ANNO LXVI - N. 2 APRILE - GIUGNO 2014 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo DAscia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Ugo Adorno, Vincenzo Cardellicchio, Francesco Maria Ciaralli, Enrico De Giovanni, Giuseppe DellAira, Carlo Deodato, Pierluigi Di Palma, Salvatore Faraci, Angela Fragomeni, Fabrizio Gallo, Federico Maria Giuliani, Arturo Camillo Jemolo, Antonio Mastrone, Adolfo Mutarelli, Giovanni Palatiello, Giuseppe Palma, Paola Palmieri, Sara Peluso, David Romei, Sabrina Scalini, Rocco Steffenoni, Antonio Tallarida. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829562 ABBONAMENTO ANNUO .............................................................................. 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI IL DECRETO LEGGE 90/2014 Premessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le norme di impatto diretto sulle funzioni di Istituto . . . . . . . . . . . . . . . . Dai lavori Parlamentari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carlo Deodato, I limiti costituzionali alla spending review: quello che il Governo e il Parlamento possono (e non possono) fare per ridurre la spesa pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Palma, Una sana curiositas giuridica (auspicabile non vana) sul nuovo sistema retributivo degli appartenenti allAvvocatura di Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Arturo Camillo Jemolo, Lavvocatura dello Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . Una sentenza dei giudici amministrativi sul ruolo degli avvocati dello Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Fiengo, Tre scritti per riflettere ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe DellAira, Dal Leopoldo alla Leopolda: ovvero, linvoluzione acritica della scuola giuridica fiorentina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Salvatore Faraci, Due e-mail di un avvocato dello Stato. . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Antonio Mastrone, Sul termine di decadenza per la presentazione della domanda di rimborso in materia tributaria (Cass., Sez. Un., sent. 16 giugno 2014 n. 13676). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paolo Gentili, Note sul redditometro ed onere della prova (Cass. civ., Sez. Trib., sent. 19 marzo 2014 n. 6396) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Federico Maria Giuliani, Simulazione e fisco ancora allesame della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. V, sent. 27 gennaio 2014 n. 1568). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Abuso e elusione nel procedimento e nel processo (Cass. civ., Sez. V, sent. 4 aprile 2014 n. 7961) (coautrice Sabrina Scalini). . . . . . . . . . . . . . . . . . Autonoma impugnabilit di atti endoprocedimentali tributari: il Consiglio di Stato si pronuncia sul verbale di contestazione (Cons. St., Sez. IV, sent. 14 aprile 2014 n. 1821) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giovanni Palatiello, Sulla Direttiva Reati: il giudice dellesecutivit riconosce laccesso allindennizzo nelle sole situazioni transfrontaliere (C. app. Roma, ord. 9 maggio 2014 n. 7072/13 RG) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ugo Adorno, Cittadinanza extracomunitaria ed accesso ai pubblici impieghi (Trib. lav. Perugia, ord. 27 marzo 2014) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco Maria Ciaralli, Le astreintes nel processo civile e amministrativo (Cons. St., Ad. Plen., sent. 25 giugno 2014 n. 15). . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 3 8 15 30 37 61 71 82 92 95 106 114 122 128 135 163 170 I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Stefano Varone, Sulle procedure concorsuali nella P.A. . . . . . . . . . . . . . Paola Palmieri, Requisiti di nomina dei Presidenti e dei Commissari delle Autorit portuali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paola Palmieri, Natura giuridica dellIstituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) di propriet dello Stato Vaticano . . . . . . . . . Sergio Fiorentino, Canone dovuto dalle imprese di trasporto alla Rete Ferroviaria Italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Enrico De Giovanni, Rimborso spese legali a dipendente pubblico nel caso di archiviazione per prescrizione da parte del G.I.P.. . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALIT Antonio Tallarida, Federalismo fiscale e nuova finanza locale . . . . . . . . Vincenzo Cardellicchio, Fabrizio Gallo, Stazione unica appaltante e Centrale di committenza: lo sviluppo degli istituti nella prospettiva di riorganizzazione dei livelli di Governo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pierluigi Di Palma, Il trasporto aereo tra Stato e Regioni. . . . . . . . . . . . Sara Peluso, La sponsorizzazione dei beni culturali: opportunit e criticit dello strumento alla luce del caso Colosseo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rocco Steffenoni, Labolizione delle province: evoluzione di un processo di semplificazione delle autonomie locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Adolfo Mutarelli, Linsostenibile pesantezza economica dei diritti. Nuovo rito speciale sugli appalti pubblici: verso un processo senza giudizio? Angela Fragomeni, Il problema (irrisolto) del rapporto tra esame del ricorso principale e ricorso incidentale alla luce dei principi comunitari David Romei, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni o condizionamento mafioso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 195 201 208 213 231 235 250 268 278 296 319 324 358 TEMI ISTITUZIONALI Il Decreto Legge 90/2014 Liniziativa del Governo di intervenire durgenza, con il decreto legge 24 giugno 2014 n. 90, sugli stipendi, gli onorari e sul collocamento a riposo degli avvocati e procuratori dello Stato ha creato, oltre a ragguardevoli reazioni emotive, la voglia e la necessit di molti colleghi di interrogarsi sulle funzioni e sulle vocazioni di un Istituto, quale lAvvocatura dello Stato, che affonda le proprie radici agli albori dello Stato di diritto e che ha sempre ritenuto di costituire un pezzo significativo nellassetto delle istituzioni della Repubblica. Di qui lidea di raccogliere nella sezione temi istituzionali della Rassegna, con le norme di rilevanza diretta introdotte dal decreto legge governativo e dalla legge di conversione, gli interventi, gli spunti ed i saggi, vecchi e nuovi, che consentono di focalizzare i temi cruciali di un dibattito, soprattutto interno, che si svolge oramai da oltre quattro mesi sul ruolo effettivo (e sulla stima) dellAvvocatura dello Stato. I primi due documenti, che seguono il florilegio delle norme che direttamente ci riguardano, appartengono ai lavori parlamentari e riassumono i contenuti delle audizioni svolte presso la Camera dei deputati dallAvvocato Generale, avv. Michele Giuseppe Dipace, e dalle Associazioni rappresentative della categoria. Si tratta quindi di atti ufficiali, dai quali tuttavia emergono direttamente e con forza le ragioni a difesa dellIstituto da parte di coloro che lo dirigono e lo rappresentano. Si tratta di dati e considerazioni che, ancorch in certa misura pretermesse nella scelta parlamentare, significativo che restino a testimonianza di quel che si detto. Seguono, nella prima parte del dossier, tre saggi e una sentenza del TAR del Lazio. Il primo una valutazione generale sui limiti, che la legislazione sopravveniente trova, per Costituzione e principi di diritto europeo, ad intervenire unilateralmente su rapporti di durata in corso di svolgimento. Lestensore il consigliere di Stato Carlo Deodato, che ha svolto le funzioni di Capo dellUfficio Legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il secondo un articolo richiesto ah hoc, al prof. Giuseppe Palma, ordinario di diritto amministrativo dellUniversit Federico II di Napoli. Ricordavo dello stesso Autore un bellintervento svolto nel novembre 2012 ad un convegno che aveva ad oggetto proprio le Avvocature Pubbliche, e il testo originario del decreto legge (ed in parte anche il testo della legge approvata) recano una strana interazione tra lAvvocatura dello Stato e gli uffici legali di enti pubblici territoriali e non. Il terzo saggio un articolo del 1968 di Arturo Carlo Iemolo, che, in una fase delicata nei rapporti tra lAvvocatura dello Stato ed il Governo (quella stessa fase che poi ha dato avvio alliter della Riforma del 1979), offre unattenta e ancora attuale ricostruzione del ruolo dellAvvocatura dello Stato nellamministrazione pubblica. La sentenza del TAR Lazio n. 10205/11, resa in una controversia sulla legittimit di affidare solo ad alcune categorie scelte il ruolo di giudici tributari, indica anchessa le particolari connotazioni della professione di avvocato dello Stato. Nella seconda parte, un collage di tre documenti (atti parlamentari e stralci di articoli) dai quali lautore della composizione, cerca di cogliere, sul piano delle vicende storiche e della curiosit filologica, la connessione che sembra esistere tra la questione degli onorari, spesso riproposta in pi sedi, e laffidamento in esclusiva agli avvocati e procuratori dello Stato della rappresentanza processuale, spesso mal sopportata dalle Amministrazioni in giudizio. Restano infine - terza parte - due ulteriori documenti, sui quali la direzione della Rassegna ha mantenuto il dubbio sullopportunit della pubblicazione. Il primo un saggio inviato a Lexitalia da Giuseppe DellAira, Avvocato distrettuale di Palermo, immediatamente a ridosso dellemanazione del decreto legge n. 90 del 2014; il secondo, di tono confidenziale, sono due e-mail inviate a tutti i colleghi dal giovane avvocato Salvatore Faraci, in servizio presso lAvvocatura distrettuale dello Stato di Caltanisetta. Si tratta di documenti che contestano le scelte del Governo con toni non consoni ad una rivista di servizio. Tuttavia tali scritti testimoniano egregiamente lo stato danimo e il senso di smarrimento di chi sente di subire ingiustamente le gravi conseguenze sul piano professionale delle decisioni che il Governo andava assumendo. Considerando che lAvvocatura dello Stato resta comunque fatta di persone, che credono nel valore istituzionale del proprio lavoro, la direzione della Rivista pur non condividendo in toto quanto in tali documenti viene rappresentato e sostenuto, ritiene che sarebbe ingiusto non pubblicarli... Il direttore responsabile avv. Giuseppe Fiengo SOMMARIO: 1. Le norme di impatto diretto sulle funzioni di Istituto - 2. Dai lavori Parlamentari. PARTE I - 3. Testimonianze recenti e passate: Carlo Deodato, I limiti costituzionali alla spending review: quello che il Governo e il Parlamento possono (e non possono) fare per ridurre la spesa pubblica - (segue) Giuseppe Palma, Una sana curiositas giuridica (auspicabile non vana) sul nuovo sistema retributivo degli appartenenti allAvvocatura di Stato -(segue) Arturo Camillo Jemolo, Lavvocatura dello Stato -(segue) Una sentenza dei giudici amministrativi sul ruolo degli avvocati dello Stato. PARTE II - 4. Tre scritti per riflettere ... - 4.1. Dibattito parlamentare 19 giugno 1889 - 4.2. (segue) Stralcio di un saggio sullAvvocatura dello Stato e la sua storia - 4.3. (segue) Articolo pubblicato sul Sole24Ore. PARTE III - 5. Testimonianze a caldo di due avvocati dello Stato: Giuseppe dellAira, Dal Leopoldo alla Leopolda: ovvero, linvoluzione acritica della scuola giuridica fiorentina - (segue) Salvatore Faraci, Due e-mail di un avvocato dello Stato. 1. Le norme di impatto diretto sulle funzioni di Istituto. Testo del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 144 del 24 giugno 2014), coordinato con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 114, recante: Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari.. (14A06530) (GU Serie Generale n.190 del 18-8-2014 - Suppl. Ordinario n. 70). Art. 1 (Disposizioni per il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni) 1. Sono abrogati l'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, l'art. 72, commi 8, 9, 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e l'art. 9. comma 31, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 2. Salvo quanto previsto dal comma 3, i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore. I trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e non ancora efficaci alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge sono revocati. 3. Al fine di salvaguardare la funzionalit degli uffici giudiziari, i trattenimenti in servizio, pur se ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che alla data di entrata in vigore del presente decreto ne abbiano i requisiti ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni, sono fatti salvi sino al 31 dicembre 2015 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore. (...) Art. 8 (Incarichi negli uffici di diretta collaborazione) 1. All'art. 1, comma 66, della legge 6 novembre 2012 n. 190, sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: compresi quelli di titolarit dell'ufficio di gabinetto, sono sostituite dalle seguenti: compresi quelli, comunque denominati, negli uffici di diretta collaborazione, ivi inclusi quelli di consulente giuridico, nonch quelli di componente degli organismi indipendenti di valutazione,; b) dopo il primo periodo inserito il seguente: escluso il ricorso all'istituto dell'aspettativa. . 2. Gli incarichi di cui all'art. 1, comma 66, della legge n. 190 del 2012, come modificato dal comma 1, in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, cessano di diritto se nei trenta giorni successivi non adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo. 3. Sono fatti salvi i provvedimenti di collocamento in aspettativa gi concessi alla data di entrata in vigore del presente decreto. 4. Sui siti istituzionali degli uffici giudiziari ordinari, amministrativi, contabili e militari nonch sul sito dell'Avvocatura dello Stato sono pubblicate le statistiche annuali inerenti alla produttivit dei magistrati e degli avvocati dello Stato in servizio presso l'ufficio. Sono pubblicati sui medesimi siti i periodi di assenza riconducibili all'assunzione di incarichi conferiti. Art. 9 (Riforma degli onorari dell'Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici) 1. I compensi professionali corrisposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo di cui all'art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni. 2. Sono abrogati il comma 457 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e il terzo comma dell'art. 21 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611. L'abrogazione del citato terzo comma ha efficacia relativamente alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 3. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e con le modalit stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. La parte rimanente delle suddette somme riversata nel bilancio dell'amministrazione. 4. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, il 50 per cento delle somme recuperate ripartito tra gli avvocati e pro- curatori dello Stato secondo le previsioni regolamentari dell'Avvocatura dello Stato, adottate ai sensi del comma 5. Un ulteriore 25 per cento delle suddette somme destinato a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato, da attribuire previa procedura di valutazione comparativa. Il rimanente 25 per cento destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all'art. 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni. 5. I regolamenti dell'Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i contratti col lettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualit negli adempimenti processuali. I suddetti regolamenti e contratti collettivi definiscono altres i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo principi di parit di trattamento e di specializzazione professionale. 6. In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non pu superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. Nei giudizi di cui all'art. 152 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto stanziamento non pu superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. 7. I compensi professionali di cui al comma 3 e al primo periodo del comma 6 possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo. 8. Il primo periodo del comma 6 si applica alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. I commi 3, 4 e 5 e il secondo e il terzo periodo del comma 6 nonch il comma 7 si applicano a decorrere dall'adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In assenza del suddetto adeguamento, a decorrere dal 1 gennaio 2015, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono corrispondere compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato. 9. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare minori risparmi rispetto a quelli gi previsti a legislazione vigente e considerati nei saldi tendenziali di finanza pubblica. Art. 19 (Soppressione dell'Autorit per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e definizione delle funzioni dell'Autorit nazionale anticorruzione) ... 5. In aggiunta ai compiti di cui al comma 2, l'Autorit nazionale anticorruzione: a) riceve notizie e segnalazioni di illeciti, anche nelle forme di cui all'art. 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; a-bis) riceve notizie e segnalazioni da ciascun avvocato dello Stato il quale, nell'esercizio delle funzioni di cui all'art. 13 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, venga a conoscenza di violazioni di disposizioni di legge o di regolamento o di altre anomalie o irregolarit relative ai contratti che rientrano nella di sciplina del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Per gli avvocati dello Stato segnalanti resta fermo l'obbligo di denuncia di cui all'art. 331 del codice di procedura penale; (...) Art. 33 (Parere su transazione di controversie) 1. La societ Expo 2015 p.a. nel caso di transazione di controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, pu chiedere che l'Avvocatura Generale dello Stato esprima il proprio parere sulla proposta transattiva entro dieci giorni dal ricevimento della richiesta. Art. 40 (Misure per l'ulteriore accelerazione dei giudizi in materia di appalti pubblici) 1. All'art. 120 dell'allegato 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo), sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 6 sostituito dal seguente: 6. Il giudizio, ferma la possibilit della sua definizione immediata nell'udienza cautelare ove ne ricorrano i presupposti, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d'ufficio e da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Della data di udienza dato immediato avviso alle parti a cura della segreteria, a mezzo posta elettronica certificata. In caso di esigenze istruttorie o quando necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto di termini a difesa, la definizione del merito viene rinviata, con l'ordinanza che dispone gli adempimenti istruttori o l'integrazione del contraddittorio o dispone il rinvio per l'esigenza di rispetto dei termini a difesa, ad una udienza da tenersi non oltre trenta giorni. Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con il principio di sinteticit di cui all'art. 3, comma 2, le parti contengono le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nei termini stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonch le associazioni di categoria riconosciute degli avvocati amministrativisti. Con il medesimo decreto sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, pu essere consentito superare i relativi limiti. Il medesimo decreto, nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi, tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. (...) Art. 44 (Obbligatoriet del deposito telematico degli atti processuali) ... 2. All'art. 16-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1 aggiunto, in fine, il seguente periodo: Per difensori non si intendono i dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente. ; b) il comma 5 sostituito dal seguente: 5. Con uno o pi decreti aventi natura non regolamentare, da adottarsi sentiti l'Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense ed i consigli dell'ordine degli avvocati interessati, il Ministro della giustizia, previa verifica, accertata la funzionalit dei servizi di comunicazione, pu individuare i tribunali nei quali viene anticipato, nei procedimenti civili iniziati prima del 30 giugno 2014 ed anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine fissato dalla legge per l'obbligatoriet del deposito telematico.. c) dopo il comma 9-bis, introdotto dall'art. 52, comma 1, lettera a), del presente decreto, aggiunto il seguente: 9-ter. A decorrere dal 30 giugno 2015 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi alla corte di appello, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalit telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati o delegati dall'autorit giudiziaria. Le parti provvedono, con le modalit di cui al presente comma, a depositare gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. Con uno o pi decreti aventi natura non regolamentare, da adottarsi sentiti l'Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense ed i consigli dell'ordine degli avvocati interessati, il Ministro della giustizia, previa verifica, accertata la funzionalit dei servizi di comunicazione, pu individuare le corti di appello nelle quali viene anticipato, nei procedimenti civili iniziati prima del 30 giugno 2015 ed anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine fissato dalla legge per l'obbligatoriet del deposito telematico.. (...) Art. 50 (Ufficio per il processo) ... 2. All'art. 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1: 1) dopo le parole: i tribunali ordinari, sono inserite le seguenti: gli uffici requirenti di primo e secondo grado,; 2) il secondo periodo soppresso; b) dopo il comma 11 inserito il seguente: 11-bis. L'esito positivo dello stage, come attestato a norma del comma 11, costituisce titolo per l'accesso al concorso per magistrato ordinario, a norma dell'art. 2 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni. Costituisce altres titolo idoneo per l'accesso al concorso per magistrato ordinario lo svolgimento del tirocinio professionale per diciotto mesi presso l'Avvocatura dello Stato, sempre che sussistano i requisiti di merito di cui al comma 1 e che sia attestato l'esito positivo del tirocinio . 2. Dai lavori parlamentari. CAMERA DEI DEPUTATI, COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI AUDIZIONE 3 LUGLIO 2014 AVVOCATO GENERALE, AVV. MICHELE DIPACE 1. Sono qui nella mia veste istituzionale di Avvocato Generale dello Stato con lunica finalit di esporre alcune considerazioni sugli effetti delle disposizioni dellart. 9 del d.l. in materia di abbattimento degli onorari per lAvvocatura dello Stato. Innanzi tutto, mi sento di affermare fin da ora che, quali che siano gli sviluppi delliter parlamentare del D.L., gli Avvocati dello Stato tutti continueranno a svolgere la loro delicata funzione di difesa e patrocinio del governo e degli altri organi costituzionali con il consueto e riconosciuto senso del dovere e professionalit secondo la consolidata tradizione dellIstituto. 2. Le disposizioni in materia di onorari di causa recate dallart. 9 del D.L. n. 90 del 2014 incidono in modo cos significativo sullassetto ordinamentale dellAvvocatura dello Stato e sulla figura professionale dei suoi componenti che potrebbe a regime incidere anche sulla stessa funzionalit dellIstituto. La predetta disposizione, comՏ noto, azzera gli onorari in precedenza attribuiti dalla legge agli avvocati e procuratori dello Stato nei casi di esito definitivamente vittorioso della lite con compensazione delle spese del giudizio (spese compensate) e limita al dieci per cento del totale gli onorari ripartibili tra gli avvocati quando questi siano liquidati dal giudice e riscossi nei confronti delle controparti (spese liquidate). Sostanzialmente, viene cos eliminato un compenso che ha costituito, da sempre, il segno distintivo del carattere professionale dellAvvocatura dello Stato. LAvvocatura dello Stato , comՏ noto, lorgano pubblico di tutela legale dellEsecutivo e degli altri organi anche costituzionali affidati al suo patrocinio. In ragione delle funzioni da loro svolte, che non differiscono in alcun modo, quanto ad oneri e responsabilit, da quelle di ogni altro avvocato, fin dal tempo dellistituzione dellAvvocatura dello Stato, risalente al 1876, il legislatore ha sancito il diritto degli avvocati e procuratori dello Stato, selezionati per concorso pubblico tra i pi rigorosi in Italia, in aggiunta al trattamento stipendiale, alla percezione degli onorari delle (sole) cause vinte, quale corollario imprescindibile del carattere professionale dellattivit a loro demandata. Nella relazione in data 22 dicembre 1875 della commissione incaricata di elaborare il regolamento preordinato allistituzione dellAvvocatura dello Stato, realizzata nellambito della riforma degli uffici del pubblico ministero prefigurata dalla legge 28 novembre 1875, n. 2781, furono infatti rimarcati gli evidenti vantaggi di interessare i difensori al buon successo delle liti per lAmministrazione; proprio su questo presupposto lart. 15 del regolamento 16 gennaio 1876, n. 2914, previde che ciascuna Avvocatura era deputata a curare lesazione delle competenze davvocati e procuratori poste a carico della controparte nei giudizi sostenuti direttamente da quegli Uffici, per ripartirle tra i loro funzionari, secondo le norme da approvarsi dal Ministro delle finanze, di concerto con quello della giustizia. Di questo sistema, nel dibattito parlamentare sviluppatosi negli anni immediatamente successivi, ne fu espressamente ravvisata limprescindibilit nel fatto che la mancanza di quella disposizione per la quale lavvocato erariale ha diritto a prendere egli il compenso cui condannata la parte soccombente avrebbe irrimediabilmente spezzato i suoi legami col foro e mutato i cardini dellistituzione; in altri termini, lavvocato erariale sarebbe diventato assolutamente un impiegato dello Stato (On. Spirito, Atti Parlamentari, Sessione 1889), con conseguente pre giudizio per leffettivit della difesa dello Stato e per linteresse della collettivit. Mi permetto di richiamare il resoconto di quella seduta della Camera dei deputati del 19 giugno 1889 perch la questione che si tratt praticamente identica a quella che oggi ci occupa; essa fu dibattuta con una ricchezza e finezza di argomentazioni, una coerenza logica ed una saggezza tali che, pur essendo passato da allora molto pi di un secolo, davvero non so individuare oggi ragioni pi efficaci per dimostrare che negare al difensore istituzionale dello Stato il diritto a percepire lonorario delle cause integralmente vinte possa rivelarsi un attacco alla natura professionale dellattivit difensiva svolta dagli Avvocati dello Stato. Sia chiaro: oggi come allora si pu essere certi che gli avvocati erariali non abbiano bisogno di questo stimolo per compiere il loro dovere. Ma, oggi come allora, altrettanto certo che eliminare o anche solo intaccare il diritto a percepire gli onorari delle cause vinte significherebbe disconoscere quel segno di comunanza con la libera professione forense che innegabilmente alla base della dedizione, dimostrata in tutta la storia dellIstituto dagli avvocati e procuratori dello Stato, ad affrontare il proprio lavoro con grande spirito di sacrificio, senza mai risparmiarsi, senza mai rivendicare limiti massimi ai carichi di lavoro pro capite, con reperibilit sullintera giornata, con un assiduo lavoro giornaliero per rispettare i termini processuali di scadenza. Ne costituisce inequivocabile riprova il fatto che, nonostante un organico di cui si reiteratamente segnalata la macroscopica inadeguatezza e che attualmente, per effetto delle note limitazioni del turn over, fermo ad appena trecentoquaranta avvocati e pro- curatori e a meno di novecento impiegati amministrativi, lIstituto continua ugualmente a far fronte ad un contenzioso imponente e complesso. Contenzioso che si addirittura pi che quadruplicato solo negli ultimi cinque lustri e che di anno in anno si accresce secondo la media dellultimo decennio di almeno 180 mila nuovi affari (con punte superiori a 200 mila), di cui pi di 50.000 solo a Roma. Da studi esterni recentemente svolti si rileva che ciascun affare costa in media allo Stato (tenuto conto, oltre che degli emolumenti spettanti al personale togato e amministrativo, di ogni altra voce di bilancio degli oneri di funzionamento dellIstituto, ivi compresi i fitti figurativi degli immobili utilizzati) 800 euro circa, ossia un decimo dei costi di mercato. Pur in presenza di questa impressionante mole di lavoro - che si riflette in un carico medio di circa 500 nuovi affari legali per anno per avvocato, che si sommano alle migliaia di quelli pendenti - lefficacia dellimpegno, dei sacrifici e delle capacit professionali degli avvocati e procuratori dello Stato testimoniata dallesito pienamente vittorioso per le Amministrazioni difese (almeno il 70 per cento, per un valore di circa 18 miliardi di euro) delle controversie trattate non ultime quelle in materia di lotta allevasione fiscale. In questo quadro, le misure recate dallart. 9 del D.L. n. 90 del 2014 appaiono obiettivamente poco comprensibili, oltre che, in certo senso, contraddittorie con lesigenza comunemente avvertita, e che andrebbe ancor pi valorizzata, di correlare lerogazione dei compensi accessori allimpegno profuso e ai risultati concretamente ottenuti. Come tali, in effetti, esse sono percepite non solo dagli avvocati e procuratori dello Stato, ma anche dal personale amministrativo (si ricorda che questultimo, per effetto dellart. 43 della legge n. 69 del 2009, destinatario di una quota pari al 12,50 per cento degli onorari spettanti agli avvocati e procuratori dello Stato): personale che, in funzione di supporto a quello togato, con questo condivide parte degli oneri e delle responsabilit dellattivit professionale dellIstituto. Il sostanziale azzeramento degli onorari (che proprio in ragione della loro natura di compenso professionale non sono pensionabili), ove confermato, avrebbe, dunque, un effetto obiettivamente disincentivante e frustrante, destinato inevitabilmente a pregiudicare la funzionalit dellIstituto: effetto, questo, gi manifestatosi nella richiesta formulata dalle associazioni di categoria di determinare il limite dei carichi di lavoro individuali, come per il personale delle altre magistrature. Gli Avvocati dello Stato sono ben consapevoli della necessit, nellattuale situazione di drammatica crisi economica, che tutte le componenti della pubblica amministrazione debbono compiere dei sacrifici anche economici, ai fini del contenimento della spesa pubblica, ma al riguardo la recente legge di stabilit n. 147/2013 ha gi previsto, per un triennio una decurtazione degli onorari complessivamente stimabile oltre il 20% del loro ammontare. Labbattimento degli onorari ora disposto si traduce in un totale e irrimediabile snaturamento di un Istituto di alta qualificazione tecnico-professionale ed in una mortificazione dei propri componenti. Sono certo che sia stato ben compreso come la finalit del mio intervento non quella di assecondare rivendicazioni di tipo corporativo: nullaltro ho voluto fare, in coscienza, che adempiere al dovere, per me imprescindibile, di fare tutto il possibile affinch sia preservato, nellesclusivo interesse della collettivit nazionale, quel carattere coessenzialmente professionale dellattivit dIstituto che continuamente si esprime nelle centinaia di migliaia di giudizi che vedono coinvolte le Amministrazioni patrocinate davanti ai giudici nazionali, internazionali e comunitari. Appellandomi alla consapevole sovrana volont del Parlamento non posso, dunque, che concludere con lauspicio accorato che sia evitato il totale ed irrimediabile snaturamento di un Istituto che da quasi centoquarantanni contribuisce ad assicurare al Paese lattuazione dei principi dello Stato di diritto e la salvaguardia delle sue Istituzioni. AUDIZIONE 8 LUGLIO 2014 ASSOCIAZIONE UNITARIA AVVOCATI E PROCURATORI DELLO STATO ASSOCIAZIONE NAZIONALE AVVOCATI E PROCURATORI DELLO STATO Desideriamo innanzitutto ringraziare il Presidente e gli Onorevoli componenti della I Commissione, per lopportunit che viene offerta alle Associazioni di categoria dellAvvocatura dello Stato, di interloquire sugli effetti che la riforma degli onorari, introdotta dallart. 9 del D.L. 90/2014, ha per lAvvocatura dello Stato. Siamo qui per offrire una serie di dati conoscitivi che consentano di valutare appieno il servizio che lAvvocatura dello Stato rende ai cittadini di questo Paese; siamo qui per rispondere alle Vostre domande, tentare di dare un contributo al dibattito e fornire riflessioni utili sul modello di P.A. che si vuole perseguire, al fine di individuare le misure normative pi adatte a realizzare lobiettivo dellefficienza e delleconomicit dellamministrazione. L'Avvocatura dello Stato un organo tecnico, altamente specializzato, autonomo e indipendente dalla molteplicit delle amministrazioni patrocinate, preposto al contenimento della spesa pubblica attraverso l'esercizio dell'attivit consultiva e di difesa esclusiva dello Stato in giudizio. Non si pu che partire dai dati. Come avremo modo di dimostrare sono i numeri, nella loro nuda oggettivit, a testimoniare che lAvvocatura dello Stato un modello efficiente, che garantisce, a basso costo, risultati estremamente positivi in termini di controllo della legalit, contenimento della spesa pubblica e, in definitiva, tutela delle tasche dei cittadini italiani. Solo partendo da questa premessa comune, fondata su dati oggettivi ed incontrovertibili, possibile ragionare insieme sulle misure necessarie a migliorare il servizio, anche in termini di economicit. Questi allora, in sintesi, i dati dellAvvocatura dello Stato. Attivit: i 340 avvocati dello Stato, attualmente in servizio, curano in via esclusiva lassistenza legale e la difesa dello Stato (compresi gli Organi Costituzionali, e quindi Presidenza della Repubblica, Camera e Senato, oltre le Regioni e degli altri Enti ammessi al patrocinio), su tutto il territorio nazionale, e anche dinanzi a giurisdizioni sovranazionali, nei giudizi civili, penali, tributari e amministrativi, in 180.000 nuovi affari ogni anno, per una media di circa 500 nuovi affari allanno per ogni avvocato; curano anche la consulenza legale a favore delle amministrazioni in sede amministrativa, stragiudiziale e precontenziosa. Ogni giorno, dunque, nello studio di un avvocato dello Stato transitano decine di atti e di fascicoli e, con riferimento a ciascuno di essi viene presa, con velocit e precisione, una decisione. Ogni giorno vengono elaborati una pluralit di atti che richiedono studio delle questioni ed elaborazione di argomenti defensionali. Rilevanza economica del contenzioso: il valore economico del contenzioso curato ogni anno dallAvvocatura dello Stato stimabile in 25-26 miliardi di euro allanno. Occorre precisare che si tratta di stime basate su proiezioni, considerato che ben possibile, perch gi accaduto, che un solo contenzioso possa da solo superare di gran lunga tali cifre (si pensi alla controversia sullIrap da 100 miliardi di euro vinta dallAvvocatura dello Stato davanti alla Corte di Giustizia). Costo per lo Stato: il costo complessivo annuale di tutta lAvvocatura dello Stato di soli 150 milioni di euro (nei quali vanno computate le retribuzioni del personale togato e amministrativo, compresi gli onorari di causa, nonch ogni altra voce di bilancio concernente gli oneri di funzionamento dellIstituto, compresi i canoni di affitto degli immobili utilizzati, spese informatiche, per carta, cancelleria etc.). Si tratta di un costo medio pari a 800 euro a causa, per tutti i gradi di giudizio, indipendentemente dal valore della causa, anche quando milionario (di media, meno di 300 euro per ogni grado di giudizio), di gran lunga inferiore rispetto ai valori di mercato e al costo di qualunque attivit di assistenza e patrocinio legale presso altre realt pubbliche (basti guardare in proporzione ai costi di assistenza legale di Poste Italiane o di Ferrovie dello Stato, un tempo difese dallAvvocatura dello Stato). Risultati: oltre a svolgere attivit consultiva (attivit particolarmente apprezzata, a presidio della legalit e della spesa, tanto che lart. 33 del d.l. 90/2014 lha prevista in via di urgenza a favore della societ Expo 2015 s.p.a., per la soluzione transattiva delle controversie), lAvvocatura dello Stato registra una percentuale di completa vittoria nel 70% circa delle cause patrocinate (senza considerare quelle ove si registra una soccombenza minima), garantendo la salvaguardia di un risparmio per lo Stato di circa 18 miliardi di euro. Retribuzioni: la retribuzione dellAvvocato dello Stato costituita da una parte fissa e da una parte variabile, questa ultima legata ad oggettivi risultati positivi ottenuti in giudizio, pari ad una quota delle spese legali relative alle cause totalmente vinte: si tratta di un compenso tipico della professione forense, legato al merito pieno (solo per le cause totalmente vinte) certo ed oggettivo (frutto della decisione di un Giudice terzo); tale parte variabile non comprende lattivit di consulenza legale svolta dallavvocato dello Stato n il patrocinio curato dinanzi alla Corte Costituzionale o alle giurisdizioni sovranazionali, ove non cՏ regolamento di spese. LAvvocato dello Stato, peraltro, non ha carichi di lavoro predeterminati, n limiti di orario ed soggetto a termini ineludibili e a responsabilit immediata, diretta e personale dinanzi alla Corte dei Conti in relazione alla trattazione di cause anche milionarie. Il modello Avvocatura dello Stato assicura dunque competenza e risultati particolarmente sod disfacenti nel rapporto costo benefici: fornisce infatti totale assistenza legale allo Stato in tutte le sue articolazioni e a una pluralit di enti pubblici, in via esclusiva, al costo complessivo di 800 euro a causa, vincendo il 70% delle cause e offrendo anche consulenza legale per ladozione di provvedimenti amministrativi complessi, in funzione di presidio della legalit e controllo della spesa. Tutto ci possibile grazie alla competenza di un gruppo di avvocati scelti allesito di una selezione durissima: si accede per doppio concorso, il secondo - quello per Avvocato dello Stato - aperto a magistrati amministrativi e/o ordinari, procuratori dello Stato, professori universitari, dirigenti e avvocati del libero foro con una certa anzianit (4 prove scritte e 15 materie orali, oltre ad una difesa orale relativa ad una contestazione giudiziale). LAvvocatura dello Stato ha bisogno di attrarre merito, efficienza e competenza per poter combattere ogni giorno, a difesa delle risorse pubbliche, contro agguerriti studi legali privati, che sempre di pi sono dotati di una elevata specializzazione e di una organizzazione strutturata, talvolta anche a carattere internazionale, per far fronte ad un contenzioso complesso, come quello concernente la lotta allevasione fiscale (ove la percentuale di vittoria delle cause patrocinate in Cassazione dallAvvocatura dello Stato si attesta intorno all85%). Anche di recente lIstituto e le Associazioni sindacali hanno segnalato situazioni di criticit dipendenti dall'esplosione del contenzioso verificatasi negli ultimi venti anni cui non ha corrisposto un proporzionale adeguamento dell'organico, la cui scopertura si anzi aggravata negli ultimi cinque anni per via del blocco del turn over. Sono stati conseguentemente chiesti il completamento dellorganico mediante il reclutamento di giovani preparati, l'autonomia finanziaria, la modernizzazione degli strumenti operativi e decisionali (quali, CAPS a maggioranza elettiva, incarichi direttivi a tempo determinato, investimenti per linformatizzazione, borse di studio per i giovani praticanti), nonch una verifica ancora pi stringente dei risultati e della produttivit individuale e di quella dei titolari di incarichi direttivi. Noi crediamo, infatti, che quando un modello funziona - e lAvvocatura dello Stato certo funziona e porta risultati oggettivi - il risparmio di spesa si raggiunge non tagliando, ma investendo; ci perch linvestimento su un modello vincente ha rendimenti molto pi alti dei costi e consente immediati recuperi di efficienza e di performance del servizio garantito ai cittadini. Servizio e risultati che, nel caso dellAvvocatura, si traducono in immediati risparmi di spesa o nuove entrate per lErario. Basti pensare che anche solo riuscendo - con investimenti mirati - ad aumentare del 3 o 4% le vittorie in giudizio, si otterrebbe un risparmio stimato di spesa pari a 1 miliardo di euro, e cio pari a circa 7 volte il costo complessivo annuale di tutta lAvvocatura dello Stato, nonch a pi di 30 volte il valore dellintervento che si propone. In questo contesto sorprende che la misura contenuta nellart. 9 proponga solo un isolato taglio lineare dei compensi legati al merito dimostrato sul campo, un sostanziale azzeramento del compenso professionale previsto per le cause totalmente vinte, che colpisce indistintamente tutti gli avvocati dello Stato, indipendentemente dalla loro produttivit e soprattutto i pi giovani. Viene cancellato il compenso previsto per il merito certo, pieno e oggettivo dellAvvocato (la vittoria totale della causa, consacrata dal passaggio in giudicato della decisione), deciso da un Giudice terzo (e non dalla stessa amministrazione, magari allesito di oscuri percorsi di autovalutazione). Diciamo cancellato perch a seguito del taglio di cui all'art. 9 cit. in futuro gli avvocati dello Stato si vedranno corrisposta una somma pari all'uno per cento degli onorari sino ad oggi riconosciuti. Si tratta invero di una norma estranea agli stessi principi ispiratori della riforma della p.a. (merito, responsabilit, economicit), che sgancia lattivit professionale degli avvocati dello Stato dal risultato, cos rischiando di trasformare lavvocato dello Stato in un burocrate. Per una serie di elementari considerazioni la norma taglia onorari snatura lAvvocatura dello Stato, muovendosi in senso contrario a quella ricerca della performance cui invece dovrebbe tendere tutta la p.a. Lavvocato dello Stato , anzitutto, un avvocato e, al fine di garantire la massima efficacia della difesa in giudizio dello Stato, necessario che percepisca se stesso ed il proprio ruolo in tale specifica prospettiva. La misura in esame invece snaturando lo status dellavvocato dello Stato, ne snatura la funzione, minando seriamente la possibilit che lavvocato dello Stato possa, in futuro, competere ad armi pari con gli avvocati del libero foro. Non solo. La misura in esame, paradossalmente, colpisce principalmente i giovani avvocati e procuratori dello Stato e produce, quindi, anche un effetto di vera e propria distorsione generazionale. I giovani avvocati e procuratori dello Stato, infatti hanno retribuzioni lorde pi basse rispetto ai loro colleghi e assai lontane dal tetto stipendiale (anche 1/5 rispetto al tetto); a causa di tale misura perdono immediatamente una voce variabile con cui si dava significativo e qualificante riconoscimento alle proprie competenze e responsabilit, al risultato del proprio lavoro e al successo in giudizio, cos mutando improvvisamente un percorso professionale su cui tanto hanno investito e nel quale credono. In questo senso, considerando la peculiarit dellattivit svolta dallAvvocato dello Stato con un carico di lavoro indeterminato, scadenze ineludibili e responsabilit immediata e diretta per cause anche milionarie - si corre il serio rischio che i giovani pi brillanti per capacit e professionalit non sceglieranno questa carriera, con una perdita di competenze e di appetibilit, che non potr non riverberarsi su risultati e sulla competitivit futura. indubbio, dunque, che gli effetti di tale disposizione non si esauriscono nel programmato risparmio di spesa iniziale, che anzi rischia di essere solo apparente, dovendo scontare inevitabili effetti in termini di indebolimento di un modello allo stato efficiente e competitivo, di presidio delle pubbliche finanze, con conseguente indiretto e futuro aggravio di costi per le casse dello Stato. Lart. 9 cit., infatti, potrebbe conseguire leffetto paradossale di realizzare la penalizzazione del merito, delle migliori intelligenze, dellefficienza e dei risultati oggettivi gi raggiunti, mentre lavvocatura dello Stato avrebbe bisogno di misure volte a conseguire la modernizzazione dei modelli organizzativi e decisionali, in funzione di miglioramento dellefficienza, delleconomicit e dellorganizzazione lavorativa, con virtuose ricadute sui risultati per le casse dello Stato. La domanda allora : vogliamo una struttura di controllo e contenimento della spesa pubblica efficiente, che produce risultati oggettivi e verificabili, costa meno del privato, guarda al merito e attira competenze? O vogliamo un modello di difesa dei conti pubblici debole? Vogliamo rafforzare e mantenere un modello di assistenza legale pubblica ed esclusiva, a costi irrisori e con risultati di eccellenza? O vogliamo un modello diverso, di affidamento - con i soldi pubblici - di incarichi e consulenze legali a professionisti privati, con ricadute disastrose in termini di aumento della spesa? Avere avvocati pubblici preparati e agguerriti, che si confrontano ogni giorno sul campo con avversari e studi legali bene organizzati, vincendo le cause solo per lo Stato a costi non paragonabili con quelli del settore privato, non pu essere considerato un costo insopportabile n un privilegio da tagliare. Ma la scelta intelligente di chi sceglie e premia il suo avvocato per competenza e merito. Questa la domanda cruciale. Queste le nostre ragioni. Ed su questo che ci piacerebbe discutere nellinteresse del Paese. Non vogliamo che loccasione vada sprecata. Perch il tempo delle riforme qui ed ora. Naturalmente noi Avvocati dello Stato non ci siamo mai sottratti e non intendiamo certo sottrarci ai sacrifici e al contributo che bisogna dare al Paese in questo momento di grave congiuntura economica. Nella legge di stabilit 2014 (Legge 27 dicembre 2013, n. 147) stato gi disposto infatti il taglio del 25% di tale forma di compenso legato al merito e al successo in giudizio. Qui per non si discute di misure transitorie dirette a fronteggiare una congiuntura momentaneamente sfavorevole, ma di una misura strutturale, unicamente finalizzata alla sostanziale e definitiva eliminazione di una voce qualificante legata al merito e alla performance; il tutto, in assenza di corrispondenti misure di rafforzamento e modernizzazione del modello efficiente di avvocatura erariale. Il meccanismo premiale, che caratterizza e qualifica questo modello virtuoso di difesa dello Stato e presidio di legalit va invece, per le ragioni sin qui illustrate, conservato e salvaguardato. E si auspica labbandono della strada dellisolato e improduttivo taglio lineare e strutturale. Il che non vuol dire che gli avvocati dello Stato siano chiusi al confronto o abbiano un atteggiamento diretto alla conservazione dell'esistente. Chiediamo tuttavia che questo contributo sia davvero utile al Paese. Per questo chiediamo che non si cancelli proprio il meccanismo qualificante del modello vincente di avvocatura erariale; per questo chiediamo che si dia ancora maggiore forza e riconoscimento alle competenze e ai risultati raggiunti in termini di tutela delle finanze pubbliche. Per questo chiediamo una modernizzazione degli strumenti operativi e decisionali ed una verifica ancora pi stringente dei risultati e della produttivit individuale e di quella dei titolari di incarichi direttivi. Perch, quando il modello funziona, solo investendo e adeguandolo ai tempi possibile aumentare lefficienza e leconomicit dellazione a presidio della legalit e delle pubbliche finanze. Perch crediamo che qualunque misura di riforma, anche eventualmente temporanea e congiunturale, non possa prescindere da obiettivi di modernizzazione e investimento, finalizzati al miglioramento della performance. Solo cos possiamo davvero rendere un servizio al Paese e non sprecare lopportunit della riforma. Siamo dunque disponibili allintroduzione di misure di ammodernamento e rafforzamento del modello di Avvocatura dello Stato e chiediamo che di essi si discuta nellambito di una riforma complessiva, nella sede appropriata della riforma della giustizia in corso di preparazione. Lo chiediamo in nome dei risultati ragguardevoli gi raggiunti al servizio dello Stato e a difesa delle tasche dei cittadini. E lo chiediamo soprattutto a tutela dei giovani e delle generazioni di avvocati dello Stato che verranno e che decideranno di mettere i loro talenti e le loro migliori competenze al servizio dello Stato. Per il Presidente dellAUAPS Avv. Antonio Gangemi Il Segretario dellAUAPS Avv. Giuseppe Zuccaro Il Presidente dellANAPS Avv. Rosario Di Maggio PARTE I - 3. Testimonianze recenti e passate: Carlo Deodato, I limiti costituzionali alla spending review: quello che il Governo e il Parlamento possono (e non possono) fare per ridurre la spesa pubblica - (segue) Giuseppe Palma, Una sana curiositas giuridica (auspicabile non vana) sul nuovo sistema retributivo degli appartenenti allAvvocatura di Stato -(segue) Arturo Camillo Jemolo, Lavvocatura dello Stato - (segue) Una sentenza dei giudici amministrativi sul ruolo degli avvocati dello Stato. CARLO DEODATO I limiti costituzionali alla spending review: quello che il Governo eil Parlamento possono (e non possono) fare per ridurre la spesa pubblica SOMMARIO: 1. Premessa - 2. I limiti costituzionali alladozione di misure di contenimento della spesa relative a rapporti di durata - 3. I limiti stabiliti dalla Corte Europea dei diritti delluomo - 4. La compatibilit con la Costituzione e con la Convenzione Europea dei diritti delluomo della spending review italiana - 5. Considerazioni finali. 1. Premessa. Nel presente studio ci dedicheremo ad identificare i limiti costituzionali allattivit legislativa preordinata alla riduzione della spesa pubblica. ComՏ noto, la necessit di rispettare i vincoli finanziari europei (cristallizzati nel c.d. fiscal compact) e lobiettivo, ormai costituzionalizzato (con la legge costituzionale n. 1 del 2012), del pareggio di bilancio (1) hanno imposto unopera di revisione, in senso riduttivo, dei programmi di spesa pubblica, meglio nota come spending review. Lanalisi delle voci di spesa risulta, in tal senso, finalizzata alla previa individuazione (essenzialmente politica) di quelle che possono essere ridotte ed alla successiva adozione delle misure (amministrative o normative, a seconda del titolo della spesa) mirate alla produzione delleffetto della diminuzione dei relativi impegni finanziari. Ora, a fronte dellesigenza di intervenire su voci di spesa attinenti a diritti patrimoniali relativi a rapporti giuridici di durata, appare indispensabile scrutinare la compatibilit costituzionale delle diverse misure adottabili, come contributo scientifico di riflessione, in unottica costruttiva (e per nulla polemica), sui principi costituzionali che possono rivelarsi vulnerati da una declinazione rozza, arbitraria o, comunque, poco consapevole della necessit (per molti versi ineludibile) di riduzione della spesa pubblica. E proprio per evitare qualsivoglia sospetto di critica politica alloperato del Governo (di quello in carica o di quelli che lo hanno proceduto) o, peggio, di militanza nel partito della spesa pubblica, o, ancora peggio, di difesa corporativa di prerogative o di diritti quesiti, ci asterremo dalla disamina di singoli (1) R. DICKMANN, Governance economica europea e misure nazionali per l'equilibrio dei bilanci pubblici, Roma, 2013. provvedimenti e manterremo la nostra analisi su un piano generale e astratto, limitandoci a tracciare i confini allinterno dei quali devono essere concepite ed attuate le misure di riduzione della spesa (per sfuggire a fondate censure di incostituzionalit) ed esaminando, sempre in astratto ed alla stregua dei predetti parametri, le diverse tipologie di interventi. Per offrire un contributo di riflessione che sia utile, attendibile e scientificamente coerente, fonderemo la nostra analisi sugli insegnamenti che la Corte Costituzionale ha avuto modo di elaborare ed impartire sulla materia in questione, in modo da verificare, sulla base di quei principi, le misure che appaiono o meno compatibili con la Costituzione. Esigenze di completezza della trattazione impongono, da ultimo, di non trascurare i postulati della Corte Europea dei diritti delluomo in merito alla tutela dei diritti dei cittadini relativi a rapporti di durata e, anzi, di esaminare la legittimit delle misure italiane di spending review anche con riguardo ai principi della CEDU. Il tema si presta, peraltro, ad essere analizzato anche secondo una prospettiva pi propriamente politologica, che esamini, segnatamente, linfluenza della crisi del debito sulla forma di Stato, sulla trasformazione del welfare, sul grado di protezione dei diritti sociali e, in particolare, sulla possibile evoluzione dello Stato sociale (che riconosce ai cittadini perlopi diritti a prestazioni sociali pubbliche) in Stato liberale (che riconosce ai cittadini perlopi, se non solo, libert negative) (2). Ma ci limiteremo, sotto questo profilo, a sommarie e necessariamente incomplete riflessioni nelle considerazioni conclusive. 2. I limiti costituzionali alladozione di misure di contenimento della spesa relative a rapporti di durata. 2.1- La Corte Costituzionale si occupata gi da diversi anni delle questioni attinenti alla compatibilit con la Carta fondamentale della Repubblica di disposizioni legislative che comportano lestinzione o la riduzione di diritti patrimoniali relativi a rapporti di durata e si preoccupata, con una serie ormai copiosa di decisioni, di descrivere lambito entro il quale tale tipologia di norme sfugge alle censure di incostituzionalit e resta confinata nellalveo (a dire il vero piuttosto angusto) della conformit ai principi costituzionali (3). 2.2- La Corte ha, innanzitutto, chiarito (ormai da parecchi anni) che il principio di irretroattivit delle leggi (codificato allart. 11 delle disposizioni (2) Per una compiuta analisi di tale tema si veda P. GRIMAUDO, Lo stato sociale e la tutela dei diritti quesiti alla luce della crisi economica globale: il caso italiano, in Federalismi. (3) Non dedicheremo unattenzione particolare alle leggi di interpretazione autentica, atteso che la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto che, ai fini del giudizio di costituzionalit di una legge retroattiva, resta indifferente la sua autoqualificazione come di interpretazione autentica (Corte Cost. nn. 36/1985, 167/1986, 233/1988 e, pi di recente, 41/2011 e 308/2013). sulla legge in generale, c.d. preleggi), ancorch non costituzionalizzato (4) (se non, per la sola materia penale, allart. 25 Cost.), rappresenta una regola essenziale del sistema a cui, salvo uneffettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillit dei cittadini (5). Adoperando un lessico forse pi appropriato per esprimere la valenza di un principio costituzionale, il canone di irretroattivit delle leggi stato, infatti, definito condicio sine qua non della certezza del diritto (6), elemento essenziale di civilt giuridica (7), fondamento dello Stato di diritto (8) e principio generale dellordinamento (9). Il rispetto di tale regola implica, in particolare, che la nuova legge non possa essere applicata non solo ai rapporti giuridici che hanno esaurito i loro effetti prima della sua entrata in vigore, ma anche a quelli originati anteriormente e ancora efficaci (nella misura in cui la disposizione sopravvenuta privi di efficacia il fatto giuridico genetico verificatosi prima di essa). Il Giudice delle leggi non ha, tuttavia, negato la compatibilit costituzionale di disposizioni legislative che incidano, in senso peggiorativo, su situazioni soggettive attinenti a rapporti di durata (e che, nei limiti sopra precisati, possono essere qualificate come leggi retroattive o, comunque, equiparate a queste ultime, ai fini che qui rilevano), ammettendo, anzi, esplicitamente, che tale fattispecie di norme non incontra nella Costituzione un divieto assoluto (10) (la cui violazione implica, di per s ed automaticamente, lincostituzio( 4) Deliberatamente non costituzionalizzato, essendo stato respinto dallAssemblea costituente lemendamento dallon. Domined finalizzato a tutelare dalle leggi retroattive i diritti quesiti (la legge non dispone che per lavvenire: essa non ha efficacia retroattiva nei confronti dei diritti quesiti), come ricordato da G. GROTARELLI DE SANTI, Profili costituzionali dellirretroattivit delle leggi, Milano, 1975, p. 48. (5) Corte Cost., n. 155/1990. (6) Corte Cost., n. 194/1976. (7) Corte Cost., n. 13/1977. (8) Corte Cost., n. 108/1981. (9) Corte Cost., n. 91/1982. (10) R. GUASTINI, Le fonti del diritto e l'interpretazione, Milano, Giuffr, 1993; R. QUADRI, Applicazione della legge in generale, in Commentario del codice civile Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1974; A. CERRI, Leggi retroattive e Costituzione. Spunti critici e ricostruttivi, in Giur. Cost., 1975; L. PALADIN, Appunti sul principio di irretroattivit, in Il foro amministrativo, 1959; A. FALZEA, Efficacia Giuridica, in Enciclopedia del diritto, vol. XIV, 1965, p. 432; R. CAPONI, La nozione di retroattivit della legge, in Giurisprudenza Costituzionale, 1990, p. 103 e ss.; CIAN G. -TRABUCCHI A., Commentario breve al Codice civile, Padova, 2011, p. 26 e ss.; G.U. RESCIGNO, Leggi di interpretazione autentica e leggi retroattive non penali incostituzionali, in Giurisprudenza costituzionale, 1964, p. 780 e ss.; M. PATRONO, Legge (vicende della), in Enciclopedia del diritto, vol. XXIII, 1973, p. 927 e ss.; A. PIZZORUSSO, Commentario al Codice civile, Art. 1-9. Fonti del diritto. Disposizioni preliminari, Bologna, 2011, p. 255 e ss.; G. GROTTARELLI DE SANTI, Profili costituzionali dellirretroattivit delle leggi, Milano, 1975, p. 48: T. MARTINES, Diritto Costituzionale, Milano, 2010, p. 99 e ss.; A.M. SANDULLI, Il principio della irretroattivit della legge e la Costituzione, in Foro amministrativo, 1947, II, p. 81 e ss.; C. ESPOSITO, nalit), ma ha presidiato la pertinente attivit legislativa di una serie di vincoli la cui inosservanza (questa s) comporta il vizio di incostituzionalit (11). Sono stati, in particolare, identificati alcuni valori costituzionali che fungono da argini, nel senso che il loro superamento integra gli estremi della violazione costituzionale, allapprovazione di disposizioni legislative modificative in peius di diritti soggettivi perfetti relativi a rapporti di durata. In tale prospettiva, la Corte ha precisato che lapprovazione di leggi con efficacia retroattiva deve intendersi preclusa o, comunque, limitata dal necessario rispetto dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza (12), del legittimo affidamento dei cittadini sulla stabilit della situazione normativa preesistente (13) e sulla certezza delle situazioni giuridiche ormai consolidate (14), della coerenza dellordinamento (15), nonch di altri valori costituzionali quali, ad esempio, le garanzie del lavoro, la libert di iniziativa economica (16) e lindipendenza della magistratura (17). Tale indirizzo stato, da ultimo, confermato, se non rafforzato, da una recentissima pronuncia (18) con la quale i giudici di Palazzo della Consulta hanno ribadito e chiarito che la retroattivit deve trovare adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale. stato, peraltro, ulteriormente precisato che la modifica in senso sfavorevole della disciplina dei rapporti di durata non pu mai essere arbitraria o irrazionale (19) e devessere, in ogni caso, giustificata da esigenze eccezionali ed idonee, come tali, ad imporre sacrifici eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso (20). La irragionevolezza (e, quindi, la incostituzionalit) delle misure pu, inoltre, essere esclusa solo se le decurtazioni previste sono imposte da esigenze straordinarie di contenimento della spesa pubblica e presentano unef- La Costituzione italiana, Padova, 1954; P. BARILE, Note e pareri sullirretroattivit delle norme tributarie, in Diritto delleconomia, 1957, p. 41 e ss.; M. NIGRO, In tema di irretroattivit della legge e principi costituzionali, in Foro amministrativo, 1957, I, p. 35 e ss.; I. MANZONI, Sul problema della costituzionalit delle leggi retroattive, in Rivista di diritto finanziario, 1968, p. 319 e ss.; S. CAIANELLO, La retroattivit della norma tributaria, Napoli, 1981. (11) A. VALENTINO, Il principio dirretroattivit della legge civile nei recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti delluomo, in www.associazionedeicostituzionalisti. it. (12) Corte Cost., n. 282/2005. (13) Corte Cost., n. 160/2013, n. 209/2010, n. 525/2000. (14) Corte Cost., n. 24/2009, n. 74/2008, n. 156/2007. (15) Corte Cost., n. 209/2010. (16) Corte Cost., n. 211/1997. (17) Corte Cost., n. 397/1994. (18) Corte Cost., n. 156/2014. (19) Corte Cost., nn. 417 e 179/1996, 390/1995, 330/1999. (20) Corte Cost., n. 245/1997. ficacia temporale limitata e circoscritta (e, cio, se non modificano a regime i diritti incisi) (21). Non solo, ma i sacrifici non possono essere irragionevolmente imposti ad una sola categoria di cittadini (22), integrandosi altrimenti gli estremi del vizio di violazione del principio di eguaglianza (a causa della disparit di trattamento che pu essere ravvisata nella differente previsione di prestazioni patrimoniali a carico di diverse categorie di cittadini). 2.3- Come si vede da questa sintetica rassegna, il Giudice delle leggi ha, s, ammesso la compatibilit costituzionale di leggi modificative in peius di diritti soggettivi perfetti attinenti a rapporti di durata, ma ha circondato laffermazione di tale astratta autorizzazione (rivolta al legislatore ordinario) di una serie di cautele, di avvertenze, di vincoli, di limiti che hanno reso piuttosto impervio e stretto il sentiero che pu essere utilmente percorso per giungere alla meta dellapprovazione di disposizioni legislative del tipo in esame che sfuggano (prima) alle censure e (poi) alla declaratoria di incostituzionalit (come confermato dallelevato numero di pronunce con cui stato riscontrato il predetto vizio). La Consulta ha, in particolare, valorizzato, per un verso e con molteplici statuizioni, lesigenza di garantire il legittimo affidamento dei cittadini sulla certezza dei rapporti giuridici e sulla stabilit delle situazioni soggettive (quale principio cardine della convivenza civile) e, per un altro, linteresse alla tutela di altri valori costituzionali coinvolti (quali quelli relativi al lavoro ed alla libert di iniziativa economica, oltre ch il principio di eguaglianza), quali limiti invalicabili allattivit legislativa in esame. Ovviamente la Corte si anche fatta carico della straordinariet delle esigenze di contenimento della spesa pubblica ed ha, quindi, riconosciuto in esse gli estremi della causa giustificatrice dellapprovazione di leggi con efficacia retroattiva, ma ha, al contempo, presidiato queste ultime di ulteriori vincoli, perlopi riferiti alla temporaneit dei sacrifici imposti ai cittadini ed alla stretta strumentalit di questi ultimi alla soddisfazione delle necessit di bilancio. 2.4- Si tratta, in definitiva, di una giurisprudenza, ormai consolidata ed intrinsecamente coerente con le esigenze di tutela di tutti gli interessi costituzionali coinvolti, che non descrive, tuttavia, un percorso lineare e sicuro per conseguire lo scopo dellapprovazione di leggi sicuramente immuni da vizi di incostituzionalit, ma che certamente dissemina la strada di segnali e di avvertimenti che dovrebbero (se rettamente intesi) scongiurare quel pericolo. Saggiamente, in ogni caso, la Corte ha enucleato una serie di principi, di parametri valutativi e di paradigmi di giudizio che le consentano quel margine di apprezzamento nella delibazione del bilanciamento dei diversi valori in (21) Corte Cost., n. 310/2013. (22) Corte Cost., n. 113/2013, 223/2012. gioco che non pu che restare riservato, in ultima istanza, alla prudente e sapiente decisione del Giudice a cui resta affidata la custodia dei principi su cui fondata la Repubblica. 3. I limiti stabiliti dalla Corte Europea dei diritti delluomo. 3.1- Anche la Corte EDU, espressamente investita della questione, si preoccupata di individuare i principi della Convenzione che vietano lapprovazione di disposizioni legislative che introducono una reformatio in peius di rapporti giuridici di durata. E, nel medesimo solco tracciato dalla Corte Costituzionale, anche la Corte di Strasburgo si preoccupata di stabilire i limiti allinterno dei quali le norme del tipo in esame possono ritenersi rispettose dellart. 6 della CEDU e dellart.1 del Protocollo addizionale. Dallesegesi della prima clausola, che sancisce il diritto al giusto processo, la Corte EDU ha, in particolare, ricavato due corollari: il divieto di ingerenza per il legislatore nelle controversie pendenti in cui parte lo Stato e il principio di parit delle armi, che impediscono lapprovazione di disposizioni retroattive finalizzate a risolvere (in favore dello Stato ed in danno del privato) cause pendenti (23). La seconda disposizione citata, che sancisce la tutela della propriet privata, stata, invece, valorizzata dalla Corte di Strasburgo al fine di assicurare la protezione delle legittime aspettative (esprance lgitime) dei cittadini nei confronti di disposizioni legislative ablative dei loro diritti, anche di credito (equiparati, a questi fini, a beni materiali), o finalizzate a ridurne il contenuto patrimoniale (24). 3.2- Anche la Corte EDU non ha, peraltro, escluso la compatibilit con gli artt. 6 della Convenzione e 1 del Protocollo addizionale (che, si ripete, afferma il principio della protezione della propriet, ma che stato interpretato come esteso anche alla tutela dei crediti e delle aspettative legittime) di disposizioni legislative retroattive che modifichino in peius rapporti di durata a tutela di un preminente interesse generale, ma ha chiarito che lincisione dei diritti, per essere giudicata conforme ai suddetti parametri, devessere giustificata dallindefettibile sussistenza, oltre ch di un motivo imperativo di interesse generale (imprieux motifs dintret gnral), dal ragionevole vincolo di proporzionalit tra il contenuto delle disposizioni ablative e lo scopo perseguito. In mancanza del rispetto della predetta condizione (e, cio, della proporzionata adeguatezza del mezzo prescelto rispetto al fine generale), ogni disposizione idonea ad imporre ai cittadini un sacrificio irragionevole, squilibrato (23) Raffinerie greche Stran e Stratis Andreatis/Grecia, sentenza 9 dicembre 1994. (24) De Stefano/Italia, 3 giugno 2008, ricorso 28443/06; Beyeler/Italia, 5 gennaio 2000, ricorso 33202/96; Ambruosi/Italia, 19 ottobre 2000, ricorso 31227/96. e sproporzionato confligge con le richiamate clausole della CEDU ed implica la condanna dello Stato che lha approvata (25). 3.3- Come si vede, la giurisprudenza della Corte Costituzionale e di quella di Strasburgo obbediscono ai medesimi canoni valutativi ed affermano, in definitiva, gli stessi principi, cos riassumibili: le leggi retroattive che indicono sfavorevolmente su situazioni soggettive attinenti a rapporti di durata sono ammesse solo se si fondano sullesigenza di realizzare un preminente interesse generale e se il sacrifico imposto a diritti, o anche ad aspettative legittime e consolidate, non risulta sproporzionato, irragionevole o complessivamente squilibrato. 4. La compatibilit con la Costituzione e con la Convenzione Europea dei diritti delluomo della spending review italiana. 4.1- Cos tracciati i confini entro i quali il legislatore ordinario appare legittimato a estinguere o a ridurre il contenuto di diritti economici attinenti a rapporti di durata ovvero a conformarli secondo una diversa e pi sfavorevole disciplina giuridica, senza violare i principi della Costituzione Repubblicana e della CEDU, resta da verificare in che termini le misure di contenimento della spesa pubblica attinenti alla spending review ed ipotizzate o gi deliberate dal Governo in carica e da quelli precedenti risultano rispettose dei limiti sopra individuati. 4.2- Giova, al riguardo, premettere che i canoni di costituzionalit della tipologia delle disposizioni considerate sono stati (consapevolmente) enunciati dalla Corte con un lessico tale da non vincolare il legislatore ordinario secondo parametri cogenti e stringenti e, soprattutto, in modo da riservare a s quella valutazione discrezionale di ragionevolezza e quellapprezzamento sul bilanciamento dei diversi valori costituzionali, nei quali si risolve il proprio giudizio. Cos chiarito che i confini tracciati dal Giudice delle leggi sono rimasti volutamente incerti e mobili, tenteremo di declinare i principi dallo stesso ripetutamente affermati nelle diverse opzioni di intervento proposte nel programma di revisione della spesa, al fine di scrutinarne la coerenza con gli insegnamenti ricordati. E ci, si ripete, non al fine di costruire censure di incostituzionalit allindirizzo delle disposizioni gi approvate o progettate, ma al diverso scopo di offrire un contributo scientifico alla confezione di interventi (che dovranno necessariamente essere declinati nella prossima manovra di finanza pubblica o, comunque, nella legge di stabilit per il 2015) che riescano a coniugare le esigenze di contenimento della spesa pubblica con la tutela degli interessi e (25) Agrati ed altri/Italia, 7 giugno 2011, ricorsi nn.549/08, 107/09, 5087/09; Maggio e altri/Italia, sentenza 31 maggio 2011. dei valori costituzionali indicati dalla stessa Consulta come limiti invalicabili alla reformatio in peius di rapporti di durata e, quindi, in definitiva, a scongiurare lipotesi di approvazione di norme destinate ad essere dichiarate incostituzionali, con i conseguenti, noti effetti dannosi per le casse dello Stato. Come gi avvertito nella premessa, ci asterremo dalla disamina delle singole disposizioni gi efficaci o di quelle semplicemente progettate, ma limiteremo la nostra analisi alle tipologie astratte delle misure di riduzione della spesa che incidono su diritti patrimoniali attinenti a rapporti di durata, nella duplice consapevolezza del carattere inevitabilmente incompleto e non esaustivo del- lanalisi e, nondimeno, della sua utilit (nella misura in cui identifica i canoni di costituzionalit che devono governare lattivit legislativa in discussione). Non trascureremo, ovviamente, il rilievo che ha assunto, sulla questione esaminata, la modifica costituzionale dellart. 81, gli impegni finanziari europei assunti dallItalia e, pi in generale, la crisi del debito sovrano. 4.3- Occorre ancora premettere, in via generale, che i rapporti di durata sono, di per s, esposti alle modificazioni imposte dal mutamento delle condizioni che, nel loro momento genetico, avevano consentito di configurare un assetto di interessi economicamente equilibrato (tanto che, anche nei rapporti negoziali privati, prevista dallart. 1467 del codice civile la risoluzione del contratto per eccessiva onerosit sopravvenuta). Anche nei rapporti di durata che incidono sulla spesa pubblica appare, quindi, configurabile una situazione per cui le mutate condizioni di bilancio rendano non pi sostenibile, in un quadro di finanza pubblica profondamente mutato rispetto al momento genetico dei diritti attribuiti al cittadino, il mantenimento di questi ultimi ed impongano, quindi, una riduzione del loro contenuto patrimoniale. 4.4- Si tratta, allora, di verificare in che termini e con quali modalit la decurtazione (gi deliberata o ancora da approvare) di stipendi (ma non ci occuperemo, per evidenti ragioni, di quelli dei magistrati), di compensi per incarichi a tempo determinato, di pensioni o di corrispettivi di contratti in cui parte una pubblica amministrazione soddisfi o meno i canoni di legittimit (lato sensu intesa) postulati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte EDU (ut supra ricordati). 4.5- Con una prima, generale avvertenza occorre rilevare che le disposizioni destinate a produrre effetti pregiudizievoli su diritti soggettivi perfetti attinenti a rapporti di durata possono ritenersi conformi ai principi sopra dettagliati solo se la reformatio in peius risulta compensata da comparabili benefici per il sistema di riferimento o, comunque, riequilibrata da vantaggi interni al comparto inciso dalle stesse (26). In altri termini, necessario che il legislatore abbia concepito e costruito (26) Corte Cost. n. 92/2013. la disposizione in modo che il sacrificio imposto ai destinatari della stessa venga bilanciato da utilit che appaiono idonee a giustificare la misura sfavorevole e che, al contrario, questultima non si riveli esclusivamente sorretta da esigenze di risparmio, che, diversamente opinando, risulterebbero, di per s, capaci di legittimare qualsiasi norma ablativa di diritti soggettivi perfetti. La delibazione della costituzionalit del tipo di disposizioni in esame si fonda, quindi, su un giudizio complessivo di ragionevolezza e di proporzionalit delle stesse che, a sua volta, postula lapprezzamento del bilanciamento degli effetti pregiudizievoli prodotti con la consistenza ed il rilievo costituzionale dei valori che beneficiano dei corrispondenti e speculari vantaggi. 4.6- Passando alla disamina delle misure astrattamente concepite o concepibili, occorre, innanzitutto, distinguere, su un piano concettuale, due diverse tipologie di situazioni soggettive esposte al rischio di essere incise da nome di risparmio: quelle attinenti a rapporti di durata a tempo indeterminato che trovano la loro fonte in disposizioni legislative o in contratti collettivi e quelle attinenti a rapporti a tempo determinato che trovano la loro fonte in contratti, convenzioni, accordi o provvedimenti amministrativi che, comunque, implicano ladesione volontaria della persona fisica o giuridica interessata. Tale distinzione non serve solo a una sistemazione dogmatica delle fattispecie scrutinate ma vale, soprattutto, a discernere due tipologie di situazioni che esigono lapplicazione di diverse regole di compatibilit costituzionale. 4.7- Principiando dalla disamina delle disposizioni che incidono su posizioni soggettive che attengono a rapporti di durata a tempo indeterminato (che si risolvono, in sostanza, nel taglio delle pensioni o degli stipendi dei dipendenti pubblici), occorre, innanzitutto, avvertire che la Consulta ha gi esaminato la loro compatibilit costituzionale, negandola ma individuando implicitamente, e contestualmente al rilievo dei vizi di incostituzionalit, i canoni di legittimit (insussistenti nella fattispecie giudicata) di tale tipo di norme. In particolare, la Corte ha riconosciuto il vizio di disparit di trattamento a carico di disposizioni che, prevedendo un contributo (peraltro non concertato) a carico di dipendenti pubblici (senza che rilevi, a questo fine, la distinzione tra personale contrattualizzato e personale in regime di diritto pubblico) che superano una certa soglia di reddito, devono essere qualificate come norme dispositive di una prestazione patrimoniale imposta e, quindi, di un prelievo fiscale, incostituzionalmente applicato ad una sola categoria di contribuenti (27) (in violazione degli artt. 3 e 53 Cost.). In esito a tale qualificazione del contributo (desunta dal riscontro, nella fattispecie esaminata, dei tre elementi indefettibili dellobbligazione tributaria indicati al punto 12.3 della sentenza n. 223/2012), la Corte ha, quindi, escluso la compatibilit costituzionale di norme costruite con lescamotage della riduzione (27) Corte Cost. nn. 223/2012, 116/2013. del trattamento economico dei dipendenti pubblici, ma sostanzialmente impositive di un prelievo fiscale a carico solo di questi ultimi, siccome violative del principio di eguaglianza, che esige il pari trattamento, a parit di reddito, tra diverse categorie di contribuenti (nella specie: lavoratori pubblici e privati) (28). Ne consegue che, se si vogliono validamente introdurre nellordinamento disposizioni finalizzate a ridurre gli stipendi dei dipendenti pubblici o le pensioni, occorre immaginare un meccanismo diverso da quello gi giudicato incostituzionale (e, quindi, non pi riproponibile in quei termini) e lunico finora concepito quello che opera con lintroduzione di un limite massimo alle retribuzioni percepibili a carico delle finanze pubbliche (da declinarsi come unica soglia o come pi soglie a seconda della tipologia di incarico o di qualifica) e che implichi, quindi, la decurtazione della parte di stipendio che superi il tetto. Si tratta, allora, di verificare se tale modalit di incisione degli stipendi o delle pensioni possa o meno reputarsi conforme ai principi affermati in materia dalla Consulta. Ora, si pu anche prescindere dal (peraltro plausibile) rilievo che gli indici dai quali stata desunta la natura tributaria del contributo imposto dalle disposizioni giudicate incostituzionali con le sentenze nn. 223/2012 e 116/2013 potrebbero ravvisarsi anche in disposizioni costruite con il meccanismo dei tetti stipendiali (potendosi, di contro, obiettare che lintroduzione di soglie massime a carico di stipendi ed emolumenti che gravano sulla finanza pubblica obbedisce, con modalit ragionevoli, non discriminatorie e non arbitrarie, ad imperative esigenze di riduzione generale ed uniforme della spesa pubblica), ma non si possono ignorare gli altri paletti imposti dalla Corte. Sovvengono, al riguardo, due vincoli, tra quelli ripetutamente affermati dalla Consulta: il carattere temporaneo del sacrificio imposto e la preordinazione del risparmio alla soddisfazione di straordinarie esigenze di finanza pubblica. Dalla giurisprudenza sopra passata in rassegna si evince, infatti, che il superamento di tali due limiti (o anche di uno solo di essi) potrebbe comportare, con ragionevole probabilit, la declaratoria di incostituzionalit delle relative disposizioni. Quanto al primo, sufficiente ricordare le numerose pronunce nelle quali la Corte, investita della questione della compatibilit costituzionale di disposizioni che indicono sfavorevolmente su diritti perfetti relativi a rapporti di durata (e, cio, di fattispecie analoghe, se non identiche, a quella qui conside (28) O. BONARDI, La corta vita dei contributi di solidariet, in Argomenti di diritto del lavoro, n. 6/2012; S.M. CICCONETTI, Dipendenti pubblici e principio di uguaglianza: i possibili effetti a catena derivanti dalla sentenza n. 223 del 2012 della Corte Costituzionale, in www.giurcost.org; D. PICCIONE, Una manovra governativa di contenimento della spesa tra il pozzo e il pendolo: la violazione delle guarentigie economiche dei magistrati e lillegittimit di prestazioni patrimoniali imposte ai soli dipendenti pubblici, in Giur. Cost., 2012, 3353; F. CALZAVARA, La sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 2012 e la sua implicita potenzialit espressiva, in Federalismi. rata), ha indicato il carattere transeunte delle norme (e, cio, la loro efficacia temporale limitata) quale indefettibile presupposto della costituzionalit delle stesse (29) (Corte Cost., n. 299/1999 ha riconosciuto la compatibilit costituzionale delle disposizioni scrutinate solo in quanto il sacrificio imposto ai pubblici dipendenti stato limitato a un anno). Non solo, ma la durata limitata nel tempo devessere strettamente preordinata a coprire un arco temporale pari a quello al quale sono riferite le esigenze di bilancio che hanno determinato (e giustificato) lintervento. Ne consegue che, al contrario, disposizioni che modifichino in peius e a regime - e non con efficacia temporanea e strumentale al soddisfacimento delle straordinarie esigenze finanziarie addotte quale causa giustificatrice dellintervento - diritti patrimoniali attinenti a rapporti di durata incorrerebbero, verosimilmente, in un giudizio di incostituzionalit. Quanto, invece, al secondo dei limiti sopra indicati, basti rilevare che, anche qui, la Corte ha chiarito che solo esigenze eccezionali di bilancio integrano gli estremi di una causa che giustifichi ed autorizzi lincisione, con efficacia retroattiva, di diritti perfetti attinenti a rapporti di durata (30). Nellipotesi in cui, viceversa, i risparmi ottenuti dalla decurtazione degli stipendi e delle pensioni venissero destinati, anzich al bilancio dello Stato, a coprire norme di spesa o a compensare minori entrate conseguenti a provvedimenti che arrecano benefici (in misura irragionevole) ad altre categorie di cittadini potrebbe lecitamente dubitarsi della conformit costituzionale delle relative norme. In effetti, nelle fattispecie finora scrutinate dalla Corte solo esigenze extra ordinem di finanza pubblica sono state ritenute idonee a legittimare interventi del tipo qui considerato, sicch esigenze finanziarie diverse (soprattutto se riferite a provvedimenti che avvantaggiano categorie di cittadini diverse da quelle pregiudicate) dovrebbero giudicarsi del tutto inidonee ad assicurare la compatibilit costituzionale delle disposizioni in questione. I valori della certezza del diritto e del legittimo affidamento, a ben vedere, possono ritenersi ragionevolmente e proporzionalmente sacrificati (secondo il ricordato insegnamento della Consulta) solo se i relativi interventi risultano finalizzati a soddisfare imperiose ed indifferibili esigenze di bilancio, ma non certo se si rivelano preordinati a coprire altre norme di spesa. Ne consegue che, ad avviso di chi scrive (ma con il conforto della giurisprudenza della Corte Costituzionale), norme che, operando con la logica dei tetti, producono effetti di decurtazione di stipendi o di pensioni in godimento possono ritenersi immuni da vizi di incostituzionalit solo se rivestono unefficacia temporale limitata e se risultano strettamente funzionali alla soddisfazione di eccezionali esigenze di finanza pubblica. (29) Corte Cost., n. 299/1999 n. 99/1995. (30) Corte Cost., n. 299/1999. 4.8- La questione della costituzionalit di disposizioni che incidono su situazioni soggettive ricollegabili a rapporti a tempo determinato (siano essi contratti con imprese o incarichi di lavoro a persone fisiche) devessere invece scrutinata alla stregua di coordinate peculiari e differenti. Soccorre, al riguardo, la giurisprudenza che si formata nella disamina di disposizioni che hanno inciso diritti di credito relativi a rapporti convenzionali o a incarichi di lavoro o, pi in generale, a rapporti a tempo determinato tra persone fisiche o giuridiche e pubbliche amministrazioni e che si fondano su un accordo tra le parti in ordine alle condizioni giuridiche ed economiche (tale dovendosi intendere anche laccettazione di un incarico formalizzato con un provvedimento amministrativo e non con un contratto). In tali giudizi la Corte ha avuto modo di chiarire che la tutela del legittimo affidamento sulla certezza giuridica e sulla stabilit (pi volte indicata quale principio cardine dello Stato di diritto (31)) di situazioni soggettive generate da accordi e relative a rapporti a tempo determinato esige che il sacrificio economico autoritativamente imposto ai titolari dei relativi diritti di credito non leda posizioni consapevolmente acquisite dal privato e ormai consolidate (32) e non pregiudichi aspettative cristallizzate dalluniforme trattamento per un lungo periodo delle situazioni potenzialmente incise (33). Da tali rilievi pu, in definitiva, evincersi il principio della incompatibilit costituzionale di disposizioni che comportino una novazione legale ed autoritativa del rapporto, fondata esclusivamente su esigenze di finanza pubblica e senza alcuna partecipazione del privato alla modifica (ovviamente in senso sfavorevole) delle relative condizioni. Diversamente opinando, invero, si perverrebbe allinaccettabile conseguenza di permettere al legislatore di modificare autoritativamente ed unilateralmente la specifica disciplina in ossequio alla quale le parti (entrambe le parti) hanno raggiunto laccordo e assunto le relative obbligazioni, ledendo cos quello specifico affidamento in un fascio di situazioni (giuridiche ed economiche) iscritte in un rapporto convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazione e imprese private (34). Con laffermazione dei predetti principi la Corte ha, quindi, inteso accordare una tutela pi pregnante ai diritti afferenti a rapporti pattizi (35), nei quali, (31) Corte Cost., n. 390/1995. (32) Corte Cost., n. 399/2008 ha ritenuto incostituzionale una disposizione che, avendo introdotto una disciplina pi stringente delle collaborazioni coordinate e continuative, ha previsto la cessazione anticipata, rispetto alla scadenza naturale, dei contratti gi instaurati al momento della sua entrata in vigore. (33) Corte Cost., n. 160/2013, che valorizza le esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato dal pacifico trattamento giuridico ed economico riservato agli interessati per un lungo periodo ai fini della declaratoria di incostituzionalit di una disposizione sopravvenuta che lo modifica in peggio. (34) Corte Cost., n. 92/2013, che ha dichiarato lincostituzionalit di disposizioni che hanno modificato in senso sfavorevole la disciplina dei compensi dovuti, su base convenzionale, ai custodi di veicoli sequestrati. quindi, il privato si liberamente determinato ad assumere obbligazioni nei confronti di pubbliche amministrazioni in esito ad una valutazione circa la convenienza (per lui) dellassetto economico degli interessi regolati nella convenzione formalizzata e che non pu poi essere (per i rapporti in essere) stravolto (ovviamente in senso peggiorativo) da sopravvenute disposizioni legislative che non prevedano (pena la loro incostituzionalit, anche per violazione della libert di iniziativa economica consacrata allart. 41) meccanismi di riequilibrio e compensazioni (che non possono certo essere individuati in mere esigenze di risparmio per lerario). Il rispetto dei paletti sopra ricordati postula due soluzioni: lapplicazione degli effetti dannosi (per il privato) ai soli rapporti o contratti perfezionati successivamente allentrata in vigore delle disposizioni in questione (36) (e, quindi, in sostanza lesplicita esclusione dellefficacia delle decurtazioni in danno di quelli in essere) ovvero la previsione delloperativit anche a quelli vigenti, ma previa ridefinizione convenzionale del loro contenuto patrimoniale (con meccanismi di rinegoziazione obbligatoria, anche assistita da ragionevoli e proporzionate sanzioni, ma senza la modifica automatica ed unilaterale del rapporto). Al di fuori dei confini appena tracciati, ogni riduzione legale di diritti afferenti ad accordi o convenzioni a tempo determinato risulta esposta al rischio (rectius: allelevata probabilit, se non alla certezza) di essere eliminata dal- lordinamento e di perdere, quindi, efficacia in esito ad un sicuro giudizio di incostituzionalit. Una disposizione che operi direttamente la modifica, in senso riduttivo, di diritti soggettivi perfetti liberamente negoziati ed acquisiti dal privato in un rapporto a tempo determinato con una pubblica amministrazione si risolverebbe, a ben vedere, in unablazione della parte del credito estinta per legge, che la Corte ha gi ritenuto inaccettabile, in difetto di meccanismi compensativi ed in presenza di unalterazione secca, legale e non concordata dellequilibrio economico cristallizzato nellaccordo concluso tra la parte pubblica e quella privata. 4.9- Quandanche, tuttavia, le disposizioni modificative in malam partem dei trattamenti retributivi dei dipendenti pubblici (afferenti a rapporti di lavoro (35) Corte Cost., n. 24/2009, che, giudicando una disposizione che aveva modificato, in senso peggiorativo per il privato, la disciplina relativa allefficacia degli accordi sullindennit di espropriazione, ne ha rilevato lincostituzionalit in quanto essa interviene su situazioni in cui si consolidato laffidamento del privato riguardo alla regolamentazione giuridica del rapporto, dettando una disciplina con essa contrastante e sbilanciandone lequilibrio a favore di una parte (quella pubblica) e a svantaggio dellaltra (il proprietario). (36) Corte Cost. n. 399/2008, che ha dichiarato incostituzionale una disposizione proprio perch applicabile anche ai contratti in corso, modificandoli in senso sfavorevole per il privato (quanto alla loro efficacia). sia a tempo indeterminato, che a tempo determinato) fossero confezionate nel rispetto dei limiti sopra indicati, le stesse potrebbero essere reputate, comunque, configgenti con lart. 36 della Costituzione. Senza sviluppare unanalisi compiuta dei profili di compatibilit con il predetto parametro delle norme in questione (che esula dai confini della presente indagine), ci limitiamo a rilevare che, a fronte del riconoscimento costituzionale del diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantit ed alla qualit del suo lavoro, ogni modificazione legale del trattamento retributivo postula (per la sua compatibilit costituzionale) la verifica della conservazione di quel proporzionato equilibrio tra prestazione e stipendio imposto dal menzionato precetto costituzionale. A prescindere, infatti, dalla genesi contrattuale o legale della determinazione del trattamento retributivo modificato in peius dallo ius superveniens, il rispetto del canone costituzionale in questione esige che non venga alterato (in danno del lavoratore) quel vincolo di proporzionalit tra il contenuto degli obblighi del lavoratore e quello del suo stipendio, che (si suppone) era stato (prima) considerato e (poi) cristallizzato nella quantificazione originaria di questultimo. Ora, una riduzione significativa dello stipendio (e, quindi, del diritto del lavoratore), a fronte del mantenimento della stessa quantit e qualit della prestazione dovuta (e, quindi, degli obblighi del lavoratore), potrebbe risolversi in una rottura del sinallagma e, quindi, in una lesione del principio della proporzionalit della retribuzione. Ovviamente il vizio di incostituzionalit potr essere riscontrato solo in fattispecie nelle quali la misura della decurtazione si riveli idonea ad inficiare (squilibrandolo) il vincolo di corrispettivit tra lavoro e retribuzione, ma la delicatezza del relativo apprezzamento, che non pu che restare riservata, in ultima istanza, alla Corte Costituzionale, ci esime dal formulare qualsivoglia ipotesi o conclusione al riguardo. Basti, in questa sede, aver posto il problema e imposto una riflessione ai decisori pubblici circa lesigenza di evitare che le misure di spending review comportino (pena la loro incostituzionalit) uno stravolgimento degli equilibri economici dei rapporti di lavoro sui quali sono destinate ad incidere. 4.10- Cos chiariti gli ambiti entro i quali le disposizioni di risparmio afferenti a rapporti di durata possono reputarsi costituzionalmente compatibili, resta da verificare in che termini la recente modifica dellart. 81 della Costituzione possa incidere sulle conclusioni ut supra raggiunte. Senza avventurarci sullimpervio sentiero (che esula dai confini della presente indagine) della disamina della valenza e dellinfluenza della predetta modifica costituzionale sulla politica economica del Governo, ci pare di poter affermare che le esigenze connesse al pareggio di bilancio possono rafforzare il rilievo e la forza assegnati alle necessit finanziarie dello Stato (quale ra gione giustificatrice di leggi che incidono su rapporti di durata), ma non valgono in alcun modo a diminuire o a ridimensionare la tutela che la Consulta ha riconosciuto agli altri valori costituzionali individuati come limiti allattivit legislativa in esame. 5. Considerazioni finali. La crisi del debito sovrano e le connesse esigenze di contenimento della spesa pubblica stanno comportando un radicale mutamento della concezione dei rapporti economici tra lo Stato e i cittadini. Il mantenimento dellassetto (dello Stato sociale) che si era consolidato fino a circa un decennio fa non risulta pi sostenibile e la conservazione tout court dei diritti patrimoniali dei cittadini (nei confronti dello Stato) risulta ormai antistorica e non pi difendibile. Si tratta, allora, di prendere atto della profonda crisi che sta soffrendo il quadro macroeconomico, di farsi carico della conseguente necessit di revisione della spesa pubblica e, soprattutto, di governare questa transizione verso uno Stato (finanziariamente) pi leggero in modo da evitare traumi sociali, tensioni politiche e defatiganti contenziosi (tra Stato e cittadini). Sennonch, per governare questo processo evolutivo (che scardina decenni di gestione miope e, a volte, dissennata della spesa pubblica), appare indispensabile che i decisori politici (innanzitutto il Governo, ma, poi, anche il Parlamento) riescano a identificare modalit di risparmio ragionevoli, proporzionate, socialmente sostenibili, non eccessivamente onerose e, in definitiva, rispettose degli insegnamenti impartiti al riguardo dalla Corte Costituzionale. In difetto di tale sapiente ed equilibrata gestione delle indifferibili e cogenti esigenze di revisione della spesa pubblica, ogni deliberazione normativa sproporzionatamente lesiva delle aspettative legittime dei suoi destinatari produrrebbe allarmi e reazioni sociali, oltre a comportare linevitabile effetto della sua declaratoria di incostituzionalit. Il prezzo che verrebbe pagato, in questultima sciagurata ipotesi, sarebbe davvero troppo alto per lintero sistema, perch non si limiterebbe alle onerose obbligazioni restitutorie e risarcitorie a carico dello Stato (conseguenti alla eliminazione delle norme dispositive, in violazione della Costituzione, dei risparmi di spesa), ma finirebbe per risolversi nella perdita di fiducia, di tranquillit e di sicurezza dei cittadini (da valersi quali valori ripetutamente indicati dalla Corte Costituzionale quali beni da proteggere dagli effetti, per certi versi destabilizzanti, delle leggi irragionevolmente retroattive). Ma ci sentiamo di escludere che il Governo voglia sfidare la sorte ed infrangere le preziose ed ineludibili istruzioni del Giudice delle leggi e siamo, al contrario, sicuri che si preoccuper di confezionare proposte legislative rispettose di quei principi e capaci di coniugare le stringenti esigenze di risparmio con la necessit di non conculcare arbitrariamente i diritti dei cittadini. GIUSEPPE PALMA Una sana curiositas giuridica (auspicabile non vana) sul nuovosistema retributivo degli appartenenti allAvvocatura di Stato (*) 1. Linteresse ad esaminare la questione, che non poteva non allarmare gli attuali Avvocati dello Stato, nasce a dir cos in modo spontaneo in seguito alla costatazione che sempre pi diffuso il metodo adottato di procedere alle riforme dellordinamento preesistente con scarsissimo apporto dei cultori professionali della vita giuridica, quasi completamente sostituiti dai professionisti della politica, contrariamente al passato in cui i primi (e le Universit) venivano frequentemente consultati, e ci non follia pensare che costituisca lultimo retaggio del pensiero pratico, diffusosi diversi decenni orsono, allorch si contrapponeva al vigore delle norme giuridiche la cd. mera volont politica. Certo nel periodo presente il modus procedendi trova il sopraggiunto motivo efficiente nellallarme suscitato dalla situazione finanziaria, la quale consiglia di liberarsi dai lacciuli tecnico-giuridici ed in parte ci ragionevole, ma non si pu (e non si deve) obliterare che molto spesso le fessure causate alla cristalleria (per cos dire) istituzionale, per ci stesso di intuibile fragilit, diverranno, superata la ritenuta momentanea esigenza, di difficilissima riparazione, specialmente ad opera del feroce conflitto tra le inimmaginabili opinioni politiche, tutte in buona fede prospettate come frutto di originale razionalit. Senonch in proposito occorre un forte patrimonio etico-politico per assumere il modus procedendi delladelante Pedro, con judicio di comune conoscenza letteraria. In questa sede ci si intende riferire alla disposizione contenuta nellart. 9 del D.L. n. 90 del 2014, primo comma, secondo cui il recupero delle spese legali, nellipotesi di sentenze favorevoli, vengono ripartite tra gli avvocati dello Stato nella ridotta misura del solo dieci per cento, laddove finora era sancita la ripartizione della somma totale. E ci deve supporsi per quanto appena premesso per ragioni di economia di scala, infatti si ricorda che anche gli emolumenti di altre categorie di dipendenti burocrati dellapparato della p.A. risultano contestualmente ridotte. Benvero in questa sede non si nutre lintento di introdurre una rivendicazione sindacale di categoria, non soltanto perch a tanto non si legittimati, ma anche perch la questione non appare riproponibile in termini s fatti, si intende piuttosto immergerla nellambito delle coordinate tecnico-giuridiche in virt proprio del richiamo metodologico premesso. A tal proposito va introdotta una prima precisazione. Lart. 36 della Cost., ed appena il caso di ricordare la rigidit della nostra Costituzione, avverte e prescrive come ogni prestatore delle proprie capacit lavorative abbia il diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualit e quantit della sua prestazione, e non rileva in (*) N.B. Articolo redatto prima della legge di conversione 11 agosto 2014 n. 114 del D.L. 90/2014. questa sede lulteriore prescrizione che la retribuzione sia sufficiente ad assicurare a s ed alla famiglia unesistenza libera e dignitosa. Consegue da una tale prescrizione che non spetta certamente (o se si vuole soltanto) alle forze sindacali imporre il grado di qualit e quantit del lavoro delle singole categorie, per cui la relativa forza sindacale, capace di farsi ascoltare, determina il regime giuridico retributivo che lapparato pubblico indotto a riconoscere e ad adottare (differente conclusione andrebbe condivisa in ordine alla restante parte prescrizionale del citato articolo), bens il grado della qualit del lavoro, in altri termini la sua importanza (funzionale) ai fini della corretta vita istituzionale in un dato momento storico-politico deve, in coerenza con la norma, essere il prodotto dellorganica valutazione politica, del soggetto responsabile della corretta vita istituzionale (si sottintende Stato). Ed il ricordato test rapporto retribuzione-qualit della prestazione (= importanza del funzionamento del relativo ruolo nella scala, a dir cos, gerarchica della societ) risulta imposta inderogabilmente ai supremi organi democratici preposti alla conduzione della suddetta vita sociale e deve ritenersi anche nel- lepoca di angosce economico-finanziarie, le quali richiedono ovviamente ladozione di opportune misure per ovviare a queste ultime ma sempre e costantemente con la salvaguardia del necessario (perch costituzionalizzato) rapporto differenziale intercorrente tra le varie categorie di dipendenti; in proposito non pu legittimamente provocarsi una interruzione dellefficacia del regime costituzionale anche a fronte di gravi crisi economiche, peraltro sempre pi frequenti e periodiche nellambito di una economia che si avvia a trotto verso una finanza globalizzata. 2. Giunti a questo punto si intuisce che il discorso deve procedere sul piano del valore socio-istituzionale del ruolo dellavvocato di Stato, anzi degli appartenenti allOrgano Avvocatura di Stato e se ne comprenderanno in seguito i motivi. Anche in questa prospettiva va introdotta unessenziale premessa. Non pare importante e concludente risalire alle antiche origini della istituzione nelloriginario clima dellordinamento giuridico dellunificazione, non tanto perch un tale itinerario gi stato da me percorso in altra sede, ma soprattutto perch, al fine di valutare il valore (cos ci si esprime pi sopra) e/o limportanza della funzione istituzionale della Avvocatura e quindi dei suoi singoli componenti, necessario interrogare lattuale grado dellevoluzione da esso subita anche per effetto (e perch no) del nuovo regime (introdotto) costituzionale, a parte per le recenti dinamiche istituzionali (e sociali). Nellappena citata sede, cui si rinvia, si metteva in luce la ininterrotta linea evolutiva che la istituzione qui esaminata aveva percorso specialmente nel nuovo clima, non pi inquinato dai residui del regime accentratore, nel quale avvenuta la fioritura di una giustizia non pi esclusivamente condizionata alle esigenze di difesa degli interessi dellapparato amministrativo, di cui lavvocato di Stato assumeva il ruolo di braccio difensivo ad oltranza, ma in questo ambito ha finito per assumere un proprio ruolo, a dir cos a tutto tondo, di garante della legalit tout court, distaccandosi dallambiente gerachizzato della burocrazia e ponendosi come insostituibile rapporto dialettico tra i cittadini-attori e organi amministrativi titolari del potere esercitato (1); sotto questo particolare riflesso come si fa a non notare che lAvvocatura (ed il singolo componente), assumendo il ruolo di garanzia della legalit (che ricomprende il valore della giustizia), ha conquistato a pieno diritto il ruolo di ausiliario del potere giurisdizionale (e ci non soltanto in virt dellattivit contenziosa, ma soprattutto dellattivit consultiva, come si sottolineava a suo tempo). Infatti ha assunto - si faceva rilevare - la connotazione istituzionale di organo ausiliario, poggiante sulla incontrovertibile costituzione materiale, il quale come tale (cos come gli altri organi ausiliari che ebbero la fortuna di ottenere il riconoscimento) (art. 100 Cost.), per un motivo o per un altro, si avviano da tempo ad introdursi appunto come organo dello Stato comunit, distanziandosi della originaria configurazione di articolazione della complessa realt governativa. Invero in questo periodo, nel quale si costretti a vivere, si pu notare come i notevoli dubbi sollevati, lungi dallessere superati, restino come intensa nebbia che offusca ogni possibile razionale condivisibile deduzione. Pertanto, se intorno allultima impostazione vi fossero ancora perplessit, sufficiente consultare i lavori preparatori della Costituente e specificamente la seduta pomeridiana del 10 gennaio 1947 (2^ Sottocommissione) nella quale Ambrosino portava a conoscenza che, in seguito ad una memoria ricevuta, condivideva lopportunit di inserire nella Costituzione un preciso riconoscimento dellAvvocatura di Stato, organo ausiliare della giustizia, al fine di sancire il principio secondo cui veniva estesa a questa le medesime garanzie che spettavano ai Magistrati. Sul punto intervennero anche Bossi e Targetti i quali non si dimostrarono contrari al principio che volevasi consacrare, ma non ritennero che il principio poteva trovar posto in sede di disciplina del potere giudiziario ed il problema fu rinviato allAssemblea costituente nella quale (seduta del 27 novembre 1947) fu messo ai voti larticolo 105 cos formulato lavvocatura dello Stato provvede alla consulenza legale ed alla difesa in giudizio dello Stato e degli altri enti indicati dalla legge e soprattutto agli avvocati e procuratori dello Stato competono garanzie adeguate per lesercizio delle loro funzioni. Pur tuttavia, ancorch favorevolmente si esprimesse Domenid, asserendo tra laltro che allAvvocatura sarebbe spettata sempre maggiore attivit al fine di assicurare losservanza del diritto da parte dellamministrazione e che perci avrebbe posto nella massima evidenza la collaborazione alla funzione della (1) Cfr. Prospettive sul ruolo dellavvocatura pubblica nellarticolazione costituzionale della Repubblica, in Amministrativamente, www.amministrativamente.com. giustizia, la maggioranza vot alla fine contro, sostenendo che lAvvocatura risultava gi compiutamente disciplinata dalla vigente legge. Ma la filosofia politico-istituzionale, da cui muoveva il principio, non pu dirsi entrata in un buco nero, altrettanto politico, maggiormente se si costretti a riconoscere che le successive coordinate istituzionali, evolvendosi secondo lo spirito della Costituzione, si sono incaricate a conformare in tal modo listituzione Avvocatura, soprattutto sul piano del pratico esercizio delle sue funzioni. In conseguenza gli avvocati dello Stato, ancorch non si ponga laccento sulle difficolt della selezione concorsuale, le quali indubbiamente sono garanti della notevole preparazione professionale costantemente riconosciutagli, risultano componenti di un organo ausiliario pertanto non pi lecito equipararli ai dipendenti burocratici quantunque in posizione di alta dirigenza (2). In conclusione, riconosciuto un tale valore, una tale importanza ad essa va rapportato il criterio di commisurazione del regime retributivo, il quale, anche alla luce delle preoccupazioni economico-finanziarie generali, non pu giustificatamente muoversi allunisono del criterio riformativo delle retribuzioni degli altri dipendenti pubblici, perch ormai non pi omologabili. Di seguito si proceder ad alcune ulteriori argomentazioni allo scopo di sottolineare le possibili ripercussioni negative proprie sul piano della funzione giustiziale. Va rilevato a tal proposito come, oltre alle negative condizioni finanziarie, sul tavolo verde della discussione politica, ivi inclusa quella del- lopinione pubblica, rimane da tempo irrisolta la problematica del funzionamento della giustizia (civile, penale ed amministrativa) per cui sarebbe pi giustificabile che si richiedesse ai singoli differenti operatori (giudici ed avvocati) un maggiore impegno operativo e non la previsione di nuove disposizioni causa, se mai, di un loro progressivo disinteresse, di un attenuato impegno, che finirebbe a sua volta per procrastinare il rinnovamento della azione giurisdizionale. Basta muoversi nella prospettiva che il regime retributivo, che ora si intende modificare in chiave riduttiva, stato a suo tempo adottato in modo intelligente e quindi proficuo - da riconoscersi - poich lintegrazione stipendiale, il cui importo non era commisurato a quote prestabilite, bens rapportabile dinamicamente al numero di cause risoltesi in modo favorevole allapparato pubblico, assumevano anche la funzione di incentivazione dellattivit svolta, pertanto veniva assicurata la certezza che il singolo avvocato rivolgesse la massima attenzione (di scienza e coscienza) al caso contenzioso trattato in aula, nondimeno nellesprimere un parere la cui ponderazione attenta e profonda finiva per atteggiarsi come presupposto tecnico-giuridico delleventuale risultato favorevole della causa ove proposta dal destinatario dellatto amministrativo conformemente adottato. (2) Cfr. ibidem. Orbene, se il metodo di incentivazione previsto perde la sua spinta allefficienza, anche la efficienza e lefficacia dellazione amministrativa viene con s trascinata verso bassi livelli di profitto sociale nel presente periodo dellannebbiata civilt giuridica e per la quale da tempo, anche da parte dei cultori professionali della scienza amministrativistica, si opera per ristabilire una siffatta efficienza, altrettanto imposta dalla Costituzione (il ben noto art. 97). Resterebbe da domandare se, assicurare lefficienza amministrativa non possa costituire anchessa un mezzo, tra quelli validi, a rendere la p.A. impermeabile a ipotesi di collusione, al posto di incrementare la pletora di nuove autorit apposite (3). Al contrario la diminuita attenzione a seguito della ridotta incentivazione, nonch il minore interesse che spinge (e non potrebbe diversamente) ad aggiornarsi in termini tecnico-scientifici, che concorre inovviabilmente al conseguimento di risultati favorevoli alla p.A., pu spingere il singolo avvocato, in sede contenziosa, di limitarsi a tradurre in giudizio le motivazioni esplicative esposte dallo stesso funzionario che ha adottato il provvedimento impugnato, ovvero a sollecitarlo ad integrare ex post la lacunosa e/o carente motivazione provvedimentale. Il che, per quanto gi oggi accolto dallautorit giurisdizionale adita, non ci si accorge che in questultimo caso si finisce per ammettere, sia pure sotto mentite spoglie, una sorta di interrogatorio-testimonianza del funzionario presunto colpevole dellatto illegittimo, laddove unuguale facolt non viene attribuita alla parte privata con la conseguente violazione di molti principi fondamentali del giusto processo (art. 111 Cost.) e nel primo caso il giudizio finisce per divenire nella sostanza una sorta di procedimento amministrativo di secondo grado, specialmente allorch si ritiene di rendere irrilevante, sul piano della legittimit, il mancato invito al privato di partecipare al procedimento, sostenendosi dal giudice la necessit che sia il privato, non invitato, a chiarirgli cosa mai avrebbe contraddetto in sede procedimentale. E si potrebbe continuare. Ma occorre domandarsi: una degradata situazione di tal fatta non una prova provata che per risollevarla occorre linsostituibile collaborazione fattiva del difensore avvocato di Stato, soprattutto cosciente e consapevole del suo rinnovato ruolo? Occorre quindi evitare di operare interventi i quali, quantunque giustificabili da differenti esigenze pubbliche, finiscano per ripercuotersi in modo grave sul diverso settore sensibile della vita associata quale la giustizia tesa a tutelare ed a garantire gli interessi soggettivi del cittadino (e ci anche nellambito della giurisdizione amministrativa), componenti essenziali del suo personale patrimonio costituzionale, anzicch arrendersi di fronte ad una giustizia che tende a ridivenire autoreferenziale (4). Prima di introdurre un differente ordine argomentativo, occorre sgom (3) Cfr. A margine del convegno sul contrasto al fenomeno della corruzione nelle amministrazioni pubbliche, ivi. brare il campo da una prevedibile pietra di inciampo. Non si obietti che lintegrazione stipendiale non viene totalmente eliminata ma soltanto ridotta (al 10 per cento). vero che la mera riduzione svela allocchio attento che la sottostante esigenza comunque avvertita, pur tuttavia la confessione implicita relativa alla permanente esigenza non sufficiente in concreto a far permanere nella sua interezza il risultato, anzi e meglio lo stimolo al risultato che si vorrebbe pur sempre conseguire, daltro canto non bisogna spendere pi parole per dimostrare che il criterio in s di commisurazione, la sua logica esistenziale ad assicurare lo scopo ultimo, che deve risultare direttamente e coerentemente conforme al sistema previgente. 3. appena il caso di notare come lulteriore ordine di considerazione possa apparire proficuo al presente discorso soltanto e se si disposti a ritenere la disciplina costituzionale non come un insieme di norme singole tra loro prevalentemente slegate a dir cosi, e non invece come componenti di un complessivo organico, di un coerente programma che in tale chiave pretende di essere attuato. In questultima prospettiva vale coerentemente da domandarsi a quale titolo la gran parte dellimporto delle spese legali finora spettanti allavvocatura di Stato viene stabilito per legge che spetti in futuro alle finanze statali e questo aspetto non indifferente, ovvero insignificante, perch non difficile notare la notevole differenza tra le altre ipotesi, pur previste, di riduzione dellimporto stipendiale a danno dei differenti dipendenti burocratici, in ordine ai quali contabilmente trattasi di una sostanziale economia di spendita riservata allo Stato -datore di lavoro - mentre lipotesi, che interessa il caso degli avvocati di Stato in ordine ai quali lo Stato procede a prelevare parte dellimporto delle entrate, per cos dire ab externo, delle spese legali, di quelle spese cio che vengono versate obbligatoriamente dai privati che chiamano in giudizio un soggetto pubblico (nella maggior parte, si intende, da un privato-cittadino che condannato dal giudice adito). diversa. In questo caso il prelievo operato riguarda lesborso cui tenuto nella maggior parte dei casi il privato-cittadino che ha azionato il suo tentativo di conservare e/o assicurarsi il c.d. bene della vita. A parte losservazione critica che per il progressivo incremento dei contributi obbligatori si rende sempre pi difficile nutrire la speranza di ottenere giustizia, peraltro in un periodo nel quale si avverte sempre pi lesigenza di ricorrere allautorit di un giudice (nella speranza che vi sia un giudice a Berlino), e conseguentemente si riducono progressivamente i ricorsi-azioni pro- posti (forse anche questultimo fenomeno appare indirettamente strumentale (4) Cfr. Il Consiglio di Stato consolida la vocazione di accrescere lefficienza della giustizia amministrativa muovendo decisamente lungo il potenziale indirizzo costituzionale. A proposito della legittimazione al ricorso, ivi. a ridurre leccessivo arretrato ed i tempi dei processi intentati), rimane il fatto che lattuale mano pesante (per cos dire) del giudice nel quantificare lentit delle spese giudiziarie, oggetto di condanna, specialmente in seguito al largo riconoscimento della temerariet della lite, si tramuta forse involontariamente in un incremento del prelievo dello Stato, cos come qui definito, a danno del cittadino attore o (anche) convenuto in giudizio. Insomma si vuole indurre ad intravedere in questa ablazione alle finanze pubbliche dellesborso del privato la forma occulta di un ennesimo prelievo fiscale e/o tributario, e come tale si distingue dalla maggior parte dei versamenti generalmente previsti come costo di un servizio prestato dalla mano pubblica, tra i quali se mai vanno inclusi i soprannominati contributi obbligatori, che hanno sostituito i famosi storici ciceroni. Ma se da riconoscere che il prelievo assume la veste di tributo, allora non si pu evitare di scomodare la disciplina contenuta nellart. 53 Cost., anche nellipotesi in cui, come nel caso di specie, la legge che impone il prelievo contributivo evita di impiegare una terminologia appropriata, poich lessenza intima della misura adottata a rendere necessariamente applicabile nella specie lindirizzo consacrato nellarticolo citato. Lindirizzo in esso consacrato che rende legittimo il prelievo tributario quello della progressivit, che va rapportato alle condizioni della potenzialit economico-patrimoniale del singolo soggetto tenuto al versamento. Nella specie viceversa una siffatta progressione non risulta quale criterio secondo cui quantificare il prelievo, poich lo stesso giudice che nella quantificazione delle spese legali prescinde dalla situazione di potenzialit economica della parte processuale, cosicch pu verificarsi che la parte pi economicamente sprovveduta finisca a concorrere in maggiore misura al prelievo fiscale, configurandosi come unocculta debitrice di imposta. Il tono del discorso intrapreso da ultimo potrebbe agevolmente dilungarsi, ma non conviene; lintento perseguito era soltanto quello di richiamare lattenzione che in un Stato a regime costituzionale, come il nostro, non rinvenibile alcuna esimente per il non rispetto della complessiva disciplina fondamentale, n tampoco una sospensione della sua vigenza anche a fronte di differenti esigenze e necessit, se non altro a favore di una adeguata educazione democratica che oggi non pare del tutto radicata o perlomeno dappertutto. Non si pu non rilevare per in conclusione come una siffatta prospettiva di intervento riformatore non soltanto lascia aperto una serie di problemi irrisolti, ma soprattutto pu minare in radice la potenzialit di funzionamento dellorgano ausiliario dellAvvocatura, nel quale invece dovrebbe concentrarsi ogni utile considerazione da parte di coloro che anelano sempre pi ad una giustizia giusta e ad una legalit diffusa, nella cui generalizzata assenza (forse) da rinvenire anche lorigine del diffuso stato di corruzione che appare difficile da estirpare. Sui restanti aspetti, posso ricordare con Kafka che sono profondamente ignorante ci nonostante la verit esiste. ARTURO CARLO JEMOLO Lavvocatura dello Stato (*) 1. Quante volte sento affermare che lo Stato sempre servito peggio dei privati, mi sorge spontanea l'obiezione: - Per c' l'Avvocatura dello Stato -. In quanto crederei arduo dimostrare che vi sia grande impresa che dal lato dell'assistenza legale ottenga un servizio migliore di quello che presta l'Avvocatura. Un tempo molto alimentata da magistrati (1), oggi con un sistema di concorsi cui partecipano giovani magistrati, avvocati del foro libero, e giovani che gi appartengono all'istituto nei ruoli dei procuratori, cui pure si accede mediante altro concorso; diretta negli ultimi sessant'anni da uomini diversi, tra cui solo un grande avvocato del foro libero, il Villa, ma gli altri tutti provenienti dai ranghi dell'Avvocatura medesima, con prevalenza di quelli che avevano dato opera alla consulenza piuttosto che alla trattazione di cause dinanzi al foro: l'istituto ha ragglunto nell'ambiente forense un alto prestigio. Tutti noi avvocati del foro libero sentiamo di avere avversari di prim'ordine ed ausiliari preziosi nei colleghi dell'Avvocatura dello Stato, a seconda che li troviamo nel campo opposto od invece alleati, allorch l'interesse del nostro cliente parallelo a quello dello Stato. Le critiche che si fanno alla difesa erariale come sistema non hanno a vedere con questo valore degli avvocati, che ritengo sia da tutti riconosciuto. Quelle critiche toccano il sistema della legge, con il foro erariale e particolarmente quella nullit insanabile (fortunatamente un temperamento stato posto dalla sentenza della Corte costituzionale 8 luglio 1967, n. 97) se la notifica non sia seguita presso l'Avvocatura, che colpisce gli avvocati inesperti, ed in definitiva gli umili, che non possono fare capo agli avvocati pi provetti; ed altres un certo comportamento dell'Avvocatura, che non ha spese di causa e quindi non suole cedere e porta ogni causa fino alla Cassazione, se non ottenga vittoria in gradi anteriori; a questo per, che l'aspetto esteriore, quel che si vede, occorrerebbe contrapporre un lato meno apparente, i pareri ch'essa d in tema di transazioni. Per il poco che dato sapere, l'Avvocatura sarebbe conci (*) Estratto dall'Archivio Giuridico, Vol. CLXXV, Fasc. 1-2 (Sesta Serie, Vol. XLIV, Fasc. 1-2) 1968, Modena: S.T.E.M. Mucchi, 1968. (1) La possibilit di nomina di magistrati, oltre che di avvocati e professori di diritto, ai vari gradi dell'Avvocatura, si d sempre per l'art. 31 del t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611; per poco o nulla praticata. liativa dove siano in gioco minori interessi, cos nelle cause di responsabilit civile dello Stato per investimenti automobilistici; rigida molto, dove si profili la questione di massima, o ci siano di mezzo grossi interessi economici. La difesa dell'Avvocatura particolarmente accanita nella materia fiscale, e direi soprattutto in quel settore della imposta di registro, che gi in tempi lontani aveva in seno all'Avvocatura insigni specialisti. Non conosco il rapporto tra Ministero delle Finanze ed Avvocatura (ma certamente l'impulso deve partire dal Ministero); noi avvocati possiamo solo constatare che alcune agevolazioni che il legislatore aveva ritenuto di accordare nell'interesse generale, attraverso le tesi dell'Avvocatura e l'accoglienza che hanno avuto da parte della Cassazione (che in qualche caso ha accolto l'istanza dell'Avvocatura di portare alle Sezioni unite questioni che erano fino allora state risolte sempre dalla Sezione semplice contro l'Amministrazione) sono rimaste in fatto annullate; penso in particolare agli artt. 12, 14, 20 della legge 2 luglio 1949 n. 408 ed art. 3 della legge 2 febbraio 1960 n. 35 per la costruzione di case non di lusso ed alla punizione che la giurisprudenza venuta ad infliggere al costruttore di buona volont che ha fabbricato rapidamente il primo edificio, prendendo respiro per avere i mezzi onde costruire i successivi, mentre ha fatto fruire del beneficio fiscale quegli che ha atteso l'ultimo giorno utile per iniziare tutte le costruzioni; nonch agli artt. 1 e 2 della legge 4 aprile 1953 n. 261, relativa, al trattamento fiscale delle cessioni dei crediti degli appaltatori, ed alla giurisprudenza a termini della quale non si riscontrer mai l'atto di cessione a banca che possa fruire del beneficio fiscale. Su pi larga scala che non sia quella degli avvocati ha fatto impressione l'atteggiamento assunto dall'Avvocatura dello Stato in tutte le cause in cui si costituita dinanzi alla Corte costituzionale: difendendo sempre il permanere in vigore di disposizioni di legge che i giudici di merito dubitavano fossero in contrasto con la Costituzione, ed enunciando tesi, necessariamente sconfinanti nel terreno politico, di carattere accentuatamente conservatore. Qui in particolare del massimo interesse conoscere a chi spetti l'iniziativa e della posizione assunta e delle tesi in concreto svolte, se al Governo od all'Avvocatura Generale. Ma questo non ha a vedere con il meritato alto prestigio del corpo degli avvocati dello Stato. 2. Era pressoch fatale che il processo che io chiamo di disfacimento dello Stato moderno non potesse restare senza eco in una istituzione che accoglie uomini di tanto valore. Quando parlo di disfacimento dello Stato moderno intendo del tipo di Stato, che, grosso modo, pu dirsi s'instaurasse con Luigi XIV (La presa del potere di Luigi XIV di Rossellini ha voluto mostrarne l'aspetto spettacolare) e che ha a caratteristica non soltanto l'abbattimento di quanto restava di potere feudale, ma anche dell'autonomia dei grandi corpi dello Stato, Sorbona e Par lamenti. Questa l'opera di creazione dello Stato moderno, perseguita poi incessantemente e perfezionata con Napoleone, che cercher d'inquadrare anche la gerarchia ecelesiastica entro lo Stato. Nei regimi costituzionali importa che non ci sia attivit dello Stato di cui un ministro non abbia a rispondere dinanzi al Parlamento; il guardasigilli non risponder del contenuto delle sentenze, ma dell'assiduit dei giudici, del loro comportamento. Tale struttura sta rapidamente crollando in Italia dopo la seconda guerra mondiale, e non questo il luogo per esaminare se sia fenomeno nostro nazionale o se si scorga anche oltre frontiera, n per ricercarne le cause. In questo clima, dopo l'Universit e la magistratura, anche l'Avvocatura ha ritenuto di poter rivendicare una sua autonomia. I testi di tale rivendicazione sono anzitutto alcune espressioni che si leggono nella nota introduttiva dell'Avvocato Generale alla sua relazione al Presidente del Consiglio dei Ministri sull'opera svolta dallistituto negli anni 1961-65; cos, che l'azione dell'Avvocatura dello Stato venuta a costituire una componente indispensabile ad assicurare l'ordinato svolgimento della comunit nazionale. Azione che non si svolge nella sola difesa giudiziale degli interessi dello Stato, e cio della comunit, ma sempre pi si esprime in una continua e preziosa mediazione fra gli interessi e le esigenze statali e quelle dei singoli e, cosa anch'essa molto importante, fra le attribuzioni e gli interessi statali e quelli regionali e degli altri enti pubblici : funzione di mediazione di cui nessuno disconosce la importanza, ma che molti saremmo tratti a considerare funzione politica: essendo proprio della funzione politica del Governo vedere entro l'ambito del diritto positivo quale pi o meno largo uso abbia a fare dei poteri che la legge attribuisce agli organi del potere esecutivo. Si legge ancora in tale relazione: Chi oggi ponesse mente all'Avvocatura dello Stato considerandola, esclusivamente, sotto il profilo di organo legale costituito per la dfesa degli interessi puramente patrimoniali della pubblica Amministrazione, darebbe a vedere di non avere molto chiari sia i fini che lo Stato democratico moderno ha posto a fondamento della sua stessa esistenza e della sua azione, sia il metodo adottato per la loro attuazione . Se nel nostro ordinamento, come in tutti gli ordinamenti civili, l'avvocato deve obbedire soltanto all'imperativo etico "di comportarsi secondo scienza e coscienza ", un tale principio non poteva non essere riaffermato per l'organo legale dello Stato cui spetta il patrocinio della pubblica Amministrazione, la quale non concepibile che litighi per motivi pretestuosi e futili come, invece, pu avvenire per i privati. Ma a ben vedere il fondamento del- l'indipendenza dell'Istituto va ricercato nel sistema stesso dell'ordinamento statale. Una volta, infatti, creato un apposito organo con l'attribuzione di una specifica competenza tecnica o professionale, sarebbe inconcepibile che esso possa, nell'espletamento dell'attivit consultiva e nello svolgimento delle sue attribuzioni nel corso dei procedimenti giurisdizionali, ricevere disposizioni e direttive da altro organo non ugualmente qualificato sul piano tecnico e professionale. L'indipendenza di giudizio , inoltre, condizione indispensabile per ottenere che la pubblica Amministrazione, nei suoi contrasti con i privati, adotti un atteggiamento sereno, obiettivo ed imparziale, conformemente al giudizio che sulle sue ragioni, al di fuori di ogni dipendenza od imposizione gerarchica, esprime l'organo legale, alla cui specifica competenza e responsabilit spetta, dopo le opportune intese con gli uffici amministrativi interessati, di stabilire quali vertenze debbano essere sostenute giudizialmente, quali composte, quali abbandonate . Un'altra affermazione dell'Avvocatura intorno ai suoi poteri ed alla sua posizione si riscontra nelle premesse della ricordata decisione della Corte costituzionale n. 97 del 1967: l'Avvocatura sosteneva di essere organo autonomo dello Stato e fuori della gerarchia burocratica , che agisce direttamente per lo Stato, non per l'organo investito della capacit processuale, usando di un proprio potere decisorio nel procedimento formativo della volont statale circa la provocazione della lite o la resistenza in giudizio. L'Avvocatura avrebbe cosi la titolarit della disponibilit della lite , La dialettica dei poteri sarebbe strumentalizzata attraverso un organo dello Stato istituzionalmente ordinato all'esercizio della funzione del giudizio . La funzione dell'Avvocatura sarebbe assimilabile a quella del pubblico ministero , e pertanto l'insanabilit delle notifiche effettuate non presso lavvocatura competente sarebbe sullo stesso piano delle norme del codice di procedura civile e la insanabilit delle nullit afferenti all'intervento del pubblico ministero. Alcune delle affermazioni contenute nella relazione hanno provocato una interpellanza Trabucchi rivolta in Senato al Presidente del Consiglio, annunciata nella seduta del 4 aprile 1967, per conoscere se il Governo condivida quella tesi o se non sia da riaffermare l'indiscutibile diritto riservato all'amministrazione ed al Potere esecutivo che ne risponde, di adottare anche nelle vertenze internazionali ed in quelle con i cittadini e con gli enti minori direttive di azione che, fermo il rispetto del diritto, corrispondano agli interessi della collettivit e ad una concezione che si inquadri nei principi dettati dalla Costituzione della Repubblica , ed altres se, anche nella scelta della linea di condotta processuale, l'Avvocatura dello Stato non possa, all'occorrenza, essere richiamata alla necessit di non avvalersi di eccezioni formali (quali quelle meramente processuali) se queste non si inquadrino in una linea di difesa che tenda a riportare i rapporti sostanziali fra Stato ed enti minori, e quelli fra lo Stato ed i cittadini su di un piano di assoluto rispetto della legge e dei principi costituzionali, nella lettera e nello spirito informatore . Interpellanza che non venne a discussione e cui non fu quindi data risposta. 3. Pu non essere superfluo, per inquadrare il tema, ricordare quelli che sono i rapporti tra il privato ed il legale cui egli affidi la sua difesa (molto pi semplici quelli con l'avvocato cui richieda soltanto un parere). Soglio dire che in fatto noi siamo tra i professionisti i pi disgraziati, perch non c' cliente, per quanto ignorante di legge, che non creda di essere in grado di dirigerci e darci lumi, l dove non avrebbe tale pretesa di fronte al medico od all'ingegnere. Ma ha sicuramente ragione il legale che respinge i consigli del cliente, e gli pone l'alternativa, od avere fiducia in lui, o cercare altro difensore. Occorre tuttavia distinguere: vi sono materie n cui chi si rivolge ad un avvocato ha diritto d'imporgli una certa linea: lo patrocini nella causa di separazione per colpa della moglie, ma punti solo sulle male parole, le ingiurie di questa, la sua trascuratezza nell'accudire alla casa, ed invece, per riguardo ai figli, non accenni alladulterio, che pure ha commesso; in altra causa: faccia assolvere il cliente dalla domanda di quegli che si asserisce suo creditore; ma non invochi la prescrizione; chi adisce l'avvocato vuole una sentenza che dica che l'altro un mentitore, ch'egli non ha mai dovuto nulla, non una che venga ad affermare o lasciar credere che approfitta del fatto che l'attore ha lasciato trascorrere troppo tempo per proporre una domanda che sarebbe stata fondata, sicch egli si arricchisce di somme che non avrebbe avuto diritto di trattenere. Sono questi dei casi in cui sicuramente il legale deve seguire chi a lui si rivolge. Ma che dire delle cause infondate, che risposta si deve dare a quegli che dice -perderemo, ma se ho un respiro di un paio di anni mi tiro su - o semplicemente -se anche le alee favorevoli sono venti contro ottanta, tuttavia voglio tentare?. Occorre subito distinguere cause e cause; non pratico il foro penale, ma mi sembra impossibile essere avvocato di parte civile senza essere convinti della reale colpevolezza dell'imputato; e nel foro civile vi sono cause ... - d'interdizione, di disconoscimento di paternit - che non si possono assumere senza sentirsi convinti della veridicit del proprio asserto. Nelle cause strettamente economiche un legale non potr mai abbassarsi a sostenere tesi aberranti; peraltro nell'ambito dell'opinabile gli lecito sostenere la tesi meno probabile contro la pi probabile, cercar di scuotere la giurisprudenza consolidata (bene inteso, quando cos voglia l'assistito, che sar stato informato della difficolt di fare mutare la giurisprudenza affermatasi). Nella condotta del processo l'avvocato veramente padrone, cos nella scelta dei mezzi di prova, nel ritenere pericoloso l'esperimento della prova per testi, su cui il cliente contava. Tuttavia non potr essere sordo al desiderio di questi o che la causa vada per le lunghe o che invece abbia un corso celere (salvo sempre, in questo secondo caso, il suo diritto di non negare un rinvio al collega infermo o preso da un'altra discussione, malgrado ogni premura che l'interessato gli rivolga). Non mi sembra che i rapporti possano essere sostanzialmente diversi tra lo Stato e l'Avvocatura. Direi anzi che per lo Stato pi che per un privato possa esserci un'assoluta necessit di iniziare cause che sarebbero sconsigliabili dal punto di vista delle probabilit di successo e di non muoverne invece altre che sarebbero quasi sicuramente vinte. Si pensi ai rapporti internazionali, si ricordi come l'opinione italiana, pure cos rispettosa della indipendenza della magistratura, abbia sentito male di certe assoluzioni o mancati appelli nei processi austriaci contro i terroristi del- l'Alto Adige, e sar facile concepire una serie d'ipotesi in cui necessario che lo Stato mostri di voler portare dinanzi ai tribunali una propria richiesta od invece rinunci a ci fare. Come esigenze politiche portano quasi quotidianamente lo Stato a scelte antieconomiche, cos molto spesso tali esigenze possono condurre a scelte che il buon legale non suggerirebbe. Come scrivevo, siamo in un periodo di disgregazione dello Stato liberale che, da noi come altrove, nella concezione comune a Cavour come a Crispi come a Sonnino come a Giolitti, importava un Parlamento che possa pronunciarsi e censurare ogni cattivo funzionamento di qualsiasi lato dell'apparecchio dello Stato (2); sicch l'opinione pubblica avrebbe ritenuto inammissibile che il ministro della Istruzione, interpellato ad es. sul pessimo governo che una facolt fa dei suoi insegnamenti coprendo cattedre secondarie e lasciando scoperti insegnamenti principali, chiamando i meno capaci e respingendo gli aspiranti migliori, con il visibile intento di favorire parenti od amici degli attuali titolari, dovesse rispondere di non avere nulla a dire, perch per l'autonomia universitaria il governo che le facolt facciano dei loro insegnamenti e relativi titolari sfugge al suo potere; e del pari che il ministro della Giustizia interpellato su pretori che non stanno in sede e non fanno sentenze, dovesse limitarsi a dire che trasmetter al Consiglio superiore della magistratura la lagnanza. Ed altres vero che ogni periodo storico ha i suoi miti e le finzioni che scambia per realt; con cecit mentali che ai posteri sono altrettanto incompenetrabili come le storie delle streghe e degli untori. Sicch potrebbe anche avvenire che, come oggi si affermato il mito delle autonomie sorretto dalla idea che il grande colpevole, il grande peccatore, sempre l'esecutivo, sono sempre i ministri, mentre i vari corpi sono gelosi custodi del loro buon funzionamento, severi censori del comportamento dei propri appartenenti, cosi domani apparisse accettabile l'idea di un ministro che richiesto perch non abbia rivendicato quel credito dello Stato, perch non si sia costituito parte civile in quella causa, potesse rispondere: perch l'avvocato generale dello Stato non lo ha voluto. (2) Sui mutamenti del rapporto tra Parlamento e potere esecutivo, vedi le belle, lucide pagine, pacate, scevre del rimpianto del passato, e che non scorgono la disgregazione che scorge l'a. di queste righe, che si rinvengono in C. MORTATI, Le leggi provvedimento, Milano 1968, in particolare pg. 47 sgg., 119. Che cos si formasse un settore, di natura schiettamente politica, sottratto pur esso alla responsabilit ministeriale ed al sindacato parlamentare. Peraltro l'evoluzione della opinione pubblica non ha ancora toccato questo punto. 4. Mi sembra quindi si debba dire che i ministri hanno sempre il drtto di esigere che certe cause siano o non siano promosse. Poich ho visto su giornali di categoria che le avvocature di enti parastatali avanzavano rivendicazioni analoghe a quelle dell'Avvocatura dello Stato, direi anzi che sarebbe meno inconcepibile che il presidente dell'l.N.P.S. o dell'I.N.A.I.L. si sentisse le mani legate dalla propria avvocatura, che non che ci avvenisse per i ministri; in quanto non pu parlarsi per quegli enti della funzione politica, della scelta politica che, come pu andare contro i dettami della economia, cos pu andare contro quelli della previsione intorno alle sorti della causa, scelta politica che invece proprio funzione e dovere del governo. Se si ritorna quindi al parallelo con i rapporti tra il libero professionista ed il suo cliente, dovr dirsi che giustamente l'Avvocatura dello Stato dovrebbe opporre un rifiuto sdegnoso al ministro che chiedesse il parere ostensibile in un certo senso; che suo dovere pronunciarsi con assoluta indipendenza di giudizio intorno alle cause che sia bene intraprendere o non intraprendere, ai gravami da coltivare o meno. Ma occorre poi che la decisione ultima se intraprendere o meno la causa, appellare o meno, sia presa dal ministro responsabile: bene inteso, se questi s'interessi della vicenda giudiziaria, se non siamo ai processi da cui esula ogni aspetto politico, ogni questione di massima, e che costituiscono la grande maggioranza: rispetto ai quali l'Amministrazione lascia veramente ampissima libert di assumere ogni determinazione all'Avvocatura. Da avvertire tuttavia che il termine politica non va assunto in senso stretto; in materia fiscale il sostenere o meno certe interpretazioni di una legge pu avere ripercussioni in tutto il settore della economia nazionale; e male fa il ministro delle Finanze se si disinteressa (ed anche i ministri dell'Industria e dell'Agricoltura se non ritengono di poter avvertire il collega delle ripercussioni di certe giurisprudenze); male il ministro se lascia ai suoi uffici, naturalmente portati per abito mentale a non considerare che lo stretto interesse fiscale, di dire loro la parola decisiva, senza ch'egli la controlli. Direi che il parallelismo continui anche oltre il primo fondamentale punto, che spetta al cliente (qui all'Amministrazione) la scelta se iniziare o meno la causa, resistere o meno alla pretesa avversaria, appellare o meno dalla sentenza sfavorevole: con la avvertenza che mi parrebbe caso di scuola, che mai si nasconder, quello della tesi cos assurda, che non possa un avvocato sottoscrivervi senza proprio disdoro. Penso pertanto che la condotta di causa debba essere lasciata all'Avvocatura, ma non senza la possibilit di ragionevoli interventi dell'Amministrazione: sia nella richiesta di cercar di dilazionare l'andare a sentenza, in quanto sono in corso trattative di componimento, sia nel chiedere ad es. che non sia citata come teste una determinata personalit (nel medesimo modo il cliente potr chiedere all'avvocato che non indichi a teste quel tale, che pure potrebbe rendere la testimonianza pi favorevole e decisiva, perch ci sono ragioni intime, delicatissime, per cui non vuole ci sia neppure l'apparenza ch'egli abbia ottenuto qualcosa grazie ad un aiuto di quegli che dovrebbe essere citato a teste). Mentre su questi punti non credo si diano notevoli divergenze, se ne d invece uno di particolare importanza, su cui il parallelismo con il patrocinio privato si arresta: quello delle tesi da far valere. Qui l'avvocato del foro libero veramente sovrano: non pu lasciarsi imporre dal cliente di sostenere che l'obbligazione era contrattuale od extracontrattuale, solidale od indivisibile, che siamo in un caso di prescrizione o di decadenza; e nella normalit dei casi lo stesso seguir rispetto all'Avvocatura dello Stato. Peraltro, specie nei giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, possono delinearsi delle tesi di schiettissima natura politica, rispetto a cui difficile ammettere un agnosticismo governativo; anche perch, attesa l'unicit dell'istituto Avvocatura, la grande seriet di questo istituto, non potrebbe esso, in un giudizio avvenire, sostenere per opportunit di condotta di causa, tutto un diverso indirizzo. Cos nei rapporti tra Stato e Regioni. Dove tuttavia c' un limite, nella maggior parte dei casi, in quanto l'impugnativa di una legge regionale dev'essere chiesta dal Commissario del governo, e non pu l'Avvocatura proporla di sua iniziativa; sicch essa, non ha ad esempio la responsabilit di non avere mpugnato la legge regionale sarda 12 aprile 1957 n. 10, che ammette azioni al portatore per le societ che nellisola diano vita a nuove attivit industriali od armatoriali, mentre invece venne impugnata con successo dalla Presidenza del Consiglio dei ministri analoga legge della Valle dAosta. Vi sono stati per altri casi in cui nei giudizi costituzionali le tesi dell'Avvocatura hanno avuto ampia eco e sono state oggetto di discussioni, che necessariamente toccavano concetti eminentemente politici, orientamenti che di solito sono alla base della politica governativa. II pi noto concerne la questione che ha dato luogo alla sentenza della Corte costituzionale 19 febbraio 1965 n. 9, con la difesa da parte dell'Avvocatura della legittimit costituzionale dell'art. 553 cod. pen. e 112 del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza. La difesa dell'Avvocatura provoc la nota di M.S. Giannini, Per una maggiore ponderazione degli interventi del Presidente del Consiglio (3) che terminava: Il risultato ultimo che il Presidente del Con (3) Giurisprudenza costituzionale, 1965, pg. 67 sgg.; vedi anche S. TOSI, ll governo davanti alla Corte nei giudizi incidentali di legittimit costituzionale, Milano, 1963. siglio dei ministri si presenta all'opinione pubblica, come un sostenitore della teoria della mistica della stirpe! ; soggiungendo per subito che non si trattava di un problema politico, bens di un caso, particolarmente vistoso ed esasperato, di quella disfunzionalit della Presidenza del Consiglio, che ormai da tanto tempo si lamenta . Perch il Giannini non poneva neppure in dubbio il potere-dovere del Governo di decidere esso la tesi da sostenere, escludendo la scelta di questa fosse insindacabile apprezzamento dell'Avvocato Generale dello Stato. Meno nota, ma anche pi impegnativa sul terreno politico, la difesa che l'Avvocatura Generale aveva fatto dell'art. 5 del Concordato (la norma sui sacerdoti apostati o irretiti da censure), in una questione di legittimit costituzionale, che non venne decisa dalla Corte, in quanto questa ritenne che non avesse natura giurisdizionale l'organo che l'aveva ad essa sottoposta. Ivi l'Avvocatura sostenne l'incompetenza della Corte costituzionale ad esaminare questioni di costituzionalit aventi ad oggetto norme del Concordato; che i Patti lateranensi pongono in essere un sistema speciale, al riparo dall'influsso di norme eterogenee, che la Costituzione ha espressamente riconosciuto non in contrasto con le altre sue disposizioni anche se idoneo a derogarle come ogni eccezione ai principi ; che il sacerdote apostata o irretito da censura si trova nella stessa situazione del laico condannato o a carico del quale sia stata accertata una causa d'indegnit morale, che precluda, in base alla legge, l'accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive (4). Degne di nota anche le posizioni prese dall'Avvocatura, sempre nelle difese dinanzi alla Corte costituzionale, in tema di cerimonie di culto e libert di propaganda dei culti ammessi. Non occorre insistere su ci che abbiano di carica politica tali tesi, di ci che, in particolare la seconda, possa pesare su tutti i rapporti avvenire tra Stato e Chiesa. Ritenere che il Govemo non abbia os ad loquendum rispetto all'enunciazione di tali tesi, equivarrebbe a negare che spetti ad esso la funzione politica (5). Ma anche rispetto ad ipotesi, in cui la politicizzazione del caso sia meno palese, difenderei il diritto di scelta del Governo, rispetto all'Avvocatura; direi qui proprio rispetto a chi ne sta al vertice, all'Avvocato Generale, con il quale potrebbe in definitiva delinearsi il contrasto. Premetto che non il caso di fare qui appello al caso di coscienza per dire che la coscienza dell'avvocato non pu essere coartata: se non si altera il valore dei termini, e si chiama caso di coscienza la scelta tra due tesi giuridiche. (4) A.C. JEMOLO, Premesse ai rapporti tra Chiesa e Stato, Milano, 1965, pg. 120. (5) Per critiche in sede parlamentare all'atteggiamento dell'Avvocatura nei giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, cfr. i discors alla Camera dell'on. Gullo nelle tornate del 13 luglio 1956, 21 luglio stesso anno, 30 ottobre 1962, 27 maggio 1964, 10 marzo 1965, Atti parlamentari, Camera, leg, II, pg. 27474 sg., 28214 sg., leg. III, pg. 35370 sg., leg. IV, pg. 7390 sg., 13501 sg. Non so invero immaginare che si profili qui alcuna delle ipotesi che possono davvero costituire il caso di coscienza degli avvocati, quelli cui accennavo delle cause d'interdizione o di disconoscimento di paternit, gli altri d'impugnativa di un matrimonio allorch uno dei coniugi tiene enormemente al legame, di accuse di falsificazione di testamento o di circonvenzione, la richiesta di somme che molto dubbio siano dovute. Tantoppi che sicuramente l'Avvocato Generale non ha i poteri del Procuratore generale della Corte dei conti, non pu in base ad informazioni avute od alla lettura dei giornali chiedere alle amministrazioni documenti per giudicare se sia o meno da instaurare una vertenza. L'ipotesi che si avvicina pi alla evocazione del caso di coscienza quella dell'Avvocatura investita di una vertenza amministrativa od una lite civile, che ravvisi l'opportunit di una denuncia penale o di una querela o di una costituzione di parte civile. E pu anche ricordarsi che tra le tante voci corse negli anni passati, e che Dio solo sa se avessero o meno qualche fondamento, ci fu quella di un certo malumore da parte della Presidenza del Consiglio per l'atteggiamento assunto dal- l'Avvocatura in noti processi contro presidenti od alti funzionari di enti pubblici, accusati di peculato per il modo con cui avrebbero erogato i fondi dei loro enti, non appropriandoseli, bens destinandoli a finalit che non avrebbero risposto a quelle contemplate dalle leggi organiche o dagli statuti degli enti stessi. Chi rammenta quei processi, ricorda anche che c'era in proposito una netta divisione in seno all'opinione pubblica; tra chi condivideva la tesi della responsabilit penale, sostenuta, anche con qualche asprezza, dall'Avvocatura dello Stato, oltre che dal pubblico ministero, ed accolta poi, sia pure con attenuazioni, dalla magistratura giudicante, e chi invece riteneva quei presidenti o funzionari, od almeno alcuni tra loro, dei benemeriti, che avevano supplito con la loro iniziativa a deficienze di leggi o ad inerzia di Ministeri e di altri organi collegiali, permettendo agli enti di raggiungere i loro scopi (e si detto che per qualcuno di questi enti la scomparsa del preteso reo ha rappresentato un crollo, di attivit e di prestigio). Avessero ragione gli uni o gli altri, c'era questa divisione della opinione pubblica, e trattavasi di casi clamorosi, oggetto d'intere pagine di giornali, di tavole rotonde. In queste circostanze sarebbe stato pieno diritto del Govemo di prescrivere all'Avvocatura di non costituirsi parte civile: naturalmente assumendo la responsabilit della decisione, dichiarandola in Parlamento, ed eventualmente in un comunicato stampa. Ed a mio avviso male ha fatto l'Avvocatura se ha provveduto di sua iniziativa, senza informare il ministro competente. (Va da s che se organi di governo, informati che l'Avvocatura intendeva costituirsi parte civile, si sono limitali a storcere la bocca, ed a dire dei forse e dei ma, bene invece ha fatto l'Avvocatura a procedere per la via che le sembrava migliore). 5. Queste osservazioni, sulla inalienabilit da parte del Governo della sua funzione politica, anche nei riflessi ch'essa ha in trattazioni di cause (e sul potersi ravvisare l'ambito della politica quante volte siamo di fronte a casi che appassionano lopinione pubblica, non intorno alla persona di Tizio o di Caio, ma ad una questione di massima che si profila) mi sono sembrate riferirsi ad una realt cos palese, da dover essere subito enunciate; lasciando ad un secondo momento di esaminare se le tesi dell'Avvocatura trovino qualche conferma nei testi di legge. A questo proposito il pi ovvio rilievo che la Costituzione, mentre menziona tra gli organi ausiliari del Governo il Consiglio di Stato e la Corte dei conti - ed ha poi un titolo relativo a La magistratura , individuando in seno a questa anche il pubblico ministero -, non contiene alcun cenno dell'Avvocatura dello Stato. L'art. 1 del t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611 sull'Avvocatura (il t.u. ha subito lievi modifiche, che qui non interessano, con le leggi 20 giugno 1955 n. 519 e 23 novembre 1966 n. 1035) stabililisce che ad essa spetta la rappreaentansa, il patrocinio e lassistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato, anche organizzate ad ordinamento autonomo , e pure nei successivi articoli si parla costantemente di amministrazioni dello Stato; cos all'art. 14 si legge che L'avvocatura dello Stato corrisponde direttamente con le amministrazioni dello Stato, alle quali richiede tutti gli schiarimenti, le notizie e i documenti necessari per l'adempimento delle sue attribuzioni. L'art. 13 suona: L'avvocatura dello Stato provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle consultazioni legali richieste dalle amministrazioni ed inoltre a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi; esamina progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle ammmistrazioni, qualora ne sia richiesta; predispone transazioni d'accordo con le amministrazioni interessate; esprime pareri sugli atti di transazione redatti dalle amministrazioni; prepara contratti e suggerisce provvedimenti intorno a reclami o questioni mossi amministrativamente che possano dar materia di litigio . Altres da ricordare l'art. 17 ( Gli uffici dell'Avvocatura dello Stato dipendono dal capo del governo e sono posti sotto la immediata direzione del- l'avvocatura generale dello Stato ) e l'art. 23 ( Gli avvocati dello Stato sono equiparati ai magistrati dell'ordine giudiziario in conformit della tabella B annessa al presente t.u. ). Ancora da menzionare l'art. 20 della legge 11 marzo 1953 n. 87 sulla Corte costituzionale, per cui il Governo, anche quando intervenga nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri o di un ministro a ci delegato, rappresentato e difeso dall'avvocato generale dello Stato o da un suo sostituto . Mi pare che nessuno di questi testi avalli la tesi che l'Avvocatura abbia un suo potere di decidere intorno alle cause da instaurare o meno, da transigere o meno; previsto che le transazioni siano predisposte direttamente anche dalle amministrazioni interessate, e che l'Avvocatura esprima soltanto un parere; nessun accenno ad una spogliazione di un potere di decidere da parte delle amministrazioni dello Stato. Non mi sembra neppure che resti confermata la tesi che l'Avvocatura agisca direttamente per lo Stato e non per l'organo investito della capacit processuale, se dovesse con ci intendersi che essa non patrocinasse gi di volta in volta le singole amministrazioni, ma sempre lo Stato astraendo dalle amministrazioni medesime. Tesi che mi resta astrusa, in un sistema come il nostro, in cui l'azione dev'essere diretta necessariamente contro una certa branca del- l'Amministrazione, e spesso l'Avvocatura eccepisce la carenza di legittimazione processuale dell'Amministrazione convenuta, e talora anche la decadenza o prescrizione dell'azione che fu s proposta in termine, ma diretta contro un 'Amministrazione diversa da quella che aveva legittimazione (6). L'espressione dell'art. 13 del t.u., per cui l'Avvocatura provvede alla tutela legale dei diritti e degl'interessi dello Stato espressione esatta e sintetica, ma questo non toglie che tali diritti ed interessi abbiano sempre per titolare una branca dell'Amministrazione, e che l'Avvocatura si presenti come rappresentante e tutrice di questa branca. Lo Stato in astratto avulso da ogni branca di amministrazione, non lo incontriamo mai; anche dinanzi alla Corte costituzionale, nei casi in cui sia interessata la funzione politica dello Stato, un determinato organo, la Presidenza del consiglio dei ministri, quello che impersona linteresse dello Stato. Quel che pu solo dirsi che l'Avvocatura ha la rappresentanza e la tutela di tutte le amministrazioni dello Stato, indistintamente, ed altres ch'essa non (6) Anche in G. BELLI, v. Avvocatura dello Stato, n. 1, Enciclopedia del diritto, IV, pg. 670 sg., si legge che l'avvocatura dello Stato istituzionalmente l'organo di difesa legale e di consulenza, non di una singola amministrazione, ma dello Stato considerato nella sua unitariet ; ci ch' pienamente accettabile nel senso che l'organo a disposizione di tutte le Amministrazioni per la difesa e consulenza legale (ma anche le Prefetture, ed altri organi ancora, possono del pari essere richiesti di svolgere attivit per conto di tutte le amministrazioni); e potrebbe anche farsene risultare il corollario affermato dall'a., sia pure senza una base testuale, che pure Camera e Senato dovrebbero fare capo all'Avvocatura quando si controvertesse su contratti da loro formati. Ma una coa parlare di organo che abbia la capacit di agire per tutte le amministrazioni dello Stato (cio di volta in volta ora per l'una ora per l'altra amministrazione) e diversa cosa concepire un'attivit che si svolga nell'interesse dello Stato nella sua unit, e non gi attraverso lo schermo delle singole anministrazioni. Quanto ai precetti agli avvocali dello Stato di tenere presenti nelle loro difese gl'interessi dello Stato tutto, di non correre il rischio di sostenere tesi diverse secondo l'opportunit della vertenza, siamo in tema di deontologia professionale, e ci non ha a vedere con il profilo giuridico dell'istituto. Per G. DUNI, Lo Stato e la responsabilit patrimoniale, Milano, 1968, pg. 414 sg., poich le norme sulla ehamata in giudizio dello Stato contenute nel t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611 prevedono solo azioni fondate contro singole amministrazioni statali, esse non sarebbero applicabili per le azioni da intentarsi contro lo Stato basate su attivit del potere legislativo (che il Duni ammette, indipendentemente dalle questioni di costituzionalit di singole leggi); peraltro a quelle norme del t.u. dovrebbe farsi ricorso in via di analogia, come pure sarebbe da utilizzare per la soluzione da scegliere l'art. 20, comma 3, della legge 11 marzo 1953 n. 87; sarebbe quindi da convenire il Presidente del Consiglio; applicabili comunque le norme del t.u. sul foro erariale. organo burocratico interno della Presidenza del Consiglio dei ministri: che la sua dipendenza da questo connessa eminentemente alla impossibilit di organi - tolte le Camere e la Corte costituzionale - che non facciano capo ad un'Amministrazione dello Stato impersonata da un ministro, almeno per ci ch' nomina del personale e bilancio delle spese inerenti al suo funzionamento; ma che la sua funzione si svolge indipendentemente dalla Presidenza del consiglio, in costante rapporto con le singole amministrazioni. Di ci che possa desumersi o meno dalla tabella di assimilazione tra avvocati dello Stato e magistrati (senza distinzione tra magistrati della giudicante e della requirente) (7) trattano le decisioni del Consiglio di Stato che oltre ricordiamo. Qui basti ricordare che anche agli avvocati dello Stato applicato il limite di et per il collocamento a riposo fissato per i magistrati (decr. leg. 4 maggio 1948 n. 844, che peraltro non richiama norme stabilite per i magistrati e si limita ad estendere a tutti gli avvocat dello Stato il limite che l'art. 34 del t.u. fissava per gli avvocati di grado superiore a quello di sostituto); che la legge 24 maggio 1951 n. 292 all'art. 12 a fini di trattamento economico assimila, secondo una tab. D annessa alla legge, magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della giustizia militare ed avvocati e procuratori dello Stato (il trattamento dei magistrati dell'ordine giudiziario considerato in altra tabella) e la relazione del guradasigilli Piccioni suona quanto all'Avvocatura dello Stato da rilevare che i suoi componenti sono gi equiparati ai magistrati dell'ordine giudiziario secondo un principio che espressamente sancito nel vigente ordinamento (art. 23 t.u. 30 ottobre 1933 n. 1811) che trova fondamento nel peculiare carattere della funzione in cui si estrinseca una diretta collaborazione con gli organi giurisdizionali. Non sarebbe ora evidentemente opportuno discostarsi da questo principio con l'abrogazione espressa della norma citata: ci in relazione, tra l'altro, alla esigenza di assicurare anche per l'avvenire il migliore reclutamento del personale dell'Avvocatura, che viene principalmente tratto dai magistrati ordinari (quest'ultima affermazione non sembra esattissima). Parole da cui ben poco si pu ricavare. Il trattamento delle tabelle annesse a questo decreto del '51 stato poi sostituito da quello delle tabelle annesse alla legge 29 dicembre 1956 n. 1433 (ancora una tabella per i magistrati dell'ordine giudiziario ed una per quelli del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della giustizia militare e per gli avvocati dello Stato); l'art. 12 della legge 24 maggio 1951 terminava: Per quanto non preveduto in questo articolo, continuano ad applicarsi le disposizioni generali relative (7) Ignoro se esista ancora presso l'Avvocatura generale la cartella di una pratica, dei primissimi anni del secolo, che vidi vari anni or sono. L'avvocato generale erariale del tempo rivendicava per il suo ufficio il rango di procuratore generale della Cassazione (eravamo al tempo delle cinque cassazioni, ma i procuralori generali come i presidenti fruivano di quello ch'era allora il pi alto trattamento economico, comune solo al Presidente del Consiglio di Stato, a quello della Corte dei Conti ed ai generali di esercito). La Presidenza del Consiglio aveva respinto la istanza. agli impiegati dello Stato e quelle dei rispettivi ordinamenti; l'art. 5 della legge 29 dicembre 1956 n. 1433 suona: al personale qui contemplato si applicano le disposizioni dello statuto degli impiegati civili dello Stato, contenute nel decr. 11 gennaio 1956 n, 17, solo in quanto non siano contrarie ai rispettivi ordinamenti, e sulla stessa linea l'art. 384 del decr. pres. 10 gennaio 1957 n. 3 usa la dizione - che non peraltro netta esclusione dell'applicabilit delle norme vigenti per la comune degl'impiegati - Le disposizioni del presente decreto si applicano a tutti gli impiegati civili dello Stato, salvo le disposizioni speciali vigenti ... per quelli addetti agli uffici giudiziari, al Consiglio di Stato, alla Corte dei conti, ai Tribunali militari e all'Avvocatura dello Stato... (8). A questo proposito, dell'assimilabilit o meno degli avvocati dello Stato ai magistrati, si suole spesso ricordare una decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 13 ottobre 1942 n. 454 (9), adottata a proposito dell'applicazione delle infauste leggi razziali, in cui si neg che agli avvocati dello Stato spettasse il trattamento fatto da una legge ai funzionari inamovibili. Ritenne allora il Consiglio di Stato che non fosse sufficiente per stabilire la inamovibilit che il funzionario non possa essere rimosso se non in seguito ad un giudizio di pari , cio della commissione del personale del- l'Avvocatura, costituita soltanto da avvocati; in quanto un organo costituito tutto da funzionari del medesimo ruolo pu ben costituire qualcosa di diverso dall'organo di pari, nel significato tradizionale ed arcaico del termine, pu cio rappresentare soltanto un collegio tecnico di funzionari dello stesso istituto che si sostituisce al consiglio di amministrazione del comune personale burocratico. Non parve al Consiglio neppure argomento probante per la tesi della inamovibilit la esistenza delle tabelle di equiparazione ai magistrati: sia perch queste menzionavano anche i magistrati del pubblico ministero che non godevano le stesse garanzie dei magistrati della giudicante; sia perch trattasi di una equiparazione di rango avente una origine tradizionale e storica, proveniente fin dal tempo della istituzione delle Avvocature erariali, quando il personale di queste fu prelevato in gran parte dalla magistratura e, dati i passaggi pi frequenti, che non siano ora, che si operavano, fra i detti organismi . Sembr invece al Consiglio che occorresse guardare al criterio sostanziale, o, meglio, razionale, che sta a base e, insieme, contiene la giustificazione dell'istituto della inamovibilit ... criterio offerto dalla finalit dell'istituto : assicurare a dati funzionari indipendenza ed autonomia di giudizio e di de (8) L'art. 384 non aveva corrispondente nei decreti 11 gennaio 1956 nn. 16, 17, che facevano solo salvi, provvisoriamente, gli ordinamenti speciali in vigore, fino a che non fosse provveduto al coordinamento previsto dall'art. 4 della legge 20 dicembre 1954 n. 1181; il decreto n. 17 chiamava a fare parte come membri ordinari del consiglio superiore della pubblica amministrazione due sostituti avvocati generali dello Stato, che pi non figurano all'art. 138 del decr. pres. 10 gennaio 1957 n. 3. (9) Riv. dir. pubbl., 1943, II, 40 sgg.; Foro it., 1943, III, 34 sgg. cisione ; questo si d per i magistrati della giudicante e per i professori, non per gli avvocati dello Stato. E qui occorre riprodurre la decisione, perch, se pure questo non fosse sicuramente nell'intenzione della IV Sezione, potrebbe trovare in essa un qualche appoggio la tesi che l'Avvocato generale si stacchi da tutto il personale ad esso sottoposto e non abbia a subire alcuna direttiva (la decisione non dice ci, per negli esempi che fa di sottoposizione a direttive non menziona chi al vertice dell'istituto). Si legge invero: i sostituti ed i viceavvocati nel redigere le loro difese e nel preparare i pareri sono sottoposti alle direttive del- l'avvocato distrettuale; lo stesso avvocato distrettuale pu ricevere direttive dall'Avvocatura generale; l'Avvocato generale sovraintende alla trattazione degli affari contenziosi e consultivi con generali disposizioni e speciali norme direttive, risolve le divergenze sia tra gli uffici distrettuali dell'Avvocatura sia tra quelli e gli uffici amministrativi (art. 15 t.u. del '33). Quindi non pu mai darsi il caso che un avvocato dello Stato, sia pure un avvocato distrettuale, abbia il potere di rimanere fermo al proprio avviso come avviene, invece, per il giudice, singolo o collegiale, il cui giudidizio pu essere bens riformato o annullato, dalla autorit giudiziaria superiore, ma al quale non si pu fare obbligo di uniformars, nell'esprimere tale giudizio, all'avviso dellorgano burocratico superiore, o come avviene anche per per il professore universitario, che ha la libert di esprimere quelle idee o di aderire a quelle correnti scientifiche che egli ritiene, senza essere soggetto ad alcun controllo che non sia quello della generale critica scientifica... Come nella trattazione degli affari contenziosi e consultivi, cos anche nella rappresentanza in giudizio, l'avvocato dello Stato rappresenta l'ufficio e non la persona fisica che in un determinato momento lo dirige; da ci la facolt di sostituzione e di avocazione, gl'interventi diretti anche della Avvocatura generale... il che evidentemente inconcepibile rispetto all'opera del funzionario inamovibile, come, ad esempio, per quella del giudice >>. Calamandrei che aveva difeso la tesi del ricorrente, non accolta dal Consiglio di Stato, annotava la decisione, partendo dalla visione di quello che il compito dell'avvocato nel foro libero, reagendo alla opinione di Carnelutti che scorgeva. nell'avvocato un nuncius della parte, affermando la sua indipendenza rispetto al cliente; e chiedendosi se poteva ammettersi che questo, che era per l'avvocato del foro libero, potesse non essere per l'avvocato dello Stato; e, scriveva: Lindipendenza del difensore sentita come una esigenza di ordine pubblico, posta, anche se in contrasto coll'interesse del cliente, nell'interesse della giustizia; si deve ritenere che questo interesse della giustizia non conti pi quando la parte in causa la pubblica amministrazione, e che in tal caso la giustizia non si accorga pi che l'asservimento del difensore si risolve sempre in una minaccia per l'indipendenza del giudice? . E gi sosteneva quel che e la tesi oggi della relazione dell'Avvocato generale: Se fra lAvvocatura e gli uffici amministrativi sorgono divergenze sulla soluzione di una questione o sul modo di trattare una causa, l'ultima parola in proposito spetta all'avvocato generale. Non contestava che in una diversit di vedute intorno al miglior modo di condurre una causa, dovesse prevalere l'opinione del superiore gerarchico, avvocato distrettuale od avvocato generale; ma in tal caso il superiore avrebbe dovuto avocare a s la trattazione, od affidarla ad altro avvocato; non avrebbe mai potuto costringere l'inferiore a trattare la causa contro la propria coscienza, n il rifiuto di questi avrebbe mai potuto assurgere a mancanza disciplinare (10). La tesi di Calamandrei va tenuta nel massimo conto, e su quest'ultimo punto occorrer ancora tornare. Penso peraltro ch'egli nelle sue premesse partisse da una idealizzazione della funzione dell'avvocato che non ha riscontro non solo nella realt, ma nel nostro stesso sistema giuridico; il dovere di lealt della parte, anche se interpretato rigidamente, non assurge a dovere di essere convinta anche della tesi di diritto che intende fare valere (pu essere posizione moralmente non certo condannabile quella di chi lotta per fare prevalere uno ius condendum, che ritiene rispondente ai canoni di giustizia superiore, di fronte a quello che pur sa essere ius conditum); parallelamente il dovere del difensore di non ingannare il giudice, non esporre fatti che sappia non veri - ma non dato spingersi fino ad imporgli di non tacere intorno alle circostanze avverse al suo cliente, - e di non sostenere, anche per rispetto a s stesso, tesi assurde. Ma non credo che la rispettabilit dell'avvocato venga meno se oggi nell'interesse del cliente invoca la giurisprundenza consolidata, e domani, in un'altra causa, tenta scuoterla. Questa concezione dell'avvocato che nell'interesse della gustizia deve anche contrastare all'interesse del cliente, o la si prende nel senso pi semplice, che l'avvocato anzitutto uomo e dev'essere uomo morale, ed in tale caso non patrociner mai colui che vuole compiere una sopraffazione a danni di altri, e gli rifiuter il suo patrocinio, o diversamente mi pare piuttosto propria di uno di quei regimi statolatri che Calamandrei detestava, con la fede nello Stato capace di realizzare la giustizia, tutti coadiutori dello Stato in questo compito, colui che perde la causa, se buon cittadino, convinto di avere errato e che la sua pretesa era infondata. Sarebbe porre l'avvocato in quella che in un sano tempo era la posizione dell'arbitro di parte (ora decaduto al rango di primo avvocato, di cui quegli che figura avvocato di parte non che un coadiutore), arbitro che veramente aveva anzitutto presente la necessit di pronunciare un lodo giusto. A parte il rovello che aveva in s chiunque difendesse un perseguitato dalle leggi razziali, poteva in Calamandrei quel suo nobilissimo tormento, quel suo martirio, cos bene reso da Satta (11), quel suo idealismo, che lo portava a porre (10) Gli avvocati dello Stato e l'inamovibilit, Foro ital., 1943, III, 34. (11) S. SATTA, Interpretazione di Calamandrei, Riv. trimestrale di diritto e procedura, 1967, 397 sgg. tanto in in alto, su un eletto soglio, giudici ed avvocati (mentre, occorre pur dirlo, era tratto dalla formazione mentale, dalle origini familiari, dalla fede dei vecchi repubblicani, a poco sentire quanto fosse esigenza dell'amministrazione). Ma a me sembra che fosse nel vero la decisione del Consiglio di Stato allorch stabiliva la posizione degli avvocati dello Stato, omettendo solo di soggiungere che anche l'Avvocato generale deve in definitiva piegarsi alla volont dell'Amministrazione (omissione che non era sfuggita a Calamandrei, il quale deduceva: all'avvocato generale, che non ha al di sopra di s superiori gerarchici che possano sovrapporsi al suo avviso, la inamovibilit dovrebbe essere senz'altro riconosciuta ). Una delle norme sulla epurazione, il decr. luog. 4 gennaio 1945 n. 2, doveva poco dopo stabilire al suo art. 10, che i benefici economici previsti per il personale inamovibile dall'art. 3 del decr. luog. 11 ottobre 1944 n. 257 e dal- l'art. 9 dell'attuale decreto, si sarebbero applicati anche nei confronti degli avvocati dello Stato che fossero collocati a riposo in base al detto decreto n. 257. Ma non mi sembra che questa norma incida sulla questione di quelli che sono i poteri dell'Avvocatura nel rifiutare direttive dell'Amministrazione, o dei singoli avvocati nel rifiutare di dare alla trattazione delle cause limpulso proposto dai loro superiori. Il ricorso di un procuratore dello Stato, che reclamava per il proprio collocamento a riposo il limite di et stabilito per gli avvocati, ha dato luogo alle considerazioni della decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 31 ottobre 1961 n. 513 (12). Ivi si considera ancora l'argomento della tabella di equiparazione ai magistrati del t.u. del 1933, osservandosi che si tratta di equiparazione di rango e di dignit, ma non di stato giuridico , essendo sempre rimaste distinte le norme regolatrici dei rispettivi stati giuridici. Dopo altre considerazioni, e sulla diversit non solo di stato giuridico, ma anche di limiti di et per il collocamento a riposo dei vari personali considerati nelle leggi del '51 e del 56, e sulla differente attivit svolta dagli avvocati e dai procuratori, la decisione ha alcune affermazioni che possono interessare per il tema qui trattato. Il limite di et fissato per il collocamento a riposo degli avvocati dello Stato uno dei limiti posti come garanzia dindipendenza, per sottrarre ad eventuali suggestioni o pressioni od arbitri; e un limite posto per esigenze sostanziali di indipendenaa della funzione ; a questa si connette la facolt del Governo, di cui all'art. 5 del t.u. del 1933, di chiedere l'assistenza di avvocati del foro libero: norma introdotta non gi, come talora si ritiene, per supplire ad insufficienze tecniche della difesa erariale, ma anzi per conciliare la piena facolt di giudizio dell'avvocatura dello Stato, che potrebbe esprimere avvisi contrari alla tesi del Governo, con la discrezionalit di questo, che potrebbe ciononostante ritenere necessario sostenere una tesi dalla quale l'Av (12) Il Consiglio di Stato, 1961, I, 1605 sgg. vocatura dello Stato dissente. Malgrado la mancanza d'espressa disposizione costituzionale, pu estendersi la qualifica di organo ausiliario del Governo alla Avvocatura. Queste affermazioni mi lasciano dubbi. Per giudicare se possa ancora parlarsi del limite di et come garanzia d'indipendenza, mi occorrerebbe conoscere - ci che nessun testo mi dice - se si diano oggi dei collocamenti a riposo di funzionari, contro la loro volont, prima del compimento dei limiti tabellari (a prescindere, naturalmente, dalle ipotesi di superati limiti di aspettativa per ragioni di salute, o di sopravvenuta incapacit ad adempiere alla funzione). La facolt di ricorrere ad un avvocato del foro libero non mai stata esercitata. Non pu evidentemente pensarsi che sarebbe da esplicare nel caso in cui non si trovasse in tutta l'Avvocatura un avvocato disposto a sostenere la tesi dell'Amministrazione, perch ci mostrerebbe essere la tesi cos assurda, da costituire quasi ingiuria chiedere a quell'avvocato del foro libero di sostenerla; occorrerebbe quindi pensare che fosse l'Avvocato generale che si rifiutasse di fare difendere quella tesi dal suo istituto, e che la legge gli riconoscesse proprio quella facolt, di dire: - l'Avvocatura non si presta. - Ma la dizione dell'art. 5 del t.u. non conforta una tale concezione: Nessuna amministrazione dello Stato pu richiedere l'assistenza di avvocati del libero foro se non per ragioni assolutamente eccezionali inteso il parere dell'avvocato generale dello Stato e secondo norme che saranno stabilite dal consiglio dei ministri. L'incarico nei singoli casi dovr essere conferito con decreto del capo del governo di concerto col ministro dal quale dipende l'amministrazione interessata e col ministro per le finanze . La norma ha tutto laspetto di essere dettata per impedire un certo clientelismo, ministri od anche direttori generali che volessero affidare cause ad avvocati amici; non l'avvocato generale che prende l'iniziativa, secondo la lettera dell'articolo essa sembra partire dalla amministrazione e l'avvocato generale dev'essere soltanto sentito, n sembra affatto che sarebbe lesivo del prestigio dell'Avvocatura pensare che vi fossero casi in cui occorresse ricorrere ad uno specialista estraneo ad essa; per cause di natura storica, od in cui occorresse la conoscenza di un diritto straniero di un tipo diverso da quello dei Paesi occidentali ed americani, che ci ormai sufficientemente familiare. Infine organi ausiliari dell'intera amministrazione sono molteplici; vediamo oggi gli uffici tecnici erariali determinare le indennit delle imprese elettriche trasferite all'Enel, ci ch' estraneo alle attribuzioni del Ministero da cui dipendono; e tutti i Ministeri penso possano non solo agire attraverso i Prefetti, ma anche chiedere l'opera degli uffici del Genio civile, comunque avere da questi dei pareri. La menzione nella Costituzione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti mi sembra significhi qualcosa di pi, l'idea di una necessaria cooperazione ad un'attivit di buon governo; e sta comunque che quella menzione importa che questi organi non potrebbero venire soppressi senza una legge costituzionale, ci che non si d per l'Avvocatura. 6. Affermato che non vi sono nel diritto positivo elementi che consentano di attribuire all'Avvocatura mansioni che abbiano una qualsiasi rilevanza costituzionale, che ne facciano un organo ausiliare del Governo nel senso in cui lo sono Consiglio di Stato e Corte dei conti - per i quali del resto la qualitca derivante dal collocamento della loro menzione nella Carta costituzionale incompleta e non del tutto esatta, - che l'esistenza dell'Avvocatura non toglie alle singole amministrazioni statali il potere di decidere in ultima analisi l'atteggiamento da prendere ogni volta che si profili il problema se fare valere o meno una pretesa, resistere o meno ad una pretesa altrui: resta tuttavia a considerare la peculiarlt comune a tutti gli organi dello Stato che pur dovendo sottostare a direttive, non importa se di superiori gerarchici o di altri organi dell'Amministrazione che affidano loro compiti o danno prescrizioni, esplicano per mansioni strettamente tecniche; ed altres l'altra peculiarit - che per lo pi coincide con la prima - della esposizione del nome del singolo impiegato o funzionario (13). Ed a questo proposito sar a guardare non pi all'Avvocato generale, di cui gi si detto, ma ai singoli avvocati. Nei comuni organi burocratici - Ministeri, Prefetture, Intendenze di finanza - il singolo impiegato trova un limite al suo dovere di non sottostare alle prescrizioni del superiore nella norma dell'art. 17 dello statuto degl'impiegati civili dello Stato: se ritenga l'ordine palesemente illegittimo, deve farne rimostranza al superiore che ha impartito quell'ordine, dichiarando le ragioni del proprio convincimento; ma se l'ordine rinnovato per scritto, deve darvi esecuzione: salvo peraltro che l'atto fosse vietato dalla legge penale (ad es. il funzionario di un Ministero addetto ai contratti che si veda ordinato dal suo ministro di ammettere alla gara chi non abbia i requisiti per parteciparvi, pu chiedere al ministro l'ordine scritto in tal senso; ma una volta che lo abbia ricevuto, deve darvi esecuzione). Lo statuto prevede soltanto l'ordine illegittimo; non quello erroneo; rispetto al quale potrebbe tuttavia applicarsi analogicamente l'art. 16, comma 2: Quando, nell'esercizio delle sue funzioni, l'impiegato rilevi difficolt od (13) Non mi consta - ma chi pu leggere tutto il moltissimo che si scrive? - che i cultori del diritto del lavoro abbiano appuntato l'attenzione sul caso del dipendente che sottoscrive in proprio (non come rappresentante della impresa) una dichiarazione od attestazione, rivolta al pubblico, nell'interesse della impresa. Cos ricordo di aver visto sull'involucro di un prodotto alimentare l'attestazione con la firma di un dottor X sulle sostanze contenute nel prodotto, con relativa analisi quantitativa; il dottor X era un dipendente della impresa produttrice. L'esposizione della sottoscrizione ha una conseguenza sulla posizione (di dirigente, d'impiegato con funzioni direttve, ecc.) del dipendente? questa esposizione pu considerarsi coperta dalla retribuzione, anche se non vi sia un contratto individuale che espressamente la contempli tra gli obblighi del dipendente stesso? inconvenienti, derivanti dalle disposizioni impartite dai superiori per l'organizzazione o lo svolgimento dei servizi, deve riferirne per via gerarchica, formulando le proposte a suo avviso opportune per rimuovere la difficolt o linconveniente ; non mi pare dubbio che incorrerebbe in colpa grave e nella relativa responsabilit l'impiegato che eseguisse senza batter ciglio un ordine palesemente erroneo. Ed altres a notare che spesso errore ed illegittimit coincidono: cos se venga ordinato di effettuare per una data causale un pagamento, allorch il pagamento connesso a quella causale gi sia stato eseguito. Comunque nella burocrazia non appare conturbante lipotesi dell'impiegato che debba stendere un provvedimento, od in una relazione manifestare una opinione, contro quello che sarebbe il suo convincimento: chi sottoscrive il Ministro od il Prefetto; del minutante non c' traccia fuori del fascicolo d'uffcio (se il minutante avesse la mia abitudine, di scrivere gi a macchina la brutta copia, neppure nel fascicolo resterebbe traccia della sua persona, se nella sua amministrazione non ci sia l'uso della sigla di chi ha minutato; in questo caso niente vieta al minutante di scrivere sulla minuta: redatta secondo le istruzioni ricevute dal direttore di divisione ; ma anche quando sorgono controversie in tema di responsabilit, non si risale mai a quello che un tempo era l'umile segretario, oggi divenuto consigliere). Il provvedimento amministrativo inoltre molte volte una scelta operata dall'Amministrazione entro certi limiti di libert; vero che si danno casi in cui essa sarebbe vincolata a fare o non fare, e che pu quindi parlarsi di tecnicismo nella interpretazione della legge. Sappiamo tuttavia che questa interpretazione lascia quasi costantemente un margine d'incertezza; anche i veri errori di diritto che talvolta coglie la giurisprudenza del Consiglio di Stato, sono cosa diversa dagli errori di calcolo dell'ingegnere o di analisi del chimico. La giurisprudenza sulla responsabilit dell'avvocato che ha errato non pu correre parallela a quella sulla responsabilit del chimico, o di chi compie un calcolo sulla resistenza dei materiali, o del chirurgo che non si attiene a certe prescrizioni. Per questa ragione la posizione del burocrate cui ordinato di stendere un provvedimento ch'egli ritiene errato, non pu essere assimilata a quella dell'altro burocrate - ingegnere del Genio civile o del Corpo delle miniere - cui venisse ordinato di redigere un progetto od un'analisi di roccie, che egli ritenesse errati. Qui veramente la erroneit ed il falso coinciderebbero, ed egli a buon diritto si rifiuterebbe di stendere quell'elaborato, anche se non dovesse venire da lui sottoscritto. (Ma anche nel campo tecnico vi sono scelte dell'Amministrazione; ho sentito parlare di un certo porto non so se di terza o quarta categoria, che tutte le ragioni tecniche, di venti, correnti e maree, vorrebbero fosse costruito a sud di un dato promontorio; mentre lAmministrazione vuole sia costruito a nord, per non rischiare che attragga a s il traffico di un altro porto; questa ancora una scelta politica, in contrasto con consigli della tecnica, di spettanza dell'Amministrazione; la quale non potrebbe invece mai, insistiamo, esigere dal pi umile dei suoi dipendenti di preparare, sia pure non sottoscrivendoli, calcoli o rilievi errati). Dove poi c' l'esposizione personale del funzionario che sottoscrive, potrebbe parere che, anche rimossa ogni idea di alterazione della verit e rimanendo sul terreno dell'opinabile, anche ricordato che non siamo mai qui dinanzi ai veri casi di coscienza, quelli che implicano per il credente l'idea di peccato, dovesse pur sempre affermarsi che nessuno possa essere costretto a sostenere una tesi che non senta (si diceva gi al mio tempo che non solo il colonnello comandante del reggimento non poteva imporre al sottotenente medico di dichiarare sano il soldato che quello ritenesse malato, ma anche il capitano medico avrebbe potuto sovrapporre il suo giudizio a quello del subalterno, non per costringere questi a sottoscrivere una diagnosi cui non credeva). Pu trasferirsi senz'altro questo nell'ambito dell'avvocatura? Mi riporto al foro libero e potrei anche fare appello a reminiscenze personali. In uno studio di qualche importanza (anche i nostri; in altri Paesi gli studi di avvocati sono quasi piccoli ministeri) accanto ad un titolare ci sono dei sostituti; ma uno o due di questi per et e per esperienza assumono rango di associati; e sottoscrivono con il titolare memorie e ricorsi (talora sono fatti apparire unici difensori di un litisconsorte). L'opera di collaborazione si svolge in perfetta cordialit, di solito, e di fronte al giudice i vari avvocati appaiono sul medesimo piano; sta peraltro che alla parit giuridica non si accompagna una parit reale, e soprattutto che il cliente si rivolto al titolare dello studio, all'avvocato di maggiore fama. Il meno anziano molte volte constata che le osservazioni di questi, i mutamenti ch'egli suggerisce nella linea di difesa, corrispondono all'interesse del cliente; qualche volta pu invece non essere persuaso. Ma, per venire ai miei ricordi personali, non mi sono sentito umiliato le poche volte che, pure non essendo convinto, ho modfcato la comparsa od il ricorso secondo ci che ritenevano Enrico Redenti o poi V.E. Orlando, che credevano in un mezzo di ricorso in cui io non credevo, che ritenevano pericoloso quell'argomento che a me sembrava buono, e che loro pensavano potesse suggerire all'avversario una tesi affascinante a suo pro; o semplicemente urtare il giudice. Non vedo perch l'avvocato dello Stato, che, firma s la comparsa, ma inserito in un organismo a tutti noto, con gradi e gerarchia, sicch pu sempre dire, come in effetto dice, che quella linea stata voluta dall'Avvocato generale o dall'avvocato distrettuale, dovrebbe sentirsi umiliato. (Pu del resto notarsi che nelle difese gli avvocati dello Stato possono sostituirsi l'uno all'altro, senza che occorrano particolari provvedimenti; sicch costante e lodevole uso che le difese scritte siano firmate da chi ne l'autore, ma nulla vieterebbe che recassero invece la sottoscrizione dell'Avvocato generale o di quello distrettuale). Non si d un 'apposita norma che regoli i rapporti tra gli avvocati distret tuali ed il personale dei loro uffici o tra l'Avvocato generale e quello addetto alla avvocatura generale (quando l'art. 15 del t.u, suona: l'avvocato generale sovraintende alla trattazione degli affari contenziosi e consultivi con generali istruzioni e speciali norme direttive , mi pare si riferisca all'andamento del servizio nel suo complesso, e non alle mansioni che sono proprie dell'Avvocatura generale, come quella che patrocina dinanzi alle giurisdizioni superiori e che esercita le mansioni di avvocatura distrettuale per il distretto di Roma); in mancanza di quest'apposita norma e cercando di conciliare i prncipi generali con la peculiarit del funzionario statale che sottoscrive in proprio, direi: che un avvocato dello Stato non possa rifiutarsi di compilare gli scritti difensivi secondo le direttive impartite dall'avvocato distrettuale o dall'Avvocato generale; che in un caso di reciso dissenso potr pregare di passare il compito ad un collega, e un superiore per poco che conosca l'arte del saper vivere, non rifiuter di accedere a questa preghiera, ov'essa sia veramente eccezionale, quanto a dire impartita una tantum: ma se non fosse possibile accedervi, ad es. per mancanza di personale, non potrebbe l'avvocato rifiutarsi di seguire nelle difese quelle direttive. Ma cos in questo caso, come nell'altro, dello scritto defensionale steso dall'avvocato e profondamente modificato dal superiore, con modifiche non di pura forma, credo che potrebbe l'avvocato rifiutare la sua sottoscrizione, chiedendo al superiore di apporre la propria. Non ritengo che potrebbe invece rifiutare di prestarsi alla discussione orale: con il cumulo di lavoro che si d in molte avvocature non a pensare siano sempre possibili sostituzioni. La discussione orale assai meno impegnativa della sottoscrizione di una comparsa o di un ricorso: anche sommi avvocati si trovano talora a dover discutere, associati all'ultimo momento, con il rovello che la difesa non sia stata diversamente architettata; siccome ormai il gioco fatto, non si d menomazione della loro rinomanza se si limitano a cercare i migliori argomenti per sostenere l'impalcatura che altri, che con la firma ne ha assunto la responsabilit, ha eretto. Non scorgo una norma di legge che preveda questi casi, ma la soluzione che prospetto mi sembra il contemperamento delle due situazioni, quella burocratica del capo dell'ufficio che pu dare direttive e sui cui ricade in definitiva la responsabilit dell'esito buono o meno buono della pratica, e quella peculiare del dipendente che sottoscrive come proprio lo scritto. 7. stata di recente dibattuta la questione se dagli artt. 15 (l'Avvocato generale fa tutte le proposte per le nomine e per ogni altro provvedimento riguardante il personale dell'Avvocatura), e 17 ( Gli uffici dell'Avvocatura dello Stato dipendono dal Presidente del Consiglio, e sono posti sotto la immediata direzione dell'Avvocato generale ) del t.u., e dalle norme degli artt. 55, 56 e 57 del regol. 30 ottobre 1933 n. 1612 per cui il Presidente del Consiglio, su proposta dell'Avvocato generale, che provvede ai trasferimenti, alle desti nazioni a capo degli uffici distrettuali, alle missioni degli avvocati dello Stato, possa vedersi un rapporto di gerarchia tra l'Avvocato generale ed il Presidente del Consiglio, sicch sia dato ricorso gerarchico avverso i provvedimenti del primo; problema per cui a tener presente l'art. 40 del t.u. ( la censura e la riduzione dello stipendio sono inflitte dall'Avvocato generale con provvedimento definitivo , ci che pare accennare ad una non definitivit di altri provvedimenti, e pertanto alla esistenza di una gerarchia). Tale questione della possibilit di ricorso gerarchico alla Presidenza del Consiglio avverso provvedimenti dell'Avvocato generale ha formato oggetto di un parere del Consiglio di Stato, ad. gen., 23 novembre 1967 (14). L'Avvocatura generale sosteneva che per essa, come per il Consiglio di Stato e per la Corte dei conti, non pu darsi gerarchia tra chi a capo di questi istituti ed il Presidente del Consiglio dei ministri. Un rapporto di gerarchia si costituirebbe solo tra organi di amministrazione attiva; per quanto attiene al- l'amministrazione dell'Avvocatura e cos del personale, l'Avvocato generale ha il complesso di poteri che normalmente spettano ai ministri, ma che ha pure il presidente della Corte dei conti in virt dell'autonomia di questo istituto. Ci sono alcuni provvedimenti che debbono venire adottati dalla Presidenza del Consiglio, ma sempre su proposta dell'Avvocato generale; in questi casi si ha attivit coordinata dei due organi, che cosa ben diversa dal rapporto gerarchico. La Presidenza del Consiglio negava invece l'assimilazione dell'Avvocatura al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti, fondandosi soprattutto sulla menzione nella Costituzione dei due ultimi e non dell'Avvocatura, ma facendo altres presente che non solo non poteva porsi in dubbio l'assoluta indipendenza dello svolgimento della funzione giurisdizionale dei due organi e di quella di controllo della Corte dei conti, ma doversi notare che anche la funzione consultiva del Consiglio di Stato si svolge a garanzia della obiettivit e legalit dell'azione amministrativa, mentre l'Avvocatura rimarrebbe compresa nell'Amministrazione, quale organo tecnico cui spetta curare la realizzazione e la tutela, per le vie giurisdizionali, degl'interessi propri dell'Amministrazione rappresentata. Il Consiglio di Stato e la Corte dei conti sarebbero organi dello Stato-comunit o Stato-ordinamento, l'Avvocatura dello Stato-amministrazione. Il Consiglio di Stato nel suo parere ha dato rilievo alla posizione costituzionale del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, tradizionale nel nostro ordnamento, e che pu anche riannodarsi agli istituti del regno di Sardegna. Invece l'Avvocatura trae le sue origini dagli uffici del contenzioso finanziario, organi del Ministero delle Finanze, istituiti con un r.d. 9 ottobre 1862 n. 915. Ed ha poi detto che occorre far capo al rapporto che lega l'Avvocatura all'Amministrazione, ma collegare questo rapporto a quello che lega il comune av (14) Il Consiglio di Stato, 1967, I, pg. 2349; Giustizia civile, 1968, II, 151. vocato alla parte. Questa l'Amministrazione, e nel Presidente del Consiglio si riassumono la direzione e l'impulso dell'attivit amministrativa , mentre l'Avvocato generale deve rendersi interprete delle esigenze di questa ; la responsabilit economica, giuridica, anche politica, del giudizio cade sempre sull'Amministrazione. Certo l'Avvocatura non pu essere tenuta a sostenere una causa che ritenga indifendibile; la dignit dell'Amministrazione dovrebbe a priori escludere che questa decida di comparire in giudizio nella veste del litigante temerario; comunque per il caso in cui si realizzi un insanabile contrasto di valutazione fra l'Amministrazione e l'Avvocatura, si pu ricorrere all'art. 5 del t.u. 30 ottobre 1933, che prevede la possibilit che la difesa dello Stato sia affidata a un avvocato del libero foro . Quindi possibilit in massima di ricorso gerarchico contro il provvedimento dell'Avvocato generale al Presidente del Consiglio dei ministri. Concorderei nella conclusione e nelle parti essenziali del parere. Non su ogni punto. Cos non so ravvisare differenza di sostanza tra l'attivit consultiva del Consiglio di Stato e quella dell'Avvocatura, entrambe volte a ricercare che il provvedimento divisato sia conforme a legge e sia conveniente per l'Amministrazione. Cos non ritengo, come ho detto, che possa l'Avvocatura rifiutare d'instaurare una causa che il Governo intenda invece espletare; ed il parere non mi sembra tenga conto di ci che avrebbe di pregiudizievole il ricorso all'avvocato del foro libero, se esso dovesse istituzionalmente significare che l'Avvocatura ritiene assolutamente indifendibile la tesi dell'Amministrazione. 8. Vorrei ancora accennare ad un'altra peculiarit dell'Avvocatura: che, pur essendovi gradi e promozioni di grado, non si hanno competenze specifiche per grado; per l'art. 1 del t.u. gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni . Non gioca quindi per loro una norma sulle attribuzioni dei vari gradi, come si d nello statuto deglimpiegati civili, e la norma dell'art. 31 di detto statuto, L'impiegato ha diritto all'esercizio delle funzioni inerenti alla sua qualifica... pu essere destinato a qualunque altra funzione purch corrispondente alla qualifica che riveste non pu trovare che un'applicazione particolare. Non ne farei per discendere la conseguenza che qui l'avvocato dello Stato sia in balia del superiore come non l'impiegato della burocrazia, e che mentre il direttore di divisione non potrebbe essere ridotto alle mansioni di consigliere, il sostituto avvocato generale possa venire ridotto alle pi modeste mansioni, a curare questioni d'ingiunzioni fiscali, od in genere ad attendere alle vertenze che nel foro libero sono di spettanza dei giovani legali. Ogni impiegato di qualsiasi ruolo e grado ha diritto a disimpegnare le sue funzioni; un diritto morale di non minore importanza di quello economico alla retribuzione; sarebbe assurdo negare tale diritto a chi ha la posizione moralmente pi ele vata. Se qualcuno viene dal superiore ritenuto ormai inabile all'esercizio delle sue funzioni, deve aprirsi il procedimento per la dispensa dal servizio; diversamente anche in seno all'Avvocatura deve seguirsi la consueta regola di attribuire a ciascuno un lavoro inerente al suo grado ed alla sua anzianit, e pure l'avvocato dello Stato ha le difese che avrebbero il direttore di divisione ed il direttore di sezione nel caso che il direttore generale volesse fare loro compiere il lavoro normalmente svolto dai consiglieri. In un giudizio di legittimit potr esserci qualche difficolt a riscontrare quando ci segua; tutti sappiamo che stendere una citazione molte volte assai pi impegnativo che non redigere un ricorso in Cassazione e che anche dinanzi ad un pretore pu venire agitata una questione di massima di grande rilievo. Ci non toglie che dallo stesso diritto positivo, che contempla un albo speciale degli abilitati al patrocinio in Cassazione, emerga che sono ritenuti di particolare rilievo i giudizi dinanzi alle giurisdizioni superiori, sicch la sistematica sottrazione ad un avvocato di questi ricorsi, non compensata dall'attribuzione d lavori del ramo consulenza di particolare importanza, integrerebbe quella lesione della sua posizione che gli darebbe diritto d'insorgere. Una sentenza dei giudici amministrativisul ruolo degli avvocati dello Stato N. 08127/2012 REG.PROV.COLL. N. 08898/2011 REG.RIC. N. 10205/2011 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8898 del 2011, proposto da: (...), rappresentati e difesi dallavv. Enrico Iossa ed elettivamente domiciliati presso lo studio dellavv. F. Pontesilli in Roma, Via Orestano, n. 21; contro il MINISTERO DELLECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore ed il CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentati e difesi dallAvvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12; e con l'intervento di ad opponendum: (...), tutti rappresentati e difesi dallavv. Giuseppe Nerio Carugno ed elettivamente domiciliati presso lo studio SPW & Associati in Roma, Via Bertoloni, n. 27; sul ricorso numero di registro generale 10205 del 2011, proposto da: CONSIGLIO DELLORDINE DEGLI AVVOCATI DI COSENZA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Oreste Morcavallo, Giovanni Spataro e Giancarlo Gentile ed elettivamente domiciliato presso lo Studio Morcavallo in Roma, Via Arno, n. 6; contro il MINISTERO DELLECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore ed il CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentati e difesi dallAvvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12; e con l'intervento di ad opponendum: (...), tutti rappresentati e difesi dallavv. Giuseppe Nerio Carugno ed elettivamente domiciliati presso lo studio SPW & Associati in Roma, Via Bertoloni, n. 27; per l'annullamento quanto al ricorso n. 8898 del 2011: - del bando di concorso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale in data 16 agosto 2011 per la copertura di 960 posti vacanti di giudici presso le Commissioni tributarie regionali e provinciali; -di ogni altro atto e provvedimento, preordinato, connesso, collegato e conseguente se ed in quanto lesivo degli interessi dei ricorrenti. quanto al ricorso n. 10205 del 2011: del bando di concorso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 agosto 2011 per n. 960 posti di giudici tributari indetto dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Visti i ricorsi con i relativi allegati; Vista la costituzione in entrambi i giudizi delle Amministrazioni intimate nonch gli interventi ad opponendum negli stessi proposti e tutti i documenti depositati; Esaminate le ulteriori memorie con i documenti prodotti; Visti gli atti tutti delle cause; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2012 il dott. Stefano Toschei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Con il ricorso rubricato al n. R.g. 8898 del 2011 alcuni dipendenti delAgenzia delle entrate (meglio specificati in epigrafe), con una maturata professionalit nellambito del settore tributario per avere svolto attivit di difesa dellamministrazione innanzi alle commissioni tributarie e comunque per avere sempre operato in detto settore, contestano la legittimit del bando di concorso per la copertura di 960 posti vacanti di giudice tributario nella parte in cui esso si presenta riservato ad una sola delle categorie di legittimati ad essere nominati giudice tributario, previo superamento di concorso, indicate tassativamente nellart. 4 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545, vale a dire a quella (macrocategoria) riconducibile alla lettera a) del predetto articolo 4 e quindi i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo, e gli avvocati e procuratori dello Stato a riposo. Premettono i ricorrenti che il bando impugnato stato pubblicato in seguito allintroduzione nel nostro ordinamento dellart. 39 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 che, al comma 4, ha previsto lespletamento di un concorso per la copertura di posti vacanti per 960 giudici tributari da reclutarsi esclusivamente tra i soggetti appartenenti alle categorie di cui allart. 4, comma 1, lett. a) del decreto legislativo n. 545 del 1992 in servizio, che non prestino gi servizio nelle predette commissioni. Ad avviso dei ricorrenti il bando illegittimo in quanto adottato in applicazione di una disposizione di legge che manifesta palesi contrasti con numerosi principi costituzionali. Un primo contrasto si appalesa con riferimento ai principi di cui agli artt. 3 e 97 cost. per la ingiustificata disparit di trattamento operata tra i dirigenti dellAgenzia delle Entrate e gli avvocati e procuratori dello Stato, entrambe categorie apicali di dipendenti pubblici che non hanno nessuna differenziazione dal punto di vista giuridico (cos, testualmente, a pag. 5 del ricorso introduttivo) dal momento che, nello specifico, i ricorrenti hanno sempre svolto attivit di difesa dellamministrazione nei giudizi pendenti innanzi le Commissioni tributarie o quanto meno hanno operato nel settore tributario, maturando quelle capacit tecniche ed extragiuridiche che il Legislatore del 1992 ha inteso garantire. Tecnicismo che non appartiene alla categoria degli avvocati e procuratori dello Stato che non presenziano mai alle udienze innanzi le Commissioni Tributarie essendo le funzioni delegate ai funzionari dellAgenzia delle Entrate (cos, testualmente, alle pagg. 4 e 5 del ricorso introduttivo). Peraltro nella norma in questione si manifesterebbe una evidente violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, ledendo anche i principi di diritto comunitario, palesandosi in quella disposizione restrittiva un patente contrasto con lart. 51 cost., in relazione al principio di eguaglianza dei cittadini per laccesso ai pubblici uffici e con lart. 97 in ordine al buon andamento della Pubblica amministrazione. Del resto, soggiungono i ricorrenti, anche la giurisprudenza attribuisce valore preminente allinteresse dellamministrazione ad operare la selezione dei candidati da assumere nellambito della pi amplia platea possibile dei concorrenti (cos, testualmente, a pag. 8 del ricorso introduttivo), mentre la norma in questione deroga irragionevolmente alla disciplina generale, fissata dal Legislatore nel 1992, introducendo una disparit di trattamento ingiustificata tra le categorie dei soggetti legittimati ad aspirare alla nomina a giudice tributario, attribuendo un sacrificio non giustificato nei confronti delle categorie escluse. Sotto altro versante, ad avviso dei ricorrenti, va rimarcato come il principio di uguaglianza operi come criterio di giudizio sulle leggi anche secondo lavviso dei giudici comunitari (in proposito viene citata la decisione della Corte di giustizia UE 12 luglio 2001, causa C189/ 2001) e, di conseguenza, costituendo una specificazione del ridetto principio, il Legislatore nellintrodurre disposizioni di legge deve tenere conto anche del principio di non discriminazione di matrice comunitaria (in proposito viene richiamata la decisione della Corte di giustizia UE 12 dicembre 2000, causa C-442/2000): con riferimento ad entrambi i principi la previsione normativa in esame si presenta violativa di entrambi ed ingiustificata, oltre che irragionevole. Da qui la proposizione della questione di illegittimit costituzionale dellart. 39 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 nella parte in cui, al comma 4, ha previsto lespletamento di un concorso per la copertura di posti vacanti per 960 giudici tributari da reclutarsi esclusivamente tra i soggetti appartenenti alle categorie di cui allart. 4, comma 1, lett. a) del decreto legislativo n. 545 del 1992, per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost. oltre che per contrasto con i principi di matrice comunitaria di uguaglianza e di non discriminazione e la conseguente richiesta di annullamento, in via derivata, del bando impugnato. 2. Si costituita in giudizio lAvvocatura generale dello Stato per il Ministero intimato e per il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria contestando analiticamente le avverse prospettazioni e rilevando come la norma, posta dai ricorrenti sotto i riflettori dellindagine in merito alla sua compatibilit costituzionale, sia pienamente rispettosa dei principi costituzionali e comunitari invocati dai medesimi ricorrenti, in particolare non potendosi considerare irragionevole n tanto meno contrastante con le diposizioni costituzionali invocate lobiettivo perseguito con la norma in questione dal Legislatore di voler rafforzare ulteriormente (il) processo di inserimento progressivo di un consistente numero di giudici togati nelle Commissioni tributarie, al fine di garantire la soddisfazione delle esigenze dei contribuenti di ottenere giustizia in tempi brevi, con provvedimenti emessi da organi la cui futura composizione garantir maggiore terziet e imparzialit (cos, testualmente, alle pagg. 7 e 8 della memoria conclusiva). Hanno spiegato intervento ad opponendum alcuni magistrati ordinari, che hanno presentato domanda di partecipazione al concorso in questione, sostenendo linammissibilit del ricorso per difetto di causa petendi e di petitum, avendo dedotto i ricorrenti come censura principale del gravame esclusivamente la illegittimit costituzionale della disposizione in attuazione della quale stato bandito il concorso, sicch il petitum del ricorso proposto pu considerarsi come tendente ad un vantaggio non immediato ma esclusivamente condizionato allesito del- leventuale giudizio costituzionale, senza peraltro che nel ricorso stesso venga evidenziato alcun deficit di legittimit proprio del bando. Nel merito gli intervenienti rappresentano come il gravame debba essere respinto posto che lobiettivo di salvaguardia dellinteresse pubblico consistente nellassicurare una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria, garantendo altres imparzialit e terziet del corpo giudicante (cos, testualmente, a pag. 6 del- latto di intervento) risulta essere ben marcato ed esplicitato nella norma di legge in attuazione della quale stato pubblicato il bando di concorso qui principalmente impugnato. 3. Con separato ricorso, rubricato al n. R.g, 10205 del 2011, il Consiglio dellOrdine degli avvocati di Cosenza, sul presupposto di voler tutelare gli appartenenti alla categoria forense iscritta a quellordine dalla ingiusta esclusione dal novero dei legittimati a partecipare al concorso in questione, ha anchesso impugnato il relativo bando prospettandone la illegittimit derivata dalla illegittimit costituzionale delle disposizioni contenute nellart. 39, comma 4, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111. Nel contestare il grave contrasto costituzionale il Consiglio ricorrente evidenzia come le cennate disposizioni siano state emanate in palese conflitto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost. nonch con lart. 21 della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, perch scorrettamente invasive dei principi di uguaglianza, non discriminazione, di libero accesso al pubblico impiego ed alle cariche pubbliche. Conseguentemente il Consiglio ricorrente chiedeva al Tribunale amministrativo adito di sollevare la questione di illegittimit costituzionale della fonte primaria che si pone a presupposto dellemanazione del bando, sussistendo la rilevanza della questione e la non palese infondatezza della stessa. 4. Anche in questo secondo ricorso si costituita in giudizio lAvvocatura generale dello Stato per il Ministero intimato e per il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione attiva in capo al Consiglio dellOrdine degli avvocati (di Cosenza). Nel merito la difesa erariale ha confermato la correttezza del bando in quanto pienamente aderente alla disposizione di fonte primaria della quale esso costituisce attuazione e ha ribadito la perfetta compatibilit costituzionale della ridetta disposizione che non manifesta alcun contrasto con i principi costituzionali nonch con quelli comunitari la cui violazione paventata dal Consiglio ricorrente. Hanno spiegato intervento ad opponendum alcuni magistrati ordinari, che hanno presentato domanda di partecipazione al concorso in questione, sostenendo anchessi il difetto di legittimazione attiva del consiglio ricorrente. Come avvenuto in occasione dellintervento nel primo ricorso del quale si pi sopra detto (seppure gli intervenienti, in questo caso, siano persone fisiche diverse da quelle intervenute nel primo giudizio), anche in questo secondo atto di intervento stata eccepita, per le stesse ragioni gi illustrate, linammissibilit del ricorso per difetto di causa petendi e di petitum. Nel merito gli intervenienti riproducono quanto gi rappresentato in occasione del primo giudizio chiedendo la reiezione del gravame. 5. Nel corso del giudizio le parti presentavano ulteriori memorie confermando le gi rassegnate conclusioni. 6. Va anzitutto rilevata la evidente sussistenza dei presupposti richiesti dallart. 70 c.p.a. per disporre la riunione dei due ricorsi perch siano decisi in un unico contesto, dal momento che tra gli stessi intercorrono palesi connessioni, sia dal punto di vista soggettivo che da quello oggettivo, trattandosi di contenziosi attinenti ad una medesima procedura selettiva ed assumendosi in entrambi il contrasto della medesima disposizione di fonte primaria con taluni principi costituzionali e comunitari che coincidono nelle deduzioni che accompagnano gli atti introduttivi dei due gravami. Pu, dunque, disporsi la riunione del ricorso n. R.g. 10205 del 2011 al ricorso n. R.g. 8898 del 2011. 7. Va preliminarmente verificata la fondatezza della eccezione sollevata dagli intervenienti e dalla difesa erariale nellambito del ricorso n. R.g. 10205 del 2011 con riferimento alla paventata carenza di interesse a ricorrere in capo al Consiglio dellOrdine degli avvocati di Cosenza. Come noto le associazioni di settore sono legittimate a difendere in sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei soggetti di cui hanno la rappresentanza, con il rigoroso ed inderogabile limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni concernenti i singoli iscritti, ovvero capaci di dividere la categoria in posizioni disomogenee. L'interesse collettivo deve identificarsi con l'interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata, e non con interessi di singoli associati o gruppi di associati, perch l'associazione di categoria legittimata a proporre ricorso soltanto a tutela della totalit dei suoi iscritti, e non anche per la salvaguardia di posizioni proprie di una parte sola degli stessi. In particolare, gli enti esponenziali - secondo i principi che vietano conflitti infraassociativi anche meramente potenziali -non possono sostituirsi processualmente ad una componente non totalitaria dei propri iscritti per impugnare bandi dei quali altri iscritti potrebbero invece decidere di avvalersi, per partecipare in modo proficuo alla selezione cos bandita (ritenendo convenienti clausole che, viceversa, l'associazione di riferimento sostiene essere lesive per la categoria). Nel caso di specie, il bando in questione esclude tutti gli avvocati (tranne quelli dello Stato) dalla partecipazione al concorso e ci perch previsto dallart. 39, comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011. Appare dunque evidente che ciascun avvocato del libero foro ovvero avvocato operante in avvocature pubbliche diverse dallAvvocatura dello Stato sia legittimato, in quanto escluso dalla partecipazione al concorso in questione, a proporre ricorso contro il relativo bando e cos i singoli consigli dellOrdine (non ultimo il Consiglio nazionale forense), con la conseguenza che leccezione di carenza di legittimazione ad impugnare il bando sollevata nei confronti del Consiglio dellOrdine degli avvocati di Cosenza si presenta infondata. 8. - Ancora in rito va rilevato che non appare convincente leccezione sollevata dagli intervenienti, con riferimento ad entrambi i giudizi, secondo i quali si paleserebbe linammissibilit dei ricorsi in quanto limpugnazione del bando non costituirebbe un bersaglio diretto dei due contenziosi, ma avrebbe uno scopo meramente strumentale stante il principale interesse dei ricorrenti a veder sollevata dal Tribunale amministrativo adito la questione di illegittimit costituzionale della disposizione contenuta nellart. 39, comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011. Infatti la legittimit o meno del bando di concorso impugnato, una volta verificata la sua piena coerenza con la norma alla quale con la sua pubblicazione viene data attuazione (fatto che non contestato da nessuna delle parti in causa) e con essa la sussistenza o meno del potere in capo allAmministrazione (e per essa al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria) di bandire il concorso con le modalit qui contestate, possono essere scrutinati esclusivamente in seguito alla verifica di compatibilit costituzionale della norma recata dalla fonte di livello primario, dalla quale scaturisce il potere di bandire la selezione per larruolamento di 960 nuovi magistrati tributari limitando la partecipazione ad alcune categorie di aspiranti rispetto a tutte quelle tassativamente determinate in via generale dal decreto legislativo n. 545 del 1992. Deriva da ci che non si palesa alcuna carenza di attualit dellinteresse a ricorrere da parte dei ricorrenti in ordine allimpugnazione del bando di gara, dal momento che proprio con la pubblicazione del bando che diviene attuale e concreto il pregiudizio provocato dalla introduzione di una norma di legge nel nostro ordinamento che si afferma essere contrastante con principi costituzionali e comunitari e quindi di portata pregiudizievole per i soggetti destinatari. 9. Nel merito, come si gi detto, entrambi i ricorsi si soffermano sulla necessit di sottoporre alla Corte costituzionale la questione circa la compatibilit delle disposizioni recate dallart. 39, comma 4, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 che cos recita (nella versione prodotta dalla modifica intervenuta per effetto della legge di conversione n. 111 del 2011 e, successivamente, ad opera dell'art. 2, comma 35-quinquies, lett. b), del decreto legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011 n. 148): 4. Al fine di coprire, a decorrere dal 1 gennaio 2012, i posti vacanti alla data di entrata in vigore del presente decreto, il Consiglio di Presidenza provvede ad indire, entro due mesi dalla predetta data, apposite procedure ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, senza previo espletamento della procedura di cui all'articolo 11, comma 4, del medesimo decreto legislativo, per la copertura di 960 posti vacanti presso le commissioni tributarie. Conseguentemente le procedure di cui al citato articolo 11, comma 4, avviate prima della data di entrata in vigore del presente decreto sono revocate. I concorsi sono riservati ai soggetti appartenenti alle categorie di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, in servizio, che non prestino gi servizio presso le predette commissioni. Ai fini del periodo precedente, si intendono in servizio i magistrati non collocati a riposo al momento dell'indizione dei concorsi.. Nello stesso art. 39, il comma 1 chiarisce in via generale lintento del Legislatore nellintrodurre nuove disposizioni nel settore della giustizia tributaria precisando che: Al fine di assicurare una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria, garantendo altres imparzialit e terziet del corpo giudicante, sono introdotte disposizioni volte a: a) rafforzare le cause di incompatibilit dei giudici tributari; b) incrementare la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari, e contabili in servizio o a riposo ovvero tra gli avvocati dello Stato a riposo; c) ridefinire la composizione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria in analogia con le previsioni vigenti per gli organi di autogoverno delle magistrature. Per completezza illustrativa delle norme che hanno rilievo nel presente contenzioso, lart. 9 del decreto legislativo n. 545 del 1992 (recante la disciplina dei procedimenti di nomina dei componenti delle commissioni tributarie) nella sua nuova formulazio cos dispone: 1. I componenti delle commissioni tributarie sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro delle finanze, previa deliberazione del consiglio di presidenza, secondo l'ordine di collocazione negli elenchi previsti nel comma 2. 2. Il consiglio di presidenza procede alle deliberazioni di cui al comma 1 sulla base di elenchi formati relativamente ad ogni commissione tributaria e comprendenti tutti gli appartenenti alle categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5 per il posto da conferire che hanno comunicato la propria disponibilit all'incarico e sono in possesso dei requisiti prescritti. 2-bis. Per le commissioni tributarie regionali i posti da conferire sono attribuiti in modo da assicurare progressivamente la presenza in tali commissioni di due terzi dei giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo, ovvero gli avvocati dello Stato, a riposo. 3. Alla comunicazione di disponibilit all'incarico deve essere allegata la documentazione circa l'appartenenza ad una delle categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5 e il possesso dei requisiti prescritti, nonch la dichiarazione di non essere in alcuna delle situazioni di incompatibilit indicate all'art. 8. 4. La formazione degli elenchi di cui al comma 2 fatta secondo i criteri di valutazione ed i relativi punteggi indicati nella tabella E e sulla base della documentazione allegata alla comunicazione di disponibilit all'incarico. 5. Il Ministro delle finanze stabilisce con proprio decreto il termine e le modalit per le comunicazioni di disponibilit agli incarichi da conferire e per la formazione degli elenchi di cui al comma 2. 6. Le esclusioni dagli elenchi di coloro che hanno comunicato la propria disponibilit all'incarico, senza essere in possesso dei requisiti prescritti, fatta con decreto del Ministro delle finanze, su conforme deliberazione del consiglio di presidenza.. Orbene tutti i ricorrenti sostengono che le nuove disposizioni introdotte con il surriprodotto art. 39, comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011 contrastino con i principi presidiati dagli artt. 3, 51 e 97 Cost. nonch con lart. 21 della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, dal momento che tali previsioni di fonte primaria invadono e colpiscono i principi di uguaglianza, non discriminazione, di libero accesso al pubblico impiego ed alle cariche pubbliche. In particolare i ricorrenti di cui al ricorso rubricato al n. R.g. 8898 del 2011 sostengono, nella loro qualit di dipendenti dellAgenzia delle entrate e di consueti difensori dellAmministrazione finanziaria dinanzi alle Commissioni tributarie, di essere stati ingiustificatamente esclusi dal novero delle categorie di aspiranti alla nomina di 960 giudici tributari presso le Commissioni tributarie regionali e provinciali, quando non solo lart. 9 del decreto legislativo n. 545 del 1992 li elenca tra le categorie dei naturali legittimati a partecipare alle procedure per la nomina di giudice tributario, ma incomprensibilmente tra i soggetti legittimati a partecipare alla selezione di cui al bando qui gravato compaiono gli avvocati dello Stato che, in via ordinaria, si astengono dal difendere lAmministrazione finanziaria dinanzi alle Commissioni tributarie, delegando tale attivit proprio ai dipendenti dellAmministrazione finanziaria stessa. Ci determina una evidente disparit di trattamento tra pubblici dipendenti, quali sono anche gli avvocati dello Stato, non potendo soccorrere a giustificare la ragionevolezza della disposizione contestata lobiettivo di accentuare la presenza di giudici tributari provenienti da categorie di soggetti per le quali pi spiccato il carattere di terziet, dal momento che tale profilo, tra le categorie favorite dallart. 39, comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011, proprio dei magistrati ma certo non degli avvocati dello Stato. Analogamente il Consiglio dellOrdine degli avvocati di Cosenza, nel ricorso rubricato al n. R.g. 10205 del 2011, denuncia il carattere decisamente discriminatorio della norma appena richiamata, attraverso la quale favorito ingiustificatamente laccesso ad una carica pubblica di una categoria di soggetti, gli avvocati dello Stato, pretermettendo coloro che aspirano a svolgere le funzioni di giudice tributario e che attualmente, al pari degli avvocati dello Stato, svolgono la (medesima) professione forense. 10. Il Collegio, pur ritenendo rilevanti le questioni sollevate in entrambi i giudizi, ne evidenzia la manifesta fondatezza. Va premesso, in via generale, che l'esame delle censure formulate nei confronti della legge che si vuole sottoposta a controllo di costituzionalit deve tener conto del vasto ambito di discrezionalit che spetta al legislatore nelle scelte relative alla creazione e all'organizzazione dei pubblici uffici. Tali scelte - come stato precisato in numerose circostanze dalla Corte costituzionale - non si sottraggono al sindacato sotto il profilo del buon andamento e dell'imparzialit proclamati dall'art. 97, primo comma, della Costituzione. Le valutazioni consentite alla Corte costituzionale, tuttavia, per non esorbitare dagli apprezzamenti propri del controllo di costituzionalit sulle leggi e non travalicare in quelli riservati agli organi legislativi, non possono eccedere i limiti del controllo di irragionevolezza. L'applicazione dell'anzidetto criterio di giudizio non permette di condividere il rilievo generale da cui espressamente muovono i ricorrenti: che la legge denunciata, non costituendo altro che un mero provvedimento di favore nei confronti di una determinata categoria di dipendenti pubblici, quella degli avvocati e procuratori dello Stato (atteso che le censure si appuntano soprattutto sulla previsione che favorirebbe i procuratori e gli avvocati dello Stato, senza sviluppare particolari rilievi al riguardo della previsione che individua nei magistrati ordinari, amministrativi e contabili, ulteriori categorie preferite dal legislatore per larruolamento dei nuovi 960 giudici tributari), al fine dellinserimento di tali dipendenti nel novero delle pochissime categorie di soggetti legittimati a partecipare alla selezione di cui al bando qui principalmente impugnato. Come pu leggersi agevolmente nei lavori preparatori alle disposizioni legislative qui contestate ed in particolare nella relazione illustrativa, l'articolo 39 del decreto legge n. 98 del 2011 detta disposizioni volte a rafforzare le cause di incompatibilit dei giudici tributari e a incrementare la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari, e contabili ovvero tra gli Avvocati dello Stato, in servizio o a riposo, nonch a modificare correlativamente alcune disposizioni relative al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. In questo ambito la disposizione recata dal comma 4 mira a consentire, nel pi breve tempo possibile, la copertura di 960 posti vacanti. Ci nel- lintento di arginare le gravi inefficienze che potrebbero derivare dallimpossibilit di far funzionare i collegi giudicanti per carenza di personale giudicante dimessosi per incompatibilit sopravvenuta (cos, testualmente, nella relazione illustrativa). Con ulteriore specifico riferimento alle questioni qui in esame, nella relazione illustrativa si legge anche che lintendimento del Legislatore che si vuole raggiungere incrementando la presenza di magistrati ed avvocati dello Stato allinterno delle commissioni coincide con la necessit di rispondere allesigenza di ammodernare la composizione delle commissioni tributarie regionali, alla luce dellevoluzione del processo tributario dagli anni novanta ad oggi, che ha risentito del sempre maggiore tecnicismo della materia tributaria (). Orbene appare evidente, anche dalla lettura della relazione illustrativa al testo di legge in esame, che le previsioni normative censurate per un verso costituiscono prescrizioni urgenti ed eccezionali (da qui la loro presenza in un decreto legge) per sopperire a condizioni di estrema difficolt nelle quali versa la giustizia tributaria (non a caso il testo impone letteralmente e con marcata definitivit il periodo di indizione del concorso straordinario, entro due mesi dal 1 gennaio 2012) nonch, sotto altro versante, che la scelta del governo prima e del legislatore poi in sede di conversione, di attingere per tale reclutamento straordinario in alcune categorie tra quelle legittimate sin dal 1992 ad aspirare alla nomina di giudice tributario, si muove nel solco della duplice esigenza di rafforzare la caratteristica della terziet del giudice tributario, garantendo al tempo stesso quella ormai necessaria alta specializzazione nel settore. Indubbiamente tali caratteristiche corrispondono alla figura degli avvocati dello Stato che, pur se tecnicamente difensori della parte pubblica, garantiscono nello svolgimento delle loro funzioni una attivit tendenzialmente rivolta alla cura del pubblico interesse, piuttosto che compendiarsi in una difesa acritica delloperato dellAmministrazione. Con riguardo poi al livello di competenze nel settore, noto che gli avvocati dello Stato tendono a specializzarsi in discipline e ci accade anche per quella tributaria rispetto alla quale attualmente patrocinano dinanzi a tutte le Corti della giustizia tributaria per la difesa delle Amministrazioni finanziarie coinvolte nei contenziosi in materia, limitandosi soltanto a delegare talvolta (il che vuol dire che la titolarit della difesa tecnica si mantiene in capo allAvvocatura pubblica) ai funzionari dellAgenzia delle entrate la difesa giudiziale dellAmministrazione presso le commissioni di prima istanza, fermo restando che quando la natura o l'importanza delle questioni dibattute lo consiglino, lAmministrazione finanziaria pu sempre richiedere lintervento dellAvvocatura (distrettuale o generale), che poi in ogni caso necessario negli eventuali gradi successivi di giudizio. Peraltro lAvvocatura dello Stato assume la difesa delle Amministrazioni patrocinate sempre come istituzione (pur avendosi un affidamento personalizzato di ciascun affare, con garanzie interne che ne condizionano la revocabilit), gli avvocati e procuratori dello Stato sono forniti di mandato promanante direttamente dalla legge (art. 1 del regio decreto 30 ottobre 1933 n. 1611, recante il Testo unico sullAvvocatura dello Stato), che li abilita all'esercizio delle loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni sulla base della semplice contezza della loro qualit ed il patrocinio ha caratteri di esclusivit, non potendo esso essere sostituito dalle amministrazioni statali, e neanche dagli enti pubblici che se ne avvalgono (quando tale utilizzazione non sia meramente facoltativa), se non nei casi e nelle forme previste dalla legge. Lattivit degli avvocati e procuratori dello Stato assume quindi, indubbiamente, anche per le garanzie derivanti dalla riserva di legge che ne copre l'organizzazione e il funzionamento e per il principio di autonomia che ne informa la funzione nell'ambito dell'organizzazione complessiva dello Stato, una rilevanza istituzionale a livello di ordinamento generale, che non consente alcuna assimilazione con l'attivit di qualsiasi altra struttura organizzata per l'assistenza legale ad un determinato soggetto ovvero con gli avvocati professionisti che operano nel libero foro. D'altro canto va anche sottolineata la differenza tra lAvvocatura dello Stato e gli uffici legali costituiti presso enti pubblici nonch rispetto a quegli altri uffici (spesso denominati con sigle che si avvicinano, non coincidendo per le funzioni, a quelle pi proprie degli uffici legali composti da avvocati iscritti negli elenchi speciali presso i Consigli dellOrdine degli avvocati) che costituiscono mere articolazioni organizzative degli enti stessi, in nulla dissimili dalle altre strutture amministrative che ne assicurano il funzionamento, ed ai quali, nella ripartizione interna dei compiti, viene assegnato quello di curare pratiche legali della pi varia natura, per cui non sia richiesta obbligatoriamente assistenza legale, e di seguire i rapporti con i liberi professionisti o con lAvvocatura dello Stato, che dell'ente assumono la rappresentanza processuale e la difesa in giudizio, potendo saltuariamente essere delegati a rappresentare lente in giudizio specialmente quando non richiesto, per la parte processuale privata, lausilio di una difesa tecnica. In questo caso ci si trova, chiaramente, dinanzi a semplici uffici amministrativi (quali anche soggetti privati ad organizzazione complessa usano costituire) che non assumono le caratteristiche e non svolgono istituzionalmente ed esclusivamente la funzione di pa trocinare (in senso tecnico) lente nei giudizi nei quali coinvolto. Da quanto si sopra osservato discende che il plesso dellAvvocatura dello Stato connotato da peculiari caratteri di autonomia che lo rende istituzionalmente non confondibile con le amministrazioni patrocinate, sottolineandosi non da ultimo, quale significativa garanzia del ruolo svolto da quellIstituzione, lelevato prestigio professionale degli avvocati e procuratori che ne fanno parte, grazie anche ai rigorosi criteri di selezione. Appare nello stesso tempo evidente che non tutte le caratteristiche sopra rappresentate possono (legislativamente) rilevarsi nella categoria dei dipendenti dellAgenzia delle entrate n in quella dei professionisti del libero foro. 11. - Il legislatore nazionale, quindi, nella sua discrezionalit e responsabilit politiche, ha provveduto a ridefinire un'attivit e un'organizzazione, quale quella della giustizia tributaria, caratterizzandole in maniera diversa e pi rigorosa rispetto al passato, e ci attraverso previsioni che, in ragione di quanto si fin qui detto, non appaiono irragionevoli o idonei ad evidenziare una illogicit dei contenuti normativi rispetto agli obiettivi prefissati e chiaramente definiti nelle medesime norme qui oggetto di contestazione. Lo strumento prescelto dal legislatore nel caso in esame (e cio quello di limitare la partecipazione al concorso straordinario per la nomina di 960 giudici tributari ad alcune soltanto tra le categorie di tradizionali aspiranti) appare congruente e, nell'insieme, non palesemente irragionevole, tenuto conto delle gi accennate esigenze di accrescere il profilo di terziet del- lorgano giudicante nella materia del contenzioso tributario e di garantire una risposta efficace al profondo tecnicismo che ormai caratterizza la materia stessa. Il legislatore ha ritenuto che linserimento di nuovi giudici tributari selezionati tra magistrati dei tre plessi (ordinario, amministrativo e contabile) e tra gli appartenenti allAvvocatura dello Stato (avvocati e procuratori) possa costituire una efficace risposta alle esigenze sopradette che si sono manifestate in tutta la loro rilevanza negli ultimi anni, determinando un momento di serio impasse nel funzionamento della giustizia tributaria (al pari del resto di altri settori giudiziari che, proprio per le ridette ragioni, sono oggetto di incisivi interventi legislativi di riordino nel corso della presente Legislatura). Tali considerazioni, del resto, appaiono in linea con il costante pensiero espresso dalla Corte costituzionale che, in sede di interpretazione della portata della regola del concorso pubblico, ha sovente sottolineato come la facolt del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico aperto non pu essere esclusa in assoluto, seppur deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (cfr., ex plurimis, le sentenze 18 febbraio 2011 n. 52 e 4 giugno 2010 n. 195). Ad avviso del Collegio i suindicati parametri di compatibilit costituzionale sono stati rispettati dal legislatore nella redazione del testo di legge qui contestato dai ricorrenti, di talch esso non si palesa in manifesto contrasto con i principi desumibili dagli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonch dai connessi principi di diritto comunitario in tema di restrizioni allaccesso a posti di pubblico impiego o a cariche pubbliche. 12. In ragione delle suesposte considerazioni i ricorsi, per come riuniti, vanno respinti. Sussistono nondimeno i presupposti per compensare integralmente tra le parti costituite le spese di giudizio, ai sensi dellart. 92 c.p.c. come richiamato dallart. 26, comma 1, c.p.a., tenuto conto della peculiarit delle questioni sottese alle controversie qui decise. P.Q.M. pronunciando in via definitiva sui ricorsi indicati in epigrafe: 1) dispone la riunione del ricorso n. R.g. 10205 del 2011 al ricorso n. R.g. 8898 del 2011; 2) li respinge entrambi; 3) spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorit amministrativa. Cos deciso in Roma nella Camera di consiglio del 18 aprile 2012 con l'intervento dei magistrati: Luigi Tosti, Presidente Stefano Toschei, Consigliere, Estensore Silvia Martino, Consigliere DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 26/09/2012 PARTE II - 4. Tre scritti per riflettere... - 4.1. Dibattito parlamentare 19 giugno 1889 4.2. (segue) Stralcio di un saggio sullAvvocatura dello Stato e la sua storia - 4.3. (segue) Articolo pubblicato sul Sole24Ore. 4. Tre scritti per riflettere ... Tre scritti di epoca diversa spiegano come il tema degli onorari (dellecause vinte poste a carico delle controparti) si collega per gli avvocati delloStato ad un tema pi prezioso, quale quello della rappresentanza dello Stato in giudizio e, conseguentemente della cosiddetta gestione delle liti. Il primo documento il resoconto del dibattito parlamentare del 19 giugno 1889, nel quale il ministro del Tesoro, Giovanni Giolitti si opponeva allo stanziamento in bilancio delle somme (versate allErario dalle controparti soccombenti) da restituire agli avvocati a compenso della loro attivit. La Camera dei deputati, dopo un serrato dibattito, respingeva la proposta del ministro. Il secondo documento uno stralcio del saggio di presentazione dellAvvocatura dello Stato e della sua storia inserito nel volume La chiesa, la biblioteca Angelica e lAvvocatura Generale dello Stato - Il complesso di S. Agostino in Campo Marzio edito dallI.P.Z.S. nel 2009. Linteresse di questo richiamo ritorna ad Antonio Giolitti, che nel 1907 riprende, sotto altro profilo, largomento che lo aveva visto soccombente venti anni prima e modifica, smantellandolo, loriginario ordinamento dellavvocatura erariale (si chiamava cos ...). Gli avvocati diventano funzionarie la rappresentanza legale dello Stato passa in via esclusiva alle direzioni generali dei ministeri e/o comunque agli uffici burocratici. Lesito dellesperimento, sia sul piano funzio nale che economico, non dei pi felici ed il suo fedelissimo avv. Giovanni Villa, nominato Avvocato Generale, ritorna allantico nel 1913. Il terzo contributo un articolo del direttore della Rassegna apparso sul Sole 24 Ore nel mese di agosto, nel quale, rispetto alle riforme introdotte con il decreto legge n. 90/2014 dal Governo Renzi, cerca di ritrovare, nel dibattito in corso, un filo istituzionale che col generico richiamo allabolizione dei privilegi di casta sembra essersi perso ... g.f. 4.1. Dibattito parlamentare 19 giugno 1889. Atti Parlamenari - 2757 -Camera dei Deputati LEGISLATURA XVI 3a SESSIONE DISCUSSIONI 2 a TORNATA DEL 19 GIUGNO 1889 XCII 2a TORNATA DI MERCOLED 19 GIUGNO 1889 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BIANCHERI. SOMMARIO. = Seguitasi la discussione del bilancio del tesoro e prendono parte alla discussione i deputati Cavalletto, Cucchi Luigi, Ungaro, Ricci Vincenzo, Napodano, Spirito, Grimaldi, il relatore deputato Cadolini ed il ministro del tesoro - Sono approvati i capitoli e gli articoli del disegno di legge =... ... ... La seduta comincia alle 2,20 pomeridiane. loro carico nei giudizi sostenuti dalle avvo() cature erariali. Capitolo 137 bis. Quote dovute ai funzionari Dir brevemente le ragioni per le quali ho delle Avvocature erariali sulle somme versate creduto di presentare questa proposta. La Cadalle controparti per competenze di avvocati mera poi far quello che creder di fare. e procuratori poste a loro carico nei giudizi Intorno a cotesta questione ho ricevuto una sostenuti dalle Avvocature erariali e paga-quantit di memorie e di opuscoli, gran parte menti di spese gravanti le competenze mede-dei quali spero non provenga da funzionari sime (Spesa d'ordine). della avvocatura erariale, perch gli argo- La Commissione propone lo stanziamento di menti legali che vi si trovano, hanno un va110,000 lire. lore cos misero ch se da quei funzionari L'onorevole ministro ha facolt di parlare. provenissero mi farebbero dubitare molto del Giolitti, ministro del tesoro. Siccome la vantaggio che lo Stato pu ricavare dall'opera Commissione del bilancio ha espresso il de-loro. (Si ride). Ma spero e confido che non siderio che dicessi prima io l'avviso del Mi-vengano da quella parte. nistero, ho approfittato della facolt, datami La questione della legalit stata mossa da dal presidente, di parlare per abbreviare fino questo punto di vista. Si sostenuto cio che a un certo punto la questione. il regolamento del 16 gennaio 1876, il quale Il Ministero propone di incamerare a benefi-all'articolo 15 diede all'avvocatura erariale cio dello Stato quelle quote che finora i fun-questa partecipazione, avesse forza di legge. zionari delle avvocature erariali riscuotevano Ora a me baster citare due circostanze per sulle somme versate dalle controparti per dimostrare che quel regolamento non pu competenze di avvocati e procuratori poste a avere forza di legge. La prima una circostanza di fatto, perch quel regolamento per tuttoci che riguarda la misura degli stipendi, il numero delle avvocature erariali, il numero dei funzionari di ogni avvocatura stato modificato quasi ogni anno per semplice decreto reale e senza che s'invocasse la necessit di una legge. Tutte le volte adunque che si trattato di aumentare la spesa, non c' mai stato nessuno il quale abbia trovato che vi facesse ostacolo quel regolamento; la prima volta in cui si propone di diminuire la spesa, si sostiene che quel regolamento ha forza di legge. E lo si sostiene per questa ragioni, che l'articolo 7 della legge 28 novembre 1875 che istitu le avvocature erariali, dopo alcune disposizioni relative ad argomenti estranei alla presente questione, ordinava che il regolamento disporr per tuttoci che pu occorrere per l'attuazione della presente legge. Ora io osservo che quando una legge delega al potere esecutivo delle facolt che il potere esecutivo per se non avrebbe, allora l'atto compiuto dal potere esecutivo in virt del potere delegato una legge; ma quando non si fa altro che dire al Governo: voi farete un regolamento per provvedere all'esecuzione della legge, con questo si ricorda puramente e semplicemente quella facolt che il Governo ha dallo Statuto fondamentale del regno di provvedere per regolamento all'esecuzione delle leggi. In esecuzione del citato articolo 7 della legge del 1875 stato fatto il regolamento del 16 gennaio 1876, in cui era stabilita all'articolo 15 la distribuzione ai funzionari dell' avvocatura erariale delle somme per compenso d'avvocato ripetute dalla parte avversaria. Ho gi detto e ripeto che questo regolamento stato mutato quasi ogni anno, modificando gli stanziamenti di bilancio, ed accrescendo gli stipendi ed il numero dei funzionari. Mi parrebbe strano l'ammettere la tesi che questo documento sia legge quando si tratta di diminuire la spesa, e sia decreto quando si tratta di accrescerla. Sul punto della legalit, mi pare quindi che non vi possa essere contestazione. Ora a me pare che sarebbe fare ingiuria al corpo cos rispettabile dell'avvocatura erariale, le cui origini gloriose risalgono al compianto nostro collega Mantellini, che ricord l'onorevole Cavalletto, il supporre che questi avvocati erariali, se loro si toglie questa speciale retribuzione, invece di andare innanzi ai tribunali a dire delle ragioni buone ci vadano a dire delle ragioni cattive. Questa ingiuriosa ipotesi, messa innanzi in alcune di quelle memorie, delle quali ho parlato poco fa, la escludo in modo assoluto e considero la questione dal punto di vista della misura degli stipendi. Ora, se la Camera osserva la misura degli stipendi degli avvocati erariali, vedr che l'avvocato erariale trattato alla pari della magistratura. D'altra parte noto che questa partecipazione data in modo da compensare una parte sola del lavoro delle avvocature. Questi uffici hanno attribuzioni consultive che forse sostanzialmente sono le pi importanti, perch allo Stato interessa soprattutto di fare contratti i quali non diano luogo a liti. Tale parte di lavoro non ha compenso all'infuori dello stipendio. Nella parte della difesa delle cause poi succede questo fatto che nelle cause dove la ragione dello Stato evidente e quindi la difesa facile, l'avvocatura ripete le spese dalla parte contraria; nelle cause dubbie invece nelle quali pi difficile la difesa, per lo pi le spese si dichiarano compensate, e nulla percepisce l'avvocatura. Infine nel compenso di cui parliamo vi la massima disuguaglianza tra una avvocatura erariale e l'altra. Citer solo due cifre. Nell'esercizio 1887-88 l'avvocatura erariale di Milano ha avuto fra tutti i suoi funzionari 1924 lire, mentre l'avvocatura di Napoli ne ha avute 43,200. Cito queste due cifre per dimostrare che almeno il modo di riparto, come stato fatto finora assolutamente inammissibile. Di San Donato. Dipende dal numero degli affari. Giolitti, ministro del tesoro. Non dipende da ci. Di San Donato. E allora come lo spiegate? Giolitti, ministro del tesoro. Io constato il fatto, inutile ora andarne a ricercare la causa. Conchiudo dicendo che qui si tratta di una spesa di 110 mila lire che ho creduto, senza danno del servizio e senza illegalit, si potesse risparmiare. Detto questo ed esposte le ragioni per le quali ho creduto di dover proporre leconomia, me ne rimetto interamente alla Camera. Presidente. Ha facolt di parlare lonorevole Napodano. Napodano. Ringrazio l'onorevole ministro che ha voluto prevenire le osservazioni che intendevo di fare. Incomincier ringraziandolo dell'ultima sua dichiarazione, di rimettersene completamente alla Camera, la quale potr cos riguardare la questione con la massima imparzialit. Anzitutto, trattandosi di sole centodieci mila lire non mette il conto di spostare gli interessi... (Rumori). Se si trattasse di somme rilevanti, comprenderei l'interesse dell'erario, ma, per uno stanziamento cosi tenue, pu benissimo la Camera passarci sopra. Vengo ora al doppio ordine di considerazioni svolte dall'onorevole ministro: illegalit e convenienza. Qnanto alla illegalit, io non posso sotto scrivere all'opinione sua che il regolamento del 15 giugno 1876, che fu emesso in virt dei poteri delegati dalla Camera al Governo, per l'ordinamento delle avvocature erariali, possa considerarsi come un atto governativo da potersi modificare con un semplice atto del potere esecutivo. Questo regolamento il fondamento dell'ordinarnento delle avvocature erariali; le quali sorsero e crebbero sotto l'impero di esso. Coloro i quali hanno fatto concorsi, esami per entrare nell'avvocatura erariale, fecero assegnamento sulla disposizione del regolamento stesso secondo la quale potevano partecipare ai proventi delle cause che riuscissero a vincere. Quindi non credo che, con un semplice provvedimento del bilancio, si possa derogare legalmente a quello che fu organicamente costituito, a quello su cui i fanzionari delle avvocature erariali fecero assegnamento, a quello che ha ricevuto la consacrazione del- l'uso. Alla questione di legalit, pare a me per che sia superiore la questione di convenienza, e dir anche la questione d'interesse pubblico. Io comprendo che non si possa fare agli avvocati erariali il torto di pensare che, ove sia accettata la proposta del ministro, essi sostituiscano alle buone le cattive ragioni. Ma l'onorevole ministro deve considerare che gli avvocati erariali difendono tutte le cause nel- l'interesse delle pubbliche amministrazioni, e che solamente per le cause che vincono possono partecipare ai compensi che si riscuotono dai soccombenti: mentre per le cause che perdono (e credo che forse potranno essere il maggior numero) essi perdono il lavoro insieme alla causa. L'onorevole ministro ha ricordato la maniera con la quale segue la ripartizione di questi compensi, ed ha notato come questi ascendano a una cifra minima a Milano, e ad una somma abbastanza cospicua a Napoli. Ma questo, a mio credere, non sta a prova della ineguaglianza della distribuzione della somma; sta invece a provare che il numero delle cause trattate e vinte a Napoli superiore a quello delle cause trattate e vinte a Milano; e basta questo doppio coefficiente a spiegare la diversit delle cifre citate dal- lonorevole ministro. L'onorevole ministro ha poi notato che lAvvocatura erariale, a parit, di condizioni, trattata assai meglio dell'ordine giudiziario. Ma se questa asserzione vale a dimostrare che i magistrati sono malissimo retribuiti, non vale per indurne la conseguenza che sia necessario pagar male anche gli avvocati erariali. Se fosse presente l'onorevole guardasigilli, potrei ricordargli le dichiarazioni da lui ripetutamente fatte in sede conveniente di bilancio a tutti quelli che presero parte a quella discussione, e notarono la troppo umile retribuzione concessa ai funzionari dell'ordine giudiziario: e infatti gli sforzi dell'illustre guardasigilli, coi disegni di legge che sono gi innanzi alla Camera, mirano precisamente a portare una riforma alla circoscrizione giudiziaria, per migliorare la condizione economica dei magiatrati. Ma da questo, onorevole ministro, non pu derivare, ripeto, la conseguenza che bisogni togliere questo compenso che godono gli avvocati erariali. Io non dico gi che questi compensi siano la ragione assoluta che li spinga a lavorare bene, con rettitudine, con alacrit, perch, indubbiamente, in Italia vi troppa onest nei pubblici funzionari, per supporre che essi vogliano proporzionare alla retribuzione il modo col quale debbono attendere all'adempimento dei loro doveri. Ma pur vero per che quei proventi costituiscono un compenso per certe cause abbastanza gravi per le quali non basta il tempo di ufficio, e per le quali l'avvocato erariale, per istudiarle, ha bisogno di un lavoro indefesso, accurato, indipendente da quello a cui sarebbe tenuto per ragione di orario. Inoltre diciamo le cose come sono. Se togliete la speranza di maggior guadagno, toglierete maggiore stimolo all'azione umana, in fatto di lavoro, perch il lavoro stesso sia compiuto nel modo migliore. E per, onorevole ministro e onorevoli colleghi della Camera, senza dilungarmi pi oltre vorrei che teneste conto delleco che questa questione ha sollevato anche in alcuni corpi importanti dell'avvocatura: perch gi parecchi Consigli dell'ordine degli avvocati, come quello di Roma, quello di Napoli ed altri, han fatto voti affinch gli avvocati erariali, assimilati ad ogni altra avvocatura libera, possano conservare questo emolumento che rappresenta il frutto dei loro lavori professionali. Presidente. Ha facolta di parlare lonorevole Spirito. Spirito. Io mi associo alle considerazioui del- l'onorevole Napodano; e quindi aggiunger poche parole soltanto. Anzitutto dir che sono convinto che la instituzione dell'avvocatura erariale abbia gi, portatato importanti beneficii alle pubbliche amministrazioni, e che potr portarne anche maggiori. E dico ci perch mi pare che la proposta che il Ministero ora ha quasi abbandorata, piccola in apparenza, potrebbe avere in realt una portata assai pi grave, inquantoch colpirebbe al vivo l'istituzione stessa. Essa stata concepita a questo modo: lo avvocato erariale non un impiegato, n un magistrato, n un avvocato; ma ad un tempo impiegato, magistrato ed avvocato. E soprattutto egli non ha spezzato i suoi legami col foro: locch dovuto appunto a quella disposizione per in quale 1'avvocato erariale ha diritto a prendere egli il compenso cui condannata la parte soccombente. Sopprimete questo, e l'avvocato erariale diventer assolutarnente un impiegato dello Stato e voi avrete mutato i cardini della istituzione. Non gi che, mancando la prospettiva di quel piccolo utile, debba in tutto venir meno lo zelo degli avvocati erariali. No; sarebbe un'esagerazione; nelle avvocature erariali sono uomini di valore e di cuore, i quali continuerebbero a compiere onestamente il loro dovere. Ma luomo mestieri prenderlo quale : quel piccolo interesse personale acuisce l'ingegno e lo zelo dell'avvocato erariale. Non dimentichiamo un precedente storico. Noi avemmo per alcuni anni la istituzione dell'avvocato dei poveri, il quale non era che uno stipendiato dello Stato. Ebbene, quella istituzione and di mano in mano cadendo e poi si dov sopprimerla, ch quegli avvocati non avevano il prestigio del magistrato, n potevano gareggiare con l'avvocatura libera. Invece l'avvocatura erariale gareggia di prestigio e di valore con gli avvocati liberi che invece di esserne gelosi, hanno nobilmente fatto manifestazioni favorevoli alla tesi che noi sosteniamo. lo non entro nella questione legale di vedere se il Governo possa o no ritenere per s i compensi che pagano le parti soccombenti. Credo anzi che lo potrebbe; poich il regolamento del gennaio 1876 non parmi che abbia carattere legislativo. Ma io domando: conveniente, opportuno, o non forse molto pericolosa la proposta ministeriale. Il ministro dice che questi benefici non si dividono equamente. Io tengo alla precisione del linguaggio: questi utili non si dividono egualmente ma equamente. La equit sta appunto nella disuguaglianza, la quale soltanto formale, perch colui che ha meno quegli che meno ha lavorato ed a cui meno ha arriso la vittoria. Ed quindi giusto che egli abbia meno, e che abbia di pi chi pi ha lavorato e chi ha ottenuto maggiori vittorie, con grande vantaggio della pubblica finanza. Tolto quindi di mezzo il dubbio di una qualsiasi ingiustizia nella distribuzione degli utili, non so vedere perch di straforo, in un articolo del bilancio, noi dovremo portare un colpo cos grave ad una istituzione che non da oggi soltanto, ma da lungo tempo io credo utile al paese. Sono gi parecchi anni che nella qualit di consigliere del municipio di Napoli, feci la proposta di un'avvocatura municipale sul medesimo tipo dell'avvocatura erariale. Nel mio concetto era anzi prevalente il criterio di cointeressare quegli avvocati alle cause municipali, dando ad essi i compensi da pagarsi dalle parti soccombenti. N dica, onorevole ministro, che v' incoerenza nel fatto che il lavoro consultivo dell'avvocato erariale, che forse pi importante del lavoro propriamente giudiziario, non ha alcuna retribuzione speciale. Ma chi dovrebbe darla questa retribuzione? Lo Stato; ma lo Stato d lo stipendio per quell'opera n vi bisogno di retribuzione speciale. Invece giusto e conveniente che l'avvocato erariale abbia una retribuzione speciale, quando con lopera sua ha assicurato la vittoria della causa. Ora, trovando io logica ed equa questa disposizione, mi parebbe pericolosa la soppressione di essa. Ed per ci che, ringraziando lonorevole ministro della dichiarazione fatta di non insistere nella sua idea e rimettersene alla decisione della Camera, prego vivamente gli onorevoli colleghi di accettare la proposta della Commissione di ripristinare lo stanziamento di 110,000 lire. Presidente. Ha facolt di parlare lonorevole Grimandi. Grimaldi. Dopo la proposta della Commissione generale del bilancio di reintegrare le 110,000 lire sul capitolo in questione, e dopo che in argomento hanno parlato gli onorevoli Napodano e Spirito, a me non resta se non riepilogare brevemente la discussione, inquantoch il mio parere perfettamente conforme a quello espresso da essi or ora alla Camera. E perch la Camera intenda la questione nei suoi veri termini mi permetto di ricordare come del resto ha gi fatto la Commissione, che questa somma ha la contropartita nel bilancio dellentrata, e che si tratta delle competenze attribuite ai funzionari dellavvocatura erariale sulle somme versate dalle parti soccombenti, per competenze poste a loro carico nei giudizi sostenuti dagli avvocati erariali, e pagamenti di spese gravanti le competene medesime. Io non tratto la questione legalit, sulla qule si versato lonorevole ministro del tesoro, che con equanimit ha finito col rimetteresi al giudizio della Camera. Non entro nella questione della legalit, non posso per fare a meno di notare una circostanza che certo ha dovuto fare impressione nellanimo dellonorevole ministro: e la circostanza la seguente. Lavvocatura erariale sorse dietro la legge del 1875 ed governata dalla legge medesima, e dal regolamento del 1876. Sia che si possa, sia che non si possa in sede di bilancio mutare ci che nel regolamento stato detto; sia che si dia o no a questo regolamento il carattere legislativo; certo che questa istituzione nata con la sicurezza di avere da una parte lo stipendio, dallaltra le competenze in questione. Ora in forza appunto di questo duplice vantaggio, molti giovani del foro e della magistratura passarono allavvocatura erariale, la quale, secondo le disposizioni finora vigenti, loro assicurava questa duplice natura di assegno: sicch a me pare che vi sia un certo diritto acquisito. Certamente questo pu essere mutato con unaltra legge, se al ministro parr di dare una diversa base a questa istituzione; ma senza questa legge e nello stato delle cose pi opportuno, e pi prudente, e pi conveninete consiglio lasciare le cose come sono. N mi impone la circostanza della non equa ripartizione di questa somma. Come dice il ministro; n voglio entrare nei criteri con cui viene essa fatta, noti allonorevole ministro pi che a me. Certo , che la differenza tra una Avvocatura erariale e laltra nascono, come ben disse lonorevole Napodano, dalla quantit delle cause che si trattano in ciascuna di esse, e dal numero delle vittorie riportate; perch queste competenze sono il risutato delle spese dei compensi che pagano le parti soccombenti. Credo anchio che gli avvocati erariali non abbiano bisogno di questo stimolo per compiere il loro dovere, e che lo compiono con zelo e premura lodevole; ma innegabile che la posizione degli avvocati erariali, mentre da una parte uguale a quella di tutti gli altri funzionari dello Stato, dallaltra soggetta a maggior fatica e maggior cura che li accomuna alla libera professione forense. E sul proposito dico che torner gradito certamente allonorevole ministro il fatto che una istituzione da lui dipendente abbia avuto il suffragio di tre curie nobilissime, quali sono Roma, Palermo e Napoli, nelle quali citt i Consigli dellOrdine si sono riuniti per pregare il ministro e la Camera di lascire queste competenze, oltre gli stipendi agli avvocati erariali, con cui giornalmente lottano nella palestra forense. Onorevoli colleghi, se vՏ da modificare la ripartizione, se vՏ da modificare listituzione, facciamolo; ma facciamolo guardando il problema in tutte le sue parti, non in una parte sola, quale quella delle quote di competenze. Cerchiamo di vedere se questo sistema sia utile; e nel caso che non sia utile, vediamo di aumetare gli stipendi, come lo stesso ministro pensa; ma ad ogni modo risolviamo il problema interamente e non parzialmente, come faremmo elimando lo stanziamento proposto nel capitolo, del quale discutiamo. Una ultima parola mi sia concessa. Io, sempre, e dai banchi del Governo e sui banchi di deputato, ho sostenuto la istituzione dellAvvocautra erarile, e la sosterr. Prego la Camera di voler considerare una cosa sola Se non vi fosse questa istituzione, composta di persone che hanno per compito di difendere contro tutti e sempre gli interessi dello Stato pensi la Camera a che conseguenze si andrebbe incontro. Vi sono nei bilanci dello Stato parecchi milioni; ed un ministro del tesoro non avendo quella istituzione, avrebbe bisogno di ricorrere agli avvocati liberi. Quali potrebbero essere gli effetti di questo sistema, io, avvocato, non lo dico; lo lascio alle considerazioni della Camera. Non veniamo dunque a colpire una istituzione, che proficua e soprattutto onesta. (Bene!) Presidente. Ha facolt di parlare l'onorevole ministro del tesoro. Giolitti, ministro del tesoro. Ringrazio gli onorevole Spirito, Napodano e Grimaldi di avere riconosciuto che nella proposta del Governo non c'era nulla che offendesse disposizioni di legge. Questo il punto a cui tengo di pi, perch l'accusa di aver fatto una proposta contraria alla legge mi sarebbe rincresciuta. Quanto al merito della questione io non ho nulla da ripetere. Voglio solamente dichiarare che non era nelle mie intenzioni, quando proposi di sopprimere codesto assegno di recare la menoma offesa ad una istituzione che altamente apprezzo, e alla quale appartengono carissimi amici miei. Dichiarato questo, non ho nulla da soggiungere senonch la Camera faccia quello che crede, per parte mia non prender neppure parte al voto. Se la Camera sopprimer lo stanziamento tutto sar finito; se lo lascer dichiaro che sar necessario qualche provvedimento affinch quel provento sia ripartito con criteri pi uniformi. Presidente Ha facolt di parlare l'onorevole Cavalletto. Cavalletto. Dopo il discorso irrefutabile del- l'onorevole Grimaldi, al quale mi associo pienamente, e dopo le promesse dell'onorevole ministro di studiare l'argomento, io credo che si possa andare ai voti approvando lo stanziamento di 110,000 lire proposto dalla Commissione. Presidente. Onorevole relatore, Ella deve riferire intorno ad una petizione, mi pare. Cadolini, relatore. Faccio notare all'onorevole presidente che nella relazione stata menzionata la petizione del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma. E se non ho creduto necessario di esporre gli argomenti in essa contenuti, si perch in conclusione sono sempre le ragioni esposte a nome della maggioranza della Giunta; e siccome questa presenta una proposta conforme ai voti del Consiglio dell'ordine degli avvocati, cos non occorre fare un maggior svolgimento delle idee contenute nella petizione. Presidente. Come dunque la Camera ha udito, al capitolo 137bis il Governo aveva proposto di sopprimere lo stanziamento degli anni scorsi: la Commissione invece lo ha riproposto, o l'onorevole ministro ha dichiarato di rimettersene alla deliberazione della Camera. Io dunque pongo a partito lo stanziamento proposto dalla Commissione al capitolo 137bis in lire 110,000. Coloro che lo approvano vogliano alzarsi. (Dopo prova e controprova la Camera op- prova lo stanziamento proposto dalla Commissione al capitolo 137bis). 4.2. (segue) Stralcio di un saggio sullAvvocatura dello Stato e la sua storia (*). Pur tuttavia gli anni del Giolittismo e dei nuovi interessi emergenti nel- l'Italia di fine secolo non sono facili per l'Avvocatura Erariale: l'interesse pubblico generale si disperde, le potenzialit espansive dell'Istituto creato dalla Destra Storica si imbattono in un'articolazione della macchina statale che diventa sempre pi complessa e tende a regolarsi secondo schemi autoreferenziali. Ed in questo clima che matura un'aspra polemica tra gli avvocati generali erariali e il mondo politico amministrativo degli inizi del secolo, polemica che culminer con le dimissioni nel 1913 di Adriano De Cupis, l'ultimo avvocato generale erariale espressione dell'oligarchia creata dal Mantellini (24). (*) DaLAvvocatura dello Stato: una sfida culturale aperta, GIUSEPPE FIENGO e PAOLO GENTILI, in La chiesa, la biblioteca Angelica e lAvvocaura Generale dello Stato - Il complesso di S.Agostino in Campo Marzio, Roma, I.P.Z.S., 2009. (24) Le fonti su questa vicenda restano alquanto sibilline. La nota biografica di Adriano De Cupis in L'Avvocatura dello Stato, Roma, I.P.Z.S., 1976, p. 558, recita: "... Giuspubblicista di notevole valore (di lui basti ricordare la fondamentale opera sulla Contabilit di Stato, che costitu la prima trattazione sistematica della materia), profondo conoscitore della Pubblica Amministrazione, si impegn durante i nove anni in cui resse l'Istituto nel suo perfezionamento e potenziamento, forte anche della nomina a Senatore conferitagli nel 1905. La legge 14 luglio 1907, n. 485 sul riordinamento dell'Avvocatura ed i Un chiarimento su queste dimissioni traspare direttamente dai dati normativi e dalla curiosa vicenda dell'endiadi "rappresentanza e difesa". La legge 4 luglio 1907 n. 485, coeva alla legge 7 luglio 1907 n. 42, che sottraeva all'Avvocatura Erariale gran parte delle controversie delle Ferrovie dello Stato, segna infatti un durissimo attacco del Parlamento all'Istituto e alla sua formula mantelliniana: scompare ogni accenno alla rappresentanza, sostituito dall'endiadi "la difesa delle cause e le consultazioni legali nell'interesse dello Stato"; si estende la possibilit delle amministrazioni attive di derogare alla difesa dell'Avvocatura Erariale; l'intero regolamento del 16 gennaio 1876 viene esplicitamente abrogato (25). E, tanto per far capire che da una parte pendeva il potere, si stabilisce che "i funzionari" dell'Avvocatura Erariale dovessero essere assunti per concorso. La rappresentanza, espunta dalla legge, ricompare - dopo la nomina di Villa, un fedelissimo di Giolitti, ad avvocato generale - nella stessa formulazione mantelliniana, nel regolamento per l'esecuzione del testo unico delle leggi sulla regia avvocatura approvato con R.D. 24 novembre 1913 (art. 1) in connessione con la previsione legislativa di una riserva di deliberazione del Consiglio dei Ministri per dar la stura alla possibilit per le amministrazioni attive di nominare e comunque utilizzare direttamente avvocati del libero foro. Solo in epoca fascista la rappresentanza riacquista pari dignit della difesa nel testo unico emanato con R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, in gran parte tuttora vigente, laddove (art. 1) si stabilisce che "la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato, anche se organizzate in ordinamento autonomo, spettano all'Avvocatura dello Stato ". E in effetti il vigente Testo Unico del 1933, emanato allo scopo di coordinare la normativa preesistente con le regole del foro dello Stato (abolizione dei delegati erariali) e con quelle della rappresentanza e difesa dell'Amministrazione autonoma delle Ferrovie dello Stato, segna storicamente un momento di razionalizzazione e di reviviscenza dell'ordinamento Mantellini, nel senso che vi una chiara tendenza del legislatore a ribadire quei principi in parte di- successivi provvedimenti legislativi 22 giugno 1913, n. 679 e 24 novembre 1913 n. 1303 e 1304 furono frutto della sua opera e della convinta determinazione con cui affront - da vero grand commis dello Stato - ogni difficolt, senza arretrare nemmeno dinanzi alla risorsa ultima delle dimissioni". L'indirizzo di saluto rivolto da Adriano De Cupis ai colleghi al momento di lasciare l'incarico nel gennaio del 1913 reca nel primo capoverso alcuni cenni a un profondo disagio: "Non per superbire (voi mi conoscete) ma per legittima protestazione dico, con la franchezza di sicura coscienza, che all'alto e difficile ufficio io non mancai, nulla avendo trascurato di quanto della grandezza e dignit degli Uffici e del grado che vi tenni poteva essere richiesto; ultima prova di ci (poich voi ne sapete la ragione) il dipartirmi da voi...". (25) Del regolamento 16 gennaio 1876 restano in vita solo poche disposizioni, tra le quali l'art. 8, il cui tenore, avulso dall'organico testo originario, finisce per giustificare quell'interpretazione giurisprudenziale che si era andata consolidando sulla vigenza delle tabelle organiche del 1965 e sulla spettanza agli organi di amministrazione attiva della rappresentanza processuale. spersi dalla giurisprudenza e dagli atti normativi dell'inizio del secolo. L'accorpamento in un unico articolo della formula sulla rappresentanza e difesa con il principio, stabilito al secondo comma dell'art. 1 che "gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni, in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale bastando che consti la loro qualit", mostra chiaramente la volont di incentrare nell'organo tecnico di difesa (che assume ora il nome di Avvocatura dello Stato) tutti i poteri di rappresentanza e di patrocinio anteriormente distinti tra difensore e amministrazione . 4.3. (segue) Articolo pubblicato sul Sole24Ore (*). C' largo consenso all'idea del presidente Renzi che le amministrazioni pubbliche italiane, confusionarie e costose rispetto al contesto europeo, abbiano bisogno di una buona sfoltita. Tuttavia la fretta e, forse, la scarsa conoscenza dei temi da trattare creano problemi che rischiano di mettere in discussione le basi su cui si fondano le democrazie liberali. Al riguardo noto che uno dei princpi giuridici, posti agli albori del- l'Unificazione del Regno d'Italia, fu quello che lo Stato (e il re), chiamati davanti a un giudice per risolvere una questione civile o criminale, dovessero comunque e sempre "affrontarsi con i privati ad armi pari": era ostico far capire alla nascente borghesia come un giudice, nominato, promosso e pagato dal re, potesse senza apprensione dargli torto. Fu cos che fu sancita la regola che davanti ai tribunali le amministrazioni pubbliche non potessero presentarsi direttamente con i propri funzionari, ma dovessero sempre agire, come il privato cittadino, con l'intermediazione di un avvocato. Questa regola di civilt non fu estesa, per ragioni di controllo sociale, alle questioni criminali, laddove lo Stato continuava a svolgere istituzionalmente il duplice ruolo di accusatore e giudice. Nondimeno gli avvocati, pubblici e privati, divennero i garanti di un sistema che assicurava ai giudizi civili, sulle tasse e sulle eredit, trasparenza e oggettivit. Un ulteriore passaggio, finalizzato a spogliare il potere esecutivo dalla "gestione delle liti", fu l'istituzione, per le cause dell'amministrazione centrale, dell'Avvocatura dello Stato, una sorta di General Attorney, di nomina non politica, che cumulava l'esclusiva della difesa in giudizio con la responsabilit propria dell'avvocato. I provvedimenti sull'Avvocatura dello Stato, inseriti nel decreto legge sulla Pa 90/2014, convertito in legge, sembrano dimenticare il tema, che resta importante. Le disposizioni proposte dal Governo tendono ad eliminare la particolare prerogativa della difesa dello Stato in giudizio, riconducendo il ruolo degli avvocati dello Stato a quello di semplici dipendenti pubblici. E poich (*) Il Sole24Ore - Commenti & Inchieste, 12 agosto 2014, Regole di civilt nella difesa dello Stato, GIUSEPPE FIENGO. evidenti ragioni di spesa non consentono gli affidamenti della difesa e di consulenze ai migliori (e non raccomandati) avvocati del Foro Libero, si finisce inevitabilmente per tornare a una situazione "di difesa diretta" da parte degli uffici interni, che si riteneva eliminata in Italia, come in Europa, con la legge abolitiva del contenzioso amministrativo del 1865. Questa scelta "non dichiarata" del Governo interrompe un sistema consolidato che, almeno per le cause in cui parte un'amministrazione statale, aveva una sua logica, una funzionalit e costi contenuti. C'erano aspetti critici, ma l'idea che si ricava quella di una scarsa consapevolezza della posta in gioco, per cui, nell'intenzione di accorpare funzioni e stipendi, si finisce per "gettare l'acqua sporca con tutto il bambino". Il punto di arrivo - che con le innovazioni introdotte dal Governo destinato a valere anche nei giudizi civili ed amministrativi - davanti agli occhi di tutti: nei giudizi penali la difesa diretta conserva l'iniqua identificazione dei ruoli tra l'accusatore e il giudice e cos la giustizia penale, sul piano pratico dell'efficienza e linearit, non funziona: credo che l'Italia sia uno dei pochi Paesi al mondo nel quale un imputato di un grave reato possa essere assolto, dopo lunghi anni di processo e tante udienze, senza che il giudice provveda al rimborso delle spese legali, che l'azione intentata ha ingiustamente provocato. Vale ancora il vecchio principio che "il Re non ha mai torto.". Un risultato analogo rischia di profilarsi nei giudizi civili con la partecipazione diretta di funzionari amministrativi e/o con l'affidamento delle cause a legali scelti "fiduciariamente" dalle direzioni generali. La professionalit e la deontologia di un avvocato non sono facilmente surrogabili; le amministrazioni sono funzionalmente strutturate in modo da massimizzare il loro interesse di settore e spesso mancano di una visione generale dei problemi. Se questo l'effetto dei provvedimenti in corso di adozione, al di l di facili battute sugli stipendi elevati degli avvocati dello Stato, sembra chiaro che, su temi cos importanti, che attengono alle garanzie fondamentali dei cittadini nei confronti dello Stato, sia necessario un momento di riflessione per conoscere l'obiettivo dell'azione del Governo: in quali mani vanno a finire la rappresentanza e la difesa dello Stato nei giudizi civili e amministrativi? PARTE III - 5. Testimonianze a caldo di due avvocati dello Stato: Giuseppe dellAira, Dal Leopoldo alla Leopolda: ovvero, linvoluzione acritica della scuola giuridica fiorentina -(segue) Salvatore Faraci, Due e-mail di un avvocato dello Stato. GIUSEPPE DELLAIRA Dal Leopoldo alla Leopolda: ovvero, linvoluzione acritica della scuola giuridica fiorentina (*) SOMMARIO: 1. LAvvocato dello Stato e la sua indipendenza - 2. Le origini storiche del- lIstituto e lintuizione di Pietro Leopoldo di Toscana: solo il tiranno non ha bisogno di un Avvocato. DallAvvocatura regia allAvvocatura erariale - 3. Il ruolo professionale e la retribuzione. Magistrati, ministeriali ed incentivazione - 4 . Chi si onerer in concreto dei costi delloperazione: un risparmio che solo di facciata - 5. Le informazioni che mancano alla pubblica opinione sul- lincomparabile carico dellintera categoria - 6. Il dubbio sugli obiettivi reali: cui prodest? 1. LAvvocato dello Stato e il suo patrocinio indipendente. Quando, nel corso di una Conferenza stampa in streaming, lattuale Presidente del Consiglio, anticipando quanto non ancora di pubblico dominio neanche mentre scrivo (anzi, le notizie diffuse su internet erano di ben altro tenore), ha ridacchiato compiaciuto sullo zero - mostrato ai cronisti che vedeva contenti perch vogliosi del sangue altrui (ma restii a donare il proprio!) - pari allonorario di chi, da un secolo e mezzo, si danna per sanare i danni di legislatori spesso inadeguati, mi ha colto un irriverente, ma incontenibile, senso di sconcerto. Il lettore penser allisterica contestazione dellappartenente ad una casta privilegiata e irredimibile. Ma devo deluderlo. Si trattava di reazione istintiva al semplicismo con cui chi dovrebbe applicare i fondamenti della democrazia, specie quando si avventura in riforme epocali, affronta un delicatissimo momento storico, indulgendo in verbosi e populistici proclami. Parlare qui di giacobinismo suonerebbe quasi offensivo per lirripetibile fucina di uguaglianza che comunque fu, nel bene e nel male, la rivoluzione francese. Ma il richiamo pu giovare, perch nel messaggio plurisecolare di quegli eventi ancora oggi dato cogliere la centralit del pubblico interesse, e la strumentalit a quellobiettivo di ogni altra misura, pi o meno utile che fosse alla conquista del consenso delle masse. Invero, cos dovrebbe essere per tutte le decisioni e le scelte dellAmministratore, che solo al benessere dei cittadini, non al loro disinformato consenso, dovrebbe mirare. Ed invece, ci che quotidianamente constatiamo dimostra tutti gli anni luce che ci separano da quelle essenziali regole di condotta. (*) Sulla pubblicazione del saggio si rimanda alle considerazioni in premessa. Ciascuno dei tanti, compiaciuti sostenitori del vecchio adagio su feste, farina e forca, con indifferenza sembra oggi accantonare le regole dello Stato democratico, ignorando la storia e talvolta offendendo con irriverenza chi, dopo anni di studio e notti insonni, ha sacrificato svago e affetti allidea, ormai peregrina, di contribuire al meglio nella realizzazione degli interessi dellAmministrazione pubblica, ovvero della collettivit intera. Probabilmente una dimensione municipale degli orizzonti non contribuisce a chiarire che lapertura alle auto dei diversamente abili degli accessi alle Z.T.L. costituisca garanzia di un fondamentale interesse generale, non certo immotivato privilegio per chi dispone della deroga, salvo che la coscienza non rimorda sui criteri che hanno guidato il rilascio dei permessi. E nella stessa dimensione pu apparire problematica la percezione della differenza tra il vincolo di immedesimazione organica, che lega un Avvocato dello Stato alla Presidenza del Consiglio, e quello, pi intenso e diretto, che dal Vertice politico di un Ente viene imposto al Dirigente, incaricato, con riserva di spoil system, di guidare lUfficio legale dello stesso Ente (o peggio per i nepotismi pi impensabili viene assegnato a quellattivit contenziosa). Non intendo mettere in dubbio la professionalit e lindipendenza di nessuno. Ma certo che a caratterizzare il ruolo del difensore di una parte pubblica dovrebbe sempre essere lincondizionata autonomia di chi lo svolge, perch chiamato non a tutelare lAmministratore, ma lAmministrazione, e cos i pubblici interessi di cui per definizione tenuta a farsi portatrice. Un Avvocato che, per organizzazione e carriera, contrappone la sua totale autonomia operativa al Capo dellesecutivo larchetipo dello Stato di diritto, principio ancora oggi garantito dalla parit, davanti al Giudice terzo, tra titolare dellinteresse qualificato, e Amministrazione, che quellinteresse pu pretendere di sacrificare solo operando in conformit alla legge. Sembra tuttavia che simili criteri, propri del nostro sistema, ma anche di quello che lEuropa vuole realizzare, non dissuadano dal proposito di sopprimere il Giudice degli interessi, solo perch ha osato annullare provvedimenti dei Sindaci. E non convincano, invece, della necessit, a tutela della generalit, che piuttosto siano proprio quei Sindaci ad impegnarsi per adottare provvedimenti quanto pi possibile legittimi (ovvero conformi alle regole imposte dal diritto vigente in una societ democratica!). 2. Le origini storiche dellIstituto e lintuizione di Pietro Leopoldo di Toscana: solo il tiranno non ha bisogno di un Avvocato. DallAvvocatura regia della Toscana allAvvocatura erariale dellunificazione. Fin qui alcuni dei principi fondanti della democrazia. Quanto alla storia, se anche in questo campo qualcuno avesse tempo e voglia di addentrarsi, potrebbe facilmente constatare che lidea di un corpo unico di difensori pubblici si debba - nientemeno - allilluminato governo di Pietro Leopoldo di Toscana ( il primo sintomo delle singolari coincidenze astrali che convergono sulla sorte degli avvocati pubblici), il cui lungimirante (per lepoca) concetto di organizzazione democratica si esprimeva gi nella considerazione che solo i tiranni non hanno bisogno di un avvocato (cui oggi lecito aggiungere laggettivazione libero). Invero, in quella felice regione italiana era attivo, addirittura gi nel 1282, un Archivio delle Riformazioni della Toscana, cui veniva richiesto ogni parere sulle controversie giurisdizionali, e che si ergeva a massimo tutore delle prerogative sovrane. Ai tempi della Repubblica fiorentina (siamo alla met del XVI secolo) di tale organo furono celebratissimi segretari Niccol Machiavelli e Donato Gian- notti, nonch, nei secoli a venire, altrettante illustri personalit, fino allistituzione, ad opera di Pietro Leopoldo e con motuproprio del 27 maggio 1787, di unAvvocatura regia. Lufficio, temporaneamente soppresso dal Governo francese, fu significativamente ripristinato gi nel 1814, e mantenne le sue prerogative fino a quando il titolare della funzione, grazie alle leggi del neonato Stato Nazionale, mut la sua denominazione da Avvocato regio della Toscana a primo Avvocato Erariale del Regno. Ebbene, Pietro Leopoldo aveva istituito lAvvocatura regia perch le cause del Fisco, della regalia e del patrimonio regio fossero trattate e difese con puro spirito di verit e di giustizia, n linteresse del Fisco mai prevalesse alla ragione dei privati. Per questa illuminata ragione aveva affidato allAvvocato regio il compito esclusivo di promuovere o sopire le liti, e di patrocinare le cause dello Stato, non solo davanti al Magistrato supremo di Firenze, ma anche in ogni altro Tribunale, davanti al quale era abilitato ad avvalersi di delegati residenti, chiamati ad agire secondo le sue istruzioni. Nessuna lite cio poteva iniziarsi se non consigliata dallAvvocato regio, cos come nessuna transazione poteva concludersi senza il suo assenso, essendo quellAvvocato il consulente primo dellAmministrazione, oltre che il vero e unico dirigente addetto al contenzioso e al consultivo. Risale invece al 1862 la costituzione delle prime Direzioni del contenzioso finanziario del Regno, inizialmente modellate sullinefficiente sistema borbonico, proprio delle Agenzie del contenzioso, le quali si limitavano a distribuire a liberi avvocati i patrocini delle liti dellAmministrazione. Continua per ad essere sintomaticamente rilevante che sin dal 1866 alcune Direzioni, compresa, nel 1870, la Direzione di Roma, si accorparono a quella di Firenze (ancora!); e fu per via delle radicali innovazioni sul contenzioso pubblico, introdotte dalle note ed ancor oggi basilari leggi del 1865, che al Direttore di Firenze venne conferita per la prima volta la qualifica di Generale. Questi, nonostante fiorentino, nelle sue relazioni annuali di nullaltro per si doleva se non della noncuranza per quelle funzioni mostrata dallItalia unificata. Anzi, nella sua relazione per lanno 1874 riferiva di 8335 cause, incrementate di altre 478 nel 1875, e del successo conseguito su 3470 il primo anno, ma salito ad oltre 5000 in quello successivo. Soprattutto per, quel Direttore Generale si doleva che i costi di gestione delle liti fossero in costante e ingiustificato aumento, e, pi direttamente, che quel lievitare andasse imputato al fatto che i Magistrati di province diverse da quelle lombarde e venete procedono con una certa larghezza nella liquidazione delle spese a carico dellerario. Non mancava di citare, a mo desempio, le vicende di una controversia con la societ ferroviaria dellAlta Italia, vinta in prime cure davanti al Tribunale di Firenze con favorevole liquidazione di L. 54 per spese. Tuttavia la Corte dAppello, cui aveva fatto ricorso la societ, riformando la decisione di primo grado aveva liquidato le spese a carico dellErario nella sproporzionata misura di L. 2.055,50, che la parte pubblica avrebbe dovuto pagare se non fosse intervenuta la successiva, favorevole pronuncia della Cassazione. probabilmente ai contenuti di quella relazione che si debbono le successive iniziative del legislatore statale, il quale, fallito il progetto di affidare il patrocinio allUfficio del Pubblico Ministero, istitu, dal 1876 e nelle citt del regno pi popolate di cause e daffari, tante Avvocature regie di tipo toscano (sic!), sotto la direzione di un unico Avvocato generale, affinch come Ufficio difendessero le liti dellAmministrazione, le componessero, le rinunziassero, consigliassero su ogni negozio di essa amministrazione, ne sciogliessero i quesiti, accudissero alle contrattazioni,. Nascevano cos Uffici chiamati, come riferiscono le cronache del tempo, a dirigere per davvero il contenzioso, senza limitarsi a trasmettere note, a delegare patrocini e a liquidare compensi. Sicch, con decreto reale del 16 gennaio 1876 vennero istituite otto regie avvocature (Roma, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Torino e Venezia). Ed con lart. 15 di quel decreto che fu assegnato alle neo istituite Avvocature anche il compito di riscuotere i compensi di patrocinio, posti a carico delle controparti, e ripartire poi le somme riscosse tra i titolari, secondo i criteri fissati da un decreto ministeriale che, e non poco, port la firma di un Ministro come Depretis. Si volle interessare alla vittoria gli Avvocati regi e i sostituti - recitano sempre le sagge cronache del tempo - la qual molla va toccata con delicato accorgimento, e fu solo dopo gli effetti che ha persuaso i pi restii a mantenerla, in aggiunta al trattamento economico che, nel 1880, veniva classato in due separate fasce retributive, rispettivamente di 8 e 9 mila lire (prebende consistenti per quei tempi, ma rispettose della severa selezione cui laccesso alla funzione era gi allora condizionato). A dettare le regole fondamentali fu infine il primo, grande preposto alla funzione di Avvocato Generale Erariale, quel Giuseppe Mantellini - neanche a dirlo anche lui toscano! - che, recependo a motto e modello dellIstituto il fortiter in re et suaviter in modis, sugger ad ogni Avvocato dello Stato la concisione di Demostene, unita alla prudenza e sapienza di Papiniano, advocatus fisci e procuratore di Cesare. 3. Il ruolo professionale e la retribuzione. Magistrati, ministeriali e incentivazione. Oggi sempre da Firenze, e paradossalmente da chi alla Leopolda ispira le sue idee di riforma, che viene decretata la fine di questa Istituzione storica, e soprattutto della professionalit dei suoi componenti, che si vogliono ridurre a semplici travets. Lidea, invero, non per niente nuova. Infatti, personaggi di incomparabile spessore politico, come Giovanni Giolitti, ci tentarono sul finire del XIX secolo. Ma furono costretti a ricredersi sullutilit di simile misura da una difesa plebiscitaria della categoria, spontaneamente assunta da tutte le componenti intellettuali e addentro al problema, fossero Avvocati liberi professionisti (che non temevano la concorrenza, non confidavano in potenti amicizie, e testimoniavano lealmente la capacit dei loro contraddittori in giudizio) o docenti universitari, pi attenti ai principi fondanti del diritto pubblico che a quelli di altra sconosciuta branca, di cui gli italiani dovranno constatare la centralit, e cio il diritto municipale. Dai lavori parlamentari del lontano 19 Giugno 1889 (ancora una volta la cronologia degli eventi a testimoniare coincidenze astrali per alcune inopportune iniziative) si trae la volont di Giovanni Giolitti, allepoca Ministro del Tesoro, ma stranamente di origini piemontesi, di cassare gli stanziamenti per le quote dovute ai funzionari delle Avvocature erariali per competenze di avvocati e procuratori nei giudizi sostenuti dalle Avvocatura stesse. La proposta, allora come oggi, si proponeva di incamerare a beneficio dello Stato le quote che fino ad allora i funzionari riscuotevano sulle somme versate dalle controparti per competenze di avvocati e procuratori poste a loro carico nei giudizi sostenuti dalle avvocature erariali. Altrettanto singolare che la proposta, come quella odierna, si giustificasse e motivasse con la parit di trattamento economico di base tra Avvocati Erariali e Magistrati, e ipotizzasse un risparmio di spesa pari a 110mila lire del tempo. Il che, sempre per quelle strane correlazioni di tempo e luogo che caratterizzano nei secoli la vicenda, ciclicamente giudicata, ma a sproposito, decisiva per le pubbliche finanze, si motiva, altrettanto singolarmente, per essere stato il Giolitti caposezione del Ministero delle Finanze, per dichiararsi impegnato nella severa politica tributaria e nella tendenza al pareggio di bilancio, e per operare lo stesso Ministro come Magistrato che, in contrapposizione a De Pretis, intendeva contenere la spesa pubblica, gi allepoca furori controllo. Allora, come oggi, a sostenere liniziativa era lo stesso equivoco di fondo sulla titolarit del credito da espropriare a vantaggio della voracit di guerra- fondai, allora, o di salvatori dalle acque, oggi; ma a suo tempo, diversamente da oggi, il tema venne democraticamente dibattuto in Assemblea legislativa, nellovvio presupposto che nessuna improrogabile urgenza imponesse di utilizzare, come oggi si pretende, per di pi a dispetto di inderogabili principi costituzionali, meccanismi di normazione eccezionale, come il decreto legge. Ebbene, i resoconti parlamentari dellepoca, oltre a testimoniare lattenzione dei (veri) rappresentanti del popolo per quello che lIstituto rappresenta, concordano sulla funzione, gi allora giudicata decisiva, propria degli Avvocati dello Stato, saggiamente riconoscono che le differenze stipendiali con altre magistrature possono al pi riguardare lincongruit dei trattamenti altrui, e non leccesso di quelli riconosciuti agli Avvocati dello Stato, e confermano che quei proventi aggiuntivi costituiscono compenso per certe cause abbastanza gravi, per le quali non basta il tempo di ufficio, e per le quali lavvocato erariale, per istudiarle, ha bisogno di un lavoro indefesso, accurato, indipendente da quello a cui sarebbe tenuto per ragione di orario. Senza qui aggiungere, con quei, saggi, politici del tempo, che se togliete la speranza di maggior guadagno, toglierete il maggiore stimolo allazione umana, in fatto di lavoro, perch il lavoro stesso sia compiuto nel modo migliore. 4. Chi si onerer dei costi delloperazione: un risparmio che solo di facciata. A supportare le unanimi opposizioni al disegno ministeriale era pertanto la constatazione che lavvocato erariale non un impiegato, n un magistrato, n un avvocato: ma ad un tempo impiegato, magistrato e avvocato. E soprattutto egli non ha spezzato i suoi legami con il foro: lo che dovuto appunto a quella disposizione per la quale lavvocato erariale ha diritto a prendere egli il compenso cui condannata la parte soccombente. Onde, si legge alla fine di quel resoconto parlamentare, se sopprimete questo, lavvocato erariale diventer assolutamente un impiegato dello Stato e voi avrete mutato i cardini della istituzione, considerato che vi sono nei bilanci dello Stato parecchi milioni [oggi miliardi di Euro! N.d.r.], ed un Ministro del Tesoro non avendo quella istituzione avr bisogno di ricorrere ad Avvocati liberi. Quali potrebbero essere gli effetti di questo sistema - si interrogava al tempo il qualificato interveniente - io, avvocato, non lo dico [a interloquire era lon. Grimaldi n.d.r.]; lo lascio alle considerazioni della Camera. Non veniamo per a colpire una istituzione che proficua, e soprattutto onesta. La Camera, ovviamente, approv lo stanziamento, che quindi dal 1876, ovvero da quasi 150 anni, conferma simili modalit di riconoscimento ai connotati professionali esclusivi dellattivit degli Avvocati dello Stato. Ad indurre alla riflessione dovrebbero oggi essere, in primo luogo, le te stimonianze del passato, coniugate alla constatazione che altre Avvocature pubbliche, comprese le regionali e comunali, hanno nei decenni consentito, modellandosi per struttura e, parzialmente, per funzione su quella dello Stato, lincremento di enormi risparmi sui costi del contenzioso. Questi risparmi per non potranno essere garantiti, per qualit dei risultati e per quantit degli esborsi, dalle odierne scelte irrazionali, cui seguir la prevedibile perdita, a breve, di tantissime professionalit, dotate di esperienza non facilmente sostituibile. Forse chi si occupa di pubblica funzione dovrebbe poi leggere meglio il senso di alcuni dati, che riguardano la, ormai sporadica, collocazione nel mercato del lavoro dei pi preparati laureati in giurisprudenza. Orbene, a difficolt di selezione ipoteticamente pari (il che opinabile, perch gli Avvocati dello Stato sostengono due successivi concorsi pubblici, molto impegnativi per le limitatissime disponibilit esistenti nei ruoli organici separati di procuratore e Avvocato dello Stato, alla data odierna non del tutto coperte), provato dalle circostanze che chi - si tratta di pochissimi - ha superato contestualmente i concorsi per procuratore dello Stato e per magistratura ordinaria, ha prevalentemente optato per la prima delle due alternative, confidando, comՏ logico presumere, su un trattamento economico pi favorevole, nonostante laltrettanto oggettivo maggior carico di lavoro da affrontare. Altrettanto, ma in senso inverso, accade per il concorso di secondo grado. I pi giovani e preparati dei procuratori dello Stato propendono alla partecipazione, con riscontrato e significativo ampio successo, ai concorsi per magistrato del TAR o della Corte dei Conti, ed optano poi per quelle carriere alternative, le quali garantiscono, indipendentemente dalla minore redditivit della funzione, carichi di lavoro pi umanamente gestibili e limitati, e soprattutto, quanto a termini decadenziali e conseguenti responsabilit, direttamente governabili. Tutto questo ha motivazioni precise, da ricercare nellabnorme impegno che si pretende dagli Avvocati dello Stato, e che gli stessi profondono, come confermato dai dati che, a questo punto, diventa necessario fornire a chi legge. 5. Le informazioni negate alla pubblica opinione e linumano onere per lintera categoria. Si detto che lorganico nazionale complessivo, suddiviso nei due ruoli degli Avvocati e Procuratori dello Stato, pari a 370 unit. Attualmente tale organico coperto nei limiti di 340 posti; i restanti 30 sono disponibili nel ruolo dei procuratori, ma sono vacanti per le improvvide disposizioni sui limiti alle nuove assunzioni ed allo stesso turn over. Al concorso pubblico per procuratore dello Stato (tre prove scritte e otto orali) si accede con la laurea in giurisprudenza, mentre a quello per Avvocato, che si articola in quattro prove scritte e nove orali, possono partecipare sia coloro che, da almeno un triennio, appartengono al ruolo dei procuratori, sia i magistrati amministrativi e/o ordinari, nonch i docenti universitari, i dirigenti pubblici e gli avvocati liberi professionisti che vantino particolari anzianit. LIstituto, comՏ noto, cura in via esclusiva il patrocinio di tutte le Amministrazioni statali, e di quelle, regionali o autonome, che hanno deliberato di avvalersene. Fa eccezione la Regione Siciliana, che per norma di attuazione del suo Statuto fruisce da decenni di modalit di patrocinio pubblico in tutto e per tutto identiche a quelle dello Stato. Ne segue che su quelle 340 unit professionali gravano annualmente pi di 170.000 nuovi affari contenziosi, che, comprese le giurisdizioni internazionali, producono un costante incremento annuo del carico, pari, in media, a 500 nuove cause pro capite. Poich la durata media minima di ciascun giudizio pari, in Italia, a tre anni per ogni grado, se ne trae, sempre in via di approssimazione media e per difetto, che il carico individuale per ciascun avvocato dello Stato debba stimarsi in 4.000 cause attive, cui si sommano i giudizi di legittimit, quelli davanti alle giurisdizioni internazionali, e quelli relativi ad incidenti di costituzionalit. Il valore economico di tale contenzioso , sempre per approssimato difetto, da stimare pari a 25/26 miliardi di Euro annui, mentre il costo a carico dello Stato (non si computano n i vantaggi per le regioni, n quelli per tutti gli altri soggetti che del patrocinio fruiscono in forma totalmente gratuita!) per il funzionamento dellintera struttura, comprensivo quindi di tutti gli oneri per il personale e dei costi di gestione per mezzi e sedi, non supera i 150 /M.ni per anno. Da qui un costo effettivo, per ciascuna causa e per tutti i possibili gradi di giudizio, pari a meno di 900 Euro, con una spesa che, come prova la comune esperienza, di gran lunga inferiore non solo agli ordinari valori di mercato, ma addirittura al puro costo di qualsivoglia attivit di patrocinio e consulenza legale, anche se fornita presso altre amministrazioni pubbliche. Una rapida verifica delle omologhe causali della spesa, sostenuta da soggetti pubblici che in passato hanno fruito del patrocinio dellAvvocatura dello Stato, e sono nel tempo transitati ad un regime di diritto privato, pu meglio provare lillogicit dellodierna scelta governativa. Si tenga conto che trattasi di singole componenti del complesso pubblica Amministrazione, la cui articolazione comprende invece centinaia di attuali fruitori del patrocinio statale del quale si discute. Ebbene, S.p.A. Poste Italiane, pur disponendo di un proprio Ufficio legale interno, ha speso nel 2012 per consulenze varie e assistenze legali quasi 42 milioni di Euro, contro i circa trenta del 2013 (i dati si leggono a pag. 232 dellultimo bilancio): da sola, ha quindi erogato il 20% di quanto complessi vamente costa lintera struttura dellAvvocatura dello Stato. A sua volta, S.p.a. Ferrovie dello Stato gi nel primo anno in cui - come ente pubblico economico - declin il patrocinio dellAvvocatura dello Stato, spese oltre 10 miliardi delle vecchie lire per la difesa legale. Oggi il consolidato 2012, alla voce prestazioni professionali e consulenze, denuncia una spesa di 36 milioni di Euro (altro 20%, che sommato al precedente raggiunge per due sole entit pubbliche un importo pari al 40% della spesa totale per lAvvocatura dello Stato). Ancora, il bilancio di ANAS s.p.a. (altro soggetto sostanzialmente pubblico, che pur avendo creato una propria struttura legale interna, con costi che non sono qui scorporabili da quelli complessivamente sostenuti per il personale, si avvale ordinariamente di legali esterni, affidando alla facoltativit del patrocinio dellAvvocatura quanto luno e gli altri scelgono di non fare) denuncia oneri per il contenzioso pari nel 2011 ad oltre 15 milioni di euro, arrivando a pi di 16,5 nel 2013 (somma un altro 10%, che porta alla met del costo complessivo per la difesa di tutti i Ministeri, della Regione Siciliana e di ogni altro Ente pubblico che dellAvvocatura dello Stato si avvale!). Ma la ciliegina sulla torta la mette AGEA, Agenzia per le erogazioni in Agricoltura. Sul quotidiano Italia Oggi del 4 Dicembre scorso ciascuno ha potuto leggere di un contenzioso tra detta Agenzia e lAgenzia delle Entrate per un rimborso IVA del valore di circa 100 milioni di Euro. Questo contenzioso, quanto a difesa davanti le Commissioni Tributarie competenti, affidata ad un commercialista libero professionista, sarebbe costato alle finanze pubbliche ben 5,5 milioni di Euro. E qui non neanche immaginabile una proporzionalit percentuale ai tanto vituperati costi delle pubbliche difese! 6. Il legittimo dubbio sugli obiettivi reali: cui prodest? Si pu ritenere notorio, tanto da motivare linserimento nellelenco delle prime riforme di sistema e da giustificare primari interventi urgenti a salvataggio della Nazione, il fatto che ciascun Avvocato dello Stato fruisca di una componente retributiva fissa, ragguagliata, per fasce di equipollenza ed anzianit, a quella dei magistrati, ma per la quale non previsto incremento alcuno per lo svolgimento di funzioni direttive, e di una componente variabile, non pensionabile (caso unico nella definizione dei trattamenti retributivi corrisposti con regolare periodicit nel lavoro dipendente!) e costituita appunto dalle quote onorari spettati nel caso di incondizionato esito favorevole del giudizio. Questultima componente quindi strettamente legata ai riscontri oggettivi sui risultati, essendo costituita da quota parte delle spese legali relative a cause definite con esito del tutto favorevole allAmministrazione (basta cio il rigetto di una domanda riconvenzionale, o la pronuncia di una condanna minima, a dispetto delle originarie richieste milionarie di parte avversa, per esclu dere ogni titolo al riparto, nonostante il risultato finale complessivo possa aver garantito risparmi elevatissimi allUfficio patrocinato!). Trattasi, a tutta evidenza, di compenso tipico della professione forense, legato a risultati che in forma incondizionata (esiti in toto favorevoli) e oggettiva (il riconoscimento su qualit e rilevanza del risultato proviene da soggetto terzo e imparziale, quale il Giudice) esprimono il merito di chi ha prestato la propria opera professionale. Daltra parte, ed quanto non solo giustifica, ma rende significativa, perch dimostra con evidenza la non comune qualit professionale di tutti gli Avvocati dello Stato, la contestata entit rilevante delle risorse, lIstituto, che svolge anche tantissima attivit consultiva, vanta una percentuale di vittorie pari al 70% delle controversie patrocinate, e cos garantisce alla parte pubblica la salvaguardia di risorse in contestazione, stimabili in circa 18 miliardi di Euro (sulla media di 26, oggetto complessivamente di contestazione). Pensare oggi di eliminare lunico compenso incentivante legato, con criteri oggettivi, ai risultati conseguiti dal dipendente pubblico esprime eclatante insensatezza e superficialit, se non altro perch fortissimo il rischio che allindifferenza per il risultato corrisponda un impegno meno intenso nel raggiungimento dellutilit finale, e soprattutto un disincentivo al merito, che potr incidere negativamente sullaccesso ai ruoli dellIstituto delle professionalit pi qualificate, che il mercato nelle condizioni di offrire. Il sospetto, a fronte di cos tanta irrazionalit ed incoerenza, che si perseguano obiettivi che nulla hanno a che vedere con il contenimento della spesa e con la redistribuzione delle risorse. Piuttosto, sulla falsariga della costosa scelta, di cui nessuno parla, di un difensore inglese per i due mar, i quali detenuti erano e tali continuano a restare nella lontana India (dalla lettura del curriculum si apprende che sir Daniel Bethlehem cresciuto in Sudafrica, stato consigliere legale esterno del Foreign Office, ma sarebbe principalmente un manager di scuba diving, un esperto di trekking e uno scalatore di alte montagne, con buona pace della spiccata propensione mostrata dal Governo sui temi di diritto), facile sospettare che lattenzione ai risparmi di spesa finisca per essere il pi remoto, anche se il pi verbosamente pubblicizzato, degli obiettivi. Da Leopoldo alla Leopolda: si pu esprimere cos, con quello che non un banale gioco di parole, n un irrilevante cambiamento di genere, ma una radicale differenza di attenzione nella gestione democratica del sistema. E paradossalmente, limpronta maschile, pur risalente nei secoli, finisce per smentire la condivisa prevalenza qualitativa dellamministrare al femminile. SALVATORE FARACI Due e-mail di un avvocato dello Stato Da: Salvatore Faraci [mailto:salvatore.faraci@avvocaturastato.it] Inviato: mercoled 11 giugno 2014 12:10 A: 'Avvocati_tutti' Oggetto: riforma p.a. punto 35 Sono in pausa in attesa delle ripresa delludienza dassise per la strage di Capaci. Ieri sera avevo scritto questa mail che, poi, non ho inviato. Alla luce delle considerazioni svolte dai colleghi penso che vada inviata. Cari colleghi scusate lo sfogo. Ottime le lettere in oggetto inviate alle Autorit. Ottime tutte le proposte. Per al Ministro manderei questo semplice resoconto della giornata odierna (e non detto che allesito del 13 giugno non lo faccia). Signor Ministro non voglio tediarla per bene che Ella, a nome del Governo, conosca il lavoro dei suoi avvocati anche quello pi usuale e quotidiano e lontano dai riflettori. Sono le ore 20,31 p.m. e sono ancora in ufficio da stamattina dalle 9,30. Sono cos stanco e sfinito che mi butterei dalla finestra. Sono solo naturalmente a questora. Ho una forte distorsione alla caviglia - abbastanza gonfia - che mi opprime continuamente per una caduta. Non ho fatto un pasto decente n credo riuscir a farlo in serata. Lavoro di oggi : 1) redazione di memoria per lagenzia delle Dogane su un 702 bis che scade domani. 2) redazione di opposizione di terzo allesecuzione ex art. 619 per lagenzia dei beni seque strati: scade domani perch cՏ ludienza per la - eventuale - vendita. 3) redazione di comparsa in appello con appello incidentale per responsabilit dei giudici segnatamente del Tar Palermo e del C.G.A.; scade domani. 4) redazione di comparsa in appello con appello incidentale per epatite; scade domani. 5) redazione note conclusive proc. penale in abbreviato per parte civile Agenzia delle Dogane; udienza discussione domani. 6) studio delludienza dibattimentale strage Capaci c.d. troncone quater domani Corte Assise. 7) studio di tutti i miei fascicoli di corte appello civile domani (n. 10) con compilazione al collega degli statini . Beninteso ho dovuto preparami anche parte dei fascicoli e collazionarli. Il tutto utilizzando al massimo lintelligenza che il Buon Dio mi ha dato, con la lucidit necessaria e la seriet dovuta alla funzione. Naturalmente la giornata di oggi non dissimile da quella di ieri ne lo sar da quella di domani. Mi sento in colpa con me stesso e con la mia famiglia. Ha ragione mia moglie quando mi dice stai attento tutto questo stress pu farti ammalare sul serio . Ebbene io non posso restituire alcun titolo per protesta, come suggerisce qualche collega, non essendo n cavaliere n commendatore: per potrei pi semplicemente smettere di farmi del male e in aderenza al principio di auto- protezione mettermi, come mio diritto, in malattia (magari per qualche settimana) perch non sto bene e non giusto che mi affligga oltre il consentito ed il lecito; se poi qualche decina - o centinaia - di milioni di euro andr in fumo pazienza. Il diritto alla Salute prima di ogni cosa o no? Non credo che Ella possa acconsentire a deroghe di tal fatta. Non sono venuto in avvocatura dello Stato per farmi suicidare dal lavoro Sig. Ministro, concluderei, soprattutto se non volete ricompensarmi nemmeno in minima parte. Grato per la sua attenzione le porgo distinti saluti . Spero proprio di non dovere inviare una lettera simile. Un saluto a tutti. Ebbene se ci saranno ulteriori riforme penalizzanti mi riservo, senza indugio, azioni legali a tappeto anche per lemergente danno alla salute e lassenza dei carichi di lavoro. Un abbraccio a tutti. Da: Salvatore Faraci [mailto:salvatore.faraci@avvocaturastato.it] Inviato: gio 03/07/2014 13.53 A: Noviello Giustina; Avvocati_tutti Oggetto: R: URGENTE- Ordine del giorno assemblea generale del 4.7.2014 ore 12 Cari colleghi nessuno deve avere timore o paura di esprimere sinceramente la propria meditata opinione su ci che sta accadendo, che incide in modo rilevante non solo sul reddito ma anche su aspetti ben pi profondi ed importanti della nostra vita e di cui ciascuno, a seconda della sua sensibilit, sta gi sperimentando gli effetti. Ci anche quando lopinione non sia non ortodossa o accomodante. Ho il massimo rispetto di tutti e delle opinioni di tutti. Ho il massimo rispetto del coraggio o della titubanza di tutti e non posso che ringraziare le associazioni, seppur non iscritto a nessuna delle due, per ci che stanno facendo e faranno anche laddove non ne condivida lazione. Per ci non pu esimermi dallavere rispetto, anzitutto, del mio pensiero. Ovvio che non ho magiche soluzioni n la pretesa di indicare vie risolutive, ma letto lordine del giorno ho deciso di non partecipare allassemblea n di delegare alcuno. Lo dico senza polemica, senza disfattismo e senza voler creare ulteriori conflitti con nessuno. Ho riflettuto molto in questi giorni e le conclusioni a cui sono pervenuto sono abbastanza semplici: -la mia analisi, al netto di retorica e stile garibaldino, era ed corretta ed avallata da inoppugnabili fatti. Non voglio pi tornarci sopra perch mi sono scocciato di affabulare sullevidenza, n voglio parlare di ci di cui, secondo il noto detto di Wittgenstein, meglio tacere. -lunica via, per quanto mi riguarda, che, nel futuro, vedo utile e percorribile - comunque vadano le cose - solo quella giudiziaria. Pensare di votare, per affidare a qualsivoglia un parere sulla legittimit costituzionale dellart. 9, mi fa semplicemente inorridire. Intanto perch la legge - e non un parere - dispone che sia lIstituto ad esprimere formalmente le eventuali criticit costituzionali dellintervento normativo, poi perch anche uno studentello al 3 anno di legge avrebbe buon gioco a dimostrare la palese incostituzionalit della norma, infine perch la questione di pregiudizialit gi stata respinta. Pensare di votare sulla scelta di una societ di comunicazione non mi crea meno orrore. Non sar pi un avvocato ma, ancora, non sono diventato un pluri-mandatario di succhi di frutta e yogurt che ha bisogno della pubblicit o dellinteressamento di un terzo per un asserito quanto inutile ed indimostrato lobbismo parlamentare . In ogni caso anche sorvolando su questo la proposta non consentanea allo scopo. Intanto perch la votazione in aula fissata per il 14 luglio e non si vede cosa si possa fare in meno di 10 giorni (considerato che il marketing una scienza), poi perch per magnificare il prodotto sufficiente interloquire seriamente, tramite laudizione richiesta ed ottenuta, in Commissione Affari Costituzionali, infine perch lopinione pubblica non sar mai dalla nostra parte qualunque cosa possa essere propagandata. Sulla gestione del sito che tipo di votazione potremmo mai fare? Sulla gestione economica delle iniziative a tutela della categoria valgono le negative considerazioni di cui sopra. Sullinformativa dei lavori parlamentari che tipo di votazione potremmo fare? Sulla predisposizione demendamenti dico che lipotesi semplicemente inutile (vedi dichiarazione on. PD) e persino ulteriormente dannosa. Meglio lasciare tutto comՏ. In ogni caso ha ragione il collega Vigoriti. Senza unorganica riforma dellIstituto e delle norme processuali in materia di spese, labrogazione tout court dellart. 21, dati gli inalterati carichi di lavoro, semplicemente irricevibile ed materia da sottoporre esclusivamente al- lesame del giudice competente alla tutela. Rilevo infine che il funzionamento del caps e del co.co. non sono strettamente attinenti alla questione in esame, ne lontanamente decisive per la sorte del D.L., cos come la riunificazione delle associazioni. Spero che il mio motivato dissenso possa comunque, essere utile allassemblea per ulteriori riflessioni. CONTENZIOSO NAZIONALE Sul termine di decadenza per la presentazione della domanda di rimborso in materia tributaria CASSAZIONE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 16 GIUGNO 2014 N. 13676 Antonio Mastrone* La controversia sulla quale si sono pronunciate le Sezioni Unite con la decisione in commento, attiene ad una domanda di rimborso di parte delle trattenute fiscali operate dal datore di lavoro in qualit di sostituto dimposta. La domanda era proposta a seguito della pronuncia della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 21 luglio 2005, resa in causa C207/ 04, Vergani, che dichiarava la normativa nazionale in contrasto con la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parit di trattamento tra uomini e donne in relazione all'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro. Infatti, il camma 4 bis dellart. 19 del Dlgs n. 344 del 2003 aveva previsto, nelloriginaria formulazione, un'aliquota ridotta alla met sulle somme erogate in favore dei lavoratori che avevano superato 50 anni, se donne, e 55 anni, se uomini. Il giudice d'appello, in particolare, respingendo le difese dell'Ufficio, aveva confermato la sentenza di primo grado ribadendo il diritto al rimborso del contribuente anche per l'anno 2001 ritenendo che, la decorrenza del termine quadriennale per proporre l'istanza (2001-2004 nel caso), stabilito dall'art. 38, D.P.R. n. 602/1973, dovesse essere individuata nella data di pubblicazione della citata sentenza della Corte di giustizia, solo a seguito della quale si sarebbe realizzato il presupposto del diritto alla restituzione. (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lAvvocatura dello Stato. La domanda di rimborso, per la restituzione delle suddette somme, era, infatti, stata presentata solo in data 1 febbraio 2006. La VI sezione civile aveva rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, rilevando il contrasto interno alla giurisprudenza di legittimit in ordine alla suddetta questione della decorrenza del termine per l'esercizio del diritto al rimborso di somme versate in applicazione di una norma impositiva dichiarata in contrasto col diritto comunitario. Le SSUU hanno, con la pronuncia in commento risposto al seguente quesito: se il termine di decadenza previsto dalla normativa tributaria nazionale (art. 38 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602) per lesercizio del diritto di rimborso di unimposta che sia stata dichiarata, in epoca successiva allindebito versamento, incompatibile dalla sopra citata sentenza della Corte di Giustizia Europea, decorra dalla data di versamento dellimposta oppure da quella in cui intervenuta la pronuncia che ne abbia sancito la contrariet allordinamento comunitario. Con lordinanza di rimessione il collegio rimettente aveva auspicato un punto di equilibrio tra le diverse pronunce interpretative susseguitesi nel corso del tempo (1). Secondo il collegio, infatti, tale equilibrio poteva essere raggiunto escludendo dallambito di operativit dei meccanismi decadenziali impeditivi del- lesercizio delle azioni di rimborso le ipotesi di inerzia incolpevole ossia di inerzia giustificata, dallaffidamento del contribuente nella legittimit comunitaria della norma impositiva interna e sulla prassi amministrativa o sugli orientamenti prevalenti nella giurisprudenza nazionale. Le SSUU tuttavia hanno per disatteso la suddetta indicazione enunciando il principio secondo cui, in caso di imposta dichiarata incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di Giustizia Europea in epoca successiva al versamento, il termine di decadenza per lesercizio del diritto al rimborso, ai sensi dellart. 38 D.P.R. 602/1973, decorre dalla data del versamento e non da quella in cui intervenuta la pronuncia. In effetti la sentenza appare essere del tutto compatibile con il principio di adattamento del diritto interno a quello comunitario secondo cui il diritto dellUE prevale, in ragione del principio di effettivit, nei confronti del diritto (1) In particolare secondo lorientamento prevalente e pi antico il termine decorre dalla data del pagamento dellimposta, a nulla rilevando che in quel momento non fosse stata ancora dichiarata lincompatibilit della norma interna con il diritto comunitario (Cass. SSUU 3458/1996, in tema di rimborso della c.d. tassa sulle societ; Cass. 4670 e 13087 del 2012, sullimposta oli lubrificanti). Secondo altro orientamento il dies a quo di decorrenza del termine va individuato nella data di deposito della sentenza della Corte di Giustizia , e ci in virt dei principi elaborati dalla Corte stessa in tema di overruling (Cass. SSUU n. 15144 del 2011) nel senso che limprevedibile mutamento della giurisprudenza non pu ridondare a svantaggio del cittadino che ha fatto incolpevole affidamento sul precedente consolidato orientamento. interno. Tale principio altres sancito dagli artt. 10 e 11 e 117 co.1 (cosi come riformato dalla l. 3/2001), della Costituzione. La Suprema Corte ha quindi ritenuto fondato il ricorso proposto dal- lAgenzia delle Entrate anche in considerazione del principio di certezza del diritto attuato con gli istituti della prescrizione e della decadenza sanciti dal codice civile agli artt. 2934 e ss. A conferma di ci i giudici di Piazza Cavour hanno, apprezzabilmente, ritenuto estendibile la disciplina di cui allart. 2935 c.c. decorrenza della prescrizione anche al caso di specie affermando che detto articolo deve essere interpretato con riferimento alla possibilit legale di agire, salve le eccezioni stabilite dalla legge relative allimpossibilit di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto. In effetti, la decadenza consiste nella perdita del diritto da parte del titolare che non ha agito entro un termine perentorio, come tale posto a tutela delle situazioni giuridiche in attuazione del principio di certezza del diritto. Nel caso di specie infatti, il giudice di legittimit ha considerato che leventuale contrasto tra norma interna e norma comunitaria pu sempre essere fatta rilevare in giudizio dal soggetto che si reputasse leso dalla presenza di una norma ritenuta in contrasto con lordinamento comunitario. In questo caso linteressato pu sempre chiedere che venga sollevata la relativa questione dinanzi allorgano competente. Qualora, come nel caso di specie, il soggetto rimanga inerte ovvio che il rapporto venga ad esaurirsi e quindi il titolare perda la possibilit di agire per la sua stessa inerzia. Da ci ne deriva che non pu essere ravvisato un impedimento c.d. legale ad agire prima che una norma nazionale sia dichiarata incompatibile con il diritto comunitario (Cass. 10231 del 1998, cit. 7176 del 1999, 18276 del 2004). La Corte ha altres dichiarato fondato il ricorso dellAgenzia delle Entrate rilevando che qualora il contrasto sia affermato e rilevato da una sentenza della Corte di Giustizia Europea in tema di tributi, detta pronuncia produce effetti analoghi alla dichiarazione di illegittimit costituzionale (Cass. 3306/04; 20863/10). Ad ulteriore giustificazione e conferma di quanto esposto il supremo organo giudicante ha altres escluso, nel caso di specie, la rilevanza del c.d. fenomeno delloverruling cosi come prospettato dal Collegio rimettente. Tale principio, infatti, ricorre solo quando si registra una svolta repentina della giurisprudenza rispetto ad un precedente diritto vivente consolidato che si risolve in una compromissione del diritto di azione e di difesa di una parte. Ci confermato anche dalla sentenza delle SSUU della Suprema Corte di Cassazione n. 15144 dell11 luglio 2011 secondo cui Il fenomeno del cd. overruling ricorre quando si registra una svolta inopinata e repentina rispetto ad un precedente diritto vivente consolidato che si risolve in una compromissione del diritto di azione e di difesa di una parte. Elementi costitutivi sono quindi: lavere a oggetto una norma processuale, il rappresentare un mutamento imprevedibile, il determinare un effetto preclusivo del diritto di azione o difesa. In applicazione del valore del Giusto processo, deve essere esclusa loperativit della preclusione derivante dalloverruling nei confronti della parte che abbia confidato nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa. Per essa, insomma, la tempestivit dellatto deve essere valutata con riferimento alla giurisprudenza vigente al momento dellatto stesso. Alla luce di detta pronuncia emerge che il presupposto affinch possa applicarsi detto istituto, derivante dallordinamento anglosassone, non ravvisabile solo nellapplicazione di una diversa norma processuale o nella compressione del diritto alla difesa di un soggetto, ma da un improvviso cambiamento della giurisprudenza, che nella questione in esame non avvenuto. Infatti, per eliminare qualsiasi ombra di dubbio circa limpossibilit applicativa di tale principio sufficiente osservare come non pu considerarsi un cambiamento repentino giurisprudenziale la pronuncia di una sentenza della Corte di Giustizia Europea, attraverso la quale si dichiara lincompatibilit di una norma nazionale con una di natura comunitaria. Peraltro la Corte di Giustizia, nel caso di specie, non sembra essersi pronunciata n su norme di carattere processuale (quale ad esempio un improvviso effetto preclusivo dellesercizio di un diritto) n sulle norme sostanziali riguardanti gli istituti della decadenza e della prescrizione. Ed infatti, il principio di overruling ha rilevanza quando il repentino mutamento interpretativo riguardi una norma processuale e che incida su di un diritto sul quale il soggetto aveva, in buona fede, fatto affidamento. Ne deriva, giustamente, che tale principio non sembra applicabile al caso in esame, in quanto nessuna compressione del diritto di difesa stato leso. Le SSUU, con la sentenza in commento, hanno solamente proceduto ad applicare le norme sugli istituti della decadenza e della prescrizione cos come interpretati e specificati dal c.c. agli artt. 2935 e ss. In conclusione la sentenza in commento appare apprezzabile sia per lapplicazione data al principio di effettivit del diritto comunitario sia per la definizione in essa contenuta dei rapporti c.d. esauriti in relazione al principio di certezza dellordinamento applicato agli istituti della prescrizione e della decadenza. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 16 giugno 2014 n. 13676 -Primo Pres. f.f. Adamo, Pres. Sez. Rordorf, Rel. Virgilio, P.M. Ceniccola (difforme) - Agenzia entrate (avv. gen. Stato) c. P.F. (n.c.). Ritenuto in fatto 1. L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto indicata in epigrafe, con la quale, per quanto qui ancora rileva, stato rigettato l'appello dell'Ufficio locale dell'Agenzia e confermato il diritto di P.F. al rimborso della maggiore IRPEF che era stata trattenuta dal datore di lavoro, Banca Nazionale del Lavoro, sulle somme corrispostegli dal 2001 al 2004 a titolo di incentivo alle dimissioni, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 4 bis, (poi divenuto - a seguito della nuova numerazione introdotta dal D.Lgs. n. 344 del 2003 - art. 19, comma 4 bis). La domanda di rimborso, presentata in data 1 febbraio 2006, era basata sulla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea del 21 luglio 2005, resa in causa C-207/04, Vergani, con la quale la norma nazionale sopra indicata (secondo la quale era prevista un'aliquota ridotta alla met sulle somme erogate in favore dei lavoratori che avevano superato i 50 anni, se donne, e i 55 anni, se uomini) era stata dichiarata in contrasto con la Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parit di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro. Il giudice d'appello, in particolare, respingendo l'eccezione dell'Ufficio, ha confermato il diritto al rimborso anche per l'anno 2001, ritenendo che la decorrenza del termine quadriennale per proporre l'istanza, stabilito dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, dovesse essere individuata nella data di pubblicazione della citata sentenza della Corte di giustizia, solo a seguito della quale si era realizzato il presupposto del diritto alla restituzione. 2. Il P. non ha svolto attivit difensiva. 3. La sesta sezione civile, sottosezione tributaria, con ordinanza n. 959 del 2013, depositata il 16 gennaio 2013, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite, considerato che la questione della decorrenza del termine per l'esercizio del diritto al rimborso di somme versate in applicazione di una norma impositiva dichiarata in contrasto col diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia stata decisa in senso difforme da pronunce della sezione tributaria ed anche in ragione della particolare rilevanza della questione stessa. 4. Il ricorso stato, quindi, fissato per l'odierna udienza. 5. La ricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto 1.1. La questione sottoposta all'esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se il termine di decadenza, previsto dalla normativa tributaria (nella specie, trattandosi di imposta sui redditi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38) per l'esercizio, attraverso la presentazione di apposita istanza, del diritto al rimborso di un'imposta che sia stata dichiarata, in epoca successiva all'indebito versamento, incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia, decorra comunque - come sostiene l'Agenzia delle entrate - dalla data del detto versamento, oppure - come ha ritenuto il giudice a quo - da quella in cui intervenuta la pronuncia che ne ha sancito la contrariet all'ordinamento comunitario. 1.2. La vicenda normativa che ha dato origine alla controversia in esame ha avuto uno svolgimento alquanto peculiare. In sintesi: a) l'art. 17, comma 4 bis, del TUIR, comma introdotto dal D.Lgs. n. 314 del 1997 e poi ri prodotto nel D.Lgs. n. 344 del 2003, art. 19, comma 4 bis, ("nuovo" TUIR), prevedeva che "per le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori che abbiano superato l'et di 50 anni se donne e di 55 anni se uomini, di cui all'art. 16 (poi 17), comma 1, lett. a), l'imposta si applica con l'aliquota pari alla met di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennit e somme indicate alla richiamata lett. a) del comma 1 dell'art. 16"; b) la Corte di giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza emessa il 21 luglio 2005 nella causa C-207/04, Vergani, afferm che tale disposizione si poneva in contrasto con la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parit di trattamento fra gli uomini le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro; c) il D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 23, convertito in L. n. 248 del 2006, abrog l'art. 19, comma 4 bis, TUIR, cit., ma dispose che tale disciplina "continua ad applicarsi con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati prima della data di entrata in vigore del presente decreto, nonch con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati in attuazione di atti o accordi, aventi data certa, anteriori alla data di entrata in vigore del presente decreto"; d) l'Amministrazione finanziaria, con la risoluzione n. 112/E del 13 ottobre 2006, espresse l'avviso che le istanze di rimborso proposte in base alla detta sentenza non potessero essere accolte, argomentando che non necessariamente l'adeguamento della legislazione nazionale alla statuizione della Corte Europea si sarebbe dovuto risolvere nell'applicazione agli uomini del pi favorevole limite di et di accesso al beneficio previsto per le donne (50 anni), giacch, almeno in linea teorica, tale adeguamento si sarebbe potuto realizzare anche applicando alle donne il pi sfavorevole limite di et di accesso al beneficio (55 anni) previsto per gli uomini; e) la Corte di giustizia, nuovamente investita della questione, con ordinanza del 16 gennaio 2008, nelle cause riunite da C-128/07 a C- 131/07, Molinari e aa., ha statuito che "qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finch non siano adottate misure volte a ripristinare la parit di trattamento, il giudice nazionale tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell'altra categoria"; f) con circolare n. 62/E del 29 dicembre 2008, l'Amministrazione ha definitivamente preso atto di quanto stabilito dalla Corte di giustizia. 1.3. L'ordinanza di rimessione, premesso che sulla specifica fattispecie oggetto del giudizio non vi sono precedenti nella giurisprudenza di legittimit, segnala che in pi occasioni, invece, la Corte stata chiamata ad occuparsi del problema della decorrenza del termine di decadenza dal diritto al rimborso di altre imposte dichiarate comunitariamente illegittime. Da un lato, l'orientamento prevalente e pi antico, nel senso della decorrenza del termine dalla data del pagamento, a nulla rilevando che in quel momento non fosse stata ancora dichiarata l'incompatibilit della norma interna con il diritto comunitario: si segnalano Cass., sez. un., n. 3458 del 1996 (in tema di rimborso della c.d. tassa sulle societ), Cass. n. 4670 e n. 13087 del 2012 (sull'imposta di consumo sugli oli lubrificanti). Dall'altro, secondo Cass. n. 22282 del 2011 (resa anch'essa in tema di accisa versata sugli oli lubrificanti), il dies a quo di decorrenza del termine va individuato nella data di deposito della sentenza della Corte di giustizia, e ci in virt dei principi elaborati da questa Corte in tema di overruling (Cass., sez. un., n. 15144 del 2011), nel senso, cio, che l'imprevedibile mutamento di giurisprudenza - che introduca una decadenza o una preclusione prima escluse - non pu ridondare a svantaggio del cittadino che ha fatto incolpevole affidamento sul precedente consolidato orientamento. Il Collegio rimettente, premesso di ritenere che i principi affermati in tema di overruling non si attagliano direttamente al caso qui in esame, afferma, tuttavia, che gli stessi costituiscono indice di un processo evolutivo tendente ad introdurre nell'ordinamento dei tempera menti al principio della intangibilit dei meccanismi decadenziali, al fine di renderlo compatibile con la effettivit della tutela dei diritti soggettivi: in tale prospettiva la decadenza non si ricollegherebbe al decorso del tempo, ma si configurerebbe, almeno in parte, come sanzione dell'inerzia colpevole del soggetto interessato (nella specie, del contribuente). Ma, soprattutto, prosegue l'ordinanza, ci che, gi prima della sentenza sull'overruling, si andato sempre pi valorizzando il principio di tutela dell'affidamento del cittadino, come norma fondamentale che presidia la regolazione dei rapporti tra legge, giurisprudenza e fattispecie concreta. In definitiva, conclude la Corte, un punto di equilibrio tra le opposte esigenze potrebbe essere individuato escludendo dall'ambito di operativit dei meccanismi decadenziali impeditivi dell'esercizio delle azioni di rimborso le ipotesi di inerzia incolpevole, ossia di inerzia giustificata dall'affidamento del contribuente nella legittimit comunitaria della norma impositiva interna, che risulti fondato sulla prassi amministrativa o sugli orientamenti prevalenti nella giurisprudenza nazionale. 2.1. Ad avviso del Collegio, non vi spazio per introdurre temperamenti od eccezioni a principi ed esigenze fondamentali dell'ordinamento, quali quelli coinvolti nella fattispecie, consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, della Corte costituzionale e della Corte di giustizia dell'UE. 2.2. Va premesso, in linea generale, come si dir meglio in seguito, che gli istituti della prescrizione e della decadenza sono posti a presidio del principio, irrinunciabile in ogni ordinamento giuridico, della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche, con il corollario della conseguente intangibilit dei c.d. rapporti esauriti. Per quanto riguarda la fissazione della durata del termine di prescrizione dei diritti, o di decadenza dagli stessi, il legislatore gode di ampia discrezionalit, con l'unico limite del- l'eventuale irragionevolezza, qualora esso venga determinato in modo da non rendere effettiva la possibilit di esercizio del diritto cui si riferisce e quindi inoperante la tutela voluta accordare al cittadino leso (cfr., tra le tante, Corte cost. n. 234 del 2008). Anche la Corte di giustizia ha sempre ritenuto compatibile con il diritto dell'Unione la fissazione di ragionevoli termini di ricorso a pena di decadenza, nell'interesse della certezza del diritto, in quanto termini del genere non siano tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (da ult., sentenza 16 gennaio 2014, C-429/12, Pohl, punto 29). 2.3. Va ora affrontato il tema - in cui si inquadra la questione rimessa a queste sezioni unite -della decorrenza del termine, cio della individuazione del momento a partire dal quale il termine inizia a decorrere. In materia tributaria (premesso che nell'ordinamento tributario italiano vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull'istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza dal relativo diritto, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta, o, in mancanza di queste, dalle norme sul contenzioso tributario, e tale regime impedisce, in linea di principio, l'applicazione della disciplina prevista per l'indebito di diritto comune: cfr. Cass. n. 11456 del 2011), rilevano, in particolare, per quanto qui interessa, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, il quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, stabilisce il dies a quo nella "data del versamento" o in quella "in cui la ritenuta stata operata", e il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, norma residuale e di chiusura del sistema, in virt del quale "la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non pu essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si verificato il presupposto per la restituzione". L'orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte rigoroso nella identificazione (di regola) nel giorno del versamento del dies a quo (come tale non computabile) del termine di decadenza per l'esercizio del diritto al rimborso dell'importo pagato. Si , infatti, affermato, ad esempio, che: a) il termine di decadenza per la presentazione dell'istanza di rimborso, con riferimento ai versamenti in acconto, decorre dal versamento del saldo nel caso in cui il diritto al rimborso derivi da un'eccedenza dei versamenti in acconto, rispetto a quanto risulti poi dovuto a saldo oppure qualora derivi da pagamenti cui inerisca un qualche carattere di provvisoriet, poich subordinati alla successiva determinazione in via definitiva dell'obbligazione o della sua misura, mentre decorre dal giorno del versamento del- l'acconto stesso, nel caso in cui quest'ultimo, gi al momento in cui venne eseguito, non fosse dovuto o non lo fosse nella misura in cui fu versato, ovvero qualora fosse inapplicabile la disposizione di legge in base alla quale venne effettuato, poich in questi casi l'interesse e la possibilit di richiedere il rimborso sorge sin dal momento in cui avviene il versamento (tra le altre, Cass. nn. 56 del 2000, 4282, 7926 e 14145 del 2001, 21557 del 2005, 13478 del 2008, 4166 del 2014); b) il termine di decadenza per la presentazione della domanda di rimborso non pu farsi decorrere dalla data della emanazione di circolari o risoluzioni ministeriali interpretative delle norme tributarie in senso favorevole al contribuente, non avendo detti atti natura normativa ed essendo, quindi, inidonei ad incidere sul rapporto tributario (Cass. nn. 11020 del 1997, 813 del 2005, 23042 del 2012, 1577 del 2014) (n, ai fini di una diversa conclusione sul punto, assume rilievo la sentenza della Corte di giustizia 15 dicembre 2011, C427- 10, Banca Popolare Antoniana Veneto, attinente a vicenda del tutto peculiare). Deroghe al detto principio sono state individuate, in applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 cit., comma 2, nei casi di procedimenti di riconoscimento di agevolazioni tributarie, poich dal momento della conclusione di tale procedimento che sorge per il contribuente il diritto alla restituzione della differenza tra l'imposta versata nella misura ordinaria e quella risultante dall'applicazione dei benefici fiscali, con la conseguenza che la domanda di rimborso deve essere presentata nel termine di due anni, decorrente dall'anzidetto momento (Cass. nn. 7116 del 2003, 10312 del 2005, 24183 del 2006, 16328 del 2013); oppure nel caso in cui una legge sopravvenuta aveva introdotto, con effetto retroattivo, un beneficio fiscale prima non previsto, peraltro con l'esplicita previsione di decorrenza del termine per proporre domanda di rimborso dalla data di entrata in vigore dello ius superveniens (Cass. n. 3575 del 2010). 2.4. Deve ora esaminarsi il quesito specifico, qui direttamente rilevante, relativo all'individuazione del giorno di decorrenza del termine decadenziale del diritto al rimborso qualora, successivamente al versamento del tributo, intervenga una pronuncia della Corte di giustizia che dichiari la disciplina impositiva nazionale in contrasto con il diritto comunitario. Anche in tale ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte , in misura assolutamente prevalente (come riconosce la stessa ordinanza di rimessione), nel senso della decorrenza del termine comunque dal giorno successivo al versamento poi rivelatosi indebito. Gi con riferimento al problema della decorrenza del termine decadenziale nel caso di ritardata trasposizione nell'ordinamento interno di direttiva comunitaria (self executing, cio con contenuto incondizionato e preciso), questa Corte, nell'individuare il dies a quo nel giorno del pagamento, ha avuto occasione di affermare che: a) il principio posto dall'art. 2935 cod. civ., secondo cui la prescrizione "comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto pu essere fatto valere" - il quale da ritenersi applicabile anche alla decadenza - deve essere inteso con riferimento alla sola possibilit legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilit di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto (Relazione al codice, p. 1198) (Cass. n. 10231 del 1998, che richiama Cass. n. 9151 del 1991); b) tra gli impedimenti "di fatto" va annoverato anche l'ostacolo all'esercizio di un diritto rappresentato dalla presenza di una norma costituzionalmente illegittima, in quanto chi si ritenga leso da tale limitazione ha il potere di percorrere la via dell'instaurazione di un giudizio e nel corso di tale giudizio richiedere che venga sollevata la relativa questione; se subisce passivamente detto impedimento, non pu sfuggire alla conseguenza che il rapporto venga ad esaurirsi; c) a maggior ragione, non pu essere ravvisato un impedimento "legale", come tale idoneo ad incidere sulla decorrenza della prescrizione, nella presenza di una norma di diritto nazionale incompatibile con il diritto comunitario, posto che - mentre l'accertamento della illegittimit costituzionale di una norma riservato ad un organo diverso dall'autorit giurisdizionale, con la conseguenza che, quando la questione sia sollevata nel corso di un giudizio, esso deve essere sospeso fino a quando la questione non sia decisa (L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23) - il contrasto tra la norma di diritto interno e quella comunitaria pu essere rilevato direttamente dal giudice che, sulla base di tale premessa, tenuto a non darle applicazione, anche quando sia stata emanata in epoca successiva a quella comunitaria (Cass. nn. 10231 del 1998, cit., 7176 del 1999 e succ. conff.; cfr., anche, Cass. n. 18276 del 2004). Tali principi sono stati confermati, sulla base delle stesse ragioni, anche per le ipotesi in cui l'incompatibilit del diritto interno con il diritto comunitario sia stata dichiarata con sentenza della Corte di giustizia (cfr. Cass. nn. 4670 e 13087 del 2012). Del resto, altrettanto consolidato il principio della equiparazione, ai fini che qui interessano, tra tributi dichiarati costituzionalmente illegittimi e tributi dichiarati in contrasto con il diritto comunitario (Cass. nn. 3306 del 2004 e 20863 del 2010). Ci anche in considerazione del fatto che la Corte di giustizia ha affermato che l'interpretazione di una norma di diritto dell'Unione data dalla Corte nell'esercizio della competenza attribuitale dall'art. 267 TFUE chiarisce e precisa, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata di detta norma, quale deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore: in altri termini, una sentenza pregiudiziale ha valore non costitutivo bens puramente dichiarativo, con la conseguenza che i suoi effetti risalgono, in linea di principio, alla data di entrata in vigore della norma interpretata (da ult., sentenza 16 gennaio 2014, C- 429/12, cit., punto 30). 3. Deve escludersi che sulla questione in esame possa esplicare effetti diretti la nota pronuncia di questa Corte in tema di overruling (Cass., sez. un., n. 15144 del 2011, cui adde Cass., sez. un., n. 24413 del 2011 e n. 17402 del 2012). La portata applicativa del principio ivi affermato stata pi volte chiarita dalla giurisprudenza successiva, che queste sezioni unite condividono, secondo la quale, affinch un orientamento del giudice della nomofilachia non sia retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, ovvero affinch si possa parlare di prospective overruling, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cio, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte (Cass. nn. 28967 del 2011, 6801 e 13087 del 2012, 5962 e 20172 del 2013). sufficiente osservare, in linea generale, che nel caso di pronuncia che dichiari la contrariet di una norma nazionale al diritto comunitario non si in presenza di un "mutamento della giurisprudenza"; e, con riferimento alla questione in esame e con argomento ancor pi decisivo, va rilevato che la sentenza della Corte di giustizia non solo non intervenuta (in malam partem, cio con effetti preclusivi dell'esercizio del diritto) su norme di carattere processuale, ma neanche sulle disposizioni, di natura sostanziale, che qui interessano, relative ai termini (di prescrizione o decadenza) per l'esercizio del diritto alla ripetizione dell'indebito tributario, bens, con effetto ampliativo, su una norma tributaria che riduceva illegittimamente la portata di un beneficio fiscale. 4.1. Di ci, come gi detto, consapevole lo stesso Collegio rimettente, il quale, tuttavia, rinviene nella ratio sottesa alla giurisprudenza in tema di overruling (e non solo), ed anche a recenti interventi legislativi (in particolare, all'art. 153 c.p.c., comma 2, in tema di rimessione in termini, introdotto dalla L. n. 69 del 2009), una sempre maggiore valorizzazione della tutela dell'affidamento incolpevole del cittadino nella certezza delle norme vigenti, come interpretate ed applicate: e ne trae l'auspicio che sia fatta salva dall'operativit del meccanismo decadenziale (il cui dies a quo andrebbe fatto coincidere con la declaratoria di illegittimit comunitaria) l'ipotesi della inerzia incolpevole del cittadino contribuente nella legittimit comunitaria della norma impositiva interna. 4.2. La tesi non pu essere condivisa. Deve ribadirsi che costituisce principio immanente in ogni Stato di diritto quello in virt del quale qualsiasi situazione o rapporto giuridico diviene irretrattabile in presenza di determinati eventi, quali lo spirare di termini di prescrizione o di decadenza, l'intervento di una sentenza passata in giudicato, o altri motivi previsti dalla legge, e ci a tutela del fondamentale e irrinunciabile principio, di preminente interesse costituzionale, della certezza delle situazioni giuridiche: si tratta della nota categoria dei c.d. rapporti esauriti, la cui definizione spetta solo al legislatore determinare, nel rispetto dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza. Dalla detta finalit discende che non sono configurabili, contrariamente a quanto ritiene l'ordinanza di rimessione, profili di carattere sanzionatorio nei citati istituti (e in particolare nella decadenza). Il limite dell'esaurimento del rapporto in ordine alla efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimit costituzionale principio pacifico e non si ravvisano ragioni, sotto questo aspetto, come gi detto, per distinguere dette pronunce dalle sentenze, aventi anch'esse efficacia dichiarativa, con le quali la Corte di giustizia afferma l'incompatibilit di una norma nazionale con il diritto comunitario. La ratio della giurisprudenza sull'overruling, con il valore in essa attribuito all'affidamento incolpevole nel "diritto vivente", non trasferibile al caso in esame. Qui non si in presenza di un soggetto che, avendo esercitato il proprio diritto nel termine previsto dalla legge, come all'epoca costantemente interpretata, si ritrova ex post decaduto in ragione di un imprevedibile revirement giurisprudenziale che ha, in sostanza, abbreviato il termine, situazione per la quale appariva doveroso, in ossequio al valore superiore del giusto processo e quindi alla garanzia di effettivit dei mezzi di azione e di difesa (come chiaramente esposto nella sentenza n. 15144 del 2011), apprestare una tutela che facesse salva la sua posizione, attraverso una sorta di autocorrezione del sistema per via interpretativa. Nella fattispecie, vi , invece, una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea che, con effetto retroattivo analogo a quello di una sentenza di illegittimit costituzionale, ha dichiarato in contrasto con una direttiva comunitaria self executing una norma nazionale di agevolazione fiscale, ampliandone la portata soggettiva. La posizione del soggetto che, in vigenza della norma che lo escludeva dal beneficio, ri masto inerte fino all'intervento della sentenza (o anche successivamente), cos trovandosi in tutto o in parte decaduto dal diritto al rimborso, non assimilabile, sotto il profilo dell'esigenza di tutela, a quella sopra esposta: pur prescindendo dal fatto che si verte in materia non processuale ed anche a voler ammettere la configurabilit di un affidamento incolpevole nella legittimit (nel caso, comunitaria) della norma vigente, la tutela di una tale situazione deve ritenersi recessiva rispetto al principio della certezza delle situazioni giuridiche (tanto pi cogente in materia di entrate tributarie), che riceverebbe un grave vulnus, in ragione della sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei rapporti tributari che ne deriverebbe. Spetta, in definitiva, al solo legislatore, in casi come quello in esame (cos come in quello del sopravvenire di una legge retroattiva), la valutazione discrezionale, nel rispetto dei principi costituzionali coinvolti, in ordine all'eventuale introduzione di norme che prevedano termini e modalit di "riapertura" di rapporti esauriti. 5. Alla stregua degli enunciati principi, il ricorso dell'Agenzia delle entrate va accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (essendo pacifico che l'istanza di rimborso stata presentata dal contribuente il 1 febbraio 2006), la causa va decisa nel merito, dichiarando non dovuto il rimborso per l'anno 2001. 6. In considerazione delle ragioni che hanno dato luogo all'ordinanza di rimessione al Primo Presidente, le spese dell'intero giudizio devono essere compensate. P.Q.M. La Corte, a sezioni unite, accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, dichiara non dovuto il rimborso per l'anno 2001. Compensa le spese dell'intero giudizio. Cos deciso in Roma, il 25 febbraio 2014. Note sul redditometro ed onere della prova CASSAZIONE CIVILE, SEZ. V, SENTENZA 19 MARZO 2014 N. 6396 Paolo Gentili* Questa sentenza contiene un ripensamento circa lonere del contribuente, attinto da accertamento basato su redditometro, di provare, quanto alla componente di maggior reddito indotta da spesa per incrementi patrimoniali, che tale spesa fu specificamente sostenuta con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta. La sentenza ritiene sufficiente la prova della disponibilit di tali redditi; non richiede anche quella della loro destinazione a tale spesa. Il punto era in discussione da tempo (accenni a dubbi gi in Cass. 3111/2014). Una critica pu muovere dalla considerazione che se la prova ridotta ora richiesta si giustifica con la presunzione che i redditi esenti o soggetti a ritenuta di imposta siano stati utilizzati per finanziare gli incrementi patrimoniali, si addossa allamministrazione una prova contraria impossibile, come sarebbe la prova che il contribuente, invece, per finanziare gli incrementi ha utilizzato disponibilit diverse. Il che contrario al principio di vicinanza della prova; e sul piano del diritto sostanziale, si traduce in una interpretazione abrogante dellart. 38 comma 6 vecchio testo dpr 600/73: se lamministrazione, del tutto legittimamente, ricorre allaccertamento sintetico basato su spese per incrementi patrimoniali, e la semplice prova della disponibilit di redditi esenti o soggetti a ritenuta di imposta fa cadere tale accertamento, lamministrazione dovrebbe procedere, in realt, ad accertamento ordinario per dimostrare che vi erano ulteriori disponibilit non dichiarate e utilizzate per finanziare gli incrementi patrimoniali. Ma ci non spesso possibile in fatto, perch sono maturati i termini di decadenza; e, soprattutto, in diritto, perch laccertamento sintetico ex 38 c. 6 non una forma di accertamento parziale, integrabile con accertamenti successivi. , al contrario, definitivo, per cui lo si pu integrare solo in caso di sopravvenienza di elementi conoscitivi. La questione, a partire dal 2010, ovviamente superata dal nuovo comma 4 dellart. 38, che codifica la necessit che il contribuente provi anche la destinazione specifica della spesa incrementativa. Ma per il passato vi sono numerosi contenziosi in cui si discute la questione trattata dalla sentenza allegata. Comunque, la riforma del 2010 contiene un ulteriore argomento a favore dellinterpretazione precedente: lattuale (*) Avvocato dello Stato. Osservazioni inviate per e-mail, lun. 7 aprile 2014, dallavv. Gentili ai colleghi tributaristi. comma 7 dellart. 38 prevede il previo contraddittorio obbligatorio, per cui il pericolo che le prove fornite dal contribuente facciano cadere laccertamento sintetico dopo la sua emanazione, viene meno. Il contribuente dovr scoprire le carte prima dellemanazione dellaccertamento, e cos lamministrazione potr regolarsi per tempo se procedere in via sintetica o in via ordinaria. Prima questo non era possibile, per cui la controprova richiesta in giudizio al contribuente doveva per forza di cose essere integrale, e non parziale. Cassazione, Sez. V civile, sentenza 19 marzo 2014 n. 6396 -Pres. Bielli, Rel. Conti, P.M. Fimiani (conforme) - Z.A.G. (avv. ti Miani e Conte) c. Ministero economia e finanze, Agenzia delle entrate (avv. gen. Stato). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. L'Agenzia delle Entrate di Milano 6 notificava al contribuente Z.A.G. un avviso di accertamento per la ripresa a tassazione di IRPEF, addizionale regionale e sanzioni relativi all'anno 2004, rettificando il reddito dichiarato - pari a Euro 3.708,00 - ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 41 bis, e ritenendolo incongruo rispetto agli acquisti di autovetture ed imbarcazioni operati dal contribuente fra il 2003 ed il 2005, al possesso di due autovetture e di un'ulteriore imbarcazione nonch alla disponibilit di cinque immobili, per un valore complessivo pari a Euro 1.230.000,00. 2. L'Ufficio, considerando il reddito per anno necessario per le disponibilit riscontrate, ride- terminava per l'anno in esame il reddito del contribuente in Euro 391.737,00. 3. Il contribuente proponeva ricorso innanzi alla CTP di Milano sostenendo l'incongruit dei conteggi operati dall'Ufficio, la motivazione incongrua dell'avviso di accertamento e rilevando l'esistenza di disponibilit economiche che avevano giustificato gli acquisti. 4. La CTP di Milano accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando il reddito del contribuente in Euro 174.924,92. 5. Avverso la decisione di primo grado il contribuente e l'Ufficio proponevano rispettivamente appello principale e appello incidentale. 6. La CTR della Lombardia, con sentenza n. 5/24/2012 pubblicata il 10.1.2012 respingeva le impugnazioni compensando le spese. 6.1 Secondo i giudici di appello l'accertamento fondato sui parametri di cui ai D.M. 10 settembre 1992, e D.M. 19 novembre 1992, si fondava sulla presunzione legale a favore del- l'Amministrazione nascente dai parametri, dovendo il contribuente fornire con qualsiasi argomentazione la dimostrazione della insussistenza degli elementi e delle circostanze di fatto sulle quali si basa l'accertamento e conseguentemente del reddito accertato. 6.2 Il contribuente, inoltre, aveva dimostrato di non essere pi titolare dell'autovettura Jaguar dall'anno 1981, pure documentando che l'acquisto dell'imbarcazione AZIMUT 55 era avvenuto non in contanti ma in forza di un contratto di leasing. Sulla base di questi due elementi la CTP aveva correttamente rideterminato il reddito del contribuente. Non poteva, tuttavia - per la CTR - condividersi l'assunto del contribuente in ordine al sostenimento delle spese con la donazione di Euro 700.000,00 ricevuta dalla madre del suddetto nell'anno 2004, la stessa risultando da scrittura privata non autenticata non suffragata da data certa, nemmeno potendosi considerare la data di inserimento nella denunzia di successione che sembrava rivestire "i crismi di una strategia difensiva per contrastare l'accertamento in esame". 6.3 Aggiungeva la CTR, quanto ai redditi da capital gain, che non appariva sufficientemente dimostrata la provenienza ed effettiva disponibilit finanziaria per l'effettuazione delle acquisizioni. 6.4 La CTR rigettava, infine, l'appello incidentale ritenendo che le spese sostenute negli anni 2006 e 2007 non erano state adeguatamente esplicitate nell'avviso di accertamento. 6.5 Il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione affidato a un'unica complessa censura, al quale ha resistito l'Agenzia delle entrate con controricorso e ricorso incidentale affidato a un unico motivo. La parte contribuente ha depositato controricorso e memoria ex art. 374 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE 7. Con l'unica complessa censura la parte ricorrente principale deduce i vizi di violazione di legge e di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, rilevando che il giudice di appello, pur affermando che il contribuente poteva fornire prova contraria agli accertamenti del- l'Ufficio sinteticamente determinati, aveva omesso di considerare gli elementi, documentalmente prodotti nel corso del giudizio di primo grado, che erano in grado di provare il possesso di redditi esenti, soggetti a imposizione alla fonte o legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile per giustificare le spese indicate dall'Ufficio. 7.1 In questa direzione, ad avviso del ricorrente, deponevano le ampie disponibilit finanziarie, rappresentate da titoli azionali, obbligazionari e titoli di stato oltre che la donazione di 700.00,00 Euro ricevuta dalla madre e documentata, nel corso del giudizio, dalla produzione della scrittura privata e del versamento sul conto corrente intestato al contribuente del novembre 2004. Le motivazioni esposte dalla CTR erano sul punto sbrigative quanto alle disponibilit certificate dalla Banca Euromobiliare ed errate quanto alla donazione della madre dovendosi ritenere, nonostante quanto prospettato dalla CTR, che la scrittura privata, indicata nella denunzia di successione e per la quale era stata pagata la relativa imposta, aveva quanto meno data certa dalla morte della donante ed era comunque attestata dal versamento risultante sul conto corrente. Il vizio di motivazione era dunque palese sotto il profilo della decisivit degli elementi non considerati. 8. L'Agenzia delle entrate, nel controricorso, ha dedotto l'infondatezza delle censure tanto sotto il profilo della violazione di legge che rispetto al prospettato vizio di motivazione. 8.1 Quanto alla prima questione, evidenzia che la giurisprudenza di questa Corte aveva ormai ammesso la piena operativit del sistema dell'accertamento sintetico alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, determinando una presunzione di fondatezza della pretesa impositiva che aveva l'effetto di spostare l'onere della prova sul contribuente. 8.2 Quanto al dedotto difetto di motivazione, l'Agenzia osserva che la CTR aveva correttamente esaminato il materiale probatorio agli atti, ritenendo che il contribuente non aveva fornito la prova di avere utilizzato le disponibilit esistenti o parte di esse a giustificazione delle spese sostenute per incrementi patrimoniali rilevati a suo carico. Peraltro, proprio dalla documentazione prodotta dal contribuente era risultata una minusvalenza patrimoniale che, ben lungi dal tradursi in una potenzialit finanziaria, costituiva ulteriore elemento incompatibile con gli incrementi patrimoniali e con gli indici di spesa posti a fondamento della pretesa erariale. 8.3 Anche la documentazione relativa al capital gain, a parte la sua scarsa intelligibilit, non era oggettivamente idonea, per l'Agenzia, a comprovare con certezza la provenienza ed effettiva disponibilit della provvista finanziaria necessaria per l'effettuazione degli acquisti, riscontrati come enormemente sproporzionati rispetto al reddito dichiarato. 9. La parte contribuente, nel controricorso ex art. 371 c.p.c., comma 4, depositato in replica al ricorso incidentale dell'Agenzia, ha poi esposto ulteriori argomenti a sostegno della censura formulata in ricorso, contestando le prospettazioni esposte dall'Agenzia. Non poteva infatti sostenersi che il contribuente fosse gravato dell'onere di dimostrare che proprio le somme possedute fossero quelle effettivamente spese per gli incrementi patrimoniali. Cos facendo, infatti, l'Agenzia aveva finito col pretendere una prova diabolica o quasi diabolica. In realt, per superare gli elementi indicati dall'ufficio il contribuente era tenuto solamente a dimostrare -e ci aveva fatto in concreto - "... di avere delle ricchezze a disposizione per donazioni, oppure per disponibilit di redditi esenti da imposta o da obbligo dichiarativo in quanto assoggettati ad imposta sostitutiva". 10. Per un pi agevole esame della vicenda opportuno premettere che la parte contribuente non pone in discussione che, per effetto dell'accertamento sintetico disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 - nella versione ratione temporis vigente -, l'Ufficio possa beneficiare di una presunzione legale relativa fondata sui coefficienti redditometrici che il contribuente pu superare fornendo la prova contraria. Su tale questione, decisa conformemente dalla CTR, deve ritenersi ormai formato il giudicato, ancorch si rinvengano precedenti di questa Corte che tale principio hanno talvolta declinato in maniera parzialmente diversa - cfr., da ultimo, Cass. n. 25532/12 - a fronte di un indirizzo, numericamente pi consistente, orientato in maniera conforme ai principi esposti dalla CTR sul presupposto che la fonte legale (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, cit.) a prevedere che la disponibilit di taluni beni (art. 2, D.P.R. ult.cit.) costituisce una presunzione legale di capacit contributiva che il contribuente pu vincere provando che il reddito presunto sia esente, soggetto a ritenuta d'imposta o sia alimentato da indebitamento o da erogazione di patrimonio - v. Cass. n. 14168/12 -. 10.1 A parte tale questione, che nel caso di specie assume marginale rilievo, il tema di indagine demandato a questa Corte dunque esclusivamente correlato alle valutazioni che la CTR ha espresso in ordine alle prove che il contribuente assume di avere fornito per superare la presunzione alla quale l'Ufficio si richiamato per giustificare la ripresa a tassazione. 10.2 Secondo la parte ricorrente principale, infatti, la motivazione addotta dalla CTR sarebbe "sbrigativa" in quanto il contribuente aveva fornito tutti gli elementi documentali idonei a dimostrare l'esistenza di disponibilit finanziarie capaci di giustificare le spese correlate al possesso di beni e gli incrementi patrimoniali, inizialmente stimate dall'Ufficio, per l'anno in esame, in Euro 1.230.000,00. 10.4 A tale risultato l'Amministrazione era giunta considerando, per il periodo 2003/2005: a) per l'anno 2003, la vendita di un' imbarcazione per Euro 10.000,00; b) per l'anno 2004, l'acquisto di altra imbarcazione (Zanuc II - stimato quale incremento patrimoniale pari ad Euro 280.000,00 sulla base del prezzo di vendita dello stesso natante riscontrato nell'anno 2005); c) per l'anno 2005, l'acquisto dell'imbarcazione da diporto Azimut a mezzo leasing per un corrispettivo stimato in Euro 960.000,00, da considerare come spese per incremento patrimoniale che l'Ufficio ha ritenuto sostenute, come tutte le precedenti indicate, con redditi conseguiti in quote costanti nell'anno in cui era stata effettuata e nel quadriennio precedente. A tali dati l'Ufficio aveva aggiunto i valori correlati al possesso di un auto a benzina Jaguar e di un'altra a gasolio, al possesso dell'imbarcazione a motore ed al possesso della residenza principale e di altre quattro residenze secondarie. 10.5 Sulla base di tali dati l'Ufficio, a fronte di un reddito dichiarato per l'anno 2004 in Euro 3.708,00, rideterminava il reddito per l'anno in esame in Euro 391.737,00. 10.6 In definitiva, l'Ufficio aveva determinato in via sintetica il reddito del contribuente avvalendosi, in parte, del meccanismo del c.d. redditometro che desumeva in via induttiva l'esistenza di elementi indicativi di capacit contributiva in forza dei D.M. che individuano la disponibilit dei beni ivi indicati come indici e coefficienti presuntivi di capacit contributiva ai fini dell'applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, (accertamento con metodo sintetico) nella condizione di chi "a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni" - nel caso di specie il possesso di immobili e di autovetture - (v. Cass. n. n. 7408 del 31/03/2011, Cass. 1294 del 22/01/2007 e Cass. n. 12448 del 08/06/2011). Per altro verso, l'Amministrazione procedeva all'accertamento sulle somme impiegate per incrementi patrimoniali alla stregua dell'art. 38, comma 5, D.P.R. ult. cit. 10.7 A fronte di tale accertamento il contribuente aveva contestato, per un verso, l'esistenza di un errore di calcolo nella quota relativa alle spese sostenute - pari ad Euro 246.000,00 - e, per altro, la circostanza che l'"acquisto" dell'imbarcazione Azimut era stato fatto con le forme del leasing, operando un pagamento del maxi canone con compensazione del credito che il ricorrente contribuente aveva maturato per la vendita di altro natante. Tali elementi, incidenti sulla determinazione del reddito accertato dall'Ufficio, avrebbero dovuto imporre la rideterminazione dei valori considerati dall'Ufficio in complessivi Euro 345.986,40 ed in quota parte di Euro 69.197,28 per l'anno di riferimento. 10.8 Per altro verso, il contribuente deduceva il possesso di disponibilit economiche ingenti, evidenziate, a suo dire, dalla gestione titoli che per gli anni 2004 e 2005 indicava somme in Euro comprese fra i 2.100.000,00 ca. ed i 2.700.000,00 ca. per anno. Inoltre, il contribuente depositava certificati rilasciati dalla Banca Euromobiliare dalla quale risultavano minusvalenze pari ad Euro 2.207.108,63 per l'anno 2004 e ad Euro 913.920,51 per l'anno 2005, da ci desumendo una potenzialit finanziaria di almeno Euro 3.121.029 per l'anno 2003. 10.9 Quanto alla donazione di Euro 700.000,00 ottenuta dalla madre, la stessa veniva documentata dal contribuente, giusta scrittura privata risalente al luglio 2004, alla quale doveva riferirsi il versamento sul di lui conto corrente, in data 18.11.2004, del relativo importo, anch'esso documentato da un estratto conto prodotto nel corso del giudizio di primo grado. 10.10 Ora, a fronte di tale compendio documentale, la CTR ha per un verso escluso la rilevanza della donazione di Euro 700.000,00, ritenendola non documentata ed anzi lasciando intravedere un'operazione di aggiramento postumamente posto in essere dal contribuente all'atto della morte della genitrice - al solo fine di contrastare l'accertamento. Quanto al rendiconto del capital gain, la CTR ha dichiarato che "... non appare sufficientemente dimostrata la provenienza ed effettiva disponibilit finanziaria per l'effettuazione delle acquisizioni di cui trattasi". 10.11 Occorre a questo punto rammentare che, secondo un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte,in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, non riguarda la sola disponibilit di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche l'essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, e non gi con qualsiasi altro reddito (dichiarato) cfr. Cass. n. 6813 del 20/03/2009; conf. Cass. 23785/2010 e Cass. n. 4183/2013. 10.12 Si in particolare ritenuto, nella prima delle decisioni teste evocate - alle quali le sentenze successive fanno pedissequo riferimento -, che per l'art. 38, comma 6, ult. cit. "... non sufficiente la prova della sola disponibilit di redditi - e men che mai di redditi esenti ovvero di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta - ma necessario anche la prova che la spesa per incrementi patrimoniali sia stata sostenuta, non gi con qualsiasi altro reddito (ovviamente dichiarato), ma proprio con redditi esenti o... soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta". Secondo questa interpretazione "... senza (la prova anche de) il nesso eziologico tra possesso di redditi e spesa per incrementi patrimoniali, questa spesa (siccome univocamente indicativa, per presunzione di legge, della percezione di un reddito corrispondente) continuerebbe a produrre i suoi effetti presuntivi a danno del contribuente, non avendo lo stesso superato la forza della presunzione iuris tantum (la stessa si presume) posta, a suo svantaggio, dalla norma ...". 10.13 In definitiva, secondo l'indirizzo appena espresso, sembra implicita al sistema normativo l'esistenza, accanto all'onere di dimostrare l'esistenza di redditi esenti capaci di sostenere le spese per incrementi patrimoniali anche di altro - aggiuntivo - onere di tenere i propri conti in modo de ricostruire i movimenti finanziari per fornire giustificazioni in merito al sostenimento delle proprie spese in caso di accertamento. 10.14 Ora, rileva il Collegio che a seguire l'indirizzo appena ricordato dovrebbe ritenersi comunque corretta la decisione impugnata ed infondata la censura esposta dal ricorrente principale, in quanto il contribuente ha dedotto solo la disponibilit di redditi sufficienti per la disponibilit e gli incrementi patrimoniali contestati dall'Ufficio, ma non risulta avere neppure allegato n che proprio quei redditi erano stati impiegati per affrontare le "spese per incrementi patrimoniali" recuperata a tassazione dall'Ufficio. 10.15 Ma a tale indirizzo non ritiene di aderire questa Corte. 10.16 Ed invero, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, nella versione ratione temporis vigente all'epoca del presente giudizio, dispone testualmente che "... il contribuente ha facolt di dimostrare, anche prima della notificazione dell'accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta. L'entit di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione". 10.17 A ben considerare, il testo della norma - qui la Corte limitando ovviamente l'indagine all'art. 38, comma 6, ult. cit. nel testo vigente all'epoca, in relazione all'irrilevanza delle modifiche normative successivamente intervenute in materia - non impone affatto la dimostrazione dettagliata: dell'impiego delle somme per la produzione degli acquisti o per le spese di incremento, semmai richiedendo al contribuente di vincere la presunzione - semplice o legale che sia - che il reddito, dichiarato non sia stato sufficiente per realizzare gli acquisti e gli incrementi. Il che, a ben, considerare, significa che nessun'altra prova deve dare la parte contribuente circa l'effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell'esistenza di tali redditi. 10.18 N dalla disciplina normativa anzidetta pare potersi evincere un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l'effettiva disponibilit finanziaria delle somme occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente. 10.19 Se, infatti, l'Ufficio ha desunto dagli incrementi un maggior reddito rispetto a quello dichiarato e il contribuente ha dedotto e dimostrato attraverso il prospetto di gestione titoli di Stato, azionari e obbligazionari l'esistenza di disponibilit finanziarie sottoposte a tassazione separata capaci di consentire detti incrementi, il fatto presuntivo esposto dall'Ufficio non pu continuare a produrre i propri effetti in ragione della condotta del contribuente, ove la stessa sia idonea a comprovare l'esistenza di redditi non dichiarati capaci di realizzare gli incrementi o e spese correlate al possesso di beni. 10.20 Una diversa interpretazione, in nessun modo correlata al tenore testuale del ricordato art. 38, comma 6, ult.cit., determinerebbe in definitiva, una sorta di trasfigurazione del pre supposto impositivo, non pi correlato all'esistenza di un reddito ma, piuttosto, all'esistenza di una spesa realizzata da redditi imponibili ordinali e congrui o da redditi esenti o da redditi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d'imposta. 10.21 Orbene, appare evidente, in relazione a quanto test affermato, la fondatezza dei rilievi esposti nel motivo di ricorso principale. 10.22 Ed invero, l'iter motivazionale esposto dal giudice di appello gravemente lacunoso, contenendo anche non marginali errori in diritto che viziano l'iter logico della decisione quanto alla rilevanza delle disponibilit finanziarie. 10.23 Per un verso, quanto alla donazione della somma di Euro 700.00,00, non pare potersi revocare indubbio che l'omesso esame, da parte della CTR, della certificazione relativa al versamento di Euro 700.00,00 sul conto del contribuente per l'anno 2004 non poteva in ogni caso essere tralasciato dalla CTR al fine di verificare la disponibilit finanziaria dello stesso, se appunto si considera che l'omissione di tale elemento ha condizionato l'intero passaggio argomentativo del giudice di appello, il quale ha apoditticamente ritenuto di non considerare veritiera la scrittura privata relativa alla donazione indicata nella denuncia di successione. 10.24 L'identit tra l'importo della donazione fatta dalla madre e l'importo versato sul conto del contribuente nello stesso anno indicato nella scrittura privata (anche se non autenticata e priva di data certa) avrebbe dovuto indurre il giudice di appello ad un pi attento esame del- l'intera documentazione, mancando il quale l'affermazione circa il carattere artificioso dello stesso risulta illogica. 10.25 Del resto, proprio su tale punto questa Corte ha avuto modo di chiarire che, qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalit, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, la prova delle liberalit medesime deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, ai quali la motivazione della sentenza deve fare preciso riferimento - cfr. Cass. n. 24597 del 03/12/2010; conf. Cass. n. 11389/2008. 10.26 Non meno lacunose ed, anzi, addirittura fondate su un presupposto contrario a legge, appaiono le argomentazioni spese dalla CTR in ordine alla irrilevanza delle rendite finanziarie del contribuente ai fini della controversia, posto che il giudice di appello ha illogicamente motivato la decisione di rigetto del ricorso escludendo ogni valore probatorio alla documentazione prodotta dal contribuente sul presupposto, errato in diritto, che detto contribuente fosse tenuto a "dimostrare la provenienza ed effettiva disponibilit finanziaria per l'effettuazione delle acquisizioni". 10.27 Tale motivazione si fonda, infatti, per l'un verso su argomentazioni in netto contrasto con i principi fatti propri da questo Collegio ed esposti nei paragrafi precedenti e, per altro verso, si dimostra gravemente lacunosa, non contenendo un esame analitico delle disponibilit finanziarie allegate dalla parte contribuente, sottoposte a tassazione separata, e alla loro idoneit a giustificare i fatti posti a base dell'accertamento fiscale. 11. Passando all'esame dell'appello incidentale, affidato ad un unico motivo, l'Agenzia lamenta l'insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rappresentato dalla quantificazione delle spese prospettate dall'Ufficio. La CTR, dedicando due sole righe per rigettare l'impugnazione incidentale proposta, avrebbe tralasciato di rispondere ai rilievi esposti dall'Ufficio in ordine alla quantificazione degli incrementi patrimoniali considerati in sede di avviso di accertamento. 12. La parte contribuente ha dedotto l'inammissibilit e infondatezza della censura. 13. Il motivo inammissibile. 13.1 noto infatti, che la motivazione omessa o insufficiente configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non gi quando, invece, vi sia difformit rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione - per tutti, da ultimo, Cass. n. 24148del 25/10/2013. 13.2 Orbene, nel caso di specie la ricorrente incidentale si limitata a prospettare la carenza motivazionale della decisione impugnata, erroneamente deducendo che la CTR avesse dedicato solo due righe di motivazione all'appello incidentale proposto in appello. 13.3 Cos facendo l'appellante incidentale non si avveduta che il giudice di appello aveva specificamente individuato gli elementi fattuali dai quali inferire che l'originario accertamento compiuto dall'Ufficio aveva erroneamente valutato alcuni elementi, considerando la titolarit di una autovettura gi da tempo ceduta dal contribuente e omettendo di considerare il maxi canone di leasing corrisposto per l'"acquisto" dell'imbarcazione Azimut mediante compensazione di somma proveniente da alienazione di altro natante. Ci la CTR aveva fatto condividendo le prospettazioni difensive esposte dalla parte contribuente - v. infatti il conteggio riprodotto a pag. 8 del ricorso dal contribuente a suo tempo esposto nel ricorso introduttivo 13.4 Orbene, rispetto a tale ricostruzione degli incrementi patrimoniali e del possesso di beni l'Ufficio non ha formulato alcuna critica all'operato della CTR, invece limitandosi a riproporre le tesi difensive rivolte, in definitiva, a determinare un risultato diverso dagli accertamenti compiuti dalla CTR che, in quanto esenti da illogicit e incongruit, non possono essere rivisti in questa sede. L'appello incidentale va quindi rigettato. 14. In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto, mentre quello incidentale va rigettato. La sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia che si uniformer ai principi sopra esposti, provvedendo altres sulle spese del giudizio di legittimit. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale, Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Lombardia che si uniformer ai principi sopra esposti, provvedendo altres sulle spese del giudizio di legittimit. Cos deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 28 gennaio 2014. Simulazione e fisco ancora allesame della Suprema Corte CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE, SENTENZA 27 GENNAIO 2014, N. 1568 Federico Maria Giuliani * SOMMARIO: 1. Premessa: Cass., Sez. V Civile, 27 gennaio 2014, n. 1568 - 2. Le questioni risolte: a) il binomio simulazione/interpretazione - 3. (Segue): b) lapplicazione delle norme codicistiche sulla simulazione in accertamento e contenzioso tributario - 4. (Segue): c) la dicotomia simulazione/abuso - 5. Le questioni aperte: a) la prova dellelemento soggettivo - 6. (Segue): b) la tendenza interpretativa neo-amministrativista sul procedimento tributario. 1. Premessa: Cass., Sez. V Civile, 27 gennaio 2014, n. 1568 (1). 1.1. Se soltanto un lustro fa il tema della simulazione ai danni del fisco rimaneva in ombra nella giurisprudenza, esso ora sempre pi affrontato dalle commissioni tributarie e dalla Quinta Sezione Civile della Cassazione. Ne sortiscono utili precisazioni che contribuiscono a chiarire largomento, sulla cui rilevanza pratica interpreti e operatori non nutrono dubbi. In questo senso si segnala ancora una recente sentenza del Supremo Collegio. 1.2. La Sezione Tributaria di piazza Cavour si occupa di un accertamento basato sullassunto per cui il contribuente - imprenditore collettivo -, ponendo in essere una simulazione contrattuale ai danni del fisco, incorrerebbe nella omissione di fatture e conseguente evasione dallimposta sul valore aggiunto. La vicenda sappunta sul diverso regime I.V.A. applicabile da una parte al contratto di procacciamento daffari e dallaltra parte al mandato a vendere senza rappresentanza - tenendo presente che, per loccasione, loggetto di tali operazioni costituito da beni mobili registrati (autovetture). Mentre infatti il mandatario a vendere senza rappresentanza acquista dal mandante la propriet del bene e la ritrasferisce al terzo acquirente, il procacciatore daffari - osserva la Cassazione - figura contrattuale atipica, priva del vincolo di stabilit dellagente e priva al contempo dei poteri decisori del mandante. Il procacciatore si limita a trasferire al soggetto, per conto del quale opera, le proposte contrattuali raccolte - di solito a mezzo di moduli fornitigli dalla casa madre. Sicch nel caso del mandatario senza rappresentanza si delineano, in capo allintermediario, due compravendite soggette a I.V.A. (cosa che non accade neppure in capo allagente); mentre nel caso del procacciatore vi il semplice corrispettivo dintermediazione e una sola compravendita di cui il procacciatore stesso non parte. Assume lAgenzia delle entrate che lasserito procacciatore ivi dissimuli, (*) Avv. del Libero Foro (Milano) e libero scrittore. (1) In il fisco, n. 8/2014, fascicolo 1, p. 786 ss., con commento di M. DENARO. dintesa con il preponente e il terzo acquirente, una doppia compravendita ai danni del fisco, ostentando surrettiziamente il contratto dintermediazione complessivamente meno oneroso sul piano dellimposta sul valore aggiunto. 2. Le questioni risolte: a) il binomio simulazione/interpretazione. Si tendeva a opinare, fino a epoca recente, che la mutazione del tipo contrattuale, quale esito dellaccertamento tributario, non potesse corrispondere di per se stessa allassunto simulatorio, riducendosi piuttosto a semplice qualificazione negoziale: operazione giuridica riconducibile soltanto agli artt. 1362 ss. c.c. Sicch appariva a molti commentatori - e in allora allo stesso giudice di legittimit - incongrua e ipertrofica, per esempio, laffermazione per cui dividend stripping e dividend washing dissimulassero contratti diversi da quelli asseriti dai contribuenti (2). Si riteneva, inoltre, che una cosa qualificare, ad esempio, un usufrutto azionario o una doppia compravendita cartolare come un quid alii, mentre altra cosa affermare che detti contratti sono simulati; anche perch - si aggiungeva - simulati non possono essere perch effettivamente voluti. Se non che la Corte Suprema andata cospicuamente affinando lo sguardo su questi aspetti, sviluppando a pi riprese un concetto, la cui rilevanza essenziale pu forse sfuggire a unanalisi superficiale, ma non pu essere negletta da interpreti e operatori attenti. Il concetto consiste nel superamento del luogo comune, per cui simulazione e interpretazione contrattuale sono due sfere diverse che nulla hanno in comune tra loro. Di contro, accertare/individuare/divisare una simulazione costituisce unoperazione anzitutto e per lo pi interpretativa di testo e contesto negoziali. unoperazione, cio, consistente nel fare emergere (quasi in maieutica) le anfibolie testuali e contestuali, che risultano insopprimibili se non a mezzo dellistituto simulatorio mutante il tipo (3). Questo concetto sembra ormai compenetrato nellargomentare della Sezione Quinta Civile di piazza Cavour; e ci sia in recenti arresti di cui ci siamo gi occupati (4), sia da ultimo nella sentenza del 27 gennaio 2014. Nel momento in cui la Sezione ragiona in termini di possibile doppia compravendita dissimulata sotto le mentite spoglie di un procacciamento daffari, essa oltrepassa il vetusto refrain secondo cui: a) non avrebbe senso alcuno parlare di riqualificazione contrattuale da parte dellamministrazione finan (2) Contra, isolatamente, G. FALSITTA, Usufrutto di azioni e contratto in maschera, in ID., Per un fisco civile Giuffr, Milano, 1996, p. 183; ID., Elusione fiscale illegittima, contratto travestito e societ <>, ivi, p. 191 ss.; F.M. GIULIANI, La simulazione dal diritto civile allimposizione sui redditi, in Le monografie di Contratto e impresa, Cedam, Padova, 2009, passim; ID., Simulazione e fisco (sotto la specie dellimposizione sui redditi) tra diritto civile e diritto tributario, in www.federicomariagiuliani.com (2007). (3) Ci permettiamo di rinviare ancora a F.M. GIULIANI, La simulazione, cit. (4) F.M. GIULIANI, La prova presuntiva della simulazione assoluta alla luce di un recente arresto della S.C., in il fisco, n. 33/2013, fascicolo n. 2, p. 5178 ss. ziaria, dacch essa qualificherebbe semmai, e non ri-qualificherebbe per definizione (5); b) la sola ri-qualificazione a rigore concepibile sarebbe quella della simulazione, emergente da ricostruzioni logico-giuridiche del negozio, che sono ridotte per al fondo a ri-categorizzazioni del tipo. Questi falsi miti appaiono archiviati in nomofilachia, sebbene sembri talvolta che i commentatori tendano ad archiviare tale archiviazione. Ch se poi si volesse, per avventura, obiettare alla sentenza in commento di negligere la teoria del c.d. doppio trasferimento automatico nel mandato a vendere senza rappresentanza (o con rappresentanza indiretta) (6) - sicch non avrebbe senso concepire lipotesi di due compravendite separate con doppia I.V.A. in luogo di un doppio trasferimento istantaneo da committente a commissionario e da questi a terzo acquirente -, a tale critica si replicherebbe come segue: a) la teoria del doppio trasferimento automatico non affatto unanime in dottrina e giurisprudenza civilistiche (7); b) quandanche si decida di aderire a tale teoria - il che gi di per s non scontato -, palese che essa vale al pi per i beni mobili, ma non de plano per immobili e mobili registrati (8); e si d il caso che nella specie fossero in considerazione cessioni di autovetture; c) ultima ma non minima replica, non affatto scontato che anche un doppio trasferimento automatico, sebbene istantaneo, non importi doppia imposta sul valore aggiunto sulla doppia cessione di propriet. 3. (Segue): b) lapplicazione delle norme codicistiche sulla simulazione in accertamento e contenzioso tributario. Altro punto teorico-pratico, su cui Cass. n. 1568/2014 pone un importante accento, lassunto per cui, onde potere il fisco fare valere la simulazione consumata a proprio danno dal contribuente, invoca e applica gli artt. 1414 ss. c.c., e in specie lart. 1417 sulla prova della simulazione opposta dai terzi interessati. In uno con ci la sentenza precisa che lonere della prova incombe allAgenzia delle entrate - in accertamento e contenzioso - e che tale prova pu essere fornita anche a mezzo di presunzioni. Chi scrive si era gi espresso in questi termini anni fa, giustapponendo alle norme civilistiche sulla simulazione lart. 37, comma 3, d.p.r. n. 600/1973 (9). Eppure in allora appariva forzata - siccome troppo civilistica - questa trasposizione di una norma quale lart. 1417 nel coacervo dei poteri dellamministrazione in accertamento tributario, atteso che a questi ultimi sono preposte norme settoriali. (5) Cfr. op.ult.cit. (6) Cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Ed. sc. it., XIV ed., Napoli, 2009, p. 1177. (7) Cass., 27 maggio 2003, n. 8393; Cass., 7 dicembre 1994, n. 10522. (8) F. GAZZONI, op.loc.cit. (9) F.M. GIULIANI, La simulazione, cit. Anche sotto questangolo in un lustro molta acqua passata sotto i ponti. Il diritto pretorio ha chiaramente dissipato le resistenze sulla portata generale dellart. 1417 del codice civile. 4. (Segue): c) la dicotomia simulazione/abuso. Di notevole momento, ancora, che Cass. n. 1568/2014 non operi alcuna infelice confusione tra simulazione ai danni del fisco e abuso del diritto tributario. N si dica che ci accade perch, nel caso di specie, la pretesa del fisco nata gi in accertamento come facente riferimento alla simulazione; poich si sa come labuso possa, per giurisprudenza, essere rilevato anche dal giudice dufficio -con il solo baluardo del contraddittorio processuale sulla c.d. questione nuova. Piuttosto simulazione e abuso costituiscono due sfere tuttaffatto distinte, non fosse altro perch non si vede come la teoria dellabuso tributario, che di per s gi costituisce un allargamento sistematico/atipico dellelusione tipizzata, possa andare a sovrapporsi a un istituto civilistico consolidato e disciplinato quale la simulazione. Anche a questo riguardo la giurisprudenza di legittimit evidenzia un percorso di utile chiarificazione, poich fino a qualche anno fa non ci si sarebbe stupiti pi di tanto, in un caso quale quello esaminato da Cass. n. 1568/2014, di leggere in parte motiva che la questione era quella di acclarare se la societ intermediaria avesse abusato dellistituto dellagenzia o del procacciamento daffari, anzich acquistare e poi rivendere, al solo (o precipuo) fine di conseguire un complessivo risparmio dI.V.A. Tuttal contrario qui la Cassazione conclude confermando limpugnata sentenza di seconde cure, che aveva escluso la simulazione; e lo fa affermando che il giudice di merito ha sufficientemente motivato sul mancato conseguimento delle prove della simulazione stessa da parte dellAgenzia delle entrate. Di abuso, perspicuamente, non vi nemmeno lombra. 5. Le questioni aperte: a) la prova dellelemento soggettivo. in linea di principio non revocabile in dubbio lassunto di Cass. n. 1568/2014, secondo cui la prova simulatoria, incombente allamministrazione in accertamento e contenzioso, attiene sia al profilo oggettivo sia a quello soggettivo. Se non che la ricerca dellintento simulatorio, essendo per sua natura vlta allindividuazione di un volere, consiste inevitabilmente nella ricerca dindici o indizi oggettivi, dai quali inferire il c.d. animus simulandi. Talch in buona sostanza tale prova si espleta sulla base di quelle stesse contraddizioni, testuali e contestuali del contratto, che presiedono allaffermazione dellesistenza oggettiva della simulazione. Nel caso, peraltro, della simulazione ai danni del terzo-fisco, levasione dimposta rappresenta il clou del componente finalistico. Sicch alla luce di queste considerazioni appare forse pletorica, ancorch tradizionalmente - e istituzionalmente - corretta, la tesi della necessit di una prova anche di tipo soggettivo. O quanto meno lassunto della necessit di una tale prova meriterebbe maggiori precisazioni, in punto di simulazione specifica ai danni del fisco. 6. (Segue): b) la tendenza interpretativa neo-amministrativista sul procedimento tributario. Mette poi conto di menzionare il recente sviluppo interpretativo, che attiene al contraddittorio endo-procedimentale tributario. Dopo una fase storica in cui la legge sul procedimento amministrativo (n. 241/1990) era per lo pi vista, dal punto di vista tributario, come un testo normativo da cui prendere le distanze - stante il carattere speciale dellaccertamento dellAgenzia delle entrate -, si assiste nellultimo torno di tempo a una rivalutazione sistematica della necessaria dialettica fisco/contribuente nella fase anteriore alla notificazione dellatto impositivo. Si ritiene militino, a sostegno di una tale generalizzazione del contraddittorio endo-procedimentale, norme quali quelle sulle garanzie del contribuente nellanti-elusione. Si aggiungono prescrizioni dello Statuto del contribuente (l. 212/2000), quali quella sulla buona fede e sulle osservazioni e richieste relative al processo verbale di constatazione. E naturalmente dietro tutto questo si enfatizza il sostrato della legge n. 241/1990. In questo contesto evolutivo - allinterno del quale, se pure peculiarmente, gi si attende una pronuncia del Giudice delle leggi (10) -, ricade di necessit anche lipotesi dellaccertamento basato sulla simulazione. Se, cio, un contraddittorio endo-procedimentale simponesse - come taluno ritiene - sempre e in ogni caso prima della notificazione di qualsiasi atto accertativo, anche la contestazione della simulazione dovrebbe essere elevata dagli uffici in un momento anteriore al provvedimento impugnabile, per consentire al contribuente (asserito simulatore) una previa confutazione extra/ante-processuale. Non questa la sede per addentrarsi in questo complesso tema, ma esso va tenuto presente nella sua portata anche operazionale, e nei suoi prossimi sviluppi giurisprudenziali. Cassazione civile, Sez. V, sentenza 27 gennaio 2014 n. 1568 -Pres. Cirillo, Rel. Valitutti, P.M. Del Core (difforme) - Agenzia delle entrate (avv. gen. Stato) c. G. SNC (avv. DArrigo). Svolgimento del processo 1. Nel corso di una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza di Bolzano nei confronti (10) Vedi Cass., Sez. Trib., ord. 5 novembre 2013, n. 247, in banca dati fisconline. Ivi la peculiarit sta nel fatto che si pone un problema di discrasia tra elusione e abuso quanto alle garanzie endo-procedimentali; e chiaramente, nel caso di elusione e abuso, si in presenza di una sorta di sotto-insieme rispetto a un insieme. della societ A.L. s.n.c., i verbalizzanti acquisivano elementi dai quali traevano il convincimento che tra quest'ultima e la societ G. s.n.c. sussistesse un rapporto di commissione, in forza del quale la commissionaria G. s.n.c. avrebbe ceduto alla committente A.L. s.n.c. diverse autovetture senza emissione di regolare fattura. L'Ufficio, mediante emissione di due avvisi di rettifica per gli anni 1995 e 1996, recuperava, pertanto, a tassazione l'IVA non versata dalla G. s.n.c., oltre interessi e sanzioni. 2. Gli atti impositivi venivano impugnati dalla contribuente dinanzi alla CTP di Brescia, che rigettava il ricorso. 2.1. La CTR della Lombardia, con sentenza n. 252/65/05, depositata il 18.1.06, accoglieva, peraltro, l'appello proposto dalla contribuente, ritenendo sussistente nella specie, tra le due societ, non un rapporto di commissione, bens un rapporto di procacciamento di affari, in forza del quale la A.L. s.n.c. procurava alla G. s.n.c. la vendita di auto a clienti stranieri, emettendo fattura per le proprie prestazioni di intermediazione. 3. Per la cassazione della sentenza n. 252/65/05 ha, quindi, proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi. La G. s.n.c. ha replicato con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate denuncia la contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 e art. 111 Cost., comma 6. 1.1. L'impugnata sentenza non esporrebbe, infatti, le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione adottata, non consentendo, pertanto, di ricostruire l'iter logico-giuridico seguito dal Collegio, in relazione alle questioni sollevate dalle parti ed agli elementi di prova offerti a sostegno delle stesse. 1.2. Il motivo infondato. 1.2.1. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, la motivazione omessa o insufficiente configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che ha indotto il giudicante, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento. Per converso, il vizio in parola non pu ritenersi sussistente quando vi sia difformit rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo, tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di legittimit (cfr., tra le tante, Cass. S.U. 24148/13; Cass. 3370/12; 6288/11). 1.2.2. Ebbene, nel caso di specie, la CTR ha compiutamente ed esaustivamente esaminato, dandone atto nella motivazione della decisione adottata, gli elementi di prova documentale versati in atti, e segnatamente le fatture emesse dalla A.L. s.n.c. nei confronti della G. s.n.c, traendone il convincimento, adeguatamente motivato, che il rapporto tra le due societ fosse da qualificare come un rapporto di procacciamento di affari. In forza di tale rapporto, a parere del giudice di appello, la A.L. s.n.c. procurava dei clienti privati tedeschi alla G. s.n.c., che provvedeva a rimetterle il compenso per l'intermediazione e l'assistenza alla vendita. Ed i passaggi essenziali di tale ricostruzione, operata dalla CTR, sono stati riportati dalla stessa Agenzia delle Entrate nel motivo di ricorso. 1.2.3. Se ne deve necessariamente inferire, a giudizio della Corte, che il dedotto vizio motivazionale finisce per tradursi in una richiesta di riesame del procedimento logico-giuridico effettuato dalla CTR, poich non conforme alle aspettative di parte ricorrente; istanza questa, peraltro, non accoglibile in questa sede di legittimit, per i motivi suesposti. 2. Con il secondo motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1731, 1742 e 2729 c.c. e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. 2.1. Sostiene, invero, l'Amministrazione finanziaria che l'A.L. s.n.c, in qualit di mandante, desse incarico alla G. s.n.c., in qualit di mandatario, di provvedere all'acquisto di autovetture da destinare alla vendita a clienti tedeschi, in forza di un contratto di commissione, ai sensi degli artt. 1731 c.c. e segg. Configurando la fattispecie negoziale in questione una forma particolare di mandato senza rappresentanza - stante il tenore letterale dell'art. 1731 c.c., che fa riferimento a vendite o acquisti da effettuarsi per conto del committente ed in nome del commissionario - la G. sarebbe stata, pertanto, obbligata - secondo la ricorrente - a trasferire le auto acquistate per conto della A.L. s.n.c. a quest'ultima, in adempimento del contratto suindicato (art. 1706 c.c., comma 2). Con la conseguenza che, trattandosi di passaggi dal commissionario al committente di beni acquistati in esecuzione di un contratto di commissione, la commissionaria G. s.n.c. avrebbe dovuto fatturare le diverse cessioni delle autovetture alla committente A.L. s.n.c, attesa la previsione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 2, n. 3), che assoggetta tali operazioni ad IVA, assimilandole alle cessioni ordinarie di beni. 2.2. Per contro, la G. s.n.c. - secondo la ricostruzione operata dall'Ufficio - aveva provveduto ad alienare direttamente ai clienti tedeschi le autovetture acquistate per conto della A.L. s.n.c, omettendo di fatturare la cessione delle auto a quest'ultima, in adempimento del contratto di commissione. La A.L. s.n.c. aveva provveduto, peraltro, ad emettere fatture per le proprie provvigioni di intermediazione e di assistenza alla vendita nei confronti della G. s.n.c. 2.3. In tal modo le due societ, ad avviso dell'Ufficio, avrebbero simulato l'esistenza di un contratto di procacciamento di affari, dissimulando il reale contratto di commissione tra le stesse intercorso, al fine di evitare alla commissionaria G. s.n.c. la fatturazione ed il conseguente versamento dell'IVA sulle cessioni operate, in qualit di commissionaria, nei confronti della committente A.L. s.n.c. 3. La censura infondata. 3.1. noto che la figura contrattuale atipica del procacciatore di affari, la cui attivit consiste nel raccogliere le ordinazioni dei clienti, trasmettendole, poi, alla casa, che resta libera di accettarle o meno, chiaramente distinguibile da quella dell'agente, per un verso, e da quella del mandatario, per altro verso. 3.1.1. A differenza dell'agente - il quale non si limita a raccogliere episodicamente le ordinazioni dei clienti, ma promuove stabilmente la conclusione di contratti (senza tuttavia concluderli direttamente, neppure se fornito di poteri di rappresentanza) per conto del preponente, nell'ambito di una determinata sfera territoriale - il procacciatore di affari opera senza alcun vincolo di stabilit ed in via del tutto episodica, raccogliendo le ordinazioni dei clienti e trasmettendole all'imprenditore da cui ha ricevuto l'incarico di procurare tali commissioni (Cass. 13629/05; 12776/12). 3.1.2. Inoltre - ed il profilo che qui pi interessa - il procacciatore di affari si differenzia dal mandatario senza rappresentanza - tenuto a compiere uno o pi atti giuridici per conto del mandante (art. 1703 c.c.), acquistando i diritti ed assumendo gli obblighi derivanti dagli atti compiuti per i terzi, per ritrasferirli, poi, al mandante - poich non dispone dei poteri decisori del mandatario, operando il procacciatore come semplice veicolo di trasmissione delle proposte, che di regola raccoglie per iscritto in appositi moduli fornitigli dalla casa, nel cui interesse egli procura gli affari (Cass. 3932/68). 3.2. Orbene, evidente che, stante la chiara e netta distinzione operabile tra le figure contrattuali sopra descritte, costituisce - sul piano generale - onere di colui che affermi la sussistenza dell'una, dissimulata attraverso la simulazione dell'altra, di fornire la prova della vicenda simulatoria dedotta (Cass. 9012/09). Con specifico riferimento alla prova dei contratti che possano integrare una frode al fisco, questa Corte ha - di poi - avuto modo di affermare che, in base al criterio stabilito in via ordinaria dall'art. 2697 c.c., l'Amministrazione finanziaria, qualora faccia valere la simulazione assoluta o relativa di un contratto stipulato dal contribuente, ai fini della regolare applicazione delle imposte, non dispensata dall'onere della relativa prova, la quale, tenuto conto della qualit di terzo dell'Amministrazione, pu essere offerta con qualsiasi mezzo, e quindi anche mediante presunzioni. Ed evidente che, incidendo l'accordo simulatorio sulla volont stessa dei contraenti, detta prova non pu rimanere circoscritta ad elementi di rilevanza meramente oggettiva, ma deve necessariamente proiettarsi anche su dati idonei a disvelare convincentemente i profili negoziali di carattere soggettivo, riflettentisi sugli scopi perseguiti, in concreto, dalle parti (cfr. Cass. 17221/06; 1549/07; 12249/10). 3.3. Senonch, nel caso di specie, a fronte dell'unico dato documentale certo, costituito dalle fatture emesse dalla A.L. nei confronti della G. s.n.c., per le provvigioni relative all'attivit di intermediazione e di assistenza nelle vendite operate dalla G. s.n.c. ai clienti esteri procurati dalla stessa A.L. s.n.c, che dimostravano - con evidenza - l'esistenza di un rapporto di procacciamento di affari, nessuna prova di segno contrario ha offerto l'Amministrazione finanziaria, a sostegno della pretesa simulazione di tale contratto. La sussistenza di un dissimulato contratto di commissione rimasta, invero, nel ricorso introduttivo del presente giudizio, al livello di una mera asserzione sfornita del bench minimo elemento di riscontro sul piano probatorio, in violazione dei principi suesposti, in materia di onere della prova della simulazione. 4. Per tutti i motivi che precedono, pertanto, il ricorso deve essere rigettato. 5. Le spese del presente giudizio vanno poste a carico della ricorrente, nella misura di cui in dispositivo. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.500,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge. Cos deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione Tributaria, il 2 dicembre 2013. Abuso e elusione nel procedimento e nel processo CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE, SENTENZA 4 APRILE 2014, N. 7961 Federico Maria Giuliani e Sabrina Scalini * SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Una doverosa distinction - 3. Le norme di riferimento 4. Labuso del diritto tributario, allo stato, beneficia della rilevabilit dufficio (a differenza dellelusione) nel processo, ma per contrappasso subisce un procedimento meno garantista -5. Conclusione. 1. Premessa. Con perspicua pronuncia (1) la Sezione Tributaria della Corte Suprema enuncia una regola di diritto che, sebbene gi alle volte male massimata (confondendo elusione e abuso tributario), lumeggia un problema di coordinamento sistematico-distintivo. Labuso del diritto tributario continua a essere rilevabile dufficio dal giudice in ogni grado del processo tributario. Di contro lelusione, di cui allart. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973, deve essere puntualmente contestata nellavviso di accertamento, con citazione della norma della legge medesima; s che laccertamento non pu in alcun modo essere meglio qualificato giuridicamente nel processo, invocando in atti difensivi per la prima volta (lamministrazione) lart. 37-bis. 2. Una doverosa distinction. Abbiamo pi volte rimarcato nei nostri scritti una corriva tendenza, nel linguaggio parlato e scritto, a fare un tuttuno delle nozioni di elusione e abuso. Si dice infatti che in buona sostanza si tratta della stessa cosa. La Corte di Cassazione, nella sentenza da cui si prende spunto (2), pone invece una linea di demarcazione assai netta fra le due categorie, operando una distinzione che non soltanto terminologica, ma greve di conseguenze sul piano della disciplina sostanziale e processuale. Sicch simpone di tenere ben chiare le idee, evitando quanto pi possibile commistioni - anche se puramente esplicative -, foriere di perigliose confusioni, in senso bens teorico ma soprattutto pratico. 3. Le norme di riferimento. Il quadro di riferimento normativo piuttosto semplice. Nel caso di specie, non a caso, lamministrazione aveva emanato, nei con (*) Avv.ti del libero Foro. (1) Cass., Sez. V Civ., 4 aprile 2014, n. 7961, in il fisco, 2014, n. 19, p. 1866 s. (2) Supra, alla nota precedente. fronti di una s.r.l., un avviso di accertamento rettificativo dIrpef e Ilor, vigenti al tempo delle dichiarazioni, motivato con la sola menzione dellart. 39, d.p.r. n. 600/1973. La notifica dellavviso stesso non era stata preceduta da alcuna richiesta di chiarimenti, destinata alla societ contribuente. Nessun cenno vi era allart. 37-bis. 3.1. Ora come noto, il suddetto art. 39 disciplina i casi di rettifica dei redditi dimpresa delle persone fisiche, distinguendo al suo secondo comma - rispetto al primo - laccertamento extra-contabile, emanabile in presenza di taluni presupposti fattuali (omessa indicazione tout court del reddito dimpresa in dichiarazione, sottrazione e/od omessa tenuta di scritture contabili, inattendibilit complessiva di queste ultime, ecc.). Laccertamento extra-contabile, oltre a prescindere dalle scritture nella rideterminazione del reddito dimpresa, pu essere costruito e argomentato anche a mezzo di presunzioni semplici (non dotate dei requisiti di gravit, precisione e concordanza). Sta di fatto che un richiamo motivazionale accertativo, che si esaurisce nellart. 39 (richiamato per i soggetti Ires, gi Irpeg, dallart. 40), non stato ritenuto adeguato dai supremi Giudici acciocch lamministrazione potesse sostenere, nel processo tributario, che si fosse in presenza di atti e/o negozi e/od operazioni elusive, riconducibili allart. 37-bis, d.p.r. n. 600/1973. 3.2. Puntualmente, non avendo lufficio accertatore contestato lelusione ex art. 37-bis, la stessa amministrazione non procedette affatto a previa instaurazione del contraddittorio endo-procedimentale col contribuente, cos come dettato - a pena di nullit dellavviso - dal comma 4 dello stesso art. 37-bis (richiesta di chiarimenti). Del resto, che questultima precisazione sia puntuale e non revocabile in dubbio, dimostrato palesemente dal comma 5 dellart. 37-bis medesimo, laddove la legge impone - di nuovo a pena di nullit - che, a seguito della ricezione delle giustificazioni scritte dal contribuente (dopo lapposita richiesta), lavviso debba essere specificamente motivato tenendo conto delle osservazioni fornite dal contribuente. 3.3. Ora larresto nomofilattico in questione non si limita a stabilire quanto appena detto: che cio un avviso di accertamento, se non motivato espressamente con la menzione dellart. 37-bis, non pu a posteriori essere (ri-)qualificato come antielusivo dallAgenzia delle Entrate. Aggiunge infatti la Corte che linterpretazione e applicazione dellart. 37bis, ove non contestata apertis verbis in rettifica, non pu essere rilevata dufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo. Dipoi la sorte dellavviso, emanato in presenza di fatti pur riconducibili allart. 37-bis, e per non motivato (n proceduralmente spiccato) sulla base dello stesso articolo, non pu che essere lannullamento da parte del giudice tributario. 4. Labuso del diritto tributario beneficia, allo stato, della rilevabilit dufficio (a differenza dellelusione) nel processo, ma per contrappasso subisce un procedimento meno garantista. 4.1. Nellaffermare quanto dianzi esposto allAlta Corte non sfugge la contraddizione potenzialmente ravvisabile con la stessa giurisprudenza tributaria, affermativa del principio per cui labuso del diritto tributario, quale regola generale evincibile da precetti costituzionali, ben pu essere rilevato dufficio dal giudice in ogni grado del processo. E in effetti le domande, che il lettore pratico-teorico della sentenza sbito si pone, sono le seguenti: ma se vero - come vero - che lart. 42 cpv. d.p.r. n. 600/1973 dispone che lavviso di accertamento deve essere motivato con lindicazione delle ragioni giuridiche che lo hanno determinato (ergo le norme di legge), perch per i casi di elusione simpongono menzione (e procedure) di cui allart. 37-bis, e invece nel caso di un asserito (dallufficio) abuso, la specifica menzione dello abuso stesso non necessaria, cos come non necessaria la menzione delle norme costituzionali posta a presidio del- lomonima teorica giurisprudenziale? E perch labuso pu essere rilevato ex officio dal giudice tributario in ogni stato e grado del processo, cosa che non pu invece intervenire nei casi di elusione, sussumibili sotto lart. 37-bis del decreto sullaccertamento? 4.2. A questi interrogativi rispondono i giudici di piazza Cavour sottolineando non tanto il fatto che labuso - siccome categoria dedotta dal Supremo Collegio dal sistema (in specie costituzionale) - non trova riscontro esplicito in una norma di legge ad hoc. Piuttosto ci che si sottolinea il concetto dinvalidit/inoppugnabilit di negozi e operazioni allamministrazione finanziaria. Siccome, per norma tipica, tale inopponibilit dettata dallart. 37-bis, se manca il riferimento esplicito a quella nella motivazione accertativa il giudice tributario - in qualunque stato e grado del processo - non pu supplire alla irrimediabile carenza (violativa di legge), consumata dallente accertatore sul piano del contraddittorio endo-procedimentale. Questa sembra essere la logica del costrutto. Detto altrimenti, linopponibilit negoziale al fisco passa attraverso il necessario contraddittorio endo-procedimentale prescritto ex lege a pena di nullit. Se in pi manca la menzione dellart. 37-bis in motivazione, laccertamento non pu pi essere qualificato come antielusivo da nessuno in alcuna sede. 5. Conclusione. Non pi proponibile alcuna confusione tra abuso ed elusione, come in vece sovente accaduto e accade, su riviste e primari quotidiani, anche economici, nazionali. Quandanche si voglia dire che lelusione un sottoinsieme dellinsieme abuso - e che lelusione tipizzata ex lege mentre labuso non lo -, ogni assimilazione tra i due concetti rappresenta un fatto latore di malintesi grevi di ponderosi corollari operazionali. Si pu invero prendere nota del fatto che lapparente distonia di disciplina tra elusione e abuso, sul piano della garanzia del contraddittorio endoprocedimentale tra ufficio e contribuente, gi allesame della Corte Costituzionale su rimessione della Cassazione. Ma ci semmai rappresenta la conferma - e non gi la negazione - di una dicotomia ineluttabile tra le due nozioni, sotto pi profili, nel diritto vivente. Cassazione civile, Sezione V, sentenza 4 aprile 2014 n. 7961 -Pres. Cappabianca, Rel. Crucitti, P.M. Sepe (conforme) - U.C. s.r.l. (avv. Negroni) c. Agenzia delle Entrate (avv. gen. Stato). Svolgimento del processo La Commissione Tributaria del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, riformava, su appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, la decisione di primo grado che aveva accolto i ricorsi proposti dalla U.C. s.r.l. avverso avvisi di accertamento, ai fini iperg-ilor per gli anni 1996 e 1997 e di rettifica iva per l'anno 1997, fondati sulle risultanze del bilancio della Societ, ritenute non confortate da alcuna logica di mercato, e sulla circostanza che la contribuente avesse operato un ricarico macroscopicamente contrastante con quello medio di settore; laddove, di contro, la documentazione prodotta in risposta al questionario inviato dall'Ufficio era generica ed insufficiente. Il Giudice di appello, in particolare - osservato "in conformit al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis introdotto dal D.Lgs. n. 358 del 1997, che il caso di specie fosse riconducibile all'ipotesi di elusione di imposta ove, quand'anche le scritture contabili risultino complete e regolari ..., l'attivit posta in essere dal contribuente si manifesti antieconomica in relazione al settore merceologico nel quale lo stesso opera - riteneva che in siffatta ipotesi la legittima presunzione di elusione fiscale pu essere vinta soltanto con giustificazioni oggettive, razionali ed attendibili le quali, nel caso di specie, invero non sono state fornite se non con un generico richiamo a subappalti che, peraltro, nella catena creata vieppi sembrano confermare l'intento elusivo della contribuente". Infine, il Giudice di appello, rilevato, in ordine agli errori di calcolo lamentati dalla contribuente, che istituzionalmente la Commissione non poteva n verificarli n riformularli, invitava l'Ufficio a controllare e "se, del caso, a riformulare i conteggi effettuati, per la definitiva quantificazione dell'imposta dovuta, considerando quale percentuale di ricarico quella dell'8%". Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, U.C. s.r.l. Ha resistito con controricorso l'Agenzia delle Entrate. Motivi della decisione 1. L'eccezione, sollevata dall'Agenzia delle Entrate, di inammissibilit del ricorso perch notificato a "Agenzia delle Entrate, Ufficio Roma ... - Area Controllo -Team legale" non merita accoglimento. L'orientamento di questa Corte , in effetti, consolidato (cfr. sentenze citate dalla controricorrente) nel ritenere - sia pure ai diversi fini della idoneit a far decorrere il termine breve per proporre il ricorso per cassazione - la nullit della notificazione delle sentenze delle commissioni tributarie regionali eseguita nei confronti del "Team Assistenza Legale" dell'Agenzia delle Entrate, dovendosi escludere che detto "Team" abbia funzioni di rappresentanza dell'ente ed essendo impossibile stabilire se tale struttura e le persone che ne fanno parte siano incaricate di ricevere le notifiche o addette alla sede. Ma, nel caso in esame, la tempestiva costituzione dell'Agenzia delle Entrate la quale ha resistito, con controricorso, dibattendo anche sul merito della controversia, ha sanato detta nullit (cfr.tra le tante, di recente Cass. Ordinanza n. 18238/2012). 2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la sentenza impugnata di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere la Commissione Tributaria Regionale omesso ogni valutazione sulla doglianza relativa all'inammissibilit dell'appello per mancanza di specifiche censure e, inoltre, insufficientemente motivato in ordine alla dedotta rinuncia al contendere per l'annualit del 1997. Si deduce ancora la contraddittoriet ed illogicit della motivazione laddove si demanda all'Ufficio la verifica sulla correttezza dei calcoli. 2.1. La prima doglianza inammissibile. Il mezzo difetta di specificit laddove, impedendo a questa Corte ogni valutazione al proposito, non riporta n il contenuto dell'appello della controparte n dello scritto difensivo nel quale sarebbero stati dedotti la mancanza di specificit dei motivi di impugnazione e l'asserita rinuncia al contendere da parte dell'Agenzia delle Entrate relativamente all'annualit 1997. Ma, ancor prima, il mezzo inammissibile per l'assenza del c.d. "momento di sintesi", necessario ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. applicabile all'odierno ricorso per essere stata la sentenza impugnata depositata il 5.4.2006. Anche l'ultima doglianza (illogicit e contraddittoriet della motivazione in ordine ai paventati errori di calcolo dei quali sarebbero stati inficiati gli avvisi di accertamento) va incontro alla sanzione di inammissibilit. Il mezzo, infatti, non autosufficiente non avendo la ricorrente riportato con completezza la contestazione, mossa nel giudizio di merito, in ordine all'inesattezza dei calcoli come effettuati dall'Ufficio; ma, ancor prima, la doglianza inconducente, laddove la motivazione resa, al proposito, dalla C.T.R. (dichiaratasi istituzionalmente priva del potere di verificare e riformulare i detti calcoli) equivale ad una pronuncia di rigetto della relativa domanda e l'invito, rivolto all'Ufficio, al controllo e se, del caso, alla riformulazione dei conteggi costituisce mera sollecitazione priva di contenuto decisorio ed ordinatorio. 3. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37 bis e 42. In particolare, la ricorrente si duole della circostanza che il riferimento al citato art. 37 bis fosse stato introdotto per la prima volta in atto di appello laddove l'avviso di accertamento faceva riferimento solo all'art. 39 stesso D.P.R. con ulteriore violazione, quindi, dell'art. 42 il quale prescrive che l'avviso di accertamento deve contenere l'indicazione delle norme giustificative dell'operato dell'Ufficio mentre, secondo la giurisprudenza, detta motivazione non pu essere integrata in corso di giudizio. Inoltre, secondo la prospettazione difensiva, nella specie non era applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis in quanto non erano stati richiesti, come prescritto a pena di nullit dalla norma al suo quarto comma, i chiarimenti al contribuente. 3.1. Il motivo fondato. Agli atti pacifico e non contestato tra le parti che gli avvisi di accertamento, oggetto di contenzioso, vennero emessi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ai fini IPERG ed ILOR, ed ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 ai fini IVA. L'Agenzia delle Entrate, in contro- ricorso, nel non disconoscere che la questione in ordine alla sussistenza, nella specie, di una finalit elusiva di imposta fosse stata introdotta per la prima volta nel giudizio di secondo grado, ha ribadito che, nella specie, non era stata data una diversa qualificazione giuridica al rapporto dedotto in giudizio n era stata indicata una diversa base normativa, ma si erano svolte delle semplici osservazioni giuridiche che il giudice di appello si era limitato a condividere. L'assunto non pu essere condiviso. L'esistenza di un generale principio antielusivo, traente fonte non solo dalla giurisprudenza comunitaria, ma, per le imposte dirette, anche e soprattutto dagli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha avuto modo di rilevare, anche, che l'esistenza di detto principio generale non scritto volto a contrastare le pratiche consistenti in abuso del diritto consente al giudice tributario di utilizzare, anche d'ufficio, lo strumento dell'inopponibilit all'amministrazione anche per ogni altro profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda far discendere dall'operazione elusiva (cfr. Sez. V, Sentenza n.30057 del 23/12/2008). Quanto esposto, per, non si attaglia al caso in specie, laddove il Giudice tributario - lungi dal rilevare una causa di invalidit o di opponibilit all'amministrazione dei negozi opposta dal contribuente - ha illegittimamente mutato la stessa motivazione degli avvisi di accertamento fondandoli su una diversa norma di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis) la cui applicabilit, peraltro, per la sua natura, anche, procedimentale, non rilevabile ex officio. 4. In conclusione, quindi, in accoglimento del secondo motivo e rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata e la controversia rinviata al Giudice di merito affinch proceda al riesame alla luce dei principi sopra illustrati e provveda al regolamento delle spese processuali di questo grado. P.Q.M. La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese processuali a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio. Cos deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 dicembre 2013. Autonoma impugnabilit di atti endoprocedimentali tributari: il Consiglio di Stato si pronuncia sul verbale di contestazione CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, SENTENZA 14 APRILE 2014, N. 1821 Federico Maria Giuliani * SOMMARIO: 1. Il caso - 2. La soluzione - 3. Considerazioni critiche - 4. Conclusioni. 1. Premessa: il caso. 1.1. In un perspicuo e recente arresto (1), dotato di notevole rilevanza operazionale, il Supremo Consesso della giustizia amministrativa si occupa dei presupposti (giurisdizione, interesse) per lammissibilit dellazione contro i vizi del processo verbale di constatazione. Larresto merita attenzione anche perch la sua motivazione evoca e investe il pi ampio tema della tutela del contribuente avverso le patologie di atti tributari endoprocedimentali ufficiosi (in specie, oltre ai processi verbali di constatazione, comunicazioni dirregolarit e avvisi bonari). 1.2. Il caso concreto facilmente riassumibile. La Direzione regionale abruzzese dellAgenzia delle entrate redige processo verbale di constatazione a carico di societ di capitali sita in Lanciano, a seguito e per effetto di verifica fiscale nei locali commerciali di questa. La societ verificata impugna il p.v.c. avanti il T.A.R. Abruzzo, deducendo violazione di principi e norme tributarie, violazione della legge sul procedimento amministrativo, violazione dellart. 52, d.p.r. istitutivo dellI.V.A., nonch violazione degli artt. 7 e 12 dello Statuto del contribuente. E ci poich - asserisce listante - vi carenza di potere accertativo in capo allufficio finanziario, carenza di firma congiunta dei due verificatori, nonch omessa indicazione del responsabile del procedimento. Si tratta di asserite carenze strutturali del processo verbale, che non intaccano il merito delle contestazioni fiscali dei verbalizzanti. Nondimeno il T.A.R. dellAbruzzo dichiara inammissibile il gravame, per carenza di giurisdizione amministrativa, in favore del giudice tributario. A nulla rileva - secondo il Tribunale - che nel frattempo fosse stato esperito, davanti al giudice tributario, ricorso avverso lavviso di accertamento basato sul p.v.c.; e ci proponendo le medesime lagnanze gi declinate, sbito dopo il p.v.c., nel processo amministrativo. A nulla rileva altres - per il T.AR. Abruzzo -che il giudizio tributario, al momento della definizione del processo amministrativo di primo grado, pendesse ormai davanti alla Corte di Cassazione. (*) Avvocato del libero Foro di Milano, libero scrittore. (1) Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2014, n. 1821, Pres. Numerico, Est. Spagnoletti. Piuttosto importa, per il Tribunale stesso, la giurisprudenza costante su pienezza ed esclusivit (cos alla lettera) della giurisdizione tributaria a scapito del G.A., sugli atti aventi natura e contenuto fiscali. E invero, in specie dopo la novella di cui allart. 12, legge n. 448/2001 - sostitutiva dellart. 2, d.lgs. n. 546/1992 -, osserva il T.A.R. che la giurisdizione delle commissioni tributarie assorbe oramai tutte le controversie su imposte e tasse, fatta eccezione per la fase dellesecuzione forzata e per limpugnazione dei regolamenti (dove per non il G.A., bens lA.G.O. a intervenire). Tale arresto di primo grado viene impugnato dalla societ contribuente davanti al Consiglio di Stato, dove in punto di giurisdizione la tesi del contribuente appellante quella per cui il p.v.c. - siccome atto meramente preparatorio/istruttorio, e quindi privo di pretesa pecuniaria e di effetti tributari diretti nella sfera patrimoniale del contribuente - non autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario. Tanto vero - aggiunge il ricorrente in appello - che il processo verbale di constatazione non compare nellelenco degli atti autonomamente impugnabili, di cui allart. 19 del decreto sul contenzioso tributario. 2. La soluzione. La Sezione Quarta di Palazzo Spada, investita della questione, respinge lappello del contribuente, ribadendo il difetto di giurisdizione amministrativa. Secondo il Supremo consesso il p.v.c. bens atto privo di effetti procedimentali tributari, e non produttivi di efficacia lesiva immediata e diretta. Infatti dal p.v.c pu, ma non deve, promanare poi un avviso di accertamento, il quale sar bens questa volta impugnabile. Tutto ci per non toglie che il giudice competente sia la Commissione tributaria. E comunque, specie quando il gravame si fonda su asseriti vizi procedi- mentali/formali del p.v.c. - come accaduto nel caso concreto - il C.d.S. afferma che essi possono bens essere fatti oggetto dimpugnazione giurisdizionale, ma soltanto non immediatamente n autonomamente, cio in un secondo momento eventuale, che limpugnazione nel giudizio tributario dellavviso di accertamento conseguente (2). Peraltro - conclude il Consiglio di Stato - quegli atti, che sono per legge presupposto necessario di talune attivit ispettive particolarmente invasive (prodromiche allaccertamento), ricadono anchesse sotto il controllo della giurisdizione tributaria (3). il caso, per esempio, dellautorizzazione del Procuratore della Repubblica, necessaria acciocch gli uffici finanziari - o per essi la polizia tributaria - possano procedere a perquisizione personale e/o domi (2) Ex multis nello stesso senso Cass., Sez. Trib., 29 maggio 2006, n. 12789; id., 20 gennaio 2004, n. 787; id., 30 ottobre 2002, n. 15305, tutte leggibili in banca dati fisconline. (3) Cos infatti gi Cons. Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2008, n. 6045. ciliare (scil. fuori dai locali dellimpresa). E ci per il combinato disposto degli artt. 33, comma 1, d.p.r. n. 600/73 e 52, commi 2 e 3, d.p.r. n. 600/73. 3. Considerazioni critiche. Prescindendo qui dalle questioni teoriche (processuali), cui la sentenza in rassegna in sottofondo rinvia, simpongono per alcune riflessioni complessive. 3.1. Un primo corollario della sentenza il seguente. Durante gli accessi dellufficio impositore o della guardia di finanza (quale suo collaboratore), il contribuente che ritiene ricorrano violazioni delle garanzie poste dalla legge a tutela della sua riservatezza [tanto pi aumenta linvasivit dei controlli, tanto pi occorrono autorizzazioni e/o presupposti di fatto], non pu certo adire urgentemente il giudice tributario, onde ottenere un immediato provvedimento giurisdizionale che ordini alla P.A. di cessare lattivit ispettiva non consentita. Ch non sono in gioco ivi atti autonomamente impugnabili, bens condotte attizie endoprocedimentali, non foriere di per s stesse di pretese pecuniarie da parte del fisco. E invero neppure, a quello stesso fine, pu il contribuente adire il T.A.R, chiedendo una tutela cautelare ancorch questa, come noto, nel processo amministrativo sia atipica e dunque adattabile alle esigenze del caso concreto. Per il G.A., infatti, non soltanto difetta la giurisdizione in materia tributaria (salvo situazioni sempre pi sparute e isolate), ma difetta altres un presupposto per addivenire a una pronuncia sul merito qual linteresse a ricorrere. Infatti lart. 35, comma 1, d.lgs. n. 104/2010 (C.P.A.), statuendo linammissibilit (rilevabile anche dufficio) del ricorso privo dinteresse ad agire, si porta dietro il radicato concetto dellinteresse magari anche non economico, e per necessariamente attuale, a fronte di una lesione concreta e immediata (4). Alla luce di ci, evidentemente, latto prodromico ad altro atto (accessi, ispezioni, verifiche rispetto allavviso di accertamento) non autonomamente impugnabile, perch anzitutto non certo che allaccesso faccia seguito lemanazione di un atto impositivo ufficioso; inoltre latto prodromico endoprocedimentale, di per s solo, non intacca la sfera economico-patrimoniale del contribuente. 3.2. Ora per, siccome si soliti affermare in giurisprudenza e dottrina che - come pocanzi accennato - linteresse a ricorrere non deve essere necessariamente economico, ma pu essere altres morale - purch attuale e non probabilistico -, viene da chiedersi se una immediata lesivit non patrimoniale, per esempio, di una perquisizione domiciliare non debitamente autorizzata, (4) Per tutti si consulti sul punto R. GAROFOLI, Compendio di diritto amministrativo, Nel Diritto ed., Roma, 2012, p. 405 s. possa integrare gli estremi dellinteresse a ricorrere, con tanto di domanda di tutela cautelare. Da questo punto di vista lassunto del C.d.S. sulla spettanza al solo giudice tributario di un vizio endoprocedimentale quale quello test ipotizzato (5), non pu che portare a una risposta sistematica che si articola come segue: a) al giudice amministrativo sul punto preclusa la giurisdizione, ch si versa in un procedimento tributario, se pure in in fase istruttoria. Al giudice tributario, per parte sua, la legge impone di occuparsi del vizio in parola non immantinente, ma solo se e quando quello sar chiamato a giudicare sull(eventuale) avviso di accertamento conseguente, cio sulla incidenza del vizio endoprocedimentale sullatto ufficioso autonomamente impugnabile. b) in questultima sede dovr stabilirsi qual leffetto a catena del vizio istruttorio, sia sul piano del processo (p.e. inutilizzabilit delle prove cos acquisite), sia sul piano della validit/invalidit dellaccertamento ufficioso. c) nel processo tributario non contemplata, fra le altre cose, una tutela cautelare ante causam quale quella del nuovo codice del processo amministrativo; d) in conclusione, si potr al pi pensare a unazione di risarcimento dei danni morali cagionati con lingiusta perquisizione. Ma, alluopo, lazione ex art. 2043 ss. non pu che competere al giudice civile (ch il G.A. ne tagliato fuori giusta quanto sopra; e al G.T. non data una possibile giurisdizione sui danni come invece al G.A.). 4. Conclusioni. 4.1. La sentenza del C.d.S. in commento, negando lautonoma impugnabilit del processo verbale di constatazione (oltre a dichiarare il difetto di giurisdizione amministrativa in favore di quella tributaria, con per tutela differita), assume - come gi detto - una posizione in linea con la Suprema Corte in ordine a tale atto (6). Di contro, a conclusione opposta (impugnabilit autonoma/immediata) pervenuto lo stesso Supremo Collegio, col noto revirement del 2012 (7), in punto di comunicazioni dirregolarit. A queste si tendono ad assimilare, con una sorta di lettura estensiva dellarresto, i c.d. avvisi bonari (8). E se convergenza giurisprudenziale vi sullormai acquisita esclusivit -piuttosto che mera specialit - della giurisdizione tributaria (9), la dottrina in parte contraria allautonoma impugnabilit delle comunicazioni dirrego (5) V. supra, par. 2 al fondo. (6) Fra le molte Cass., Sez. I, 28 aprile 1998, 4312; Cass., Sez. trib., 20 gennaio 2004, n. 787, ambedue in banca dati fisconline. (7) Cass., 11 maggio 2012, n. 7344, in banca dati fisconline. (8) Se cos , Cass. n. 7344/2012 ribalta Cass., Sez. Trib., 15 ottobre 2004, n. 1791, che statuiva la non autonoma impugnabilit degli avvisi bonari (vedile entrambe in banca dati fisconline), (9) Vedi Cons. St. n. 1821/2014, cit. e Cass. n. 7344/2012, cit. larit e degli avvisi bonari (10), e in altra parte favorevole al revirement impresso nel 2012 dal giudice nomofilattico al riguardo (11). 4.2. Il quadro complessivo diventa pi chiaro, sol che si distinguano come perspicuamente suggerito (12) - le nozioni di autonoma impugnabilit (facoltativa) e onere dimmediata/autonoma impugnazione (autonoma impugnabilit obbligatoria). E invero la Corte di Cassazione, nel suo arresto del 2012 sulle comunicazioni dirregolarit (13), delinea chiaramente unimpugnabilit dellatto senza per lonere dimpugnazione. Ci in quanto - osserva il S.C. - la successiva cartella di pagamento atto sostitutivo della pregressa comunicazione: sicch il contribuente pu bens impugnare la cartella senzavere previamente impugnato la comunicazione dirregolarit; se daltronde egli aveva scelto dimpugnare autonomamente e immediatamente la comunicazione, allora con la notifica della cartella il processo avente a oggetto la comunicazione si estingue per sopravvenuta carenza dinteresse ad agire. Se si tiene in debito conto questultimo dato, una certa quale apparente disarmonia tra Cass. e C.d.S., sul tema generale della tutela avverso gli atti endoprocedimentali tributari, si attenua. N vi sarebbe da stupirsi di ulteriori novit giurisprudenziali in materia magari proprio in punto dimpugnabilit autonoma del p.v.c (pur senzonere dimpugnazione). In questultimo senso (dimmediata proponibilit di un gravame avverso il processo verbale) non a caso si sono gi espressi autorevoli giudici tributari di merito (14). Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 14 aprile 2014 n. 1821 -Pres. Numerico, Est. Spagnoletti - B. s.p.a. (avv.ti Di Trani e Sciacchitano) c. Ministero dellEconomia e delle Finanze, Agenzia delle Entrate - Direzione regionale dellAbruzzo (avv. gen. Stato). FATTO e DIRITTO 1.) La societ B. S.r.l., ora B. S.p.A., con sede in Lanciano, con il ricorso in primo grado n.r. 168/2008 ha impugnato un processo verbale di constatazione, formato da funzionari del- l'Agenzia delle Entrate - Direzione regionale dell'Abruzzo, in data 27 dicembre 2007, relativo ad una verifica fiscale, deducendone l'illegittimit con unico motivo complesso articolato sotto tre rubriche ( 1) Violazione di norme e principi generali in materia fiscale tributaria; 2) Violazione della legge n. 241/1990 art. 7; 3) Violazione dell'art. 52 d.P.R. n. 633/1972, dell'art. (10) F. TESAURO, Gli atti impugnabili e i limiti della giurisdizione tributaria, in Giust. Trib., a www.datalexis.it (11) R. LUPI, Torna limpugnazione degli avvisi bonari, in www.fondazionestuditributari.com (12) Op. ult. cit. (13) Supra, nt. 9. (14) Comm. Trib. Reg. Lombardia, sent. 6 aprile 2012, n. 46/28/2012, in banca dati fisconline. 36 d.P.R. n. 600/1973, degli artt. 7 e 12 della legge n. 212/2000), in relazione a lamentate carenze strutturali dell'atto (carenza di potere accertativo in capo all'Ufficio finanziario, carenza di firma congiunta dei due verificatori, omessa indicazione del responsabile del procedimento). Con la sentenza n. n. 84 del 25 gennaio 2013 il T.A.R. per l'Abruzzo ha dichiarato inammissibile il ricorso per carenza di giurisdizione amministrativa in favore della giurisdizione tributaria, in base ai rilievi di seguito testualmente riportati: "... in disparte il fatto che le censure dedotte avverso il suddetto processo verbale di contestazione sono state poi integralmente reiterate nel successivo ricorso proposto avverso il conseguente avviso di accertamento (ricorso rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale, e in sede di appello, dalla Commissione Tributaria Regionale, e ora pendente in Cassazione), deve ritenersi assorbente il fatto che la Giurisprudenza ha da tempo chiarito che la giurisdizione delle Commissioni Tributarie, essendo piena ed esclusiva, si estende non soltanto al- l'impugnazione del provvedimento impositivo ma anche alla legittimit di tutti gli atti del procedimento e che a seguito della riforma di cui all'articolo 12 della legge 28 dicembre 2001 n. 448, la giurisdizione del Giudice Tributario, si estende ormai a qualunque controversia in materia di imposte tasse che non attenga al momento della esecuzione in senso stretto (Cassazione civile, sezioni unite, 14 marzo 2011, ordinanza n. 5928; Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana 28 luglio 2011 n. 523)". Con appello notificato il 24 aprile 2013 e depositato l'8 maggio 2013, la sentenza stata impugnata deducendone l'erroneit, quanto alla declaratoria di difetto di giurisdizione amministrativa, rilevando, in sintesi, sul che il processo verbale di constatazione atto preparatorio e istruttorio, privo di effetti tributari diretti, non impugnabile in via autonoma dinanzi al giudice tributario, n ricompreso nell'elencazione degli atti impugnabili nel processo tributario, con riproposizione delle censure gi dedotte con il ricorso in primo grado. Nel giudizio si sono costituiti il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate, che hanno dedotto, a loro volta, l'infondatezza dell'appello. Nella camera di consiglio del 2 luglio 2013 l'appello stato discusso e riservato per la decisione. 2.) L'appello in epigrafe destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato, con la conferma della sentenza impugnata e quindi della declaratoria del difetto di giurisdizione amministrativa. Il processo verbale di constatazione l'atto in cui si condensano le risultanze degli accessi nei locali destinati all'esercizio di attivit commerciali, agricole, artistiche o professionali, finalizzati a "... ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l'accertamento dell'imposta e per la repressione dell'evasione e delle altre violazioni...", da parte di funzionari dell'amministrazione finanziaria (ora dell'Agenzia delle Entrate) e/o muniti di apposita autorizzazione; dal medesimo debbono risultare "... le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute" e "... deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione", fermo il diritto del contribuente di ottenerne copia (art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, applicabile anche in materia di imposte dirette sui redditi ai sensi dell'art. 33 comma 1 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). evidente che trattasi di atto privo di contenuto ed effetti provvedimentali, dal quale pu eventualmente scaturire l'emanazione di un accertamento tributario, privo pero ex se di effetti tributari e di efficacia lesiva, e in quanto tale, appunto, non impugnabile in via diretta e autonoma dinanzi alle commissioni tributarie, secondo giurisprudenza affatto pacifica (Cass. civile, Sez. Trib., 29 maggio 2006, n. 12789; id., 20 gennaio 2004, n. 787, che rileva come esso sia atto endoprocedimentale, sfornito di rilevanza giuridica esterna e di valore impositivo; id., 30 ottobre 2002, n. 15305, che ha altres negato che la non impugnabilit - da escludere ai sensi del previgente art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, e ora dell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 - configuri profili d'illegittimit costituzionale). altres chiaro che la non immediata impugnabilit non preclude che eventuali vizi del processo verbale, che infirmino l'efficacia probatoria del medesimo, quanto alle modalit del- l'accesso e/o all'acquisizione dei documenti, possono comunque essere fatti valere in relazione all'impugnazione dell'atto di accertamento, e in tal senso, come osservato dal giudice amministrativo abruzzese, non senza significato che "... le censure dedotte avverso il suddetto processo verbale di contestazione sono state poi integralmente reiterate nel successivo ricorso proposto avverso il conseguente avviso di accertamento ...", ancorch il relativo ricorso tributario sia stato rigettato dalla commissione tributaria provinciale con sentenza confermata dalla commissione tributaria regionale, pendendo, all'epoca dell'emanazione della sentenza gravata nella presente sede, ricorso per cassazione. D'altro canto, questa Sezione ha gi avuto modo di chiarire che atti che si pongano quali presupposti di attivit ispettiva e acquisitiva prodromica all'accertamento sono sindacabili dinanzi alla giurisdizione tributaria ed esulano dalla giurisdizione amministrativa (nella specie l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica alla perquisizione del domicilio del contribuente o del legale che lo rappresenta: Cons. Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2008, n. 6045). 3.) In conclusione, l'appello deve essere rigettato, con la conferma della sentenza gravata, e con la condanna della societ appellante alla rifusione delle spese e onorari del giudizio d'appello, liquidati come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) rigetta l'appello in epigrafe n.r. 3431/2013 e, per l'effetto, conferma la sentenza del T.A.R. per lAbruzzo, Sede de LAquila, Sezione I, n. 84 del 25 gennaio 2013 e condanna la societ B. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, alla rifusione in favore dell'Avvocatura generale dello Stato, distrattaria ex lege, delle spese e onorari del giudizio d'appello, liquidati in complessivi 5.000,00 (cinquemila/00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorit amministrativa. Cos deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2013. Sulla Direttiva Reati: il giudice dellesecutivit riconosce laccesso allindennizzo nelle sole situazioni transfrontaliere(*) CORTE DI APPELLO DI ROMA, ORDINANZA 9 MAGGIO 2014 R.G. 7072/13 IN ALLEGATO: 1. Atto defensionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri - 2. Ordinanza della Corte di Giustizia UE 30 gennaio 2014, C-122/13. Con ordinanza in data 9 maggio 2014 la Corte dappello di Roma - pronunciandosi per la prima volta sullambito di applicabilit della c.d. Direttiva Reati n. 80/2004 dopo la recente ordinanza della Corte di Giustizia UE del 30 gennaio 2014 - ha sospeso lesecutivit dellimpugnata sentenza del Tribunale di Roma n. 22327/13 (a cui, a suo tempo, i mezzi di informazione hanno dato ampio risalto), ritenendo le ragioni poste dallAvvocatura dello Stato a fondamento dellappello incidentale ... provviste di adeguato fumus. All. 1) CT 31313/2009 Avv. G. Palatiello Avvocatura Generale dello Stato ECC.MA CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE PRIMA CIVILE (R.G. n. 7072/13 rel. Cons. Ferdinandi Prima udienza di comparizione 29.4.2014) COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA con APPELLO INCIDENTALE TEMPESTIVO e contestuale ISTANZA DI SOSPENSIONE ex art. 283 c.p.c. DELLA SENTENZA IMPUGNATA Nell'interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri (c.f. 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio in carica, e del Ministero della Giustizia (c.f. 80184430587), in persona del Ministro in carica, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato (c.f. 80224030587 per il ricevimento degli atti FAX 0696514000 e PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12; - appellati/appellanti in via incidentale contro G.G. e G.A.M., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Claudio Defilippi e Debora Bosi ed elettivamente domiciliati in Roma, Via Marco Celio Rufo n. 40, presso lo studio del- lAvv. Barbara Pezzetta; - appellanti/appellati in via incidentale per la riforma della sentenza n. 22327/13, emessa inter partes (nella causa n. 62440/09 di R.G.) dal Tribunale di Roma Sezione II Civile (Giudice dott. Federico Salvati), de (*) Sul punto e per gli atti pregressi si rimanda a quanto gi pubblicato in Rass. 2013, III, 26 ss. positata in cancelleria in data 8.11.2013, e notificata con formula esecutiva a mezzo del servizio postale il 30.12.2013; FATTO e SVOLGIMENTO DEL PROCESSO DI PRIMO GRADO Con atto di citazione notificato in data 11 settembre 2009, i sig.ri G.G. e G. A.M. - allegando che Z.J. (rispettivamente nipote e figlia di essi attori), in data 29 aprile 2006 (mentre si trovava al nono mese di gravidanza ed era, pertanto, prossima al parto), fu barbaramente uccisa dal N.L., condannato con sentenza definitiva n. 461/08 dal Tribunale di Venezia per il reato di omicidio volontario - hanno convenuto in giudizio le Amministrazioni dello Stato in epigrafe al fine di sentir accertare la responsabilit delle stesse per il mancato recepimento della direttiva 2004/80/CE <> e conseguentemente condannarle al risarcimento del danno morale iure proprio, biologico iure proprio, non patrimoniale da uccisione del congiunto, esistenziale e patrimoniale iure proprio, per la somma complessiva di 500.000,000; in subordine, accertare la responsabilit ex artt. 2043 e 2059 c.c. delle medesime amministrazioni e conseguentemente condannarle al risarcimento dei danni subiti, sempre nella misura di 500.000,00. La deducente Avvocatura Generale dello Stato si costituiva in giudizio nellinteresse delle Amministrazioni intimate con comparsa del 15.2.2010 contestando diffusamente le avverse domande, delle quali chiedeva il rigetto, siccome del tutto infondate. Alludienza di prima comparizione e trattazione del 18.3.2010, il G.I. designato assegnava i termini di cui allart. 183, comma 6, c.p.c. rinviando per lammissione dei mezzi di prova alludienza del 25.11.2010. Con memoria ex art. 183, co. 6, n. 1 c.p.c. del 16.4/17.4.2010, la difesa erariale svolgeva ulteriori argomentazioni giuridiche a sostegno delle tesi affermate nella comparsa di risposta. Alludienza del 25.11.2010, il G.I., ritenuta non necessaria alcuna attivit istruttoria, rinviava la causa al 18.4.2013 per la precisazione delle conclusioni. A tale ultima udienza le parti precisavano le conclusioni riportandosi ai rispettivi scritti e la causa veniva assunta in decisione con lassegnazione dei termini di legge ex art. 190 cpc per il deposito di comparse conclusionali e repliche. In data 17.6.2013 la difesa erariale depositava comparsa conclusionale. Indi il Tribunale emetteva la sentenza in epigrafe con la quale accoglieva parzialmente le domande e, per leffetto, cos provvedeva: a) rigetta la domanda proposta da G.G.; b) condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di A.M.G. della somma di 80.000,00, oltre ad interessi al saggio legale ex art. 1248 c.c. maturati dall11.9.2008, fino al pagamento; c) compensa le spese processuali tra tutte le parti. Avverso la sentenza di prime cure, nella parte in cui stata respinta la domanda risarcitoria proposta dal Sig. G.G. ed in ordine al quantum liquidato in favore della Sig.ra G.A.M., oltre che in relazione al capo di sentenza che ha disposto la compensazione delle spese processuali del grado, i Sig.ri G.G. e G.A.M., con atto notificato il 19.12.2013 hanno proposto appello (nei confronti sia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sia del Ministero della Giustizia), affidato a tre distinti motivi, al quale si resiste, rilevandone lassoluta inammissibilit e/o infondatezza per le seguenti ragioni in punto di DIRITTO 1) In via preliminare si eccepisce inammissibilit delle domande risarcitorie riproposte in appello dai Sig.ri G. nei confronti del Ministero della Giustizia per inter- venuta formazione di giudicato interno ex art. 329 , co. 2, c.p.c. Alla pagine 2 e 3 della comparsa di risposta depositata in primo grado, la scrivente difesa erariale aveva eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Giustizia, evidenziando che la domanda risarcitoria di parte attrice trova fondamento nellasserito mancato recepimento della Direttiva 2004/80/CE e nella Convenzione europea del 24.11.1983, entrambe in materia di indennizzo delle vittime dei reati violenti. Orbene, al riguardo, al Ministero della Giustizia non imputata, n imputabile, alcuna delle condotte esposte nellatto di citazione, non avendo lo stesso alcuna competenza riguardo alladozione delle misure di recepimento della Direttiva 2004/80/CE o in merito alla Convenzione. Il mancato recepimento di norme comunitarie, quale fatto complessivamente imputabile allo Stato, un illecito che trova passivamente legittimata la sola Presidenza del Consiglio quale organo di vertice dellintero apparato amministrativo statale. Il Tribunale di Roma ha accolto tale eccezione, statuendo, in proposito, che Tenuta al risarcimento del danno soltanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri, questo essendo il soggetto istituzionale che rappresenta lo Stato rispetto allattivit legislativa di recepimento delle direttive europee, non attribuita ad alcun ministero, a prescindere dalle competenze a questo attribuite. Infatti, ai sensi dellart. 3 del D.lgs. n. 300/99, spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare lazione del Governo diretta ad assicurare la piena partecipazione dellItalia allUnione Europea e lo sviluppo del processo di integrazione europea. In particolare, poi, al secondo comma, stabilito che compete al Presidente del Consiglio la responsabilit per lattuazione degli impegni assunti nellambito dellUnione Europea. Ne consegue che, sulla base della prospettazione attorea ed in relazione alla disciplina prevista per il rapporto controverso, lunico soggetto su cui grava lobbligo risarcitorio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, organo al quale la legge rimette il compito di recepire la normativa comunitaria e che, conseguentemente, ha la responsabilit in caso di mancata o tardiva attuazione nellordinamento interno (cfr. pagina 13, alla fine, della sentenza di primo grado). Tale capo di sentenza, non essendo stato impugnato da parte dei Sig.ri G., deve intendersi passato in giudicato ex art. 329, comma 2, c.p.c., con conseguente inammissibilit delle domande risarcitorie dai medesimi riproposte nei confronti del Ministero della Giustizia. 2) Nel merito, infondatezza dellavverso appello principale. Il Tribunale capitolino, pur avendo ritenuto che lo Stato italiano sarebbe inadempiente allobbligo previsto dallart. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE, poich non avrebbe stabilito un sistema di indennizzo per le vittime dei reati (nella specie, lomicidio volontario) legati alla criminalit comune, commessi nel proprio territorio, ha, tuttavia, respinto la domanda risarcitoria proposta dal Sig. G.G., sulla scorta della seguente motivazione (pag. 11) : Il tribunale ritiene, infine, che il presupposto costituito dalla pronuncia della sentenza di condanna al risarcimento del danno cagionato dalla commissione del reato intenzionale violento si sia verificato in relazione alla sola A. M.G. in favore della quale, in veste di parte civile costituita nel processo penale, stata emessa la condanna del N. al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, con assegnazione della somma di 80.000,00 a titolo di provvisionale provvisoriamente esecutiva, ai sensi dellart. 539 c.p.p. 4.8 Come evidenziato in precedenza, non risulta invece che L.N. sia stato condannato in sede penale o civile, a risarcire anche il danno subito da G.G. La domanda di condanna al risarcimento del danno proposta da questultimo nei confronti delle Amministrazioni convenute non pu quindi essere accolta, non essendo verificatosi uno dei presupposti richiesti dalla direttiva 2004/80/CE per beneficiare della tutela indennitaria a carico dello Stato. Con motivo di appello rubricato in ordine al rigetto della domanda proposta dal sig. G.G.: violazione della direttiva comunitaria, il medesimo Sig. G.G. censura la decisione del primo giudice per non aver riconosciuto il suo presunto diritto al c.d. danno tanatologico, nonch alla rifusione delle spese funerarie, quantificate in 3.798,71 (v. pag. 8 dellatto di appello) A tale riguardo, lappellante, dopo aver premesso che, secondo il legislatore comunitario, nella nozione di vittima di reato intenzionale violento sarebbero ricompresi anche i prossimi congiunti della persona uccisa, e che sarebbe possibile ricorrere alla tutela rimediale contemplata dalla direttiva 2004/80/CE anche nel caso in cui non vi sia una sentenza penale definitiva di condanna (diversamente dal caso in esame), sostiene che a maggior ragione deve ritenersi si possa ricorrere anche quando non vi sia stata costituzione di parte civile nel processo penale ovvero non sia stato azionato un procedimento civile volto ad ottenere il risarcimento danni nei confronti del responsabile del violento ed intenzionale crimine. Pertanto, ad avviso dellappellante principale, il profilo della sussidiariet richiesto dalla normativa comunitaria al fine di usufruire di tale forma di ristoro deve essere intesa quale impossibilit da parte della vittima di poter conseguire il risarcimento del danno dallautore del reato n tanto meno da responsabili civili diversi dagli autori materiali dei reati (v. pag. 7 dellatto di appello). Non sarebbe quindi richiesto, in altri termini, che la vittima debba ottenere un accertamento giudiziale circa il danno da reato risarcibile. 2.1) Contrariamente a quanto ex adverso dedotto, la decisione del Tribunale di Roma, nella parte in cui ha disatteso la domanda di risarcimento del danno proposta dal Sig. G.G., merita di essere confermata. Ed invero, anche a voler ritenere, per un momento, che nella nozione comunitaria di vittima rientrino anche i prossimi congiunti della persona uccisa <>, e che sia ravvisabile, nella specie, la responsabilit risarcitoria dello Stato italiano per incompleta attuazione della direttiva 2004/80/CE <>, non vՏ dubbio che il Sig. G.G. non abbia alcun titolo per far valere la predetta responsabilit, attesa lassoluta carenza dei presupposti di applicabilit della direttiva 2004/80/CE. Al riguardo, assume rilevanza decisiva il decimo considerando della direttiva, da cui si trae il principio per cui lindennizzo pu essere richiesto agli Stati membri nei soli casi in cui le vittime del reato non possano ottenere un risarcimento dallautore del reato, in quanto questi pu non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento del danno, oppure pu non essere identificato o perseguito. Ne discende, con ogni evidenza, che soltanto quando sia stata emessa una pronuncia di condanna, o in sede penale o in sede civile, al risarcimento dei danni in favore della vittima e a carico dellautore del reato, e questultimo non sia a sua volta in grado di ottemperare alla stessa, potrebbe astrattamente invocarsi la tutela rimediale prevista dalla direttiva 2004/80/CE. Pertanto, anche qualora fosse addebitabile alla Repubblica italiana lomesso recepimento dellart. 12, par. 2, della direttiva, (ci che, invece, come si vedr infra, deve essere recisamente escluso), la pretesa fatta valere dal Sig. G.G. difetterebbe, comunque, (come, in effetti, difetta) del presupposto dell accertamento del danno da reato, essendo pacifico in causa che costui non si costituito parte civile nel processo penale, n ha mai instaurato un autonomo processo civile per ottenere un siffatto accertamento. Di qui la manifesta infondatezza del suddetto motivo di appello principale, che merita, pertanto, di essere respinto. 3) In ordine alla domanda risarcitoria proposta dalla Sig.ra G.A.M., il Tribunale, dopo aver ritenuto sussistente - come gi detto - la responsabilit dello Stato italiano per mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE, ha quantificato il danno risarcibile in 80.000, ritenendo che (pag. 13): nel caso in esame i canoni dellequit e delladeguatezza siano soddisfatti determinando lammontare dellindennizzo in misura corrispondente allintero importo liquidato dal giudice penale a titolo di provvisionale. Con motivo di appello rubricato in ordine al quantum della domanda avanzata dalla sig.ra A.M.G.: violazione della direttiva 2004/80/CE, lappellante principale sig.ra G.A.M. ha contestato tale quantificazione del danno ed ha richiesto la liquidazione di ulteriori 420.000,00. La Sig.ra G.A.M., partendo dalla premessa che la somma liquidata dal primo Giudice non possa ritenersi conforme ai criteri dellequit e delladeguatezza, torna, infatti, a sostenere che il danno risarcibile dovrebbe essere quantificato tenendo conto, anzich della provvisionale determinata dal giudice penale, delle seguenti specifiche voci: danno morale iure proprio, danno biologico iure proprio, danno esistenziale, danno patrimoniale e non patrimoniale, inteso come danno alla vita (v. pag. 12 dellatto di appello). 3.1) Giova subito premettere che, in verit, la decisione di accoglimento della domanda proposta dalla Sig.ra G.A.M., appare errata sotto, altri, molteplici profili, sicch avverso la medesima statuizione si proporr infra appello incidentale. Ad ogni modo, per il momento, ci si pu limitare a rilevare la palese infondatezza del- lappello principale proposto dalla sig.ra G.A.M., poich esso muove dal presupposto, del tutto errato, che la direttiva in esame assicuri alle vittime di reato intenzionale violento il ristoro integrale dei danni subiti in conseguenza del delitto. La sig.ra G.A.M. ha, infatti, agito nei confronti dello Stato come se questo fosse responsabile civile dello spregevole reato commesso da N.L., mentre la ratio della normativa nazionale e comunitaria in tema di indennizzo delle vittime di reati violenti non certo quella di sostituire (o aggiungere) lo Stato allautore del delitto nella responsabilit verso le vittime. Lobbligo che la Direttiva pone agli Stati membri solo quello di predisporre un indennizzo equo e adeguato. I criteri di liquidazione di tale indennizzo (e, quindi, del presunto danno conseguente al mancato recepimento della Direttiva) dovrebbero, pertanto, essere del tutto autonomi rispetto ai parametri di liquidazione del risarcimento ordinario dovuto dal responsabile del fatto. N lo Stato, in base al diritto interno, pu essere chiamato a rispondere dellomicidio commesso da N.L., non ricorrendo alcuna delle fattispecie di responsabilit (diretta e/o indiretta) dello Stato per il fatto altrui ai sensi degli artt. 185 cod. pen. e 2043 e 2047 e ss. cod. civ. Senza recesso alcuno dal proposto appello incidentale, deve allora, concludersi che lindennizzo riconosciuto dal Tribunale di Roma, quantificato in 80.000,00, oltre interessi legali dal d della domanda (11.9.2009), pienamente idoneo a garantire alla vittima del reato quel ristoro serio e non simbolico richiesto, in ipotesi, dalla direttiva 2004/80/CE. 3.2) Per completezza, come gi evidenziato nel corso del giudizio di primo grado, si ribadisce che, in ogni caso, la domanda attrice appare comunque del tutto sfornita di prova circa i titoli e lentit del risarcimento richiesto. Esaminando le singole voci di danno richieste si osserva che: a) Quanto alle varie voci di danno non patrimoniale richieste iure proprio (ossia il danno morale, il danno biologico, il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, ed il danno esistenziale), da osservare, in primo luogo, che, nellavverso appello, al pari della citazione in primo grado, si rinviene soltanto lallegazione da parte dellappellante della sua qualit di soggetto che avrebbe subito lesioni, e la trascrizione di principi dottrinali e giurisprudenziali in materia. Manca ogni indicazione delle circostanze concrete che dovrebbero condurre ad ipotizzare la lesione della sfera psico-fisica di parte attrice in conseguenza dellillecito. , poi, da osservare che la pi recente giurisprudenza della Suprema Corte, ha evidenziato che sebbene il risarcimento del danno non patrimoniale alla salute debba essere liquidato in modo da tenere conto di tutti i pregiudizi patiti, non risulta, tuttavia, possibile duplicare il risarcimento attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, quale la con- giunta attribuzione del danno morale, del danno alla vita di relazione e del danno esistenziale, categoria, questultima, priva nel nostro ordinamento di configurazione autonoma (v. Cass. SS.UU. n. 26972/2008). b) Si contesta, comunque, la quantificazione di tutte le voci di danno, effettuata senza laggancio ad alcun parametro di valutazione. 4) Del pari infondato il terzo motivo di appello, concernente la statuizione di compensazione delle spese del primo grado, atteso che le circostanze, espressamente indicate dal Tribunale in motivazione, (e cio, la novit della questione e la carenza di precedenti al momento della proposizione della domanda) integrano pienamente quelle gravi ed eccezionali ragioni che, ai sensi dellart. 92 c.p.c. come novellato dalla legge n. 69 del 2009, consentono al giudice di compensare tra le parti le spese di causa. A ci si aggiunga che la questione controversa presenta consistenti profili di dubbio, ove si consideri che la stessa sentenza della Corte dappello di Torino, Sez. III, n. 106/12, a cui il Tribunale di Roma dichiara di volersi conformare, stata impugnata per cassazione dallAvvocatura Generale dello Stato, con ricorso n. 13168/12 di R.G., tuttora pendente, e che la medesima Corte dappello di Torio con ordinanza in data 11.9.12 ha sospeso ex art. 373 c.p.c. lefficacia esecutiva di tale sentenza (v. all. 5). Di qui la manifesta infondatezza anche del terzo motivo di appello principale, che merita, pertanto, di essere respinto. **** Ferma linfondatezza dellappello principale dei Sig.ri G., la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, ut supra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata, propone APPELLO INCIDENTALE avverso e per la riforma della sentenza n. 22327/13, emessa inter partes (nella causa n. 62440/09 di R.G.) dal Tribunale di Roma Sezione II Civile (Giudice dott. Federico Salvati), depositata in cancelleria in data 8.11.2013, e notificata con formula esecutiva a mezzo del servizio postale il 30.12.2013, nella parte in cui: a) ha ritenuto che sia la madre che il nonno (rispettivamente G.A.M. e G.G.) della vittima (J.Z.) fossero legittimati ad agire iure proprio al fine di ottenere la corresponsione dellindennizzo previsto dalla Direttiva 2004/80/CE, in favore delle vittime di reati intenzionali violenti; b) sia con riferimento alla posizione della sig.ra G.A.M., sia con riguardo alla posizione di G.G., ha ritenuto che lo Stato italiano sarebbe inadempiente allobbligo previsto dal- lart. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE, che imporrebbe a tutti gli Stati membri lobbligo di indennizzare i residenti che siano stati vittime, nel territorio del proprio Stato, di reati intenzionali violenti, ivi compreso lomicidio volontario; c) ha, comunque, parzialmente accolto la domanda della Sig.ra G.A.M., liquidando il risarcimento in misura ( 80.000,00) del tutto errata ed esorbitante; d) in via del tutto subordinata, la sentenza del Tribunale , comunque, errata nella parte in cui ha fatto decorrere gli interessi legali sullindennizzo liquidato in favore della Sig.ra G. dall11 settembre 2008, anzich dall11 settembre 2009. La sentenza in epigrafe merita, dunque, di essere riformata per i seguenti: MOTIVI Prima di passare allesposizione delle ragioni a sostegno della proposta impugnazione incidentale, appare opportuno precisare che, esclusivamente in relazione alla domanda risarcitoria riproposta dal Sig. G.G., i primi due motivi del proposto appello incidentale (relativi ai capi della sentenza di prime cure recanti il riconoscimento della legittimazione ad agire iure proprio nonch laccertamento dellinadempimento dello Stato italiano allobbligo di recepire lart. 12, par. 2, della direttiva in esame) rimangono, ovviamente, condizionati alla denegata ipotesi di accoglimento dellappello principale del medesimo Sig. G.G. Sussiste, invece, in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, linteresse attuale e concreto alla proposizione dellimpugnazione in via incidentale con riguardo alla posizione della Sig.ra G.A.M., rispetto alla quale la medesima amministrazione integralmente soccombente. Fatta tale doverosa premessa, la Presidenza del Consiglio dei Ministri affida il proposto gravame incidentale ai seguenti MOTIVI 1. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 29.4.2004 N. 2004/80/CE (DIRETTIVA DEL CONSIGLIO RELATIVA ALLINDENNIZZO DELLE VITTIME DI REATO); IN PARTICOLARE DELLART. 12, COMMA 2, IN COMBINATO DISPOSTO CON I CONSIDERANDO NN. 5, 6 E 10, E CON LA DECISIONE QUADRO 2001/220/GAI DEL CONSIGLIO IN DATA 15 MARZO 2001 RELATIVAALLA POSIZIONE DELLAVITTIMA NEL PROCEDIMENTO PENALE (RICHIAMATA NEL CONSIDERANDO N. 5 DELLA DIRETTIVA); NONCH DELLART. 90, COMMA 3, C.P.P.; CARENZA DI LEGITTIMAZIONE ATTIVA AD AGIRE IURE PROPRIO IN CAPO ALLA SIG.RA G.A.M. E AL SIG. G.G., RISPETTIVAMENTE MADRE E NONNO DELLA PERSONA DECEDUTA IN CONSEGUENZA DI REATO INTENZIONALE VIOLENTO (OMICIDIO VOLONTARIO), AL FINE DI OTTENERE LA CONDANNA DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ALLA CORRESPONSIONE, IN LORO FAVORE, DELLINDENNIZZO PREVISTO DALLA DIRETTIVA 2004/80/CE, ESCLUSIVAMENTE IN FAVORE DELLE VITTIME DIRETTE DI REATI INTENZIONALI VIOLENTI. Anche alla luce dellart. 342 c.p.c. come sostituito, in sede di conversione, dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 143, con il presente motivo di gravame si intende appellare la sentenza di primo grado nella parte in cui ha affermato (pag. 10): () che il rapporto di parentela che legava gli attori alla vittima, non contestato, consente di qualificare i primi come prossimi congiunti della seconda ai sensi dellart. 187 c.p. e che pertanto gli attori possono astrattamente beneficiare della tutela accordata dalla direttiva 2004/80/CE, essendo la vittima deceduta in conseguenza del reato. In base alla norma interna (art. 90, comma 3, c.p.p.), infatti, qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facolt ed i diritti attribuiti dalla legge alla persona offesa possono essere esercitati dai prossimi congiunti. Giova preliminarmente evidenziare che lindennizzo previsto dalla citata direttiva DIRETTIVA 29.4.2004 N. 2004/80/CE (DIRETTIVA DEL CONSIGLIO RELATIVA ALLINDENNIZZO DELLE VITTIME DI REATO) riconosciuto esclusivamente in favore della vittima del reato intenzionale violento. Costituendo tale indennizzo unelargizione di natura solidaristica, posta a carico del- lintera collettivit sociale, lespressione vittima deve intendersi in senso restrittivo, come riferita esclusivamente alla persona offesa, cio al titolare dellinteresse protetto dalla norma incriminatrice. Tale interpretazione del termine vittima, ai fini della Direttiva in esame, trova conferma, proprio in ambito comunitario, nella Decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio in data 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (richiamata nel considerando n. 5 della Direttiva) che ha, appunto, definito la vittima come la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti od omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro. Di contro, la Convenzione Europea del 1983, relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti, che, a detta di parte appellante principale, appresterebbe tutela anche in favore dei congiunti della vittima, non stata mai ratificata dallItalia, per cui tale convenzione non idonea a fondare, in capo alle odierne controparti, alcuna pretesa direttamente azionabile in sede giudiziale nei confronti dello Stato italiano. Nel caso di specie, G.A.M. e G.G., rispettivamente madre e nonno di J.Z., hanno agito iure proprio al fine di ottenere la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri alla corresponsione, in loro favore, dellindennizzo previsto dalla Direttiva 2004/80/CE, esclusivamente in favore delle vittime di reati intenzionali violenti. Sennonch, i predetti sig.ri G. sono qualificabili come danneggiati dal reato commesso da N.L., non come vittime di tale spregevole delitto (tali essendo, esclusivamente, la povera J.Z. ed il nascituro che portava in grembo), con la conseguenza che le loro pretese fondate in via diretta sulla predetta direttiva, in quanto azionate iure proprio e non iure hereditatis, devono ritenersi inammissibili per difetto di legitimatio ad causam attiva, o comunque, destituite di pregio nel merito, per palese difetto di titolarit del diritto fatto valere. Il Tribunale di Roma, per superare tale lostacolo, ha ritenuto di poter fondare la legittimazione iure proprio della madre e del nonno della vittima sul disposto dellart. 90, comma 3, c.p.p. a mente del quale: qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facolt e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti. Cos decidendo, il primo Giudice ha, di fatto, ampliato, oltre ogni limite di ragionevolezza, lambito applicativo dellart. 12, par. 2, della direttiva in esame: e ci ha fatto traendo spunti di interpretazione dal disposto di una norma interna, appunto lart. 90, comma 3, c.p.p. Preme subito rilevare che, gi sotto il profilo metodologico, una siffatta attivit ermeneutica non pu condividersi: se una stessa norma europea dovesse essere interpretata dai Giudici dei singoli Stati membri secondo i principi e le norme dei rispettivi ordinamenti nazionali, si avrebbe che, a fronte di una medesima disposizione comunitaria, vi sarebbero regole diverse nel diritto vivente dei vari Paesi dellUnione. In tal modo, ogni qualvolta i giudici nazionali si trovassero dinanzi ad incertezze sul significato o sulla portata di una norma comunitaria da applicare, ne potrebbero dare uninterpretazione autonoma fondata su criteri ermeneutici nazionali, con levidente rischio di una difforme interpretazione ed applicazione del diritto comunitario allinterno dellUnione. Per evitare un simile rischio, incompatibile con lesigenza di una uniforme applicazione del diritto europeo in tutto il territorio dellUnione, non vՏ dubbio che linterpretazione della norma comunitaria debba essere condotta tenendo conto esclusivamente dellacquis comunitario che, come sopra ricordato, intende attribuire determinate prerogative esclusivamente alla vittima del reato, nellaccezione restrittiva prima illustrata. Peraltro, anche a voler fare applicazione dellart. 90, comma 3, c.p.p. - come fatto dal Tribunale - dovrebbe ugualmente escludersi la legittimazione iure proprio in capo agli odierni appellati incidentali. Tale disposizione si riferisce, infatti, solo ed esclusivamente alle facolt processuali spettanti alla persona offesa nellambito del processo penale, e non ha, viceversa, alcuna attinenza con le pretese risarcitorie sostanziali derivanti dal reato. Detto in altri termini, nel caso di decesso della vittima, la legge, ai soli fini processuali, riconosce in proprio ai prossimi congiunti il ruolo di persona offesa, ma non li legittima ad esercitare iure proprio le pretese sostanziali risarcitorie e/o indennitarie spettanti alla vittima. In sostanza, i prossimi congiunti della persona offesa che sia deceduta in conseguenza del reato potranno esercitare, ai sensi dellart. 90, comma 3, c.p.p., soltanto i diritti e le facolt processuali che sarebbero spettate alla vittima, e cio esclusivamente le prerogative processuali previste dallart. 90, comma 1 c.p.p. e dalle altre norme del codice di rito penale. Resta fermo, invece, che i prossimi congiunti non potranno certamente agire iure proprio per far valere le pretese sostanziali (indennitarie e/o risarcitorie) spettanti alla vittima. In parte qua, la sentenza del primo giudice , dunque, gravemente viziata, in quanto, come sopra argomentato, la Direttiva in esame si limita a tutelare i soli cittadini comunitari che si spostino da uno Stato membro ad un altro e che per questo subiscano un reato: essa quindi esclude un diritto proprio allindennizzo a favore di soggetti (come per esempio i congiunti) diversi da chi stato la diretta vittima del reato. In definitiva, anche sotto tale profilo, le avverse domande risultavano sprovviste di fondamento trattandosi di pretese avanzate iure proprio da soggetti danneggiati, diversi dalla vittima del reato. 2.) IN VIA SUBORDINATA: VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL ART. 10 (EX ARTICOLO 5) DEL TRATTATO CHE ISTITUISCE LA COMUNITA EUROPEA (TCE); DELLART. I5 DEL TRATTATO CHE ADOTTA UNA COSTITUZIONE PER LEUROPA (C.D. TRATTATO DI ROMA); DELLART. 4, COMMA 3, DEL TRATTATO SULLUNIONE EUROPEA (TUE); DELLART. 288 (EX ARTICOLO 249 TCE), COMMA 3, DEL TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELLUNIONE EUROPEA (TFUE); DELLART. 117, COMMA 1, COST.; DELLA DIRETTIVA 29.4.2004 N. 2004/80/CE (DIRETTIVA DEL CONSIGLIO RELATIVA ALLINDENNIZZO DELLE VITTIME DI REATO), IN PARTICOLARE LART. 12, COMMA 2, IN COMBINATO DISPOSTO CON I CONSIDERANDO 1, 2 7, 10, 11 E 14 E CON LART. 18, COMMA 1; DELLART. 1173 COD. CIV. INSUSSISTENZA, NELLA FATTISPECIE, DELLE CONDIZIONI GIURIDICHE RICHIESTE DALLA GIURISPRUDENZA, COMUNITARIA ED INTERNA, AI FINI DELLAFFERMAZIONE DELLA RESPONSABILIT DELLO STATO PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO. Anche alla luce dellart. 342 c.p.c. come sostituito, in sede di conversione, dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 143, con il presente motivo di gravame si intende appellare la sentenza di primo grado nella parte qui integralmente trascritta: (pag. 5 ss.) Con riferimento alla pretesa fatta valere con riferimento a quanto prescritto dalla direttiva 2004/80/CE del Consiglio (relativa allindennizzo delle vittime di reato), si osserva quanto segue (). Il Capo II, invece, volto a disciplinare - nellunico articolo che lo compone - i Sistemi di indennizzo nazionale. Il secondo comma dellart. 12, infatti, prevede che tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano lesistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato alle vittime. Il primo comma prescrive che le disposizioni riguardanti laccesso allindennizzo nelle situazioni transfrontaliere dovranno essere applicate sulla base di vari sistemi nazionali la cui costituzione prevista dal secondo comma. La direttiva, quindi, impone agli Stati membri di adottare normative che consentano alle vittime di reati intenzionali violenti in essi residenti, ove ne ricorrano i presupposti, di ottenere lindennizzo sia qualora il reato sia commesso nello Stato di residenza, sia qualora sia commesso in un altro Stato membro; in tal caso la richiesta sar formulata allo Stato di residenza (v. anche cons. 2), allo scopo di facilitare laccesso allindennizzo. La creazione di sistemi di indennizzo in ciascuno Stato membro per i reati commessi sul proprio territorio in danno di residenti, costituisce quindi il necessario presupposto per consentire al residente che abbia subito la lesione in un altro Stato membro, di richiedere lindennizzo al proprio Stato di residenza. Che la direttiva imponga la creazione del sistema per indennizzare i residenti che siano stati vittime dei reati violenti nel territorio del proprio Stato (e non solo in situazioni transfrontaliere) lo si desume - oltre che dal settimo considerando - anche dalla previsione relativa allattuazione contenuta al primo comma dellart. 18, che in dividua due distinti termini perch gli Stati membri si conformino: il 1.1.2006 di carattere generale e il 1.7.2005, per il solo art. 12 paragrafo 2. La previsione della duplicit del termine trova giustificazione nellesigenza che i sistemi di indennizzo di ciascuno Stato membro siano gi predisposti al momento dellentrata in funzione, in tutti gli Stati membri, delle strutture deputate al coordinamento degli Stati, allo scopo di dare realizzazione concreta al diritto allindennizzo per le situazioni transfrontaliere. Per tali ragioni deve concludersi che con la direttiva 2004/80/CE stato imposto agli Stati membri lobbligo di adottare un sistema che consenta di percepire lindennizzo di cui si tratta anche alle vittime di reati violenti che risiedano nel medesimo Stato in cui stato commesso il reato (in tal senso anche C. App. Torino n. 106 del 23.1.2012). La Repubblica italiana non ha integralmente adempiuto allobbligo di conformarsi alla direttiva nella parte in cui impone ladozione di sistemi di indennizzo nazionale. Come condivisibilmente gi affermato dalla citata sentenza della Corte di appello di Torino n. 106/2012, il d.lgs. 6.11.2007, n. 204 (attuazione della direttiva 2004/80/CE relativa allindennizzo delle vittime di reato), non ha dato completa attuazione alla direttiva, poich si limitato a regolare (peraltro tardivamente) la procedura per lassistenza alle vittime di reato, commessi in un altro Stato membro, le quali risiedano in Italia (art. 1), ma non ha dato attuazione al disposto dellart. 12, par. 2, della direttiva, che imponeva agli Stati membri a che la normativa interna prevedesse un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, entro il termine dell1.7.2005, previsto dallart. 18. Se infatti vero che sussistono numerose norme interne volte ad assicurare, anche in forma indennitaria, la tutela delle vittime di reati violenti commessi nello Stato italiano (ad es., in materia di reati di criminalit organizzata di stampo mafioso o di terrorismo) anche vero che in Italia non esiste alcun sistema di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalit comune (come riconosciuto dalle Amministrazioni convenute nella comparsa di risposta, alla pag. 7). Ci premesso, il Tribunale ritiene che non possa essere posto in dubbio che il delitto di omicidio volontario costituisca un reato intenzionale violento. Come si detto, per i danni conseguenti alla commissione di tale delitto - ove la fattispecie concreta non sia riconducibile, come nel caso in esame, alle specifiche tipologie contemplate dalle norme vigenti - lordinamento interno non prevede attualmente alcuna forma di tutela indennitaria qualora la vittima non riesca a conseguire il risarcimento del danno. In conclusione, lo Stato italiano non ha dato compiuta attuazione alla direttiva 2004/80/CE, non colmando i vuoti di tutela in favore delle vittime di reati violenti intenzionali, nel cui ambito rientra la situazione oggetto del presente giudizio. Come risulta dalla motivazione test riportata, in sostanza, il Tribunale di Roma ha ritenuto che lo Stato Italiano non avrebbe pienamente adempiuto allobbligo stabilito dallarticolo 12, par. 2, della Direttiva n. 2004/80/CE di introdurre un sistema di indennizzo generalizzato per le vittime dei reati di omicidio. In particolare, il Tribunale, conformandosi a quanto statuito dalla Corte dappello di Torino, Sez. III, con sentenza n. 106/12 -peraltro impugnata per cassazione dallAvvocatura Generale dello Stato con ricorso n. 13168/12 di R.G., tuttora pendente, e sospesa ex art. 373 c.p.c. con ordinanza in data 11.9.12 della medesima Corte dappello - ha ritenuto che la predetta direttiva, allart. 12, par. 2, imporrebbe a tutti gli Stati membri lobbligo di indennizzare i residenti che siano stati vittime di reati violenti nel territorio del proprio Stato (e non solo in situazioni transfrontaliere). Poich la Repubblica italiana non avrebbe stabilito un sistema di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalit comune, commessi nel proprio territorio (nella specie, lomicidio volontario), a giudizio del Tribunale, sarebbe inadempiente allobbligo previsto dal ricordato par. 2 dellart. 12. Ritenuto, dunque, linadempimento della Repubblica Italiana a quanto disposto dallart. 12, par. 2, della Direttiva, il Tribunale capitolino - richiamando i principi affermati dalla sentenza n. 9147/2009 delle Sezioni Unite della Suprema Corte in materia di responsabilit civile dello Stato per il mancato recepimento delle direttive non self executing ha, altres, accertato, sia pure in favore della sola A.M.G. - madre della vittima deceduta in conseguenza del reato - il diritto al ristoro del danno asseritamene derivante dal predetto inadempimento dello Stato, consistente, nel caso in esame, nellimpossibilit di ottenere lerogazione dellindennizzo equo ed adeguato previsto dalla Direttiva n. 2004/80/CE, determinandolo equitativamente nella misura di 80.000,00, esattamente corrispondente allimporto liquidatole dal giudice penale a titolo di provvisionale. Tali assunti non possono essere affatto condivisi. Giova premettere che secondo la giurisprudenza costante della Corte di Giustizia delle Comunit europee, la responsabilit di uno Stato membro per i danni arrecati ai singoli da una violazione del diritto comunitario presuppone che: a) la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli; b) la violazione sia grave e manifesta; c) esista un nesso causale diretto tra la violazione dellobbligo incombente allo Stato ed il danno subito dai soggetti lesi. Ai fini del risarcimento , dunque, necessario che la direttiva, seppur non autoesecutiva, ovvero non dotata di efficacia diretta, attribuisca diritti ai singoli, e che tali diritti siano chiaramente desumibili dal contenuto della stessa; inoltre, deve trattarsi di una violazione grave e manifesta, da parte dello Stato membro, dei limiti posti al suo potere discrezionale. A tale riguardo, fra gli elementi da prendere in considerazione, vanno sottolineati, in particolare, il grado di precisione e di chiarezza della norma violata e lampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle Autorit nazionali, la scusabilit del- leventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da unistituzione comunitaria abbiano potuto concorrere allomissione, alladozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario. Quanto al nesso di causalit, occorre, infine, che il danno discenda in via diretta dal fatto che la direttiva non stata recepita tempestivamente; ovverosia, che il diritto attribuito al singolo in sede comunitaria non possa essere tutelato in altro modo (si vedano, in particolare, Corte giust. 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90 Francovich; Corte giust. 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pecheur e Factortame; Corte giust. 8 ottobre 1996, cause riunite C-178/94, C-179/94 e da C-188/94 a C-190/94 Dillenkofer; Corte giust. 15 giugno 1999 causa C-140/97; Corte giust. 30 settembre 2003, causa C-224/01; Corte giust. 25 gennaio 2007, causa C-278/05 Robins; Corte giust. 26 marzo 1996 causa C- 392/93 The Queen c. H.M. Treasury, ex parte British Telecommunications pic.). Gli insegnamenti della Corte di Giustizia sono stati recepiti dalla giurisprudenza interna che ha enunciato i seguenti principi di diritto: a) anche linadempimento riconducibile al legislatore nazionale obbliga lo Stato a ri sarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario; b) il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto allorch la norma comunitaria, non dotata di carattere self-executing, sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra la violazione ed il danno subito dai singoli (cfr. Cass., S.U. n. 9147/2009; Cass. n. 5842/2010; Cass. n. 10813/2011). Nella fattispecie in esame non sono per affatto ravvisabili le condizioni giuridiche richieste dalla giurisprudenza, comunitaria ed interna, ai fini dellaffermazione della responsabilit dello Stato per violazione del diritto comunitario. 2.1) Ed invero, lo scopo e le finalit della Direttiva 2004/80/CE sono ben chiarite nei considerando che precedono larticolato. In particolare, nel I considerando, si legge che uno degli obiettivi della Comunit Europea consiste nellabolizione degli ostacoli () alla libera circolazione delle persone (), di cui la tutela dellintegrit personale dei cittadini che si recano in un altro Stato membro costituisce un corollario (secondo considerando); a tal fine il settimo considerando precisa che la presenta direttiva stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato laccesso allindennizzo nelle situazioni transfrontaliere, che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. I successivi undicesimo, dodicesimo e quattordicesimo considerando, precisano poi, rispettivamente, che: -dovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autorit degli Stati membri per facilitare laccesso allindennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede; -questo sistema dovrebbe consentire alle vittime di reato di rivolgersi sempre ad unAutorit del proprio Stato membro di residenza e dovrebbe ovviare alle eventuali difficolt pratiche e linguistiche connesse alle situazioni transfrontaliere; - il sistema dovrebbe comprendere le disposizioni necessarie a consentire alla vittima di trovare le informazioni richieste per presentare la domanda di indennizzo e a permettere una cooperazione efficiente tra le autorit coinvolte. Dunque la direttiva disciplina laccesso allindennizzo delle vittime di reati violenti nelle situazioni c.d. transfrontaliere e non attribuisce alcun diritto ai residenti verso il proprio Stato di residenza. E ci in quanto, come noto, il diritto comunitario non disciplina le situazioni meramente interne, tanto che lart. 12, par. 1, della direttiva prevede che le disposizioni riguardanti laccesso allindennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano allinterno degli Stati membri sulla base dei rispettivi sistemi, quindi entro i limiti nei quali un sistema di indennizzo sia stato previsto. Lindennizzo nelle c.d. situazioni transfrontaliere, in altre parole, riconosciuto entro i limiti in cui i singoli ordinamenti (i sistemi degli Stati membri) riconoscano tale diritto ai propri cittadini. Il legislatore comunitario, quindi, nellambito dei rapporti tra i singoli Stati membri ed i loro residenti, rimette alla discrezionalit del legislatore interno la scelta della tipologia dei sistemi di indennizzo da prevedere. Nellambito del nostro ordinamento esistono una serie di leggi speciali che prevedono sistemi di indennizzo (1) in relazione ad alcune specifiche tipologie di reati (associazione mafiosa, usura etc., etc.), individuate per il particolare allarme sociale che suscitano e per la loro pervasivit, ma non esiste alcun sistema di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalit comune. Da quanto appena esposto, pertanto, pu inferirsi che la direttiva 2004/80/CE non costituisce fonte di alcun diritto direttamente azionabile dai residenti nei confronti del loro Stato di appartenenza. La tesi qui patrocinata - ovvero la necessaria riferibilit alle sole situazioni c.d. transfrontaliere - ha, del resto, ricevuto lautorevole avallo della Corte di Giustizia delle Comunit Europee, la quale ha avuto modo di affermare che la direttiva istituisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato laccesso allindennizzo in situazioni transfrontaliere. Essa intende assicurare che, se un reato intenzionale (1) Nel nostro ordinamento sono presenti numerose norme settoriali che disciplinano lerogazione di speciali elargizioni a favore di particolari categorie di vittime di reato, indicate nel seguente elenco: 1) legge 13 agosto 1980, n.466, articoli 3 e 4, recante norme in ordine a speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche; 2) legge 20 ottobre 1990, n.302, articoli 1, 3, 4 e 5, recante norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalit organizzata; 3) decreto legge 31 dicembre 1991, n.419 - convertito dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172 - articolo 1, di istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive; 4) legge 8 agosto 1995, n.340, articolo 1 - nel quale sono richiamati gli articoli 4 e 5 della legge n.302/1990 - recante norme per lestensione dei benefici di cui agli articoli 4 e 5 della legge n.302/1990, ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica; 5) legge 7 marzo 1996, n.108, articoli 14 e 15 recante disposizioni in materia di usura; 6) legge 31 marzo 1998, n.70 articolo 1 - nel quale sono richiamati gli articoli 1 e 4 della legge n.302/1990 - recante benefici per le vittime della cosiddetta Banda della Uno bianca; 7) legge 23 novembre 1998, n.407, articolo 2, recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalit; 8) legge 23 febbraio 1999, n.44 articoli 3, 6 , 7 e 8 recante norme in materia di elargizioni a favore dei soggetti danneggiati da attivit estorsiva; 9) D.P.R. 28 luglio 1999, n.510, art. 1, regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalit organizzata; 10) legge 22 dicembre 1999, n.512, articolo 4, recante istituzione del Fondo di rotazione per la solidariet alle vittime dei reati di tipo mafioso; 11) decreto legge 4 febbraio 2003, n.13 - convertito con modificazioni dalla legge n.56/2003 - recante disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalit organizzata; 12) decreto legge 28 novembre 2003, n.337 - convertito con modificazioni dalla l.n. 369/2003 articolo 1, recante disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici allestero; 13) legge 3 agosto 2004, n.206, articolo 1, recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice; 14) legge 23 dicembre 2005, n.266, finanziaria 2006, che allarticolo 1 commi 563, 564 e 565, detta disposizioni per la corresponsione di provvidenza alle vittime del dovere, ai soggetti equi- parati ed ai loro familiari; 15) legge 20 febbraio 2006, n.91 norme in favore dei familiari dei superstiti degli aviatori italiani vittime delleccidio avvenuto a Kindu l11 novembre 1961; 16) D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 regolamento concernente termini e modalit di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati. violento stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente, questultima sia indennizzata da tale primo Stato (cos Corte di Giustizia sent. 28.6.2007, DellOrto, C-467/05, punto 57). Ed in termini ancora pi chiari si di recente espresso il medesimo Giudice Comunitario, che, occupandosi incidentalmente dellambito operativo della direttiva 2004/80/CE ha ribadito che, come risulta segnatamente dal suo articolo 1, (...) << tale direttiva: n.d.r.>> diretta a rendere pi agevole per le vittime della criminalit intenzionale violenta l'accesso al risarcimento nelle situazioni transfrontaliere, mentre pacifico che, nel procedimento principale, le imputazioni riguardano reati commessi () in un contesto puramente nazionale (cfr. Corte di giustizia, sentenza 12 luglio 2012, Giovanardi, C-79/11, punto 37). Anche quanto previsto nel 2 dellart. 12 della direttiva in esame dovr pertanto essere esaminato alla luce della predetta ratio, tenendo, cio, ben presente che lunico diritto che la normativa comunitaria attribuisce attiene alle situazioni transfrontaliere. La Direttiva stabilisce dunque - al predetto art. 12, 2 - che tutti gli Stati membri provvedano a che le loro normative interne prevedano lesistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime. Tale disposizione non pu che essere interpretata alla luce di quanto disposto dal gi esaminato 1 (le disposizioni della presente direttiva riguardanti laccesso allindennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori), nel senso che lart. 12, mentre nel 1 rimanda ai sistemi di indennizzo gi previsti dai singoli Stati membri, nel 2 prescrive agli altri Stati membri -che ne siano sprovvisti - di predisporre un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. Il 2, in altri termini, non si applica agli Stati membri (come lItalia) che, allentrata in vigore della direttiva, si fossero gi dotati di un tale sistema di indennizzo (si veda nota 1), n possibile ritenere - come fatto dal Tribunale - che il legislatore europeo abbia voluto imporre a tutti gli Stati membri (e quindi anche a quelli, come lItalia i cui ordinamenti gi prevedevano un adeguato sistema di indennizzo delle vittime de quibus) di introdurre, con legge o norma di pari grado, una ulteriore ipotesi di indennizzo (rispetto a quelle gi esistenti de iure condito) in favore delle vittime del reato di omicidio volontario. E ci per la fondamentale ragione che il Diritto dell'Unione non ha, e non aveva nemmeno nel 2004 all'epoca dell'emanazione della direttiva, alcuna competenza per disciplinare il trattamento processuale dei reati di violenza comune, ivi comprese le loro conseguenze patrimoniali specifiche. Per convincersene sufficiente considerare che lodierno Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea prevede, all'art. 82, una serie di poteri nell'ambito della "cooperazione giudiziaria in materia penale", volti a facilitare la circolazione e l'esecuzione dei provvedimenti giudiziari nello spazio europeo. , viceversa, assente una qualsivoglia delega di poteri al livello di governo europeo rispetto al diritto penale sostanziale o processuale: pertanto gli Stati membri mantengono la piena sovranit tanto sulla tipizzazione degli illeciti penali quanto sul rito e sulle sanzioni irrogabili. Ne evidente conferma il successivo art. 83, il quale prevede che possano emanarsi direttive le quali intervengano a fissare "norme minime relative alla definizione del reati e delle sanzioni in sfere di criminalit particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale". Segue un elenco, che si riferisce ai reati di terrorismo, tratta degli esseri umani, traffico internazionale di armi o stupefacenti ed altro (Va peraltro notato che non si finora compiutamente proceduto neppure in tali materie). Sono in ogni caso esclusi da questa sfera di possibile intervento tutti i reati non menzionati dall'elenco di cui all'art. 83, e che non presentano quindi - secondo il Trattato - quel carattere transfrontaliero e di eccezionale rilievo sovranazionale che impone una definizione minima comune. Pertanto, nonostante possano esservi reati di particolare gravit ed allarme sociale, quali appunto lomicidio c.d. comune, ci non comporta alcuna cessione di competenza nei confronti del livello normativo europeo. Il reato di omicidio comune resta, pertanto, assoggettato alla competenza del legislatore nazionale, tanto sotto profilo della sua definizione, quanto in merito al suo trattamento processuale, sanzionatorio e risarcitorio. Un ulteriore argomento a sostegno delle tesi qui patrocinate si ricava dalla previsione, nel corpo dellart. 18, par. 1, della direttiva, di due diversi termini per l'attuazione della stessa: un primo termine, fissato al 1 luglio 2005, entro il quale gli Stati membri (sprovvisti di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti) avrebbero dovuto dare attuazione alla disposizione contenuta nell'art. 12, par. 2, dando immediata comunicazione alla Commissione delle norme approvate al riguardo; ed un secondo, e successivo termine, fissato al 1 gennaio 2006, entro il quale, sulla base dei sistemi di indennizzo introdotti ex art. 12, par. 2, cit., mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva. Contrariamente a quanto ritenuto dal primo Giudice, il termine del 1 luglio 2005 per l'attuazione dell'art. 12, comma 2, deve intendersi stabilito per i soli Stati membri che, sprovvisti di sistemi di indennizzo per le vittime di reati violenti, debbano introdurli ex novo nei rispettivi ordinamenti, onde, poi, potersi conformare, nel successivo termine del 1 gennaio 2006, alle altre norme della direttiva, di natura organizzativa e procedurale, poste a tutela delle situazioni transfrontaliere. Ne riprova il fatto che la Commissione Europea ha contestato alla Repubblica Italiana unicamente il mancato adempimento, entro il secondo termine menzionato nell'art. 18, par. 1, (1 gennaio 2006), dell'obbligo di adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva, e non anche l'inadempimento del par. 2 dellart. 12; e ci, evidentemente, perch la Repubblica Italiana, come si visto, era gi munita di un articolato sistema di indennizzo per varie categorie di reati intenzionali violenti (cfr. Corte di Giustizia CE, Sent. 112 del 29.11.2007), non imponendo, viceversa, la direttiva alcun obbligo di prevedere forme di indennizzo anche per il reato di omicidio comune. Del resto, come gi rilevato nel corso del giudizio di primo grado, il predetto 12, 2, della Direttiva 2004/80/CE si distingue dalle altre norme della Direttiva: a differenza di queste ultime (che prevedono in maniera dettagliata gli adempimenti di ciascuno Stato membro in ordine alla predisposizione della procedura per la presentazione della domanda di indennizzo), lart. 12, 2, non effettua affatto una puntuale ricognizione delle singole fattispecie di reato cui riconnettere lobbligo di indennizzo, n fornisce criteri atti a determinare la misura equa della somma da riconoscere alle vittime, limitandosi ad enumerare il duplice criterio della intenzionalit e della natura violenta del crimine. evidente che sul punto il legislatore comunitario, conformemente alla clausola di cui al 1 dellart. 12 (che prevede il limite rappresentato dai sistemi indennitari di ciascuno Stato membro), ha inteso, allart. 12 2, demandare ai singoli ordinamenti lindividuazione delle fattispecie indennizzabili e dei parametri in base ai quali determinare il quantum dellindennizzo stesso (2). Dunque, lart. 12, comma 2, della direttiva richiamata non di diretta applicabilit, ma necessita, al contrario, della intermediazione della Autorit pubblica statale, comportando soltanto lobbligo di raggiungere un determinato risultato, senza contenere alcuna definizione puntuale dei criteri cui il legislatore interno deve attenersi nel raggiungerlo. Le determinazioni in parola rientrano, pertanto, nella esclusiva competenza del legislatore interno, senza che allo stesso possano essere mossi rimproveri di inadempimento al diritto comunitario. La discrezionalit che il legislatore comunitario lascia agli Stati membri nel determinare il modello di tutela indennitaria amplissima, potendo la stessa - comՏ avvenuto in Italia - essere limitata solo ad alcune tipologie di reati ovvero essere subordinata a determinate condizioni (ad esempio, alla verifica del comportamento della vittima, che non deve avere neppure colposamente agevolato o provocato la commissione del reato, alla dimostrata insolvenza del responsabile del reato; e cos via). Tale aspetto non sfuggito ad autorevole dottrina (R. Conti, in Corr. Giur., 2/2011, 248 e ss.), la quale ha osservato quanto segue: Nemmeno pu sottacersi che la disposizione contenuta al par. 2 dellart. 12, nella parte in cui impone di costituire sistemi che garantiscano un indennizzo equo ed adeguato delle vittime, appare connotata da profili di scarsa specificit e determinatezza, tale da incidere fortemente sullidoneit della stessa ad integrare unipotesi di responsabilit dello Stato per violazione del diritto dellUnione europea (). In definitiva, il testo finale della Direttiva, depurato da tutte quelle disposizioni che, nella proposta originaria, avevano delineato un meccanismo di base sul quale poter edificare la pretesa del danneggiato - anchesso delimitato nella proposta originaria - rimasto cos privo di quei caratteri di precisione e determinatezza che non solo escludono di poter ipotizzare limmediata efficacia della direttiva non trasposta, ma rendono estremamente problematica lipotizzabilit di una responsabilit dello Stato per violazione del diritto dellUnione europea. Tale lettura, da ultimo, stata integralmente condivisa anche dalla giurisprudenza nazionale. Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 7565/2013 (v. all. 4), sconfessando espressamente la propria precedente giurisprudenza alla quale, come detto, si richiamato anche il Tribunale di Roma con la sentenza impugnata ha chiarito che la Direttiva 2004/80/CE ha ad oggetto esclusivamente situazioni transfrontaliere, nella prospettiva della cooperazione e in applicazione del principio di libera circolazione delle persone. (2) Ci che, peraltro, stato riconosciuto anche dallo stesso Tribunale: alla pag. 11 della motivazione si legge, infatti, che lindennizzo che avrebbe dovuto essere riconosciuto ad A.M.G. non sarebbe stato corrispondente alla somma che sarebbe stata liquidata a titolo risarcitorio a carico di L.N., ma avrebbe dovuto essere determinato - secondo gli specifici criteri prescelti dal legislatore nazionale - con riferimento ai concetti di equit ed adeguatezza. Esso non avrebbe potuto essere perci meramente simbolico, ma in ogni caso idoneo a consentire una forma di ristoro del pregiudizio subito, e avrebbe dovuto essere proporzionato alla gravit del reato e quindi del bene della vita su cui la condotta dellagente ha inciso. Che quella appena esposta sia la tesi preferibile, lo si pu ricavare anche da altri argomenti. A questo riguardo, sufficiente analizzare le vicende che hanno portato alladozione della Direttiva in questione, muovendo dalla analisi della proposta presentata dalla Commissione il 16 ottobre 2002 (pubblicata in GUCE C 45 E/69 del 25 febbraio 2003). Nelliniziale articolato, la sezione I, composta di ben 15 articoli, prevedeva espressamente quale obiettivo della Direttiva la fissazione di norme minime per il risarcimento alle vittime (art. 1); dettagliava (art. 2) lambito di applicazione soggettivo e territoriale, definendo la nozione di vittima; di reato intenzionale e di lesioni personali; prevedeva che fosse lo Stato membro sul cui territorio il reato stato commesso ad erogare il risarcimento (art. 3); individuava (art. 4) i princpi relativi alla determinazione del- limporto del risarcimento, prevedendo altre norme estremamente dettagliate, propedeutiche alla creazione di un sistema uniforme di risarcimento delle vittime di reato. Dal confronto tra il testo della proposta ed il testo dellattuale direttiva, emerge chiaramente come lobiettivo iniziale sia stato abbandonato, a causa sia dellimpossibilit di raggiungere un compromesso politico proprio sulla introduzione di norme c.d. minime, sia della difficolt di individuare unadeguata base giuridica nel trattato, che permettesse tale invasione delle competenze nazionali da parte del diritto comunitario. Ritenere che tale sistema di norme c.d. minime sia stato comunque creato in forza del 2 dellart. 12 della Direttiva significherebbe vanificare il lavoro di mediazione che ha portato alla elaborazione del testo definitivo, facendo rivivere le parti della Direttiva che gli Stati membri non hanno voluto accettare, pretendendone leliminazione per dare il proprio consenso allapprovazione finale della Direttiva. In definitiva, come riconosciuto da autorevole dottrina la direttiva del 2004, trasfigurata per effetto dei notevoli rimaneggiamenti subiti nel corso del suo iter di approvazione, non intendeva creare alcuna armonizzazione fra i Paesi membri in ordine ad un sistema comune di tutela per i reati violenti, limitandosi a demandare ai singoli Stati il compito di regimentare, secondo modalit non armonizzate, un sistema di indennizzo per la vittime di reato valevole per le situazioni transfrontaliere (R. Conti, in Corriere Giur., 2013, 11, 1387). La conformit dellordinamento italiano rispetto agli obblighi comunitari peraltro confermata anche alla luce della comparazione con gli ordinamenti degli altri Paesi europei. Esemplificativamente, si ricorda infatti che: -secondo lordinamento greco, lo Stato risponde solamente per i reati posti in essere da parte dei pubblici ufficiali; -in Spagna, per lindennizzo statale richiesto che, in conseguenza del reato, si siano verificate la morte, le lesioni personali gravi ovvero gravi danni alla salute fisica o mentale; -nei Paesi Bassi, lindennizzo da parte dello Stato possibile solamente nel caso di decesso o lesioni gravi; -in base allordinamento austriaco, ammissibile un indennizzo solo per il reato che abbia prodotto una lesione personale o un danno alla salute della vittima; -nella Repubblica Francese, stato istituito un fondo che indennizza solo le vittime di reati gravi contro la persona ovvero di reati sessuali; -in Germania, infine, il diritto al risarcimento condizionato alla presenza di una menomazione fisica o mentale quale conseguenza dellaggressione violenta. Come si pu vedere, ciascuno Stato membro ha modulato in via autonoma laccesso allindennizzo di cui alla direttiva comunitaria, a conferma del carattere ampiamente di screzionale dellattivit rimessa a ciascun ordinamento dal legislatore soprannazionale. LItalia, dal canto suo, ha ritenuto di dover circoscrivere la possibilit di adire lo Stato a fini indennitari alle sole ipotesi di reato sopra elencate, le quali - con tutta evidenza rappresentano le fattispecie delittuose pi gravi del sistema penalistico interno. In parte qua, la sentenza del primo giudice , dunque, affetta da vistosi errori, in fatto e in diritto, in quanto, come sopra argomentato,: a) non ha tenuto conto che la Direttiva 2004/80/CE si applica soltanto alle vittime di reati intenzionali violenti commessi sul territorio di uno Stato membro diverso da quello di residenza, e che rimangono invece escluse dal suo campo di applicazione le ipotesi in cui il reato venga commesso nello stesso Stato membro in cui la vittima risiede abitualmente; b) ha di conseguenza, erroneamente, riconosciuto linadempimento dello Stato italiano a quanto disposto dallart. 12, par. 2, della Direttiva e condannato lo stesso al risarcimento del danno in favore della Sig.ra A.M.G. Concludendo sul punto, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Roma, lart. 12, comma 2, della Direttiva n. 2004/80/CE non attribuisce in via diretta ed immediata ai congiunti del residente in Italia, che ivi sia rimasto vittima di omicidio, alcun diritto allindennizzo verso lo Stato italiano, nel caso di impossibilit di ottenere il risarcimento dallautore del reato, demandando, viceversa, ai singoli Stati membri, lindividuazione, secondo apprezzamenti ampiamente discrezionali, delle fattispecie indennizzabili e dei parametri e criteri in base ai quali determinare il quantum dellindennizzo stesso. Poich il predetto art. 12, comma 2, asseritamente violato, non preordinato a conferire diritti ai singoli, alla luce dei superiori principi, non ricorrono i presupposti per condannare lo Stato al risarcimento del danno per violazione del diritto comunitario. 2.2.) In ogni caso, la violazione del diritto comunitario, in ipotesi, addebitabile nella specie allo Stato italiano, non grave e manifesta, ove si considerino, da una parte, la scarsa chiarezza dellart. 12, comma 2, della Direttiva in esame (testimoniata, del resto, dal presente contenzioso e, da numerosi altri, analoghi, pendenti dinanzi ai giudici di merito), e, dallaltra, le condotte tenute, nella specie, dalle istituzioni comunitarie che hanno ingenerato, nello Stato Italiano, il ragionevole convincimento che il sistema di indennizzo dei reati intenzionali violenti, gi esistente nellordinamento interno alla data del 1 luglio 2005 (v. art. 18 della Direttiva), fosse conforme al diritto europeo. In relazione al primo profilo, se si tiene conto dellesistenza di precedenti nella giurisprudenza comunitaria e nazionale che suffragano la tesi del carattere transnazionale dellambito applicativo della suddetta direttiva (cos la citata sentenza n. 7565/2013 del Trib. Torino) o, quanto meno, se si pone mente ai dubbi interpretativi recentemente sollevati da autorevole dottrina e dalla medesima giurisprudenza nazionale, (v. Trib. Firenze, ordinanza del 20/2 15.3.2013, che, come sopra rilevato, ha sottoposto alla Corte di Giustizia, in via pregiudiziale, la questione interpretativa del citato art. 12, par. 2), non si pu certamente affermare che la normativa europea sia sufficientemente chiara e precisa da importare quale unica interpretazione ragionevole quella contraria alle scelte operate dal Legislatore italiano, che ha ritenuto di non introdurre alcun sistema di indennizzo per le vittime, nel proprio territorio, del reato di omicidio volontario c.d. comune. Quanto alla condotta tenuta dalle istituzioni comunitarie, giova nuovamente evidenziare che la Commissione Europea ha contestato alla Repubblica Italiana unicamente il mancato adempimento, entro il secondo termine menzionato nell'art. 18, par. 1, (1 gennaio 2006), dell'obbligo di adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva, e non anche l'inadempimento del par. 2 dellart. 12, evidentemente ritenendo che la Repubblica Italiana si fosse gi munita di un adeguato sistema di indennizzo per varie categorie di reati intenzionali violenti (cfr. Corte di Giustizia CE, Sent. 112 del 29.11.2007). Peraltro, come gi segnalato nel corso del giudizio di primo grado, la stessa Commissione Europea, in data 20 aprile 2009, ha predisposto una Relazione al Consiglio, al Parlamento Europeo ed al Comitato economico e sociale europeo sulla applicazione della Direttiva 2004/80/CE, nella quale vengono esaminati aspetti inerenti lapplicazione della disciplina, la sua efficacia e - soprattutto - viene effettuata lanalisi comparata dei sistemi di indennizzo degli Stati membri, valutando la conformit dei relativi sistemi con le disposizioni della direttiva medesima. Ebbene, nella sezione 3.4.1 (Esistenza di sistemi di indennizzo nazionali) lunico ordinamento interno oggetto di censure risulta essere quello greco: Tutti gli Stati membri, salvo la Grecia, garantiscono un indennizzo alle vittime di reati intenzionali contro la persona. Lunica contestazione mossa allItalia invece quella inerente la mancata comunicazione delle misure di attuazione degli artt. 1-3 della Direttiva, relativi alla individuazione delle autorit cui presentare la domanda (obbligo ora assolto con lemanazione del D.lgs n. 204/2007). Da quanto precede discende che leventuale inadempimento dello Stato al disposto del- lart. 12, comma 2, dipeso da errore scusabile e non pu, pertanto, dare luogo a responsabilit risarcitoria. 2.3) In via ulteriormente gradata, va comunque evidenziato che non ricorre il requisito del nesso di causalit diretto tra la violazione dellobbligo incombente allo Stato ed il danno subito dai soggetti lesi. La sola sig.ra G.A.M., come accertato dallo stesso Tribunale (v. pag. 11), si costituita parte civile nel processo penale che ha visto la condanna (definitiva) dellomicida della figlia. Nella sede penale questultimo stato, altres, condannato al risarcimento dei danni nei confronti di essa parte civile, con il riconoscimento di una provvisionale (come noto provvisoriamente esecutiva) di 80.000. pacifico in causa che la Sig.ra G.A.M. non ha mai posto in esecuzione la provvisionale nei confronti dell autore del reato per ottenere il risarcimento del danno gi liquidato in sede penale. Linerzia serbata nella vicenda dalla Sig.ra G.A.M. vale ad escludere anche il nesso causale tra il lamentato pregiudizio e lasserito inadempimento della direttiva. Anche sotto questo profilo, dunque, la sentenza dappello appare radicalmente errata. Quanto al Sig. G.G., invece, la carenza del nesso di causalit tra il danno lamentato e la violazione dellobbligo incombente allo Stato confermata dalla pacifica constatazione -sopra illustrata - che costui non si costituito parte civile nel processo penale, n ha mai instaurato un autonomo processo civile per ottenere laccertamento del danno da reato. Nella denegata ipotesi in cui si ritenesse di non condividere gli argomenti che precedono, vorr codesta Ecc.ma Corte, data la notevole rilevanza della questione, rivolgere alla Corte di Giustizia dellUE ex art. 267 TFUE (gi art. 234 TCE) i seguenti quesiti pregiudiziali: 1) dica codesta Corte di Giustizia se lart. 12, comma 2, della Direttiva 29.4.2004 n. 2004/80/CE (Direttiva del Consiglio relativa allindennizzo delle vittime di reato), letto in combinato disposto con i considerando nn. 5, 6 e 10 della medesima Direttiva, nonch con quanto previsto dalla Decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio in data 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (richiamata nel considerando n. 5 della Direttiva), debba essere interpretato nel senso che lindennizzo ivi previsto in favore delle vittime di reati intenzionali violenti spetti, iure proprio e non iure hereditatis, anche ai prossimi congiunti (nella specie madre e nonno) della persona deceduta in conseguenza del reato (nella specie omicidio volontario), dovendo anche tali soggetti essere equiparati alla vittima del predetto reato, cio alla persona offesa, titolare dellinteresse protetto dalla norma incriminatrice o se, invece, debba essere escluso un diritto proprio allindennizzo ai sensi della Direttiva sopra richiamata a favore di soggetti (come prossimi congiunti) diversi da chi stato la diretta vittima del reato di omicidio volontario; 2) nel caso in cui il quesito che precede venga risolto nel senso che un diritto proprio - e non iure hereditatis - allindennizzo previsto dall art. 12, comma 2, della Direttiva 29.4.2004 n. 2004/80/CE (Direttiva del Consiglio relativa allindennizzo delle vittime di reato) debba essere riconosciuto anche in favore dei prossimi congiunti (madre e nonno) della vittima diretta del reato di omicidio volontario, dica, altres, codesta Corte di Giustizia se lart. 12, comma 2, della Direttiva 29.4.2004 n. 2004/80/CE (Direttiva del Consiglio relativa allindennizzo delle vittime di reato), a mente del quale tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime, debba essere interpretato nel senso che gli Stati membri hanno lo specifico obbligo di introdurre, nei rispettivi ordinamenti, norme nazionali che istituiscano forme di indennizzo in favore delle vittime del delitto di omicidio volontario, o se, invece, tale secondo paragrafo del predetto art. 12 si limiti ad imporre agli Stati membri che ne siano sprovvisti lobbligo di predisporre un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, a prescindere dallampiezza di tale sistema e dalle singole ipotesi di reato ivi contemplate, di talch il predetto art. 12, par. 2 non si applica agli Stati membri che, come lItalia, gi prevedessero, alla data di entrata in vigore della direttiva, un adeguato sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori; 3) Nel caso in cui il predetto art. 12, par. 2 debba essere interpretato nel senso che gli Stati membri abbiano lo specifico obbligo di introdurre, nei rispettivi ordinamenti, norme nazionali che istituiscano forme di indennizzo in favore delle vittime del delitto di omicidio volontario, dica, infine, codesta Corte di Giustizia se il predetto art. 12, comma 2, della Direttiva 29.4.2004 n. 2004/80/CE vada, altres, interpretato nel senso che esso attribuisce in via diretta ed immediata al residente nel territorio dello Stato membro (ed ai suoi prossimi congiunti, anchessi residenti nello Stato membro) che ivi sia rimasto vittima (e quindi sia deceduto in conseguenza) del reato di omicidio volontario, un diritto allindennizzo verso lo Stato di residenza ove il reato stato commesso o se, invece, sia corretta linterpretazione dellart. 12, par. 2, della Direttiva 2004/80/CE, secondo cui questultimo si applica solo alle vittime di reati intenzionali violenti commessi sul territorio di uno Stato membro diverso da quello di residenza, mentre rimangono escluse dal suo campo di applicazione le ipotesi, come quella rilevante in questa sede, in cui il reato venga commesso nello stesso Stato membro in cui la vittima risiede abitualmente. Per completezza si evidenzia che, con ordinanza in data 20 febbraio/15 marzo 2013, il Tribunale civile di Firenze ha chiesto alla Corte di Giustizia dellUnione Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale, ai sensi dellart. 267 TFUE, sulla seguente questione: 1) Se lart. 12 della direttiva 2004/80/CE debba essere interpretato nel senso che esso permette agli Stati membri di prevedere lindennizzo per le vittime di alcune categorie di reati violenti o intenzionali od imponga invece agli Stati membri, in attuazione della citata Direttiva, di adottare un sistema di indennizzo per le vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali. In tale causa pregiudiziale C-122/13, la Corte di Giustizia ha deciso di statuire senza trattazione orale e senza conclusioni dellAvvocato Generale (v. all. 6). quindi ragionevole presumere che la decisione verr depositata entro lestate del corrente anno 2014. 3. IN VIA ASSOLUTAMENTE SUBORDINATA: IN RELAZIONE AL QUANTUM liquidato in favore della Sig.ra G. A.M.: Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1173, 2043, 2056, 1226 c.c.; dellart. 185 c.p.; nonch dell art. 12 Direttiva n. 2004/80/CE. Erronea assimilazione dello Stato al responsabile (civile) del reato e conseguente confusione dellindennizzo asseritamente dovuto dallo Stato in base alla direttiva in esame con il risarcimento integrale del danno ex lege Aquilia. Anche alla luce dellart. 342 c.p.c. come sostituito, in sede di conversione, dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 143, con il presente motivo di gravame (dedotto in via assolutamente subordinata) si intende appellare la sentenza di primo grado nella parte in cui ha affermato (pag. 13): lammontare dellindennizzo dovuto dallo Stato in virt della direttiva 2004/80/CE potrebbe non corrispondere alla somma liquidata a titolo risarcitorio a carico dellautore del reato. Il tribunale ritiene per che nel caso in esame i canoni dellequit e del- ladeguatezza siano soddisfatti determinando lammontare dellindennizzo in misura corrispondente allintero importo liquidato dal giudice penale a titolo di provvisionale. In particolare, in ordine al quantum debeatur, il Tribunale di Roma ha riconosciuto alla Sig.ra G., la somma di 80.000,00, determinata secondo i canoni dellequit e del- ladeguatezza. Tale somma corrisponde esattamente alla provvisionale riconosciuta alla sig.ra G.A.M. in sede penale (v. pag. 13 della sentenza impugnata). Da quanto precede emerge, con tutta evidenza, che il Tribunale - pur avendo, dapprima, riconosciuto, che lindennizzo potrebbe non corrispondere alla somma liquidata a titolo risarcitorio - ha poi finito, in sede di liquidazione del quantum debeatur, per confondere il concetto di risarcimento con quello di indennizzo, ritenendo che la domanda di indennizzo possa essere intesa come una domanda di ristoro integrale dei danni che lattrice ha subito in conseguenza del delitto di cui la figlia stata vittima. Il che appare confermato dal fatto che la condanna indennitaria a carico dello Stato stata commisurata proprio alla provvisionale riconosciuta alla Sig.ra G. A.M. in sede penale. In altri termini, il Tribunale ha determinato il risarcimento a carico dello Stato come se questo fosse il diretto responsabile del reato. Tuttavia, come gi ricordato, la ratio della normativa nazionale e comunitaria in tema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non pu essere certamente quella di sostituire o aggiungere lo Stato allautore del delitto nella responsabilit verso le vittime: a tutto concedere lobbligo che la direttiva pone agli Stati membri , invero, solo quello di predisporre un indennizzo equo ed adeguato, necessariamente diverso dal- lintegrale ristoro del danno civile. I criteri di liquidazione di tale indennizzo (e - quindi - dellasserito danno conseguente al mancato recepimento della direttiva) dovrebbero, pertanto, essere del tutto autonomi e diversi rispetto ai parametri di liquidazione del risarcimento ordinario ex lege aquilia dovuto dai responsabili del fatto di reato. N, del resto, pu lo Stato italiano essere chiamato a rispondere, in base al diritto interno, del reato in questione, non ricorrendo (ovviamente) alcuna delle fattispecie di responsabilit (diretta od indiretta) dello Stato per il fatto altrui, ai sensi degli artt. 2043 cc., 28 Cost. e 185 c.p., surrettiziamente applicati dal primo giudice. In punto di determinazione del quantum debeatur, la sentenza del primo giudice , dunque, affetta da vistosi errori di diritto in quanto ha confuso lindennizzo asseritamente dovuto dallo Stato in base alla direttiva in esame con il risarcimento integrale del danno ex lege Aquilia, pervenendo, cos, ad una liquidazione del tutto erronea ed esorbitante, che andr, perci, operata ex novo (alla luce dei criteri sopra illustrati) ed ulteriormente ridimensionata. 4.) IN VIA ASSOLUTAMENTE GRADATA: VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 2043, 2056, 1224 E 1284 C.C. ERRONEA INDIVIDUAZIONE DELLA DATA DI DECORRRENZA DEGLI INTERESSI MORATORI AL TASSO LEGALE DOVUTI SULLA SOMMA CAPITALE LIQUIDATA IN FAVORE DELLA SIG.RA A.M.G. In via del tutto subordinata, la sentenza del Tribunale di Roma , comunque, errata nella parte in cui ha fatto decorrere gli interessi legali sullindennizzo liquidato in favore della Sig.ra G. dall11 settembre 2008, anzich dall11 settembre 2009, che la data effettiva della notifica della domanda giudiziale. &&& ISTANZA DI SOSPENSIONE EX ART. 283 C.P.C. Dall'esposizione che precede emerge con evidenza il fumus boni iuris che assiste la proposta impugnazione incidentale. Quanto al periculum in mora, si rappresenta che, in ragione dellentit non irrisoria del- limporto riconosciuto alla Sig.ra G.A.M. e, soprattutto, della difficile situazione economica in cui ella dichiara di trovarsi (v. pag. 25, rigo 18 ss., dellatto di citazione in primo grado (3)) concreto il rischio per lAmministrazione, nellipotesi di accoglimento del gravame, di non poter recuperare le somme che dovessero essere corrisposte nelle more del giudizio di appello in esecuzione della sentenza impugnata in via incidentale. Nella specie, come riconosciuto anche dalla Corte dappello di Torino in relazione a fattispecie analoga a quella in esame (C. App. Torino, ordinanza del 11.9.12: cfr. all. 5), (3) Ove, appunto, si afferma che, al fine di sostenere le spese per il funerale della loro congiunta, la predetta Sig.ra A.M.G. ha dovuto fare ricorso allaiuto economico di altri parenti. sussistono, dunque, gravi e fondati motivi, in relazione al concreto pericolo di insolvenza dellappellata in via incidentale, che suggeriscono la sospensione della efficacia esecutiva e/o dellesecuzione della sentenza impugnata in via incidentale. Di contro, la sospensione della sentenza impugnata non arrecherebbe alcun apprezzabile pregiudizio all odierna appellata incidentale, essendo lo Stato, per definizione soggetto, solvibile. Tanto premesso, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Giustizia, come in epigrafe rappresentati, difesi ed elettivamente domiciliati, rassegnano le seguenti CONCLUSIONI "Piaccia all'Ecc.ma Corte dappello adita, respinta ogni altra difesa, eccezione o deduzione, previo accoglimento dell'istanza di inibitoria ex art. 283 c.p.c. spiegata con lappello incidentale, e previa domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia dellUE ex art. 267 TFUE (gi art. 234 TCE) nei termini esposti in narrativa, respingere lappello principale, siccome infondato ed accogliere lappello incidentale e, per leffetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, respingere tutte le domande proposte in primo grado dagli odierni appellanti principali; con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi di giudizio. Unitamente alla presente comparsa di risposta si produrranno: 1) copia notificata dellappello principale; 2) 2) bis) copie autentiche della sentenza appellata, notificate il 30.12.2013; 3) il fascicolo di parte del precedente grado; 4) sentenza del Tribunale di Torino n. 7565/2013; 5) ordinanza della Corte dappello di Torino dell11.9.12; 6) avviso di cancelleria della Corte di Giustizia dellUnione Europea, relativo alla causa pregiudiziale C-122/13. Ai sensi degli artt. 9 e 13 dpr 115/2002 e succ. modd. ed int. si dichiara che il valore della controversia introdotta con lappello incidentale pari a circa Euro 80.000,00 Roma, 28.1.2014 lAvvocato dello Stato Giovanni Palatiello All. 2) ORDINANZA DELLA CORTE (Sesta Sezione) 30 gennaio 2014 Rinvio pregiudiziale Cooperazione giudiziaria in materia penale Direttiva 2004/80/CE Articolo 12 Indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti Situazione puramente interna Manifesta incompetenza della Corte Nella causa C.122/13, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dellarticolo 267 TFUE, dal Tribunale ordinario di Firenze (Italia) con decisione del 20 febbraio 2013, pervenuta in cancelleria il 15 marzo 2013, nel procedimento Paola C. CONTENZIOSO NAZIONALE 159 contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, LA CORTE (Sesta Sezione), composta da A. Borg Barthet, presidente di sezione, M. Berger (relatore) e F. Biltgen, giudici, avvocato generale: Y. Bot cancelliere: A. Calot Escobar vista la fase scritta del procedimento, considerate le osservazioni presentate: per la sig.ra C., da P. Pellegrini, avvocato, per il Regno di Spagna, da S. Centeno Huerta, in qualit di agente, per la Repubblica italiana, da G. Palmieri e G. Palatiello, in qualit di agenti, per il Regno dei Paesi Bassi, da M. K. Bulterman, in qualit di agente, per la Commissione europea, da A.-M. Rouchaud-Jot e F. Moro, in qualit di agenti, vista la decisione, adottata dopo aver sentito lavvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, conformemente allarticolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, ha emesso la seguente Ordinanza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sullinterpretazione dellarticolo 12 della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa allindennizzo delle vittime di reato (GU L 261, pag. 15). 2 Tale domanda stata presentata nellambito di una controversia tra la sig.ra C. e la Presidenza del Consiglio dei Ministri in merito alla responsabilit di questultima derivante della mancata trasposizione, da parte della Repubblica italiana, della direttiva 2004/80 e al danno in tal modo subito dalla sig.ra C. Contesto normativo Il diritto dellUnione 3 I considerando 7 e 11 della direttiva 2004/80 cos recitano: (7) La presente direttiva stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato laccesso allindennizzo nelle situazioni transfrontaliere; (...). (...) (11) Dovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autorit degli Stati membri per facilitare laccesso allindennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede. 4 Larticolo 12 di tale direttiva, che fa parte del suo Capo II, intitolato Sistemi di indennizzo nazionali, cos dispone: 1. Le disposizioni della presente direttiva riguardanti laccesso allindennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. 2. Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano lesistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime. Il diritto italiano 5 La direttiva 2004/80 stata recepita in Italia, segnatamente, mediante il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 204, attuazione della direttiva 2004/80/CE relativa allindennizzo delle vittime di reato (Supplemento ordinario alla GURI n. 261 del 9 novembre 2007). Tale decreto rinvia, per quanto riguarda i requisiti sostanziali per la concessione di un indennizzo a carico dello Stato italiano, a leggi speciali che prevedono le forme di indennizzo delle vittime di reati commessi nel territorio nazionale. Tuttavia, non tutti i tipi di reati violenti intenzionali sono contemplati da tali leggi speciali. Quindi, nessuna legge speciale garantisce un indennizzo equo ed adeguato, ai sensi dellarticolo 12 della direttiva 2004/80, della vittima di un reato di violenza sessuale, come quello di cui trattasi nel procedimento principale. Procedimento principale e questione pregiudiziale 6 La sig.ra C. ha chiesto al giudice del rinvio di condannare la Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni, quantificati in EUR 150 000, previo accertamento della responsabilit di questultima per mancata attuazione della direttiva 2004/80. 7 A sostegno della sua domanda la ricorrente nel procedimento principale afferma di essere stata vittima di violenze sessuali commesse dal sig. M. Questultimo stato condannato, in particolare, a corrisponderle la somma di EUR 20 000 a titolo di provvisionale. Tuttavia, il sig. M. non vi ha mai ottemperato. Al momento della sua condanna, infatti, era detenuto, nullatenente e senza impiego n dimora. Ad avviso della sig.ra C., quando il sig. M. uscir di prigione, sar insolvente e verr espulso dallItalia, cosicch essa perder qualsiasi possibilit di ottenere da parte di questultimo un indennizzo equo ed adeguato. Orbene, la Repubblica italiana non avrebbe adottato le misure necessarie a garantirle comunque un indennizzo equo ed appropriato, in violazione dellobbligo che graverebbe su tale Stato membro in virt dellarticolo 12 della direttiva 2004/80. 8 Dinanzi al giudice del rinvio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri chiede il rigetto della domanda in quanto irricevibile e infondata. Essa sostiene in particolare che la direttiva 2004/80 diretta a disciplinare solo lindennizzo delle vittime di reati violenti intenzionali nelle situazioni transfrontaliere, mentre il reato in esame stato commesso nel territorio italiano e la vittima una cittadina italiana. 9 Il giudice del rinvio ritiene, in proposito, che, se lobiettivo della direttiva 2004/80 consiste nella creazione di misure volte a facilitare lindennizzo delle vittime di reato nelle situazioni transfrontaliere e nel consentire che la vittima di un reato possa sempre rivolgersi ad unautorit dello Stato membro di residenza, larticolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva potrebbe tuttavia essere interpretato nel senso che obbliga tutti gli Stati membri ad adottare strumenti idonei a garantire lindennizzo delle vittime di reati violenti e intenzionali. In tal caso, la Repubblica italiana sarebbe venuta meno ai suoi obblighi in quanto la sua normativa interna prevede un sistema di indennizzo limitato a determinati reati, con esclusione di quelli commessi con violenze sessuali. 10 Ci premesso, il Tribunale ordinario di Firenze ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale seguente: [S]e larticolo 12 della direttiva [2004/80/CE] debba essere interpretato nel senso che esso permette agli Stati membri di prevedere lindennizzo per le vittime di alcune categorie di reati violenti o intenzionali o imponga invece agli Stati membri, in attuazione della citata direttiva, di adottare un sistema di indennizzo per le vittime di tutti i reati violenti od intenzionali. Sulla competenza della Corte CONTENZIOSO NAZIONALE 161 11 Si deve ricordare, anzitutto, che la direttiva 2004/80, come emerge dal suo considerando 7, stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato laccesso allindennizzo nelle situazioni transfrontaliere. Il considerando 11 di tale direttiva precisa in proposito che [d]ovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autorit degli Stati membri per facilitare laccesso allindennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede. 12 La Corte ha gi sottolineato che la direttiva 2004/80 prevede un indennizzo unicamente nel caso di un reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente (sentenza del 28 giugno 2007, DellOrto, C.467/05, Racc. pag. I.5557, punto 59). 13 Nellambito del procedimento principale, tuttavia, emerge dalla decisione di rinvio che la sig.ra C. stata vittima di un reato intenzionale violento commesso nel territorio dello Stato membro in cui ella risiede, vale a dire la Repubblica italiana. Pertanto, la situazione di cui trattasi nel procedimento principale non rientra nellambito di applicazione della direttiva 2004/80, bens solo del diritto nazionale. 14 Orbene, in una situazione puramente interna, la Corte non , in linea di principio, competente a statuire sulla questione posta dal giudice del rinvio. 15 vero che, secondo una giurisprudenza costante, anche in una simile situazione, la Corte pu procedere allinterpretazione richiesta nellipotesi in cui il diritto nazionale imponga al giudice del rinvio, in procedimenti come quello principale, di riconoscere ai cittadini nazionali gli stessi diritti di cui il cittadino di un altro Stato membro, nella stessa situazione, beneficerebbe in forza del diritto dellUnione (v., in particolare, sentenza del 21 febbraio 2013, Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia e a., C.111/12, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 35 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, non spetta alla Corte prendere liniziativa in tal senso se dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non risulta che al giudice del rinvio effettivamente imposto siffatto obbligo (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, Omalet, C.245/09, Racc. pag. I.13771, punti 17 e 18). 16 Infatti, la Corte tenuta a prendere in considerazione, nellambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dellUnione e i giudici nazionali, il contesto di fatto e di diritto nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dalla decisione di rinvio (sentenza del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C.378/07 a C.380/07, Racc. pag. I.3071, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). 17 Orbene, nel caso di specie, sufficiente constatare che, mentre la Commissione europea ha sostenuto nelle sue osservazioni scritte che siffatto obbligo deriva dal diritto costituzionale italiano, dalla decisione di rinvio stessa non risulta che il diritto italiano imponga al giudice del rinvio di riconoscere alla sig.ra C. gli stessi diritti di cui un cittadino di un altro Stato membro, nella medesima situazione, beneficerebbe in forza del diritto dellUnione. 18 Ne consegue che, sul fondamento dellarticolo 53, paragrafo 2, del suo regolamento di procedura, la Corte manifestamente incompetente a rispondere alla questione posta dal Tribunale ordinario di Firenze. Sulle spese 19 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) cos provvede: La Corte di giustizia dellUnione europea manifestamente incompetente a rispondere alla questione posta dal Tribunale ordinario di Firenze (Italia). Corte di appello di Roma, ordinanza 9 maggio 2014 R.G. 7072/2013 -Pres. Roberto Reali, Rel. Francesco Ferdinandi. (...) ritenuto che per quanto apprezzabile in questa sede di sommaria delibazione e fatta salva ogni diversa valutazione in sede di merito, le ragioni poste dall'avvocatura dello Stato a fondamento dell'appello incidentale appaiono provviste di adeguato fumus sembrando che la direttiva CE 80/2004 ed il sistema indennitario ivi previsto possano trovare applicazione al solo caso di reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente, come opinato dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea con recentissima ordinanza (ord. 30.1.14, causa C-122/13), sulla base del considerando settimo, ove si precisa che la direttiva stabilisce un sistema dl cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso allindennizzo nelle situazioni transfrontaliere e del considerando undicesimo, ove si prevede che venga ad essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autorit degli Stati membri per facilitare l'accesso all'indennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede; che ricorre anche il pericolo nel ritardo, sussistendo il fondato timore che lo Stato non possa ripetere quanto pagato in esecuzione della sentenza di primo grado, avuto riguardo alle condizioni economiche di G.A.M., che essa stessa ebbe a prospettare come precarie nell'atto di citazione dinanzi il Tribunale, rappresentando che aveva potuto affrontare le spese del funerale della vittima solo grazie all'aiuto dei parenti; PQM sospende l'esecutivit della sentenza n. 22327/13 del Tribunale di Roma depositata il 8.11.13 nel procedimento n 62440/09 RG, e fissa per le conclusioni l'udienza del 23.1.18, ore 9,30. Cos deciso in Roma, li 6.5.14 Cittadinanza extracomunitaria ed accesso ai pubblici impieghi TRIBUNALE PERUGIA, SEZ. LAVORO, ORDINANZA 27 MARZO 2014, R.G. 2272/2013 Ugo Adorno* Da: Ugo Adorno [mailto:ugo.adorno@avvocaturastato.it] Inviato: mar 08/04/2014 12.53 A: Montagnoli Riccardo; Bellisario Dario; Capaldo Lorenzo; Laura Paolucci; Avvocati_tutti Oggetto: Cittadinanza non UE e accesso ai pubblici impieghi. ... in materia di discriminazione lamentata da cittadini extracomunitari nel- laccesso ai pubblici impieghi, ... trasmett[o] lordinanza con cui il Tribunale del lavoro di Perugia ha rigettato la domanda proposta da una extracomunitaria docente, che contestava la sua esclusione dalle GAE. Lordinanza (art. 702-bis cpc) si segnala per lequilibrio delle riflessioni, del tutto scevre da connotazioni di politica sociale. In punto di fatto, il giudice ha affermato che la ricorrente aveva acquisito lo status di titolare del permesso di soggiorno di lungo periodo nel 2102, dopo, cio, che le graduatorie scolastiche erano state trasformate in GAE e chiuse (con alcune tassative eccezioni) a nuovi inserimenti a prescindere dalla cittadinanza. Ne segue che la stessa non poteva lamentare alcuna discriminazione, non potendo ella conseguire un bene della vita precluso a chiunque, a prescindere dalla cittadinanza. Con la precisazione che tutto ci non riguarda la situazione futura, in cui per effetto dellattuazione, nellordinamento interno, del disposto della direttiva comunitaria 109/03, con la modifica dellart. 38 TUPI, la straniera lungo soggiornante avr diritto allinserimento nelle graduatorie distituto al pari dei cittadini italiani. In punto di diritto, lordinanza, nel dare atto della peculiarit della materia dellaccesso ai pubblici impieghi (artt. 51 e 98 Cost.), ha rilevato che ladempimento a un obbligo comunitario (reso necessario anche dallapertura di procedura di infrazione nei confronti dellItalia) con previsione eccezionale (e di stretta interpretazione) estensiva della possibilit di accedere al p.i. a individuate categorie di soggetti, conferma che tale possibilit non riguarda, n pu riguardare, extracomunitari appartenenti a categorie differenti, cio non in possesso di titolo di soggiorno di lunga durata: laccesso al pubblico impiego non concerne diritti in materia civile (di cui allart. 2 comma 2 TUI e alla convenzione OIL), n si pu riscontrare violazione del d. l.gs. n. 215/03 (*) Avvocato dello Stato. Unitamente alla ordinanza segnalata dallavv. Adorno - per mezzo di posta elettronica come da prassi consolidata per scambio/condivisione in tempo quasi reale di aggiornamenti giurisprudenziali - se ne pubblica labstract. che (art. 2 comma 3) esclude dal suo ambito di applicazione le differenze di trattamento basate sulla nazionalit, n vi violazione dellart. 14 CEDU che concerne il godimento di diritti e libert fondamentali fra cui non rientra laccesso al pubblico impiego. Conclude, al riguardo, il provvedimento rilevando che il fatto che la legge riconosca l'accesso al pubblico impiego solo a categorie di cittadini stranieri che hanno dimostrato di avere instaurato un legame stabile e non occasionale con il territorio dello Stato o tutelate in virt del peculiare statuto internazionale (si pensi ai rifugiati) non sembra confliggere con l'art. 3 Cost. perch la diversit di trattamento non appare irragionevole, anche in considerazioni delle peculiarit tipiche dello statuto del pubblico impiego, come disegnato dallo stesso Costituente agli artt. 51 e 98 Cost. Ugo Adorno Tribunale di Perugia, Sezione lavoro, ordinanza 27 marzo 2014, n. 2272 R.G. anno 2013 -Giud. Marco Medoro - S.X.D. (avv. Ballerini) c. Ministero Istruizione, Universit e Ricerca, Ufficio Scolastico regionale per lUmbria (avv. distr. Stato Perugia). 1. X.S.D. si rivolta a questo Tribunale per sentire dichiarare il carattere discriminatorio del- l'art. 8 del D.M. 44/2011, nella parte in cui subordina l'accesso alle graduatorie provinciali ad esaurimento del personale docente al requisito della cittadinanza italiana o di uno stato membro dell'U.E. e per ottenere che venga ordinato al MIUR di cessare il comportamento discriminatorio tenuto nei confronti dei cittadini "extracomunitari" e della ricorrente in particolare e, per l'effetto, condannare il suddetto Ministero ad inserire la ricorrente (senza alcuna riserva afferente la cittadinanza) nelle graduatorie sopra menzionate per l'insegnamento della lingua inglese nonch a risarcire alla stessa "i danni tutti patrimoniali e non patrimoniali patiti e patiendi" per effetto della discriminazione subita. Il giudizio, originariamente radicato presso il Tribunale di Genova, stato riassunto dinanzi a questo Ufficio a seguito di ordinanza dichiarativa dell'incompetenza emessa dal primo Giudice. A sostegno delle domande, ha spiegato atto di intervento l'organizzazione sindacale FLC-CGIL Camera del Lavoro Metropolitana di Genova. 2. In via del tutto preliminare, in accoglimento dell'eccezione sollevata dalle parti resistenti, va dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione l'intervento ad adiuvandum dell'organizzazione sindacale FLC-CGIL Camera del Lavoro Metropolitana di Genova. L'organizzazione sindacale argomenta, al riguardo, che, qualora il rapporto oggetto di causa venisse considerato "analogo a quello di lavoro", il suo diritto di prendere parte al processo sarebbe indiscutibile, in quanto si tratterebbe di giudizio che ella avrebbe addirittura potuto incardinare autonomamente quale ente esponenziale riconosciuto di interessi collettivi ai sensi dell'art. 44, comma 10, del d.lgs. 286/1998. Aggiunge che, in ogni caso, avrebbe titolo a partecipare al processo in qualit di soggetto impegnato sui temi della parit tra italiani e stranieri e della solidariet tra italiani e migranti. Ritiene il Giudicante che nessuna delle due argomentazioni sia convincente: quanto alla prima, la disposizione invocata dall'organizzazione ha carattere eccezionale, riferendosi alle sole relazioni lavorative in essere ed perci non estendibile in via interpretativa e - in ogni caso attribuisce la prerogativa di alfiere dell'interesse collettivo "alle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale", fattispecie che non si attaglia al caso in esame, in cui a volere intervenire la Camera del Lavoro di Genova e non quella di Perugia. Quanto alla seconda, si tratta, all'evidenza, della spendita di un mero interesse di fatto, mentre pacifico che la partecipazione ad un processo civile da parte di un terzo allo scopo di appoggiare l'azione o la resistenza altrui deve essere corroborato da un interesse che abbia una consistenza giuridicamente riconosciuta (cfr, ex multis, Cass., sez. III, 1111/2003; sez. I, 5736/1993). 3. Sempre in via preliminare, va dichiarata l'inammissibilit del ricorso proposto nei confronti dell'Istituto scolastico "Cavallotti" per difetto di legittimazione passiva: in materia di rapporto di lavoro scolastico, il MIUR e l'USR sono le sole amministrazioni provviste di legittimazione a resistere in giudizio, il primo, quale unico potenziale datore di lavoro della docente ricorrente e il secondo in forza dell'espresso disposto dell'art. 8 del d.p.r. 17/2009 (come modificato dal d.p.r. 132/2011). 4. Nel merito, il ricorso infondato e deve essere rigettato per le considerazioni dappresso esposte, nell'ambito della cognizione sommaria tipica della presente sede. 4.1 Espone la ricorrente: -di essere cittadina albanese regolarmente soggiornante in Italia in forza di permesso di soggiorno di durata illimitata rilasciato dalla Questura di Perugia successivamente ad un primo titolo temporaneo rilasciato dalla medesima autorit per motivi di famiglia; - di avere fatto ingresso in Italia nel 2007 assieme al marito S.G. e al figlio minorenne S. A. al fine di sottoporre quest'ultimo a cure mediche necessarie ed urgenti; -di avere deciso di fissare stabilmente la propria residenza in Italia e di avere perci chiesto al Miur il riconoscimento del titolo professionale acquisito in Albania; -di avere presentato, in data 8.5.2009, istanza di iscrizione nelle graduatorie per il personale docente e di esservi stata ammessa con riserva, in attesa del superamento dell'esame di lingua italiana presso l'Universit per Stranieri di Perugia e di avere tempestivamente comunicato il superamento dell'esame avvenuto nel maggio 2010; - di avere stipulato con 1'IPSAARCT "Cavallotti" di Citt di Castello un contratto a termine quale supplente di lingua inglese dal 12.1.11. al 3.4.11 e che, tuttavia, il dirigente scolastico dell'istituto, il 19.5.2011, dando atto di avere commesso un errore, in quanto la docente risultava inserita in graduatoria con riserva, salvo il trattamento economico corrisposto, negava il riconoscimento del servizio prestato ai fini giuridici; -che in seguito il Miur non consentiva il suo accesso alle graduatorie, confermando la propria decisione anche in seguito a reclamo, spiegando che ostava allo scopo la mancanza del requisito della cittadinanza italiana e mantenendo detto avviso anche a seguito di diffide inoltrate a mezzo legale; - che il Miur non ha provveduto a modificare il proprio orientamento sebbene sul punto l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR istituito presso il dipartimento Pari Opportunit della Presidenza del Consiglio dei Ministri) abbia formulato l'ipotesi che l'esclusione della docente dalle graduatorie ad esaurimento costituisca una discriminazione diretta in quanto espressione di un trattamento diseguale in ragione della cittadinanza di uno Stato esterno all'U.E. 4.2 Argomenta, quindi, la ricorrente, in punto di diritto: -che l'esclusione dalle graduatorie sarebbe discriminatoria in quanto fondata sull'unica ragione della carenza del requisito della cittadinanza italiana o di altro Stato appartenente all'U.E. ed avrebbe leso l'affidamento ingenerato nella stessa in ordine alla possibilit di prestare servizio come docente per effetto di assunzione a termine da parte dell'Istituto "Cavallotti" e, ancor prima, per essere stata indotta dal Miur a completare la procedura di abilitazione all'insegnamento sostenendo l'esame di italiano e da ci deriverebbe il diritto ad essere inserita nelle graduatorie ed ottenere il risarcimento dei danni sofferti; -che le disposizioni regolamentari che ne precludono l'accesso alle graduatorie violano gli art. 2 e 43 del d.lgs. 286/1998 essendo fondate su una diversificazione di trattamento in base alla cittadinanza; - che nella medesima direzione militerebbero le disposizioni della convenzione OIL n. 143/1975, ratificata dall'Italia, l'art. 14 della CEDU ed altre disposizioni settoriali (dettate in materia di persone cui riconosciuto lo status di rifugiato, lettori universitari); -che, da ultimo, la direttiva 2003/109 CE, attuata dal d.lgs. 3/2007 e dalla legge 97/2013 consente ai cittadini di Stati estranei all'U.E., titolari di permessi di soggiorno di lunga durata, di accedere a pubblici impieghi eccezion fatta per quelli che comportino l'esercizio di poteri pubblici. 5. Le doglianze della ricorrente vanno esaminate dividendo - in quanto profondamente differenti - le situazioni in fatto e in diritto, rispettivamente, successive e precedenti all'acquisto, da parte della ricorrente, della qualit di titolare di permesso di soggiorno di lunga durata. Ci alfine di verificare se in detti stati e con riferimento al bene della vita negato dal Miur alla ricorrente ed oggetto dell'odierna lite, che costituito dalla pretesa di inserimento nelle graduatorie provinciali ad esaurimento, sia stata consumata o meno una discriminazione ai sensi dell'art. 43, primo comma, del d.lgs. 286/1998. 5.1 Con riguardo alla situazione pi recente ed attuale, va rilevato che la ricorrente ha acquistato lo status di titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo in data 27.10.2012 (doc. 1 fasc. ric.) e cio decorsi cinque anni dal suo ingresso regolare in Italia (pag. 2 ricorso) ai sensi dell'art. 9 del d.lgs. 286/1998 come interpolato dal d.lgs. 3/2007 attuativo della direttiva 2003/109 CE (cfr in particolare art. 4). Va con ci esclusa la rilevanza di tale status ai fini di indagare la discriminazione denunciata e ci non solo perch questa si riferisce ad atti gestori posti in essere dal Miur in periodi precedenti al 27.10.2012, ma soprattutto perch le graduatorie provinciali per i docenti sono state definitivamente chiuse a nuovi ingressi (restando possibili solo aggiornamenti del punteggio e trasferimenti da una graduatoria provinciale all'altra) per effetto dell'art. 1, comma 605, lett. c) della legge 296/2006, vigente dal 1.1.2007, ad eccezione degli inserimenti - per il biennio 2007-08 - dei docenti gi in possesso di abilitazione o in procinto di conseguirla in quanto frequentanti i corsi abilitanti speciali ex dl. 97/2004, i corsi di specializzazione all'insegnamento secondario (SISS) o i corsi biennali accademici di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), o quelli di didattica della musica presso i Conservatori di musica e il corso di laurea in Scienza della formazione primaria. In altri termini, la ricorrente non pu sostenere che il rifiuto di farla accedere alle graduatorie provinciali ad esaurimento sia discriminatorio traendo spunto dalla normativa che tutela i titolari di permesso di soggiorno di lunga durata giacch ella ha acquisito detto status quando le graduatorie in questione erano chiuse per legge da anni a ingressi di nuovi docenti e ci a prescindere dalla cittadinanza posseduta dagli stessi e, peraltro, in quanto oggetto di doglianza sono condotte precedenti all'acquisizione del permesso in questione. Occorre rilevare - per mera completezza di analisi - che, per effetto dell'approvazione della legge 6.8.2013 n. 97 (c.d. legge europea), a decorrere dal 4.9.13, l'art. 38 del d.lgs. 165/2001 (c.d. T.U.P.I.) stato modificato recependo pienamente gli obiettivi imposti dalla direttiva 2003/109 CE relativa allo status dei cittadini di paesi esterni all'U.E. titolari di permesso di lungo soggiorno, cos che i suddetti, al pari dei cittadini dell'Unione, possono oggi accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche ". . . che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale" demandando ad un successivo D.P.C.M. l'individuazione concreta di detti posti e dei requisiti necessari per l'accesso ai posti in questione dei cittadini di paesi stranieri. Ne consegue che attualmente non pare revocabile in dubbio, in assenza del decreto attuativo della norma primaria (ma si pu prendere come tertium comparationis il D.P.C.M. 7.2.1994 N. 174 con ci escludendo che la docenza costituisca una funzione che comporta esercizio di poteri pubblici), che la ricorrente ha la possibilit di accedere all'insegnamento al pari di una cittadina italiana o di altro Stato dell'U.E., per esempio attraverso supplenze conferite attingendo il suo nome dalle graduatorie di istituto, ma ci ovviamente non le consente di accedere ad opportunit (quale l'iscrizione alle graduatorie provinciali ad esaurimento) precluse ratione temporis per legge a tutti i docenti, quale ne sia la cittadinanza. 5.2 Ritiene il Tribunale che la denunciata discriminazione non sussista nemmeno con riferimento all'esclusione dalle graduatorie della ricorrente come cittadina di Stato esterno all'U.E. tout court. Va premesso che l'accesso al pubblico impiego costituisce materia connotata da un'insopprimibile peculiarit, che deriva direttamente dalla Costituzione che, all'art. 51, chiarisce che l'estensione di tale prerogativa a categorie diverse dai cittadini dello Stato italiano un'eccezione, il perimetro della quale deve essere disegnato dalla legge ordinaria e ci in quanto l'art. 98 Cost. prevede che gli impiegati pubblici sono vincolati ad un servizio da prestare "nell'esclusivo interesse della Nazione". La disamina del quadro normativo attuale non autorizza a ritenere che ai cittadini di Stati non appartenenti all'U.E. che non siano titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo sia stato attribuito il diritto ad accedere al pubblico impiego. Proprio il fatto che la legge europea del 2013 (n. 97 del 6.8.13) - che si prefigge lo scopo di attuare pienamente gli obblighi stabiliti dalla direttiva 109/2003 CE - ha sancito ai fini che ci occupano la completa parificazione ai cittadini italiani e comunitari dei cittadini di Stati esterni all'U.E. purch titolari di permesso di lungo soggiorno, dimostra che coloro che sono sprovvisti di detto titolo non sono posti sullo stesso piano dei primi. Del resto, la novella in questione ha, per definizione, carattere eccezionale giacch estende, come si detto, una prerogativa in linea di principio riservata ai possessori dello status civitatis e la sua approvazione stata preceduta da una procedura di infrazione (casi EU Pilot 1769/11/JUST e 2368/11/HOME citati nella rubrica dell'art. 7 della legge 97/13) aperta dalla Commissione U.E. nei confronti del- l'Italia proprio a causa dell'inesatto adempimento degli obblighi imposti dalla direttiva 109/2003. Il fatto che ci sia stato bisogno di un'apposita disposizione per affermare che gli stranieri titolari di permesso di lungo soggiorno possono accedere ai posti di impiego pubblico non comportanti esercizio di poteri pubblici conferma che tale prerogativa non era contemplata -in violazione della direttiva 109/2003 - dall'ordinamento interno precedente e che parimenti, allora come adesso, detta prerogativa non riguarda gli stranieri non titolari di permesso di soggiorno di lunga durata. 5.3 Sebbene le osservazioni sin qui svolte appaiano assorbenti, mette conto rilevare che le conclusioni qui formulate non mutano alla luce degli altri parametri normativi invocati dalla difesa della ricorrente. In particolare, appare inconferente ai fini che ci occupano l'art. 2, comma 2 del d.lgs. 286/1998 che attribuisce ai cittadini di Stati esterni all'U.E. l'eguaglianza dei diritti in materia civile, e del successivo comma 3 che richiama la convenzione OIL n. 143/1975 ratificata dall'Italia con la legge n. 158/1981, che non contiene alcuna norma che attribuisce ai cittadini stranieri il diritto di accesso al pubblico impiego. Inconferenti sono anche i riferimenti della difesa della ricorrente all'art. 49 del d.p.r. 349/1999, regolamento attuativo del testo unico in materia di cittadini stranieri, che riguarda il riconoscimento dei titoli abilitanti all'esercizio delle professioni e al d.lgs. 215/2003, inerente misure contro le discriminazioni basate sulla razza e l'origine etnica, attesa anche l'inequivocabile specificazione dell'art. 3, comma 2 di detta fonte: "Il presente decreto legislativo non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalit e non pregiudica le disposizioni nazionali e le condizioni relative all'ingresso, al soggiorno, all'accesso all'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato, n qualsiasi trattamento, adottato in base alla legge, derivante dalla condizione giuridica dei predetti soggetti". Confermano e non smentiscono l'assunto precedentemente esposto, in ragione del carattere di specialit che le caratterizza, le norme dettate in materia di lettori e professori universitari (art. 27 del d.lgs. 286/1998) e di rifugiati (art. 25 d.lgs. 251/2007). Se l'ordinamento avesse previsto, in via generale e illimitata, che tutti i cittadini stranieri potessero accedere ai pubblici impieghi non comportanti l'esercizio di pubblici poteri, non vi sarebbe stata alcuna ragione di stabilire, nella seconda disposizione citata che " consentito al titolare dello status di rigiato l'accesso al pubblico impiego, con le modalit e le limitazioni previste per i cittadini del- l'Unione europea". Da ultimo, non pertinente il riferimento all'art. 14 della CEDU che vieta ogni forma di discriminazione riguardante il godimento dei diritti e delle libert fondamentali riconosciute dalla stessa convenzione, tra le quali non v' l'accesso a pubblici impieghi e senza limiti a cittadini stranieri. 5.4 Alla luce delle considerazioni tutte sin qui esposte, deve concludersi nel senso che la ricorrente non ha subito, una discriminazione illegittima ad opera del Miur, ma semplicemente l'applicazione delle disposizioni regolamentari applicative dell'art. 70, comma 13, del T.U.P.I. che, richiamando il d.p.r. 487/1994, riservava l'accesso al pubblico impiego ai cittadini italiani e a quelli di Stati dell'U.E., eccettuati i casi previsti dal D.P.C.M. 7.2.1994. Non vi sono ragioni per ritenere l'assetto normativo sin qui descritto seriamente sospetto di illegittimit costituzionale: il fatto che la legge riconosca l'accesso al pubblico impiego solo a categorie di cittadini stranieri che hanno dimostrato di avere instaurato un legame stabile e non occasionale con il territorio dello Stato o tutelate in virt del peculiare statuto internazionale (si pensi ai rifugiati) non sembra confliggere con l'art. 3 Cost. perch la diversit di trattamento non appare irragionevole, anche in considerazioni delle peculiarit tipiche dello statuto del pubblico impiego, come disegnato dallo stesso Costituente agli artt. 51 e 98 Cost. Tale convincimento non toccato dall'ordinanza n. 139/2011 della Corte Costituzionale menzionata dalla difesa della ricorrente che, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimit costituzionale dell'art. 38 TUPI sollevata dal Tribunale di Rimini, nella parte in cui detta norma preclude l'accesso al pubblico impiego dei cittadini di paesi esterni all'U.E., si limitata a rilevare che l'ordinanza di rimessione era palesemente contraddittoria in quanto, pur avendo sostenuto una lettura delle norme che avrebbe superato il dubbio di costituzionalit ipotizzato, ha posto la questione sol perch l'amministrazione resistente in quel giudizio sosteneva una tesi differente senza con ci patrocinare alcuna particolare ipotesi ermeneutica. 6. Le domande articolate non possono trovare accoglimento neppure in base al preteso affidamento che la ricorrente sostiene avere maturato in ragione del comportamento tenuto dal- l'amministrazione. dirimente osservare al riguardo che, anche ammesso che dal compimento di atti gestori contra legem possa derivare un affidamento, la lesione dello stesso pu determinare, al pi, il risarcimento dei danni sofferti per avere ragionevolmente confidato nell'acquisizione di un certo diritto, nella misura dell'interesse negativo (ai sensi dell'art. 1337 c.c.) consistente nell'attribuzione di una somma equivalente a ci che si perduto per avere investito in una prospettiva poi non realizzatasi e non certamente l'attribuzione di un bene della vita che l'ordinamento non riconosce (cfr Cass., 21700/13; 14333/2003). 7. Il rigetto della domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non, "patiti e patiendi" dalla ricorrente discende automaticamente da quanto statuito nei punti precedenti e, in ogni caso, consegue dal fatto che la pretesa non sorretta, prima che dalla prova, neppure dall'individuazione delle voci di danno che dovrebbero essere ristorate. Il fatto che l'art. 28 del d.lgs. 150/11 consenta espressamente che, con l'ordinanza definitoria del giudizio, il Giudice possa statuire sul risarcimento del danno, anche non patrimoniale (comma 5) non dispensa la ricorrente dagli oneri di allegazione e prova di avere sofferto il pregiudizio di cui chiede il ristoro. 8. Visto l'art. 92 c.p.c., la complessit della materia del contendere, esaltata dalla sommariet del rito con cui la stessa viene trattata e l'esistenza di tensioni giurisprudenziali costituiscono ragioni sufficientemente gravi ed eccezionali per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite tra tutte le parti in causa. P.Q.M. Visti gli artt. 44 del d.lgs. 286/1998, 28 del d.lgs. 150/2011 e 702 ter c.p.c.: - dichiara inammissibile l'intervento di FLC-CGIL - Camera del lavoro metropolitana di Genova; - dichiara inammissibile il ricorso nei confronti dell'Istituto Professionale per i servizi alberghieri e ristorazione IPSSARCT F. Cavallotti" di Citt di Castello; -respinge nel resto il ricorso; -compensa integralmente le spese di lite tra tutte le parti in causa. Il Giudice Marco Medoro Si comunichi. Perugia, 27/03/2014 Le astreintes nel processo civile e amministrativo CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, SENTENZA 25 GIUGNO 2014 N. 15 (*) Francesco Maria Ciaralli** SOMMARIO: Premessa - 1. Le origini e la natura dellistituto. Profili comparatistici - 2. Le astreintes nellordinamento italiano. Lart. 614 bis c.p.c. - 3. Le misure coercitive indirette in diritto amministrativo. Lart. 114 c.p.a. a confronto con lastreinte civilistico - 4. Il perimetro applicativo dellastreinte secondo il Consiglio di Stato - 5. Rilievi conclusivi. Premessa Lesigenza di evitare che una decisione giudiziale definitiva e vincolante resti inoperante a danno di una parte (1) allorigine della ricerca di strumenti compulsori suscettibili di indurre il soccombente ad eseguire la sentenza. Lesecuzione diretta, infatti, che consente di realizzare in via immediata (*) Sentenza gi segnalata dallavv. Stato DAvanzo con le-mail che integralmente si riproduce: Da: Gabriella D'Avanzo [mailto:gabriella.davanzo@avvocaturastato.it] Inviato: gio 10/07/2014 16.51 A: Avvocati_tutti Oggetto: Astreinte art. 114, comma 4 lett. e) c.p.a. Con la recente sentenza n. 15 del 2014 il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, ha affermato il seguente principio di diritto secondo cui Nellambito del giudizio di ottemperanza la comminatoria delle penalit di mora di cui allart. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo, ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria. La stessa pronuncia, tuttavia, si pronuncia in senso favorevole sul secondo ordine di motivi da noi proposto (e cio che doveva ritenersi del tutto illegittima la liquidazione automatica della predetta misura, visto che la disposizione in esame consente il riconoscimento previa verifica dei presupposti cui il legislatore ha inteso subordinare la condanna) affermando che: lart. 114, comma 4 lett. e c.p.a., proprio in considerazione della specialit del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficolt nel- ladempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici - ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquit, previsto nel codice di rito civile (art. 614 bi c.p.a.) quello del tutto autonomo della sussistenza di altre ragioni ostative. Ferma restando lassenza di preclusioni astratte sul piano dellammissibilit, spetter allora al giudice dellottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale, sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dellammontare della sanzione, verificare se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne limporto . , pertanto, opportuno sollecitare lAmministrazione intimata a comunicarci con assoluta tempestivit quali adempimenti siano stati posti in essere per dare corso alle richieste dei ricorrenti, o le ragioni della mancata esecuzione del giudicato, posto che lomessa produzione, da parte del debitore pubblico, di osservazioni sul punto indurr, in sede di verifica concreta, il giudice dellottemperanza a ritenere la sussistenza dei presupposti stabiliti dallart. 114 cit. per lapplicazione della sanzione di cui trattasi. Un caro saluti a tutti G (**) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lAvvocatura dello Stato. il diritto oggetto del procedimento, senza necessit di cooperazione alcuna da parte del debitore, non costituisce strumento efficace nelle ipotesi in cui la partecipazione dellobbligato sia necessaria per conseguire il soddisfacimento del creditore. I mezzi esecutivi indiretti mirano, viceversa, ad indurre lobbligato ad osservare quella condotta collaborativa che indefettibile ai fini della realizzazione del diritto creditorio, provocando ladempimento mediante minaccia allobbligato di una sanzione che gli arrechi uno svantaggio pi grave di quello che gli arreca ladempimento (2). Il principale mezzo di coercizione indiretta, recentemente introdotto nellordinamento processuale italiano ma gi da tempo noto in altre esperienze europee, si rinviene nel c.d. astreinte, definito come strumento a carattere esclusivamente patrimoniale che ha lo scopo di incentivare lesecuzione di una sentenza attraverso la minaccia di condanna al pagamento di una somma di denaro, che diviene concreta nel caso di mancata o tardiva esecuzione del provvedimento del giudice (3). Tale strumento di coazione indiretta attualmente operante, sia pur con talune rilevanti differenze, sia nel processo civile che in quello amministrativo (4). Proprio lo iato venutosi a creare nella formulazione del medesimo istituto da parte dei due codici di rito ha indotto il Consiglio di Stato a chiarire la ratio, i limiti e le peculiarit dellastreinte nel processo amministrativo, pronunciando in Adunanza Plenaria la sentenza numero 15 del 25 giugno 2014, qui in commento. (1) Cos ha statuito la Corte Europea dei Diritti dellUomo in due arresti, sent. Hornsby c. Grecia, 13 marzo 1997, nonch Ventorio c. Italia, 17 maggio 2011, entrambe disponibili sul sito istituzionale della Corte. La relazione intercorrente tra lirrogazione delle astreintes e le garanzie poste dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali attentamente presa in considerazione dalla dottrina francese. In particolare, parte della dottrina sostiene lestensione delle garanzie previste in materia penale anche ai procedimenti in esito ai quali vengono applicate astreintes, sulla base del carattere sostanzialmente afflittivo delle stesse (DECOCQ, Lapplication de la Convention europenne aux procdures communautaires de concurrence pouvant aboutir des amendes ou des astreintes, in Mlanges en hommage Louis Edmond Pettiti, Bruxelles, 1998, pp. 298 ss.). (2) PROTO PISANI, Appunti sullesecuzione forzata, in Foro italiano, 1994, V, p. 306. (3) CAPPONI, Astreintes nel processo civile italiano?, in Giustizia civile, 1999, n. 4, p. 157. (4) Lart. 614 bis, rubricato Attuazione degli obblighi di fare infungibili o di non fare, stato inserito nel codice di procedura civile dallart. 49, comma primo, l. 18 giugno 2009, n. 69, con efficacia a decorrere dal 4 luglio 2009. Lart. 114, comma quarto, lett. e), codice del processo amministrativo, recato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, prevede in sede di ottemperanza lirrogabilit, su richiesta di parte, della condanna a versare una determinata somma di denaro per ogni violazione, inosservanza o ritardo del soccombente nellesecuzione della sentenza. Le analogie e differenze tra lapplicazione delle astreintes nel processo civile e amministrativo sono esaminate funditus infra. 1. Le origini e la natura dellistituto. Profili comparatistici. Per quanto la funzione essenziale perseguita dallastreinte sia la medesima in tutti gli ordinamenti nei quali in vigore, listituto si atteggia diversamente per alcuni tratti della disciplina che ne determinano portata e incisivit. Le prime applicazioni dei mezzi di esecuzione indiretta si rinvengono nel diritto romano classico, giusta il quale, nei casi di condanna a rilasciare un fondo o a realizzare un opus, si stabiliva che il soccombente avrebbe dovuto in difetto pagare una somma pari ad una multa del valore del fondo o del- lopera da realizzare (5). Giova porre in rilievo che secondo il diritto romano i mezzi di coazione indiretta erano irrogabili per assicurare lesecuzione di qualunque sentenza di condanna, a prescindere dalla fungibilit delloggetto, e si configuravano come misure alternative allesecuzione. Viceversa, in epoca medievale lapplicazione degli strumenti di induzione alladempimento era circoscritta ai casi in cui linteresse del creditore non potesse essere soddisfatto attraverso lesperimento dellesecuzione diretta, abbisognando necessariamente della partecipazione del debitore. In Francia, madrepatria dellastreinte e precursore - ancora una volta delle novelle codicistiche italiane, tale mezzo di coazione stato per la prima volta formalizzato da una sentenza del Tribunale di Cray del 1811, mediante la quale il soccombente fu condannato a compiere una pubblica ritrattazione sotto pena di dover pagare tre franchi per ogni giorno di ritardo nelladempimento (6); conseguentemente, lastreinte fu strutturato come una pena privata, non avente il fine di riparare un pregiudizio bens quello di stimolare il soccombente a conformarsi tempestivamente allo iussum del giudice (7). Lart. 1036 dellabrogato codice di procedura civile stabiliva che: Les tribunaux, suivant a gravit des circostances, pourront, dans les causes dont ils seront saisis, pronocer, meme doffice, des injonctions, le quali si qualificavano come vera e propria sanzione accessoria avente il fine di colmare il vuoto tra i tradizionali mezzi di esecuzione forzata e la rassegnazione allinadempimento dellordine giudiziale (8). La legge 5 luglio 1972, n. 626, ha qualificato lastreinte come sanzione (5) CRIVELLI, Penalit di mora, astreintes, figura consimili, in I danni risarcibili nella responsabilit civile, Il danno in generale, Torino, 2005, p. 462. (6) TRAPUZZANO, Le misure coercivite indirette, Padova, 2011, p. 27 s. (7) Lart. 6, legge 5 luglio 1972, qualifica lastreinte come indpendente des dommages-intrets e dunque se ne palesa la natura di sanzione civile indiretta, mirante a punire linosservanza di un ordine e non a riparare un pregiudizio patrimoniale. Occorre rilevare che nellordinamento francese lastreinte, antecedentemente alla menzionata legge del 1972, si configurava come un istituto di diritto pretorio, nato dallesigenza di superare il principio della piena alternativit tra risarcimento del danno ed esecuzione in forma specifica sancito dal Code Napolon, in ossequio ai canoni liberal-individualistici di ripulsa da ogni mezzo coercitivo che colpisse la sfera giuridica dei privati. oggetto di condanna accessoria il cui adempimento non estingue lobbligazione principale. Conseguentemente, il soccombente pu essere condannato a corrispondere un determinato importo al creditore vittorioso a prescindere dallallegazione di un danno ed in aggiunta al risarcimento del medesimo, stante la cumulabilit della misura reintegrativa con quella sanzionatoria. Inoltre, per quanto concerne la giustizia amministrativa, la legge 8 febbraio 1995 ha conferito sia ai Tribunaux Administratifs sia alle Cours Administratives dAppel il potere di irrogare a carico dellAmministrazione, gi in sede di pronuncia sul merito, lastreinte in funzione dissuasiva per ogni successivo inadempimento alla sentenza. Occorre rilevare che nellordinamento francese, al pari di quello romano, lastreinte comminabile per indurre il soccombente ad eseguire ogni sentenza di condanna, non rilevando che la condotta ordinata sia infungibile, come statuito peraltro dalla giurisprudenza di legittimit in numerosi arresti (9). Da ci discende che lo strumento in esame costruito, nellordinamento francese, come mezzo sanzionatorio che giustifica un trasferimento di ricchezza dal soccombente inadempiente al creditore vittorioso e che, in ossequio alla sua natura meramente compulsorio-retributiva, mira a punire linosservanza di ogni tipo di sentenza di condanna, indipendentemente dalla fungibilit della prestazione ordinata dal giudice. Ulteriore conseguenza la possibilit di concorso tra due distinte procedure esecutive, una per lastreinte e laltra per lesecuzione forzata della prestazione originaria (10). Emerge qui una rilevante differenza tra la struttura dellastreinte vigente nel diritto processuale francese ed i connotati essenziali degli analoghi strumenti diffusi negli altri ordinamenti europei. La natura compulsoria dellistituto, infatti, mirante a punire una disobbedienza allordine del giudice prescindendo dallallegazione e dalla dimostrazione di un qualunque pregiudizio subto dal creditore, ha indotto i legislatori tedesco ed inglese ad individuare nello Stato il destinatario dellimporto che il soccombente inadempiente condannato a corrispondere (11). (8) PERROT, Leffettivit dei provvedimenti giudiziari nel diritto civile, commerciale e del lavoro in Francia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1985, p. 1588, riportato in CRIVELLI, op. cit., p. 463. (9) Si veda la decisione del 20 dicembre 1993, in Bullettin Civil de la Cour de Cassation, 1993, I, p. 380. (10) TRAPUZZANO, op. cit., p. 29. (11) Sia la misura coercitiva tedesca (Zwangsgeld) sia quella inglese (Contempt of the Court) sono suscettibili di conversione in arresto qualora il patrimonio dellobbligato non sia capiente, in applicazione di istituti rispettivamente denominati Zwangsgeld/Ordnungshaft ed arrest for the Contempt of the Court. Per un esame approfondito delle applicazioni dellastreinte negli ordinamenti di civil law e common law, si veda PUCCIARIELLO - FANELLI, Lesperienza straniera dellesecuzione forzata indiretta, in CAPPONI, Lesecuzione processuale indiretta, Milano, 2011. Alla stregua della legislazione inglese e tedesca, dunque, non pu tradursi in arricchimento del creditore vittorioso la sanzione irrogata per mera inosservanza di un comando dellautorit giudiziaria, perch altrimenti questultimo conseguirebbe un vantaggio patrimoniale surrogandosi, nei fatti, allo Stato il cui comando rimasto ineseguito (12). Non si pu omettere di rilevare, tuttavia, il deficit di effettivit in cui listituto dellastreinte cos concepito potrebbe incorrere qualora debitrice soccombente fosse una Pubblica Amministrazione, poich in tal caso si verificherebbe il fenomeno per cui lo Stato persona sarebbe condannato a corrispondere una sanzione pecuniaria allo Stato comunit, sub specie, tuttavia, proprio di unarticolazione dello Stato persona. Unulteriore articolazione si sviluppa poi tra gli ordinamenti inglese e tedesco, poich in questultimo lastreinte pu assistere esclusivamente gli obblighi di fare infungibile o di non fare, che non possono essere adempiuti senza la collaborazione del debitore e abbisognano quindi di uno strumento coercitivo - beninteso a carattere patrimoniale - di persuasione, non pleonastico con riferimento invece agli obblighi a contenuto fungibile, per la realizzazione dei quali lesecuzione forzata costituisce uno strumento sufficiente. Proprio le caratteristiche assunte dallistituto nei vari ordinamenti in cui operante consentono di apprezzarne meglio la natura, unica nonostante le specificit nazionali. Sul piano funzionale, la tutela coercitiva, mirante a prevenire la verificazione di un pregiudizio, distinta dalla tutela risarcitoria, la quale ha invece lo scopo di neutralizzare successivamente un pregiudizio gi verificatosi, attraverso la reintegrazione in forma specifica del bene danneggiato o, nei casi in cui ci non sia possibile, attraverso lattribuzione di una somma di denaro (13). Sul piano dogmatico, la dottrina, pressoch unanime (14), qualifica lastreinte come strumento di esecuzione indiretta che tende ad influire sulla volont dellobbligato perch si determini a prestare ci che deve (15), cui si aggiunge la finalit di retribuire la disobbedienza ad un ordine del giudice. Se questo il tratto comune a tutte le applicazioni dellistituto, le legislazioni nazionali pongono diverso accento sulla finalit compulsoria ovvero retributiva dellastreinte. (12) Soprattutto in Germania, lastreinte ha una marcata connotazione pubblicistica, la cui funzione prevalente identificata dallesigenza di rafforzamento del prestigio e dellautorit delle decisioni giudiziarie (TRAPUZZANO, op. cit., p. 32). (13) TRAPUZZANO, op. cit., p. 96. (14) Autorevole, sia pur minoritaria, dottrina contesta che gli strumenti di coercizione indiretta rientrino nel novero dei mezzi esecutivi, in quanto miranti ad ottenere losservanza di un precetto giuridico ad opera del debitore soccombente, sia pure attraverso il meccanismo della coazione psicologica, mentre il quid proprium dei procedimenti esecutivi risiederebbe nel prescindere totalmente dalla volont e dallattivit del soggetto obbligato (MONTELEONE, Recenti sviluppi nella dottrina del- lesecuzione forzata, in Riv. dir. proc., 1982, p. 296). Ove maggiore rilevanza viene annessa allesigenza di punire la disobbedienza ad una sentenza (Germania e Regno Unito), lastreinte configurato come sanzione pecuniaria da corrispondere allo Stato, quale ente esponenziale anche del potere (giudiziario) la cui decisione stata colpevolmente disattesa. Ove, invece, fa premio lesigenza di assicurare la realizzazione dellinteresse creditorio (Francia), limporto direttamente devoluto alla parte che ha prevalso in giudizio, non a titolo di risarcimento del danno bens quale strumento per dissuadere il debitore soccombente dal procrastinare linadempimento. Ulteriore differenza si riscontra per quanto concerne le condotte coercibili, sia pure indirettamente, mediante astreintes. In taluni ordinamenti (Germania, Romania, Grecia, Slovenia e, parzialmente, Italia) lo strumento concepito per assistere le sole sentenze di condanna il cui adempimento non pu essere utilmente assicurato tramite esecuzione forzata, quali quelle che ordinano una condotta di fare infungibile o non fare, mentre in altri ordinamenti (Francia, Regno Unito e, parzialmente, Italia) lastreinte configurato come un rimedio di carattere generale, impiegabile a prescindere dalla qualificazione della condotta ordinata con la condanna. 2. Le astreintes nellordinamento italiano. Lart. 614 bis c.p.c. Il processo che ha condotto allintroduzione delle misure coercitive indirette nellordinamento italiano stato lungo ed articolato, poich molto hanno pesato le diffidenze liberal-individualistiche verso strumenti che si riteneva integrassero una forma di eccessiva ingerenza dello Stato nelle libere scelte degli individui anche in merito allosservanza, in forma specifica o meno, di un comando giudiziale (16). Tuttavia, e sia pur limitatamente ai soli obblighi di facere e non facere, gi nel 1923 lart. 667 del Progetto Carnelutti affermava che Se lobbligo consiste nel fare o non fare, il creditore pu chiedere che il debitore sia condannato a pagargli una pena pecuniaria per ogni giorno di ritardo nelladempimento a partire dal giorno stabilito dal giudice. Nei medesimi termini, inoltre, si esprimeva il disegno di legge Reale risalente al 1975. La dottrina italiana, nonostante le resistenze riscontrate in sede legislativa, aveva in ogni caso raggiunto un consenso nellescludere che la tutela tramite astreintes fosse ammissibile nei casi in cui fosse viceversa esperibile (15) CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1953, p. 252 (16) In tali termini si esprime il Consiglio di Stato nella sentenza in commento. La preoccupazione per una eccessiva ingerenza dei pubblici poteri sentita anche dalla pi recente dottrina, secondo cui luso delle misure coercitive deve essere pur sempre cauto e limitato, appunto per non ledere in modo non tollerabile le sfere di libert individuale (TRAPUZZANO, op. cit., p. 95). lesecuzione diretta (17). Tale convinzione ha goduto di una duratura influenza, sino a costituire una delle ragioni che hanno indotto il Consiglio di Stato a pronunciare, in Adunanza Plenaria, la sentenza in commento. Misure coercitive indirette di carattere pecuniario sono state introdotte, prima della novella del 2009 al codice di procedura civile, solo con riguardo ad ipotesi previste da leggi speciali ed insuscettibili di applicazione analogica. Tra le principali applicazioni dellistituto da menzionare lart. 18, ult. comma, della l. 20 maggio 1970, n. 300, cosiddetto Statuto dei lavoratori, in virt del quale, nei casi di licenziamento illegittimo di dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza che dispone la reintegra tenuto, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari alla retribuzione dovuta al lavoratore (18). Ulteriori sanzioni pecuniarie sono previste dagli artt. 124, comma 2, e 131, comma 2 del codice della propriet industriale, nonch dallart. 156 della legge sul diritto dautore, che dispongono lirrogazione della misura nei casi in cui lautore della violazione non ottemperi alla pronuncia inibitoria. Tali norme perseguono una funzione preventiva, in quanto mirano a dissuadere il soccombente dal reiterare lillecito. Occorre tuttavia segnalare che, nei casi da ultimo citati, autorevole dottrina ha espresso riserve sullautonomia delle misure in parola dalla riparazione, sia pure indiretta, del pregiudizio insito nella prosecuzione di una condotta attuata in violazione dellaltrui diritto dautore o di privativa industriale (19). Per quanto concerne, inoltre, la materia dei ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali, nei casi in cui sia accertata liniquit dellaccordo sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardo, il giudice pu disporre, anche su richiesta dellassociazione esponenziale procedente, il pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nelladempimento da parte del soccombente (art. 8, comma 3, d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231). Tra le misure coercitive previste da leggi speciali, particolare rilevanza va annessa al cosiddetto astreinte consumeristico, previsto dallart. 140, comma sette, del codice del consumo. In virt di tale disposizione il giudice, con il provvedimento che definisce il giudizio, fissa un termine per ladempimento degli obblighi stabiliti e, anche su domanda della parte attrice, dispone il pagamento di una somma di denaro per ogni inadempimento ovvero giorno di ritardo rapportati alla gravit del fatto (20). Occorre evidenziare che in materia di protezione dei consumatori, cos (17) La dottrina civilistica maggioritaria rileva infatti che con lo strumento dellastreinte si vuole conferire una tutela effettiva per gli obblighi non suscettibili della tutela surrogatoria offerta dellesecuzione forzata (CRIVELLI, op. cit., p. 464). (18) rilevante evidenziare che secondo lo Statuto dei lavoratori, dunque, destinatario del- lastreinte non il lavoratore leso, in armonia con la natura di sanzione civile indiretta dellistituto. come dei lavoratori illegittimamente licenziati, limporto dovuto dal soccombente inadempiente non destinato alla parte vittoriosa in giudizio, bens ad un fondo pubblico, in armonia con la natura retributiva e non riparatoria del- lastreinte. Dispone, infatti, lart. 140, comma 7, ult. periodo, codice del consumo, che le somme determinate dal giudice devono essere versate allentrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con decreto del Ministro delleconomia e delle finanze al fondo da istituire nellambito di apposita unit previsionale di base dello stato di previsione del Ministro delle attivit prodottive [attualmente, Ministro dello sviluppo economico, n.d.r.], per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori. Unulteriore ipotesi di astreinte, inserita nel codice di rito dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, si rinviene nellart. 709 ter, secondo comma, n. 4), c.p.c., giusta il quale nellambito di controversie insorte tra genitori in ordine allesercizio della potest genitoriale o delle modalit di affidamento, il giudice pu condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. gi possibile, dunque, trarre qualche conclusione dalla disamina delle fattispecie di astreintes previste nellordinamento italiano prima del 2009. Il legislatore, in tutti gli interventi presi in considerazione, ha circoscritto lapplicabilit delle misure coercitive indirette ai soli casi in cui lesecuzione forzata, attesa linfungibilit dellobbligo rimasto inadempiuto, non utilmente (19) Parte della dottrina ha, conseguentemente, configurato le misure in esame come preordinate al risarcimento di danni futuri, poich, nel caso in cui vengano violate disposizioni inibitorie in materia di marchi, brevetti e diritti dautore, la riduzione in pristino estremamente difficoltosa e in certi casi sostanzialmente impossibile, e rispetto alla violazione la tutela risarcitoria si mostra davvero carente (CRIVELLI, op. cit., p. 466). Autorevole dottrina ha osservato, invece, che pu configurarsi un risarcimento solo qualora il danno si sia gi effettivamente verificato ovvero concorrano tutte le condizioni per il suo prodursi in futuro, non potendosi sostenere che, in materia di obblighi di non fare, il semplice ritardo determini ipso facto linsorgere di un pregiudizio che lattore non deve allegare n provare (FRIGNANI, Le penalit di mora e le astreintes nei diritto che si ispirano al modello francese, in Riv. Dir. Civ. 1981, p. 524). La giurisprudenza di merito ha valorizzato la natura sanzionatoria delle misure coercitive in oggetto, statuendo la qualificazione in termini risarcitori non pare corretta dato che, prescindendo dallanomalia di una condanna relativa a fatti futuri ed eventuali e di una liquidazione anticipata del danno che pare corrispondere pi alla logica dellautonomia privata che alla ratio ed ai limiti dellintervento del legislatore, sembra invero pi esatto ritenere che la penale in questione debba essere intesa quale forma di esecuzione e di rafforzamento del provvedimento di inibitoria e sia quindi del tutto svincolata dalla pronuncia di condanna al risarcimento del danno (Trib. Milano 18 maggio 1978, in Giurisprudenza annotata di diritto industriale, 1978, p. 1052, tratta da CRIVELLI, op. cit., p. 467. opportuno rilevare che, pi recentemente, anche la giurisprudenza di legittimit pervenuta alle stesse conclusioni dei giudici di merito; si veda, in proposito, la Cass. n. 613/2003). (20) Per quanto concerne, inoltre, linadempimento degli obblighi previsti dal verbale di conciliazione, debitamente sottoscritto e depositato per lomologazione nella cancelleria del Tribunale del luogo nel quale si svolto il procedimento di conciliazione, le parti possono adire il Tribunale medesimo in camera di consiglio affinch, accertato linadempimento, disponga lastreinte (art. 140, comma 7, secondo periodo, codice del consumo). esperibile, in armonia con la tradizionale dicotomia tra mezzi di surrogazione e mezzi di coazione (21). La limitazione dellastreinte ai soli obblighi infungibili ha indotto la giurisprudenza di legittimit a precisare i requisiti il cui concorso identifica una res fungibile, qualificandosi come tali solo le cose individualizzate e diversificate, nella valutazione sociale, dai loro elementi strutturali e dalla loro funzione, s da essere esclusa ogni sostituibilit e surrogabilit (22). Inoltre, in conformit alla natura sanzionatoria dellastreinte, il legislatore non ha sovente ritenuto che il mero inadempimento dellobbligato, disgiunto da qualsiasi dimostrazione di un danno sofferto dallavente diritto, possa costituire titolo per un arricchimento della parte vittoriosa in giudizio, destinando di conseguenza gli importi ad un organismo pubblico. Tale situazione stata parzialmente innovata dallintroduzione nel codice di procedura civile, ad opera della legge 18 giugno 2009, n. 69, di una figura generale di astreinte preordinata ad assicurare lattuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare (23). Ai sensi dellart. 614 bis, dunque, il giudice pu, con il provvedimento di condanna, determinare su richiesta di parte la somma di denaro dovuta dallobbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nellesecuzione del provvedimento. Requisito negativo della fattispecie costituito dalla manifesta iniquit dellirrogazione dellastreinte, il cui ammontare determinato tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile (24). La caratteristica saliente dellistituto si rinviene nel potere attribuito al giudice di comminare lastreinte gi nel giudizio di cognizione, con il prov (21) CHIOVENDA, ibidem. (22) Cass. 24 novembre 1977, n. 5113, in GC, 1978, I, p. 471, citata da TRAPUZZANO, op. cit., p. 149 s. La Suprema Corte ha delineato, altres, la nozione di res infungibile per volont delle parti, statuendo che le parti contraenti possono considerare e valutare come infungibile una cosa fungibile per sua natura, attribuendo rilevanza e preminenza a determinate sue caratteristiche individualizzanti che, nella valutazione sociale, non costituiscono elementi strutturali essenziali, mentre non possono trasformare in fungibile una cosa infungibile, come i beni immobili, rispetto ai quali la localizzazione e la confinazione costituiscono elementi strutturali essenziali, con caratteri individualizzanti e diversificanti. (23) rilevante notare che la rubrica dellart. 614 bis c.p.c., introdotto con la novella del 2009, fa riferimento agli obblighi di fare infungibile e di non fare, senza specificare se anche con riferimento alle condotte di disfare sia necessario il requisito di infungibilit dellobbligo ai fini dellapplicazione della nuova disciplina (CAPPONI, op. cit., p. 5). Un indirizzo minoritario in dottrina ha argomentato, proprio a partire dalla ellittica formulazione della rubrica, lapplicabilit dellastreinte civilistico a tutti gli obblighi di fare e disfare, a prescindere dal- linfungibilit, stante il noto brocardo secondo cui rubrica non est lex (SALETTI, Commentario alla riforma del codice di procedura civile (legge 18 giugno 2009, n. 69), Torino, 2009, p. 192 s.). (24) A ci aggiungasi che la nuova e generale fattispecie di astreinte non si applica alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui allart. 409, ai sensi dellart. 614 bis, comma 1, ult. periodo, c.p.c. vedimento che definisce il merito, anteriormente, quindi, alla verificazione dellinadempimento da parte del soccombente alla sentenza di condanna (25). Lastreinte ex art. 614 bis c.p.c. si configura, quindi, come sanzione ad esecuzione differita, in quanto la sentenza che la commina si atteggia a condanna condizionata (o in futuro) al fatto eventuale dellinadempimento del precetto giudiziario nel termine alluopo contestualmente fissato (26). inoltre il caso di rilevare che, per espressa disposizione del codice di rito, il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. 3. Le misure coercitive indirette in diritto amministrativo. Lart. 114 c.p.a. a confronto con lastreinte civilistico. Abbiamo gi avuto modo di osservare come in Francia, ordinamento dorigine delle misure coercitive indirette, le astreintes siano irrogabili, come strumento di pressione sullAmministrazione inadempiente, con la sentenza che definisce il merito sia dai Tribunali amministrativi che dalle Corti amministrative dappello (27). Inoltre, nei casi in cui lesecuzione della sentenza postuli ladozione di un provvedimento avente contenuto vincolato, lAutorit giudiziaria amministrativa dOltralpe ha il potere di ordinare allAmministrazione soccombente ladozione di tale atto nonch di fissare un termine entro il quale adempiere (28). Il d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, ha introdotto anche nel processo amministrativo italiano listituto dellastreinte, sia pure con talune rilevanti differenze rispetto al modello francese. Lart. 114, comma 4, lett. e), attribuisce al giudice amministrativo il potere di fissare, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nellesecuzione del giudicato. A differenza dellordinamento francese, in Italia lastreinte pu essere irrogato solo in sede di ottemperanza e non anche di me (25) La giurisprudenza maggioritaria ritiene che le misure coercitive indirette siano applicabili anche ai provvedimenti cautelari, atteso il riferimento dellart. 614 bis ad ogni decisione avente contenuto condannatorio (Trib. Verona, 9 marzo 2010, in G. mer. 10, 7-8, p. 1857; nonch Trib. Bari 10 maggio 2011, in DeJure, riportati in CARPI - TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2013, p. 2853). (26) In tali termini si esprime, in sede ricognitiva delle disposizioni civilistiche in materia di astreinte, la sentenza qui annotata. (27) Il decreto 30 luglio 1963 in origine riservava al solo Conseil dEtat il potere di comminare misure coercitive patrimoniali a carico della Pubblica Amministrazione inadempiente. (28) Lazione di esatto adempimento, in esito alla quale il giudice ha il potere di ordinare allAmministrazione di adottare il provvedimento satisfattorio, prevista nel nostro ordinamento dallart. 31, comma 3, c.p.a. in materia di silenzio; dallart. 124 c.p.a. in materia di contratti pubblici; nonch dallart. 4, d.lgs. 198/2009, nellambito dellazione collettiva di classe (cfr. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2014, p. 19 s.). rito, da ci discendendo che nel processo amministrativo italiano la misura coercitiva non si configura come sanzione ad esecuzione differita, destinata a divenire attuale se ed in quanto lAmministrazione non esegua lordine contenuto nella sentenza di merito, ma presuppone che linadempimento del debitore sia gi stato accertato dal giudice dellottemperanza (29). Lastreinte amministrativistico contempla, inoltre, due requisiti negativi, cio che il provvedimento di condanna alla misura coercitiva non sia manifestamente iniquo e che non ricorrano ragioni ostative, questultimo requisito non previsto dalla corrispondente fattispecie civilistica. Lart. 114 c.p.a. tace, a differenza dellart. 614 bis c.p.c., sia sui parametri in base ai quali calcolare il quantum della sanzione sia sui genera di condotte che possono essere assisti dallo strumento in esame. Dottrina e giurisprudenza hanno avuto, dunque, il compito di chiarire il perimetro applicativo dellart. 114 c.p.a., profilandosi due opzioni ermeneutiche che tra loro si distinguono in base alla ricostruzione della ratio nonch in base allautonomia che viene annessa allistituto di diritto amministrativo rispetto alla generale previsione di astreinte prevista nel codice di procedura civile. Secondo un pi risalente orientamento, tutte le volte in cui un obbligo sia eseguibile in una delle forme tipiche di esecuzione non ammissibile la tutela indiretta (30), in virt della considerazione secondo cui comminare una misura coercitiva nelle ipotesi in cui siano utilmente esperibili rimedi surrogatori vulnererebbe la ratio stessa dellistituto, preordinato ad assicurare uno strumento di pressione nei casi in cui, attesa linfungibilit della condotta, la soddisfazione del creditore non pu prescindere dalla collaborazione dellobbligato soccombente (31). Tale orientamento dottrinario, di conseguenza, recisamente nega la possibilit di ricorrere allastreinte per assicurare lesecuzione di una condotta fungibile, ed in particolare di dare pecuniario. Inoltre, a prescindere da ogni discorso sulla struttura ontologica dellistituto, la cumulabilit della somma ricevuta a titolo di astreinte con gli interessi legali sarebbe suscettibile di condurre ad una duplicazione ingiustificata delle misure volte a ridurre lentit (29) Si veda in proposito CLARIZIA, Resoconto del seminario sui Libri IV e V (ottemperanza, riti speciali e norme finali) del progetto di Codice del processo amministrativo, svoltosi il 7 maggio 2010 presso lIstituto per le ricerche e attivit educative - Napoli; in giustamm.it. La giurisprudenza ha altres ritenuto che possa farsi luogo allastreinte solo qualora la sentenza le cui prescrizioni si assumono violate sia passata in giudicato (Tar Basilicata, 21 luglio 2011, n. 416, citato in FERRARI, Il nuovo codice del processo amministrativo, Roma, 2012, p. 587). (30) CRIVELLI, op. cit., p. 466; in termini sostanzialmente analoghi MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2011, p. 177 ss. Sorprendentemente, dopo aver rilevato che la norma di cui allart. 114 in commento ha aspetti affini allistituto del processo civile, non si esprime sul punto VITOCOLONNA, in GAROFOLI - FERRARI, Codice del processo amministrativo, Roma, 2010, p. 1571 s. (31) CHIOVENDA, ibidem, costruisce in modo rigidamente dicotomico le misure di surrogazione e quelle compulsorie, esperibili qualora linfungibilit dellobbligo non renda possibile lesecuzione diretta. del pregiudizio (32), finanche con la conseguenza paradossale che tale cumulo possa raggiungere un ammontare maggiore della sorte per cui stata proposta lazione, determinando un ingiustificato arricchimento per il creditore. Un altro indirizzo dottrinario, accolto dalla giurisprudenza maggioritaria (33), sostiene invece che, in termini di ratio, nulla osta allapplicazione delle misure coercitive anche al di fuori del tradizionale perimetro degli obblighi infungibili. In particolare, finalit dellastreinte sarebbe quella di sanzionare la mancata conformazione del soccombente allordine del giudice, non rilevando in chiave strutturale il genus della condotta rimasta inadempiuta, analogamente a quanto, del resto, previsto nellordinamento francese (34). Deporrebbe, inoltre, a favore dellinterpretazione estensiva largomento a contrario, atteso che il legislatore quando ha inteso circoscrivere lastreinte alle sole condotte infungibili lo ha statuito espressamente (art. 614 bis c.p.c. nonch ipotesi previste dalle leggi speciali), mentre lart. 114 c.p.a. nulla dispone al riguardo. 4. Il perimetro applicativo dellastreinte secondo il Consiglio di Stato. LAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha accolto lopzione ermeneutica estensiva, enunciando il seguente principio di diritto: Nellambito del giudizio di ottemperanza la comminatoria della penalit di mora di cui allart. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo, ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria. LAdunanza Plenaria giunta a tale conclusione valorizzando il dato letterale dellart. 114 c.p.a., che non contiene - a differenza dellart. 614 bis c.p.c. -alcuna espressa limitazione del perimetro applicativo dellastreinte ai soli obblighi infungibili di facere e non facere. Stante il noto brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, preferibile linterpretazione secondo cui il legislatore, in considerazione delle peculiarit del processo amministrativo, non abbia voluto circoscrivere il raggio dazione delle misure coercitive a determinate condotte. Non pu neanche sostenersi, secondo il Consiglio di Stato, che lastreinte debba essere limitato ai soli obblighi fungibili in virt di un limite intrinseco alla sua natura, dato che proprio in Francia, madrepatria delle misure coercitive indirette, tale istituto configurato come sanzione per punire ogni disobbedienza allordine del giudice, a prescindere dal suo contenuto. Il Consiglio di Stato prende altres in considerazione largomento, for (32) Cons. Sato, Sez. III, 6 dicembre 2013, n. 5819, in collegiumiuris.it. (33) Ex multis, tra le pi recenti, Cons. Stat., Sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462, in gazzattaamministrativa. it.; nonch Cons. Stat., Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3781, in giustamm.it. (34) Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688, in giustamm.it. Per lastreinte nellordinamento francese si veda, anche per i riferimenti bibliografici, supra il paragrafo 2. mulato dalla Difesa erariale, secondo cui lestensione dellastreinte nel giudizio di ottemperanza anche agli obblighi infungibili ed, in particolare, a quelli di dare pecuniario produrrebbe uno squilibrio rispetto al processo civile, ove invece le misure coercitive sono irrogabili solo per assistere un obbligo infungibile. Ne conseguirebbe una disparit di trattamento per la Pubblica Amministrazione debitrice inadempiente, a differenza dei soggetti privati contro cui pu agirsi esclusivamente ex art. 614 bis c.p.c. Il Consiglio di Stato ha ritenuto tale obiezione superabile, in virt della considerazione secondo cui lart. 114 c.p.a. si inserisce armonicamente in una struttura del giudizio di ottemperanza complessivamente considerata, proprio per la specialit del debitore, da un potere di intervento del giudice particolarmente intenso, come testimoniato dallassenza del limite dellinfungibilit della prestazione, dalla previsione di una giurisdizione di merito e dalladozione di un modello surrogatorio di tutela esclusiva. La sentenza in commento ha, inoltre, evidenziato che lart. 114 c.p.a. contempla un limite aggiuntivo a quello della manifesta iniquit previsto dallart. 614 bis c.p.c., in quanto subordina lirrogazione dellastreinte al requisito negativo della sussistenza di altre ragioni ostative. Da ci discende che, proprio in ragione delle difficolt nelladempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici, spetter volta per volta al giudice dellottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione del- lammontare della sanzione, verificare se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o mitigare limporto. Lirrogazione dellastreinte, dunque, non potr configurarsi come conseguenza automatica dellinadempimento ad una sentenza da parte della Pubblica Amministrazione, dovendosi in sede di ottemperanza ponderare linteresse del creditore alla pronta esecuzione con gli interessi pubblici specificamente rilevanti, primi fra tutti quelli attinenti allo stato della finanza pubblica. 5. Rilievi conclusivi. LAdunanza Plenaria, mediante la sentenza 25 giugno 2014, n. 15, ha statuito il principio secondo cui le misure coercitive indirette sono irrogabili in sede di ottemperanza a prescindere dalla fungibilit dellobbligo rimasto inadempiuto, a differenza di quanto previsto dallart. 614 bis c.p.c. che invece circoscrive lastreinte ai soli obblighi di non fare e fare infungibile. Il portato pi rilevante della decisione qui in commento si rinviene nella formalizzazione di uno iato tra gli strumenti di esecuzione indiretta disponibili nel processo civile e lastreinte di cui allart. 114 c.p.a. Con la conseguenza che, a fronte della medesima sentenza di condanna, il carattere pubblicistico del debitore inadempiente idoneo a far conseguire al creditore vittorioso una tutela di cui non potrebbe giovarsi se il soccombente fosse un soggetto privato. Il Consiglio di Stato sembra avvedersi del rischio immanente a tale distonia, nella misura in cui statuisce che lastreinte deve essere irrogato solo a seguito di specifica ponderazione dellinteresse pubblico contrario, il quale tuttavia non pu che risolversi nella considerazione dello stato della finanza pubblica. Con la conseguenza di reintrodurre, sia pure sub specie di requisito negativo della fattispecie, quellinterpretazione restrittiva che configura lastreinte come rimedio esperibile solo nei casi in cui il soddisfacimento del creditore non possa prescindere dallirrogazione della misura coercitiva, alla stregua di una valutazione di indispensabilit tale da far apparire recessivo linteresse pubblico alla salvaguardia dei vincoli di bilancio, che devono essere tenuti in considerazione dal giudice in sede di ottemperanza. Con lulteriore conseguenza che, stante il carattere diffuso del sindacato sulla prevalenza dellinteresse creditorio o di quello erariale, affidato a ciascun giudice dellottemperanza, facile prevedere lo sviluppo di filoni giurisprudenziali difformi sul territorio nazionale, residuando in capo al Consiglio di Stato lonere di operare la reductio ad unum. Sicch non affatto escluso che linterpretazione restrittiva, dopo essere stata prima facie esclusa dalla sentenza qui in commento, sia destinata, per cos dire, a rientrare dalla finestra. Si avverte, inoltre, il pericolo che, stante la cumulabilit dellastreinte con gli interessi legali e leventuale risarcimento del danno, il creditore possa conseguire, in esito al giudizio, una somma di denaro anche notevolmente superiore alla sorte iniziale, con conseguente vulnus al principio generale secondo cui in giudizio non pu ottenersi pi di quanto spetti secondo i rapporti di diritto sostanziale che vengono azionati. Il pericolo, quindi, di un abuso dellastreinte specialmente si pone con riguardo ai giudizi in materia di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, in quanto i ricorrenti, stante lammontare ordinariamente modesto del risarcimento, troveranno difficilmente resistibile la possibilit di domandare lirrogazione di una misura suscettibile di aumentare, anche esponenzialmente, la sorte originaria della riparazione. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 25 giugno 2014, n. 15 -Pres. Giovannini, Est. Caringella - Ministero della Giustizia (avv. Stato) c. M.A.F. ed altri (avv.ti Porpora, Ussani DEscobar. FATTO 1. Con gli appelli in epigrafe il Ministero della Giustizia impugna le sentenze in epigrafe anche, o solo, nella parte in cui stata disposta la condanna dell'Amministrazione al pagamento di somme di denaro a titolo di penalit di mora ex art. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo ammnistrativo, in ragione della mancata esecuzione dei decreti della Corte di Appello di Roma di condanna alla corresponsione di un indennizzo a titolo di equa riparazione per eccessiva durata del processo di cui alla L. 24 marzo 2001 n. 89 (cd. Legge Pinto). I gravami in esame sono affidati alla deduzione della violazione dell'art. 114, comma 4, cod. proc. amm., dell'art. 6 par. i) della CEDU, dell'art. 117 della Costituzione, degli artt. 2 e 3, comma 7, della legge n. 89 del 2001. I motivi di ricorso possono cos essere compendiati. 1.1. Con un primo motivo la difesa erariale ha ricordato come un primo orientamento giurisprudenziale abbia ritenuto doversi escludere l'ammissibilit dell'astreinte nel caso in cui l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro, in quanto la penalit di mora costituisce un mezzo di coazione indiretta sul debitore, utile in modo particolare quando si in presenza di obblighi di facere infungibili: di qui liniquit della condanna del- l'Amministrazione al pagamento di ulteriori somme di denaro, quando l'obbligo di cui si chiede l'adempimento consiste, esso stesso, nell'adempimento di un'obbligazione pecuniaria. Il Tribunale di prime cure, con le decisioni impugnate, avrebbe invece seguito lorientamento per cui la naturale "coercibilit" degli obblighi di fare dell'Amministrazione nel giudizio amministrativo di ottemperanza e la collocazione della misura sanzionatoria nell'ambito di tale giudizio non consentono, in linea di principio, di escluderne la riferibilit anche alle sentenze di condanna pecuniarie secondo il modello originario dell'astreinte, e non secondo quello di cui all'art. 614 bis c.p.c. In coerenza, per il Ministero appellante: -deve escludersi la possibilit di far ricorso all'astreinte quando l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma d denaro, che, come tale, gi assistito, a termine del vigente ordinamento, per il caso di ritardo nel suo adempimento, dall'obbligo accessorio degli interessi legali; -- la somma dovuta a titolo di penalit andrebbe indebitamente ad aggiungersi agli altri accessori determinando un ingiustificato arricchimento del soggetto gi creditore della prestazione principale e di quella accessoria; -- l'interpretazione seguita dal primo Giudice contraddirebbe la ratio della norma in questione rinvenibile nella Relazione Governativa di accompagnamento al Codice ove si sottolinea il sostanziale parallelismo con la nuova previsione dell'art. 614 bis c.p.c. (introdotta dall'art. 49 comma 1, 1. 18 giugno 2009 n. 69) che fa riferimento a obblighi di fare infungibile o di non fare; -- la formulazione dell'art. 114, comma 4 lettera e) del cod. proc. amm. identica a quella del nuovo art. 614-bis c.p.c., come introdotto dall'art. 49, comma 1, della L. 18 giugno 2009, n. 69, con lunica differenziazione relativa all'inciso "se non sussistono altre ragioni ostative"; -- si finirebbe per offrire uno strumento ulteriore di coercizione indiretta all'effettivit della tutela (art. 1 cod. proc. amm), la quale non certo volta a garantire al ricorrente pi di quanto gli spetti secondo diritto; -- l'istituto de quo si attaglia propriamente a quelle situazioni nelle quali si tratta di porre in essere un' attivit amministrativa da svolgersi, per quanto possibile, nel rispetto dell'ordine fisiologico delle competenze (si pensi all'adozione di una deliberazione in materia urbanistica), in quanto contribuisce a prevenire l'intervento del commissario ad acta: esigenza, questa, estranea alla logica che ispira la disciplina degli adempimenti di prestazioni a carattere pecuniario, sia sul piano fisiologico sia sul piano della patologia derivante dal ritardo, il cui paradigma di riferimento si rinviene essenzialmente nella disciplina civilistica degli interessi e del risarcimento del danno. 1.2. Con un secondo ordine di motivi si rileva, poi, che sarebbe del tutto illegittima la liqui dazione automatica della predetta misura dato che, l'art. 114, comma 4, lett e) cod. proc. amm., consente il riconoscimento della misura ivi prevista previa la verifica dei presupposti cui il legislatore ha inteso subordinare la condanna anche al pagamento di una somma di denaro ed in particolare: dell'effettiva inerzia dell'Amministrazione nell'esecuzione della sentenza di equa riparazione, della ragionevolezza dei tempi alla luce della giurisprudenza che si pronunciata in materia (da ultimo, Cass. n. 5924/2012; Cass., sez. unite n. 6312/2014) e delle esigenze di bilancio. Non si sarebbe potuto prescindere dal vagliare puntualmente la condotta amministrativa ai fini dell'eventuale riscontro di responsabilit. 2. Si sono costituite in giudizio le controparti in epigrafe specificate. 3. Con lOrdinanza 18 aprile 2014, n. 14, la sezione quarta di questo Consiglio ha riunito gli appelli di cui in epigrafe, in ragione della ricorrenza di profili di connessione oggettiva e parzialmente soggettiva. Con la stessa Ordinanza si disposta la rimessione dei ricorsi allesame dellAdunanza Plenaria in ragione dei contrasti giurisprudenziali gi registratisi in merito alle questioni relative: a) alla natura ed all'ammissibilit in generale dell'astreinte di cui all'art. 114, comma 4, lett. e) cod. proc. amm. nel caso in cui l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro; b) alla sua applicabilit, in particolare, allequa riparazione di cui alla c.d. legge Pinto, per lindebita automaticit della condanna dellAmministrazione fatta in assenza della previa verifica dei presupposti indicati dal c.p.a. DIRITTO 1. sottoposta al vaglio dellAdunanza Plenaria la quaestio iuris relativa allammissibilit della comminatoria delle penalit di mora, di cui all'art. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo, nel caso in cui il ricorso per ottemperanza venga proposto in ragione della non esecuzione di una sentenza che abbia imposto alla pubblica amministrazione il pagamento di una somma di denaro. Ai fini della soluzione del problema necessaria unindagine sulla genesi e sulla fisionomia dellistituto in esame. 2. L'art. 114, comma 4, lett. e, c.p.a. prevede che il giudice dellottemperanza, in caso di accoglimento del ricorso in executivis, salvo che ci sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nellesecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo. La norma, che costituisce una novit nel processo amministrativo italiano, delinea una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, inquadrabile nellambito delle pene private o delle sanzioni civili indirette, che mira a vincere la resistenza del debitore, inducendolo ad adempiere allobbligazione sancita a suo carico dallordine del giudice (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688). La norma d la stura, in definitiva, ad un meccanismo automatico di irrogazione di penalit pecuniarie in vista dellassicurazione dei valori delleffettivit e della pienezza della tutela giurisdizionale a fronte della mancata o non esatta o non tempestiva esecuzione delle sentenze emesse nei confronti della pubblica amministrazione e, pi in generale, della parte risultata soccombente allesito del giudizio di cognizione. Il modello della penalit di mora trova un antecedente, nellambito del processo civile, nellart. 614-bis (inserito nel c.p.c. dallart. 49, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69), rubricato attuazione degli obblighi di fare infungibile o non fare. La norma in analisi dispone che Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ci sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dallobbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nellesecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. (). Al comma II viene precisato che Il giudice determina lammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile. 3. Sia listituto previsto dal codice del processo amministrativo sia quello contemplato dal codice di procedura civile sono fortemente innovativi rispetto alla nostra tradizione processuale. Il legislatore nazionale si , infatti, mostrato in passato restio allabbandono dellispirazione liberal-individualistica di matrice ottocentesca, manifestando diffidenza per il recepimento dellistituto delle misure coercitive indirette, ritenute una forma di eccessiva ingerenza dello Stato delle libere scelte degli individui anche in merito allosservanza, in forma specifica o meno, di un comando giudiziale. Prima della riforma del 2009, dunque, la possibilit che un provvedimento giurisdizionale di condanna fosse assistito da una penalit di mora era prevista, in modo episodico, solo con riferimento a fattispecie tassativamente individuate da norme speciali, insuscettibili di applicazione analogica. Tra queste vanno ricordati lart. 18, ultimo comma, dello Statuto dei lavoratori, in base al quale il datore di lavoro, in caso di illegittimo licenziamento, tenuto al pagamento di una somma commisurata alle retribuzioni dovute dal momento del licenziamento fino a quello delleffettivo reintegro; gli artt. 124, co. 2, e 131, co. 2, del codice della propriet industriale, che, in tema di brevetti, prevede ladozione di una sanzione pecuniaria in caso di violazione della misura inibitoria applicata nei confronti dellautore della violazione del diritto di propriet industriale; lart. 156 della legge sul diritto dautore, relativo alla protezione del diritto dautore, che prevede parimenti una sanzione pecuniaria in caso di inosservanza della statuizione inibitoria; lart. 8, co. 3, d. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, che, in tema di ritardato pagamento nelle transazioni commerciali, contempla la possibilit di irrogare unastreinte in caso di mancato rispetto degli obblighi imposti dalla sentenza che abbia accertato liniquit delle clausole contrattuali; lart. 140, co. VII, del codice del consumo, che ha previsto misure pecuniarie per il caso di inadempimento del professionista a fronte di pronunce rese dal giudice civile su ricorsi proposti dalle associazioni di tutela degli interessi collettivi in materia consumeristica; lart. 709-ter, co. 2, n. 4, cod. proc. civ., che, con riferimento alle controversie relative allesercizio della potest genitoriale o alle modalit dellaffidamento dei figli, prevede, a carico del genitore inadempiente alle obbligazioni di facere, il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. Con lart. 614-bis cod. proc. civ. e con lart. 114, comma 4, lettera e, cod. proc. amm., il nostro ordinamento, conferendo alla misura in esame un respiro generale, ha esibito, quindi, una nuova sensibilit verso listituto delle sanzioni civili indirette, dando seguito ai ripetuti moniti della Corte Europea dei Diritti dellUomo, secondo cui il diritto ad un tribunale sarebbe fittizio se lordinamento giuridico interno di uno Stato membro permettesse che una decisione giudiziale definitiva e vincolante restasse inoperante a danno di una parte (sent. Hornsby c. Grecia, 13/03/1997, e Ventorio c. Italia, 17/05/2011). Nelladeguamento dellordinamento nazionale al panorama degli ordinamenti pi evoluti in subiecta materia il legislatore ha seguito il modello francese delle cc. dd. astreintes, costi tuenti misure coercitive indirette a carattere esclusivamente patrimoniale, che mirano ad incentivare ladeguamento del debitore ad ogni sentenza di condanna, attraverso la previsione di una sanzione pecuniaria che la parte inadempiente dovr versare a favore del creditore vittorioso in giudizio. Il carattere essenzialmente sanzionatorio della misura, prevista dallordinamento francese con riferimento ad ogni tipo di sentenza di condanna, dimostrato dal tenore della legge 5 luglio 1972, ove, allart. 6, si prevede specificamente che lastreinte indpendante des dommages- intrets. La natura giuridica della misura coercitiva indiretta francese, dunque, non ispirata alla logica riparatoria che permea la teoria generale della responsabilit civile, dovendosi configurare la sua comminatoria alla stregua di una pena privata o, pi precisamente, di una sanzione civile indiretta. Trattasi, quindi, di una pena, e non di un risarcimento, che vuole sanzionare la disobbedienza allordine del giudice, a prescindere dalla sussistenza e dalla dimostrazione di un danno. altres pacifica, nella stessa prospettiva, la cumulabilit della penalit con il danno cagionato dallinosservanza del precetto giudiziale, al pari della non defalcabilit dellammontare della sanzione dallimporto dovuto a titolo di riparazione. Nel campo dei rapporti amministrativi la legge 8 febbraio 1995 ha poi attribuito anche ai Tribunaux Administratifs e alle Cours Administraves dAppel il potere, prima assegnato dal decreto 30 luglio 1963 al solo Conseil dEtat, di disporre lastreinte a carico dellamministrazione inadempiente, anticipando al momento della pronuncia della sentenza la possibilit di disporre il mezzo di coercizione indiretta e introducendo un nuovo potere del giudice amministrativo, nei casi in cui lesecuzione del giudicato amministrativo comporti necessariamente lemanazione di un provvedimento dal contenuto determinato, di ordinare allamministrazione ladozione dellatto satisfattorio e, quando risulti opportuno, di fissare un termine per lesecuzione (si veda la disciplina oggi prevista dagli artt. L.911-4 e 911-5 del code de justice administrative). Norme simili, pur se con modulazioni diverse, sono presenti anche negli ordinamenti tedesco (c.d. Zwangsgeld) e inglese (c.d. Contempt of Court). Le Zwangsgeld, in particolare, possono assistere esclusivamente provvedimenti di condanna a obblighi di fare infungibili o di non fare (come negli ordinamenti rumeno, greco e sloveno) e consistono in una condanna al pagamento di una somma di denaro (Zwangsgeld/Ordnungsgeld) in favore dello Stato, con la possibilit di conversione in arresto (Zwangsgeld/Ordnungshaft) nel caso in cui il debitore non disponga di un patrimonio capiente. Il Contempt of Court, invece, pu, come avviene per le astreintes francesi, essere pronunciato a fronte della violazione di ogni provvedimento dellautorit giudiziaria, a prescindere dal suo contenuto, e consiste in una sanzione pecuniaria da versarsi allo Stato (in alternativa al sequestro di beni) o in una sanzione detentiva (arrest for the contempt of the court), con facolt di scelta discrezionale per il giudice tra la misura patrimoniale e quella limitativa della libert personale. 3.1. Tutte le misure descritte sono ispirate dalla medesima esigenza di offrire uno strumento di coazione alladempimento delle pronunce giurisdizionali. La breve ricognizione comparatistica effettuata, mettendo in luce leterogeneit delle opzioni abbracciate nei vari ordinamenti circa lambito di applicazione delle penalit di mora, consente di mettere in chiaro che la scelta attuata dallart. 614-bis c.p.c., al pari di alcuni degli altri ordinamenti passati in rassegna, di limitare lastreinte al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile, non deriva da un limite concettuale insito nella ratio o nella struttura ontologica dellistituto ma il frutto di unopzione discrezionale del legislatore. 4. Si deve, a questo punto, segnalare che la penalit di mora disciplinata dallart. 114, comma 4, lett. e, c.p.a. si distingue in modo significativo da quella prevista per il processo civile. I profili differenziali rispetto allomologo istituto di cui allart. 614 bis c.p.c. sono, infatti, molteplici e di rilevante importanza: a) mentre la sanzione di cui al 614-bis c.p.c. adottata con la sentenza di cognizione che definisce il giudizio di merito, la penalit irrogata dal Giudice Amministrativo, in sede di ottemperanza, con la sentenza che accerta il gi intervenuto inadempimento dellobbligo di contegno imposto dal comando giudiziale; b) di conseguenza, nel processo civile la sanzione ad esecuzione differita, in quanto la sentenza che la commina si atteggia a condanna condizionata (o in futuro) al fatto eventuale del- linadempimento del precetto giudiziario nel termine alluopo contestualmente fissato; al contrario, nel processo amministrativo lastreinte, salva diversa valutazione del giudice, pu essere di immediata esecuzione, in quanto sancita da una sentenza che, nel giudizio dottemperanza di cui agli artt. 112 e seguenti c.p.a., ha gi accertato linadempimento del debitore; c) le astreintes disciplinate dal codice del processo amministrativo presentano, almeno sul piano formale, una portata applicativa pi ampia rispetto a quelle previste nel processo civile, in quanto non si riprodotto nellart. 114, co. 4, lett. e, c.p.a., il limite della riferibilit del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile; d) la norma del codice del processo amministrativo non richiama i parametri di quantificazione dellammontare della somma fissati dallart. 614 bis c.p.c.; e) il codice del processo amministrativo prevede, accanto al requisito positivo dellinesecuzione della sentenza e al limite negativo della manifesta iniquit, lulteriore presupposto negativo consistente nella ricorrenza di ragioni ostative. 4.1 La questione dellapplicabilit delle astreintes nel caso in cui sia chiesta, nellambito di un giudizio di ottemperanza, lesecuzione di un titolo giudiziario avente ad oggetto somme di danaro, trae origine dalla terza delle differenze delineate. Per il processo amministrativo, infatti, manca una previsione esplicita che limiti la riferibilit delle penalit di mora al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile. Nasce quindi il problema relativo alla possibilit di richiedere lapplicazione delle penalit anche nel caso dellottemperanza a sentenze aventi ad oggetto un dare pecuniario. 5. Mentre la dottrina in gran parte favorevole ad una lettura estensiva della norma de qua, la giurisprudenza amministrativa ha manifestato significative divisioni sulla questione rimessa allAdunanza Plenaria. 5.1. Lopinione prevalente ammette lapplicazione delle penalit di mora anche per le sentenze di condanna pecuniaria (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462, Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3781; Cons. Stato, sez. V, sent., 19 giugno 2013, n. ri 3339, 3340, 3341 e 3342; Cons. Stato, sez. III, 30 maggio 2013, n. 2933; C.g.a.r.s., 30 aprile 2013, n. 424; Cons. Stato, sez. IV, 31 maggio 2012, n. 3272; Cons. Stato, sez. V, 14 maggio 2012, n. 2744; Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2011 n. 6688; Cons. di Stato, Sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4216; C.g.a.r.s., 22 gennaio 2013, n. 26; Cons. Stato sez. VI, 6 agosto 2012, n. 4523, Cons. Stato sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4685). Deporrebbero a favore di tale opzione ermeneutica (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462) le seguenti argomentazioni: a) il tenore letterale della disposizione, che, a differenza dellart. 614-bis cod. proc. civ., non pone alcuna distinzione per tipologie di condanne rispetto al potere del giudice di disporre, su istanza di parte, la condanna dell'amministrazione inadempiente al pagamento della penalit di mora (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462), con una scelta che appare coerente con il rilievo che il rimedio dellottemperanza, grazie al potere sostitutivo esercitabile, nellalveo di una giurisdizione di merito, dal giudice in via diretta o mediante la nomina di un commissario ad acta, non conosce, in linea di principio, lostacolo della non surrogabilita degli atti necessari al fine di assicurare lesecuzione in re del precetto giudiziario (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688); b) la peculiare natura giuridica della penalit di mora ex art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., che, in virt della sua diretta derivazione dal modello francese delle cc. dd. astreintes, assolve ad una finalita sanzionatoria e non risarcitoria in quanto non mira a riparare il pregiudizio cagionato dallesecuzione della sentenza ma vuole sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore alladempimento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688), integrando un strumento di pressione nei confronti della p.a., inteso ad assicurare il pieno e completo rispetto degli obblighi conformativi discendenti dal decisum giudiziale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462); c) il rilievo secondo cui la matrice sanzionatoria della misura, idonea a confutare il rischio di duplicazione risarcitoria, confermata dalla considerazione da parte dellart. 614-bis, comma 2, cod. proc. civ., sempre nellottica delladerenza al modello francese, della misura del danno quantificato e prevedibile come solo uno dei parametri di commisurazione in quanto prende in considerazione anche altri profili, estranei alla logica riparatoria, quali il valore della controversia, la natura della prestazione e ogni altra circostanza utile, tra cui si pu annoverare il profitto tratto dal creditore per effetto del suo inadempimento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688). 5.2 Lopposto orientamento d risposta negativa alla questione (cfr. di recente Cons. Stato, Sez. IV, 13 giugno 2013 n. 3293; Cons. Stato, Sez. III, 06 dicembre 2013, n. 5819) sulla scorta delle seguenti argomentazioni: a) la considerazione per la quale la funzione della penalit di mora nel giudizio di ottemperanza sarebbe quella di incentivare l'esecuzione di condanne di fare o non fare infungibile prima dell'intervento del commissario ad acta, il quale comporta normalmente maggiori oneri per l'Amministrazione, oltre che maggiore dispendio di tempo per il privato, di modo che ove il giudizio di ottemperanza sia prescelto dalla parte per l'esecuzione di sentenza di condanna pecuniaria del giudice ordinario, la tesi favorevole all'ammissibilit dell'applicazione dell'astreinte finirebbe per consentire una tutela diversificata dello stesso credito a seconda del giudice dinanzi al quale si agisca atteso che il creditore pecuniario della p.a. nel giudizio di ottemperanza potrebbe ottenere maggiori e diverse utilit rispetto a quelle conseguibili nel giudizio di esecuzione civile solo in base ad un'opzione puramente potestativa (cfr. Cons. di Stato, Sez. III, 6 dicembre 2013, n. 5819); b) la valorizzazione delliniquit della condanna al pagamento di una somma di danaro laddove l'obbligo oggetto di domanda giudiziale sia esso stesso di natura pecuniaria, di talch sarebbe gi assistito, per il caso di ritardo nel suo adempimento, dallobbligo accessorio degli interessi legali, cui la somma dovuta a titolo di astreinte andrebbe ulteriormente ad aggiungersi, con le conseguenze della duplicazione ingiustificata di misure volte a ridurre l'entit del pregiudizio derivante all'interessato dalla violazione, inosservanza o ritardo nell'esecuzione del giudicato, nonch dellingiustificato arricchimento del soggetto gi creditore della prestazione principale e di quella accessoria (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 6 dicembre 2013, n. 5819); c) limpossibilit di cumulare un modello di esecuzione surrogatoria con uno di carattere com pulsorio, dal momento che il sistema nazionale di esecuzione amministrativa della decisione, connotato da caratteri di estrema incisivit e pervasivit, porrebbe gi a presidio delle ragioni debitorie dellamministrazione la doppia garanzia sul piano patrimoniale del riconoscimento degli accessori del credito e su quello coercitivo generale dellintervento del Commissario ad acta (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, ord. 18 aprile 2014, n. 2004). 6. LAdunanza Plenaria ritiene di aderire allorientamento prevalente che ammette loperativit dellistituto per tutte le decisioni di condanna adottate dal Giudice Amministrativo ex art. 112 c.p.a., ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni pecuniarie. 6.1. A sostegno dellopzione estensiva si pone, innanzitutto, un argomento di diritto comparato. Si deve considerare, infatti, che il sistema francese, modello sul quale sono stati coniati gli istituti nazionali che prevedono lirrogazione della penalit di mora, connotato da unindiscussa funzione sanzionatoria, essendo teleologicamente orientato a costituire una pena per la disobbedienza alla statuizione giudiziaria, e non un risarcimento per il pregiudizio sofferto a causa di tale inottemperanza. Il modello transalpino, quindi, in aderenza al favor espresso dalla giurisprudenza della CEDU verso la massima estensione, anche in executivis, delleffettivit delle decisioni giurisdizionali, dimostra che il rimedio compulsorio in esame pu operare anche per le condanne pecuniarie, in quanto non conosce limiti strutturali in ragione della natura della condotta imposta dallo iussum iudicis. Si conferma, in questo modo, che la delimitazione dellambito oggettivo di operativit della misura frutto di una scelta di politica legislativa e non un limite concettuale derivante dalla fisionomia dellistituto. 6.2. Largomento di diritto comparato si salda con largomento letterale. Lanalisi del dato testuale dellart. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., chiarisce, infatti, che, in sede di codificazione del processo amministrativo, il legislatore ha esercitato la sua discrezionalit, in sede di adattamento della conformazione dellistituto alle peculiarit del processo amministrativo, nel senso di estendere il raggio dazione delle penalit di mora a tutte le decisioni di condanna. La norma in analisi non ha, infatti, riprodotto il limite, stabilito della legge di rito civile nel titolo dellart. 614-bis, della riferibilita del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile. Si deve aggiungere che la norma in esame non solo non contiene un rinvio esplicito allart. 614-bis, ma neanche richiama implicitamente il modello processual-civilistico. Decisiva risulta la constatazione che lart. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., modifica limpianto normativo del rito civile prevedendo lulteriore limite negativo rappresentato dal- linsussistenza di ragioni ostative. Significativa appare, in questa direzione, anche la considerazione che nel giudizio civile lastreinte comminata dalla sentenza di cognizione con riguardo al fatto ipotetico del futuro inadempimento, mentre nel processo amministrativo la penalit di mora applicata dal giudice dellesecuzione a fronte del gi inverato presupposto della trasgressione del dovere comportamentale imposto dalla sentenza che ha definito il giudizio. Non pu, dunque, essere attribuito un rilievo decisivo ai lavori preparatori, in quanto il riferimento, operato dalla Relazione governativa di accompagnamento, alla riproduzione dellart. 614-bis cod. proc. civ., va inteso come richiamo della fisionomia dellistituto e non come recepimento della sua disciplina puntuale. In definitiva, a fronte dellampia formulazione dellart. 114, co. IV, lett. e, cod. proc. amm., unoperazione interpretativa che intendesse colmare una lacuna che non cՏ attraverso il ri chiamo dei limiti previsti dalla diversa norma del processo civile, si tradurrebbe in uninammissibile analogia in malam partem volta ad assottigliare lo spettro delle tutele predisposte dal codice del processo amministrativo nel quadro di un potenziamento complessivo del giudizio di ottemperanza. 6.3. Occorre mettere laccento, a questo punto, sullargomento sistematico. La diversit delle scelte abbracciate dal legislatore per il processo civile e per quello amministrativo si giustifica in ragione della diversa architettura delle tecniche di esecuzione in cui si cala e va letto il rimedio in esame. Nel processo civile, stante la distinzione tra sentenze eseguibili in forma specifica e pronunce non attuabili in re, la previsione della penalit di mora per le sole pronunce non eseguibili in modo forzato mira a introdurre una tecnica di coercizione indiretta che colmi lassenza di una forma di esecuzione diretta. Detto altrimenti, nel sistema processual-civilistico, con linnesto della sanzione in parola il legislatore ha inteso porre rimedio allanomalia insita nellesistenza di sentenze di condanna senza esecuzione, dando la stura ad una tecnica compulsoria che supplisce alla mancanza di una tecnica surrogatoria. Nel processo amministrativo, per converso, la norma si cala in un archetipo processuale in cui, grazie alle peculiarit del giudizio di ottemperanza, caratterizzato dalla nomina di un commissario ad acta con poteri sostitutivi, tutte le prestazioni sono surrogabili, senza che sia dato distinguere a seconda della natura delle condotte imposte. La penalit di mora, in questo diverso humus processuale, assumendo una pi marcata matrice sanzionatoria che completa la veste di strumento di coazione indiretta, si atteggia a tecnica compulsoria che si affianca, in termini di completamento e cumulo, alla tecnica surrogatoria che permea il giudizio dottemperanza. Detta fisionomia impedisce di distinguere a seconda della natura della condotta ordinata dal giudice, posto che anche per le condotte di facere o non facere, al pari di quelle aventi ad oggetto un dare (pecuniario o no), vige il requisito della surrogabilit/fungibilit della prestazione e, quindi, lesigenza di prevedere un rimedio compulsivo volto ad integrare quello surrogatorio. 6.4. Le considerazioni esposte sono suffragate anche dallargomento costituzionale. 6.4.1. Non pu ravvisarsi, in primo luogo, la paventata disparit collegata allopzione potestativa, esercitabile da parte del creditore, attraverso la scelta, in sostituzione del rimedio dellesecuzione forzata civile - priva dello strumento della penalit di mora per le sentenze di condanna pecuniaria -, dellottemperanza amministrativa, rafforzata dalla comminatoria delle astreintes. Il riscontro di profili di disparit devessere, infatti, effettuato tenendo conto dei soggetti di diritto e non delle tecniche di tutela dagli stessi praticabili. Ne deriva che la possibilit, per un creditore pecuniario della pubblica amministrazione, di utilizzare, in coerenza con una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio, due diversi meccanismi di esecuzione, lungi dal porre in essere una disparit di trattamento, per la quale difetterebbe il referente soggettivo discriminato, evidenzia un arricchimento del bagaglio delle tutele normativamente garantite in attuazione dellart. 24 Cost. in una con i canoni europei e comunitari richiamati dallart. 1 c.p.a. 6.4.2. Non pu neanche ravvisarsi, sotto altra e complementare angolazione, una discriminazione ai danni del debitore pubblico, per essere lo stesso soggetto, diversamente dal debitore privato, a tecniche di esecuzione diversificate e pi incisive. Tale differenziazione il precipitato logico e ragionevole della peculiare condizione in cui versa il soggetto pubblico destinatario di un comando giudiziale. La pregnanza dei canoni costituzionali di imparzialit, buona amministrazione e legalit che in formano lazione dei soggetti pubblici, qualificano in termini di maggior gravit linosservanza, da parte di tali soggetti, del precetto giudiziale, in guisa da giustificare la previsione di tecniche di esecuzione pi penetranti, tra le quali si iscrive il meccanismo delle penalit di mora. In questo quadro va rimarcato che la previsione di cui allart. 114, comma 4, lett. e, c.p.a., si inserisce armonicamente in una struttura del giudizio di ottemperanza complessivamente caratterizzata, proprio per la specialit del debitore, da un potere di intervento del giudice particolarmente intenso, come testimoniato dallassenza del limite dellinfungibilit della prestazione, dalla previsione di una giurisdizione di merito e dalladozione di un modello surrogatorio di tutela esecutiva. 6.5. La tesi esposta non , infine, scalfita dallargomento equitativo su cui fanno leva i fautori della tesi restrittiva, richiamando il rischio di duplicazione di risarcimenti, con correlativa locupletazione del creditore e depauperamento del debitore. Largomento inficiato dal rilievo che la penalit di mora, come fin qui osservato, assolve ad una funzione coercitivo-sanzionatoria e non, o quanto meno non principalmente, ad una funzione riparatoria, come dimostrato, tra laltro, dalle caratteristiche dei modelli di diritto comparato e dalla circostanza che nellarticolo 614 bis c.p.c. la misura del danno solo uno di parametri di quantificazione dellimporto della sanzione. Trattandosi di una pena, e non di un risarcimento, non viene in rilievo uninammissibile doppia riparazione di un unico danno ma laggiunta di una misura sanzionatoria ad una tutela risarcitoria. , in definitiva, insito nella diversa funzione della misura, da un lato, che a tale sanzione, diversamente da quanto accade per i punitive damages, si possa accedere anche in mancanza del danno o della sua dimostrazione; e, dallaltro, che al danno da inesecuzione della decisione, da risarcire comunque in via integrale ai sensi dellart. 112, comma 3, c.p.a., si possa aggiungere una pena che il legislatore, pur se implicitamente, ha inteso destinare al creditore insoddisfatto. Si deve soggiungere che la locupletazione lamentata, frutto della decisione legislativa di disporre un trasferimento sanzionatorio di ricchezza, ulteriore rispetto al danno, dallautore della condotta inadempitiva alla vittima del comportamento antigiuridico, si verifica in modo identico anche per sentenze aventi un oggetto non pecuniario, per le quali parimenti il legislatore, pur se non attraverso meccanismi automatici propri degli accessori del credito pecuniario (rivalutazione e interessi), prevede lazionabilit del diritto al risarcimento dellintero danno da inesecuzione del giudicato (art. 112, comma 3, cit), in aggiunta alla possibilit di fare leva sul meccanismo delle penalit di mora. Anche sotto questo punto di vista, quindi, le sentenze aventi ad oggetto un dare pecuniario non pongono problemi specifici e non presentano caratteristiche diverse rispetto alle altre pronunce di condanna. Va soggiunto che la funzione deterrente e general-preventiva delle penalit di mora verrebbe frustrata dalla mancata erogazione della tutela in analisi ove vi sia gi stato o possa essere assicurato un integrale risarcimento. 6.5.1. Si deve, infine, osservare che la considerazione delle peculiari condizioni del debitore pubblico, al pari dellesigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di unastratta inammissibilit della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti per lapplicazione della misura nonch al momento dellesercizio del potere discrezionale di graduazione dellimporto. Non va sottaciuto che lart. 114, comma 4, lett. e, c.p.a., proprio in considerazione della spe cialit, in questo caso favorevole, del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficolt nelladempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici - ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquit, previsto nel codice di rito civile, quello, del tutto autonomo, della sussistenza di altre ragioni ostative. Ferma restando lassenza di preclusioni astratte sul piano dellammissibilit, spetter allora al giudice dellottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dellammontare della sanzione, verificare se le circostanza addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne limporto. 7. LAdunanza Plenaria afferma pertanto il seguente principio di diritto: Nellambito del giudizio di ottemperanza la comminatoria delle penalit di mora di cui allart. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo, ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria. 8. Ci affermato lAdunanza Plenaria, ai sensi dellart. 99, comma 4, c.p.a., restituisce gli atti alla Sezione quarta di questo Consiglio per le ulteriori pronunce di rito, sul merito della controversia e sulle spese del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) affermato il principio di diritto di cui in motivazione, restituisce gli atti alla Sezione quarta per ogni ulteriore statuizione di rito, nel merito della controversia e sulle spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa. Cos deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2014. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Sulle procedure concorsuali nella p.A. PARERE 15/04/2014-169698, CS 39605/2008, SEZ. AG, AVV. STEFANO VARONE Si riscontra la richiesta di parere in oggetto in merito agli effetti prodotti dalla sentenza del Consiglio di Stato che ha accolto il ricorso delling ... inerente il bando del 7 dicembre 2007 per la copertura di complessivi 8 posti da dirigente di seconda fascia, di cui sei per dirigenti con formazione giuridica, uno per dirigente con formazione economica ed uno per dirigente con formazione tecnica. Codesta Autorit ha allegato le seguenti circostanze fattuali: -che lIngegnere, il quale ha partecipato alla procedura ma non risultato utilmente collocato in graduatoria, ha impugnato dinanzi al TAR Lazio il bando e la determinazione 15 luglio 2008 con la quale lAutorit aveva approvato la graduatoria di merito. -che il TAR Lazio, in parziale accoglimento del ricorso, ha annullato la graduatoria finale del concorso e la conseguente determinazione del Presidente dellAutorit del 15 luglio 2008, ordinando allAmministrazione di procedere, nei limiti dellinteresse del ricorrente, fermo restando il punteggio delle prove orali, dapprima ad un motivato apprezzamento dei titoli riferibili al ricorrente stesso e ai soli candidati utilmente collocati in graduatoria e, poi, alla redazione della graduatoria finale. -che in esecuzione della citata sentenza la Commissione di concorso procedeva ad un nuovo apprezzamento dei titoli riferibili al ricorrente e, successivamente, alla redazione di una nuova graduatoria finale, la quale stata approvata dal Consiglio dellAutorit con il provvedimento di cui al verbale n. 27 del 29-30 luglio 2009. Anche in detta graduatoria lIngegnere non si collocato fra i vincitori. - che lapprovazione della graduatoria a seguito della rivalutazione, effettuata in data 29-30 luglio 2009, non sarebbe mai stata impugnata dall'Ingegnere (nemmeno nel successivo e diverso ricorso da lui proposto al TAR Lazio contro il provvedimento dellAutorit adottato nelladunanza del 14 ottobre 2009, con cui era stato deliberato lo scorrimento della graduatoria a favore degli idonei). - che lIngegnere ha impugnato la sentenza del TAR Lazio dinanzi al Consiglio di Stato e che, questultimo ha accolto il motivo ritenuto assorbente, relativo alle modalit di svolgimento del concorso, annullando il bando e gli atti conseguenziali. -che la Dott.ssa (...) e la Dott.ssa (...), in qualit di controinteressate sopravvenute hanno proposto opposizione di terzo avverso la sentenza del Consiglio di Stato. Codesta Autorit ha, quindi, evidenziato che lannullamento della procedura porrebbe rilevanti e delicati problemi, soprattutto alla luce del potenziale impatto sullorganizzazione (nonch sul buon andamento dellazione amministrativa) in ragione del fatto che a partire dal 2008 sono stati immessi in ruolo i soggetti utilmente collocati sulla base della graduatoria, i quali svolgono da circa sei anni funzioni strategiche per lAmministrazione, la quale non sarebbe in grado di ovviare al deficit gestionale che si verrebbe a determinare in caso di caducazione dei relativi contratti. Ha, quindi, richiesto alla scrivente Avvocatura di rendere una parere in merito: a) al comportamento che lAutorit tenuta ad eseguire nelle more del giudizio di opposizione, anche chiarendo se vi siano soggetti diversi dalle parti in giudizio che possano pretenderne l'ottemperanza; b) al significato da attribuire al passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato ove si afferma che laddove permangano le esigenze di provvista di nuovo personale, lAmministrazione dovr far luogo alla rinnovazione della selezione a mezzo della predisposizione di un altro bando concorsuale che risulti immune dai vizi rilevati, chiarendo se il termine rinnovazione implichi una rinnovazione totale mediante lobbligo di pubblicazione di un nuovo bando di concorso e se il nuovo bando debba essere aperto solo a coloro i quali erano in possesso del requisito di partecipazione al momento della pubblicazione del bando di concorso annullato oppure a tutti coloro che risultino in possesso dei requisiti prescritti dal bando al momento della sua pubblicazione. Al riguardo osserva la Scrivente che il Consiglio di Stato, con la sentenza citata, ha accolto limpugnazione dellIngnere ritenendo fondato il primo motivo di doglianza con cui il ricorrente aveva dedotto la violazione dellart. 28 del d.lgs. 165 del 2001 e dellart. 5 del d.P.R. n. 272 del 2004. In particolare, era stato censurato il bando l dove ha previsto che le prove di esame in concreto assegnate ai candidati consistevano in una prova teorica ed una teorico- pratica da espletarsi a mezzo di un unico colloquio. Sosteneva infatti il ricorrente che, in base dellart. 8, comma 8, del d.lgs. n. 163 del 2006, la procedura concorsuale si sarebbe dovuta svolgere sulla base di due prove scritte e di una orale. Tale censura stata condivisa dal Collegio per il quale, in assenza di di verse diposizioni regolamentari, la procedura concorsuale non corrispondeva alle modalit di svolgimento delle prove prefissate dal legislatore statale per laccesso alle qualifiche dirigenziali. La pronuncia ha, quindi, rilevato il carattere assorbente del motivo, chiarendo testualmente che gli effetti caducanti che derivano, merc il suo accoglimento, sullintera procedura concorsuale, comportano che non rileva lesame dei motivi ulteriori dedotti in primo grado, dovendo lAutorit far luogo - ove permangano le esigenze di provvista di nuovo personale e ove sussistano tutte le altre condizioni - alla rinnovazione della selezione a mezzo della predisposizione di un altro bando concorsuale che risulti immune dai vizi rilevati e che In definitiva, lappello va accolto e, in riforma della impugnata sentenza, va disposto lintegrale annullamento degli atti concorsuali in primo grado impugnati. Come noto la giurisprudenza sostanzialmente concorde nellaffermare che il giudicato amministrativo di annullamento autoesecutivo nel senso che non ha bisogno di essere seguito da ulteriori atti, comportamenti od attivit dell'ente obbligato, producendo automaticamente un effetto demolitorio sui provvedimenti cui si riferisce, che comporta, altrettanto automaticamente, la loro cancellazione dal mondo giuridico sin dal momento della loro emanazione (Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2013, n. 130). Anche in presenza del giudizio di opposizione di terzo lefficacia esecutiva della pronuncia non pu essere discussa, salva ladozione di atti di sospensione da parte del Consiglio di Stato, di cui occorrerebbe in ogni caso esaminare gli effetti dal punto di vista dellestensione soggettiva, sulla base delleventuale provvedimento adottato dallorgano giurisdizionale. Come sopra illustrato, daltronde, il Consiglio di Stato ha esplicitamente sostenuto un effetto caducante sullintera procedura concorsuale, tanto vero che il Collegio ha affermato che lAutorit deve dar luogo a rinnovazione della selezione a mezzo della predisposizione di un altro bando, precisando che ci pu avvenire alla condizione che permangano le esigenze di provvista di nuovo personale e sussistano tutte le altre condizioni. Ci risulta conforme alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale afferma lesistenza di un effetto caducante automatico, a prescindere da oneri impugnatori degli atti a valle, nell'ipotesi in cui il provvedimento successivo abbia carattere meramente esecutivo degli atti presupposti, ovvero faccia parte di una sequenza procedimentale che lo pone in rapporto di immediata derivazione dagli atti precedenti (Cons. Stato Sez. IV, Sent., 4 settembre 2013, n. 4441; Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2009 n. 1869). Va, tuttavia, considerato che leffetto caducante ha ad oggetto la serie procedimentale inerente la procedura concorsuale e, alla luce della giurisprudenza maggioritaria, non comporta l'automatica caducazione del negozio giuridico a valle, producendo piuttosto uninvalidit derivata (cos detto effetto viziante), che deve essere dedotta davanti al giudice avente giurisdizione sull'atto nego ziale (Cons. Stato, ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10), vale a dire il giudice ordinario in base alla disciplina di cui allart. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001. Peraltro risulta che la questione stata oggetto di remissione alladunanza plenaria del Consiglio di Stato, con ordinanza 14 ottobre 2013, n. 4999, in relazione alla tematica dei contratti derivati degli enti locali. In assenza di norme specifiche (come quelle inerenti le procedure di affidamento degli appalti) alla luce dellattuale assetto , pertanto, da ritenere che una controversia che sia rivolta ad accertare le condizioni di validit e di efficacia del contratto, spetta al giudice ordinario, posto che ha ad oggetto non gi i provvedimenti riguardanti procedura selettiva ma sostanzialmente il rapporto privatistico discendente dal negozio (Cass., Sez. Un. 29 maggio 2012, n. 8515; 5 aprile 2012, n. 5446, ordinanza). Tali considerazioni assumono carattere decisivo. Accedendo alla tesi che la caducazione automatica non si pu concretiz zare in relazione agli atti negoziali a valle, la tematica quella della verifica della relativa validit dal punto di vista civilistico. A tal fine non pu essere trascurata la giurisprudenza che ha analizzato in termini di patologia negoziale il vizio del contratto e che stata resa principalmente in tema di procedure ad evidenza pubblica. La Cassazione in passato ha, infatti, sovente ritenuto che, pur sussistendo fra gli atti del procedimento amministrativo che precede la stipulazione del contratto ad evidenza pubblica e il negozio stesso un nesso obbiettivo, determinato dall'essere i primi gli antecedenti in senso logico-giuridico del negozio di diritto privato, tuttavia, i vizi degli atti della sequenza procedimentale costitutiva o integrativa della volont negoziale, anche se rilevati e oggetto di pronuncia costitutiva di annullamento da parte del g.a., non avrebbero determinato automaticamente l'invalidit del contratto, incidendo piuttosto sul negozio se ed in quanto in- quadrabili tra le cause di invalidit disciplinate dal codice civile. Nell'ambito delle possibili fattispecie di invalidit civilistica si spesso ricorsi alle categorie dell'inefficacia o dell'annullabilit relativa, a seconda che i lamentati vizi attenessero all'approvazione o al visto, intesi quali requisiti di efficacia, ovvero alla deliberazione a contrarre e all'aggiudicazione, intesi come requisiti di validit. La giustificazione sistematica di tale orientamento, ora contrastato da non pi sporadiche pronunce del giudice amministrativo, stata prevalentemente sostenuta o inquadrando le fattispecie nell'ambito dei vizi del consenso ai sensi degli artt. 1427 e ss. c.c. (per tutte Cass., 8 maggio 1996, n. 4269), ovvero facendo ricorso alla discussa categoria della legittimazione negoziale, con conseguente possibilit di configurare un vizio di incapacit (relativa) delle parti contraenti da ricondurre al disposto di cui all'art. 1425 c.c. (Cass. 21 febbraio 1995 n. 1885; Cass. 7 aprile 1989 n. 1682). La trasposizione di tale impostazione nel caso di specie, che comporterebbe un residuo margine decisorio per la PA nella scelta se agire giudizial mente per lannullamento dei contratti, parrebbe, tuttavia, ostacolata dalla constatazione della regola del concorso pubblico, riconosciuta, ai sensi dell'art. 97 della Costituzione, come forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, con la conseguenza che le assunzioni poste in essere sulla base della procedura annullata risulterebbero effettuate senza il necessario presupposto. L'indisponibilit degli interessi pubblici inerenti alla determinazione dell'attivit lavorativa dei dipendenti richiede, infatti, che la selezione del personale avvenga sulla base della regola generale del concorso. Tale lettura, che pare preferibile, comporta che lAmministrazione, annullata la procedura concorsuale, si trova di fronte ad una serie di contratti con cui si provveduto allassunzione di dipendenti a tempo indeterminato sulla base di una procedura concorsuale annullata ex tunc e da considerare, pertanto, giuridicamente inesistente. Non pare daltronde possa incidere su tale esito la circostanza che la sentenza del Consiglio di Stato riguarda una graduatoria annullata e sostituita immediatamente all'esito del giudizio di primo grado. , infatti, vero che allesito del giudizio di primo grado stata redatta una graduatoria ulteriore dalla Commissione di concorso (Verbale del 28 luglio 2009) la quale stata impugnata al TAR ed il relativo giudizio attualmente pendente dinanzi al Tar Lazio. Tuttavia la circostanza che il Consiglio di Stato abbia annullato il bando per vizi radicali suoi propri implica che il TAR potr semplicemente prendere atto dellintervenuta caducazione dellatto a monte e del conseguente travolgimento degli atti consequenziali che non possono vivere di vita propria una volta venuto meno latto prodromico. In definitiva, da ritenere che i contratti di lavoro posti in essere sulla base della procedura annullata siano civilisticamente viziati, ma la carenza di giurisdizione da parte del Giudice Amministrativo implica che ogni questione, tanto susseguente ad atti di risoluzione dei rapporti adottati da codesta Autorit sulla base della pronuncia del GA, quanto ad eventuali azioni giudiziali di accertamento della sopravvenuta invalidit dei negozi, sia di competenza del Giudice Ordinario. Per quanto concerne gli ulteriori aspetti dellesecuzione della pronuncia del Consiglio di Stato citata, lAutorit dovr tenere conto delle graduatorie tuttora vigenti. Come sopra illustrato, infatti, la predetta decisione dispone che lAutorit deve provvedere alla rinnovazione della selezione a mezzo della predisposizione di un altro bando concorsuale che risulti immune dai vizi rilevati ma ci solo ove permangano le esigenze di provvista di nuovo personale e ove sussistano tutte le altre condizioni. Con il richiamo alle altre condizioni da ritenere che il Consiglio di Stato faccia riferimento tanto a profili di fatto condizionanti lindizione di una procedura concorsuale (es. disponibilit finanziaria) quanto normativi. Al momento dell'ottemperanza alla decisione occorre indagare se il ripristino dello status quo ante sia compatibile con lo stato di fatto e di diritto prodottosi medio tempore. Ci in quanto assumono rilevanza le sopravvenienze normative o di fatto al provvedimento impugnato, alle quali si attribuisce la capacit di limitare o escludere gli effetti ulteriori del giudicato (Cons. Stato Sez. VI, 27 dicembre 2011, n. 6849). stato, infatti, pi volte sostenuto che (Cons. Stato, Sez. VI 30 giugno 2010, n. 4175; in precedenza Cons. Stato, Sez. VI, 22 ottobre 2002, n. 5816) l'esecuzione del giudicato amministrativo trova ostacolo nelle sopravvenienze della normativa verificatesi anteriormente alla notificazione della sentenza, mentre non rilevano quelle successive a tale data. Tale profilo pare assumere rilievo decisivo nel caso di specie in quanto ai sensi dellart. 4 D.L. 31 agosto 2013 n. 101, convertito in l. 30 ottobre 2013, n. 125 Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, subordinata alla verifica: a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non temporanee necessit organizzative adeguatamente motivate; b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1 gennaio 2007, relative alle professionalit necessarie anche secondo un criterio di equivalenza. Solo in detti limiti attualmente possibile, pertanto, lindizione di una procedura concorsuale di reclutamento, dovendo, quindi, lAmministrazione, valutate le attuali esigenze di organico e gli ulteriori presupposti normativi, verificare la sussistenza di graduatorie tuttora vigenti per le professionalit richieste. La questione stata esaminata dal Comitato Consultivo, che si espresso in conformit nella seduta del 9 aprile 2014. Requisiti di nomina dei Presidenti e dei Commissari delle Autorit portuali PARERE 24/05/2014-226901, CS 11837/2014, SEZ. VII, AVV. PAOLA PALMIERI Con nota del 29 aprle 2014 prot. 16788, pervenuta il 6 maggio 2014, codesto Ministero, successivamente al parere reso dalla Scrivente con nota del 26 marzo u.s., prot. 137564 con cui, dopo avere chiarito alcuni aspetti in ordine alla procedura da seguire per la nomina del Presidente dellAutorit portuale di Napoli, ci si riservava un pi ampio approfondimento sugli aspetti di massima, ha nuovamente richiesto lavviso di questo G.U. Con la nota da ultimo pervenuta, in particolare, codesto Ministero - premesso di dover procedere con ogni consentita urgenza alle nomine di taluni Presidenti e Commissari di Autorit portuali - ritiene necessario acquisire il parere di questo G.U. in ordine al corretto iter procedurale da seguire in relazione alle menzionate nomine, anche tenendo conto degli indirizzi tracciati dalle pronunce del Consiglio di Stato relativamente ai requisiti di idoneit dei candidati ed ai limiti attinenti le prerogative di selezione del predetto Ministero. I) Sui requisiti dei Presidenti delle Autorit portuali. Come gi osservato in occasione della precedente consultazione, la giurisprudenza consolidata, in analogia con la posizione assunta in relazione alla nomina di organi di vertice delle Amministrazioni statali, ha costantemente affermato che il provvedimento di nomina del Presidente dellAutorit portuale, ai sensi dellart. 8, comma 1, della l. n. 84 del 1994, riconducibile nel- lalveo proprio della c.d. alta amministrazione in quanto: -non necessita di una valutazione comparativa tra gli altri aspiranti, rendendosi necessario che sia comprovato il possesso dei requisiti prescritti; - informato a criteri eminentemente fiduciari, essendo comunque espressione della complessa potest di indirizzo e di governo delle autorit preposte alle amministrazioni stesse; -presuppone solo la previa definizione dei soggetti individuati in ragione del possesso dei titoli previsti dalla norma; - pur sempre assistito dalle garanzie generali e dai limiti propri degli atti amministrativi, essendo sempre volto alla cura degli interessi pubblici. Il provvedimento in questione, quale atto di alta amministrazione, ha dunque, una funzione di raccordo tra il momento politico e quello amministrativo. Diversamente dagli atti politici tuttavia, non altrettanto libero nei fini ed , pertanto, assoggettato ad un sindacato sia pure c.d. debole, ovvero limitato al profilo della ragionevolezza e logicit della scelta effettuata (Cons. di Stato, VI, n. 1783 del 2007; Consiglio di Stato, 13 maggio 2013, n. 2596). Le considerazioni che precedono rispondono ai principi generali gi costantemente affermati dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento alle nomine dei pi alti vertici delle amministrazioni statali. Ex multis: Cons. di St. n. 2706 del 2005 : Le nomine degli organi di vertice delle amministrazioni sia centrali che locali, si configurano certamente come provvedimenti da adottare in base a criteri eminentemente fiduciari, riconducibili nell'ambito degli atti di alta amministrazione, in quanto espressione della potest di indirizzo e di governo delle autorit preposte alle amministrazioni stesse; tuttavia il singolo provvedimento di nomina, comportando una scelta nell'ambito di una categoria di determinati soggetti in possesso dei titoli specifici, deve esporre le ragioni che hanno condotto alla nomina di uno di essi, anche se la motivazione della scelta - effettuata intuitu personae - da formularsi all'esito di un apprezzamento complessivo del candidato e senza alcuna valutazione comparativa rispetto agli altri aspiranti, comporta soltanto la necessit di comprovare la avvenuta valutazione del possesso dei prescritti requisiti del prescelto, in modo che possa dimostrarsi la ragionevolezza della scelta effettuata (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 febbraio 1999, n. 120; 1 settembre 1998, n. 1139). Nel medesimo senso, con riferimento ai pi diversi settori delle Amministrazioni statali, Cons. Stato, sez. VI, 1 marzo 2005, n. 810; Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2001, n. 5050, TAR del Lazio, sez. II, 15 dicembre 1997, n. 13361, TAR del Lazio, Sez. I, 5 marzo 2012, n. 2223. Proprio per l'ampia discrezionalit che innegabilmente connota la nomina, la stessa si configura come una scelta tra tutti i soggetti che potenzialmente siano dotati dei requisiti prescritti dalla legge, scelta che deve basarsi su presupposti congrui ed essere adeguatamente motivata come richiesto, in linea generale, dalla legge sul procedimento e dalla giurisprudenza ormai consoli- data, con riferimento anche agli atti connotati da elevata discrezionalit (In tal senso, da ultimo, anche Cons. di St., n. 1321 del 2014). Tali generali premesse sono state sostanzialmente riaffermate dalla recente sentenza n. 4768 del 2013 con cui il Giudice di appello, tornando ad occuparsi delle nomine dei Presidenti delle Autorit portuali ha, tuttavia, affermato principi parzialmente difformi rispetto alla giurisprudenza finora invalsa in subiecta materia. La decisione, in particolare, nel pronunciarsi sulla legittimit della nomina del Presidente dell'Autorit portuale di Cagliari, non si limitata a valutare la scelta effettuata dal Ministro (di intesa con la Regione), sul mero piano della logicit e della ragionevolezza, ma ha indagato i contenuti dei requisiti richiesti, spingendosi ad affermare che, pur in assenza di una espressa previsione normativa, ҏ di norma necessario il possesso di una laurea connessa, affine, collegata o collegabile con la materia portuale per poter definire il nominato quale esperto del settore, oltre che una specifica qualificazione culturale teorica e pratica nelle materie indicate dalla legge. Nel caso sottoposto alla attenzione del Consiglio di Stato, pertanto, tanto il titolo di studio posseduto dal designato (laurea in medicina), quanto le esperienze svolte quale parlamentare allinterno delle competenti Commissioni, secondo i Giudici di appello, non sono state ritenute sufficienti al fine di integrare quel massimo grado inderogabilmente richiesto dallart. 8 comma 1, giungendo ad una declaratoria (di illegittimit) del provvedimento di nomina opposta a quella cui il medesimo Giudice era pervenuto in un caso del tutto analogo, solo pochi anni prima (Cons. di St. 1783/2007). Il Consiglio di Stato, oltre a ricollegare in modo espresso la elevata qualificazione professionale ad uno specifico titolo di studio, si inoltre spinto fino ad esaminare, in modo pi pregnante, i contenuti e la rilevanza della esperienza professionale del candidato. Essendosi ravvisato nella decisione in esame un travalicamento dei limiti propri di quel sindacato debole solitamente ammissibile per casi analoghi, la decisione sopra richiamata, come noto, stata impugnata in sede di legittimit da questo G.U. (oltre che dalla Provincia di Cagliari) per difetto assoluto di giurisdizione. La discussione del ricorso risulta fissata per il 19 giugno p.v. Tenuto conto dei principi cos affermati, in linea generale, si osserva che, indubbiamente, lart. 8, comma 1, della l. n. 84 del 1994, nel disciplinare la nomina del Presidente dell'Autorit portuale, fa riferimento ad una terna di esperti tra i quali deve essere operata la scelta, i quali devono essere in possesso della massima e comprovata qualificazione professionale nei settoridelleconomia dei trasporti e portuale . La nomina, dunque, gi alla stregua del dato letterale della norma, impone che i designati siano in possesso di una specifica qualificazione che deve essere massima e comprovata. Come gi osservato nel parere gi reso il 26 marzo u.s., pertanto, possibile ribadire che, indubbiamente, la scelta discrezionale del Ministro, bench caratterizzata da una elevato tasso di discrezionalit, deve svolgersi necessariamente nel confine segnato dall'art. 8, ovvero nei confronti di candidati in possesso dei richiamati requisiti. Ci, tuttavia, a parere della Scrivente, non consente di concludere, necessariamente, che tali requisiti comunque presuppongano un titolo di studio connesso, affine collegato o collegabile con la materia portuale, trattandosi di presupposto non contemplato dalla normativa, come del resto affermato in tempi non troppo lontani dal medesimo Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza n. 1783 del 2007 ove si legge che ai fini del riconoscimento ai soggetti qualificati della qualifica di esperto di massima e comprovata qualificazione professionale, la richiamata norma non richiede che il candidato sia munito di specifico titolo di studio n che abbia svolto un particolare percorso professionale, imponendo soltanto che l'esperienza sia maturata nei settori, anche essi genericamente indicati, dell'economia dei trasporti e portuali . Daltra parte, come la stessa decisione n. 4768/2013 evidenzia, le competenze affidate all'Autorit portuale e al suo Presidente sono molteplici e tali da coinvolgere profili che richiedono non solo una determinata preparazione culturale ma anche competenze tecniche ed esperienze gestionali, oltre che la conoscenza dei settori di riferimento e delle problematiche, tecniche, giuridiche e economiche che ad essi solitamente si ricollegano. Rientra, pertanto, nella discrezionalit riconosciuta allAmministrazione valutare la sussistenza di tali aspetti in capo al possibile candidato in modo, comunque, da poter pervenire ad un giudizio complessivo di massima e comprovata qualificazione. Se , dunque, vero - come affermato dalla pi recente decisione - che, di norma, lesperienza nel settore si ricollega al possesso di una laurea connessa, affine o collegata con la materia portuale, vero anche che la scelta possa concentrarsi anche su soggetti che, seppur privi di un titolo di tal fatta, siano dotati di una innegabile e particolare esperienza nello specifico settore, tale da far ritenere, secondo una valutazione ampiamente discrezionale, che linteressato possieda la necessaria idoneit a svolgere le funzioni richieste. In ogni caso, l'esperienza e la qualificazione necessaria, dovranno essere riconducibili ai settori dell'economia dei trasporti e portuale, come chiaramente indicato dal Legislatore nella legge istituiva delle Autorit, il dato normativo impedendo la possibilit di valorizzare esperienze gestionali e manageriali - sia pure fornite di caratteristiche di eccellenza - ma svolte in settori diversi da quelli indicati. Va, inoltre, considerato che, pur essendo precluso al Giudice amministrativo un penetrante sindacato delle scelte effettuate, le stesse ben potranno essere valutate sul piano della logicit e della ragionevolezza e che il possesso di un titolo di studio totalmente estraneo al tipo di funzioni che il designato chiamato a svolgere, pu essere considerata di per s - e in assenza di un bagaglio culturale comunque fornito da una significativa esperienza professionale nel settore - possibile sintomo di illogicit ed irrazionalit della scelta, oltre che costituire violazione diretta dell'art. 8 della l. n. 84 del 1994. Pertanto bene sottolineare che, nel caso in cui si voglia prescindere da un percorso culturale ad hoc o meglio, quanto pi ci si allontani dallo stesso, l'esperienza maturata dovr essere di livello tale da far presumere che, pur in assenza di laurea o altro titolo connesso o affine, il soggetto prescelto sia pienamente idoneo ad adempiere ai rilevanti compiti che lo attendono e di ci dovr essere dato atto con congrua motivazione, nel provvedimento di nomina, anche attraverso gli opportuni richiami ai contenuti del curriculum presentato. Non possono ignorarsi, al riguardo, i delicati compiti rimessi dall'art. 8, comma terzo, della L. n. 84/1994 al Presidente, tenuto conto che detto organo, non solo ha la rappresentanza dell'ente, ma, solo per indicare alcune delle funzioni principali, presiede il Comitato portuale, sottopone al Comitato portuale il piano operativo triennale, il piano regolatore portuale e le pi rilevanti de- libere riguardanti la vita dell'Ente, oltre a provvedere al coordinamento delle attivit svolte nel porto dalle pubbliche amministrazioni, nonch al coordinamento e al controllo delle attivit soggette ad autorizzazione e concessione. Richiamando le parole della Corte costituzionale possibile affermare che il Presidente , in effetti, posto al vertice di una complessa organizza zione, che vede coinvolti e soggetti al suo coordinamento anche organi schiettamente statali (presiede, tra l'altro, il Comitato Portuale, del quale fanno parte il Comandante del Porto e, in rappresentanza dei Ministeri delle Finanze e dei Lavori Pubblici, un dirigente dei servizi doganali ed uno dell'ufficio speciale del genio civile) e gli assegnato un ruolo fondamentale, anche di carattere propulsivo, perch il porto assolva alla sua funzione (di rilevanza internazionale o nazionale, secondo la classe di appartenenza) comunque interessante l'economia nazionale (in tal senso Corte Cost. n. 378 del 2005; v. anche Cons. di St. 13 maggio 2013, n. 2596). Si ritiene, pertanto, che la nomina debba comunque garantire la elevata professionalit richiesta, in modo da far presumere che il nominato sia in grado di assolvere le delicate funzioni attribuite dalla legge oltre che gli eventuali obiettivi di volta in volta indicati. Si osserva, infine, che, nellattesa di un possibile consolidarsi della posizione espressa dal Consiglio di Stato con la pi recente decisione, occorre prendere atto che la giurisprudenza sembra avviarsi verso una pi rigorosa interpretazione dei requisiti indicati dalla legge oltre che verso un pi penetrante controllo dellazione amministrativa per cui - allo stato - si sottolinea lopportunit di un atteggiamento prudenziale, gi suggerito in occasione della precedente consultazione, che, pur non ritenendoli vincolanti, tenga conto dei titoli culturali oltre che professionali del candidato. II) Con la nota che si riscontra, codesta Amministrazione ha chiesto anche di conoscere lavviso di questo G.U. in ordine alle nomine dei Commissari delle Autorit portuali, sempre in relazione ai requisiti richiesti dalla normativa ed agli ambiti di discrezionalit riservati al Ministro. Lart. 7, comma terzo, della legge n. 84/1994, si limita a prevedere la possibilit, per il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di disporre, nei determinati casi ivi previsti, la revoca del mandato del Presidente e lo scioglimento del Comitato portuale nonch di nominare, con il medesimo decreto, un commissario che eserciti, per un periodo massimo di sei mesi, le attribuzioni conferitegli con il decreto stesso. Al di l delle espresse previsioni di cui alla norma da ultimo richiamata, la sussistenza di un potere di vigilanza individuato dallart. 12 della menzionata legge in capo al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, consente di affermare che detto potere di vigilanza pu essere esercitato anche attraverso la rimozione degli organi direttivi dell'Autorit portuale e la successiva nomina di organi straordinari, ancorch al di fuori delle due ipotesi espressamente indicate all'art. 7 della legge n. 84/1994, costituendo tale potere esplicazione dei cosiddetti "poteri impliciti" che l'ordinamento attribuisce alla Pubblica Amministrazione, pur in difetto di una esplicita previsione di legge (TAR Lazio, Sez. III 23 giugno 2011, n. 5623, Cons di St. IV, 13 maggio 2013, n. 2569). Autorevole fondamento alla teoria dei poteri impliciti stato rinvenuto nella sentenza di Corte Cost., 20 gennaio 2004 n. 27, laddove si afferma che il potere di nomina del Commissario straordinario costituisce attuazione del principio generale, applicabile a tutti gli enti pubblici, del superiore interesse pubblico al sopperimento, con tale rimedio, degli organi di ordinaria amministrazione, i cui titolari siano scaduti o mancanti. Tale potere - afferma la Corte Costituzionale - volto ad assicurare il soddisfacimento delle esigenze di continuit della azione amministrativa ed impedire stasi connesse alla decadenza degli organismi ordinari (Corte Cost. 27 luglio 2005, n. 339) e non esercitabile liberamente (Corte Cost. 20 gennaio 2004, n. 27). In assenza di riferimenti normativi nonch di una specifica autoregolamentazione da parte di codesto Ministero volta ad individuare i criteri di nomina di tali organi, sulla base dei principi generali , dunque, possibile affermare che la nomina di un Commissario straordinario, in sostituzione del massimo organo di vertice di un ente pubblico, riveste la natura di atto di alta amministrazione, al pari della nomina del Presidente e che, pertanto, ne condivide la natura di provvedimento ampiamente discrezionale, connotato da tratti di fiduciariet e, di conseguenza, sottoposto al sindacato del giudice amministrativo sotto lesclusivo profilo della logicit e della ragionevolezza della scelta effettuata (in ordine al profilo della fiduciariet della nomina dei Commissari delle Autorit portuali: TAR del Lazio, Sez. III ter, 9 febbraio 2011, n. 1260). Individuata la natura giuridica del provvedimento di nomina e venendo allo specifico profilo qui in discussione occorre chiarire, analogamente alla problematica trattata sub I), quali siano i requisiti richiesti ai fini della nomina a Commissario straordinario nominato ai sensi del richiamato art. 7, comma terzo, L. n. 84/1994, ovvero in tutte quelle ipotesi in cui occorra assicurare la continuit dellazione amministrativa nellesercizio del potere ministeriale di vigilanza. Avuto riguardo a tale specifico profilo, va preliminarmente rilevato che la legge istitutiva delle Autorit non prevede, per il caso della nomina di un Commissario, specifici requisiti culturali o professionali n, allo scopo, il Legislatore ha ritenuto di dover richiamare i medesimi requisiti richiesti dallart. 8 ai fini della nomina del presidente dellAutorit portuale. Tale mancato richiamo, a parere di questo G.U., potrebbe far ritenere che, nella scelta del Commissario, il Ministro non sia direttamente vincolato dagli stringenti requisiti di massima e comprovata qualificazione richiesti con riferimento espresso alle nomine del solo organo di vertice ordinario dellEnte. Il procedimento di nomina di un Commissario straordinario ai sensi della legge n. 84/1994, in effetti, costituisce una procedura diversa ed autonoma rispetto al procedimento di nomina del Presidente, questultima interamente ed espres samente disciplinata dallart. 8 della medesima legge (in tal senso la gi menzionata sentenza del TAR del Lazio, sez. III ter n. 1260 del 2011). Tuttavia, non vi dubbio che il Commissario straordinario - in particolare nei casi in cui la nomina consegua ad una cattiva gestione o ad un malfunzionamento dellente - investito di tutta la attivit di gestione, quanto meno per il tempo necessario al completamento delle fasi di rinnovo degli organi ordinari, oltre che dei poteri straordinari al medesimo attribuiti, e che, pertanto, tale scelta presuppone una attenta valutazione del curriculum del candidato, con particolare riferimento alle competenze professionali ed alle esperienze maturate, in coerenza con i principi sopra indicati per la nomina a Presidente. Pertanto, la relativa istruttoria andr necessariamente svolta secondo criteri di professionalit e di competenza - elementi, questi, che andranno opportunamente richiamati a sostegno della motivazione del provvedimento tenendo conto dei compiti che il Commissario chiamato a svolgere e ci, sia in relazione alla situazione fattuale che ha determinato lesigenza della nomina, sia in relazione ai compiti che la legge demanda al Commissario, sia, infine, agli obiettivi di volta in volta attribuiti dal Ministro in relazione al caso concreto, in modo da far concludere - secondo lindicato parametro di logicit e di ragionevolezza - che il designato sia un soggetto pienamente idoneo allo svolgimento dei compiti per i quali stato nominato. **** Trattandosi di questione di massima il presente parere stato sottoposto allesame del Comitato consultivo, ai sensi dellart. 26 della legge 3 aprile 1979, n. 103, che si espresso in conformit nella seduta del 22 maggio 2014. Natura giuridica dellIstituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) di propriet dello Stato Vaticano PARERE 24/05/2014-226911, CT 35469/2012, SEZ. VII, AVV. PAOLA PALMIERI Con la richiesta di parere in oggetto codesta Amministrazione ha chiesto alla Scrivente di pronunciarsi in ordine alla natura pubblica o privata dellIstituto di Ricovero e Cura a carattere scientifico IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza - gestione della omonima Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza - Opera di San Pio da Petrelcina, di propriet dello Stato vaticano e da esso vigilata - e proponente, per il tramite del proprio Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico - IRCSS, di diversi progetti nellambito dellInvito relativo al P.O.N. Ricerca e competitivit. Tale quesito veniva sollevato in relazione alla nota con cui, la omonima Fondazione, riferiva di essere stata considerata dagli istituti di credito incaricati delle verifiche finanziarie, talvolta quale persona giuridica privata e talvolta quale struttura assimilabile ad una struttura pubblica. Pertanto, la stessa chiedeva di confermare ad entrambi gli istituti bancari l'assimilabilit dell'IRCCS Casa sollievo ad un ente pubblico, quanto meno con riferimento alla necessit di stipulare una fideiussione a garanzia del finanziamento erogato nell'ambito del bando PON. A sostegno, veniva inoltre richiamata la garanzia accordata dal Ministero della Salute in occasione di uno starting grant da parte del Consiglio europeo della ricerca (ERC), detto Ministero avendo considerato lIstituto in parola quale ente riconducibile allo Stato Citt del Vaticano. Con nota interlocutoria del 26 novembre 2012 prot. 467357 questo G.U. chiedeva di trasmettere il bando PON 2007-2013 e di indicare le fonti che disciplinano la garanzia del finanziamento erogato nellambito del bando PON I nonch il VII programma quadro e il bando relativo al progetto CBCD260888 cui si riferiva la garanzia prestata dal Ministero della salute. Tale nota non risultava pervenuta presso codesto Ministero che, in seguito alla rinnovata richiesta, il 28 gennaio u.s. inoltrava per le vie brevi il decreto direttoriale con cui era approvato lo schema di garanzia a prima richiesta, utilizzabile per le iniziative di cui al D.Lgs. 297 del 1999 rappresentando, al contempo, di non poter fornire il bando cui si riferiva la garanzia prestata dal Ministero della salute. Successivamente, veniva trasmessa ulteriore documentazione (istanza di partecipazione allAvviso indetto da codesto ministero, decreti di riconoscimento adottati in favore dellente, Statuto dellente datato 2010). Dagli elementi cos raccolti possibile rilevare che, soggetto proponente nellambito della procedura di cui allAvviso in oggetto, unitamente ad altri partners, lIRCSS Casa sollievo della sofferenza che, come testualmente si evince dalla domanda di presentazione del progetto, possiede la forma giuri dica di ente privato con personalit giuridica - Fondazione esclusa la Fondazione bancaria. Si osserva inoltre, che a tale Fondazione - ente morale di diritto ecclesiastico - stata riconosciuta la personalit giuridica con DPR 14 gennaio 1971, ai sensi dellart. 29 lett. d) del concordato e dellart. 4 della legge n. 848 del 1929, che ne riconosce la personalit giuridica e ne approva lo Statuto. Si osserva, al riguardo, che il riconoscimento avvenuto prima della modificazione del Concordato attuata con Accordo del 18 febbraio 1984 ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 121 e della nuova legge 20 maggio 1985, n. 222 sugli enti ecclesiastici. Anche nel vigore della precedente disciplina era, tuttavia, da escludere che il riconoscimento degli enti ecclesiastici, fra cui le fondazioni di culto e di religione, comportasse il conferimento di una personalit giuridica pubblica nell'ordinamento dello Stato. Come ben chiarito dalla Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 2656 del 1990, ci risultava chiaramente dagli accordi fra Stato e Chiesa e dalle relative leggi d'attuazione, in cui pi volte veniva precisato che il riconoscimento era effettuato "agli effetti civili" (art. 31 del Concordato 11 febbraio 1929 e art. 4 della legge 27 maggio 1929, n. 848) e che tali effetti si riassumevano nella capacit di acquistare e possedere, salve le disposizioni concernenti gli acquisti dei corpi morali (e cio le autorizzazioni previste dal codice civile per gli acquisti immobiliari delle persone giuridiche private) (art. 30 del Concordato e artt. 4, 9 e 10 della legge n. 848 del 1929). Ma la natura pubblica degli enti ecclesiastici - prosegue la decisione in esame - ҏ da escludere anche in base ai principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, sia perch fra i fini propri della Repubblica non possono ricomprendersi quelli della religione cattolica (art. 7 e 8 Cost.) sia perch detti enti, a differenza degli Enti pubblici, sono sottratti a qualsiasi controllo dello Stato sui beni e sugli organi, controllo che appartiene esclusivamente alle competenti autorit della Chiesa (art. 30 del Concordato 11 febbraio 1929) (vedi in questo senso Cass. 13 dicembre 1983 n. 7357; Cass. 10 luglio 1980 n. 4430; Cass. 28 novembre 1978 n. 5580). Tale situazione non sarebbe, inoltre, mutata a seguito delle modifiche al Concordato adottate il 18 febbraio 1984 e a seguito della legge 20 maggio 1985, n. 222; con tali provvedimenti si ribadito che gli enti ecclesiastici vengono riconosciuti "come persone giuridiche agli effetti civili" e si stabilito l'obbligo a carico, anche degli Enti ecclesiastici preesistenti, dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche private, prevista dall'art. 33 c.c. (artt. 1, 4, 5 e 6 della legge n. 222 del 1985). In particolare, col nuovo accordo stato precisato che l'equiparazione effettuata dal Concordato del 1929 del fine di culto e di religione ai fini di beneficenza e di istruzione agli effetti tributari (art. 29, lett. h) vale solo per le attivit dirette a quei fini (art. 7, n. 3) e cio all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all'educazione cristiana (art. 16, lett. a, della legge n. 222 del 1985), mentre le altre attivit svolte dagli enti ecclesiastici, e cio quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura nonch quelle commerciali o a scopo di lucro (art. 16, lett. b, della legge n. 222 del 1985 suddetta) sono soggette alle leggi dello Stato concernenti tali attivit e al regime tributario previsto per le medesime (art. 7, n. 3, modifica del Concordato). Poich la Fondazione persegue finalit sociali di assistenza, pure essendo priva di fini di lucro, la stessa dovrebbe pacificamente rientrare tra gli enti di diritto privato sulla base dei principi suesposti. Va, tuttavia, considerata la possibilit di riconoscere natura pubblica al- lente in oggetto sulla base di altro iter argomentativo in relazione alla qualificazione della Fondazione quale IRCCS - Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico privato, ad essa pervenuta con decreto del 16 aprile 2007, con cui il Ministero della Salute, accertata la sussistenza dei requisiti di cui allart. 13, comma 3 lett. da a) ad h) del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288, ha conferito a detto ente il riconoscimento del carattere scientifico della Casa Sollievo della Sofferenza, Istituto con personalit giuridica di diritto privato. Nella specifica veste di Istituto scientifico di ricovero e cura ex lege n. 288/2003, lOspedale Casa sollievo della sofferenza, svolge attivit ospedaliera, inserito nel Servizio Sanitario nazionale ed sottoposto alla vigilanza del Ministero della Salute (art. 1 della L. 288/2003: Gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico sono enti a rilevanza nazionale dotati di autonomia e personalit giuridica che, secondo standards di eccellenza, perseguono finalit di ricerca, prevalentemente clinica e traslazionale, nel campo biomedico e in quello dell'organizzazione e gestione dei servizi sanitari ed effettuano prestazioni di ricovero e cura di alta specialit o svolgono altre attivit aventi i caratteri di eccellenza di cui all'articolo 13, comma 3, lettera d). La normativa, inoltre, a partire dalla L. n. 132 del 1968, ha equiparato gli ospedali classificati ai sensi della medesima legge (quale lOspedale Casa sollievo della sofferenza), gestiti dagli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, alle strutture ospedaliere pubbliche (nel senso della parit di trattamento ai fini dellosservanza dei tetti di spesa). Tali indici, con particolare riferimento alle finalit pubblicistiche perseguite e alla vigilanza statale, potrebbero far concludere per una connotazione pubblicistica dellente in esame anche al di l delle generali considerazioni relative ai meri enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. Nonostante la suddetta equiparazione ex lege si , tuttavia, affermato in giurisprudenza che ci non determina un mutamento della natura giuridica di detti enti che, pertanto, per il consolidato orientamento della Corte di Cassazione (che si pronunciata pi volte in relazione alla natura dei rapporti di la voro instaurati con gli IRCCS) sono da ricondurre agli enti di diritto privato. In tal senso e con espresso riferimento allente in oggetto: Cass. civ., 15 marzo 1985, n. 2019 - Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, esercenti attivit ospedaliera (nella specie: casa sollievo della sofferenza), anche quando ottengano la classificazione del proprio ospedale a norma dellart. 1 ultimo comma, L. 12 febbraio 1968, n. 132, non assumono la qualit di enti pubblici, poich tale classificazione, se comporta linserimento di detta affinit nellambito della programmazione della rete ospedaliera pubblica, ponendola sotto la vigilanza dei ministro della sanit e della competente usi (art. 18 citata L. n. 132 del 1968 e 41, L. 23 dicembre 1978, n. 833), non interferisce sulla natura degli enti cui lattivit medesima fa capo, i quali mantengono piena autonomia organizzativa e finanziaria; ne consegue che le controversie inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti degli ospedali dei suddetti enti ecclesiastici esulano dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego, e spettano alla cognizione dei giudice ordinario. Nel medesimo senso: Cass. civ., 10 ottobre 1983 n. 5865: Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che esercitano attivit ospedaliera, quale la casa sollievo della sofferenza, non sono inquadrabili fra gli enti ospedalieri in senso stretto, cio fra gli enti pubblici non economici, secondo la disciplina della L. 12 Febbraio 1968, n. 132, non modificata in proposito dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833 istitutiva dei servizio sanitario nazionale (il cui art. 41 si limita ad aggiungere alla vigilanza del ministero della sanit quella dellusi), nemmeno quando essi abbiano ottenuto la classificazione del loro ospedale a norma dellart. 1 6 comma della citata legge del 1968, la quale spiega rilievo solo al fine di inserire tali ospedali nella programmazione propria della rete ospedaliera pubblica; anche in detto caso, pertanto, le controversie inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti degli indicati enti ecclesiastici esulano dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e spettano alla cognizione del giudice ordinario. Alla luce di tali elementi pare innegabile la natura privatistica dellente, peraltro affermata dallo stesso Istituto, che ha partecipato allavviso indetto da codesta Amministrazione in qualit di ente privato, come dichiarato dallo stesso soggetto interessato in sede di domanda. Nella scheda di presentazione relativa al progetto Virtualab, in particolare, si afferma testualmente che la natura giuridica dell'Ospedale quella di un ente privato, di propriet della Santa Sede, che eroga pertanto un servizio pubblico. Se allinterno del nostro ordinamento lente in esame opera quale ente di diritto privato assoggettato alle leggi dello Stato, ne discende che, ai fini del- lammissione ai benefici agevolativi sul fondo FAR lo stesso soggiace alle regole poste dallAvviso e dalla normativa primaria e regolamentare di riferimento che, con riferimento agli enti e societ di natura privata, impone la verifica della stabilit economico finanziaria affinch sia garantita la corretta assegnazione di risorse pubbliche e subordina lerogazione delle anticipazioni sul contributo in favore di enti privati alla prestazione di una idonea garanzia. Ci non toglie che, a determinati fini, il medesimo ente possa rilevare quale ente con personalit giuridica pubblica di diritto straniero, nella specie dello Stato Citt del Vaticano, alla stregua del diritto canonico. Ci sembrerebbe giustificare - a quanto possibile affermare sulla base della limitata documentazione inviata - il rilascio di una garanzia da parte del Ministero della Salute alla Fondazione di cui trattasi, ente appartenente ad uno Stato (Citt del Vaticano), non firmatario del VII PQ. Codesto Ministero non ha potuto inviare, come richiesto, la copia del progetto a cui si riferisce il Ministero della salute. Sembra, tuttavia, che in quello specifico caso la garanzia sia stata accordata all'ente nella sua qualit di public body riconducibile ad uno diverso Stato. La problematica, pertanto, sembra attenere al diverso ambito dei rapporti tra Stati, ed alle garanzie che uno Stato aderente pu prestare in favore di altri Stati non firmatari, ovvero in favore di enti ed a questi ultimi riconducibili. Tale profilo, tuttavia, a parere di questo G.U. non viene in rilievo nel caso di specie, in cui l'esenzione dalla verifica economica sembra riferirsi ai soli enti configurabili quali enti di diritto pubblico secondo l'ordinamento interno tra i quali, anche per ragioni prudenziali e in assenza di pronunce giurisprudenziali che affermino il contrario, non pu essere annoverato l'ente in oggetto alla luce delle considerazioni e delle pronunce sopra esposte. Si resta a disposizione per ulteriori chiarimenti. ***** Trattandosi di questione di massima il presente parere stato sottoposto allesame del Comitato consultivo, ai sensi dellart. 26 della legge 3 aprile 1979, n. 103, che si espresso in conformit nella seduta del 22 maggio 2014. Canone dovuto dalle imprese di trasporto alla Rete Ferroviaria Italiana PARERE 26/05/2014-228508, CS 16868/2014, SEZ. AG, AVV. SERGIO FIORENTINO 1. Premessa Con la nota in riferimento, si chiede di conoscere lavviso della scrivente in ordine alleventuale coinvolgimento di codesta Autorit nelle attivit di esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato del 22 febbraio 2013, n. 1110, anche alla luce dellinterpretazione contenuta nella successiva sentenza 19 marzo 2014, n. 1345, resa in sede di ottemperanza, con la quale il Consiglio di Stato: -ha disposto che Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e lUfficio per la regolazione dei servizi ferroviari diano integrale esecuzione al giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 1110 del 22 febbraio 2013, adottando gli atti necessari nel termine di giorni sessanta dalla notifica della presente sentenza; -ha disposto altres che in caso di ulteriore inadempimento, scaduto il termine di sessanta giorni predetto e su richiesta delle parti ricorrenti, alle necessarie incombenze provveda il commissario ad acta, qui nominato nella persona del segretario generale dellAutorit di regolazione dei trasporti, con facolt di subdelega a dirigente del proprio ufficio, con espressa facolt di procedere anche alleventuale annullamento in autotutela dei provvedimenti emessi dopo la ricezione della richiesta di provvedere. *** 2. La vicenda processuale. La controversia che ha dato luogo alle citate sentenze stata incardinata da alcune imprese ferroviarie che esercitano il trasporto merci in Italia ... (dora in poi, collettivamente, gli operatori ferroviari) attraverso limpugnazione del decreto ministeriale 11 luglio 2007, n. 92T, adottato dal Ministero dei trasporti (in prosieguo il Ministero), nella parte in cui esso stabiliva che lapplicabilit del criterio del canone daccesso denominato K2 (c.d. sconto K2) sul canone di utilizzo dellinfrastruttura ferroviaria, disciplinato dal precedente D.M. n. 44T del 22 marzo 2000, fosse condizionata alleffettiva corresponsione dei contributi statali al gestore dellinfrastruttura. La rete ferroviaria nazionale gestita da Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (in prosieguo, R.F.I.), societ interamente controllata dalla holding pubblica Ferrovie dello Stato S.p.A., la quale controlla anche Trenitalia S.p.A., principale operatore ferroviario nazionale. R.F.I. tenuta a concedere laccesso allinfrastruttura ferroviaria alle imprese ferroviarie nazionali ed europee che lo richiedano per il trasporto merci, sulla base di criteri non discriminatori, dietro il pagamento di un canone di accesso. Il rapporto tra R.F.I. e le singole imprese ferroviarie regolato da contratti di servizio individualmente negoziati, disciplinati dal diritto privato. Con il gi citato D.M. n. 44T del 22 marzo 2000, si stabilito che il canone dovuto dalle imprese ferroviarie avrebbe dovuto tenere conto del criterio di computo denominato K2, ossia di uno sconto giustificato dal fatto che larretratezza tecnologica e le insufficienze tecniche che caratterizzavano il regime di utilizzo della rete, rendendo impossibile il ricorso a convogli con un solo macchinista (c.d. ad agente unico), determinavano iniqui costi supplementari per le imprese ferroviarie. Sul presupposto che lo sconto K2 dovesse gravare economicamente sullo Stato - quale onere di servizio pubblico - e non sul gestore dellinfrastruttura, sono state previste idonee compensazioni economiche in favore di R.F.I. nel Contratto di programma 2001/2005, ossia nello strumento che ha regolato i rapporti di finanziamento tra lo Stato e il gestore dellinfrastruttura ferroviaria per tale periodo. Nellanno 2005, in vista dellesaurimento di tale provvista finanziaria, R.F.I. ha contestato di dover continuare ad accordare lo sconto, ritenendo che lobbligo verso le imprese fosse giuridicamente condizionato dallesistenza di un idoneo finanziamento statale. Ne insorto un primo contenzioso tra R.F.I. e gli operatori ferroviari: questi ultimi hanno proposto ricorso amministrativo, ai sensi dellart. 37 del D.lgs n. 188 del 2003, allUfficio per la regolamentazione dei servizi ferroviari (URSF) che, con provvedimento del 20 gennaio 2006, ha imposto a R.F.I. di continuare ad applicare lo sconto K2, nei termini gi definiti, fino al realizzarsi delle condizioni oggettive per ladozione del modulo di condotta ad agente unico ovvero fino a uneventuale modifica della disciplina relativa allerogazione dello sconto medesimo. Nel contempo, lURSF ha intimato agli operatori ferroviari di dotare i propri locomotori dei cc.dd. sottosistemi di bordo, necessari per lattivazione del modulo di condotta ad agente unico, secondo quanto previsto dal Sistema di controllo della marcia del treno (imperniato, per lappunto, sullinterazione tra sottosistemi di bordo e di terra). R.F.I. ha impugnato il provvedimento dellURSF dinnanzi al T.A.R. del Lazio e il giudizio tuttora pendente con il numero 2792/2006 di R.G. Mette conto evidenziare che, in seno a tale ricorso, R.F.I. aveva proposto istanza cautelare, che il Tribunale ha rigettato in quanto, tra laltro, il ricorso incentrandosi sulla corrispettivit tra lapplicazione dello sconto K2 e la corresponsione del contributo statale si risolveva in una pretesa di finanziamento di cui si lamenta lesaurimento. Lerroneit dellinterpretazione di R.F.I., sulla base del quadro normativo e regolamentare allepoca esistente, stata ribadita dallURSF in un successivo provvedimento del 30 marzo 2007, nel quale si dava atto che linterpretazione data dal Gestore ... [] da ritenersi errata e non pu pertanto incidere sui rapporti contrattuali presenti e futuri, dovendosi escludere che vi fosse connessione tra la materia dello sconto ed i finanziamenti erogati dallo Stato al Gestore, posto che tale connessione pu essere prevista solo con modifiche al D.M. 44T del 2000 o provenienti da fonti di livello superiore. Anche tale provvedimento stato impugnato da R.F.I. dinnanzi al T.A.R. del Lazio: il conseguente procedimento tuttora pendente con il numero 4775/2007 di R.G. In questo contesto stato adottato il decreto ministeriale n. 92T dell11 luglio 2007, oggetto della sentenza ora posta in esecuzione. Il decreto, allarticolo 1, stabiliva che (l)applicabilit dello sconto sul canone di utilizzo dellinfrastruttura ferroviaria previsto dal decreto ministeriale 44/T del 22 marzo 2000 resta in ogni caso condizionata alla effettiva corresponsione di appositi contributi da parte dello Stato al Gestore dellinfrastruttura in assenza dei quali non sussiste alcun obbligo da parte del Gestore medesimo di applicare il predetto sconto n il diritto da parte delle Imprese ferroviarie a rivendicarne lapplicazione e che, conseguentemente, il presupposto di applicazione dello sconto K2 da ritenersi venuto meno a partire dal 1 gennaio 2006, ossia dallepoca della prima scadenza del Contratto di programma 2001/2005, atteso che nel IV Addendum a tale contratto non era stato previsto, per lanno 2006 e per gli anni successivi, alcun contributo statale riferito allo sconto K2 medesimo. Si vede, quindi, come il decreto - oltre a sospendere la concessione dello sconto K2 per il futuro - si proponeva di incidere anche sulla spettanza dello sconto medesimo per i periodi pregressi, utilizzando, in buona sostanza, la tecnica dellinterpretazione autentica del precedente D.M. del 2000 (1). In data 15 ottobre 2007, lURSF ha adottato un provvedimento del tutto consequenziale, nel quale prendeva atto dellassetto determinato dal nuovo decreto ministeriale. Con separati ricorsi, poi riuniti, gli operatori ferroviari hanno impugnato il decreto ministeriale del 2007 e il consequenziale provvedimento dellURSF. Con sentenza n. 1110 del 2013, Il Consiglio di Stato confermando la decisione del T.A.R. del Lazio, ha annullato i due suddetti provvedimenti, ritenendo, tra laltro: -che il Ministero ha in realt introdotto una disciplina che non rimuove precedenti ambiguit nel contesto dell interpretato D.M. 22 marzo 2000 n. 44/T, ma che ha inammissibilmente integrato lordinamento mediante disposizioni innovative con effetto retroattivo; - che, in ogni caso - e, dunque, anche volendo avere riguardo ai soli effetti futuri del decreto - era stata omessa ... lacquisizione, pur dovuta ex lege, di un nuovo parere del C.I.P.E., nonch dellintesa con la Conferenza permanente (1) Lultima delle premesse al decreto recita, infatti, (r)itenuto che, in presenza di dubbi interpretativi circa la portata delle disposizioni contenute nel richiamato decreto ministeriale 44/T del 22 marzo 2000, sia opportuno procedere alla precisazione delle corrette modalit applicative del decreto medesimo. per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza: e ci proprio nella riscontrata natura non interpretativa, ma innovativa del provvedimento. La sentenza concludeva con laffermazione - in parte, come si vedr, contraddetta dal successivo intervento reso dal medesimo Giudice in sede di ottemperanza - secondo la quale non doveva essere esercitata nella specie unulteriore azione amministrativa: la caducazione dei provvedimenti impugnati , per cos dire, automatica, e da essa discende che, essendo gi stata resa al riguardo una pronuncia da parte dellU.R.S.F. impugnata da R.F.I. innanzi al giudice di primo grado sub R.G. 4775 del 2007, ogni conflitto tra le parti nella materia qui trattata dovr essere ivi deciso dal giudice medesimo, ovviamente a prescindere dal contenuto dei provvedimenti qui annullati e solo con riferimento al periodo in cui non era applicabile per la maggior parte delle linee il sistema di guida ad agente unico. Non essendo stata data esecuzione alla sentenza, gli operatori ferroviari hanno nuovamente adito, in sede di ottemperanza, il Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 1345 del 2014, nellaccogliere il ricorso, nei termini gi riportati in Premessa, ha affermato che: -sebbene la sentenza posta in esecuzione avesse posto laccento sul- limmediata caducazione dei provvedimenti de qua, come unico esito necessario del proprio giudizio (...) il contenuto stesso dellazione amministrativa che rimane in tal modo monco, venendo a mancare la definitiva considerazione del canone dovuto dalle imprese ferroviarie ricorrenti. Ci impone la riedizione dellazione amministrativa, proprio come conseguenza dellintervento annullatorio del giudice; -i soggetti passivi della ... decisione, a norma dellart. 111 c.p.c., sono quelli sopra indicati, come desumibili dalla sentenza ottemperanda e dalla domanda delle parti ricorrenti, con lovvia precisazione che leventuale soppressione di uffici (in particolare dellUfficio per la regolazione dei servizi ferroviari a seguito dellentrate in funzione dellAutorit di regolazione dei trasporti) dovr essere valutata secondo gli ordinari criteri della successione nel munus. *** 3. Il quadro normativo. Il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, recante Attuazione della direttiva 2001/12/CE, della direttiva 2001/13/Ce e della direttiva 2001/14/CE, allart. 17, rubricato, Canoni per lutilizzo dellinfrastruttura ferroviaria, dispone: 1. Ai fini dellaccesso e dellutilizzo equo e non discriminatorio dellinfrastruttura ferroviaria da parte delle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del gestore dellinfrastruttura ferroviaria, previo parere del Comitato interministeriale per la programmazione economica e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza, approvata la proposta del gestore per lindividuazione del canone dovuto per laccesso allinfrastruttura ferroviaria nazionale. Il decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit europee. 2. Il gestore dellinfrastruttura ferroviaria, sulla base di quanto disposto al comma 1, calcola il canone dovuto dalle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e dalle imprese ferroviarie per lutilizzo dellinfrastruttura e procede alla riscossione dello stesso 3. 9 (Omissis) 10. Nelle more dellemanazione del decreto di cui al comma 1, della conseguente determinazione dei canoni da parte del gestore dellinfrastruttura e del recepimento delle modalit e termini di calcolo del prospetto informativo della rete, i canoni di utilizzo dellinfrastruttura ferroviaria continuano ad essere calcolati sulla base dei criteri dettati dal D.M. 21 marzo 2000 e dal D.M. 22 marzo 2000 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 94 del 21 aprile 2000, e successive modifiche e integrazioni. 11. Con uno o pi decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, sono definiti il quadro per laccesso allinfrastruttura, i principi e le procedure per lassegnazione della capacit di cui allarticolo 27 del presente decreto, per il calcolo del canone ai fini dellutilizzo dellinfrastruttura ferroviaria e dei corrispettivi dei servizi di cui allarticolo 20 del presente decreto, non ricompresi in quelli obbligatori inclusi nel canone di accesso allinfrastruttura, nonch le regole in materia di servizi di cui al medesimo articolo 20. 11-bis 11-quinquies (Omissis) . Il successivo art. 37, rubricato Organismo di regolazione, del medesimo decreto legislativo, dispone: 1. Lorganismo di regolazione indicato allarticolo 30 della direttiva 2001/14/CE il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o sue articolazioni. Esso vigila sulla concorrenza nei mercati dei servizi ferroviari e agisce in piena indipendenza sul piano organizzativo, giuridico, decisionale e della strategia finanziaria, dallorganismo preposto alla determinazione dei canoni di accesso allinfrastruttura, dallorganismo preposto allassegnazione della capacit e dai richiedenti, conformandosi ai princpi di cui al presente articolo. inoltre funzionalmente indipendente da qualsiasi autorit competente preposta allaggiudicazione di un contratto di servizio pubblico. 1-bis. Ai fini di cui al comma 1, lufficio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che svolge le funzioni di organismo di regolazione dotato di auto nomia organizzativa e contabile nei limiti delle risorse economico-finanziarie assegnate. LUfficio riferisce annualmente al Parlamento sullattivit svolta. 1-ter. Allufficio di cui al comma 1-bis preposto un soggetto scelto tra persone dotate di indiscusse moralit e indipendenza, alta e riconosciuta professionalit e competenza nel settore dei servizi ferroviari, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dellarticolo 19, commi 4, 5-bis, e 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. La proposta previamente sottoposta al parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro 20 giorni dalla richiesta. Le medesime Commissioni possono procedere allaudizione della persona designata. Il responsabile dellUfficio di cui al comma 1-bis dura in carica tre anni e pu essere confermato una sola volta. La carica di responsabile dellufficio di cui al comma 1-bis incompatibile con incarichi politici elettivi, n pu essere nominato colui che abbia interessi di qualunque natura in conflitto con le funzioni dellufficio. A pena di decadenza il responsabile dellufficio di cui al comma 1-bis non pu esercitare direttamente o indirettamente, alcuna attivit professionale o di consulenza, essere amministratore o dipendente di soggetti pubblici o privati n ricoprire altri uffici pubblici, n avere interessi diretti o indiretti nelle imprese operanti nel settore. Lattuale Direttore dellUfficio resta in carica fino alla scadenza dellincarico. 2. Lorganismo di regolazione collabora con gli organismi degli altri Paesi membri della Comunit europea, scambiando informazioni sulle proprie attivit, nonch sui princpi e le prassi decisionali adottati, al fine di coordinare i rispettivi princpi decisionali in mbito comunitario. 3. Salvo quanto previsto dallarticolo 29 in tema di vertenze relative al- lassegnazione della capacit di infrastruttura, ogni richiedente ha il diritto di adire lorganismo di regolazione se ritiene di essere stato vittima di un trattamento ingiusto, di discriminazioni o di qualsiasi altro pregiudizio, in particolare avverso decisioni prese dal gestore dellinfrastruttura o eventualmente dallimpresa ferroviaria in relazione a quanto segue: a) prospetto informativo della rete; b) procedura di assegnazione della capacit di infrastruttura e relativo esito; c) sistema di imposizione dei canoni di accesso allinfrastruttura ferro- viaria e dei corrispettivi per i servizi di cui allarticolo 20; d) livello o struttura dei canoni per lutilizzo dellinfrastruttura e dei cor rispettivi per i servizi di cui allarticolo 20; e) accordi per laccesso di cui allarticolo 6 del presente decreto; f) [soppresso]. 4. Lorganismo di regolazione, nellՈmbito dei propri compiti istituzionali, ha facolt di chiedere al gestore dellinfrastruttura, ai richiedenti e a qualsiasi altra parte interessata, tutte le informazioni che ritiene utili, in par ticolare al fine di poter garantire che i canoni per laccesso allinfrastruttura ed i corrispettivi per la fornitura dei servizi di cui allarticolo 20, applicati dal gestore dellinfrastruttura, siano conformi a quanto previsto dal presente decreto e non siano discriminatori. Le informazioni devono essere fornite senza indebiti ritardi. 5. Con riferimento alle attivit di cui al comma 3, lorganismo di regolazione decide sulla base di un ricorso o eventualmente dufficio e adotta le misure necessarie volte a porre rimedio entro due mesi dal ricevimento di tutte le informazioni necessarie. Fatto salvo il comma 7, la decisione dellorganismo di regolazione vincolante per tutte le parti cui destinata. 6. In caso di ricorso contro un rifiuto di concessione di capacit di infrastruttura o contro le condizioni di una proposta di assegnazione di capacit, lorganismo di regolazione pu concludere che non necessario modificare la decisione del gestore dellinfrastruttura o che, invece, essa deve essere modificata secondo gli orientamenti precisati dallorganismo stesso. 6-bis. Lorganismo di regolazione, osservando, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689, provvede: a) d) (Omissis) 7. 8 (Omissis) . Si vede, quindi, come nel sistema delineato dal D.lgs n. 188 del 2003, con il quale sono state recepite le direttive del c.d. primo pacchetto ferroviario, le competenze proprie dellorganismo di regolazione venivano svolte da un ufficio del Ministero, il cui funzionamento era circondato da particolari garanzie normative che ne assicuravano lautonomia e limparzialit (lURSF), il quale aveva, tra laltro, il compito di dirimere in via amministrativa le controversie tra imprese ferroviarie e gestore dellinfrastruttura ferroviaria, vertenti sulla misura dei canoni di accesso allinfrastruttura medesima (ivi compresa, quindi, la questione dellapplicabilit dello sconto K2). Limporto di tali canoni era determinato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nel rispetto del procedimento previsto dallart. 17, comma 1 e dei criteri eventualmente definiti da un diverso decreto del Ministro, previsto dal comma 11 del medesimo art. 17. Occorre, ora, verificare la tenuta di tale quadro regolatorio (risultante da disposizioni non espressamente novellate), alla stregua: (i) della sua compatibilit con il diritto dellUnione europea, principalmente alla luce della sentenza della Corte di giustizia dellUnione europea del 3 ottobre 2013, resa nella causa C-369/11, Commissione europea/Repubblica italiana, vertente su una procedura di infrazione contro lItalia, appunto per scorretto recepimento delle direttive del primo pacchetto ferroviario; (ii) delle sopravvenute novit legislative e, in particolare, di quelle che hanno messo capo alla costituzione della nuova Autorit di regolazione dei trasporti (art. 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214). Sotto il primo profilo, viene in considerazione lart. 17, commi 1 e 2, del D.Lgs n. 188 del 2003, nella parte in cui affida ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la determinazione dei canoni di accesso allinfrastruttura ferroviaria, riservando al gestore della medesima compiti di mera liquidazione degli importi dovuti. Ora, la Corte di giustizia, nella richiamata sentenza del 3 ottobre 2013, ha chiarito che ai sensi dellarticolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/14, [i]l gestore dellinfrastruttura determina i diritti dovuti per lutilizzo dellinfrastruttura e procede alla loro riscossione mentre dalla formulazione del decreto legislativo n. 188/2003, in particolare del suo articolo 17, emerge chiaramente che la determinazione del diritto deve avvenire di concerto con il Ministro, e che la decisione di questultimo pu vincolare il gestore (punto 45) e che () pur vero che, come sostenuto dalla Repubblica italiana, il Ministro esercita un mero controllo di legittimit in materia. Tuttavia, in base al sistema istituito dalla direttiva 2001/14, un simile controllo di legittimit dovrebbe spettare allorganismo di regolamentazione, nel caso di specie lURSF, e non al Ministro. Di conseguenza, dato che la decisione del Ministro riguardante la fissazione dei diritti di accesso allinfrastruttura vincola il gestore dellinfrastruttura, se ne deve concludere che la normativa italiana non consente di garantire lindipendenza di questultimo. Pertanto, tale normativa non soddisfa, sotto tale profilo, i requisiti di cui allarticolo 4, paragrafo 1, della suddetta direttiva (punto 46). Per tali ragioni, la Corte ha accolto il pertinente motivo di ricorso proposto dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana, vertente sul mancato riconoscimento della necessaria indipendenza del gestore dellinfrastruttura nella determinazione dei canoni di utilizzo della medesima. Dunque, ricordato che le sentenze della Corte di giustizia si collocano tra le fonti del diritto dellUnione europea, ne emerge un regime nel quale: -i canoni per lutilizzo dellinfrastruttura sono determinati autonomamente dal gestore; -allorganismo di regolamentazione (allepoca lURSF, oggi, come si vedr, lAutorit di regolazione dei trasporti) sono riservate funzioni di vigilanza. pur vero che la Corte di giustizia si pronunciata avendo come riferimento una precedente versione dellart. 17, comma 1, del D.Lgs n. 188 del 2003 (2); tuttavia appare quanto meno dubbio che la nuova formulazione - pur (2) Tale comma, anteriormente alle modifiche introdotte dallart. 24 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, recitava: Ai fini dellaccesso e dellutilizzo equo e non discriminatorio dellinfrastruttura ferroviaria da parte delle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, con decreto del Ministro delle infrastrut riservando al gestore dellinfrastruttura espressamente poteri di proposta (Ǐ approvata la proposta del gestore per lindividuazione del canone dovuto) sia idonea a superare i rilievi della Corte di giustizia. Resta da dire che la successiva evoluzione del diritto dellUnione europea ha confermato, sul punto qui rilevante, lassetto dichiarato dalla Corte di giustizia. Si confronti la direttiva 21 novembre 2012, n. 2012/34/UE, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico (c.d. direttiva recast), art. 29, par. 1, comma 3: Il gestore dellinfrastruttura determina i canoni dovuti per lutilizzo dellinfrastruttura e procede alla loro riscossione in conformit del quadro stabilito per limposizione dei canoni e le relative norme. E tale scelta sembrerebbe essere destinata a essere confermata nei futuri recast della direttiva (si confronti la proposta di modifica della direttiva 2012/34/UE presentata dalla Commissione europea il 30 gennaio 2013, n. COM(2013) 29 final). Sotto il secondo profilo, viene in rilievo lart. 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, con il quale, come gi anticipato, stata istituita lAutorit di regolazione dei trasporti e ne sono state disciplinate le funzioni, destinate a essere esercitate dallAutorit medesima a decorrere dalla sua piena operativit (condizione poi realizzatasi il 15 gennaio 2014). Con tale articolo, rubricato Liberalizzazione del settore dei trasporti, nel testo modificato dallart. 36, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con mod., dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, si stabilito quanto segue: 1. Nellambito delle attivit di regolazione dei servizi di pubblica utilit di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481, istituita lAutorit di regolazione dei trasporti, di seguito denominata Autorit, la quale opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione. (Omissis) LAutorit competente nel settore dei trasporti e dellaccesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori, in conformit con la disciplina europea e nel rispetto del principio di sussidiariet e delle competenze delle regioni e degli enti locali di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione. LAutorit esercita le proprie competenze a decorrere dalla data di adozione dei regolamenti di cui allarticolo 2, comma 28, della legge 14 novembre 1995, n. 481. AllAutorit si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni orga nizzative e di funzionamento di cui alla medesima legge. 1-bis. 1-ter (Omissis) ture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del gestore dellinfrastruttura ferroviaria, previo parere del Comitato interministeriale per la programmazione economica e dintesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza, stabilito il canone dovuto per laccesso allinfrastruttura ferroviaria nazionale. Il decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit europee. 2. LAutorit competente nel settore dei trasporti e dellaccesso alle relative infrastrutture ed in particolare provvede: a) a garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, lefficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali, fatte salve le competenze dellAgenzia per le infrastrutture stradali e autostradali di cui allarticolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonch in relazione alla mobilit dei passeggeri e delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche collegata a stazioni, aeroporti e porti; b) a definire, se ritenuto necessario in relazione alle condizioni di concorrenza effettivamente esistenti nei singoli mercati dei servizi dei trasporti nazionali e locali, i criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti delle tariffe, dei canoni, dei pedaggi, tenendo conto dellesigenza di assicurare lequilibrio economico delle imprese regolate, lefficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i consumatori; c) a verificare la corretta applicazione da parte dei soggetti interessati dei criteri fissati ai sensi della lettera b); d) a stabilire le condizioni minime di qualit dei servizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio pubblico, individuate secondo caratteristiche territoriali di domanda e offerta; e) h) (Omissis) i) con particolare riferimento allaccesso allinfrastruttura ferroviaria, a svolgere tutte le funzioni di organismo di regolazione di cui allarticolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, e, in particolare, a definire i criteri per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dellinfrastruttura e i criteri di assegnazione delle tracce e della capacit e a vigilare sulla loro corretta applicazione da parte del gestore dellinfrastruttura; l) lAutorit, in caso di inosservanza di propri provvedimenti o di mancata ottemperanza da parte dei soggetti esercenti il servizio alle richieste di informazioni o a quelle connesse alleffettuazione dei controlli, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti non siano veritieri, pu irrogare sanzioni amministrative pecuniarie determinate in fase di prima applicazione secondo le modalit e nei limiti di cui allarticolo 2 della legge 14 novembre 1995, n. 481. Lammontare riveniente dal pagamento delle predette sanzioni destinato ad un fondo per il finanziamento di progetti a vantaggio dei consumatori dei settori dei trasporti, approvati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti su proposta dellAutorit. Tali progetti possono beneficiare del sostegno di altre istituzioni pubbliche nazionali e europee; m) (Omissis) n) (Omissis) 3. Nellesercizio delle competenze disciplinate dal comma 2 del presente articolo, lAutorit: a) pu sollecitare e coadiuvare le amministrazioni pubbliche competenti allindividuazione degli ambiti di servizio pubblico e dei metodi pi efficienti per finanziarli, mediante ladozione di pareri che pu rendere pubblici; b) determina i criteri per la redazione della contabilit delle imprese regolate e pu imporre, se necessario per garantire la concorrenza, la separazione contabile e societaria delle imprese integrate; c) propone allamministrazione competente la sospensione, la decadenza o la revoca degli atti di concessione, delle convenzioni, dei contratti di servizio pubblico, dei contratti di programma e di ogni altro atto assimilabile comunque denominato, qualora sussistano le condizioni previste dallordinamento; d) richiede a chi ne in possesso le informazioni e lesibizione dei documenti necessari per lesercizio delle sue funzioni, nonch raccoglie da qualunque soggetto informato dichiarazioni, da verbalizzare se rese oralmente; e) se sospetta possibili violazioni della regolazione negli ambiti di sua competenza, svolge ispezioni presso i soggetti sottoposti alla regolazione mediante accesso a impianti, a mezzi di trasporto e uffici; durante lispezione, anche avvalendosi della collaborazione di altri organi dello Stato, pu controllare i libri contabili e qualsiasi altro documento aziendale, ottenerne copia, chiedere chiarimenti e altre informazioni, apporre sigilli; delle operazioni ispettive e delle dichiarazioni rese deve essere redatto apposito verbale; f) ordina la cessazione delle condotte in contrasto con gli atti di regolazione adottati e con gli impegni assunti dai soggetti sottoposti a regolazione, disponendo le misure opportune di ripristino; nei casi in cui intenda adottare una decisione volta a fare cessare uninfrazione e le imprese propongano impegni idonei a rimuovere le contestazioni da essa avanzate, pu rendere obbligatori tali impegni per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare linfrazione; pu riaprire il procedimento se mutano le circostanze di fatto su cui sono stati assunti gli impegni o se le informazioni trasmesse dalle parti si rivelano incomplete, inesatte o fuorvianti; in circostanze straordinarie, ove ritenga che sussistano motivi di necessit e di urgenza, al fine di salvaguardare la concorrenza e di tutelare gli interessi degli utenti rispetto al rischio di un danno grave e irreparabile, pu adottare provvedimenti temporanei di natura cautelare; g) valuta i reclami, le istanze e le segnalazioni presentati dagli utenti e dai consumatori, singoli o associati, in ordine al rispetto dei livelli qualitativi e tariffari da parte dei soggetti esercenti il servizio sottoposto a regolazione, ai fini dellesercizio delle sue competenze; h) favorisce listituzione di procedure semplici e poco onerose per la conciliazione e la risoluzione delle controversie tra esercenti e utenti; i) ferme restando le sanzioni previste dalla legge, da atti amministrativi e da clausole convenzionali, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato dellimpresa interessata nei casi di inosservanza dei criteri per la formazione e laggiornamento di tariffe, canoni, pedaggi, diritti e prezzi sottoposti a controllo amministrativo, comunque denominati, di inosservanza dei criteri per la separazione contabile e per la disaggregazione dei costi e dei ricavi pertinenti alle attivit di servizio pubblico e di violazione della disciplina relativa allaccesso alle reti e alle infrastrutture o delle condizioni imposte dalla stessa Autorit, nonch di inottemperanza agli ordini e alle misure disposti; l) applica una sanzione amministrativa pecuniaria fino all1 per cento del fatturato dellimpresa interessata qualora: 1) i destinatari di una richiesta della stessa Autorit forniscano informazioni inesatte, fuorvianti o incomplete, ovvero non forniscano le informazioni nel termine stabilito; 2) i destinatari di unispezione rifiutino di fornire ovvero presentino in modo incompleto i documenti aziendali, nonch rifiutino di fornire o forniscano in modo inesatto, fuorviante o incompleto i chiarimenti richiesti; m) nel caso di inottemperanza agli impegni di cui alla lettera f) applica una sanzione fino al 10 per cento del fatturato dellimpresa interessata. 4. Restano ferme tutte le altre competenze diverse da quelle disciplinate nel presente articolo delle amministrazioni pubbliche, statali e regionali, nei settori indicati; in particolare, restano ferme le competenze in materia di vigilanza, controllo e sanzione nellambito dei rapporti con le imprese di trasporto e con i gestori delle infrastrutture, in materia di sicurezza e standard tecnici, di definizione degli ambiti del servizio pubblico, di tutela sociale e di promozione degli investimenti. Tutte le amministrazioni pubbliche, statali e regionali, nonch gli enti strumentali che hanno competenze in materia di sicurezza e standard tecnici delle infrastrutture e dei trasporti trasmettono al- lAutorit le delibere che possono avere un impatto sulla concorrenza tra operatori del settore, sulle tariffe, sullaccesso alle infrastrutture, con facolt da parte dellAutorit di fornire segnalazioni e pareri circa la congruenza con la regolazione economica. Restano altres ferme e possono essere contestualmente esercitate le competenze dellAutorit garante della concorrenza disciplinate dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287 e dai decreti legislativi 2 agosto 2007, n. 145 e 2 agosto 2007, n. 146, e le competenze dellAutorit di vigilanza sui contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e le competenze dellAgenzia per le infrastrutture stradali e autostradali di cui allarticolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98. 5. (Omissis) 6. (Omissis) 6-bis. Nelle more dellentrata in operativit dellAutorit, determinata con propria delibera, le funzioni e le competenze attribuite alla stessa ai sensi del presente articolo continuano ad essere svolte dalle amministrazioni e dagli enti pubblici competenti nei diversi settori interessati. A decorrere dalla stessa data lUfficio per la regolazione dei servizi ferroviari (URSF) del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di cui allarticolo 4, comma 1, lettera c), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 dicembre 2008, n. 211, istituito ai sensi dellarticolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, soppresso. Conseguentemente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti provvede alla riduzione della dotazione organica del personale dirigenziale di prima e di seconda fascia in misura corrispondente agli uffici dirigenziali di livello generale e non generale soppressi. Sono, altres, soppressi gli stanziamenti di bilancio destinati alle relative spese di funzionamento. 6-ter. Restano ferme le competenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero delleconomia e delle finanze nonch del CIPE in materia di approvazione di contratti di programma nonch di atti convenzionali, con particolare riferimento ai profili di finanza pubblica. Da tale complessa disposizione, si evince - con riferimento al trasporto ferroviario e, in particolare, a quanto di interesse per la presente vicenda - che lAutorit di regolazione dei trasporti subentrata in tutte le funzioni precedentemente attribuite, dallart. 37 del D.lgs n. 188 del 2003, al soppresso URSF. AllAutorit spettano, pertanto, funzioni di vigilanza sulla concorrenza nei mercati dei servizi ferroviari - dovendo, in tale contesto, essa agire in piena indipendenza, tra laltro, dallorganismo preposto alla determinazione dei canoni di accesso allinfrastruttura (art. 37, comma 1, D.lgs 188/03) nonch poteri di controllo sul sistema di imposizione dei canoni di accesso allinfrastruttura ferroviaria e sul livello o la struttura dei canoni (art. 37, commi 5 e 6, D.lgs 188/03). Tali funzioni derivano allAutorit sia dalla competenza generale a essa attribuita nellintero settore dei trasporti - si confronti lart. 37, comma 2, del d.l. n. 201/11 secondo il quale lAutorit provvede a garantire condizioni accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture di trasporto (lett. a), a definire i criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti dei canoni (lett. b) e a verificare la corretta applicazione da parte dei soggetti interessati dei criteri fissati ai sensi della lettera b (lett. c) - sia dalla speciale previsione, specifica per il trasporto ferroviario, contenuta nella successiva lettera i) del medesimo comma 2, secondo la quale lAutorit competente con particolare riferimento allaccesso allinfrastruttura ferroviaria, a svolgere tutte le funzioni di organismo di regolazione di cui allarticolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188. Si deve aggiungere che il subentro in tali funzioni, con decorrenza dalla piena operativit dellAutorit, non pu ritenersi determinare un fenomeno successorio dellAutorit medesima al Ministero delle infrastrutture e dei tra sporti, sia pure in relazione ai rapporti gi facenti capo allURSF. Come rileva codesta Autorit nella richiesta di parere, infatti, ai fini della successione nei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo allURSF sarebbe stata necessaria una disposizione espressa o, quanto meno, sicuri indici normativi (quali, ad es., il trasferimento dei relativi uffici, del personale, degli affari pendenti, etc.), viceversa non rinvenibili nellart. 37 del d.l. n. 201/2011. Ne consegue che deve escludersi anche la successione automatica nei rapporti processuali, ai sensi dellart. 110 cod. proc. civ. Le fonti normative sopra richiamate consentono di affermare che lAutorit subentrata anche nelle funzioni regolatorie in precedenza attribuite al Ministero dellinfrastrutture e dei trasporti dallart. 17, comma 11, del D.lgs n. 188 del 2003, ossia nella competenza a definire il quadro per laccesso allinfrastruttura, i principi e le procedure per lassegnazione della capacit di [e] per il calcolo del canone ai fini dellutilizzo dellinfrastruttura ferro- viaria. In tal senso depone nuovamente, in particolare, lart. 37, comma 2, lett. i) del d.l. n. 201 del 2011, nella parte in cui stabilisce che lAutorit competente a definire i criteri per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dellinfrastruttura e i criteri di assegnazione delle tracce e della capacit e a vigilare sulla loro corretta applicazione da parte del gestore del- linfrastruttura. Definitiva conferma si ricava, a contrario, dallart. 37, comma 4, del medesimo d.l. n. 201 del 2011, secondo il quale, nellambito dei rapporti con i gestori delle infrastrutture, restano ferme le precedenti competenze delle amministrazioni pubbliche nelle sole materie della sicurezza e standard tecnici, di definizione degli ambiti di servizio pubblico, di tutela sociale e di promozione degli investimenti. senzaltro da escludere, per contro, il subentro dellAutorit nella competenza alla individuazione dei canoni dovuti per lutilizzo dellinfrastruttura ferroviaria, di cui allart. 17, comma 1, del D.lgs n. 188 del 2003. In tal senso militano numerosi argomenti, fra i quali ci si pu limitare a evidenziare: -il ricordato principio del diritto dellUnione europea, secondo il quale spetta al gestore dellinfrastruttura definire, in piena indipendenza, limporto dei canoni, mentre spetta allorganismo di regolamentazione (e dunque, ora, allAutorit) la funzione di vigilanza; - lart. 37, comma 1, del D.lgs n. 188 del 2003, secondo il quale lorganismo di regolamentazione (ora lAutorit) agisce in piena indipendenza (...) dallorganismo preposto alla determinazione dei canoni di accesso allinfrastruttura , dal che si evince che le due competenze non possono essere riunite in capo al medesimo soggetto. Al riguardo, si deve ritenere che la funzione di determinazione dei canoni coincida con quella di individuazione dei medesimi - che lart. 37, comma 1, continua ad affidare al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - e non con quella di calcolo dei canoni stessi, che il successivo comma 2 del medesimo articolo gi attribuisce al gestore dellinfrastruttura (3); -pi in generale, la sicura incompatibilit fra le funzioni di regolazione (a monte) e di vigilanza (a valle) affidate allAutorit e funzioni di amministrazione attiva, quali quelle implicate dalla determinazione dei canoni. Funzioni, queste ultime, sicuramente non attribuite allAutorit, come chiarito - sia pure nel raffronto con le attribuzioni spettanti alle Regioni, ma con argomentazioni estendibili al nostro caso - anche nella sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2013, nella quale la Corte ha affermato che le funzioni conferite allAutorit di regolazione dei trasporti, se intese correttamente alla luce della ratio che ne ha ispirato listituzione, non assorbono le competenze spettanti alle amministrazioni regionali in materia di trasporto pubblico locale, ma le presuppongono e le supportano. Valgono anche in questo caso i principi affermati dalla Corte in una fattispecie analoga: le attribuzioni dellAutorit non sostituiscono n surrogano alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo; esse esprimono una funzione di garanzia, in ragione della quale configurata lindipendenza dellorgano (sentenza n. 482 del 1995). Compito dellAutorit dei trasporti , infatti, dettare una cornice di regolazione economica, allinterno della quale Governo, Regioni e enti locali sviluppano le politiche pubbliche in materia di trasporti, ciascuno nel rispettivo ambito. Del resto la stessa disposizione censurata prevede, al comma 1 dellart. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011, che lAutorit di regolazione dei trasporti sia tenuta al rispetto delle competenze delle Regioni e degli enti locali di cui al Titolo V della parte seconda della Costituzione. Infatti, in relazione alle disposizioni sottoposte allesame della Corte, per quanto riguarda le tariffe, i canoni e i pedaggi, le disposizioni impugnate (lettera b del comma 2 dellart. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011) attribuiscono al- lAutorit il compito di stabilire solo i criteri, mentre resta impregiudicata in capo ai soggetti competenti la determinazione in concreto dei corrispettivi per i servizi erogati. Da ultimo, nessuna competenza pu ritenersi spettare allAutorit con riferimento alla regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e il gestore del- linfrastruttura e, in particolare, alla questione della ricomprensione delleventuale rimborso dello sconto K2 nellambito delle compensazioni per oneri di servizio pubblico, che lo Stato concede al gestore. Come gi ricordato, infatti, ai sensi dellart. 37, comma 4, del d.l. 201 del 2011 restano ferme le precedenti competenze delle amministrazioni pubbliche nella definizione degli ambiti del servizio pubblico e, dunque, anche quelle che presiedono, (3) Ci, sebbene un argomento in senso contrario possa ricavarsi dal tenore dellart. 37, comma 10, del D.lgs n. 188 del 2003, il quale ascrive la funzione di determinazione dei canoni allambito delle attivit demandate al gestore dellinfrastruttura dal precedente comma 2. nellan e nel quantum, alla fissazione delle relative compensazioni. Inoltre, ai sensi del successivo comma 6-ter del medesimo articolo, restano ferme anche le previgenti competenze in materia di approvazione di contratti di programma nonch di atti convenzionali, con particolare riferimento ai profili di finanza pubblica. Ed appunto il contratto di programma lo strumento nel quale sono - o avrebbero eventualmente dovuto essere - previste le compensazioni in esame. *** 4. Lesecuzione delle sentenze del Consiglio di Stato. Sulla base del quadro fattuale e normativo sopra descritto possibile individuare, ad avviso della scrivente Avvocatura, i soggetti chiamati a dare esecuzione alle sentenze in esame. Si visto che la sentenza resa nel giudizio di cognizione ha ritenuto che la misura dei canoni dovuti dagli operatori ferroviari, ivi compreso limporto dello sconto K2, dovesse essere determinata sulla base del D.M. n. 44T del 22 febbraio 2000, in quanto lannullamento del successivo D.M. n. 92T dell11 luglio 2007 impediva che questo producesse effetti sia nella direzione di interpretazione autentica del precedente decreto, sia nella direzione in cui si proponeva di innovarne il contenuto precettivo. La sentenza resa in sede di ottemperanza ha, tuttavia, inequivocabilmente affermato che lintervento annullatorio del Giudice della cognizione impone la riedizione dellattivit amministrativa. Ci, sebbene lart. 17, comma 10, del D.lgs n. 188 del 2003 - e, lo si noti, in una versione modificata dallart. 62 della legge 23 luglio 2009, cio in epoca successiva a quella in cui, come si vedr, erano certamente venute meno le condizioni per la concessione dello sconto K2 - disponga che (n)elle more dellemanazione del decreto di cui al comma 1, della conseguente determinazione dei canoni da parte del gestore dellinfrastruttura e del recepimento delle modalit e termini di calcolo del prospetto informativo della rete, i canoni di utilizzo dellinfrastruttura ferroviaria continuano ad essere calcolati sulla base dei criteri dettati dal D.M. 21 marzo 2000 e dal D.M. 22 marzo 2000 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 94 del 21 aprile 2000, e successive modifiche e integrazioni. Tanto premesso, si pu astrattamente ipotizzare che lulteriore attivit amministrativa, alla quale allude il Giudice dellottemperanza, si debba estrinsecare: (i) in una mera attivit di calcolo dello sconto (ossia dei canoni al netto di tale sconto), demandata al gestore dellinfrastruttura, ai sensi dellart. 17, comma 2, del D.Lgs n. 188 del 2003, ovvero (ii) nellattivit di individuazione del canone dovuto, che lart. 17, comma 1, del medesimo D.Lgs n. 188 del 2003 affida a un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (salvo che si ritenga imposta la disapplica zione della disposizione, in attuazione della sentenza del 3 ottobre 2013 della Corte di giustizia dellUnione europea). Lipotesi sub (i) sembra, tuttavia, doversi escludere in quanto, dal tenore letterale dellart. 17, comma 2, del D.Lgs n. 188 del 2003, si evince che lattivit di calcolo dei canoni da parte del gestore dellinfrastruttura deve necessariamente costituire attuazione del decreto di cui al precedente comma 1, con la conseguenza che essa non si pu realizzare a prescindere da tale decreto. In tal senso depone anche il comma 10 del medesimo articolo, attraverso linciso nelle more dellemanazione del decreto di cui al comma 1, della conseguente determinazione dei canoni da parte del gestore dellinfrastruttura. In altre parole, la disciplina normativa non sembra prevedere unattivit di calcolo, da parte del gestore dellinfrastruttura, attuativa dei D.M. del marzo 2000 che, in forza del regime transitorio dellart. 37, comma 10, del D.Lgs n. 188 del 2003, regola attualmente la materia. Fuori da tali argomenti letterali, emerge dal contesto fattuale e dalla vicenda processuale prima descritti, che lulteriore attivit amministrativa al quale si riferisce il Giudice dellottemperanza implica scelte discrezionali che trascendono lattivit di mero calcolo dei canoni. Occorrer, infatti, innanzi tutto accertare lepoca in cui sono venute meno le condizioni per lerogazione dello sconto K2: fatto, questo, che appare pacifico tra tutte le parti e che dovrebbe collocarsi intorno allinizio del 2008, ma che non stato ancora recepito in una fonte idonea a riverberarsi sui rapporti tra il gestore e gli operatori ferroviari. Un simile accertamento certamente non contrasterebbe con il giudicato formatosi sulla sentenza n. 1110/13 del Consiglio di Stato, che pure ha affermato che gli importi spettanti agli operatori ferroviari dovevano essere regolati dal D.M. n. 44T del 22 marzo 2000. Infatti, questo stesso decreto qualificava, allart. 1, come temporaneo lo sconto, enunciando, allart. 2, comma 2, che (l)o sconto viene meno al realizzarsi delle condizioni previste dal comma 1, ossia al momento in cui le condizioni della rete ferroviaria avrebbero consentito la guida di convogli ad agente unico. E la medesima sentenza resa nel giudizio di cognizione afferma, in motivazione, che la disciplina dello sconto K2 certamente ex se transitoria proprio in quanto deputata a sovvenire al disagio proprio del non ancora attivato regime generale della conduzione dei convogli ad agente unico. Si deve, quindi, concludere che lulteriore attivit amministrativa cui si riferisce il Giudice dellottemperanza debba tradursi in modifiche o integrazioni al D.M. n. 44T del 22 marzo 2000, attuate, ora per allora, nellesercizio della competenza di cui allart. 17, comma 1, del D.lgs n. 188 del 2003. La riedizione dellattivit amministrativa implicherebbe, pertanto, ladozione di un decreto ministeriale, con il procedimento previsto dal citato art. 17, comma 1. Sennonch, come pi volte ricordato nel presente parere, , quanto meno, seriamente da dubitarsi della compatibilit di tale norma con il diritto dellUnione europea e, in particolare, con il principio affermato nella sentenza del 13 ottobre 2013 della Corte di giustizia dellUnione europea, secondo il quale la determinazione dei canoni spetta allautonoma responsabilit del gestore. Stante tale situazione, sembrerebbe opportuno che una delle parti interessate allesecuzione della sentenza (Ministero e R.F.I.) promuova incidente di esecuzione, ai sensi dellart. 112 del codice del processo amministrativo. Esula, invece, dallattivit di ottemperanza della sentenza - la quale si limitata a escludere, sulla base delle fonti esistenti, lesistenza di un nesso tra rapporto di provvista, intercorrente tra lo Stato e il gestore dellinfrastruttura, e rapporto di valuta, intercorrente tra il secondo e gli operatori ferroviari - la questione della spettanza, a R.F.I., di compensazioni ulteriori, che implicherebbero nella sostanza un intervento, nuovamente ora per allora, sul contratto di programma vigente pro tempore. Tale questione dovr essere oggetto di distinte determinazioni da parte dei Ministeri competenti, ivi compreso il Ministero delleconomia e delle finanze. Dalla trattazione che precede emerge, a giudizio della scrivente, lestraneit dellAutorit di regolazione dei trasporti alla fase di diretta esecuzione della sentenza, atteso che questa non implica lesercizio di alcuna delle funzioni nelle quali lAutorit medesima subentrata (risolvendosi, come detto, queste ultime in attivit di regolazione e di vigilanza, e non di amministrazione attiva). N pare opportuno il coinvolgimento dellAutorit - invece ipotizzato nelle comunicazioni del gestore dellinfrastruttura inviate alla scrivente - in sedi di concertazione collegiale tra le parti pubbliche delle misure di attuazione in questione. Ci in quanto lAutorit medesima potrebbe essere nuovamente chiamata a pronunciarsi sul risultato della nuova attivit amministrativa, nellesercizio del generale potere previsto dallart. 37, comma 2, lett. c) del d.l. n. 201 del 2011 e di quelli specifici previsti dallart. 37, commi 3 e 6, del D.lgs. n. 188 del 2003. Ci, in particolare, in relazione a eventuali profili rimasti impregiudicati dalla sentenza di merito del Consiglio di Stato e, dunque, a spazi di intervento restituiti alla discrezionalit o allautonomia dei soggetti interessati. La predetta conclusione non appare inficiata dalla scelta del Giudice dellottemperanza di individuare nel Segretario Generale dellAutorit il commissario ad acta, per il caso di ulteriore inottemperanza alla sentenza da parte dei soggetti obbligati, posto che tale nomina si riferisce alla persona fisica preposta allOrgano e non impegna la responsabilit dellAutorit medesima. Sulla questione stato sentito il Comitato Consultivo che si espresso in conformit nella seduta del 22 maggio 2014. Rimborso spese legali a dipendente pubblico nel caso di archiviazione per prescrizione da parte del G.I.P. PARERE 04/06/2014-240745, CS 47105/2013, SEZ. V, AVV. ENRICO DE GIOVANNI In ordine al quesito posto da codesta Avvocatura, concernente la possibilit di concedere il rimborso delle spese legali richiesto da dipendente a fronte di un provvedimento di archiviazione per prescrizione emesso nella fase preliminare di un procedimento penale, si osserva quanto segue. Come noto, la fattispecie di rimborso in esame disciplinata dallart. 18 (rubricato rimborso delle fattispecie di patrocinio legale) del D.L. 25 marzo 1997 n. 67, convertito in L. 135/1997, che cos recita: Le spese legali relative a giudizi per responsabilit civile, penale ed amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con lespletamento del servizio o con lassolvimento di obblighi istituzionali conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilit, sono rimborsate dalle Amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dallAvvocatura di Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'Avvocatura di Stato, possono concedere anticipazione del rimborso salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilit". La ratio della norma, disciplinante il rimborso ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni delle spese legali affrontate per procedimenti giudiziari strettamente connessi all'espletamento dei loro compiti istituzionali, quella di tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome e per conto, ed anche nell'interesse, dell'Amministrazione di appartenenza, sollevando i funzionari pubblici dallonere economico derivante da eventuali conseguenze giudiziarie connesse all'espletamento delle loro attivit istituzionali (si vedano a tal proposito Cons. Stato sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190; Cons. Stato sez. IV, 7 marzo 2005 n. 913; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 23 marzo 2010 n. 1572; TAR Liguria, sez. I, 22 agosto n. 882). Il rimborso da parte dell'amministrazione delle spese legali sostenute dal dipendente si ncora a due presupposti fondamentali: da un lato vi la stretta connessione fra i fatti che hanno dato origine al provvedimento e l'espletamento del servizio e/o l'assolvimento degli obblighi istituzionali, che va ritenuta sussistente quando sia possibile ricondurre l'attivit del pubblico dipendente direttamente all'Amministrazione di appartenenza (la Suprema Corte parla al riguardo di "comunanza di interessi" perseguiti attraverso il reato ipotizzato con quello dell'ente pubblico di appartenenza, che si verifica laddove il fine ultimo perseguito da quest'ultimo avrebbe potuto essere realizzato solo con quella condotta). Il secondo elemento necessario costituito da una pronuncia che escluda la responsabilit; sotto tale profilo il quesito posto da codesta Avvocatura richiede idoneo approfondimento. Nel caso di specie il dipendente pubblico, a fronte di un procedimento penale conclusosi nella fase delle indagini preliminari con ordinanza di archiviazione per prescrizione dei presunti reati ascrittigli, ordinanza pronunciata dal G.I.P. in data 10 gennaio 2013, chiede di poter beneficiare del ristoro delle spese sostenute durante il procedimento. L'Avvocatura distrettuale pone in evidenza la circostanza che il provvedimento di archiviazione intervenuto ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e che il dipendente pubblico non aveva la possibilit giuridica di insistere per ottenere una pronuncia pienamente assolutoria nel merito, non essendo prevista nella fase delle indagini preliminare la facolt di rinunciare ad avvalersi della prescrizione per ottenere la piena assoluzione e non essendo applicabile, comunque, il comma 2 dell'art. 129 citato. Come noto lart. 129 c.p.p. cosi recita: "Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilit. 1. In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non previsto dalla legge come reato ovvero che il reato estinto o che manca una condizione di procedibilit, lo dichiara di ufficio con sentenza. 2. Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta". Codesta Avvocatura osserva esattamente (citando Cass. pen. S.U., 12283/05) che secondo la giurisprudenza l'art. 129 c.p.p. non applicabile nella fase delle indagini preliminari. Si rileva che effettivamente la giurisprudenza di legittimit orientata in senso univoco per siffatta interpretazione; si veda, ex multis, oltre la decisione gi citata, C. Cass. Sez. I, sent. n. 5755 del 27 maggio 1991: "Il momento applicativo dell'obbligo dell'immediata declaratoria di determinate cause di non punibilit collocato dall'art. 129 cod. proc. pen. in "ogni stato e grado del processo" e non gi del "procedimento"; il disposto di tale norma riguarda, quindi, il vero e proprio processo, come esercizio della giurisdizione e, pertanto, durante le indagini preliminari, che appartengono alla fase anteriore, esso non pu trovare applicazione, trovando, invece, applicazione il diverso istituto dell'archiviazione il quale presuppone la necessaria richiesta del P.M.". Da ci discende, secondo codesta Avvocatura, l'opportunit di tenere comunque indenne il dipendente dalle spese processuali ove ricorra il primo requisito richiesto dall'art. 18 sopra ricordato, riconoscendo il diritto al rimborso a fronte di un procedimento penale conclusosi nella fase delle indagini preliminari con archiviazione per prescrizione. Siffatte pur apprezzabili considerazioni non consentono, tuttavia, a giudizio di questo G.U., di superare il puntuale disposto dell'art. 18 citato, con riferimento alla necessit che il giudizio si sia concluso "con sentenza o provvedimento che escluda la ... responsabilit". La norma di cui al citato art. 18, per consolidato indirizzo della giurisprudenza, norma di stretta interpretazione, e deve essere applicata nel senso di rigettare ogni richiesta risarcitoria che non sia suffragata da un provvedimento che escluda qualsiasi profilo di responsabilit del dipendente, risultando applicabile ai soli casi espressamente disciplinati ex lege (si veda ex plurimis Cass. 3 gennaio 2008 n. 2). In questo senso si devono leggere le pronunce anche recenti in subiecta materia della magistratura contabile ed amministrativa (si vedano ad esempio Cons. St. sez. II 21 giugno 2013 n. 2908, in Giustizia Civile, 10, 2256; Cons. St. sez. VI 29 aprile 2005, n. 2041; C. Conti 30 novembre 2010 n. 205; C. Conti 23 aprile 2007 n. 201). La rigorosa interpretazione della citata disposizione deve confermarsi anche nel caso (come quello di cui ci si occupa) in cui la prescrizione del reato venga dichiarata nella fase delle indagini preliminari, giacch una decisone di siffatto tenore non esclude la responsabilit: infatti, poich la disposizione di cui al citato art. 18 attribuisce un vantaggio a carico del dipendente e corrispettivamente un onere economico a carico dell'amministrazione, la sua applicazione deve essere limitata ai soli casi espressamente previsti dalla legge, con esclusione di applicazioni analogiche o estensive. Dunque, giacch nel caso di specie non si rinviene nessuna pronuncia assolutoria nel merito, non potendosi equiparare, sotto il profilo del diritto al rimborso, l'archiviazione nella fase delle indagini preliminari ad una sentenza di assoluzione piena nel merito, l'Amministrazione investita della richiesta dovr respingerla, negando il rimborso. Sul presente parere si espresso in conformit il Comitato Consultivo in data 22 maggio 2014. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT Federalismo fiscale e nuova finanza locale Antonio Tallarida* SOMMARIO: 1. La Finanza locale derivata - 2. Il sistema costituzionale del 1948 - 3. Le tappe dellautonomia finanziaria - 4. Il federalismo municipale e provinciale - 5. Le entrate tributarie - 6. Le entrate extratributarie e demaniali - 7. Le entrate da trasferimenti nazionali -8. Le entrate da trasferimenti comunitari - 9. Le risorse da indebitamento - 10. La giurisprudenza costituzionale e i tributi propri - 11. Conclusioni. 1. La Finanza locale derivata. Il federalismo fiscale la nuova frontiera dellautonomia finanziaria degli Enti locali, dopo decenni di finanza derivata, spesso inutilmente dispendiosa ed finalizzato a raggiungere uneffettiva responsabilizzazione dei diversi livelli di governo attraverso il dimensionamento delle entrate alle reali esigenze di spesa, sotto il diretto controllo delle collettivit di riferimento. Per questo, in materia di finanza locale, occorre respingere la facile tentazione di pensare soprattutto al sistema delle imposte, tasse, compartecipazioni, diritti e altri analoghi balzelli. In realt, il punto di partenza deve essere quello della spesa pubblica da cui discende la necessit di trovare i mezzi materiali per il suo sostentamento da parte dellente locale. stato efficacemente scritto che la spesa il convitato di pietra di tutti i ragionamenti in materia (1). In questa consapevolezza gi si muoveva il R.D. n. 1175 del 1931 (T.U. per la finanza locale) che - ai primi articoli (art. 4-9) - poneva proprio la classificazione delle spese dei Comuni e delle Province, distinguendole in obbligatorie e facoltative. (*) Vice Avvocato Generale. (1) F. BASSO, in Corriere della Sera, 2014, n. 129, pag. 2. A tale proposito, poich la parte predominante delle risorse destinate a coprire le suddette spese era costituita da trasferimenti erariali, si parla correttamente di finanza derivata. Tuttavia, ai Comuni era nominalmente attribuito il potere di istituire ed applicare un gran numero di imposte, tasse, contributi e diritti. Si andava cos dalle imposte di consumo su generi alimentari (bevande, carni, pesce, dolciumi, formaggi) e diversi (profumi, gas ed energia elettrica, materiali di costruzione, mobili e pellicce), allimposta sul valore locativo delle abitazioni, dallimposta di famiglia allimposta sul bestiame e sui cani, da quelle sulle vetture e i domestici a quelle sui pianoforti e biliardi, dallimposta sullindustria, commercio, professioni, arti e mestieri allimposta di soggiorno e cura e allimposta di licenza, fino alle tasse di occupazione di spazi e aree pubbliche, di circolazione, di smaltimento dei residui solidi urbani, ai contributi di miglioria generica e specifica e di fognatura, alla sovrimposta fondiaria, ai diritti su pesi e misure, oltre alle varie tariffe per i servizi municipalizzati. Ma il raggiungimento di una vera autonomia finanziaria era ancora un obiettivo lontano. 2. Il sistema costituzionale del 1948. Nemmeno la Costituzione ha originariamente previsto in modo espresso lautonomia finanziaria degli Enti locali, limitandosi a riconoscerla solo alle Regioni ordinarie e a prevedere che le leggi della Repubblica coordinano la finanza regionale con quella dello Stato, delle Province e dei Comuni (art. 119, testo originario, Cost.). Peraltro, i successivi articoli 128-130 Cost., relativi a detti Enti, qualificavano Comuni e Province come enti autonomi e di decentramento amministrativo, nellambito delle leggi della Repubblica che ne stabiliscono le funzioni. Era il segnale di un cambio rispetto al recente passato, un significativo ritorno alle tradizionali autonomie municipali, iniziato gi con la modifica del T.U. com. e prov. del 1934 e il recupero di parte di quello del 1915. Un forte spirito autonomistico gi permeava invece gli statuti delle Regioni a ordinamento speciale, approvati con le coeve leggi cost. n. 2, 3, 4 e 5 del 1948. In particolare quello della Regione Siciliana allart. 36 attribu alla regione unampia autonomia finanziaria, stabilendo che al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della regione a mezzo di tributi deliberati dalla medesima; quello della Regione Sardegna assegn alla regione una propria finanza (art. 7) e altri tributi propri che la regione ha facolt di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato (art. 8, lett. h); quello della Regione Valle dAosta stabil che La Valle pu istituire proprie imposte e sovrimposte osservando i principi dellordinamento tributario vigente (art. 12). Una spiccata autonomia finanziaria riconosciuta anche alla Regione Trentino-Alto Adige e alla Regione Friuli-Venezia Giulia. 3. Le tappe dellautonomia finanziaria. Listituzione delle Regioni, avvenuta a seguito dellapprovazione della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per lattuazione delle regioni ordinarie) e il conseguente dibattito federalista, sviluppatosi specie negli anni 80-90, portarono ad una prima riforma dellordinamento degli E.L., con lapprovazione della L. 4 giugno 1990, n. 142 (ordinamento delle autonomie locali) che, per la prima volta, riconosceva a Comuni e Province, oltre allautonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa, anche quella impositiva e finanziaria, nellambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica (art. 2). Il successivo art. 54 stabiliva che la finanza dei comuni e delle province era costituita da imposte proprie, addizionali a imposte erariali o regionali, tasse e diritti per servizi pubblici, trasferimenti erariali e regionali, entrate patrimoniali, risorse per investimenti, speciali contributi statali per situazioni eccezionali. Queste entrate dovevano essere destinate a finanziare i servizi pubblici necessari e indispensabili, mentre per la realizzazione di opere pubbliche di preminente interesse sociale ed economico era previsto un fondo nazionale ordinario accanto ad un fondo nazionale speciale perequativo per opere pubbliche definite dalla legge statale. Con la successiva legge 23 ottobre 1992, n. 421 fu data delega per la revisione, tra laltro, della finanza territoriale (art. 4). Ad essa seguirono alcuni provvedimenti attuativi, costituiti dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (riordino della finanza locale), istitutivo dellICI, e attributivo ai Comuni della tassa sulla raccolta dei rifiuti solidi urbani (TARSU), dellimposta provinciale per liscrizione dei veicoli al PRA e di tre fondi di trasferimenti erariali (ordinario, consolidato e perequativo) variamente alimentati (addizionale energia elettrica, contributi statali, ecc.) e dal d.lgs. 30 dicembre 1993, n. 507, istitutivo della tassa per loccupazione di aree pubbliche (TOSAP) e dellimposta sulla pubblicit. Unulteriore spinta in senso autonomista fu impressa dalla legge finanziaria per il 1997 (L. 23 dicembre 1996, n. 662), con delega per il riordino dei tributi locali (art. 3, commi 143-152), attuata con il d.lgs. n. 446 del 1997, istitutivo dellIRAP, dellILOR e dellIPT e attributivo ai Comuni e alle Province del potere di regolamentare le proprie entrate (ad eccezione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e delle aliquote massime) indispensabile per la disciplina dei propri tributi (art. 52) e con il d.lgs. n. 244 del 1997, di riordino del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali (fondo ordinario per le province e i comuni, fondo per le comunit montane, fondo consolidato, fondo per la perequazione e gli incentivi, fondi nazionale ordinario e speciale per gli investimenti, fondo per lo sviluppo degli investimenti degli enti locali). Nonostante i progressi compiuti sulla via dellautonomia finanziaria, si restava sostanzialmente nellambito della finanza derivata, per la forte prevalenza dei trasferimenti statali rispetto alle entrate proprie. Si pensi che il solo fondo ordinario per i Comuni e le Province ammontava a lire 16.646 miliardi e 900 milioni (art. 1, c. 1, lett. b), cui dovevano aggiungersi le varie migliaia o centinaia di miliardi degli altri fondi. Come curiosit, pu ricordarsi che nel fondo consolidato erano gi previsti contributi per le nuove province e per il Comune di Roma quale concorso dello Stato agli oneri di Capitale della Repubblica (art. 1, c. 4, lett. f, d.lgs. n. 244 del 1997). Su tale processo, hanno esercitato una significativa influenza la riforma Bassanini (L.n. 59/1997) e i successivi decreti attuativi (specie il d.lgs. n. 112 del 1998), che hanno mutato il volto dello Stato, attraverso un forte decentramento amministrativo (unico attuabile a Costituzione invariata) operato con conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato a Regioni, Province, Comuni e Citt metropolitane. La legge ha avuto anche laccortezza di prevedere che tale conferimento doveva essere accompagnato (ed avere decorrenza) dal trasferimento effettivo delle risorse necessarie per il loro esercizio (art. 7), determinate secondo il criterio della spesa storica. La riforma del TUEL, approvata con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ha ancora una volta revisionato le funzioni di Comuni e Province e riconosciuto loro nellambito della finanza pubblica, autonomia finanziaria fondata su certezza di risorse proprie e trasferite (art. 149, comma 2). Queste dovevano essere costituite da: imposte proprie, addizionali e compartecipazioni a imposte erariali e regionali, tasse e diritti per servizi pubblici, trasferimenti erariali e regionali, altre entrate proprie, anche di natura patrimoniale, risorse per investimenti. Erano contemplati inoltre contributi statali per fronteggiare situazioni eccezionali e due fondi nazionali (ordinario per contribuire ad oo.pp., e perequativo), nonch finanziamenti regionali specifici. Il testo unico detta anche norme in materia di ordinamento finanziario e contabile, fissando i principi di programmazione, gestione, rendicontazione, e di revisione del bilancio (art. 150 e ss.). Tuttavia, il sistema cos costruito faticava a funzionare perch il parziale ampliamento dellautonomia impositiva (in parte compensato in negativo dalla riduzione dei trasferimenti erariali) non riusciva a supportare adeguatamente la rilevante crescita delle funzioni conferite agli Enti locali e la fame endemica di questi. Era necessaria una svolta decisiva. 4. Il federalismo municipale e provinciale. Questa svolta si avuta con la modifica costituzionale del Titolo V, ap provata con L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, che ha dato dignit costituzionale alla riforma Bassanini e posto le basi costituzionali del federalismo fiscale, riscrivendo lart. 119 Cost. Il nuovo testo, come integrato dalla L. cost. n. 1 del 2012, contiene le seguenti disposizioni fondamentali: -I Comuni, le Province, le Citt Metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dellequilibrio dei relativi bilanci e concorrono allosservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dallordinamento dellU.E. -Essi hanno risorse autonome, costituite da tributi ed entrate propri e dispongono di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibile al loro territorio. -Un fondo perequativo erariale, senza vincolo di destinazione, riservato per i territori con minore capacit fiscale. -Per finalit specifiche (sviluppo, coesione e solidariet sociale, riequilibrio economico-sociale, diritti alla persona o scopi diversi) lo Stato pu destinare risorse aggiuntive e interventi speciali in determinati territori. -I Comuni e le Province hanno un proprio patrimonio e possono ricorrere allindebitamento ma solo per finanziare spese di investimento, senza garanzia statale. Le funzioni da finanziare con dette risorse sono quelle attribuite a tali enti e menzionate nei precedenti articoli 117, 2 comma, lett. p) e 118 Cost. (funzioni proprie, fondamentali e conferite). Inoltre il nuovo art. 81 Cost., come sostituito dalla l. cost. n. 1 del 20 aprile 2012 ha prescritto che Lo Stato assicura lequilibrio tra le entrate e le spese del bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico, principi questi espressamente estesi anche ai bilanci degli Enti Locali, con L. 24 dicembre 2012, n. 243. La legge La Loggia 5 giugno 2003, n. 131 (adeguamento dellordinamento della Repubblica alla legge cost. n. 3/2001), mentre conteneva la delega per la individuazione delle funzioni fondamentali di comuni, province e citt metropolitane (art. 2), nonch la disciplina della potest normativa degli enti locali (art. 3) e le modalit di conferimento a detti enti delle funzioni amministrative (art. 7), non ha potuto dare attuazione ai principi di autonomia finanziaria. Un punto a favore del federalismo municipale stato per segnato dallart. 1, commi 145-149, della Legge Finanziaria 2007 (l. n. 296/2006) che ha autorizzato i Comuni a istituire con proprio regolamento unimposta di scopo destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di opere pubbliche individuate dai comuni nello stesso regolamento. Limposizione di scopo ha infatti il duplice vantaggio di rendere evidente al contribuente il collegamento tra imposta e spesa, consentendo cos un maggior controllo sulloperato dellente, e di obbligare questo a destinare effettivamente il relativo gettito allo scopo prefisso (2). stato per necessario attendere lapprovazione della L. 5 maggio 2009, n. 142 (delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione del- lart. 119 Cost.) prima di poter dare concreta attuazione al dettato costituzionale. Tale legge reca disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (art. 1) e fissa una serie di principi e criteri direttivi, generali (art. 2) e specifici (dallart. 5 al 29), per ladozione dei decreti legislativi, volti a dare attuazione a quello che stato definito un federalismo cooperativo e solidale, attraverso la determinazione delle modalit di finanziamento delle spese relative alle funzioni attribuite a Comuni e Province e larmonizzazione dei rispettivi sistemi contabili (3). Il federalismo fiscale municipale e provinciale cos disciplinato fondato sulla classificazione delle spese, sul superamento del sistema della finanza derivata e sullincremento dellautonomia di spesa e di entrata degli E.L., nel rispetto dei principi di solidariet, riequilibrio territoriale, pareggio di bilancio, coesione sociale e si ispira alle seguenti finalit: -finanziamento delle spese riconducibili allesercizio delle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali con tributi propri, compartecipazioni e addizionali; delle spese riconducibili alle altre funzioni anche con il fondo perequativo basato sulla capacit fiscale per abitante e delle ulteriori spese con i contributi speciali e i finanziamenti europei -superamento del criterio della spesa storica e determinazione dei fabbisogni e costi standard -soppressione dei trasferimenti erariali, salvo quelli previsti dalla Costituzione, di perequazione e per interventi speciali -equilibrio della gestione finanziaria. Ai Comuni riconosciuta una partecipazione allattivit di accertamento tributario e attribuita una quota del maggior gettito derivato e delle sanzioni catastali irrogate e viene previsto linterscambio dei dati informatici (art. 2, c. 10 e 11). Esso inoltre si accompagna alla previsione di meccanismi di premialit e sanzionatori, di un patto di convergenza, dei costi e fabbisogni standard (art. 18), di misure di armonizzazione dei sistemi contabili e di bilancio e di disposizioni in materia di attribuzione e valorizzazione di beni demaniali e patrimoniali (4). Un altro passaggio chiave stato infine segnato dalla individuazione delle funzioni fondamentali da finanziare, effettuata direttamente dallart. 14, (2) A. URICCHIO, Imposizione di scopo e federalismo municipale, Maggioli, 2013. (3) M. NICOLAI, (a cura di), Finanza pubblica e Federalismo, Maggioli, 2012. (4) G. IELO, Il federalismo fiscale municipale, IPSOA, Milano, 2011. comma 27, D.L. n. 78/2010, conv. in L. n. 122/2010, non essendo stata attuata la delega prevista dalla legge La Loggia. A questo punto il quadro degli elementi indispensabili per passare alla concreta attuazione del federalismo fiscale completo. Allattualit sono stati emanati 8 decreti legislativi: n. 85/2010 (patrimonio degli E.L.), n. 216/2010 (costi e fabbisogni standard), n. 23/2011 (federalismo municipale), n. 68/2011 (costi e fabbisogni standard nel settore sanitario; tributi regionali), n. 88/2011 (risorse aggiuntive e interventi speciali), n. 91/2011 (armonizzazione dei sistemi contrabili), n. 118/2011 (bilanci), n. 149/2011 (meccanismi sanzionatori e premiali), oltre a quelli su Roma Capitale, n. 156/2010 e n. 61/2012. Si pu quindi affermare, sulla base della normativa come si venuta assestando, (ancora non del tutto) attraverso la lunga evoluzione dianzi descritta, che la nuova finanza degli Enti Locali oggi costituita da: -entrate tributarie (tributi propri, tasse, addizionali, compartecipazioni) -entrate extratributarie e demaniali -trasferimenti da Stato, Regioni e altri Enti Pubblici -trasferimenti dallUnione Europea -ricorso allindebitamento. 5. Le entrate tributarie. I decreti legislativi n. 23 e n. 68 del 2011 disciplinano il federalismo fiscale municipale e provinciale, pur avendo subito gi notevoli modificazioni. Il quadro sintetico delle entrate tributarie dei Comuni, alla luce del d.lgs. n. 23 del 2011 e delle sue successive modifiche, dato allattualit (2014) da: a) Imposta municipale propria, sulle abitazioni non principali dovute dal proprietario o dal titolare di diritto reale; aliquota ordinaria 0,76%; stessa base imponibile ICI. La legge di stabilit 2014, l. 27 dicembre 2013, n. 147, ha per profondamente modificato questa imposta, trasformandola in imposta unica comunale (IUC), basata su due presupposti (possesso di immobili e fruizione dei servizi comunali) e articolata in tre tributi (IMU, di natura patrimoniale; TASI, per i servizi indivisibili; TARI per il servizio di raccolta dei rifiuti) la cui aliquota massima complessiva non pu superare i limiti prefissati per la sola IMU (10,6 per mille) (art. 1, commi 639 e ss.). Ma ulteriori modifiche sono state apportate dal d.l. n. 16 del 2014, convertito dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, consentendo tra laltro il superamento di detti limiti, per il 2014, in misura non superiore allo 0,8 per mille (art. 1). b) Imposta municipale secondaria, sulla occupazione di aree e spazi pubblici, anche a fini pubblicitari (sostituisce le analoghe precedenti imposte comunali). c) Devoluzione della fiscalit immobiliare, ossia del gettito delle imposte erariali relative ai trasferimenti (registro, ipocatastali, tributi speciali) e alle locazioni (registro, cedolare secca) degli immobili siti nel territorio del Comune e dellIrpef fondiaria (anticipata a decorrere dal 2011). d) Imposta di soggiorno (art. 4), nelle citt capoluogo di provincia, unioni di Comuni, citt turistiche e darte - max 5. e) Imposta di sbarco (art. 4, c. 3 bis), nelle isole minori (esclusi i residenti ed equiparati, i lavoratori e studenti pendolari) - 1,50. f) Imposta di scopo, (art. 6), istituita dalla l. n. 296/2006, per finanziare (sino al 30%) opere pubbliche (trasporto pubblico, strade, arredo urbano, parchi e giardini, beni artistici, spazi culturali, edilizia scolastica straordinaria); aliquota 0,5%, per massimo 10 anni. g) Tassa sui rifiuti: ex TARSU, TIA 1 (con decorrenza 1999), TIA 2 (dal 2010), TARES (2013), TARI componente ora della IUC (l. n. 147/2013). h) Tassa per partecipazione a concorsi comunali (L. n. 240/2000, art. 23) -max 10,33. i) Addizionale comunale allIRPEF, sui redditi dei soggetti con domicilio fiscale nel comune al 1 gennaio dellanno di imposta; aliquota 0,8%. l) Addizionale comunale sui diritti di imbarco su aeromobili (d.l. n. 80/2004); 5,50. La compartecipazione allIVA, stata sospesa per il 2013 e 2014 ex l. n. 228/2012 e abrogata dallart. 1, comma 729, lett. h, l. n. 147/2013. Laddizionale allaccisa sullenergia elettrica stata soppressa dal 2012 (ex art. 2 d.lgs. n. 23/2011). Le entrate fiscali delle Province, come previste dal d.lgs. n. 68/2011 (5), sono allattualit: -imposta sulla RCA -imposta ambientale (stessa base imponibile e soggetti passivi della tassa rifiuti) -imposta provinciale di trascrizione (IPT) sulle formalit al PRA -tassa per loccupazione di spazi e aree pubbliche (TOSAP) -tributo speciale per deposito in discarica (l. n. 549/1995, art. 3) -addizionale provinciale allIRPEF -compartecipazione IRPEF (art. 18 d.lgs. n. 68/2011); aliquota 0,60% (6). La nuova legge sulle Province (n. 56/2014) ha per ridefinito le funzioni delle Province (art. 1, commi 85-91) e dato delega al Governo per ladozione di decreti legislativi in materia di adeguamento della legislazione statale sulle funzioni e sulle competenze dello Stato e degli enti territoriali e di quella sulla finanza e sul patrimonio dei medesimi enti (art. 1, comma 97). (5) S. VILLANI, Il sistema delle entrate delle Province dopo il decreto sul federalismo fiscale, in Il Fisco, 2011, 31, 5030. (6) F. STRADINI, Profili attuali delle compartecipazioni delle regioni e degli enti locali ai tributi statali, in Rass. tributaria, 2012, 1, 183. infatti evidente che al mutamento delle funzioni dovr corrispondere una consistente modifica della finanza provinciale. 6. Le entrate extratributarie e demaniali. Le entrate extratributarie dei Comuni e delle Province non trovano disciplina unitaria nei decreti legislativi sopra richiamati, ma sono catalogate in 5 categorie ai fini contabili (D.P.R. 31 gennaio 1996, n. 194): 1) proventi dei servizi pubblici 2) proventi dei beni dellente 3) interessi su anticipazioni e crediti 4) utili netti delle aziende speciali e partecipate, dividendi di societ 5) proventi diversi. La prima categoria di proventi tradizionalmente distinta in proventi derivanti da servizi pubblici a rilevanza economica e gestiti in regime concorrenziale (es. servizio idrico integrato, gas, energia elettrica, fognature e depurazione, centrali del latte, ecc.) e consistono nelle relative tariffe, variamente determinate, e servizi privi di rilevanza economica, prestati per fini di utilit sociale e, normalmente, a domanda (es., asili nido, case di riposo, diurni, ecc.), il cui costo, nel caso di Enti deficitari, deve essere coperto dai proventi tariffari, in misura non inferiore al 36% del loro costo (art. 243 TUEL). La seconda costituita dai proventi derivanti dallutilizzo dei beni demaniali e indisponibili e dei beni patrimoniali (es. canoni di concessione, canoni di locazione, diritti ecc.). La terza comprende i proventi finanziari, costituiti dagli interessi, premi e altri introiti derivanti da obbligazioni e titoli posseduti dallente. La quarta costituita dagli utili derivanti dalla partecipazione ad aziende pubbliche e dai dividendi societari. La quinta comprende ogni altro provento non classificabile tra i precedenti. Si tratta nel complesso di entrate non particolarmente consistenti, che per potrebbero essere incrementate attraverso lutilizzo delle facolt (alienazioni, valorizzazione dei beni) messe a disposizione dal federalismo demaniale (d.lgs. n. 85/2010 e provvedimenti attuativi) (7). 7. Le entrate da trasferimenti erariali, regionali e di altri E.P. Tali entrate sono state molto penalizzate dalla riforma federalista, tendendo questa ad assicurare lautosufficienza degli enti locali attraverso laumento della loro capacit impositiva. Infatti, il d.lgs. n. 23 del 2011 ha previsto la riduzione dei trasferimenti erariali ai Comuni in misura corrispondente ai tributi devoluti (art. 2, comma (7) A. POLICE, Il federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o dismissioni locali?, in Giornale Dir. Amm., 2010, 12, 1233. 8) e il d.lgs. n. 68 del 2011 ha disposto la soppressione dei trasferimenti statali alle Province (art. 18). Il medesimo d.lgs. n. 68 ha previsto la soppressione dei trasferimenti regionali ai Comuni di parte corrente e in conto capitale (ove non finanziati con il ricorso allindebitamento) (art. 12) e di quelli analoghi alle Province (art. 19). Contestualmente, in applicazione dellart. 119 Cost., stata prevista listituzione di un Fondo perequativo per comuni e province nel bilancio dello Stato, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro svolte (art. 13 d.lgs. n. 23/2011), pi volte in seguito ridotto (v. art. 16, comma 6, d.l. n. 95/2012). Nelle more della istituzione del suddetto fondo stato istituito un fondo sperimentale di riequilibrio statale (art. 2, c. 3, d.lgs. n. 23/2011) e un fondo sperimentale di riequilibrio regionale (art. 12, comma 4, d.lgs. n. 68/2011) della durata di 3 anni. A decorrere dal 2013, il Fondo statale sperimentale per i Comuni stato soppresso e sostituito da un Fondo di solidariet comunale, alimentato in parte da una quota dellimposta municipale propria (l. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 380 e ss.). La dotazione del fondo, a decorrere dal 2015, pari a 6.547.114.923,12 (l. n. 147 del 2013, art. 1, c. 730). Le quote non fiscalizzate dei trasferimenti erariali continuano ad essere corrisposte in base alle disposizioni dellart. 2, comma 45, d.l. n. 225 del 2010 (art. 4, comma 6, d.l. n. 16 del 2012). 8. Le entrate da trasferimenti comunitari. Le entrate rivenienti dalle assegnazioni della U.E. sono particolarmente aumentate con il progressivo espandersi della politica comunitaria di coesione economica e sociale. Si tratta dei fondi strutturali per interventi a favore delle regioni a sviluppo ritardato o delle aree in declino industriale, o del sistema agrario o delloccupazione, e cio del FESR, FSE e di altri strumenti finanziari (FEASR, FEP, FC, FEI), che per gli E.L. spesso non riescono ad impegnare tempestivamente. 9. Le risorse da indebitamento. Si tratta delle entrate derivanti dalleventuale ricorso allindebitamento, per acquisti di beni immobili, di attrezzature o per opere pubbliche. Sulla base del gi citato D.P.R. n. 194 del 1996, esse si distinguono in -anticipazioni di cassa -mutui e prestiti -finanziamenti a breve termine -prestiti obbligazionari. Il loro utilizzo sottoposto a stringenti condizioni e limitazioni. Al riguardo, lart. 119 Cost., come modificato dalla l. cost. n. 1/2012, pre scrive che Comuni, Province e Citt metropolitane possono ricorrere allindebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso deglienti di ciascuna Regione sia rispettato lequilibrio di bilancio. esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti. Tradizionalmente, anche se non pi obbligatoriamente (dopo il d.l. n. 310/1999), gli E.L. si rivolgono per lassunzione di mutui alla Cassa Depositi e Prestiti, oggi societ per azioni, ma possono chiederli anche allINPS, allIstituto per il credito sportivo, a banche o alla BEI. I prestiti obbligazionari consistono nella emissioni di titoli, anche per il finanziamento di una specifica opera pubblica, di durata superiore a 5 anni e interesse non superiore al rendimento lordo degli analoghi titoli di Stato. Il recente d.l. n. 16/2014 ha consentito agli E.L. di derogare ai limiti previsti dal TUEL, per gli anni 2014 e 2015 (art. 5). Fortissime limitazioni infine riguardano il ricorso ai prodotti derivati (su cui v. anche C. Cost., sent. n. 70 del 2012). 10. La giurisprudenza costituzionale e i tributi propri. La Corte Costituzionale ha avuto modo di occuparsi a pi riprese, a seguito della modifica dellart. 119 Cost., del potere impositivo degli Enti Territoriali sottolineando la novit e complessit del sistema di autonomia finanziaria di tali Enti e precisando che esso va coordinato con altre disposizioni della Costituzione. Si tratta in particolare dellart. 117, secondo comma, lett. e) (che attribuisce allo Stato potest legislativa esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie ), terzo comma (che attribuisce alla potest concorrente dello Stato e delle Regioni il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario) e quarto comma (che attribuisce alla potest residuale delle Regioni ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato), nonch dellart. 81 (nuovo testo) (sullobbligo di equilibrio tra le entrate e le spese e di copertura finanziaria di ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri) e dellart. 53 (secondo cui il sistema tributario informato a criteri di progressivit). Infatti, secondo il lungimirante orientamento della Corte, sia lobbligo di equilibrio del bilancio, espresso dallart. 81, primo comma, che quello di copertura delle leggi di spesa si applicano anche alle leggi regionali (sent. n. 26 del 2013 e n. 176 del 2012). Analogamente, la Corte ha affermato che ai sensi dellart. 3, secondo comma, Cost., la progressivit principio che deve informare lintero sistema tributario cui devono ispirarsi anche le Regioni nellesercizio del loro autonomo potere impositivo (sent. n. 2 del 2006). Ci posto, proprio la consapevolezza della novit del sistema ha indotto la Corte a subordinare la sua attuazione alla previa adozione di una legislazione nazionale che consenta il passaggio dallattuale sistema - caratterizzato dalla permanenza di una finanza regionale ancora in non piccola parte derivata cio dipendente dal bilancio statale e da una disciplina statale unitaria di tutti i tributi, con limitate possibilit delle Regioni e degli Enti locali di effettuare scelte autonome, ad un nuovo sistema (sent. n. 423/2004) e conseguentemente a postulare la necessit di un intervento legislativo statale per coordinare linsieme della Finanza Pubblica. A tal fine la legge dovr non solo fissare i principi fondamentali cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma dovr anche determinare le grandi linee dellintero sistema tributario e definire gli spazi e i limiti entro i quali potr esplicarsi la potest impositiva, rispettivamente di Stato, Regioni ed Enti locali (sent. n. 37 e n. 261 del 2004). Da tali assiomi, la Corte (con sent. 26 marzo 2010, n. 123) ha tratto le seguenti conseguenze: a) in forza del combinato disposto del secondo comma, lettera e), del terzo comma e del quarto comma dellart. 117 Cost., nonch dellart. 119 Cost., non ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potest regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale (sentenze n. 102 del 2008 e n. 37 del 2004); b) di conseguenza, fino a quando lindicata legge statale non sar emanata, rimane precluso alle Regioni il potere di istituire e disciplinare tributi propri aventi gli stessi presupposti dei tributi dello Stato e di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali (sentenze n. 102 del 2008; n. 75 e n. 2 del 2006; n. 397 e n. 335 del 2005; n. 37 del 2004); c) va considerato statale e non gi proprio della Regione, nel senso di cui al vigente art. 119 Cost., il tributo istituito e regolato da una legge statale, ancorch il relativo gettito sia devoluto alla Regione stessa (sentenze n. 298 e n. 216 del 2009); d) la disciplina, anche di dettaglio, dei tributi statali riservata alla legge statale e lintervento del legislatore regionale precluso anche solo ad integrazione della disciplina, se non nei limiti stabiliti dalla legislazione statale stessa (sentenze n. 298 e n. 216 del 2009; n. 2 del 2006; n. 397 del 2005). In questa fase, unico limite per il Legislatore statale nellintervenire sul- lassetto tributario vigente, costituito dal divieto di procedere in senso inverso a quanto oggi prescritto dallart. 119, sopprimendo senza una loro sostituzione gli spazi di autonomia gi riconosciuti dalle leggi statali vigenti alle Regioni ed Enti locali, ovvero di configurare un sistema complessivo che si ponga in contraddizione con i principi del medesimo art. 119 (sent. n. 37 del 2004; n. 241 del 2012). La prova che la riduzione o soppressione del tributo statale determini una contrazione del gettito regionale tale da compromettere lo svolgimento delle funzioni fondamentali compete alla regione ricorrente (v. sent. n. 121/2013), onere questo che grava anche sulle Regioni a Statuto Speciale (sent. n. 36 del 2014), non essendo loro garantita la invarianza del gettito (sent. n. 241 del 2012). In applicazione di tali indirizzi, sono state considerate statali, e non tributi propri, in quanto istituite e disciplinate dalle leggi dello Stato, tutta una serie di imposte il cui gettito devoluto alle Regioni o agli Enti locali, anche se definite dalle leggi stesse come regionali, comunali o provinciali. Si tratta, tra le altre: -dellIRAP (sent. n. 153 del 2013; n. 99 e 50 del 2012; n. 241 del 2004; n. 296 del 2003) -dellICI (sent. n. 298 del 2009; n. 75 del 2006; n. 397 del 2005; n. 37 del 2004) -della tassa automobilistica regionale (sent. n. 451 del 2007; n. 455 e 462 del 2005; n. 311 del 2003) -di alcuni tributi regionali derivati (sent. n. 30, 32, 33 del 2012) -della tassa di deposito in discarica (sent. n. 24 del 2008; n. 412 del 2006; n. 335 del 2005) -delladdizionale comunale e provinciale allIRPEF (sent. n. 37 del 2004). Per la Corte, quindi, allo stato attuale della normativa regionale, non risultano sussistere tributi regionali propri (nel senso di tributi istituiti e disciplinati dalla Regione Campania) che possano essere considerati ai fini dellagevolazione in questione compresi i tributi regionali cosiddetti derivati, e cio i tributi istituiti e disciplinati con legge statale, il cui gettito sia attribuito alle Regioni (sent. n. 123 del 2010; n. 32 del 2012). Il discorso - riferito a specifiche Regioni (Campania, Abruzzo) - in realt pu estendersi a tutto il previgente ordinamento della finanza regionale e locale, salvo per quanto attiene alle Regioni ad autonomia differenziata, per i pi ampi poteri che queste ultime dispongono in materia. Cos, nella fondamentale pronunzia n. 102 del 2008, relativa alla Regione Sardegna, che aveva istituito tre nuove imposte regionali (sulle plusvalenze dei fabbricati, sulle seconde case e sugli aeromobili e le unit di diporto), la Corte ha premesso che nella fattispecie si trattava di tributi propri della Regione - in quanto istituiti con L.R. ai sensi dellart. 8, lett. h) dello Statuto, e ha delineato il seguente quadro: Il nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione prevede che; a) lo Stato ha competenza legislativa esclusiva in materia di sistema tributario [...] dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.); b) le Regioni hanno potest legislativa esclusiva nella materia tributaria non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, con riguardo, beninteso, ai presupposti d'imposta collegati al territorio di ciascuna Regione e sempre che l'esercizio di tale facolt non si traduca in un dazio o in un ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni (art. 117, quarto comma, e 120, primo comma, Cost); c) le Regioni e gli enti locali stabiliscono e applicano tributi e entrate propri in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento [...] del sistema tributario (art. 119, secondo comma, Cost.); d) lo Stato e le Regioni hanno competenza legislativa concorrente nella materia del coordinamento [...] del sistema tributario, nella quale riservata alla competenza legislativa dello Stato la determinazione dei principi fondamentali. Tale riserva di competenza legislativa nella materia del coordinamento del sistema tributario non pu comportare, tuttavia, alcuna riduzione del potere impositivo gi spettante alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, perch, ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la nuova disciplina costituzionale si applica ad esse (fino all'adeguamento dei rispettivi statuti) solo per la parte in cui prevede forme di autonomia pi ampie rispetto a quelle gi attribuite e, pertanto, non pu mai avere l'effetto di restringere l'mbito di autonomia garantito dagli statuti speciali anteriormente alla riforma del Titolo V della Parte II Cost. (ex multis, sentenza n. 103 del 2003). Il quadro normativo risultante dalla riforma costituzionale stato interpretato da questa Corte nel senso, da una parte, che lo spazio riservato a detta potest dipende prevalentemente dalle scelte di fondo operate dallo Stato in sede di fissazione dei principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario e, dall'altra, che l'esercizio del potere esclusivo delle Regioni di autodeterminazione del prelievo ristretto a quelle limitate ipotesi di tributi, per la maggior parte "di scopo" o "corrispettivi", aventi presupposti diversi da quelli degli esistenti tributi statali. La Corte nella medesima pronuncia ha inoltre affermato che non cՏ alcun principio che vieti listituzione di nuove imposte comunali. Nel caso, invece della Regione Siciliana, che con L.R. n. 2 del 2002 aveva istituito unimposta propria ambientale sulle condutture di trasporto del gas metano installate nel territorio regionale, la Corte di Giustizia CE ne ha dichiarato lillegittimit comunitaria con sentenza 21 giugno 2007 in causa C173/ 05, in quanto tassa ad effetto equivalente a dazio doganale (8). La Corte Costituzionale inoltre si occupata anche dei nuovi decreti legislativi (n. 118 e 149 del 2011) per dichiararne la parziale incostituzionalit ed escluderne la immediata e diretta applicazione alle autonomie differenziate (sent. n. 219 del 2013 e n. 178 del 2012) o (con riguardo al d.lgs. n. 68 del 2011) per ritenerne invece la legittimit (sent. n. 8 del 2014). La Corte ha anche riconosciuto che il coordinamento della finanza pubblica perseguito attraverso listituzione dellunione titolo legittimante per laffidamento allunione della titolarit della potest impositiva dei comuni associati sui tributi propri, in quanto tale atttribuzione appare coerente e questa per ha bisogno di risorse per perseguire le sue finalit (sent. n. 44 del 2014). (8) S. PERAZZELLI, Il caso della tassa sul tubo, in Istituzioni del Federalismo, 2007, 6, 823. Moltissimo impegno infine stato dedicato dalla Corte alla compatibilit delle varie manovre statali, che impongono riduzioni o razionalizzazioni della spesa di Regioni ed Enti locali, con le regole dellautonomia finanziaria, riconosciuta dallart. 119 Cost. (v., fra le tante, sent. n. 61 del 2014, n. 236 del 2013 e n. 148 del 2012). 11. Conclusioni. Il quadro della nuova Finanza locale cos delineato non per ancora stabilizzato, come insegnano le tante modifiche anche recentissime (e le convulsioni sullIMU e la TASI) n sembra ancora in grado di assicurare agli Enti locali una vera autosufficienza, anche se aumentato in maniera apprezzabile il livello generale di autonomia finanziaria. La piena e completa attuazione dellautonomia finanziaria degli Enti locali necessita in ogni caso della entrata a regime anche di tutti gli altri provvedimenti che accompagnano il federalismo fiscale (armonizzazione dei bilanci, federalismo demaniale, costi standard, meccanismi premiali) dianzi citati e approvati. Va peraltro segnalato che lattuazione della delega ha gi subito modifiche anche consistenti per via ordinaria (e cio non con decreti correttivi) per effetto di ripensamenti dovuti a fattori esterni (crisi economica, mutamenti politici), tra cui clamoroso il caso dellIMU, sopra ricordato, ma rilevanti sono anche i casi del radicale riordino delle Province (l. n. 56 del 2014), delle modificazioni apportate al decreto sulle misure premiali (d.l. n. 174 del 2012, conv. in l. n. 213 del 2012, art. 1 bis ) e di quelle riguardanti il regime di Roma Capitale (d.l. n. 225 del 2010, n. 138 del 2011 e n. 16 del 2014). Ulteriori modifiche sono da attendersi al momento dellattuazione della delega di cui alla L. 11 marzo 2014, n. 23, per un sistema fiscale pi equo, trasparente e orientato alla crescita. Resta la constatazione che proprio la tormentata e complessa vicenda della finanza locale dimostra che i problemi della autonomia finanziaria degli enti territoriali non si risolvono solo con la istituzione di nuove imposte proprie e di nuove addizionali o compartecipazioni ma - come si diceva allinizio con la qualificazione, il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica e con il sostegno della crescita e lo sviluppo delleconomia (9), in armonia con i principi costituzionali dellequilibrio di bilancio, di progressivit, di capacit fiscale territoriale e di solidariet e coesione sociale. (9) Corte dei Conti -Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, maggio 2014. Stazione unica appaltante e centrale di committenza: lo sviluppo degli istituti nella prospettiva di riorganizzazione dei livelli di Governo Vincenzo Cardellicchio* Fabrizio Gallo** maturata nei lunghi anni ed in tanti tra quelli di noi che hanno reso Servizio per le massime Autorit dello Stato ed in ruoli di estrema responsabilit pubblica, la convinzione che il sistema di difesa dalle infiltrazioni mafiose debba tessere una pi fitta rete che aiuti a selezionare ci che cՏ di buono da ci che , invece, cattivo e pericoloso. Per far questo occorre ineludibilmente stringere un sempre pi sistematico collegamento tra le diverse reti, oggi gi abbondantemente presenti anche sul nostro territorio, tale da rilevare con ogni possibile anticipo, i prodromi e le avvisaglie di tentativi di infiltrazione e di condizionamenti nella macchina pubblica e correggere con crescente anticipo malfunzionamenti e distorsioni. E ci stato ben evidenziato dal Capo di Gabinetto del Ministero del- lInterno Prefetto Giuseppe Procaccini nellintroduzione dellAnno Accademico della SSAI 2011 quando gi allora fece espresso riferimento al tema della rete nelle reti da stringere nelle salde mani del Ministero e dei Prefetti, gi custodi delle leve pi delicate della tenuta democratica del Paese (elezioni, sicurezza, cura degli organi enti locali ed ordine pubblico) ed ancor pi illuminante fu lespressione usata, nello stesso anno, dallallora Procuratore Nazionale Antimafia Dottor Pietro Grasso che, in occasione della sottoscrizione del Patto per la sicurezza di Roma, descrisse lattivit dei Prefetti in questa materia come sentinelle dellanti-mafia ed entrambe queste posizioni trovano poi sintesi nella definizione che uno dei pi autorevoli Prefetti della Repubblica Carlo Mosca, oggi Consigliere di Stato, dava della funzione esercitata dai Prefetti quale valvola di scarico attraverso la quale hanno trovato sfogo democratico le tensioni del sistema amministrativo destinate altrimenti a produrre pericolose fratture. A complementare corredo dellobiettivo anzidetto e dei soggetti cui (*) Prefetto. Ha diretto la prefettura di Crotone e, presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, la Direzione Centrale delle Risorse Umane e la Segreteria del Dipartimento. Presso il Gabinetto del Ministro dell'Interno ha assolto le funzioni di Vice Capo Gabinetto Vicario e poi quelle di prefetto di Perugia ed attualmente comandato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. (**) Viceprefetto. Dirigente della prefettura di Crotone, poi in servizio presso l'Ufficio Ordine e Sicurezza Pubblica del Gabinetto del Ministro dell'Interno; presiede ora la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone. ascriverne la responsabilit viene valida una ulteriore intima convinzione riferita alla gestione delle Amministrazioni sciolte per mafia nelle diverse realt del Paese. In questa materia tantissimi, tra coloro che in anni recenti si sono misurati con essa, - ed io sono stato - professionale custode di tante riflessioni da parte di colleghi e probi amministratori - ritengono che lassenza di adeguati anticorpi presenti nelle strutture burocratiche di quelle Amministrazioni siail pi insidioso vulnus del sistema. evidente, infatti, anche al pi distratto Osservatore, che il solo allontanamento del Sindaco o dellAmministratore collegato in qualche modo alla criminalit, non pu da solo restituire legalit e correttezza dazione se permane un contesto compromesso, un tessuto logoro e lacerato, una comunit vittima e inconsapevole complice della mala amministrazione. Sistematicamente, infatti, mafia, camorra, ndrangheta e sacra corona unita si sono insinuati allinterno degli apparati pubblici nei livelli pi diversificati della burocrazia anche locale. Ed ancora, affidare ad un Commissario od al massimo ad una terna di Commissari la responsabilit di invertire quel deleterio senso di marcia e lasciare questi funzionari in tanta solitudine tra mura, a volte assolutamente ostili, a lottare contro una schiacciante pressione criminale, di per s una strategia troppo debole e decisamente perdente e rischia di apparire una voluta trascuratezza. Lantimafia e lanticorruzione (che ne pu essere spesso lantidoto) necessitano di migliori e pi organizzate energie, che nel nostro Paese ci sono e che sono presenti anche nei disgraziati territori da cui questi fenomeni hanno origine e che ormai sono diffusi senza alcun limite di territorio e materia. Ma ora pi che mai occorre stringere un sistema pi coeso, pi articolato e ordinariamente allertato, abbandonando qualsiasi scorciatoia offerta dalla straordinariet e delleccezionalit. Orbene, presso le Prefetture operativo gi dallentrata in vigore del Dec. Leg.vo n. 300 del 1999 una Conferenza provinciale permanente composta dai responsabili di tutte le strutture amministrative periferiche dello Stato. Ed tra di loro che pu trovarsi, in primis, la sinergia per collegare tutte le diverse banche dati. Non si pu pi assistere alla istituzione di una Commissione speciale per la gestione ed il controllo di ogni appalto appena pi che ordinario e continuare a veder rilasciare deroghe al Codice degli appalti per recuperare ritardi strumentali e velocizzare tempistiche per modalit artificiosamente involute. indispensabile dare avvio e rapido corpo a quella struttura di difesa dalla corruzione che trova nelle Prefetture e nel Ministero dellInterno la sua naturale collocazione. A tal proposito gi pronto uno straordinario lavoro meticolosamente soppesato e scrupolosamente validato allinterno di uno specifico Gruppo di lavoro costituito presso il Gabinetto del Ministro dellInterno per assemblare una piattaforma informatica denominata Sciamano dalla quale si possono desumere spunti di immediata operativit. E nella medesima ottica deve inserirsi la circolare del 5 ottobre del 2011 con cui il Ministro Maroni, che proprio attraverso la rete dei Prefetti, promosse la diffusione della esperienza della Stazione Unica Appaltante in campo nazionale, ed in queste pagine il paziente lettore trover spunti di analisi e riflessione. E vieppi, pur nel contesto di una riorganizzazione delle Prefetture di cui se ne intravedono allorizzonte i contorni con listituzione di un Ufficio Unico di Garanzia, si ritiene utile proporre una ulteriore e pi puntuale riflessione. Infatti, prendendo spunto da quanto si sin qui detto, gioverebbe molto ai Commissari nominati per la gestione dei comuni sciolti per mafia potersi avvalere nella sede della Prefettura di riferimento di una Sezione di vigilanza, promanazione della stessa Conferenza permanente, obbligatoriamente incaricata, con provvedimento del Prefetto, di esprimere pareri vincolanti circa atti e determine riferiti ad opere pubbliche di rilevante valore economico o ad atti regolamentari o di gestione del territorio, tanto da esercitare un vero controllo responsabile e collaborativo sullattivit degli apparati comunali a garanzia dellazione dellamministrazione straordinaria, argine allazione malamente diretta di organi infedeli dellapparato territoriale a tutela del- lattivit della pubblica amministrazione nel suo complesso. Esclusivamente pel tramite della posta elettronica della Prefettura e nel tempo massimo di 10 giorni questo organo potrebbe esprimere il proprio giudizio di validazione, congruit giuridico funzionale e di compatibilit economico- finanziaria (superando i tradizionali parametri di merito e legittimit) dal quale motivatamente potersi discostare ma non poter colpevolmente ignorare. Tempi e forme rigidamente fissate per non cadere nelle trappole burocratiche del passato, evitando questa volta di buttare via il bambino con lacqua sporca cosi come, invece, sՏ fatto con il controllo sugli atti di comuni, province e regioni. Infatti la spesa pubblica che ha devastato il bilancio nazionale ha origine e causa anche, se non soprattutto, da riforme effettuate in queste materie sotto la spinta del populismo e le semplificazioni delle piazze. E lattualit di queste necessit trovano oggi rilancio nelle tesi del giudice Lombardo (cft intervista al settimanale LEFT del maggio 2014 allegato al quotidiano LUnit) che nellaffrontare un delicatissimo caso giudiziario si interroga sui benefici (troppo pochi) e sui danni (troppi) prodotti dalla costruzione dottrinario-giudiziaria del concorso esterno in associazione mafiosa, allorquando si ascrive un ruolo di direzione strategica al colletto bianco c.d. esterno alla consorteria malavitosa. SOMMARIO: 1. Le origini dellistituto - 2. I dati del Ministero dellInterno sul funzionamento della stazione appaltante - 2.1 Le diverse tipologie di Stazione unica appaltante - 2.2 Modalit di funzionamento - 2.3 Procedure gestite - 2.4 Dati quantitativi e contenzioso - 3. Obbligo di affidamento degli appalti dei piccoli comuni ad una centrale di committenza e stazione unica appaltante - 3.1 La centrale di committenza nel diritto comunitario - 3.2 La centrale di committenza ed i piccoli comuni. Profili soggettivi - 3.3 Procedure attratte alla competenza della centrale unica di committenza - 3.4 Aspetti organizzativi - 4. Conclusioni: la situazione attuale e possibili sviluppi. 1. Le origini dellistituto. Nel corso della prima decade di questo secolo, si sono manifestate, sia a livello di normazione primaria sia nellesperienza pratica, i primi corposi segnali di uninnovativa tendenza nel campo dei modelli organizzativi di gestione degli appalti pubblici. In particolare, dopo decenni di proliferazione delle stazioni appaltanti pubbliche, connessa anche a processi di lungo periodo di decentramento amministrativo e di sviluppo delle autonomie locali, si andavano delineando esigenze di carattere diverso che confluivano nellarticolazione di nuovi modelli di gestione. La prima di tali esigenze era rappresentata dalla necessit di semplificare i meccanismi procedurali e di stimolare risparmi di spesa (1). La seconda faceva riferimento alla ricerca di strumenti sempre pi affinati di prevenzione e contrasto della criminalit organizzata. Sotto questultimo profilo (2), in quegli anni si era sviluppato un approfondito dibattito nellambito dei lavori delle commissioni parlamentari dinchiesta sul fenomeno delle mafie (3) che, partendo anche dalla constatazione del primo esperimento di accorpamento di stazioni appaltanti realizzatasi in Sicilia proprio in quel periodo (4), evidenziava la notevole importanza che si annetteva a quella misura organizzativa al fine di rendere trasparenza al delicato settore e, per quella via, rendere pi semplici i controlli e pi difficoltosi i tentativi di infiltrazione criminosa nel settore. Lesigenza di carattere finanziario, invece, si affermava preliminarmente a livello di normazione europea. Infatti, prendendo spunto da diverse esperienze pratiche che si erano concretizzate in alcuni paesi, peraltro virtuose ai fini dello stimolo alla concorrenza (5), la Direttiva 18/2004/CE delineava per (1) NICOLA PIGNATELLI, La centrale di committenza unica dei piccoli comuni: la gestione obbligatoriamente associata delle gare ad evidenza pubblica, in Lexitalia.it, n. 3/2012. (2) Si veda al riguardo, CARDELLICCHIO-GALLO, La stazione unica appaltante provinciale di Crotone: genesi e prospettive evolutive, in Rass. Avv. Stato, anno LIX, n. 1, gennaio-marzo 2007. (3) Ibidem, p. 29. (4) Si tratta degli Uffici regionali per lesecuzione di gare dappalto, istituiti con legge regionale n. 10 del 12 gennaio 1993, che furono poi effettivamente costituiti in attuazione di unaltra legge regionale, la n. 7 del 20 agosto 2002. (5) Si veda, in proposito, ALESSANDRO GIARDETTI, Principali interventi normativi in materia di centrali di committenza, in Diritto.it e NICOLA PIGNATELLI, op. cit. la prima volta la centrale di committenza, prevedendo, tuttavia, per gli Stati membri, la facolt di consentire alle amministrazioni aggiudicatrici di far ricorso a tali strutture (6). Tale previsione stata poi ripresa dal Codice degli appalti (7), allart. 3, comma 34. La spinta delle due esigenze di fondo sopra delineate giunse ad un punto di caduta concreto nel 2007, con la costituzione di un nuovo modello di gestione associata degli appalti, dapprima limitato ai soli lavori pubblici, poi esteso lanno successivo anche a forniture e servizi, costituito dalla Stazione unica appaltante provinciale di Crotone (8). I risultati positivi conseguiti in tempi rapidi dalla nuova struttura, realizzata nellambito del Programma Calabria (un piano dazione ideato ed attuato in quegli anni dalla Conferenza regionale delle autorit provinciali di pubblica sicurezza calabresi), indussero alla gemmazione di molteplici esperienze simili, dapprima in Calabria e poi su tutto il territorio nazionale, tanto che listituto stato poi previsto allart. 13 della L. 13 agosto 2010, n. 136 (Piano straordinario contro la mafia), con le modalit di attuazione delineate dal D.P.C.M. 30 giugno 2011 (9). A distanza di sette anni dalla nascita dellistituto, ora opportuno approfondire una riflessione sullo stesso e ci sia perch sono disponibili dati statistici ufficiali del Ministero dellInterno (10), sia perch le nuove norme stratificatesi negli ultimi anni in materia di spending review fanno riferimento anche allobbligo per alcuni enti di costituire centrali di committenza, sia perch pare ormai irreversibile il processo di revisione dei livelli di governo con importanti ricadute sui sistemi organizzativi pubblici del territorio. 2. I dati del Ministero dellInterno sul funzionamento della stazione unica appaltante. 2.1 Le diverse tipologie di Stazione unica appaltante. La riflessione sullargomento si pu fondare oggi su una base solida che costituita da un monitoraggio avviato dal Ministero dellInterno a maggio 2012 e confluito in una sintesi finale di cui ha dato notizia, come sopra riferito, il quotidiano Italia Oggi del 22 novembre 2012. La predetta rilevazione era finalizzata anche allattuazione dellart. 1, comma 4 del D.P.C.M. 30 giugno 2011, che ha dettato norme in materia di stazione unica (6) Art. 11 della Direttiva. (7) D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163. (8) Per una ricostruzione delle vicende che portarono alla costituzione della S.U.A. di Crotone, si veda CARDELLICCHIO-GALLO, op. cit. (9) Sullinquadramento della Stazione unica appaltante nellambito delle nuove misure antimafia in materia di pubblici appalti, si veda ROSANNA DE NICTOLIS, La nuova disciplina antimafia in materia di pubblici appalti, in Urbanistica e Appalti, 2010, 10, 1129. (10) Divulgati su Italia Oggi del 22 novembre 2012, p. 32. appaltante, in attuzione dellart. 13 della legge 13 agosto 2010, n. 136, secondo il quale Il Governo, le regioni e le province autonome, in sede di Conferenza unificata, si scambiano annualmente, ai sensi dellarticolo 9, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, dati ed informazioni relativi allattuazione del presente decreto, con riguardo ai rispettivi ambiti di competenza. I dati del Ministero dellInterno sono organizzati secondo quattro aree tematiche: numero delle stazioni uniche appaltanti costituite e principali elementi organizzativi, funzioni espletate, elementi quantitativi sulle attivit svolte, contenzioso. In primo luogo, il lavoro di monitoraggio ha messo in luce che, alla data della sua stesura, erano state costituite 13 stazioni uniche appaltanti, che accorpavano 477 amministrazioni aggiudicatrici, tra cui 205 comuni. Gi il rapporto del Ministero dellInterno dava atto che erano in corso di costituzione altre strutture simili (come quelle del Comune di Genova e della Regione Liguria) ed invero il numero di tali uffici in costante crescita, come si riferir con maggiore dettaglio al paragrafo 3. Le strutture costituite non fanno riferimento ad un unico impianto ma a quattro modelli fondamentali, evidentemente articolati in relazione alle diverse esigenze di contesto territoriale. Lapproccio diversificato alle modalit organizzative peraltro lopzione prescelta nel DPCM 30 giugno 2011 che, nel- lattribuire alla SUA natura giuridica di centrale di committenza, prevede la possibilit che la stessa operi in ambito regionale, provinciale ed interprovinciale, comunale ed intercomunale. Il primo modello, risalente allesperienza inziale della provincia di Crotone, si impernia sullincardinamento della struttura nellorganizzazione del- lamministrazione provinciale. In questo caso, la Stazione unica appaltante costituita attraverso una convenzione ex art. 30, D. L.vo 18 agosto 200, n. 267, e tende ad assorbire tutte le amministrazioni aggiudicatrici del territorio. In questo ambito, particolare lesempio di Trento, per il particolare rilievo costituzionale di quellAmministrazione provinciale (11). Il secondo assetto organizzativo fa riferimento invece alla Regione (Stazione unica appaltante regionale). Operativa, alla data del segnalato rapporto del Ministero dellInterno, in due regioni, istituita con legge regionale e si occupa tendenzialmente delle procedure di gara dei diversi uffici regionali e degli enti subregionali ed finalizzata anche a realizzare economie di scala attraverso la centralizzazione degli acquisti. Il terzo esempio rilevato dal monitoraggio quello che si fonda sullattivit del Provveditorato alle opere pubbliche ed regolato da un provvedimento (11) La struttura, prima denominata Agenzia dei servizi ora Agenzia provinciale per gli appalti ed i contratti, stata costituita con Legge provinciale 16 giugno 2006, n. 3. di tale ufficio. Nato per intervenire su casi specifici (12), si va delineando come una struttura a valenza generalizzata, sullesempio della S.U.A. incardinata nelle amministrazioni provinciali. Il quarto tipo, infine, si sviluppato nellambito delle Unioni dei Comuni e delle Comunit Montane ed espressione dellesercizio associato di funzioni da parte degli enti locali. Un caso a parte, infine, costituito dagli Uffici regionali per la gestione della gare dappalto (U.R.E.G.A.), istituiti in Sicilia, nella loro attuale configurazione, con Legge regionale n. n. 7 del 2 agosto 2002 ed oggi disciplinati dallart. 9 della legge regionale n. 12 del 12 luglio 2011. Di tale struttura, antesignana della Stazione unica appaltante, hanno lobbligo di avvalersi gli enti territoriali per appalti di lavori da affidare con procedure di asta pubblica, per importi superiori ad Euro 1.250.000. 2.2 Modalit di funzionamento. Particolare interesse suscitano le modalit di funzionamento concretamente realizzate. Quasi tutte le Stazioni uniche appaltanti utilizzano personale degli enti convenzionati. Solo in un caso si fa ricorso a forme pi flessibili di reclutamento delle risorse umane. Gli oneri di funzionamento, nei modelli a base provinciali, sono sostenuti attarverso la previsione di una percentuale del quadro economico dellintervento, destinata alla Stazione unica appaltante. Le strutture di livello regionale, invece, attingono direttamente al bilancio dellEnte di riferimento. Il nucleo fondamentale delle funzioni della S.U.A. si conferma essere lespletamento della procedura di gara, in linea con lart. 3 del D.P.C.M. 30 giugno 2011, partendo dalla predisposizione del bando di gara per giungere allaggiudicazione provvisoria. Peraltro, quasi tutte le stazioni uniche appaltanti svolgono funzioni ulteriori e, in particolare, procedono allacquisizione delle informazioni antimafia, in tal modo ribadendosi la finalizzazione del- listituto anche alla prevenzione antimafia, alcune si occupano della valutazione del progetto, della predisposizione del contratto e di altre incombenze in fase esecutiva. Parte delle Stazioni uniche appaltanti svolgono, inoltre, funzioni di centralizzazione degli acquisti, richiamandosi, in tal modo la confluenza tra i due modelli della S.U.A. e della centrale di committenza. 2.3 Procedure gestite. Tutte le Stazioni uniche appaltanti, poi, si occupano di lavori, servizi e forniture (13), ad eccezione degli U.R.E.G.A. che si interessano solo della prima tipologia di contratti pubblici. (12) Il riferimento principale costituito dallesperienza della Stazione unica appaltante di Napoli (si veda CARDELLICCHIO-GALLO, Stazione Unica Appaltante: tenuta di un impianto e nuovi contesti, in Rass. Avv. Stato, Anno LXII - n. 3 luglio-settembre 2010). Di notevole interesse sono, ancora, i dati relativi al tipo di procedure gestite. Tutte le strutture rilevate dal Ministero dellInterno si occupano di procedure aperte ed un numero sempre crescente si occupa anche di procedure ristrette e negoziate, cottimi fiduciari, procedure dinamiche di acquisto, project financing e procedure in economia. Rilevante, in proposito, il parere reso dalla Sezione regionale di controllo per la Basilicata della Corte dei Conti, in esito ad una richiesta formulata dal Sindaco del Comune di Savoia di Lucania (14). Nel caso sottoposto alla sua attenzione, il Sindaco esponeva che lEnte di appartenenza aveva aderito ad una Stazione unica appaltante costituita in forma associata. Al riguardo, il predetto chiedeva di conoscere se la procedura negoziata senza bando, di cui allart. 122, comma 7, D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163, doveva ritenersi assegnata alla competenza della centrale di committenza o se lassenza del bando o di invito a presentare offerta doveva far ritenere che lincombenza fosse di pertinenza esclusiva del responsabile unico del procedimento. La richiamata Sezione di controllo della Corte dei Conti, previa analisi e differenziazione tra gli istituti della centrale di committenza e della stazione unica appaltante, ha dapprima rilevato che la questione proposta non attiene allambito di applicazione dellart. 33, comma 3 bis del D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163, concernente lobbligatoria affidamento degli appalti a centrali di committenza per i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, su cui torneremo nel paragrafo successivo, ma diretta a conoscere se in capo al- lente che abbia aderito ad una Stazione unica appaltante residui la possibilit, in caso di contratti sotto soglia, di svolgere attivit per laffidamento del contratto senza rivolgersi alla S.U.A. In proposito, la Corte dei Conti ha evidenziato che le finalit sottese alla norma istitutiva della S.U.A. (art. 13, L. 13 agosto 2010, n. 136) devono essere rinvenute, da un lato, nellesigenza di assicurare trasparenza, regolarit ed economicit della gestione dei contratti pubblici, dallaltro in quella di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali. In ragione di ci, malgrado alcune delle funzioni esplicitate nella disciplina regolamentare della S.U.A. facciano riferimento a procedure di gara, uninterpretazione sistematica ed orientata dalla ratio dellintervento legislativo portava a concludere che anche le procedure negoziate senza pubblicazione del bando devono essere ritenute attratte alla competenza dellUfficio unico. In relazione alla natura pattizia degli atti costitutivi della Stazione unica appaltante, rientranti nella tipologia oggetto di esame da parte del Giudice (13) Nelle diverse esperienze sono fissate soglie diversificate di valore per lattivazione della Stazione unica appaltante. (14) C. Conti Basilicata, Sez. contr., Delib. 1 luglio 2013, n. 68. contabile, ovviamente, va fatta salva la possibilit che le relative convenzioni possano regolare diversamente la questione. Le conseguenze di una tale interpretazione sono rilevanti non solo sotto il profilo organizzativo e gestionale ma anche per laspetto pi specificamente giuridico. La giurisprudenza (15), infatti, ha stabilito che non si pu dubitare dellattualit e della cogenza dellobbligo, gravante sulle amministrazioni aggiudicatrici aderenti, di ricorre alla S.U.A. per la concreta gestione delle gare derivando, in caso contrario, lannullamento dellatto di aggiudicazione. 2.4 Dati quantitativi e contenzioso. Tornando ai dati sullattivit della stazione unica appaltante, la rilevazione del Ministero dellInterno evidenzia che il totale delle gare espletate dal sistema, fino al 2011, erano 3.133, per un importo complessivo di 3.247 mld di euro. Lanalisi per anno degli importi risultava in crescita tendenziale fino al 2011, anno nel quale, invece, si registrava una flessione. Il dato comparabile al decremento complessivo degli importi dei lavori pubblici che, per quel- lanno, veniva quantificato nel 13,9% dallAutorit di vigilanza sui contratti pubblici (16). La comparazione tra aggiudicazioni provvisorie e gare introitate, tra il 2007 (81,6%) ed il 2011 (87%) segnala un andamento crescente dellefficacia dellazione della stazione unica appaltante. Specifico interesse costituito anche dallandamento del contenzioso che si compendia nel censimento di 136 ricorsi avverso procedure gestite dal sistema delle stazioni uniche appaltanti. Il dato complessivo pari al 5,6% delle gare trattate, superiore alla media nazionale del 4,3% (17). Tale elemento informativo necessita peraltro di due specificazioni. In primo luogo, nel novero dei ricorsi sono indicati anche i gravami aventi ad oggetto le informazioni antimafia ostative acquisite spesso, come abbiamo visto, proprio dalle stazioni uniche appaltanti ma che non possono essere ricondotte alla gestione della procedura di gara. Inoltre, il dato del contenzioso relativo alle S.U.A. costituite in ambito provinciale, il segmento pi innovativo e significativo, pari al 2,8% del totale dei procedimenti trattati. Pertanto la mole del contenzioso, cos analizzata nel dettaglio, assume dimensioni inferiori alla met del dato complessivo nazionale. (15) T.A.R. Calabria Reggio Calabria, Sez. I, 2 luglio 2010, n. 682. (16) A.V.C.P., Relazione al Parlamento per lanno 2011, in http://www.avcp.it/portal/public/classic/Comunicazione/Pubblicazioni/RelazioneParlamento/_relazioni?id=5158a0c 0a7780a500216b2fa52e504a. (17) Relativa a contratti di lavori conclusi nel periodo 2000-2009, in: Lattuazione della legge obiettivo, 6 Rapporto per lVIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici, in collaborazione con lAutorit di vigilanza sui contratti pubblici, Camera dei Deputati, 5 settembre 2011, pp. 17 ss. 3 Obbligo di affidamento degli appalti dei piccoli comuni ad una centrale di committenza e stazione unica appaltante. 3.1 La centrale di committenza nel diritto comunitario. Il concetto di centrale di committenza originato, come detto in precedenza, nel sistema normativo europeo ed ha preso le mosse dalla constatazione di tecniche di centralizzazione della committenza sviluppatesi nei paesi membri (18). La Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 aveva cristallizzato listituto tenendo conto delle esperienze suddette che consistevano nellindividuazione di un unico soggetto da incaricare, ad opera delle amministrazioni aggiudicatrici, allo scopo di procedere agli acquisti, di aggiudicare appalti o di stipulare accordi quadro. Nella definizione normativa, fissata dalla fonte europea e ripresa dal Codice dei contratti, dunque, per centrale di committenza si intende unamministrazione aggiudicatrice che, per conto di altre amministrazioni aggiudicatrici: 1. acquista forniture e/o servizi; 2. aggiudica appalti pubblici; 3. conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o ad altri enti aggiudicatori (19). Si tratta, in realt, di un istituto a recepimento facoltativo da parte degli Stati membri e tale logica di non vincolativit ha un duplice profilo: quello esterno, legato alla possibilit di scelta da parte dello Stato membro circa linclusione dellistituto nella legislazione nazionale, e quello interno, per il quale le amministrazioni aggiudicatrici devono essere destinatarie di una facolt a far ricorso alla centrale di committenza (20). Il diritto interno, come detto, ha ripreso la definizione comunitaria nel Codice degli appalti, allart. 3, comma 34. Lapplicazione pratica dellistituto in questione si avuta, da una parte, con lesperienza della CONSIP (21) e tuttavia, sotto il profilo dellaccorpa (18) Per una ricostruzione della nozione, si veda C. Conti Basilicata, Sez. Contr., Delib. 1 luglio 2013, n. 68. (19) ALESSANDRO GIARDETTI, op. cit. (20) V. al riguardo NICOLA PIGNATELLI, La centrale di committenza unica dei piccoli comuni: la gestione obbligatoriamente associata delle gare ad evidenza pubblica, in Lexitalia.it. (21) C.O.N.S.I.P., la cui ragione sociale originariamente era C.O.N.S.I.P. 'Concessionaria Servizi Informativi Pubblici', nasce nel 1997 come strumento di cambiamento della gestione delle tecnologie dell'informazione nell'allora Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica. Con il Decreto legislativo 19 novembre 1997 n. 414 sono state affidate alla C.O.N.S.I.P. le attivit informatiche dell'Amministrazione Statale in materia finanziaria e contabile. Nel 2000, viene affidata a C.O.N.S.I.P. anche l'attuazione del Programma per la razionalizzazione degli acquisti nella P.A. Infatti, attuando la Legge finanziaria per il 2000, con il Decreto ministeriale del 24 febbraio 2000 il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha individuato nella C.O.N.S.I.P. la struttura di servizio per gli acquisti di beni e servizi per le P.A. (www.consip.it). mento delle amministrazioni aggiudicatrici sul territorio, la pi rilevante espressione concreta stata la Stazione unica appaltante. 3.2 La centrale di committenza ed i piccoli comuni. Profili soggettivi. Nello sforzo di porre rimedio alle gravissime difficolt della finanza pubblica, anche attraverso un processo di revisione e qualificazione della spesa pubblica, negli ultimi anni il concetto di centrale unica di committenza ha preso un nuovo vigore, a partire dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (22) . Tale norma prevede che i comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti non possano pi bandire gare e debbano necessariamente avvalersi di una centrale di committenza unica per lacquisizione di lavori, servizi e forniture. Dal punto di vista soggettivo, la norma fa riferimento ai comuni della classe dimensionale sopraindicati (23) che si trovano nella medesima provincia. Sotto il profilo oggettivo, lattribuzione obbligatoria alla centrale di committenza riguarda lavori, servizi e forniture ed il soggetto destinatario della competenza pu essere: 1. unUnione dei comuni gi esistente; 2. un apposito Consorzio tra comuni. A proposito di tale ultima possibilit, connessa alla stipula di un accordo consortile, la dottrina ha rilevato il contrasto sistematico con la precedente scelta legislativa di soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, imposta agli stessi dallart. 2, comma 186, lett. a), L. 23 dicembre 2009, n. 191 (24). In tal senso, preferendo uninterpretazione maggiormente aderente alla ratio della norma, tesa a garantire risparmi di spesa e non ad istituire nuovi enti, e valorizzando il termine accordi nellespressione accordi consortili, la predetta dottrina si orientata nel senso di ritenere praticabile, in ossequio alla disciplina in esame, la stipula di convenzioni ex art. 30, D. L.vo 18 agosto 2000, n. 267 per listituzione della centrale unica di committenza. 3.3 Procedure attratte alla competenza della centrale unica di committenza. Unultima questione si pone con riguardo alla delimitazione delle procedure di selezione del contraente che debbono ritenersi ricomprese nellambito di operativit della centrale di committenza. (22) Convertito con L. 22 dicembre 2011, n. 214 (V. ALESSANDRO GIARDETTI, op. cit.). Per unanalisi della norma, si veda anche MARCO LIBANORA, Le nuove centrali di committenza dei comuni, in Azienditalia, 2012, 5, 373. (23) Per le problematiche specifiche dei piccolissimi comuni, con popolazione sino a 10.000 abitanti, si veda la disamina in NICOLA PIGNATELLI, op. cit. (24) V. NICOLA PIGNATELLI, op. cit., e PASQUALE MONEA, Stazione unica appaltante in Unione o convenzione, in http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2013-03-11/stazione-unica-appalti-unione064455. shtml?uuid=AbhaMqcH Secondo un primo orientamento (25), per risolvere la questione occorre valorizzare due elementi. Il primo costituito dallelemento testuale del richiamo alle gare bandite successivamente al 31 marzo 2012, previsto dal- lart. 23, comma 5, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, come termine per loperativit del nuovo sistema. Il riferimento alle gare bandite, secondo tale opzione, consente di poter ritenere incluse tutte le procedure di gara il cui importo sia superiore od inferiore alla soglia comunitaria. In questo senso, militerebbe anche la relazione tecnica al provvedimento legislativo che si commenta, secondo il quale la finalit della disciplina quella di superare il sistema di frammentazione degli appalti pubblici e ridurre i costi di gestione delle procedure ad evidenza pubblica. Un maggiore approfondimento viene dedicato alle acquisizioni in economia di beni, servizi e lavori. In proposito, viene rammentata la tradizionale ripartizione tra amministrazione diretta, in cui le acquisizioni sono effettuate con materiale e mezzi propri e con personale proprio dellamministrazione, ed il cottimo fiduciario, una procedura negoziata in cui le acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parit di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici (26). Secondo lopzione interpretativa in esame (27), la ratio della normativa induce a ritenere che il cottimo fiduciario debba essere ricompreso nellambito della gestione associata obbligatoria (28). Gli elementi interpretativi suddetti, invece, indurrebbero ad escludere linclusione di affidamenti diretti e delle acquisizioni in amministrazione diretta. Argomenti per una diversa soluzione della questione si possono individuare nel citato parere reso dalla Sezione regionale di controllo per la Basilicata della Corte dei Conti (29) al Comune di Savoia. In quellatto, la Corte dei Conti ha espresso lavviso, come detto, che le finalit di trasparenza, regolarit ed economicit, di prevenzione delle infiltrazioni criminose sottese allistituto della stazione unica appaltante siano tali da superare il riferimento testuale alle procedure di gara contenuto nella relativa disciplina regolamentare (30). (25) Si veda, NICOLA PIGNATELLI, op. cit., C. Conti, Sez. Contr. Piemonte, Delib. 4 luglio 2012, n. 271, C. Conti Sez. Contr. Lombardia, Delib. 24 aprile 2013, n. 165. (26) Sul punto, v. C. Conti, Sez. Contr. Piemonte, cit. (27) Ibidem e NICOLA PIGNATELLI, op. cit. (28) NICOLA PIGNATELLI, op. cit. (29) C. Conti Basilicata, Sez. Contr., Delib. 1 luglio 2013, n. 68. (30) D.P.C.M. 30 giugno 2011. Nel senso dellallargamento dellambito di operativit delle centrali di committenza, si veda STEFANO USAI, Lobbligo per i piccoli comuni di espletare la propria attivit contrattuale attraverso la stazione unica appaltante secondo la Corte dei Conti, in http://www.oggipa.it/index.php?option=com_content&view=article&id=143:l-obbligo-per-i-piccoli-comuni-diespletare- la-propria-attivita-contrattuale-attraverso-la-stazione-unica-appaltante-secondo-la-corte-deiconti& catid=112&Itemid=574. 3.4 Aspetti organizzativi. Si pu ora passare allaspetto organizzativo collegato allattuazione delle norme in questione che, come si visto, originariamente dovevano essere applicate alle gare bandite successivamente al 31 marzo 2012. Il termine stato poi prorogato di dodici mesi dal D.L. 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con L. 24 febbraio 2012, n. 14, art. 29 e poi al 31 dicembre 2013, con D.L. 26 aprile 2013, n. 43, convertito con L. 24 giugno 2013, n. 71. Il D.L. 30 dicembre 2013, n. 150 (c.d. Milleproroghe"), nel testo di conversione appena approvato definitivamente in Parlamento, prevede un ulteriore slittamento al 30 giugno 2014. indubbio che le attivit di tipo regolamentare e pratico che dovranno essere messe in campo per lattivazione della norma non potranno non considerare che lunico esempio diffuso sul territorio di concentrazione della committenza per lavori, servizi e forniture la Stazione unica appaltante (31). La disciplina dellistituto, lart. 13 della L. 13 agosto 2010, n. 136, il regolamento attuativo ed ancora di pi la prassi applicativa su cui sono stati dati ampi cenni nei paragrafi precedenti, costituiscono un paradigma funzionale (32) molto rilevante per loperazione in questione. Tale parametro, anzitutto, significativo per la delimitazione delle attivit tra amministrazione aggiudicatrice e centrale di committenza. In proposito, lart. 4 del D.P.C.M. 30 giugno 2011 prevede che la S.U.A. si occupi delle seguenti attivit: a) collabora con lente aderente alla corretta individuazione dei contenuti dello schema del contratto, tenendo conto che lo stesso deve garantire la piena rispondenza del lavoro, del servizio e della fornitura alle effettive esigenze degli enti interessati; b) concorda con lente aderente la procedura di gara per la scelta del contraente; c) collabora nella redazione dei capitolati di cui allarticolo 5, comma 7, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163; d) collabora nella redazione del capitolato speciale; e) definisce, in collaborazione con lente aderente, il criterio di aggiudicazione ed eventuali atti aggiuntivi; f) definisce, in caso di criterio dellofferta economicamente pi vantaggiosa, i criteri di valutazione delle offerte e le loro specificazioni; g) redige gli atti di gara, ivi incluso il bando di gara, il disciplinare di gara e la lettera di invito; h) cura gli adempimenti relativi allo svolgimento della procedura di gara in tutte le sue fasi, ivi compresi gli obblighi di pubblicit e di comunicazione previsti in materia di affidamento dei contratti pubblici e la verifica del pos (31) NICOLA PIGNATELLI, op. cit. (32) Ibidem. sesso dei requisiti di ordine generale e di capacit economico-finanziaria e tecnico-organizzativa; i) nomina la commissione giudicatrice in caso di aggiudicazione con il criterio dellofferta economicamente pi vantaggiosa; l) cura gli eventuali contenziosi insorti in relazione alla procedura di affidamento, fornendo anche gli elementi tecnico-giuridici per la difesa in giudizio; m) collabora con lente aderente ai fini della stipulazione del contratto. Inoltre, proprio la prassi applicativa delle stazioni uniche appaltanti gi operative consente di individuare oculate soluzioni al problema del reperimento e del sostenimento dei costi di funzionamento della centrale di committenza. Se quindi la Stazione unica appaltante un fondamentale paradigma per le centrali di committenza da costituire, a maggior ragione deve ritenersi che quelle gi esistenti soddisfino i requisiti di legge. In proposito, tenuto conto che un numero rilevante di stazioni uniche appaltanti stato costituito con convenzioni ex art. 30, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, deve ritenersi da privilegiare lopinione ermeneutica per la quale il termine accordi consortili riportato dallart. 33, comma 3 bis del Codice degli appalti, quale strumento per lattribuzione obbligatoria alle centrali uniche di committenza, debba intendersi riferito proprio alla predetta tipologia di patti tra enti locali. Qualora dovesse prevalere una diversa opzione interpretativa, sarebbe necessaria una modifica della norma suddetta per inserire la convenzione ex art. 30 del Testo unico degli enti locali tra i mezzi utilizzabili per lattuazione dellobbligo di accorpamento della funzione. 4 Conclusioni. La situazione attuale e i possibili sviluppi. Gi i dati rilevati dal Ministero dellInterno e riportati dalla stampa specializzata consentono di affermare che il sistema delle stazioni uniche appaltanti saldamente inserito nel panorama amministrativo italiano, configurandosi come la pi importante novit, insieme allistituzione della C.O.N.S.I.P., rispetto ai modelli organizzativi per la gestione degli appalti nel nostro Paese. Gli elementi quantitativi censiti, relativi alla situazione antecedente al 2012, riferiscono di 13 stazioni uniche appaltanti funzionanti, che hanno consentito di accorpare 477 amministrazioni aggiudicatrici, tra cui 205 comuni. Le sottolineature critiche sullistituto, sia dal punto di vista teorico che pratico (33), appaiono, dopo due anni dalla predetta rilevazione, non confortate dalla incessante evoluzione del sistema in cui, evidentemente, i caratteri di fondo ed i positivi risultati hanno avuto un ruolo cruciale. (33) In proposito, si veda ANDREA MASCOLINI, Gare, flop stazioni uniche, in Italia Oggi del 22 novembre 2012, e GABRIELLA MARGHERITA RACCA, Ius publicum - Report on italian public contracts (first part), in Urbanistica e Appalti, 2012, 8. Unanalisi speditiva compiuta attraverso fonti internet in raffronto ai dati rilevati dal Ministero dellInterno (34), permette di individuare gi oggi almeno undici ulteriori stazioni uniche appaltanti di diverso genere. La situazione destinata ad evolvere ulteriormente in tempi rapidi, nel senso di una notevole estensione del modello anche in relazione allattuazione dellobbligo di attribuzione degli appalti dei piccoli comuni ad una centrale unica di committenza che, come notato in precedenza, scatter con riferimento alle gare bandite a decorrere dal 30 giugno prossimo. Al riguardo, si deve notare che tale riforma riguarder ben 5.868 comuni, per un territorio pari al 50% di quello nazionale ed una popolazione corrispondente al 40% del totale (35). A tale ultimo proposito, ferma restando la libera determinazione dei comuni interessati nel fissare le modalit per lattuazione dellobbligo menzionato, i commentatori sono unanimi nellindividuare la S.U.A. come paradigma imprescindibile, anche in considerazione della circostanza che la Stazione unica appaltante lunica espressione diffusa di concentrazione degli appalti a livello territoriale (36). Quanto alla questione pi generale relativa allopportunit di prevedere che tutte le amministrazioni aggiudicatrici sul territorio debbano aderire ad una stazione unica appaltante, si ritiene che tale opzione non sia la pi efficace. In primo luogo, sembrano militare per lopzione negativa considerazioni di legittimit costituzionale in quanto una generale obbligatoriet di adesione ad una Stazione unica appaltante potrebbe essere giudicata in contrasto con lautonomia, in particolare per gli enti locali, stabilita in Costituzione. Inoltre, la disamina di altre modalit di accorpamento delle funzioni in materia di lavori pubblici (37) ha dimostrato come sia necessaria la condivisione degli enti aderenti per raggiungere lobiettivo delleffettiva funzionalit della struttura. Una pi ampia e decisiva diffusione del modello della Stazione unica appaltante potr quindi determinarsi a seguito dellattuazione dellobbligo di accorpamento delle funzioni di appalto previsto per i piccoli comuni. In relazione a ci, come pure notato in precedenza, indispensabile sciogliere il nodo degli strumenti utilizzabili per il conferimento delle funzioni allo scopo di evitare che stazioni uniche appaltanti costituite con lo strumento convenzionale e gi (34) Si cita, a titolo di esempio, la Stazione unica appaltante di Foggia, istituita nel 2013 e lelenco di centrali di committenza regionali censite sul sito www.acquistinretepa.it. (35) Dati dellAssociazione Nazionale Piccoli Comuni dItalia in http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento_evento_procedura_commissi one/files/000/000/752/ANPCI.pdf. (36) NICOLA PIGNATELLI, op. cit.; FABIO CACCO, La stazione unica appaltante, in I contratti dello Stato e degli Enti pubblici, Anno XX, n. 2, p. 32; PASQUALE MONEA, op. cit. (37) Si veda, in proposito, per unanalisi dellesperienza degli U.R.E.G.A., CARDELLICCHIOGALLO, La stazione unica appaltante provinciale di Crotone: genesi e prospettive evolutive, in Rass. Avv. Stato, anno LIX, n. 1, gennaio-marzo 2007. funzionanti da anni, siano ritenute non utili per ladempimento dellobbligo in questione, in spregio alla ratio dellintervento legislativo teso alla razionalizzazione della spesa e del sistema amministrativo. In proposito potrebbe soccorrere uninterpretazione convergente dellAutorit di vigilanza sui contratti pubblici e delle Amministrazioni centrali competenti in materia, eventualmente supportate da parere del Consiglio di Stato. Qualora tale ipotesi dovesse ritenersi non percorribile, sarebbe necessario un intervento ortopedico sulla norma sopraindicata allo scopo di aggiungere la convenzione ex art. 30, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 tra gli strumenti utilizzabili per la costituzione della centrale di committenza. Sarebbe opportuno prevedere, sempre in chiave di evoluzione del sistema, lobbligo di adesione alla S.U.A., e non la facolt, come oggi previsto dallart. 101 del D.L.vo 6 settembre 2011 n. 159, per gli enti locali i cui organi siano stati sciolti ai sensi dellart. 143 del Testo unico degli enti locali (vale a dire per infiltrazioni o condizionamenti della criminalit organizzata) e per le amministrazioni subentrate alle commissioni straordinarie insediate ai sensi della norma predetta. Ancora, sarebbe utile prevedere che la Stazione unica appaltante costituisca uno strumento indispensabile, in abbinamento alle sezioni specializzate del Comitato di coordinamento per lalta sorveglianza sulle grandi opere ed ai correlati gruppi interforze, per prevenire infiltrazioni criminali negli interventi legati a grandi opere ed a tipologie assimilabili (ad esempio ricostruzioni post-sisma) nel caso in cui siano competenti diverse amministrazioni aggiudicatrici. In proposito, utile rilevare lesempio dellExpo 2015, un evento come noto di importanza mondiale, per il quale sono stanziati cospicui finanziamenti pubblici ed in ordine al quale vi la massima attenzione diretta ad evitare infiltrazioni criminose (38). Parimenti, con D.P.C.M. 22 ottobre 2008, stata istituita la Societ di gestione Expo 2015 S.p.A. cui sono state affidate, tra laltro, tutte le attivit da eseguire per lo svolgimento dellevento tra cui opere di programmazione e costruzione del sito, opere infrastrutturali di connessione al sito stesso, opere riguardanti la ricettivit, opere di natura tecnologica nonch attivit di organizzazione e gestione dellevento. In altri termini, lavori, forniture e servizi, ordinariamente di competenza di diverse amministrazioni aggiudicatrici, sono stati affidati ad una struttura del tutto assimilabile, in questo, ad una stazione unica appaltante (39). Da ultimo si pone il problema della collocazione della Stazione unica appaltante, in specie di quel particolare genere che ha finora fatto riferimento (38) Per unanalisi degli strumenti di prevenzione attivati, si veda CARDELLICCHIO -GALLO, Stazione Unica Appaltante: tenuta di un impianto e nuovi contesti, in Rass. Avv. Stato, anno LXII, n. 3, luglio- settembre 2010. (39) Si veda, in ordine al dibattito precedente alladozione della scelta organizzativa in questione, una dichiarazione dellallora Ministro della Giustizia sullargomento in http://napoli.repubblica.it/dettaglio-news/laquila-09:09/3681740. alle amministrazioni provinciali, in un quadro ordinamentale in grande movimento proprio per ci che riguarda larticolazione dei livelli di governo. Il disegno di legge costituzionale n. 1543, attualmente pendente presso la Camera dei Deputati, prevede, come noto, la soppressione delle province. Ci pone, tra laltro, il problema dellassegnazione delle relative funzioni tra cui rileva, in particolare, il coordinamento dellarea vasta. Si tratta di temi di grande rilevanza per i quali il disegno di legge costituzionale rinvia ad una legge dello Stato ed ad unattivit successiva di Stato e Regioni. Tale questione, nel sistema attuale, potrebbe trovare una soluzione individuando la Conferenza provinciale permanente, istituita presso le Prefetture e disciplinata dal D. L.vo 21 gennaio 2004, n. 29 e dal D.P.R. 3 aprile 2006, n. 180, come luogo ordinario di coordinamento dellarea vasta. Il predetto organismo, infatti, costituito dai responsabili di tutte le strutture amministrative periferiche dello Stato che svolgono la loro attivit nella provincia nonch da rappresentanti degli enti locali ed disegnata dalla legislazione vigente come luogo imparziale di coordinamento e di leale collaborazione tra diversi livelli di governo. Proprio quella struttura, nellambito della quale, peraltro, sono state definite le negoziazioni per listituzione delle prime stazioni uniche appaltanti, potrebbe essere individuata allo scopo di coordinare le attivit necessarie per la costituzione delle nuove centrali di committenza. In quellambito, quindi, dovrebbero essere definiti gli accordi convenzionali per la costituzione di uffici unici (40) che dovrebbero fare riferimento funzionale ad uno specifico Nucleo operativo per i contratti pubblici, da costituire con composizione mista nel seno della stessa Conferenza. A titolo di esempio, possono essere richiamate le esperienze pregresse registrate in alcune province italiane in cui stata attivata la Stazione unica appaltante (41). Un tale disegno della Stazione unica appaltante, che dovrebbe quindi essere costituita attraverso una convenzione ex art. 30 del Testo unico degli enti locali, negoziato in Conferenza provinciale permanente, costituita in Ufficio unico in raccordo funzionale con il predetto Nucleo, servirebbe anche a soddisfare una diffusa esigenza di collocazione della struttura in posizione di autonomia rispetto a tutte le amministrazioni aggiudicatrici aderenti. stato scritto, infatti (42), che poich la S.U.A. nasce nellambito della legislazione antimafia, primariamente con la finalit di rafforzare leconomia legale e di (40) Possibilit questultima espressamente prevista dallart. 30, comma 4. (41) Si veda, in proposito, lattivit posta in essere presso la Prefettura di Crotone, in CARDELLICCHIO -GALLO, La stazione unica appaltante provinciale di Crotone: genesi e prospettive evolutive, in Rass. Avv. Stato, anno LIX, n. 1, gennaio-marzo 2007. Per lanaloga strutturazione presso la Prefettura di Caserta, si veda la segnalazione in Stazione unica: nuove adesioni, in Lexautonomie del 17 ottobre 2009. (42) FABIO CACCO, op. cit. innalzare il livello di prevenzione delle infiltrazioni criminali, essa dovrebbe avere una netta autonomia rispetto agli enti per conto dei quali deve operare. Al predetto Nucleo, in una logica complessiva di sistema, dovrebbero quindi essere affidate le seguenti competenze: 1. Monitoraggio delle gare e del rispetto di vincoli derivanti dalladesione alla S.U.A.; 2. Recepimento di tutte le determinazioni e le delibere in materia di contratti pubblici (dalla fase della programmazione fino allaggiudicazione definitiva e con riguardo anche allapprovazione di varianti) da parte delle amministrazioni aggiudicatrici che dovrebbero essere destinatarie di un obbligo in tal senso; 3. Possibilit di inoltrare raccomandazioni agli enti locali, anche con il previo raccordo con lAutorit di vigilanza sui contratti pubblici, al fine di garantire la trasparenza e la legittimit delle procedure gestite in ambito contrattuale; 4. Possibilit di segnalare al Prefetto ed alla Procura regionale della Corte dei Conti eventuali elementi informativi ritenuti rilevanti ai fini dellesercizio delle rispettive attribuzioni. Un tale sistema di gestione e controllo, ovviamente qui solo abbozzato e da meglio tarare con i soggetti pubblici competenti in materia, potrebbe dare un assetto stabile e razionale alle centrali di committenza, riconducendo ad unit lesercizio sul territorio delle funzioni in materia di contratti pubblici. Il trasporto aereo tra Stato e Regioni Pierluigi Di Palma* Il riparto di competenze tra Stato e Regioni , da anni, al centro di un acceso dibattito e di forti contrasti che hanno portato a numerosi conflitti di competenze innanzi la Corte Costituzionale successivamente alla modifica del Titolo V della Costituzione ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Come noto, la richiamata legge costituzionale ha profondamente modificato il Titolo V della parte seconda della Costituzione (Regioni, Province e Comuni) e, con specifico riferimento alla potest legislativa, la novella ha introdotto un nuovo riparto di competenze fra Stato e Regioni, riconoscendo allo Stato, non pi una generale potest normativa, ma un potere legislativo esercitabile in materie tassativamente elencate. In tutte le altre materie, la riforma del Titolo V ha aperto lo spazio dintervento al legislatore regionale, in concorrenza con il legislatore nazionale o in via esclusiva. Per quanto attiene, in particolare, la materia porti e aeroporti, essa stata collocata, nellambito dellart. 117, tra le materie di legislazione concorrente, concretamente delineando una necessaria cooperazione tra Stato e Regioni, rectius leale collaborazione, come enunciato dalla Corte Costituzionale. indubbio che tale elemento di novit, nella fase di avvio, ha dato qualche buon risultato fungendo da pungolo per la conservatrice burocrazia ministeriale di cultura centralista e avversa al principio del libero mercato di derivazione comunitaria, per poi tornare ad arenarsi, nel corso degli ultimi anni, in questo come in altri settori, al punto che il tema della controriforma del Titolo V oggi pi che mai di attualit, per interrompere una copiosa legislazione regionale che, abbandonata la iniziale fase riformatrice, ha rotto gli argini assumendo le caratteristiche di uno strumento di spesa senza controllo alcuno. Insomma, dopo oltre dodici anni dalladozione della legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3 dunque il momento di tirare le somme e valutare se il nuovo impianto normativo abbia contribuito ad un miglior governo del settore del trasporto aereo. Non pu non tenersi conto, poi, con specifico riferimento a detto settore, che con i decreti legislativi nn. 96/2005 e 151/2006 anche il codice della navigazione stato oggetto di una importante opera di revisione che ha condotto, fra laltro, alla integrale modifica dellart. 698. Detta norma, oggi, prevede una distinzione tra gli aeroporti e i sistemi aeroportuali di interesse nazionale, quali nodi essenziali per l'esercizio delle com (*) Avvocato dello Stato, Presidente del Centro Studi Demetra -Development of European Mediterranean Transportation. petenze esclusive dello Stato, e quelli di interesse regionale, da individuarsi (i primi) con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e sentita l'Agenzia del demanio. La richiamata distinzione, tra aeroporti di interesse nazionale e interesse regionale, peraltro, ha trovato, negli stessi anni, riconoscimento anche a livello comunitario, dapprima nella Comunicazione (2005/c 312/01) e, poi, nella Direttiva 2009/12/CE che individua gli aeroporti con un traffico di passeggeri superiore ai cinque milioni di passeggeri quale elemento dirimente per la diversa qualificazione giuridica. Tale distinzione, come vedremo, ha dunque una rilevanza importante, forse troppo spesso sottovalutata dal Legislatore nazionale che continua a utilizzare strumenti per recepire la normativa comunitaria per frenare le novit che sono introdotte a livello continentale piuttosto che per accelerarle. Fatta questa breve premessa, al fine di trarre qualche utile spunto di riflessione sullattuale riparto di competenze fra Stato e Regioni nel settore del trasporto aereo, appare utile prendere le mosse dallesame di alcuni casi concreti. Nel 2003 si avviato un acceso confronto tra Regione Puglia e Governo, sul riparto di competenze in materia di affidamento delle gestioni aeroportuali, teso a scardinare il sistema burocratico-interdittivo che, sino ad allora, aveva determinato forti ritardi nel processo di privatizzazione e liberalizzazione del sistema aeroportuale, da correlarsi alle resistenze nellattuare i principi del libero mercato in un settore da decenni ancorato a logiche monopoliste ed assistenziali a tutela degli interessi esclusivi del vettore di bandiera. Ed invero, non avendo, allepoca, lAutorit statale nel suo complesso ancora provveduto, ai sensi del decreto ministeriale n. 521/1997 disciplinante l'affidamento delle concessioni delle gestioni totali aeroportuali a societ di capitale appositamente costituite, al rilascio delle suddette concessioni in riscontro alle istanze presentate, sin dal 1999, da diverse societ aeroportuali titolari di gestione parziale o precaria, la Regione Puglia ha deciso di agire esercitando la propria competenza legislativa. Nellinerzia dellAutorit statale, invocando la competenza legislativa concorrente nella materia porti ed aeroporti riconosciuta alle Regioni dal novellato art. 117 della Costituzione, la Regione Puglia, dunque, ha adottato il Disegno di Legge n. 1 del 22 gennaio 2003 per laffidamento alla propria societ, la S.E.A.P. S.p.A., la gestione totale del sistema aeroportuale pugliese. Si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge: la riformulazione dellarticolo 117 della Costituzione reca, tra le materie in regime di legislazione concorrente, anche porti e aeroporti civili; materia che, pertanto, deve ritenersi certamente rientrante nellambito delle discipline attribuite alla competenza legislativa regionale, la quale deve essere, come sopra ricor dato, esercitata nel rispetto dei principi definiti dal legislatore statale. Nella richiamata prospettiva, la regione Puglia ben pu avviare una iniziativa diretta ad affidare, attraverso uno specifico atto normativo, in coerenza con i principi fondamentali stabiliti dallo Stato, la gestione totale degli aeroporti che insistono sul proprio territorio, ferme restando le attribuzioni dellENAC quale soggetto regolatore del sistema per quanto attiene a tutti gli aspetti tecnici. [] ormai pacificamente riconosciuta da un consolidato e risalente indirizzo interpretativo del Giudice delle leggi la possibilit di tutte le Regioni di legiferare, traendo esse stesse, in via deduttiva e per successive astrazioni dal complesso delle leggi vigenti, i principi fondamentali che incidono su ciascuna materia di legislazione concorrente (da ultimo, Corte Costituzionale 26 giugno 2002, n. 282). Ebbene, il suddetto disegno di legge regionale della Puglia non stato poi perfezionato, ma la forte funzione sollecitatoria, derivante dalla pubblicazione delliniziativa legislativa regionale, fuor di dubbio, che abbia indotto il Ministero dei trasporti ad adottare, pur di mantenere a s intestata una surrettizia competenza, piuttosto che lasciare spazio alla legislazione regionale concorrente, il decreto ministeriale del 6 marzo 2003 con cui stato approvato laffidamento della gestione totale quarantennale del Sistema aeroportuale pugliese alla S.E.A.P. S.p.A., probabilmente per scongiurare un conflitto costituzionale che avrebbe potuto rivelarsi uno scomodo precedente per il Governo. Liniziativa regionale, dunque, determina un positivo confronto istituzionale e rappresenta una prima occasione, come propugnato dal Ministro dei trasporti Pierluigi Bersani, per riflettere sullimportanza di trasferire in favore di societ partecipate per lo pi da enti locali e territoriali, senza drenare risorse per le finanze pubbliche statali, un rilevante patrimonio, essenziale allo sviluppo economico sociale dei bacini di traffico circostanti gli scali aeroportuali. A tale vicenda dedicato un libro, dal titolo Il trasporto aereo nellEuropa delle Regioni: valorizzazione del sistema aeroportuale italiano. La Puglia: un esempio che fa discutere, primo volume della Collana I quaderni dellAviazione Civile, curata dal Centro Studi Demetra, in cui si documenta il complesso percorso burocratico amministrativo che ha portato il Governo a dover riconoscere alla SEAP, solo alla vigilia dellapprovazione della citata legge regionale, la concessione quarantennale degli scali di Bari Palese, Brindisi Papola Casale, Taranto Grottaglie, Foggia Gino Lisa. La necessit di superare la vecchia cultura colbertista, basata su un pervasivo intervento da parte dello Stato nelleconomia, in favore delle nuove societ di capitali, affidatarie della gestione aeroportuale totale, che garantiscono uno stretto collegamento con le diverse realt territoriali, ben rappresentata nella quarta di copertina del libro sul caso Puglia, dal Presidente dellENAC Vito Riggio che scrive: Le autonomie territoriali rappresentano da sempre il naturale punto di forza dello sviluppo economico ed industriale di ogni nazione progredita, che non pu prescindere da una seria programmazione per quel che concerne il rapporto tra infrastrutture e territorio. In questo contesto, assume una valenza strategica il trasporto aereo che pu assumere un ruolo fondamentale nello sviluppo, in particolare, di regioni geograficamente ed economicamente svantaggiate; la valorizzazione del sistema aeroportuale nazionale, collocato nellambito di un quadro pi generale costituito dalla crescente domanda di servizi aerei per leffettuazione di collegamenti tra scali europei di dimensione regionale, deve necessariamente essere perseguito, non solo al fine di garantire un ordinato sviluppo delle infrastrutture, ma anche come modello stabile di riferimento per esperienze analoghe. Per raggiungere questo obiettivo non si pu prescindere da una valida riforma del settore che si fondi e promuova una efficace politica della concorrenza. Naturalmente, realizzare un vero sistema concorrenziale in un settore di tipo colbertista, cio nel quale la presenza della pubblica autorit stata lunica condizione per potersi dotare di un apparato efficiente nel trasporto aereo, comporta tuttora una serie di responsabilit aggiuntive che vanno dalla riqualificazione degli apparati amministrativi ad un potenziamento dellefficienza della dimensione dei vettori. Solo a queste condizioni sar possibile intervenire efficacemente per il rilancio strutturale di regioni che da tempo, non solo nel nostro Paese, ma anche nellambito comunitario, giustamente pretendono di ottenere anchesse un percorso coerente di sviluppo socio-economico. Abbiamo bisogno non di altri aeroporti, ma di aeroporti nuovi nella concezione e nella gestione che costituiscano una vera garanzia per lo sviluppo e per la tutela del diritto alla mobilit. Ed ancora, Raffaele Fitto, allepoca Governatore della Puglia, nella prefazione del libro sottolinea la necessit di riflettere sulla distanza che separa le decisioni politiche dalla loro concreta e completa applicazione in tempi ragionevoli, evidenziando lopportunit di superare le inefficienze della pubblica amministrazione, a cominciare dalla semplificazione delle procedure eccessivamente bizantine. Scrive il Governatore della Puglia: LEuropa costituisce una formidabile opportunit di sviluppo per quelle Regioni che abbiano vocazione e stimoli alla crescita, che sappiano svecchiarsi per innovare, progettare e consumare in un attento confronto con le regole del mercato. Allinterno del processo di integrazione europea, la riforma della Pubblica Amministrazione senzaltro uno dei cambiamenti maggiormente attesi dai cittadini, proprio per le importanti ricadute positive che, cos, si verrebbero a determinare sul sistema produttivo. Le aspettative - che sottendono esigenze reali e sempre meno eludibili - si polarizzano verso uno snellimento dei processi decisionali, tali da garantirne lattuazione in tempi compatibili con le attese dei cittadini e degli operatori interessati. Il nostro Paese ha conosciuto, salvo eccezioni, una burocrazia spesso vissuta dai cittadini come una presenza ingombrante, avviluppata in procedure inutilmente complesse e bizantine. Cittadini e operatori hanno vissuto sulla propria pelle con infastidita rassegnazione gli oneri e le inefficienze nelle quali spesso si tradotta lazione amministrativa: ostacolo insormontabile per molti, insolitamente docile con altri. Porre questi problemi, () vuol dire interrogarsi sulle ragioni del declino del nostro Paese e, con pazienza da enigmisti, rintracciare - se non lecause - almeno alcune prudenti piste di riflessione. evidente che uno dei motivi delle difficolt che lItalia conosce sia riconducibile alla complessit delle procedure applicative della legislazione nazionale o comunitaria. La leva della Pubblica Amministrazione si trova cos sprovvista di un fulcro, in grado di integrare in un quadro coerente decisioni politiche e politica di sviluppo economico. () Lo scopo dellautore - senzaltro ambizioso - di porsi al servizio dellopinione pubblica segnalando le difficolt che incontra un settore strategico per leconomia nazionale come quello del trasporto aereo. Si tratta di iniziare a misurare la distanza che separa le decisioni politiche dalla loro concreta e completa applicazione in tempi ragionevoli. Tempi utili a permettere ai soggetti interessati di regolare le loro condotte sulle decisioni prese e di formulare le necessarie previsioni, con la sicurezza di un progetto politico che venga effettivamente attuato e portato a termine. Dopo il caso della Puglia che, come visto, non approda innanzi alla Corte Costituzionale per una ben precisa scelta dellAutorit statale che preferisce, come si legge nelle premesse del d.m. 6 marzo 2003, innovare i precedenti indirizzi ministeriali in materia, in ragione del mutato quadro di riferimento di fatto e di diritto piuttosto che abdicare ad una parte delle proprie competenze, la medesima Corte, negli anni successivi, chiamata ad intervenire per dirimere altri conflitti di competenza tra Stato e Regioni, che si risolvono con alcune decisioni pretorie che svolgono unimportante funzione interpretativa, anche rispetto alle novellate previsioni della parte aeronautica del codice della navigazione, nonch fungono da stimolo per il legislatore, inducendolo a dare attuazione al processo di liberalizzazione e privatizzazione del trasporto aereo e ad aprire, senza indugi, il mercato alle regole della concorrenza. Da segnalare, innanzitutto, la sentenza n. 51/2008, con cui la Corte costituzionale, accogliendo parzialmente i ricorsi proposti da alcune Regioni avverso la c.d. Legge sui Requisiti di Sistema (decreto legge n. 203/2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 248/2005), ha ricollocato nellambito del principio di leale collaborazione le diverse competenze in materia aeroportuale devolute dalla novella del titolo V alla legislazione concorrente. La Corte, nellambito di tale sentenza, ha chiarito come la regolazione tariffaria in ambito aeroportuale sia una disciplina complessa che si colloca alla confluenza di un insieme di materie che riguardano, oltre agli aeroporti, l'ordinamento civile e la tutela della concorrenza (materie rientranti nella potest esclusiva dello Stato), di talch assurge a principio fondamentale quello della leale collaborazione tra Stato e Regioni. Detto principio, come chiarito nella sentenza, si deve sostanziare in momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei livelli di governo statale e regionale (sentenze n. 240 del 2007 e n. 213 del 2006). [] Questa Corte ha gi rilevato che il principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale costituito dal sistema delle Conferenze. Esso [] realizza una forma di cooperazione di tipo organizzativo e costituisce una delle sedi pi qualificate per l'elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione. Riaffermato, dunque, il principio di leale collaborazione anche nella materia aeroportuale, la Corte ha dichiarato lincostituzionalit dellart. 11 nonies del d.l. n. 203/2005, nella parte in cui non prevedeva che, prima delladozione della delibera CIPE, fosse acquisito il parere della Conferenza unificata, nonch dellart. 11 undecies, comma 2, del d.l. n. 203/2005, nella parte in cui, con riferimento ai piani di intervento infrastrutturale, non prevedeva che fosse acquisito il parere della Regione interessata. In seguito, la Corte Costituzionale, adita in via diretta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, tornata ad occuparsi della materia aeroportuale con la sentenza n. 18/2009, dichiarando lillegittimit costituzionale della legge regionale della Lombardia n. 29/07, in materia di trasporto aereo, coordinamento aeroportuale e concessioni di gestione aeroportuale, con la quale la Regione Lombardia ha legiferato su materie non riconducibili esclusivamente alla materia aeroporti, trattando di clearance aeroportuale (artt. 2-8) e di concessioni di gestione aeroportuale (artt. 9-11), con riferimento agli aeroporti situati nel territorio regionale (art. 1), che afferiscono a materie ulteriori. In particolare, secondo la Corte, Dall'esame della normativa comunitaria e di quella interna di attuazione emerge che la disciplina dell'assegnazione delle bande orarie negli aeroporti coordinati risponde, da un lato, ad esigenze di sicurezza del traffico aereo, e, dall'altro, ad esigenze di tutela della concorrenza, le quali corrispondono ad ambiti di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma secondo, lettere e) ed h), Cost). La legge regionale impugnata nel presente giudizio, pur riguardando sotto un profilo limitato ed in modo indiretto gli aeroporti, non pu essere ricondotta alla materia porti e aeroporti civili, di competenza regionale concorrente. Tale materia - come questa Corte ha gi affermato (sentenza n. 51 del 2008) - riguarda le infrastrutture e la loro collocazione sul territorio regionale, mentre la normativa impugnata attiene all'organizzazione ed all'uso dello spazio aereo, peraltro in una prospettiva di coordinamento fra pi sistemi aeroportuali. La distribuzione delle bande orarie richiede, infatti, almeno una corrispondenza tra i due aeroporti del volo, quello di partenza e quello di arrivo, oltre che il coordinamento dei voli nello spazio aereo considerato. Le norme in esame, pertanto, incidono direttamente ed immediatamente sulla disciplina di settori (l'assegnazione delle bande orarie, il rilascio delle concessioni aeroportuali) che sono stati oggetto dei richiamati interventi del legislatore comunitario, e poi del legislatore statale, riconducibili alle materie sopra indicate, attribuite alla competenza esclusiva dello Stato. Anche in tale occasione la Consulta, pur dichiarando lillegittimit della legge regionale contestata, richiama la necessaria collaborazione tra Stato ed Enti territoriali per il governo del sistema aeroportuale. In particolare, la Corte Costituzionale concentra il proprio ragionamento sui regolamenti comunitari per lassegnazione di bande orarie (Reg. 95/93/CEE come modificato dal Reg. 793/2004/CE), desumendo che la disciplina da essi recata essenzialmente volta al fine di garantire laccesso al mercato di tutti i vettori secondo regole trasparenti e non discriminatorie. Dallesame della normativa comunitaria e di quella interna di attuazione (art. 807 cod.nav.) la Corte ritiene che la disciplina di assegnazione delle bande orarie negli aeroporti coordinati risponde da un lato, ad esigenze di sicurezza del traffico aereo, e, dallaltro, ad esigenze di tutela della concorrenza, le quali corrispondono ad ambiti di competenza esclusiva dello Stato. In conclusione, la Consulta precisa, come gi affermato con la decisione n. 51/08, che la competenza regionale concorrente nella materia controversa riguarda le infrastrutture e la loro collocazione sul territorio regionale. Al contrario, sono da ritenersi attribuite alla competenza esclusiva dello Stato lassegnazione delle bande orarie ed il rilascio delle concessioni, materie che vanno oltre la dimensione regionale e che si riferiscono alla sicurezza del traffico aereo ed alla tutela della concorrenza () allorganizzazione ed alluso dello spazio aereo, peraltro in una prospettiva di coordinamento fra pi sistemi aeroportuali. In seguito, proprio prendendo le mosse da tali pronunce, nello sforzo di rispettare i paletti segnati dalla Consulta nel corso degli anni, si muovono due pi recenti proposte di legge della Regione Lazio elaborate con il supporto del centro studi Demetra, la n. 89/2010 (proposta dal Cons. Francesco Scalia) e la n. 317/2012 (proposta dal Cons. Ernesto Irmici), aventi ad oggetto rispettivamente Norme in materia di aeroporti di interesse regionale e aeroporti di interesse regionale, volte a permettere alla Regione Lazio, nellambito dellesercizio della propria competenza concorrente, di localizzare i siti ove possano sorgere nuove infrastrutture aeroportuali di rilevanza regionale, nonch di riservare alla Regione stessa il potere di rilasciare la concessione della gestione totale dei medesimi scali aeroportuali. La questione se il rilascio della concessione della gestione degli aeroporti di rilevanza regionale possa essere ricollocata nellambito delle competenza concorrente delle Regioni, o vada invece riservata alla competenza esclusiva dello Stato, non solo non trova risposta negativa nelle richiamate pronunce della Corte Costituzionale, ma ricavabile, in senso positivo, da altri pronunciamenti della Consulta e, in generale, dai principi generali dellordinamento. A tale proposito, si ricorda che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 89 del 2006, si gi cimentata sulla [] delimitazione dellambito delle competenze, statali e regionali, in riferimento alle procedure amministrative per il rilascio delle concessioni demaniali marittime []. La Corte, infatti, nellambito di una procedura per conflitto di attribuzioni, aveva dichiarato che non spettava alle autorit marittime statali la competenza amministrativa relativa al rilascio di concessioni demaniali per i porti di rilevanza economica regionale e interregionale. Il vero nodo della questione, dunque, riguardo la legittimit di un intervento normativo della Regione, su di una materia di competenza concorrente, in assenza della previa adozione, da parte dellAutorit statale, dei provvedimenti necessari per definire la cornice dei principi entro i quali chiamata a muoversi la Regione, pu ritenersi risolto nei termini anzidetti. Vero , tuttavia, che le proposte di legge della Regione Lazio sono rimaste tali e, ad oggi, nessuna concreta iniziativa stata posta in essere, a livello territoriale, per esercitare nuove possibili competenze in materia aeroportuale. Tali proposte normative della Regione Lazio, peraltro, si inseriscono nel- lambito di una pi grande querelle istituzionale concernente lindividuazione del terzo scalo del Sistema aeroportuale del Lazio, di rilevanza nazionale, verso il quale delocalizzare il traffico ricadente sullaeroporto di Ciampino, destinato ad un forte ridimensionamento per problemi di inquinamento acustico. Trattasi, come tanti nel nostro Paese, di un progetto non realizzato, nonostante la stipula nel 2008 di un atto di intesa programmatica tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Presidente della Regione Lazio volto a promuovere, per motivi di compatibilit ambientale, la delocalizzazione del traffico aereo gravante su Ciampino, con la realizzazione dellaeroporto di Viterbo, quale terzo scalo del Lazio di rilevanza nazionale, e rimettendo al- lente territoriale la responsabilit di individuare uno scalo di interesse regionale nel sud del Lazio. Nonostante limpiego di rilevanti risorse pubbliche in studi di fattibilit, come detto, il progetto non ha trovato attuazione, avendo il Ministro dei trasporti e delle infrastrutture pro tempore, con un nuovo atto di indirizzo, stabilito di concentrare tutto il traffico aereo della Capitale sullaeroporto di Fiumicino !! Ci dimostra che tutti gli sforzi compiuti, anche attraverso le indicazioni provenienti dalle pronunce della Corte costituzionale, per procedimentalizzare liter per lindividuazione degli aeroporti di rilevanza nazionale e quelli di rilevanza regionale, attraverso la leale collaborazione tra Stato e Regioni, nonostante i buoni auspici della fase di avvio, non hanno centrato lobiettivo, anche per la persistente e coriacea resistenza di assetti burocratici interdittivi propensi a salvaguardare gli interessi degli interessi piuttosto che porre, come dovuto, attenzione alla tutela dellinteresse pubblico. Di talch, lesperienza sembra indicare che il percorso sino ad oggi seguito va rimeditato: meglio sarebbe stato, probabilmente, attenersi alle chiare indicazioni del legislatore comunitario che, come visto, fissa nella soglia dei cinque milioni di passeggeri annui il discrimen per lindividuazione degli aeroporti regionali e nazionali, ancorando tale distinzione ad un dato oggettivo, sottratto a dannosi conflitti di competenze. Peraltro, proprio di recente, la neo istituita Autorit di Regolazione dei trasporti, nellelaborare i nuovi modelli di regolazione tariffaria in ambito aeroportuale, ha previsto tre diversi modelli tariffari riguardanti, rispettivamente, gli aeroporti con volumi di traffico superiore ai cinque milioni di passeggeri per anno, gli aeroporti con volumi di traffico compresi tra i tre ed i cinque milioni di passeggeri per anno e gli aeroporti con volumi di traffico annuo inferiore a i tre milioni di passeggeri per anno, modificando lintensit della regolazione al ridursi dei volumi di traffico. Da segnalare, infine, che lAutorit di regolazione dei trasporti ha gi trovato unimportante legittimazione da parte della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 41 del 15 marzo 2013 ha respinto il ricorso proposto dalla Regione Veneto per la declaratoria di illegittimit, per violazione degli artt. 117, 118, 119 della Costituzione, nonch del principio di leale collaborazione, della norma che ne ha previsto listituzione (art. 36, comma 1, lettera a), del d.l. n. 1/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. 27/2012). La Consulta, al riguardo, ha avuto modo di chiarire che le funzioni conferite allAutorit di regolazione dei trasporti, se intese correttamente alla luce della ratio che ne ha ispirato listituzione, non assorbono le competenze spettanti alle amministrazioni regionali in materia di trasporto pubblico locale, ma le presuppongono e le supportano. Valgono anche in questo caso i principi affermati dalla Corte in una fattispecie analoga: le attribuzioni dellAutorit non sostituiscono n surrogano alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo; esse esprimono una funzione di garanzia, in ragione della quale configurata lindipendenza dellorgano. [] non vi ragione di ritenere che le Autorit di tale natura [] possano produrre alterazioni dei criteri costituzionali in base ai quali viene ripartito lesercizio delle competenze amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali. In conclusione, a 12 anni dalla novella del Titolo V della Costituzione e dopo quasi 10 anni dalla riforma della parte aeronautica del codice della navigazione, si pu affermare che il rinnovato riparto di competenze tra Stato e Regioni, come concretamente affermatosi, non funziona, neppure dopo gli apprezzabili sforzi interpretativi della Consulta, tesi a massimizzare il coinvolgimento degli enti territoriali, attraverso il richiamo al principio di leale collaborazione. Nel senso di un rafforzamento delle competenze centrali, sembra oggi militare il Piano Nazionale degli aeroporti, da approvarsi con un decreto della Presidenza della Repubblica, assurgendo, cos, non gi ad un mero atto di indirizzo, ma ad un atto normativo che individua, nel panorama nazionale, 11 aeroporti strategici e 26 aeroporti di interesse nazionale. Non resta che vedere, a questo punto, se e come gli assetti istituzionali di riferimento, decideranno di valorizzare o meno gli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico civile statale e le relative pertinenze, diversi da quelli di interesse nazionale cos come definiti dallarticolo 698 del Codice della navigazione che, ai sensi dellart. 5, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, saranno trasferiti a detti Enti. Ma invocare un ritorno al passato, seppure appaga chi di fronte al fallimento di una esperienza avverte la responsabilit di una scelta politico istituzionale forte, non detto che sia una soluzione efficace. Forse oggi, di fronte ad un meccanismo che tende a riprodursi e alla necessit di un cambiamento necessario cercare la via maestra di collegarsi direttamente allEuropa che, effettivamente, ha la responsabilit di governare il settore affermando, sempre pi, i principi del libero mercato attraverso una legislazione chiara ed efficace. indubbio che per governare il settore del trasporto aereo servono norme semplici e procedure ragionevoli. La nostra sovrabbondante disciplina nazionale sicuramente strutturalmente contraddittoria rispetto alla valenza e alla funzione delle norme comunitarie in materia. La linearit delle norme comunitarie che hanno introdotto un sano principio di concorrenzialit in un libero mercato, salvaguardando i diritti dei passeggeri e la loro sicurezza, non sono sempre compatibili con una legislazione nazionale che tende ad adattare, a tutela di interessi specifici, il diritto comunitario. In Europa, come ricordato dal collega Giuseppe Fiengo per quanto concerne il settore dei lavori pubblici, le procedure sono oggettive ed efficaci, in casa le regole risultano, a volte, fatte su misura. Ma nellapplicare le regole comunitarie, occorre un nuovo modo di amministrare legato alla capacit per chi decide di assumere la piena responsabilit di quello che fa, cosa non facile per una classe dirigente che, per lo pi, non ha autonomia nei confronti di una classe Politica che, fino ad oggi, non ha dimostrato capacit di elaborazione di linee di indirizzo strategico per garantire nel settore aerospaziale lo sviluppo economico ed occupazionale che il nostro Paese merita. La sponsorizzazione dei beni culturali: opportunit e criticit dello strumento alla luce del caso Colosseo Sara Peluso* La "sponsorizzazione" sui beni culturali paga, nella prassi amministrativa italiana, tutte le difficolt di utilizzazione di un modello di contratto mercantile preso in prestito da un'area estranea al mondo culturale: lo sponsor normalmente si fa pubblicit con un soggetto o un bene di stretta pertinenza individuale, lega il suo nome ad un viso o ad un qualcosa di noto, che diviene in tal modo anche la sua immagine esclusiva. Secondo la definizione di Wilkipedia "Sponsorizzare qualcosa o qualcuno (dal latino sponsor 'garante, manlevatore', ovvero dal verbo spondere 'promettere solennemente') significa sostenere un evento, un'attivit, una persona o un'organizzazione, finanziariamente oppure attraverso la fornitura di prodotti o servizi. Per sponsor s'intende l'individuo o l'azienda che fornisce tale sostegno. La sponsorizzazione pu pertanto consistere in un accordo che preveda pubblicit in cambio dell'impegno a finanziare un ente o un evento popolare. Di qui la prima regola, che sembra emergere, che un operatore pubblico (nella specie il Ministero per i beni e le attivit culturali) per scegliersi il suo sponsor deve aprire una sorta di gara e non pu fare alcuna discriminazione tra le varie aziende europee, che potenzialmente potrebbero essere interessate all'operazione, che mantiene una forte valenza economica e commerciale. La seconda regola deriva dalla difficolt di adattamento del meccanismo descritto, di identificazione tra l'attivit commerciale dello sponsor e l'attivit che riguarda il bene sovvenzionato: i beni culturali appartengono naturaliter ad una collettivit, prevalentemente territoriale, che quel bene usa e che in quel bene si rappresenta; questa collettivit diffusa non accetta istintivamente di riconoscersi con il mondo ed i prodotti che lo sponsor intende pubblicizzare o vendere. Di qui l'altra regola che l'intervento dello sponsor debba assumere, nel settore dei beni e delle attivit culturali, una forma prevalentemente "istituzionale", se non neutra, facendo venir meno in gran parte la funzione economico sociale (i giuristi la chiamano "causa") del contratto civilistico di sponsorizzazione. In questo contesto, venute meno, anche per ragioni di insufficiente protezione fiscale, le forme di mecenatismo tradizionali, le sponsorizzazioni sui beni e sulle attivit culturali hanno avuto vita difficile: molte fondazioni ban (*) Docente a contratto di Diritto dellEconomia - Universit di Modena e Reggio Emilia. Larticolo gi edito in Gazzetta Ambiente, 2013, n. 5, e se ne ripropone la pubblicazione per consentirne la libera consultazione ai Lettori interessati. carie che volevano attribuire ai loro interventi una forte valenza territoriale, chiamando a lavorare soprattutto maestranze locali (sorreggendo in tal modo le attivit artigianali e le piccole imprese territoriali) hanno preferito, viste le difficolt operative con i beni culturali di propriet dello Stato, Province e Comuni, rivolgere le loro risorse ai beni ecclesiastici, nei cui confronti esistono oggettivamente vincoli meno stringenti. Eppure la formula dell'articolo 111 del Codice dei beni culturali e del paesaggio concernente la "valorizzazione" dovrebbe essere foriera di utili applicazioni: "1) Le attivit di valorizzazione dei beni culturali consistono nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all'esercizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalit indicate all'articolo 6. A tali attivit possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati. 2) La valorizzazione ad iniziativa pubblica o privata. 3) La valorizzazione ad iniziativa pubblica si conforma ai principi di libert di partecipazione, pluralit dei soggetti, continuit di esercizio, parit di trattamento, economicit e trasparenza della gestione. 4) La valorizzazione ad iniziativa privata attivit socialmente utile e ne riconosciuta la finalit di solidariet sociale". Ed proprio su questi aspetti che si muove lo studio di Sara Peluso, che, in modo sistematico attraverso l'analisi dell'evoluzione normativa, della dottrina e della giurisprudenza amministrativa, tende a fornire il quadro evolutivo del sistema delle sponsorizzazioni sui beni culturali, mettendo in evidenza tutte le opportunit e le criticit dello strumento. G.F. SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. I privati e i beni culturali tra mecenatismo e sponsorizzazioni - 3. Dal contratto di sponsorizzazione come contratto pubblico al contratto di sponsorizzazione nel Codice dei Beni Culturali - 4. Il caso Colosseo - 5. Conclusioni. 1. Introduzione. Il d.lgs. 62/2008 ha modificato e innovato il Codice dei Beni Culturali determinando importanti cambiamenti nella disciplina relativa al contratto di sponsorizzazione, soprattutto in riferimento alla portata dellambito applicativo. La lettura di queste modifiche in relazione al contratto di sponsorizzazione recentemente sottoscritto dalla Tods S.p.A. per la ristrutturazione del Colosseo si presta indubbiamente a fornire un valido spunto per esaminare le caratteristiche salienti dellistituto e tratteggiare il fenomeno della sponsorizzazione nel settore dei beni culturali, attraverso lidentificazione dei possibili effetti positivi generabili sia in termini pi generali di sussidiariet tra pubblico (proprietario) e privato (sponsor), in attuazione del principio allart. 118, c. 4, della Costituzione, sia in termini di risultati ottenibili nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio culturale nazionale, cos come auspicato dallart. 9 della Costituzione. ComՏ noto infatti, secondo tale disposizione, che stabilisce peraltro il principio del collegamento tra tutela del patrimonio storico-artistico e promozione dello sviluppo della cultura, la tutela dei beni culturali compito riservato alla Repubblica, laddove Repubblica sta in generale ad indicare i pubblici poteri, ovvero lo Stato in tutte le articolazioni territoriali che lo compongono ex art. 114 della Costituzione. Si tratta dunque di un compito non delegabile ai privati, il cui esercizio implica da un lato la riserva di tale funzione al soggetto pubblico, dallaltro un dovere imprescindibile associato ad essa. Diverso il discorso da farsi sul compito di valorizzazione dei beni culturali, affidato dalla Costituzione alla legislazione concorrente Stato/Regioni all'art. 117, c. 3, per il quale lintervento dei privati ammesso e perfino incentivato dal Codice. 2. I privati e i beni culturali tra mecenatismo e sponsorizzazioni. Il settore dei beni culturali da considerarsi senza ombra di dubbio di straordinaria rilevanza per l'Italia, dotata di un patrimonio senza pari, e non solo perch impatta notevolmente su altri settori ad esso collegati, come quello del turismo, ma anche e soprattutto perch custodisce la memoria nazionale e collettiva del popolo italiano. Tuttavia, negli ultimi anni, lintero sistema dei beni culturali ha patito i tagli alla spesa pubblica vedendo progressivamente erodersi le risorse a disposizione, destinate piuttosto a vantaggio di altri settori dell'economia pi adatti a compiacere lelettorato. Per questo e per molti altri motivi, come le crescenti difficolt organizzative e manageriali della pubblica amministrazione sul terreno dell'organizzazione e della gestione del bene culturale (1), l'intervento pubblico si dimostrato insufficiente rendendosi, dunque, necessario individuare forme di partecipazione nel settore, anche al fine di attrarre capitali e competenze specifiche. Col delinearsi di un simile contesto non stupisce quindi che ad un certo punto si sia tentato di coinvolgere i privati e le relative risorse per finanziare gli interventi pubblici di tutela e valorizzazione dei beni culturali. A questo proposito per utile ricordare che prima dellentrata in vigore del d.lgs. 42/2004, non vi era mai stato da parte del legislatore un intervento organico per disciplinare la materia, col risultato che questi interventi prendevano le mosse senza una precisa cornice normativa di riferimento, basandosi sostanzialmente su soluzioni giuridiche ibride riconducibili a istituti di volta in volta differenti, e in particolare attraverso due sistemi alternativi: (1) Almeno attenendosi ai dati sul fatturato del settore riportati da M. CAMMELLI, 2011, dai quali risulta come l'Italia sia palesemente indietro pur possedendo un patrimonio culturale di gran lunga pi ricco di altri Paesi in posizioni migliori in classifica. a) da un lato quello delle erogazioni liberali, legate al fenomeno del c.d. mecenatismo culturale. Si tratta principalmente di donazioni al settore, elargite da soggetti privati in un sistema di esenzioni ed agevolazioni fiscali designato ad hoc, costruito proprio per incentivare i privati a partecipare agli interventi di valorizzazione sui beni culturali. Il fenomeno si fonda dunque su un meccanismo di leva basato su strumenti di detraibilit e deducibilit fiscale delle somme elargite al settore dai soggetti donanti. Il sistema delle erogazioni liberali non stato per in grado di produrre risultati economici sostanziali, probabilmente a causa della, tutto sommato, trascurabile convenienza fiscale ottenibile, della scarsa visibilit legata alle donazioni al settore culturale per il soggetto donante, rispetto a donazioni destinate ad altri scopi (ad esempio, quelle per la ricerca medica, la povert, ecc.) pi inclini a produrre consensi e dunque ad attrarre capitali, e dunque del mancato ritorno effettivo dellinvestimento, legato oltretutto non di rado a tortuosi iter burocratici, in barba al principio generale della semplificazione dei procedimenti amministrativi. b) dallaltro lato, le sponsorizzazioni, ovvero contratti a prestazioni corrispettive attraverso i quali il privato, a fronte di una certa somma da versare, acquisisce il diritto, in varie forme, di sfruttare a proprio vantaggio l'immagine o il nome del bene culturale interessato dal contratto, incorporandolo ad esempio in iniziative legate a un certo prodotto o a una certa operazione imprenditoriale. A voler fare un confronto con le erogazioni liberali salta dunque subito agli occhi come queste forme di contribuzione offrano l'indubbio pregio di consentire un ritorno dellinvestimento per lo sponsor in termini di immagine e visibilit traducibile in un cospicuo vantaggio commerciale sui diretti con- correnti legato alla pubblicit che ne deriva. Il funzionamento di entrambi gli strumenti appena tratteggiati, seppure a grandi linee, prevede comunque che i ruoli del soggetto pubblico e del soggetto privato siano divisi e ben definiti, per cui il soggetto pubblico riceve un finanziamento dal soggetto privato, che si limita ad elargirlo, conservando la governance sul bene culturale in relazione ai vari aspetti di tutela, valorizzazione e gestione. Pare infatti opportuno sottolineare, senza per addentrarsi troppo nel merito della questione, come forme diverse e pi estese di partecipazione dei soggetti privati alla funzione di gestione del bene culturale abbiano da sempre incontrato una certa resistenza allinterno del nostro ordinamento, vista la prevalente attenzione alla tutela, alla conservazione e alla fruizione del bene culturale in stretta conformit all'interesse pubblico, da considerarsi pertanto bene pubblico indissolubilmente legato al soggetto pubblico e insuscettibile di essere trasferito ad un privato che possa esercitarvi una qualunque attivit, malgrado lapplicabilit del principio di sussidiariet, gi prima richiamato. Questo tradizionale modello di divisione dei ruoli tra soggetto pubblico e soggetto privato pare, per, oggi in discussione proprio alla luce delle evidenti difficolt incontrate dalle pubbliche amministrazioni nelleffettivo eser cizio di tutela e conservazione del patrimonio culturale nazionale, sempre pi trascurato, quando non degradato e, certo, non valorizzato, anche a causa degli stringenti vincoli di bilancio. A tal proposito pare infatti opportuno porre in evidenza come in altri ambiti dellordinamento, e si pensi in particolare al settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, si siano di fatto sviluppate nuove soluzioni contrattuali in relazione alle possibilit offerte dal partenariato pubblico privato, modelli che varrebbe di certo la pena prendere in considerazione anche per intervenire opportunamente nel settore dei beni culturali, chiaramente operando le necessarie modifiche in considerazione della peculiare natura di questi beni. Ad ogni modo, al momento, anche per effetto del processo di legittimazione che il contratto di sponsorizzazione ha sperimentato sia in dottrina e che in giurisprudenza, tra i contratti atipici onerosi a prestazioni corrispettive, e nondimeno per gli intervenuti atti legislativi che ne hanno disciplinato forme e contenuti, e a livello generale (artt. 43 della l. 449/1997, 119 del d.lgs. 267/2000 e 26 del d.lgs. 163/2006), e a livello speciale (art. 120 del Codice dei beni culturali), la sponsorizzazione pare oggi uno degli strumenti senzaltro pi efficaci e appropriati perch pubbliche amministrazioni e privati possano collaborare produttivamente come partner per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico-artistico. 3. Dal contratto di sponsorizzazione come contratto pubblico al contratto di sponsorizzazione nel Codice dei Beni Culturali. Da un punto di vista strettamente privatistico, il contratto di sponsorizzazione istituisce un rapporto contrattuale atipico e consensuale, a titolo oneroso e sinallagmatico, per cui un soggetto, anche detto sponsee, acconsente a prestare la propria immagine e/o il proprio nome, per promuovere il marchio, il nome, limmagine, lattivit o i prodotti di un altro soggetto, anche detto sponsor. Tali caratteristiche differenziano la sponsorizzazione da altri tipi di soluzioni economiche a favore di terzi: in primo luogo dal mecenatismo, che si basa su dazioni di denaro a titolo gratuito, senza dunque la previsione di obblighi a carico del beneficiario; ma anche dal contratto pubblicitario, poich la sponsorizzazione genera una forma di pubblicit solo indiretta in favore dello sponsor, ovvero il ritorno pubblicitario di per s non costituisce il contenuto del contratto ma si configura piuttosto come un effetto dello stretto legame che viene ad instaurarsi, col contratto stesso, tra l'immagine o comunque i segni distintivi dello sponsor e loggetto cui lo sponsor ha scelto di destinare le proprie risorse, confidando nella capacit delloggetto di promuovere la propria immagine presso un certo pubblico. Prima di andare ad indagare il peso specifico dellart. 120 del Codice dei beni culturali in termini di effettivi benefici apportabili alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico nazionale, pare opportuno, quan tomeno a grandi linee, puntualizzare le norme fissate dal legislatore per la partecipazione della Pubblica Amministrazione a un contratto di sponsorizzazione. In passato la legittimit stessa della partecipazione della P.A. a un simile rapporto contrattuale era stata pi volte messa in discussione, dunque solo a partire dalla fine degli anni Novanta il legislatore ha deciso di intervenire per eliminare ogni dubbio a riguardo, cominciando gradualmente a riconoscere questa possibilit al soggetto pubblico: in un primo momento ai soli enti statali e a patto che si trattasse di sponsorizzazioni passive c.d. pure, in cui la controprestazione dello sponsor rappresentata da dazioni in denaro ex art. 43 l. 449/1997, e solo in seguito anche agli enti locali, ex art. 119 d.lgs. 267/2000. Queste disposizioni, per, nulla di fatto dicevano circa le procedure applicabili in caso di contraente pubblico, una lacuna colmata solo successivamente dallart. 26 del d.lgs.163/2006, che ha previsto, accanto alle sponsorizzazioni passive pure, lintroduzione di sponsorizzazioni passive c.d. tecniche, da realizzarsi attraverso lavori, prestazioni di servizi o forniture di beni da parte degli sponsor alle PA. Per cui oggi, semplificando, le prestazioni dello sponsor possono consistere non solo nella dazione di somme di denaro ma anche in prestazioni di dare e fare. La disposizione ha inoltre esteso la possibilit di concludere contratti di sponsorizzazione in qualit di sponsee, oltre che alle c.d. amministrazioni aggiudicatrici ex art. 3, c. 25, del Codice dei contratti, anche a qualsiasi altro ente aggiudicatore ai sensi dellart. 3, c. 29. Quanto allo sponsor, invece, larticolo, limitandosi a indicare che si debba trattare di soggetti che non siano unamministrazione aggiudicatrice o altro ente aggiudicatore, ha di fatto potenzialmente legittimato anche enti privati senza scopo di lucro a rivestire tale ruolo, ad esclusione chiaramente di eventuali organismi di diritto pubblico. Infine dalla disposizione che chiude la norma possibile anche evincere quali siano i compiti effettivi che le parti contrattuali possono assumere nellesecuzione del contratto. In particolare, lart. 26, c. 2, riprendendo quanto dettato dallart. 2, c. 2, del d.lgs. 30/2004, per le sponsorizzazioni aventi ad oggetto il restauro di beni culturali, ha previsto che in tutti i casi di sponsorizzazioni tecniche in cui sia coinvolta la P.A, lo sponsor possa sia realizzare la progettazione dellopera sia dirigerne lesecuzione, pur restando in capo alla pubblica amministrazione, in qualit di sponsee, il potere di controllo sulloperato del privato. Tale norma ha quindi gettato le basi per una disciplina generale e completa delle sponsorizzazioni, fino ad allora regolate solo da disposizioni frammentarie, individuando con sufficiente puntualit sia le procedure a cui i contratti di sponsorizzazione e i contratti ad essi assimilabili sono assoggettati, sia i possibili contenuti di queste fattispecie. Inoltre, val la pena porre in evidenza come inserire lart. 26 proprio nel Titolo II, Parte I, del Codice dei contratti, avente ad oggetto i contratti esclusi in tutto o in parte dallambito di applicazione del Codice abbia significato in sostanza anche slegare la spon sorizzazione dai rigidi iter ad evidenza pubblica tradizionalmente previsti per i contratti stipulati dalla P.A., bench, a ben vedere, si sia trattato di unesclusione solo parziale, dovendosi comunque applicare a questi contratti i criteri comunitari delleconomicit, dellefficacia, dellimparzialit e della parit di trattamento per la scelta dello sponsor, come precisato dal seguente art. 27. E proprio con lintento di perseguire i succitati principi, il legislatore nazionale ha scelto di disporre una procedura semplificata ad evidenza pubblica, in un certo senso depotenziata, secondo la quale la P.A. deve necessariamente far precedere laffidamento da un invito ad almeno cinque concorrenti, compatibilmente con loggetto del contratto, a prescindere dal valore monetario del contratto concluso. Se dunque i contratti di sponsorizzazione tecnica sono stati compiutamente disciplinati dallart. 26 del Codice degli appalti, le sponsorizzazioni pure restavano, in teoria, ancora regolate dalla precedente normativa (2), per quanto farraginosa, se non incompleta, il che avrebbe reso difficile comprendere se per la scelta del contraente dovessero essere applicate le norme previste dallart. 3, R.D. n. 2440/ 1923, oppure quelle del Codice dei contratti, che in realt si riferiscono alla sola disciplina dei contratti di sponsorizzazione passiva tecnica. La questione rimasta peraltro a lungo aperta, sebbene fosse di certo pi sensato ritenere possibile lapplicazione degli artt. 26 e 27 del Codice anche alle sponsorizzazioni pure, se non altro perch diversamente le sponsorizzazioni pure sarebbero risultate ingiustificatamente pi gravose delle sponsorizzazioni tecniche. Il quadro legislativo generale di riferimento non appena tratteggiato consente una pi consapevole analisi della normativa speciale di dettaglio contemplata dal d.lgs. 42/2004 per i soli contratti di sponsorizzazione nellambito dei beni culturali. La decisione di regolare tale fattispecie con il d.lgs. 42/2004 si radica nella progressiva presa di coscienza da parte del legislatore delle opportunit derivanti da un coinvolgimento dei privati a sostegno delle amministrazioni pubbliche per perseguire la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, storico e artistico del paese. Il fatto che il settore dei beni culturali, incrociando una pluralit di interessi, necessiti della collaborazione di una molteplicit di soggetti per essere efficientemente gestito ed esperito, pare oggi del tutto assodato, anche in relazione al principio di sussidiariet orizzontale e ai gi menzionati ostacoli organizzativi e finanziari che gli enti pubblici, proprietari e gestori del patrimonio culturale, si trovano oggi a fronteggiare. Unanalisi dellistituto della sponsorizzazione, di cui al Titolo II, capo II, del Codice dedicato ai Principi della valorizzazione dei beni culturali, dunque, non pu prescindere dal prendere preliminarmente atto di queste constatazioni. (2) Considerando che con lentrata in vigore del Codice degli appalti non sono stati abrogati n lart. 43 del d.lgs. 449/1997, n lart. 119 del d.lgs. 267/2000. Non diversamente da quanto gi previsto dalla normativa generale del Codice dei contratti, lart. 120, come modificato dal d.lgs. 62/2008, pone immediatamente in evidenza la natura sinallagmatica della sponsorizzazione definendola, al comma 1, come ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato per la progettazione o lattuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, limmagine, lattivit o il prodotto dellattivit del soggetto erogante. In particolare il successivo comma precisa poi che il corrispettivo a favore dello sponsor debba tradursi nel diritto a legare il proprio nome, marchio, immagine, attivit o prodotti al relativo progetto di valorizzazione o tutela del patrimonio culturale sponsorizzato, posto chiaramente che la cosa sia pienamente compatibile con il carattere artistico o storico, laspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare. E proprio al fine di garantire che lesecuzione del contratto avvenga correttamente, lo stesso articolo dispone specifiche forme di controllo: stabilendo che il Ministero debba farsi garante delle operazioni di controllo nella fase antecedente alla stipula del contratto verificando la compatibilit di dette iniziative con le esigenze della tutela; specificando che nel contratto debbano essere accuratamente regolate le modalit di erogazione del contributo dello sponsor; introducendo lobbligo di disporre anche accessorie forme di controllo, da parte del soggetto erogante, sulla realizzazione delliniziativa cui il contributo si riferisce. La disposizione poi conferma, al pari del Codice dei contratti pubblici, la legittimit delle sponsorizzazioni tecniche anche in ambito culturale, e parimenti identifica il possibile contributo dello sponsor in prestazioni di fare e di dare in relazione alla tutela o alla valorizzazione del patrimonio culturale, ritenendo quindi le sponsorizzazioni pure non espressamente disciplinate dal d.lgs. 163/2006. Loperativit della norma, dapprima circoscritta alle sole iniziative del Ministero, stata poi estesa anche a quelle delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonch di altri soggetti pubblici o di persone giuridiche private senza fine di lucro e alle iniziative di soggetti privati su beni culturali di loro propriet. Differentemente da quanto avviene nel Codice dei Contratti, nel Codice dei beni culturali e del paesaggio viene espressamente prevista la possibilit di rivestire il ruolo di sponsor anche per i soggetti pubblici. Lart. 120, dunque, rappresenterebbe una sorta di eccezione ad un principio generale se si ritiene che lomissione di ogni riferimento a questa facolt per gli enti pubblici dal- lart. 43, l. 449/1997, dallart. 119 d.lgs. 267/2000 e dallart. 26 del Codice dei contratti si traduca implicitamente in un divieto alla conclusione di contratti di sponsorizzazione attiva per gli enti pubblici. A ben vedere - anche in base a quanto disposto dallart. 6, c. 9, del d.l. 78/2010, che, vietando alle P.A. di stipulare contratti di sponsorizzazione attiva, con lintento di porre dei limiti alla spesa pubblica, in realt ammette, seppure in modo implicito, che questa possibilit esista - giungere a una tale conclusione sembrerebbe se non altro semplicistico. Non poche difficolt interpretative emergono anche in riferimento alle procedure previste per la stipulazione dei contratti di sponsorizzazione ai sensi dellart. 120 del Codice dei beni culturali. Prima della sua abrogazione, lart. 2 del d.lgs. 30/2004 escludeva lapplicazione delle disposizioni nazionali e regionali in materia di appalti di lavori pubblici, ad eccezione di quelle sulla qualificazione dei progettisti e dei soggetti esecutori per i contratti di sponsorizzazione stipulati nellambito dei beni culturali. Successivamente, con lentrata in vigore del Codice dei contratti pubblici, alle sponsorizzazioni operate ai sensi dellart. 120 del Codice dei beni culturali si sono poi applicate le gi richiamate disposizioni degli artt. 26 e 27, che, si tiene a ribadirlo, dispongono una procedura semplificata ma comunque rispondente ai principi comunitari di cui sopra. Tuttavia, in seguito ai tristi eventi di deterioramento e danneggiamento che hanno interessato Pompei mostrando al mondo lo stato di indicibile declino dellinestimabile sito archeologico, il legislatore ha recentemente introdotto uneccezionale deroga alla regola generale, con lemanazione dellart. 2, c. 7, del d.l. 34/2011, convertito poi nella l. 75/2011, semplificando oltremodo la procedura per la scelta del contraente, proprio con lintento di incentivare ulteriormente gli sponsor privati a partecipare. La nuova procedura prevede che gli obblighi comunitari di economicit, trasparenza, pubblicit e proporzionalit possano essere assolti attraverso la sola pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale - ed eventualmente anche in quella dellUnione Europea, e in almeno due quotidiani a tiratura nazionale, per un minimo di trenta giorni - che contenga lelenco degli interventi con relativa indicazione dellimporto massimo stimato previsto per ciascuno. Nel caso in cui siano presenti pi proposte di sponsorizzazione, alla Soprintendenza affidato il compito di assegnare a ciascun candidato uno specifico intervento, definendo le modalit di promozione dello sponsor ai sensi dellart. 120 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Mentre, nel caso in cui il numero di candidature si riveli insufficiente, al Soprintendente viene riconosciuta la possibilit di coinvolgere altri sponsor anche in trattativa privata, pur di garantire la conclusione della sponsorizzazione. Chiariti i profili giuridici e procedurali delle sponsorizzazioni, dunque gi possibile cominciare a domandarsi quali siano di fatto i benefici che questi strumenti possono offrire, in particolare al contraente privato. Se infatti le ragioni pubbliche a favore della stipulazione di simili contratti paiono di facile individuazione, costituendo le sponsorizzazioni, da un punto di vista se non altro operativo, strumenti efficaci per incanalare risorse nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio culturale, meno evidenti paiono i motivi che guidano invece i privati in tal senso. La strategia dattrazione delle risorse private verso il settore dei beni culturali dellordinamento italiano ha sempre principalmente fatto perno su agevolazioni fiscali a beneficio del privato che le elar gisce, prevedendo in particolare per la stipula di un contratto di sponsorizzazione sgravi sia per lo sponsor, sia per lo sponsee [] con riferimento sia alle imposte sul reddito, sia allimposta sul valore aggiunto. In realt per, tenendo conto del limitato numero di interventi finora realizzati per mezzo di questi strumenti, pare piuttosto evidente che n le agevolazioni fiscali connesse alla conclusione del contratto n le varie forme di promozione a favore dello sponsor siano state in grado di svolgere adeguatamente il ruolo di incentivi per attirare significativi capitali nel settore. La bassa percentuale di successo finora registrata dalle sponsorizzazioni sembrerebbe suggerire che sia forse giunto il momento, anche in ragione della carenza ormai cronica di fondi pubblici da destinare al settore, perch il legislatore intervenga per individuare e normare nuove forme di agevolazioni e incentivi, introducendo, per esempio, vantaggi legati alla possibilit di entrate dirette, e, per lo meno in certi casi, di gestione del bene sponsorizzato, chiaramente prefissando nel contratto le relative modalit nel dettaglio. Leventuale introduzione di simili misure presenterebbe inoltre lindubbio vantaggio di coinvolgere in questo tipo di iniziative anche tutti i soggetti medio-piccoli che di fatto oggi risultano estranei alle opportunit delle vigenti disposizioni, pur caratterizzando per numerosit il panorama imprenditoriale del paese. 4. Il caso Colosseo. Le considerazioni svolte finora ben possono essere lette alla luce del tanto discusso caso Colosseo. Il restauro del celebre Anfiteatro, infatti, si pu dire che abbia fatto scuola in tema di sponsorizzazioni, nel bene e nel male, soprattutto se si pensa che il progetto di finanziamento dei lavori da parte della Tods S.p.A. abbia addirittura spinto il Ministero dei beni culturali a emanare nuove norme per meglio dettagliare il rapporto tra sponsor e sponsee, dalle modalit di finanziamento alla possibilit di sfruttamento del logo fino allutilizzo dei ponteggi a scopo pubblicitario. Il decreto ministeriale approntato da una commissione del Mibac e approvato il 19 dicembre 2012 proprio intervenuto a integrare la materia delle sponsorizzazioni dei beni culturali con norme tecniche e linee guida applicative per inquadrare pi puntualmente indirizzi e indicazioni operative e per risolvere i punti problematici della normativa cui si fatto cenno, tratteggiando le disposizioni di riferimento di cui sopra. Il quadro normativo risulta pertanto oggi pi chiaro, anche per effetto della conseguente introduzione dellart. 199 bis, disciplina delle procedure per la selezione di sponsor, nel Codice dei Contratti Pubblici, con lentrata in vigore del d.l. 5/2012, noto anche come decreto semplifica-Italia, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo. Il provvedimento ha in sostanza dato il via libera alle P.A. sia per le sponsorizzazioni pure che per quelle tecniche, ribadendo la differenza tra i due istituti: nel primo caso lo sponsor si limita ad erogare il finanziamento mentre le prestazioni restano in capo alla sovrintendenza responsabile, come per il Colosseo, mentre nel secondo caso le prestazioni vengono operate direttamente dallo sponsor e il finanziamento viene erogato ad una ditta incaricata sulla base dei progetti approvati dalla sovrintendenza responsabile. Il regolamento ha poi introdotto la formulazione di convenzioni quadro tese ad indicare con esattezza i termini delle modalit di promozione dello sponsor, senza chiaramente escludere la possibilit di dazioni liberali, e approntando inoltre diversi allegati per fornire esempi pratici e schemi base operativi, dai quali partire per poi operare opportuni adattamenti a seconda delle specifiche esigenze di ciascun caso concreto, mirando ad agevolare i compiti delle parti del contratto. Detto ci, val la pena ricostruire le complesse vicende relative al contratto di sponsorizzazione del Colosseo a partire dal principio. Nel maggio 2010 il Ministero per i Beni e le Attivit Culturali e il Comune di Roma scelgono di ricorrere alla sponsorizzazione per rendere possibile la realizzazione di un Piano degli interventi relativo al progetto di restauro del celebre anfiteatro, in attesa di lavori da ben 74 anni. Il Piano degli Interventi, dal valore complessivo stimato di 25 milioni di euro, prevede in particolare: 1. la sostituzione dell'attuale sistema di chiusura delle arcate perimetrali (fornici) con cancellate; 2. il restauro dei prospetti settentrionale e meridionale; 3. il restauro degli ambulacri; 4. il restauro dei sotterranei (ipogei); 5. la messa a norma e l'implementazione degli impianti; 6. la realizzazione di un centro servizi che consenta di portare in esterno le attivit di supporto alla visita che sono attualmente nel monumento (accoglienza, biglietteria, bookshop, servizi igienici). Il 4 agosto 2010 si d dunque avvio alla procedura di sponsorizzazione con la pubblicazione di un bando, a termine 30 ottobre 2010 per la presentazione delle proposte, per la ricerca di un soggetto che faccia da sponsor per il finanziamento e la realizzazione dei lavori previsti dal piano di interventi. Si tratta per la verit di un avviso dal contenuto piuttosto innovativo poich non solo distribuisce il piano di lavori in distinti ambiti di intervento cos da proporre una pi ampia gamma di scelta ai potenziali soggetti interessati, prevedendo quindi la possibilit di una pluralit di sponsor, ma richiede anche che sia lo stesso sponsor a occuparsi dei lavori nellottica di sveltire le operazioni di cantiere, riconoscendo inoltre al soggetto finanziatore un ritorno, per cos dire, pubblicitario sulla base di un piano di comunicazione composito, con possibilit di affissione pubblicitaria limitata alle recinzioni del cantiere. Il bando suscita non poco interesse considerando che ben 19 soggetti fanno richiesta per accedere ai documenti ma al termine nessuna delle offerte presentate risulta conforme ai requisiti richiesti. A questo punto, la Pubblica Amministrazione ha almeno quattro opzioni a disposizione: 1) sospendere la procedura nellottica di riproporla in una fase di ripresa del mercato; 2) pro rogare il termine per la presentazione delle offerte; 3) modificare le condizioni dellavviso pubblico; 4) avviare una trattativa privata, essendo stato gi assolto lonere pre-concorrenziale e di trasparenza. La P.A. decide di optare per lultima soluzione e procedendo a una fase di trattativa privata, conclusasi con la convenzione stipulata a Roma il 21 gennaio 2011 tra la Tods S.p.A. di Diego Della Valle, in qualit di sponsor, lo Stato, in persona di Roberto Checchi, Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Ostia Antica, in qualit di sponsee, e la Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma, la cui presenza tra le parti contrattuali si giustifica in relazione ai compiti di controllo previsti ai sensi dallart. 120 del Codice dei beni culturali. Dalle premesse del contratto immediatamente possibile individuare il ricorso alla procedura semplificata per la scelta del contraente di cui agli artt. 26 e 27 dal Codice dei contratti, mediante la pubblicazione di un avviso pubblico, secondo le modalit normativamente previste. Lart. 1 specifica poi loggetto della sponsorizzazione, ovvero il progetto di restauro del Colosseo, inquadrando il contratto tra le sponsorizzazioni passive pure, laddove precisa che la prestazione dello sponsor consti esclusivamente di un contributo in denaro. Concetto ribadito anche nel successivo art. 2 della convenzione ove, tra gli impegni a carico dello sponsor, si esplicita che lobbligazione assunta dal soggetto privato ha ad oggetto la sola messa a disposizione di un importo omnicomprensivo pari a 25 milioni di euro per la realizzazione del piano degli interventi, da erogarsi alle imprese appaltatrici dei lavori sulla base degli stati di avanzamento lavori preventivamente approvati dallo sponsee, secondo la tempistica definita nel capitolato speciale di ciascun intervento. Nel caso di specie viene inoltre riconosciuto allo sponsor il diritto ad ottenere informazioni sullo svolgimento delle varie fasi di restauro incluse le fasi di collaudo e ad accedere al cantiere secondo modalit da concordare con la Direzione dei Lavori, direttamente o attraverso incaricati esterni. I successivi artt. 4, 5 e 6 confermano la natura sinallagmatica del contratto, precisando viceversa loggetto della controprestazione a carico del soggetto promotore e della Soprintendenza, individuabile nella clausola di esclusiva volta a garantire alla Tods S.p.A. che nessun altro soggetto potr rivestire il ruolo di sponsor, per lintera durata del contratto. In particolare lo sponsee si impegna a non stipulare ulteriori contratti di sponsorizzazione con soggetti terzi per gli interventi di restauro del Colosseo e a non concedere ad altri luso, a qualsiasi titolo, di marchi, nomi, immagini o altri segni distintivi relativi al Colosseo con riferimento ai lavori di restauro del Colosseo di cui al Piano degli Interventi n il diritto di associare a fini promo-pubblicitari la propria immagine e/o i propri segni distintivi al Colosseo e/o ai lavori di restauro del Colosseo di cui al Piano degli interventi, tantomeno diritti in grado di ledere gli interessi dello sponsor perseguiti con il presente accordo. In sostanza dunque si di spone da un lato lesclusivit del progetto sponsorizzato con correlati diritti in tal senso e dallaltro si puntualizzano loggetto e lentit della controprestazione, legati alla realizzazione, in via diretta o indiretta, del piano di comunicazione, anche attraverso la costituzione di unassociazione ad hoc. E difatti il contratto attribuisce specifici diritti in esclusiva sia alla Tods S.p.A. che alla costituenda associazione senza fini di lucro Amici del Colosseo, istituita proprio in relazione al progetto. La registrazione del contratto viene prevista per il 20 giugno 2011, data dalla quale il rapporto contrattuale sarebbe dovuto dunque risultare pienamente operativo. Cos non stato e di fatti il progetto di restauro dellAnfiteatro Flavio entrato nella fase esecutiva solo nellottobre 2013. Nel mezzo numerosi ricorsi e sentenze, trattative e polemiche tra Comune, Tar Lazio, Codacons, Della Valle, e chi pi ne ha pi ne metta. Cosa in effetti accaduto? Il primo intoppo pu essere fatto risalire gi al 18 marzo 2011, quando lUIL Beni Culturali inoltra un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Roma e alla Procura della Corte dei Conti contro le modalit dell'aggiudicazione dei lavori di restauro del Colosseo, ritirandolo circa un anno dopo a causa dellaggressione mediatica subita per averlo proposto. Successivamente, il 3 novembre 2011, il Codacons presenta al TAR Lazio un ricorso per lannullamento, previa sospensione, del contratto. Posto che liniziale avviso pubblico prevedeva la sponsorizzazione per il solo periodo del restauro, precisando in particolare allart. 7 che la disponibilit dei diritti duso stabilita per la durata dei lavori prevista dal Piano degli Interventi, decorrente dalla data di effettiva consegna dei cantieri, e non pu essere protratta oltre, anche in presenza di eventuali proroghe dei termini di esecuzione degli interventi motivatamente concesse dalla Soprintendenza vigilante, col sostanziale corollario per cui il vincitore poteva beneficiare del monumento in esclusiva per sponsorizzare il proprio marchio solo per la durata dei lavori pi ulteriori due anni successivi, nella convenzione firmata il 21 gennaio la durata della possibilit di sfruttamento del marchio viene invece prolungata di 15 anni oltre il termine dei lavori. Dunque il Codacons si chiede: come fece il termine perentorio sui diritti duso a passare dai due anni oltre il termine dei lavori ai due anni oltre la fine dei lavori pi ulteriori 15 attuali? Chi intervenuto tra il 30 dicembre 2010 e il 21 gennaio 2011 ad inserire nel contratto di sponsorizzazione lassociazione Amici del Colosseo facendo lievitare gli anni di uso esclusivo dei diritti sul monumento ed enormemente il valore del contratto? Non solo, con le note n. 268 e 269 del 10.01.2011 la P.A. ribadiva ai concorrenti RYANAIR e FIMIT i limiti fissati dallart. 7 del bando. Come mai a Ryanair e Fimit non fu detto che la durata dellesclusiva poteva essere di oltre 15 anni dopo il termine dei lavori? Lestensione temporale dei diritti, infatti, molto probabilmente avrebbe spinto le societ a una lotta serrata per accaparrarsi i lavori di restauro del Colos seo (3). In sostanza oggetto principale della contestazione il cambiamento delle condizioni contrattuali dal bando pubblico allassegnazione, che, operato in trattativa privata, avrebbe favorito il gruppo Tods, aggiungendo al contratto un surplus che, se presente nei termini iniziali della procedura pubblica, avrebbe senzaltro attirato molte altre aziende concorrenti, il che ha fatto sospettare che dietro queste modifiche si nascondessero altri illeciti. Mentre il TAR Lazio chiamato a pronunciarsi nel merito, il 20 dicembre 2011 anche lAGCM interviene con una nota sul caso, formulando una serie di osservazioni critiche sulla procedura adottata per la stipula del contratto, e contestualmente inoltrando, il 27 dicembre 2011, allAutorit di vigilanza sui contratti pubblici una nota, per eventuali profili di competenza sulla delibera del 14 dicembre 2011 inerente la procedura di affidamento, unitamente alla segnalazione inviata dal Codacons. A questo punto il patron del gruppo Tods Diego Della Valle, chiaramente preoccupato per la piega tortuosa che sta prendendo la vicenda, manifesta lintenzione di voler recedere dal contratto. Lallora Ministro per i Beni e le Attivit Culturali, Prof. Lorenzo Ornaghi, si affretta dunque ad incontrarlo per accertarsi che la sponsorizzazione si realizzi, rendendo poi noto in un comunicato stampa del 12 gennaio 2012 di aver rivolto nelloccasione allo sponsor un convinto invito ad attendere prima dimaturare una decisione definitiva. infatti convinzione del Ministro che il buon esito della trattativa, la quale vede per la prima volta affiancati pubblico e privato in una cos importante operazione di tutela e valorizzazione di un bene culturale straordinario quale il Colosseo, sia significativo e paradigmatico in una fase in cui il Paese intende rilanciare fattori e motivazioni del proprio sviluppo. Con la delibera n. 9 dell8 febbraio 2012, lAutorit per la vigilanza sui contratti pubblici si esprime col primo via libera a favore dellintervento puntualizzando che i contratti di sponsorizzazione di puro finanziamento, in quanto contratti attivi, sono sottratti alla disciplina del D. Lgs. n. 163/2006 e sottoposti alle norme di contabilit di Stato, le quali richiedono lesperimento di procedure trasparenti, ma soprattutto che la mutata volont della stazione appaltante di concludere un contratto di sponsorizzazione di puro finanziamento in luogo del contratto di sponsorizzazione tecnica ex art. 26 del Codice, nei termini indicati, giustifica il ricorso ad una procedura negoziata con gli operatori interessati alla precedente procedura ad evidenza pubblica e non appare in contrasto con i principi di legalit, buon andamento e trasparenza dellazione amministrativa. Il 24 febbraio 2012 lAGCM dichiara dunque di ritenere superata ogni riserva sul caso precedentemente espresse. Il 3 luglio 2012 giunge anche la pronuncia favorevole del TAR Lazio che re (3) Codacons, note n. 268 e n. 269 del 10.01.2011. spinge il ricorso del Codacons ritenendolo inammissibile in relazione al fatto che il Codacons non risulta legittimato a contestare il contratto poich la legittimazione sussiste solo ove i provvedimenti che si impugnano abbiano effettivamente leso un interesse collettivo dei consumatori e degli utenti, la cui tutela viene assunta dalla relativa associazione. Il Codacons non ci sta e subito dopo presenta appello davanti al Consiglio di Stato. Esattamente un anno dopo, con la sentenza n. 4034 del 31 luglio 2013, la VI sezione del Consiglio di Stato conferma linammissibilit del ricorso, ribadendo che la qualit di associazione di protezione ambientale non legittimava il Codacons al ricorso proposto e sblocca di fatto lavvio dei lavori. Dunque dopo quasi trentaquattro mesi, lo scorso ottobre si dato il via alla fase del montaggio delle impalcature per coprire la superficie del monumento pi visitato d'Italia fino in cima alle arcate interessate dai lavori: restauratori e tecnici hanno avuto il via libera per salire sui ponteggi e mettersi allopera per le verifiche necessarie prima di procedere con l'attivit di pulitura necessaria per rimuovere depositi di smog e polveri dalla facciata. Al di sotto del cartello di cantiere coi relativi dati sulla "sponsorizzazione per il finanziamento del piano di interventi da realizzarsi nell'Anfiteatro Flavio, possibile scorgere, in uguale proporzione, i loghi del Ministero dei Beni Culturali e di Tod's. Il piano di restauro scaglionato in tre fasi. La prima fase, per cui la gara dappalto stata gi aggiudicata in fase provvisoria, interesser i prospetti settentrionale e meridionale, gli ambulacri e i cancelli sulle arcate perimetrali e dovrebbe partire a dicembre 2013 e concludersi nel 2015. La seconda fase, per cui la gara dappalto non stata ancora indetta, riguarda la progettazione e la realizzazione di un centro servizi con biglietteria e bookshop annessi e dovrebbe durare 18 mesi. La terza fase, la cui durata stimata tra i 18 e i 24 mesi, riguarda invece lammodernamento degli interni e degli impianti. Le tre fasi dovrebbero complessivamente concludersi entro il 2 marzo 2016, nellarco di circa 915 giorni, e durante lintero periodo il Colosseo rester comunque sempre aperto. Purtroppo, molto probabile che i lavori incontrino nuovi ostacoli e rallentamenti sia in relazione alla volont del Codacons di presentare un ulteriore ricorso alla Corte di Cassazione, sia in relazione al ricorso promosso dalla ditta Lucci, seconda classificata dietro la societ Gherardi nella gara dappalto gi aggiudicata. Col che, di fatto, i probabili esiti conclusivi delle vicende riguardo questa iniziativa di sponsorizzazione restano ahim ancora imprevedibili. Se dunque oggi le norme non mancano, giacch il quadro normativo pare ormai ben definito, lostacolo principale a questo genere di iniziative risiede piuttosto nel come si sceglie di applicarle e interpretarle perch chiaro che ogni cosa al microscopio pu mostrare lacune e imperfezioni, ma questo non pu far s che imperfezioni e lacune blocchino del tutto il funzionamento di un certo sistema, soprattutto laddove si rischia di perdere preziose risorse, pi che mai indispensabili, per vischiosit burocratica e pressione mediatica. In un settore troppo a lungo trascurato come quello dei beni culturali, peraltro indubbio punto di forza del nostro paese, pare oggi quanto mai giusto e nel- linteresse generale agire piuttosto che procrastinare, per evitare le drammatiche conseguenze della stasi, e Pompei costituisce un esempio eclatante del problema, pur nellassoluto rispetto dello spirito delle norme. 5. Conclusioni. Il percorso argomentativo proposto ha voluto porre in evidenza come lo sforzo del legislatore per inquadrare e normare con certezza il contratto di sponsorizzazione, in particolare nelle ipotesi di coinvolgimento di una P.A., pur avendo eliminato le ambiguit dellincompleta e frammentaria disciplina del passato, non sembra aver comunque prodotto gli effetti sperati, poich lutilizzo dei contratti di sponsorizzazione nellambito dei beni culturali resta un fenomeno isolato e i pochi casi di applicazione, peraltro di grande rilievo, come la sottoscrizione della convenzione per la ristrutturazione del Colosseo o del Ponte di Rialto, incontrano notevoli difficolt a procedere arenandosi tra i cavilli del mare magnum del contenzioso amministrativo. Gli ostacoli procedurali sommandosi ai limitati ritorni economici diretti e indiretti derivabili dal prendere parte a queste iniziative per i privati tutti, e in particolare per le imprese medio-piccole che rappresentano la quasi totalit delle imprese italiane, certo non contribuiscono alla popolarit e allappetibilit dello strumento. Soprattutto alla luce di un altro fattore chiave legato al modello elitario tradizionalmente associato alla fruizione dei beni culturali. Per quanto paradossale, difatti evidente come in Italia manchi non solo la convinzione che le dovute cure al settore possano oggi essere realizzate solo stimolando la collaborazione tra soggetti pubblici e privati sulla base del principio di sussidiariet orizzontale, ma anche la consapevolezza che la diffusione e la produzione di cultura, a tutti i livelli, siano la condizione igienica minima per qualsiasi forma di sviluppo a venire, sia di tipo sociale che economico. Manca in sostanza una visione del patrimonio culturale che assegni alla valorizzazione un ruolo preminente per generare ricadute positive in termini di marketing culturale attraverso interventi precisi e mirati. Coinvolgere i privati in questo senso deve ritenersi obiettivo programmatico essenziale per lo sviluppo del settore, a maggior ragione in assenza di risorse pubbliche da destinare allo scopo. Listituto della sponsorizzazione pu in effetti rivestire un ruolo di indubbio rilievo strategico in questa nuova visione dinsieme, data la capacit insita di operare sinergicamente a cavallo tra interessi pubblici e privati quale efficace strumento per far fronte alla domanda di investimenti in cultura, soppiantando dunque i tradizionali meccanismi operativi legati al finanziamento di attivit intraprese direttamente dal soggetto pubblico. A differenza delle erogazioni li berali, che sono rimaste sempre contenute a causa di fattori quali l'insufficiente convenienza fiscale, il mancato ritorno di immagine per il donatore, la farraginosa burocrazia delle procedure e la concorrenza con donazioni in iniziative dal pi alto valore etico percepito, le sponsorizzazioni sembrano possedere caratteristiche di partenza pi appetibili consentendo agli sponsor di associare convenientemente la propria immagine a progetti con buona visibilit e un utile ritorno commerciale, soprattutto laddove la P.A. implementi best pratices per indirizzare gli iter procedurali e forme di agevolazione fiscale per avvantaggiare lo sponsor. La sponsorizzazione infatti, se ben implementata, pu apportare moltissime risorse, che una volta instillate in un settore tanto strategico per il nostro paese potrebbero addirittura fare da volano per la creazione di altre risorse ancora. In questottica le P.A. devono cercare un giusto equilibrio flessibile tra lopera di costruzione e aggiornamento continuo degli istituti normativi e la ricerca di modalit e tecniche atte a dare forte impulso al fenomeno, tenendo conto del fatto che se le agevolazioni sono poche, i cavilli burocratici remano proprio in senso contrario. Chiaramente bisogna al contempo far s che sussistano adeguati strumenti di trasparenza per garantire che si tratti di sponsorizzazioni vere e non di strumentalizzazioni affaristiche. Tuttavia per, al di l delle possibili implementazioni migliorative, pare doveroso sottolineare come, rispetto alla effettiva possibilit di attrarre capitali privati, la natura stessa delle sponsorizzazioni presenti limiti non secondari, e in particolare: il fatto che leffettivo ritorno commerciale per lo sponsor, peraltro di per s conseguibile anche diversamente, possa avvenire solo indirettamente, a seconda dellimpatto del progetto; le spese destinate a promozione e pubblicit tendono a essere fisse nel breve-medio periodo, quindi sono soggette a bruschi tagli in tempi di crisi. Se dunque le future prospettive in tema di valorizzazione e gestione dei beni culturali non possono che indirizzarsi verso un sistema di collaborazione e confronto tra tutti i soggetti sulla scacchiera e lunico dato certo pare essere legato al fatto che lapporto economico del settore privato ai beni culturali presenta indiscutibili potenzialit di leva per rimettere in moto il sistema cultura dellItalia, proprio a partire dal necessario processo di recupero e valorizzazione del patrimonio storico e artistico nazionale, occorrerebbe forse valutare operazioni che consentano ai privati di trarre benefici diretti dall'operazione, al fine di coinvolgerli fino in fondo nel settore a fronte degli investimenti sostenuti. La possibilit di inserire allinterno dello strumentario delle operazioni possibili nellambito dei beni culturali soluzioni di partenariato pubblico privato, formulando nuovi modelli e nuovi compiti per i partner coinvolti in relazione alla peculiare natura del bene, meriterebbe quantomeno attente considerazioni. Certo, l'applicazione di simili soluzioni operative al settore porrebbe serie difficolt in relazione alle previsioni costituzionalmente statuite per la tutela diretta da parte dello Stato, ma una soluzione potrebbe essere, ad esempio, quella di limitare la gestione privata alla sola attivit di valorizzazione, chiaramente nellottica di dotare questi strumenti del giusto equilibrio tra efficienza economica ed equit normativa. Bibliografia AINIS M., FIORILLO M., 2003, I beni culturali, in S. CASSESE (a cura di) Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, t. II, 2 ed., Milano. 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Lutilizzo della decretazione durgenza per riformare le province e la sentenza n. 220/2013 della Corte Costituzionale - 5. La legge 7 aprile 2014, n. 56 sulla c.d. abolizione delle province - 6. Conclusioni. 1. Introduzione. Con la legge 7 aprile 2014, n. 56 di revisione delle province e delle autonomie locali, che va sotto il nome del Sottosegretario Graziano Delrio, stata portata a compimento la prima fase di un pi ampio, e ambizioso, progetto che intende rivedere e attuare la vocazione federalista della Repubblica. In attesa di una auspicata revisione costituzionale, con la legge n. 56/2014 si inizia a riscrivere l'equilibrio istituzionale del decentramento amministrativo depauperando le province di funzioni e mezzi ma, al contempo, favorendo sia l'utilizzo di corpi intermedi di raccordo come le citt metropolitane sia l'estensione del bacino territoriale dei comuni attraverso lo strumento dell'unione e della fusione. La citt metropolitana torna quindi in auge nel dibattito politico e istituzionale come un efficace strumento di coordinamento tra gli enti locali e le regioni a minori costi di funzionamento. La crisi economica internazionale e la crisi del debito sovrano hanno imposto ladozione di vincoli sovranazionali di contenimento della spesa pubblica (spending review), lintroduzione in Costituzione del principio del pareggio di bilancio, laumento dei poteri della Corte dei conti in relazione al rispetto del patto di stabilit interno, nonch lodierna revisione del quadro istituzionale degli enti locali. Accanto a queste misure, lo Stato ha dovuto riconsiderare al proprio interno il costo del decentramento e delle autonomie prediligendo le economie di scala che laccentramento statale e il coordinamento interistituzionale parrebbero offrire. Quanto a tecnica legislativa, la l. n. 56/2014 non fa eccezione rispetto alla normazione recente. Lapprovazione al Senato, in seconda lettura, del relativo disegno di legge con lapposizione della questione di fiducia ha prodotto una legge che, mancando di rubriche, titoli, sezioni e capi, rischia di disorientare linterprete. D'altro canto, il legislatore parrebbe aver accolto quantomeno il (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lAvvocatura dello Stato. monito della Corte costituzionale di non utilizzare gli strumenti di decretazione durgenza per adottare riforme di siffatta ampia portata (sent. n. 220/2013, infra par. 4.5). Pertanto, al fine di valutare pi diffusamente le previsioni alla base della legge n. 56/2014, si scelto di ripercorrere le fasi principali del percorso istituzionale dagli anni '90 ad oggi. In tale modo si potr osservare come in alcuni tratti la presente legge riproduca tendenze gi in atto nellordinamento e come, per altri versi, si discosti con elementi di originalit. 2. Le riforme degli anni 90, il nuovo titolo V della Costituzione e la legge La Loggia. 2.1. Allinizio degli anni 90 il disegno del decentramento amministrativo, come previsto dallart. 5 (1) e nel titolo V della Costituzione, era ancora piuttosto inattuato (2). Se da un lato, infatti, la Repubblica era ripartita in regioni, province e comuni (art. 114 Cost.), dallaltro, le province e i comuni esercitavano la propria autonomia solamente nell'ambito dei principi fissati dalle leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni (art. 128 Cost.). Il favore per laccentramento statale era espresso dallart. 118 della Costituzione che ammetteva in via meramente eventuale, e nel solo caso di un interesse esclusivamente locale, lattribuzione di funzioni amministrative regionali alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali. La strada per un pi effettivo decentramento stata intrapresa con la l. 8 giugno 1990, n. 142 (3) ( Ordinamento delle autonomie locali) che detta i principi dellordinamento dei comuni e delle province e ne determina le funzioni (art. 1, comma 1), escludendo al contempo le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano (comma 2). In particolare, la provincia, intesa come ente locale intermedio fra comune e regione, [che] cura gli interessi e promuove lo sviluppo della comunit provinciale (art. 2), si qualifica come un ente autonomo, titolare di funzioni sia proprie sia attribuite o delegate da leggi (1) Il favore dellordinamento europeo per la sussidiariet noto. Questindirizzo trova conferma anche nell'ultima versione dellart. 1, par. 2, TUE, in base al quale Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un'unione sempre pi stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo pi trasparente possibile e il pi vicino possibile ai cittadini. (2) In merito, gi M.S. GIANNINI, La lentissima fondazione dello Stato Repubblicano, in Reg. e gov. locale, 6, 1981, pp. 17 e ss.; F. PIZZETTI, All'inizio della XIV legislatura: riforme da attuare, riforme da completare e riforme da fare. Il difficile cammino dell'innovazione ordinamentale e costituzionale in Italia, in Le Regioni, 3, 2001, p. 437-452; M. SAVINO, Le riforme amministrative in Italia, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2005, pp. 435-459; S. MANGIAMELI, La Provincia: dall'Assemblea costituente alla riforma del Titolo V, in www.astid-online.it, 2009; S. SPINACI, Intorno alla tentata riforma delle Province, in Diritto Pubblico, 3, 2012, pp. 945-964. (3) Per un commento su questa legge si veda F.G. SCOCA, Lart. 3 della legge n. 142 del 1990 e la tipologia delle funzioni provinciali e comunali, in AA.VV., Le funzioni da trasferire agli enti locali nellarea metropolitana dopo la legge 142/1990, Milano, 1993. statali o regionali nei modi previsti dallart. 3 della stessa legge. Sulla base di questultima disposizione, infatti, le regioni organizzano l'esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i comuni e le province, a meno che non vi siano esigenze di carattere unitario nei rispettivi territori (comma 1). Al contempo, lart. 14 dellOrdinamento attribuisce a ciascuna provincia, nellambito del proprio territorio, le funzioni amministrative di interesse provinciale a tutela e promozione dellambiente e della salute, dei trasporti, del- listruzione e del lavoro. Inoltre alle province vengono altres demandati compiti di programmazione economica, territoriale, ambientale e di sviluppo della regione (art. 15), anche se ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali (comma 2). Tuttavia, per un pi rilevante conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle regioni e agli enti locali necessario attendere il successivo d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, che d attuazione alle deleghe della l. n. 59/1997 (c.d. legge Bassanini) (4). Infatti, la legge Bassanini, in linea con la precedente previsione dellart. 3 l. n. 142/1990, stabilisce che Nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione, le regioni, in conformit ai singoli ordinamenti regionali, conferiscono alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni che non richiedono l'unitario esercizio a livello regionale (art. 4, comma 1). Inoltre, il conferimento degli altri compiti e funzioni concernenti tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunit, nonch tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici (art. 1, comma 2) dovrebbe avvenire con un decreto legislativo (art. 4, comma 2). Per ciascuna di queste attribuzioni, lart. 4, comma 3, l. n. 59/1997 precisa che devono essere perseguiti in sede di adozione delle disposizioni di dettaglio alcuni principi fondamentali, quali: sussidiariet, completezza, efficienza ed economicit, cooperazione, responsabilit e unicit dellamministrazione, adeguatezza, differenziazione, copertura finanziaria e patrimoniale e, infine, autonomia organizzativa e regolamentare. In seguito, le funzioni attribuite alla provincia dallart. 14 l. n. 142/1990 trovano altres conferma (e sostanziale riproduzione) anche negli artt. 19-21 del successivo Testo unico delle leggi sullordinamento degli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), che abroga interamente lOrdinamento delle autonomie locali (art. 274, comma 1, lett. q)). (4) A lato del federalismo amministrativo, nello stesso anno la l. 15 maggio 1997, n. 127 (Bassanini bis) e lanno successivo la l. 16 giugno 1998, n. 191 (Bassanini ter) dispongono numerose previsioni in favore della semplificazione amministrativa. In particolare, larticolo 3 TUEL, in linea con le precedenti previsioni, definisce la provincia quale ente locale intermedio tra comune e regione, [che] rappresenta la propria comunit, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo (comma 3). A tal fine, alle province (e ai comuni) viene attribuita autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa nonch autonomia impositiva e finanziaria nell'ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica (comma 4). Tuttavia, il successivo comma 5, pur non mettendone in dubbio le funzioni proprie, assai generico nellammettere il conferimento di funzioni con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiariet. 2.2. Con la riforma del titolo V della Costituzione (l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3) (5), e in seguito con la legge di attuazione della riforma costituzionale (l. 5 giugno 2003, n. 131, c.d. legge La Loggia)(6), lordinamento ha orientato il riparto costituzionale delle funzioni amministrative tra diversi livelli di governo secondo una progressiva attuazione dei principi di sussidiariet, differenziazione e adeguatezza (art. 118, comma 1). Se da un lato si conferma che le province sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princpi fissati dalla Costituzione (art. 114), dallaltro lato si precisa che le province sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze (art. 118, comma 2). Tra le materie di legislazione esclusiva statale rientrano, peraltro, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni (5) Tra le prime pubblicazioni si segnalano: AA.VV., Le autonomie territoriali: dalla riforma amministrativa alla riforma costituzionale, a cura di G. BERTI -G.C. DE MARTIN, Milano, 2001; G. FALCON, Il nuovo titolo V della parte seconda della Cost., in Le Regioni, 1, 2001, p. 5 ss.; L. TORCHIA, Regioni e "federalismo amministrativo", in Le Regioni, 2, 2001, pp. 257-266; A. PAJNO, L'attuazione del federalismo amministrativo, in Le Regioni, 4, 2001, pp. 667-681.; F. PIZZETTI, Le nuove esigenze di "governance" in un sistema policentrico "esploso", in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1153-1196; Z. CIUFFOLETTI, Il nodo del federalismo, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1197-1202; G. FALCON, Modello e "transizione" nel nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1247-1272; B. CARAVITA, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V. Stato, Regioni e autonomie fra Repubblica e Unione Europea, Torino, 2002; A. POGGI, Le autonomie funzionali tra sussidiariet verticale e sussidiariet orizzontali, Milano, 2002; AA.VV., La funzione normativa di Comuni, Province e citt nel nuovo sistema costituzionale, a cura di A. PIRANO, Palermo, 2002; G. ROLLA, L'autonomia dei comuni e delle province, in AA.VV., in La Repubblica delle autonomie: regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, a cura di G. ROLLA, M. OLIVETTI, Torino, 2003, p. 23 e ss. Si segnalano, inoltre, anche gli atti del 50 Convegno di studi amministrativi dedicato a "Lattuazione del titolo V della Costituzione" (Varenna, 16-18 settembre 2004). (6) A. RUGGERI, Note minime, a prima lettura, a margine del disegno di legge La Loggia, in Giur. It., 2002, 2; G. VISPERINI, La legge di attuazione del nuovo titolo V della costituzione, in Giornale di diritto amministrativo, 2003, p. 1109 e ss.; da ultimo, M. GLORIA, Il sistema di governo regionale integrato, Milano, 2014, p. 38 e ss. Con riferimento alle sentenze nn. 236, 238, 239, 280 del 2004 con cui la Corte costituzionale ha preso in esame la costituzionalit della l. n. 131/2003 (infra par. 2.2), si veda M. BARBERO, La Corte costituzionale interviene sulla legge "La Loggia" (nota a Corte Cost. 236/2004, 238/2004, 239/2004 e 280/2004), in www.forumcostituzionale.it, 2004. fondamentali di Comuni, Province e Citt metropolitane (art. 117, comma 2, lett. p)) (7). Inoltre, in linea con il riparto delle competenze legislative, lart. 117, comma 6, prevede che le province hanno potest regolamentare in ordine alla disciplina dellorganizzazione e dello svolgimento delle funzioni a loro attribuite. A riguardo, la Corte costituzionale ha precisato che la legge (statale o regionale) determina il riparto tra: funzioni proprie e conferite con legge statale e regionale (118, comma 2), funzioni fondamentali (117, comma 2, lett. p)) e funzioni attribuite (art. 118, comma 1) (8). La legge La Loggia (n. 131/2003) delega quindi il Governo a dare attuazione alla previsione dellart. 117, comma 2, lett. p), Cost. sulle funzioni fondamentali degli enti locali (art. 2), nonch al nuovo art. 118 Cost. in materia di esercizio delle funzioni amministrative (art. 7). In particolare, tra i principi e criteri direttivi, lart. 2 prevede che vengano individuate le funzioni fondamentali delle province e degli altri enti locali al fine di prevedere la titolarit di funzioni connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell'ente e per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunit di riferimento, tenuto conto, in via prioritaria, per Comuni e Province, delle funzioni storicamente svolte (lett. b)); inoltre, lo stesso articolo dispone di valorizzare i principi di sussidiariet, di adeguatezza e di differenziazione nella allocazione delle funzioni fondamentali in modo da assicurarne l'esercizio da parte del livello di ente locale che, per le caratteristiche dimensionali e strutturali, ne garantisca l'ottimale gestione [] (lett. c)). Quanto allesercizio delle funzioni amministrative lart. 7 prevede che Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei principi di sussidiariet, (7) Una recente sentenza della Corte costituzionale ha descritto lart. 117, comma 2, lett. p) come la disposizione che indica le componenti essenziali dellintelaiatura dellordinamento degli enti locali (sent. n. 220/2014, infra par. 4.5). (8) Quale che debba ritenersi il rapporto fra le "funzioni fondamentali" degli enti locali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p, e le "funzioni proprie" di cui a detto articolo 118, secondo comma, sta di fatto che sar sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni, in conformit alla generale attribuzione costituzionale ai Comuni o in deroga ad essa per esigenze di "esercizio unitario", a livello sovracomunale, delle funzioni medesime (Corte Cost. sent. n. 43/2004). Per una disamina sul punto, si vedano P. CARETTI, L'assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale, alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione: aspetti problematici, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1223-1232; G. TARLI BARBIERI, Appunti sul potere regolamentare delle regioni nel processo di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, in Diritto Pubblico, 2, 2002, pp. 417-490; L. DE LUCIA, Le funzioni di province e comuni nella costituzione, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2005, p. 23 e ss. Per quanto riguarda, invece, le funzioni provinciali nelle leggi di settore, v. F. MANGANARO, M. VIOTTI, La provincia negli attuali assetti istituzionali, cit., pp. 23-36. differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Citt metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitariet di esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell'azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o per esigenze di programmazione o di omogeneit territoriale, nel rispetto, anche ai fini del- l'assegnazione di ulteriori funzioni, delle attribuzioni degli enti di autonomia funzionale, [] (comma 1). In ogni caso, per, "Fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti previsti dal presente articolo, le funzioni amministrative continuano ad essere esercitate secondo le attribuzioni stabilite dalle disposizioni vigenti, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale (comma 6). Questa delega, tuttavia, non stata esercitata da parte del Governo, che, invece, ha preferito proseguire per la via del federalismo fiscale in assenza di una ben definita allocazione delle funzioni amministrative alle province e agli altri enti locali per effetto della riforma del titolo V. 3. La riforma delle province nellambito del federalismo fiscale. 3.1. Una nuova stagione di riforme si apre con la legge 5 maggio 2009, n. 42 che delega il Governo a dare attuazione allart. 119 della Costituzione in materia di federalismo fiscale (art. 2). Nellindividuare i principi e criteri direttivi per il finanziamento delle funzioni delle province e degli altri enti locali, lart. 11, comma 1, lett. a), si limita a suddividere le funzioni in due tipologie: da un lato, le funzioni fondamentali in cui rientrano le funzioni ex art. 117, comma 2, lett. p); dallaltro lato, le funzioni residuali o altre funzioni. Per la prima tipologia lart. 12, comma 1, prevede inoltre che queste dovranno essere prioritariamente finanziate dalla compartecipazione o dallintero gettito derivante da alcune specifiche voci di tributi. Ai soli fini della delega sul federalismo fiscale, le funzioni (e i servizi fondamentali) dei comuni e delle province vengono ulteriormente precisate. Lart. 21, comma 4, qualifica come fondamentali, e quindi oggetto di finanziamento integrale, le funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo fino allammontare complessivo del 70% della spesa, nonch quelle di istruzione pubblica, nel campo dei trasporti, per la gestione del territorio, per la tutela ambientale e, infine, per lo sviluppo economico e per il mercato del lavoro. Inoltre, lart. 21, comma 1, lett. a) prevede che, nelle more dellattuazione della delega sulle funzioni degli enti locali ex art. 118 Cost., lo Stato e le regioni provvedono alla copertura del finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative nelle materie di competenza statale o regionale e degli ulteriori oneri per la ridefinizione delle funzioni che si rendessero necessari in seguito allentrata in vigore dei due decreti legislativi previsti dal richiamato art. 2. Pertanto, in assenza di una precisa definizione normativa dellinsieme delle funzioni delle province e degli altri enti locali, la legge delega sul federalismo fiscale (n. 42/2009) ha adottato un nuovo criterio di riorganizzazione delle funzioni il cui scopo non certo sistematico bens volto a individuare un meccanismo efficace di finanziamento in assenza di precisi riferimenti (9). 3.2. Successivamente alla legge delega sul federalismo fiscale, il Parlamento ha tentato di superare limpasse politica in cui versava la devoluzione di funzioni, autonomia e poteri agli enti locali. In primo luogo, il 13 gennaio 2010 viene quindi presentato alla Camera un disegno di legge per il riordino degli enti locali e delle funzioni amministrative (10). Si tratta di un d.d.l. (A.S. 1464) che all'art. 13 delega il Governo ad adottare una Carta delle autonomie locali, che, raccogliendo sistematicamente tutta la normativa del settore, consenta di superare il d.lgs. n. 267/2000 (TUEL). Inoltre, lo stesso si propone altres di individuare e disciplinare le funzioni fondamentali degli enti locali in attuazione dellart. 117, comma 2, lett. p) Cost. (artt. 2-8), nonch di individuare e trasferire le funzioni amministrative agli enti locali in virt dellart. 118 (art. 9). Infine, una volta specificate le funzioni, queste sono finanziate secondo i princpi e i criteri della l. 42/2009 sul federalismo fiscale. In secondo luogo, in attuazione della delega disposta dalla l. n. 42/2009, si ripropone con il d.lgs. 26 novembre 2010, n. 216 una definizione delle funzioni degli enti locali al solo fine della disciplina per la determinazione del fabbisogno standard e del superamento del criterio del costo storico (11). (9) Del resto, se gi in prossimit della riforma del titolo V della Costituzione la dottrina dubitava della chiarezza in materia di individuazione e attribuzione delle funzioni, con la delega in materia di federalismo fiscale questa tematica diviene ancora pi evidente. Cfr. L. DE LUCIA, Le funzioni di province e comuni nella costituzione, cit., p. 48-49 per il quale il termine funzione deve essere inteso in senso descrittivo; A. CELOTTO, A. SALANDREA, Le funzioni amministrative, in La Repubblica delle autonomie, cit., p. 186; G. FALCON, Funzioni amministrative ed enti locali nei nuovi artt. 118 e 117 della Costituzione, in Le Regioni, 2002, p. 388 e ss. (10) Disegno di legge Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonch delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali, razionalizzazione delle Province e degli Uffici territoriali del Governo. Riordino di enti ed organismi decentrati (A.C. 3118), approvato in Assemblea il 30 giugno 2010 e, quindi, inviato per lesame del Senato in data 2 luglio 2010, dove giace dal 28 luglio 2010 davanti alla Commissione Affari Costituzionali (A.S. 2259). Nei richiami al testo del ddl si fa riferimento allultima versione disponibile sul sito del Senato. Per una disamina, si veda G. MELONI, Funzioni amministrative e autonomia costituzionalmente garantita ai comuni, province e citt metropolitane nel d.d.l. delega per la Carta delle Autonomie, in A. PIRAINO (a cura di), Verso la Carta delle autonomie: novit, limiti, proposte, Roma, 2007, p. 111 e ss. (11) In particolare, il decreto-legislativo, recante Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Citt metropolitane e Province attua gli articoli 2, comma 2, lettera f), 11, comma 1, lettera b), 13, comma 1, lettere c) e d), 21, commi 1, lettere c) ed e), 2, 3 e 4, nonch 22, comma 2, relativi al finanziamento delle funzioni di Comuni, Citt metropolitane e Province. In particolare, lart. 3, comma 1, d.lgs. 216/2010 conferma limpianto precedente della legge delega, fugando ogni dubbio sulleventuale esaustivit di tali criteri anche per finalit che non siano fiscali o di spesa (12). Inoltre, seppur in via provvisoria, per quanto concerne le funzioni fondamentali delle province persistono le stesse funzioni gi individuate in sede di disamina dellart. 21 della legge delega n. 42/2009 (supra par. 3.1). 4. Lutilizzo della decretazione durgenza per riformare le province e la sentenza n. 220/2013 della Corte Costituzionale. La tendenza legislativa che si manifesta per effetto della congiuntura della crisi economica internazionale e della crisi dei debiti sovrani si riverbera anche nel dibattito sulla riforma degli enti locali (13). Nell'ordinamento si assiste, infatti, a un progressivo ritorno allaccentramento dei poteri sia nell'ottica del contenimento della spesa per favorire lequilibrio economico finanziario sia per il rispetto degli obblighi finanziari internazionali a cui lItalia ha aderito (14). Conseguentemente, per ottenere la quadratura del cerchio viene progressivamente ampliato anche il sistema dei controlli sulle amministrazioni locali e implementato il sistema sanzionatorio che ne deriva (15). (12) Lart. 3, comma 1, prevede infatti che Ai fini del presente decreto, fino alla data di entrata in vigore della legge statale di individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Citt metropolitane e Province, le funzioni fondamentali ed i relativi servizi presi in considerazione in via provvisoria, ai sensi dell'articolo 21 della 5 maggio 2009, n. 42 sono quelle previste nellarticolo. In particolare, si precisa che gli ulteriori articoli che non sono stati menzionati in corpo di testo riguardano aspetti di riforma degli assetti di governo degli enti locali. (13) In tale senso si vedano le considerazioni del Presidente della Corte dei conti in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2014, p. 88 e ss. (14) Da ultimo, G. PITRUZZELLA, Crisi economica e decisioni di governo, in Quaderni costituzionali, 1, 2014, pp. 29-50. Si consideri, in estrema sintesi, lintroduzione nellordinamento con legge costituzionale (l. cost. 20 aprile 2012, n. 1) del principio del pareggio di bilancio come conseguenza delladesione al Trattato sul Fiscal Compact in data 2 marzo 2012; cfr. L. BINI SMAGHI, Morire di austerit. Democrazie europee con le spalle al muro, Il Mulino, 2013. Sulla base della richiamata legge costituzionale sono stati novellati gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione non solo nel senso di introdurre il principio dellequilibrio tra entrate e spese del bilancio ma affiancando anche un vincolo di sostenibilit del debito da parte delle pubbliche amministrazioni cosicch anche queste ultime operino nel rispetto delle regole in materia economico-finanziaria derivanti dallordinamento europeo. Ad esempio al novellato art. 119 Cost., dopo laffermazione dellautonomia finanziaria di entrata e di spesa degli enti locali, stato aggiunto che questa autonomia si esercita nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e [gli enti locali] concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. Un interessante intervento sullart. 119 Cost., ancorch datato, si rinviene in P. GIARDA, Le regole del federalismo fiscale nell'articolo 119: un economista di fronte alla nuova Costituzione, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1425-1484. (15) M. CLARICH, I controlli sulle amministrazioni locali e il sistema sanzionatorio, relazione presentata al 59 Convegno di studi amministrativi dedicato a "Politica e amministrazione della spesa pubblica: controlli, trasparenza e lotta alla corruzione" (Varenna, 19-21 settembre 2013), in corso di pubblicazione; F. GUELLA, Il patto di stabilit interno, tra funzione di coordinamento finanziario ed equilibrio di bilancio, in Quaderni costituzionali, 3, 2013, pp. 585-616. Tale fenomeno appare in evidente controtendenza con i pregressi orientamenti che informavano la politica legislativa statale al principio di sussidiariet. In questo contesto si annoverano alcune proposte di legge che intendono riscrivere le disposizioni che regolano gli enti locali. In particolar modo, le province vengono additate nel dibattito politico come enti sostanzialmente inutili, causa di sprechi di risorse per l'indeterminatezza delle funzioni svolte e per la duplicazione dei costi della politica. Per queste ragioni si avanzano proposte atte a diminuirne progressivamente il numero e diversificarne le funzioni in attesa della loro definitiva abolizione per effetto di una revisione costituzionale. 4.1. Un primo tentativo di abolire le province rappresentato dal d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (c.d. Manovra bis), recante misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. In particolare, lart. 15, comma 1, mostra lintenzione del legislatore di intervenire quanto prima in parallelo con legge costituzionale in modo da rivedere la disciplina costituzionale del livello di governo provinciale. Nelle more dellattuazione di questa riforma costituzionale, lo stesso comma 1 prevede che, una volta conclusosi il mandato amministrativo provinciale, ciascuna provincia con una popolazione inferiore a 300.000 abitanti o con superficie inferiore a 3.000 chilometri quadrati venga soppressa; inoltre le funzioni delle province devono venire attribuite alle Regioni (che hanno facolt di riattribuirle successivamente ai comuni) o alle province limitrofe (comma 3). In ogni caso, viene fatto divieto espresso di istituire province in Regioni con meno di 500.000 abitanti (comma 4). Tuttavia, in sede di conversione del decreto-legge lintero art. 15 stato soppresso, ad eccezione del comma 5, in base al quale A decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle Province successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, il numero dei consiglieri provinciali e degli assessori provinciali previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto ridotto della met, con arrotondamento all'unit superiore. Sostanzialmente, quindi, rimasto in vigore solo il dimezzamento dei consiglieri e assessori provinciali. Il revirement del Parlamento in sede di conversione del decreto-legge suggerisce che le esigenze di fare cassa non sono sufficienti per superare il diffuso malcontento su una riforma - forse affrettata - che, anzich portare a termine il percorso di attribuzione delle funzioni alle province e agli enti locali in unottica costituzionalmente orientata di sussidiariet, differenziazione e adeguatezza, ha proposto, al contrario, una riorganizzazione delle province fondata pressoch solo sullaspetto territoriale e sulla loro supposta inutilit. 4.2. Un secondo tentativo costituito dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. Salva-Italia), convertito in legge con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011, n. 2014, recante Disposizioni urgenti per la crescita, lequit e il consolidamento dei conti pubblici (16). La riforma del sistema italiano delle province si incardina nei commi 1422 dell'art. 23, d.lgs. n. 201/2012 che disciplina sia in materia di funzioni sia in materia di governo. Il comma 14 prevede che spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attivit dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. Inoltre, i commi 18 e 19 impongono che, a seconda delle funzioni, lo Stato e le regioni - e perfino lo Stato in via sostitutiva delle regioni dispongano con legge il trasferimento ai comuni delle funzioni attribuite alle province e delle risorse umane, finanziarie e strumentali per lesercizio delle medesime funzioni, salvo non persistano esigenze di unitariet o di sussidiariet, differenziazione e adeguatezza che ne giustificano il trasferimento alle regioni (17). Ai commi 15-17 e 22 dellart. 23 si disciplina il governo delle province, lorganizzazione e le retribuzioni. In particolare, si precisa che tra gli organi di governo della provincia vi sono unicamente il Consiglio provinciale e il Presidente della provincia, il primo composto da massimo dieci membri eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia, mentre il secondo scelto tra questi ultimi. Per entrambi la durata della carica di cinque anni e sono eletti secondo le disposizioni stabilite con legge statale. Il comma 20 dello stesso articolo introduce inoltre una disciplina transitoria in base alla quale agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica fino al 31 marzo 2013 lart. 141 TUEL in materia di scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali, mentre gli organi provinciali, che devono essere rinnovati successivamente (16) G. VESPERINI, Le nuove province, commento allarticolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011, in Giorn. dir. amm., 3, 2012, p. 272 e ss. (17) Con lart. 1, comma 115, d.l. 24 dicembre 2012, (legge di stabilit 2013) lapplicazione del- lart. 23, commi 18-19, d.l. n. 201/2011 sospesa per un anno Al fine di consentire la riforma organica della rappresentanza locale e al fine di garantire il conseguimento dei risparmi previsti dal d.l. n. 95/2012 e dal processo di riorganizzazione periferica dello Stato. Da questa disposizione la Corte Costituzionale ha tratto lulteriore argomento in base al quale lo stesso legislatore ha implicitamente confermato la contraddizione per cui la trasformazione per decreto-legge dellintera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dellintero sistema, su cui da tempo aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessit, da un caso straordinario di necessit e durgenza (Corte Cost. sent. n. 220/2013, cfr. pi diffusamente par. 4.5). Secondo VESPERINI, ult. cit., dallart. 23, comma 8, [...] consegue labrogazione tacita di tutte le norme che attribuiscono funzioni (diverse da quelle indicate espressamente nella nuova disciplina) alle province: sia di quelle generali, sopra richiamate, del d.lgs. n. 267/2000 e del d.lgs. n. 216/2010, che di quelle settoriali regolate da numerose leggi statali e regionali. al 31 dicembre 2012, possono restare in carica fino a scadenza naturale. Quindi, una volta decorso questo periodo, sarebbe stato possibile procedere allelezione dei nuovi organi sulla base delle richiamate nuove disposizioni sul governo della provincia (18). Infine, il comma 20-bis dellart. 23 precisa che queste disposizioni non si applicano alle province autonome di Trento e Bolzano, ma trovano applicazione per le regioni a statuto speciale, alle quali fatto obbligo di adeguarvisi. Tuttavia, qualche anno pi tardi, queste ultime disposizioni (art. 23, commi 14-20 e 20-bis) del d.l. n. 201/2011 sono state interamente caducate per effetto della pronuncia di illegittimit costituzionale disposta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 220/2013 (infra par. 4.5). 4.3. Con un terzo tentativo di riforma, il Governo ha adottato il d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (c.d. Spending review), convertito con modificazioni in legge dalla l. 7 agosto 2012, n. 135. Con gli artt. 17 e 18 del decreto il legislatore ha riordinato le province e le citt metropolitane nell'ottica di razionalizzare e ridurre la spesa statale complessiva per gli enti territoriali (19). Si tenga presente, peraltro, che la Corte costituzionale con la citata sentenza n. 220/2013 (infra par. 4.5) ha dichiarato costituzionalmente illegittimi anche gli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95/2012, ma che, al momento della emanazione di questultimo decreto-legge, lart. 23 d.l. n. 201/2011 era ancora in vigore. Non a caso, sotto la vigenza dell'art. 23, l'art. 17, comma 12, precisa che non intende operare alcuna modifica al sistema di governo delle province. Ad ogni modo, per quanto concerne il territorio, lart. 17 rimanda a un successivo D.P.C.M. la determinazione dei requisiti minimi per il riordino delle province, ad eccezione delle province in cui si trova il comune capoluogo di regione (comma 2). In adempimento alle prescrizioni di questo comma, il Consiglio dei Ministri ha deliberato in data 20 luglio 2012 che i requisiti minimi sono: a) dimensione territoriale non inferiore a [2.500] chilometri quadrati; b) popolazione residente non inferiore a [350.000] abitanti (art. 1, comma 1) e che le nuove province risultanti dalla procedura di riordino devono possedere entrambi i [predetti] requisiti, salve le deroghe previste dai commi 3 e 4 dellart. 17 (20). Lart. 17, commi 3 e 4, disciplina infatti il procedimento per proporre (18) Nel frattempo lart. 1, comma 115 della legge di stabilit 2013 (l. 24 dicembre 2012, n. 228) aveva sospeso lapplicazione dellart. 23 d.l. n. 201/2011 fino al 31 dicembre 2012 e posticipato il termine per lapplicazione del commissariamento delle amministrazioni provinciali. Tale comma 115, dopo successive modifiche (da ultimo art. 1, comma 325, l. n. 147/2013) stato abrogato dallart. 1, comma 143, l. n. 56/2014. (Su questultima legge, si v. infra par. 4). (19) Ancora una volta, le esigenze di bilancio sono evidenti nellincipit della riforma. Lart. 17, comma 1, prevede infatti che siffatte disposizioni sono emanate Al fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio. unipotesi di riordino delle province da parte del Consiglio delle autonomie locali di ciascuna regione, in base al quale (o in assenza del quale), decorsi i termini indicati, il Governo pu adottare latto di riordino delle province. Per quanto concerne le funzioni, lart. 17, comma 5, prevede che alle province vengono attribuite: le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attivit dei comuni gi disposte dallart. 23, comma 14, d.l. n. 201/2011, le funzioni ex art. 117, comma 2, lett. p), Cost. provvisoriamente assegnate alle province ai sensi dellart. 17, comma 10, quali: a) la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, la tutela e valorizzazione dellambiente; b) la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo del trasporto privato, costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale; c) la programmazione provinciale della rete scolastica e gestione delledilizia scolastica per le scuole secondarie di secondo grado. Oltre a queste ipotesi, il richiamato comma 5 dell'art. 17 impone che sia trasferita ai comuni ogni altra funzione amministrativa, cos come individuata da un D.P.C.M. (mai emanato, nonostante i termini indicati dal comma 7) (21). Mentre per le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni nelle materie ex artt. 117, commi 3 e 4, e 118 Cost. l'art. 17, comma 11, non apporta alcuna variazione. Infine, per armonizzare su tutto il territorio nazionale i principi espressi in queste disposizioni, alle regioni a statuto speciale fatto obbligo, entro sei mesi, di adeguare i propri ordinamenti ai principi [dellart. 17], che costituiscono principi dellordinamento giuridico della Repubblica nonch principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (comma 5). Al tempo stesso quest'ultimo comma esclude lapplicabilit dellart. 17 alle province autonome di Trento e Bolzano. 4.4. Un quarto tentativo di riforma rappresentato dal d.l. 5 novembre 2012, n. 188 recante Disposizioni urgenti in materia di Province e Citt metropolitane, che tuttavia non stato convertito in legge nel termine di sessanta giorni dallemanazione del relativo d.P.R. (20) Lart. 1, comma 4, D.P.C.M. 20 luglio 2012 dispone inoltre che Il riordino di cui all'articolo 17, comma 1, del citato decreto-legge n. 95 del 2012 non pu comportare l'accorpamento di una o pi province esistenti alla data di adozione della presente delibera con le province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria che, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, del medesimo decreto-legge e con le modalit e i tempi ivi indicati, sono soppresse con contestuale istituzione delle relative Citt metropolitane. (21) Lart. 17 richiede altres che con uno o pi D.P.C.M., da adottarsi entro 180 giorni, venga fatta puntuale individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali e organizzative connessi allesercizio delle funzioni stesse e al loro conseguente trasferimento dalla provincia ai comuni interessati (comma 8). Tale D.P.C.M., tuttavia, non mai stato emanato, cos da precludere lesercizio delle funzioni trasferite ai sensi del comma 6, dal momento che il successivo comma 9 prevede che la decorrenza dellesercizio di queste ultime funzioni inderogabilmente subordinata ed contestuale alleffettivo trasferimento delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie allesercizio delle medesime. Con tale decreto, il Governo intende dare una prima attuazione agli artt. 17 e 18 d.l. n. 95/2012 (Spending review) e modificarne alcune previsioni. In particolare, lart. 2 elenca le province nelle regioni a statuto ordinario a decorrere dal 1 gennaio 2014 e lart. 6 prevede che ciascuna di queste ultime province succede a quelle ad essa preesistenti in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto, anche processuale. Inoltre, lart. 4, comma 1, lett. b), inserisce il comma 10-bis allart. 17 d.l. n. 95/2012 secondo il quale le regioni sono tenute a trasferire con legge le funzioni trasferite alle province nellambito delle materie ex art. 117, commi 3 e 4, Cost. salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, tali funzioni siano acquisite dalle Regioni medesime. In caso di trasferimento delle funzioni ai sensi del primo periodo, sono altres trasferite le risorse umane, finanziarie e strumentali. 4.5. Con la sentenza n. 220/2013 (19 luglio 2013, Est. Silvestri) la Corte Costituzionale ha deciso pi ricorsi in via principale, riuniti per identit di oggetto, che riguardano, tra laltro, la legittimit costituzionale di alcuni commi dellart. 23 d.l. n. 201/2011 (supra par. 4.2) e degli articoli 17 e 18, d.l. n. 95/2012 (supra par. 4.3). La Corte fonda la propria motivazione sul contrasto di queste disposizioni con l'art. 77 Cost., in quanto adottate con lo strumento del decreto-legge, in relazione agli artt. 117, comma 2, lett. p) e 133 Cost. che prescrivono modalit e procedure per incidere, in senso modificativo, sia sullordinamento delle autonomie locali, sia sulla conformazione territoriale dei singoli enti, considerati dallart. 114, primo e secondo comma, Cost., insieme allo Stato e alle Regioni, elementi costitutivi della Repubblica, con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. In particolare, la Corte osserva che queste ultime disposizioni costituzionali riguardano le componenti essenziali dellordinamento degli enti locali, che per loro natura [sono] disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei princpi costituzionali nel processo attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali e che, in quanto tali, sono norme ordinamentali, che non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dellart. 77 Cost.. Quindi, sebbene po[ssa] essere adottata la decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi di governo, secondo valutazioni di opportunit politica del Governo sottoposte al vaglio successivo del Parlamento, ciononostante la trasformazione per decreto-legge dellintera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una tra sformazione radicale dellintero sistema, su cui da tempo aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessit, da un caso straordinario di necessit e durgenza. Per questo ordine di motivi la Corte ha accolto le censure addotte dalle ricorrenti dichiarando lillegittimit costituzionale dei commi 14-20 dellart. 23, d.l. n. 201/2011 e, in via consequenziale, del comma 20-bis dello stesso articolo, nonch parimenti degli artt. 17 e 18, d.l. n. 95/2012. Tuttavia, questa pronuncia, nonostante caduchi un cos complesso articolato normativo sulla base della preclusione costituzionale all'esecutivo di utilizzare la decretazione d'urgenza in queste circostanze, non consente allinterprete e allo stesso legislatore di risolvere in anticipo alcuni (e ulteriori) dubbi di merito (22) circa la legittimit costituzionale delle previsioni adottate con il d.l. 201/2011 e 95/2012 e, conseguentemente, della costituzionalit della successiva l. n. 56/2014 (infra par. 5) (23). 5. La legge 7 aprile 2014, n. 56 sulla c.d. abolizione delle province. Con la l. 7 aprile 2014, n. 56 (legge Delrio) il Parlamento ha approvato larticolo unico di riforma delle province, recante Disposizioni sulle citt metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (c.d. Abolizione province) (24). (22) Peraltro, la Corte ha ben precisato che Le considerazioni che precedono non entrano nel merito delle scelte compiute dal legislatore e non portano alla conclusione che sullordinamento degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale - indispensabile solo se si intenda sopprimere uno degli enti previsti dallart. 114 Cost., o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionale - ma, pi limitatamente, che non sia utilizzabile un atto normativo, come il decreto-legge, per introdurre nuovi assetti ordinamentali che superino i limiti di misure meramente organizzative e ancora che A prescindere da ogni valutazione sulla fondatezza nel merito di tale argomentazione con riferimento alla legge ordinaria, occorre ribadire che a fortiori si deve ritenere non utilizzabile lo strumento del decreto-legge quando si intende procedere ad un riordino circoscrizionale globale, giacch allincompatibilit dellatto normativo urgente con la prescritta iniziativa dei Comuni si aggiunge la natura di riforma ordinamentale delle disposizioni censurate, che introducono una disciplina a carattere generale dei criteri che devono presiedere alla formazione delle Province (Corte Cost. sent. 220/2013). (23) G. SAPUTELLI, Quando non solo una "questione di principio". I dubbi di legittimit non risolti della "riforma delle Province" (nota a sentenza (3 luglio 2013) 19 luglio 2013, n. 220), in Giur. Cost., 2013, 4, p. 3242 e ss. Sullimpatto della sentenza n. 220/2013 sulle iniziative di governo si veda F. PIZZETTI, La riforma Delrio tra superabili problemi di costituzionalit e concreti obbiettivi di modernizzazione e flessibilizzazione del sistema degli enti territoriali, in astrid-online.it, 11 novembre 2013. Sul successivo d.d.l. Deliro si segnalano anche i Pareri in merito ai dubbi di costituzionalita del DDL n. 1542 resi per la Presidenza del Consiglio dei Ministri da numerosi autorevoli studiosi della materia in seguito all'appello dal titolo Per una riforma razionale del sistema delle autonomie locali datato 13 ottobre 2013 e firmato dal prof. Gian Candido De Martin e altri, pubblicati sul sito affariregionali.gov.it. (24) G.M. SALERNO, Sulla soppressione-sostituzione delle province in corrispondenza allistituzione delle Citt metropolitane: profili applicativi e dubbi di costituzionalit, in federalismi.it, 8 gennaio 2014; B. CARAVITA, F. FABRIZZI, Riforma delle province. Spunti di proposte a breve e lungo termine, in federalismi.it, 25 gennaio 2012. Il testo di partenza era stato presentato con il d.d.l. A.C. 1542 ed stato approvato definitivamente dalla Camera in seconda lettura (A.C. 1542-B) sulla quale stata posta anche una questione di fiducia (25). Nel delineare le caratteristiche delle citt metropolitane e delle province, la l. n. 56/2014 le individua per ciascuna in materia di territorio, governo e funzioni. Inoltre la legge disciplina altres lunione di comuni (26) riscrivendo lart. 32, comma 3, TUEL e abrogando le precedenti disposizioni sulle c.d. Unioni speciali (27). Tuttavia, il fatto che la l. n. 56/2014 sia stata denominata abolizione delle province non significa affatto che le province siano state integralmente abolite. Alle stesse, anzi, stata data sostanzialmente una nuova forma e precise funzioni, talvolta pi estese delle precedenti, in attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione (comma 51). Del resto, il 20 agosto 2013, assieme al d.d.l. A.C. 1542, il governo ha presentato anche il d.d.l. costituzionale A.C. 1543 (28), recante Abolizione delle province, che, prendendo atto di quanto ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 220/2013 (supra par. 4.5), propone la soppressione in Costituzione delle province e affida a una legge dello Stato di determinare i criteri con cui lo Stato e le Regioni, nellambito delle rispettive competenze, individuano le forme e le modalita di esercizio delle relative funzioni (art. 3). La citt metropolitana, seppur costituzionalmente prevista nel nuovo titolo V (art. 114), non aveva mai trovato una effettiva attuazione (29). In questa circostanza, invece, la duttilit della citt metropolitana ha consentito al legislatore di proporre, a costituzione invariata, un modello di riforma degli enti locali che favorisce laccorpamento delle funzioni e i mezzi (in termini di patrimonio umano, materiale e finanziario) degli enti. Gli organi delle citt metropolitane, alla pari di quelli delle province, ri (25) Il d.d.l. A.C. 1542 presentato il 20 agosto 2013, approvato il 21 dicembre 2013, e trasmesso al Senato il 27 dicembre 2013 (A.S. 1212). Dopo lapprovazione con modificazioni del 26 marzo 2014, la Camera lo approva definitivamente il 3 aprile 2014 (A.C 1542-B). Per alcune osservazioni critiche sull'A.S. 1212, si segnala l'Audizione in data 16 gennaio 214 del Presidente della Sezione autonomie della Corte dei conti, dott. Falcucci, presso la Commissione Affari costituzionali del Senato. (26) Le unioni di comuni sono enti locali e sono funzionali allesercizio associato di funzioni e servizi. In parte, la disciplina era gi stata introdotta dallart. 11 l. n. 142/2011 in materia di modifiche territoriali, fusione e istituzione di comuni. (27) Si tratta, in particolare, dellabrogazione dellart. 19, commi 4-6, d.l. n. 95/2012 e dellart. 16, commi 1-13, d.l. n. 138/2011. (28) Come riporta anche la relazione che accompagna il d.d.l. cost., In particolare, con il presente disegno di legge costituzionale si dispone l'abolizione delle province, con la soppressione della dizione di Province nei diversi articoli della Costituzione che attualmente disciplinano questo ente territoriale: le province, pertanto, non sarebbero pi un ente territoriale costituzionalmente necessario [...] affidando [art. 3] alla legge statale la funzione di definire un insieme di criteri e di requisiti generali in base ai quali lo Stato e le regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, devono individuare le forme e le modalit di esercizio delle funzioni che oggi spettano alle province. Successivamente queste previsioni sono state inserite anche negli artt. 24, 27 e 28 del pi ampio d.d.l. cost. (A.C. 1429) dell8 aprile 2014. cevono una investitura di secondo grado (30), in quanto sono nominati o eletti tra coloro che gi esercitano un mandato nell'ente locale, e dovranno svolgere limportante ruolo di raccordo tra comuni e regioni. Del resto, lavvicendamento tra le dieci citt metropolitane e le province afferenti al loro territorio evidentemente senza soluzione di continuit, come si apprende dalla stessa legge. Infatti, al comma 16 si prevede che Il 1 gennaio 2015 le citt metropolitane subentrano alle province omonime e succedono ad esse in tutti i rapporti attivi e passivi e ne esercitano le funzioni (31); e, ad ulteriore evidenza, Ove alla predetta data non sia approvato lo statuto della citt metropolitana, si applica lo statuto della provincia (32). Ci almeno fino al 30 giugno 2015 quando, in caso di mancata approvazione dello statuto, lo Stato pu procedere con i propri poteri sostitutivi in attuazione del- lart. 120 Cost. (l. n. 131/2003) (33). (29) Il modello della citt metropolitana viene definito con la l. n. 142/1990 (supra par. 2.1). In particolare, gli artt. 17-21 intendevano suddividere progressivamente lamministrazione locale nellarea metropolitana in comuni e citt metropolitane (art. 18) e ridefinire la distribuzione delle funzioni dalle province alle citt metropolitane, attribuendo a queste ultime non solo le funzioni di competenza provinciale ma anche le funzioni normalmente affidate ai comuni che possono essere oggetto di un esercizio coordinato (art. 19). Con ladozione del TUEL, agli artt. 22-26 pongono in via meramente eventuale ladozione delle citt metropolitane, in evidente contrasto con la linea intrapresa dallart. 20, comma 1, l. n. 142/1990. La revisione costituzionale del 2001, pur aderendo allorganizzazione del governo locale tra comuni, province, citt metropolitane, non risolve la difficile applicazione concreta della citt metropolitana. In seguito, nonostante altri tentativi di riforma delle citt metropolitane (A.C. nn. 1464, 2105), si rinviene principalmente lart. 18 d.l. 95/2012 (supra par. 4.3). Tuttavia, la mancata conversione in legge del d.l. 188/2012 (supra par. 4.4), che introduceva tramite lart. 5 alcune modifiche allart. 18 d.l. 95/2012, e la sentenza n. 220/2013 della Corte costituzionale (supra par. 4.5) ha determinato un ulteriore arresto della riforma delle citt metropolitane. S. MANGIAMELI, La questione locale. Le nuove autonomie nellordinamento Repubblicano, Roma, 2009, pp. 161-180; C. DEODATO, Le citt metropolitane: storia, ordinamento, prospettive, in giustizia-amministrativa.it; F. PIZZETTI, La complessa architettura della l. n. 56 e i problemi relativi alla sua prima attuazione: differenze e somiglianze tra citt metropolitane e province, in astrid-online.it, giugno 2014; A. PATRONI GRIFFI, Citt metropolitana: per un nuovo governo del territorio, in confronticostituzionali.eu, 23 giugno 2014. (30) In merito alla conformit costituzionale delle elezioni di secondo grado con riferimento al principio di uguaglianza, si v. Corte cost. sent. nn. 96/1968 e 198/2012. Inoltre, con riferimento all'art. 114 Cost. le sentt. nn. 274/2003 e 144/2009 hanno stabilito la non necessaria totale equiparazione tra i diversi livelli di governo territoriale. Cfr. anche E. GROSSO, Possono gli organi di governo delle province essere designati mediante elezioni di secondo grado, a Costituzione vigente?, in astrid-online.it, 27 ottobre 2013; F. BASSANINI, Sulla riforma delle istituzioni locali e sulla legittimita costituzionale della elezione in secondo grado degli organi delle nuove province, in astrid-online.it, 29 ottobre 2013. (31) Gi lart. 18, comma 5, l. n. 142/1990 disponeva che La citt metropolitana, comunque denominata, acquisisce le funzioni della provincia. (32) Peraltro, il comma 16, l. n. 56/2014 prevede ulteriormente che Le disposizioni dello statuto della provincia relative al presidente della provincia e alla giunta provinciale si applicano al sindaco metropolitano; le disposizioni relative al consiglio provinciale si applicano al consiglio metropolitano. (33) Lart. 8, comma 1, l. n. 131/2003, che ha dato attuazione dellart. 120, comma 2, Cost., stabilisce il procedimento per lesercizio del potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri. In particolare, tale potere deve essere proporzionato alle finalit perseguite e qualora l'esercizio dei poteri sostitutivi riguardi Comuni, Province o Citt metropolitane, la nomina del commissario deve tenere conto dei principi di sussidiariet e di leale collaborazione (comma 3). 5.1. Secondo la riforma Delrio, le citt metropolitane sono enti territoriali di area vasta (comma 2) e sono quelle di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria (comma 5) (34). Ciascuna regolata in transitoria dai commi 5-50 dellart. 1, in attesa della riforma del titolo V e delle relative disposizioni attuative (35). Per quanto concerne il territorio, in base al comma 6 quello della citt metropolitana coincide con quello della provincia omonima, fermo restando il potere di iniziativa dei comuni ai sensi dellart. 133 Cost. Inoltre, ai soli fini elettorali, il comma 33 ripartisce i comuni delle citt metropolitane in nove scaglioni sulla base della popolazione per numero di abitanti. Il governo delle citt metropolitane ripartito tra il sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana (commi 7-43), mentre la disciplina elettorale regolata ai commi 25-39. Il sindaco metropolitano corrisponde di diritto al sindaco del comune capoluogo (comma 19), mentre il consiglio metropolitano eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della citt metropolitana (comma 25) tramite il voto diretto, libero e segreto, attribuito a liste di candidati concorrenti in un unico collegio elettorale corrispondente al territorio della citt metropolitana (comma 30). Tra l'altro, il voto pu essere espresso anche con la preferenza per uno specifico candidato (comma 35). Ciascun consiglio metropolitano dura in carica cinque anni ed composto dal sindaco metropolitano e da un numero variabile di membri, corrispondenti a: 24 consiglieri nelle citt metropolitane con popolazione residente superiore a 3 milioni di abitanti, 18 consiglieri per la fascia tra 800.000 e 3 milioni di abitanti e, infine, 14 consiglieri nelle altre citt metropolitane (commi 19-21). La conferenza metropolitana composta dal sindaco metropolitano e dai sindaci dei comuni appartenenti alla citt metropolitana (comma 42) ed un organo che, eccettuato il potere di approvare lo statuto (36), ha limitati poteri consultivi e propositivi. Ciascuno di questi organi si configura, quindi, come ente di secondo grado in quanto non direttamente eletto dalla popolazione. Tuttavia, in deroga a questa previsione, il comma 22 ammette che statutariamente possa essere prevista lelezione diretta a suffragio universale sia per la carica di sindaco sia (34) Sostanzialmente, se si eccettua la previsione ad hoc per Roma e linclusione di Reggo Calabria, si tratta delle stesse citt metropolitane gi previste dallart. 17, comma 1, l. n. 142/1990 e, in seguito, anche dallart. 22 TUEL. Sul dibattito attorno allo statuto di specialit della citt metropolitana di Roma Capitale, come previsto ai commi 101-103 della riforma Delrio, si veda P. BARBERA, Considerazioni sullordinamento della Citt metropolitana di Roma Capitale, in astrid-online.it, 6 novembre 2013. (35) Il riferimento di nuovo al d.d.l. costituzionale A.C. 1543 sullabolizione delle province (supra par. 5.1). Tra l'altro, lo stesso comma 5 fa un ulteriore riferimento ad una prossima riforma nella parte in cui afferma che I principi della presente legge valgono come principi di grande riforma economica e sociale per la disciplina di citt e aree metropolitane da adottare dalla regione Sardegna, dalla Regione siciliana e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, in conformit ai rispettivi statuti. per quelle del consiglio metropolitano con il sistema elettorale che sar determinato con legge statale (37). Inoltre, in forza del comma 24 ciascuna delle cariche nella citt metropolitana svolta a titolo gratuito. Infine, per quanto concerne le funzioni, i commi 44-46 prevedono che alla citt metropolitana siano attribuite: le funzioni fondamentali delle province; le funzioni attribuite alla citt metropolitana secondo i commi 85-97; alcune funzioni fondamentali ai sensi dellart. 117, comma 2, lett. p) Cost. (38). Peraltro, pur rimanendo immutate le funzioni statali e regionali nelle materie dellart. 117 e 118 Cost., si ribadisce che lo Stato e le regioni, ciascuno per le proprie competenze, possono attribuire ulteriori funzioni alle citt metropolitane in attuazione dei principi di sussidiariet, differenziazione e adeguatezza, come previsto dallart. 118 Cost. (39) (comma 45). In particolare, secondo il comma 44, le c.d. finalit istituzionali ai sensi dellart. 117, comma 2, lett. p), Cost. sono, in sintesi: a) adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio metropolitano; b) pianificazione territoriale generale; c) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano; d) mobilit e viabilit, anche assicurando la compatibilit e la coerenza della pianificazione urbanistica comunale nell'ambito metropolitano; e) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale; f) promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano. 5.2. Ai sensi della legge n. 56/2014 le province sono enti territoriali di (36) Sulla competenza dalla conferenza metropolitana per lapprovazione dello Statuto parrebbe valere il comma 9 nella parte in cui dispone che la conferenza metropolitana adotta o respinge lo statuto e le sue modifiche proposti dal consiglio metropolitano []. Tuttavia il comma 15 prevede che Entro il 31 dicembre 2014 il consiglio metropolitano adotta lo statuto. A questo fine l'art. 23, comma 1, lett. a), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, non ancora convertito in legge, ha modificato il comma 15, in tema di approvazione dello statuto della citt metropolitana, attribuendo alla conferenza metropolitana anzich al consiglio metropolitano la competenza ad approvare lo statuto. (37) Si tratta di una disposizione che pare riecheggiare la l. 25 marzo 1993, n. 81 sullelezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale e successivamente confluita negli artt. 71-76 TUEL. In questo senso si veda, in una prospettiva pi storica sulle proposte di sistema elettorale, il d.d.l. A.S. 1464 per lattuazione dellart. 117, comma 2, lett. p), Cost. (38) Secondo il recente d.d.l. cost. (A.C. 1429) dell'8 aprile 2014 il nuovo art. 117, comma 2, lett. p), Cost. sarebbe ordinamento, organi di governo, legislazione elettorale e funzioni fondamentali dei Comuni, comprese le loro forme associative, e delle Citta metropolitane; ordinamento degli enti di area vasta. (39) Le funzioni attribuite alle Citt metropolitane, che erano precedentemente delle province, sono tuttavia ancora attribuite alle province fino a data da destinarsi con D.P.C.M. In merito il comma 89 prevede che Le funzioni che nell'ambito del processo di riordino sono trasferite dalle province ad altri enti territoriali continuano ad essere da esse esercitate fino alla data dell'effettivo avvio di esercizio da parte dell'ente subentrante; tale data determinata nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 92 per le funzioni di competenza statale ovvero stabilita dalla regione ai sensi del comma 95 per le funzioni di competenza regionale. area vasta (comma 3) (40) e sono disciplinate transitoriamente ai commi 51100, che ne regolano lorganizzazione di governo e le funzioni (41). Gli organi delle province sono il presidente della provincia, il consiglio provinciale e lassemblea dei sindaci ed esercitano poteri analoghi a quelli indicati per i corrispettivi tre organi delle citt metropolitane. Inoltre, parallelamente alle citt metropolitane, ciascun organo della provincia si configura come organo di secondo grado e le cariche sono svolte a titolo gratuito (comma 84). Lassemblea provinciale composta dai sindaci dei comuni appartenenti alla provincia ed esercita prevalentemente poteri consultivi, propositivi e di approvazione dello statuto (comma 56). Il presidente della provincia eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia. Esso dura in carica cinque anni e il suo mandato direttamente collegato alla propria carica di sindaco della provincia in base al principio del simul stabunt, simul cadent (commi 59 e 65). Il consiglio provinciale, lorgano di indirizzo e di controllo, dura in carica due anni ed composto dal presidente della provincia e da un numero variabile tra 16 e 10 componenti, a seconda della popolazione presente sul territorio (commi 67-69). Inoltre, ai commi 70-84 sono indicate le modalit di elezione del consiglio (42). Peraltro, per il presidente della provincia e il consiglio provinciale previsto che ciascun voto sia ponderato sulla base delle fasce di ripartizione dei comuni disposte per le citt metropolitane ai commi 33 e 34. La ripartizione delle funzioni delle province regolata ai commi 52 e 8598 e costituisce uno dei principali nodi della riforma Delrio. Le disposizioni si sviluppano su tre livelli: le funzioni fondamentali (commi 85-87), le funzioni esercitate dintesa con i comuni (comma 88) e funzioni attribuite dallo Stato e dalle regioni (commi 89-91). Inoltre, secondo il comma 52 restano comunque ferme le funzioni delle regioni nelle materie di cui allarticolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione e le funzioni esercitate ai sensi dellarticolo 118 della Costituzione. Tra le funzioni fondamentali figurano: a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonch tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coe (40) Quella del comma 3 unulteriore definizione di provincia oltre quella gi prevista allart. 3, comma 3, TUEL, secondo la quale La provincia, ente locale intermedio tra comune e regione, rappresenta la propria comunit, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo. (41) Si consideri che i commi 51-100 non si applicano, per espressa previsione del comma 53, alle province autonome di Trento e di Bolzano, nonch alla regione Valle dAosta. (42) L'art. 23, comma 1, lett. d), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, non ancora convertito in legge, ha modificato il comma 79 in tema di elezione del consiglio provinciale estendendolo anche al presidente della provincia. renza con la programmazione regionale, nonch costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico- amministrativa agli enti locali; e) gestione dell'edilizia scolastica; f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunit sul territorio provinciale (comma 85). Tali funzioni, peraltro, sono sottoposte, ai sensi del comma 87, al limite stringente della competenza per materia prevista per lo Stato e per le regioni dallart. 117, commi 2, 3 e 4, Cost. Per alcune materie si delineano, inoltre, alcune specifiche previsioni. Ad esempio, in materia di appalti pubblici consentito alle province di esercitare dintesa con i comuni alcune funzioni, quali la predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive (comma 88) (43). Inoltre, lo Stato e le regioni possono attribuire alle province, secondo le rispettive funzioni, alcune funzioni proprie al fine di conseguire le seguenti finalit: individuazione dell'ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione; efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei comuni e delle unioni di comuni; sussistenza di riconosciute esigenze unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra gli enti territoriali coinvolti nel processo di riordino, mediante intese o convenzioni (comma 89). In particolare, in base ai commi 91 e 95 lo Stato e le regioni hanno tre mesi per individuare in modo puntuale queste funzioni e le relative competenze, tenendo conto anche delle indicazioni contenute nel comma 96, lett. a), b) e c). A completamento dei precedenti commi sulle funzioni delle province, i commi 92 e 93 prevedono che sia adottato un D.P.C.M. per stabilire i criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni assegnate agli enti subentranti alle province e, qualora non sia stata raggiunta unintesa in sede di Conferenza unificata, anche funzioni amministrative delle province in materie di competenza statale. Infine, il comma 97 delega il Governo ad adottare entro un anno dallemanazione di questultimo D.P.C.M. uno o pi decreti legislativi in materia di adeguamento della legislazione statale sulle funzioni e sulle competenze dello Stato e degli enti territoriali e di quella sulla finanza e sul patrimonio dei medesimi enti, secondo i principi e i criteri direttivi sul rapporto tra funzioni e (43) In quest'ottica muove l'art. 9, comma 4, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni in legge dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, che modifica l'art. 33 d.lgs. n. 163/2006 in materia di centrali di committenza. prestazioni essenziali (lettera a)) e sul trasferimento agli enti che subentrano alle province delle risorse finanziarie che non sono necessarie per le funzioni non fondamentali (lettera b)). 6. Conclusioni. La riforma degli enti locali disposta con la l. n. 56/2014 ha inteso rimodulare l'organizzazione delle strutture di governo all'interno di ciascuna regione favorendo il coordinamento tra i rappresentanti dei comuni, di diretta espressione popolare e quindi portatori degli interessi collettivi del proprio territorio di afferenza. Uno dei principali obiettivi, infatti, quello di creare una forma di rappresentanza che, ispirandosi ai modelli delle economie di scala, favorisca un efficientamento della spesa pubblica attraverso il dialogo interistituzionale. In quest'ottica, la rappresentanza negli organi delle citt metropolitane, delle province e delle unioni e fusioni di comuni di secondo grado, nel senso che gli organi sono composti sostanzialmente dai rappresentanti dei comuni senza che sia necessaria un'ulteriore votazione a suffragio universale. In tal modo, le forme di rappresentanza assumono una struttura concentrica, nella quale gli organi di governo variano in termini di estensione della rappresentanza a seconda delle funzioni da svolgere, delle esigenze di coordinamento e degli interessi territoriali in questione (44). Non un caso, e forse nemmeno pu essere considerato un mero slogan politico (45), che le cariche svolte negli organi di governo delle citt metropolitane, nelle province e nelle unioni e fusioni di comuni siano gratuite (commi 24, 84, 108). Ci, infatti, dimostra come tale forma di rappresentanza sia intesa non tanto come un nuovo incarico quanto invero come la naturale prosecuzione della carica svolta nel proprio comune. (44) Si tratterebbe, infatti, di un indirizzo in linea con quanto affermato nella Relazione Finale del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali del 12 aprile 2013: Devono essere altresi rafforzati gli strumenti di cooperazione e coordinamento istituzionale tra Enti Locali, tra diverse Regioni, tra Stato e Regioni, p. 17. Nel senso che ante riforma Delrio vi era su uno stesso territorio un eccesso di rappresentanza diretta di troppe classe politiche, F. PIZZETTI, La riforma Delrio tra superabili problemi di costituzionalit e concreti obbiettivi di modernizzazione e flessibilizzazione del sistema degli enti territoriali, cit. (45) Tuttavia anche le esigenze di fare cassa sono evidenti. Da ultimo, infatti, il d.l. 24 aprile 2014, n. 66, rubricato Riduzione dei costi nei comuni, nelle province e nelle citt metropolitane, ha inserito il comma 150-bis alla l. n. 56/2014 imponendo che il D.P.C.M. ex comma 92 l. n. 56/2014 preveda anche che le Province e le Citt metropolitane assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 100 milioni di euro per l'anno 2014, a 60 milioni di euro per l'anno 2015 e a 69 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016 (art. 19). Inoltre, l'art. 47 dello stesso d.l. dispone che, nelle more dell'emanazione di suddetto D.P.C.M., gli stessi enti assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 (comma 1) oltre agli ulteriori contributi previsti nei commi successivi. Tuttavia, il fatto che la stessa legge acconsenta che i meccanismi della rappresentanza di secondo grado delle citt metropolitane possano venire meno attraverso la modifica dello statuto (da approvarsi entro il 31 dicembre 2014) determina, non solo una maggiore flessibilit dello strumento in funzione di una migliore aderenza alle necessit del territorio, ma anche il rischio che si snaturi lo spirito della riforma. Al contrario, la soppressione in sede di discussione al Senato dell'art. 2, comma 2, dell'A.S 1212, che ammetteva la formazione di nuove citt metropolitane tramite la fusione ex art. 133, comma 1, Cost., ha costituito un indice della volont di preservare il disegno unitario della riforma. La volont politica di sopprimere costituzionalmente le province (A.C. nn. 1453 e 1429) non significa che le stesse non possano continuare a esistere se una legge statale ne definisce il territorio, le funzioni, le modalit di finanziamento e l'ordinamento. Del resto, la Corte costituzionale con la sentenza n. 220/2013 ha sottolineato come alla esclusione della garanzia costituzionale di un ente non debba necessariamente conseguire l'abolizione dello stesso (46). Le province, quindi, anche se verranno in futuro espunte dalla Costituzione, potranno - salva diversa previsione - comunque mantenere in base alla l. 56/2014 il ruolo di enti di coordinamento (c.d. pivot) tra comuni, citt metropolitane e regioni. Ad oggi, permangono sicuramente in capo alle province alcune funzioni di area vasta nientaffatto marginali, come ad esempio: la pianificazione dei territori e la tutela della valorizzazione dell'ambiente, ma anche in materia di trasporti e di programmazione della rete scolastica e dell'edilizia scolastica e salva, comunque, la possibilit di delega da parte dello Stato e delle regioni di funzioni proprie. In conclusione, nella riforma Delrio traspare un percorso di innovazione nella tradizione che parte dalla legge n. 142/1990 e attraversa i d.l. nn. 201/2011, 95/2012 e 188/2012, per confluire, attraverso l'implementazione del dialogo multilivello nella gestione del territorio, in una maggiore attuazione dei principi di sussidiarieta , differenziazione, adeguatezza, come enunciati - prima ancora del novellato art. 118 Cost. - nellart. 1 della prima legge Bassanini n. 59/1997. (46) In particolare la Corte costituzionale ha escluso nella sent. n. 220/2013 che sullordinamento degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale - indispensabile solo se si intenda sopprimere uno degli enti previsti dallart. 114 Cost., o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionale. Pi diffusamente supra par. 4.5. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Linsostenibile pesantezza economica dei diritti. Nuovo rito speciale sugli appalti pubblici: verso un processo senza giudizio? Adolfo Mutarelli* 1. Le novit del rito specialissimo sugli appalti (pubblici) introdotte con il decreto legge 90/2014 (pubblicato su G.U. 24 giugno 2014) recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per lefficienza degli uffici giudiziari si inscrivono senza alcuna soluzione di continuit nel solco degli interventi normativi sul processo (in particolare quello civile) che, nella mens legis, dovrebbero conseguire leffetto di evitare labuso del processo e di conformare un processo dalla ragionevole durata. Nella riferita prospettiva chiaro pertanto che il legislatore, sotto il primo profilo, tenuto a dipanare la propria azione individuando misure idonee a salvaguardare la durata ragionevole del processo e, sotto il secondo profilo, ad elaborare strumenti deflattivi del contenzioso. Va da s che una tale fatica normativa imporrebbe la consapevolezza e la chiarezza dei confini invalicabili tra gli obiettivi perseguiti e i principi insopprimibili del giusto processo. Non guasterebbe peraltro una adeguata tecnica di normazione del tutto latitante in questi tempi di crisi. Basti, a tal ultimo riguardo, e a mo di simbolico esempio, il riferimento agli inguacchi della legge Fornero la cui tecnica normativa non ha consentito (n alla dottrina n alla stessa Aran) di dirimere la quaestio (tuttaltro che trascurabile) se lo speciale rito stabilito per limpugnazione dei licenziamenti si applichi o meno al pubblico impiego. Di fatto gli operatori del diritto stanno assistendo in questi ultimi anni ad (*) Avvocato dello Stato. Pubblicazione anticipata sul sito giuridico Judicium - Il processo civile in Italia e in Europa - www.judicium. it. una proliferazione di riti (sia nel processo civile che in quello amministrativo) variamente accelerati talora in ragione dei diritti coinvolti e talaltra in ragione di sottesi interessi economici. In taluni casi laccelerazione impressa non tiene (volutamente o adeguatamente) conto dei principi cardine del giusto processo sacrificati alla perseguita ragionevole durata dello stesso dimenticando che il criterio di ragionevolezza proprio delle leggi prima che misura di durata del processo. Sicch per processo giusto di cui allart. 111 Cost. deve intendersi un processo disciplinato da leggi ordinarie non irragionevoli e cio rispettose dei principi di effettivit di tutela alla cui garanzie deve essere informato il processo. Nellindicata prospettiva particolare attenzione deve essere riservata dal legislatore allintroduzione di misure deflattive ed al loro confine con inammissibili misure di deterrenza verso la tutela giudiziaria. Deve viceversa osservarsi che il legislatore del processo di questi ultimi mentre sembra aver chiari gli obiettivi economici cui il processo deve rispondere, si disinteressa poi di realizzare riforme (pur indubitabilmente necessarie) rispettose dei principi propri dello stesso. La legislazione tende in tal modo verso un processo senza giudizio o, meglio, ad un giudizio qualunque purch temporalmente delimitato e, se possibile, meglio ancora che il cittadino si rivolga a strumenti alternativi. evidente che il processo viene in tal modo caricato di una funzione ulteriore e diversa rispetto alla sua primaria funzione, ossia il giusto accertamento del diritto tra le parti in causa; funzione, evidentemente, ritenuta per ragione di Stato recessiva rispetto allinteresse della collettivit alla velocizzazione del processo. Un processo cos connotato evidente espressione della crisi economica del Paese e disegna un percorso verso un modello sempre pi standardizzato e procedimentalizzato inidoneo a garantire il rispetto dei diritti oggetto di tutela, diritti sacrificati sullaltare di un inedito principio di ragionevolezza economica. Sembra quasi che il sistema economico incalzi il sistema del processo (e lo stesso fondamentale assunto per cui non esiste diritto senza lapprontamento di effettivi strumenti per la sua tutela) proponendo mere misure congiunturali dimenticando che, a differenza delleconomia, la tutela giudiziaria che deve essere garantita al cittadino (come allimpresa) non postula un andamento ciclico ma la continuit dei suoi principi. 2. In tale contesto deve pertanto inquadrarsi anche la recentissima riforma sul rito degli appalti pubblici che offre dellaccelerazione del processo la sua versione pi esasperata come a dire: tra i riti accelerati vi un rito accelerato pi uguale degli altri. In questo caso il legislatore, consapevole della fragile complessit delle procedure di affidamento degli appalti pubblici e della eterogeneit degli enti (talora di modestissimo rilievo organizzativo) chiamati ad applicarle, ha ope DOTTRINA 321 rato sullopposto versante del processo prevedendone un ulteriore appesantimento economico (in particolare) per la parte ricorrente e imponendo una disinvolta accelerazione nel rispetto della quale un giudizio di primo grado dovrebbe chiudersi pi o meno negli stessi tempi accordati dalla l. 241/1990 alla pubblica amministrazione in tema di procedimento amministrativo. Il giudizio - cos recita il nuovo testo del 6 comma dellart. 120 c.p.a. ferma la possibilit della sua definizione immediata nelludienza camerale ove ne ricorrano i presupposti, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata dufficio e da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Della data di udienza dato immediato avviso alle parti a cura della segreteria, a mezzo posta elettronica certificata. In caso di esigenze istruttorie o quando necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto dei termini a difesa, la definizione del merito viene rinviata con lordinanza che dispone gli adempimenti istruttori o lintegrazione del contraddittorio o dispone il rinvio per lesigenza di rispetto dei termini a difesa, ad una udienza da tenersi non oltre trenta giorni . In presenza del termine perentorio stabilito dal nuovo 9 comma dellart. 120 c.p.a. per il deposito della sentenza, la previsione delladozione in via obbligatoria della sentenza in forma semplificata costituisce un inutile esproprio della discrezionalit del Tribunale che, in ragione dellart. 74 c.p.a., gi poteva adottare la forma semplificata nei casi di manifesta fondatezza, ovvero manifesta irricevibilit, inammissibilit, improcedibilit o infondatezza del ricorso. peraltro una prescrizione formale che non tiene conto di come proprio in materia di appalti il consolidarsi di una motivata giurisprudenza costituisce ex se deterrente alla luce dei costi elevati di iscrizione a ruolo del ricorso rispetto alla promozione di ricorsi analoghi. A ci si aggiunga che la semplificazione della sentenza dovrebbe trovare giustificato contraltare nella chiarezza e semplicit delle procedure di affidamento il che, evidentemente, non . Rischio non calcolato pertanto il possibile aumento del ricorso al giudice di appello, con leffetto perverso che invece di un solo giudizio di primo grado se ne avranno due accelerati e semplificati. Non sembra un gran risultato. Forse in sede di conversione potrebbe prevedersi lobbligatoriet della forma semplificata per il solo giudice di appello cui le parti ricorreranno esclusivamente se la motivazione ritenuta liberamente congrua dal giudice di primo grado non sia soddisfacente. Non sembra infatti idoneo a soddisfare esigenze di tutela della certezza in materia di affidamenti cautelarizzare entrambi i gradi di giudizio, che rimane pur sempre un giudizio di merito. Peraltro la proposta innovazione sembra andare nel senso di una crescente deprofessionalit della giustizia amministrativa cui, proprio su di una materia tra le pi qualificanti della sua giurisdizione, viene chiamata ad un intervento decisionale semplificato che certo non arricchisce il contributo di chiarifi cazione che ordinariamente viene offerto dalla giurisprudenza in tema di appalti il quale allorch si consolida, contribuisce a realizzare un effetto deflattivo del contenzioso di tutto rilievo. Cos inaspettatamente leggeremo articolate motivazioni delle sentenza su materie dal rilievo economico-normativo del tutto marginale e sentenze semplificate nella materia complessa ed economicamente onerosa degli affidamenti degli appalti pubblici. Sotto altro convergente profilo la decisione semplificata rischia di stimolare i ricorsi pi avventurosi che, come certo avverr, fonderanno il loro proprium pi sulla presumibile incapacit di unefficace e tempestiva risposta defensionale dellAmministrazione che sul buon diritto della parte ricorrente. Si considerino al riguardo i termini scannatori che le nuove norme concedono alla parte resistente che deve costituirsi entro trenta giorni dalla avvenuta notificazione del ricorso e curare i termini per il deposito di documenti, memorie e repliche nel rispetto dei termini a gambero di venti, quindici e dieci giorni dalludienza. Non sembra invero che tempi cos serrati consentano adeguata reazione processuale della parte pubblica resistente in cui, per chi ha contezza di tale tipo di contenziosi, uno stesso ufficio competente per gli affidamenti potrebbe essere chiamato a pi risposte processuali su tutti gli appalti in aggiudicazione. Se indubitabile che il costo della lentezza giudiziaria finisce per scaricarsi sulle tasche dei cittadini, costituisce maggior costo economico e sociale per gli stessi che il legislatore non metta in grado lamministrazione di difendersi adeguatamente sul fronte dei pubblici affidamenti. La difesa della parte pubblica infatti costituisce un diga di contenimento della spesa pubblica cos come la trasparenza ed efficaci controlli sarebbero stata idonei ad evitare lo scandalo del Mose di Venezia, viceversa esondato. La preoccupazione che il provvedimento in esame non colga lobiettivo di contenere la spesa pubblica in materia di affidamenti trova, per dir cos, ulteriore conforto nella delineata deprofessionalizzazione della magistratura amministrativa ma anche nella burocratizzazione del ruolo dellAvvocatura dello Stato, rispetto alla sottrazione dei compensi professionali (art. 9 d.l. 90/2014) ai suoi avvocati viene giustificata con una irragionevole perequazione con i dirigenti pubblici. Sicch tale misura sembra costituire solo un tassello di un intuibile piano di parificazione tra dirigenti e avvocati dello stato che, quale ulteriore tassello, comporter con il tempo (neanche troppo) il risucchio di tale professionalit allinterno dei Ministeri con buona pace del- lautonomia e alterit di un Istituto che ha guidato le Casse Erariali dalla fine del 1800 passando tra ben due guerre mondiali. Anche questa deprofessionalizzazione degli avvocati dello stato non sembra certo idonea a potenziare, se questo si intendeva perseguire, la risposta processuale in tema di appalti da parte delle molteplici amministrazioni ammesse a patrocinio (istituzionale, obbligatorio o facoltativo) dellAvvocatura dello Stato. La demagogia, come la fretta, non certo buona consigliera. DOTTRINA 323 Si consideri inoltre che la nuova disciplina dettata in materia di ricorsi in tema di appalti pubblici non sagomata in relazione al valore dellappalto per cui per quelli di minor importo, avuto riguardo agli oneri economici di iscrizione a ruolo del ricorso e di quelli ipotizzabili alla luce dellart. 26 c.p.c. come riformato dal decreto legge in esame, il ricorrente dovr attentamente valutare lopportunit del ricorso con il criterio della soglia di convenienza economica di rischio. Ci comporter un effetto di deterrenza per cui i provvedimenti di aggiudicazione, pur se illegittimi, tenderanno a consolidarsi per mancata impugnazione e ci produrr aggiudicazioni meno vantaggiose per la pubblica amministrazione e, cosa ancor pi grave, con buona pace dellimparzialit e del buon andamento della cosa pubblica. Inutile chiedersi cosa avviene se, dopo limpugnazione introduttiva, venga emesso un nuovo provvedimento suscettibile di impugnazione attraverso i c.d. motivi aggiunti impropri. Su questo punto va registrato il silenzio assordante dellart. 40 d.l. 90/2014 che tace sia rispetto alla modulazione della disciplina del nuovo processo a regime ma anche con riferimento al regime transitorio. A tal ultimo riguardo non intellegibile se motivi aggiunti impropri depositati dopo lentrata in vigore del decreto legge in esame assorbano o siano, viceversa, assorbiti dal regime processuale del ricorso introduttivo depositato prima dellentrata in vigore del d.l. 90/2014. 3. Gi da un primo e superficiale esame a caldo degli illustrati limitati aspetti del nuovo processo dettato per laccelerazione dei giudizi in materia di appalti pubblici pu agevolmente desumersi la conferma di un trend ordinamentale che alla ragionevole durata giuridica del processo va sostituendo una ragionevolezza economica della durata processo che, disinteressandosi del giudizio sui diritti azionati in causa, postula la mera sopportabilit del peso economico processuale per la collettivit. Se, infatti, per la collettivit il processo si riduce solo ad una res inter alios acta e non pi strumento di disciplina e pacificazione dei rapporti sociali e di certezza del diritto, il tempo riservato al giudizio dovr essere solo economicamente sostenibile. E anche questo non sembra un passo avanti. Non sembra in definitiva che il decreto legge in esame abbia in materia trovato un corretto punto di equilibrio tra processo e giudizio finendo con spingere laccelerazione del primo oltre una legittima compressione del secondo. Procedendo per tal via, raggiunta la stabilit economica, andr verificata e ricostruita la corretta distanza tra processo e giudizio. E questo obiettivo tuttaltro che agevole non essendo traducibile in parametri economici. Il problema (irrisolto) del rapporto tra esame del ricorso principale e ricorso incidentale alla luce dei principi comunitari Angela Fragomeni* SOMMARIO: 1. Breve sintesi della problematica secondo la giurisprudenza del giudice civile e del giudice amministrativo di primo e secondo grado - 2. Segue. Le nuove Adunanze Plenarie del 2014 nel solco dellAdunanza 4/2011 - 3. Il pun