazione dei beni culturali: gli artt. 117 e 120. 
�Aedon - Rivista di arti e diritto on line�, n. 3. Bologna: Il Mulino. 
RENNA M., 2011, Le sponsorizzazioni. In: La collaborazione pubblico-privato e l�ordinamento amministrativo. 
Dinamiche e modelli di partenariato in base alle recenti riforme, a cura di FRANCO MASTRAGOSTINO. 
Torino: Giappichelli. 
ROSSOTTO R., 2010, Contratti di sponsorizzazione: opportunit� giuridiche. �Aedon - Rivista di arti e 
diritto on line�, n. 1. Bologna: Il Mulino. 
SRUBEK T. C., 2010, Il contatto di sponsorizzazione. �Il Corriere del merito�, n. 7. Milano: Ipsoa. 
STAROLA L., 2010, La sponsorizzazione dei beni culturali: opportunit� fiscali. �Aedon - Rivista di arti 
e diritto on line�, n. 1. Bologna: Il Mulino. 
TOMEI R., SCIANCALEPORE V.D., 2008, Sponsorizzazione (contratto di). In: Digesto Disc. Pubbl., Aggiornamento, 
vol. II. Milano: Giuffr�. 
VALENTINO P. A., 2010, Fiscalit� e mecenatismo. Ufficio Studi - Ministero per i beni e le attivit� culturali. 
ZANETTI L., Gli strumenti di sostegno alla cultura tra pubblico e privato: il nuovo assetto delle agevolazioni 
fiscali al mecenatismo culturale, in Aedon, n. 2/2001. 



L�abolizione delle province: evoluzione di un processo 
di semplificazione delle autonomie locali 

Rocco Steffenoni* 

SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. Le riforme degli anni �90, il nuovo titolo V della Costituzione 
e la legge �La Loggia� - 3. La riforma delle province nell�ambito della legge 5 maggio 
2009, n. 42 - 4. L�utilizzo della decretazione d�urgenza per riformare le province e la sentenza 

n. 220/2013 della Corte Costituzionale - 5. La legge 7 aprile 2014, n. 56 sulla c.d. �abolizione 
delle province� - 6. Conclusioni. 

1. Introduzione. 

Con la legge 7 aprile 2014, n. 56 di revisione delle province e delle autonomie 
locali, che va sotto il nome del Sottosegretario Graziano Delrio, � stata 
portata a compimento la prima fase di un pi� ampio, e ambizioso, progetto 
che intende rivedere e attuare la vocazione federalista della Repubblica. 

In attesa di una auspicata revisione costituzionale, con la legge n. 56/2014 
si inizia a riscrivere l'equilibrio istituzionale del decentramento amministrativo 
depauperando le province di funzioni e mezzi ma, al contempo, favorendo sia 
l'utilizzo di corpi intermedi di raccordo come le citt� metropolitane sia l'estensione 
del bacino territoriale dei comuni attraverso lo strumento dell'unione e 
della fusione. La citt� metropolitana torna quindi in auge nel dibattito politico 
e istituzionale come un efficace strumento di coordinamento tra gli enti locali 
e le regioni a minori costi di funzionamento. 

La crisi economica internazionale e la crisi del debito sovrano hanno imposto 
l�adozione di vincoli sovranazionali di contenimento della spesa pubblica 
(spending review), l�introduzione in Costituzione del principio del 
pareggio di bilancio, l�aumento dei poteri della Corte dei conti in relazione al 
rispetto del patto di stabilit� interno, nonch� l�odierna revisione del quadro 
istituzionale degli enti locali. 

Accanto a queste misure, lo Stato ha dovuto riconsiderare al proprio interno 
il costo del decentramento e delle autonomie prediligendo le �economie 
di scala� che l�accentramento statale e il coordinamento interistituzionale parrebbero 
offrire. 

Quanto a tecnica legislativa, la l. n. 56/2014 non fa eccezione rispetto alla 
normazione recente. L�approvazione al Senato, in seconda lettura, del relativo 
disegno di legge con l�apposizione della questione di fiducia ha prodotto una 
legge che, mancando di rubriche, titoli, sezioni e capi, rischia di disorientare 
l�interprete. D'altro canto, il legislatore parrebbe aver accolto quantomeno il 

(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 


monito della Corte costituzionale di non utilizzare gli strumenti di decretazione 
d�urgenza per adottare riforme di siffatta ampia portata (sent. n. 220/2013, 
infra par. 4.5). 

Pertanto, al fine di valutare pi� diffusamente le previsioni alla base della 
legge n. 56/2014, si � scelto di ripercorrere le fasi principali del percorso istituzionale 
dagli anni '90 ad oggi. In tale modo si potr� osservare come in alcuni 
tratti la presente legge riproduca tendenze gi� in atto nell�ordinamento e come, 
per altri versi, si discosti con elementi di originalit�. 

2. Le riforme degli anni �90, il nuovo titolo V della Costituzione e la legge 
�La Loggia�. 

2.1. All�inizio degli anni �90 il disegno del decentramento amministrativo, 
come previsto dall�art. 5 (1) e nel titolo V della Costituzione, era ancora piuttosto 
inattuato (2). 

Se da un lato, infatti, la Repubblica era ripartita in regioni, province e comuni 
(art. 114 Cost.), dall�altro, le province e i comuni esercitavano la propria 
autonomia solamente �nell'ambito dei principi fissati dalle leggi generali della 
Repubblica, che ne determinano le funzioni� (art. 128 Cost.). 

Il favore per l�accentramento statale era espresso dall�art. 118 della Costituzione 
che ammetteva in via meramente eventuale, e nel solo caso di un 
�interesse esclusivamente locale�, l�attribuzione di funzioni amministrative 
regionali �alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali�. 

La strada per un pi� effettivo decentramento � stata intrapresa con la l. 8 
giugno 1990, n. 142 (3) ( �Ordinamento delle autonomie locali�) che detta �i 
principi dell�ordinamento dei comuni e delle province e ne determina le funzioni� 
(art. 1, comma 1), escludendo al contempo le regioni a statuto speciale e le province 
autonome di Trento e Bolzano (comma 2). In particolare, la provincia, intesa 
come �ente locale intermedio fra comune e regione, [che] cura gli interessi 
e promuove lo sviluppo della comunit� provinciale� (art. 2), si qualifica come 
un ente autonomo, titolare di funzioni sia proprie sia attribuite o delegate da leggi 

(1) Il favore dell�ordinamento europeo per la sussidiariet� � noto. Quest�indirizzo trova conferma 
anche nell'ultima versione dell�art. 1, par. 2, TUE, in base al quale �Il presente trattato segna una nuova 
tappa nel processo di creazione di un'unione sempre pi� stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni 
siano prese nel modo pi� trasparente possibile e il pi� vicino possibile ai cittadini�. 
(2) In merito, gi� M.S. GIANNINI, La lentissima fondazione dello Stato Repubblicano, in Reg. e 
gov. locale, 6, 1981, pp. 17 e ss.; F. PIZZETTI, All'inizio della XIV legislatura: riforme da attuare, riforme 
da completare e riforme da fare. Il difficile cammino dell'innovazione ordinamentale e costituzionale in 
Italia, in Le Regioni, 3, 2001, p. 437-452; M. SAVINO, Le riforme amministrative in Italia, in Rivista trimestrale 
di diritto pubblico, 2005, pp. 435-459; S. MANGIAMELI, La Provincia: dall'Assemblea costituente 
alla riforma del Titolo V, in www.astid-online.it, 2009; S. SPINACI, Intorno alla tentata riforma 
delle Province, in Diritto Pubblico, 3, 2012, pp. 945-964. 
(3) Per un commento su questa legge si veda F.G. SCOCA, L�art. 3 della legge n. 142 del 1990 e 
la tipologia delle funzioni provinciali e comunali, in AA.VV., Le funzioni da trasferire agli enti locali 
nell�area metropolitana dopo la legge 142/1990, Milano, 1993. 



statali o regionali nei modi previsti dall�art. 3 della stessa legge. Sulla base di 
quest�ultima disposizione, infatti, le regioni �organizzano l'esercizio delle funzioni 
amministrative a livello locale attraverso i comuni e le province�, a meno 
che non vi siano esigenze di carattere unitario nei rispettivi territori (comma 1). 

Al contempo, l�art. 14 dell�Ordinamento attribuisce a ciascuna provincia, 
nell�ambito del proprio territorio, le funzioni amministrative di interesse provinciale 
a tutela e promozione dell�ambiente e della salute, dei trasporti, del-
l�istruzione e del lavoro. Inoltre alle province vengono altres� demandati 
compiti di programmazione economica, territoriale, ambientale e di sviluppo 
della regione (art. 15), anche se �ferme restando le competenze dei comuni ed 
in attuazione della legislazione e dei programmi regionali� (comma 2). 

Tuttavia, per un pi� rilevante conferimento di funzioni e compiti amministrativi 
dallo Stato alle regioni e agli enti locali � necessario attendere il successivo 
d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, che d� attuazione alle deleghe della l. n. 
59/1997 (c.d. �legge Bassanini�) (4). 

Infatti, la legge Bassanini, in linea con la precedente previsione dell�art. 
3 l. n. 142/1990, stabilisce che �Nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione, 
le regioni, in conformit� ai singoli ordinamenti regionali, conferiscono 
alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni che non 
richiedono l'unitario esercizio a livello regionale� (art. 4, comma 1). Inoltre, 
il conferimento degli altri compiti e funzioni concernenti �tutte le funzioni e 
i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione 
dello sviluppo delle rispettive comunit�, nonch� tutte le funzioni e i compiti 
amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque 
organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite 
enti o altri soggetti pubblici� (art. 1, comma 2) dovrebbe avvenire con un decreto 
legislativo (art. 4, comma 2). 

Per ciascuna di queste attribuzioni, l�art. 4, comma 3, l. n. 59/1997 precisa 
che devono essere perseguiti in sede di adozione delle disposizioni di dettaglio 
alcuni principi fondamentali, quali: sussidiariet�, completezza, efficienza ed 
economicit�, cooperazione, responsabilit� e unicit� dell�amministrazione, adeguatezza, 
differenziazione, copertura finanziaria e patrimoniale e, infine, autonomia 
organizzativa e regolamentare. 

In seguito, le funzioni attribuite alla provincia dall�art. 14 l. n. 142/1990 
trovano altres� conferma (e sostanziale riproduzione) anche negli artt. 19-21 
del successivo Testo unico delle leggi sull�ordinamento degli enti locali (d.lgs. 
18 agosto 2000, n. 267), che abroga interamente l�Ordinamento delle autonomie 
locali (art. 274, comma 1, lett. q)). 

(4) A lato del federalismo amministrativo, nello stesso anno la l. 15 maggio 1997, n. 127 (�Bassanini 
bis�) e l�anno successivo la l. 16 giugno 1998, n. 191 (�Bassanini ter�) dispongono numerose 
previsioni in favore della semplificazione amministrativa. 


In particolare, l�articolo 3 TUEL, in linea con le precedenti previsioni, 
definisce la provincia quale �ente locale intermedio tra comune e regione, 
[che] rappresenta la propria comunit�, ne cura gli interessi, ne promuove 
e ne coordina lo sviluppo� (comma 3). A tal fine, alle province (e ai comuni) 
viene attribuita �autonomia statutaria, normativa, organizzativa e 
amministrativa nonch� autonomia impositiva e finanziaria nell'ambito dei 
propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza 
pubblica� (comma 4). Tuttavia, il successivo comma 5, pur non mettendone 
in dubbio le �funzioni proprie�, � assai generico nell�ammettere il conferimento 
di funzioni �con legge dello Stato e della regione, secondo il principio 
di sussidiariet��. 

2.2. Con la riforma del titolo V della Costituzione (l. cost. 18 ottobre 
2001, n. 3) (5), e in seguito con la legge di attuazione della riforma costituzionale 
(l. 5 giugno 2003, n. 131, c.d. �legge La Loggia�)(6), l�ordinamento 
ha orientato il riparto costituzionale delle funzioni amministrative tra diversi 
livelli di governo secondo una progressiva attuazione dei principi di sussidiariet�, 
differenziazione e adeguatezza (art. 118, comma 1). Se da un lato si 
conferma che le province sono enti autonomi �con propri statuti, poteri e 
funzioni secondo i princ�pi fissati dalla Costituzione� (art. 114), dall�altro 
lato si precisa che le province sono titolari di �funzioni amministrative proprie 
e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive 
competenze� (art. 118, comma 2). Tra le materie di legislazione esclusiva statale 
rientrano, peraltro, �legislazione elettorale, organi di governo e funzioni 

(5) Tra le prime pubblicazioni si segnalano: AA.VV., Le autonomie territoriali: dalla riforma 
amministrativa alla riforma costituzionale, a cura di G. BERTI -G.C. DE MARTIN, Milano, 2001; G. 
FALCON, Il nuovo titolo V della parte seconda della Cost., in Le Regioni, 1, 2001, p. 5 ss.; L. TORCHIA, 
Regioni e "federalismo amministrativo", in Le Regioni, 2, 2001, pp. 257-266; A. PAJNO, L'attuazione 
del federalismo amministrativo, in Le Regioni, 4, 2001, pp. 667-681.; F. PIZZETTI, Le nuove esigenze 
di "governance" in un sistema policentrico "esploso", in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1153-1196; Z. CIUFFOLETTI, 
Il nodo del federalismo, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1197-1202; G. FALCON, Modello e "transizione" 
nel nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 
1247-1272; B. CARAVITA, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V. Stato, Regioni e autonomie fra 
Repubblica e Unione Europea, Torino, 2002; A. POGGI, Le autonomie funzionali tra sussidiariet� verticale 
e sussidiariet� orizzontali, Milano, 2002; AA.VV., La funzione normativa di Comuni, Province 
e citt� nel nuovo sistema costituzionale, a cura di A. PIRANO, Palermo, 2002; G. ROLLA, L'autonomia 
dei comuni e delle province, in AA.VV., in La Repubblica delle autonomie: regioni ed enti locali nel 
nuovo titolo V, a cura di G. ROLLA, M. OLIVETTI, Torino, 2003, p. 23 e ss. Si segnalano, inoltre, anche 
gli atti del 50� Convegno di studi amministrativi dedicato a "L�attuazione del titolo V della Costituzione" 
(Varenna, 16-18 settembre 2004). 
(6) A. RUGGERI, Note minime, �a prima lettura�, a margine del disegno di legge La Loggia, in 
Giur. It., 2002, 2; G. VISPERINI, La legge di attuazione del nuovo titolo V della costituzione, in Giornale 
di diritto amministrativo, 2003, p. 1109 e ss.; da ultimo, M. GLORIA, Il sistema di governo regionale integrato, 
Milano, 2014, p. 38 e ss. Con riferimento alle sentenze nn. 236, 238, 239, 280 del 2004 con cui 
la Corte costituzionale ha preso in esame la costituzionalit� della l. n. 131/2003 (infra par. 2.2), si veda 
M. BARBERO, La Corte costituzionale interviene sulla legge "La Loggia" (nota a Corte Cost. 236/2004, 
238/2004, 239/2004 e 280/2004), in www.forumcostituzionale.it, 2004. 



fondamentali di Comuni, Province e Citt� metropolitane� (art. 117, comma 
2, lett. p)) (7). 

Inoltre, in linea con il riparto delle competenze legislative, l�art. 117, 
comma 6, prevede che le province �hanno potest� regolamentare in ordine 
alla disciplina dell�organizzazione e dello svolgimento delle funzioni a loro 
attribuite�. A riguardo, la Corte costituzionale ha precisato che la legge (statale 

o regionale) determina il riparto tra: funzioni proprie e conferite con legge 
statale e regionale (118, comma 2), funzioni fondamentali (117, comma 2, lett. 
p)) e funzioni attribuite (art. 118, comma 1) (8). 

La legge �La Loggia� (n. 131/2003) delega quindi il Governo a dare attuazione 
alla previsione dell�art. 117, comma 2, lett. p), Cost. sulle funzioni 
fondamentali degli enti locali (art. 2), nonch� al nuovo art. 118 Cost. in materia 
di esercizio delle funzioni amministrative (art. 7). 

In particolare, tra i principi e criteri direttivi, l�art. 2 prevede che vengano 
individuate le funzioni fondamentali delle province e degli altri enti locali al 
fine di prevedere �la titolarit� di funzioni connaturate alle caratteristiche proprie 
di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento 
dell'ente e per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunit� di riferimento, 
tenuto conto, in via prioritaria, per Comuni e Province, delle funzioni 
storicamente svolte� (lett. b)); inoltre, lo stesso articolo dispone di �valorizzare 
i principi di sussidiariet�, di adeguatezza e di differenziazione nella allocazione 
delle funzioni fondamentali in modo da assicurarne l'esercizio da 
parte del livello di ente locale che, per le caratteristiche dimensionali e strutturali, 
ne garantisca l'ottimale gestione [�]� (lett. c)). 

Quanto all�esercizio delle funzioni amministrative l�art. 7 prevede che 
�Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire 
le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore 
della presente legge, sulla base dei principi di sussidiariet�, 

(7) Una recente sentenza della Corte costituzionale ha descritto l�art. 117, comma 2, lett. p) come 
la disposizione che �indica le componenti essenziali dell�intelaiatura dell�ordinamento degli enti locali� 
(sent. n. 220/2014, infra par. 4.5). 
(8) �Quale che debba ritenersi il rapporto fra le "funzioni fondamentali" degli enti locali di cui 
all'articolo 117, secondo comma, lettera p, e le "funzioni proprie" di cui a detto articolo 118, secondo 
comma, sta di fatto che sar� sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze 
legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni, in conformit� alla generale attribuzione 
costituzionale ai Comuni o in deroga ad essa per esigenze di "esercizio unitario", a livello sovracomunale, 
delle funzioni medesime� (Corte Cost. sent. n. 43/2004). Per una disamina sul punto, si vedano P. 
CARETTI, L'assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale, alla luce del nuovo Titolo 
V della Costituzione: aspetti problematici, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1223-1232; G. TARLI BARBIERI, 
Appunti sul potere regolamentare delle regioni nel processo di riforma del Titolo V della Parte II della 
Costituzione, in Diritto Pubblico, 2, 2002, pp. 417-490; L. DE LUCIA, Le funzioni di province e comuni 
nella costituzione, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2005, p. 23 e ss. Per quanto riguarda, invece, 
le funzioni provinciali nelle leggi di settore, v. F. MANGANARO, M. VIOTTI, La provincia negli attuali 
assetti istituzionali, cit., pp. 23-36. 



differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Citt� metropolitane, 
Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitariet� di esercizio, 
per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell'azione amministrativa 
ovvero per motivi funzionali o economici o per esigenze di 
programmazione o di omogeneit� territoriale, nel rispetto, anche ai fini del-
l'assegnazione di ulteriori funzioni, delle attribuzioni degli enti di autonomia 
funzionale, [�]� (comma 1). In ogni caso, per�, "Fino alla data di entrata in 
vigore dei provvedimenti previsti dal presente articolo, le funzioni amministrative 
continuano ad essere esercitate secondo le attribuzioni stabilite dalle 
disposizioni vigenti, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale� 
(comma 6). 

Questa delega, tuttavia, non � stata esercitata da parte del Governo, che, 
invece, ha preferito proseguire per la via del federalismo fiscale in assenza di 
una ben definita allocazione delle funzioni amministrative alle province e agli 
altri enti locali per effetto della riforma del titolo V. 

3. La riforma delle province nell�ambito del federalismo fiscale. 

3.1. Una nuova stagione di riforme si apre con la legge 5 maggio 2009, 

n. 42 che delega il Governo a dare attuazione all�art. 119 della Costituzione 
in materia di federalismo fiscale (art. 2). 

Nell�individuare i principi e criteri direttivi per il finanziamento delle funzioni 
delle province e degli altri enti locali, l�art. 11, comma 1, lett. a), si limita 
a suddividere le funzioni in due tipologie: da un lato, le �funzioni fondamentali� 
in cui rientrano le funzioni ex art. 117, comma 2, lett. p); dall�altro lato, 
le funzioni residuali o �altre funzioni�. Per la prima tipologia l�art. 12, comma 
1, prevede inoltre che queste dovranno essere �prioritariamente finanziate� 
dalla compartecipazione o dall�intero gettito derivante da alcune specifiche 
voci di tributi. 

Ai soli fini della delega sul federalismo fiscale, le funzioni (e i servizi 
fondamentali) dei comuni e delle province vengono ulteriormente precisate. 
L�art. 21, comma 4, qualifica come �fondamentali�, e quindi oggetto di finanziamento 
integrale, le funzioni generali di amministrazione, di gestione e di 
controllo fino all�ammontare complessivo del 70% della spesa, nonch� quelle 
di istruzione pubblica, nel campo dei trasporti, per la gestione del territorio, 
per la tutela ambientale e, infine, per lo sviluppo economico e per il mercato 
del lavoro. 

Inoltre, l�art. 21, comma 1, lett. a) prevede che, nelle more dell�attuazione 
della delega sulle funzioni degli enti locali ex art. 118 Cost., lo Stato e le regioni 
provvedono alla copertura del finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative 
nelle materie di competenza statale o regionale e degli ulteriori 
oneri per la ridefinizione delle funzioni che si rendessero necessari in seguito 
all�entrata in vigore dei due decreti legislativi previsti dal richiamato art. 2. 


Pertanto, in assenza di una precisa definizione normativa dell�insieme 
delle funzioni delle province e degli altri enti locali, la legge delega sul federalismo 
fiscale (n. 42/2009) ha adottato un nuovo criterio di riorganizzazione 
delle funzioni il cui scopo non � certo sistematico bens� volto a individuare 
un meccanismo efficace di finanziamento in assenza di precisi riferimenti (9). 

3.2. Successivamente alla legge delega sul federalismo fiscale, il Parlamento 
ha tentato di superare l�impasse politica in cui versava la devoluzione 
di funzioni, autonomia e poteri agli enti locali. 

In primo luogo, il 13 gennaio 2010 viene quindi presentato alla Camera 
un disegno di legge per il riordino degli enti locali e delle funzioni amministrative 
(10). 

Si tratta di un d.d.l. (A.S. 1464) che all'art. 13 delega il Governo ad adottare 
una �Carta delle autonomie locali�, che, raccogliendo sistematicamente 
tutta la normativa del settore, consenta di superare il d.lgs. n. 267/2000 (TUEL). 
Inoltre, lo stesso si propone altres� di individuare e disciplinare le funzioni 
fondamentali degli enti locali in attuazione dell�art. 117, comma 2, lett. p) 
Cost. (artt. 2-8), nonch� di individuare e trasferire le funzioni amministrative 
agli enti locali in virt� dell�art. 118 (art. 9). Infine, una volta specificate le funzioni, 
queste sono finanziate secondo i princ�pi e i criteri della l. 42/2009 sul 
federalismo fiscale. 

In secondo luogo, in attuazione della delega disposta dalla l. n. 42/2009, 
si ripropone con il d.lgs. 26 novembre 2010, n. 216 una definizione delle funzioni 
degli enti locali al solo fine della disciplina per la determinazione del 
fabbisogno standard e del superamento del criterio del costo storico (11). 

(9) Del resto, se gi� in prossimit� della riforma del titolo V della Costituzione la dottrina dubitava 
della chiarezza in materia di individuazione e attribuzione delle funzioni, con la delega in materia di federalismo 
fiscale questa tematica diviene ancora pi� evidente. Cfr. L. DE LUCIA, Le funzioni di province 
e comuni nella costituzione, cit., p. 48-49 per il quale il termine funzione deve essere inteso in senso 
�descrittivo�; A. CELOTTO, A. SALANDREA, Le funzioni amministrative, in La Repubblica delle autonomie, 
cit., p. 186; G. FALCON, Funzioni amministrative ed enti locali nei nuovi artt. 118 e 117 della Costituzione, 
in Le Regioni, 2002, p. 388 e ss. 
(10) Disegno di legge �Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione 
dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonch� delega al Governo in materia di trasferimento 
di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali, razionalizzazione delle Province e 
degli Uffici territoriali del Governo. Riordino di enti ed organismi decentrati� (A.C. 3118), approvato 
in Assemblea il 30 giugno 2010 e, quindi, inviato per l�esame del Senato in data 2 luglio 2010, dove 
giace dal 28 luglio 2010 davanti alla Commissione Affari Costituzionali (A.S. 2259). Nei richiami al 
testo del ddl si fa riferimento all�ultima versione disponibile sul sito del Senato. Per una disamina, si 
veda G. MELONI, Funzioni amministrative e autonomia costituzionalmente garantita ai comuni, province 
e citt� metropolitane nel d.d.l. delega per la Carta delle Autonomie, in A. PIRAINO (a cura di), Verso la 
Carta delle autonomie: novit�, limiti, proposte, Roma, 2007, p. 111 e ss. 
(11) In particolare, il decreto-legislativo, recante �Disposizioni in materia di determinazione dei 
costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Citt� metropolitane e Province� attua gli articoli 2, comma 
2, lettera f), 11, comma 1, lettera b), 13, comma 1, lettere c) e d), 21, commi 1, lettere c) ed e), 2, 3 e 4, 
nonch� 22, comma 2, relativi al finanziamento delle funzioni di Comuni, Citt� metropolitane e Province. 



In particolare, l�art. 3, comma 1, d.lgs. 216/2010 conferma l�impianto 
precedente della legge delega, fugando ogni dubbio sull�eventuale esaustivit� 
di tali criteri anche per finalit� che non siano fiscali o di spesa (12). Inoltre, 
seppur in via provvisoria, per quanto concerne le funzioni �fondamentali� 
delle province persistono le stesse funzioni gi� individuate in sede di disamina 
dell�art. 21 della legge delega n. 42/2009 (supra par. 3.1). 

4. L�utilizzo della decretazione d�urgenza per riformare le province e la sentenza 
n. 220/2013 della Corte Costituzionale. 

La tendenza legislativa che si manifesta per effetto della congiuntura della 
crisi economica internazionale e della crisi dei debiti sovrani si riverbera anche 
nel dibattito sulla riforma degli enti locali (13). 

Nell'ordinamento si assiste, infatti, a un progressivo ritorno all�accentramento 
dei poteri sia nell'ottica del contenimento della spesa per favorire l�equilibrio 
economico finanziario sia per il rispetto degli obblighi finanziari 
internazionali a cui l�Italia ha aderito (14). Conseguentemente, per ottenere la 
quadratura del cerchio viene progressivamente ampliato anche il sistema dei 
controlli sulle amministrazioni locali e implementato il sistema sanzionatorio 
che ne deriva (15). 

(12) L�art. 3, comma 1, prevede infatti che �Ai fini del presente decreto, fino alla data di entrata 
in vigore della legge statale di individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Citt� metropolitane 
e Province, le funzioni fondamentali ed i relativi servizi presi in considerazione in via provvisoria, ai 
sensi dell'articolo 21 della 5 maggio 2009, n. 42� sono quelle previste nell�articolo. In particolare, si 
precisa che gli ulteriori articoli che non sono stati menzionati in corpo di testo riguardano aspetti di riforma 
degli assetti di governo degli enti locali. 
(13) In tale senso si vedano le considerazioni del Presidente della Corte dei conti in occasione 
dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2014, p. 88 e ss. 
(14) Da ultimo, G. PITRUZZELLA, Crisi economica e decisioni di governo, in Quaderni costituzionali, 
1, 2014, pp. 29-50. Si consideri, in estrema sintesi, l�introduzione nell�ordinamento con legge costituzionale 
(l. cost. 20 aprile 2012, n. 1) del principio del �pareggio di bilancio� come conseguenza 
dell�adesione al Trattato sul Fiscal Compact in data 2 marzo 2012; cfr. L. BINI SMAGHI, Morire di austerit�. 
Democrazie europee con le spalle al muro, Il Mulino, 2013. Sulla base della richiamata legge 
costituzionale sono stati novellati gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione non solo nel senso di 
introdurre il principio dell�equilibrio tra entrate e spese del bilancio ma affiancando anche un vincolo 
di sostenibilit� del debito da parte delle pubbliche amministrazioni cosicch� anche queste ultime operino 
nel rispetto delle regole in materia economico-finanziaria derivanti dall�ordinamento europeo. Ad esempio 
al novellato art. 119 Cost., dopo l�affermazione dell�autonomia finanziaria di entrata e di spesa degli 
enti locali, � stato aggiunto che questa autonomia si esercita �nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, 
e [gli enti locali] concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti 
dall'ordinamento dell'Unione europea�. Un interessante intervento sull�art. 119 Cost., ancorch� 
datato, si rinviene in P. GIARDA, Le regole del federalismo fiscale nell'articolo 119: un economista di 
fronte alla nuova Costituzione, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1425-1484. 
(15) M. CLARICH, I controlli sulle amministrazioni locali e il sistema sanzionatorio, relazione presentata 
al 59� Convegno di studi amministrativi dedicato a "Politica e amministrazione della spesa pubblica: 
controlli, trasparenza e lotta alla corruzione" (Varenna, 19-21 settembre 2013), in corso di 
pubblicazione; F. GUELLA, Il patto di stabilit� interno, tra funzione di coordinamento finanziario ed 
equilibrio di bilancio, in Quaderni costituzionali, 3, 2013, pp. 585-616. 



Tale fenomeno appare in evidente controtendenza con i pregressi orientamenti 
che informavano la politica legislativa statale al principio di sussidiariet�. 
In questo contesto si annoverano alcune proposte di legge che intendono 
riscrivere le disposizioni che regolano gli enti locali. 

In particolar modo, le province vengono additate nel dibattito politico 
come enti sostanzialmente inutili, causa di sprechi di risorse per l'indeterminatezza 
delle funzioni svolte e per la duplicazione dei costi della politica. Per 
queste ragioni si avanzano proposte atte a diminuirne progressivamente il numero 
e diversificarne le funzioni in attesa della loro definitiva abolizione per 
effetto di una revisione costituzionale. 

4.1. Un primo tentativo di abolire le province � rappresentato dal d.l. 13 
agosto 2011, n. 138 (c.d. �Manovra bis�), recante �misure urgenti per la stabilizzazione 
finanziaria e per lo sviluppo�. 

In particolare, l�art. 15, comma 1, mostra l�intenzione del legislatore di 
intervenire quanto prima in parallelo con legge costituzionale in modo da rivedere 
la �disciplina costituzionale del livello di governo provinciale�. 

Nelle more dell�attuazione di questa riforma costituzionale, lo stesso 
comma 1 prevede che, una volta conclusosi il mandato amministrativo provinciale, 
ciascuna provincia con una popolazione inferiore a 300.000 abitanti 

o con superficie inferiore a 3.000 chilometri quadrati venga soppressa; inoltre 
le funzioni delle province devono venire attribuite alle Regioni (che hanno facolt� 
di riattribuirle successivamente ai comuni) o alle province limitrofe 
(comma 3). In ogni caso, viene fatto divieto espresso di istituire province in 
Regioni con meno di 500.000 abitanti (comma 4). 

Tuttavia, in sede di conversione del decreto-legge l�intero art. 15 � stato 
soppresso, ad eccezione del comma 5, in base al quale �A decorrere dal primo 
rinnovo degli organi di governo delle Province successivo alla data di entrata 
in vigore del presente decreto, il numero dei consiglieri provinciali e degli assessori 
provinciali previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in 
vigore del presente decreto � ridotto della met�, con arrotondamento all'unit� 
superiore�. Sostanzialmente, quindi, � rimasto in vigore solo il dimezzamento 
dei consiglieri e assessori provinciali. 

Il revirement del Parlamento in sede di conversione del decreto-legge 
suggerisce che le esigenze di �fare cassa� non sono sufficienti per superare 
il diffuso malcontento su una riforma - forse affrettata - che, anzich� portare 
a termine il percorso di attribuzione delle funzioni alle province e agli enti 
locali in un�ottica costituzionalmente orientata di sussidiariet�, differenziazione 
e adeguatezza, ha proposto, al contrario, una riorganizzazione delle 
province fondata pressoch� solo sull�aspetto territoriale e sulla loro supposta 
inutilit�. 

4.2. Un secondo tentativo � costituito dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 

(c.d. �Salva-Italia�), convertito in legge con modificazioni dalla l. 22 dicembre 


2011, n. 2014, recante �Disposizioni urgenti per la crescita, l�equit� e il consolidamento 
dei conti pubblici� (16). 

La riforma del sistema italiano delle province si incardina nei commi 1422 
dell'art. 23, d.lgs. n. 201/2012 che disciplina sia in materia di funzioni sia 
in materia di governo. 

Il comma 14 prevede che �spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni 
di indirizzo politico e di coordinamento delle attivit� dei Comuni nelle 
materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive 
competenze�. Inoltre, i commi 18 e 19 impongono che, a seconda delle funzioni, 
lo Stato e le regioni - e perfino lo Stato in via sostitutiva delle regioni dispongano 
con legge il trasferimento ai comuni delle funzioni attribuite alle 
province e delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l�esercizio delle 
medesime funzioni, salvo non persistano esigenze di unitariet� o di sussidiariet�, 
differenziazione e adeguatezza che ne giustificano il trasferimento alle 
regioni (17). 

Ai commi 15-17 e 22 dell�art. 23 si disciplina il governo delle province, 
l�organizzazione e le retribuzioni. In particolare, si precisa che tra gli organi 
di governo della provincia vi sono unicamente il Consiglio provinciale e il 
Presidente della provincia, il primo composto da massimo dieci membri �eletti 
dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia�, mentre 
il secondo � scelto tra questi ultimi. Per entrambi la durata della carica � di 
cinque anni e sono eletti secondo le disposizioni stabilite con legge statale. 

Il comma 20 dello stesso articolo introduce inoltre una disciplina transitoria 
in base alla quale �agli organi provinciali che devono essere rinnovati 
entro il 31 dicembre 2012� si applica fino al 31 marzo 2013 l�art. 141 TUEL in 
materia di scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali, 
mentre gli organi provinciali, �che devono essere rinnovati successivamente 

(16) G. VESPERINI, Le nuove province, commento all�articolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011, 
in Giorn. dir. amm., 3, 2012, p. 272 e ss. 

(17) Con l�art. 1, comma 115, d.l. 24 dicembre 2012, (legge di stabilit� 2013) l�applicazione del-
l�art. 23, commi 18-19, d.l. n. 201/2011 � sospesa per un anno �Al fine di consentire la riforma organica 
della rappresentanza locale e al fine di garantire il conseguimento dei risparmi previsti� dal d.l. n. 
95/2012 e dal processo di riorganizzazione periferica dello Stato. Da questa disposizione la Corte Costituzionale 
ha tratto l�ulteriore argomento in base al quale �lo stesso legislatore ha implicitamente confermato 
la contraddizione� per cui �la trasformazione per decreto-legge dell�intera disciplina 
ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, � incompatibile, 
sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale 
dell�intero sistema, su cui da tempo � aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che 
certo non nasce, nella sua interezza e complessit�, da un �caso straordinario di necessit� e d�urgenza�� 
(Corte Cost. sent. n. 220/2013, cfr. pi� diffusamente par. 4.5). Secondo VESPERINI, ult. cit., dall�art. 23, 
comma 8, �[...] consegue l�abrogazione tacita di tutte le norme che attribuiscono funzioni (diverse da 
quelle indicate espressamente nella nuova disciplina) alle province: sia di quelle generali, sopra richiamate, 
del d.lgs. n. 267/2000 e del d.lgs. n. 216/2010, che di quelle settoriali regolate da numerose 
leggi statali e regionali�. 


al 31 dicembre 2012�, possono restare in carica �fino a scadenza naturale�. 
Quindi, una volta decorso questo periodo, sarebbe stato possibile procedere 
all�elezione dei nuovi organi sulla base delle richiamate nuove disposizioni 
sul governo della provincia (18). 

Infine, il comma 20-bis dell�art. 23 precisa che queste disposizioni non si 
applicano alle province autonome di Trento e Bolzano, ma trovano applicazione 
per le regioni a statuto speciale, alle quali � fatto obbligo di adeguarvisi. 

Tuttavia, qualche anno pi� tardi, queste ultime disposizioni (art. 23, 
commi 14-20 e 20-bis) del d.l. n. 201/2011 sono state interamente caducate 
per effetto della pronuncia di illegittimit� costituzionale disposta dalla Corte 
costituzionale con la sentenza n. 220/2013 (infra par. 4.5). 

4.3. Con un terzo tentativo di riforma, il Governo ha adottato il d.l. 6 luglio 
2012, n. 95 (c.d. �Spending review�), convertito con modificazioni in 
legge dalla l. 7 agosto 2012, n. 135. 

Con gli artt. 17 e 18 del decreto il legislatore ha riordinato le province e 
le citt� metropolitane nell'ottica di razionalizzare e ridurre la spesa statale complessiva 
per gli enti territoriali (19). 

Si tenga presente, peraltro, che la Corte costituzionale con la citata sentenza 
n. 220/2013 (infra par. 4.5) ha dichiarato costituzionalmente illegittimi 
anche gli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95/2012, ma che, al momento della emanazione 
di quest�ultimo decreto-legge, l�art. 23 d.l. n. 201/2011 era ancora in vigore. 
Non a caso, sotto la vigenza dell'art. 23, l'art. 17, comma 12, precisa che 
non intende operare alcuna modifica al sistema di governo delle province. 

Ad ogni modo, per quanto concerne il territorio, l�art. 17 rimanda a un 
successivo D.P.C.M. la determinazione dei requisiti minimi per il riordino 
delle province, ad eccezione delle province �in cui si trova il comune capoluogo 
di regione� (comma 2). In adempimento alle prescrizioni di questo 
comma, il Consiglio dei Ministri ha deliberato in data 20 luglio 2012 che i requisiti 
minimi sono: �a) dimensione territoriale non inferiore a [2.500] chilometri 
quadrati; b) popolazione residente non inferiore a [350.000] abitanti� 
(art. 1, comma 1) e che le �nuove province risultanti dalla procedura di riordino 
devono possedere entrambi i [predetti] requisiti�, salve le deroghe previste 
dai commi 3 e 4 dell�art. 17 (20). 

L�art. 17, commi 3 e 4, disciplina infatti il procedimento per proporre 

(18) Nel frattempo l�art. 1, comma 115 della legge di stabilit� 2013 (l. 24 dicembre 2012, n. 228) 
aveva sospeso l�applicazione dell�art. 23 d.l. n. 201/2011 fino al 31 dicembre 2012 e posticipato il termine 
per l�applicazione del commissariamento delle amministrazioni provinciali. Tale comma 115, dopo 
successive modifiche (da ultimo art. 1, comma 325, l. n. 147/2013) � stato abrogato dall�art. 1, comma 
143, l. n. 56/2014. (Su quest�ultima legge, si v. infra par. 4). 
(19) Ancora una volta, le esigenze di bilancio sono evidenti nell�incipit della riforma. L�art. 17, 
comma 1, prevede infatti che siffatte disposizioni sono emanate �Al fine di contribuire al conseguimento 
degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari al raggiungimento del pareggio 
di bilancio�. 



un�ipotesi di riordino delle province da parte del Consiglio delle autonomie 
locali di ciascuna regione, in base al quale (o in assenza del quale), decorsi i 
termini indicati, il Governo pu� adottare l�atto di riordino delle province. 

Per quanto concerne le funzioni, l�art. 17, comma 5, prevede che alle province 
vengono attribuite: le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento 
delle attivit� dei comuni gi� disposte dall�art. 23, comma 14, d.l. n. 201/2011, 
le funzioni ex art. 117, comma 2, lett. p), Cost. provvisoriamente assegnate 
alle province ai sensi dell�art. 17, comma 10, quali: a) la pianificazione territoriale 
provinciale di coordinamento, la tutela e valorizzazione dell�ambiente; 
b) la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione 
e controllo del trasporto privato, costruzione, classificazione e gestione 
delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale; c) la programmazione 
provinciale della rete scolastica e gestione dell�edilizia scolastica 
per le scuole secondarie di secondo grado. Oltre a queste ipotesi, il richiamato 
comma 5 dell'art. 17 impone che sia �trasferita ai comuni� ogni altra funzione 
amministrativa, cos� come individuata da un D.P.C.M. (mai emanato, nonostante 
i termini indicati dal comma 7) (21). Mentre per le funzioni di programmazione 
e di coordinamento delle regioni nelle materie ex artt. 117, commi 3 
e 4, e 118 Cost. l'art. 17, comma 11, non apporta alcuna variazione. 

Infine, per armonizzare su tutto il territorio nazionale i principi espressi 
in queste disposizioni, alle regioni a statuto speciale � fatto obbligo, entro sei 
mesi, di adeguare �i propri ordinamenti ai principi [dell�art. 17], che costituiscono 
principi dell�ordinamento giuridico della Repubblica nonch� principi 
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica� (comma 5). Al tempo 
stesso quest'ultimo comma esclude l�applicabilit� dell�art. 17 alle province autonome 
di Trento e Bolzano. 

4.4. Un quarto tentativo di riforma � rappresentato dal d.l. 5 novembre 
2012, n. 188 recante �Disposizioni urgenti in materia di Province e Citt� metropolitane�, 
che tuttavia non � stato convertito in legge nel termine di sessanta 
giorni dall�emanazione del relativo d.P.R. 

(20) L�art. 1, comma 4, D.P.C.M. 20 luglio 2012 dispone inoltre che �Il riordino di cui all'articolo 
17, comma 1, del citato decreto-legge n. 95 del 2012 non pu� comportare l'accorpamento di una o pi� 
province esistenti alla data di adozione della presente delibera con le province di Roma, Torino, Milano, 
Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria che, ai sensi dell'articolo 18, comma 
1, del medesimo decreto-legge e con le modalit� e i tempi ivi indicati, sono soppresse con contestuale 
istituzione delle relative Citt� metropolitane�. 
(21) L�art. 17 richiede altres� che con uno o pi� D.P.C.M., da adottarsi entro 180 giorni, venga 
fatta �puntuale individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali e organizzative 
connessi all�esercizio delle funzioni stesse e al loro conseguente trasferimento dalla provincia ai comuni 
interessati� (comma 8). Tale D.P.C.M., tuttavia, non � mai stato emanato, cos� da precludere l�esercizio 
delle funzioni trasferite ai sensi del comma 6, dal momento che il successivo comma 9 prevede che la 
decorrenza dell�esercizio di queste ultime funzioni � �inderogabilmente subordinata ed � contestuale 
all�effettivo trasferimento delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all�esercizio delle 
medesime�. 



Con tale decreto, il Governo intende dare una prima attuazione agli artt. 
17 e 18 d.l. n. 95/2012 (�Spending review�) e modificarne alcune previsioni. 
In particolare, l�art. 2 elenca le province nelle regioni a statuto ordinario a decorrere 
dal 1� gennaio 2014 e l�art. 6 prevede che ciascuna di queste ultime 
province �succede a quelle ad essa preesistenti in tutti i rapporti giuridici e 
ad ogni altro effetto, anche processuale�. 

Inoltre, l�art. 4, comma 1, lett. b), inserisce il comma 10-bis all�art. 17 d.l. 

n. 95/2012 secondo il quale le regioni sono tenute a trasferire con legge le funzioni 
trasferite alle province nell�ambito delle materie ex art. 117, commi 3 e 4, Cost. 
�salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, tali funzioni siano acquisite dalle 
Regioni medesime. In caso di trasferimento delle funzioni ai sensi del primo periodo, 
sono altres� trasferite le risorse umane, finanziarie e strumentali�. 

4.5. Con la sentenza n. 220/2013 (19 luglio 2013, Est. Silvestri) la Corte 
Costituzionale ha deciso pi� ricorsi in via principale, riuniti per identit� di oggetto, 
che riguardano, tra l�altro, la legittimit� costituzionale di alcuni commi 
dell�art. 23 d.l. n. 201/2011 (supra par. 4.2) e degli articoli 17 e 18, d.l. n. 
95/2012 (supra par. 4.3). 

La Corte fonda la propria motivazione sul contrasto di queste disposizioni 
con l'art. 77 Cost., in quanto adottate con lo strumento del decreto-legge, in 
relazione agli artt. 117, comma 2, lett. p) e 133 Cost. �che prescrivono modalit� 
e procedure per incidere, in senso modificativo, sia sull�ordinamento delle 
autonomie locali, sia sulla conformazione territoriale dei singoli enti, considerati 
dall�art. 114, primo e secondo comma, Cost., insieme allo Stato e alle 
Regioni, elementi costitutivi della Repubblica, �con propri statuti, poteri e 
funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione��. 

In particolare, la Corte osserva che queste ultime disposizioni costituzionali 
riguardano le componenti essenziali dell�ordinamento degli enti locali, che 
�per loro natura [sono] disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e 
rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le 
linee di svolgimento dei princ�pi costituzionali nel processo attuativo delineato 
dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali� e che, in quanto tali, 
sono �norme ordinamentali, che non possono essere interamente condizionate 
dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle 
stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell�art. 77 Cost.�. 

Quindi, sebbene �po[ssa] essere adottata la decretazione di urgenza per 
incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione 
elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi 
di governo, secondo valutazioni di opportunit� politica del Governo 
sottoposte al vaglio successivo del Parlamento�, ciononostante �la trasformazione 
per decreto-legge dell�intera disciplina ordinamentale di un ente locale 
territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, � incompatibile, sul 
piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una tra



sformazione radicale dell�intero sistema, su cui da tempo � aperto un ampio 
dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza 
e complessit�, da un �caso straordinario di necessit� e d�urgenza��. 

Per questo ordine di motivi la Corte ha accolto le censure addotte dalle 
ricorrenti dichiarando l�illegittimit� costituzionale dei commi 14-20 dell�art. 
23, d.l. n. 201/2011 e, in via consequenziale, del comma 20-bis dello stesso 
articolo, nonch� parimenti degli artt. 17 e 18, d.l. n. 95/2012. 

Tuttavia, questa pronuncia, nonostante caduchi un cos� complesso articolato 
normativo sulla base della preclusione costituzionale all'esecutivo di 
utilizzare la decretazione d'urgenza in queste circostanze, non consente all�interprete 
e allo stesso legislatore di risolvere in anticipo alcuni (e ulteriori) dubbi 
di merito (22) circa la legittimit� costituzionale delle previsioni adottate con 
il d.l. 201/2011 e 95/2012 e, conseguentemente, della costituzionalit� della 
successiva l. n. 56/2014 (infra par. 5) (23). 

5. La legge 7 aprile 2014, n. 56 sulla c.d. �abolizione delle province�. 

Con la l. 7 aprile 2014, n. 56 (�legge Delrio�) il Parlamento ha approvato 
l�articolo unico di riforma delle province, recante �Disposizioni sulle citt� metropolitane, 
sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni� (c.d. �Abolizione 
province�) (24). 

(22) Peraltro, la Corte ha ben precisato che �Le considerazioni che precedono non entrano nel 
merito delle scelte compiute dal legislatore e non portano alla conclusione che sull�ordinamento degli 
enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale - indispensabile solo se si intenda sopprimere 
uno degli enti previsti dall�art. 114 Cost., o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia 
costituzionale - ma, pi� limitatamente, che non sia utilizzabile un atto normativo, come il decreto-legge, 
per introdurre nuovi assetti ordinamentali che superino i limiti di misure meramente organizzative� e 
ancora che �A prescindere da ogni valutazione sulla fondatezza nel merito di tale argomentazione con 
riferimento alla legge ordinaria, occorre ribadire che a fortiori si deve ritenere non utilizzabile lo strumento 
del decreto-legge quando si intende procedere ad un riordino circoscrizionale globale, giacch� 
all�incompatibilit� dell�atto normativo urgente con la prescritta iniziativa dei Comuni si aggiunge la 
natura di riforma ordinamentale delle disposizioni censurate, che introducono una disciplina a carattere 
generale dei criteri che devono presiedere alla formazione delle Province� (Corte Cost. sent. 220/2013). 
(23) G. SAPUTELLI, Quando non � solo una "questione di principio". I dubbi di legittimit� non risolti 
della "riforma delle Province" (nota a sentenza (3 luglio 2013) 19 luglio 2013, n. 220), in Giur. 
Cost., 2013, 4, p. 3242 e ss. Sull�impatto della sentenza n. 220/2013 sulle iniziative di governo si veda 
F. PIZZETTI, La riforma Delrio tra superabili problemi di costituzionalit� e concreti obbiettivi di modernizzazione 
e flessibilizzazione del sistema degli enti territoriali, in astrid-online.it, 11 novembre 2013. 
Sul successivo d.d.l. Deliro si segnalano anche i �Pareri in merito ai dubbi di costituzionalita del DDL 
n. 1542� resi per la Presidenza del Consiglio dei Ministri da numerosi autorevoli studiosi della materia 
in seguito all'appello dal titolo �Per una riforma razionale del sistema delle autonomie locali� datato 
13 ottobre 2013 e firmato dal prof. Gian Candido De Martin e altri, pubblicati sul sito 


affariregionali.gov.it. 

(24) G.M. SALERNO, Sulla soppressione-sostituzione delle province in corrispondenza all�istituzione 
delle Citt� metropolitane: profili applicativi e dubbi di costituzionalit�, in federalismi.it, 8 gennaio 
2014; B. CARAVITA, F. FABRIZZI, Riforma delle province. Spunti di proposte a breve e lungo termine, in 
federalismi.it, 25 gennaio 2012. 


Il testo di partenza era stato presentato con il d.d.l. A.C. 1542 ed � stato 
approvato definitivamente dalla Camera in seconda lettura (A.C. 1542-B) sulla 
quale � stata posta anche una questione di fiducia (25). 

Nel delineare le caratteristiche delle citt� metropolitane e delle province, 
la l. n. 56/2014 le individua per ciascuna in materia di territorio, governo e 
funzioni. Inoltre la legge disciplina altres� l�unione di comuni (26) riscrivendo 
l�art. 32, comma 3, TUEL e abrogando le precedenti disposizioni sulle c.d. 
�Unioni speciali� (27). 

Tuttavia, il fatto che la l. n. 56/2014 sia stata denominata �abolizione delle 
province� non significa affatto che le province siano state integralmente abolite. 
Alle stesse, anzi, � stata data sostanzialmente una nuova forma e precise funzioni, 
talvolta pi� estese delle precedenti, �in attesa della riforma del titolo V della parte 
seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione� (comma 51). 

Del resto, il 20 agosto 2013, assieme al d.d.l. A.C. 1542, il governo ha presentato 
anche il d.d.l. costituzionale A.C. 1543 (28), recante �Abolizione delle 
province�, che, prendendo atto di quanto ha affermato la Corte costituzionale 
con la sentenza n. 220/2013 (supra par. 4.5), propone la soppressione in Costituzione 
delle province e affida a una legge dello Stato di determinare i criteri 
con cui lo Stato e le Regioni, nell�ambito delle rispettive competenze, individuano 
�le forme e le modalita di esercizio delle relative funzioni� (art. 3). 

La citt� metropolitana, seppur costituzionalmente prevista nel nuovo titolo 
V (art. 114), non aveva mai trovato una effettiva attuazione (29). In questa 
circostanza, invece, la duttilit� della citt� metropolitana ha consentito al legislatore 
di proporre, a costituzione invariata, un modello di riforma degli enti 
locali che favorisce l�accorpamento delle funzioni e i mezzi (in termini di patrimonio 
umano, materiale e finanziario) degli enti. 

Gli organi delle citt� metropolitane, alla pari di quelli delle province, ri


(25) Il d.d.l. A.C. 1542 presentato il 20 agosto 2013, approvato il 21 dicembre 2013, e trasmesso 
al Senato il 27 dicembre 2013 (A.S. 1212). Dopo l�approvazione con modificazioni del 26 marzo 2014, 
la Camera lo approva definitivamente il 3 aprile 2014 (A.C 1542-B). Per alcune osservazioni critiche 
sull'A.S. 1212, si segnala l'Audizione in data 16 gennaio 214 del Presidente della Sezione autonomie 
della Corte dei conti, dott. Falcucci, presso la Commissione Affari costituzionali del Senato. 
(26) Le unioni di comuni sono enti locali e sono funzionali all�esercizio associato di funzioni e 
servizi. In parte, la disciplina era gi� stata introdotta dall�art. 11 l. n. 142/2011 in materia di modifiche 
territoriali, fusione e istituzione di comuni. 
(27) Si tratta, in particolare, dell�abrogazione dell�art. 19, commi 4-6, d.l. n. 95/2012 e dell�art. 
16, commi 1-13, d.l. n. 138/2011. 
(28) Come riporta anche la relazione che accompagna il d.d.l. cost., �In particolare, con il presente 
disegno di legge costituzionale si dispone l'abolizione delle province, con la soppressione della dizione 
di �Province� nei diversi articoli della Costituzione che attualmente disciplinano questo ente territoriale: 
le province, pertanto, non sarebbero pi� un ente territoriale costituzionalmente necessario [...] affidando 
[art. 3] alla legge statale la funzione di definire un insieme di criteri e di requisiti generali in base ai 
quali lo Stato e le regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, devono individuare le forme e le modalit� 
di esercizio delle funzioni che oggi spettano alle province�. Successivamente queste previsioni 
sono state inserite anche negli artt. 24, 27 e 28 del pi� ampio d.d.l. cost. (A.C. 1429) dell�8 aprile 2014. 



cevono una investitura di secondo grado (30), in quanto sono nominati o eletti 
tra coloro che gi� esercitano un mandato nell'ente locale, e dovranno svolgere 
l�importante ruolo di raccordo tra comuni e regioni. 

Del resto, l�avvicendamento tra le dieci citt� metropolitane e le province 
afferenti al loro territorio � evidentemente senza soluzione di continuit�, come 
si apprende dalla stessa legge. Infatti, al comma 16 si prevede che �Il 1� gennaio 
2015 le citt� metropolitane subentrano alle province omonime e succedono 
ad esse in tutti i rapporti attivi e passivi e ne esercitano le funzioni� (31); 
e, ad ulteriore evidenza, �Ove alla predetta data non sia approvato lo statuto 
della citt� metropolitana, si applica lo statuto della provincia� (32). Ci� almeno 
fino al 30 giugno 2015 quando, in caso di mancata approvazione dello 
statuto, lo Stato pu� procedere con i propri poteri sostitutivi in attuazione del-
l�art. 120 Cost. (l. n. 131/2003) (33). 

(29) Il modello della citt� metropolitana viene definito con la l. n. 142/1990 (supra par. 2.1). In 
particolare, gli artt. 17-21 intendevano suddividere progressivamente l�amministrazione locale nell�area 
metropolitana in comuni e citt� metropolitane (art. 18) e ridefinire la distribuzione delle funzioni dalle 
province alle citt� metropolitane, attribuendo a queste ultime non solo le �funzioni di competenza provinciale� 
ma anche le �funzioni normalmente affidate ai comuni� che possono essere oggetto di un 
esercizio coordinato (art. 19). Con l�adozione del TUEL, agli artt. 22-26 pongono in via meramente eventuale 
l�adozione delle citt� metropolitane, in evidente contrasto con la linea intrapresa dall�art. 20, comma 
1, l. n. 142/1990. La revisione costituzionale del 2001, pur aderendo all�organizzazione del governo locale 
tra comuni, province, citt� metropolitane, non risolve la difficile applicazione concreta della citt� 
metropolitana. In seguito, nonostante altri tentativi di riforma delle citt� metropolitane (A.C. nn. 1464, 
2105), si rinviene principalmente l�art. 18 d.l. 95/2012 (supra par. 4.3). Tuttavia, la mancata conversione 
in legge del d.l. 188/2012 (supra par. 4.4), che introduceva tramite l�art. 5 alcune modifiche all�art. 18 

d.l. 95/2012, e la sentenza n. 220/2013 della Corte costituzionale (supra par. 4.5) ha determinato un ulteriore 
arresto della riforma delle citt� metropolitane. S. MANGIAMELI, La questione locale. Le nuove 
autonomie nell�ordinamento Repubblicano, Roma, 2009, pp. 161-180; C. DEODATO, Le citt� metropolitane: 
storia, ordinamento, prospettive, in giustizia-amministrativa.it; F. PIZZETTI, La complessa architettura 
della l. n. 56 e i problemi relativi alla sua prima attuazione: differenze e somiglianze tra citt� 
metropolitane e province, in astrid-online.it, giugno 2014; A. PATRONI GRIFFI, Citt� metropolitana: per 
un nuovo governo del territorio, in confronticostituzionali.eu, 23 giugno 2014. 

(30) In merito alla conformit� costituzionale delle elezioni di secondo grado con riferimento al 
principio di uguaglianza, si v. Corte cost. sent. nn. 96/1968 e 198/2012. Inoltre, con riferimento all'art. 
114 Cost. le sentt. nn. 274/2003 e 144/2009 hanno stabilito la non necessaria totale equiparazione tra i 
diversi livelli di governo territoriale. Cfr. anche E. GROSSO, Possono gli organi di governo delle province 
essere designati mediante elezioni �di secondo grado�, a Costituzione vigente?, in astrid-online.it, 27 
ottobre 2013; F. BASSANINI, Sulla riforma delle istituzioni locali e sulla legittimita costituzionale della 
elezione in secondo grado degli organi delle nuove province, in astrid-online.it, 29 ottobre 2013. 
(31) Gi� l�art. 18, comma 5, l. n. 142/1990 disponeva che �La citt� metropolitana, comunque denominata, 
acquisisce le funzioni della provincia�. 
(32) Peraltro, il comma 16, l. n. 56/2014 prevede ulteriormente che �Le disposizioni dello statuto 
della provincia relative al presidente della provincia e alla giunta provinciale si applicano al sindaco 
metropolitano; le disposizioni relative al consiglio provinciale si applicano al consiglio metropolitano�. 
(33) L�art. 8, comma 1, l. n. 131/2003, che ha dato attuazione dell�art. 120, comma 2, Cost., stabilisce 
il procedimento per l�esercizio del potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri. In 
particolare, tale potere deve essere proporzionato alle finalit� perseguite e qualora l'esercizio dei poteri 
sostitutivi riguardi Comuni, Province o Citt� metropolitane, �la nomina del commissario deve tenere 
conto dei principi di sussidiariet� e di leale collaborazione� (comma 3). 



5.1. Secondo la riforma �Delrio�, le citt� metropolitane sono �enti territoriali 
di area vasta� (comma 2) e sono quelle di Torino, Milano, Venezia, 
Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria (comma 5) (34). 
Ciascuna � regolata in transitoria dai commi 5-50 dell�art. 1, �in attesa della 
riforma del titolo V� e delle relative disposizioni attuative (35). 

Per quanto concerne il territorio, in base al comma 6 quello �della citt� 
metropolitana coincide con quello della provincia omonima�, fermo restando 
il potere di iniziativa dei comuni ai sensi dell�art. 133 Cost. Inoltre, ai soli fini 
elettorali, il comma 33 ripartisce i comuni delle citt� metropolitane in nove 
scaglioni sulla base della popolazione per numero di abitanti. 

Il governo delle citt� metropolitane � ripartito tra il sindaco metropolitano, 
il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana (commi 7-43), mentre 
la disciplina elettorale � regolata ai commi 25-39. 

Il sindaco metropolitano corrisponde di diritto al sindaco del comune capoluogo 
(comma 19), mentre il consiglio metropolitano � eletto �dai sindaci 
e dai consiglieri comunali dei comuni della citt� metropolitana� (comma 25) 
tramite il �voto diretto, libero e segreto, attribuito a liste di candidati concorrenti 
in un unico collegio elettorale corrispondente al territorio della citt� 
metropolitana� (comma 30). Tra l'altro, il voto pu� essere espresso anche con 
la preferenza per uno specifico candidato (comma 35). 

Ciascun consiglio metropolitano dura in carica cinque anni ed � composto 
dal sindaco metropolitano e da un numero variabile di membri, corrispondenti 

a: 24 consiglieri nelle citt� metropolitane con popolazione residente superiore 
a 3 milioni di abitanti, 18 consiglieri per la fascia tra 800.000 e 3 milioni di 
abitanti e, infine, 14 consiglieri nelle altre citt� metropolitane (commi 19-21). 

La conferenza metropolitana � composta dal sindaco metropolitano e dai 
sindaci dei comuni appartenenti alla citt� metropolitana (comma 42) ed � un 
organo che, eccettuato il potere di approvare lo statuto (36), ha limitati poteri 
consultivi e propositivi. 

Ciascuno di questi organi si configura, quindi, come ente di secondo 
grado in quanto non direttamente eletto dalla popolazione. Tuttavia, in deroga 
a questa previsione, il comma 22 ammette che statutariamente possa essere 
prevista l�elezione diretta a suffragio universale sia per la carica di sindaco sia 

(34) Sostanzialmente, se si eccettua la previsione ad hoc per Roma e l�inclusione di Reggo Calabria, 
si tratta delle stesse citt� metropolitane gi� previste dall�art. 17, comma 1, l. n. 142/1990 e, in seguito, 
anche dall�art. 22 TUEL. Sul dibattito attorno allo statuto di specialit� della citt� metropolitana di Roma 
Capitale, come previsto ai commi 101-103 della riforma �Delrio�, si veda P. BARBERA, Considerazioni 
sull�ordinamento della Citt� metropolitana di Roma Capitale, in astrid-online.it, 6 novembre 2013. 
(35) Il riferimento � di nuovo al d.d.l. costituzionale A.C. 1543 sull�abolizione delle province 
(supra par. 5.1). Tra l'altro, lo stesso comma 5 fa un ulteriore riferimento ad una prossima riforma nella 
parte in cui afferma che �I principi della presente legge valgono come principi di grande riforma economica 
e sociale per la disciplina di citt� e aree metropolitane da adottare dalla regione Sardegna, 
dalla Regione siciliana e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, in conformit� ai rispettivi statuti�. 



per quelle del consiglio metropolitano con il �sistema elettorale che sar� determinato 
con legge statale� (37). Inoltre, in forza del comma 24 ciascuna 
delle cariche nella citt� metropolitana � svolta a titolo gratuito. 

Infine, per quanto concerne le funzioni, i commi 44-46 prevedono che 
alla citt� metropolitana siano attribuite: le funzioni fondamentali delle province; 
le funzioni attribuite alla citt� metropolitana secondo i commi 85-97; 
alcune funzioni fondamentali ai sensi dell�art. 117, comma 2, lett. p) Cost. 
(38). Peraltro, pur rimanendo immutate le funzioni statali e regionali nelle materie 
dell�art. 117 e 118 Cost., si ribadisce che �lo Stato e le regioni, ciascuno 
per le proprie competenze, possono attribuire ulteriori funzioni alle citt� metropolitane 
in attuazione dei principi di sussidiariet�, differenziazione e adeguatezza�, 
come previsto dall�art. 118 Cost. (39) (comma 45). 

In particolare, secondo il comma 44, le c.d. �finalit� istituzionali� ai sensi 
dell�art. 117, comma 2, lett. p), Cost. sono, in sintesi: a) �adozione e aggiornamento 
annuale di un piano strategico triennale del territorio metropolitano�; 
b) �pianificazione territoriale generale�; c) �strutturazione di sistemi 
coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici 
di interesse generale di ambito metropolitano�; d) �mobilit� e viabilit�, anche 
assicurando la compatibilit� e la coerenza della pianificazione urbanistica 
comunale nell'ambito metropolitano�; e) �promozione e coordinamento dello 
sviluppo economico e sociale�; f) �promozione e coordinamento dei sistemi 
di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano�. 

5.2. Ai sensi della legge n. 56/2014 le province sono �enti territoriali di 

(36) Sulla competenza dalla conferenza metropolitana per l�approvazione dello Statuto parrebbe 
valere il comma 9 nella parte in cui dispone che �la conferenza metropolitana adotta o respinge lo 
statuto e le sue modifiche proposti dal consiglio metropolitano [�]�. Tuttavia il comma 15 prevede che 
�Entro il 31 dicembre 2014 il consiglio metropolitano adotta lo statuto�. A questo fine l'art. 23, comma 
1, lett. a), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, non ancora convertito in legge, ha modificato il comma 15, in tema 
di approvazione dello statuto della citt� metropolitana, attribuendo alla conferenza metropolitana anzich� 
al consiglio metropolitano la competenza ad approvare lo statuto. 
(37) Si tratta di una disposizione che pare riecheggiare la l. 25 marzo 1993, n. 81 sull�elezione 
diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale 
e successivamente confluita negli artt. 71-76 TUEL. In questo senso si veda, in una prospettiva pi� �storica� 
sulle proposte di sistema elettorale, il d.d.l. A.S. 1464 per l�attuazione dell�art. 117, comma 2, 
lett. p), Cost. 
(38) Secondo il recente d.d.l. cost. (A.C. 1429) dell'8 aprile 2014 il nuovo art. 117, comma 2, 
lett. p), Cost. sarebbe �ordinamento, organi di governo, legislazione elettorale e funzioni fondamentali 
dei Comuni, comprese le loro forme associative, e delle Citta metropolitane; ordinamento degli enti di 
area vasta�. 
(39) Le funzioni attribuite alle Citt� metropolitane, che erano precedentemente delle province, 
sono tuttavia ancora attribuite alle province fino a data da destinarsi con D.P.C.M. In merito il comma 
89 prevede che �Le funzioni che nell'ambito del processo di riordino sono trasferite dalle province ad 
altri enti territoriali continuano ad essere da esse esercitate fino alla data dell'effettivo avvio di esercizio 
da parte dell'ente subentrante; tale data � determinata nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 
di cui al comma 92 per le funzioni di competenza statale ovvero � stabilita dalla regione ai sensi 
del comma 95 per le funzioni di competenza regionale�. 



area vasta� (comma 3) (40) e sono disciplinate transitoriamente ai commi 51100, 
che ne regolano l�organizzazione di governo e le funzioni (41). 

Gli organi delle province sono il presidente della provincia, il consiglio 
provinciale e l�assemblea dei sindaci ed esercitano poteri analoghi a quelli indicati 
per i corrispettivi tre organi delle citt� metropolitane. Inoltre, parallelamente 
alle citt� metropolitane, ciascun organo della provincia si configura come 
organo di secondo grado e le cariche sono svolte a titolo gratuito (comma 84). 

L�assemblea provinciale � composta dai sindaci dei comuni appartenenti 
alla provincia ed esercita prevalentemente poteri consultivi, propositivi e di 
approvazione dello statuto (comma 56). 

Il presidente della provincia � eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni 
della provincia. Esso dura in carica cinque anni e il suo mandato � direttamente 
collegato alla propria carica di sindaco della provincia in base al 
principio del simul stabunt, simul cadent (commi 59 e 65). 

Il consiglio provinciale, � l�organo di indirizzo e di controllo, dura in carica 
due anni ed � composto dal presidente della provincia e da un numero 
variabile tra 16 e 10 componenti, a seconda della popolazione presente sul 
territorio (commi 67-69). Inoltre, ai commi 70-84 sono indicate le modalit� 
di elezione del consiglio (42). Peraltro, per il presidente della provincia e il 
consiglio provinciale � previsto che ciascun voto sia ponderato sulla base 
delle fasce di ripartizione dei comuni disposte per le citt� metropolitane ai 
commi 33 e 34. 

La ripartizione delle funzioni delle province � regolata ai commi 52 e 8598 
e costituisce uno dei principali nodi della riforma �Delrio�. 

Le disposizioni si sviluppano su tre livelli: le funzioni fondamentali 
(commi 85-87), le funzioni esercitate d�intesa con i comuni (comma 88) e funzioni 
attribuite dallo Stato e dalle regioni (commi 89-91). Inoltre, secondo il 
comma 52 �restano comunque ferme le funzioni delle regioni nelle materie di 
cui all�articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione e le funzioni 
esercitate ai sensi dell�articolo 118 della Costituzione�. 

Tra le funzioni fondamentali figurano: �a) pianificazione territoriale provinciale 
di coordinamento, nonch� tutela e valorizzazione dell'ambiente, per 
gli aspetti di competenza; b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito 
provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coe


(40) Quella del comma 3 � un�ulteriore definizione di �provincia� oltre quella gi� prevista all�art. 
3, comma 3, TUEL, secondo la quale �La provincia, ente locale intermedio tra comune e regione, rappresenta 
la propria comunit�, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo�. 
(41) Si consideri che i commi 51-100 non si applicano, per espressa previsione del comma 53, 
alle province autonome di Trento e di Bolzano, nonch� alla regione Valle d�Aosta. 
(42) L'art. 23, comma 1, lett. d), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, non ancora convertito in legge, ha 
modificato il comma 79 in tema di elezione del consiglio provinciale estendendolo anche al presidente 
della provincia. 



renza con la programmazione regionale, nonch� costruzione e gestione delle 
strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; 
c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione 
regionale; d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-
amministrativa agli enti locali; e) gestione dell'edilizia scolastica; f) 
controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione 
delle pari opportunit� sul territorio provinciale� (comma 85). Tali funzioni, 
peraltro, sono sottoposte, ai sensi del comma 87, al limite stringente della competenza 
per materia prevista per lo Stato e per le regioni dall�art. 117, commi 
2, 3 e 4, Cost. 

Per alcune materie si delineano, inoltre, alcune specifiche previsioni. Ad 
esempio, in materia di appalti pubblici � consentito alle province di esercitare 
d�intesa con i comuni alcune funzioni, quali la �predisposizione dei documenti 
di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di 
organizzazione di concorsi e procedure selettive� (comma 88) (43). 

Inoltre, lo Stato e le regioni possono attribuire alle province, secondo le 
rispettive funzioni, alcune funzioni proprie �al fine di conseguire le seguenti 
finalit�: individuazione dell'ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna 
funzione; efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da 
parte dei comuni e delle unioni di comuni; sussistenza di riconosciute esigenze 
unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra gli enti 
territoriali coinvolti nel processo di riordino, mediante intese o convenzioni� 
(comma 89). In particolare, in base ai commi 91 e 95 lo Stato e le regioni 
hanno tre mesi per individuare in modo puntuale queste funzioni e le relative 
competenze, tenendo conto anche delle indicazioni contenute nel comma 96, 
lett. a), b) e c). 

A completamento dei precedenti commi sulle funzioni delle province, i 
commi 92 e 93 prevedono che sia adottato un D.P.C.M. per stabilire i criteri 
generali per �l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali 
e organizzative� connesse all'esercizio delle funzioni assegnate agli 
enti subentranti alle province e, qualora non sia stata raggiunta un�intesa in 
sede di Conferenza unificata, anche funzioni amministrative delle province in 
materie di competenza statale. 

Infine, il comma 97 delega il Governo ad adottare entro un anno dall�emanazione 
di quest�ultimo D.P.C.M. uno o pi� decreti legislativi �in materia di 
adeguamento della legislazione statale sulle funzioni e sulle competenze dello 
Stato e degli enti territoriali e di quella sulla finanza e sul patrimonio dei medesimi 
enti�, secondo i principi e i criteri direttivi sul rapporto tra funzioni e 

(43) In quest'ottica muove l'art. 9, comma 4, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni 
in legge dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, che modifica l'art. 33 d.lgs. n. 163/2006 in materia di centrali 
di committenza. 


prestazioni essenziali (lettera a)) e sul trasferimento agli enti che subentrano 
alle province delle risorse finanziarie che non sono necessarie per le funzioni 
non fondamentali (lettera b)). 

6. Conclusioni. 

La riforma degli enti locali disposta con la l. n. 56/2014 ha inteso rimodulare 
l'organizzazione delle strutture di governo all'interno di ciascuna regione 
favorendo il coordinamento tra i rappresentanti dei comuni, di diretta 
espressione popolare e quindi portatori degli interessi collettivi del proprio 
territorio di afferenza. 

Uno dei principali obiettivi, infatti, � quello di creare una forma di rappresentanza 
che, ispirandosi ai modelli delle economie di scala, favorisca un 
efficientamento della spesa pubblica attraverso il dialogo interistituzionale. 

In quest'ottica, la rappresentanza negli organi delle citt� metropolitane, 
delle province e delle unioni e fusioni di comuni � di secondo grado, nel senso 
che gli organi sono composti sostanzialmente dai rappresentanti dei comuni 
senza che sia necessaria un'ulteriore votazione a suffragio universale. 

In tal modo, le forme di rappresentanza assumono una struttura concentrica, 
nella quale gli organi di governo variano in termini di estensione della 
rappresentanza a seconda delle funzioni da svolgere, delle esigenze di coordinamento 
e degli interessi territoriali in questione (44). 

Non � un caso, e forse nemmeno pu� essere considerato un mero slogan 
politico (45), che le cariche svolte negli organi di governo delle citt� metropolitane, 
nelle province e nelle unioni e fusioni di comuni siano gratuite 
(commi 24, 84, 108). Ci�, infatti, dimostra come tale forma di rappresentanza 
sia intesa non tanto come un nuovo incarico quanto invero come la naturale 
prosecuzione della carica svolta nel proprio comune. 

(44) Si tratterebbe, infatti, di un indirizzo in linea con quanto affermato nella Relazione Finale 
del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali del 12 aprile 2013: �Devono essere altresi rafforzati 
gli strumenti di cooperazione e coordinamento istituzionale tra Enti Locali, tra diverse Regioni, tra 
Stato e Regioni�, p. 17. Nel senso che ante riforma �Delrio� vi era su uno stesso territorio un eccesso 
di rappresentanza diretta di troppe classe politiche, F. PIZZETTI, La riforma Delrio tra superabili problemi 
di costituzionalit� e concreti obbiettivi di modernizzazione e flessibilizzazione del sistema degli enti territoriali, 
cit. 
(45) Tuttavia anche le esigenze di �fare cassa� sono evidenti. Da ultimo, infatti, il d.l. 24 aprile 
2014, n. 66, rubricato �Riduzione dei costi nei comuni, nelle province e nelle citt� metropolitane�, ha 
inserito il comma 150-bis alla l. n. 56/2014 imponendo che il D.P.C.M. ex comma 92 l. n. 56/2014 preveda 
anche che �le Province e le Citt� metropolitane assicurano un contributo alla finanza pubblica 
pari a 100 milioni di euro per l'anno 2014, a 60 milioni di euro per l'anno 2015 e a 69 milioni di euro 
a decorrere dall'anno 2016� (art. 19). Inoltre, l'art. 47 dello stesso d.l. dispone che, nelle more dell'emanazione 
di suddetto D.P.C.M., gli stessi enti �assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 
444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 585,7 milioni di 
euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017� (comma 1) oltre agli ulteriori contributi previsti nei commi 
successivi. 



Tuttavia, il fatto che la stessa legge acconsenta che i meccanismi della 
rappresentanza di secondo grado delle citt� metropolitane possano venire 
meno attraverso la modifica dello statuto (da approvarsi entro il 31 dicembre 
2014) determina, non solo una maggiore flessibilit� dello strumento in funzione 
di una migliore aderenza alle necessit� del territorio, ma anche il rischio 
che si snaturi lo spirito della riforma. Al contrario, la soppressione in sede di 
discussione al Senato dell'art. 2, comma 2, dell'A.S 1212, che ammetteva la 
formazione di nuove citt� metropolitane tramite la fusione ex art. 133, comma 
1, Cost., ha costituito un indice della volont� di preservare il disegno unitario 
della riforma. 

La volont� politica di sopprimere costituzionalmente le province (A.C. 
nn. 1453 e 1429) non significa che le stesse non possano continuare a esistere 
se una legge statale ne definisce il territorio, le funzioni, le modalit� di finanziamento 
e l'ordinamento. Del resto, la Corte costituzionale con la sentenza n. 
220/2013 ha sottolineato come alla esclusione della garanzia costituzionale di 
un ente non debba necessariamente conseguire l'abolizione dello stesso (46). 

Le province, quindi, anche se verranno in futuro espunte dalla Costituzione, 
potranno - salva diversa previsione - comunque mantenere in base alla 

l. 56/2014 il ruolo di enti di coordinamento (c.d. pivot) tra comuni, citt� metropolitane 
e regioni. Ad oggi, permangono sicuramente in capo alle province 
alcune funzioni di area vasta nient�affatto marginali, come ad esempio: la pianificazione 
dei territori e la tutela della valorizzazione dell'ambiente, ma anche 
in materia di trasporti e di programmazione della rete scolastica e dell'edilizia 
scolastica e salva, comunque, la possibilit� di delega da parte dello Stato e 
delle regioni di funzioni proprie. 

In conclusione, nella riforma �Delrio� traspare un percorso di �innovazione 
nella tradizione� che parte dalla legge n. 142/1990 e attraversa i d.l. nn. 
201/2011, 95/2012 e 188/2012, per confluire, attraverso l'implementazione 
del dialogo multilivello nella gestione del territorio, in una maggiore attuazione 
dei principi di sussidiarieta

, differenziazione, adeguatezza, come enunciati 
- prima ancora del novellato art. 118 Cost. - nell�art. 1 della prima legge 
Bassanini n. 59/1997. 

(46) In particolare la Corte costituzionale ha escluso nella sent. n. 220/2013 che �sull�ordinamento 
degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale - indispensabile solo se si intenda 
sopprimere uno degli enti previsti dall�art. 114 Cost., o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia 
costituzionale�. Pi� diffusamente supra par. 4.5. 


CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
L�insostenibile pesantezza economica dei diritti. Nuovo rito 
speciale sugli appalti pubblici: verso un processo senza giudizio? 

Adolfo Mutarelli* 

1. Le novit� del rito �specialissimo� sugli appalti (pubblici) introdotte 
con il decreto legge 90/2014 (pubblicato su G.U. 24 giugno 2014) recante �misure 
urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l�efficienza 
degli uffici giudiziari� si inscrivono senza alcuna soluzione di 
continuit� nel solco degli interventi normativi sul processo (in particolare 
quello civile) che, nella mens legis, dovrebbero conseguire l�effetto di evitare 
l�abuso del processo e di conformare un processo dalla ragionevole durata. 
Nella riferita prospettiva � chiaro pertanto che il legislatore, sotto il primo profilo, 
� tenuto a dipanare la propria azione individuando misure idonee a salvaguardare 
la durata ragionevole del processo e, sotto il secondo profilo, ad 
elaborare strumenti deflattivi del contenzioso. Va da s� che una tale fatica normativa 
imporrebbe la consapevolezza e la chiarezza dei confini invalicabili 
tra gli obiettivi perseguiti e i principi insopprimibili del giusto processo. Non 
guasterebbe peraltro una adeguata tecnica di normazione del tutto latitante in 
questi tempi di crisi. Basti, a tal ultimo riguardo, e a mo� di simbolico esempio, 
il riferimento agli �inguacchi� della legge Fornero la cui tecnica normativa 
non ha consentito (n� alla dottrina n� alla stessa Aran) di dirimere la quaestio 
(tutt�altro che trascurabile) se lo speciale rito stabilito per l�impugnazione dei 
licenziamenti si applichi o meno al pubblico impiego. 

Di fatto gli operatori del diritto stanno assistendo in questi ultimi anni ad 

(*) Avvocato dello Stato. 

Pubblicazione anticipata sul sito giuridico Judicium - Il processo civile in Italia e in Europa - www.judicium.
it. 


una proliferazione di riti (sia nel processo civile che in quello amministrativo) 
variamente �accelerati� talora in ragione dei diritti coinvolti e talaltra in ragione 
di sottesi interessi economici. In taluni casi l�accelerazione impressa 
non tiene (volutamente o adeguatamente) conto dei principi cardine del giusto 
processo sacrificati alla perseguita ragionevole durata dello stesso dimenticando 
che il criterio di ragionevolezza � proprio delle leggi prima che misura 
di durata del processo. Sicch� per �processo giusto� di cui all�art. 111 Cost. 
deve intendersi un processo disciplinato da leggi ordinarie non irragionevoli 
e cio� rispettose dei principi di effettivit� di tutela alla cui garanzie deve essere 
informato il processo. 

Nell�indicata prospettiva particolare attenzione deve essere riservata dal 
legislatore all�introduzione di misure deflattive ed al loro confine con inammissibili 
misure di deterrenza verso la tutela giudiziaria. 

Deve viceversa osservarsi che il legislatore del processo di questi ultimi 
mentre sembra aver chiari gli obiettivi �economici� cui il processo deve rispondere, 
si disinteressa poi di realizzare riforme (pur indubitabilmente necessarie) 
rispettose dei principi propri dello stesso. 

La legislazione tende in tal modo verso un processo senza giudizio o, meglio, 
ad un giudizio qualunque purch� temporalmente delimitato e, se possibile, 
meglio ancora che il cittadino si rivolga a strumenti alternativi. � evidente che 
il processo viene in tal modo caricato di una funzione ulteriore e diversa rispetto 
alla sua primaria funzione, ossia il �giusto� accertamento del diritto tra 
le parti in causa; funzione, evidentemente, ritenuta �per ragione di Stato� recessiva 
rispetto all�interesse della collettivit� alla velocizzazione del processo. 

Un processo cos� connotato � evidente espressione della crisi economica 
del Paese e disegna un percorso verso un modello sempre pi� standardizzato 
e procedimentalizzato inidoneo a garantire il rispetto dei diritti oggetto di tutela, 
diritti sacrificati sull�altare di un inedito principio di �ragionevolezza economica�. 
Sembra quasi che il sistema economico incalzi il sistema del 
processo (e lo stesso fondamentale assunto per cui non esiste diritto senza l�approntamento 
di effettivi strumenti per la sua tutela) proponendo mere misure 
congiunturali dimenticando che, a differenza dell�economia, la tutela giudiziaria 
che deve essere garantita al cittadino (come all�impresa) non postula un 
andamento ciclico ma la continuit� dei suoi principi. 

2. In tale contesto deve pertanto inquadrarsi anche la recentissima riforma 
sul rito degli appalti pubblici che offre dell�accelerazione del processo la sua 
versione pi� esasperata come a dire: tra i riti accelerati vi � un rito accelerato 
pi� uguale degli altri. 

In questo caso il legislatore, consapevole della fragile complessit� delle 
procedure di affidamento degli appalti pubblici e della eterogeneit� degli enti 
(talora di modestissimo rilievo organizzativo) chiamati ad applicarle, ha ope



DOTTRINA 321 

rato sull�opposto versante del processo prevedendone un ulteriore appesantimento 
economico (in particolare) per la parte ricorrente e imponendo una disinvolta 
accelerazione nel rispetto della quale un giudizio di primo grado 
dovrebbe chiudersi pi� o meno negli stessi tempi accordati dalla l. 241/1990 
alla pubblica amministrazione in tema di procedimento amministrativo. 

�Il giudizio - cos� recita il nuovo testo del 6� comma dell�art. 120 c.p.a. ferma 
la possibilit� della sua definizione immediata nell�udienza camerale ove 
ne ricorrano i presupposti, viene comunque definito con sentenza in forma 
semplificata ad una udienza fissata d�ufficio e da tenersi entro trenta giorni 
dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. 
Della data di udienza � dato immediato avviso alle parti a cura della segreteria, 
a mezzo posta elettronica certificata. In caso di esigenze istruttorie o quando 
� necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto dei termini a 
difesa, la definizione del merito viene rinviata con l�ordinanza che dispone gli 
adempimenti istruttori o l�integrazione del contraddittorio o dispone il rinvio 
per l�esigenza di rispetto dei termini a difesa, ad una udienza da tenersi non 
oltre trenta giorni� . 

In presenza del termine perentorio stabilito dal nuovo 9� comma dell�art. 
120 c.p.a. per il deposito della sentenza, la previsione dell�adozione in via obbligatoria 
della sentenza in forma semplificata costituisce un inutile esproprio 
della discrezionalit� del Tribunale che, in ragione dell�art. 74 c.p.a., gi� poteva 
adottare la forma semplificata nei casi di �manifesta fondatezza, ovvero manifesta 
irricevibilit�, inammissibilit�, improcedibilit� o infondatezza del ricorso�. 
� peraltro una prescrizione formale che non tiene conto di come 
proprio in materia di appalti il consolidarsi di una motivata giurisprudenza costituisce 
ex se deterrente alla luce dei costi elevati di iscrizione a ruolo del ricorso 
rispetto alla promozione di ricorsi analoghi. A ci� si aggiunga che la 
semplificazione della sentenza dovrebbe trovare giustificato contraltare nella 
chiarezza e semplicit� delle procedure di affidamento il che, evidentemente, 
non �. Rischio non calcolato � pertanto il possibile aumento del ricorso al giudice 
di appello, con l�effetto perverso che invece di un solo giudizio di primo 
grado se ne avranno due accelerati e semplificati. Non sembra un gran risultato. 
Forse in sede di conversione potrebbe prevedersi l�obbligatoriet� della 
forma semplificata per il solo giudice di appello cui le parti ricorreranno esclusivamente 
se la motivazione ritenuta �liberamente congrua� dal giudice di 
primo grado non sia soddisfacente. Non sembra infatti idoneo a soddisfare esigenze 
di tutela della certezza in materia di affidamenti cautelarizzare entrambi 
i gradi di giudizio, che rimane pur sempre un giudizio di merito. 

Peraltro la proposta innovazione sembra andare nel senso di una crescente 
deprofessionalit� della giustizia amministrativa cui, proprio su di una materia 
tra le pi� qualificanti della sua giurisdizione, viene chiamata ad un intervento 
decisionale �semplificato� che certo non arricchisce il contributo di chiarifi



cazione che ordinariamente viene offerto dalla giurisprudenza in tema di appalti 
il quale allorch� si consolida, contribuisce a realizzare un effetto deflattivo 
del contenzioso di tutto rilievo. Cos� inaspettatamente leggeremo 
articolate motivazioni delle sentenza su materie dal rilievo economico-normativo 
del tutto marginale e sentenze semplificate nella materia complessa ed 
economicamente onerosa degli affidamenti degli appalti pubblici. 

Sotto altro convergente profilo la decisione semplificata rischia di stimolare 
i ricorsi pi� avventurosi che, come certo avverr�, fonderanno il loro �proprium� 
pi� sulla presumibile incapacit� di un�efficace e tempestiva risposta 
defensionale dell�Amministrazione che sul buon diritto della parte ricorrente. 

Si considerino al riguardo i termini �scannatori� che le nuove norme concedono 
alla parte resistente che deve costituirsi entro trenta giorni dalla avvenuta 
notificazione del ricorso e curare i termini per il deposito di documenti, 
memorie e repliche nel rispetto dei termini �a gambero� di venti, quindici e 
dieci giorni dall�udienza. Non sembra invero che tempi cos� serrati consentano 
adeguata reazione processuale della parte pubblica resistente in cui, per chi 
ha contezza di tale tipo di contenziosi, uno stesso ufficio competente per gli 
affidamenti potrebbe essere chiamato a pi� risposte processuali su tutti gli appalti 
in aggiudicazione. Se � indubitabile che il costo della lentezza giudiziaria 
finisce per scaricarsi sulle tasche dei cittadini, costituisce maggior costo economico 
e sociale per gli stessi che il legislatore non metta in grado l�amministrazione 
di difendersi adeguatamente sul fronte dei pubblici affidamenti. 

La difesa della parte pubblica infatti costituisce un diga di contenimento 
della spesa pubblica cos� come la trasparenza ed efficaci controlli sarebbero 
stata idonei ad evitare lo scandalo del �Mose� di Venezia, viceversa esondato. 
La preoccupazione che il provvedimento in esame non colga l�obiettivo di 
contenere la spesa pubblica in materia di affidamenti trova, per dir cos�, ulteriore 
�conforto� nella delineata deprofessionalizzazione della magistratura 
amministrativa ma anche nella burocratizzazione del ruolo dell�Avvocatura 
dello Stato, rispetto alla sottrazione dei compensi professionali (art. 9 d.l. 
90/2014) ai suoi avvocati viene giustificata con una irragionevole perequazione 
con i dirigenti pubblici. Sicch� tale misura sembra costituire solo un tassello 
di un intuibile piano di parificazione tra dirigenti e avvocati dello stato 
che, quale ulteriore tassello, comporter� con il tempo (neanche troppo) il risucchio 
di tale professionalit� all�interno dei Ministeri con buona pace del-
l�autonomia e alterit� di un Istituto che ha guidato le Casse Erariali dalla fine 
del 1800 passando tra ben due guerre mondiali. Anche questa deprofessionalizzazione 
degli avvocati dello stato non sembra certo idonea a potenziare, se 
questo si intendeva perseguire, la risposta processuale in tema di appalti da 
parte delle molteplici amministrazioni ammesse a patrocinio (istituzionale, 
obbligatorio o facoltativo) dell�Avvocatura dello Stato. La demagogia, come 
la fretta, non � certo buona consigliera. 


DOTTRINA 323 

Si consideri inoltre che la nuova disciplina dettata in materia di ricorsi 
in tema di appalti pubblici non � sagomata in relazione al �valore dell�appalto� 
per cui per quelli di minor importo, avuto riguardo agli oneri economici di 
iscrizione a ruolo del ricorso e di quelli ipotizzabili alla luce dell�art. 26 c.p.c. 
come riformato dal decreto legge in esame, il ricorrente dovr� attentamente 
valutare l�opportunit� del ricorso con il criterio �della soglia di convenienza 
economica di rischio�. Ci� comporter� un effetto di deterrenza per cui i provvedimenti 
di aggiudicazione, pur se illegittimi, tenderanno a consolidarsi per 
mancata impugnazione e ci� produrr� aggiudicazioni meno vantaggiose per 
la pubblica amministrazione e, cosa ancor pi� grave, con buona pace dell�imparzialit� 
e del buon andamento della cosa pubblica. 

Inutile chiedersi cosa avviene se, dopo l�impugnazione introduttiva, venga 
emesso un nuovo provvedimento suscettibile di impugnazione attraverso i c.d. 
motivi aggiunti impropri. Su questo punto va registrato il silenzio assordante 
dell�art. 40 d.l. 90/2014 che tace sia rispetto alla modulazione della disciplina 
del nuovo processo a regime ma anche con riferimento al regime transitorio. 
A tal ultimo riguardo non � intellegibile se motivi aggiunti impropri depositati 
dopo l�entrata in vigore del decreto legge in esame assorbano o siano, viceversa, 
assorbiti dal regime processuale del ricorso introduttivo depositato 
prima dell�entrata in vigore del d.l. 90/2014. 

3. Gi� da un primo e superficiale esame �a caldo� degli illustrati limitati 
aspetti del nuovo processo dettato per l�accelerazione dei giudizi in materia 
di appalti pubblici pu� agevolmente desumersi la conferma di un trend ordinamentale 
che alla ragionevole durata giuridica del processo va sostituendo 
una ragionevolezza economica della durata processo che, disinteressandosi 
del giudizio sui diritti azionati in causa, postula la mera sopportabilit� del peso 
economico processuale per la collettivit�. 

Se, infatti, per la collettivit� il processo si riduce solo ad una res inter 
alios acta e non � pi� strumento di disciplina e pacificazione dei rapporti sociali 
e di certezza del diritto, il tempo riservato al giudizio dovr� essere solo 
economicamente sostenibile. E anche questo non sembra un passo avanti. Non 
sembra in definitiva che il decreto legge in esame abbia in materia trovato un 
corretto punto di equilibrio tra processo e giudizio finendo con spingere l�accelerazione 
del primo oltre una legittima compressione del secondo. Procedendo 
per tal via, raggiunta la stabilit� economica, andr� verificata e ricostruita 
la corretta distanza tra processo e giudizio. E questo obiettivo � tutt�altro che 
agevole non essendo traducibile in parametri economici. 


Il problema (irrisolto) del rapporto tra esame del ricorso 
principale e ricorso incidentale alla luce dei principi comunitari 

Angela Fragomeni* 

SOMMARIO: 1. Breve sintesi della problematica secondo la giurisprudenza del giudice 
civile e del giudice amministrativo di primo e secondo grado - 2. Segue. Le nuove Adunanze 
Plenarie del 2014 nel solco dell�Adunanza 4/2011 - 3. Il punto di vista comunitario: principi 
e giurisprudenza della Corte di giustizia sul tema dell�effettivit� della tutela giurisdizionale 
e del giusto processo: uno sguardo particolare alle nuove direttive appalti e concessioni pubblicate 
nella G.U.C.E. del 28 marzo 2014 - 4. Le divergenze intorno al concetto di oggetto 
del processo amministrativo e di domande giudiziali - 5. Brevi conclusioni: opportunit� di 
un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia della problematica in oggetto - 6. Segue. 
Il rischio di azioni di risarcimento danni contro il Governo italiano sia in sede comunitaria 
che interna. 

1. Breve sintesi della problematica secondo la giurisprudenza del giudice civile 
e del giudice amministrativo di primo e secondo grado. 

Nel processo amministrativo la domanda giudiziale assume la forma del 
ricorso, attraverso il quale viene introdotto il giudizio. L�introduzione del giudizio 
con ricorso � rimasta ferma anche quando � stata attribuita al giudice 
amministrativo una giurisdizione esclusiva, in cui si ammettono azioni di accertamento. 
Non � venuta meno neanche quando il processo si � svolto in assenza 
dell�impugnazione di un provvedimento, ovvero nei casi di questioni 
risarcitorie nonch� di richieste di accertamento della nullit� degli atti amministrativi, 
ai sensi dell�art. 21-septies della l. 241/1990, ed oggi dell�art. 31 

c.p.a. Posto quindi che il modello del ricorso, quale mera forma dell�atto introduttivo, 
� rimasto invariato nel rito ordinario e negli altri riti processuali, � 
rimasta preclusa l�utilizzabilit� nel processo amministrativo dell�atto di citazione. 
Del resto si consideri che col termine <<ricorso>> nel processo amministrativo 
non si fa riferimento ad un atto introduttivo che viene presentato 
all�organo giurisdizionale prima dell�instaurazione del contraddittorio con le 
parti interessate, poich� di norma il ricorso viene prima notificato alle altre 
parti ed in seguito depositato ai sensi dell�art. 45 c.p.a. � notorio peraltro come 
la dottrina, impegnata nella ricostruzione delle principali caratteristiche strutturali 
del processo amministrativo, abbia molto dibattuto in ordine alla riconduzione 
di quest�ultimo ai processi di citazione o da ricorso (1). 

Il tema, un tempo, veniva sviluppato nel contesto della configurazione 
del processo come processo di parti, coniugando il rilievo del contraddittorio 

(*) Avvocato del libero Foro. 

(1) TROPEA G., Il ricorso incidentale nel processo amministrativo, ESI, Napoli, 2007, p. 61 e ss. 


DOTTRINA 325 

con i principi �ne eat iudex ultra petita partium et iudicare iuxta alligata� (2). 
Si riteneva quindi che il processo amministrativo - pur se tra parti - fosse da 
considerare <<da ricorso>>, perch� in gioco sarebbe stata l�affermazione del-
l�invalidit� di un atto amministrativo, e non un rapporto giuridico. Seguendo 
tale schema, quindi, l�atto determinativo del processo amministrativo veniva 
qualificato come vocatio iudicis e non come vocatio in ius, come invece negli 
ordinari processi di cognizione. Il ricorso era teleologicamente orientato quindi 
ad individuare il giudice della controversia. Il processo da ricorso si caratterizzava 
quindi per il fatto di essere diretto ad assicurare una decisione su controversie 
che non fossero paritarie. Questa impostazione, a lungo avallata dalla 
dottrina, nonch� dalla stessa giurisprudenza, tuttavia non � stata immune da 
critiche: secondo un differente orientamento, infatti, le norme che dispongono 
che il ricorso debba essere notificato entro i termini stabiliti a pena di decadenza 
identificano in tale momento l�inizio del rapporto processuale; l�onere 
del deposito costituirebbe un mero adempimento che condiziona lo svolgimento 
del processo e la cui inosservanza determina l�estinzione del processo 
gi� sorto (3). Recentemente, invece, evidenziandosi la circostanza che l�adempimento 
imposto al ricorrente ai fini del rispetto del termine � costituito non 
dal deposito del ricorso, ma dalla notifica del medesimo all�amministrazione 
e al controinteressato, si � ritenuto che tutt�al pi� si possa parlare di una forma 
mista, di un compromesso risultante dalla sommatoria delle due modalit�, in 
cui il deposito avrebbe valore di un adempimento che condiziona la costituzione 
di un processo gi� istituito (4). 

L�evoluzione normativa di alcuni istituti del processo, nonch� le norme 
che nei giudizi d�impugnazione o incidentali qualificano come proposta la domanda 
con la sua notificazione, si pongono in contrasto col rigido formalismo. 
Anche il richiamo al modello originario del ricorso in cassazione non sembra 
attendibile dal momento che la limitazione della cognizione del fatto non sembra 
pi� sostenibile come base di tale accostamento. Lo stesso legislatore del 

(2) La tesi esposta nel testo � di BENVENUTI F., voce �Contraddittorio�, in Enc. Dir., IX, Milano 
1961; voce �Processo amministrativo� (struttura), in Enc. Dir., XXXVI, Milano, 1987. 
(3) PIRAS A., Interesse legittimo e giudizio amministrartivo, in Noviss. Dig. It., XIII, Torino, 1966, 


p. 1080. 
(4) CORLETTO D., La tutela dei terzi nel processo amministrativo, Cedam, Padova, 1992, p. 169 
e ss. Secondo l�Autore, la rilevanza dell�onere di deposito sarebbe semplicemente quella di un adempimento 
che condiziona la costituzione di un processo gi� istituito: secondo questa tesi, in un vero e proprio 
processo da ricorso dovrebbe essere possibile la domanda a prescindere dalla notifica ai controinteressati. 
Ed ancora, CORLETTO D., in La tutela dei terzi, p. 177: �L�aver imposto al ricorrente il compito di garantire 
la posizione dei contro interessati secondo il modello processualcivilistico della preventiva citazione 
ha creato un punto di contraddizione ovverosia una strettoia pratica e concettuale dalla quale 
sono derivate una serie di conseguenze negative, a partire dalle difficolt� che si incontrano nella costruzione 
di una teoria delle parti del processo amministrativo, alle lacune nella garanzia dei controinteressati 
fino alla differenziazione, che pare indifendibile, fra contro interessati, che sono parti necessarie 
e altri che pure a parit� di posizione sostanziale tra i primi, non lo sono� (La tutela dei terzi, p. 177). 



processo civile ha dimostrato che l�impiego del processo � da ricorso� non rileva 
tanto al fine teorico di distinguere la posizione dedotta o il tipo di rapporto 
tra le parti, ma a quello di rendere pi� spedito l�iter processuale. Sicch� si ritiene 
che la distinzione tra processo da citazione e da ricorso non abbia alcuna 
conseguenza sullo svolgimento del giudizio e neppure in relazione alla configurazione 
dei rapporti tra le parti nonch� fra le parti ed il giudice. 

Il legislatore del c.p.a. menzionando negli artt. 34, 35, 40 la parola <<ricorso>> 
conferma l�idea tradizionale secondo cui il processo amministrativo 
si manifesta come processo da ricorso, portando ad identificare nell�atto introduttivo 
la funzione di editio actionis e non quella di vocatio in ius, individuandosi 
la litispendenza nel deposito del ricorso. Inoltre l�art. 49 c.p.a. l� 
dove prevede che l�integrazione del contraddittorio non � ordinata nel caso in 
cui il ricorso sia manifestatamente irricevibile, inammissibile, improcedibile 

o infondato, pare ammettere la pronuncia della domanda del ricorrente senza 
che tutte le controparti vengano intimate, conclusione che si pone in profondo 
dissidio col giudizio su citazione (5). Con particolare riferimento al dato sistematico, 
e volgendo lo sguardo dell�osservatore al giudizio sul rapporto, le 
questioni coinvolte sono di non poco momento: basti pensare all�istanza costituzionale 
dell�effettivit� della tutela, e di conseguenza, alla considerazione 
dei limiti e dell�oggetto dell�accertamento del g.a., sia sui comportamenti 
dell�amministrazione, sia nella definizione di ci� che spetta al privato, col relativo 
vincolo a carico dell�autorit� nell�ambito del riesercizio del potere (6). 
In tal senso, la problematica � inerente al contraddittorio processuale e pu� 
essere inquadrata sul piano statico, ritenendo che l�individuazione delle parti 
non avviene nel momento in cui la p.a. cristallizza la situazione reale mediante 
estrinsecazione del potere nel provvedimento, bens� al momento della valutazione 
degli interessi in gioco. Tale aspetto viene valutato alla luce del meccanismo 
ex art. 102 c.p.c., sebbene quel che appare in realt� pi� interessante � il 
profilo dinamico (7). Appare chiara, almeno in apparenza, la conferma del 
processo amministrativo come processo di diritto soggettivo e di parti, connotato 
dal principio della domanda e dal dovere di corrispondenza tra chiesto 
e pronunciato. Oltre a trovare immediata tutela nella Carta Costituzionale, con 
particolare riferimento al cittadino nei confronti della p.a., lo tratta altres� il 
c.p.a., laddove l�iniziativa processuale si sostanzia nella notifica e nel deposito 
dell�atto introduttivo. Inoltre le sole parti delimitano l�oggetto del giudizio ed 
� escluso un concorrente potere del giudice. D�altra parte, nonostante il codice 
del processo abbia avuto l�occasione d�indicare il principio della domanda tra 
(5) GALLO C.E., Manuale di giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino, 2012, p. 125. 
(6) CORSO G., Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2010, p. 232. 
(7) VERDE G., Norme processuali ordinarie e processo amministrativo, in Foro It., 1985, fasc. V, 




p. 157 e ss. 



DOTTRINA 327 

quelli generali, il vincolo del giudice ai limiti della domanda � stabilito all�art. 
34, comma 1, che fa riferimento alla necessit� che il giudice, nell�accogliere 
il ricorso, si pronunci �entro i limiti della domanda�. 

Laddove il giudizio preveda la presenza, accanto alle parti necessarie 
anche del c.d. controinteressato, quest�ultimo (mentre per il resto � del tutto 
parificato all�amministrazione resistente, nel senso che pu� avvalersi degli 
strumenti dialettici, e documentali difensivi) � talvolta legittimato ad avvalersi 
di un ulteriore specifico mezzo di difesa che incide profondamente sull�economia 
processuale, ovverosia il ricorso incidentale. Il controinteressato pu� 
spingersi al di l� di una pura e semplice contestazione delle censure dedotte 
dal ricorrente contro il provvedimento di cui � beneficiario. Il ricorso incidentale 
consente di proporre formale impugnazione contro lo stesso provvedimento 
oggetto dell�impugnazione principale, o ad altro strettamente connesso, 
per far valere contro quest�ultimo un vizio differente rispetto a quelli dedotti 
dal ricorrente, nonch� tale da condurre, nell�ipotesi di accoglimento, all�annullamento 
dell�atto a favore del ricorrente incidentale, nonch� alla sopravvenuta 
carenza d�interesse in capo al ricorrente principale. L�interesse nascente 
in capo al ricorrente principale � determinato da un vantaggio possibile dal 
provvedimento impugnato. La sua posizione invece � qualificata dalla conservazione 
di tale vantaggio. A tal fine, infatti, � proteso l�inserimento nel giudizio 
di un thema decidendum accessorio, non caratterizzato quindi dal 
carattere dell�autonomia. Presupposto di ammissibilit� dell�ampliamento del 
thema decidendum derivante dalla proposizione del gravame incidentale � la 
circostanza che l�interesse all�impugnazione dello stesso o di un atto diverso 
nasca in occasione e per effetto dell�impugnazione in via principale ed in funzione 
solo di questa, giacch� diversamente verrebbe ad essere elusa la perentoriet� 
dei termini fissati dalla legge per la verifica di legittimit� dei 
provvedimenti amministrativi. 

Il ricorso incidentale, pertanto, dovrebbe avere natura accessoria rispetto 
a quello principale. Stando al significato letterale del termine �accessorio�, 
accessorium sequitur principale, il ricorso principale potrebbe pertanto esser 
dichiarato inammissibile o infondato senza che sia necessario approfondire le 
ragioni del ricorrente incidentale. Soltanto in caso di favorevole sito del ricorso 
principale il Giudice sarebbe tenuto a prendere in esame il ricorso incidentale. 
Non sempre, tuttavia, la dinamica processuale � cos� lineare, dal momento che 
il ricorso incidentale potrebbe contenere cesure o meglio eccezioni che hanno 
un carattere assorbente o paralizzante del ricorso principale. L�orientamento 
tradizionale della giurisprudenza, sia in materia civile che amministrativa, � 
stato nel senso che il ricorso incidentale andr� esaminato dopo quello principale 
e, solo nel caso di riconosciuta ed astratta fondatezza di quest�ultimo, 
andr� preso in considerazione, poich� in genere esso opera come eccezione 
processuale in senso tecnico e subisce una deroga laddove sia proposto un ri



corso incidentale tendente a paralizzare l�azione principale per ragioni di ordine 
processuale. L�organo giudicante sar� evidentemente tenuto a dare la precedenza 
alle questioni sollevate dal controinteressato, ovverosia dal ricorrente 
incidentale che abbiano priorit� logica su quelle sollevate dal ricorrente principale. 
In sostanza il ricorso incidentale � una vera e propria eccezione che 
tende a paralizzare il ricorso principale, perch� il controinteressato, chiedendo 
un�utilit� maggiore rispetto a quella attribuitagli dall�amministrazione con il 
provvedimento contestato, oppure di attribuire uno svantaggio ulteriore nei 
confronti del ricorrente sfuggito alla valutazione dell�amministrazione aspira 
alla declaratoria d�inammissibilit� del ricorso principale stesso per carenza 
d�interesse. Ecco spiegata la ragione per cui, spesso, la giurisprudenza � portata 
ad esaminare in via preliminare il ricorso incidentale per verificare se, innanzitutto, 
sia fondata la motivazione posta a suffragare il ricorso incidentale, con 
la quale si contesta al ricorrente principale il possesso di un requisito di partecipazione 
al concorso, oppure si censura l�operato dell�amministrazione. La 
giurisprudenza si � a lungo interrogata, quindi, sulle priorit� da dare, ovverosia 
dare la precedenza al ricorso proposto cronologicamente per primo dal ricorrente 
principale ovvero dare la priorit� a quello avanzato dal controinteressato 
ricorrente incidentale? (8). Non � stato semplice n� lineare rispondere al suddetto 
quesito. Tutt�altro. In un primo momento, infatti, ci si � orientati nel 
senso di effettuare una valutazione caso per caso, verificando di volta in volta 
se convenga esaminare prima il ricorso principale o quello incidentale. Successivamente, 
invece, si � sostenuto che bisogna sottoporre all�esame del giudice 
il ricorso incidentale (9) nel momento in cui sia diretto a contestare il 
possesso del requisito di partecipazione alla procedura concorsuale del ricorrente 
principale (10). La giurisprudenza comunitaria si � pronunciata di recente 
in materia di ricorsi con riferimento all�aggiudicazione di appalti pubblici. Si 
� data la priorit� al valore concorrenziale della normativa processuale sovranazionale: 
pertanto dato che l�interesse maggiore � costituito dall�aggiudicazione 
disposta in favore della migliore offerta che possa essere conseguita, se 
il secondo in graduatoria propone un ricorso, ancorch� non abbia i requisiti 
per conseguire l�aggiudicazione, che non siano posseduti neppure dall�aggiudicatario 
(nelle vesti del ricorrente incidentale), il primo vanta un interesse 

(8) LEONE G., Elementi di diritto processuale amministrativo, III edizione, Cedam, Roma, 2014, 

p. 194. 

(9) In tal caso si parla del c.d. ricorso escludente, in particolare se proposto in vicende contenziose 
riguardanti pubbliche gare d�appalto: quello in cui il ricorrente incidentale assume che tutte le ricorrenti 
principali avrebbero dovuto essere escluse dalla procedura selettiva, con la conseguente sopravvenuta 
carenza di legittimazione a contrastare i risultati di una gara rispetto alla quale l�interesse azionato 
avrebbe assunto il carattere di mero fatto. 
(10) Nel caso in oggetto si contestava l�ammissione alla gara del ricorrente principale per carenza 
dei requisiti di partecipazione: qualora venisse accolta la censura, il ricorrente sarebbe titolare di un 
mero interesse o interesse semplice, non anche di un interesse legittimo (Adunanza Plenaria n. 4/2011). 



DOTTRINA 329 

strumentale alla reintegrazione della gara degno di esser preso in considerazione 
(11). A ben guardare, gi� a partire dagli anni �90, una consistente giurisprudenza 
osservava che, nel caso in cui sia proposto un ricorso incidentale 
tendente a paralizzare l�azione principale per ragioni di ordine processuale, il 
giudice sar� tenuto a dare la precedenza alle questioni sollevate dal ricorrente 
incidentale che abbiano priorit� logica su quelle sollevate dal ricorrente principale. 
Tali sono le questioni che si riverberano sull�esistenza della legittimazione 
e interesse a ricorrere del ricorrente principale, perch�, pur profilandosi 
come questioni di merito, producono effetti sull�esistenza di una condizione 
dell�azione e quindi su una questione di rito. � questo il caso del ricorso proposto 
in ordine ad un aspetto del procedimento in contestazione che incide 
sulla stessa legittimit� della partecipazione del ricorrente. Si pensi all�ipotesi 
del ricorso principale proposto dal concorrente non vincitore di una gara o di 
un concorso contro la graduatoria di selezione. In tale ipotesi, quando il ricorso 
incidentale si rivolge contro l�ammissione del ricorrente principale, si prospetta 
una questione riguardante la stessa legittimazione ad agire, che ha priorit� 
rispetto alle altre. In concreto, tale giurisprudenza riteneva che in materia 
di gare d�appalto l�esame del ricorso incidentale deve precedere l�esame del 
ricorso principale qualora l�impresa vincitrice deduca che l�impresa pretermessa 
doveva essere in radice esclusa dalla gara. La giurisprudenza aveva ribadito 
che fosse necessario passare attraverso la proposizione del ricorso 
incidentale per poter contestare la legittimazione del ricorrente principale. 
L�orientamento della giurisprudenza immediatamente successivo invece, con 
specifico riferimento all�ordine d�esame di ricorso principale ed incidentale 
in caso di gara d�appalto con due soli concorrenti utilmente classificati (ovverosia 
ricorrente principale e ricorrente incidentale) � stato differente. Fermo 
restando l�esame prioritario del ricorso incidentale tendente a paralizzare (12) 
l�azione del ricorrente principale, si � affermato che anche laddove vi fosse 

(11) Principi dichiarati dalla CGUE con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, con riferimento 
alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio pregiudiziale, in cui due soltanto erano le imprese 
partecipanti a una procedura di affidamento di appalti pubblici, se siano anche applicabili, in ragione di 
un sostanziale isomorfismo della fattispecie contenziosa, anche nel caso in cui le imprese partecipanti 
alla procedura di gara, sebbene ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione 
appaltante, senza che risulti l�intervenuta impugnazione di detta esclusione da parte di imprese 
diverse da quelle coinvolte nel giudizio amministrativo, di guisa che la res controversa risulta di fatto 
circoscritta soltanto a due imprese. 
(12) Il supremo consesso amministrativo che si � espresso in materia di aggiudicazione di contratti 
pubblici ha stabilito che il giudice amministrativo, una volta accolto il ricorso incidentale a carattere 
paralizzante, ovverosia volto all�esclusione dalla gara del ricorrente principale e accertato, quindi che 
avrebbe dovuto essere escluso, deve di regola dichiarare l�inammissibilit� del ricorso principale per carenza 
di legittimazione del ricorrente. Tale regola viene ritenuta compatibile coi principi espressi dalla 
direttiva c.d. ricorsi n. 2007/66/Ce, della non discriminazione tra le imprese al fine di deduzione di un 
pregiudizio nell�ambito della procedura di aggiudicazione dell�appalto e abbia subito o rischi di subire 
una lesione della sua posizione (Cons. di Stato, sez. VI, sentenza 15 giugno 2011, n. 3655). 



stato l�accoglimento del ricorso incidentale, quello principale comunque non 
sarebbe stato improcedibile. Nella fattispecie di gare con due soli concorrenti 
utilmente classificati, il ricorrente principale vanterebbe un interesse all�esame 
nel merito della sua impugnazione anche qualora l�accoglimento del ricorso 
incidentale, ex adverso proposto, abbia in qualche modo pregiudicato la possibilit� 
di conseguire in via immediata l�appalto. Tale interesse secondario sopravviverebbe 
all�effetto di paralisi che l�accoglimento del ricorso incidentale 
determina sull�interesse primario all�aggiudicazione, perseguito dal ricorrente 
principale. In tale ipotesi, difatti, in caso d�infondatezza di entrambi i ricorsi, 
potrebbe apparire pi� congrua una decisione che disponendo l�annullamento 
degli atti contestati, determini il rinnovo delle operazioni concorsuali. Rimane 
pur sempre pacifico il fatto che, laddove ricorra la fondatezza del ricorso incidentale, 
il ricorrente principale potrebbe vantare un interesse strumentale al 
rinnovo della gara. Il ricorrente incidentale, invece, attraverso l�accoglimento 
della propria domanda otterrebbe un risultato utile che consiste nella possibilit� 
di partecipare al provvedimento. Quest�orientamento, tuttavia, non � stato 
privo di critiche in quanto vi erano decisioni che ribadivano l�impostazione 
tradizionale in ordine alla quale il criterio generale di rito non pu� trovare deroga 
nell�ipotesi in cui i ricorsi siano stati proposti dagli unici due rappresentanti 
alla gara d�appalto. 

� vero, infatti, che l�accoglimento del ricorso incidentale inerente ad una 
causa di esclusione dalla gara del ricorrente principale inciderebbe sull�improcedibilit� 
del ricorso principale, basandosi sul mero riscontro della perdita di 
legittimazione e, quindi, sul venir meno di una condizione dell�azione, la quale 
dovr� invece permanere in capo all�istante fino alla decisione. Anche considerando 
l�eventualit� appena esposta, l�accoglimento del ricorso incidentale metter� 
in discussione lo stesso titolo di legittimazione dell�impresa originaria 
ricorrente a proporre il gravame principale. Per effetto di tale accoglimento, in-
vero, l�impresa medesima risulta esclusa dalla gara d�appalto in materia, il che 
vuol dire che viene meno la legittimazione stessa della ricorrente originaria al-
l�impugnazione: la legittima partecipazione alla gara risulta quale necessario 
presupposto ai fini della legittimazione, che radica (nell�impresa concorrente) 
l�interesse ad impugnare l�aggiudicazione e, di contro, l�estromissione dalla 
procedura concorsuale. La legittimazione sar� fonte della perdita del titolo a 
dedurre vizi inerenti alle ulteriori fasi della procedura medesima, atteso che, 
nel vigente ordinamento processuale, chi non ha la legittimazione all�impugnazione 
non pu� far valere vizi a carico del controinteressato. 

A ben guardare, permangono e possono essere definite ancora come emblematiche 
alcune questioni di fondo: esistono alcuni riti speciali, come 
quello in materia di appalti pubblici, servizi e forniture, ex artt. 120 e ss. 
c.p.a., rispetto ai quali si dibatte circa l�eventuale attuazione del principio 
dispositivo della domanda. In generale, si registrano alcuni orientamenti pro



DOTTRINA 331 

cessuali che, a garanzia di rilevanti istanze, anche comunitarie, di effettivit� 
della tutela portano a conclusioni non in linea col carattere soggettivo e di 
parte della tutela (13). 

A tal punto sembra opportuno fare una breve panoramica sull�orientamento 
dal giudice amministrativo. Secondo una posizione �tradizionale� � 
esclusa la titolarit� di una posizione giuridica soggettiva quando il ricorrente 
principale avrebbe dovuto essere escluso dalla gara per mancanza dei requisiti. 
Secondo un differente orientamento, invece, nel momento in cui il ricorrente 
principale vanta la tutela di un interesse solamente �strumentale�, vale 
a dire alla mera riproposizione della gara, si parla d�inammissibilit� del ricorso. 
Un ulteriore orientamento minoritario, invece, ha sostenuto che dapprima 
deve essere esaminato il ricorso principale e, solo nel caso di 
fondatezza, sorge l�interesse dell�aggiudicataria all�esame del suo ricorso incidentale, 
avente quindi carattere accessorio. Per quel che concerne il concetto 
d�interesse strumentale, questo sarebbe privo di attualit� e concretezza, dal 
momento che la stazione appaltante non � tenuta a pubblicare un nuovo 
bando, essendo tale scelta puramente discrezionale e dipendente dal verificarsi 
di alcuni presupposti, quali la permanenza delle condizioni per l�esecuzione 
dell�opera, nonch� la disponibilit� finanziaria. La relativa pretesa, inoltre, non 
sarebbe azionabile in sede d�ottemperanza del giudicato: ci� che � proprio di 
ogni situazione soggettiva avente la consistenza d�interesse legittimo. Dunque 
quel che occorre rimeditare � la configurazione dell�interesse al rinnovo della 
gara come interesse legittimo. Si noti che, il principio sancito dall�Adunanza 
Plenaria del 2008, in un giudizio limitato a soli due classificati, vanificherebbe 
l�interesse strumentale, dal momento che l�accoglimento simultaneo dei ricorsi 
principale e incidentale, nonch� la reciproca esclusione dei due contendenti 
avvantaggerebbe il terzo classificato, rimasto estraneo al giudizio. Per 
poter giustificare l�interesse strumentale all�annullamento della gara, il ricorrente 
principale dovrebbe proporre ricorso anche nei confronti di tutti gli altri 
in graduatoria e chiederne l�esclusione. Solo laddove tutti fossero esclusi l�accoglimento 
dei ricorsi comporterebbe l�annullamento dell�intera procedura. 
Tale appare la conclusione cui si � giunti qualche anno dopo con la pronuncia 
del supremo consesso amministrativo (14), in cui il ricorrente principale a 
fronte del ricorso incidentale dell�aggiudicatario, per fondare il proprio interesse 
strumentale all�annullamento della gara, aveva proposto censure anche 
contro l�ammissione in gara della terza classificata, scatenando le impugnazioni 
incrociate di tutti i concorrenti. La soluzione data dalla pronuncia in parola 
sembra avere un risvolto pratico: evitare la proliferazione del 

(13) CONTESSA C., Tendenze evolutive del processo amministrativo tra disponibilit� delle parti e 
controllo di legalit�, in www.giustizia-amministrativa.it. 

(14) Adunanza Plenaria Cons. St. n. 4 del 2011. 


contenzioso, concetto diametralmente opposto a quello di giustizia (15). 

2. Segue. Le nuove Adunanze Plenarie del 2014 nel solco dell�Adunanza 
4/2011. 

Ribaltando le conclusioni accolte nel 2008, con la Plenaria n. 4 del 2011 
si � affermato il principio di diritto per cui il ricorso incidentale, diretto a contestare 
la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della 
sua ammissione alla procedura di gara, deve essere riesaminato anche nel caso 
in cui il ricorrente principale alleghi l�interesse strumentale alla rinnovazione 
dell�intera procedura. L�esame prioritario del ricorso principale sarebbe ammesso, 
invece, per ragioni di economia processuale, solo qualora fosse evidente 
la sua infondatezza, inammissibilit�, irricevibilit� o improcedibilit�. 
Nella decisione in esame, si afferma che l�interesse strumentale, lungi dal 
configurarsi come interesse legittimo (qualificato e differenziato) altro non � 
che un interesse al rispetto della legalit�, avvolto da riferimenti soggettivi. 
Pertanto, surrogare la posizione legittimante con l�interesse strumentale 
avrebbe l�effetto di configurare la giurisdizione amministrativa, in subiecta 
materia, come oggettiva verifica del rispetto della legalit�, conferendole una 
funzione non prevista dall�ordinamento. Il principio di diritto enunciato dalla 
Plenaria s�inquadra in un contesto di regole processuali (16) nel cui solco interpretativo 
successivo � opportuno fare menzione in particolare dell�intervento 
dei giudici di Palazzo Spada (17), nel quale, disattendendo la questione 
di compatibilit� comunitaria e costituzionale sollevata dalle parti, si � affermato 
che i principi della Plenaria n. 4/2011 non si pongono in contrasto con 
quelli comunitari di non discriminazione tra le imprese e paritaria accessibilit� 
al ricorso da parte di chiunque abbia interesse all�aggiudicazione all�appalto. 
Quel che appare particolarmente interessante ai fini di questa trattazione � tuttavia 
ripercorrere proprio l�articolata argomentazione disattesa. Si � sostenuta, 

(15) FIDONE G., Accoglimento del ricorso incidentale escludente ed inammissibilit� del ricorso 
principale, in Giornale di diritto amministrativo n. 12 del 2011, commento alla sentenza del Consiglio 
di Stato n. 3655 del 2011. 
(16) Nello specifico: a) l�esame delle questioni preliminari deve sempre precedere la valutazione 
di merito della domanda formulata dal ricorrente; b) il vaglio delle condizioni e dei presupposti del-
l�azione, comprensivo dell�accertamento della legittimazione ad agire, nonch� dell�interesse al ricorso 
va saldamente inquadrato nell�ambito delle questioni pregiudiziali; c) il ricorso incidentale costituisce 
uno strumento perfettamente idoneo ad introdurre, nel giudizio, una questione di carattere pregiudiziale 
rispetto al merito della domanda; d) la nozione d�interesse strumentale non identifica un�autonoma posizione 
giuridica soggettiva, ma indica il rapporto di utilit� tra l�accertata legittimazione al ricorso e la 
domanda formulata dal ricorrente; e) salve puntuali eccezioni, individuate in coerenza col diritto comunitario, 
la legittimazione al ricorso, in materia di affidamento di contratti pubblici, spetta solo al soggetto 
che abbia legittimamente partecipato alla procedura selettiva; f) il controllo sulla stessa assume sempre 
carattere pregiudiziale rispetto all�esame del merito della domanda, in coerenza con la natura processuale 
delle condizioni dell�azione e col principio dispositivo e dell�impulso di parte. 


(17) Si fa riferimento alla sentenza del Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3655. 


DOTTRINA 333 

infatti, la violazione del diritto ad un ricorso effettivo ed efficace (che � principio 
fondamentale del diritto comunitario e interno) a fronte di vizi genetici 
dell�intera procedura di gara, comportanti il suo integrale annullamento, come 
sono stati quelli dedotti con il ricorso principale in primo grado per la stretta 
connessione tra atti e comportamenti presupposti; inoltre, si � configurata la 
titolarit� di una situazione giuridica soggettiva di diritto comunitario che, nel 
settore degli appalti, non � di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo in 
caso di interesse ad aggiudicazione e lesione subita ad effetto dell�illegittimit� 
degli atti introduttivi e di svolgimento della gara (18). E ancora, che il ricorso 
incidentale non pu� paralizzare l�azione a tutela del diritto comunitario degli 
appalti, attraverso l�eccezione della mancata dichiarazione del possesso dei 
requisiti, n� evitare l�annullamento della gara se tali dichiarazioni manchino 
anche per il ricorrente incidentale; come, altres�, la necessit� di esaminare 
congiuntamente il ricorso principale e quello incidentale che si fonda sulla 
normativa del Codice del processo amministrativo. Stando infatti ai principi 
di cui agli articoli 1 e 2 c.p.a., si istituisce per gli appalti pubblici una giurisdizione 
esclusiva volta a sindacare l�intero esercizio del potere amministrativo, 
che non pu� essere limitata se la domanda principale non riguarda 
soltanto il possesso dei requisiti ma concerne la regolarit� delle leggi di gara, 

o eventi che abbiano inciso sulla sua liceit�, pena, altrimenti, una duplice violazione 
del diritto comunitario (quanto alla effettivit� della tutela e alla garanzia 
della libera concorrenza). Ci� rilevato, nel caso di mancata adesione, 
si � chiesto il rinvio pregiudiziale (19) alla Corte di Giustizia, ai sensi dell�art. 
267 del TFUE, affinch� ne accertasse l�interpretazione; ovvero la questione di 
legittimit� costituzionale, in relazione ai principi di effettivit� e pienezza della 
tutela giurisdizionale, del giusto processo, dei vincoli posti dall�ordinamento 
comunitario e dagli obblighi internazionali, altres� violati se con l�art. 99 del 
Codice del processo amministrativo si ritenga attribuita all�Adunanza Plenaria 
del Consiglio di Stato la possibilit� di adottare interpretazioni contrastanti con 
i detti principi; in conclusione altres� la disapplicazione dell�art. 42 del Codice 
del processo amministrativo in tema di effetti paralizzanti, laddove ogni interpretazione 
prescelta fosse risultata incompatibile con i principi comunitari 
e costituzionali richiamati. 

La decisione dell�Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 � stata inoltre messa 
in dubbio dal Tar per il Piemonte e dal Tar del Lazio che hanno sollevato dubbi 
sulla correttezza del principio annunciato dal Supremo Consesso, secondo cui 
il ricorso incidentale interdittivo andrebbe sempre esaminato in via principale 

(18) I paragrafi 2 e 3 dell�art. 1 della direttiva 2007/66/CE, che escludono la limitazione della ricorribilit� 
per chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l�aggiudicazione e sia stato o rischi di 
essere leso a causa di una presunta violazione, non sono stati recepiti con il d.lgs. n. 53 del 2010. 

(19) Si rimanda al paragrafo 5 di questo elaborato per la relativa disamina. 


e la sua fondatezza comporterebbe il venir meno della legittimazione ad agire 
del ricorrente principale. In particolare il Tar per il Piemonte ha sollevato il 
dubbio che l�applicazione di tale principio di diritto processuale elaborato 
dall�Adunanza Plenaria, potrebbe determinare nella sostanza anche il principio 
di non discriminazione e di libera concorrenza, tutelati dall�ordinamento comunitario. 
Anche il Tar per il Lazio (20) ha affermato come il principio 
espresso dal Supremo Consesso nel 2011 non sia completamente condivisibile, 
ovvero non possa trovare applicazione in ogni caso, dovendo piuttosto trovare 
un contemperamento nella valutazione della singola vicenda controversa, cos� 
da evitare di giungere a soluzioni illogiche ed irragionevoli dei casi concreti 
sottoposti all�esame del giudice amministrativo (21). 

Il Tar Piemonte, dopo aver compiuto una verifica istruttoria, sulla base 
della quale conclude che entrambi i ricorsi sarebbero fondati, sicch� l�esito 
dovrebbe essere l�annullamento dell�intera gara, osserva che, se dovesse applicare 
il principio enunciato dalla Plenaria n. 4/2011, dovrebbe accogliere il 
ricorso incidentale dichiarando inammissibile quello principale. Ad avviso del 
Tar, tale risultato non sarebbe tuttavia conforme ai principi di effettivit� della 
tutela. Pertanto il Tar ritiene rilevante e sottopone la questione alla Corte di 
giustizia CE: a tal proposito sono stati sollevati dubbi in dottrina sulla correttezza 
formale e sostanziale dell�ordinanza (22) stessa. La Corte di Giustizia 

(20) Si tratta della sentenza n. 197 del 10 gennaio 2012. 

(21) PELLEGRINO G., I rapporti tra ricorso principale e incidentale ancora sotto i riflettori nazionali 
e comunitari, in Il nuovo Diritto amministrativo, Roma, n. 1/2012, p. 159 e ss. 
(22) La pronuncia � stata altres� criticata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte: si � ritenuto 
infatti che nell�affermare in materia di procedure di gara il principio secondo cui il ricorso incidentale, 
diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione 
alla procedura di gara deve essere sempre esaminato in via prioritaria, finisce per �punire� una sola impresa, 
favorendo inevitabilmente l�altra col mantenimento di un�aggiudicazione illegittima (Cass. 
SS.UU., sentenza 21 giugno 2012, n. 10294). Sembra opportuno rammentare che la non impugnabilit� 
davanti alla Corte di Cassazione delle sentenze del Consiglio di Stato (eccetto che per i motivi attinenti 
alla giurisdizione) sussiste in base ad una preclusione stabilita a livello costituzionale ex art. 111, comma 


8. A proposito, l�ampliamento dei motivi di giurisdizione presuppone che si affronti la giustizia amministrativa 
nell�ottica di un sistema o meglio di un ordinamento giuridico in evoluzione. Sistema inciso 
sia da interventi legislativi, nonch� alla luce del principio di effettivit� comunitaria, intesa come pienezza 
della tutela. In tal senso, FERRONI M.V. in Il ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di 
Stato, in Studi di diritto processuale amministrativo, Collana diretta da PICOZZA E., SASSANI B., Cedam, 
Padova, 2005, p. 280; si noti inoltre che il mancato rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato 
alla Corte di Giustizia � stato configurato in pi� occasioni come mero limite interno di giurisdizione, 
con la conseguenza che la violazione della norma corrispondente non pu� essere fatta valere dinnanzi 
alla Corte di Cassazione. In tal modo si � persa l�occasione di riconoscere l�operativit� di un rimedio di 
diritto interno all�inerzia dell�organo giurisdizionale di ultima istanza. La funzione nomofilattica del 
Consiglio di Stato ha ad oggetto le norme nazionali che sia chiamato ad interpretare ed applicare ai fini 
della definizione del ricorso, non anche le norme del diritto europeo, sulle quali invece esiste una giurisdizione 
esclusiva della Corte di Giustizia. OGGIANU S., Giurisdizione amministrativa e funzione nomofilattica, 
in Studi di diritto processuale amministrativo (Collana diretta da PICOZZA E., SASSANI B.), 
Cedam, Padova, 2011, p. 283. 


DOTTRINA 335 

dell�Unione Europea, con la c.d. sentenza Fastweb (23), ha censurato in parte 
l�orientamento dell�Adunanza Plenaria in parola, statuendo che, quando le imprese 
ammesse alle procedure di gara siano soltanto due, il ricorso incidentale 
dell�aggiudicatario non pu� comportare il rigetto del ricorso principale nel-
l�ipotesi in cui la legittimit� dell�offerta di entrambi gli operatori venga contestata 
nell�ambito dello stesso procedimento, nonch� di motivi identici. In 
una situazione del genere, infatti, ciascuno dei concorrenti pu� far valere un 
analogo interesse legittimo all�esclusione dell�offerta degli altri, che potr� indurre 
l�amministrazione aggiudicatrice a contestare l�impossibilit� di procedere 
alla scelta di un�offerta regolare. 

Le recenti Adunanze Plenarie (24), ed in particolare con la sentenza n. 9 
del 25 febbraio 2014, si � provveduto ad attenuare la portata dei principi 
espressi dalla Corte di Giustizia. A ben guardare tuttavia, il Supremo Consesso 
amministrativo si era gi� espresso, sebbene a sezioni semplici, non molto 
tempo fa (25): in particolare, � stata rimessa alla Plenaria la questione della 
sussistenza o meno della legittimazione del soggetto escluso dalla gara per 
atto dell�amministrazione ad impugnare l�aggiudicazione disposta a favore del 
suo concorrente rimasto in gara, al fine di dimostrare che questo doveva essere 
escluso dalla gara, soddisfacendo in tal modo l�interesse strumentale alla eventuale 
ripetizione della procedura. 

Occorre quindi riportare sinteticamente i principi di diritto enunciati 
dall�Adunanza Plenaria 2014 con specifico riferimento all�ordine d�esame dei 
ricorsi e delle relative questioni affrontate. Si osserva che il giudice ha il dovere 
di decidere la controversia (26) secondo l�ordine logico seguito che, di 
regola, pone la priorit� della definizione delle questioni di rito rispetto a quelle 
di merito, e, fra le prime, la priorit� dell�accertamento della ricorrenza dei presupposti 
processuali rispetto alle condizioni dell�azione. Nel giudizio di primo 
grado avente ad oggetto procedure di gara, deve essere esaminato prioritariamente 
rispetto al ricorso principale, il ricorso incidentale escludente che sollevi 
un�eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario 
(27); tuttavia si afferma che l�esame prioritario del ricorso principale 
� ammesso per ragioni di economia processuale, mentre il ricorso incidentale 
non andr� esaminato prima del ricorso principale allorquando presenti carat


(23) Pronuncia resa nella causa C-100/12 del 4 luglio 2013. 

(24) In particolare si fa riferimento alle Plenarie n. 7 e 9 del 2014 che hanno affrontato l�ordine 
d�esame dei ricorsi principale e incidentale. 
(25) Consiglio di Stato, sez. VI, ordinanza 17 maggio 2013, n. 2681. 
(26) Ai sensi del combinato disposto degli artt.76, comma 4, c.p.a. e 276, comma 2, c.p.c. 




(27) In tal senso cos� si legge nella pronuncia n. 9/2014: �Nel giudizio di primo grado avente ad 
oggetto procedure di gara, sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale - estromesso per 
atto dell�Amministrazione, ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell�accoglimento del ricorso incidentale 
- ad impugnare l�aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, esclusivamente 
quando le due offerte siano affette da vizio afferente la medesima fase procedurale�. 



tere escludente. Tale evenienza si verifica nel momento in cui il ricorso incidentale 
censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall�amministrazione 
nel presupposto della regolare partecipazione della procedura da parte del ricorrente 
principale. Quanto pi� propriamente al rapporto tra ricorso principale 
e incidentale, la Plenaria premette che il problema del rapporto fra ricorso 
principale (proposto dallo sconfitto), e ricorso incidentale (proposto dal vincitore), 
anche se storicamente affermatosi nelle controversie aventi ad oggetto 
gare di appalto, si atteggia, nella sostanza, in modo analogo per tutti i giudizi 
concernenti procedure selettive, anche per quelli in relazione ai quali � certamente 
non applicabile il codice dei contratti pubblici ovvero il diritto del-
l�Unione europea. 

La Plenaria, quindi, dopo aver richiamato i principi espressi dalla nota 
Plenaria n. 4/2011, passa all�approfondimento del punto specifico concernente 
l�asserita necessit� che il ricorso incidentale sia sempre esaminato 
prima del ricorso principale ed opera una delimitazione dei principi espressi 
dalla Plenaria n. 4/2011, da intendersi riferiti al caso in cui con il ricorso incidentale 
si contesta la mancata esclusione dalla gara del ricorrente principale, 
e non anche al caso in cui con il ricorso principale si deducano vizi 
della valutazione delle offerte, ossia attivit� a valle della fase di ammissione 
del concorrente e dell�offerta. A proposito, la Plenaria in parola osserva come 
dalla piana lettura della pi� volte menzionata sentenza n. 4/2011 emerge in 
modo univoco che il discrimine � rintracciato nella introduzione, da parte 
del ricorso incidentale, di censure che colpiscono la mancata esclusione, da 
parte della stazione appaltante, del ricorrente principale, a causa della illegittima 
partecipazione di quest�ultimo alla gara o dell�illegittimit� dell�offerta; 
tale situazione di invalidit� della posizione del ricorrente principale, 
in base ad una lettura estensiva, deve scaturire dalla violazione di doveri o 
obblighi sanzionati a pena di inammissibilit�, di decadenza, di esclusione. 
La Plenaria verifica la compatibilit� della tesi esposta con la decisione c.d. 
Fastweb (28) della CGUE: viene circoscritta la portata di tale decisione in 
considerazione del fatto che il diritto UE non contiene una vera e propria 
disciplina generale del processo. 

In apparenza, potrebbe ritenersi che la sentenza Fastweb abbia introdotto 
una giurisdizione di tipo oggettivo basata sul vizio dedotto e non sull�interesse 

(28) In buona sostanza la sentenza Fastweb, una volta investita da parte del giudice a quo (sebbene 
in violazione della vincolante regola processuale che impone un rigido ordine di esame delle questioni 

-retro � 8.1. -), di una fattispecie all�interno della quale era stata accertata in concreto l�illegittimit� di 
entrambe le offerte, non ha potuto fare a meno di somministrare la concreta regula iuris costruendola 
come una evidente eccezione al compendio delle norme e dei principi di sistema. Tanto � vero questo 
che ha limitato la possibilit� dell�esame congiunto del ricorso incidentale e principale alle stringenti 
condizioni che: I) si versi all�interno del medesimo procedimento; II) gli operatori rimasti in gara siano 
solo due; III) il vizio che affligge le offerte sia identico per entrambe. 


DOTTRINA 337 

a dedurlo. Al contrario, la ratio della decisione Fastweb si fonda sul principio 
di �parit� delle armi�: questo fa si che, nel caso in cui il ricorrente incidentale 
deduca il medesimo motivo escludente dedotto dal ricorrente principale, venga 
meno l�asimmetria di origine procedimentale tra la legittimazione a resistere 
dell�aggiudicatario, certa perch� fondata sul provvedimento impugnato, e la 
legittimazione a ricorrere del concorrente pretermesso dall�aggiudicazione, 
incerta perch� fondata su una posizione legittimante che il ricorso incidentale 
pu� far venire meno. 

L'identit� del vizio, nella sua consistenza fattuale e nella sua speculare 
deduzione da ambedue le parti, comporta che il suo accertamento e la relativa 
decisione di accoglimento siano automaticamente e logicamente predicabili 
indifferentemente per l'una o per l'altra parte del processo. 

In altri termini, l'unicit� del vizio e l'unicit� della verifica della sua sussistenza 
(29), non consentono di trarre conseguenze opposte sia pure soltanto 
sul piano processuale. Sul punto la Plenaria n. 9/2014 ritiene che si debba utilizzare 
un criterio che, nel rispetto delle vincolanti indicazioni provenienti 
dalla Corte del Lussemburgo, contemperi la regula iuris forgiata dalla sentenza 
Fastweb con le esigenze di uguaglianza ed equit� sostanziali di cui sono portatrici 
le imprese in gara, le ragioni di certezza del diritto e di pronta soluzione 
dell�accertamento demandato al giudice, le caratteristiche dello sviluppo del 
procedimento amministrativo posto in essere dalla stazione appaltante e gli 
interessi sostanziali presidiati dalle varie cause di esclusione (30). 

Non soddisfano il requisito di simmetria escludente i vizi sussumibili in 
diverse categorie, visto che non si pongono in una relazione di corrispondenza 
biunivoca e, dunque, impediscono l�esame congiunto del ricorso principale 
ed incidentale. 

In conclusione, si evidenzia che nei casi come quello sottoposto alla Adunanza 
Plenaria, non � configurabile neppure l�interesse ad agire sancito dal-
l�art. 100 c.p.c., da sempre considerato applicabile al processo amministrativo, 
oggi anche in virt� del rinvio esterno operato dall�art. 39, comma 1, c.p.a. 
L�interesse ad agire � scolpito nella sua tradizionale definizione di �bisogno 
di tutela giurisdizionale�, nel senso che il ricorso al giudice deve presentarsi 
come indispensabile per porre rimedio allo stato di fatto lesivo; � dunque 
espressione di economia processuale, manifestando l�esigenza che il ricorso 
alla giustizia rappresenti extrema ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti 
dalla concretezza ed attualit� del danno, ancorch� probabili, alla posizione 
soggettiva di cui si invoca tutela; esso resta logicamente escluso quando sia 

(29) Coniugati al principio immanente della parit� delle parti ex art. 111 Cost., norma di riferimento 
del principio del giusto processo. 
(30) In tal senso DE NICTOLIS R., La riforma del codice appalti, Urbanistica e appalti, n. 6/ 2014, 


p. 623. 



strumentale alla definizione di questioni correlate a situazioni future e incerte 
perch� meramente ipotetiche (31). 

Per completezza, si rammenta che anche l�ordinanza di rimessione del 
2013 (32) aveva rimesso alla Plenaria la questione d�ordine d�esame dei ricorsi, 
principale e incidentale. La relativa Plenaria (33) n. 7/2014 fornisce 
un�esegesi della precedente Plenaria n. 4/2011, osservando che il ricorso incidentale, 
nel giudizio avente ad oggetto procedure di gara, va esaminato con 
priorit� rispetto a quello principale solo se sollevi un�eccezione di carenza di 
legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario. Tale evenienza 
non si verifica allorquando il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni 
di gara svolte dall�amministrazione nel presupposto della regolare 
partecipazione alla procedura del ricorrente principale. Quanto all�housing 
sociale, esso viene qualificato dalla Plenaria come concessione di servizi, 
considerando l�housing sociale come un servizio pubblico locale di rilievo 
economico e domanda individuale, da realizzarsi mediante partenariato pubblico-
privato (34). 

(31) DE NICTOLIS R., in La riforma del codice appalti, Urbanistica e appalti, p. 626. In tal senso 
l�Autrice sostiene il ricorrente principale, privo della possibilit� giuridica, di risultare aggiudicatario 
della specifica gara cui ha in concreto partecipato (anche in caso di rinnovo pedissequo della medesima 
in quanto permarrebbe il medesimo sbarramento) dovrebbe auspicare l�indizione di una nuova gara da 
parte dell�Amministrazione, mutandone termini e condizioni, in modo tale da consentirgli di partecipare. 
Di norma, tuttavia, la stazione appaltante non ha un obbligo di tal fatta anche in presenza dell�annullamento 
di tutti gli atti della procedura, sicch� tale pretesa si rivela per quello che �, ovvero, una mera 
speranza al riesercizio futuro ed eventuale del potere amministrativo, inidonea a configurare l�interesse 
ad agire. 
(32) Ordinanza, sez. V, del 15 aprile 2013, n. 2059. 
(33) Adunanza Plenaria n. 7 del 31 gennaio 2014. 




(34) Ci� posto, secondo la Plenaria, l�art. 37, comma 13, del codice dei contratti pubblici, che 
impone ai concorrenti riuniti, gi� in sede di predisposizione dell�offerta, l�indicazione della corrispondenza 
fra quota di partecipazione al raggruppamento e quota di esecuzione delle prestazioni (per i contratti 
di appalto di lavori, servizi e forniture fino al 14 agosto 2012 e per i soli contratti di appalto di 
lavori a decorrere dal 15 agosto 2012) - pur prevedendo un requisito di ammissione dell�offerta a pena 
di esclusione, necessario pur se non richiesto dal bando - non esprime un principio generale desumibile 
dal Trattato sul funzionamento dell�Unione europea ovvero dalla disciplina dei contratti pubblici di appalto, 
sicch� ai sensi dell�art. 30, comma 3, del medesimo codice, non pu� trovare applicazione ad una 
selezione per la scelta del concessionario di un pubblico servizio locale di rilievo economico e a domanda 
individuale (come va considerata una iniziativa di partenariato pubblico-privato per la realizzazione di 
un programma di housing sociale). Nella specie, l�Adunanza Plenaria ha ravvisato l�indizione di una 
selezione per la scelta del concessionario di un pubblico servizio locale di rilievo economico e a domanda 
individuale, sulla base di un articolato esame della normativa europea e nazionale e della giurisprudenza 
rilevante in materia (da ultimo Corte Giust., 15 ottobre2009, C-196/08; 13 settembre 2007, C-260/04; 
Corte cost., 7 giugno 2013, n. 134; 12 aprile 2013, n. 67; 20 luglio 2012, n. 199; 17 novembre 2010, n. 
325; Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2009, n. 13892; 22 agosto 2007, n.17829; Cons. Stato, Ad. Plen., 7 
maggio 2013, n. 13; 3 marzo 2008). 



DOTTRINA 339 

3. Il punto di vista comunitario: principi e giurisprudenza della Corte di giustizia 
sul tema dell�effettivit� (35) della tutela giurisdizionale e del giusto processo: 
uno sguardo particolare alle nuove direttive appalti e concessioni 
pubblicate nella G.U.C.E. del 28 marzo 2014. 

A livello internazionale, il diritto a un �equo processo� e ad un �ricorso 
effettivo� sono codificati dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la 
salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali (c.d. CEDU), firmata 
a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata dalla Repubblica Italiana con l. 4 
agosto 1955 n. 848 (36). In particolare, avuto riguardo a tutti i tipi di processo, 
l�art. 6 cit. afferma che �ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata 
equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente 
e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi 
sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza 
di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti (37). La sentenza deve essere 
resa pubblicamente, ma l�accesso alla sala d�udienza pu� essere vietato alla 
stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell�interesse della morale, 
dell�ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una societ� democratica, 
quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle 
parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, 
quando in circostanze speciali la pubblicit� possa portare pregiudizio agli interessi 
della giustizia�. Il successivo art. 13, poi, completando idealmente il disegno 
dell�art. 6 cit., dispone che �ogni persona i cui diritti e le cui libert� 
riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso 
effettivo davanti a un�istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata 
commessa da persone che agiscono nell�esercizio delle loro funzioni ufficiali�. 

La principale questione sollevata dagli artt. 6 e 13 cit. � quella del loro valore 
giuridico nell�ordinamento statuale italiano, un problema su cui la Corte 
costituzione si � espressa in tempi recenti nel senso che le disposizioni della 

(35) �L�effettivit� della tutela rimane l�unica sede in cui assicurare l�eventuale ripristino della 
legalit� sostanziale eventualmente violata�, FERRONI M.V., in Il ricorso in Cassazione avverso le sentenze 
del Consiglio di Stato, in Studi di diritto processuale amministrativo, Collana diretta da PICOZZA 
E., SASSANI B., Cedam, Padova, 2005, p. 243. 
(36) Con specifico riferimento alle accuse penali, l�art. 6, commi 2 e 3, CEDU prevede che �2. 
Ogni persona accusata di un reato � presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata 
legalmente accertata. 3. In particolare, ogni accusato ha diritto di: (a) essere informato, nel pi� breve 
tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi del-
l�accusa formulata a suo carico; (b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua 
difesa; (c) difendersi personalmente o avere l�assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi 
per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d�ufficio, quando lo esigono 
gli interessi della giustizia; (d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione 
e l�esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; (e) farsi assistere 
gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza�. 
(37) Sull�art. 6 CEDU e sulla sua influenza nell�ambito del diritto amministrativo: ALLENA M., 
ART. 6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo, Esi, Napoli, 2012. 



CEDU, essendo pattizie, non rientrano nell�ambito di operativit� dell�art. 10, 
comma 1, Cost. che riferisce il meccanismo di adattamento automatico alle sole 
norme internazionali consuetudinarie (38). Anche l�art. 117, comma 1, Cost., 
nel testo introdotto dalla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, che pone i limiti per l�esercizio 
delle funzioni legislative statali e regionali, distingue i vincoli derivanti 
dall��ordinamento comunitario� da quelli riconducibili agli �obblighi internazionali
�, tra i quali ultimi quelli assunti con la ratifica alla CEDU. Infatti, con 
l�adesione alle Comunit� europee, l�Italia � entrata a far parte di un ordinamento 
pi� ampio, sopranazionale, cui ha ceduto, ratione materiae, parte della propria 
sovranit�, con il solo limite dell�intangibilit� dei principi e dei diritti fondamentali 
garantiti dalla Costituzione (39). Diversamente dall�Unione europea, 
la CEDU non ha creato un ordinamento sopranazionale e non ha prodotto norme 
direttamente applicabili negli Stati contraenti (40). Peraltro, la Convenzione ha 
comunque istituito un organo giurisdizionale, la Corte di Strasburgo, cui � af


(38) Cfr. Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348, in Giur. cost., 2007, 3475. La sentenza in discorso 
ha affermato importanti principi in tema di rilevanza della CEDU nell�ordinamento interno, che possono 
essere riassunti nei termini che seguono. La Corte ha chiarito che la diretta applicabilit� che assiste le 
norme comunitarie e che si fonda sull�art. 11 Cost. non trova applicazione per le norme della CEDU, che 
hanno �natura di norme internazionali pattizie che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti 
nell�ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione 
nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo le norme interne in eventuale 
contrasto�. N� a un differente esito pu� giungersi valorizzando l�art. 117, comma 1, Cost., il quale distingue 
i vincoli derivanti dall��ordinamento comunitario� da quelli riconducibili agli �obblighi internazionali
�, tra cui quelli posti dalla CEDU, che non ha creato un ordinamento sopranazionale quale � 
quello dell�Unione europea. Inoltre, la Corte ha precisato che le norme CEDU, in quanto pattizie, neppure 
rientrano nel perimetro applicativo dell�art. 10, comma 1, Cost., che, ai fini dell�adattamento automatico, 
si rivolge alle sole �norme del diritto internazionale generalmente riconosciute�, cio� a quelle consuetudinarie. 
Dal che consegue che le norme pattizie, incluse quelle poste dalla CEDU, �non possono essere 
assunte quali parametri del giudizio di legittimit� costituzionale, di per s� sole, ovvero come norme interposte 
ex art. 10 della Costituzione�. In un tale contesto, tuttavia, l�art. 117, comma 1, Cost, che condiziona 
l�esercizio della potest� legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi 
internazionali, tra i quali quelli derivanti dalla CEDU, conferisce a quest�ultima una maggior forza di resistenza 
delle rispetto a leggi ordinarie successive, attraendone le relative norme nella sfera di competenza 
della Corte costituzionale, poich� gli eventuali contrasti non generano problemi di successione 
delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma 
questioni di legittimit� costituzionale, per eventuale violazione dell�art. 117, primo comma, Cost. Peraltro, 
la disposizione costituzionale da ultimo citata pu� ritenersi operativa solo se vengano concretamente 
determinati gli �obblighi internazionali� che vincolano la potest� legislativa dello Stato e delle 
Regioni, che assumono quindi la funzione di fonte interposta di grado intermedio tra la Costituzione, 
cui sono subordinati, e la legge ordinaria. In merito a tali obblighi, la CEDU, rispetto agli altri trattati internazionali, 
ha la caratteristica di prevedere la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte europea 
per i diritti dell�uomo, cui � affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa. Il 
che comporta che, fra gli obblighi internazionali assunti dall�Italia con la sottoscrizione e la ratifica della 
Convenzione, vi sia anche quello di accoglierne le norme nel significato attribuitogli da detta Corte; 
norme che, in ogni modo, non sono immuni dal controllo di legittimit� costituzionale della Corte costituzionale, 
perch� restano pure ad un livello inferiore alla Costituzione. 

(39) Cfr. Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348, cit. 
(40) Cfr. Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348, cit. 



DOTTRINA 341 

fidata la funzione di interpretare le proprie norme, con la conseguenza che, tra 
gli obblighi assunti dall�Italia, rientra quello di adeguare la propria legislazione 
alle norme CEDU nel significato attribuitole dall�anzidetta Corte. 

Da quanto sopra deriva che il giudice debba interpretare la norma interna 
in modo conforme alla disposizione convenzionale nel significato chiarito 
dalla Corte di Strasburgo, nei limiti in cui ci� sia possibile. In difetto, ovvero 
in ipotesi di dubbio sulla compatibilit� della norma interna con essa, egli non 
pu� disapplicarla ma deve investire la Corte costituzionale della relativa questione 
di legittimit� rispetto al parametro dell�art. 117, comma 1, Cost., avendo 
la CEDU natura di fonte interposta tra la costituzione e le leggi che il legislatore 
ordinario ha l�obbligo di rispettare (41). 

Fatta questa premessa generale sul valore giuridico della Convenzione di 
Roma, e quindi anche degli artt. 6 e 13, � stato osservato che la CEDU, pur 
enunciando il principio del giusto processo, non annovera tra le garanzie riguardanti 
la funzione giurisdizionale l��azione�, intesa come diritto di agire 
in giudizio, cio� di adire il giudice per la tutela delle proprie posizioni di vantaggio 
riconosciute sul piano sostanziale (42). Ci� a differenza della Costituzione 
italiana e di quella tedesca che, invece, tra i diritti fondamentali e 
inviolabili dell�individuo, cio� non ritrattabili da parte del legislatore ordinario, 
contemplano proprio il diritto di agire in giudizio in connessione all�affermata 
titolarit� di una posizione giuridica sostanziale (43). 

La ragione di quest�apparente dimenticanza � che l�art. 6 CEDU, come gi� 
detto, pur senza imporre un particolare modello di processo, riproduce i principi 
del fair trial anglosassone, in cui esistono soltanto i �rimedi� (remedies), 
cio� le singole possibilit� di attivare la giurisdizione in presenza di dati presupposti 
specifici, ma non si annette rilevanza alla posizione soggettiva preesistente 
riconosciuta dal diritto sostanziale e, quindi, al diritto di azione (44). 

(41) Cfr. Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348, cit. 

(42) TROCKER N., Dal giusto processo all�effettivit� dei rimedi: l��azione� nell�elaborazione della 
Corte europea dei diritti dell�uomo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 1, p. 35 ss.; AA.VV., La tutela dei diritti 
del cittadino davanti alla Corte europea dei diritti dell�uomo di Strasburgo, Milano, 1989; P. BILANCIA, Le 
nuove frontiere della tutela multilivello dei diritti, in www.giuripol.unimi.it, pubblicato il 23 ottobre 2004. 
(43) Sull�accoglimento del principio de quo nei principali testi costituzionali del dopoguerra: COMOGLIO 
L.P., La garanzia costituzionale dell�azione ed il processo civile, Cedam, Padova, 1970, 97 ss., 
p. 116 ss.; TROCKER N., Processo civile e Costituzione, Giuffr�, Milano, 1974, p. 161 ss. Pi� in generale 
vedi CLEMENTE DI SANLUCA G. (a cura di), La tutela delle situazioni soggettive nel diritto italiano, europeo 
e comparato, Esi, Napoli, I, 2011. 
(44) La cultura giuridica anglosassone disconosce l�impostazione europea continentale del diritto 
soggettivo come situazione preesistente al rimedio giudiziario, ritenendosi che la vera garanzia dell�individuo 
risieda non nel potere di agire in giudizio ma nelle concrete modalit� di tutela ottenibili dal giudice, 
non esistendo alcun diritto diverso dal rimedio stesso (remedies precede rights). In tale contesto, 
sono ben radicati i valori della giustizia procedurale e dell�equit� processuale, espressivi del diritto al 
dovuto processo legale (due process of law) gi� enunciato dalla Magna Charta del 1215. In argomento, 
v. anche: DENTI V., Azione (diritto processuale civile), in Enc. giur., II, Roma, 1988, 2; V. VARANO, Remedies, 
in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1997, XVI, p. 572. 



Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, il �diritto al tribunale
� � il primo aspetto di quello ad accedervi e, in questo senso, non si limita 
all�ottenimento di una decisione giudiziaria su una data situazione 
giuridica ma implica lo svolgimento di quanto necessario affinch� la tutela 
giurisdizionale si attui (45). In tal senso, il diritto di accedere al giudice � stato 
riconosciuto come parte integrante del principio del dovuto processo legale: 
escluderne la sussistenza comporterebbe di vanificare le garanzie enunciate 
dalla disposizione stessa (46). Questo diritto, tuttavia, non � assoluto, ma � 
compatibile con limiti o condizioni, quali il preventivo esperimento o esaurimento 
di ricorsi amministrativi o la fissazione di termini prescrizionali per la 
proposizione della domanda, purch� essi perseguano uno scopo legittimo e 
siano proporzionati (47). Inoltre, il diritto di adire un giudice deve essere effettivo, 
dovendosi garantire concretamente anche ai singoli in posizione pi� 
svantaggiata la possibilit� di tutelare avanti ad un organo giudiziario i propri 
diritti. In quest�ottica, atteso che la Convenzione di Roma si prefigge di tutelare 
diritti �non teorici e illusori ma concreti ed effettivi�, gli impedimenti �di 
fatto�, cio� di carattere economico-sociale, possono comportare una violazione 
della CEDU al pari di quelli �di diritto� (48). 

La giurisprudenza di Strasburgo � ripetutamente intervenuta per circoscrivere 
e chiarire il perimetro applicativo ed il significato del diritto a un giusto 
processo sancito dall�art. 6 cit. 

La giurisprudenza ha pure affermato che la precostituzione del giudice 
per legge ha lo scopo di evitare che l�organizzazione del sistema giudiziario 
sia lasciata alla discrezionalit� del Governo e che, in una societ� democratica, 
il diritto di essere sentito da un tribunale imparziale, sempre costituito per 
legge, occupa un posto cos� eminente che una sua interpretazione restrittiva 
non corrisponderebbe allo scopo e all�oggetto di tale disposizione (49). 

La Corte CEDU ha pure analizzato i modi di esercizio della giurisdizione 
per individuarne potenziali profili di attrito con la tutela dei diritti affermati 
dalla Convenzione, sancendo l�insindacabilit� di eventuali errori giudiziari di 

(45) TROCKER N., Dal giusto processo all�effettivit� dei rimedi, cit.; CEDU 21 febbraio 1975 (Golder 
c. Regno Unito). 
(46) Corte CEDU 23 marzo 1995 (Loizidou c. Turchia), in Riv. internaz. dir. uomo, 1995, 483 ss., 
ha affermato che la Convenzione � un �atto costituzionale dell�ordine pubblico europeo�. 
(47) TROCKER N., op. ult. cit.; CEDU 28 maggio 1985 (Ashingdane c. Regno Unito), 30 gennaio 
2003 (Cordova c. Italia), in Dir. e giust., 2003, 8, 69 ss. con il commento di G. BUONOMO, L�immunit� 
parlamentare pu� violare la convenzione dei diritti dell�uomo. 
(47) TROCKER N., op. ult. cit. 


(48) V. CEDU 9 ottobre 1979 (Airey c. Irlanda), in Foro it., 1980, IV, c. 1 ss., per la quale, fra gli 
obblighi che gravano sugli Stati, vi � quello di rimuovere o, quantomeno, di neutralizzare gli ostacoli di 
ordine economico o sociale che, di fatto, compromettono la possibilit� di chiedere e di ottenere la tutela 
giurisdizionale. 
(49) CEDU 13 dicembre 2005 (Marcello Viola c. Italia), in Dir. uomo e lib. fondam., 2007, 3, 1142; 
22 giugno 2000 (Co�me e altro c. Belgio) in Dir. uomo e lib. fondam., 2007, 3, p. 219. 



DOTTRINA 343 

fatto o di diritto, salvo che abbiano pregiudicato i diritti e le libert� salvaguardati 
dalla Convenzione (50). La Corte, infatti, si limita ad accertare se la procedura 
giudiziaria interna, considerata nel suo insieme, incluse le modalit� di 
presentazione dei mezzi di prova, abbia carattere equo e se i diritti della difesa 
siano rispettati (51). Il mutamento d�indirizzo giurisprudenziale non � ritenuto 
di per s� ostativo a un equo processo, non potendosi vantare una sorta di diritto 
all�aderenza del giudice alle soluzioni gi� affermatesi (52). Tuttavia, la presenza 
di una giurisprudenza ormai consolidata obbliga l�organo che voglia discostarsene 
a fornire una motivazione estesa e particolareggiata delle ragioni 
che supportano il cambio di orientamento, in ottemperanza al principio della 
certezza del diritto affermato dalla Convenzione (53). 

Il Capo VI della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea del 7 
dicembre 2000 (c.d. Carta di Nizza) enuncia un complesso di garanzie giurisdizionali 
a tutela dei cittadini degli Stati membri, �i cui diritti e le cui libert� 
garantite dal diritto dell�Unione siano stati violati�, indirizzate sia alle istituzioni 
ed agli organi comunitari, sia agli Stati stessi. La Carta di Nizza, accanto 
ai tradizionali diritti civili e politici di �prima generazione�, cui si riferisce la 
CEDU, contempla anche quelli, economici e sociali, di �seconda generazione�, 
nonch� quelli di �terza generazione�, frutto �dell�evoluzione della societ� e 
[�] degli sviluppi scientifici e tecnologici�, come la tutela ambientale o la 
protezione dei consumatori (54). 

Originariamente non dotata di un�esplicita forza precettiva, la Carta era 
stata approvata dal Consiglio europeo come dichiarazione solenne di principi 
avente funzione di �atto di ricognizione storica�, cio� di documento �che attribuisce 
forma scritta e solenne a ci� che � ritenuto gi� patrimonio della Comunit� 
e che � vigente nell�ordinamento dell�Unione e dei suoi Stati membri� (55). Pertanto, 
le garanzie in essa consacrate riproducono diritto gi� operante all�interno 

(50) CEDU 13 dicembre 2005 (Marcello Viola c. Italia), cit. 
(51) CEDU 13 dicembre 2005, cit. 


(52) CEDU 14 gennaio 2010 (Atanasovski c. ex Rep. Jugoslava di Macedonia), in Cass. pen., 2010, 
6, p. 2450. 
(53) CEDU 14 gennaio 2010 (Atanasovskic. ex Rep. Jugoslava di Macedonia), cit. 


(54) RAIMONDI G., La Carta di Nizza del 7 dicembre 2000 nel quadro della protezione dei diritti 
fondamentali in Europa, in Cass. pen., 2002, 5, p. 1885 ss.; F. POCAR, Commento alla Carta dei diritti 
fondamentali dell�Unione europea, in ID., Commentario breve al Trattato CE, Cedam, Padova, 2001, 
1178 ss.; R. BIFULCO, M. CARTABIA, A. CELOTTO (a cura di), L�europa dei diritti (Commento alla Carta 
dei diritti fondamentali dell�Unione europea), Bologna, il Mulino, 2001. 
(55) TROCKER N., La Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea ed il processo civile, in 
Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 4, 1171 ss.; L. FERRARI BRAVO, La tutela dei diritti in Europa, in Eur. e 
dir. priv., 2001, p. 37 ss.; G. CONETTI, La Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea, in Studiumiuris, 
2001, p. 1163 ss.; A. PACE, A che serve la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea? 
Appunti preliminari, in Giur. cost., 2001, p. 193 ss.; M. FIORAVANTI M., La Carta dei diritti fondamentali 
dell�Unione europea nella prospettiva del costituzionalismo moderno, relazione all�incontro di studio 
�Principi, diritti e regole nella Carta Europea�, Firenze, 26-27 aprile 2001. 



dell�Unione, ancorch� formatosi in via pretoria o mediante rinvio a fonti esterne 
come le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri o la CEDU (56). 

A seguito quindi delle premesse sul valore della Carta di Nizza, ai sensi 
del suo art. 47, �ogni persona i cui diritti e le cui libert� garantiti dal diritto 
dell�Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, 
nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo� ed ha, altres�, 
diritto �a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e entro un 
termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per 
legge�, oltre che �di farsi consigliare, difendere e rappresentare�. Inoltre, �a 
coloro che non dispongono di mezzi sufficienti � concesso il patrocinio a spese 
dello Stato qualora ci� sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla 
giustizia�. La previsione � conforme a quanto suggellato dal codice del processo 
amministrativo, composto in una tensione evolutiva verso i principi della 
pienezza ed effettivit� (57) della tutela. Nonostante tale previsione, tuttavia, 
il recepimento di tale principio non appare poi cos� scontato. Vi sono ancora 
infatti delle reticenze e resistenze che tendono a privilegiare gli aspetti formali 
e quelli sostanziali della tutela (58), come emerge sin dalla configurazione 
delle possibili azioni esperibili da parte del ricorrente. Tra le azioni esperibili 
dal codice, l�azione di condanna, ai sensi dell�art. 30 c.p.a., pu� essere proposta 
contestualmente ad altra azione o, nei casi di giurisdizione esclusiva e nei casi 
previsti dalla stessa disposizione, anche in via autonoma. � previsto inoltre il 
risarcimento del danno ingiusto derivante dall�illegittimo esercizio dell�attivit� 
amministrativa, ovvero del mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi 
di giurisdizione esclusiva potr� essere altres� chiesto il risarcimento del danno 
da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall�art. 2058 
c.c., potr� essere richiesto il risarcimento del danno in forma specifica. Ogni 
domanda di condanna al risarcimento dei danni per lesione d�interessi legittimi 
o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi � giurisdizione 
del giudice amministrativo. Quanto invece all�azione di adempimento, non � 
prevista dal c.p.a. una disciplina generale dell�azione di adempimento come 
prevista dal modello tedesco, che pure era stata suggerita dal Consiglio di Stato 
e che costituirebbe un elemento decisivo per la trasformazione del giudizio 
amministrativo in giudizio esteso al c.d. rapporto e che consentirebbe al cittadino 
di conseguire col suo ricorso un risultato pi� interessante e pi� stabile 
(59). Ritornando al tema di diritto a un giusto processo (60), stricti sensu inteso 
(61), l�art. 47, comma 2, della Carta di Nizza riprende l�art. 6, par. 1, CEDU 
che � gi� direttamente applicabile negli ordinamenti interni degli Stati, visto 

(56) TROCKER N., La Carta dei diritti fondamentali, cit. 
(57) Si ricordi che l�articolo 1 del Codice del processo � rubricato: �Effettivit��. 


(58) CHIEPPA R., Il Codice del processo amministrativo, Giuffr�, Milano, 2010; FIDONE G., 
L�azione per l�efficienza nel processo amministrativo: dal giudizio sull�atto a quello sull�attivit�, in 
Studi diretto da FRANCO GAETANO SCOCA, Giappichelli, Torino, 2012, p. 57. 


DOTTRINA 345 

che la pretesa al giusto processo ivi contenuta vale sia nei confronti delle autorit� 
comunitarie sia riguardo a quelle nazionali (62). Questa esegesi � supportata 
dall�art. 52, comma 3, della Carta, a mente del quale, in caso di 
corrispondenza tra i diritti da essa riconosciuti e quelli garantiti dalla CEDU, il 
significato e la portata dei primi �sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta 
Convenzione� e dall�art. 53, che prevede il divieto di interpretare le disposizioni 
della Carta dei diritti dell�Unione europea come limitative o lesive dei 
diritti dell�uomo quali riconosciuti dalla CEDU (63). 

Con la disposizione citata si attua, quindi, una vera e propria comunitarizzazione 
della giustizia tramite la riconduzione all�ordinamento europeo di principi 
destinati a influire sul modo di essere della tutela giurisdizionale approntata 
da ciascun ordinamento nazionale per le posizioni giuridiche soggettive attribuite 
dal diritto dell�Unione (64). Particolarmente importante � il riferimento 
al principio di effettivit� della tutela giurisdizionale, trattandosi, in sede comunitaria, 
dell�epilogo di un cammino iniziato con le sentenze von Colson e Bozzetti, 
ove la Corte di giustizia stabil� che, pur spettando �all�ordinamento 
giuridico di ciascuno Stato membro designare il giudice competente a risolvere 
controversie vertenti sui diritti scaturenti dall�ordinamento giuridico comunitario 
[�] gli Stati membri sono tenuti a garantire, in ogni caso, la tutela effettiva 
di tali diritti� (65). Con la pronuncia Johnston, poi, la Corte statu� che la �tutela 
giurisdizionale effettiva� non � una formula di stile o un espediente di carattere 
retorico, bens� �espressione di un principio giuridico generale che trova in


(59) TRAVI A., Lezioni di giustizia, Giappichelli, Torino, 2012, p. 211. L�azione si sofferma sulla 
circostanza che l�azione di adempimento fosse compresa nella proposta di codice elaborata dal CdS e 
che poi � stata indebitamente espunta dal definitivo testo del codice. Secondo lo stesso autore, con 
l�azione di adempimento il cittadino che contesti un provvedimento negativo dell�amministrazione pu� 
chiedere una pronuncia giurisdizionale che non si limiti ad annullare il provvedimento illegittimo, ma 
che accerti ci� che sarebbe spettato al ricorrente se l�amministrazione avesse agito legittimamente: il 
giudice che accolga la domanda pu� imporre all�amministrazione di provvedere in quel certo modo. 
(60) TROCKER N., La Carta dei diritti fondamentali, cit. 


(61) Sul principio della pienezza della tutela POLICE A., La piena giurisdizione del giudice amministrativo, 
in PICOZZA E. (a cura di ), Processo amministrativo e diritto comunitario, Cedam, Padova, 
2003, p. 133, il quale ha messo in luce la difficolt� di presa di coscienza nel nostro ordinamento della previsione 
e della legittimit� costituzionale del principio. Infatti l�Autore constata che il nostro sistema processuale 
� stato caratterizzato a partire dalle leggi del 1865 e del 1889 da due differenti sistemi di tutela, 
caratterizzati dalla disomogeneit� della tutela riservata alle differenti situazioni giuridiche soggettive. 
(62) ALLENA M., La rilevanza dell�art. 6, par. 1, CEDU, cit. 


(63) L�art. 53 della Carta di Nizza prevede che �Nessuna disposizione della presente Carta deve 
essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali riconosciuti, 
nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell�Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni 
internazionali delle quali l�Unione, la Comunit� o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare 
la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, e 
dalle Costituzioni degli Stati membri�. 
(64) TROCKER N., op. cit. 


(65) Cfr. Corte CE 10 aprile 1984, C-14/83, in Racc., 1984, 1891 ss., 9 luglio 1985, C-179/84, in 
Racc., 1985, p. 2301. 



gresso e assume rilievo nell�ordinamento comunitario�, in quanto �principio 
su cui sono basate le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri� e perch� 
�diritto sancito dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia 
dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali del 1950� (66). A 
quest�ultimo riguardo, il fatto che la giurisprudenza della Corte, nell�affermare 
i predetti principi, si sia ispirata all�elaborazione della CEDU, ha indotto a ritenere 
che quest�ultima fosse stata �comunitarizzata� in via pretoria, anticipando 
la soluzione poi accolta con l�art. 47 della Carta di Nizza (67). 

Mentre la CEDU costruisce il diritto alla tutela giurisdizionale prevalentemente 
come diritto a far valere in giudizio le proprie ragioni tramite un equo 
processo, che sia anche in grado di garantire un�adeguata forma di protezione 
della situazione azionata, la giurisprudenza comunitaria si � concentrata su quest�ultimo 
profilo (68). Oltre alle pronunce della Corte di Giustizia, anche le 
altre istituzioni comunitarie sono intervenute con disposizioni in materia processuale, 
imponendo agli Stati non solo di garantire l�accesso a un giudice per 
le relative controversie, ma anche il tipo di tutela di cui devono munirle e i rimedi 
che devono offrire ai singoli a loro protezione. Il caso pi� significativo � 
quello delle c.d. �direttive ricorsi� in materia di appalti pubblici, le quali, sulla 
base dell�inesistenza, nell�ordinamento comunitario o in quelli domestici, di 
strumenti adeguati per garantire l�effettiva osservanza della normativa europea 
in materia, approntano un organico sistema di tutela (69). Un sistema informato 
all�esigenza di garantire ricorsi rapidi ed efficaci, tali da assicurare una tutela 
sia preventiva, mediante �provvedimenti provvisori presi con la massima sollecitudine 
e con procedure d�urgenza�, sia successiva e in grado di assicurare, 
�eventualmente accanto o a seguito dell�annullamento dell�atto illegittimo, 
l�obbligo di risarcire i danni subiti da qualsiasi soggetto leso da una violazione 
del diritto comunitario o dalle norme nazionali che l�hanno recepito� (70). 

(66) V. Corte CE 15 maggio 1986, C-222/84, in Racc., 1986, p. 1663 ss. 

(67) CHITI M.P., L�effettivit� della tutela giurisdizionale tra riforme nazionali e influenza del 
diritto comunitario, in Dir. proc. amm., 1998, p.508, e soprattutto P. PIVA, Il principio di effettivit� della 
tutela giurisdizionale nel diritto dell�Unione Europea, Napoli, 2012. 
(68) CHIVARIO M., in BARTOLE S., CONFORTI B., RAIMONDI G., Commentario alla Convenzione 
europea per la tutela dei diritti dell�uomo e delle liberta fondamentali, Padova, 2001, 153 ss.; R. SAPIENZA, 
Il diritto ad un ricorso effettivo nella Convenzione europea dei diritti dell�uomo, in Riv. dir. int., 
2001, p. 277 ss. 
(69) Si tratta della direttiva 89/665/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989 e della direttiva 
92/13/CEE del Consiglio del 25 febbraio 1992. Sul punto, v. M. ACONE, Diritto e processo nelle procedure 
di aggiudicazione degli appalti pubblici: dalla direttiva CEE 89/665 alla legge �comunitaria� per 
il 1991, in Foro it., 1992, V, p. 321 ss. e MORBIDELLI G., Note introduttive sulla direttiva ricorsi, in Riv. 
it. dir. pubbl. com., 1991, p. 831 ss. 
(70) Il legislatore comunitario ha cos� costretto ad evolversi il sistema italiano di giustizia amministrativa, 
all�epoca ostile al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi; cfr. F. PATRONI 
GRIFFI, L�interesse legittimo alla luce del diritto comunitario e dei paesi membri: quali prospettive?, in 
Riv. it. dir. pubbl. com., 1993, p. 367 ss. 



DOTTRINA 347 

Le soluzioni percorse in tema di appalti pubblici sollevano il problema 
della distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, che � sconosciuta 
all�ordinamento dell�Unione europea, in cui l�espressione �diritti� va intesa 
come comprensiva di tutte le posizioni giuridiche soggettive tutelate dal diritto 
comunitario (71). La Corte di Giustizia, infatti, non � mai entrata nel merito 
delle tecniche di tutela utilizzate nei singoli Stati, affermando che le norme 
comunitarie direttamente applicabili �obbligano le autorit� e in particolare i 
giudici competenti degli Stati membri a proteggere gli interessi dei singoli 
contro eventuali violazioni di dette disposizioni, garantendo loro la tutela diretta 
ed immediata dei loro interessi, e ci� indipendentemente dal rapporto intercorrente, 
secondo il diritto nazionale, fra detti interessi e l�interesse pubblico 
a cui si riferisce la questione. Spetta all�ordinamento giuridico nazionale stabilire 
quale sia il giudice competente a garantire detta tutela e, a tal effetto, 
decidere come debba qualificarsi la posizione individuale in tal modo tutelata� 
(72). In definitiva, ci� che realmente rileva dal punto di vista del diritto comunitario 
� che sia in ogni caso garantita una tutela giurisdizionale adeguata 
ed effettiva a tutte le posizioni soggettive da esso tutelate, a prescindere dalla 
loro qualificazione secondo l�ordinamento domestico (73). 

La Corte di Giustizia ha anche ripetutamente precisato le garanzie procedurali 
cui hanno diritto le parti, secondo il principio del giusto processo 
(74). Dal punto di vista comunitario sembra opportuno fare una considerazione: 
l�accesso alla giustizia non deve essere impossibile, in qualche modo 
precluso, ovvero eccessivamente difficile, anche in relazione ai termini decadenziali 
o di scadenza, n� in egual misura oneroso. Sembra chiaro quindi 
l�obbligo di interpretare le norme sostanziali e processuali in maniera conforme 
al diritto europeo e se ci� non dovesse essere possibili auspicare una 
sana disapplicazione anche delle norme a carattere processuale, anche se per 
ora l�orientamento prevalente del giudice amministrativo non sembra tuttavia 
orientato in tal senso. 

In via di prima approssimazione quindi, pu� definirsi �strumentale� l�interesse 
fatto valere dal ricorrente mediante l�impugnazione dell�aggiudicazione 
ad ottenere l�estromissione dell�aggiudicatario e la rinnovazione della procedura 
di gara. Tale definizione quindi presenta chiari elementi di assonanza con 

(71) TROCKER N., op. ult. cit.; AMADEO S., Norme comunitarie, posizioni giuridiche soggettive e 
giudizi interni, Milano, 2002. 
(72) Cfr. Corte CE 19 dicembre 1968, C-13/68, in Racc., 1968, p. 615 e in Foro it., 1969, IV, c. 
156; 9 luglio 1985, C-179/84, cit.; 14 sett. 1997, C-316-96, in Racc. 1997, I, 7231. Questa giurisprudenza 
avvicina in termini pratici la portata del principio di effettivit� della tutela giurisdizionale a quello di 
equivalenza, sul quale si rinvia all�opera di TORCHIA L., Il governo delle differenze. Il principio di equivalenza 
nell�ordinamento europeo, Bologna, 2006. 
(73) TROCKER N., op. ult. cit. 


(74) BALDI S., Processo comunitario e processo equo ex articolo 6 della CEDU. Giurisprudenza 
comunitaria sul diritto ad un processo equo, in Dir. comm. int., 1998, p. 463 ss. 



la clausola generale recepita dalla Corte di giustizia del 2013, secondo cui � 
soggetto legittimato a ricorrere chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere 
l�aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi seriamente 
di essere leso a causa di una presunta violazione. La qualificazione di tale posizione 
soggettiva � desumibile dalla normativa comunitaria pi� recente in tema 
di appalti che elegge a bene della vita il rispetto delle regole concorrenziali, 
anche a tutela d�imprese concorrenti ed indipendentemente da quello che sar� 
l�effetto finale del confronto concorrenziale. Il portato dell�interesse strumentale 
� scomponibile, in linea astratta, in un duplice contenuto: il bene sostanziale 
perseguito si compone infatti di un�utilit� indiretta o mediata e di un�utilit� diretta. 
L�utilit� diretta dell�interesse strumentale, inteso pi� propriamente in 
senso oppositivo � quella immediatamente realizzabile da parte con la sola caducazione 
dell�aggiudicazione impugnata. Tramite l�annullamento dell�affidamento 
illegittimo il ricorrente tutela la posizione di competitore sul mercato e 
preserva gli equilibri di forza coi soggetti concorrenti, evitando che gli stessi 
possano essere alterati da un illegittimo affidamento e dal conseguente incremento 
in loro favore di quote di mercato e titoli di qualificazione. La delimitazione 
della figura dell�interesse strumentale appare problematica sia sotto il 
profilo oggettivo che soggettivo. Sul piano oggettivo, � incerta la consistenza 
probabilistica necessaria per trasformare in una posizione giuridica qualificata 
l�ipotetica chance di rinnovazione della gara e di successiva partecipazione alla 
stessa. Le possibilit� di riedizione della gara appaiono condizionate da differenti 
fattori che attengono al margine di discrezionalit� di cui gode l�amministrazione 
nell�indire una nuova gara, ovvero alla permanenza delle condizioni economiche 
e fattuali necessarie per avviare il nuovo bando. Per quel che concerne il 
profilo soggettivo invece, la gamma dei soggetti portatori in astratto di interesse 
alla caducazione dell�aggiudicazione ed alla riedizione della gara � assai ampio. 
La teoria che include l�interesse strumentale � stata tuttavia dequotata dalla pronuncia 
dell�Adunanza Plenaria 4/2011 (75). La c.d. strumentalit� si ridurrebbe 
ad un nesso di probabile consequenzialit� tra gli accadimenti. Superata la rigida 
prospettiva dell�Adunanza Plenaria che permetteva l�accesso alla tutela giurisdizionale 
ai soli soggetti che avanzassero una pretesa diretta all�aggiudicazione, 
si attribuisce al livello sovranazionale ai giudici degli Stati membri il 
ruolo di parificare, in sede processuale, il trattamento di quelle posizioni giuridiche 
soggettive che assumono rilevanza comunitaria, siano esse ricollegabili 
alla lesione ovvero ad un pericolo di pregiudizio. Secondo i pi� recenti orientamenti 
comunitari in materia di appalti e concessioni, l�oggetto del processo 
sembra essere pi� verosimilmente il comportamento, nonch� l�attivit� nel suo 
complesso, non soltanto i singoli atti. Sembra abbastanza chiaro il suggerimento 

(75) CAPONIGRO R., L�interesse legittimo strumentale nelle gare d�appalto, in Giust. Amm., n. 
9/2012, p. 203. 


DOTTRINA 349 

volto a preservare gli equilibri di forza tra imprese concorrenti, quale ulteriore 
contenuto sostanziale del bene della vita perseguito dal ricorrente. L�interesse 
strumentale infatti alla realizzazione di tale utilit� ha la sua matrice nonch� qualificazione 
giuridica nelle medesime fonti primarie e comunitarie che enunciano 
i principi di trasparenza e concorrenzialit� (76) nel mercato unico: le tre nuove 
direttive europee (77) in materia di appalti pubblici e servizi in sostituzione 
delle precedenti direttive europee e la recentissima direttiva concessioni, pubblicate 
sulla Gazzetta ufficiale della comunit� europea modificano le norme attuali 
sugli appalti pubblici comunitari, stabilendo norme comuni UE. 

In conclusione, si rammenta che dal punto di vista strettamente processuale, 
l�interesse a ricorrere deve essere concreto, ma non necessariamente attuale: 
si prescrive infatti un�azione in capo a tutti gli operatori di settore anche 
se non direttamente interessati ad impugnare quella procedura (78). 

4. Le divergenze intorno al concetto di oggetto del processo amministrativo e 
di domande giudiziali. 

Alla luce delle innumerevoli considerazioni finora esposte, non sembrerebbe 
vero che il ricorrente principale sia privo della legitimatio ad causam, 
ovvero dell�interesse ad agire. Non sarebbe privo della prima perch� la situazione 
protetta includerebbe il rispetto del principio di concorrenza effettiva ed 
efficace tra operatori di settore nel campo dei pubblici appalti. La situazione 
giuridica soggettiva andrebbe tutelata comunque anche se il ricorrente difetta 
di uno dei requisiti ex art. 38 del codice degli appalti pubblici. Inoltre dal momento 
che � la tutela processuale a doversi dimensionare su quella sostanziale 
e non viceversa, non cՏ dubbio che il ricorrente principale, per poter richiamare 
l�identico trattamento processuale del ricorrente incidentale, dovr� dimostrare 
di aver subito una concreta lesione di una situazione giuridica 
soggettiva tutelabile in base al grado di protezione accordato dal diritto comunitario 
ovvero dal diritto nazionale (79). L�Adunanza Plenaria oggetto 
d�esame continua a considerare la situazione giuridica soggettiva del parteci


(76) CARANTA R., DRAGOS D.C., La mini-rivoluzione del diritto europeo dei contratti pubblici, In 
Urbanistica e appalti, n. 5/2014, p. 504. 
(77) Si tratta: della direttiva 2014/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 
2014 sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE; della direttiva 2014/25/CE del Parlamento 
europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sulle procedure d�appalto e degli enti erogatori nei 
settori dell�acqua, dell�energia e dei trasporti e dei servizi personali (che abroga la direttiva 2004/17/CE); 
della direttiva 2014/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull�aggiudicazione 
dei contratti di concessione. 
(78) Nel dibattito e negli orientamenti delineatisi a monte del pronunciamento della Corte di Giustizia 
si registra in prevalenza una tendenza restrittiva volta a circoscrivere la portata applicativa dei principi 
affermati dal giudice comunitario alla specifico caso della contesa giudiziale animata dai ricorsi. 
(79) PICOZZA E., IL cumulo (condizionale) delle domande nel processo amministrativo. Relazione 
al XVIII Convegno, Ciclo Convegni �Il diritto amministrativo che cambia� del 20 settembre 2013 
presso il Castello di Udine. 



pante alla gara come interesse legittimo e non come diritto soggettivo, pur essendo 
il giudice amministrativo dotato di apposita giurisdizione esclusiva, ex 
artt. 7 e 133 c.p.a. 

L�interesse a ricorrere infatti sar� ammesso soltanto se attuale, in quanto 
da ci� dipender� la tutela in via specifica, ma eventualmente quella risarcitoria 
quando il ricorrente che abbia dimostrato il possesso dei requisiti legittimanti. 
A ben guardare quindi, non avendo l�articolo 42 del c.p.a. definito i rapporti 
tra ricorso incidentale e domanda principale, ed anzi, avendo qualificato e disciplinato 
come �domanda� il ricorso incidentale, rimane aperto il tema della 
parit� sostanziale delle parti e di effettivit� delle tutele giuridiche. Dovrebbe 
essere riconosciuto un titolo di legittimazione al ricorrente che impugna l�aggiudicazione, 
ancorch� destinatario di una domanda escludente da parte del-
l�aggiudicatario, residuando in capo a quel ricorrente l�interesse strumentale 
all�annullamento della gara, funzionale alla riedizione del procedimento, la 
cui delibera d�indizione � rimasta ferma (80). Siffatto argomento scaturisce 
proprio dalla lacunosa disciplina codicistica dell�art. 42, dalle modalit� di formulazione 
del ricorso incidentale e dalla correlata statuizione del giudice amministrativo. 
Sul punto non appare satisfattiva l�affermazione che il difetto di 
legittimazione processuale del concorrente ricorrente deriverebbe dalla portata 
pienamente retroattiva dell�accertamento dell�illegittimit� della sua ammissione 
alla gara. Ed in verit� questo accertamento non comporta in termini fattuali 
e giuridici la definitiva esclusione del ricorrente principale alla gara. Ed 
invero, posto che la sentenza del g.a. pur a seguito dell�accoglimento del ricorso 
incidentale, non contiene una statuizione di annullamento del provvedimento 
di ammissione del ricorrente, la retroattivit� della illegittimit� 
dell�ammissione non elimina, per un verso l�effettivit� della partecipazione 
alla procedura e, per altro verso non incide sulla sua collocazione in graduatoria 
cos� come approvata dall�amministrazione e non ne determina l�estromissione. 
Si vuol dire che sul piano squisitamente amministrativo, il 
concorrente-ricorrente che ha partecipato al procedimento concorsuale conserva 
la posizione acquisita comunque, in mancanza di una statuizione di annullamento 
del g.a. e dell�eventuale esercizio del potere di autotutela da parte 
dell�amministrazione. Con l�ulteriore conseguenza che, indipendentemente 
dalla vicenda giudiziaria che lo ha visto estromesso, in tutti i casi di scorrimento 
della graduatoria per vicende ultronee (art. 140 codice appalti) egli potrebbe 
aspirare addirittura all�aggiudicazione dell�appalto. 

Sembrerebbe quindi che l�accoglimento della domanda incidentale tesa 
a paralizzare l�esercizio della domanda principale ne impedisca anche il cumulo 
(81), perch� una volta dichiarata inammissibile la domanda di privazione 

(80) GIOVAGNOLI R., Ricorso incidentale e parit� delle parti. Relazione al Convegno di Lecce sul 
Codice del processo amministrativo, 2012. 


DOTTRINA 351 

d�efficacia del contratto per difetto di legittimazione a ricorrere, diverr� inammissibile 
altres� la domanda condizionata al risarcimento del danno (82). 

Tale posizione sembra essere lontana anni luce da quella del giudice comunitario, 
sebbene appaia giustificabile in termini di efficienza e rapidit� 
dell�azione amministrativa. Non soltanto infatti appare criticabile la posizione 
del g.a. con riferimento alla domanda giudiziale, ex art. 40 c.p.a., ma anche 
con riferimento al cumulo delle domande ed ai motivi aggiunti (83), ex art. 43 

c.p.a. Non sembrano infatti rispettate le fondamentali regole di giustizia ed 
equit�, cos� tanto gettonate, ma spesso soltanto sulla carta. 

La posizione giuridica soggettiva non appare difendibile (84) richiamando 
forme di tutela per equivalente, ovvero i principi del pareggio di bilancio ovverosia 
di sostenibilit� del debito pubblico come previsti ex artt. 81 e 97 della 
Carta Costituzionale (85). 

(81) Cos� la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 14 dicembre 2011 n. 6537 puntualmente 
richiamata quasi testualmente dalla pi� recente sentenza del Consiglio di Stato 22 gennaio 2013 n. 359 
�a differenza che nel processo civile, in cui il cumulo delle domande pu� essere giustificato tanto da 
una connessione oggettiva, quanto da una connessione soggettiva, nel processo amministrativo di legittimit� 
assume rilevanza soltanto la prima forma di connessione. La connessione soggettiva, al contrario, 
non consente l�impugnazione con un unico ricorso di provvedimenti diversi, a meno che sussista 
anche un collegamento oggettivo tra di essi. In altri termini nel processo amministrativo, occorre che 
le domande siano o contemporaneamente connesse dal punto di vista soggettivo e oggettivo,oppure 
semplicemente connesse dal punto di vista oggettivo�. 

(82) PICOZZA E., Op. ult. cit. 

(83) I motivi aggiunti c.d. propri o successivi costituiscono un�integrazione della causa petendi 
e sono stati ammessi dalla giurisprudenza nostrana sin dall�inizio del secolo scorso. Consistono nella 
possibilit� per il ricorrente di formulare nuove censure nel caso in cui successivamente alla proposizione 
del ricorso e dopo la scienza del termine per ricorrere questi abbia avuto contezza di fatti o atti 
idonei a rilevare l�esistenza di ulteriori vizi originari del provvedimento impugnato. Secondo l�impostazione 
tradizionale quindi la proposizione dei motivi aggiunti propri � limitata a doglianze riguardanti 
l�atto gi� impugnato, che si fondino su atti sconosciuti senza colpa da parte del ricorrente 
e prodotti in giudizio dalle controparti . Pi� di recente la giurisprudenza con atteggiamento maggiormente 
elastico ha ammesso la proposizione dei motivi aggiunti dedotti in seguito alla cognizione extragiudiziale 
dell�invalidit�. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, UTET, 
Torino, 2003, p. 645. 
(83) SASSANI B., VILLATA R., Il codice del processo amministrativo, Dalla giustizia amministrativa 
al diritto processuale amministrativo, Giappichelli, Torino, 2012. 
(84) Non si rinviene una norma di legge che obblighi l�amministrazione aggiudicatrice all�esercizio 
dell�autotutela. La p.a. pu� produrre ricorso incidentale solo se con esso intende chiedere la declaratoria 
di illegittimit� di un atto presupposto emanato da altra amministrazione. Se, invece, il giudizio 
riguarder� soltanto la legittimit� dell�atto emanato dall�amministrazione intimata, ebbene, in questo caso 
la p.a., potendo esercitare sul provvedimento poteri autotutelativi, non � legittimata a produrre ricorso 
incidentale. 
(85) La legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio � stata approvata con la legge 
24 dicembre 2012 n. 243, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 gennaio 2013, in conformit� al dettato 
costituzionale che ne prevedeva approvazione entro il 28 febbraio 2013. Con apposita novella invece 
all�art. 97 Cost., l�obbligo di assicurare l�equilibrio dei bilanci e la sostenibilit� del debito pubblico viene 
esteso a tutte le pubbliche amministrazioni. 



5. Brevi conclusioni: opportunit� di un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte 
di giustizia della problematica in oggetto. 

Sebbene finora il Consiglio di Stato abbia affermato con atteggiamento 
risoluto che le norme processuali amministrative non possano essere direttamente 
disapplicate, se non in casi eccezionali, dallo stesso giudice amministrativo, 
ferma restando la possibilit� di ricorrere al rinvio pregiudiziale alla 
Corte di giustizia U.E., ex art. 267 (86) TFUE, ovvero al giudizio di legittimit� 
costituzionale, ex art. 117, comma 1, Cost., appare quantomeno auspicabile il 
rinvio della questione del rapporto tra esame del ricorso principale e incidentale 
alla Corte di Giustizia, ex art. 345 (87) TFUE. In tal sede porre eventualmente 
anche la questione della disapplicazione (88) dell�art. 42 c.p.a.? 

Secondo il diritto europeo i principi comuni di non discriminazione, trasparenza 
e concorrenza si possono coniugare in diverso modo all�interno degli 
Stati membri. Le direttive consentono infatti un�attuazione differenziata dal 
momento che vincolano al risultato, fermi gli scopi di tutela. Il legislatore sar� 
quindi investito di una responsabilit� mista a capacit� di scelta intelligente e 
lungimirante. La scelta delle direttive recenti discendono dalla consapevolezza 
che in molti casi il migliore bilanciamento tra il favor per la concorrenza e gli 
altri principi compreso il buon andamento vada ricercato sul piano concreto 
non su quello teorico-astratto (89). Pare a tal punto opportuno fare una riflessione 
e porsi un problema di carattere generale, ovverosia, pu� l�operatore direttamente 
chiamato a conferire efficacia concreta alle direttive direttamente 
applicabili, far convivere il sistema normativo nazionale che ancora non � stato 
oggetto di adattamento, prima che il proprio legislatore adempia a questo compito 
fondamentale (90)? Il problema potr� trovare soluzione positiva a condi


(86) La problematica in esame � stata da ultimo nuovamente rimessa alla Corte di Giustizia dal 
Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, davanti alla quale � stata proposta l�impugnazione 
della sentenza del Tar Palermo n. 351/2013 (Consiglio di giustizia amministrativa Regione Sicilia, 
ordinanza 17 ottobre 2013, n. 848). 
(87) Questo articolo TFUE (da sempre presente nei Trattati) � stato oggetto di lunghi dibattiti in 
ambito accademico. I giudici di Lussemburgo affermano che l�articolo in questione � espressione del 
principio di neutralit� dei Trattati, salvo rimanendo il divieto di discriminazione, la libert� di stabilimento 
e la libera circolazione dei capitali all�interno del territorio U.E. 
(88) Sotto il profilo dogmatico, la dottrina interpreta il fenomeno della disapplicazione in tre modi: 
a)come effetto o risultato giuridico della supremazia dell�ordinamento comunitario su quelli nazionali, 
in virt� del primato e della diretta applicazione del diritto comunitario medesimo; b)come effetto o risultato 
giuridico dell�integrazione comunitaria negli ordinamenti nazionali, l�effetto integrativo comporta 
che la norma comunitaria almeno occasionalmente e nel caso concreto tra le fonti del diritto nazionale 
sostituendosi alla norma nazionale, regionale o locale incompatibile; c)come risultato di un criterio di 
collegamento particolare tra gli ordinamenti nel solco dei principi enunciati dal diritto internazionale 
privato. In tal senso, PICOZZA E., RICCIUTO V., Op. ult. cit. 
(89) CARANTA R., DRAGOS D.C., Op. ult. cit. 


(90) Il problema si � posto in particolar modo proprio in materia di appalti pubblici, prima che 
le direttive appalti, direttamente applicabili, venissero recepite e trasposte con decreti legislativi appropriati. 



DOTTRINA 353 

zione che l�operatore (91) dotato di sufficiente cultura giuridica comunitaria, 
sappia inserire la norma nazionale nel contesto del diritto comunitario che regola 
tale materia. In effetti, il potere di adattamento differisce da quello di applicazione 
(92) in senso stretto, perch� consente agli Stati di rispettare, 
nell�operazione di ricezione, l�identit� nazionale che scaturisce dal proprio sistema, 
a condizione che esso non si ponga, nel suo complesso, contro lo spirito 
del diritto comunitario (93). Quanto alla c.d. illegittimit� comunitaria che consente 
la disapplicazione dell�atto nazionale incompatibile, sono state avanzate 
diverse teorie che derivano i loro presupposti dalla soluzione del problema generale 
dei rapporti tra ordinamenti. Si � avanzata, con varie motivazioni, la 
tesi della nullit�, dell�inefficacia, dell�illegittimit� amministrativa in senso 
stretto, ovvero di una particolare ed eccezionale figura d�invalidit�, ovverosia 
l�illegittimit� comunitaria, soprattutto con riferimento alla disapplicazione 
degli atti amministrativi incompatibili. Tuttavia, al di l� delle variazioni, l�effetto 
non cambia: il giudice amministrativo deve annullare il provvedimento 
amministrativo incompatibile quando sia l�oggetto specifico del ricorso e non 
limitarsi solamente a disapplicarlo. Quando invece � una legge statale o regionale, 
un regolamento o un atto amministrativo generale a porsi in modo incompatibile 
col diritto europeo, pu� essere sufficiente la disapplicazione (94) 
degli stessi ai fini dell�oggetto del giudizio (95). 

6. Segue. Il rischio di azioni di risarcimento danni contro il Governo italiano 
sia in sede comunitaria che interna. 

Occorre a tal punto fare una precisazione inerente al giudizio comuni


(91) Non si pu� nemmeno rinvenire una responsabilit� sebbene a carattere residuo da parte del 
funzionario che abbia agito illegittimamente, n� si rinviene una disposizione normativa volta all�obbligo 
dell�autotutela da parte dell�amministrazione, nonostante ci� emerga espressi verbis dall�orientamento 
della Corte di giustizia. Per quanto si ritiene possibile che il singolo funzionario possa esercitare il potere 
di adattamento che gli effetti propri dell�armonizzazione e non dell�unificazione delle disciplin. Il rispetto 
del principio della correttezza sembra d�obbligo .In tal senso, PICOZZA E., Diritto amministrativo e diritto 
comunitario, Giappichelli, Torino, 2004, p. 75. 
(92) Laddove si dovesse proporre una questione di legittimit� davanti alla Corte Costituzionale, 
la tutela si porrebbe come preventiva rispetto alla pronuncia che definisce il giudizio ed anzi condizionante 
il suo contenuto. Il giudice amministrativo non potr�, ove sia dichiarata l�illegittimit� della norma 
nazionale e/o in presenza di una sentenza interpretativa, proseguire in una differente interpretazione. 
Condizione per l�accesso alla Corte Costituzionale � che il giudice a quo ritenga non manifestatamente 
infondata la questione e quindi abbia egli stesso l�attitudine a porsi in modo critico rispetto alle proprie 
scelte. In tal senso, OGGIANU S., Giurisdizione amministrativa e funzione nomofilattica, in Studi di diritto 
processuale amministrativo (Collana diretta da PICOZZA E., SASSANI B.), Cedam, Milano, 2011, p. 294. 
(93) In tal senso, PICOZZA E., Diritto amministrativo e diritto comunitario, Giappichelli, Torino, 
2004, p. 74. 
(94) A volte la giurisprudenza amministrativa tende a restringere l�obbligo di disapplicazione per 
le p.a., imponendolo magari al responsabile della procedura contrattuale pubblica e non alla Commissione 
aggiudicatrice. 


(95) PICOZZA E., RICCIUTO V., Diritto dell�Economia, Giappichelli, Torino, 2013, p. 465 e ss. 


tario di inadempimento ed al giudizio nazionale ed individuale che pu� essere 
proposto sia dal singolo cittadino che dall�impresa, laddove si accerti 
la lesione da parte di qualunque pubblico potere dello Stato di una norma o 
regola comunitaria da proporre in Italia, davanti al Tribunale civile di Roma 

(96) nei confronti del Governo. Questa responsabilit� di carattere comunitario 
� stata riscontrata nonch� articolata dalla CGCE in un primo momento 
nei confronti del potere legislativo (97); successivamente � stata estesa al 
potere amministrativo (98), nonch� a quello giurisdizionale. Nella nota sentenza 
resa nel caso Traghetti del Mediterraneo (99), infatti, si � affermato 
che il diritto comunitario osta ad una normativa nazionale (come quella italiana 
della L. n. 117/1988) che limiti la sussistenza della responsabilit� dello 
Stato membro ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove tale limitazione 
conduca ad escludere la sussistenza di tale responsabilit� nel caso in 
cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente. E non 
solo. Anche a seguito della pronuncia Traghetti del Mediterraneo, la Corte 
ha ribadito che costituisce principio fondamentale del diritto dell'Unione 
l'obbligo per gli Stati membri di risarcire il danno cagionato ai singoli per 
violazione del diritto dell'Unione. I presupposti di tale responsabilit� risarcitoria 
consistono: in primis nella violazione di una norma preordinata a conferire 
diritti ai singoli; nella sufficiente caratterizzazione di tale violazione 
(che la Corte ravvisa nel carattere "manifesto" della violazione) ed infine, 
nel nesso di causalit� diretto fra la violazione e il danno subito dai singoli. 
La Corte ha poi ulteriormente precisato che lo Stato � responsabile per ogni 
violazione cagionata da organi che formano il c.d. Stato apparato, senza che 
possa rilevare la sua organizzazione interna (ad esempio non rileva l'articolazione 
territoriale e l'autonomia riconosciuta agli enti sub-statali). Nel caso 
K�bler (100), risalente rispetto a quello appena trattato, la Corte di Giustizia 
ha affermato che anche la violazione riferibile allo Stato-giudice pu� fondare 
la responsabilit� dello Stato nel suo complesso. 

La limitazione del risarcimento al danno cagionato esclusivamente 
con dolo o colpa grave del giudice, costituisce una restrizione della responsabilit� 
dello Stato che non pu� essere accettata in quanto non rispettosa 
del parametro della "violazione sufficientemente caratterizzata" (id est, manifesta) 
che pu� da sola determinare l'insorgere della responsabilit� dello 
Stato. 

La Corte sembra peraltro ammettere in linea di principio che la normativa 
interna possa andare esente da censure laddove, sia pur in via interpre


(96) Competente per territorio. 
(97) Sentenza Brasserie du Pecheur del 5 marzo del 1996 (causa C 46/93). 
(98) Sentenza Hedley Lomas del 23 maggio 1996 (causa C 5/94). 
(99) Ovverosia 13 giugno 2006 (causa C-173/03). 


(100) Sentenza 30 settembre 2003 (causa C-224/01). 


DOTTRINA 355 

tativa, gli organi giurisdizionali di ultima istanza ne garantiscano un�uniforme 
interpretazione conforme al diritto dell'Unione. 

In difetto della dimostrazione di tale circostanza, che lo Stato non � stato 
in grado di provare, la Corte ritiene che, escludendo qualsiasi responsabilit� 
dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione 
del diritto dell�Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo 
grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto 

o di valutazione di fatti e prove effettuate dall�organo giurisdizionale medesimo, 
e limitando tale responsabilit� ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi 
dell�art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana � venuta 
meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilit� 
degli Stati membri per violazione del diritto dell�Unione da parte 
di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado. 

La giurisprudenza comunitaria qualifica da tempo l�atteggiamento dello 
Stato inadempiente agli obblighi nascenti dal Trattato dell�Unione come illecito 
sanzionabile con l�obbligo risarcitorio. La fonte di tale responsabilit� � 
stata individuata dalla giurisprudenza comunitaria nella violazione dell�art. 10 
del Trattato che impone agli Stati membri di adottare tutte le misure di carattere 
generale e particolare finalizzate agli scopi del Trattato e di astenersi da qualunque 
misura che rischi di compromettere la realizzazione di tali scopi. Diventa 
fondamentale, quindi, la dimostrazione del nesso di causalit� tra 
violazione e produzione del danno. Nella valutazione del quantum va considerato 
in applicazione di principi costituzionali comuni, quali il dovere di solidariet� 
e collaborazione, il comportamento processuale ed extraprocessuale 
del danneggiato posto in essere in concorso col pubblico potere dello Stato 
membro. Si tratta, cio�, dell�art. 1227 del nostro codice civile che � stato ritenuto 
componente essenziale del c.p.a. ai fini del risarcimento del danno di 
ogni tipo (101). Quanto alla qualificazione giuridica della domanda risarcito-
ria, nonch� al termine di prescrizione della stessa, la Suprema Corte si � recentemente 
(102) pronunciata: da un lato, infatti, ha confermato l�orientamento 
ormai prevalente nella giurisprudenza di merito e di legittimit�, favorevole 
cio� al riconoscimento in capo allo Stato legislatore di un illecito comunitario; 
dall�altro lato, invece, si � discostata dalla tesi prevalente in merito alla natura 
giuridica della responsabilit� dello Stato facendone discendere importanti conseguenze 
soprattutto in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del 
danno. Il giudice di legittimit� affronta il problema relativo all�esigenza di coordinamento 
della disciplina della responsabilit� civile nazionale con le regole 
comunitarie, aderendo alla tesi della natura contrattuale della responsabilit� e 

(101) PICOZZA E., RICCIUTO V., La tutela giurisdizionale in un ordinamento giuridico multilivello, 
in Diritto dell�economia, Giappichelli, Torino, 2013, p. 463 e ss. 

(102) Sentenza a Sezioni Unite Corte di Cassazione n. 9147/2009. 


non extracontrattuale (103) della medesima, derivante dal principio generale 
secondo cui il debitore deve adempiere le proprie obbligazioni secondo buona 
fede (104). Al fine di salvaguardia dell�ordinamento comunitario, utilizzando 
gli strumenti dell�ordinamento interno, si riconosce quindi in capo al singolo 
danneggiato a causa dell�inadempimento di un�obbligazione ex lege la possibilit� 
di far valere nei confronti dello Stato una riparazione del pregiudizio 
sofferto. Tale pretesa andr� qualificata come pretesa indennitaria di attivit� 
non antigiuridica volta a compensare l�avente diritto della perdita subita in 
conseguenza dell�inadempimento o del ritardo oggettivamente apprezzabile 
in presenza del requisito della gravit� della violazione, ma senza che operino 
i criteri del dolo e della colpa. Il termine di prescrizione dell�azione di responsabilit� 
non � pi� quinquennale, ex art. 2947 c.c. in combinato disposto con 
l�art. 2043 c.c. in materia di fatto illecito da responsabilit� extracontrattuale, 
ma � il normale termine di prescrizione decennale. La responsabilit� comunitaria 
appare quindi come una vera e propria responsabilit� civile che assorbe 
anche la c.d. responsabilit� politica cara alla dottrina costituzionalistica. Quindi 
sia il Parlamento che il Governo che le stesse Assemblee Legislative Regionali 
possono compiere degli inadempimenti sia di tipo commissivo che omissivo. 
Per il diritto europeo � assolutamente indifferente il potere pubblico che risponde 
dell�inadempimento, in quanto l�unico soggetto abilitato a rispondere 
verso il cittadino o l�impresa comunitaria � il Governo dello Stato inadempiente. 
Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, il diritto 
comunitario non si oppone a che lo Stato renda responsabile in via diretta o in 
regresso il potere pubblico concretamente inadempiente. Su questa base quindi 
la violazione del diritto comunitario pu� costituire motivo di responsabilit� 
amministrativa da lesione dell�interesse legittimo ovvero del diritto soggettivo 
di competenza esclusiva del giudice amministrativo; oppure danno erariale o, 
ancora, motivo di risarcimento del danno e/o di ottemperanza. Le fattispecie 
di responsabilit� dei poteri giurisdizionali di uno Stato membro sembrano 
emergere nella giurisprudenza della Corte di Giustizia soprattutto in due casi: 
per omessa disapplicazione da parte del giudice di uno Stato membro di una 
disposizione nazionale manifestatamente incompatibile con una comunitaria; 

(103) I requisiti dell�illecito aquiliano addebitabile allo Stato discendono dal diritto pretorile della 
Corte di Lussemburgo, salvo poi rinviare alla disciplina degli Stati interni per la regolazione sistematica 
dello stesso. Considerato che nella sentenza Francovich la Corte ha fatto discendere il principio della 
responsabilit� dello Stato dagli artt. 10 e 189 del TCE, la base giuridica dell�illecito comunitario risiede 
non tanto nella disciplina nazionale, quanto nell�illecito comunitario. L�obbligo risarcitorio rinviene nel 
diritto comunitario la propria fonte ed i giudizi nazionali, investiti della funzione giurisdizionale, partecipano 
ad una funzione multilivello, composta di elementi transnazionali. 

(104) Nella fattispecie, ha osservato la Corte Suprema l�obbligazione si fonda sulla volontaria 
appartenenza dell�Italia all�Unione Europea e quindi � naturale conseguenza che essa debba adempiere 
agli obblighi che derivano da tale appartenenza, tra i quali dare attuazione agli atti di diritto derivato soprattutto 
quando non sono direttamente auto esecutivi, come nel caso di gran parte delle direttive europee. 


DOTTRINA 357 

per omessa richiesta di rinvio pregiudiziale ai sensi dell�art. 267 TFUE da parte 
di una�autorit� giudiziaria definibile come di ultima istanza nell�ambito della 
propria giurisdizione (105). Proprio con riferimento alla questione pregiudiziale 
di cui all�articolo appena menzionato, pare opportuno fare una precisazione: 
l�obbligo di disapplicazione di disposizioni nazionali di qualsiasi livello 
e natura incompatibili col diritto europeo trae fondamento dall�obbligo di leale 
collaborazione e dai principi del primato del diritto europeo, dalla diretta applicazione 
degli atti di diritto privato, dall�obbligo d�interpretazione conforme 
degli atti nazionali al diritto comunitario, nonch� dall�effetto utile. Pu� tuttavia 
succedere che qualsiasi potere pubblico dello Stato membro dell�Unione Europea 
non si attenga ai criteri appena esposti, non disapplicando l�atto nazionale 
incompatibile o non sospendendo il giudizio nazionale o non ponendo in 
essere la questione pregiudiziale ai sensi dell�art. 267 TFUE che consente di 
risolvere la controversia. 

In tal caso, laddove quindi dovesse ravvisarsi una violazione del diritto 
comunitario, vi sarebbe inadempimento dello Stato agli obblighi derivanti 
dalla sua appartenenza all�Unione Europea: si metter� in atto una vera e propria 
azione d�inadempimento davanti alla CGE (ex art. 260 TFUE). La titolarit� 
di tale azione giudiziaria spetta sia alla Commissione che a ciascuno degli stati 
membri nell�esecuzione di una politica di controllo reciproco sugli adempimenti 
del diritto comunitario. La legittimazione invece non � prevista per i 
singoli cittadini, n� per le imprese e per le associazioni di categoria o per i 
soggetti rappresentanti di interessi o diritti collettivi o diffusi. � pur vero, tuttavia, 
che tali soggetti sono titolari di una facolt� procedimentale ovverosia la 

c.d. denuncia d�inadempimento (106). 

(105) PICOZZA E., RICCIUTO V., Op. ult. cit. 

(106) La denuncia pu� essere contemporanea o successiva alle azioni stragiudiziali o giudiziali 
nazionali, deve contenere una succinta indicazione dei fatti, la specifica violazione degli obblighi previsti 
da norme comunitarie che si imputa ad una determinata autorit� dello Stato membro, l�indicazione della 
stessa, gli altri soggetti che possono svolgere un ruolo nella vicenda, le azioni stragiudiziali e giudiziali 
nel frattempo intraprese a livello nazionale, l�elenco della documentazione, gli estremi del soggetto denunciante 
o del suo legale rappresentante, gli estremi di recapito. 


Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali 
per infiltrazioni o condizionamento mafioso 

David Romei* 

SOMMARIO: 1. Premessa: lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni 
della criminalit� organizzata di tipo mafioso nel sistema dei controlli - 2. L�originaria 
disciplina sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazioni della criminalit� organizzata 
di tipo mafioso e l�intervento della Corte costituzionale - 3. La disciplina di cui all�art. 143 

T.U.E.L. e le modifiche apportate dal c.d. Pacchetto sicurezza - 4. La natura del decreto di 
scioglimento - 5. Il vigente sistema dello scioglimento dei consigli comunali. Il quadro indiziario 
posto a base delle valutazioni dell�autorit� prefettizia ex art. 143 T.U.E.L. Natura ampiamente 
discrezionale dell�accertamento prefettizio - 6. Gli elementi sintomatici della 
ricorrenza dei presupposti richiesti dall�art. 143 T.U.E.L. per lo scioglimento del Consiglio 
comunale - 7. Gli effetti dello scioglimento nei confronti degli amministratori degli enti locali 

-8. Considerazioni conclusive. 

1. Premessa: lo scioglimento dei Consigli comunali e provinciali per infiltrazioni 
della criminalit� organizzata di tipo mafioso nel sistema dei controlli. 

La misura dello scioglimento dei Consigli comunali e provinciali per infiltrazioni 
della criminalit� organizzata di tipo mafioso di cui all�art. 143, d.lgs. 18 
agosto 2000, n. 267 (decreto legislativo recante il �Testo unico sull�ordinamento 
degli enti locali�, c.d. T.U.E.L.) (1) rientra nel pi� ampio genus dei controlli sugli 
organi istituzionali degli enti locali (2). A tale forma di controllo, gi� tradizionalmente 
prevista nell�ordinamento precostituzionale, � stata riconosciuta natura 
ordinamentale, costituendo strumento attraverso cui lo Stato si assicura che gli 
enti locali, nello svolgimento della loro attivit� istituzionale, agiscano in conformit� 
ai principi generali dell�ordinamento (3); tali controlli, dunque, a differenza 
dei controlli sugli atti, hanno ad oggetto non la legittimit� di singoli 
provvedimenti amministrativi, bens� l�intera attivit� dell�organo rappresentativo, 
essendo precipuamente rivolti alla valutazione del suo operato complessivamente 
inteso, nonch�, soprattutto, dei meccanismi di formazione della sua volont�, 
al di l� delle singole modalit� concrete di esercizio del potere (4). 

(*) Avvocato, gi� ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 

(1) In Gazz. Uff. 28 settembre 2000, n. 227. 
(2) Sulla riconducibilit� della misura di cui all�art. 143 T.U.E.L. ai controlli amministrativi si v. 


T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 3 giugno 2014, n. 5856, in www.ilquotidianogiuridico.it, con nota di CASSANO, 
secondo cui la norma rappresenta �una particolare misura di controllo sugli organi posta dal-
l�ordinamento a difesa dell�ordine e della sicurezza pubblica, a garanzia della sussistenza di quelle 
condizioni minimali che consentano liberamente e legalmente lo svolgimento del dibattito e la partecipazione 
politica dei cittadini e di tutte le forze espresse dall�attuale societ� pluralistica�. 

(3) Si veda, sul punto, MELE, Manuale di diritto degli enti locali, Milano, 2007, 296-297. 


DOTTRINA 359 

Il sistema dei controlli sugli organi degli enti locali � stato profondamente 
inciso dalla riforma del Titolo V della Costituzione operato dalla l. cost. 18 
ottobre 2001, n. 3 (5), la quale, introducendo all�art. 114 Cost. il principio di 
equiordinazione fra gli enti costituenti la Repubblica (Comuni, Provincie, Citt� 
metropolitane, Regioni e Stato), ha suscitato forti dubbi circa la perdurante legittimit� 
costituzionale delle disposizioni contenute negli artt. 141 e ss. T.U.E.L. 
sul potere di scioglimento dei consigli comunali e provinciali. 

A porre fine al dibattito �, da ultimo, intervenuto lo stesso legislatore con 

l. 5 giugno 2003, n. 131 (recante �Disposizioni per l�adeguamento dell�ordinamento 
della repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3�, c.d. 
legge La Loggia) (6), il cui art. 2, comma 4, lett. m), precisa che il Governo, 
per l�individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali (Comuni, 
Province e Citt� metropolitane) ai sensi dell�art. 117, comma 2, lett. p), Cost., 
e per il perseguimento del maggior soddisfacimento dei bisogni primari delle 
relative comunit� di riferimento, deve attenersi, tra gli altri, ai principi contenuti 
nelle disposizioni in vigore relative al controllo sugli organi degli enti locali. 

La compatibilit� delle disposizione dettate dal T.U.E.L. in materia di controllo 
sugli enti locali con il novellato Titolo V della Costituzione � stata, del 
resto, affermata anche dal Consiglio di Stato (7), il quale ha precisato che �la 
pi� accentuata garanzia, sancita dall�art. 114 Cost., dell�autonomia degli 
enti locali, in un sistema complessivo di equiordinazione con lo Stato e le Regioni, 
costituisce una prescrizione di portata generale che non vale ad escludere 
la sussistenza di un interesse nazionale idoneo a giustificare 
l�esplicazione di tecniche di intervento statale sanzionatorio� al ricorrere di 
predeterminati presupposti (8). Al contrario, continuano i Giudici di Palazzo 
Spada, una copertura costituzionale per i controlli sugli organi degli enti locali 
dev�essere individuata proprio nel disposto del nuovo art. 117, comma 2, lett. 
p), Cost., che attribuisce alla legislazione esclusiva statale la materia della 

(4) In tal senso CELLA, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni o condizionamento 
di tipo mafioso, in Foro amm. TAR, 2004, 1209. 
(5) In Gazz. Uff. 24 ottobre 2001, n. 248. 
(6) In Gazz. Uff. 10 giugno 2003, n. 132. 
(7) Cons. St., sez. VI, 15 marzo 2007, n. 1264, in Foro amm. CdS, 2007, 3, 990. 




(8) Cfr., nello stesso senso, anche T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 18 marzo 2010, n. 4275, in www.giustizia-
amministrativa.it, secondo cui �le disposizioni degli artt. 141 e 142 T.U.E.L., che consentono al 
Governo di intervenire sugli organi degli enti locali in base al presupposto della sussistenza di gravi e 
persistenti violazioni di legge sono compatibili con il sistema complessivo di equiordinazione degli enti 
locali con lo Stato e le regioni e con la pi� accentuata autonomia degli stessi ex art. 114 Cost., recati 
dal nuovo Titolo V della Costituzione. Ci� in quanto, si � osservato, il vigente ordinamento costituzionale 
contempla due forme di ingerenza statale nell�autonomia delle amministrazioni locali: quella di natura 
sostitutiva di cui all�art. 120 Cost., che fa fronte ad esigenze oggettive da perseguire con un intervento 
surrogatorio, e quella, riferibile sotto il profilo sistematico agli artt. 126 e 117, comma 2, lett. p), Cost., 
che � espressione di un potere di controllo sugli organi e presuppone la sussistenza di violazioni da sanzionare, 
in vista del soddisfacimento di un rilevante interesse nazionale�. 



legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, 
Province e Citt� metropolitane. Nella materia �organi di governo� rientra, infatti, 
tanto la disciplina della costituzione e del funzionamento di questi organi, 
quanto quella degli interventi, anche di carattere sanzionatorio e/o 
repressivo, sui medesimi imposti da problemi connessi al loro non corretto 
funzionamento (9). Anche la Corte costituzionale, seppur incidentalmente, 
ha avuto modo di affermare come la disciplina sullo scioglimento degli enti 
locali sia strettamente correlata ad un�evidente omogeneit� degli interessi 
pubblici tutelati, sottostanti alla perseguita finalit� di ripristino del normale 
e corretto funzionamento degli enti locali (10). 

Nel panorama dottrinale non �, peraltro, mancata l�opinione di chi, specie 
con riferimento alla normativa di cui all�art. 143 T.U.E.L., ha sostenuto la legittimit� 
costituzionale della disciplina dei controlli sulla base del richiamo all�art. 
117, comma 2, lett. h), Cost., riconnettendola, pertanto, alla materia �ordine 
pubblico e sicurezza� rientrante nella potest� legislativa esclusiva statale (11). 

2. L�originaria disciplina sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazioni 
della criminalit� organizzata di tipo mafioso e l�intervento della Corte costituzionale. 


Gi� all�inizio degli anni �90 la recrudescenza di fenomeni di collusione 
della criminalit� organizzata di tipo mafioso con gli apparati amministrativi 
degli enti locali, specie di piccole dimensioni, aveva indotto il legislatore ad 
intervenire al fine di prevenire l�infiltrazione di soggetti legati alle consorterie 
malavitose nei gangli vitali dell�apparato amministrativo di tali enti e, in particolare, 
in seno ai loro organi elettivi (12). 

Il primo intervento in questa direzione � rappresentato dall�art. 15, l. 19 
marzo 1990, n. 55 (13), il quale, nella sua originaria formulazione, prevedeva 
la sospensione degli amministratori locali sottoposti a procedimento penale 
per il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso di cui all�art. 416bis 
c.p. (ovvero per i delitti di favoreggiamento commessi in relazione ad 
esso), nonch� degli amministratori nei cui confronti fosse stata applicata, ancorch� 
con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione in 
quanto indiziati di appartenere ad una di tali associazioni. Ratio della norma 

(9) In tal senso autorevole dottrina: cfr. STADERINI, Diritto degli enti locali, Padova, 2011, 296297; 
ROLLA, Diritto regionale e degli enti locali, Milano, 2009, 220 e ss. 
(10) Cfr. Corte cost. 9 novembre 2007, n. 373, in Foro it., 2008, 2, I, 385. 
(11) Cfr. PIGNONE, Brevi note in tema di scioglimento degli organi degli enti locali, in www.justowin.it. 




(12) Per un�approfondita analisi sull�origine del d.l. 31 maggio 1991, n. 164 e delle successive 
modificazioni CANTADORI, Lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose, in Per Aspera 
ad veritatem - Rivista di intelligence e di cultura professionale. Servizio per le Informazioni e la Sicurezza 
Democratica, n. 24, 2002. 


(13) In Gazz. Uff. 23 marzo 1990, n. 69. 


DOTTRINA 361 

era quella di evitare la totale compromissione delle funzioni degli enti locali, 
garantendo la sopravvivenza degli organi elettivi malgrado la possibile collusione 
di alcuni loro componenti - pur se non ancora accertata con sentenza 
definitiva - con la criminalit� organizzata (14). Questa finalit� venne, per�, 
ben presto disattesa dallo stesso legislatore, che, dopo soli due anni dall�entrata 
in vigore dell�art. 15, l. cit., con l. 18 gennaio 1992, n. 16 (15), ne riscrisse 
totalmente il contenuto, dettando una pi� incisiva serie di restrizioni 
al diritto di elettorato passivo ed alla capacit� di assumere cariche nelle amministrazioni 
regionali e locali per i soggetti attinti da procedimenti penali o 
misure di prevenzione per appartenenza ad associazioni per delinquere di tipo 
mafioso (disciplina successivamente trasfusa, dapprima, nell�art. 59 T.U.E.L. 
e, da ultimo, nel d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, recante il �Testo unico delle 
disposizioni in materia di incandidabilit� e di divieto di ricoprire cariche 
elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti 
non colposi, a norma dell�articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 
2012, n. 190�, c.d. legge Severino) (16). 

Il secondo intervento, attuato nell�ottica della realizzazione di una sempre 
pi� incisiva lotta alla criminalit� mafiosa al fine di assicurare il rispetto dei 
principi di trasparenza ed imparzialit� della pubblica amministrazione, � rappresentato 
dall�introduzione, ad opera del d.l. 31 maggio 1991, n. 164 (17) 
dell�art. 15-bis, l. n. 55/1990 (poi trasfuso nell�art. 143 T.U.E.L.). In particolare, 
la norma, segnando un evidente passo avanti rispetto alla disciplina di cui al 
precedente art. 15, contemplava la possibilit� di addivenire allo scioglimento 
dei consigli comunali e provinciali per un periodo da dodici a diciotto mesi 
(prorogabili, in casi eccezionali, fino ad un massimo di ventiquattro mesi) qualora, 
anche a seguito degli accertamenti effettuati dal prefetto tramite accesso 
presso gli enti interessati a norma dell�art. 15, comma 5, fossero emersi elementi 

- differenti rispetto a quelli contemplati dall�art. 39, l. 8 giugno 1990, n. 142 
(legge recante l��Ordinamento delle autonomie locali�) (18) - su collegamenti 
diretti o indiretti degli amministratori con la criminalit� organizzata o su forme 
di condizionamento degli amministratori stessi, in grado di compromettere la 
libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni 
comunali e provinciali, nonch� il regolare funzionamento dei servizi 
alle stesse affidati, ovvero tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per 

(14) Sul punto si veda ANGELOSANTO, Attivit� di indagine nello scioglimento dei consigli comunali, 
in Vincere la 'ndrangheta, a cura di C. LA CAMERA, Roma, 2011, 219 e ss. 
(15) In Gazz. Uff. 22 gennaio 1992, n. 17. 
(16) In Gazz. Uff. 4 gennaio 2013, n. 3. 




(17) D.l. convertito, con modificazioni, in l. 22 luglio 1991, n. 221, successivamente modificato 
dal d.l. 20 dicembre 1993, n. 529, convertito dalla l. 11 febbraio 1994, n. 108, e ulteriormente modificato 
dall�art. 29, l. 3 agosto 1999, n. 265. 


(18) In Gazz. Uff. 12 giugno 1990, n. 135. 


lo stato della sicurezza pubblica. Lo scioglimento del consiglio comunale o 
provinciale comportava, in questi casi, anche la cessazione dalla carica di consigliere, 
sindaco, presidente della provincia e componente delle rispettive 
giunte, nonch� di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte. 

Come da pi� parti osservato (19), la novella legislativa �rappresenta la 
extrema ratio cui l�ordinamento ha ritenuto di dover ricorrere, quando la sospensione 
degli amministratori collusi non sarebbe sufficiente a salvaguardare 
l�amministrazione pubblica, di fronte alla pressione e all�influenza della criminalit� 
organizzata� (20). La ratio dell�intervento legislativo pu� essere, infatti, 
individuata nell�esigenza di approntare un sistema avanzato di difesa 
dello Stato a fronte di fenomeni di infiltrazione della criminalit� organizzata 
talmente pervasivi da essere in grado di compromettere il buon andamento 
delle amministrazioni comunali e provinciali, la libera determinazione dei loro 
organi assembleari nonch� il regolare funzionamento dei servizi da essi erogati, 
oltre che nella tutela dell�incolumit� e della sicurezza pubblica (21). 

Proprio la gravit� della misura introdotta dal legislatore, gi� all�indomani 
della sua entrata in vigore, ha spinto parte della dottrina (22) e della giurisprudenza 
amministrativa ad avanzare forti dubbi circa la sua legittimit� costituzionale, 
dubbi successivamente dissipati dalla Corte costituzionale, investita 
della questione di costituzionalit� dal T.A.R. Lazio, sede di Roma (23), con 
sentenza del 19 marzo 1993, n. 103 (24). 

La Consulta, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimit� costituzionale 
dell�art. 15-bis, l. n. 55/1999, sollevate in riferimento agli artt. 3, 5, 
24, 97, 113 e 128 Cost. (25), ha colto l�occasione per precisare la natura giuridica, 
il fondamento e i presupposti di esercizio del potere di scioglimento 
dei consigli comunali e provinciali. 

(19) LEOTTA, Breve rassegna di giurisprudenza in materia di provvedimenti di scioglimento dei 
consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso, Intervento al Workshop 
�Infiltrazioni mafiose e P.A.�, Siracusa, 26 maggio 2007, in www.giustizia-amministrativa.it; ANGELOSANTO, 
op. cit., 223. 
(20) Cosi LEOTTA, op. cit. Nello stesso senso anche la giurisprudenza dominante: cfr. T.A.R. Lazio, 
Roma, sez. I, 1 luglio 2013, n. 6492, in Foro amm. TAR, 2013, 7-8, 2320, la quale afferma la natura 
dello scioglimento dei consigli comunali ex art. 143 T.U.E.L. quale rimedio di extrema ratio volto a salvaguardare 
beni primari dell�intera collettivit� nazionale, messi in pericolo o compromessi dalla collusione 
tra amministratori locali e criminalit� organizzata o dal condizionamento comunque subito dai 
primi, non fronteggiabile con altri apparati preventivi o sanzionatori dell�ordinamento, teso al ripristino 
delle condizioni di legalit� dell�ente locale. 
(21) Sul punto si vedano CELLA, op. cit., 1209; ROLLA, op. cit., 221; LONGO, Lo scioglimento dei 
consigli comunali per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso e questione di contesto, 
in Foro amm. CdS, 2008, 880 e ss. 
(22) Vedasi sul punto VIRGA, Infiltrazioni mafiose negli enti locali, in Corr. Giur., 1991, 821 e 
ss.; CIANCIO, Lo scioglimento dei consigli comunali per motivi di inquinamento da criminalit� organizzata 
nella giurisprudenza costituzionale, in Giur. it., 1996, IV, 17 e ss. 
(23) Ord. 8 luglio 1992, n. 681, in Gazz. Uff. 19 ottobre 1992, n. 45. 
(24) In Regioni, 1993, 1671 e ss. e in www.cortecostituzionale.it. 







DOTTRINA 363 

Pi� nello specifico, il Giudice delle leggi ha evidenziato che la norma impugnata 
� espressione di un potere di carattere straordinario, non assimilabile 
alle altre disposizioni dettate in tema di rimozione e sospensione degli amministratori 
locali coinvolti in reati legati alla criminalit� mafiosa (26). Essa �, 
infatti, finalizzata a consentire il risanamento degli organi elettivi lesi nella 
loro capacit� di libera autodeterminazione a causa dei collegamenti con la criminalit� 
organizzata di alcuni loro membri. La disposizione impugnata, pertanto, 
lungi dal porsi in contrasto con i principi di uguaglianza, buon 
andamento ed imparzialit� della p.a., �, invece, formulata in modo da assicurarne 
il rispetto, contenendo in s� tutti gli elementi idonei a garantire obiettivit� 
e coerenza nell�esercizio dello straordinario potere di scioglimento degli organi 
elettivi conferito all�autorit� amministrativa. Sulla scorta di ci�, la Consulta 
ha, quindi, escluso qualsiasi violazione degli artt. 3, 24 e 113 Cost., relativamente 
alla asserita inidoneit� degli elementi probatori richiesti dall�art. 15bis, 
l. cit., ai fini dell�adozione del provvedimento di scioglimento (i quali, 
invece, ad avviso del Giudice remittente, presenterebbero un grado di significativit� 
inferiore a quello degli indizi e che, pertanto, mal si presterebbero ad 
un procedimento logico di tipo induttivo e ad un successivo controllo in sede 
giurisdizionale), in considerazione del peculiare onere motivazionale che grava 
sull�autorit� amministrativa in sede di adozione del provvedimento di scioglimento, 
nel quale devono necessariamente confluire tutti gli accertamenti effettuati 
dall�amministrazione procedente, tale da consentire al giudice 
amministrativo di verificare la logicit� dell�iter logico-giuridico dalla stessa 

(25) La principale censura mossa dal Giudice remittente atteneva all�asserita illegittimit� dell�art. 
15-bis, l. n. 55/1990, per violazione dell�art. 3 Cost., posto che essa, a differenza di altre previsioni normative 
anch�esse dirette a reprimere la criminalit� organizzata, le quali non solo richiedono un maggior 
grado di acquisizione probatoria ai fini dell�adozione di provvedimenti di sospensione o rimozione di 
amministratori di organi elettivi locali, ma producono effetti pi� ristretti, in quanto possono riguardare 
soltanto i soggetti colpiti da condanne o misure di prevenzione e devono essere ancorati a dati probatori 
certi e verificabili, consentendo di attribuire rilevanza ai �collegamenti indiretti� con la criminalit� organizzata 
ed estendendo l�applicabilit� della misura anche agli amministratori non direttamente interessati 
da quei collegamenti, determinerebbe una irragionevole lesione del principio di personalit� della 
responsabilit� penale. 
(26) In particolare, la Corte evidenzia che il carattere straordinario della misura deriva gi� dalla 
lettura della circolare esplicativa n. 7102 M/6 del 25 giugno 1991 del Ministero dell�Interno, la quale 
testualmente afferma che dagli elementi oggetto di valutazione deve emergere �chiaramente il determinarsi 
di uno stato di fatto nel quale il procedimento di formazione della volont� degli amministratori 
subisca alterazioni per effetto dell�interferenza di fattori, esterni al quadro degli interessi locali, riconducibili 
alla criminalit� organizzata�. Dalla lettura della predetta circolare, deriva, secondo la Corte, 
�la piena consapevolezza, da parte dell�autorit� che deve applicare la norma, che questa renda possibile 
lo straordinario potere di scioglimento solo in presenza di situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente 
suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette 
degli organi elettivi con la criminalit� organizzata, s� da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi 
delle comunit� locali il permanere di quegli organi alla guida degli enti esponenziali di esse� (cfr. pag. 
10 della sentenza). 



seguito. Lo scioglimento dev�essere, poi, fondato sul riscontro di un oggettivo 
condizionamento degli amministratori idoneo a compromettere la libera determinazione 
degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni 
comunali e provinciali nonch� il regolare funzionamento dei servizi loro affidati, 
ovvero sull�accertamento che il suddetto collegamento o le suddette 
forme di condizionamento risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio 
per lo stato della sicurezza pubblica. 

Infine, sulla base dell�assimilazione della disciplina di cui all�art. 15-bis, 

l. cit., con quella prevista dall�art. 39, comma 1, lett. a), l. n. 142/1990, che 
contempla lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per gravi motivi 
d�ordine pubblico, la Corte conclude nel senso che l�irragionevolezza della 
norma impugnata non pu� neppure essere sostenuta sotto il profilo - pure prospettato 
nell�ordinanza di rinvio - di eccessivit� del mezzo rispetto al fine, ravvisabile 
nella prevista possibilit� di estensione della misura a tutti gli 
amministratori, pur in presenza del collegamento solo di alcuni di essi con la 
criminalit� organizzata. In proposito, la Corte sottolinea come la misura dello 
scioglimento ha come destinatari non tutti i consiglieri, ma l�organo collegiale 
complessivamente considerato, in ragione della sua inidoneit� a gestire la cosa 
pubblica. Un rilievo, questo, che fa perdere ogni consistenza sia al profilo 
dell�eccessivit� della misura rispetto al fine, sia al profilo del carattere personale 
della responsabilit�, che non pu� essere riferito ad un organo collegiale, 
in particolare nell�ipotesi, alternativa a quella della collusione, del condizionamento 
dell�organo da parte dei gruppi criminali; situazione questa che pu� 
profilarsi non necessariamente in conseguenza di comportamenti illegali di 
taluno degli amministratori. 

Le conclusioni raggiunte dalla Consulta sono state oggetto di aspre critiche 
di una parte della dottrina (27). 

Le principali perplessit� si sono, in primo luogo, appuntate sull�eccessiva 
dilatazione del concetto di ordine pubblico operata dalla Consulta, cui sarebbero 
stati attribuiti �contorni a tal punto labili ed evanescenti da rendere la 
stessa figura, invece che strumento di tutela di valori primari, mezzo di compressione 
della sfera delle libert� individuali� (28). In questo senso, si � sottolineato 
che la sentenza rischierebbe di aprire un varco nel sistema di garanzia 
costituzionale dei diritti fondamentali, non arginabile fino all�individuazione 
degli esatti confini della nozione di ordine pubblico e della correlata possibilit� 
per i pubblici poteri di predisporre dei limiti all�esercizio dei diritti fondamentali 
per la sua tutela. 

(27) Si vedano, in proposito, CIANCIO, op. cit., 18 e ss.; CORSO, Criminalit� organizzata e scioglimento 
dei consigli comunali e provinciali: osservazioni critiche alla giurisprudenza costituzionale, in 
Nuove Autonomie, 1993, I, 117 e ss. 

(28) CIANCIO, op. cit., 21. 


DOTTRINA 365 

Tale obiezione pu�, per�, ormai dirsi superata a seguito della perimetrazione 
della nozione di ordine pubblico operata dal legislatore con l. 31 marzo 
1998, n. 112 (sulla quale v. infra sub par. 3). 

In secondo luogo, � stato evidenziato come l�intento del Giudice delle 
leggi di coinvolgere nella lotta alla criminalit� organizzata l�intero ordinamento 
giuridico attraverso l�impegno di tutte le sue giurisdizioni (da quella 
penale a quella amministrativa) attraverso il riconoscimento della sindacabilit� 
dei provvedimenti di scioglimento da parte del giudice amministrativo, non 
sia stato accompagnato da sufficienti indicazioni circa i criteri sulla base dei 
quali accertare la congruit� dell�operato dell�amministrazione (29). 

Anche questa seconda censura pu� considerarsi, allo stato, priva di fondamento, 
tanto in ragione del maggior rigore richiesto dall�attuale disciplina 
nell�individuazione e nella valutazione degli elementi indizianti circa l�esistenza 
di forme di condizionamento della criminalit� organizzata, quanto alla 
luce degli stringenti elementi sintomatici a tal fine elaborati dalla giurisprudenza 
(cfr. infra sub par. 3 e 6). 

3. La disciplina di cui all�art. 143 T.U.E.L. e le modifiche apportate dal c.d. 
Pacchetto sicurezza. 

La disposizione contenuta nell�art. 15-bis, l. n. 55/1999 e s.m.i., �, da ultimo, 
confluita nell�art. 143, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. T.U.E.L.), il 
quale - nella sua originaria formulazione anteriore alle significative modifiche 
introdotte nel 2009 - si limitava a riprodurne, pressoch� pedissequamente, il 
testo. Ci� nonostante, la nuova collocazione della misura dello scioglimento 
dei consigli comunali e provinciali � indicativa dalla volont� del legislatore 
di eliminarne, formalmente, il carattere di specialit�, inquadrandola organicamente 
nella parte dedicata al controllo sugli organi degli enti locali (30). La 
diversa sistemazione della norma non ne elide, tuttavia, la tradizionale ratio, 
da individuarsi pur sempre nella tutela della sicurezza e dell�ordine pubblico, 
cos� come gi� riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 
103/1993 (31), nell�ampia accezione fornita dallo stesso legislatore nell�art. 
159, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (32), che, nel richiamare la sicurezza delle 
istituzioni, dei cittadini e dei loro beni, lo definisce testualmente quale �com


(29) CIANCIO, op. cit., 28 e ss.; CELLA, op. cit., 1212. 

(30) In tal senso DE ANGELIS EFFREM DI TORRERUGGIERO, La normativa di contrasto alle infiltrazioni 
mafiose con particolare riferimento alla gestione commissariale degli Enti locali, in www.sarannoprefetti.
it; PIGNONE, op. cit. 
(31) La Consulta, in particolare, ponendosi in continuit� con l�orientamento della precedente giurisprudenza 
costituzionale che assegnava all�ordine pubblico il rango di bene superiore, inerente al sistema 
costituzionale e in grado di costituire un limite invalicabile rispetto ai diritti costituzionalmente 
garantiti, lo aveva declinato in un�accezione lata, comprensiva della sicurezza, dell�incolumit�, della 
tranquillit� e della difesa delle istituzioni; cfr., sul punto, CIANCIO, op. cit., 20 e ss. 


(32) In Gazz. Uff. 21 aprile 1998, n. 92. 


plesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari su cui 
si regge l�ordinata civile convivenza della comunit� nazionale� (33). 

Nella sua nuova collocazione sistematica, la norma segue quella contenuta 
nell�art. 141 T.U.E.L., la quale contempla una serie tassativa di ipotesi di 
carattere generale in cui i consigli comunali e provinciali possono essere 
sciolti dal Presidente della Repubblica, dietro proposta del Ministero dell�Interno. 
Tali cause di scioglimento attengono essenzialmente a due aspetti: il 
primo, relativo al compimento, da parte degli amministratori locali, di atti 
contrari alla Costituzione, ovvero in ragione della commissione di gravi e 
persistenti violazioni di legge, nonch� per gravi motivi di ordine pubblico 
(art. 141, comma 1, lett. a), T.U.E.L.); il secondo, originato, invece, dall�impossibilit� 
di assicurare il normale funzionamento degli organi e dei servizi 
dell�Ente comunale (impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso 
del sindaco o del presidente della provincia; dimissioni del sindaco o 
del presidente della provincia; cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, 
ovvero rese anche con atti separati purch� contemporaneamente presentati 
al protocollo dell�ente, della met� pi� uno dei membri assegnati, non 
computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia; riduzione 
dell�organo assembleare per impossibilit� di surroga alla met� dei componenti 
del consiglio; mancata approvazione del bilancio nei termini prescritti; assenza 
o mancata adozione degli strumenti urbanistici generali; art. 141, 
comma 1, lett. b), c) e c-bis), T.U.E.L.) (34). 

Rispetto a quello qualificabile �ordinario� (35), lo scioglimento previsto 
dall�art. 143 T.U.E.L. - gi� nella sua originaria formulazione (36) - si pone �in 
un rapporto di continuit� e di sostanziale specificazione, presentando la medesima 
ratio di tutela: la salvaguardia della �tranquillit� e della sicurezza del 
vivere sociale�, componenti fondamentali della nozione di �ordine pubblico 

(33) GAGLIARDI, Lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni della criminalit� organizzata, 
in Foro amm. CdS, fasc. 11, 2005, 3334, la quale suggerisce il collegamento tra ordine pubblico 
e sicurezza anche sulla base del dettato dell�art. 126 Cost., che, nel disciplinare lo scioglimento dei consigli 
regionali, prevede, in luogo del tradizionale riferimento all�ordine pubblico, quello alle ragioni di 
sicurezza nazionale; DE ANGELIS EFFREM DI TORRERUGGIERO, op. cit.; PIGNONE, op. cit. 
(34) Per un�analisi dettagliata della norma si veda, tra gli altri, STADERINI, op. cit., 297 e ss. 
(35) STADERINI, op. cit., 297. 




(36) L�art. 143, comma 1, T.U.E.L., nella sua originaria formulazione, testualmente stabiliva: �fuori 
dei casi previsti dall�art. 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di 
accertamento effettuati a norma dell�art. 59, comma 7, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti 
degli amministratori con la criminalit� organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori 
stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento 
delle amministrazioni comunali e provinciali, nonch� il regolare funzionamento dei servizi alle stesse 
affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza 
pubblica. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di 
consigliere, di sindaco, di presidente della provincia e di componente delle rispettive giunte, anche se 
diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti, 
nonch� di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte�. 



DOTTRINA 367 

materiale�� (37). Il rapporto di specialit� sussistente tra le due ipotesi di scioglimento 
dei consigli comunali e provinciali richiamate, comporta, di conseguenza, 
l�applicabilit� della disciplina di cui all�art. 143 T.U.E.L. anche nei 
confronti degli organi per i quali si siano gi� realizzati i presupposti previsti 
dall�art. 141 T.U.E.L, anche qualora fosse gi� intervenuto il relativo provvedimento 
di scioglimento e fino all�indizione delle elezioni per il rinnovo degli 
organi elettivi (38). 

In disparte alle situazioni indicate dall�art. 141, l�art. 143, comma 1, 

T.U.E.L. (come sostituito dall�art. 2, comma 30, l. 15 luglio 2009, n. 94) (39) 
prevede attualmente, quale ulteriore situazione legittimante l�adozione di un 
provvedimento di scioglimento da parte del Capo dello Stato, l�accertamento 
di �concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con 
la criminalit� organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di 
cui all�articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, 
tali da determinare un�alterazione del procedimento di formazione della volont� 
degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento 
o l�imparzialit� delle amministrazioni comunali e provinciali, nonch� il 
regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da 
arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica�. 

Come emerge chiaramente dal raffronto tra la vecchia e la nuova formulazione 
dell�art. 143 T.U.E.L., con la riforma del 2009 il legislatore ha inteso 
circoscrivere i presupposti necessari per addivenire allo scioglimento dell�ente 
locale, non essendo pi� sufficiente, a tal fine, l�emersione di �elementi su collegamenti 
diretti o indiretti degli amministratori con la criminalit� organizzata 

o su forme di condizionamento degli amministratori stessi�, risultando, di contro, 
necessaria l�emersione di �concreti, univoci e rilevanti elementi� idonei 
a comprovare l�esistenza di tali collegamenti. La specifica valenza probatoria 
degli elementi raccolti dall�amministrazione fa s� che la relativa valutazione 
non possa prescindere dalla sussistenza di �circostanze che assumano, al contempo, 
rilievo fattuale (e per converso non si traducano in mere congetture o 
sospetti), carattere concordante (restando estranei allo spirito della norma 

(37) Cos� GAGLIARDI, op. cit. 

(38) Cfr., in tal senso, PONTE, Commento all�art. 143, in La riforma degli enti locali. Commentario 
al d.lg. 18 agosto 2000, n. 267, diretto da F. PITER� - R. VIGOTTI, I, Torino, 2002, 640 e ss.; con riferimento 
alla disciplina antecedente al T.U.E.L., FORLENZA, Infiltrazione mafiosa e scioglimento degli organi 
collegiali degli enti locali, in Riv. pen. econ., 1991, 317 e ss. Contra ALFANO-GULLOTTI, Lo scioglimento 
dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti della criminalit� organizzata, in 
Nuova rassegna on line, 3, 2010, secondo cui dev�essere accordata prevalenza allo scioglimento per infiltrazioni 
mafiose ove non sia gi� intervenuto il perfezionamento di concorrente procedura di scioglimento 
avviata ai sensi dell�art. 141 T.U.E.L. Sulla prevalenza dello scioglimento ex art. 143 T.U.E.L. in 
giurisprudenza: cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 24 marzo 1999, n. 351, in T.A.R., 1999; T.A.R. 
Sicilia, Palermo, sez. I, 13 gennaio 1999, n. 58, in Foro Amm., 1999, 1902. 

(39) In Gazz. Uff. 24 luglio 2009, n. 170. 


episodi sporadici od occasionali) ed ampia significativit� (desumibile da comportamenti 
complessivi e situazioni soggettive tali da determinare il pericolo 
di gravi disfunzioni, sia all�interno dell�amministrazione locale sia all�esterno 
sul piano dell�ordine e della sicurezza pubblica)� (40). 

Il maggior rigore richiesto dal legislatore del 2009 nella valutazione degli 
elementi indizianti il collegamento degli amministratori locali con la criminalit� 
organizzata emerge anche sotto il profilo dell�onere motivazionale gravante 
sull�amministrazione. La proposta di scioglimento, difatti, deve 
contenere un�analitica indicazione sia delle anomalie riscontrate nella gestione 
dell�ente, sia dei provvedimenti necessari al fine di rimuoverne tempestivamente 
gli effetti pregiudizievoli per l�interesse pubblico, oltre alla specifica 
menzione degli amministratori ritenuti responsabili delle condotte causative 
dello scioglimento. 

Con la novella del 2009, peraltro, la verifica degli elementi significativi 
ai sensi dell�art. 143, comma 1, T.U.E.L., oltre a riguardare il �ceto politico� 
dell�ente locale, � estesa anche a quello �burocratico�, essendo essa diretta 
anche nei confronti del segretario comunale e provinciale, del direttore generale, 
dei dirigenti e dei dipendenti dell�ente. Come osservato dalla dottrina, 
�tale riferimento espresso trova fondamento nell�evoluzione normativa che 
ha interessato la p.a. negli ultimi decenni, nel senso di mantenere distinto il 
piano delle responsabilit� della sfera politica rispetto a quello della sfera amministrativa; 
tale assetto richiede che l�infiltrazione criminale possa verificarsi 
anche nel segmento gestionale dell�attivit� dell�ente� (41). 

Infine, una delle innovazioni di maggior rilievo apportate dalla l. n. 
94/2009, attiene all�introduzione, nel comma 11 dell�art. 143 T.U.E.L., della 
previsione dell�incandidabilit� degli amministratori locali, le cui condotte 
hanno causato la dichiarazione di scioglimento, alle elezioni regionali, provinciali, 
comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio 
si trova l�ente interessato dallo scioglimento limitatamente al primo 
turno elettorale successivo allo scioglimento stesso. 

(40) Cos� ALFANO-GULLOTTI, op. cit. Cfr., in giurisprudenza, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 18 giugno 
2012, n. 5606, in www.lexitalia.it. 
(41) Cos� STADERINI, op. cit., 310. Cfr., in giurisprudenza, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. 
I, 14 dicembre 2010, n. 1593, in Foro amm. TAR, 2010, 12, 4047, secondo cui �il principio di separazione 
tra le sfere politica e gestionale non esclude, anzi, avvalora, la responsabilit� complessiva degli 
amministratori elettivi, perch� attribuisce loro una piena autonomia di scelta delle modalit� e dei contenuti 
dell�azione amministrativa dell�ente e, dunque, una correlativa piena responsabilit� finale quanto 
ai suoi risultati, che assorbe il controllo funzionale sugli uffici dell�ente, tramite la nomina dei responsabili, 
l�adozione dei programmi e dei regolamenti, l�istituzione di effettivi e selettivi meccanismi premiali 
e di controllo dell�attivit� degli uffici e dei loro addetti e cos� via. In altri termini, in forza del 
principio di separazione, l�organo politico � direttamente e pienamente responsabile del risultato finale 
dell�amministrazione, perch� � sciolto da ogni controllo (esterno o interno) di legittimit� sugli atti o di 
merito sulle scelte di governo�. 



DOTTRINA 369 

4. La natura del decreto di scioglimento. 

Sin dall�entrata in vigore dell�art. 15-bis, l. n. 55/1990, la dottrina e la 
giurisprudenza hanno ampiamente dibattuto in ordine alla natura giuridica del 
provvedimento di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per condizionamento 
della criminalit� organizzata. 

Secondo una prima tesi, assolutamente minoritaria, ai decreti di scioglimento 
dei consigli comunali dovrebbe essere riconosciuta natura di atti politici, 
come tali sottratti al sindacato giurisdizionale. Tale impostazione, 
sostenuta anche dall�Avvocatura Generale nelle conclusioni rassegnate nel 
giudizio di costituzionalit� dell�art. 15-bis, l. n. 55/1990 (42), muove sostanzialmente 
dall�equiparazione degli atti di scioglimento dei consigli comunali 
e provinciali a quelli di scioglimento dei consigli regionali contemplati dall�art. 
126 Cost., cui parte della dottrina riconosce natura di atto politico (43). In particolare, 
questi ultimi, essendo riconducibili alla materia �direzione suprema 
dello Stato�, sarebbero espressione di fini e interessi superiori rientranti nel 
concetto di sicurezza dello Stato, i cui mezzi di tutela erano stati definiti dalla 
Consulta di natura squisitamente politica (44). 

In senso contrario si �, per�, espressa la dottrina maggioritaria (45), in linea 
di continuit� con quanto gi� sostenuto dalla Corte costituzionale nella citata sen


(42) In particolare, l�Avvocatura Generale era pervenuta a tale conclusione attraverso una ampia 
disamina dei caratteri qualificanti delle misure, alla luce delle finalit� perseguite dal legislatore e del 
tipo di procedimento configurato per la loro adozione. I provvedimenti in questione - secondo l�Avvocatura 
Generale - avrebbero carattere di specialit� rispetto alle ipotesi di scioglimento delle assemblee 
elettive degli enti locali gi� contemplate nell'ordinamento dall�art. 39, l. n. 142/1990. La finalit� 
che il legislatore avrebbe avuto di mira, dunque, sarebbe stata quella di superare la tradizionale delimitazione 
del concetto di ordine pubblico gi� in precedenza legittimante provvedimenti di scioglimento 
di organi elettivi locali, concetto riferito alla sicurezza e alla quiete pubblica; l�emergenza 
rappresentata dal crescente condizionamento di organizzazioni criminali sui pubblici poteri in ambito 
locale avrebbe, quindi, determinato la necessit� di un superamento di quei tradizionali e limitati istituti, 
in ragione del carattere realmente eversivo dell�operato della criminalit� organizzata di stampo mafioso. 
Le misure di rigore risponderebbero cos� ad esigenze generali e unitarie di difesa dello Stato 
dall�aggressione di contro poteri criminali. Siffatte connotazioni si rifletterebbero anche nel procedimento: 
l�adozione della misura � affidata alla delibera del Consiglio dei Ministri - il cui intervento 
non � viceversa previsto nelle ipotesi ordinarie di scioglimento - che � trasmessa al Presidente della 
Repubblica per l�emanazione e contestualmente alle Camere, prima ancora dell�esecutivit� del provvedimento, 
per evidenti esigenze di controllo politico anticipato. Tali peculiarit� sostanziali e procedimentali 
- sempre ad avviso dell�Avvocatura Generale - renderebbero le misure di scioglimento in 
argomento piuttosto assimilabili allo scioglimento dei consigli regionali per ragioni di sicurezza nazionale, 
a norma dell�art.126, comma 3, Cost., misura cui si riconosce generalmente la natura di atto 
politico, non sindacabile in sede di giurisdizione amministrativa, bens� in sede di conflitto di attribuzioni 
dinanzi alla Corte costituzionale in virt� dell�espresso disposto dell�art. 134 Cost. (che in ogni 
caso non riguarda i comuni e le province). 
(43) GARRONE, Atto politico (disciplina di diritto amministrativo), in Dig. disc. pubbl., Torino, 
1987, I, 544. 
(44) Si veda, sul punto, Corte cost., 24 maggio 1977, n. 86, in Giur. Cost., 1977, 696 e ss. 
(45) Cfr. CELLA, op. cit., 1211; CIANCIO, op. cit., 28; GAGLIARDI, op. cit. 







tenza n. 103/1993. La Consulta aveva, in particolare, precisato che la categoria 
degli atti politici, da individuare con criteri restrittivi stante il principio della indefettibilit� 
della tutela giurisdizionale ex artt. 24 e 113 Cost., include gli atti 
che attengono alla direzione suprema e generale dello Stato considerato nella 
sua unit� e nelle sue istituzioni fondamentali. Viceversa, i provvedimenti di scioglimento 
dei consigli comunali e provinciali �non presentano tali requisiti, giacch�, 
da un lato, la salvaguardia delle amministrazioni locali dalle ingerenze 
della criminalit� organizzata risponde ad un interesse specifico e delimitato 
dello Stato, per quanto pressante e necessaria sia l�esigenza dell�intervento, e, 
d�altro lato, una volta che la norma abbia previsto i presupposti ed i contenuti 
del provvedimento, le valutazioni di ordine politico devono intendersi esaurite 
nella sede legislativa, restando al potere esecutivo il compito, che � proprio 
della sfera di azione della potest� amministrativa, di rendere operante il dettato 
della fonte primaria�. Tale condivisibile orientamento � stato, successivamente, 
fatto proprio anche dalla giurisprudenza amministrativa (46). 

Parimenti dibattuta � la natura sanzionatoria o preventiva del decreto di 
scioglimento. 

La Consulta, nella pi� volte richiamata sentenza n. 103/1993, ne aveva 
affermato la natura senz�altro sanzionatoria, avendo la stessa come diretti destinatari 
gli organi elettivi, pur se caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione 
sociale per la sua ricaduta sulle comunit� locali che la legge intende 
sottrarre, nel loro complesso, all�influenza della criminalit� organizzata (47). 

Senonch�, gi� all�indomani di tale pronuncia, la giurisprudenza amministrativa 
(48), supportata dalla dottrina predominante (49), si � pressoch� unani


(46) Cfr., in tal senso, Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266, in Redazione Giuffr�, 2012; 
Cons. St., sez. IV, 22 febbraio 2007, n. 1004, in Foro amm. CdS, 2007, 3, 861; Cons. St., sez. V, 20 ottobre 
2005, n. 5878, in Foro amm. CdS, 2005, 10, 2957; Cons. St., sez. V, 3 febbraio 2000 n. 585, in 
Foro amm. CdS, 2000, 442. Con specifico riferimento al profilo della partecipazione delle Camere al-
l�adozione del provvedimento di scioglimento cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 22 dicembre 
1992, n. 1277, in Foro amm., 1993, secondo cui �il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale 
deliberato dal Consiglio dei Ministri, sebbene emanato nelle forme del d.P.R. e contestualmente 
trasmesso alle camere, non costituisce atto insindacabile giacch� la trasmissione alle camere non implica 
partecipazione alla formazione del provvedimento e, comunque, l�art. 15-bis, l. 19 marzo 1990, 
n. 55, non lo qualifica come insindacabile, quindi anche nel caso di specie deve trovare applicazione 
l�art. 113 Cost., come nei confronti di qualsiasi altro atto della p.a.�. 
(47) Nel medesimo senso si vedano, in dottrina, SARTI, sub art. 143, in M. BERTOLISSI, L�ordinamento 
degli enti locali, Bologna, 2002, 571, il quale evidenzia la natura evidentemente sanzionatoria 
della misura, sebbene la stessa presenti anche forti connotazioni preventive; DE GIORGIO, La cultura del 
sospetto non basta per sciogliere i consigli comunali, ma una regione su quattro � a rischio infiltrazioni, 
in D&G - Dir. e Giust., fasc. 44, 2003, 42 e ss. 
(48) Si fa, in particolare, riferimento a Cons. St., 21 novembre 1994, n. 925, in Cons. St., 1994, 
I, 1496. In precedenza, nello stesso senso, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 6 maggio 1992, n. 
433, in Foro Amm., 1993, 564. 
(49) Cfr. CIANCIO, op. cit., 23 e ss.; CICALA, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali 
per infiltrazione e condizionamento mafioso, in Nuova Rass., 1999, 847; CELLA, op. cit., 1213; GAGLIARDI, 
op. cit.; LEOTTA, op. cit. 



DOTTRINA 371 

mamente schierata a sostegno della natura preventiva della misura. Costituisce 
principio oramai acquisito all�elaborazione giurisprudenziale quello secondo cui 

�la natura del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni 
mafiose (ex artt. 143 e ss. d.lgs. n. 267 del 2000) non � di tipo sanzionatorio, 
ma preventivo� (50). � stato, infatti, osservato come �la ratio che � 
sottesa allo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni della criminalit� 
organizzata � collegata con un istituto di natura preventiva e cautelare, inteso 
ad evitare che gli indizi raccolti in ordine all�esistenza di una infiltrazione della 
criminalit� possano compromettere il regolare e legittimo andamento della gestione 
della cosa pubblica. Essa non risponde, quindi, alle regole ordinamentali 
tendenti a stroncare la commissione di illeciti, ma si inquadra piuttosto nel sistema 
preventivo del controllo generale riservato allo Stato in ordine a fatti che, 
per la loro consistenza ed effettivit�, si reputano idonei a determinare uno sviamento 
dell�interesse pubblico, che necessariamente deve essere perseguito dal-
l�ente locale, titolare esponenziale degli interessi della propria collettivit�� (51). 

Non sono, peraltro, mancate in dottrina voci che hanno sostenuto la tesi della 
natura mista, allo stesso tempo preventiva e sanzionatoria, della misura (52). 

5. Il vigente sistema dello scioglimento dei consigli comunali. Il quadro indiziario 
posto a base delle valutazioni dell�autorit� prefettizia ex art. 143 T.U.E.L. 
Natura ampiamente discrezionale dell�accertamento prefettizio. 

Al fine di accertare la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa all�interno 
dell�Ente locale, l�art. 143 T.U.E.L. contempla un articolato procedimento, 
il quale prevede, anzitutto, la nomina, da parte dell�Ufficio prefettizio 
competente, di un�apposita Commissione d�indagine per mezzo della quale 
esercitare i poteri di accesso e di accertamento di cui � titolare per delega del 
Ministro dell�Interno ai sensi dell�art. 2, comma 2-quater, d.l. 29 ottobre 1991, 

n. 345. La Commissione, entro il termine (prorogabile) di tre mesi dalla data 
di accesso, redige una relazione conclusiva circa la sussistenza di elementi 
idonei a far propendere per l�esistenza di tentavi di infiltrazione da parte della 
criminalit� organizzata. 

Entro il termine di 45 giorni dal deposito delle conclusioni della Commissione 
d�indagine (ovvero quando abbia comunque diversamente acquisito gli 
elementi di cui al comma 1 ovvero in ordine alla sussistenza di forme di condi


(50) Cos� Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266, in Redazione Giuffr�, 2012; nello stesso 
senso, ex plurimis, Cons. St., sez. III, 28 maggio 2013, n. 2895, in Foro amm. CdS, 2013, 5, 1207; T.A.R. 
Lazio, Roma, sez. I, 18 giugno 2012, n. 5606, in Guida al diritto, 2012, 35, 102; conformemente, con 
riferimento all�art. 15-bis, l. n. 55/1990: T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 16 giugno 1998, n. 1961, in 
Foro Amm., 1999, 195; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 20 maggio 1992, n. 208, in T.A.R., 1992. 
(51) Cos� Cons. St., sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4467, in Foro amm. CdS, 2004, 1713. 


(52) BENEDETTI, Controlli e responsabilit�, in Diritto regionale e degli enti locali, a cura di S. 
GAMBINO, Milano, 2003, 466. 



zionamento degli organi amministrativi ed elettivi), il Prefetto, sentito il comitato 
provinciale per l�ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione 
del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro 
dell�Interno una relazione nella quale si d� conto della eventuale sussistenza 
degli elementi su possibili collegamenti degli Amministratori con la criminalit� 
organizzata, anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore 
generale, ai dirigenti e ai dipendenti dell�ente locale. Nella relazione vengono, 
altres�, indicati anche gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai 
fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalit� organizzata o, comunque, 
connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica. 

Infine, il Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell�Interno 
e previa deliberazione favorevole del Consiglio dei Ministri, con proprio 
decreto, dispone lo scioglimento del Consiglio comunale o provinciale. 

Lo scioglimento del Consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione 
dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, 
di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso 
alle cariche ricoperte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti 
in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti. 

Il decreto di scioglimento - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale unitamente 
alla proposta del Ministro dell�Interno ed alla relazione prefettizia (ove sugli 
stessi il Consiglio dei Ministri non disponga di mantenere la riservatezza) conserva 
i suoi effetti per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili, in 
casi eccezionali, fino ad un massimo di ventiquattro mesi. L�eventuale provvedimento 
di proroga della durata dello scioglimento � adottato non oltre il 
cinquantesimo giorno antecedente alla data di scadenza della durata dello scioglimento 
stesso. 

La disposizione di cui all�art. 143 T.U.E.L. si applica anche agli altri enti 
locali di cui all�art. 2, comma 1, T.U.E.L. (citt� metropolitane, comunit� montane, 
comunit� isolane e unioni di comuni), nonch� ai consorzi di comuni e province, 
agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, 
alle aziende speciali dei comuni e delle province e ai consigli circoscrizionali, 
in quanto compatibili con i relativi ordinamenti (art. 146 T.U.E.L.) (53). 

Il comma 11 dell�art. 143 T.U.E.L. prevede, poi, che, fatta salva l�applicazione 
di ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, 
gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento 
del Consiglio comunale (o provinciale) �non possono essere candidati 
alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si 
svolgono nella regione nel cui territorio si trova l�ente interessato dallo scio


(53) Cfr., con riferimento all�applicabilit� dell�art. 143 T.U.E.L. alle Aziende sanitarie locali, SIMEOLI, 
La rimovibilit� dei vertici a.s.l. per condizionamento della criminalit� di stampo mafioso, in 
Giur. mer., fasc. 11, 2006, 2515 . 


DOTTRINA 373 

glimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento 
stesso, qualora la loro incandidabilit� sia dichiarata con provvedimento definitivo. 
Ai fini della dichiarazione d�incandidabilit� il Ministro dell�interno 
invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale 
competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al 
comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa�. 

Come evidenziato supra, l�intento perseguito dal legislatore nella predisposizione 
dello strumento di cui all�art. 143 T.U.E.L. � quello di arginare il 
pervicace fenomeno dell�infiltrazione della criminalit� di tipo mafioso all�interno 
dell�apparato amministrativo degli Enti locali attraverso l�introduzione 
di un peculiare procedimento di verifica dell�esistenza di possibili collegamenti 
tra i consigli comunali (o provinciali), ovvero tra i singoli amministratori 

o dipendenti dell�Amministrazione, e le organizzazioni criminali, caratterizzato 
da una forte accelerazione temporale e da un�ampia discrezionalit� nella 
valutazione degli elementi indizianti. 

L�indagine circa la sussistenza di condizionamenti o collegamenti degli 
amministratori comunali (o provinciali) con la criminalit� organizzata dev�essere 
condotta sulla base di circostanze che presentano un grado di significativit� 
e di concludenza di livello inferiore rispetto a quelle che legittimano 
l�esercizio dell�azione penale o l�adozione di misure di sicurezza nei confronti 
degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, essendo la natura 
del provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni 
mafiose - come rilevato supra - non di tipo sanzionatorio (54), ma 
preventivo, tantՏ che il giudizio di rilevanza delle stesse pu� essere formulato 
anche sulla base della ricorrenza di un insieme di pi� episodi sintomatici, i 
quali, isolatamente considerati potrebbero anche non essere particolarmente 
significativi o determinanti, ma che acquistano rilevanza in una considerazione 
di insieme. Al riguardo, � stato evidenziato come proprio �l�uso, da parte del 
legislatore, di una terminologia nell�art. 143, T.U. degli Enti locali ampia e 
indeterminata nell�individuazione dei presupposti per il ricorso alla misura 
straordinaria dello scioglimento del Consiglio Comunale � indicativo della 
volont� del legislatore di consentire un�indagine sulla ricostruzione della sussistenza 
di un rapporto tra gli amministratori e la criminalit� organizzata 
sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significativit� e di concludenza 
di livello inferiore rispetto a quelle che legittimano l�azione penale 

o l�adozione di misure di sicurezza nei confronti degli indiziati di appartenenza 
ad associazioni di tipo mafioso o analoghe. Ci� in quanto l�intento del legislatore 
� quello di riferirsi anche a situazioni estranee all�area propria del-
l�intervento penalistico o preventivo, nell�evidente consapevolezza della 

(54) Cos� anche la dottrina maggioritaria: cfr. GAGLIARDI, op.cit.; LONGO, op. cit., 882 e ss. 


scarsa percepibilit�, in tempi brevi, delle varie concrete forme di connessione 

o di contiguit� e dunque di condizionamento fra organizzazioni criminali e 
sfera pubblica, e della necessit� di evitare con immediatezza che l�amministrazione 
dell�Ente locale permanga permeabile all�influenza della criminalit� 
organizzata� (55). Proprio dalla natura preventiva del provvedimento di scioglimento 
del Consiglio comunale discende che, per la sua adozione, � sufficiente 
la sola presenza di elementi su collegamenti o su forme di 
condizionamento che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto 
fra gli amministratori e la criminalit� organizzata, ma che non devono necessariamente 
concretarsi in situazioni di accertata volont� degli amministratori 
di assecondare gli interessi della criminalit� organizzata, n� in forme di responsabilit� 
personali, anche penali, degli amministratori (56), ma tali, comunque, 
da rendere plausibile, nella concreta realt� contingente e in base ai 
dati dell�esperienza, l�ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori 
alla criminalit� organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinit�, i rapporti 
di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni (57). 

Da quanto precede discende come la valutazione affidata agli organi ministeriali 
in merito alla sussistenza di episodi denotanti un collegamento con 
la criminalit� organizzata, ovvero un condizionamento dell�attivit� posta in 
essere dall�Ente nell�esercizio delle sue funzioni da parte delle consorterie 
criminali, sia connotata da un�amplissima discrezionalit� (58). In tal senso il 
Consiglio di Stato ha avuto pi� volte modo di precisare che �l�art. 143, d.lgs. 
18 agosto 2000 n. 267, conferisce alle massime autorit� istituzionali competenti 
all�adozione del provvedimento di scioglimento dei consigli comunali, 
giustificato dal pericolo di infiltrazioni mafiose, un potere, ampio e altamente 
discrezionale, che non necessita dell�accertamento di quei presupposti di 
fatto che per essere provati in modo certo e conclusivo della responsabilit� 
dei singoli amministratori richiedono lo svolgimento di procedimenti giuri


(55) Cos� T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 1 febbraio 2012, n. 1119, in Foro amm. TAR, 2012, 2, 442; 
nello stesso senso, ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1547, in Foro amm. CdS, 2011, 3, 
964; Cons. St., sez. IV, 24 aprile 2009, n. 2615, in Foro amm. CdS, 2009, 4, 971; T.A.R. Campania, Salerno, 
sez. I, 30 novembre 2010, n. 12788, in Foro amm. TAR, 2010, 11, 3639; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 
sez. I, 2 maggio 2006, n. 454, in Foro amm. TAR, 2006, 5, 1876; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 4 
novembre 2002, n. 3516, in Foro amm. TAR, 2002, 3795. Analoga la posizione della giurisprudenza con 
riferimento alla norma di cui all�art. 15-bis, l. n. 55/1990: cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 17 novembre 
1993, n. 1646, in T.A.R., 1993. 
(56) In terminis Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266, in www.giustizia-amministrativa.it. 


(57) Cfr., sulla rilevanza dei rapporti parentali, Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1547, in Foro 
amm. CdS, 2011, 3, 964; Cons. St., sez. V, 14 maggio 2003, n. 2590, in www.giustizia-amministrativa.it; 
contra T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 8 marzo 2013, n. 1382, in Foro amm. TAR, 2013, 3, 913, secondo 
cui �i legami parentali non sono sufficienti a desumere la sussistenza di un inquinamento mafioso, in 
difetto di pi� significative circostanze sintomatiche di tentativi di ingerenze della criminalit� organizzata 
sulla conduzione dell�impresa e sugli esponenti aziendali�. 


(58) Cfr. PIGNONE, op. cit.; LEOTTA, op. cit.; LONGO, op. cit., 881. 


DOTTRINA 375 

sdizionali o assimilati. I presupposti per l�esercizio di detto potere devono 
essere valutati non con riguardo ai singoli episodi e vicende amministrative, 
che considerati singolarmente possono non essere indicativi del collegamento 

o condizionamento con organizzazioni della malavita organizzata, ma nel 
loro insieme e per la idoneit� ad esprimere un reale pericolo di infiltrazioni 
mafiosa nelle amministrazioni locali� (59). La qualificazione della concretezza, 
dell�univocit� e della rilevanza dei fatti accertati dev�essere, dunque, 
riferita non atomisticamente e partitamente ad ogni singolo elemento, ma ad 
una valutazione complessiva del coacervo di elementi acquisiti, che nel loro 
complesso siano riferibili a fatti di cui non � in discussione l�accadimento 
storico (requisito di concretezza) e che in base al prudente apprezzamento 
dell�amministrazione esprimano, con adeguato grado di certezza, le situazioni 
di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell�ente che la norma ha 
inteso prevenire (requisito dell�univocit�) e siano, pertanto, sul piano causale 
rilevanti agli effetti predetti (60). 

Conseguenza naturale di siffatta discrezionalit� � quella secondo cui �il sindacato 
del giudice di legittimit� non pu� estendersi al merito della scelta discrezionale 
operata dall�amministrazione, ma pu� concernere la verifica della sussistenza delle 
circostanze di fatto riportate in motivazione, e la valutazione, sotto il profilo della 
logicit�, del significato a queste attribuito, e dell�"iter" seguito� (61). 

L�ampiezza dei poteri di valutazione attribuiti dal legislatore agli organi 
ministeriali trova la propria giustificazione causale tanto nella finalit� di garanzia 
del rispetto dei canoni di legalit� da parte dell�apparato dell�Ente locale 
interessato, quanto nella tutela della effettiva partecipazione democratica della 
comunit� nell�autogoverno dell�ente locale, sicch�, il provvedimento che determina 
lo scioglimento del Consiglio comunale (o provinciale), lungi dal possedere 
carattere sanzionatorio o repressivo nei confronti dei singoli 

(59) Cos� Cons. St., sez. V, 4 maggio 2005, n. 2160, in Foro amm. CdS, 2005, 5, 1459; nello stesso 
senso, ex multis, Cons. St., sez. III, 23 aprile 2014, n. 2038, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. 
St., sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2583, in www.giustamm.it; Cons. St., sez. V, 3 febbraio 2000, n. 585, in 
Foro amm., 2000, 442; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 9 marzo 2009, n. 1356, in Foro amm. TAR, 
2009, 3, 828; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 10 marzo 2008, n. 321, in Foro amm. TAR, 2008, 3, 855; 
id., 4 novembre 2002, n. 3516, in Foro amm. TAR, 2002, 3795. 
(60) Cfr., in questo senso, Cons. St., sez. II, 30 ottobre 2013, n. 2661, in Foro amm CdS, 2013, 10, 
2867; Cons. St., sez. IV, 2 marzo 2007, n. 1004, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. VI, 5 ottobre 
2006 n. 5948, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 6 aprile 2005, n. 1573, in www.lexitalia.
it; Cons. St., sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 562, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. V, 3 
febbraio 2000 n. 585, in Cons. St., 2000, I, 197. Nello stesso senso anche la dottrina: LONGO, op. cit., 881; 
DIDONNA, Nota a T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 20 ottobre 2006, n. 10754, in Corr. mer., 2006, 12, 1472. 
(61) Cos� T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 29 gennaio 2002, n. 106, in Foro amm. TAR, 2002, 
258; in senso analogo, Cons. St., sez. VI, 4 agosto 2006, n. 4765, in www.giustizia-amministrativa.it; 
Cons. St., sez. V, 23 luglio 1999 n. 719, in Giorn, dir. amm., 2000, n. 3, 250; T.A.R. Campania, Napoli, 
sez. I, 10 marzo 2006, n. 2873, in Foro amm. TAR, 2006, 3, 1054; id., 15 novembre 2004, n. 16778, in 
Foro amm. TAR, 2004, 3404. 



amministratori - n�, tantomeno, dei cittadini da essi rappresentati -, si atteggia, 
viceversa, quale misura di carattere straordinario e preventivo di salvaguardia 
della p.a. di fronte alle pressioni esercitate dalla criminalit� organizzata (62). 

Dalla straordinariet� della misura di scioglimento, la quale esige l�immediatezza 
dell�intervento amministrativo, discende l�attenuazione delle tipiche 
garanzie partecipative del relativo procedimento (63). Il provvedimento di 
scioglimento del Consiglio comunale per condizionamento dalla criminalit� 
organizzata, infatti, non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione 
di avvio del procedimento, trattandosi di attivit� di natura preventiva 
e cautelare, per la quale non vi � necessit� di partecipazione anche per il tipo 
di interessi coinvolti che non concernono, se non indirettamente, persone, ma 
la complessiva rappresentazione operativa dell�ente locale e, quindi, in ultima 
analisi, gli interessi dell�intera collettivit� comunale; rileva quindi il carattere 
straordinario della misura che, nell�ipotesi di una concreta minaccia ai beni 
primari appartenenti a tutta la collettivit�, quali quelli rappresentati dall�ordine 
e dalla sicurezza pubblica, che lo scioglimento ex art. 143 T.U.E.L. � volto a 
tutelare, giustifica una immediata reazione dell�ordinamento, mediante un intervento 
rapido e deciso (64). 

(62) Cfr., sul punto, ex plurimis, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 14 dicembre 2010, n. 
1593, in Foro amm. TAR, 2010, 12, 4047, secondo cui �lo scioglimento del consiglio comunale non ha 
natura sanzionatoria per i suoi componenti, o per la collettivit� locale che viene rappresentata, perch� 
esso � strumento (sia pure estremo) di tutela della effettiva partecipazione democratica della comunit� 
nell�autogoverno dell�ente locale. In presenza dei presupposti di legge, infatti, lo scioglimento � disposto 
in quanto l�autogoverno e, di conseguenza, l�efficace ed efficiente amministrazione della cosa pubblica 
si apprezzano come minacciate da pressioni della criminalit� mafiosa, che, per la natura mutevole e 
fortemente mimetica di quest�ultima, possono essere perpetrate, in maniera non tipizzabile ex ante, alle 
quali bisogna poter far fronte con strumenti duttili. Il giudizio che porta allo scioglimento � dunque duplice, 
essendo volto ad apprezzare, in positivo, la sussistenza di un interesse criminale alla gestione 
pubblica ed, in negativo, la sussistenza di elementi strutturali di debolezza nella gestione dell�ente che 
possono consentirne la permeabilit� rispetto a centri decisionali esterni�; nello stesso senso, T.A.R. 
Calabria, Catanzaro, sez. I, 2 maggio 2006, n. 454, in Foro amm. TAR, 2006, 5, 1876; T.A.R. Campania, 
Napoli, sez. I, 15 novembre 2004, n. 16778, in Foro amm. TAR, 2004, 3404; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 
sez. I, 29 gennaio 2002, n. 106, in Foro amm. TAR, 2002, 258. 
(63) GAGLIARDI, op. cit.; SARTI, op. cit., 572; SICARI, Il carattere straordinario della procedura di 
scioglimento del Consiglio comunale ex art. 143 T.U.E.L. e l�affievolimento delle garanzie partecipative, 
in www.ildirittoamministrativo.it; GROPPI, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per collegamenti 
mafiosi, in Giorn. dir. amm., 2000, 255. 
(64) In tal senso, ex multis, Cons. St., sez. III, 14 febbraio 2014, n. 727, in Foro amm CdS, 2014, 
2, 412; Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2005, n. 5878, in Foro amm. CdS, 2005, 10, 2957; Cons. St., sez. 
IV, 22 giugno 2004, n. 4467, in Foro amm. CdS, 2004, 1713; Cons. St., sez. V, 22 marzo 1999, n. 319, 
in Giur. it., 1999, 2175; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 6 maggio 2013, n. 4440, in Foro amm. TAR, 2013, 
5, 1550. Contra T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 7 dicembre 2010, n. 14261, in Foro amm. TAR, 2010, 
12, 4052, secondo cui �sussiste l�obbligo di comunicazione di avvio del procedimento di scioglimento 
di un Consiglio comunale per infiltrazione mafiosa, in considerazione della mancanza di una espressa 
previsione di un caso di urgenza tipizzata, della natura discrezionale del provvedimento incidente su 
interessi costituzionalmente garantiti, della espressa previsione di un separato e differente procedimento 
cautelare da attivarsi in caso di urgenza apprezzata in concreto�. 



DOTTRINA 377 

6. Gli elementi sintomatici della ricorrenza dei presupposti richiesti dall�art. 
143 T.U.E.L. per lo scioglimento del Consiglio comunale. 

Malgrado la novella del 2009 abbia senz�altro inteso circoscrivere l�individuazione 
dei presupposti richiesti per lo scioglimento dei consigli comunali 
e provinciali, la norma continua a tacere in merito ai casi concreti in cui 
debba ritenersi esistente il collegamento degli amministratori locali con la criminalit� 
organizzata. 

Nel corso degli anni �, quindi, toccato alla giurisprudenza enucleare una serie 
di figure sintomatiche dell�infiltrazione, riconducibili tanto a condizioni di accertata 
o notoria diffusione della criminalit� organizzata nel territorio comunale o 
provinciale, quanto alle disfunzioni dell�ente locale che dalla stessa derivano (65). 

Anzitutto, dagli elementi raccolti dall�amministrazione deve emergere il 
profondo radicamento della criminalit� organizzata nei gangli economici pi� 
vitali ed essenziali della comunit� locale, il quale � in grado di giustificare, ex 
se, l�applicazione dell�istituto di cui all�art. 143 T.U.E.L. Infatti, come rilevato 
dal pi� attento indirizzo giurisprudenziale, �l�applicazione dell�istituto di cui 
all�art. 143, d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, ricorre nelle ipotesi in cui l�andamento 
generale della vita amministrativa di un ente locale subisce influenze 
da un ipotizzato condizionamento mafioso, potendo di conseguenza l�indagine 
riguardare, oltre che scelte strettamente di governo - soprattutto quelle in materia 
di programmazione e pianificazione - anche specifiche attivit� di gestione, 
le quali sostanzialmente finiscono per essere quelle di maggior 
interesse per le consorterie criminali, in considerazione della maggiore e pi� 
repentina disponibilit� che viene offerta di risorse pubbliche� (66). 

Ai fini della razionalit� e sostenibilit� di una determinazione di scioglimento, 
non �, dunque, strettamente necessario che gli elementi indiziari riguardino 
specificamente l�attivit� di governo (67), fermo restando che a tali 

(65) STADERINI, op. cit., 309; LONGO, op. cit., 883. 

(66) Cos� Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266, in www.giustizia-amministrativa.it; nello 
stesso senso T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 9 marzo 2009, n. 1356, in Foro amm. TAR, 2009, 3, 828. 
(67) Contra, BOTTINO, I controlli statali sugli organi degli Enti locali: natura giuridica e presupposti 
dello scioglimento degli organi elettivi per infiltrazioni e condizionamenti della criminalit� organizzata, 
in Foro amm. TAR, fasc. 3, 2005, 804 e ss., secondo cui, �in ragione delle dinamiche proprie 
delle decisioni amministrative collegiali, l�infiltrazione ed il condizionamento da parte di ambienti della 
criminalit� organizzata - per risultare effettivo - deve attingere direttamente alla maggioranza dei soggetti 
che sono in grado di rendere la decisione dell�organo del tutto coincidente con la loro. In difetto 
si deve infatti presumere che la volont� dei consiglieri di minoranza, seppur �viziata� dai condizionamenti 
della malavita locale, resti nell�ambito degli interna corpora consiliari nel momento stesso in cui 
la decisione amministrativa collegiale assume la sostanza della volont� della maggioranza, essa viceversa 
scevra da influenze criminali. Sotto questo primo profilo, � dunque la regola di adozione delle 
decisioni proprie degli organi collegiali - nel privilegiare la volont� della maggioranza dei componenti 
dell�organo stesso - a far ritenere ininfluente la partecipazione alla deliberazione (rectius, al contenuto 
dispositivo della medesima) di componenti dell�organo che esprimono un�opinione dissenziente, diversa 
da quella che forma oggetto della deliberazione stessa�. 



organi resta, comunque, affidato un compito di generale sorveglianza e verifica 
sull�andamento generale delle attivit� di gestione, essendo, viceversa, sufficiente 
�la presenza di sintomatiche disfunzioni nell�agire dell�amministrazione 
comunale, alle quali gli amministratori non hanno saputo porre argine o che 
non hanno avvertito adeguatamente, e dalle quali si pu� desumere che interessi 
economici privati di uomini e di imprese legati alla criminalit� hanno 
saputo giovarsene, in via sistematica o in episodi ricorrenti� (68). 

Peraltro, la stessa carente e distorta azione dell�Amministrazione comunale 
rispetto ai piani urbanistici ed edilizi � da ritenersi intrinsecamente rappresentativa 
di una amministrazione locale timida, debole, oggettivamente (anche se 
forse non consapevolmente) gregaria e collusiva con il sistema mafioso di condizionamento 
dello sviluppo sociale ed economico del territorio (69). 

La soglia di tutela realizzata dal legislatore, ai fini dell�applicazione del-
l�istituto di cui all�art. 143 T.U.E.L., � cos� avanzata da rendere del tutto irrilevante 
la circostanza per cui le disfunzioni dell�apparato amministrativo siano 
pregresse rispetto all�insediamento del nuovo Consiglio comunale (o provinciale), 
ben potendosi gli episodi di collegamento e condizionamento con la 
criminalit� organizzata dedurre da un contegno omissivo degli amministratori, 
i quali nulla abbiano fatto per arginare la situazione di inefficienza ed illegalit� 
presente (70). Il condizionamento da parte della criminalit� organizzata pu� 
essere, pertanto, frutto non solo di coartazione violenta o di timore, ma anche 
di una spontanea adesione culturale al sistema mafioso, ovvero di una pura e 
semplice volont� degli amministratori di quieto convivere con le consorterie 
malavitose (71). 

Particolare attenzione � stata rivolta dalla giurisprudenza al settore degli 
appalti pubblici. Al riguardo il Consiglio di Stato (72) ha evidenziato come 
concreti indici di collusione e vicinanza alla criminalit� organizzata possano 

(68) Cos� Cons. St., sez. V, 23 agosto 2006, n. 4946, in Foro amm. CdS, 2006, 7-8, 2203; in senso 
analogo, ex multis, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 10 marzo 2008, n. 321, in Foro amm. TAR, 2008, 3, 
855; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 13 gennaio 2005, n. 3, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(69) In questo senso, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1593, in Foro 
amm. TAR, 2010, 12, 4047. 
(70) Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1593, in Foro amm. TAR, 
2010, 12, 4047, secondo cui �ai fini dell�istituto di cui all�art. 143 del d.lgs. n. 267/2000, non rileva il 
fatto che le disfunzioni dell�apparato burocratico amministrativo siano pregresse, essendo sufficiente 
che l�amministrazione in carica nulla abbia fatto in concreto per rimuovere l�inefficienza, con la conseguenza 
che anche un comportamento meramente omissivo, o comunque di tolleranza o di tiepidezza, 
o di dissociazione meramente nominale o dichiarata, ma non effettivamente posta in essere, costituisce 
in effetti la perpetuazione della situazione di disfunzione e di illegalit� preesistente, che sul piano della 
tutela � oggetto di disvalore quanto la condotta commissiva che l�ha originata. Anzi, a fronte di una situazione 
pacificamente riconosciuta come di illegittimit�, � necessario che ne sia disposta in tempi ragionevoli 
l�effettiva e sostanziale eliminazione�. 
(71) FILIPETTI, Comune sciolto: finanzi� la festa del boss. Istituzioni mute, cos� prosperano i clan, 
in D&G - Dir. e Giust., fasc. 44, 2006, 98. 


(72) Cfr. Cons. St., sez. VI, 5 ottobre 2006, n. 5948, in www.giustizia-amministrativa.it. 


DOTTRINA 379 

essere desunti sia dalla scelta mirata di una specifica procedura di selezione 
del contraente privato - che permetta alla stazione appaltante di invitare alla 
gara soltanto un ristretto numero di concorrenti tra tutti gli operatori economici 
che avrebbero potuto parteciparvi -, sia da quella di uno specifico criterio di 
aggiudicazione. Anche l�eventuale aggiudicazione di appalti ad imprese attinte 
da informative prefettizie interdittive, le quali attestino inequivocabilmente la 
presenza di forme di inquinamento mafioso della compagine societaria, � stato 
ritenuto elemento idoneo a dimostrare l�asservimento dell�amministrazione 
dell�ente locale alla criminalit� organizzata (73). La necessit� di evitare l�infiltrazione 
della criminalit� mafiosa nel settore dei contratti pubblici �, peraltro, 
considerata a tal punto rilevante che la giurisprudenza ritiene che anche la 
commissione straordinaria per la gestione degli enti locali, che si insedia a seguito 
dello scioglimento del Consiglio comunale (anche attraverso pressanti 
condizionamenti nel settore dei lavori pubblici), deve assumere tutte le iniziative 
istruttorie volte ad accertare fenomeni di condizionamento da parte della 
criminalit� in rapporto all�aggiudicazione degli appalti, anche se diverse da 
quelle prescritte dalla normativa generale in materia di certificazioni e comunicazioni 
antimafia, e, conseguentemente, adottare le opportune misure volte 
a contrastare simili fenomeni, tra cui l�esclusione dalle gare di appalto di quelle 
imprese che, anche indirettamente, risultino collegate con le organizzazioni 
criminali (74). 

Persino le iniziative antimafia messe in atto dall�amministrazione dell�ente 
locale (quali la sottoscrizione dei cc.dd. protocolli di legalit�) possono essere 
idonee a dimostrare la sussistenza di forme di condizionamento degli organi 
elettivi o burocratici da parte della criminalit� organizzata, qualora le stesse siano 
scientemente disapplicate dall�amministrazione comunale (o provinciale) (75). 

L�analisi degli indici sintomatici delle forme di condizionamento degli 
enti locali da parte della criminalit� organizzata elaborati dalla giurisprudenza 
consente di affermare che il potere di scioglimento dei consigli comunali (o 
provinciali) deve ritenersi correttamente esercitato qualora emergano �ele


(73) FILIPETTI, Se il Comune � appaltato alla mafia - Quando scatta lo scioglimento per l�infiltrazione 
dei clan, in D&G - Dir. e Giust., fasc. 11, 2006, 86. Nello stesso senso anche la giurisprudenza: 
cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 6 febbraio 2006, n. 1622, in www.giustizia-amministrativa.it. Si 
veda, in proposito, anche Cons. St., sez. V, 23 marzo 2004, n. 1566, in D&G - Dir. e Giust., 2004, 24, 
79, con nota di DIACO-FERRARI, Quando la criminalit� si �infiltra� norme a protezione dei consigli, secondo 
cui �non � rilevante, ai fini dello scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, 
la circostanza che la giunta abbia conferito numerosi appalti ad imprese tra i cui dipendenti si contino 
innumerevoli pregiudicati per fatti di mafia, in quanto nel caso di appalto di servizi il rapporto di dipendenza 
del lavoratore sussiste solo con l�appaltatore, e non tocca l�Amministrazione comunale�. 
(74) In tal senso, ex plurimis, Cons. St., sez. V, 16 gennaio 2002, n. 214, in Foro amm. CdS, 2002, 
96; Cons. St., sez. V, 1 giugno 2001, n. 2969, in D&G - Dir. e Giust., 2001, fasc. 29, 78; T.A.R. Calabria, 
Catanzaro, sez. II, 11 maggio 2004, n. 1063, in Foro amm. TAR, 2004, 1564. 
(75) Cfr. Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266, con nota di DE CARLO, Adozione di iniziative 
antimafia e presupposti per lo scioglimento dei consigli comunali, in www.ilquotidianogiuridico.it. 



menti su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalit� 
organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che 
compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento 
delle amministrazioni comunali e provinciali, nonch� il regolare funzionamento 
dei servizi alle stesse ovvero che risultano tali da arrecare grave 
e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica; pertanto, tale 
norma considera, per quanto concerne il "rapporto" fra gli amministratori e 
la criminalit� organizzata, circostanze che presentano un grado di significativit� 
e di concludenza inferiore di quelle che legittimano l�avvio dell'azione 
penale o l�adozione delle misure di sicurezza nei confronti degli "indiziati" di 
appartenere ad associazioni di tipo mafioso o analoghe� (76). 

7. Gli effetti dello scioglimento nei confronti degli amministratori degli enti 
locali. 

Come gi� accennato, l�innovazione probabilmente di maggior impatto 
apportata dalla novella del 2009 alla disciplina dello scioglimento dei consigli 
comunali e provinciali attiene all�introduzione, nel comma 11 dell�art. 143 
T.U.E.L., di una peculiare ipotesi di incandidabilit� per gli amministratori locali 
che, con le loro condotte, abbiano causato lo scioglimento degli organi elettivi 
degli enti locali d�appartenenza. In particolare, la norma prevede che, fatta 
salva l�applicazione di ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente 
prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato 
causa allo scioglimento non possono essere candidati alle elezioni regionali, 
provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui 
territorio si trova l�ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo 
turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilit� 
sia dichiarata con provvedimento definitivo. 

La previsione di cui all�art. 143, comma 11, T.U.E.L. costituisce una particolare 
ipotesi di responsabilit� dirigenziale, applicabile ad ampio spettro sia ai 
dirigenti che ai membri degli organi elettivi degli enti locali disciolti. Tuttavia, 
lungi dal trattarsi di una responsabilit� �automatica�, essa deve essere oggetto 

(76) Cos� Cons. St., sez. V, 18 marzo 2004, n. 1425, in Foro amm. CdS, 2004, 833. Sul punto si 
veda BOTTINO, op. cit., 807, secondo cui, a seguito delle riforme succedutesi a partire dalla legge sul-
l�elezione diretta del Sindaco e del Presidente della provincia, sino alla definitiva formulazione del 

T.U.E.L. (ed attraverso le disposizioni sulle autonomie locali dettate dalla l. n. 127/1997 e dalla l. n. 
265/1999) � profondamente mutato il ruolo attribuito all�organo consiliare, al punto da potersi ipotizzare 
un reale �svuotamento� delle attribuzioni dal medesimo conservate. L�attribuzione dell�azione di governo 
al Sindaco ed alla Giunta da esso nominata, unitamente al conferimento alla dirigenza amministrativa 
dei poteri di gestione e delle connesse responsabilit� di risultato, affiderebbero oggi all�organo 
consiliare il ruolo di soggetto titolare della mera funzione �di indirizzo e controllo politico-amministrativo
� (art. 42, comma 1, T.U.E.L.), organo cui spettano competenze deliberative in ordine ad ambiti tassativamente 
enunciati (art. 42, comma 2, T.U.E.L.), sicch� la normativa in tema di scioglimento dei 
consigli comunali e provinciali per infiltrazioni mafiose avrebbe, oramai, perso attualit�. 


DOTTRINA 381 

di accertamento in via definitiva da parte degli organi giurisdizionali a ci� preposti 
(77), in quanto esita nella sanzione della incandidabilit� - in ambito regionale 
- alle prime elezioni successive allo scioglimento dell�ente locale, 
impingendo quindi nella sfera soggettiva pi� intima dei candidati, in quanto ha 
ad oggetto il diritto, costituzionalmente garantito, di elettorato passivo (78). 

La norma si affianca al pi� ampio genus delle cause di incandidabilit� 
originariamente previste dall�art. 15, l. n. 55/1990 (come modificato dalla l. 
16 gennaio 1992, n. 16) (79), successivamente confluito nell�art. 58 T.U.E.L. 
(da ultimo abrogato dall�art. 17, comma 1, lett. a), d.lgs. 31 dicembre 2012, 

n. 235, c.d. legge Severino), delle quali condivide alcuni caratteri fondamentali. 
In generale, l�incandidabilit� costituisce una nuova incapacit� giuridica 
speciale, ontologicamente e teleologicamente diversa dalle altre situazioni che, 
del pari, impediscono l�elezione o la permanenza in una carica pubblica, perch� 
limitano l�esercizio del diritto di elettorato passivo (80). Infatti, le circostanze 
che importano l�incandidabilit�, escludono il diritto di elettorato passivo 
(rispetto alle elezioni amministrative) e non soltanto l�esercizio dello stesso, 
impedendo ai soggetti che ne sono colpiti, persino di adire la situazione giuridica 
prodromica rispetto all�elezione, ovvero la candidatura. In quest�ottica, 
diversamente da quanto avviene con riferimento ai seppur analoghi istituti 
dell�ineleggibilit� e dell�incompatibilit�, l�incandidabilit� si palesa come la 
conseguenza, non la causa, della perdita del diritto di elettorato passivo. L�ineleggibilit� 
e l�incompatibilit�, infatti, pur limitando l�esercizio del diritto di 
elettorato passivo, discendono, per�, da situazioni che l�interessato pu� (e 
deve) rimuovere prima di essere candidato o al momento in cui viene eletto, 
e che vanno perci� ascritte alla categoria della incompatibilit�, che l�ordinamento 
pone in riguardo al possibile contrasto d�interessi tra l�eleggendo e 
l�ente che esso dovrebbe rappresentare (81). 

Malgrado le indubbie similitudini, la misura di cui all�art. 143, comma 11, 
T.U.E.L., va nettamente distinta dalla sanzione di incandidabilit� prevista dal-
l�abrogato art. 58 T.U.E.L., che prevedeva, quali cause ostative alla candidabilit� 
alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, come presidente e com


(77) L�accertamento, come esplicitamente disposto dallo stesso comma 11 dell�art. 143 T.U.E.L., 
ha ad oggetto la verifica della presenza di elementi su collegamenti o forme di condizionamento che 
consentano di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalit� organizzata: 
cfr., in tal senso, Trib. Catania, sez. I, 21 marzo 2014, in Redazione Giuffr�, 2014. 
(78) In tal senso T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 15 ottobre 2012, n. 2005, in Foro amm. TAR, 
2012, 10, 3362. 
(79) In Gazz. Uff. 22 gennaio 1992, n. 17. 


(80) In tal senso, in dottrina, CINNERA, La partecipazione dell� �incandidabile� alle elezioni per 
il rinnovo dei consigli comunali (e provinciali): nullit� dei voti o delle elezioni?, in www.giustamm.it. 
Analogamente anche la giurisprudenza: cfr. Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 14 marzo 2000, n. 
113, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 27 maggio 1999, n. 1021, in 
www.giustizia-amministrativa.it. 


(81) CINNERA, op. cit. 


ponente di consigli e giunte, nonch� di aziende speciali ed istituzioni e di comunit� 
montane, l�aver riportato una condanna definitiva per il delitto previsto 
dall�art. 416-bis c.p. (ovvero per gli altri enumerati dall�art. 58, lett. a), b), c) e 
d), T.U.E.L.), nonch� l�essere stati destinatari, in forza di un provvedimento definitivo, 
di una misura di prevenzione in relazione alla partecipazione ad associazioni 
di carattere mafioso (82). In tali casi, infatti, l�incandidabilit� consegue 
come vera e propria obbligatoria sanzione accessoria ad una sentenza di condanna 
definitiva per i delitti ivi espressamente indicati. Al contrario, la misura 
prevista dall�art. 143, comma 11, T.U.E.L., assume una precisa finalit� cautelativa 
e di prevenzione, s� da attuare una modalit� di controllo sulle candidature, 
quanto meno in una fase circoscritta temporalmente e, comunque, successiva 
alla proposta di scioglimento del consiglio, che, evidentemente, non � conseguenza 
immediata della proposta, ma va disposta con successivo d.P.R. Peraltro, 
mentre la norma di cui all�art. 58 T.U.E.L. opera senza limiti di tempo (fatta 
salva la concessione della riabilitazione ai sensi dell�art. 178 T.U.E.L.), l�incandidabilit� 
ex art. 143, comma 11, T.U.E.L. ha efficacia limitata al primo turno 
elettorale successivo allo scioglimento del consiglio dell�Ente locale; turno che, 
tuttavia, la stessa norma riferisce �alle elezioni regionali, provinciali, comunali 
e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l�ente 
interessato dallo scioglimento�. Difatti, �proprio l�univoco tenore letterale e 
grammaticale della norma, chiaramente evidenziato dall�utilizzo tra il penultimo 
e l�ultimo termine della richiamata enumerazione, della congiunzione coordinante 
copulativa �e�, solitamente adoperata per esprimere l�unione di due 
elementi, e non gi� della congiunzione coordinante semplice disgiuntiva �o�, 
solitamente usata per esprimere un�alternativa, consente, infatti, [...] di identificarne 
l�ambito applicativo in relazione a tutte le tornate elettorali di cui alla 
medesima enumerazione. Quanto, invece, all�ambito temporale di operativit� 
della dichiarazione di incandidabilit� assunta con provvedimento giurisdizionale 
definitivo, esso risulta dalla norma in commento testualmente circoscritto 
�al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del consiglio�. L�inequivoco 
significato letterale della citata disposizione - in forza del quale la dichiarazione 
(definitiva) di incandidabilit� � destinata a produrre i suoi effetti 
esclusivamente con riferimento alle prime elezioni regionali, provinciali, comunali 
e circoscrizionali che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova 
l�ente interessato dallo scioglimento successivamente allo scioglimento stesso 
comporta [...] che la pronuncia definitiva di incandidabilit�, ove sopravvenga 
[�] dopo lo svolgimento del primo turno di una o pi� elezioni tra quelle elencate, 
� destinata a produrre i suoi effetti esclusivamente con riferimento alle 
altre elezioni (tra quelle elencate) non ancora svoltesi dopo lo scioglimento, 
non anche con riferimento alle successive tornate delle elezioni gi� tenutesi 

(82) Sul punto si veda ALFANO-GULLOTTI, op. cit. 


DOTTRINA 383 

nelle more del procedimento per la dichiarazione di improcedibilit�� (83). 

L�interpretazione che precede, invero, oltre che coerente con il tenore letterale 
della disposizione (alla stregua del canone interpretativo di cui all�art. 
12 disp. prel. c.c.) �, altres�, rispettosa del principio generale di libero accesso 
di tutti i cittadini in condizione di uguaglianza alle cariche elettive (art. 51 
Cost.) e del costante orientamento della Corte costituzionale (84), secondo cui 
le limitazioni al diritto di elettorato passivo, per essere conformi al dettato 
dell�art. 51 Cost., devono considerarsi di stretta interpretazione, atteso che circoscrive 
il sacrificio del suddetto diritto entro i limiti temporali (previsti dalla 
stessa norma) strettamente necessari per il soddisfacimento delle esigenze di 
pubblico interesse dalla medesima norma perseguite attraverso la misura di 
carattere preventivo dell�incandidabilit�, esigenze individuabili, alla luce della 
ratio legis sottesa alla norma, nella necessit� di garantire un elettorato passivo 
scevro da contaminazioni e condizionamenti con ambienti della malavita organizzata 
(85). 

Ai fini della dichiarazione d�incandidabilit� il Ministro dell�Interno invia, 
senza ritardo, la proposta di scioglimento - corredata dalla relazione prefettizia 
di accompagnamento che ne costituisce parte integrante - al tribunale competente 
per territorio, il quale valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 
1 dell�art. 143 T.U.E.L. con riferimento agli amministratori indicati nella proposta 
stessa. Al procedimento si applicano, in quanto compatibili, le norme 
sul rito camerale di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura 
civile (artt. 737 e ss.). 

La norma tace in merito alla forma del provvedimento conclusivo del giudizio. 
Malgrado il silenzio serbato sul punto, deve, comunque, ritenersi che 
lo stesso debba rivestire la forma della sentenza per due ordini di ragioni (86). 

In primis, l�art. 143, comma 11, T.U.E.L., pur non prendendo posizione al 
riguardo, prevede che l�incandidabilit� debba essere dichiarata con provvedimento 
definitivo. � evidente che il tipico provvedimento destinato ad avere 
carattere di definitivit�, e cio� a passare in giudicato, � la sentenza. 

In secundis, la prevalenza accordata alla sostanza dei provvedimenti giudiziari 
rispetto alla forma dagli stessi rivestita, rapportata alla indubbia natura 
contenziosa del procedimento ex art. 143, comma 11, T.U.E.L. ed alla incidenza 
e stabilit� del provvedimento con cui lo stesso si conclude rispetto ai diritti 
soggettivi in discussione, fanno senz�altro propendere per la natura sostanziale 

(83) Cos� App. Napoli, sez. I, 16 agosto 2012, n. 2926 (inedita). 

(84) Cfr., ex plurimis, Corte cost., 30 ottobre 1996, n. 364, in Giust. civ., 1997, I, 345; Corte cost., 
6 maggio 1996, n. 141, in Foro amm., 1997, 73; Corte cost., 13 luglio 1994, n. 295, in Riv. giur. polizia 
locale, 1996, 249; Corte cost., 17 giugno 1992, n. 280, in Giur. it., 1994, I, 524, con nota di POLICE. 
(85) Analoga anche la posizione della giurisprudenza amministrativa: cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, 
sez. giurisd., 22 gennaio 2013, n. 18, in Foro amm. CdS, 2013, 1, 278. 


(86) App. Catanzaro, sez. I, 28 aprile 2014, n. 588 (inedita). 


di sentenza del provvedimento de quo, presentando la statuizione il requisito 
della decisoriet� e della definitivit�, con efficacia assimilabile a quella del giudicato, 
sicch� anche il decreto eventualmente emesso avrebbe, comunque natura 
sostanziale di sentenza. 

Dalla natura sostanziale di sentenza del provvedimento conclusivo del 
giudizio discende che l�incandidabilit� dichiarata con provvedimento definitivo, 
imposta dall�art. 143, comma 11, T.U.E.L., alla data fissata per la presentazione 
delle candidature, nonch� a quella dello svolgimento delle elezioni, 
non � ravvisabile laddove sia stata dichiarata solo dalla Corte d�appello, la cui 
decisione ha in s� tutte le caratteristiche necessarie per essere assoggettata al 
ricorso straordinario per Cassazione, non potendosi ricondurre in tal caso alla 
pronuncia dei giudici di secondo grado quella definitivit� strutturalmente e 
funzionalmente incompatibile con un ulteriore grado di giudizio. In pendenza 
del termine per il ricorso per Cassazione avverso la decisione di appello, dunque, 
gli amministratori locali devono essere ritenuti candidabili, con conseguente 
validit� delle elezioni che si siano svolte (87). 

8. Considerazioni conclusive. 

La misura dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali, concepita 
dal legislatore all�apice del periodo stragista di inizio anni �90, rappresenta 
il pi� incisivo strumento normativo diretto ad arginare il grave 
fenomeno della collusione degli apparati politico-amministrativi degli enti 
locali (specie di piccole dimensioni) con la criminalit� organizzata di tipo 
mafioso, divenuto oramai endemico in alcune zone del territorio nazionale. 

La natura preventiva della misura, che consente all�Amministrazione di 
valutare circostanze che presentano un grado di significativit� e di concludenza 
inferiore rispetto a quelle che legittimano l�avvio dell�azione penale o l�adozione 
di misure di sicurezza nei confronti degli amministratori locali coinvolti, 
unitamente all�elasticit� dei presupposti necessari per la sua adozione, ne fanno 
uno strumento assai duttile nelle mani della p.a. per agilmente fronteggiare la 
multiformit� delle forme di condizionamento della criminalit� organizzata 
sugli apparati elettivi ed amministrativi degli enti locali. A tal fine un ruolo 
fondamentale spetta all�elaborazione giurisprudenziale, la quale � in grado di 
valutare la ricorrenza non soltanto di tutte le possibili forme di �asservimento� 
degli amministratori locali alle organizzazioni malavitose, ma anche di quelle 
posizioni di connivenza morale o di mera tolleranza e convivenza tipiche delle 
realt� dei piccoli comuni, le quali sfuggono, per la loro intrinseca natura, a 
qualsiasi forma di tipizzazione normativa ex ante. 

(87) In questo senso, ex plurimis, Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 2 aprile 2013, n. 395, 
in Guida al diritto, 2013, 20, 90, con nota di PONTE; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 15 ottobre 2012, n. 
2005, in Foro amm. TAR, 2012, 10, 3362. 


DOTTRINA 385 

In quest�ottica, le perplessit� avanzate circa l�affidamento della valutazione 
sulla ricorrenza dei presupposti di cui all�art. 143 T.U.E.L. ad un organo 
amministrativo e l�indipendenza di essa dagli esiti di un eventuale giudizio 
penale (88) possono essere facilmente superate sia in considerazione della gi� 
evidenziata natura altamente preventiva della misura, sia in ragione della sottoponibilit� 
del provvedimento di scioglimento al sindacato giurisdizionale, 
seppur solo estrinseco, del giudice amministrativo, cui � rimesso il compito 
di neutralizzare un eventuale distorto utilizzo dell�istituto de quo. 

Analogamente, privi di fondamento sono i dubbi mossi circa l�asserita 
intollerabile lesione dell�autonomia degli enti locali, oltre che, soprattutto, 
della volont� popolare espressa in sede elettorale che l�utilizzo dello strumento 
di cui all�art. 143 T.U.E.L. comporterebbe. Viceversa, proprio la possibilit� di 
disporre lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali asserviti o, comunque, 
contigui alle locali consorterie mafiose costituisce il pi� efficace strumento 
posto in essere dal legislatore a tutela dell�autonomia e della libera 
determinazione degli organi elettivi degli enti locali, che, liberati dal condizionamento 
della criminalit� organizzata, possono tornare a perseguire il solo 
interesse pubblico al cui conseguimento sono naturalmente preordinati. 

Fondamentale in questo senso, � la previsione contenuta nel nuovo 
comma 11 dell�art. 143 T.U.E.L., la quale, assicurando la sostanziale estromissione 
dalla vita politico-istituzionale dell�ente degli amministratori le cui condotte 
hanno causato lo scioglimento, gioca un ruolo determinante nel 
consentire il riappropriamento degli organi istituzionali e della gestione della 
cosa pubblica da parte della porzione �sana� della comunit� locale. 

(88) CELLA, op. cit., 1220. 


Finito di stampare nel mese di settembre 2014 
Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma