ANNO LXV - N. 3 LUGLIO - SETTEMBRE 2013 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Domenico Andracchio, Ennio Antonio Apicella, Antonio Vincenzzo Castorina, Carlo Edoardo Cazzato, Alessandro De Stefano, Vittorio Fava, Wally Ferrante, Paolo Francalacci, Cristina Gerardis, Federico Maria Giuliani, Giovanni Palatiello, Lorenzo Maria Pelusi, Giampaolo Rossi. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829562 ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................� 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. � 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Michele Giuseppe Dipace, Intervento all�incontro di studio: �Principio di sussidiariet� delle giurisdizioni sovranazionali e margine di apprezzamento degli Stati nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo�. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Gianni De Bellis, I problemi di una Europa multilingue. Gli atti defensionali della Repubblica italiana nella causa C-236/11 (C. giustizia, Terza Sezione, sent. 26 settembre 2013, Commissione c. Repubblica italiana) Giovanni Palatiello, In materia di indennizzo ai sensi della Direttiva 2004/80/CE per le vittime di reati intenzionali violenti . . . . . . . . . . . . . . 1.- I giudizi in corso della Corte di giustizia UE Giuseppe Albenzio, Ravvicinamento delle legislazioni; Ambiente, Causa C-537/11 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cristina Gerardis, Concorrenza - Aiuti concessi dagli Stati, Causa C344/ 12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Fiengo, Ravvicinamento delle legislazioni; Libert� di stabilimento e libera prestazione dei servizi - Diritto di stabilimento; Libera circolazione dei servizi; Concorrenza, Causa C-19/13 . . . . . . . . . . . . Paolo Gentili, Libert� di stabilimento e libera prestazione dei servizi Diritto di stabilimento; Libera circolazione dei capitali, Cause riunite C-87/13 e C-133/13 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Fiengo, Ravvicinamento delle legislazioni; Ambiente, Causa C-196/13 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marina Russo, Disposizioni sociali, Causa C-221/13 . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Principi, obiettivi e missioni dei Trattati; Cittadinanza europea; Libera circolazione dei lavoratori, Causa C-322/13 . . . . . . . Marina Russo, Libera circolazione delle merci; Ravvicinamento delle legislazioni; Sanit� pubblica, Causa C-358/13 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marina Russo, Visti, asilo , Causa C-373/13 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Istruzione; formazione professionale e giovent�, Causa T-256/13 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Domenico Andracchio, L�Autorit� di regolazione dei trasporti e le Regioni d�Italia. La compentenza in materia di trasporto pubblico locale nella sentenza n. 41/2013 della Corte Costituzionale: un viaggio-pellegrinaggio lungo l�arcipelago della giurisprudenza costituzionale (C. cost., sent. 15 marzo 2013 n. 41) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marina Russo, La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da emotrasfusione. La Corte di Cassazione sviluppa i principi enunciati dalle pag. 1 �� 5 �� 26 �� 47 �� 61 �� 72 �� 80 �� 86 �� 100 �� 107 �� 113 �� 117 �� 120 �� 125 Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. VI - 3, sent. 30 agosto 2013 n. 19997; Cass. civ., Sez. III, sent. 7 ottobre 2013 n. 22822). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vittorio Fava, In tema di sopravvenienze di fatto e di diritto nel �giudicato amministrativo� secondo il nuovo codice (Cons. St., Sez. VI, sent. 19 giugno 2012 n. 3569). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo Maria Pelusi, La destinazione urbanistica a verde privato come vincolo meramente conformativo della propriet� rispetto alla tutela ambientale (Cons. St., Sez. IV, sent. 21 dicembre 2012 n. 6656) . . . . . . . . . Antonio Vincenzo Castorina, Il principio di concorremza come limite agli accordi tra pubbliche amministrazioni (TAR Lazio, Sez. II, sent. 8 aprile 2013 n. 3517) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carlo Edoardo Cazzato, Italian antitrust administrative case law: an overview of all decisions from April to June 2013 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� Giampaolo Rossi, Giustizia, Economia, Riforme. . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paolo Francalacci, La tutela della biodiversit� e degli ecosistemi. Evoluzione dei modelli e degli strumenti di tutela. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Federico Maria Giuliani, <<Quer pasticciaccio>> su elusione, abuso ed evasione simulatoria nella giurisprudenza penale tributaria . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Ennio Antonio Apicella, Gli incarichi extragiudiziari fuori ruolo dopo la legge anticorruzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Alessandro De Stefano, Le controversie sul recupero degli aiuti illegali e incompatibili dinanzi al giudice tributario prima della riforma della l. 234/2012 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 157 �� 164 �� 186 �� 205 �� 234 �� 247 �� 253 �� 291 �� 299 �� 321 temi istituzionali TEMI ISTITUZIONALI INCONTRO DI STUDIO �PRINCIPIO DI SUSSIDIARIET� DELLE GIURISDIZIONI SOVRANAZIONALI E MARGINE DI APPREZZAMENTO DEGLI STATI NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL�UOMO� (*) Intervento dell�Avvocato Generale dello Stato Michele Giuseppe Dipace Ringrazio il Capo del Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi e il Vice Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri per avermi invitato, come, peraltro, era gi� avvenuto in occasione della presentazione al Parlamento delle precedenti relazioni, a svolgere un breve intervento in occasione di questo importante incontro di studio. Ho ascoltato, con molto interesse, gli interventi dei relatori e proprio le loro parole hanno ulteriormente rafforzato il mio convincimento circa il ruolo fondamentale che, non solo pu�, ma deve essere svolto dall�Istituto, che ho l�onore di dirigere, davanti a tutte le giurisdizioni sovranazionali ed internazionali ed, in particolare, per quello che qui interessa, dinnanzi alla Corte EDU. � noto che il connotato peculiare dell'Avvocatura dello Stato si esprime nel vincolo istituzionale del pubblico servizio, quale momento differenziale e tipizzante. Il difensore dello Stato � portatore di una specifica limitazione che � anche un arricchimento: non solo, infatti, egli deve assolvere il suo dovere sul piano professionale, ma deve integrare tale compito con l'adempimento del dovere che gli deriva dall'appartenenza ad una pubblica istituzione, qual � l'Avvocatura dello Stato. Essa non tutela soltanto l'interesse di una singola amministrazione, bens� direttamente o indirettamente - l'interesse generale dello Stato nella sua unitariet�. (*) Venerd� 20 settembre 2013 presso la Nuova Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sono, proprio, questi tratti caratterizzanti che fanno dell�Avvocatura un soggetto destinato, quasi naturalmente, a ricoprire un ruolo da protagonista nel nuovo contesto ordinamentale nel quale il Paese � chiamato, sempre pi� spesso, a rispondere delle proprie azioni in sede sovranazionale ovvero internazionale. In tale senso, si � mosso, di recente, lo stesso legislatore che, all�art. 42, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 ha previsto la nomina di un avvocato dello Stato, quale agente del Governo italiano previsto dall'articolo 19 dello Statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea; trattasi di disposizione che costituisce un�ulteriore conferma di quella linea di tendenza che vede, ormai, l�Avvocatura dello Stato svolgere il proprio mandato, in via ordinaria, a livello europeo. In questa prospettiva, � auspicabile che tale disegno possa arricchirsi con un sempre maggiore coinvolgimento dell�Avvocatura dello Stato davanti alla Corte europea dei diritti dell�Uomo, attesa la rilevanza delle questioni trattate ed i riflessi immediati sull�ordinamento interno (mi limito a ricordare che, nell�anno 2012, l'Avvocatura dello Stato ha gi� rappresentato il Governo italiano, tra l'altro, nel ricorso, poi accolto, concernente la controversa questione dell'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, nel ricorso concernente il regime di assegnazione delle frequenze radiotelevisive e la compatibilit� di esso con il diritto alla libera manifestazione del pensiero, e nel ricorso vertente sulla compatibilit� con il diritto di asilo degli accordi con gli Stati costieri del Mediterraneo in materia di respingimento alla frontiera dei migranti imbarcati illegalmente in tali Stati e diretti verso l'Italia). Una partecipazione, tendenzialmente obbligatoria, dell�Avvocatura dello Stato nel patrocinio e difesa dei ricorsi in cui � coinvolto lo Stato italiano o che potrebbero avere effetti rilevanti nel nostro ordinamento, � auspicato, oltre che dalla Presidenza del Consiglio, dai Ministri della Giustizia e delle Politiche europee e sono sicuro che su tale maggiore partecipazione dell�Istituto concorder� il Ministro degli Affari Esteri anche in considerazione della proficua collaborazione che intercorre tra l�Avvocatura dello Stato e la Farnesina con riferimento al contenzioso davanti alla Corte di giustizia dell�Unione Europea nonch� del principio che l�Avvocatura dello Stato � legittimata a patrocinare lo Stato italiano davanti a tutti gli organismi giudiziari nazionali e sovranazionali. Peraltro si deve evidenziare che, in molti recentissimi casi, l�interconnessione tra la fase contenziosa sovranazionale e quella nazionale si � rivelata in tutta la sua evidenza e forza espansiva, facendo emergere la necessit� della difesa dello Stato italiano nella fase del procedimento sovranazionale. Nella controversia per Punta Perotti le parti, che avevano proposto (vittoriosamente) il ricorso alla CEDU, hanno, infatti, azionato i crediti riconosciuti dalla predetta Corte nei confronti dello Stato italiano con decreti ingiuntivi emessi in base al nostro codice di procedura. In tali procedimenti esecutivi � intervenuta necessariamente l�Avvocatura dello Stato. TEMI ISTITUZIONALI Si pensi, ancora, alla nota questione del sovraffollamento delle carceri italiane e della mancanza di spazio vitale per i detenuti. In detto contenzioso, lo Stato italiano � stato riconosciuto dalla CEDU responsabile della violazione dei diritti dell�uomo (art. 3 della Convenzione europea) e condannato a risarcire una somma di circa 100.000 � per tutti i ricorrenti. La stessa questione � stata sollevata dinanzi all�A.G. nazionale ed alcuni giudici di sorveglianza hanno sollevato questioni di legittimit� costituzionale per le disposizioni che quelle misure alternative non consentono nel caso segnalato. L�Avvocatura dello Stato (che non ha partecipato al giudizio dinanzi alla CEDU) � intervenuta in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri dinanzi alla Corte Costituzionale, ove ha difeso la costituzionalit� di quelle leggi (giusto il mandato ricevuto dalla Presidenza) tenendo, nel contempo, conto delle sentenze esecutive di Strasburgo (che lo Stato italiano deve eseguire, come � noto, sia quanto al risarcimento riconosciuto alla parte ricorrente sia quanto ai profili generali di adeguamento degli interventi amministrativi e normativi necessari per evitare il verificarsi di ulteriori violazioni di quei diritti); l�Avvocatura dello Stato dovr�, poi, assumere la difesa dell�Amministrazione della Giustizia nelle cause che siano eventualmente proposte dai soggetti destinatari delle sentenze CEDU per la piena esecuzione di queste pronunzie. Ricordo, infine, la recentissima decisione della CEDU in tema di rivalutazione monetaria dell�indennit� integrativa speciale a favore dei soggetti che hanno contratto patologie a seguito di trasfusioni di sangue infetto. In tale procedimento, come in quelli prima menzionati, l�Avvocatura non era stata chiamata a partecipare, mentre ha assistito il Ministero della Salute sia nelle fasi contenziose nazionali sia nella definizione transattiva attuata a mezzo di interventi normativi e regolamentari. � evidente che l�adozione di una linea difensiva unitaria e coordinata dello Stato italiano nell�intero contenzioso, sin dalle sue fasi dinanzi alla CEDU, � di primaria importanza per l�efficace tutela degli interessi pubblici in gioco. La necessit� del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato dinanzi alla CEDU si porr� in termini ancora pi� significativi in occasione dell�adesione della UE alla Convenzione, come previsto dall�art. 6 del Trattato di Lisbona: appare un�incongruenza pensare che lo Stato italiano venga difeso istituzionalmente dall�Avvocatura dello Stato dinanzi alla Corte di Giustizia di Lussemburgo e non dinanzi alla Corte di Strasburgo, sulle medesime questioni ed in relazione ai medesimi problemi di interpretazione/applicazione delle disposizioni comunitarie e di quelle nazionali con le prime connesse. Emblematica, sotto questo profilo, �, ad esempio, la diversa posizione che hanno assunto la Corte di Giustizia e la nostra Corte Costituzionale - da un lato - e la Corte europea dei diritti dell�uomo - dall�altro lato - sulla efficacia diretta delle disposizioni della Convenzione europea nell�ambito degli ordinamenti nazionali e sull�obbligo di disapplicazione delle eventuali disposizioni comunitarie o nazionali contrastanti, che vede su posizioni negative le prime due Corti e su posizioni opposte la CEDU, come in dettaglio riferito nella Relazione che oggi viene presentata, al Cap. II-par. 1.1. Ma l�apporto dell�Istituto non deve ritenersi limitato al solo momento contenzioso in considerazione del fatto che l'attivit� dell'Avvocatura dello Stato si svolge, senza possibilit� di fratture, tra funzione contenziosa e funzione consultiva; l'una e l'altra, infatti, concorrono a garantire la tutela degli interessi di cui � portatore lo Stato nel rispetto della ragione, immanente e primaria, della giustizia. Ebbene, proprio all�attivit� consultiva dell�Avvocatura si � fatto ricorso, di recente, ai fini della definizione dei c.d. regolamenti amichevoli davanti alla CEDU (si pensi, a tale proposito, all�attivit� di consulenza che l�Istituto sta svolgendo con riferimento ai ricorsi proposti alla CEDU in ordine alle ben note vicende legate al G8 di Genova) . L�attivit� consultiva dell�Avvocatura dello Stato potrebbe trovare ulteriori spazi di intervento; al proposito, va segnalato che, con la recentissima e molto articolata richiesta di parere n. 2/13, la Commissione U.E. ha formulato alla Corte di Giustizia il quesito circa la compatibilit� del progetto di accordo relativo all�adesione dell�Unione Europea alla Convenzione europea dei diritti dell�uomo con le disposizioni dei Trattati, concludendo che, secondo il suo punto di vista, il predetto progetto di accordo sarebbe pienamente compatibile (il termine per il deposito delle osservazioni del Governo italiano verr� a scadere il prossimo 15 ottobre). Ricordo, infine, la sempre pi� incisiva operativit� di ordinamenti di settore a livello globale (es. ambiente, mare, agricoltura, pesca, lavoro, ecc.) spesso dotati anche di poteri giurisdizionali, volti non solo a regolare specifiche attivit� economiche ma anche a condizionare l�esercizio di pubbliche funzioni. Sono contesti in cui il Paese � sempre pi� spesso chiamato a rappresentare le proprie esigenze e che richiedono che competenze settoriali, squisitamente tecniche, siano integrate da un adeguato sostegno giuridico. Ed � proprio per consentire all�Istituto di fare fronte a questa nuova �dimensione sovranazionale� della propria attivit�, stiamo verificando l�opportunit�, sul piano dell�organizzazione interna dell�Istituto, di istituire una sezione dell�Avvocatura Generale dedicata al contenzioso sovranazionale ed internazionale. Grazie a tutti per la cortese attenzione. contenzioso comunitario ed internazionale CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE I problemi di una Europa multilingue Gli atti defensionali della Repubblica italiana nella causa C-236/11 Gianni De Bellis* Con la sentenza 26 settembre 2013 in causa C-236/11, la Corte di Giustizia ha respinto una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica italiana. Il ricorso della Commissione era diretto a contestare l�interpretazione, data dall�Italia e da altri 7 Stati membri, di una disposizione della Sesta direttiva 77/388/CEE che ha introdotto un regime speciale IVA per le agenzie di viaggio. Alla base del problema vi erano le diverse versioni dell�art. 26 della direttiva, che utilizzavano in alcuni casi il termine �viaggiatore� ed in altri il termine �cliente�. Ci� aveva portato ad una diversa applicazione del regime speciale tra i vari Stati membri, con inevitabili disarmonie e problemi in tutti i casi, ormai numerosi, in cui un pacchetto turistico fosse composto da prestazioni rese in Paesi diversi dell�Unione. � interessante notare che la Commissione nel 2002 aveva tentato di risolvere il problema in via legislativa, ma la proposta di direttiva che formul� non venne mai approvata a causa della mancata unanimit� degli Stati, indispensabile in materia fiscale. E cos� il problema sorto da una traduzione non univoca di una parola della direttiva, rimasto irrisolto per oltre un trentennio per mancanza di unanimit� dei �legislatori�, � stato eliminato da un organo giurisdizionale di cinque Giudici, all�interno del quale le decisioni ... sono adottate a maggioranza. (*) Avvocato dello Stato. Ct. 23485/11 CORTE DI GIUSTIZIA DELL�UNIONE EUROPEA CONTRORICORSO del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell'Agente designato per il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia. nella causa c-236/11 promossa dalla COMMISSIONE EUROPEA, ai sensi dell'art. 258 del Trattato sul Funzionamento dell�Unione Europea * * * * * 1. Con ricorso ex articolo 258 secondo comma TFUE depositato il 17 maggio 2011 nella cancelleria della Corte ed iscritto nel Registro della Corte sotto il n. 874277, la Commissione Europea ha chiesto alla Corte di �dichiarare che, applicando il regime speciale concepito per le agenzie di viaggi anche quando il servizio di viaggio � venduto ad una persona diversa dal viaggiatore, la Repubblica italiana ha violato gli articoli da 306 a 310 della direttiva 2006/112/CEE�. 2. Il ricorso era stato preceduto da una fase precontenziosa iniziata con la lettera di costituzione in mora del 23 marzo 2007 (all. A-1) a cui il Governo italiano aveva replicato con la nota del Ministero Economia e Finanze del 10 maggio 2007 (all. A -2) e proseguito con il parere motivato del 29 febbraio 2008 (All. A-3) a cui il Governo italiano ha risposto con la nota del Ministero Economia e Finanze del 21 aprile 2008 (all. A-4). 3. La Commissione non ha ritenuto convincenti gli argomenti addotti dal Governo italiano e pertanto ha portato la questione all�esame della Corte. **** 4. Il Governo italiano ritiene che il ricorso sia infondato e debba pertanto essere respinto per i motivi che si vengono ad esporre. La normativa comunitaria. La direttiva 2006/112/CE, agli articoli da 306 a 310 (inseriti nel Capo 3 �Regime speciale delle agenzie di viaggio�) dispone: Articolo 306 1. Gli Stati membri applicano un regime speciale dell'IVA alle operazioni delle agenzie di viaggio conformemente al presente capo, nella misura in cui tali agenzie agiscano in nome proprio nei confronti del viaggiatore e utilizzino, per l'esecuzione del viaggio, cessioni di beni e prestazioni di servizi di altri soggetti passivi. Il presente regime speciale non � applicabile alle agenzie di viaggio che agiscono unicamente quali intermediari e alle quali per il computo della base imponibile si applica l'articolo 79, primo comma, lettera c). 2. Ai fini del presente capo, anche gli organizzatori di giri turistici sono considerati come agenzie di viaggio. Articolo 307 Le operazioni effettuate, alle condizioni di cui all'articolo 306, dall'agenzia di viaggio per la realizzazione del viaggio sono considerate come una prestazione di servizi unica resa dall'agenzia di viaggio al viaggiatore. La prestazione unica � assoggettata all'imposta nello Stato membro in cui l'agenzia di viaggio ha la sede della sua attivit� economica o una stabile organizzazione a partire dalla quale essa ha fornito la prestazione di servizi. Articolo 308 Per la prestazione di servizi unica resa dall'agenzia di viaggio � considerato come base imponibile e come prezzo al netto dell'IVA, ai sensi dell'articolo 226, punto 8), il margine dell'agenzia di viaggio, ossia la differenza tra l'importo totale, al netto dell'IVA, a carico del viaggiatore ed il costo effettivo sostenuto dall'agenzia di viaggio per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di altri soggetti passivi, nella misura in cui tali operazioni siano effettuate a diretto vantaggio del viaggiatore. Articolo 309 Se le operazioni per le quali l'agenzia di viaggio ha fatto ricorso ad altri soggetti passivi sono effettuate da questi ultimi fuori della Comunit�, la prestazione di servizi dell'agenzia � assimilata ad un'attivit� di intermediario, esente in forza dell'articolo 153. Se le operazioni di cui al primo comma sono effettuate all'interno e all'esterno della Comunit�, deve essere considerata esente solo la parte della prestazione di servizi del- l'agenzia di viaggio che concerne le operazioni effettuate fuori della Comunit� . Articolo 310 Gli importi dell'IVA imputati all'agenzia di viaggio da altri soggetti passivi per le operazioni di cui all'articolo 307 effettuate a diretto vantaggio del viaggiatore non sono n� detraibili n� rimborsabili in alcuno Stato membro. La normativa nazionale. 5. La normativa nazionale che si assume in contrasto con gli articoli da 306 a 310 della direttiva 2006/112/CE, � contenuta nell�articolo 74 ter del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (1), il quale cos� dispone: 74-ter. Disposizioni per le agenzie di viaggio e turismo. 1. Le operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e di turismo per la organizzazione di pacchetti turistici costituiti, ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 111, da viaggi, vacanze, circuiti tutto compreso e connessi servizi, verso il pagamento di un corrispettivo globale sono considerate come una prestazione di servizi unica. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche qualora le suddette prestazioni siano rese dalle agenzie di viaggio e turismo tramite mandatari; le stesse disposizioni non si applicano alle agenzie di viaggio e turismo che agiscono in nome e per conto dei clienti. 2. Ai fini della determinazione dell'imposta sulle operazioni indicate nel comma 1, il corrispettivo dovuto all'agenzia di viaggi e turismo � diminuito dei costi sostenuti per le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da terzi a diretto vantaggio dei viaggiatori, al lordo della relativa imposta. 3. Non � ammessa in detrazione l'imposta relativa ai costi di cui al comma 2. 4. Se la differenza di cui al comma 2, per effetto di variazioni successivamente intervenute nel costo, risulta superiore a quella determinata all'atto della conclusione del contratto, la maggiore imposta � a carico dell'agenzia; se risulta inferiore i viaggiatori non hanno diritto al rimborso della minore imposta. 5. Per le prestazioni rese dalle agenzie di viaggio e turismo che agiscono in nome e per conto proprio relative a pacchetti turistici organizzati da altri soggetti e per le prestazioni dei mandatari senza rappresentanza di cui al secondo periodo del comma 1, l'imposta si applica sulla differenza, al netto dell'imposta, tra il prezzo del pacchetto turistico ed il (1) Recante �Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto�, pubblicato nella G.U.R.I. 11 novembre 1972, n. 292, S.O. e pi� volte modificato. corrispettivo dovuto all'agenzia di viaggio e turismo, comprensivi dell'imposta. 5-bis. Per le operazioni rese dalle agenzie di viaggio e turismo relative a prestazioni di servizi turistici effettuati da altri soggetti, che non possono essere considerati pacchetti turistici ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 111, qualora precedentemente acquisite nella disponibilit� dell'agenzia, l'imposta si applica, semprech� dovuta, con le stesse modalit� previste dal comma 5. 6. Se le prestazioni rese al cliente sono eseguite in tutto o in parte fuori della Comunit� economica europea la parte della prestazione della agenzia di viaggio ad essa corrispondente non � soggetta ad imposta a norma dell'articolo 9. 7. Per le operazioni di cui al comma 1 deve essere emessa fattura ai sensi dell'articolo 21, senza separata indicazione dell'imposta, considerando quale momento impositivo il pagamento integrale del corrispettivo o l'inizio del viaggio o del soggiorno se antecedente. Se le operazioni sono effettuate tramite intermediari, la fattura pu� essere emessa entro il mese successivo. 8. Le agenzie organizzatrici per le prestazioni di intermediazione emettono una fattura riepilogativa mensile per le provvigioni corrisposte a ciascun intermediario, da annotare nei registri di cui agli articoli 23 e 25 entro il mese successivo, inviandone copia, ai sensi e per gli effetti previsti dal primo comma, secondo periodo, dell'articolo 21, al rappresentante, il quale le annota ai sensi dell'articolo 23 senza la contabilizzazione della relativa imposta. 8-bis. Le agenzie di viaggi e turismo possono, per le prestazioni di organizzazione di convegni, congressi e simili, applicare il regime ordinario dell�imposta. In tali casi le agenzie di viaggi e turismo possono detrarre l�imposta dovuta o versata per i servizi da esse acquistati dai loro fornitori, se si tratta di operazioni effettuate a diretto vantaggio del cliente. Il diritto alla detrazione sorge nel momento in cui diventa esigibile l�imposta per la prestazione in relazione alla quale le agenzie di viaggi e turismo optano per il regime ordinario dell�imposta. Qualora applichino sia il regime ordinario dell�imposta sia il regime speciale d�imposizione sul margine, le agenzie di viaggi e turismo devono registrare separatamente nella propria contabilit� le operazioni che rientrano in ciascuno di tali regimi. 9. Con decreto del Ministro delle finanze, da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le modalit� di attuazione del presente articolo. 6. Nel suo ricorso la Commissione, sostiene in sintesi: a) che il regime speciale (di seguito solo �R.S.�), introdotto con l�articolo 26 della direttiva 77/388/CEE, aveva due obiettivi, consistenti da un lato nella semplificazione dell�applicazione della normativa IVA alle agenzie di viaggio (le quali avevano difficolt� a recuperare l�IVA sostenuta per i servizi prestati in altri Stati membri: p. 20 ricorso), dall�altro nell�esigenza che l�imposta fosse versata negli Stati �cui ha luogo il consumo finale del singolo servizio individuale� (p. 22 ricorso); b) che in base a tale R.S. (p. 22): - tutte le operazioni effettuate da un�agenzia di viaggi per la realizzazione di un viaggio sono considerate come prestazione unica di servizi che si intende resa nel luogo della sede dell'attivit� dell'agenzia o della stabile organizzazione a partire dalla quale essa fornisce la prestazione; - la base imponibile della prestazione � costituita dal margine realizzato dall'agenzia al momento della vendita del viaggio; - l'agenzia non ha diritto a dedurre l'IVA pagata sulle operazioni che sono a diretto vantaggio dei viaggiatori; c) che all�interno della Comunit� coesistono due diverse applicazioni della normativa, per quel che riguarda le operazioni a cui si applica il R.S. In particolare alcuni Stati (come l�Italia), applicano il R.S. indipendentemente dal soggetto (viaggiatore o cliente) al quale l�agenzia di viaggi lo vende, mentre altri Stati limitano l�applicazione del R.S. ai soli �viaggiatori�, con l�esclusione pertanto delle vendite in favore di altre agenzie o di organizzatori di gite turistiche (rientranti nel concetto ampio di �cliente�); d) che tale diversificazione all�interno della Comunit� crea problemi di doppia imposizione e di distorsioni della concorrenza (p. 30); e) che pur prendendo atto delle divergenze che esistono in diverse versioni linguistiche dell�articolo 26 della direttiva 77/388/CEE (il cui contenuto � stato riprodotto identico negli articoli da 306 a 310 della Direttiva 2006/112/CE) sul termine �viaggiatore�, indicato talvolta come �cliente� (nelle versioni Inglese, Svedese, Polacca, Finlandese, Slovacca e Portoghese), la corretta lettura della disposizione non potrebbe che portare a considerare corretto il primo termine (�viaggiatore�); f) che pur avendo la stessa Commissione presentato nel 2002 una proposta di direttiva (mai approvata) per estendere il R.S. anche a tutti i �clienti�, la norma attualmente vigente non consente una lettura diversa, che potrebbe essere giustificata solo a seguito di un intervento del legislatore comunitario; g) che analogo ricorso la Commissione proporr� nei confronti di altri sette Stati (Polonia, Portogallo, Francia, Spagna, Finlandia, Grecia e Repubblica Ceca), chiedendo fin da ora che la Corte li riunisca ai sensi dell�articolo 47 del regolamento di procedura. Le varie versioni linguistiche della direttiva. 7. Nel suo ricorso la Commissione non nega che in ben sei versioni linguistiche della direttiva, sia previsto che il R.S. per le agenzie di viaggio sia applicabile alle vendite in favore di qualsiasi �cliente� e non solo dei �viaggiatori�. 8. Tale circostanza appare da sola sufficiente a giustificare una lettura della norma diversa da quella proposta nel ricorso, che di fatto sembra ancorata ad una interpretazione letterale della versione linguistica pi� utilizzata nella comunit� (dove predomina il concetto di �viaggiatore�). 9. Nella sentenza 13 dicembre 2007 (in causa C�408/06 G�tz), la Corte ha ricordato che: 30 Secondo una giurisprudenza consolidata, la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione comunitaria non pu� essere l�unico elemento a sostegno dell�interpretazione di questa disposizione n� si pu� attribuire ad essa a tal riguardo un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Infatti, tale modo di procedere sarebbe in contrasto con la necessit� di applicare in modo uniforme il diritto comunitario (v. sentenza 12 novembre 1998, causa C.149/97, Institute of the Motor Industry, Racc. pag. I.7053, punto 16). 31 In caso di difformit� tra le diverse versioni linguistiche di un testo comunitario, la disposizione di cui � causa deve essere intesa in funzione del sistema e della finalit� della normativa di cui essa fa parte (sentenze 9 marzo 2000, causa C.437/97, EKW e Wein & Co., Racc. pag. I.1157, punto 42, nonch� 1� aprile 2004, causa C.1/02, Borgmann, Racc. pag. I.3219, punto 25). 10. Alla luce di tali principi si ritiene che anche nel caso in esame non ci si possa attenere ad una interpretazione puramente letterale della disposizione (in quanto non identica in tutte le versioni linguistiche), ma si debba procedere, come ha precisato la Corte, ad una interpretazione della stessa �in funzione del sistema e della finalit� della normativa di cui essa fa parte�. Interpretazione sistematica e finalistica della normativa in esame. 11. Una volta accertato che esiste un dubbio interpretativo della normativa comunitaria, gli argomenti a favore di una applicazione estensiva del R.S. (nel senso della sua applicabilit� quindi alle vendite dirette verso qualsiasi �cliente� e non solo ai �viaggiatori�), sono rinvenibili nello stesso ricorso della Commissione, laddove richiama le finalit� del R.S. 12. In primo luogo assumono rilievo le esigenze di semplificazione, che sono state evidenziate dalla Corte nella sentenza 22 ottobre 1998 (nelle cause riunite C-308/96 e 94/97 Madgett p. 18): � occorre anzitutto ricordare che i servizi forniti dalle agenzie di viaggi e dagli organizzatori di giri turistici sono caratterizzati dal fatto di essere il pi� delle volte composti da prestazioni plurime, in particolare in materia di trasporto e di alloggio, effettuate sia all'interno sia all'esterno del territorio dello Stato membro in cui l'impresa ha la sua sede o un centro di attivit� stabile. All'applicazione delle norme di diritto comune concernenti il luogo di imposizione, la base imponibile e la detrazione della tassa pagata a monte si frapporrebbero, a causa della variet� delle prestazioni e del luogo in cui vengono fornite, difficolt� pratiche per dette imprese, che sarebbero atte ad ostacolare l'esercizio della loro attivit�. Al fine di adeguare le norme in materia alla specificit� di questa attivit� il legislatore comunitario ha istituito ai nn. 2, 3 e 4 dell'art. 26 della sesta direttiva un regime IVA particolare (sentenza 12 novembre 1992, causa C-163/91, Van Ginkel, Racc. I-5723, punti 13-15). 13. Tali finalit�, di sicura agevolazione per il settore, verrebbero meno nel momento in cui si limitasse l�applicazione del R.S. alle sole vendite verso i �viaggiatori�, in quanto le agenzie si troverebbero in tutti gli altri casi (di vendita dei viaggi ad altri �clienti�, quali agenzie ovvero organizzatori di viaggi turistici), a sopportare i problemi di complessit� del sistema che il legislatore comunitario ha voluto risolvere con la introduzione del- l�articolo 26 della direttiva 77/388/CEE. 14. In secondo luogo assume rilievo il problema della corretta distribuzione del gettito. 15. ComՏ noto l�IVA � un�imposta sul consumo il cui gettito deve tendenzialmente essere destinato nello Stato dove si esegue la prestazione. 16. Il meccanismo del R.S. � tale per cui l�IVA assolta dall�agenzia nei confronti di terzi fornitori dei servizi che vanno a comporre il pacchetto ceduto al �viaggiatore� (o �cliente�), viene versata nello Stato ove tali servizi sono resi. 17. Ci� grazie alla previsione contenuta nell'articolo 310 che non consente all'agenzia di viaggio di detrarre l'imposta (n� di ottenerne il rimborso). 18. Nello Stato dove ha sede l�agenzia viene invece versata l'IVA sul �margine� (corrispondente in sostanza al guadagno dell'agenzia stessa). 19. Orbene, un tale sistema verrebbe alterato da una applicazione del regime ordinario (che la Commissione vorrebbe applicabile), in tutte le ipotesi in cui l'agenzia cede il viaggio ad un �cliente� a sua volta agenzia. 20. Ed infatti, nel caso sopra esposto l'IVA non verrebbe attribuita allo Stato dove il servizio viene reso, in quanto il relativo versamento da parte del terzo verrebbe neutralizzato dalla detrazione (ovvero dal rimborso ottenuto ai sensi dell�ottava direttiva 79/1072/CEE, ora 2008/9/CE) da parte dell�agenzia. 21. La mancata applicazione del criterio del margine farebbe s� che l�IVA sull�intero pacchetto sia versata allo Stato in cui ha sede l�agenzia, in contrasto con le finalit� dell�IVA. 22. � opportuno ricordare che la Corte ha costantemente affermato al riguardo, che �l�obiettivo perseguito dal regime transitorio di tassazione degli scambi tra gli Stati membri [�], � quello di trasferire il gettito fiscale allo Stato membro in cui avviene il consumo finale dei beni ceduti� (sentenza 16 dicembre 2010 in causa C-430/09 Euro Tyre Holding, p. 43). 23. Non � un caso infatti che la stessa Commissione nel 2002 si � fatta portatrice di una proposta di direttiva [2] avente lo scopo di eliminare incertezze interpretative, nel senso per� di pervenire ad un sistema quale quello gi� applicato dalla Repubblica italiana. 24. Si legge al riguardo nei �considerando� da (1) a (3) di tale documento: (1) Secondo la comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo �Strategia volta a migliorare il funzionamento del regime IVA nel mercato interno� (1), un'applicazione pi� uniforme delle disposizioni comunitarie da parte degli Stati membri � uno dei quattro obiettivi da perseguire per migliorare il funzionamento del mercato interno a breve termine. (2) Attualmente gli Stati membri interpretano in modi diversi le disposizioni relative al regime speciale delle agenzie di viaggio di cui all'articolo 26 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (2), modificata da ultimo dalla direttiva 2001/41/CE (3), il che d� luogo ad un'applicazione non uniforme del regime speciale nei vari Stati membri e comporta distorsioni della concorrenza per taluni operatori. (3) L'estensione del suo campo d'applicazione a tutte le prestazioni aventi per oggetto la fornitura di pacchetti di servizi di viaggio alle condizioni dell'articolo 26 della direttiva 77/388/CEE eliminerebbe le differenze di interpretazione tra Stati membri circa le prestazioni soggette al regime speciale e consentirebbe di realizzare meglio l'obiettivo iniziale dell'imposizione nello Stato membro di consumo. 25. Anche la giurisprudenza della Corte in materia non appare di ostacolo ad una interpretazione estensiva delle disposizioni del R.S. 26. Nella citata sentenza Madgett, la Corte ha superato la lettera dell�articolo 26 n. 1 della direttiva 77/388/CEE, pervenendo ad una interpretazione estensiva dei beneficiari del R.S. ritenuta pi� coerente dal punto di vista sistematico, affermando quanto segue (p. da 20 a 23). 20 [�] le ragioni sottese al regime particolare applicabile alle agenzie di viaggi e agli organizzatori di giri turistici sono del pari valide nell'ipotesi in cui l'operatore economico non sia un'agenzia di viaggi o un organizzatore di giri turistici nel senso generalmente attribuito a detti termini, ma effettui operazioni identiche nell'ambito di un'altra attivit�, quale l'attivit� alberghiera. 21. Infatti, un'interpretazione che limitasse l'applicabilit� dell'art. 26 della sesta direttiva solo ad operatori economici quali agenzie di viaggi o organizzatori di giri turistici, nel [2] Si tratta della �Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE relativamente al regime speciale delle agenzie di viaggio (2002/C 126 E/16) COM(2002) 64 def. 2002/ 0041(CNS)� presentata dalla Commissione l' 8 febbraio 2002 e pubblicata nella G.U.C.E. del 28 maggio 2002 C 126 E/390. senso generalmente attribuito a tali termini, avrebbe per effetto di far rientrare prestazioni identiche nell'ambito di disposizioni diverse secondo la qualifica formale dell'operatore economico. 22. Come ha infine rilevato l'avvocato generale nel paragrafo 32 delle sue conclusioni, far dipendere l'applicazione del regime particolare previsto all'art. 26 della sesta direttiva da una previa qualificazione dell'operatore nuocerebbe allo scopo di detta disposizione, creerebbe una distorsione della concorrenza tra gli operatori e comprometterebbe l'applicazione uniforme della sesta direttiva. 23. Occorre pertanto rilevare che il regime di cui all'art. 26 della sesta direttiva si applica agli operatori economici che organizzino in nome proprio viaggi e giri turistici e che, per fornire le prestazioni di servizi generalmente collegate a tale tipo di attivit�, ricorrano a soggetti terzi, anche se formalmente non godano della qualifica di agenzia di viaggi o di organizzatore di giri turistici. 27. Anche nella sentenza 19 giugno 2003 (in causa C-149/01 First) la Corte ha affermato che �L'obiettivo del particolare regime IVA istituito dall'art. 26 della sesta direttiva � di adeguare le norme in materia alla specificit� dell'attivit� delle agenzie di viaggi e degli organizzatori dei giri turistici (sentenze 12 novembre 1992, causa C-163/91, Van Ginkel, Racc. pag. I-5723, punto 15, nonch� Madgett e Baldwin, cit., punto 18)� (p. 23), pervenendo ad una interpretazione dell�articolo 26 n. 2 che supera il dato strettamente letterale (3). 28. In conclusione si ritiene che anche nel caso in esame (al pari di quanto gi� avvenuto nella giurisprudenza della Corte), si possa pervenire ad una interpretazione delle norme comunitarie pi� corretta dal punto di vista sistematico ed adeguata alle finalit� del R.S. in tema di agenzie di viaggi. 29. Certamente la situazione attuale che vede l�applicazione di regimi diversi nei vari Stati membri deve essere superata, ma non certo nel senso indicato nel ricorso della Commissione. 30. Per tutti i suddetti motivi il Governo italiano chiede che il ricorso della Commissione sia respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese. Roma, 12 agosto 2011 Gianni DE BELLIS AVVOCATO DELLO STATO Ct. 23485/11 CORTE DI GIUSTIZIA DELL�UNIONE EUROPEA CONTROREPLICA del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell'Agente designato per il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia. nella causa c-236/11 promossa dalla COMMISSIONE EUROPEA, ai sensi dell'art. 258 del Trattato sul Funzionamento dell�Unione Europea (3) Si legge al punto 28 della sentenza �In tale contesto, i termini �a carico del viaggiatore� utilizzati all'art. 26, n. 2, non potrebbero essere interpretati letteralmente nel senso che essi escluderebbero dalla base imponibile IVA un elemento del �corrispettivo� ottenuto da parte di un terzo ai sensi dell'art. 11, parte A, n. 1, lett. a)�. * * * * * 1. Nella sua memoria di replica la Commissione a) al punto 4 dichiara di condividere l�opinione del Governo italiano circa gli obiettivi perseguiti dal R.S. (regime speciale) di cui agli articoli da 306 a 310 della direttiva 2006/112/CEE; aggiunge per� che �le esigenze di semplificazione possono essere raggiunte soltanto quando le norme in esame trovino un'applicazione uniforme e coerente in tutto il territorio dell'Unione. Ad avviso della Commissione, il diritto in vigore permette soltanto di applicare il regime speciale alle agenzie di viaggi che vendano i loro servizi ai consumatori finali, cio� a dire, i viaggiatori�. b) al punto 10 afferma che �il fatto di avere proposto una modifica legislativa non rappresenta un ostacolo all�interpretazione basata sul viaggiatore, al contrario: la Commissione infatti considera che, affinch� si possa estendere il regime speciale anche alle transazioni effettuate da agenzie di viaggi ad altre agenzie di viaggi (che non consumano pertanto il servizio), sia necessaria una modifica legislativa�; c) al punto 11 afferma infine che �L�argomento del Governo della Repubblica italiana secondo il quale � possibile un'interpretazione estensiva del regime speciale (si vedano i paragrafi 26 e 27 del controricorso) � privo di rilevanza. Infatti, in primo luogo, nella giurisprudenza citata dal governo italiano, la Corte si � pronunciata sulla natura delle attivit� delle agenzie di viaggio, e non sui destinatari delle prestazioni delle agenzie di viaggio. Pertanto, ad avviso della Commissione non � appropriato estendere il ragionamento della Corte ad un aspetto del regime speciale che la Corte non ha esaminato. In secondo luogo, un'interpretazione estensiva non � necessaria: il regime del viaggiatore, applicato uniformemente, risponde adeguatamente alle esigenze di semplificazione nonch� di distribuzione del gettito�. 2. In ordine a tali considerazioni il Governo italiano osserva sinteticamente quanto segue. 3. Anche il Governo italiano condivide l�opinione della Commissione secondo cui �le esigenze di semplificazione possono essere raggiunte soltanto quando le norme in esame trovino un'applicazione uniforme e coerente in tutto il territorio dell'Unione. Contesta per� decisamente la tesi secondo cui �il diritto in vigore permette soltanto di applicare il regime speciale alle agenzie di viaggi che vendano i loro servizi ai consumatori finali, cio� a dire, i viaggiatori�. 4. Una simile affermazione appare infatti ancorata ad una interpretazione letterale di alcune versioni della direttiva e si pone in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte secondo cui in caso di versioni difformi occorre procedere ad una interpretazione della norma �in funzione del sistema e delle finalit� della normativa di cui essa fa parte� (sentenza G�tz richiamata al punto 9 del controricorso). 5. Non � pertanto corretta l�affermazione della Commissione secondo cui sarebbe indispensabile una modifica legislativa �affinch� si possa estendere il regime speciale anche alle transazioni effettuate da agenzie di viaggi ad altre agenzie di viaggi�. 6. Il Governo italiano ribadisce che la mancanza di uniformit� tra le diverse versioni linguistiche della direttiva impone una lettura della norma basata sul �cliente� e non sul �viaggiatore�. 7. Ritiene inoltre che tale interpretazione, in quanto pi� aderente al sistema dell�IVA ed alle finalit� del R.S., possa essere fornita non solo dalla Corte, ma anche dalla stessa Commissione la quale avrebbe dovuto indurre tutti gli Stati ad attenersi alla prima interpretazione, indipendentemente dal numero di essi che seguivano l�altra tesi e dai ter mini utilizzati nelle rispettive versioni linguistiche della direttiva. 8. La Commissione ai punti da 5 a 9 della replica riporta un esempio dal quale si evincerebbe che l�interpretazione basata sul �cliente� potrebbe avere l�effetto �che una parte del valore aggiunto acquisito durante gli scambi commerciali sfugga all�imposizione nel caso in cui sia presente un operatore stabilito in uno Stato terzo�. 9. Al di l� della correttezza di tale conclusione (che non sembra emergere con chiarezza), si evidenzia una contraddittoriet� del comportamento della Commissione, la quale aveva sostenuto una tesi opposta allorch� formul� nel 2002 una proposta di direttiva avente lo scopo di eliminare incertezze interpretative. 10. Come gi� evidenziato al punto 24 del controricorso, nel 3� �considerando� della proposta si legge infatti che: �L'estensione del suo campo d'applicazione a tutte le prestazioni aventi per oggetto la fornitura di pacchetti di servizi di viaggio alle condizioni dell'articolo 26 della direttiva 77/388/CEE eliminerebbe le differenze di interpretazione tra Stati membri circa le prestazioni soggette al regime speciale e consentirebbe di realizzare meglio l'obiettivo iniziale dell'imposizione nello Stato membro di consumo� 11. Ma evidentemente vi � stato un cambiamento di opinione sul punto, visto che nella replica (punto 11) la Commissione afferma ora che �il regime del viaggiatore, applicato uniformemente, risponde adeguatamente alle esigenze di semplificazione nonch� di distribuzione del gettito�. 12. In conclusione nessuno degli argomenti portati nella replica appare idoneo a dimostrare che la Repubblica italiana abbia violato gli articoli 306 e 310 della direttiva 2006/112/CE; viceversa dal comportamento della stessa Commissione emerge invece che la lettura che il Governo italiano ha dato delle citate disposizioni � quella pi� aderente alle finalit� del R.S. 13. Si ribadisce pertanto la richiesta di rigetto del ricorso. 14. Sono intervenuti nel giudizio altri sei Stati (Repubblica Ceca, Repubblica Francese, Repubblica di Finlandia, Regno di Spagna, Repubblica Ellenica e Repubblica di Polonia) e la Corte ha fissato per il 23 marzo 2012 il termine per il deposito delle osservazioni delle parti principali sulle memorie degli intervenuti. 15. Il Governo italiano evidenzia che in tutte le memorie la richiesta degli Stati intervenuti � nel senso dell�accoglimento delle conclusioni formulate dall�Italia, a sostegno della cui posizione vengono evidenziate una serie di argomentazioni del tutto condivisibili. 16. In particolare si ritiene di indubbio rilievo l�osservazione secondo cui l�interpretazione basata sul �viaggiatore� (sostenuta dalla Commissione nel ricorso) viene a porsi in contrasto con il principio di neutralit� dell�IVA e con il principio di uguaglianza, in quanto porta all�applicazione di un regime diverso in situazioni identiche, differenziate dalla sola circostanza che il pacchetto sia fornito ad un consumatore finale (viaggiatore) anzich� ad un altro operatore (cliente). 17. Tenuto conto del tenore delle memorie di intervento, il Governo italiano fa presente di non ritenere indispensabile il deposito di ulteriori osservazioni nel termine del 23 marzo 2012. Roma, 1 marzo 2012 Gianni DE BELLIS AVVOCATO DELLO STATO Ct. 23485/11 CORTE DI GIUSTIZIA DELL�UNIONE EUROPEA causa c-236/11 - udienza 6 marzo 2013 INTERVENTO ORALE DEL GOVERNO ITALIANO Signor Presidente, Signore e Signori della Corte 1. L�Italia si trova oggi sottoposta ad una procedura di infrazione, al pari di altri sette Stati dell�Unione, per non avere modificato la propria legislazione nazionale in tema di regime speciale IVA per le agenzie di viaggio. 2. L�Italia infatti, al pari degli altri Stati oggi presenti, applica il regime speciale a tutte le prestazioni poste in essere dalle agenzie di viaggio, indipendentemente dal fatto che il destinatario sia un consumatore finale (cio� un �viaggiatore�) ovvero un�altra agenzia che poi a sua volta vender� il pacchetto ad un altro soggetto. 3. Sul fatto che il regime speciale esteso a tutti i �clienti�, come avviene in Italia, sia maggiormente conforme alle finalit� della direttiva IVA, sembra esservi l�accordo anche della Commissione. 4. D�altro canto ad elogiare questo sistema come il pi� idoneo � stata la stessa Commissione nella proposta di direttiva del 2002 (mi riferisco al �considerando� n. 3, richiamato al punto 24 del nostro controricorso). E possiamo anche aggiungere che proprio la mancata approvazione di quel progetto � alla base delle procedure chiamate oggi davanti alla Corte. 5. Riepilogo sinteticamente la posizione del Governo italiano: a) il Governo italiano � d�accordo con la Commissione sulla necessit� che la direttiva IVA sia applicata in modo uniforme in tutta l�Unione; b) non � contestabile il fatto che all�origine delle due diverse interpretazioni vi siano le difformit� delle diverse versioni della sesta direttiva nelle varie lingue dell�Unione; c) in tali situazioni la Corte ha costantemente affermato che nessuna versione pu� prevalere sull�altra, e che occorre scegliere l�interpretazione pi� funzionale al sistema e alle finalit� della normativa; d) le finalit� del regime speciale, da ultimo precisate anche al punto 19 dell�ordinanza della Corte del 1� marzo 2012 nella causa C-220/11, sono sostanzialmente due: -semplificare l�attivit� delle agenzie di viaggio; - fare s� che il gettito IVA pervenga allo Stato in cui la prestazione viene resa; e) l�interpretazione del regime speciale estesa a tutti i clienti � l�unica conforme alle finalit� della direttiva; f) viceversa, la scelta opposta comporta: -in primo luogo una maggiore complicazione per le agenzie di viaggi, costrette a tenere una doppia contabilit� (per distinguere le operazioni a regime normale da quelle a regime speciale), nonch� a registrarsi nei Paesi dove acquistano i servizi, al fine di poter recuperare l�IVA assolta; ci� comporta gravosi oneri, soprattutto per le agenzie di piccole dimensioni che non hanno sedi in altri Stati; -in secondo luogo una deroga al principio secondo cui l�IVA � un�imposta sui consumi che andrebbe versata nello Stato dove si esegue la prestazione, e con il regime ordinario ci� non avverrebbe; per effetto del meccanismo della detrazione (o del rimborso) infatti, l�intero gettito andrebbe a favore del solo Stato dove ha sede l�Agenzia che fornisce la prestazione al �viaggiatore�; -in terzo luogo una disparit� di trattamento e pertanto una violazione del principio di neutralit� dell�IVA, in quanto la medesima operazione sarebbe assoggettata ad un regime diverso a seconda del destinatario senza una valida giustificazione. Nemmeno la Commissione infatti sostiene che nelle operazioni tra agenzie non vi siano le esigenze di semplificazione e di destinazione del gettito IVA; -in quarto luogo ulteriori complicazioni deriverebbero dalla difficolt� per le agenzie di operare o meno il recupero dell�IVA a monte (mediante detrazione o rimborso ai sensi della direttiva 2008/9/CE), quando ancora non sono in grado di sapere se la prestazione dovr� avvenire a favore di un viaggiatore o di un altro cliente, e quindi se dovr� essere assoggettata a regime speciale o meno, come bene ha evidenziato il governo Francese al punto 36 del suo intervento. 6. Ma nelle ultime osservazioni della Commissione, si legge che l�interpretazione dell�Italia troverebbe due ostacoli a) il primo nella volont� del legislatore comunitario del 1977 che avrebbe limitato il regime speciale ai soli viaggiatori a causa del poco rilievo che avevano all�epoca le cessioni di pacchetti tra agenzie; b) il secondo nel fatto che le divergenti versioni linguistiche della direttiva deriverebbero da un errore nella versione inglese, reiterato nelle altre versioni che questa versione hanno utilizzato in sede di traduzione. 7. Orbene, in relazione al primo ostacolo, riteniamo che la marginalit� delle operazioni tra agenzie nel 1977 possa avere portato il legislatore non a volerle escludere dal regime speciale, bens�, pi� semplicemente, a non porsi il problema. 8. Non si comprende infatti per quale motivo il legislatore avrebbe dovuto escludere dal regime speciale una categoria di operazioni solo perch� non erano frequenti. 9. In realt� � proprio la rarit� di queste operazioni che spiega la poca attenzione che all�epoca si diede al termine utilizzato (cliente o viaggiatore); � quindi plausibile che con il riferimento al �viaggiatore� il legislatore fosse convinto in realt� di ricomprendere tutti i tipi di operazioni (come correttamente osserva il governo della Polonia al punto 11 del suo intervento). 10. In relazione al secondo ostacolo, sostiene la Commissione che il termine �cliente� utilizzato dalla sesta direttiva nella versione inglese sarebbe stato il frutto di un errore e che tale errore sarebbe poi stato reiterato in alcune versioni successive. 11. Ma come si fa a distinguere una versione linguistica �errata� da una versione linguistica semplicemente diversa ? 12. Il concetto di errore avrebbe un senso qualora esistesse una versione base, uguale per tutti gli Stati, dalla quale ricavare (per traduzione) le altre versioni. 13. Ma cos� non �; d�altronde � la stessa Commissione al punto 7 delle ultime osservazioni a non contestare il fatto �che tutte le versioni linguistiche abbiano lo stesso valore�; 14. Inoltre, da quel che riporta la Commissione nella nota 12 del ricorso, era previsto che la versione inglese potesse essere presa come modello per le successive versioni, al pari delle altre cinque vigenti nel 1977. 15. In conclusione, il Governo italiano ritiene di avere dato con la sua legislazione nazionale la lettura pi� conforme alle finalit� della direttiva IVA del regime speciale per le agenzie di viaggio. 16. Confida pertanto in una sentenza che non solo elimini definitivamente le divergenze attualmente esistenti in materia tra i diversi Stati dell�Unione, ma che soprattutto - nel privilegiare l�interpretazione pi� coerente con la direttiva - contribuisca a semplificare l�attivit� degli operatori economici, cos� favorendo un migliore funzionamento del mercato comune. Grazie. Gianni DE BELLIS AVVOCATO DELLO STATO Corte di Giustizia dell�Unione Europea, Terza Sezione, sentenza 26 settembre 2013 nella causa C-236/11 -Pres. M. Ile.i., Rel. C.G. Fernlund, Avv. Gen. E. Sharpston - Commissione europea / Repubblica italiana. �Inadempimento di uno Stato � Fiscalit� � IVA � Direttiva 2006/112/CE � Articoli da 306 a 310 � Regime speciale delle agenzie di viaggio � Divergenze tra versioni linguistiche � Normativa nazionale che prevede l�applicazione di tale regime speciale a persone diverse dai viaggiatori � Nozioni di �viaggiatore� e di �cliente�� 1 Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che, avendo consentito alle agenzie di viaggio di applicare il regime speciale delle agenzie di viaggio ai servizi di viaggi venduti a persone diverse dai viaggiatori, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli da 306 a 310 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d�imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1; in prosieguo: la �direttiva IVA�). Contesto normativo Il diritto dell�Unione 2 L�articolo 26 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari � Sistema comune d�imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), nella versione in lingua italiana cos� disponeva: �1. Gli Stati membri applicano l�imposta sul valore aggiunto [(in prosieguo: l��IVA�)] alle operazioni della agenzie di viaggi conformemente al presente articolo, nella misura in cui tali agenzie agiscano in nome proprio nei confronti del viaggiatore o utilizzino[,] per l�esecuzione del viaggio, cessioni e prestazioni di servizi di altri soggetti passivi. Il presente articolo non � applicabile alle agenzie di viaggi che agiscono unicamente quali intermediari e alle quali � applicabile l�articolo 11, parte A, paragrafo 3, lettera c). Ai sensi del presente articolo sono considerati come agenzie di viaggi anche gli organizzatori di giri turistici. 2. Le operazioni effettuate dall�agenzia di viaggi per la realizzazione del viaggio sono considerate come una prestazione di servizio unica fornita dall�agenzia di viaggi al viaggatore. Essa � assoggettata all�imposta nello Stato membro in cui l�agenzia di viaggi ha la sede della sua attivit� economica o uno stabilimento permanente a partire dal quale essa ha fornito la prestazione di servizi. Per questa prestazione di servizio � considerat[o] come base imponibile e come prezzo al netto dell�imposta, ai sensi dell�articolo 22, paragrafo 3, lettera b), il margine dell�agenzia di viaggi, cio� la differenza tra l�importo totale a carico del viaggatore, al netto dell�[IVA], ed il costo effettivo sostenuto dal- l�agenzia di viaggi per le cessioni e le prestazioni di servizi di altri soggetti passivi, nella misura in cui da tali operazioni il viaggiatore tragga direttamente vantaggio. (...) 4. Gli importi dell�[IVA] imputati all�agenzia di viaggi da altri soggetti passivi per le operazioni di cui al paragrafo 2 e dalle quali il viaggiatore trae direttamente vantaggio, non sono n� [detraibili], n� rimborsabili in alcuno Stato membro�. 3 Gli articoli da 306 a 310 della direttiva IVA, nella versione in lingua italiana, dispongono, al capo 3 della medesima, rubricato �Regime speciale delle agenzie di viaggio�: �Articolo 306 1. Gli Stati membri applicano un regime speciale dell�IVA alle operazioni delle agenzie di viaggio conformemente al presente capo, nella misura in cui tali agenzie agiscano in nome proprio nei confronti del viaggiatore e utilizzino, per l�esecuzione del viaggio, cessioni di beni e prestazioni di servizi di altri soggetti passivi. Il presente regime speciale non � applicabile alle agenzie di viaggio che agiscono unicamente quali intermediari e alle quali per il computo della base imponibile si applica l�articolo 79, primo comma, lettera c). 2. Ai fini del presente capo, anche gli organizzatori di giri turistici sono considerati come agenzie di viaggio. Articolo 307 Le operazioni effettuate, alle condizioni di cui all�articolo 306, dall�agenzia di viaggio per la realizzazione del viaggio sono considerate come una prestazione di servizi unica resa dall�agenzia di viaggio al viaggiatore. La prestazione unica � assoggettata all�imposta nello Stato membro in cui l�agenzia di viaggio ha la sede della sua attivit� economica o una stabile organizzazione a partire dalla quale essa ha fornito la prestazione di servizi. Articolo 308 Per la prestazione di servizi unica resa dall�agenzia di viaggio � considerato come base imponibile e come prezzo al netto dell�IVA, ai sensi dell�articolo 226, punto 8), il margine dell�agenzia di viaggio, ossia la differenza tra l�importo totale, al netto dell�IVA, a carico del viaggiatore ed il costo effettivo sostenuto dall�agenzia di viaggio per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di altri soggetti passivi, nella misura in cui tali operazioni siano effettuate a diretto vantaggio del viaggiatore. (...) Articolo 310 Gli importi dell�IVA imputati all�agenzia di viaggio da altri soggetti passivi per le operazioni di cui all�articolo 307 effettuate a diretto vantaggio del viaggiatore non sono n� detraibili n� rimborsabili in alcuno Stato membro�. Il diritto italiano 4 L�articolo 74 ter del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633, istituzione e disciplina dell�imposta sul valore aggiunto (Supplemento ordinario alla GURI dell�11 novembre 1972, n. 292, pag. 1), cos� recita: �1. Le operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e di turismo per la organizzazione di pacchetti turistici costituiti, ai sensi dell�articolo 2 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 111, da viaggi, vacanze, circuiti tutto compreso e connessi servizi, verso il pagamento di un corrispettivo globale sono considerate come una prestazione di servizi unica. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche qualora le suddette prestazioni siano rese dalle agenzie di viaggio e turismo tramite mandatari; le stesse disposizioni non si applicano alle agenzie di viaggio e turismo che agiscono in nome e per conto dei clienti�. Fase precontenziosa del procedimento e procedimento dinanzi alla Corte CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 19 5 Il 23 marzo 2007 la Commissione ha inviato una lettera di diffida alla Repubblica italiana nella quale affermava che, consentendo che fosse applicato il regime speciale concepito per le agenzie di viaggio anche a prestazioni fornite ad una persona diversa dal viaggiatore, tale Stato membro non si era conformato agli articoli da 306 a 310 della direttiva IVA. 6 Nella sua lettera di risposta, di data 21 maggio 2007, la Repubblica italiana ha contestato l�interpretazione che la Commissione ha dato agli articoli da 306 a 310 della direttiva IVA. 7 Non considerandosi soddisfatta dalla suddetta risposta, il 29 febbraio 2008 la Commissione ha emesso un parere motivato, cui la Repubblica italiana ha risposto con lettera del 29 aprile 2008 confermando la propria posizione. 8 In questo contesto, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso. 9 Con ordinanza del presidente della Corte del 13 ottobre 2011, la Repubblica ceca, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica di Polonia e la Repubblica di Finlandia sono stati autorizzati ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Repubblica italiana. Sul ricorso Argomenti delle parti 10 La Commissione ritiene che il regime speciale delle agenzie di viaggio, sancito agli articoli da 306 a 310 della direttiva IVA, sia applicabile unicamente in caso di vendita di viaggi a viaggiatori (in prosieguo: �l�impostazione basata sul viaggiatore�). Essa censura la Repubblica italiana per aver autorizzato l�applicazione di detto regime in caso di vendita di viaggi a tutti i tipi di clienti (in prosieguo: l��impostazione basata sul cliente�). 11 Tale istituzione ricorda che le disposizioni di detti articoli da 306 a 310, in sostanza, riprendono quelle dell�articolo 26, paragrafi da 1 a 4, della sesta direttiva. 12 Orbene, la Commissione sostiene che l�intento del legislatore dell�Unione quando ha adottato la sesta direttiva consisteva nel circoscrivere il regime speciale delle agenzie di viaggio alle prestazioni fornite al viaggiatore, consumatore finale. Essa avvalora tale affermazione adducendo che cinque delle sei versioni linguistiche iniziali di tale direttiva utilizzavano sistematicamente il termine �viaggiatore� all�articolo 26 di quest�ultima in maniera assolutamente chiara e coerente. Da ci� si inferirebbe che detto termine non richiedeva alcuno sforzo ermeneutico che si spingesse oltre al suo senso letterale, sicch� l�interpretazione del citato articolo 26 era univoca. 13 L�utilizzo del termine �cliente� (�customer�) nella versione in lingua inglese della sesta direttiva costituirebbe un errore, che, peraltro, sarebbe stato commesso in un�unica occasione, all�articolo 26, paragrafo 1, di quest�ultima. Dato che tale versione in lingua inglese � servita da base per le successive traduzioni della sesta direttiva, tale termine sarebbe stato spesso ripreso in queste ultime, cos� come in svariate versioni linguistiche degli articoli da 306 a 310 della direttiva IVA. 14 In occasione dell�udienza dinanzi alla Corte, la Commissione ha precisato che la versione in lingua francese della sesta direttiva, che utilizzava unicamente il termine �viaggiatore �, aveva costituito il testo sul quale tutti gli Stati membri coinvolti avevano lavorato e si erano accordati. 15 La Commissione sottolinea che le disposizioni relative al regime speciale delle agenzie di viaggio devono essere interpretate in modo uniforme. La coesistenza dell�impostazione fondata sul viaggiatore e di quella basata sul cliente sarebbe fonte di doppie imposizioni e di distorsioni di concorrenza. 16 Facendo riferimento all�articolo 26 della sesta direttiva, la Commissione precisa i motivi per cui, sebbene il termine �cliente� appaia in talune versioni linguistiche degli articoli da 306 a 310 della direttiva IVA, esso deve cionondimeno essere inteso nel senso di �viaggiatore�. 17 Innanzitutto, la Commissione ritiene che, se si accogliesse l�impostazione basata sul cliente, la condizione che figura all�articolo 26, paragrafo 1, della sesta direttiva, secondo cui l�agenzia deve agire �in nome proprio�, sarebbe ridondante, poich� un operatore agisce sempre in nome proprio nei confronti del suo cliente. Di conseguenza, secondo la Commissione, questi termini non devono ricevere un�interpretazione letterale e la parola �cliente� va intesa nel medesimo senso utilizzato nelle altre cinque versioni linguistiche iniziali di detta direttiva, ossia nell�accezione di �viaggiatore�. In proposito, la Commissione sostiene che un�agenzia di viaggio pu� agire nei confronti di un �viaggiatore � sia in nome proprio sia in nome e per conto di terzi. 18 Inoltre, se il legislatore dell�Unione avesse inteso conferire al termine �cliente� non tanto il senso di viaggiatore, quanto piuttosto quello di tutti i tipi di �clienti�, da ci� deriverebbero conseguenze illogiche, poich� il regime speciale delle agenzie di viaggio si applicherebbe anche quando un�agenzia agisce in qualit� di intermediario, in particolare quando essa ricerca clienti per conto di un albergatore, in forza di un contratto di intermediazione stipulato con quest�ultimo. 19 La Commissione ritiene che tale illogicit� appaia a maggior ragione evidente giacch� nella versione in lingua inglese dell�articolo 26, paragrafo 2, prima frase, della sesta direttiva, a tenore della quale �[l]e operazioni effettuate dall�agenzia di viaggi per la realizzazione del viaggio sono considerate come una prestazione di servizio unica fornita dall�agenzia di viaggi al viaggiatore [�traveller�]�, viene utilizzata la parola �viaggiatore �. Orbene, secondo la Commissione, questa frase sarebbe priva di senso se il regime speciale delle agenzie di viaggio si applicasse senza tener conto della qualit� del destinatario dei servizi. Se cos� fosse, secondo tale istituzione, il legislatore avrebbe dovuto avvalersi sistematicamente del termine �cliente�. 20 La Commissione aggiunge che le sei versioni linguistiche iniziali dell�articolo 26, paragrafo 2, terza frase, della sesta direttiva utilizzano il termine �viaggiatore�. Pertanto, sarebbe incoerente menzionare l��importo totale a carico del viaggiatore� se il regime speciale delle agenzie di viaggio potesse essere applicato a prescindere dalla qualit� del cliente dell�agenzia di viaggio. Infatti, quando una siffatta agenzia effettua una vendita ad un�altra agenzia di viaggio, secondo la Commissione occorrerebbe calcolare il margine contemplato a tale articolo 26, paragrafo 2, terza frase, tenendo conto della differenza tra l�importo a carico del viaggiatore ed i costi sostenuti dalla prima agenzia, il che sarebbe privo di pertinenza in mancanza di un nesso tra quest�ultima e il viaggiatore. 21 La Commissione adduce infine altri due argomenti. In primo luogo, essa sottolinea che le disposizioni dell�articolo 26 della sesta direttiva sono rimaste in vigore per circa trent�anni, fino all�abrogazione di quest�ultima, e che le versioni linguistiche di tale articolo successive alle sei versioni iniziali adottano, in larga maggioranza, la formulazione delle cinque versioni iniziali identiche, utilizzando esclusivamente il termine �viaggiatore �. Solo cinque versioni linguistiche successive di tale articolo avrebbero fatto riferimento alla versione in lingua inglese. In secondo luogo, la Commissione ricorda che le eccezioni al regime generale dell�IVA devono essere interpretate restrittivamente. 22 Ci� premesso, secondo la Commissione, sebbene l�impostazione basata sul cliente sia la pi� idonea a conseguire gli obiettivi perseguiti dal regime speciale delle agenzie di viaggio, tale circostanza non comporterebbe che questa impostazione sia corretta. La CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 21 Commissione riconosce che questo regime speciale � perfettibile, ma rimarca che gli Stati membri non possono adottare di propria iniziativa una siffatta impostazione, discostandosi dalle disposizioni che figurano espressamente nella sesta direttiva. In proposito, la Commissione si rif�, in particolare, al punto 28 della sentenza del 6 ottobre 2005, Commissione/Spagna (C.204/03, Racc. pag. I.8389). Essa aggiunge che il regime speciale in parola � stato introdotto per fare fronte alla situazione esistente nel 1977, epoca in cui i viaggi erano per la maggior parte venduti direttamente ai viaggiatori dalle agenzie di viaggio. A suo avviso, attualmente il settore interessato annovera un numero molto maggiore di operatori, tuttavia non sarebbe rimesso agli Stati membri, bens� al legislatore dell�Unione, ovviare alle carenze del citato regime speciale. 23 A seguito delle osservazioni presentate dagli Stati membri intervenienti, pur insistendo sull�impostazione basata sul viaggiatore, la Commissione ha leggermente attenuato la sua posizione, dichiarando che il termine �viaggiatore� non designa esclusivamente la persona fisica, bens� anche la persona giuridica che acquista un pacchetto turistico per le proprie esigenze e che, di riflesso, costituisce il destinatario finale del servizio di viaggio. Quindi, a dire della Commissione, tale termine include la societ� che acquista servizi di viaggio per i propri dipendenti. Per contro, il termine �viaggiatore� non sarebbe applicabile alla persona fisica o alla persona giuridica che rivende detto servizio a un�altra persona. Tale istituzione rimarca che il regime speciale delle agenzie di viaggio non � applicabile in una fase anteriore alla vendita di un servizio di questo genere al destinatario finale. 24 La Repubblica italiana contesta il modo in cui la Commissione ha interpretato il regime speciale delle agenzie di viaggio istituito agli articoli da 306 a 310 della direttiva IVA. 25 Tale Stato membro adduce, di propria iniziativa o affermando di concordare con gli Stati membri intervenienti, i seguenti argomenti. 26 A suo avviso, l�interpretazione letterale operata dalla Commissione non pu� essere condivisa poich�, oltre alla versione in lingua inglese dell�articolo 306 della direttiva IVA, numerose altre versioni linguistiche di tale disposizione, ossia quelle in lingua bulgara, polacca, portoghese, rumena, slovacca, finlandese e svedese, non utilizzerebbero il termine �viaggiatore�, bens� il termine �cliente�. 27 Neppure l�analisi dei termini impiegati nelle disposizioni che contornano l�articolo 26, paragrafo 1, della sesta direttiva o detto articolo 306 potrebbe fungere da guida per determinare l�esatta portata di queste ultime due disposizioni. Difatti, dall�esame delle loro diverse versioni linguistiche si evincerebbe che il termine �viaggiatore� non � impiegato in modo sistematico n� all�articolo 26, paragrafi da 1 a 4, della sesta direttiva n� agli articoli da 306 a 310 della direttiva IVA. Talune versioni linguistiche utilizzerebbero sistematicamente il termine �cliente�, mentre altre impiegherebbero talvolta il termine �viaggiatore�, talaltra �cliente�. Tali divergenze costituirebbero una fonte di ambiguit�, come dimostrato dalla circostanza che, in particolare, la Repubblica italiana, la Repubblica ceca, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna e la Repubblica francese seguono l�impostazione basata sul cliente, sebbene le versioni linguistiche della direttiva IVA, come pubblicate nelle loro lingue nazionali, si avvalgano del termine �viaggiatore�. 28 La Repubblica italiana ne desume che � necessario ricorrere ad un�interpretazione teleologica delle disposizioni in oggetto, ricercando gli obiettivi perseguiti dal regime speciale delle agenzie di viaggio. Peraltro, questi ultimi non sarebbero contestati dalla Commissione e comprenderebbero, da un lato, la semplificazione delle regole relative all�IVA applicabili alle agenzie di viaggio e, dall�altro, la ripartizione del gettito dell�IVA tra gli Stati membri. Orbene, sarebbe altrettanto pacifico che l�impostazione basata sul cliente � la pi� idonea a conseguire tali obiettivi. Di conseguenza, tale impostazione costituirebbe l�unica interpretazione corretta. 29 La Repubblica italiana sottolinea che la qualit� del destinatario del servizio, che si tratti del viaggiatore, consumatore finale, o di un�agenzia di intermediazione, non � pertinente. Tale Stato membro si fonda, per analogia, in particolare, sulla sentenza del 22 ottobre 1998, Madgett e Baldwin (C.308/96 e C.94/97, Racc. pag. I.6229), e sostiene che, in tale sentenza, malgrado il carattere di deroga del regime speciale in oggetto, la Corte ha effettuato un�interpretazione estensiva dell�articolo 26 della sesta direttiva, facendo prevalere l�obiettivo perseguito da tale regime sulla lettera di detto articolo. 30 L�impostazione basata sul cliente, contrariamente a quella basata sul viaggiatore, consentirebbe di rispettare il principio della neutralit� dell�IVA, trattando alla stessa maniera gli operatori che vendono direttamente pacchetti di viaggio ai viaggiatori e quelli che vendono tali viaggi ad altri operatori. 31 Per quanto concerne il rischio di doppia imposizione paventato dalla Commissione, la Repubblica italiana sostiene che esso � dovuto alla coesistenza delle due impostazioni in oggetto e che sarebbe scongiurato se fosse accolta un�unica impostazione. 32 La Repubblica italiana contesta l�esistenza delle presunte incoerenze riscontrate dalla Commissione per quanto concerne, in primo luogo, i termini �in nome proprio nei confronti del cliente�. Essa afferma che la Commissione ha confuso l�espressione �nei confronti �del� cliente�, utilizzata nella versione in lingua inglese dell�articolo 26 della sesta direttiva, con l�espressione �nei confronti �del suo� cliente�. Solo questa seconda espressione potrebbe rivestire carattere ridondante. 33 Peraltro, la stessa Commissione avrebbe utilizzato l�espressione �che agisce in nome proprio nei confronti dei clienti� in numerose versioni linguistiche della sua proposta di direttiva del Consiglio dell�8 febbraio 2002, che modifica la direttiva 77/388 relativamente al regime speciale delle agenzie di viaggio [COM(2002) 64 def.]. 34 Il timore, espresso dalla Commissione, che la citata espressione possa sfociare nell�applicazione del regime speciale delle agenzie di viaggio agli intermediari non avrebbe motivo di sussistere, considerata l�espressa menzione che figura all�articolo 306, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva IVA che esclude tale possibilit�. 35 Per quanto attiene, in secondo luogo, all�espressione �a carico del viaggiatore�, la Corte avrebbe gi� riconosciuto che questa non pu� essere interpretata letteralmente e che ingloba altres� il corrispettivo a carico di un terzo. 36 L�impostazione della Commissione solleverebbe inoltre un problema di ordine pratico, nel senso che, se il regime speciale delle agenzie di viaggio si applicasse solo alle vendite al viaggiatore, consumatore finale, potrebbe risultare necessario verificare, caso per caso, se l�acquirente di un viaggio sia effettivamente la persona che lo sfrutter� e se egli non rivender� il viaggio ad un altro soggetto. 37 Per di pi�, il riferimento che la Commissione ha effettuato alla citata sentenza Commissione/ Spagna non sarebbe pertinente, poich� le disposizioni oggetto della causa da cui � scaturita tale sentenza, contrariamente a quelle al centro del presente ricorso, erano univoche. Giudizio della Corte 38 Per decidere il presente ricorso occorre appurare se, autorizzando le agenzie di viaggio ad applicare il regime speciale in oggetto alle operazioni che esse effettuano non solo CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 23 con i �viaggiatori�, bens� anche con tutti i tipi di �clienti�, la Repubblica italiana abbia trasposto correttamente gli articoli da 306 a 310 della direttiva IVA. 39 Le versioni in lingua italiana dei citati articoli da 306 a 310, da un lato, e dell�articolo 26, paragrafi da 1 a 4, della sesta direttiva, dall�altro, utilizzano entrambe il termine �viaggiatore � in modo sistematico. Le altre versioni linguistiche, invece, impiegano i termini �viaggiatore� e/o �cliente�, variandone talvolta l�uso da una disposizione all�altra. 40 Malgrado queste divergenze particolarmente significative, la Commissione ritiene praticabile un�interpretazione letterale, fondata su cinque delle sei versioni linguistiche iniziali della sesta direttiva, che utilizzano sistematicamente il termine �viaggiatore�. L�uso del termine �cliente� nella versione in lingua inglese di tale direttiva costituirebbe un errore. 41 La circostanza che solo tale versione in inglese utilizzi il termine �cliente�, e per di pi� in un�unica occasione, potrebbe indurre a ritenere che si tratti di un errore. Anche le spiegazioni fornite dalla Commissione in sede di udienza, secondo cui il documento di lavoro all�origine della sesta direttiva era redatto in lingua francese, potrebbero corroborare l�idea secondo cui � stato commesso un errore all�atto della traduzione in inglese di detta direttiva. 42 Tuttavia, numerose constatazioni inducono a rimettere in discussione questa disamina della Commissione. 43 Innanzitutto, si deve necessariamente riconoscere che, se si trattasse di un errore, esso non � stato corretto nella versione in lingua inglese della sesta direttiva. 44 Inoltre, lungi dall�apparire un�unica volta e dall�essere limitato ad una versione linguistica in particolare, il termine �cliente� � stato utilizzato in numerose altre versioni linguistiche della sesta direttiva e non solamente al suo articolo 26, paragrafo 1. 45 Per di pi�, sebbene questo presunto errore avrebbe potuto essere corretto per lo meno in occasione dell�adozione della direttiva IVA, cos� non � avvenuto, poich� il termine �cliente� figura in numerose versioni linguistiche degli articoli da 306 a 310 di tale direttiva, e a volte in maniera non sistematica. 46 Infine, la proposta di direttiva menzionata al punto 33 della presente sentenza, che mirava a sostituire la normativa esistente con un testo che sostanzialmente adotta l�impostazione basata sul cliente, utilizzava il termine �viaggiatore� nella versione in lingua francese dell�articolo 26, paragrafo 1, di tale direttiva, ma impiegava il termine �cliente� nella versione in lingua inglese della medesima disposizione. 47 Da ci� si evince che, contrariamente a quanto afferma la Commissione, un�interpretazione puramente letterale del regime speciale delle agenzie di viaggio fondata sul testo di una o pi� versioni linguistiche ad esclusione delle altre non pu� essere accolta. Secondo una giurisprudenza costante, occorre considerare che le norme del diritto del- l�Unione devono essere interpretate ed applicate in modo uniforme alla luce delle versioni in tutte le lingue dell�Unione. In caso di disparit� tra le diverse versioni linguistiche di un testo dell�Unione, la disposizione di cui � causa dev�essere intesa in funzione dell�impianto sistematico e della finalit� della normativa di cui fa parte (sentenza dell�8 dicembre 2005, Jyske Finans, C.280/04, Racc. pag. I.10683, punto 31). 48 Nel caso di specie, le altre disposizioni che contornano quelle che utilizzano il termine �cliente�, cos� come esso � impiegato nella versione in lingua inglese della sesta direttiva, variano a seconda delle versioni linguistiche delle due direttive in parola, cosicch� dall�impianto sistematico delle disposizioni in oggetto non si pu� trarre alcuna conclusione in merito all�interpretazione del regime speciale delle agenzie di viaggio. 49 Quanto alla finalit� di tale regime speciale, la Corte ha ripetutamente ricordato che i servizi forniti dalle agenzie di viaggio e dagli organizzatori di giri turistici sono caratterizzati dal fatto di essere, di regola, composti da prestazioni plurime, in particolare in materia di trasporto e di alloggio, che vengono eseguite sia all�interno sia all�esterno del territorio dello Stato membro in cui l�impresa ha la sua sede o un centro di attivit� stabile. All�applicazione delle norme di diritto comune concernenti il luogo di imposizione, la base imponibile e la detrazione dell�imposta pagata a monte si frapporrebbero, a causa della variet� delle prestazioni e dei luoghi in cui vengono fornite, difficolt� pratiche per dette imprese, che sarebbero atte ad ostacolare l�esercizio della loro attivit�. Al fine di adeguare le norme in materia alla specificit� di tale attivit�, il legislatore del- l�Unione ha istituito, all�articolo 26, paragrafi da 2 a 4, della sesta direttiva, un regime IVA speciale (v. sentenze del 12 novembre 1992, Van Ginkel, C.163/91, Racc. pag. I.5723, punti da 13 a 15; Madgett et Baldwin, cit., punto 18; del 19 giugno 2003, First Choice Holidays, C.149/01, Racc. pag. I.6289, punti da 23 a 25; del 13 ottobre 2005, ISt, C.200/04, Racc. pag. I.8691, punto 21, nonch� del 9 dicembre 2010, Minerva Kulturreisen, C.31/10, Racc. pag. I.12889, punti 17 e 18). 50 Di conseguenza, il regime speciale anzidetto persegue l�obiettivo di semplificare le regole relative all�IVA applicabili alle agenzie di viaggio. Esso mira altres� a ripartire il gettito proveniente dalla riscossione di tale imposta in maniera equilibrata tra gli Stati membri, garantendo, da un lato, l�attribuzione del gettito dell�IVA relativo a ciascun servizio individuale allo Stato membro in cui si verifica il consumo finale del servizio e, dall�altro, l�attribuzione del gettito afferente al margine dell�agenzia di viaggio allo Stato membro in cui quest�ultima � stabilita. 51 Orbene, occorre sottolineare la circostanza � peraltro non contestata � che l�impostazione basata sul cliente � quella pi� idonea a conseguire entrambi gli obiettivi, in quanto consente alle agenzie di viaggio di fruire di regole semplificate a prescindere dal tipo di clienti cui forniscono le loro prestazioni e favorisce, in tal modo, un�equilibrata ripartizione del gettito tra gli Stati membri. 52 La circostanza che nel 1977, all�epoca in cui � stato adottato il regime speciale delle agenzie di viaggio, la maggioranza di queste ultime vendesse i propri servizi direttamente al consumatore finale non implica che il legislatore abbia inteso circoscrivere il predetto regime speciale a questo tipo di vendite ed escludere dallo stesso le vendite ad altri operatori. 53 Infatti, quando un operatore organizza un pacchetto e lo vende ad un�agenzia di viaggio che lo rivende successivamente ad un consumatore finale, � il primo operatore che si assume il compito di combinare differenti prestazioni acquistate presso diversi terzi assoggettati all�IVA. Considerata la finalit� del regime speciale delle agenzie di viaggio, ci� che rileva � che il suddetto operatore possa fruire di regole semplificate in materia di IVA e che queste ultime non rimangano appannaggio dell�agenzia di viaggio, la quale, in un�ipotesi del genere, si limita a rivendere al consumatore finale il pacchetto acquistato presso detto operatore. 54 Occorre inoltre rammentare che la Corte � gi� stata chiamata ad interpretare il termine �viaggiatore� conferendogli un senso pi� ampio rispetto a quello di consumatore finale. Al punto 28 della citata sentenza First Choice Holidays, la Corte ha statuito che i termini �a carico del viaggiatore�, utilizzati all�articolo 26, paragrafo 2, della sesta direttiva, non possono essere interpretati letteralmente nel senso che essi escludano dalla base imponibile IVA un elemento del �corrispettivo� ottenuto da parte di un terzo a norma del CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 25 l�articolo 11, parte A, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva. 55 Le altre obiezioni sollevate dalla Commissione per respingere l�impostazione basata sul cliente non sono idonee a rimettere in discussione questa analisi. 56 La circostanza che il regime speciale delle agenzie di viaggio configuri un�eccezione alle regole di diritto comune, e che quindi, in quanto tale, detta eccezione non debba essere estesa oltre quanto necessario al raggiungimento dei suoi obiettivi (v. sentenza First Choice Holidays, cit., punto 22), non implica tuttavia che occorra adottare l�impostazione basata sul viaggiatore se quest�ultima pregiudica l�effetto utile del predetto regime speciale. 57 Pur riconoscendo che il regime speciale delle agenzie di viaggio � perfettibile, la Commissione fa osservare, fondandosi sul punto 28 della citata sentenza Commissione/Spagna, che non compete agli Stati membri adottare di propria iniziativa un�impostazione che, a loro avviso, migliori tale regime, poich�, procedendo in tal modo, essi si sostituiscono al legislatore dell�Unione. Tuttavia, la citata sentenza non pu� essere invocata proficuamente nel caso di specie, poich�, diversamente dal regime speciale delle agenzie di viaggio, la normativa al centro di tale sentenza era univoca. 58 L�argomento tratto dalle presunte incoerenze che risulterebbero da un�interpretazione del termine �cliente� non nel senso di �viaggiatore�, bens� di qualsiasi tipo di �cliente� � valido solo nei confronti della versione iniziale in lingua inglese della sesta direttiva e delle versioni linguistiche successive, ricalcate su quest�ultima, che utilizzano tale termine in un�unica occasione. Per quanto attiene alle versioni linguistiche della direttiva IVA che si avvalgono di detto termine in maniera sistematica ai suoi articoli da 306 a 310, detto argomento � inconferente. 59 Quanto alla sussistenza del rischio che le agenzie di viaggio applichino il citato regime speciale anche quando agiscono in qualit� di intermediario, � sufficiente rilevare che, considerati gli espliciti termini in cui � redatto l�articolo 306, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva IVA, che escludono, in ogni caso, siffatta possibilit�, tale rischio non � fondato. 60 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre interpretare il disposto degli articoli da 306 a 310 della direttiva IVA seguendo l�impostazione basata sul cliente. 61 Occorre pertanto respingere il ricorso della Commissione in quanto infondato. Sulle spese 62 A norma dell�articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente � condannata alle spese se ne � stata fatta domanda. Poich� la Repubblica italiana ne ha fatto domanda, la Commissione, rimasta soccombente, dev�essere condannata alle spese. Peraltro, ai sensi dell�articolo 140, paragrafo 1, del medesimo regolamento, secondo cui le spese sostenute dagli Stati membri intervenuti nella causa restano a loro carico, occorre statuire che la Repubblica ceca, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica di Polonia e la Repubblica di Finlandia si fanno carico delle proprie spese. Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce: 1) Il ricorso � respinto. 2) La Commissione europea � condannata a sopportare le spese sostenute dalla Repubblica italiana. 3) La Repubblica ceca, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica di Polonia e la Repubblica di Finlandia si fanno carico delle proprie spese. In materia di indennizzo ai sensi della Direttiva 2004/80/CE per le vittime di reati intenzionali violenti Giovanni Palatiello* Con sentenza n. 22327/13, depositata l�8 novembre 2013, non notificata, il Tribunale civile di Roma, sez. II, (G.I. dott. Salvati) (v. infra all. 1) ha accolto la domanda di A.M.G. (madre di J.Z., residente in Italia, uccisa in Venezia il 4 luglio 2008 da N.L., condannato in via definitiva a trenta anni di reclusione ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite) intesa ad ottenere -iure proprio - la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri alla corresponsione dell�indennizzo previsto dalla Direttiva 2004/80/CE, in favore delle vittime di reati intenzionali violenti. Il Tribunale, condividendo la precedente sentenza della Corte d�appello di Torino, Sez. III, n. 106/12 - peraltro impugnata per cassazione dall�Avvocatura Generale dello Stato (CT 8405/12, Avv. G. Palatiello) con ricorso n. 13168/12 di R.G., tuttora pendente, e sospesa ex art. 373 c.p.c. con ordinanza in data 11 settembre 2012 della medesima Corte d�appello - ha ritenuto che la predetta direttiva, all�art. 12, par. 2, imporrebbe a tutti gli Stati membri l�obbligo di indennizzare �i residenti che siano stati vittime di reati violenti nel territorio del proprio Stato (e non solo in situazioni transfrontaliere)�. Poich� l�Italia non ha stabilito �un sistema di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalit� comune�, commessi nel proprio territorio <<nella specie, l�omicidio volontario>>, a giudizio del Tribunale, sarebbe inadempiente all�obbligo previsto dal ricordato par. 2 dell�art. 12. Accertato, dunque, l�inadempimento della Repubblica Italiana a quanto disposto dall�art. 12, par. 2, della Direttiva, il Tribunale capitolino - richiamando i principi affermati dalla sentenza n. 9147/2009 delle Sezioni Unite della Suprema Corte in materia di responsabilit� civile dello Stato per il mancato recepimento delle direttive non self executing - ha riconosciuto in favore di A.M.G. - che, ad avviso del primo giudice, sarebbe astrattamente legittimata ex art. 90, co. 3, c.p.p. a beneficiare della tutela accordata dalla Direttiva 2004/80/CE, essendo la vittima deceduta in conseguenza del reato - il �pregiudizio arrecato dall�inadempimento dello Stato, consistente, nel caso in esame, nell�impossibilit� di ottenere l�erogazione dell�indennizzo �equo ed adeguato�, determinandolo equitativamente nella misura di � 80.000,00, esattamente corrispondente all�importo liquidatole dal giudice penale a titolo di provvisionale; e ci� nonostante che ella non abbia esperito alcuna azione esecutiva nei confronti dell�autore del reato. (*) Avvocato dello Stato. Le statuizioni del Tribunale di Roma non sono condivisibili in quanto: 1) come gi� evidenziato da questa Avvocatura Generale nella causa pregiudiziale C-122/13 promossa dinanzi la Corte di Giustizia dell�Unione Europea (Ct 12880/13, Avv. G. Palatiello) dal Tribunale di Firenze (v. infra all. 2), ed avente ad oggetto la corretta interpretazione dell�art. 12, par. 2, della Direttiva 2004/80/CE, quest�ultima si applica solo alle vittime di reati intenzionali violenti commessi sul territorio di uno Stato membro diverso da quello di residenza, mentre rimangono escluse dal suo campo di applicazione le ipotesi in cui il reato venga commesso nello stesso Stato membro in cui la vittima risiede abitualmente (cfr., in tal senso, anche Corte Giust., sent. 12 luglio 2012, Giovanardi, C-79/11, punto 37; sent. 28 giugno 2007, Dell�Orto, C-467/05, punto 57); 2) in via del tutto subordinata, l�indennizzo in questione � riconosciuto esclusivamente in favore della �vittima� del reato intenzionale violento: trattandosi di elargizione di natura solidaristica, posta a carico dell�intera collettivit� nazionale, l�espressione �vittima� deve intendersi in senso restrittivo, come riferita esclusivamente alla persona offesa, cio� al titolare dell�interesse protetto dalla norma incriminatrice; di talch�, nel caso, rilevante nella specie, di omicidio volontario, le pretese risarcitorie, avanzate iure proprio, dai prossimi congiunti danneggiati dal reato, diversi dalla vittima del reato devono ritenersi del tutto infondate. Il Tribunale per superare tale ostacolo ha fondato la legittimazione iure proprio della madre della vittima sul disposto dell�art. 90, comma 3, c.p.p. a mente del quale: �qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facolt� e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti�. Sennonch� tale disposizione si riferisce solo ed esclusivamente alle facolt� processuali spettanti alla persona offesa nell�ambito del processo penale, e non ha, viceversa, alcuna attinenza con le pretese risarcitorie sostanziali derivanti dal reato. Detto in altri termini, nel caso di decesso della vittima, la legge, ai soli fini processuali, riconosce in proprio ai prossimi congiunti il ruolo di persona offesa, ma non li legittima ad esercitare iure proprio le pretese risarcitorie e/o indennitarie spettanti alla vittima; peraltro, si potrebbe anche dubitare della trasmissibilit� iure hereditatis, dell�indennizzo ai sensi della Direttiva in parola, per perdita della vita, bene per definizione personalissimo; 3) � pacifico in causa che la Sig.ra A.M.G. non ha mai posto in esecuzione la provvisionale nei confronti dell�autore del reato per ottenere il risarcimento del danno gi� parzialmente liquidato in sede penale. L�inerzia serbata nella vicenda dalla Sig.ra A.M.G. vale comunque ad escludere il nesso causale tra il lamentato pregiudizio e l�asserito inadempimento della direttiva; 4) la condanna a carico dello Stato � stata commisurata proprio alla provvisionale riconosciuta all�attrice in sede penale, come se il medesimo Stato fosse il diretto responsabile del reato. Tuttavia, la ratio della normativa comu nitaria in tema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non pu� essere certamente quella di sostituire o aggiungere lo Stato all�autore del delitto nella responsabilit� verso le vittime: a tutto concedere, l�obbligo che la direttiva pone agli Stati membri �, invero, solo quello di predisporre un indennizzo �equo ed adeguato�, necessariamente diverso dall�integrale ristoro del danno civile. All. 1) Tribunale di Roma, Seconda Sezione Civile, sentenza 8 novembre 2013 n. 22327 - Giud. Federico Salvati - G.G. e A.M.G. (avv.ti Claudio Defilippi e Debora Bosi) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Giustizia (avv. gen. Stato). CONCLUSIONI All'udienza dell'8 luglio 2013 il difensore degli attori precisava le conclusioni come da foglio allegato al verbale di causa: "In via preliminare: dichiarare la propria competenza territoriale ai sensi e per l'effetto dell'art. 25 c.p.c. ed ai sensi dell'art. 6 rd 1611/1933. In via principale: accogliere la do manda attrice, dichiarando i convenuti responsabili dei fatti di cui in narrativa, per le motivazioni di cui sopra ed in particolar modo per il mancato recepimento nei termini previsti della Direttiva 2004/80/CE e comunque per la sua attuale mancata attuazione entro il 1 luglio 2005 e per il principio del self executing, essendo la Direttiva de qua divenuta direttamente applicabile alla scadenza del termine per la ricezione, condannare i convenuti all'indennizzo di tutti i danni patiti dall'odierno istante in proprio, nonch� del danno biologico ed esistenziale e a quello morale subiti, che allo stato si indicano in complessivi Euro xxxx. Peraltro, attesa la discriminazione ex art. 3 Cost. tra le vittime di reati di terrorismo ex L. 206/04, quelle di strage ex L. 512/99 e L. 56/03 e le vittime di reati comuni che non hanno, al momento, alcuna possibilit� di conseguire un inden nizzo. In via subordinata: ritenere, per i motivi di cui in narrativa, gli odierni convenuti responsabili ex artt. 2043, 2059 cc. anche per il tardivo recepimento della direttiva ed assenza del regolamento di attuazione e, comunque, per tutte le motivazioni di cui in narrativa; per l'effetto, condannare gli stessi all'integrale risarcimento di tutti i danni ma teriali e patrimoniali, diretti ed indiretti, nonch� del danno alla persona biologico ed esi stenziale ed a quello morale subiti dall'attore in proprio che allo stato si indicano in complessivi Euro xxxx. In via ulteriormente subordinata: Accertare e dichiarare la re sponsabilit� degli odierni convenuti per le motivazioni in atto e per l'effetto condannare i predetti convenuti al risarcimento dei danni nella maggiore o minore misura che si ri terr� di giustizia. In entrambi i casi con la condanna agli interessi legali da d� del fatto al saldo ed alla rivalutazione monetaria come per legge. Con vittoria di spese, compe tenze ed onorari di causa, con sentenza munita di provvisoria esecutivit� come per legge". Il difensore dei convenuti richiamava le conclusioni formulate nell'atto di citazione e nelle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE 1 - G.G. e A.M.G. - rispettivamente nonno e madre della deceduta J.Z., nonch� bisnonno e nonna del nascituro della Z. - hanno convenuto in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Giustizia, chiedendone la condanna "all'indennizzo secondo la direttiva 2004/80/CE di tutti i danni patiti e patendi", in proprio e quali congiunti, nonch� del danno biologico ed esistenziale e a quello morale, indicati in complessivi � 500.000,00, e alla refusione delle spese sostenute, pari a � 3.798,71. In via subordinata, hanno chiesto di ritenere i convenuti responsabili, ex artt. 2043 e 2059 c.c., anche per il tardivo recepimento della direttiva e l'assenza del regolamento di attuazione, e di condannarli all'integrale risarcimento di tutti i danni, come sopra quantificati, e alla refusione delle spese sostenute. In via ulteriormente subordinata, hanno chiesto di condannare i convenuti al risarcimento dei danni nella maggiore o minore misura che sarebbe stata ritenuta di giustizia e alla refusione delle spese. Hanno esposto gli attori: - che il Tribunale di Venezia, con la sentenza n. 461/08 emessa il 4.7.2008, aveva ritenuto L.N. colpevole del reato di omicidio volontario aggravato in danno di J.Z., a quel tempo in stato avanzato di gravidanza, condannandolo alla pena di trenta anni di reclusione e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite e ponendo a carico del- l'imputato la provvisionale pari a � 80.000,00 per A.M.G., a � 60.000 per T.Z. e a � 25.000 per A.Z.; - che dall'ammissione del N. al patrocinio a spese dello Stato emergeva l'impossibilit� del reo di liquidare quanto stabilito nella sentenza; - che la responsabilit� delle Amministrazioni convenute discendeva: a) in base al diritto interno, dall'art. 2043 cc., dall'art. 2 della Costituzione e dall'art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, dai quali discendeva l'obbligo dello Stato di proteggere ogni persona che potrebbe potenzialmente patire per le azioni violente di altri privati cittadini, assumendo ragionevoli misure preventive quando la vita di un individuo � minacciata da azioni di un altro privato cittadino, con la conseguenza che lo Stato, "in persona dei convenuti, dovr� essere condannato al risarcimento e/o indennizzo del danno patito dall'odierna parte attrice"; b) in base al diritto comunitario, dalla direttiva 2004/80/CE del Consiglio, relativa all'indennizzo delle vittime di reato, alla quale lo Stato italiano non aveva dato concreta sostanziale attuazione nel termine prescritto; -che essi avevano diritto al risarcimento del danno morale e del danno biologico iure proprio, del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, del danno esistenziale e del danno patrimoniale (spese funerarie). La presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Giustizia hanno eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero convenuto e, nel merito, hanno contestato la fondatezza della domanda, perch� infondata. A tale riguardo i convenuti hanno esposto: che la direttiva 2004/80/CE aveva trovato pieno recepimento con il D.Lgs. n. 204/2007; che la direttiva era volta a disciplinare l'accesso all'indennizzo delle vittime di reati violenti nelle situazioni "transfrontaliere" e non attribuiva alcun diritto ai residenti verso il proprio Stato di residenza; che nell'ambito del nostro sistema numerose leggi speciali prevedevano sistemi di indennizzo in relazione a specifiche tipologie di reati, ma non anche per le vittime dei reati legati alla comunit� comune; che l'art. 18 della direttiva aveva attributo agli Stati il potere discrezionale di conformarsi anche in relazione ai reati commessi prima del 30.6.2005; che gli attori non avevano specificato quali azioni avessero vanamente intrapreso per ottenere il pagamento da parte del N., n� avevano fornito alcuna notizia in merito all'avvio del procedimento civile per la quantificazione dei danni subiti; che i criteri di liquidazione dell'indennizzo "equo ed ade guato" dovrebbero essere del tutto autonomi rispetto ai parametri di liquidazione del risarcimento del danno dovuto dal responsabile del fatto; che, in base al diritto interno, lo Stato non rispondeva dell'omicidio commesso da L.N., poich� non ricorreva alcuna delle fattispecie di responsabilit�, diretta o indiretta, per fatto altrui, ai sensi degli artt. 185 c.p., e 2043 e 2047 c.c.; che la domanda era sfornita di prova in relazione ai titoli e al- l'entit� del risarcimento richiesto. 2 - Come emerge dalla sentenza pronunciata dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale Venezia il 7.4.2008 (doc. 1 fasc. attori), L.N. � stato ritenuto responsabile del reato di omicidio aggravato in danno di J.Z., commesso nella notte tra il 29 e il 30 aprile 2006. Il GUP, oltre infliggere all'imputato le sanzioni penali, detentiva e interdittiva, lo aveva condannato a risarcire il danno in favore delle costituite parti civili A.M.G., T.Z. e A.Z., liquidando in favore di ciascuna di esse una somma a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, oltre alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile. Degli odierni attori, pertanto, soltanto A.M.G. si era costituita parte civile nel processo penale. Inoltre non risulta, n� � stato allegato, che sia stato instaurato alcun giudizio civile volto ad ottenere la liquidazione integrale del danno e, per quanto riguarda G.G. (non costituitosi parte civile), non risulta che sia stata giudizialmente accertata la sussistenza del diritto al risarcimento del danno cagionato da L.N., mediante l'omicidio della nipote J.Z.. Neppure risulta, o � stato allegato, che sia stata posta in esecuzione da A.M.G. la sentenza penale di condanna al pagamento della provvisionale. 3 - Come pu� trarsi dalla non sempre chiara e lineare esposizione delle ragioni della domanda e delle conclusioni, il presente giudizio ha ad oggetto la sussistenza del diritto degli attori, congiunti della vittima J.Z., ad ottenere la corresponsione dell'indennizzo previsto dalla direttiva 2004/80/CE, in favore delle vittime di reati intenzionali violenti o il risarcimento del danno cagionato dalla condotta criminosa posta in essere da L.N.. La pretesa, indennitaria o risarcitoria, � stata fatta valere con riferimento a diverse fonti normative - tra le quali non � stata compresa la Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti del 24.11.1983, che gli stessi attori hanno dichiarato non essere stata sottoscritta dall'Italia - la prima delle quali (pagg. 8-10 dell'atto di citazione, in cui si richiama la responsabilit� diretta dello Stato), � costituita, congiuntamente, dall'art. 2043 del codice civile, dall'art. 2 della Costituzione e dall'art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, rubricato "Diritto alla vita" ("1. Il diritto alla vita di ogni persona � protetto dalla legge. Nessuno pu� essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena. 2. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se � il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: (a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale; (b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l'evasione di una persona regolarmente detenuta; (c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un'insurrezione"). Il tribunale ritiene che il contenuto dell'obbligo di protezione della vita degli individui, che lo Stato � tenuto ad osservare in base alle norme menzionate, valutate complessivamente e tenendo conto della gerarchia delle fonti, non si connota per essere tanto esteso e pregnante al punto da imporre all'organizzazione statuale di impedire in ogni caso che siano commesse condotte tali da mettere in pericolo o ledere il bene della vita dei consociati e, quindi, di rispondere civilmente qualora tali eventi si verifichino. Quel che � imposto allo Stato �, semmai, il dovere di adottare un adeguato sistema protettivo, di carattere generale, adeguato a prevenire quanto pi� possibile la commissione di fatti volti a ledere il bene della vita. Dalla sentenza penale del tribunale veneziano non emerge che, prima della commissione dell'omicidio, fossero stati posti in essere comportamenti, da parte del N., della Z. o di altri, tali da richiedere l'intervento dell'autorit� di polizia o di altre autorit� pubbliche, n� emerge che fosse stata segnalata da chicchessia la presenza di situazioni (ad esempio: molestie o comportamenti violenti) che avrebbero richiesto una qualche forma di intervento, in funzione preventiva di eventi idonei a provocare conseguenze pi� gravi in danno della Z.. In relazione a tale profilo di responsabilit�, la domanda � quindi infondata. 4 - Con riferimento alla pretesa fatta valere con riferimento a quanto prescritto dalla direttiva 2004/80/CE del Consiglio ("relativa all'indennizzo delle vittime di reato"), si osserva quanto segue. 4.1 Come si desume innanzitutto da quanto esposto nei "considerando", la direttiva � volta a creare un sistema che consenta alle persone fisiche che siano state vittime di reati intenzionali violenti, nell'ambito del territorio dell'Unione Europea, "di ottenere un indennizzo equo ed adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal luogo della Comunit� europea in cui il reato � stato commesso" (cons. 6), e quindi anche "nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede" (cons. 11), la quale dovrebbe essere posta in condizione di rivolgersi sempre ad un'autorit� del proprio Stato membro di residenza" (cons. 12). Dal decimo "considerando" si trae il principio per cui l'indennizzo pu� essere richiesto agli Stati membri nei casi in cui "le vittime del reato, ... non possono ottenere un risarcimento dall'autore del reato, in quanto questi pu� non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure pu� non essere identificato o perseguito". 4.2 Il Capo I della direttiva disciplina l'Accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere ed � riferito alle ipotesi in cui "un reato intenzionale violento � stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui il richiedente indennizzo risiede abitualmente" (art. 1). Il Capo II, invece, � volto a disciplinare - nell'unico articolo che lo compone - i Sistemi di indennizzo nazionali. Il secondo comma dell'art. 12, infatti, prevede che tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l�esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime". Il primo comma prescrive che le disposizioni riguardanti l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere dovranno essere applicate sulla base dei vari sistemi nazionali, la cui costituzione � prevista dal secondo comma. La direttiva, quindi, impone agli stati membri di adottare normative che consentano alle vittime di reati intenzionali violenti in essi residenti, ove ne ricorrano i presupposti, di ottenere l'indennizzo sia qualora il reato sia commesso nello Stato di residenza, sia qualora sia commesso in un altro Stato membro; in tal caso la richiesta sar� formulata allo Stato di residenza (v. anche cons. 12), allo scopo di "facilitare l'accesso all'indennizzo". La creazione di sistemi di indennizzo in ciascuno Stato membro, per i reati commessi sul proprio territorio in danno di residenti, costituisce quindi il necessario presupposto per consentire al residente che abbia subito la lesione in un altro Stato membro, di richiedere l'indennizzo al proprio Stato di residenza. Che la direttiva imponga la creazione del sistema per indennizzare i residenti che siano stati vittime di reati violenti nei territori del proprio Stato (e non solo in situazioni transfrontaliere) lo si desume - oltre che dal settimo considerando - anche dalla previsione relativa all'attuazione, contenuta al primo comma dell'art. 18, che individua due distinti termini perch� gli Stati membri si conformino: il 1.1.2006, di carattere generale, e il 1.7.2005, per il solo articolo 12, paragrafo 2. La previsione della duplicit� del termine trova giustificazione nell'esigenza che i sistemi di indennizzo di ciascuno Stato membro siano gi� predisposti al momento dell'entrata in funzione, in tutti gli Stati membri, delle strutture deputate al coordinamento tra gli Stati, allo scopo di dare realizzazione concreta al diritto all'indennizzo per le situazioni transfrontaliere. Per tali ragioni deve concludersi che con la direttiva 2004/80/CE � stato imposto agli Stati membri l'obbligo di adottare un sistema che consenta di percepire l'indennizzo di cui si tratta anche alle vittime di reati violenti che risiedano nel medesimo Stato in cui � stato commesso il reato (in tal senso anche C. App. Torino, n. 106 del 23.1.2012). 4.3 La Repubblica Italiana non ha integralmente adempiuto all'obbligo di conformarsi alla direttiva, nella parte in cui impone l'adozione di "sistemi di indennizzo nazionali". Come condivisibilmente gi� affermato dalla citata sentenza della Corte di Appello di Torino n. 106/2012, il D.lgs. 6.11.2007, n. 204 ("Attuazione della direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato"), non ha dato completa attuazione alla direttiva, poich� si � limitato a regolare (peraltro tardivamente) la procedura per l'assistenza alle vittime di reato, commesso in un altro Stato membro, le quali risiedano in Italia (art. 1), ma non ha dato attuazione al disposto dell'art. 12, par. 2, della direttiva, che imponeva agli Stati membri di provvedere a che la normativa interna prevedesse un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, entro il termine del 1.7.2005, previsto dall'art. 18). Se � infatti vero che sussistono numerose norme interne volte ad assicurare, anche in forma indennitaria, la tutela delle vittime di reati violenti commessi nel territorio dello Stato italiano (ad es., in materia di reati di criminalit� organizzata di stampo mafioso o di terrorismo), � anche vero che in Italia "non esiste alcun sistema di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalit� comune" (come riconosciuto dalle Amministrazioni convenute nella comparsa di risposta, alla pag. 7). Ci� premesso, il tribunale ritiene che non possa esser posto in dubbio che il delitto di omicidio volontario costituisca un "reato intenzionale violento". Come si � detto, per i danni conseguenti alla commissione di tale delitto - ove la fattispecie concreta non sia riconducibile, come nel caso in esame, alle specifiche tipologie contemplate dalle norme vigenti - l'ordinamento interno non prevede attualmente alcuna forma di tutela indennitaria qualora la vittima non riesca a conseguire il risarcimento del danno. In conclusione, lo Stato Italiano non ha dato compiuta attuazione alla direttiva 2004/80/CE, non colmando i vuoti di tutela in favore delle vittime di reati violenti intenzionali, nel cui ambito rientra la situazione oggetto del presente giudizio. 4.4 La questione relativa all'inadempimento degli Stati membri all'obbligo di conformarsi alle direttive comunitarie � stata da tempo affrontata dalla Corte di giustizia del- l'Unione. Nella sentenza 3 ottobre 2000, nella causa C-371/97, Gozza, la Corte di giustizia, richiamando le pronunce 13 novembre 1990, in causa C-106/89, Marleasing, e 16 dicembre 1993, nella causa C-334/92, Wagner-Miret, ha affermato che il giudice nazionale � tenuto a far conseguire il risultato previsto dalla direttiva rimasta priva di attuazione nell'ordinamento interno (o priva di esatta attuazione) mediante un'interpretazione adeguatrice delle norme nazionali. Spetta, quindi, al giudice nazionale accertare se il contenuto del diritto attribuito dalle norme comunitarie e l'istituzione tenuta al pagamento possano essere determinati sulla base dell'insieme delle disposizioni del diritto interno (sentenza 25 febbraio 1999, nella causa C-131/97, Carbonari, punto 50) e, quando ci� non sia possibile, riconoscere ai singoli la facolt� di agire per il risarcimento dei danni, sempre che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che la violazione sia sufficientemente grave e manifesta e che sia provato il nesso di causalit� fra la violazione dell'obbligo da parte dello Stato e i danni lamentati dai singoli (punto 38 della sentenza Gozza e punto 52 della sentenza Carbonari; v. anche Corte di giustizia 19 novembre 1991, nelle cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich, punto 46). Quanto ai rimedi a tutela dei soggetti danneggiati spetta quindi al giudice nazionale far conseguire il risultato previsto dalla direttiva rimasta priva di attuazione nell'ordinamento interno, accertando se questa possa essere direttamente applicata ai singoli, in quanto sufficientemente dettagliata, ovvero - quando ci� non sia possibile - riconoscendo ai singoli la facolt� di agire per ottenere il risarcimento dei danni cagionati dall'inadempimento. A tale riguardo sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte, affermando che: "In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/0CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi pi� volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto - anche a prescindere dall'esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria - allo schema della responsabilit� per inadempimento dell'obbligazione 'ex lege' dello Stato, di natura indennitaria per attivit� non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell'ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell'ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non � subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall'ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un'idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all'adempimento di una obbligazione 'ex lege' riconducibile all'area della responsabilit� contrattuale, all'ordinario termine decennale di prescrizione" (Cass. SU, sentenza n. 9147 del 17.4.2009). Il Tribunale ritiene che nel caso in esame n� le norme dell'ordinamento interno, n� la direttiva 2004/80/CE, consentano di determinare ogni elemento dell'obbligazione indennitaria gravante sullo Stato italiano, con riferimento sia al contenuto dell'obbligazione (in particolare: ammontare dell'indennizzo), sia all'istituzione tenuta alla corresponsione dell'indennizzo. Il soggetto interessato potr� quindi far valere soltanto l'azione risarcitoria, nei termini delineati dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 9147/2009, per essere tenuto in denne - non dal pregiudizio arrecato dal soggetto attivo del reato, bens� - dal pregiudizio arrecato dall'inadempimento dello Stato, consistente, nel caso in esame, nell'impossibilit� di ottenere l'erogazione dell'indennizzo 'equo ed adeguato". 4.5 Per quanto attiene ai presupposti di carattere generale, la cui sussistenza � necessaria perch� lo Stato possa essere chiamato a rispondere del proprio inadempimento, si rileva: -che la direttiva 2004/80/CE � preordinata a conferire alle singole vittime di reati intenzionali violenti, alle quali non sia stato possibile conseguire il risarcimento del danno dal reo, il diritto a percepire dallo Stato membro di residenza l'indennizzo equo ed adeguato; -che la violazione commessa dallo Stato italiano � grave e manifesta, poich� sono rimaste del tutto sfornite di tutela le posizioni dei soggetti residenti, lesi da condotte violente - anche della massima gravit�, quale � l'omicidio - commesse in Italia, non ispirate dalle particolari finalit� o commesse nell'ambito dei particolari contesti disciplinati dalle norme interne preesistenti; -che se lo Stato italiano avesse adempiuto integralmente agli obblighi su di esso gravanti in base alla direttiva, a tali soggetti sarebbe possibile richiedere l'erogazione dell'indennizzo all'istituzione che la norma di adeguamento avrebbe dovuto individuare (ed ottenere l'erogazione, ove ricorrano i requisiti di carattere specifico, di cui si dir� oltre). 4.6 Come precedentemente evidenziato, in base alla direttiva 2004/80/CE, interpretata anche con riferimento a quanto esposto nei "considerando", gli Stati membri sono tenuti a prevedere la corresponsione dell'indennizzo (v., in particolare, il considerando n. 6) qualora ricorrano contestualmente le seguenti situazioni: -quando sia stato commesso un reato intenzionale violento; -quando la vittima non possa ottenere un risarcimento dall'autore del reato, poich� questi non possiede le risorse necessarie, oppure perch� non pu� essere identificato o perseguito; -quando sia stata emessa una pronuncia di condanna al risarcimento dei danni nei confronti dell'autore del reato e in favore della vittima. L'indennizzo allo Stato di residenza pu� quindi essere chiesto dal soggetto in cui favore sia stata emessa una condanna al risarcimento del danno, il cui credito non possa essere soddisfatto, per le ragioni sopra indicate. La necessit� della verificazione di tali presupposti discende dalla funzione sussidiaria attribuita all'intervento degli Stati membri, la quale segue le ordinarie fasi dell'accertamento della sussistenza del danno e della sua provenienza da una condotta qualificabile come "reato intenzionale violento", nonch� della condanna dell'autore, se identificabile o perseguibile; qualora lo sia, dovr� anche essere esperito il tentativo di ottenere la corresponsione del risarcimento sulla base delle norme interne o, comunque, dovranno emergere le ragioni da cui desumere che quello non possieda le risorse necessarie. 4.7 Con riferimento al caso in esame, si � gi� detto che l'omicidio volontario costituisce un reato intenzionale violento. La responsabilit� penale di L.N. per avere cagionato la morte di J.Z., inoltre, � stata provata mediante il deposito della sentenza del Tribunale di Venezia, il cui passaggio in giudicato � stato allegato dagli attori (pag. 2 dell'atto di citazione) e non contestato dai convenuti. A ci� deve aggiungersi che il rapporto di parentela che legava gli attori alla vittima, non contestato, consente di qualificare i primi come "prossimi congiunti" della seconda ai sensi dell'art. 187 c.p. e che pertanto gli attori possano astrattamente beneficiare della tutela accordata dalla direttiva 2004/80/CE, essendo la vittima deceduta in conseguenza del reato. In base alla norma interna (art. 90, comma 3, c.p.p.), infatti, "qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facolt� ed i diritti attribuiti dalla legge alla persona offesa possono essere esercitati dai prossimi congiunti". Per quanto attiene all'impossibilit� di ottenere la corresponsione del risarcimento da parte di L.N., il tribunale ritiene che il fatto che non sia stata esperita alcuna azione esecutiva nei confronti dell'autore del reato (circostanza neppure allegata) non preclude il riconoscimento della condizione di insolvibilit�, poich� questa pu� essere adeguatamente desunta dalla circostanza che il N. era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato (come affermato alla pag. 78 della sentenza penale) e dalla successiva condizione di detenuto perdurante dal 7.5.2006 (pag. 17 della sentenza), da ritenersi ancora in corso, essendo stato il N. condannato alla pena di trenta anni di reclusione. Il tribunale ritiene, infine, che il presupposto costituito dalla pronuncia della sentenza di condanna al risarcimento del danno cagionato dalla commissione del reato intenzionale violento si sia verificato in relazione alla sola A.M.G. in favore della quale, in veste di parte civile costituita nel processo penale, � stata emessa la condanna del N. al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, con assegnazione della somma di � 80.000,00 a titolo di provvisionale provvisoriamente esecutiva, ai sensi dell'art. 539 c.p.p.. 4.8 Come evidenziato in precedenza, non risulta invece che L.N. sia stato condannato, in sede penale o civile, a risarcire anche il danno subito da G.G.. La domanda di condanna al risarcimento del danno proposta da quest'ultimo nei confronti delle Amministrazioni convenute non pu� quindi essere accolta, non essendo verificatosi uno dei presupposti richiesti dalla direttiva 2004/80/CE per beneficiare della tutela indennitaria a carico dello Stato. 5 - Come precedentemente illustrato, il soggetto che � stato leso dall'inadempimento dello Stato italiano all'obbligo di conformarsi alla direttiva, pu� agire per ottenere il risarcimento del danno cagionato dalla condotta inadempiente dello Stato. 5.1 Nel caso in esame il danno � costituito dalla mancata percezione della somma che sarebbe stata erogata a titolo di indennizzo, qualora fosse stata data attuazione completa alla direttiva. L'indennizzo correlato al danno subito si differenzia dal risarcimento del medesimo danno anche per non essere di entit� necessariamente corrispondente all'integrale pregiudizio subito dal danneggiato, e ci� proprio in considerazione della funzione da esso assolta, di natura pubblicistica in quanto volta ad assicurare, ripartendone gli oneri a carico della collettivit�, la compensazione (e non l'integrale ristoro) del disagio causato da determinati eventi pregiudizievoli, predeterminati dalla legge che disciplina o dovrebbe disciplinare l'indennizzo. In particolare, l'indennizzo che avrebbe dovuto essere riconosciuto ad A.M.G. non sarebbe stato corrispondente alla somma che sarebbe stata liquidata a titolo risarcitorio a carico di L.N., ma avrebbe dovuto essere determinato - secondo gli specifici criteri prescelti dal legislatore nazionale con riferimento ai concetti di equit� ed adeguatezza. Esso non avrebbe potuto essere perci� meramente simbolico, ma in ogni caso idoneo a consentire una forma di ristoro del pregiudizio subito, e avrebbe dovuto essere proporzionato alla gravit� del reato e quindi del bene della vita su cui la condotta dell'agente ha inciso. Il danno risarcibile subito dalla Giannone in conseguenza dell'inadempimento dello Stato italiano all'obbligo di conformarsi alla direttiva - danno che costituisce oggetto di accertamento nel presente giudizio - coincide quindi con l'ammontare dell'indennizzo che avrebbe dovuto esserle corrisposto e non con l'ammontare delle somme che il N. avrebbe dovuto corrisponderle a titolo risarcitorio. 5.2 La vicenda oggetto del presente giudizio si caratterizza per non essere stata pronunciata alcuna sentenza che liquida integralmente il danno subito dalla G. in conseguenza della condotta tenuta dal N.. La sentenza penale, infatti, ha natura di condanna generica, avendo accertato la sussistenza del diritto al risarcimento e demandato ad altra sede processuale l'accertamento dell'entit� del danno e la sua liquidazione. Il tribunale ritiene che nella presente sede non pu� procedersi alla liquidazione integrale del danno subito dall'attrice in conseguenza della commissione del reato, supplendo alla carenza di una pronuncia giudiziale che vi abbia gi� provveduto. Ci� perch� la previa liquidazione giudiziale del danno risarcibile costituisce, in base alla direttiva 2004/80/CE, uno dei presupposti condizionante la sussistenza del diritto alla percezione dell'indennizzo. Il richiamo alla "condanna al risarcimento dei danni" a cui il reo non pu� ottemperare, contenuto nel decimo considerando, deve infatti �ssere inteso in senso ampio, comprensivo della previa operazione di accertamento della responsabilit� sia penale (trattandosi di vittime di reati), che civile (trattandosi di risarcimento del danno), ed anche dell'operazione di accertamento dell'entit� del danno (con riferimento ad ogni sua componente, quali il danno non patrimoniale e patrimoniale). Soltanto una volta che siano accertate giudizialmente la sussistenza e l'entit� del danno, il cui risarcimento � posto a carico dell'autore del reato, e verificatasi l'impossibilit� di ottenerne la percezione, il danneggiato potr� quindi richiedere l'indennizzo. Ritiene tuttavia il tribunale che la disposta liquidazione di una somma a titolo di provvisionale provvisoriamente esecutiva e la relativa pronuncia di condanna costituiscano, sia pure nei limiti che saranno di seguito esposti, il presupposto della "condanna al risarcimento dei danni" occorrente per far sorgere il diritto all'indennizzo in caso di impossibilit� di riscossione nei confronti dell'autore del reato. L'art. 539, comma 2, c.p.p. prevede infatti che la condanna al pagamento della provvisionale possa essere emessa "nei limiti del danno per cui si ritiene gi� raggiunta la prova", sicch� pu� ritenersi compiuto l'accertamento giudiziale, quanto meno entro l'ammontare della somma liquidata (� 80.000,00), dell'ammontare del danno risarcibile posto a carico di L.N.. 6 Come precedentemente esposto, l'ammontare dell'indennizzo dovuto dallo Stato in virt� della direttiva 2004/80/CE potrebbe non corrispondere alla somma liquidata a titolo risarcitorio a carico dell'autore del reato. Il tribunale ritiene per� che nel caso in esame i canoni dell'equit� e dell'adeguatezza siano soddisfatti determinando l'ammontare dell'indennizzo in misura corrispondente all'intero importo liquidato dal giudice penale a titolo di provvisionale. Tale importo rappresenta, infatti, l'ammontare minimo del risarcimento integrale del danno che potrebbe essere liquidato in sede civile. Avendo inoltre riguardo all'estrema gravit� del fatto-reato (omicidio), alle modalit� di commissione del fatto, come descritto alle pagg. 28 e 29 della sentenza penale, alla circostanza che J.Z. era in avanzato stato di gravidanza e che A.M.G. ha quindi perso non soltanto la figlia, ma anche il nipote nascituro, pu� effettuarsi una valutazione di carattere prognostico secondo la quale il solo danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale con la figlia sarebbe stato liquidato in misura superiore di quella determinata quale provvisionale. 7 - Il danno cagionato ad A.M.G. dalla condotta inadempiente tenuta dallo Stato, ammonta quindi ad � 80.000,00. Poich� la responsabilit� dello Stato ha natura indennitaria (Cass., SU., sent. n. 9147 del 17.4.2009, cit.), sulla somma liquidata non pu� computarsi la rivalutazione monetaria, ma soltanto gli interessi moratori al saggio legale decorrenti dalla data di proposizione della domanda giudiziale (11.9.2008). Tenuta al risarcimento del danno � soltanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri, questo essendo il soggetto istituzionale che rappresenta lo Stato rispetto all'attivit� legislativa di recepimento delle direttive europee, non attribuita ad alcun ministero, a prescindere dalle competenze a questo attribuite. Infatti, ai sensi dell'art. 3. del D.Lgs. n. 303/99, spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare l'azione del Governo diretta ad assicurare la piena partecipazione dell'Italia all'Unione Europea e lo sviluppo del processo di integrazione europea. In particolare, poi, al secondo comma � stabilito che compete al Presidente del Consiglio la responsabilit� per l'attuazione degli impegni assunti nell'ambito dell'Unione Europea. Ne consegue che, sulla base della prospettazione attorea ed in relazione alla disciplina prevista per il rapporto controverso, l'unico soggetto su cui grava l'obbligo risarcitorio � la Presidenza del Consiglio dei Ministri, organo al quale la legge rimette il compito di recepire la normativa comunitaria e che, conseguentemente, ha la responsabilit� in caso di mancata o tardiva attuazione nell'ordinamento interno. Si dispone la compensazione delle spese processuali tra tutte le parti, in considerazione della novit� della questione e della carenza di precedenti al momento della proposizione della domanda (sia la citata sentenza della Corte di Appello di Torino, sia l'impugnata sentenza di primo grado sono infatti successive all'introduzione del presente giudizio; non constano altre pronunce in merito alla questione oggetto di causa). P.Q.M. Il Tribunale, disattesa ogni diversa domanda, eccezione, difesa ed istanza, definitivamente decidendo sulle domande proposte da G.G. ed A.M.G. e nei confronti della PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI e del MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, cos� provvede: a) rigetta la domanda proposta da G.G.; b) condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di A.M.G.della somma di � 80.000,00, oltre ad interessi al saggio legale ex art. 1248 c.c. maturati dall�11.9.2008, fino al pagamento; c) compensa le spese processuali tra tutte le parti. Cos� deciso in Roma, il 4.11.2013 All. 2) Cont. 12280/2013 Avv. G. Palatiello CORTE DI GIUSTIZIA DELL�UNIONE EUROPEA OSSERVAZIONI del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell'Agente designato per il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia. nella causa C-122/13 promossa ai sensi dell'art. 267, TFUE, dal Tribunale civile di Firenze (Italia) con ordinanza del 20.2 - 15.3.2013. * * * I. La questione pregiudiziale. 1. Con ordinanza in data 20 febbraio/15 marzo 2013, il Tribunale civile di Firenze ha chiesto a codesta Corte di Giustizia dell�Unione Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale, ai sensi dell�art. 267 TFUE, sulla seguente questione: �1) Se l�art. 12 della direttiva 2004/80/CE debba essere interpretato nel senso che esso permette agli Stati membri di prevedere l�indennizzo per le vittime di alcune categorie di reati violenti o intenzionali od imponga invece agli Stati membri, in attuazione della citata Direttiva, di adottare un sistema di indennizzo per le vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali�. II. I fatti e la causa principale. 2. Con ricorso ex artt. 702 bis e ss. c.p.c. una cittadina italiana ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze la Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di sentir accertare la responsabilit� della stessa per la mancata attuazione della Direttiva n� 2004/80/CE del Consiglio relativa all�indennizzo per le vittime di reato, ed ottenere la condanna dello Stato italiano al risarcimento dei danni, quantificati in � 150.000,00. 3. A sostegno della domanda la ricorrente deduce di aver subito violenza sessuale in Italia da parte di un cittadino extracomunitario, di essersi costituta parte civile nel processo penale promosso nei confronti del reo e di aver ottenuto, con la sentenza irrevocabile di condanna, una provvisionale di � 20.000,00, mai corrisposta e che il medesimo reo, al momento detenuto, � nullatenente, privo di dimora e di qualsiasi occupazione lavorativa; sicch� ella non avrebbe oggettivamente alcuna possibilit� di ottenere alcun risarcimento da parte del responsabile dell�odioso reato. 4. Secondo la ricorrente lo Stato Italiano si sarebbe reso inadempiente all�obbligo, asseritamente stabilito dall�articolo 12, comma 2, della Direttiva n. 2004/80/CE, di introdurre un sistema di indennizzo per le vittime di violenza sessuale ex artt. 609 bis e ss. c.p.. III. Osservazioni del Governo italiano. A) Base giuridica di diritto europeo. Profili di competenza. 5. Il diritto comunitario non � un ordinamento a fini generali, ma riceve i propri titoli di competenza attraverso i trattati, ossia gli atti con i quali gli Stati delegano volontariamente l'esercizio di alcuni poteri sovrani alle Istituzioni europee. 6. Di conseguenza, nelle materie escluse dalle disposizioni dei Trattati non pu� esservi competenza autonoma dell'Unione n�, a maggior ragione, pu� esistere un potere di quest'ultima di richiedere agli Stati membri l'armonizzazione delle disposizioni interne in posizione di supremazia funzionale (com'�, invece, nelle materie in cui la competenza sussiste). 7. � questo il caso del diritto penale, nell'ambito del quale si � avviata dapprima una forma di cooperazione con limitati poteri delle Istituzioni comunitarie (cd. "terzo pilastro" della Giustizia ed affari interni) per poi giungere ad una sistemazione pi� omogenea nell'ambito del Trattato di Lisbona, di recente entrato in vigore. 8. Pi� in particolare l�odierno Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea prevede, all'art. 82, una serie di poteri nell'ambito della "cooperazione giudiziaria in materia penale", volti a facilitare la circolazione e l'esecuzione dei provvedimenti giudiziari nello spazio europeo. �, viceversa, assente una qualsivoglia delega di poteri al livello di governo europeo rispetto al diritto penale sostanziale o processuale: pertanto gli Stati membri mantengono la piena sovranit� tanto sulla tipizzazione degli illeciti penali quanto sul rito e sulle sanzioni irrogabili. Ne � evidente conferma il successivo art. 83, il quale prevede che possano emanarsi direttive le quali intervengano a fissare "norme minime relative alla definizione del reati e delle sanzioni in sfere di criminalit� particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale". Segue un elenco, che si riferisce ai reati di terrorismo, tratta degli esseri umani, traffico internazionale di armi o stupefacenti ed altro. Va notato che non si � finora compiutamente proceduto nemmeno in tali materie. 9. Sono in ogni caso esclusi da questa sfera di possibile intervento tutti i reati non menzionati dall'elenco di cui all'art. 83, e che non presentano quindi - secondo il Trattato quel carattere transfrontaliero e di eccezionale rilievo sovranazionale che impone una definizione minima comune. 10. Pertanto, nonostante possano esservi reati di particolare gravit� ed allarme sociale, ci� non comporta alcuna cessione di competenza nei confronti del livello normativo europeo. 11. Il reato di violenza sessuale, cosi come quello di omicidio comune, permangono, pertanto, assoggettati alla competenza del legislatore nazionale, tanto sotto profilo della loro definizione quanto in merito al loro trattamento processuale, sanzionatorio e risarcitorio. 12. Non � giuridicamente fondata una ricostruzione comune dei reati predetti su base europea, poich� possono legittimamente sussistere differenze, anche di rilievo, tra le fattispecie penalistiche dei diversi ordinamenti nazionali. In sostanza, quindi, esistono tanti diversi reati di omicidio o di violenza quanti sono gli Stati membri, poich� diverse sono le caratteristiche impresse nella tipizzazione della norma penalistica. 13. Concludendo sul punto, il Diritto dell'Unione non ha, e non aveva nemmeno nel 2004 all'epoca dell'emanazione della direttiva, competenza per disciplinare il trattamento processuale dei reati di violenza comune, ivi comprese le loro conseguenze patrimoniali specifiche. Non vi � quindi nemmeno un potere delle Istituzioni europee di creare un fondo di indennizzo per reati che permangono nella competenza normativa statale. 14. La direttiva 2004/80/CE non contiene, dunque, al proprio interno alcun elemento di armonizzazione delle diverse fattispecie penali ad oggi esistenti nei Paesi membri. Lo dimostra, tra l'altro, l'assenza di una qualsiasi elencazione dei titoli di reato in relazione ai quali la direttiva potrebbe produrre effetti, cos� come di una definizione, seppur minima, dei reati armonizzati o equiparati. B) Caratteri e scopi della direttiva 2004/80/CE. 15. In ossequio alle coordinate ermeneutiche sopra illustrate, deve ritenersi che la direttiva in esame si ponga un obiettivo ben diverso dalla creazione di una responsabilit� patrimoniale, sia pure sussidiaria, degli Stati membri per tutti i reati intenzionali violenti commessi nel loro territorio. 16. Piuttosto, lo scopo della direttiva � ben chiarito dalla base giuridica che vi � posta a fondamento: il primo considerando fa riferimento alle competenze della Comunit� in materia di "libera circolazione delle persone e dei servizi", mentre il successivo considerando n. 9 dichiara che - mancando una specifica disposizione del Trattato - la direttiva � emanata sulla base della clausola delle "competenze sussidiarie", inserita all'art. 308 TCE (oggi art. 352 TFUE). Come noto, tale ultima disposizione viene utilizzata quando, agendo a latere di una competenza propria, il diritto comunitario espande il proprio ambito di applicazione, al mero fine di rendere efficace ed effettivo un diritto connesso alla propria competenza principale (nel caso di specie, la libert� di circolazione). 17. Lo scopo e le finalit� della Direttiva 2004/80/CE sono ulteriormente chiarite nei �considerando� che precedono l�articolato. In particolare, nel I� considerando, si legge che �uno degli obiettivi della Comunit� Europea consiste nell�abolizione degli ostacoli (�) alla libera circolazione delle persone (�)�, di cui la tutela dell�integrit� personale dei cittadini che si recano in un altro Stato membro costituisce un corollario (secondo �considerando�); a tal fine il settimo �considerando� precisa che �la presenta direttiva stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l�accesso all�indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori�. I successivi undicesimo, dodicesimo e quattordicesimo �considerando�, precisano poi, rispettivamente, che: - �dovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autorit� degli Stati membri per facilitare l�accesso all�indennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede�; - �questo sistema dovrebbe consentire alle vittime di reato di rivolgersi sempre ad un�Autorit� del proprio Stato membro di residenza e dovrebbe ovviare alle eventuali difficolt� pratiche e linguistiche connesse alle situazioni transfrontaliere�; - �il sistema dovrebbe comprendere le disposizioni necessarie a consentire alla vittima di trovare le informazioni richieste per presentare la domanda di indennizzo e a permettere una cooperazione efficiente tra le autorit� coinvolte�. 18. Dunque la direttiva in esame disciplina la procedura per l�accesso all�indennizzo delle vittime di reati violenti nelle situazioni c.d. �trasfrontaliere� e non attribuisce alcun diritto ai residenti verso il proprio Stato di residenza. 19. In sostanza, lo scopo e lo spirito della direttiva � quello di predisporre gli strumenti per un efficace contrasto alle possibili discriminazioni derivanti dal carattere transfrontaliero delle violazioni di norme penali. In particolare si vuole evitare che i cittadini di uno Stato membro, che esercitino la loro libert� di circolazione, possano essere ostacolati nell'accesso ai ristori loro dovuti, in conformit� con le norme nazionali applicabili alle circostanze, per il solo fatto di essere residenti all'estero o di non padroneggiare la lingua del Paese ove si procede. 20. Una volta chiarito che la direttiva si propone di costituire un quadro di garanzie volte ad evitare che le situazioni caratterizzate da elementi di estraneit� (ossia, appunto, le fattispecie transfrontaliere) vengano penalizzate o discriminate, va recisamente escluso che la medesima direttiva abbia inteso creare nuove e distinte situazioni giuridiche soggettive in capo alle vittime di reato, ed in particolare che ci� possa avvenire nei casi privi di un carattere transfrontaliero. 21. E ci� in quanto il diritto comunitario non disciplina le �situazioni meramente interne�, tanto che l�art. 12, par. 1, della direttiva prevede che le disposizioni riguardanti l�accesso all�indennizzo nelle situazioni trasfrontaliere si applicano all�interno degli Stati membri sulla base dei rispettivi sistemi, quindi entro i limiti nei quali un sistema di indennizzo sia stato gi� previsto. 22. L�indennizzo nelle c.d. situazioni transfrontaliere, in altre parole, � riconosciuto entro i limiti in cui i singoli ordinamenti (i�sistemi degli Stati membri�) riconoscono tale diritto ai propri cittadini. 23. Il legislatore comunitario, quindi, nell�ambito dei rapporti tra i singoli Stati membri ed i loro residenti, rimette alla discrezionalit� del legislatore interno la scelta della tipologia dei sistemi di indennizzo da prevedere. 24.Tale interpretazione �, del resto, coerente con la base giuridica della direttiva 2004/80. Essa � stata, infatti, adottata sulla base dell'art. 308 del Trattato CE (oggi art. 352 TFUE). Si tratta, come noto, di una norma residuale che consente l'adozione di misure normative non direttamente previste dai Trattati ma che si rendono necessarie per l'attuazione di una delle politiche affidate all'Unione dai trattati stessi. 25. Nel caso di specie, la direttiva 2004/80 rappresenta un intervento che fa da cornice e da integrazione-attuazione al diritto di libera circolazione delle persone, come chiarito dai considerando nn. 1 e 9. Manca, quindi, nel testo della norma qualsiasi intento di intervenire nella materia penalistica, n� armonizzando le fattispecie o anche solo condizionando anche indirettamente il legislatore nazionale competente a codificarle, n� tantomeno ridisciplinando l'istituto del risarcimento del danno conseguente, ovvero creando ex novo dei fondi di indennizzo che sostituiscano l'inadempimento del responsabile del reato. 26. Nell�ambito dell�ordinamento italiano gi� esistono numerose leggi speciali che prevedono sistemi di indennizzo (1) in relazione ad alcune specifiche tipologie di reati (asso (1) Nell�ordinamento italiano sono presenti numerose norme settoriali che disciplinano l�erogazione di speciali elargizioni a favore di particolari categorie di vittime di reato, indicate nel seguente elenco: 1) legge 13 agosto 1980, n. 466, articoli 3 e 4, recante norme in ordine a speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche; 2) legge 20 ottobre 1990, n. 302, articoli 1, 3, 4 e 5, recante norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalit� organizzata; 3) decreto legge 31 dicembre 1991, n. 419 - convertito dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172 - articolo 1, di istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive; 4) legge 8 agosto 1995, n. 340, articolo 1 - nel quale sono richiamati gli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990 - recante norme per l�estensione dei benefici di cui agli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990, ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica; 5) legge 7 marzo 1996, n. 108, articoli 14 e 15 recante disposizioni in materia di usura; 6) legge 31 marzo 1998, n. 70 articolo 1 - nel quale sono richiamati gli articoli 1 e 4 della legge n. 302/1990 - recante benefici per le vittime della cosiddetta �Banda della Uno bianca�; 7) legge 23 novembre 1998, n. 407, articolo 2, recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalit�; 8) legge 23 febbraio 1999, n. 44 articoli 3, 6 , 7 e 8 recante norme in materia di elargizioni a favore dei soggetti danneggiati da attivit� estorsiva; 9) D.P.R. 28 luglio 1999, n. 510, art. 1, regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalit� organizzata; 10) legge 22 dicembre 1999, n. 512, articolo 4, recante istituzione del Fondo di rotazione per la solidariet� alle vittime dei reati di tipo mafioso; 11) decreto legge 4 febbraio 2003, n. 13 - convertito con modificazioni dalla legge n. 56/2003 - recante disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalit� organizzata; 12) decreto legge 28 novembre 2003, n. 337 - convertito con modificazioni dalla l.n. 369/2003- articolo 1, recante disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all�estero; 13) legge 3 agosto 2004, n. 206, articolo 1, recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice; 14) Legge 23 dicembre 2005, n. 266, finanziaria 2006, che all�articolo 1 commi 563, 564 e 565, detta disposizioni per la corresponsione di provvidenza alle vittime del dovere, ai soggetti equiparati ed ai loro familiari; 15) Legge 20 febbraio 2006, n. 91 norme in favore dei familiari dei superstiti degli aviatori italiani vittime dell�eccidio avvenuto a Kindu l�11 novembre 1961; 16) D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 regolamento concernente termini e modalit� di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati. ciazione mafiosa, usura etc., etc.), individuate per il particolare allarme sociale che suscitano e per la loro pervasivit�, ma non esiste alcun sistema di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalit� comune. 27.Da quanto appena esposto, pertanto, pu� inferirsi che la direttiva 2004/80/CE non costituisce fonte di alcun diritto direttamente azionabile dai residenti nei confronti del loro Stato di appartenenza. 28. La tesi qui patrocinata - ovvero la necessaria riferibilit� alle sole situazioni c.d. transfrontaliere - �, del resto, confermata dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunit� Europee, la quale ha avuto modo di affermare che �la direttiva istituisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l�accesso all�indennizzo in situazioni transfrontaliere. Essa intende assicurare che, se un reato intenzionale violento � stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente, quest�ultima sia indennizzata da tale primo Stato� (Corte di Giustizia sent. n. 467 del 28 giugno 2007). C) Interpretazione dell�art. 12, comma 2, della direttiva 2004/80/CE. 29. Anche quanto previsto nel comma secondo dell�art. 12 della direttiva in esame dovr�, pertanto, essere interpretato alla luce della predetta ratio, tenendo, cio�, ben presente che l�unico diritto che la normativa comunitaria attribuisce attiene alle situazioni transfrontaliere. 30. La Direttiva stabilisce dunque - al predetto art. 12, comma 2 - che: �Tutti gli Stati membri provvedano a che le loro normative nazionali prevedano l�esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime�. 31. Tale disposizione non pu� che essere interpretata alla luce di quanto disposto dal gi� esaminato comma 1 (�le disposizioni della presente direttiva riguardanti l�accesso all�indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori�), nel senso che l�art. 12, mentre nel comma 1 rimanda ai sistemi di indennizzo gi� previsti dai singoli Stati membri, nel comma 2 prescrive agli altri Stati membri -che ne siano sprovvisti - di predisporre un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. 32. Il comma 2, in altri termini, non si applica agli Stati membri (come l�Italia) che, all�entrata in vigore della direttiva, si fossero gi� dotati di un tale sistema di indennizzo (si veda nota 1), n� � possibile ritenere - come prospettato dal giudice di rinvio - che il legislatore europeo abbia voluto imporre a tutti gli Stati membri (e quindi anche a quelli, come l�Italia i cui ordinamenti gi� prevedevano, al 1� luglio 2005, un adeguato sistema di indennizzo delle vittime de quibus) di introdurre, con legge o norma equiordinata, una ulteriore ipotesi di indennizzo (rispetto a quelle gi� esistenti de iure condito) in favore delle vittime del reato di violenza sessuale. 33. La direttiva, quindi, non impone affatto la creazione di speciali fondi di indennizzo a carico dello Stato, ma mira a far s� che esista all'interno dell'ordinamento nazionale almeno un sistema per la compensazione dei danni da reato, che verr� applicato alle fattispecie e con le forme dettate dall'ordinamento nazionale. Ci� � confermato dall'espressa dizione del settimo considerando della direttiva, che afferma "la presente direttiva stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, che dovrebbe operare sulla base dei sistemi nazionali degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti". 34. Va, quindi, osservato come la direttiva escluda esplicitamente una sovrapposizione con le scelte dei legislatori nazionali, che dispongono, peraltro, dei propri bilanci pubblici in modo autonomo, allorquando non si verta in materia di risorse partecipate dall'UE, e che non hanno allo stato delegato le istituzioni europee a normare in materia di sostegni finanziari per le politiche criminali in questione. 35. Analogamente non sussistono elementi tali da poter attribuire un senso onnicomprensivo all'espressione "reati intenzionali violenti", come se la direttiva avesse l'effetto di rendere indennizzabili tutti i fatti che rientrino in tale locuzione. Al contrario, manca nella direttiva anche solo una definizione del termine, mentre nella tecnica legislativa comunitaria si � consolidata la prassi di definire la portata delle espressioni normative quando la norma produce effetti cogenti o innovativi specifici. 36. � significativo notare, peraltro, che l'art. 12 citato si colloca come articolo unico all'interno del capo II della direttiva, rubricato "sistemi di indennizzo nazionali", di talch� appare del tutto improprio ricavare da tale sezione la volont� di costituire un sistema unico europeo di indennizzo. 37. Un ulteriore argomento a sostegno delle tesi qui patrocinate si ricava dalla previsione, nel corpo dell�art. 18, comma. 1, della direttiva, di due diversi termini per l'attuazione della stessa: un primo termine, fissato al 1� luglio 2005, entro il quale gli Stati membri (sprovvisti di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti) avrebbero dovuto dare attuazione alla disposizione contenuta nell'art. 12, comma 2, dando immediata comunicazione alla Commissione delle norme approvate al riguardo; ed un secondo, e successivo termine, fissato al 1� gennaio 2006, entro il quale, sulla base dei sistemi di indennizzo introdotti ex art. 12, par. 2, cit., �mettere in vigore� �le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva�. 38. Il termine del 1� luglio 2005 per l'attuazione dell'art. 12, comma 2, �, dunque, stabilito per i soli Stati membri che, sprovvisti di sistemi di indennizzo per le vittime di reati violenti, debbano introdurli ex novo nei rispettivi ordinamenti, onde, poi, potersi conformare, nel successivo termine del 1� gennaio 2006, alle altre norme della direttiva, di natura organizzativa e procedurale, poste a tutela delle situazioni transfrontaliere. 39. Ne � riprova il fatto che la Commissione Europea ha contestato alla Repubblica Italiana unicamente il mancato adempimento, entro il secondo termine menzionato nell'art. 18, par. 1, (1� gennaio 2006), dell'obbligo di adottare �le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva�, e non anche l'inadempimento del par. 2 dell�art. 12; e ci�, evidentemente, perch� la Repubblica Italiana, come si � visto, era gi� munita di un articolato sistema di indennizzo per varie categorie di reati intenzionali violenti (cfr. Corte di Giustizia CE, Sent. 112 del 29 novembre 2007), non imponendo, viceversa, la direttiva alcun obbligo di prevedere forme di indennizzo anche per il reato di violenza sessuale. 40. Del resto, il predetto 12, � 2, della Direttiva 2004/80/CE si distingue, come gi� rilevato in precedenza, dalle altre norme della Direttiva: a differenza di queste ultime (che prevedono in maniera dettagliata gli adempimenti di ciascuno Stato membro in ordine alla predisposizione della procedura per la presentazione della domanda di indennizzo), l�art. 12, comma 2, non effettua affatto una puntuale ricognizione delle singole fattispecie di reato cui riconnettere l�obbligo di indennizzo, n� fornisce criteri atti a determinare la misura �equa� della somma da riconoscere alle vittime, limitandosi ad enumerare il duplice criterio della �intenzionalit�� e della �natura violenta� del crimine. 41. � evidente che sul punto il legislatore comunitario, conformemente alla clausola di cui al comma 1 dell�art. 12 (che prevede il limite rappresentato dai sistemi indennitari di ciascuno Stato membro), ha inteso, all�art. 12 comma 2, demandare ai singoli ordinamenti l�individuazione delle fattispecie indennizzabili e dei parametri in base ai quali determinare il quantum dell�indennizzo stesso. 42. Dunque, l�art. 12, comma 2, della direttiva richiamata non � di diretta applicabilit�, ma necessita, al contrario, della intermediazione della Autorit� pubblica statale, comportando soltanto l�obbligo di raggiungere un determinato risultato, senza contenere alcuna definizione puntuale dei criteri cui il legislatore interno deve attenersi nel raggiungerlo. 43. Le determinazioni in parola rientrano, pertanto, nella esclusiva competenza del legislatore interno, senza che allo stesso possano essere mossi rimproveri di inadempimento al diritto comunitario. 44. La discrezionalit� che il legislatore comunitario lascia agli Stati membri nel determinare il modello di tutela indennitaria � amplissima, potendo la stessa - comՏ avvenuto in Italia - essere limitata solo ad alcune tipologie di reati ovvero essere subordinata a determinate condizioni (ad esempio, alla verifica del comportamento della vittima, che non deve avere, neppure colposamente, agevolato o provocato la commissione del reato, alla dimostrata insolvenza del responsabile del reato; e cos� via). 45. Che quella appena esposta sia la tesi preferibile, lo si pu� ricavare anche da altri argomenti. A questo riguardo, � sufficiente analizzare le vicende che hanno portato all�adozione della Direttiva in questione, muovendo dalla analisi della proposta presentata dalla Commissione il 16 ottobre 2002 (pubblicata in GUCE C 45 E/69 del 25 febbraio 2003). Nell�iniziale articolato, la sezione I, composta di ben 15 articoli, prevedeva espressamente quale obiettivo della Direttiva la fissazione di �norme minime per il risarcimento alle vittime� (art. 1); dettagliava (art. 2) l�ambito di applicazione soggettivo e territoriale, definendo la nozione di �vittima�; di �reato intenzionale� e di �lesioni personali�; prevedeva che fosse lo Stato membro sul cui territorio il reato � stato commesso ad erogare il risarcimento (art. 3); individuava (art. 4) i princ�pi relativi alla determinazione del- l�importo del risarcimento, prevedendo altre norme estremamente dettagliate, propedeutiche alla creazione di un sistema uniforme di risarcimento delle vittime di reato. 46. Dal confronto tra il testo della proposta ed il testo dell�attuale direttiva, emerge chiaramente come l�obiettivo iniziale sia stato abbandonato, a causa sia dell�impossibilit� di raggiungere un compromesso politico proprio sulla introduzione di norme c.d. minime, sia della difficolt� di individuare un�adeguata base giuridica nel trattato, che permettesse tale �invasione� delle competenze nazionali da parte del diritto comunitario. 47. Ritenere che tale sistema di norme c.d. minime sia stato comunque creato in forza del � 2 dell�art. 12 della Direttiva significherebbe vanificare il lavoro di mediazione che ha portato alla elaborazione del testo definitivo, facendo rivivere le parti della Direttiva che gli Stati membri non hanno voluto accettare, pretendendone l�eliminazione per dare il proprio consenso all�approvazione finale della Direttiva. 48. La conformit� dell�ordinamento italiano rispetto agli obblighi comunitari � peraltro confermata anche alla luce della comparazione con gli ordinamenti degli altri Paesi europei. Esemplificativamente, si ricorda infatti che: -secondo l�ordinamento greco, lo Stato risponde solamente per i reati posti in essere da parte dei pubblici ufficiali; -in Spagna, per l�indennizzo statale � richiesto che, in conseguenza del reato, si siano verificate la morte, le lesioni personali gravi ovvero gravi danni alla salute fisica o mentale; -nei Paesi Bassi, l�indennizzo da parte dello Stato � possibile solamente nel caso di decesso o lesioni gravi; -in base all�ordinamento austriaco, � ammissibile un indennizzo solo per il reato che abbia prodotto una lesione personale o un danno alla salute della vittima; -nella Repubblica Francese, � stato istituito un fondo che indennizza solo le vittime di reati gravi contro la persona ovvero di reati sessuali; -in Germania, infine, il diritto al risarcimento � condizionato alla presenza di una menomazione fisica o mentale quale conseguenza dell�aggressione violenta. Come si pu� vedere, ciascuno Stato membro ha modulato in via autonoma l�accesso all�indennizzo di cui alla direttiva comunitaria, a conferma del carattere ampiamente discrezionale dell�attivit� rimessa a ciascun ordinamento dal legislatore soprannazionale. 49. L�Italia, dal canto suo, ha ritenuto di dover circoscrivere la possibilit� di rivolgersi allo Stato a fini indennitari alle sole ipotesi di reato sopra elencate, le quali - con tutta evidenza - rappresentano le fattispecie delittuose pi� gravi del sistema penalistico interno. 50. Al riguardo giova nuovamente evidenziare che la Commissione Europea ha contestato alla Repubblica Italiana unicamente il mancato adempimento, entro il secondo termine menzionato nell'art. 18, par. 1, (1� gennaio 2006), dell'obbligo di adottare �le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva� <<poi effettivamente adottate con il D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 204>> e non anche l'inadempimento del par. 2 dell�art. 12, evidentemente ritenendo che la Repubblica Italiana si fosse gi� munita di un adeguato sistema di indennizzo per varie categorie di reati intenzionali violenti (cfr. Corte di Giustizia CE, Sent. 112 del 29 novembre 2007). 51. A ci� si aggiunga che la stessa Commissione Europea, in data 20 aprile 2009, ha predisposto una Relazione al Consiglio, al Parlamento Europeo ed al Comitato economico e sociale europeo sulla applicazione della Direttiva 2004/80/CE, nella quale vengono esaminati aspetti inerenti l�applicazione della disciplina, la sua efficacia e - soprattutto viene effettuata l�analisi comparata dei sistemi di indennizzo degli Stati membri, valutando la conformit� dei relativi sistemi con le disposizioni della direttiva medesima. 52. Ebbene, nella sezione 3.4.1 (�Esistenza di sistemi di indennizzo nazionali� ) l�unico ordinamento interno oggetto di censure risulta essere quello greco: �Tutti gli Stati membri, salvo la Grecia, garantiscono un indennizzo alle vittime di reati intenzionali contro la persona�. L�unica contestazione mossa all�Italia � invece quella inerente la mancata comunicazione delle misure di attuazione degli artt. 1-3 della Direttiva, relativi alla individuazione delle autorit� cui presentare la domanda (obbligo ora assolto con l�emanazione del D.lgs n. 204/2007). IV. Conclusioni 53. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere al quesito sottoposto al suo esame nel seguente modo: �L�art. 12, comma 2, della Direttiva 29 aprile 2004 n. 2004/80/CE (Direttiva del Consiglio relativa all�indennizzo delle vittime di reato) a mente del quale �tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un si stema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime�, deve essere interpretato non nel senso che gli Stati membri abbiano lo specifico obbligo di introdurre, nei rispettivi ordinamenti, norme nazionali che istituiscano forme generalizzate di indennizzo in favore delle vittime di tutti, indiscriminatamente, i reati intenzionali violenti <<come, ad esempio, il delitto di violenza sessuale ex artt. 609 bis e seguenti c.p., che viene in considerazione nel giudizio di rinvio>>, ma nel senso che tale disposizione della direttiva si limita ad imporre agli Stati membri che ne siano sprovvisti l�obbligo di predisporre un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, a prescindere dall�ampiezza di tale sistema e dalle singole ipotesi di reato ivi contemplate; di talch� il predetto art. 12, par. 2 non si applica agli Stati membri che, come l�Italia, gi� prevedessero, alla data del 1� luglio 2005, un adeguato sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori�. Roma, 2 luglio 2013 Giovanni Palatiello Avvocato dello Stato i giudizi in corso alla corte di giustizia ue I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Giuseppe Albenzio) nella causa C-537/11 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Genova (Italia) il 21 ottobre 2011 - Mattia Manzi, Compagnia Naviera Orchestra / Capitaneria di Porto di Genova. Materia: Ravvicinamento delle legislazioni Ambiente 1. Con ordinanza depositata il 20 giugno 2011 l�Autorit� Giudiziaria in epigrafe indicata ha sollevato davanti alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale, nell�ambito di un procedimento civile pendente tra le parti sopra riportate, chiedendo alla Corte di pronunciarsi su una serie di questioni attinenti alla interpretazione degli art. 2 e 4 bis della Direttiva 1999/32/CE, come modificata dalla Direttiva 2005/33/CE, circa il divieto di uso di combustibili marini con tenore di zolfo superiore al limite dell�1,5% per le navi passeggeri esercenti servizi di linea diretti a, oppure in provenienza da, porti dell�UE, in relazione alle divergenti disposizioni contenute nella Convenzione MARPOL 73/78. 2. Infatti, come si evince dagli atti di causa, la Compagnia Naviera Orchestra ed il suo comandante, sig. Manzi, invocano l�applicazione del maggior limite del 4,5% di contenuto di zolfo nei carburanti marittimi previsto dalla Convenzione internazionale MARPOL, Allegato VI (ratificato in Italia con Legge 57/2006) rispetto al limite dell�1,5% previsto dalle Direttive europee (recepite in Italia con il Decreto legislativo 205/2007) e, comunque, eccepiscono che il limite delle Direttive europee � rivolto alle navi che effettuano servizi di linea e non si applica alle navi da crociera. 3. Al fine di decidere la causa, il giudice rimettente, ha ritenuto di dover sottoporre all�esame della Corte i seguenti quesiti: �1) Se l�art. 4 bis della Direttiva 1999/32/CE, come modificato dalla Direttiva 2005/33/CE, adottata anche alla luce dell�entrata in vigore del- l�Allegato VI alla Convenzione MARPOL, debba essere interpretato, in ossequio al principio internazionale di buonafede ed al principio di leale collaborazione tra Comunit� e Stati Membri, nel senso che il limite dell�1,5% m/m di zolfo nei carburanti per uso marittimo previsto dal medesimo articolo non si applichi alle navi battenti bandiera di uno stato non UE contraente la convenzione MARPOL 73/78, allorquando esse si trovano nel porto di uno Stato membro, anch�esso contraente l�Allegato VI della Convenzione MARPOL 73/78; 2) Qualora l�art. 4 bis Direttiva 1999/32/CE, come modificato dalla Direttiva 2005/33/CE, non debba essere interpretato nel senso di cui al quesito n. 1, se il citato articolo, laddove prevede il limite dell�1,5% m/m del contenuto di zolfo dei combustibili per il carburante utilizzato da navi passeggeri che effettuano servizi di linea da o per un porto comunitario, anche se battenti la bandiera di uno Stato non UE, contraente la convenzione MARPOL, Allegato VI, in forza del quale, al di fuori delle aree SECA, si applica il limite del 4,5% m/m di zolfo, sia illegittimo per essere posto in contrasto con il principio generale di diritto internazionale pacta sunt servanda, nonch� con il principio di leale collaborazione tra Comunit� e Stati Membri, costringendo gli Stati Membri che hanno ratificato e stipulato l�Allegato VI, a venire meno agli obblighi assunti nei confronti degli altri Stati Contraenti l�Allegato VI della Convenzione MARPOL 73/78; 3) Se la nozione �servizio di linea� d� cui all�art. 2, punto 3 octies della Direttiva 1999/32/CE, come modificata dalla Direttiva 2005/33/CE, debba essere interpretata nel senso che tra le navi esercenti �servizio di linea� si annoverino anche le navi da crociera�. 4. Preliminarmente, il Governo italiano osserva che gli Stati membri hanno interesse a che i soggetti operanti nel settore marittimo rispettino le normative dell�Unione che fissano precise regole riguardanti l�uso dei carburanti nelle navi al fine di limitare l�inquinamento e salvaguardare la salute umana e l�ambiente. 5. In particolare, si riferisce: In un recente studio condotto da alcuni ricercatori statunitensi pubblicato sulla rivista scientifica �Environmental Science and Technology�, � stato dimostrato che l�inquinamento prodotto nell�aria dalle navi uccide ogni anno almeno 60.000 persone. I team di studiosi guidati dal Dott. James Corbett dell�Universit� del Delaware e dal Prof. James Winebrake del Rochester Institute of Technology hanno dimostrato che annualmente le navi scaricano nell�aria 1.2-1.6 milioni di tonnellate di gas di scarico. Pi� specificamente trattasi di particelle grandi meno di 10 micron di diametro, pertanto invisibili all�occhio umano, prodotte dalla combustione del carburante delle navi, prevalentemente costituite da fuliggine ultrasottile, carbonio, zolfo e biossido di azoto. Tutte queste sostanze, entrando nei polmoni attraverso le vie aeree, arrivano ai tessuti del corpo con l�ausilio del sangue provocando infiammazioni che sono tanto pi� gravi quanto pi� piccole sono le particelle insufflate. Se si tiene conto che, con un precedente studio, l�Organizzazione Mondiale della Sanit� ha dimostrato che con particelle inferiori a 2,5 micron si � arrivati al decesso di 0,8 milioni di persone all�anno, � evidente che, essendo quelle emesse dalle navi pi� piccole di 2,5 micron, la situazione dei decessi � destinata ad aggravarsi se non verr� data attuazione a provvedimenti seri ed autorevoli. La gran parte della responsabilit� � da attribuire al combustibile usato dalle navi. Il problema potrebbe essere attutito utilizzando carburanti pi� raffinati ed � proprio in tale contesto che la Comunit� Europea, da sempre attenta alle problematiche attinenti la salute dell�uomo e la salubrit� del- l�ambiente, ha emanato la Direttiva Comunitaria 2005133/CE, attuata in Italia con D. Lgs. 205/2007. Obiettivo finale della strategia � quello di raggiung�re un buon livello ecologico dell�ambiente marino entro il 2021 e di proteggere tale risorsa, dalla quale dipendono attivit� economiche e sociali rilevanti ma soprattutto la salute dei cittadini. Le emissioni di navi prodotte attraverso l�utilizzo di combustibili per uso marittimo ad alto tenore di zolfo contribuiscono all�inquinamento atmosferico sotto forma di emissioni di anidride solforosa e particolato, nuociono gravemente alla salute umana e provocano danni all�ambiente, ai beni pubblici e privati e al patrimonio culturale dello Stato, favorendo il processo dell�acidificazione. 6. Alla luce delle risultanze tecnico-scientifiche test� riportate, � agevole evidenziare le linee-guida per la risposta ai quesiti posti dal Giudice remittente, atteso che la direttiva 2005/33/CE ha come obiettivo l�introduzione nel diritto comunitario delle norme internazionali relative all�inquinamento provocato dalle navi e l�applicazione alle persone responsabili di scarichi illegali di adeguate sanzioni, che possono essere di natura penale o amministrativa. La misura e la modalit� di applicazione delle sanzioni sono lasciate agli Stati membri, che tuttavia devono garantire che tali sanzioni siano efficaci, proporzionali e dissuasive. L�allegato VI della Convenzione MARPOL 73/78 prevedeva che il contenuto di zolfo di qualsiasi carburante utilizzato a bordo di navi non dovesse eccedere 4,5 % m/m, la successiva Direttiva Comunitaria 2005/33/CE - tuttavia - prevede misure pi� restrittive proprio in considerazione delle ragioni su esposte. Questo apparente contrasto non pu� essere risolto facendo riferimento al sistema di gerarchia delle fonti, non operante fra le norme comunitarie e quelle internazionali (come ipotizzato dalle parti private nel corso del giudizio a quo al fine di far prevalere la disciplina della convenzione internazionale su quella comunitaria). Peraltro, la previsione del limite massimo del 4,5% non osta alla legittimit� di limiti pi� bassi in aree marittime estese, omogenee e qualificate, come certamente sono le acque territoriali degli Stati dell�Unione Europea e come � gi� previsto dalla Convenzione MARPOL per le zone S.E.C.A. 7. Si osserva, quindi, che nulla osta sotto questo profilo all�applicazione della normativa pi� restrittiva, peraltro successiva alla Convenzione MARPOL, della Direttiva Comunitaria. La previsione di quei pi� restrittivi limiti in atti normativi generali e di generale conoscenza non comporta particolari disagi per il traffico marittimo, ben potendo gli armatori prevedere l�approvvigionamento di carburante idoneo per le navi destinate a navigare nelle acque UE. 8. Al contrario, se si consentisse alle navi provenienti da (o dirette a) porti esterni all�UE di non rispettare i limiti imposti dalle Direttive comunitarie si consentirebbe una totale elusione di quelle disposizioni, con grave pregiudizio degli obiettivi perseguiti, oltre che una violazione dei principi della libera concorrenza, ponendo quelle compagnie navali extra-comunitarie in posizione privilegiata rispetto alle compagnie armatrici europee tenute al rispetto delle Direttive. 9. Alla luce delle considerazioni esposte, appare evidente che l�applicazione delle Direttive comunitarie nell�ambito dei porti e del mare territoriale dell�UE non comporta alcuna violazione del principio internazionale pacta sunt servanda n� di quello di leale collaborazione fra Unione e Stati membri, atteso che il rispetto di un limite pi� severo di quello previsto dalla Convenzione MARPOL non si pone in contrasto con quella convenzione e che l�UE non pu� abdicare all�esercizio delle sue prerogative di tutela della salute dei suoi cittadini e dell�ambiente; anche gli Stati che hanno sottoscritto la convenzione MARPOL non hanno certo rinunziato agli obblighi derivanti dall�adesione all�Unione Europea, irrinunciabili e prevalenti senza ombra di dubbio su eventuali diversi accordi internazionali divergenti. 10. Sui rapporti fra Convenzione MARPOL e Direttiva 2005/33/CE la Corte di Giustizia ha assunto una posizione che pu� essere utile a dare risposta ai primi due quesiti nel senso ipotizzato dal Governo Italiano, cio� che la Direttiva comunitaria � vincolante per gli Stati membri e non � derogabile in relazione a diverse disposizioni contenute in accordi internazionali ai quali l�Unione non abbia aderito; si veda in tal senso ex plurimis la sentenza 3 giugno 2008, C-308/06, della quale riportiamo i passi pi� significativi ai fini del presente giudizio: �42 Come risulta dall�art. 300, n. 7, CE, le istituzioni della Comunit� sono vincolate dagli accordi conclusi da quest�ultima e, di conseguenza, tali accordi prevalgono sugli atti di diritto comunitario derivato (v., in questo senso, sentenze 10 settembre 1996, causa C.61/94, Commissione/Germania, Racc. pag. I.3989, punto 52, e 12 gennaio 2006, causa C.311/04, Algemene Scheeps Agentuur Dordrecht, Racc. pag. I.609, punto 25). 43 Ne consegue che l�incompatibilit� di un atto di diritto comunitario derivato con siffatte disposizioni del diritto internazionale pu� incidere sulla sua validit�. Qualora tale invalidit� sia fatta valere dinanzi ad un giudice nazionale, la Corte verifica quindi, in applicazione dell�art. 234 CE, la validit� dell�atto comunitario in esame alla luce di tutte le norme del di ritto internazionale, purch� siano rispettate due condizioni. 44 In primo luogo, la Comunit� deve essere vincolata da tali norme (v. sentenza 12 dicembre 1972, cause riunite 21/72-24/72, International Fruit Company e a., Racc. pag. 1219, punto 7). 45 In secondo luogo, la Corte pu� procedere all�esame della validit� di una normativa comunitaria alla luce di un trattato internazionale solo ove ci� non sia escluso n� dalla natura n� dalla struttura di esso e, inoltre, le sue disposizioni appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise (v., in questo senso, in particolare, sentenza 10 gennaio 2006, causa C.344/04, IATA e ELFAA, Racc. pag. I.403, punto 39). 46 Occorre pertanto verificare se tali due condizioni siano soddisfatte per quanto riguarda la convenzione Marpol 73/78 e la convenzione di Montego Bay. 47 In primo luogo, per quanto riguarda la convenzione Marpol 73/78, occorre innanzi tutto rilevare che la Comunit� non ne � parte contraente. 48 Inoltre, come la Corte ha gi� dichiarato, non risulta che, in forza del Trattato CE, la Comunit� abbia assunto le competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri nel campo d�applicazione della convenzione Marpol 73/78, n�, conseguentemente, che le disposizioni di quest�ultima siano vincolanti per la Comunit� (sentenza 14 luglio 1994, causa C.379/92, Peralta, Racc. pag. I.3453, punto 16). A tale proposito, quindi, la convenzione Marpol 73/78 si distingue dal GATT del 1947, nell�ambito del quale la Comunit� ha progressivamente assunto competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri, con la conseguenza che gli impegni derivanti da tale accordo sono divenuti per essa vincolanti (v., in questo senso, in particolare, sentenza International Fruit Company e a., cit., punti 10-18). Pertanto, tale giurisprudenza relativa al GATT del 1947 non pu� essere trasposta alla convenzione Marpol 73/78. 49 Vero � che tutti gli Stati membri della Comunit� sono parti contraenti della convenzione Marpol 73/78. Tuttavia, in mancanza di un integrale trasferimento alla Comunit� delle competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri, quest�ultima non pu�, per il semplice fatto che tutti questi Stati sono parti contraenti della convenzione Marpol 73/78, essere vincolata dalle norme in essa contenute, che la Comunit� non ha autonomamente approvato. 50 Posto che la Comunit� non � vincolata dalla convenzione Marpol 73/78, neanche la circostanza che la direttiva 2005/35 sia volta a incorporare nel diritto comunitario talune norme contenute in quest�ultima � sufficiente, di per s�, affinch� la Corte sia tenuta a sindacare la legittimit� di tale direttiva alla luce della detta convenzione. 51 � vero che, come risulta da una giurisprudenza consolidata, le com petenze della Comunit� devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale, comprese le disposizioni delle convenzioni internazionali quando codificano norme consuetudinarie sancite dal diritto internazionale generale (v., in questo senso, sentenze 24 novembre 1992, causa C.286/90, Poulsen e Diva Navigation, Racc. pag. I.6019, punti 9 e 10; 24 novembre 1993, causa C.405/92, Mondiet, Racc. pag. I.6133, punti 13-15, e 16 giugno 1998, causa C.162/96, Racke, Racc. pag. I.3655, punto 45). Tuttavia, non risulta che le norme 9 e 11, lett. b), dell�allegato I della convenzione Marpol 73/78, nonch� 5 e 6, lett. b), dell�allegato II di tale convenzione costituiscano espressione di norme consuetudinarie sancite dal diritto internazionale generale. 52 Pertanto, � giocoforza constatare che la validit� della direttiva 2005/35 non pu� essere valutata alla luce della convenzione Marpol 73/78, sebbene questa sia vincolante per gli Stati membri. Quest�ultima circostanza, tuttavia, pu� produrre conseguenze sull�interpretazione, da una parte, della convenzione di Montego Bay e, dall�altra, delle disposizioni del diritto derivato che rientrano nell�ambito di applicazione della convenzione Marpol 73/78. Infatti, alla luce del principio consuetudinario della buona fede, che fa parte del diritto internazionale generale, e dell�art. 10 CE, la Corte deve interpretare tali disposizioni tenendo conto della convenzione Marpol 73/78�. I detti principi sono applicabili, ad avviso del Governo italiano, anche all�Allegato VI della Convenzione Marpol e, quindi, al caso de quo. 11. Sull�ultimo quesito posto dal Giudice remittente, la risposta deve essere data in termini contrari a quelli ipotizzati dalla compagnia di navigazione, al fine di salvaguardare la corretta applicazione delle normative comunitarie e l�efficace perseguimento degli obiettivi perseguiti. 12. Per le navi passeggeri battenti bandiera italiana, le quali effettuano un servizio di linea proveniente da o diretto ad un porto di un Paese del- l�Unione europea, � vietato, nelle acque territoriali, nelle zone economiche esclusive e nelle zone di protezione ecologica, appartenenti all�Italia, l�utilizzo di combustibili per uso marittimo con un tenore di zolfo superiore all�1,5% in massa. La violazione del divieto � fatta valere anche nei confronti delle navi non battenti bandiera italiana e che si trovano in un porto italiano. Le Controparti private ritengono che nella definizione di navi che effettuano un servizio di linea ed alle quali si applica quindi la normativa prevista dal T.U. in materia ambientale, non possano farsi rientrare le navi da crociera. La definizione di nave in servizio di linea contenuta nel testo della Direttiva comunitaria e recepita dal Decreto Legislativo n. 205/2007 � la seguente: �Servizio di linea, una serie di traversate effettuate da navi passeggeri in modo da assicurare il collegamento tra gli stessi due o pi� porti; oppure una serie d� viaggi da e verso Io stesso porto senza scali intermedi in base ad un orario pubblicato oppure con traversate regolari o frequenti tali da essere equiparabili ad un orario riconoscibile�. Tutte te caratteristiche indicate nella norma di legge rientrano appieno nel servizio reso dalle navi della �MSC Orchestra�. La definizione, tutt�altro che generica, indica con precisione i requisiti che includono una nave tra quelle cui si applica la normativa in questione, atteso che: a) Le navi da crociera assicurano indubbiamente il collegamento tra due o pi� porti; b) Di norma, le navi da crociera non derogano al percorso previsto essendo invece i programmi ben definiti ed assolutamente predeterminata la rotta da seguire e gli scali da toccare, dovendo peraltro presso ogni scalo imbarcare/sbarcare passeggeri che vogliano fruire dei relativi servizi offerti; c) Le navi da crociera presentano un orario predefinito noto al pubblico che pu� essere desunto anche dalla regolarit� o dalla frequenza del servizio. D�altra parte, se l�intenzione del legislatore era quella di stabilire limiti restrittivi all�utilizzo di carburanti con alto tenore di zolfo, appare evidente che la ratio della norma verrebbe meno se dall�ambito applicativo della detta normativa si escludesse una tipologia di navi che presenta fortissimi impatti ambientali sulle zone costiere e portuali. 12 [bis] Sul punto, il Governo italiano rileva che la Commissione Europea ha dato una corretta interpretazione dell�ambito di applicazione delle Direttive in materia con la nota DG ENV/C3/PO Area (2009) del 19 novembre 2009, in risposta a specifico quesito posto dal Ministero italiano dell�Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare; in questa nota la Commissione ha precisato che: �In merito alle domande relative all�interpretazione della direttiva 1999/32/CE, modificata dalla direttiva 2005/33/CE, La informo che tutte le navi passeggeri transitanti nelle acque territoriali comunitarie, zone economiche esclusive e zone di controllo dell�inquinamento sono tenute a ripettare il valore limite di zolfo dell�l,5% se: - trasportano pi� di dodici passeggeri, ove per passeggero si intende qualsiasi persona che non sia: (i) il comandante, un membro dell�equipaggio o altra persona impiegata o occupata a qualsiasi titolo a bordo di una nave in relazione al- l�attivit� della nave stessa; e (ii) un bambino di et� inferiore ad un anno; -effettuano servizi di linea da o verso qualsiasi porto comunitario, ove per servizio di linea si intende una serie di traversate effettuate in modo da assicurare il collegamento tra gli stessi due o pi� porti, oppure una serie di viaggi da e verso lo stesso porto senza scali intermedi: (i) in base ad un orario pubblicato; oppure (ii) con traversate regolari o frequenti tali da essere equiparabili ad un orario riconoscibile. In primo luogo, la definizione di navi passeggeri viene formulata a prescindere da quale sia lo scopo del viaggio oltre al trasporto di persone (ad esempio svago, turismo ecc.). Inoltre, il fatto che una nave da crociera possa effettuare cosiddetti �viaggi di andata e ritorno�, ossia iniziare e concludere il viaggio nel medesimo porto senza scalo/i intermedio/i in qualsiasi altro porto, non pregiudica l�inclusione delle navi da crociera nella definizione di navi passeggeri. Al successivo quesito se uno o due viaggi all�anno possano essere identificati con l�espressione �servizio di linea� la risposta � s�, purch� ci� implichi un certo margine di continuit� e ripetitivit�: per esempio qualora si realizzi un viaggio all�anno nella stessa occasione, per due o pi� anni consecutivi, ogni due anni e cos� via. In sostanza, non � possibile distinguere tra navi da crociera e navi passeggeri. Sotto questo profilo la direttiva 2005/33 si discosta dalla precedente legislazione comunitaria in materia di navi passeggeri, come ad esempio la direttiva 1999/35/CE, nella quale le definizioni sono esplicitamente limitate ai traghetti ro-ro e alle unit� veloci da passeggeri�. In conclusione il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame nei seguenti termini: 1) l�art. 4 bis della Direttiva 1999/32/CE, come modificata dalla Direttiva 2005/33/CE, trova piena applicazione anche per le navi battenti bandiera di uno Stato non UE contraente la Convenzione MARPOL 73/78, allorquando esse si trovano nel porto o nelle acque territoriali di uno Stato membro, anch�esso contraente l�Allegato VI della detta Convenzione; 2) la risposta � conseguente a quella del primo quesito e, comunque, il rispetto della Direttiva comunitaria sopra citata non viola n� il principio pacta sunt servanda n� quello di leale collaborazione tra Unione e Stati membri; 3) la nozione �servizio di linea� di cui all�art. 2, punto 3 octies della Direttiva 1999/32/CE, come modificata dalla Direttiva 2005/33/CE, deve essere interpretata nel senso di ricomprendervi anche le navi da crociera. Roma, 13 febbraio 2012 Giuseppe Albenzio Avvocato dello Stato *** ** *** Intervento orale del Governo italiano nella causa C-537/11 Udienza del 18 settembre 2013 Signor Presidente, signori Giudici, 1. Nelle nostre osservazioni scritte abbiamo indicato le risposte ai quesiti posti dal giudice remittente e qui le confermiamo. Ad ulteriore sostegno delle nostre conclusioni osserviamo quanto segue. 2. Preliminarmente, con diretto rilievo sul primo quesito ma con riflessi generali anche per gli altri due quesiti, riteniamo utile richiamare il principio della libera concorrenza (art. 3, comma 3, del Trattato, art. 95-96 TFUE) che deve guidare, a nostro avviso, anche la decisione del presente giudizio. 3. Per vero, se si dovesse accogliere la tesi delle parti private (il comandante e l�armatore della nave sanzionata) le Direttive europee 1999/32 e 2005/32 che impongono limiti pi� bassi per la percentuale di zolfo contenuta nei combustibili, sarebbero vincolanti solo per le navi battenti bandiera degli Stati dell�Unione - obbligati, ovviamente, al rispetto delle disposizioni europee - e non per le navi battenti bandiera di Paesi extra- UE e firmatari della Convenzione MARPOL, atteso che gli armatori di queste ultime potrebbero utilizzare carburanti pi� economici (oltre che pi� inquinanti), con sensibili riflessi distorsivi della concorrenza e della parit� delle condizioni di accesso al mercato del trasporto marittimo. 4. Sappiamo bene tutti che il principio della concorrenza e della parit� di condizioni di accesso al mercato opera non solo all�interno dell�Unione, nei rapporti fra gli Stati membri, ma anche all�esterno, nei rapporti commerciali con i Paesi terzi che possono essere ammessi liberamente a svolgere attivit� economiche nell�UE qualora rispettino quei principi e non agiscano sfruttando situazioni di vantaggio atte a turbare l�equilibrio del mercato. 5. Nella specie, posto che � indiscutibile il vantaggio economico che le navi battenti bandiera extra-UE trarrebbero dall�utilizzo di carburante con percentuali di zolfo maggiori di quelle imposte agli Stati europei, dovrebbero essere adottate misure idonee ad evitare questa distorsione della concorrenza: quale misura pi� idonea del rispetto delle Direttive europee? Quale ragione per un trattamento discriminatorio a danno degli operatori marittimi europei? 6. In proposito, ci sembra utile ricordare che il principio di cui stiamo parlando (assicurare pari condizioni alle imprese di navigazione stabilite al di fuori dell�UE ed a quelle stabilite sul territorio dell�Unione) � menzionato nel preambolo della Direttiva 1999/32 e ribadito nel considerando n. 20 della recente Direttiva di modifica 2012/33 ed � contemplato ed applicato nell�ambito degli accordi internazionali sul sistema dei controlli di sicurezza a bordo delle navi (ad esempio, Paris MOU) e nel quadro dell�attivit� di port state control di cui alla direttiva 2009/16/CE del 23 aprile 2009, istitutiva del regime dei controlli da parte dello Stato di approdo (recepita nell�ordinamento italiano con decreto legislativo n. 53 del 2011) il cui art. 3, comma 3, espressamente prevede che: �nell�ispezionare una nave battente bandiera di uno Stato che non ha sottoscritto una data convenzione, gli Stati membri si accertano che la merce e il relativo equipaggio non godono di un trattamento pi� favorevole di quello riservato alle navi battenti bandiera di uno Stato firmatario di tale convenzione�. 7. Le considerazioni fin qui sviluppate ci sembrano utili per dare ulteriore giustificazione alla risposta ai quesiti primo e terzo che abbiamo suggerito nelle nostre osservazioni scritte, atteso che l�art. 4-bis della direttiva europea deve essere interpretato nel senso che il limite dell�1,5 % di percentuale di zolfo nei carburanti si applica - come espressamente sancito nella stessa norma - anche alle navi battenti bandiera non UE e che quel limite concerne anche le navi da crociera (come quelle di controparte), in ossequio - come gi� detto - al principio della libera concorrenza e parit� di condizioni di mercato, sia sotto il profilo �esterno�, in relazione alle condizioni di favore delle quali godrebbero illegittimamente le navi non UE, sia sotto il profilo �interno�, in relazione alle condizioni di favore delle quali godrebbero le navi da crociera rispetto a tutte le altre navi di linea e trasporto passeggeri. 8. Passiamo ora ad affrontare l�altro profilo rilevante nel presente giudizio, utile per la risposta al secondo quesito, oltre che per sostenere la risposta al primo quesito che abbiamo test� preso in esame. 9. Il principio generale pacta sunt servanda, invocato dalle controparti, non pu� servire a disattendere l�operativit� della direttiva europea, perch� esso va interpretato ed applicato in unione e ponderazione con altri principi internazionali e comunitari di pari importanza. 10. In primo luogo, i patti devono essere rispettati ferme restando le condizioni presenti al momento della loro adozione (rebus sic stantibus - art. 62 della Convenzione di Vienna sui trattati); ebbene, sotto un profilo strettamente giuridico, la Convenzione MARPOL � anteriore alla Direttiva europea (quella del 1999 � successiva alla Convenzione del 1973 e al protocollo del 1978, quella di modifica del 6 luglio 2005 � sopravvenuta dopo la data di entrata in vigore del protocollo MARPOL del 1997 e del suo Allegato VI, cio� il 19 maggio 2005); pertanto, la Direttiva europea, sia nella prima che nella seconda versione, costituisce un fatto sopravvenuto alla Convenzione MARPOL ed ai suoi protocolli, e giustifica una deroga al principio pacta sunt servanda per l�importanza delle disposizioni adottate in riferimento allo scopo comune perseguito (tutela dell�ambiente marino). 11. Quanto stiamo dicendo ha avuto ulteriore sostegno dalle modifiche recentemente intervenute sia per la Convenzione MARPOL sia per la Direttiva europea (come meglio diremo in seguito), modifiche resesi necessarie per il cambiamento delle condizioni climatiche e l�aggravamento dell�inquinamento ambientale e marino sopravvenute alla stipula dell�Allegato VI della Convenzione nel 1997. 12. Ancora, sotto un profilo sostanziale, la Comunit� europea ha, all�epoca dell�emanazione della Direttiva, assunto ed attuato determinazioni conseguenti al programma di tutela dell�ambiente e della salute che si � venuto affinando e migliorando nel tempo, al fine di adattamento alle mutate condizioni climatiche e di inquinamento che minano con prospettive sempre pi� preoccupanti l�ambiente e la salute dell�Unione; pertanto, queste nuove e pi� pregnanti esigenze di tutela costituiscono un fatto nuovo e diverso rispetto alla situazione tenuta presente dalla Convenzione MARPOL (che pure aveva previsto una graduazione nella riduzione delle emissioni inquinanti ma con cadenze temporali non pi� idonee a salvaguardare compiutamente l�ambiente e la salute, quanto meno nei Paesi dell�Unione europea) e non si pongono in conflitto con quest�ultima ma ne costituiscono una pi� efficace attuazione. 13. Quindi, in applicazione della clausola rebus sic stantibus, il principio pacta sunt servanda non pu� influire sulla piena e generale operativit� dei limiti imposti dall�art. 4-bis della Direttiva europea. 14. In secondo luogo, i trattati da rispettare non devono nuocere n� dare vantaggi a terzi (pacta tertiis nec nocent nec prosunt - art. 34 della Convenzione di Vienna); nella fattispecie in esame � chiaro che la incondizionata applicazione della Convenzione MARPOL, in deroga alla Direttiva europea, comporterebbe un danno per i Paesi ed i cittadini appartenenti al- l�Unione Europea, in riferimento alla salute ed all�ambiente, a fronte di un vantaggio meramente economico per gli armatori di navi extra-UE, oltre che una violazione delle regole di libera concorrenza a danno degli armatori europei. 15. In proposito, richiamiamo sia i risultati dello studio condotto da alcuni ricercatori statunitensi pubblicato sulla rivista scientifica �Environmental Science and Technology�, al quale abbiamo fatto cenno nelle nostre osservazioni scritte, sia il comunicato stampa della Commissione Europea- JRC News Release del 14 agosto 2012 nel quale si riferisce che: �Le emissioni di diossido di zolfo (SO2) si sono notevolmente ridotte nei porti dell�UE grazie a regolamenti pi� severi sul contenuto di zolfo nei carburanti utilizzati dalle navi durante l�ormeggio e l�ancoraggio nei porti. Gli scienziati del JRC (Joint Research Centre - Centro Comune dl Ricerca), il servizio scientifico interno della Commissione Europea, hanno misurato i parametri chiave della qualit� dell�aria nei porti del Mediter raneo prima e dopo l�entrata in vigore, nel gennaio 2010, dei requisiti di basso contenuto di zolfo. Nei porti europei si � riscontrata una diminuzione media del 66% della concentrazione di diossido di zolfo, sostanza chimica nociva alla salute e all�ambiente. Misurazioni effettuate nei porti al di fuori dell�UE hanno mostrato che la concentrazione di SO2 � rimasta invariata�. 16. Quindi, in applicazione della clausola pacta tertiis nec nocent nec prosunt, il principio pacta sunt servanda non pu� essere invocato per giustificare la deroga ai limiti imposti dalla Direttiva europea, ai sensi del citato art. 34 della Convenzione di Vienna, in quanto l�Unione Europea non � firmataria della Convenzione MARPOL e, quindi, le disposizioni di quest�ultima non possono trovare applicazione nel territorio dell�Unione (si veda la sentenza della Corte di Giustizia 25 febbraio 2010, C-386/08). 17. In terzo luogo, gli Stati firmatari dei trattati non devono subire limitazioni alla propria sovranit� che non siano espressamente accettate. 18. Ebbene, se con l�adesione alla Comunit� (ora Unione) Europea gli Stati membri hanno accettato limitazioni alla propria sovranit� (come sancito dalla Costituzione italiana nell�art. 11) e, quindi, la immediata valenza della normativa europea nei settori di interesse comune individuati dal Trattato (si vedano, in particolare, gli art. 168 e 191 TFUE), come � quello della salute e dell�ambiente, non altrettanto pu� dirsi essere avvenuto con la sottoscrizione della Convenzione MARPOL (come delle altre convenzioni internazionali, secondo l�art. 10 della Costituzione italiana), rispetto alla quale Convenzione i Paesi firmatari appartenenti all�Unione non hanno certo inteso limitare la propria sovranit�, sia in riferimento al proprio territorio nazionale, del quale fanno parte le acque costiere, sia in riferimento agli obblighi conseguenti all�adesione all�Unione Europea. 19. Pertanto, l�applicazione da parte degli Stati membri dell�Unione dei limiti pi� rigidi imposti dalla Direttiva europea rispetto a quelli della Convenzione MARPOL non pu� comportare neppure la violazione del principio di buona fede e affidamento invocato ex adverso, nella misura in cui quelle disposizioni pi� severe della Direttiva europea sono sopravvenute a quelle sottoscritte con la Convenzione MARPOL e, costituendo jus superveniens, prevalgono ai sensi dell�art. 64 della Convenzione di Vienna; inoltre la Direttiva europea � dotata di una forza cogente superiore alla quale, quale factum principis, i Paesi europei non possono sottrarsi (ai sensi degli articoli 4, comma 3, Trattato e 2 e 103 TFUE). 20. In quarto luogo, i diritti e gli interessi dell�Unione Europea non possono incontrare condizioni e limiti alla loro piena attuazione qualora l�Unione stessa non li abbia preventivamente ed espressamente accettati. 21. La Comunit� (ora Unione) europea non ha mai sottoscritto la Convenzione MARPOL n� vi ha mai prestato adesione e ci� comporta, da un lato, che la Comunit� era ed � libera di adottare misure diverse da quelle ivi previste e, dall�altro lato, che gli Stati membri non hanno la potest� di sottoscrivere clausole non conformi a quelle comunitarie n� possono a queste sottrarsi, perch� privi della sovranit� che, nella materia, hanno ceduto alla Comunit� europea. 22. Peraltro, la Comunit� ha aderito (con decisione del 23 marzo 1998) alla Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare sottoscritta a Montego Bay il 10 dicembre 1982 e detta Convenzione consente espressamente a tutti i firmatari di adottare le misure ritenute pi� idonee a perseguire gli obiettivi di tutela dell�ambiente marino che ispiravano la Convenzione, in riferimento alle navi battenti la propria bandiera o a quelle diverse che entrano nei propri porti (si veda la sua parte XII, art. 211, paragrafi 2-4). 23. In adesione a questa Convenzione, la Comunit� europea ha adottato la Direttiva n. 32 del 1999-2005 e l�Italia il decreto legislativo di recepimento n. 152 del 2006, da intendersi pienamente operanti in riferimento alle navi di bandiera ed a quelle straniere che attraccano nei propri porti o navigano lungo le proprie coste. 24. Senza contare, poi, che la stessa Convenzione MARPOL, nell�allegato VI introdotto con il protocollo modificativo del 1997, non vieta in alcun modo agli Stati firmatari di adottare misure pi� restrittive, come � stato posto in evidenza dalla Commissione, dal Parlamento e dal Consiglio nelle loro osservazioni scritte, cui facciamo richiamo. 25. Questo spirito di collaborazione verso il perseguimento di un fine comune e non certo di contrapposizione fra i due livelli di contrattazione internazionale fra gli Stati � evidente nelle ultime modifiche che sono state apportate sia alla Convenzione MARPOL sia alle direttive europee: anche se si tratta di modifiche sopravenute all�epoca dei fatti di causa, ne facciamo cenno perch� dalla loro tecnica di redazione emerge ulteriore conferma della piena operativit� delle disposizioni europee nel territorio del- l�Unione, senza che possa ipotizzarsi una violazione del principio pacta sunt servanda o un pregiudizio per la buona fede o l�affidamento degli operatori marittimi extra-Unione che, certamente, non possono vantare alcun diritto giuridicamente tutelabile ad inquinare l�ambiente! 26. Per vero, nei considerando della Direttiva 21 novembre 2012 n. 33 del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/32/CE, leggiamo uno specifico richiamo (n. 8) alle modifiche intervenute nell�allegato VI del protocollo del 1997-Convenzione MARPOL (entrate in vigore il 1� luglio 2010), con l�introduzione di limiti molto pi� severi per l�uso di carburanti inquinanti, e l�espressa indicazione (n. 9) della finalit� della Direttiva 2012/33 (�Al fine di assicurare la coerenza con il diritto internazionale nonch� la corretta applicazione nell�Unione delle nuove norme sullo zolfo stabilite a livello internazionale�), con la precisazione che (n. 10) �Le modifiche all�allegato VI della convenzione MARPOL per quanto riguarda le SECA sono possibili a norma delle procedure IMO� e che (n. 15) gli Stati membri possono �mantenere o prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore�. 27. Negli stessi considerando della Direttiva �, inoltre, messo in evidenza l�interesse dell�Unione alla salvaguardia dell�ambiente, anche marino, e l�importanza della lotta all�inquinamento che la stessa direttiva, come le altre gi� adottate, intende rafforzare (in particolare, nn. 1, 5, 14, 17). 28. Quanto fino ad ora osservato comporta che, a nostro avviso, codesta Corte di Giustizia dovrebbe andare oltre l�affermazione contenuta nella sentenza 3 giugno 2008, causa C-308/06, secondo cui la validit� della direttiva 2005/35 non pu� essere valutata n� alla luce della convenzione di Londra del 1973 n� alla luce della convenzione Montego Bay del 1982, per arrivare a dichiarare esplicitamente che le disposizioni restrittive sull�uso di carburanti inquinanti, stabilite dalla Direttiva 1999/32, come modificata nel 2005 e nel 2012, sono pienamente applicabili in tutto il territorio dell�Unione a tutte le navi che vi operano, indipendentemente dalla loro bandiera, come correttamente stabilito dall�art. 4-bis della Direttiva del 1999, nel testo in vigore all�epoca dei fatti e ribadito con le modifiche successivamente intervenute, in ossequio al principio generale - come ribadito nella recente sentenza 27 novembre 2012, C-370/12, sulla compatibilit� del Trattato MES con il diritto europeo - secondo cui la Corte deve fornire al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell�Unione che gli consentano di valutare il caso sottoposto al suo esame, ivi compresi quelli concernenti l�applicazione di una norma di diritto internazionale universalmente riconosciuta - come precisato anche dalla sentenza 16 giugno 1998, C-162/96 - . 29. In conclusione, il Governo italiano intende esprimere il proprio dissenso dalle conclusioni scritte formulate dalla Commissione per il terzo quesito, atteso che l�eventuale esclusione delle navi da crociera dall�ambito di applicazione della Direttiva, sia pure nei ristretti confini esposti al punto n. 56 delle osservazioni depositate, comporterebbe una violazione dei principi di libera concorrenza e parit� di condizioni di accesso al mercato, a danno degli armatori delle navi di linea e da crociera con servizio �non circolare�, e vanificherebbe le finalit� perseguite dalla Direttiva europea nella tutela dell�ambiente e della salute, ammettendo una fonte di inquinamento di notevole incidenza, senza alcuna giustificazione. 30. Inoltre, l�interpretazione suggerita dalla Commissione si pone in contrasto con la posizione che � stata ribadita (non in funzione innovativa ma semplicemente di chiarimento) dal Legislatore europeo nella Direttiva 2012/33, come emergente dai suoi considerando e dalle sue disposizioni che non consentono certo di distinguere fra aspetti marginali del servizio prestato dalle navi che circolano ed ormeggiano nei mari dell�Unione, per attribuire deroghe ai limiti imposti (ad esempio, il considerando n. 5 si riferisce a tutte le navi all�ormeggio, il n. 14 parla di navi passeggeri senza ulteriori specificazioni, cos� come il n. 17 parla di combustibili per uso marino, il n. 20 di necessit� di salvaguardia della libera concorrenza, senza distinzione fra i vari tipi di servizio marittimo). 31. Alla luce di quanto dedotto, chiediamo alla Corte di dare risposta ai quesiti posti nel senso indicato nelle nostre osservazioni scritte che qui integralmente richiamiamo. Lussemburgo, 18 settembre 2013 Giuseppe Albenzio Avvocato dello Stato Controricorso del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Cristina Gerardis) nella causa C-344/12 (*) - Ricorso presentato il 18 luglio 2012 Commissione europea / Repubblica italiana. Materia: Concorrenza -Aiuti concessi dagli Stati 1. Con ricorso notificato in data 24 luglio 2012, la Commissione Europea (di seguito: CE) ha proposto ricorso, iscritto nel registro della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (di seguito: Corte) con numero di causa C-344/12, ai sensi dell'art. 108 n. 2 del TFUE per inadempimento da parte della Repubblica italiana alla esecuzione della decisione C(2009)8112 del 19 novembre 2009 (di seguito: decisione 19 novembre 2009), relativa agli aiuti di Stato n. C 38/A/2004 (ex NN 58/2004) e n. C 36/11/2006 (ex NN 38/2006) cui l'Italia ha dato esecuzione a favore di Alcoa Trasformazioni s.r.l. (di seguito: Alcoa). Con il suddetto ricorso, la CE chiede alla Corte di far dichiarare che: "non avendo adottato nei termini stabiliti tutti i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla decisione C(2009)8112 del 19 novembre 2009, relativa agli aiuti di Stato n. C 38/A/2004 (ex NN 58/2004) e n. C 36/B/2006 (ex NN 38/2006) cui l'Italia ha dato esecuzione a favore di Alcoa Trasformazioni, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi imposti (*) La causa � stata definita in corso di pubblicazione con sentenza della Corte (Ottava Sezione) del 17 ottobre 2013. dagli artt. 2, 3 e 4 di tale decisione e dall'art. 288 TFUE'. 2. In punto di fatto va rilevato che la societ� Alcoa, produttrice di alluminio, ha beneficiato dal 1996 di un trattamento tariffario speciale per l'acquisto di energia elettrica. Durante la privatizzazione del settore dell'alluminio primario, in occasione dell'acquisto da parte di ALCOA degli assets ex EFIM (1), venne emanato il D.M. 19 dicembre 1995 (�Prezzi dell'energia elettrica per i settori industriali�), avente ad oggetto tariffe speciali per la fornitura decennale di energia elettrica (periodo 1996-2005) a livelli che garantissero la competitivit� degli stabilimenti italiani di produzione di alluminio primario. I prezzi stabiliti dal D.M. citato furono sottoposti a verifica nell'ambito della procedura comunitaria per gli aiuti di Stato intentata nei confronti di Alumix nel dicembre 1992 e, al termine di essa, giudicati idonei, poich� non contrastanti con l�art. 87 CE in materia di Aiuti di Stato in quanto corrispondenti ai prezzi medi europei. I livelli tariffari fissati nel Decreto, approvati dalla Commissione europea, sono stati, peraltro, richiamati dal D.M. 26 gennaio 2000, "Individuazione degli oneri generali afferenti al sistema elettrico", nonch� dal D.L. 18 Febbraio 2003, n. 25 ("Disposizioni urgenti in materia di oneri generali del sistema elettrico e di realizzazione, potenziamento, utilizzazione e ambientalizzazione di impianti termoelettrici"), convertito con la Legge 17 aprile 2003, n. 83. A partire dal 1� gennaio 2000,1e forniture di energia elettrica che fruivano di condizioni e prezzi diversi da quelli previsti per la generalit� della clientela, tra cui rientra Alcoa ai sensi del citato D.M. 19 dicembre 1995, sono state ammesse al sistema di compensazione dei regimi tariffari speciali in forza dell'articolo 15, della deliberazione dell'Autorit� per l'energia elettrica e il gas (di seguito: Autorit�), n. 204, del 29 dicembre 1999 ("Regolazione della tariffa base, dei parametri e degli altri elementi di riferimento per la determinazione delle tariffe dei servizi di distribuzione e di vendita dell'energia elettrica ai clienti del mercato vincolato ai sensi del- l'articolo 2, comma 12, lettera e), della legge 14 novembre 1995, n. 481"). Inizialmente, dunque, la societ� Alcoa riceveva uno "sconto" direttamente dal Distributore; in virt� della deliberazione succitata, il Distributore (Enel) non doveva pi� fornire ai prezzi speciali del D.M. 1995, ma fatturare un "prezzo pieno" e "girare" la componente compensativa ai soggetti beneficiari pari alla differenza tra tale prezzo pieno ed il prezzo speciale precedentemente praticato. L'onere passava in questo modo dal distributore all'intera collettivit� e, (1) Si fa riferimento esclusivamente a quelli destinati alla produzione di alluminio primario. conseguentemente, l'erogazione della componente compensativa veniva assegnata direttamente alla Cassa conguaglio per il settore elettrico (di seguito: Cassa o CCSE) in qualit� di soggetto neutrale della P.A.. 3. La natura delle agevolazioni cambiava, lasciando la precedente qualificazione di "sconto commerciale" per divenire "onere generale di sistema", ossia erogazione di denaro pubblico ex art. 23 Cost.. La societ� Alcoa, dunque, in qualit� di societ� energivora era beneficiaria di una componente compensativa versata direttamente dalla CCSE. Dal punto di vista normativo, il trattamento � stato erogato inizialmente ai sensi del D.M. 19 dicembre 1995, successivamente � stato oggetto cli proroga una prima volta dal gennaio 2006 a giugno 2007, in forza del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 6 febbraio 2004, e successivamente, fino al 19 novembre 2009 (data della decisione negativa della Commissione UE), in virt� dell'art. 11, comma 11, della legge n. 80/2005, di conversione del DL 35/2005. 4. Con lettera del 19 luglio 2006, la CE ha notificato all'Italia la decisione di avviare il procedimento di cui all'articolo 88, paragrafo 2, del Trattato CE, per valutare la compatibilit� della suddetta proroga con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato (Decisione C (2006) 3225 def.). 5. In seguito all'avvio di tale procedura di indagine formale, l'Autorit�, con la delibera n. 190/06 e, successivamente, con le de]ibere n. 145/07, ARG/elt 38/08, ARG/elt 138/08, ARG/elt 191/08 e ARG/com 36/09, ha subordinato l'erogazione della componente compensativa, da parte della Cassa, alla presentazione da parte di Alcoa di una garanzia bancaria o di una parent company guarantee per assicurare il recupero delle somme erogate, qualora il trattamento tariffario agevolato fosse stato dichiarato aiuto illegale al termine del procedimento aperto dalla CE. 6. Come noto, la CE, con decisione 19 novembre 2009, ha dichiarato l'illegalit� del regime di proroga, disponendo, pertanto, la cancellazione di tutti i pagamenti futuri e il recupero degli aiuti gi� erogati per lo stabilimento di Fusina (Veneto), per il periodo compreso tra il 1� gennaio 2006 e la data di adozione della decisione, mentre per lo stabilimento di Portovesme (Sardegna), per il periodo compreso tra il 1� gennaio 2006 ed il 18 gennaio 2007. 7. In seguito alla notifica della decisione, avvenuta il 20 novembre 2009, tra le autorit� italiane e la Commissione � intercorsa una corrispondenza diretta a quantificare le somme oggetto di recupero, nonch� le azioni promosse dalle istituzioni competenti finalizzate al recupero stesso. In particolare: -in data 23 marzo 2010, l'Italia ha provveduto tempestivamente a comunicare alla CE la quantificazione delle somme oggetto di recupero e l'ulteriore informazione relativa al contenzioso nazionale in corso in materia di calcolo della componente tariffaria. Tale comunicazione � avvenuta addirittura prima della scadenza indicata dalla CE nella richiesta dell'8 marzo 2010 (20 giorni lavorativi); -in data 25 maggio 2010, l'Italia ha provveduto a comunicare l'impossibilit� di procedere nell'immediato al recupero delle somme, illustrando le forti ripercussioni che il recupero avrebbe avuto sulla situazione politica, economica e occupazionale. Comunicava, altres�, la decisione del Governo di intervenire, a sostegno di Alcoa, nel giudizio impugnatorio della decisione 19 novembre 2009 innanzi al Tribunale di primo grado della comunit� europea. Il Dipartimento delle Politiche Comunitarie comunicava, inoltre, la necessit� di condividere le modalit� di recupero con Alcoa, non certo al fine di rinviare meramente la restituzione degli Aiuti di Stato giudicati illegali dalla CE, quanto piuttosto al fine di garantire una soluzione efficace ed immediata al procedimento di recupero stesso; -in data 23 settembre 2010, con lieve ritardo rispetto alla richiesta CE (datata 5 luglio 2010, ma per la quale, considerata la prossimit� delle ferie estive, era stato concesso un termine pi� lungo), l'Italia aggiornava la CE delle variazioni in ordine agli importi oggetto di recupero. Ed infatti, proprio in ragione del costante scambio tra Alcoa e le istituzioni coinvolte, la societ� inviava dei documenti relativi a note di credito e collaborava con la Cassa al fine della corretta quantificazione delle somme. 8. In questa lettera, l'Italia comunicava la prima azione posta in essere dalla CCSE ai fini del recupero, ovvero la compensazione di una somma pari a circa 53 M� (che la Cassa avrebbe dovuto versare a titolo di componente compensativa per lo stabilimento di Portovesme) con il debito comunitario; -in data 3 novembre 2010, a seguito dell'incontro tenuto a Bruxelles in data 14 ottobre 2010, l'Italia in un'ottica di collaborazione con la CE e di costante aggiornamento dell'evolversi della vicenda, trasmetteva una proposta di recupero alternativa a quella indicata dalla decisione 19 novembre 2009, stante l'impossibilit� assoluta per Alcoa di procedere alla restituzione immediata delle somme. 9. Esposti brevemente i fatti, con il presente atto s'intende resistere e controdedurre al ricorso presentato dalla CE innanzi a Codesta Ecc.ma Corte, sulla base dei seguenti argomenti: A. Sulla violazione dell'obbligo d� comunicazione imposto dall'art. 4 della decisione Alcoa. 10. In relazione al primo motivo di diritto, � comprovato da quanto riportato in fatto, nonch� -per tabulas - dallo stesso ricorso presentato dalla CE, che l'Italia ha sempre fornito risposta alle richieste della CE, comunicando tempestivamente (salvo lievi ritardi) sia la quantificazione degli importi (nota del 23 marzo 2010), sia le azioni intraprese ai fini del recupero (compensazione di circa 53M�: nota del 23 settembre 2010). 11. L'Italia ha, altres�, prontamente comunicato l'impossibilit� assoluta di procedere al recupero immediato proponendo un alternativo piano di rientro (proposta del 3 novembre 2010). Deve rammentarsi che "l'obbligo di informazione � un'espressione particolare del dovere di leale cooperazione che � alla base dell'art. 10 CE e che implica, per l'esecuzione delle decisioni in materia di aiuti di Stato, che la Commissione e lo Stato membro interessato devono cooperare in buona fede per superare le difficolt�, nel pieno rispetto delle norme del Trattato e, soprattutto, di quelle relative agli aiuti di Stato" (cfr., tra le altre, sentenza della Corte, sez. VI, del 26 giugno 2003 - Commissione delle Comunit� Europee/Regno di Spagna, nonch� la pronuncia della Corte di giustizia Ce, sez. III, 5 ottobre 2006, n. 368 in Foro amm., CDS, 2006, 2687). 12. Coerentemente col perseguimento della prospettiva comunitaria, uno Stato che incontri difficolt� impreviste nel dare esecuzione ad una decisione in materia di aiuti di Stato "deve sottoporre la questione alla valutazione della Commissione. In forza del principio di leale collaborazione (art. 10 trattato Ce) Stato membro e Commissione cooperano in buona fede per superare le richiamate difficolt� nel rispetto delle disposizioni del trattato" (cos�, Corte di giustizia Ce, sez. I, 1 giugno 2006, n. 207, in Foro amm., CDS, 2006, p. 1627). L'articolo 10 del Trattato implica, altres�, che la Commissione � tenuta ad assistere gli Stati membri nell'applicazione delle norme del Trattato. Il principio di leale collaborazione, dunque, si sostanzia in un obbligo reciproco che vede gli Stati membri e l'Unione impegnati sullo stesso fronte dell'attuazione delle norme del Trattato, di talch� se � vero che uno Stato deve rispettare i propri obblighi di facere (Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati o conseguenti agli atti dell'istituzione del- l'Unione), gli obblighi di agevolare l'Unione (Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti), nonch� gli obblighi di astensione o di non facere (Gli Stati membri ... si astengono da ogni misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione), non si pu� negare che la CE debba, altres�, assumere un comportamento collaborativo, non certo al fine di consentire l'elusione delle norme del Trattato, ma certamente al fine di considerare le condizioni di ciascuno Stato membro e cooperare con lo stesso, laddove sia necessaria una soluzione alternativa per garantire l'effettiva e piena esecuzione di una decisione, pur nel rispetto del fondamentale canone giuridico della proporzionalit�. 13. Sul punto, giova precisare che nel suo piano di azione nel settore degli aiuti di Stato la Commissione, come riportato nella comunicazione 2007/C 272/05 (edita nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, serie C, del 15 novembre 2007, n. 272), sottolinea la necessit� di un'esecuzione effettiva delle decisioni di recupero. Tuttavia, � chiaro che l'esecuzione di siffatte decisioni � una responsabilit� condivisa tra la Commissione e gli Stati membri e, affinch� abbia successo, occorrono notevoli sforzi da entrambe le parti. 13. L'articolo 10 del Trattato obbliga gli Stati membri a facilitare l'adempimento dei compiti comunitari e impone doveri reciproci di leale collaborazione alle istituzioni UE e agli Stati membri al fine di conseguire gli obiettivi del Trattato. Nel contesto dell'esecuzione delle decisioni di recupero, la Commissione e le autorit�/amministrazioni degli Stati membri devono quindi collaborare per conseguire l'obiettivo del ripristino delle condizioni di concorrenza nel mercato interno. Uno Stato membro, il quale incontri difficolt� impreviste o imprevedibili in occasione dell'esecuzione di una decisione di recupero, entro il termine stabilito, oppure si renda conto di conseguenze non considerate dalla Commissione, deve sottoporre tali problemi alla valutazione di questa, proponendo appropriate modifiche della decisione stessa. In tal caso, la Commissione e lo Stato membro interessato devono collaborare in buona fede per superare le difficolt� nel pieno rispetto delle norme del Trattato. 14. Nella fattispecie occorre considerare che sussistono molteplici difficolt� di recupero, peraltro prontamente evidenziate dall'Italia (cfr. la proposta di rientro alternativo del debito, trasmessa con nota del 3 novembre 2010). In ogni caso, l'Italia, in piena buona fede, aveva gi� avviato le operazioni di esecuzione della decisione, provvedendo ad incamerare e ad imputare a compensazione del debito una somma tutt'altro che irrisoria pari a circa 53M� (che rappresenta circa il 20% dell'importo capitale totale di circa 254 M� oggetto di recupero), e ci� a pochi mesi dalla notifica della decisione (la compensazione, infatti, come risulta dalla documentazione allegata, risale al 3 giugno 2010 ed � stata prontamente comunicata alla CE in data 23 settembre 2010). 15. L'Italia ha dunque improntato il suo agire al rispetto del principio di leale collaborazione e buona fede. Ne discende l'illegittimit� e l'infondatezza del primo motivo di ricorso. Ad ogni buon conto, la presunta violazione dell'obbligo di comunicazione deve intendersi assorbita da quanto riportato in relazione alla violazione dell'obbligo di recupero e dell'obbligo di dare esecuzione alla decisione Alcoa in forza dell'art. 288 TFEU. 16. Ed infatti, considerate le azioni, compiutamente argomentate e documentate, poste in essere dalla Repubblica italiana per addivenire alla restituzione totale delle somme nel pi� breve tempo possibile, la presunta violazione dell'obbligo di comunicazione non ha motivo di essere ritenuta sussistente. B. Sulla violazione dell'obbligo di recupero imposto dagli artt. 2 e 3 della decisione Alcoa e sulla violazione dell'obbligo di dare esecuzione alla decisione Alcoa in forza dell'art. 288 TFEU. 17. Per comunanza di contenuti si ritiene di poter trattare il secondo ed il terzo motivo di diritto in uno unico punto. Prima ancora di esaminare nello specifico le concrete azioni messe in atto dall'Italia per dare esecuzione alla decisione 19 novembre 2009, occorre precisare quanto segue. In questi ultimi anni la Commissione ha dimostrato di essere pronta ad assumere una posizione ferma rispetto agli aiuti illegali. Dall'entrata in vigore il regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio (�regolamento di procedura�), la Commissione ha sistematicamente ingiunto agli Stati membri di recuperare ogni aiuto illegale da essa giudicato incompatibile con il mercato comune, salvo i casi in cui abbia ritenuto che tale recupero fosse in contrasto con un principio generale del diritto comunitario. Costante giurisprudenza della Corte ha, altres�, confermato che le misure di esecuzione adottate dallo Stato membro devono essere effettive e produrre un esito concreto in termini di recupero (vds. Tra le altre, sentenza Olympic Airways - Causa C-415/03, Commissione contro Grecia; Sentenza della Corte, Sesta Sezione, 28 giugno 2012, Commissione europea/ Repubblica ellenica). 18. Peraltro, se � vero, come confermato da innumerevoli sentenze di Codesta Ecc.ma Corte, che gli Stati membri possono opporsi al recupero di aiuti illegali dimostrando l'impossibilit� assoluta di dare esecuzione alla decisione, � altres� vero, secondo la medesima giurisprudenza (cfr. Causa C-280/95, Commissione contro Italia; Corte di Giustizia delle Comunit� europee Sezione 2 - Sentenza del 12 maggio 2005, n. 415/03; Corte giustizia comunit� Europee Sez. III, 6 dicembre 2007, n. 280/05; Corte giustizia comunit� Europee Sez. 1, 1 giugno 2006, n. 207/05), che "questa condizione non � soddisfatta allorquando lo Stato convenuto si limiti a comunicare le difficolt� giuridiche, politiche o pratiche che presentava l'esecuzione della decisione, senza intraprendere alcuna iniziativa (2) presso le imprese interessate al fine di recuperare l'aiuto e senza proporre alla Commissione altre modalit� di esecuzione (3) della decisione che consentano di superare le difficolt� segnalate. Tale condizione non sussiste allorquando Io Stato convenuto non abbia recuperato alcuna somma, n� al momento dell'introduzione del ricorso, n� al momento del deposito della controreplica, e dopo che sono trascorsi quasi quattro (2) Compensazione di cui alla lettera Alcoa del 3 giugno 2012, che ha consentito all�Italia di recuperare circa il 20% dell�importo totale. (3) Proposta alternativa di recupero del 3 novembre 2010. anni dalla decisione della Commissione" (vds. ex multis, sentenza della Corte, Sesta Sezione, 20 ottobre 2011, Commissione europea c/Repubblica francese; sentenza della Corte, sez. Il, 13 novembre 2008, CE c/ Repubblica francese; Corte di Giustizia delle Comunit� europee Sezione 2 - Sentenza del 13 novembre 2008, n. 214/07; sentenza del 5 maggio 2011, Commissione/Italia, C-305/09; sentenza della Corte, Quinta Sezione, 29 marzo 2012). 19. Nel caso di specie, L'Italia non si � affatto limitata a comunicare le difficolt� di recupero, ma, come prescritto da numerose sentenze di Codesta Ecc.ma Corte, ha sia proposto una soluzione alternativa alle modalit� di esecuzione indicate nella decisione 19 novembre 2009, sia intrapreso concrete azioni che hanno dato inizio al procedimento di recupero attraverso la restituzione di ben 53 M�. 20. Inoltre, l'Italia, in particolare, l'Autorit�, fin dall'inizio dell'apertura della procedura di indagine formale da parte della CE, ha provveduto a subordinare i pagamenti della componente compensativa alla presentazione di una parent company guarantee (di seguito: PCG), proprio al fine di assicurare l'effettivo recupero delle erogazioni, qualora fossero dichiarate aiuto illegale. Pertanto, ancor prima che fosse dichiarato illegale l'aiuto, le istituzioni italiane avevano gi� adottato una misura concreta ed effettiva per il recupero delle somme erogate. Tale circostanza � stata completamente omessa dalla CE, che ne era, invece, informata, come risulta anche dalla decisione 19 novembre 2009 (par. 51). 21. Tutto ci� premesso, occorre portare all'attenzione di Codesta Ecc.ma Corte le concrete azioni intraprese dall'Italia per dare effettiva esecuzione alla decisione 19 novembre 2009. I. La compensazione. La somma di � 52.829.040,24 (relativa ad erogazioni di competenza dello stabilimento di Portovesme per il periodo giugno - 19 novembre 2009), � stata trattenuta dalla Cassa, come richiesto dalla stessa societ� in data 3 giugno 2010 (all. 1, ovvero ultimo allegato della documentazione relativa all'attivazione della PCG di cui infra), in parziale recupero di quanto complessivamente dovuto da Alcoa per la restituzione degli aiuti di Stato illegali. Tale compensazione rappresenta, senza dubbio, un'azione concreta in esecuzione della decisione 19 novembre 2009, dopo appena 6 mesi dalla notifica della stessa. Eppure, la Commissione, nonostante ne sia venuta a conoscenza con la nota del 23 settembre 20110, non ha in alcun modo considerato la stessa nell'ottica della manifesta volont� della Repubblica Italiana di rispettare l'obbligo di recupero, seppure la stessa avesse gi� con lettera del 25 maggio 2010 manifestato l'impossibilit� di procedere al recupero immediato. II. L'attivazione della Parent Company Guarantee. Per dare un quadro completo delle azioni intraprese dall'Italia nel caso de quo, occorre fare un passo indietro ed illustrare brevemente le vicende che hanno condotto alla suddetta previsione di una garanzia, nello strumento specifico della Parent Company Guarantee (di seguito: PCG), nelle more della definizione del procedimento di infrazione innanzi alla CE: -con lettera 19 luglio 2006, la Commissione ha notificato all'Italia la decisione di avviare il procedimento di cui all'articolo 88, paragrafo 2, del Trattato CE, per valutare la compatibilit� della proroga della tariffa agevolata con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato (Decisione C (2006) 3225 def. - la cui sintesi � stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea 6 settembre 2006, C214, p. 5 e ss.); -con delibera 4 agosto 2006, n. 190, l'Autorit� ha disposto che la CCSE riconoscesse la componente compensativa disciplinata dall'art. 74 del Testo integrato alle utenze di cui all'art. 11, comma 11, d.1. n. 35/05, in seguito alla messa a disposizione, da parte del beneficiano, di apposita garanzia di pagamento rispetto all'obbligo di restituzione delle somme che risultassero indebitamente percepite a seguito della decisione della Commissione europea (punto 1, dispositivo delibera n. 190/06); -la suddetta garanzia doveva essere pari alle somme erogate dalla data di entrata in vigore del provvedimento fino al 31 dicembre 2006 (punto 3, dispositivo, delibera n. 190/06); -con delibera 27 dicembre 2006, n. 319, l'Autorit� ha confermato per tutto l'anno 2007 quanto disposto al punto 1, 2 e 4 della delibera n. 190/06 e differito il termine di cui al punto 3 al 30 giugno 2007, ritenendo che, entro tale termine, si potesse giungere ad una definizione della procedura aperta dalla Commissione europea; - con delibera 25 giugno 2007, n. 145, l'Autorit� ha ulteriormente differito il suddetto termine al 31 dicembre 2007, autorizzando la Cassa ad erogare, fino a tale data, la componente compensativa ai soggetti beneficiari, dietro presentazione di garanzia; - tale delibera � stata impugnata dalle societ� Alcoa Servizi SA. e Alcoa Trasformazioni S.r.l., ma il Tar Lombardia ha in parte dichiarato irricevibile, in parte respinto il ricorso con sentenza 16 gennaio 2008, n. 49/08; - con delibera ARG/elt n. 38/08, l'Autorit� ha disposto la proroga al 30 giugno 2008 del termine di cui al punto 3 della delibera n. 190/06, in considerazione della pendenza della procedura di indagine formale avviata dalla Commissione con Decisione C (2006) 3225 def; -nelle more della decisione definitiva della Commissione, con delibera ARG/elt 138/08, l'Autorit� ha ulteriormente differito tale termine al 31 dicembre 2008; - con delibere ARG/elt 191/08 e ARG/com 36/09, per le stesse ragioni, il suddetto termine � stato prorogato prima al 31 marzo 2009 e poi al 30 giugno 2009; -con sentenze 12 novembre 2009, nn. 5055/09, 5056/09, 5057/09, 5058/09, 5059/09, 5063/09 il Tar Lombardia ha respinto i ricorsi presentati da Alcoa InversionesEspana S.r.l., Alcoa Trasformazioni S.r.l. e Alcoa Servizi S.r.L avverso le citate delibere ARG/com 36/09, ARG/elt 191/08, ARG/elt 138/08, ARG/clt 38/08, n. 190/06, n. 145/07, le note della Direzione Tariffe 16 maggio 2008 (prot. 14354) e 27 maggio 2008 (prot. 15528); -Alcoa ha proposto appello avverso le sentenze di cui al precedente alinea; -con sentenza 4 luglio 2012, n. 3898, il Supremo giudice amministrativo nazionale (Consiglio di Stato) ha respinto tutti gli appelli di Alcoa avverso le sentenze del Tar Lombardia che dichiaravano legittima la subordinazione delle erogazioni tariffarie alla presentazione di una garanzia fideiussoria. 22. L'esposizione dei fatti, cos� come rappresentati nei precedenti alinea, consente di cogliere la volont� delle istituzioni coinvolte di difendere lo strumento della garanzia fideiussoria per assicurare il pronto recupero dell'aiuto e di attendere, in via di autotutela, la definizione del contenzioso innanzi al Consiglio di Stato, prima di attivare uno strumento di garanzia che rischiava, in sede di appello, di essere annullato. Come detto, tale contenzioso si � vittoriosamente concluso solo con la sentenza del 4 luglio 2012 del Consiglio di Stato, tuttavia, ancor prima dell'esito definitivo della controversia, le istituzioni italiane, ovvero la CCSE, in data 14 giugno 2012, hanno attivato la Parent Company Guarantee rilasciata dalla Alcoa InversionesEspana S.L. (all. 1), ai sensi dell'art. 3 della deliberazione dell'Autorit� n. 190/06, in data 15 dicembre 2010 (per un importo pari a 300 M�). Sulle somme dovute sono calcolati gli interessi previsti dall'art. 10 del Regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione Europea del 21 aprile 2004 per il recupero di Aiuti di Stato illegali, per un importo totale pari ad � 250.546.208,34. 23. Inoltre, � da considerare che, nel frattempo, Alcoa aveva proposto ricorso al Tribunale di primo grado (causa T-177/10) chiedendo la sospensione della esecuzione della Decisione del 19 dicembre 2009. Come noto, il fatto che contro la decisione della CE fosse stato proposto un ricorso diretto e questo non fosse stato respinto nel merito, rileva ai fini del ritardo con cui le istituzioni italiane hanno proceduto alle azioni di recupero, per giurisprudenza costante di questa Corte (sentenza 26 giugno 2003, causa C-404/2000, par. 45). 24. Invero, il ricorso intentato da Alcoa non � stato ancora deciso ed � tuttora pendente, e solo con l'ordinanza di rigetto 14 dicembre 2011, il Presidente della Corte ha respinto l'istanza di Alcoa, volta ad ottenere l'annullamento della ordinanza del Presidente del Tribunale dell'Unione Europea 9 luglio 2010, (causa T-177/10), e la sospensione dell'esecuzione della decisione della CE 19 novembre 2009 (causa 446/10). 25. Pertanto, tale circostanza, unitamente alle notorie gravi conseguenze di carattere sociale e occupazionale che la vicenda ha determinato e determina nel territorio nazionale, non pu� essere ignorata al fine di valutare complessivamente il comportamento delle istituzioni italiane, oltre al fatto, gi� ampiamente argomentato, che, comunque, nel frattempo l'Italia ha lealmente collaborato con la CE, oltre che attivare iniziative concrete per il recupero. 26. Infine, deve comunicarsi alla Corte la circostanza che, in data 20 luglio 2012, Alcoa ha formalizzato una proposta di rientro del debito (all. 2), ovviamente non avallata dallo Stato italiano, che prevede il versamento di 5 rate, ciascuna da � 50.109.241,668, secondo le seguenti scadenze: 31 ottobre 2012, 31 marzo 2013, 30 giugno 2013, 30 settembre 2013 e 31 dicembre 2013. 27. Da ultimo, la Repubblica italiana non pu� esimersi dal sottoporre alla Corte alcune osservazioni che appaiono di rilievo. - La tariffa � intesa a porre rimedio ad un fallimento del mercato. L'Italia ha sostenuto che le condizioni legate al costo elevato dell'elettricit�, che avevano condotto nel 1996 alla decisione positiva della CE "Alumix", non si erano modificate e questo giustificava 1a proroga della misura. Ha, altres�, precisato che, dopo la liberalizzazione, il mercato del- l'energia elettrica restava non pienamente competitivo e che le deficienze strutturali, ancor pi� gravi nella Regione Sardegna per mancanza di adeguata interconnessione con il continente, si traducevano in prezzi energetici eccezionalmente elevati. In particolare, il livello dei prezzi dell'energia non era tale da consentire l'equilibrio economico di imprese elettro-intensive come quelle operanti nel settore dell'alluminio. L'Italia aveva anche richiamato l'attenzione sulla prima relazione dell'High Level Group on Energy, Competitiveness and Environment, ove si affermava che la crisi della produzione di alluminio in Europa era dovuta anche al lancio del mercato interno dell'energia. Inoltre, altri Stati membri avevano adottato misure diverse ma di equivalente effetto volte ad evitare la de- localizzazione fuori dall'UE delle imprese dell'alluminio. -Insussistenza di aiuto di Stato: assenza di vantaggio, di risorse statali e di incidenza sugli scambi. La decisione Alumix stabiliva che la misura non era aiuto di Stato. La proroga della misura prevista con legge 80/2005, a sua volta, non costituiva un aiuto illegale, visto che la differenza tra il vecchio ed il nuovo sistema riguardava solo la struttura tariffaria. L'assenza di vantaggio era stata riconosciuta dalla Commissione nella decisione precedente, in cui si riteneva che in un mercato concorrenziale il distributore di energia fisserebbe un prezzo ai migliori clienti pari al costo marginale maggiorato di un piccolo contributo per la copertura dei costi fissi e che lo Stato poteva fissare una tariffa basata sui medesimi criteri. Inoltre, nel meccanismo prorogato con la legge n. 80/2005, non ricorreva l'elemento della "risorsa statalc" in quanto si trattava di un pagamento da parte di soggetti privati (clienti) verso un altro soggetto privato (Alcoa), intermediato dalla CCSE, che, in quanto "ente tecnico della contabilit� del sistema", non poteva disporre liberamente delle somme amministrate. Le somme, quindi, non erano mai entrate a far parte della finanza pubblica. Si torna a ribadire, inoltre, la non incidenza sugli scambi in quanto gli interessi dei produttori concorrenti di Alcoa in Europa non potevano essere minacciati. Ed infatti, il prezzo dell'energia pagato da Alcoa era solo marginalmente inferiore ai prezzi medi pagati dai concorrenti europei e la societ� non sarebbe comunque in grado di condizionare il mercato europeo in ragione della modesta quantit� di alluminio prodotta in Italia. ** ** Tutto ci� premesso, si chiede che il ricorso della Commissione sia rigettato e che la Repubblica Italiana sia mandata assolta dal pagamento delle spese di giudizio. Roma, 20 settembre 2012 Cristina Gerardis Avvocato dello Stato Osservazioni del Governo della Repubblica Italiana (avv. Stato Giuseppe Fiengo) nella causa C-19/13 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia) il 15 gennaio 2013 - Ministero dell'Interno / Fastweb SpA. Materia: Ravvicinamento delle legislazioni Libert� di stabilimento e libera prestazione dei servizi -Diritto di stabilimento Libera circolazione dei servizi Concorrenza 1. In data 20 febbraio 2013 � stata notificata al Governo Italiano l�ordinanza n. 25/2013, con la quale il Consiglio di Stato italiano in s.g. solleva innanzi alla Corte di giustizia dell�Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali: 1. �Dica la Corte di Giustizia se l�art. 2 quinquies, par. 4 della direttiva n. 2007/66 vada interpretato nel senso che, qualora un�amministrazione aggiudicatrice, prima di affidare il contratto direttamente ad un operatore economico determinato, scelto senza previa pubblicazione del bando, abbia pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell�Unione Europea l�avviso di trasparenza preventiva e abbia atteso almeno dieci giorni per la stipulazione del contratto, sia automaticamente precluso - sempre e comunque al giudice nazionale di pronunciare la privazione di effetti del contratto, anche se ravvisi la violazione delle norme che consentono, a determinate condizioni, di affidare il contratto senza l�espletamento di una gara�; 2. �Dica la Corte di Giustizia se l�art. 2 quinquies, par. 4 della direttiva n. 2007/66 - ove interpretato nel senso di escludere la possibilit� che a norma del diritto nazionale (art. 122 del processo amministrativo) sia pronunciata l�inefficacia del contratto, nonostante il giudice abbia accertato la violazione delle norme che consentono, a determinate condizioni, di affidare il contratto senza l�espletamento di una gara - sia conforme ai principi di parit� delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, nonch� assicuri il diritto ad un ricorso effettivo sancito dall�art. 47 della Carta dei diritti dell�Unione europea�. 2. Lo stesso giudice a quo, non utilizzando tuttavia il virgolettato ed il corsivo, cosi prosegue al punto 19 dell�ordinanza n. 25/2013: �Va precisato per completezza, che gli stessi quesiti, preceduti alle stesse considerazioni, possono essere riferiti anche all�art. 60, paragrafo 4 della citata direttiva 2009/81CE, relativa ai settori della difesa e sicurezza, la cui disciplina sul punto coincide con quella di cui all�articolo 2 quinquies, paragrafo 4 della Direttiva 2007/66/CE�. Il fatto. 3. Il Ministero dell�Interno, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, ha concluso nell�anno 2003 una convenzione con Telecom Italia per la disciplina e lo sviluppo dei servizi di telecomunicazione, in seguito integrata da una serie di atti aggiuntivi con scadenza prevista per il 31 dicembre 2011. 4. Il Ministero ha ritenuto di poter fare applicazione dell�art. 28 par. 1) lett. E) della direttiva 2009/81/CE del 13 luglio 2009, relativa al coordinamento delle procedure per l�aggiudicazione di taluni appalti di lavori, servizi, forniture nei settori della difesa e sicurezza e di quanto, in generale, previsto dall�art. 57 co. 2 lett. B) del D.lgs. 163/2006 di recepimento delle direttiva 2004/17/CE e 2004/18/CE (riferimento necessario in quanto il Decreto legislativo n. 208 del 15 novembre 2011, pubblicato sulla GURI del 16 dicembre 2011 n. 292, di recepimento formale in Italia della direttiva 2009/81/CE, era in fase vacatio legis). 5. Pertanto, sul presupposto che un solo operatore economico (nel caso di specie Telecom Italia S.p.A.) fosse in grado di eseguire il nuovo appalto di servizi, sussistendo, oltre alle indicate ragioni di difesa e di sicurezza, ragioni tecniche in tal senso, l�Amministrazione aggiudicatrice ha proce duto, con l�identificativo GU/SS244 del 20 dicembre 2011 395630-2011IT, alla preventiva pubblicazione dell�avviso volontario per la trasparenza sul supplemento della Gazzetta Ufficiale Europea. 6. In data 22 dicembre 2011 � stata adottata la determinazione con la quale si invitava Telecom Italia S.p.A. a partecipare alla negoziazione, all�esito della quale, in data 31 dicembre 2011 le parti hanno sottoscritto la convenzione quadro avente ad oggetto �fornitura di servizi di comunicazione elettronica a favore del Dipartimento di pubblica sicurezza e dell�Arma dei Carabinieri, quali servizi di fonia vocale, fonia mobile, trasmissione dati�. 7. In data 16 febbraio 2012 � stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Europea l�avviso di aggiudicazione dell�appalto. 8. Con un primo ricorso al TAR per il Lazio Fastweb S.p.A. ha impugnato tale atto di aggiudicazione, con conseguente richiesta di annullamento dello stesso e declaratoria di inefficacia del contratto, per difetto di motivazione ed eccesso di potere, nonch� ha censurato la scelta di non bandire una procedura di gara ed ha dedotto altres� la violazione dell�art. 28 della Direttiva 2009/18/CE e dell�art. 57 del D.Lgs. 163/2006. 9. Con successivi motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato la determinazione del 22 dicembre 2011 ed ha dedotto ulteriori violazioni di legge con riferimento all�art. 16 della legge 241/1990 e agli artt. 17, 59 e 79bis del d.lgs. 163/2006, censurando la scelta dell�Amministrazione di disciplinare il servizio attraverso un accordo quadro. 10. Il T.A.R. per il Lazio, accolta la domanda di annullamento, ha ritenuto che, nel caso di specie, non fosse possibile pronunciare l�inefficacia del contratto, ai sensi dell�art. 121 del Codice del processo amministrativo, per effetto del comma 5 del richiamato articolo e dell�avviso volontario per la trasparenza ex art. 79-bis pubblicato nella Gazzetta dell�Unione Europea, ma che ci� non ostasse alla declaratoria di inefficacia del contratto ai sensi dell�art. 122 del Codice del processo amministrativo vigente in Italia. In conseguenza di ci� il TAR per il Lazio ha dichiarato inefficace la convenzione sottoscritta in data 31 dicembre 2011 con decorrenza dal 31 dicembre 2013. 11. Avverso la predetta sentenza il Ministero dell�Interno e Telecom hanno proposto rispettivamente appello ed appello incidentale, riproponendo le eccezioni di rito sollevate in primo grado e censurando la sentenza nel capo contenente la statuizione relativa alla inefficacia del contratto, assumendo che nella fattispecie in questione non potesse applicarsi l�art. 122 del Codice del processo amministrativo, ma solo l�art. 121 comma 5 che tale pronuncia di inefficacia esclude, sulla base di un�esplicita e non derogata disposizione delle direttive comunitarie. 12. Il Consiglio di Stato, convenendo su tale ultimo aspetto, con ordinanza n. 25/2013 del 7 gennaio 2013 rimetteva alla Corte di Giustizia le questioni pregiudiziali come sopra riproposte. Osservazioni del Governo della Repubblica Italiana. 13. Una prima questione, di carattere apparentemente formale ma di valenza sostanziale, merita ad avviso della difesa della Repubblica Italiana di essere affrontata nel presente giudizio. 14. Il giudice a quo, sul presupposto che le disposizioni richiamate delle rispettive direttive comunitarie, sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia siano eguali, non chiarisce se nel caso sottoposto al suo esame si applichi la Direttiva 2007/66/CE ovvero la direttiva 2009/81/CE. Da tale omissione deriva quella anomala �duplicazione dei quesiti� che si � segnalata in apertura del presente atto defensionale (vedi punto 2). 15. In realt�, anche se le norme comunitarie sono uguali e l�art. 60 della direttiva 13 luglio 2009 n. 2009/81/CE riproduce quasi integralmente l�articolo 2 quinquies della direttiva 11 dicembre 2007 n. 2007/66/CE, certamente diverso � il contesto nel quale le due disposizioni sono chiamate ad operare, come diverse sono le finalit� delle due direttive ed in generale le discipline che gli Stati membri debbono applicare. In particolare le soluzioni in ordine all�efficacia dei contratti, ed alla loro sopravvivenza in caso di accertata violazione delle norme comunitarie, possono ragionevolmente avere una valenza diversa allorch� si tratta di contratti che dichiaratamente si assumono essere stati stipulati per esigenze di difesa e sicurezza. 15. In questo contesto ritiene la difesa della Repubblica Italiana che la Corte di Giustizia, anche senza arrivare necessariamente a una pronuncia di irricevibilit�, potrebbe richiedere opportuni chiarimenti al giudice a quo, al fine di definire in maniera puntuale l�oggetto della controversia pregiudiziale. 16. In questa fase la difesa della Repubblica Italiana, in via tuzioristica, si comporter� processualmente come se innanzi a codesta Ecc.ma Corte fossero stati proposti quattro distinti quesiti, i due esplicitati in ordine alla Direttiva 2007/66/CE ed i due richiamati per relationem in ordine alla Direttiva 2009/81/CE. 17. Sul primo quesito la questione interpretativa posta dal Consiglio di Stato Italiano si muove su una evidente contraddizione con la disposizione comunitaria (che il giudice a quo mostra nella sostanza di non condividere). Il punto 4 dell�articolo 2 quinquies, infatti, nel formulare l�esclusione della misura della �privazione degli effetti�, nei casi ivi indicati, utilizza inequivocabilmente una formulazione precettiva (corroborata dall�uso dell�indicativo presente �Gli Stati membri prevedono�� ) che non pu� ragionevolmente essere interpretata come possibilit� di trattamento pi� severo da parte della legislazione degli Stati membri. I principi che sorreggono la deroga al regime di �privazione dagli effetti�, infatti, traggono diretta origine dal diritto comunitario ed attengono all�affidamento che il comportamento dell�amministrazione appaltante genera nel mercato attraverso l�avviso volontario di trasparenza e/o la convinzione (in qualche modo manifestata) che si possa procedere senza pubblicazione del bando di gara in GUCE. Tale affidamento non pu� ragionevolmente avere diversa ( e minore) tutela in Italia o in altri Paesi dell�Unione Europea a seconda delle scelte del legislatore nazionale. 18. La semplice lettura dei �considerando� che fanno da premessa alla direttiva 2007/66/CE mette d�altronde in chiara evidenza che l�obiettivo delle norme comunitarie � assicurare prioritariamente, al fine dell�effettiva tutela dei diritti delle imprese potenzialmente concorrenti, la conoscenza preventiva dell�attivit� negoziale che la stazione appaltante intende mettere in atto e l�esistenza di un termine essenziale per promuovere eventuali misure di ricorso. La �privazione degli effetti� resta misura ulteriore, modulabile dalla legislazione dei singoli Stati membri, nell�ambito della disciplina comune che regola, con norme non modificabili da prassi giudiziarie ed interpretazioni dei giudici nazionali, il trattamento delle infrazioni pi� gravi, che, proprio in quanto tali, devono avere un trattamento comune in tutta l�area del diritto comunitario (Considerando n. 26) 19. Conseguentemente il recepimento delle disposizioni della �direttiva ricorsi� � avvenuto in Italia in maniera pedissequa e puntuale rispetto alle disposizioni della direttiva 2007/66/CE. 20. Tale direttiva infatti � stata recepita con il decreto legislativo 20 marzo 2010, in attuazione della delega contenuta nella legge 7 luglio 2009 n. 88 (Legge Comunitaria 2008), che ha apportato le dovute modifiche al Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163). 21. Successivamente, con l�approvazione del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo) la disciplina, che rileva nel caso di specie, � confluita al suo interno (articoli da 120 a 125), residuando nel corpus iuris del codice dei Contratti pubblici unicamente alcune norme aventi rilevanza sostanziale (standstill e preinformativa volontaria - art. 11 e 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163). 22. Nondimeno la scelta nazionale di riservare alla puntuale valutazione del giudice amministrativo le modalit� di caducazione degli effetti di un contratto d�appalto stipulato in spregio alle regole comunitarie (cosiddetto �potere residuale�), sancita nell�art. 122 del codice del processo amministrativo italiano, � limitata dall�incipit di tale articolo �Fuori dei casi di cui all�art 121, comma 1��, comma nel quale - in stretta aderenza alle disposizioni di cui al paragrafo 1 lettera a) della direttiva 2007/66/CE - si sancisce la caducazione automatica dei contratti stipulati senza preventiva pubblicazione del bando di gara e si delinea la relativa fattispecie come �violazione grave�. Tuttavia proprio la norma comunitaria, in relazione a tali gravi violazioni e all�automatismo delle sanzioni che esse compor tano, intende evitare, con il punto 4 dell�articolo 2 quinquies di cui si discute, in relazione ad un comportamento dell�amministrazione appaltante connotato da correttezza e buona fede, quegli automatismi che potrebbero rilevarsi penalizzanti per l�attivit� amministrativa e la stessa disciplina di una corretta concorrenza. Non a caso la legislazione italiana all�art. 121 comma 5 del Codice del processo amministrativo puntualmente esclude l�applicazione della privazione di effetti automatica ad un contratto, stipulato senza pubblicazione in GUCE del bando di gara, allorch� ricorrano tutte le condizioni dell�atto motivato di esenzione, della pubblicazione dell�avviso volontario per la trasparenza preventiva e del decorso utile di un termine congruo per proporre un ricorso. 23. Ipotizzare, come fa il Consiglio di Stato italiano, un potere residuale del giudice amministrativo di superare in ogni caso (con il ricorso ad una interpretazione decisamente pretoria) questi limiti posti dalla direttiva comunitaria comporta un aggravamento ingiustificato della posizione delle stazioni appaltanti italiane, evidenti difficolt� per gli operatori degli altri Stati membri sulla certezza del diritto che si applica in Italia ed una sostanziale inutilit� dell�istituto della trasparenza volontaria preventiva, sul quale proprio la stessa direttiva 2007/66/CE fa notevole affidamento. In definitiva la lettura delle norme comunitarie e nazionali deve essere organica e non pu� giustificare una interpretazione sostanzialmente abrogante dell�art. 2 quinquies comma 4 della direttiva 2007/66/CE. 24. In conclusione sul primo quesito si suggerisce alla Corte di Giustizia di rispondere nel seguente modo: �L�art. 2 quinquies, par. 4 della direttiva n. 2007/66 va interpretato nel senso che, qualora un�amministrazione aggiudicatrice, prima di affidare il contratto direttamente ad un operatore economico determinato, scelto senza previa pubblicazione del bando, abbia pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell�Unione Europea l�avviso di trasparenza preventiva e abbia atteso almeno dieci giorni per la stipulazione del contratto, sia automaticamente precluso - sempre e comunque - al giudice nazionale di pronunciare la privazione di effetti del contratto�. 25. Sul secondo quesito il giudice a quo ipotizza in sostanza che solo una norma nazionale del genere di quella prevista dall�art. 122 del Codice del processo amministrativo italiano sia idonea a garantire �i principi di parit� delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza�, nonch� assicurare �il diritto ad un ricorso effettivo sancito all�art. 47 della Carta dei diritti dell�Unione Europea�. La tesi pu� essere suggestiva, ma � palesemente infondata. 26. La direttiva comunitaria 2007/66/CE pone, con determinazione puntuale, l�obbligo degli Stati membri di privare di effetti un contratto d�appalto aggiudicato senza previa pubblicazione di un bando di gara in GUCE. Le conseguenze di questa misura, che il giudice nazionale � tenuto a pronunciare, restano regolamentate dal diritto nazionale, anche se la stessa direttiva comunitaria formula una serie di possibilit� di supplire a difficili o sproporzionate declaratorie di nullit� con il ricorso a misure alternative e/o a sanzioni anche cumulative. 27. La misura della privazione (automatica) degli effetti del contratto trova tuttavia un limite nell�interesse della stessa Unione Europea di incentivare alcune buone pratiche preventive che rendono possibile, effettiva e �serena� l�applicazione del diritto comunitario da parte delle amministrazioni aggiudicatrici: la motivazione esplicita delle scelte, l�avviso volontario di trasparenza pubblicato in GUCE ed un congruo termine di reazione per i concorrenti e per gli stessi uffici dell�Unione Europea sono elementi sufficienti a garantire gli operatori economici che - al di l� dei dubbi interpretativi che legittimamente possono sorgere in ordine alla concreta applicazione delle regole comunitarie in ordine alla ricorrenza dei requisiti sulla pubblicazione in GUCE del bando di gara - gli effetti di eventuali errori od omissioni non precludono l�efficacia del contratto e dei relativi impegni che si vanno ad assumere. Ragionevolmente all�automatismo della privazione di effetti (sanzione grave in relazione a violazione grave) corrisponde un automatismo che esenta dalla sanzione i comportamenti assunti in assoluta buona fede e trasparenza. Non si comprende perch� ad un automatismo della sanzione voluto dall�Unione Europea non possa corrispondere un eguale limite per il giudice nazionale di non dichiarare, ricorrendo precise circostanze, la privazione di effetti del contratto e debba invece introdursi una possibilit� discrezionale di dar corso egualmente alla privazione di effetti che la norma comunitaria vuole invece resti automatica ed obbligatoria. In tale modo il diritto comunitario diviene appannaggio esclusivo di avvocati e giudici, senza consentire agli operatori economici e alle amministrazioni aggiudicatrici alcuno spazio di azione per adeguarsi spontaneamente e senza rischi sproporzionati alla disciplina della concorrenza negli appalti. 28. La tutela dei terzi resta intatta dal momento che la trasparenza dell�azione amministrativa e il termine di sospensione per la stipula del contratto consentono ai potenziali concorrenti (e agli stessi uffici dell�U.E.) di avviare misure, rimostranze o altre efficaci iniziative per interrompere la procedura (in ipotesi illegittima) che l�amministrazione aggiudicataria intende perseguire (semprech�, ovviamente, il concorrente/ricorrente abbia effettivamente la possibilit� di concludere analogo contratto, e non si ponga piuttosto come mero ostacolo, funzionale ad altri obiettivi). 29. Sul secondo quesito, pertanto, si suggerisce alla Corte di Giustizia di rispondere nel senso che �l�art. 2 quinquies, par. 4 della direttiva n. 2007/66 - interpretato nel senso di escludere la possibilit� che a norma del diritto nazionale (art. 122 del processo amministrativo) sia pronunciata l�inefficacia del contratto, nonostante il giudice abbia accertato la violazione delle norme che consentono, a determinate condizioni, di affidare il contratto senza l�espletamento di una gara - � conforme ai principi di parit� delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, ed assicura il diritto ad un ricorso effettivo sancito dall�art. 47 della Carta dei diritti dell�Unione europea�. 30. In relazione al terzo e quarto quesito cՏ da chiedersi perch� il legislatore comunitario abbia inteso disciplinare un particolare tipo di appalti, quelli afferenti alla difesa e sicurezza, creando una fascia intermedia tra gli appalti regolati in generale dalle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE e le procedure affidate alla valutazione sovrana degli stati membri ai sensi dell�art. 296 del Trattato. CՏ anche da chiedersi se questa cauta apertura dell�Unione Europea ad un settore tradizionalmente escluso dalle regole della concorrenza non presenti anche peculiarit� tipiche in materia di ricorsi e di eventuale �privazione degli effetti�, in ragione della sensibilit� degli interessi in gioco e degli investimenti e sperimentazioni che la gestione di servizi afferenti agli armamenti e alla sicurezza necessariamente comportano. Che la disciplina della �privazione degli effetti� prevista dall�art. 60 della direttiva 2009/81/CE possa essere tendenzialmente simile a quella generale � scelta comprensibile e condivisa, ma � indubbio che le premesse di siffatte operazioni, le valutazioni che inducono alle scelte le amministrazioni aggiudicatrici, gli affidamenti delle imprese che contrattano hanno una valenza diversa. In altri termini il contesto � particolare e come tale va regolamentato, come saggiamente ha disposto la normativa comunitaria. 31. L�idea che tutte le valutazioni possano essere sempre rimesse al prudente apprezzamento del giudice nazionale diviene in questo settore assolutamente preclusivo al disegno dell�Unione Europea di agevolare l�integrazione delle attivit� e degli appalti in materia di armamenti e sicurezza. 32.Vanno infine richiamati, al fine di cogliere la specificit� del disegno europeo nel settore degli armamenti e della sicurezza, gli ampi considerando che precedono le disposizioni della direttiva 2009/81/CE: a titolo di esempio si segnalano i considerando 2, 11, 12, 13, 14, 16 seconda parte, 18, 21 ultima parte, 24, 27, 48, 51, 52, ed, ovviamente, 72 e 73. 33. Sulla base di tali considerazioni la difesa della Repubblica italiana suggerisce alla Corte di rispondere ai quesiti tre e quattro nel seguente modo: 3. �L�art. 60, par. 4 della direttiva n. 2009/81 va interpretato nel senso che, qualora un�amministrazione aggiudicatrice, prima di affidare il contratto direttamente ad un operatore economico determinato, scelto senza previa pubblicazione del bando, abbia pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell�Unione Europea l�avviso di trasparenza preventiva e abbia atteso almeno dieci giorni per la stipulazione del contratto, sia automaticamente precluso - sempre e comunque - al giudice nazionale di pronunciare la privazione di effetti del contratto�. 4. � L�art. 60, par. 4 della direttiva n. 2009/81 - interpretato nel senso di escludere la possibilit� che a norma del diritto nazionale (art. 122 del processo amministrativo) sia pronunciata l�inefficacia del contratto, nonostante il giudice abbia accertato la violazione delle norme che consentono, a determinate condizioni, di affidare il contratto senza l�espletamento di una gara - � conforme ai principi di parit� delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, ed assicura il diritto ad un ricorso effettivo sancito dall�art. 47 della Carta dei diritti del- l�Unione europea�. Roma, 8 aprile 2013 Giuseppe Fiengo Avvocato dello Stato Osservazioni della Repubblica Italiana nelle cause riunite C-87/13 e C133/ 13 (avv. Stato Paolo Gentili). Causa C-87/13 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi) il 21 febbraio 2013 - Staatssecretaris van Financi�n / X. Materia: Libert� di stabilimento e libera prestazione dei servizi -Diritto di stabilimento Libera circolazione dei capitali Causa C-133/13 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Paesi Bassi) il 18 marzo 2013 - Staatssecretaris van Economische Zaken, Staatssecretaris van Financi�n, altra parte: Q. Materia: Libera circolazione dei capitali 1. Con la prima domanda di pronuncia pregiudiziale di cui alla causa C87/ 13 il giudice del rinvio chiede in termini generali se le libert� di stabilimento e di circolazione dei capitali garantite dal Trattato sul funzionamento ostino ad una normativa che, ad un residente in un primo Stato membro, sottoposto in tale Stato membro ad imposizione sui redditi, nega la deduzione delle spese di mantenimento di un edificio registrato come monumentale (�castello�), nel quale egli abitualmente dimora, per la sola ragione che tale edificio si trova nel territorio di un secondo Stato membro, laddove tale deduzione sarebbe stata concessa se l�edificio monumentale si fosse trovato nel primo Stato membro, cio� nello Stato di residenza del contribuente. 2. Con la prima domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C-133/13 il giudice del rinvio chiede, invece, se l�interesse alla conservazione del patrimonio culturale e naturale costituisca un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare la normativa di uno Stato membro giusta la quale l�esenzione dall�imposta sulle donazioni di beni immobili classificati come �tenute�, e come tali soggetti a tutela quali beni di interesse paesaggistico, � concessa solo per le donazioni aventi ad oggetto tenute situate nel territorio di quello Stato membro, mentre non viene concessa se la tenuta oggetto della donazione si trova nel territorio di un diverso Stato membro. 3. Come � evidente, e come risulta dal testo dell�ordinanza (punti 24 ss.), in questa seconda causa il giudice del rinvio ha gi� risposto positivamente alla domanda se il regime descritto costituisca una restrizione alla libera circolazione dei capitali, cio� sia un regime che opera una discriminazione tra situazioni uguali; sicch� il giudice del rinvio passa subito ad interrogarsi se tale presunta discriminazione sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale. 4. Lo stesso sembra ritenere, sia pure senza particolare motivazione, anche il giudice del rinvio nella causa C-87/13 (punto 29 dell�ordinanza di rinvio). 5. Ad avviso del Governo italiano, per rispondere ad entrambe le domande di pronuncia pregiudiziale, deve allora esaminarsi in primo luogo proprio la questione fondamentale se costituisca o meno una discriminazione/restrizione un regime fiscale che agevola il possesso o il trasferimento di beni classificati come di interesse paesistico o monumentale (�beni culturali�) solo qualora tali beni si trovino nel territorio dello Stato membro che li classifica come tali e che concede di conseguenza l�agevolazione, mentre nega l�agevolazione se il possesso o il trasferimento riguardano un bene culturale che si trova in un diverso Stato membro (o, deve aggiungersi, in tema di libera circolazione dei capitali, finanche in uno Stato terzo). 6. La questione, come accennato, va risolta ricercando se tale diversit� di trattamento concerna situazioni uguali o, invece, situazioni diverse. Ad avviso del Governo italiano, la situazione di un bene situato nel territorio di uno Stato membro e da questo classificato come bene culturale sulla base della propria pertinente normativa interna, non � uguale alla situazione di un bene fisicamente simile, ma situato nel territorio di un diverso Stato membro. Si tratta, al contrario, di situazioni oggettivamente diverse; con la conseguenza che la diversit� di regime fiscale loro applicato non costituisce una discriminazione, n�, di conseguenza, una restrizione delle libert� fondamentali in questione. 7. Si deve muovere dalla premessa che l�art. 167 TFUE riserva tuttora in via esclusiva alla competenza degli Stati membri la materia della tutela dei beni culturali. I parr. 1 e 5 di tale articolo prevedono infatti che in materia di �sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversit� nazionali e regionali� �il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria � adottano azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri�. 8. Ci� comporta che la previsione di una determinata normativa nazionale, secondo la quale un certo bene viene riconosciuto come bene culturale, e pu� essere riconosciuto come tale solo se si trova sul territorio nazionale dello Stato membro che ha posto quella normativa, non � confrontabile con la normativa degli altri Stati membri. Infatti, in tali altri Stati tale normativa potrebbe anche non sussistere affatto, o comunque essere del tutto diversa, visto che non sussistono obblighi di armonizzazione rilevanti a livello di diritto dell�Unione. Non � quindi corretto, come invece sembrano fare i giudici del rinvio, e in particolare quello della causa C133/ 13, paragonare i beni interessati dalle agevolazioni sulla semplice base della loro simile consistenza oggettiva ( �tenuta�; �castello�). Fondamentale �, invece, considerare innanzitutto la normativa nazionale di tutela dei beni culturali, perch� in base alla normativa di uno Stato membro quei beni potrebbero essere riconosciuti come beni culturali, mentre in base alla normativa dell�altro Stato membro posto a confronto potrebbero non esserlo affatto. 9. E poich�, come si � visto, classificare un bene come culturale o meno compete in via esclusiva agli Stati membri, se un Stato membro prevede che siano classificabili come beni culturali soltanto i beni situati sul suo territorio, questa scelta non � sindacabile a livello di diritto dell�Unione, e determina una diversit� oggettiva tra i beni situati nel territorio di quello Stato e i beni situati nel territorio degli altri Stati membri. 10. D�altra parte, la scelta degli Stati membri di limitare ai beni situati nel proprio territorio la possibilit� di classificare tali beni come beni culturali, appare del tutto coerente con la nozione stessa di �bene culturale�, e quindi inidonea a determinare indirettamente discriminazioni agli effetti anche fiscali. � infatti ovvio considerare che il valore culturale di un bene per un determinato Stato membro si determina ponendo in relazione il bene con la cultura formatasi nel territorio di quello Stato (intendendo la parola �cultura� in senso ampio, come comprensiva sia dei monumenti di interesse storico, archeologico e architettonico, che del paesaggio), e quindi, in definitiva, con quel territorio. Un bene pu� rivestire un interesse culturale solo perch� costituisce una testimonianza rilevante per la cultura di un determinato territorio, e quindi solo se situato nel territorio di uno Stato; mentre quel bene (o meglio, un bene fisicamente simile) pu� essere del tutto insignificante se situato in un territorio diverso, in cui si � formata una cultura diversa, di cui quel bene non viene quindi a costituire un documento significativo. 11. In altri termini, e in sintesi, il territorio non � solo lo spazio fisico in cui il bene culturale � collocato, ma � anche, e innanzitutto, un elemento essenziale della natura stessa di bene culturale propria di esso. Per cui, considerare �culturale� (anche agli effetti fiscali) un bene situato in un certo territorio e �non culturale� un bene, anche simile, situato in un territorio diverso non comporta alcuna discriminazione perch� significa trattare diversamente situazioni oggettivamente non confrontabili. 12. Quanto precede � assorbente di tutte le altre questioni poste con le decisioni di rinvio, e in particolare con la decisione introduttiva della causa C-133/13. Tuttavia, in subordine, verranno ora esaminate brevemente anche tali questioni. 13. Sul presupposto che sussista una discriminazione, e quindi una restrizione della libert� di circolazione dei capitali, il giudice del rinvio nella causa C-133/13 si chiede se tale discriminazione sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale costituito dalla tutela e conservazione del patrimonio culturale. Il giudice del rinvio ricorda che codesta Corte di giustizia nella sent. 26 febbraio 1991, causa C-180/89, Commissione contro Italia, nel punto 20 ha statuito che �la conservazione del patrimonio storico ed artistico nazionale [pu�] costituire esigenz[a] imperativ[a] che giustifica [�] una restrizione della libera prestazione dei servizi�; e che questo punto di vista � stato ribadito nella sentenza 14 settembre 2006, causa C-386/04, Centro di Musicologia Walter Stauffer, il cui punto 45 rileva che ҏ vero che talune finalit� legate alla promozione, a livello nazionale, della cultura � possono costituire motivi imperativi di interesse generale�. Tuttavia, secondo il giudice del rinvio (in particolare v. punto 33 dell�ordinanza di rinvio), queste sarebbero affermazioni generiche, che non precisano le condizioni al ricorrere delle quali la tutela del patrimonio culturale pu� giustificare nei casi concreti restrizioni delle libert� fondamentali. 14. A giudizio del Governo italiano questo approccio non pu� essere condiviso. Si deve ritenere, al contrario, che le affermazioni della giurisprudenza di codesta Corte sopra riportate siano sufficienti a qualificare la tutela e la conservazione del patrimonio culturale come motivi imperativi di interesse generale atti a giustificare restrizioni alle libert� fondamentali garantite dal Trattato. Si � gi� visto, infatti, come l�art. 167 TFUE da un lato rimetta alla competenza esclusiva degli Stati membri di stabilire le modalit� di tale tutela, cos� riconoscendo loro il potere di perseguire quella tutela come un proprio obiettivo di interesse pubblico, espressamente sottratto ad obblighi di armonizzazione. Dall�altro, come tuttavia la tutela del patrimonio culturale costituisca un obiettivo anche del- l�Unione. Il par. 1 dell�art. 167 enuncia infatti il principio secondo cui �L�Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversit� nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune�. 15. � noto poi, come ricorda anche l�ordinanza di rinvio della causa C-87/13, che in materia di aiuti di Stato l�art. 107 par. 3 lett. d) TFUE riconosce che possono considerarsi compatibili con il mercato comune �gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell�Unione in misura contraria all�interesse comune� (si tratta della c.d. �eccezione culturale�). 16. Contrariamente a quanto ritiene il giudice del rinvio della causa C-133/13, deve quindi concludersi che � sufficiente ravvisare in una restrizione alle libert� fondamentali la finalit� effettiva di tutelare il patrimonio culturale nazionale per dover concludere che questa restrizione � giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, senza che occorra stabilire condizioni ulteriori. � quindi giustificata la restrizione consistente nell�ammettere al riconoscimento come beni culturali, e quindi, tra l�altro, alle conseguenti agevolazioni fiscali, solo beni immobili situati nel territorio dello Stato membro che riconosce l�agevolazione. La tutela dei beni immobili culturali situati negli altri Stati membri � infatti materia di competenza di questi ultimi, e legittimamente il primo Stato membro non ne tiene conto nella propria legislazione in materia (conforme � il punto 31 dell�ordinanza di rinvio nella causa C-87/13). 17. Naturalmente, una volta stabilito che la restrizione � giustificata, occorre poi verificare nei casi concreti se essa sia efficace e proporzionata, cio� se serva realmente allo scopo dichiarato e non vada oltre quanto necessario per perseguirlo. Insomma, il vero problema non � la giustificazione della restrizione, bens� la sua proporzionalit�. Ci�, del resto, � enunciato non solo dal gi� citato art. 107 par. 3 lett. d) TFUE in tema di aiuti di Stato, ma anche, in tema di libert� di circolazione delle merci (quindi, a proposito dei beni culturali che costituiscano beni mobili), dall�art. 36 TFUE, giusta il quale il divieto di restrizioni quantitative all�importazione e all�esportazione tra Stati membri �lascia impregiudicati i divieti o restrizioni � giustificati da motivi di � protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale. � Tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria n� una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri�. 18. Nella specie, nelle cause principali si discute di agevolazioni fiscali in materia di imposizione dei redditi e dei trasferimenti, da concedere a proprietari di beni immobili classificati come beni culturali. Riguardo alle agevolazioni in materia di imposte sui redditi (causa C-87/13), si prevede la deduzione delle spese di mantenimento dell�immobile monumentale dall�imponibile dell�imposta progressiva sul reddito. Si tratta di una misura che non eccede quanto necessario alle finalit� della tutela, in quanto, come risulta dall�ordinanza di rinvio, si correla con l�obbligo per il proprietario di curare la salvaguardia del bene monumentale (punto 37 del- l�ordinanza di rinvio). In tal modo l�esonero parziale dall�obbligo di imposta viene bilanciato dall�accollo al proprietario di un obbligo equivalente (�in natura�, potrebbe dirsi) di contribuire alla finalit� pubblica di conservazione del bene culturale. La misura � quindi proporzionata e anche efficace, perch� mira a porre il proprietario in condizione di assicurare la protezione del bene per cos� dire �sostituendosi� allo Stato, e fa leva sull�evidente interesse personale del proprietario a conservare il proprio bene nelle migliori condizioni. 19. Alla medesima conclusione deve pervenirsi per quanto riguarda le agevolazioni in materia di imposte sui trasferimenti, di cui si discute nella causa C-133/13. L�agevolazione del trasferimento di beni culturali pu� infatti accrescere le loro possibilit� di circolazione, e in tal modo facilitare il loro acquisto da parte di soggetti interessati ad assicurarne la tutela, esonerando questi ultimi dal costo fiscale del trasferimento. Sotto questo aspetto, l�agevolazione del trasferimento, purch� condizionata al rispetto degli obblighi di conservazione, tende alla medesima finalit� a cui tende la deduzione dei costi di manutenzione dall�imponibile dell�imposta sul reddito. 20. In entrambi i casi, avendo le misure in questione la finalit� di far concorrere il proprietario privato alle attivit� di interesse pubblico volte alla tutela del bene culturale, � poi proporzionato che il regime agevolativo riguardi solo beni culturali situati nel territorio dello Stato che concede l�agevolazione. Tale Stato potrebbe essere infatti tenuto a svolgere le suddette attivit� di tutela solo relativamente ai beni situati nel proprio territorio, mentre non avrebbe alcuna competenza a svolgere tali attivit� relativamente a beni situati nel territorio di un altro Stato membro. L�estensione oltre confine delle agevolazioni in questione, anche a prescindere dalla mancata armonizzazione delle diverse normative nazionali circa la classificazione di un bene come culturale, con le connesse difficolt� applicative, sarebbe quindi manifestamente sproporzionata. 21. Quanto precede dimostra, ad avviso del Governo italiano, che non � necessario rispondere alle ulteriori domande di pronuncia pregiudiziale, con le quali si chiede se, e a quali condizioni, ulteriori giustificazioni dei regimi fiscali in questione possano essere basate sulla coerenza del sistema fiscale, o sulla necessit� di assicurare l�efficacia dei controlli fiscali (causa C-133/13); e se rilevi la circostanza che nello Stato in cui si trova l�immobile la deduzione delle spese di mantenimento potrebbe essere accordata se il contribuente scegliesse di essere tassato in tale Stato anzich� in quello di sua residenza (causa C-87/13). ***** Ci� premesso, la Repubblica Italiana conclude affinch� l�Ecc.ma Corte di giustizia voglia rispondere al complesso delle domande di pronuncia pregiudiziale nel senso che la concessione di agevolazioni fiscali in materia di imposte sul reddito e sui trasferimenti relativamente ai soli immobili classificati come beni culturali che siano situati nel territorio dello Stato membro che concede tali agevolazioni, e non anche relativamente a beni immobili fisicamente analoghi situati nel territorio di Stati membri diversi non costituisce una discriminazione n�, quindi, una restrizione delle libert� di stabilimento e di circolazione dei capitali; in ogni caso, l�ipotetica restrizione a tali libert� sarebbe giustificata dal motivo imperativo di interesse generale costituito dalla tutela del patrimonio culturale nazionale e le misure in questione sarebbero efficaci e non eccedenti quanto necessario, mirando a far concorrere il proprietario all�azione dello Stato membro in materia di tutela dei beni culturali situati nel proprio territorio. Roma, 10 luglio 2013 Paolo Gentili Avvocato dello Stato Controricorso del Governo della Repubblica Italina (avv. Stato Giuseppe Fiengo) in relazione alla causa C-196/13 - Ricorso presentato il 16 aprile 2013 � Commissione europea / Repubblica italiana. Materia: Ravvicinamento delle legislazioni Ambiente 1. Con ricorso notificato il 6 maggio 2013 la Commissione delle Comunit� Europee formula nei confronti del Governo Italiano le seguenti conclusioni: �dichiari che non avendo adottato tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunit� Europee del 26 aprile 2007, nella causa C-135/05, nella quale � stato dichiarato che la Repubblica Italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE, dell�art. 2, n. 1 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi. E dell�art. 14, lettere a) - c) della direttiva del Consiglio 16 aprile 1999, 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in virt� dell�art. 260, paragrafo 1, TFUE; ordini alla Repubblica italiana di versare alla Commissione una penalit� giornaliera pari a EUR 256.819,2 per il ritardo nell�esecuzione della sentenza nella causa C-135/05 dal giorno in cui sar� pronunciata la sentenza nella presente causa fino al giorno in cui sar� stata eseguita la sentenza nella causa C-135/05; ordini alla Repubblica italiana di versare alla Commissione una somma forfetaria il cui importo risulta dalla moltiplicazione di un importa giornaliero pari a EUR 28.089,6 per il numero di giorni di persistenza dell�infrazione dal giorno della pronuncia della sentenza nella causa C-135/05 alla data alla quale sar� pronunciata la sentenza nella presente causa, condanni la Repubblica Italiana al pagamento delle spese di giudizio�. 2. Nel costituirsi in giudizio e resistere alla pretesa attivata dalla Commissione dell�U.E., la difesa della Repubblica Italiana intende porre alcune questioni preliminari, che, se anche non fossero in grado di fondare un�irricevibilit� e/o inammissibilit� del ricorso ex adverso proposto, tuttavia dovrebbero costituire un viatico per �una giusta sentenza�. 3. Nel descrivere le premesse dell�inadempimento della Repubblica Italiana (punto 7 del ricorso) la Commissione dichiara che �il rapporto del Corpo Forestale dello Stato [�] dovesse[ro] essere usato come base di partenza per realizzare un controllo completo della situazione delle discariche illegali in Italia�. Tale premessa, in astratto ragionevole, trova alcuni limiti logici e fattuali di cui � bene che la Corte di Giustizia in questo nuovo giudizio abbia consapevolezza. Gli atti di causa e la copiosa corrispondenza instaurata tra le parti mostrano chiaramente: a) che il Corpo Forestale Italiano non ha un competenza specialistica in materia di ambiente, n� tantomeno di gestione dei rifiuti; b) che i dati geografici, che avrebbero dovuto localizzare le cosiddette �discariche abusive�, non coincidono con quelli normalmente in uso da parte delle �autorit� competenti�, quali il Ministero dell�Ambiente e le autorit� regionali; sicch� risulta difficile ancora oggi ogni ragionevole approccio alle dimensioni specifiche del fenomeno, che consenta al Ministero del- l�ambiente e ai Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di individuare correttamente di cosa di tratti (o forse �si trattava� ); c) in vari documenti della procedura precontenziosa le parti si sono, d�altronde, date atto del- l�esistenza, in tale documento �di base� di sostanziali errori ed omissioni. Il quadro fotografato dal Corpo Forestale dello Stato mette in luce esclusivamente il numero delle discariche e/o accumuli di rifiuti esistenti nel territorio nazionale, prescindendo dal distinguere quelle che erano discariche autorizzate, discariche dismesse, smaltimenti illeciti o incontrollati comunque sanzionati dalla legislazione italiana. TantՏ vero che dalla semplice lettura della sentenza della Corte in causa C-135/05 emerge che delle 4866 �discariche illegali� segnalate dal CFS nel 2002, 1420 delle stesse erano discariche regolarmente autorizzate, mentre 1030 erano addirittura siti di ex discariche chiuse e bonificate. Di talch�, dalla semplice sottrazione aritmetica il numero delle discariche �illegali� diminuisce a 2401, una cifra di molto inferiore a quello che ancora oggi si pretende possa costituire il cosiddetto �dato di partenza�. Orbene, se � ragionevole - ancorch� non condiviso dalla Repubblica Italiana -aver fondato la sentenza di accertamento nella causa C-135/05 sull�uso prevalente, se non esclusivo, del rapporto del CFS (nella misura in cui comunque rappresentava, facendola presumere, l�esistenza di una violazione diffusa in Italia delle regole comunitarie in tema di gestione dei rifiuti) non appare assolutamente giustificato utilizzare tale base documentale, in una causa di condanna, introdotta ai sensi dell�art. 260, n. 2 del TFUE, nella quale l�entit� della sanzione si commisura necessariamente sui puntuali specifici inadempimenti in relazione a ciascuna �discarica illecita� che la Repubblica Italiana avrebbe continuato ad utilizzare in ispregio ad una sentenza della Corte di Giustizia. In questo tipo di controversie, essendo correlata la sanzione comunitaria alla specifica violazione, i fatti costitutivi dell�inadempimento debbono essere analiticamente enunciati e ponderati. Nel caso di specie tutto ci� manca e di questo ha piena consapevolezza la stessa Commissione che nella procedura precontenziosa ha fatto solo generici e saltuari riferimenti a �singole discariche�, fondandosi solo sulla ennesima �presunzione� erronea, secondo cui la Repubblica Italiana non avrebbe mai negato �che l�esecuzione della sentenza resa nella causa C135/ 05 fosse incompleta� (vedi punto 25 del ricorso Commissione). 4. Ancor pi� singolare � la circostanza che, nella fase dei contatti informali precedenti all�introduzione della procedura contenziosa sull�esecuzione della sentenza, le parti avessero deciso di comune accordo di prendere in considerazione, in relazione alle iniziative di ripristino/risanamento/chiusura, da adottarsi a cura dell�autorit� nazionale, eventuali �nuovi siti identificati dopo il 2002 (con indicazione della localizzazione e informazioni sullo stato del sito)� (vedi ricorso punto 7). Decisione saggia sul piano amministrativo, soprattutto se accompagnata, come nel caso di specie da un onere di �monitoraggio� periodico del territorio nazionale, che potesse prevenire situazioni quali quelle rappresentate (sia pure con una qualche enfasi) nella sentenza resa nella causa C-135/05. Tuttavia la conseguenza di questo ampliamento del tema e delle attivit� - convenzionalmente stabilito - non pu� ragionevolmente indurre, anche nell�ipotesi di inadempi mento o inesatto adempimento in relazione a tale ampliamenti, ad un immediato giudizio di secondo grado, quale quello applicativo di sanzioni; per i nuovi siti e per gli altri oneri introdotti dalle parti in sede precontenziosa, occorre un preventivo accertamento di violazione del Trattato da parte della Corte. Nel diritto interno italiano si potrebbe dire che nel caso di specie manca sul punto un �titolo esecutivo� su cui fondare l�applicazione della sanzione. Non � casuale che la Commissione in relazione ad alcuni �nuovi siti�, ricompresi nella presente controversia, ha ritenuto necessario attivare una diversa procedura di infrazione (2011/2215) tuttora in corso di trattazione. Si profila chiaramente un �ne bis in idem� (vedi sul tema generale anche le conclusioni dell�Avvocato Generale in Causa C-292/11 P Commissione contro Repubblica Portoghese paragrafi 27-28). 5. L�autorit� italiana competente ha mostrato chiaramente, in ogni fase della presente controversia, la massima disponibilit� ad adempiere in ogni modo possibile ai problemi posti, sia pure in modo generico, dalla sentenza in causa C-135/05, mettendo nelle mani della Commissione tutto il materiale cognitivo che man mano acquisiva. Sul piano dei rapporti di collaborazione che improntano le relazioni tra uffici comunitari e autorit� nazionali, l�affidamento fatto dalla Repubblica Italiana, che ha reso puntualmente edotta l�Unione Europea di tutte le iniziative attuate, tentate e sperate, per superare la difficile e diffusa situazione che aveva portato alla prima condanna, si rivela oggi il primario fattore di accusa su cui gli uffici della Commissione fondano oggi la loro pretesa. Se � vero che la �confessione � prova suprema�, tuttavia l�affidamento e la buona fede rimangono i perni su cui si fonda la stessa Unione Europea. 6. Ulteriore questione preliminare: il parere motivato della Commissione relativo alla presente controversia � del 26 giugno 2009; il termine concesso alla Repubblica Italiana per adeguarsi a quanto era ivi richiesto era stato prorogato al 30 settembre 2009; la causa innanzi alla Corte � stata introdotta con atto depositato il 13 aprile 2013. Nell�arco di oltre tre anni e mezzo le contestazioni hanno subito profonde modificazioni quantitative e, conseguentemente, qualitative. Non vՏ dubbio che, una volta spirato il termine previsto nel parere motivato, la Commissione non ha alcun termine finale per far valere l�inadempimento dello Stato membro; quello che non pu� assolutamente fare � cambiare tuttavia i termini della controversia. Ed � significativo che nel ricorso oggi proposto la Commissione citi, in relazione al periodo successivo alla scadenza del termine previsto dal parere motivato, solo documenti provenienti dalla Repubblica Italiana, mantenendo fermo il parere motivato del 26 giugno 2009 come ultimo atto rilevante della Commissione. In realt� non � cos�, perch� con nota 14 giugno 2011, sempre con riferimento alla procedura d�infrazione n. 2003/2077 il Direttore ge nerale della Commissione Europea - Direzione Generale dell�ambiente (allegato a)) inviava alla Repubblica Italiana un nuovo documento (non depositato in atti dalla Commissione), nel quale riassume in modi diversi, rispetto al parere motivato, i termini della questione, concedendo altres� un termine di 6 settimane per ricevere �informazioni adeguate�; ed � proprio questo documento che sembra legittimare tutto il carteggio prodotto dalla Repubblica Italiana dopo la scadenza del termine previsto nel parere motivato. Verosimilmente, la regolarit� della procedura avrebbe richiesto, in una situazione quale quella che si era venuta a determinare, l�emissione di un nuovo parere motivato che mettesse in grado la Repubblica Italiana e oggi la Corte di delimitare in modo preciso l�oggetto della controversia. In mancanza, il ricorso deve ritenersi irricevibile e il relativo fascicolo deve essere rimesso alla Commissione affinch� provveda ritualmente, ove sussistano tuttora i presupposti di mancata esecuzione della sentenza resa in causa C-135/05, all�avvio di una nuova regolare procedura contenziosa. 7. Ancora sui profili preliminari. La sentenza resa nella causa C-135/05 non fa alcun riferimento specifico a carenze normative esistenti dell�ordinamento giuridico italiano; vi fa invece riferimento la Commissione nel ricorso (pag. 42 punto 100 e soprattutto punto 102) e alcuni documenti delle lunghe ed estenuanti trattative relative alla modalit� di esecuzione della sentenza (verbali, lettere, riassunti di incontri). In realt� la normativa italiana in ordine al regime delle discariche non presentava e non presenta aspetti di inadempimento alle regole imposte dalle direttive comunitarie ma sconta al livello applicativo la difficolt� di risanare una situazione complessa anteriore al recepimento di tali direttive. Ottomila comuni avevano ottomila discariche; poche erano adeguate, sono state regolarmente chiuse, ma i siti dovevano essere risanati� La disciplina comunitaria dei rifiuti non coinvolge il problema della bonifica di tali siti e in un territorio articolato e complesso l�operazione di recupero ambientale ha difficolt� oggettive e costi profondi. In tale contesto, le vecchie anomalie nella gestione delle discariche (si ripete: oramai da lungo tempo chiuse) e l�esistenza di una propensione della cittadinanza a non osservare le norme giuridiche pur vigenti non possono ragionevolmente imporre un obbligo di modifica o inasprimento della disciplina giuridica solo perch� �violata�. La disciplina esiste, esistono organi amministrativi che devono vigilarne l�applicazione ed esistono giudici che devono promuovere l�azione penale ed eventualmente condannare. In particolare gi� secondo il decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 (decreto Ronchi): era vietata la miscelazione di rifiuti pericolosi (art. 9), era vietato l�abbandono di rifiuti (art. 14), era vietato lo smaltimento non autorizzato e tutte le altre attivit� strumentali (art. 51), era prevista la bonifica dei siti a carico del trasgressore (art. 51 bis), occorreva mantenere registri e for mulari ai fini della tracciabilit� (art. 52), era vietato il traffico illecito dei rifiuti (artt. 53 e 53 bis). Oggi le materia � stata riscritta integralmente ed adeguata nella parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152. In questo contesto riesce difficile cogliere nella presente controversia quali siano le disposizione di tale complesso corpo legislativo che la Commissione ritiene inadeguate e tali da impedire il raggiungimento degli scopi perseguiti dalle direttive in materia di corretta gestione dei rifiuti. In mancanza di tali specifiche indicazioni, la Repubblica Italiana non ha possibilit� di difendersi ed il ricorso cos� come proposto dalla Commissione � irricevibile. 8. Nel merito, atteso l�anomalo dispiegarsi della procedura contenziosa, cos� come condotta dalla Commissione, la Repubblica italiana limiter� le proprie difese alle conclusioni effettivamente assunte, senza alcun riferimento alla situazione vera o presunta esistente al momento in cui � spirato il termine previsto dal parere motivato. Tali conclusioni, cui rapportare le eventuali sanzioni in caso di accoglimento del ricorso della Commissione, riguardano �almeno 218� siti (�significa - prosegue la Commissione -senza ombra di dubbi (sic!), che esistono discariche senza autorizzazione etc.�. 9. La situazione quale attestata dalla tabella sinottica che si deposita come allegato b), elaborata dal Ministero dell�ambiente sulla base dei dati regionali e quelli raccolti direttamente dal Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri � del tutto difforme da quella rappresentata dalla Commissione nel ricorso. In sintesi, dei 218 siti di cui al ricorso della Commissione, 180 sono ex (ovverosia �chiuse�) discariche autorizzate di cui 174 comunali e 6 private. Tutti questi siti (comunali e privati) erano stati debitamente autorizzati a raccogliere rifiuti; la tabella indica altres� sotto la leggenda �chiusura� l�anno a partire dal quale il sito non � stato pi� utilizzato per raccogliere rifiuti di qualsiasi genere. Per i restanti 38 siti si tratta di discariche comunali non autorizzate, discariche abusive (private) e di luoghi di mero abbandono per i quali � riportato in tabella l�anno a partire dal quale � cessato l�utilizzo illecito e il provvedimento (ove esiste) formale di �chiusura�. Come si vede si tratta di �discariche abusive� comunque disattivate e chiuse. In pratica sulla base dei provvedimenti formali si ha la seguente situazione: siti autorizzati 152, siti non autorizzati 28, discariche abusive 23, abbandoni 7, aree inquinate 8, per un totale di 218 siti residui. 10. La tabella indica tuttavia anche le misure adottate dalla Repubblica Italiana sia in relazione ai siti autorizzati dismessi che in relazione alle restanti �discariche abusive�. � importante al riguardo cogliere che con il termine di leggenda �ripristino in corso� il Ministero dell�ambiente intende il compimento di quelle attivit� necessarie e/o utili per restituire il sito utilizzato (lecitamente o illecitamente) alla sua originaria vocazione naturale, eliminando comunque - anche gi� da prima (in sede di messa in sicurezza) - eventuali rischi residuali per l�ambiente e la salute. In particolare, laddove tali rischi sono emersi (probabilmente attraverso la cosiddetta �caratterizzazione del sito�) la leggenda usa il termine �bonifica� in corso. Per i casi di abbandono la Repubblica Italiana ha provveduto alla rimozione dei rifiuti, al ripristino e, ove occorreva, alla bonifica dell�area. 11. Anche per due discariche della Campania (Giffoni Valle Piana contenente prevalentemente materiali inerti, e Torretta, una cava dismessa usata come sito stoccaggio provvisorio, giusta comunicato stampa della Giunta regionale Campania del 4 giugno 2013 in www.resources.regione.campania. it) individuate come �discariche abusive� e poste sotto sequestro dell�autorit� giudiziaria, malgrado le obiettive difficolt� di intervenire in procedimenti penali in corso (per questioni di prova, di interferenza con i diritti di difesa etc.), tuttavia la Repubblica Italiana ha avviato specifiche procedure di messa in sicurezza e bonifica dell�area. Per la discarica abusiva di S.Giovanni in Persiceto (Emilia Romagna), anch�essa posta sotto sequestro, un comunicato stampa dell�Assessorato ambiente dell�Emilia Romagna del 23 ottobre 2012 (in www.regione.emilia-romagna.it) rende noto l�avvio delle procedure di bonifica del sito. Appare quindi evidente che probabili difficolt� di comunicazione e/o interfaccia tra le autorit� italiane e la Commissione hanno incrementato un colossale equivoco che ha portato all�instaurazione, evidentemente tardiva, della presente controversia, nella quale appare evidente che l�inadempimento della Repubblica Italiana non sussiste. In particolare essendo tutte queste �discariche abusive� da lunghi anni inattive, appare del tutto fuori luogo il richiamo nel ricorso agli articoli 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE, anche con riferimento al momento di scadenza del termine previsto dal parere motivato. Anche a quella data, nessuno dei 218 siti di cui si discute era di fatto attivo. 12. Quanto alla contestazione della Commissione circa la mancata esecuzione della sentenza resa in causa C-135/05 in relazione all�art. 14 lettere a) e c) 1999/31/CE gli stessi dati esibiti dalla Commissione (allegato 35) precisano: con riguardo all�Abruzzo: �due discariche per le quali non � stato presentato il piano di adeguamento, sono chiuse dal 2003; le autorizzazioni sono scadute da tempo e l�amministrazione sta provvedendo all�istruttoria degli atti necessari alla messa a norma definitiva dell�impianto�; con riguardo al Friuli Venezia Giulia �2 discariche sono ancora oggetto di procedimento e sequestro penale; per una discarica, autorizzata prima del 2001, l�autorizzazione � scaduta da tempo e per la quale era stato allora realizzato solo l�invaso e mai allestimento di opere di servizio, n� conferimento di rifiuti� . Si tratta di casi quindi nei quali la moratoria prevista dall�art. 14 lettere a) e c) della direttiva 1999/31/CE � in realt� inapplicabile dal momento che, sia pure per ragioni diverse, le discariche di cui si discute non sono pi� in esercizio. 15. In relazione alle sanzioni pecuniarie, nella denegata ipotesi in cui codesta Corte ritenga sussistere un inadempimento della Repubblica Italiana alla sentenza resa in causa C-135/05, la difesa erariale resta convinta che la sanzione pecuniaria debba innanzi tutto mantenere sempre un carattere dissuasivo (C-369/07). Nel caso di specie, trattandosi di una spesa che sia pure in periodo di grave crisi economica (sentenza C-279/11 del 19 dicembre 2012) - le regioni e gli enti locali stanno effettuando per chiudere una lontana vicenda di disservizio ambientale l�applicazione della misura sanzionatoria toglie risorse a tale complessa operazione rischiando di renderla pi� gravosa. D�altronde, rispetto alla vastit� del fenomeno denunciato nella sentenza di accertamento il residuo di preteso inadempimento assume carattere obiettivamente residuale e del tutto irrilevante. Quanto al criterio della gravit� dell�infrazione quale parametro della sanzione, va considerato che l�inadempimento e/o il ritardo dell�adempimento - ad avviso della difesa erariale - non dipende da una volont� persistente dell�autorit� nazionale di violare le norme comunitarie ma dalla necessit� di far fronte ad una situazione di fatto gi� compiuta e determinata da condotte pregresse, sicch� i tempi di adempimento non possono non tener conto della durata necessaria per individuare i siti, conoscerne le caratteristiche e programmare gli interventi. In relazione infine alla durata dell�infrazione, occorre tener conto dell�equivoco di fondo che sorregge tutto il ricorso ex adverso proposto: la mancata informazione che lamenta la Commissione e dalla quale cerca di trarre argomenti di prova contro la Repubblica Italiana, non pu� ragionevolmente surrogare la circostanza di fatto che delle 4866 discariche di cui si lamenta il perdurante illecito esercizio nessuna risulta per tabulas pi� attiva da lungo tempo. Si versano in atti: allegato a) Nota della direzione generale dell�Ambiente della Commissione Europea 14 giugno 2011; allegato b) tabella esplicativa relativa ai 218 siti oggetto del ricorso. Si insiste affinch� il ricorso ex adverso proposto sia dichiarato irricevibile, inammissibile e comunque infondato nel merito, con consequenziali statuizioni in ordine alle spese di lite. Roma 20 luglio 2013 Giuseppe Fiengo Avvocato dello Stato *** ** *** Controreplica del Governo della Repubblica Italiana in relazione alla causa C-196/13 1. La replica della Commissione sulle questioni preliminari formulate nel controricorso della Repubblica Italiana appare confusa e non priva di contraddizioni: tale stato di cose rende opportuno che, in sede di controre- plica, si formulino alcune precisazioni sulla natura e rilevanza delle stesse. 2. Non � vero che la Repubblica Italiana contesti �l�utilizzo, come base di partenza per la verifica dell�esecuzione della sentenza, del rapporto del Corpo Forestale dello Stato (CFS)�. Nessuno dubita, infatti, che la sentenza resa in causa C-135/05 si fondi sull�accostamento logico giuridico di due elementi all�epoca presenti nella fattispecie esaminata dalla Corte: l�indizio di una violazione diffusa delle regole comunitarie in tema di gestione delle discariche, che si ricavava in linea generale dal rapporto CFS del 2002 e la scarsa collaborazione offerta dalle autorit� italiane nel provare che quell�indizio era in tutto o in parte infondato (vedi paragrafo 22 della citata sentenza). 3. Il problema posto con la prima eccezione riguarda la possibilit� di accedere ad una procedura di secondo grado, quale quella prevista dall�art. 260, paragrafo 2 del TFUE, senza che questa genericit� ed ambiguit� sia in qualche modo preventivamente risolta: nella stessa sentenza della Corte, infatti, si parte da 4866 �discariche illegali�, si prova che 1420 erano discariche regolarmente autorizzate, che 1030 erano siti di �ex discariche� chiuse e bonificate e si arriva oggi, da parte della stessa Commissione, (che riparte, per la presente procedura, da pi� di 5297 siti, secondo la nota del 14 giugno 2011, allegato a) al controricorso) alla trattazione di soli 218 siti, cui rapportare le sanzioni per inadempimento alla sentenza. 4. In realt� anche questi ultimi siti risultano da lungo tempo non utilizzati come discariche e, per la maggior parte, anche bonificati e/o in corso di ripristino per gli usi tradizionali del territorio. Per molti siti si tratta di ex discariche comunali, attivate in anni in cui non vigeva alcuna disciplina comunitaria al riguardo, debitamente autorizzate e poi, con il sopraggiungere della nuova disciplina, dismesse. 5. In altri termini il rapporto del CFS e le ammissioni che sarebbero state fatte dalle autorit� italiane nel corso di incontri informali sull�esecuzione della sentenza (che, si ricorda, fanno parte della �amministrazione� e non della procedura contenziosa) possono ragionevolmente essere utilizzati per �l�avvio di una procedura di infrazione�, come dice la decisione della Corte in causa C-135/05, ma non possono oggi sorreggere una misura di condanna ad una sanzione pecuniaria, nella quale - per un principio universale del diritto ad un equo processo - la pena deve essere commisurata alle violazioni specificatamente contestate. 6. Quanto al riferimento, contenuto al punto 4 della replica, circa l�irrilevanza di �eventuali problemi di coordinamento tra amministrazioni nazionali�, si osserva che la scelta di utilizzare il rapporto del CFS, come indizio utile per suffragare la decisione in causa C-135/05, non � delle autorit� italiane e se il rapporto contiene dati inesatti e non commensurabili con le normali prassi amministrative usate dalle autorit� nazionali competenti, si � di fronte ad un dato di fatto che nessuna presunzione degli uffici della Commissione pu� ragionevolmente superare� E questo dato di fatto rende obiettivamente difficile l�adempimento a quanto genericamente richiesto dalla Commissione in forza della sentenza C-135/05. 7. Sulla seconda pregiudiziale, relativamente ai �nuovi siti� non trattati nel rapporto del Corpo Forestale, la Commissione sostiene che una condanna ad un �inadempimento generale e costante� (punto 7 della replica) la esenterebbe da un preventivo giudizio di accertamento, caso per caso, e le consentirebbe di pretendere l�applicazione delle sanzioni per violazione delle disposizioni recate nella sentenza resa in causa C-135/05, senza un preventivo concreto giudizio di accertamento. Con poca coerenza risulta, invece, che, per alcuni casi, le procedure di infrazione sono state avviate e portate avanti in relazione a tali �nuovi siti�, anche singolarmente, sicch� degli stessi si discute sia nella presente controversia che in quella specificatamente avviata per la singola discarica. Il riferimento al �ne bis in idem�, tanto enfatizzato e criticato nella replica della Commissione � tutto qui� In realt� il problema reale � comprendere una volta per tutte dove si ferma l�effetto di giudicato della sentenza resa nella causa C-135/05 e quando cesser� il marchio di condanna che, in tema di discariche, sembra connotare la posizione comunitaria della Repubblica Italiana. 8. Sempre in relazione alla seconda questione preliminare, relativa all�illegittima estensione del giudizio di esecuzione a siti non compresi nel rapporto CFS, la circostanza che le parti (quali, di grazia?) avessero �deciso di comune accordo di prendere in considerazione� eventuali nuovi siti identificati dopo il 2002� (punto 8 della replica), non pu� ragionevolmente incidere sull�interpretazione della sentenza C-135/05 che, sulla base di quello che in quella sentenza � stato scritto, spetta esclusivamente alla Corte di Giustizia, 9. La terza eccezione pregiudiziale fonda le proprie radici sulle logiche strutturali della procedura di infrazione comunitaria e mette in luce come la Commissione, se � libera, a seguito dell�emissione di un parere motivato, di attendere il tempo che vuole (ma tre anni e mezzo sono comunque �tanti� ) per adire la Corte di Giustizia e se resta libera di prendere in considerazione, ai fini della redazione del ricorso, eventuali comportamenti e comunicazioni che pervengono dall�Autorit� nazionale successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, quello che sicuramente non pu� fare � inviare una lettera ufficiale, quale quella del 14 giugno 2011 nella quale modifica sostanzialmente i termini quantitativi e qualitativi con i quali, fino al parere motivato, si era incardinata la controversia, mettendo soprattutto l�accento su temi, quali quelli della bonifica dei siti inquinati, che non appartenevano sicuramente all�esecuzione della sentenza resa in causa C-135/05. Su quella nota - apprezzabilmente collaborativa della Commissione - la Repubblica Italiana ha fatto legittimo affidamento sulla circostanza che il problema dell�adempimento alla sentenza potesse oramai essere superato (tutte le �discariche abusive� erano oramai non pi� utilizzate e per quelle �regolarmente in attivit�� erano in corso le procedure e le attivit� previste dall�art. 14 della Direttiva 1999/31/CE) in un quadro nel quale si affrontavano, d�intesa con la Commissione, i gravi problemi connessi al �risanamento ambientale�. La scelta di inviare una nuova lettera del Direttore Generale (� una lettera di messa in mora, un nuovo parere motivato o che altro?) l�ha fatta in via autonoma la Commissione ed � pregiudiziale nel presente giudizio conoscere quale valore debba avere questo documento, significativamente non depositato dalla Commissione nel pur ampio elenco degli allegati al ricorso. 10. Sul piano pratico inoltre si ritiene necessario decidere, una volta per tutte, nella presente controversia se la data di scadenza del termine previsto per l�adempimento alle richieste formulate nel parere motivato valga o meno anche per i comportamenti della Commissione: da un lato si prendono in considerazione le informazioni e i fatti sopravvenuti a tale data, dall�altro si lamenta ad esempio che le discariche di Rossiglione - Recchetta (in Liguria) e di Lecce nei Marzi- Le serre (in Abruzzo) siano state chiuse nel 2009 e 2011 (data successiva alla scadenza del 25 agosto 2009). In realt� non vՏ nessuna prova che i versamenti illegali in quei siti (uno abusivo, l�altro autorizzato) siano continuati fino alla data di adozione da parte delle autorit� competenti dei formali provvedimenti di chiusura. 11. Ad avviso della Repubblica Italiana sarebbe stato pi� coerente riformulare, in relazione ai siti rimasti in contestazione, un nuovo specifico parere motivato, che avrebbe consentito all�autorit� nazionale di fornire, in relazione ad un numero definito di siti, puntuali informazioni sul reale stato dei luoghi, adottando, anche formalmente, eventuali provvedimenti, della cui mancanza, oggi, in sostanza si lamenta la Commissione. La procedura d�infrazione, per i tempi lunghi con la quale � stata condotta e per la genericit� delle contestazioni mosse di volta in volta alla Repubblica Italiana, sembra aver assunto cos� un andamento ondivago, che non giova alla chiarezza di una eventuale (e paventata) condanna. 12. Ultima questione pregiudiziale riguarda la circostanza che in sede di esecuzione della sentenza C-135/05 la Commissione richieda �una modifica del quadro legislativo-regolamentare-sanzionatorio�, non trattato n� previsto in quella decisione. Nel controricorso la Repubblica Italiana (al punto 7) spiega analiticamente che il sistema normativo e sanzionatorio esiste, � funzionale ed esaustivo e che le difficolt� fattuali attengono ad altri aspetti applicativi, soprattutto in relazione alla bonifica dei siti di vecchie discariche. Nella replica la Commissione si limita a richiamare incontri, verbali ed assicurazioni relative alle modalit� di esecuzione della sentenza C135/ 05, nei quali alcuni funzionari della Repubblica Italiana avrebbero richiamato questo tema. Obiettivamente la difesa della Commissione appare ininfluente, rispetto alla contestazione mossa nel controricorso. 13. Quanto al merito della controversia, faticosamente definito solo in sede di replica ai punti 21-23, vanno spiegati alcuni elementi generali utili alla lettura della tabella del NOE (allegato b) del controricorso con riferimenti ai numeri posti sul lato sinistro dell�elenco): a) la sussistenza o meno dell�autorizzazione, indicata con un SI nella relativa colonna, sta a significare che, a suo tempo, la discarica fu legalmente aperta sulla base delle leggi vigenti (es. n. 5); b) la mancanza di un�indicazione temporale sotto la colonna �chiusura� indica che manca (o non � stato trovato) un provvedimento formale di chiusura. La circostanza che la discarica non sia operativa si ricava tuttavia aliunde dal fatto che si tratta di una �ex� discarica comunale e che sono in corso interventi di ripristino ambientale, impossibili in fase di continuit� nei versamenti; c) laddove si tratta di abbandono e/o deposito incontrollato (es. n. 34) non possono evidentemente esserci provvedimenti di autorizzazione e di chiusura. Tuttavia la circostanza che vi sia una bonifica in corso fa pensare che il sito non sia pi� utilizzato, costituendo oltretutto il versamento di rifiuti in deposito incontrollato un reato penale; d) in alcuni casi le discariche comunali, soprattutto se gestite in forma diretta su aree comunali, venivano aperte senza autorizzazione (es. n. 46) sicch� ragionevolmente non viene adottato alcun atto di chiusura. Tuttavia anche in questi casi si tratta di �ex� discariche comunali ed il ripristino dello stato dei luoghi � in corso. Stessa situazione vale per i numeri 74 e 79 dove tuttavia il procedimento di bonifica � stato avviato; e) una discarica abusiva sotto sequestro penale (es. n. 129), con in corso un�attivit� di ripristino, non consente ovviamente versamenti di rifuti. 14. In via analitica la Repubblica Italiana si pregia di mettere a disposizione le seguenti ulteriori informazioni (assunte a chiarimento dai materiali utilizzati dal Nucleo Ecologico dei Carabinieri per redigere il rapporto allegato al controricorso): - sito n. 5 Abruzzo Lecce nei Marsi Le Serre: un�ordinanza della regione Abruzzo ha tenuto legittimamente aperto il sito sino al 2011. Non risultano annullamenti delle relative autorizzazioni. - sito n. 34 Basilicata Altamura Sgarrone: il Comune di Altamura si trova in provincia di Bari e dall�ispezione effettuata e da informazioni richieste alle autorit� locali non risulta alcun sito adibito a discarica o connotato da abbandono di rifiuti. L�indicazione di �procedimento di bonifica avviato� contenuta nell�elenco potrebbe riferirsi ad altro sito non interessato nella presente procedura. -sito n. 46 Calabria Firmo Sciolle: non identificato nell�ispezione del Noe e confuso con la ex discarica comunale il cui sito � in corso di bonifica. -sito n. 74 Calabria Reggio Calabria Malderiti: nessuna discarica identificata nella localit� indicata. -sito n. 79 Calabria Ricadi Riaci: discarica abusiva chiusa da alcuni anni, effettuata messa in sicurezza e procedure di caratterizzazione; non sono in atto conferimenti di rifiuti. -sito n. 85 Campania Baronissi Cariti: chiusa prima del 25 agosto 2009, messa in sicurezza. -sito n. 87 Campania Bellosguardo Macchie Cucco: chiusa prima del 25 agosto 2009. -sito n. 94 Campania Centola Canneto: chiusa prima del 25 agosto 2009 e messa in sicurezza. - sito n. 95 Campania Contursi Terme Greci Serroni: chiusa prima del 25 agosto 2009, messa in sicurezza ed effettuata caratterizzazione. - sito n. 101 Campania Magliano Vetere Lavanghe: chiusa prima del 25 agosto 2009, messa in sicurezza, bonifica definitiva in corso. -sito n. 109 Campania Pisciotta S.Elia: chiusa prima del 25 agosto 2009, messa in sicurezza. - sito n. 114 Campania San Mauro La Bruca Sferracavallo: chiusa prima del 25 agosto 2009, messa in sicurezza. - sito n. 115 Campania San Pietro al Tanagro: chiusa prima del 25 agosto 2009, messa in sicurezza. - sito n. 118 Campania Sant�Arcangelo Trimonte Pianella Nocecchia: operativa fino al 2003, messa in sicurezza e caratterizzazione, ampliamento successivo con vasche limitrofe, sequestro dell�A.G. - sito n. 119 Campania Sant�Arsenio Difesa: chiusa prima del 25 agosto 2009, messa in sicurezza. -sito n. 120 Campania Sarno Cappella di Siano: chiusa prima del 25 agosto 2009, messa in sicurezza e caratterizzazione del sito. - sito n. 124 Campania Giffoni Valle Piana Sardoni, sequesto A.G. del 19 marzo 2009 e successive attivit� (messa in sicurezza etc.) su iniziativa del custode giudiziario. - sito n. 131 Friuli Venezia Giulia Porto di San Rocco Muggia. Sito industriale di deposito dal 1850 al 1960. Interventi di isolamento e messa in sicurezza. Negli anni 97 e 98 sversamenti di sedimenti scavati nel porto turistico. Nuova procedura di messa in sicurezza nel 2006. Archiviata l�inchiesta dell�A.G. -sito n. 133 Lazio Ferentino Bonifica: conferimenti di epoca remota e rimozione di tutti i rifiuti a partire dal 2006. Sito bonificato. -sito n. 155 Liguria Rossiglione Recchetta: ordinanza di chiusura del 15 settembre 2009 e sequestro dell�AG. -sito n. 172 Puglia Peschici Madonna di Loreto: discarica abusiva chiusa nel 2006, messa in sicurezza e recinzione dell�area. -sito n. 174 Puglia Sannicandro di Bari Pesco Rosso: chiusa nel 1988, caratterizzazione del sito in corso. -sito n. 176 Puglia Lecce Bosco Buia: abbandono incontrollato, messa in sicurezza ed approvato progetto di bonifica del sito. -sito n.179 Puglia Scorrano Masseria Cal�: ex discarica comunale usata per abbandoni abusivi. Messa in sicurezza. -sito n. 181 Puglia Santeramo in Colle Monte Freddo: chiusa nel 1970. Caratterizzazione del sito. -sito n. 182 Sardegna Perfugas Monterenu: discarica abusiva chiusa nel giugno 2009 per sequestro giudiziario. Rifiuti non pericolosi, prevalentemente inerti scarti di lavorazione attivit� estrattive. -sito n. 187 Sardegna Ulassai Fenarbu: chiusura nel 2001 con messa in sicurezza. Ordinanza sindacale contro versamenti abusivi nel 2008, sequestro penale nel 2009, dissequestro nel 2010. L�area � stata recintata. -sito n. 189 Sicilia Cammarata C/da San Martino: messa in sicurezza, non in atto versamenti da vari anni. - sito n. 191 Sicilia Racalmuto Oliva Troiana: messa in sicurezza, non in atto versamenti da vari anni. - sito n. 192 e 193 Sicilia Leonforte C/Tumminella C/Granfonte: trattasi di un unico sito, messo in sicurezza, non in atto versamenti da vari anni. -sito 198 Sicilia Paterno C/ Petulenti: chiusa dal 1994, messa in sicurezza. -sito 199 Sicilia Monreale C/ da Zabbia: messa in sicurezza, non in atto versamenti da vari anni. - sito 201 Sicilia Cerda da Caccione: messa in sicurezza, non in atto versamenti da vari anni. - sito 209 Umbria Gualdo Tadino Vigna Veccchia: chiusa nel 1992, caratterizzazione, progetto definitivo di risanamento. 15.Va posta infine un�ulteriore questione. Nel formulare gli elenchi delle discariche per le quali la Commissione non ritiene di avere informazione �definitive� si distinguono alcune per le quali vi sarebbe piena conformit� dell�azione svolta dal Governo Italiano agli articoli 4, 8 e 9 della direttiva n. 75/442/CE. ed altre per le quali resterebbe in piedi la contestazione relativa all�art. 4 di detta direttiva. L�articolo 4 testualmente dispone �Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati e smaltiti senza pericolo per la salute dell�uomo ... Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l�abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti�. 16. Ora, se � vero che la sentenza resa in causa C-135/05 fa riferimento, in relazione ad un fenomeno generalizzato a suo tempo denunciato dal rapporto CFS, anche ad una violazione di tale articolo, non appare invece condivisibile l�ulteriore passaggio (forse anche implicito) della Commissione circa la possibilit� di applicazione di detto articolo 4 in una fase in cui: a) sono state chiuse le discariche abusive e/o autorizzate in tempi nei quali non sussistevano specifici obblighi in ordine alle modalit� di costruzione; b) sono stati rimossi i rifiuti e/o messi in sicurezza i siti contaminati; c) sono stati avviati e/o completati i lavori di ripristino. In nessuna discarica risultano versamenti di rifiuti in atto o recenti. 17. In altri termini, cos� come risultante dagli atti di causa, la persistenza della contestazione di una violazione dell�art. 4 della direttiva 75/442/CE � frutto di una presunzione nei cui confronti la prova contraria addossata alla Repubblica Italiana assume connotazione di una �prova diabolica�: dove si � verificato un danno ambientale e/o un inquinamento del sito da rifiuti a seguito dell�esistenza di una discarica o di un abbandono illegale ci� che � possibile � far cessare l�attivit� inquinante, mettere in sicurezza e/o rimuovere i rifiuti e risanare il sito: ma quest�ultima obbligazione non deriva dall�art. 4 della direttiva 75/442/CE, pur restando precipuo interesse della Repubblica Italiana. Si insiste affinch� il ricorso ex adverso proposto sia dichiarato irricevibile, inammissibile e comunque infondato nel merito, con consequenziali statuizioni in ordine alle spese di lite. Roma 20 ottobre 2013 Giuseppe Fiengo Avvocato dello Stato Osservazioni del Governo della Repubblica Italiana (avv. Stato Marina Russo) nella causa C-221/13 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Trento (Italia) il 25 aprile 2013 � Teresa Mascellani / Ministero della Giustizia. Materia: Disposizioni sociali I) Il giudizio a quo. I.a) Il giudizio a quo � stato incardinato da una dipendente del Ministero della Giustizia, al fine di sentire accertare e dichiarare l�invalidit� del provvedimento con il quale l�Amministrazione datrice di lavoro le ha revocato il contratto a tempo parziale verticale con conseguente passaggio al tempo pieno. Il provvedimento dell�Amministrazione si fonda sul disposto dell�art. 16 della legge 4 novembre 2010 n. 183, il cui testo si riporter� infra, al punto II.3. I.b) Il giudice, ritenendone la rilevanza ai fini del decidere, ha sottoposto alla Corte di Giustizia dell�Unione Europea i seguenti quesiti: 1) �Se la clausola n. 5 punto 2 dell�Accordo recepito dalla Direttiva [97/81/CE] (laddove essa dispone che �il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilit� di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessit� di funzionamento dello stabilimento considerato�) debba essere interpretata nel senso che non � permesso alle legislazioni nazionali degli stati membri di prevedere la possibilit� - per il datore di lavoro - di disporre la trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a tempo pieno, anche contro la volont� del lavoratore�; 2) �Se la medesima direttiva 15.12.1997 n. 97/81/CE osti a che una norma nazionale (quale l�art. 16 della legge italiana 4.11.2010 n. 183) preveda la possibilit� - per il datore di lavoro - di disporre la trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a tempo pieno, anche contro la volont� del lavoratore�. II) La normativa nazionale. II.1) La trasformazione del rapporto di pubblico impiego da tempo pieno a tempo parziale � stata disciplinata nell�ordinamento italiano, in un primo momento, dall�art. 1 comma 58 l. 662 del 23 dicembre 1996 che, nel testo originale e per quanto qui interessa, prevedeva: �La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale avviene automaticamente entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale � indicata l'eventuale attivit� di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attivit� lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attivit� di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, grave pregiudizio alla funzionalit� dell'amministrazione stessa, pu� con provvedimento motivato differire la trasformazione del rapporto di la voro a tempo parziale per un periodo non superiore a sei mesi �� ; II.2) Successivamente, la norma riportata al punto precedente � stata modificata dall�art. 73 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112 convertito in legge 6 agosto 2008 n. 133. Il testo attualmente vigente dell�art. 1 comma 58 l. 662 del 23 dicembre 1996 � pertanto il seguente: �La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale pu� essere concessa dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale � indicata l'eventuale attivit� di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attivit� lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attivit� di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla funzionalit� del- l'amministrazione stessa �� ; II.3) L�art. 16 della l. 4 novembre 1996 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010, disciplina la fase transitoria del passaggio dal testo originario del- l�art. 73 D.L. 112/08 conv. in l. 133/08 (di cui al punto II.1), a quello attuale, (riportato al punto II.2). La norma transitoria, in particolare, prevede: �In sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte dall� articolo 73 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le amministrazioni pubbliche di cui all� articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale gi� adottati prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008� . II.4) Rileva, infine, il D.lgs 25 febbraio 2000 n. 61, con il quale l�Italia ha recepito la Direttiva relativa all�Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall�UNICE, dal CEEP e dalla CES, della quale si dir� subito infra, al punto III. III) La normativa comunitaria. Viene in considerazione, ai fini della soluzione dei quesiti sottoposti alla Corte dal giudice italiano, la Direttiva 15 dicembre 1997 n. 97/81/CE, relativa all�Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dal- l�UNICE, dal CEEP e dalla CES. In particolare, ai fini della presente questione, interessano: � La clausola n. 1: �Il presente accordo quadro ha per oggetto: a) di as sicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualit� del lavoro a tempo parziale; b) di facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria e di contribuire all'organizzazione flessibile dell'orario di lavoro in modo da tener conto dei bisogni degli imprenditori e dei lavoratori�; � la clausola n. 4.1: �Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive�; � la clausola 5.2: �Il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilit� di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessit� di funzionamento dello stabilimento considerato�; �l�11^ considerando: �� le parti firmatarie hanno inteso concludere un accordo quadro sul lavoro a tempo parziale enunciante i principi generali e le prescrizioni minime in materia di lavoro a tempo parziale; che esse hanno espresso la volont� di stabilire un quadro generale per l'eliminazione delle discriminazioni verso i lavoratori a tempo parziale e di contribuire allo sviluppo delle possibilit� di lavoro a tempo parziale su basi accettabili sia ai datori di lavoro che ai lavoratori�. ��� IV) Le osservazioni del Governo italiano. Con i due quesiti articolati dal Tribunale di Trento, si pongono le seguenti questioni: -la prima, oggetto del quesito n. 1, attiene alle implicazioni del divieto di licenziamento motivato dal rifiuto del lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo parziale ad uno a tempo pieno; secondo la prospettazione sottesa al primo quesito, detto divieto sancito dalla clausola 5.2 della Direttiva comporta che le legislazioni nazionali non possano consentire il trasferimento di lavoratore dal part-time al tempo pieno senza il suo consenso; -la seconda, oggetto del quesito n. 2, attiene - pi� in generale - alla necessit� del consenso quale condizione imprescindibile per il trasferimento di un lavoratore dal part-time al tempo pieno. In particolare, il giudice a quo prospetta, come possibile conseguenza della violazione di tale principio ad opera delle legislazioni nazionali, la disparit� di trattamento fra il lavoratore a tempo pieno e quello a tempo parziale, determinata dal fatto che solo il secondo si troverebbe soggetto ad un potere unilaterale del datore di lavoro di modificare il rapporto. Inoltre, la mancata subordinazione della trasformazione del rapporto al consenso del lavoratore non contribuirebbe allo sviluppo delle possibilit� di lavoro a tempo parziale su basi accettabili sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. IV.1) Quanto al profilo di cui al precedente punto IV primo trattino, non pare che la norma comunitaria debba leggersi nel senso suggerito dal giudice a quo. La previsione - cio� - del divieto di licenziamento motivato dal rifiuto opposto dal lavoratore alla trasformazione del rapporto non comporta necessariamente che quest�ultima debba per forza avvenire consensualmente. Infatti, la norma comunitaria, a ben considerare, non fa alcun riferimento al consenso del lavoratore riguardo al mutamento del regime d�orario, ma si limita a �vietare� (peraltro con formula non perentoria: �non dovrebbe�) il suo licenziamento - inteso come reazione datoriale estrema ed espulsiva - in caso di rifiuto. Non pare quindi corretto leggere tale �divieto� di licenziamento come codificazione di un vero e proprio diritto (soggettivo) di rifiuto in favore del lavoratore. Il fatto che la norma comunitaria sembri voler escludere (ma non tassativamente) la possibilit� del licenziamento non significa, in altri termini, che essa abbia altres� voluto formalmente condizionare la trasformazione del rapporto da part time a full time al consenso del dipendente, ben potendosi ipotizzare - all�interno dello svolgimento del rapporto di lavoro (e dunque senza giungere alla sua cessazione) - eventuali altre misure meno radicali (ossia conservative del rapporto) di reazione del datore di lavoro per vincere la mancata disponibilit� del lavoratore. IV.2) Neppure sembra che, dalla Direttiva, possa desumersi l�esistenza di un generale principio di necessit� del consenso del lavoratore. Quand�anche, poi, un tale principio fosse effettivamente espresso dalla Direttiva, esso non avrebbe valenza assoluta rispetto a qualsivoglia fattispecie. IV.2.1) Ed invero, occorre considerare che l�art. 16 l. 183/10 disciplina una fattispecie del tutto peculiare, il che non sembra emergere compiutamente dall�ordinanza di remissione. Rispetto a tale fattispecie, � a maggior ragione legittima l�attribuzione all�Amministrazione datrice di lavoro di un potere di modifica unilaterale del rapporto, anche tenendo conto della normativa comunitaria e dei principi in essa sanciti di non discriminazione e di sviluppo delle possibilit� di lavoro a tempo parziale. L�art. 16 cit. reca infatti una norma transitoria, volta a regolare il passaggio dal regime gi� disciplinato dall�art. 1 comma 58 l. 662 del 23 dicembre 1996 a quello disciplinato dalla medesima norma come modificata dall�art. 73 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112 convertito in legge 6 agosto 2008 n. 133. Il comma 58 dell�articolo 1, l. n. 662/1996, nella sua originaria formulazione, prevedeva la trasformazione del rapporto di impiego pubblico da tempo pieno in part time - sostanzialmente - come vero e proprio diritto potestativo del dipendente. Nei confronti di quest�ultimo il datore di lavoro pubblico non aveva quindi nessun potere di reazione o di contrattazione, potendo al massimo -nel caso in cui la riduzione dell'impegno lavorativo comportasse un "grave pregiudizio" alla funzionalit� del servizio - procrastinare di sei mesi la decorrenza della trasformazione. La fruizione del part time dipendeva, dunque, esclusivamente dalla manifestazione di volont� del dipendente, della quale l'Amministrazione doveva limitarsi a prendere atto. La nuova normativa ha invece previsto che la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale costituisca un atto di discrezionalit� imprenditoriale-organizzativa del datore di lavoro ("pu� essere concessa dall'amministrazione"), che si esprime nella conclusione di un vero e proprio accordo fra il lavoratore e l�amministrazione-datore di lavoro (che pu� negarne l�accoglimento, sia pure solo per i motivi indicati dallo stesso art. 1 comma 58 cit.), coerentemente con la contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego introdotta in Italia nel 1993. La norma transitoria introdotta dall�art. 16 l. 183/10 regola dunque il passaggio dal precedente sistema, nel quale l�Amministrazione era semplicemente soggetta all�esercizio di un diritto potestativo del lavoratore di trasformare il rapporto a tempo pieno in part-time, a quello in cui vige il principio del consenso. IV.2.2) Ci� chiarito, e considerato che la Direttiva ha per oggetto �a) di assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualit� del lavoro a tempo parziale; b) di facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria e di contribuire all'organizzazione flessibile dell'orario di lavoro in modo da tener conto dei bisogni degli imprenditori e dei lavoratori� (clausola n. 1), non pare che lo ius variandi riconosciuto all�Amministrazione in via transitoria (�In sede di prima applicazione �) introduca una disparit� di trattamento fra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale, n� che ostacoli lo sviluppo delle possibilit� di lavoro a tempo parziale tenendo conto delle esigenze sia dei lavoratori che dei datori di lavoro. In primis, non si ravvisa la disparit� di trattamento rispetto ai lavoratori a tempo pieno, paventata dal Tribunale. Infatti, il tipo di discriminazione che la Direttiva � diretta a prevenire �, evidentemente, quella consistente in un diverso trattamento dei lavoratori part-time rispetto a quelli full-time comparabili, determinato unicamente dal differente regime orario proprio dei due rapporti di lavoro (si veda la clausola 4.1 della Direttiva). La normativa di carattere transitorio, evidentemente non legittima un diverso trattamento di tal genere sol perch� permette al datore di lavoro per oggettive e documentate esigenze organizzative - di modificare il rapporto da tempo parziale a tempo pieno. La norma in esame, piuttosto: � bilancia correttamente gli interessi contrapposti del datore di lavoro e del lavoratore; � garantisce la parit� di trattamento tra dipendenti che hanno optato per il part-time prima della riforma (esercitando un diritto potestativo) e dipendenti che lo hanno fatto dopo (raggiungendo un accordo con il datore di lavoro). Non solo, quindi, la Direttiva non sembra ostare ad una norma del tenore dell�art. 16 cit. ma - anzi - essa pone un principio di armonizzazione degli opposti interessi datoriali e dei lavoratori che nell�art. 16 stesso trovano espressione e tutela. IV.2.3) Avendo riguardo, poi, al tenore letterale della Direttiva, sembra che questa contempli il principio della volontariet� con riferimento alla trasformazione di un rapporto a tempo pieno in uno a tempo parziale, ma non anche per l�ipotesi inversa:: �� facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria �� (clausola 1, lettera b). Ci� - del resto - sembra del tutto giustificato, in quanto l�adibizione ad un regime a tempo parziale comporta comunque una riduzione delle opportunit� economico-occupazionali del lavoratore, la norma comunitaria mira, attraverso il principio della volontariet�, ad assicurare che ci� risponda alle esigenze (anche) del lavoratore medesimo e che, nello svolgimento del rapporto cos� congegnato, sia poi preclusa ogni discriminazione rispetto ai �dipendenti a tempo pieno comparabile�. ��� Il Governo italiano propone pertanto di rispondere ai quesiti come segue: Quanto al primo quesito: La clausola n. 5 punto 2 dell�Accordo recepito dalla Direttiva 97/81/CE, laddove dispone che �il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilit� di procedere, conformementealle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessit� di funzionamento dello stabilimento considerato�, non osta a che le legislazioni nazionali degli stati membri prevedano la possibilit� - per il datore di lavoro - di disporre la trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a tempo pieno, anche contro la volont� del lavoratore. Quanto al secondo quesito: La Direttiva n. 97/81/CE non osta ad una norma nazionale che attribuisca al datore di lavoro la possibilit� di disporre la trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a tempo pieno, anche contro la volont� del lavoratore. La Direttiva non osta, in particolare, ad una norma che preveda tale possibilit� in via transitoria, in sede di prima applicazione di una nuova disciplina secondo la quale la suddetta trasformazione (che, secondo la disciplina previgente, era ottenibile dal lavoratore in forza di un diritto potestativo) � subordinata all�accordo delle parti. Marina Russo Avvocato dello Stato Osservazioni del Governo della Repubblica Italina (avv. Stato Wally Ferrante) nella causa C-322/13 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Bolzano (Italia) il 13 giugno 2013 � Ulrike Elfriede Grauel R�ffer / Katerina Pokorn�. Materia: Principi, obiettivi e missioni dei Trattati Cittadinanza europea Libera circolazione dei lavoratori 1. Con l�ordinanza in epigrafe, � stato chiesto alla Corte di Giustizia del- l�Unione europea di pronunciarsi, ai sensi dell�art. 267 TFUE, sulla seguente questione pregiudiziale: �Se l�interpretazione degli articoli 18 e 21 TFUE osti all�applicazione di disposizioni di diritto nazionale, come quelle controverse nella presente fattispecie, che riconoscono il diritto di utilizzare la lingua tedesca nei processi civili pendenti dinanzi ai giudici della provincia di Bolzano ai soli cittadini italiani residenti nella provincia di Bolzano, e non anche ai cittadini di altri Stati membri dell�UE, a prescindere dalla loro residenza nella provincia di Bolzano�. Esposizione dei fatti di causa. . 2. La questione che pone il giudice del rinvio, in sintesi, � volta a verificare se il diritto di utilizzare la lingua tedesca nei procedimenti civili spetti anche ai cittadini italiani non residenti nella provincia di Bolzano, ai cittadini di altri Stati membri dell�UE residenti nella provincia di Bolzano o ai cittadini di altri Stati membri dell�UE non residenti nella provincia di Bolzano. 3. La questione pregiudiziale trae origine da una causa risarcitoria per danni riportati a seguito di un incidente sugli sci, proposta dinanzi al Tribunale di Bolzano, con atto redatto in lingua tedesca, da una cittadina tedesca residente in Germania, nei confronti di una cittadina della Repubblica ceca, ivi residente. 4. L�attrice ha notificato alla convenuta un atto di citazione redatto in lingua tedesca e la convenuta si � costituta in giudizio depositando una comparsa di costituzione e risposta redatta in lingua tedesca, senza contestare quindi l�uso di tale lingua. 5. Alla prima udienza, il giudice ha sollevato d�ufficio la questione della lingua processuale, rilevando che, secondo l�articolo 122, primo comma del codice di procedura civile (di seguito c.p.c.), �in tutto il processo � prescritto l�uso della lingua italiana� e che la mancata osservanza di questa disposizione ha come conseguenza che l�atto venga dichiarato nullo per inosservanza dei requisiti di forma, ai sensi dell�art. 156 c.p.c. 6. In deroga alla suddetta disposizione, nella provincia di Bolzano � possibile utilizzare in giudizio il tedesco nei procedimenti penali, civili e amministrativi ma solo per i cittadini italiani di lingua tedesca residenti nella Provincia di Bolzano (art. 100, primo comma del D.p.R. n. 670/1972). 7. Poich� la causa del giudizio a quo pende tra due cittadini dell�Unione europea non italiani e non residenti nella provincia di Bolzano - essendo stato individuato il Tribunale di Bolzano in base al criterio del locus commissi delicti - il giudice del rinvio ha investito la Corte di Giustizia per sapere se tale limitazione eccezionale alla regola generale dell�uso della lingua italiana negli atti processuali costituisca una violazione dei principi di cui agli articoli 18 e 21 TFUE. Normativa comunitaria. 8. Il giudice del rinvio ritiene che la normativa italiana che consente ai soli cittadini italiani residenti nella provincia di Bolzano di utilizzare quale lingua processuale il tedesco sia in contrasto con gli articoli 18 e 21 TFUE. 9. Ai sensi dell�art. 18 TFUE, che sancisce il principio di non discriminazione, �nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, � vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalit��. 10. A norma dell�art. 21 del TFUE, che prevede il principio di libera circolazione dei cittadini dell�Unione, �ogni cittadino dell�Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi�. La legislazione italiana. 11. L�articolo 100, primo comma, del D.P.R n. 670/1972 - recante �Appro vazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige� - al fine di tutelare la minoranza etnico- culturale di lingua tedesca residente nella provincia di Bolzano, conferisce a detti cittadini il diritto di utilizzare il tedesco nei rapporti con gli uffici giudiziari e della pubblica amministrazione situati nella provincia. 12. Peraltro, ai cittadini di lingua italiana della provincia di Bolzano spetta la libera scelta di avvalersi della lingua tedesca in un procedimento dinanzi a un giudice della provincia di Bolzano, indipendentemente dalla dichiarazione di appartenenza ad un gruppo linguistico. 13. L�uso della lingua tedesca nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione - e, in particolare, nei processi civili - nella provincia di Bolzano � disciplinato pi� in dettaglio dal d.P.R. n. 574/1988 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari), ai sensi del quale l�azione civile pu� avere luogo solo in lingua tedesca o italiana, se l�attore e il convenuto effettuano la medesima scelta, e in tal caso il processo � monolingue, mentre, in caso contrario, il processo � bilingue e le parti hanno il diritto di utilizzare ciascuno la propria lingua. 14. Nel processo bilingue, disciplinato dall�art. 20, secondo comma del D.p.R. n. 574/1988, �i provvedimenti del giudice sono pronunciati e redatti in entrambe le lingue� e le parti �possono, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione o dal deposito di atti e documenti, chiedere al giudice che siano tradotti nell�altra lingua in tutto o in parte a cura e spese dell�ufficio� . 15. Al riguardo, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 20715 del 22 novembre 2012, ha affermato che il principio del bilinguismo nel processo civile, previsto dal citato d.P.R. n. 574/1988, riguarda solo i cittadini italiani residenti nella provincia di Bolzano e non pu� essere esteso in favore di altri soggetti, ai quali si applica la regola processuale generale di cui all�articolo 122 c.p.c., che prescrive l�uso della lingua italiana in tutti gli atti processuali. 16. In detta sentenza � stato affermato, inoltre, che solo un cittadino italiano altoatesino pu�, in base alla citata normativa - finalizzata a tutelare una minoranza linguistica di quel territorio - sanare la nullit� degli atti processuali ai sensi dell�art. 156, comma 3 c.p.c. mediante la costituzione in giudizio e l�accettazione del contraddittorio. 17. Ai sensi della citata norma infatti �la nullit� non pu� mai essere pronunciata se l�atto ha raggiunto lo scopo a cui � destinato�. 18. Secondo il citato orientamento della Suprema Corte italiana, quindi, nel giudizio a quo, essendo la convenuta una cittadina della Repubblica Ceca, la sua costituzione in giudizio e la sua mancata contestazione dell�uso della lingua tedesca da parte dell�attrice, cittadina tedesca, non vale a sanare la nullit� degli atti processuali. 19. Di qui la rilevanza della questione pregiudiziale sottoposta alla Corte. Risposta al quesito. 20. Il giudice del rinvio ricorda che la Corte di giustizia, con sentenza del 24 novembre 1998, causa C-274/96, Bickel e Franz, ha gi� reso una pronuncia pregiudiziale su una analoga questione, sollevata dal Pretore di Bolzano, concernente l�uso della lingua tedesca nel procedimento penale. 21. Con detta sentenza, la Corte ha statuito che �L�articolo 6 del Trattato [art. 18 TFUE] osta ad una normativa nazionale che riconosce ai cittadini di una lingua determinata, diversa dalla lingua principale dello Stato membro interessato, i quali risiedono nel territorio di un determinato ente locale, il diritto di ottenere che il procedimento penale si svolga nella loro lingua, senza garantire il medesimo diritto ai cittadini degli altri Stati membri, della stessa lingua, che circolano e soggiornano nel detto territorio�. 22. Secondo il Tribunale di Bolzano, la normativa italiana, come interpretata dalla Corte di cassazione nella decisione sopra richiamata, non appare compatibile con i principi di non discriminazione e di libera circolazione dei cittadini dell�Unione. 23. Peraltro, un�eventuale decisione della questione pregiudiziale che estendesse al processo civile l�interpretazione gi� resa dalla Corte di Giustizia, nella causa sopra citata, relativamente al processo penale, non inciderebbe sui livelli di tutela assicurati ai cittadini della provincia di Bolzano appartenenti alla minoranza linguistica tedesca. La finalit� della norma non verrebbe quindi compromessa. 24. Tale tesi non pu� essere condivisa. 25. Il Governo italiano ritiene infatti che al quesito debba darsi riposta negativa. 26. L�articolo 122 del codice di procedura civile italiano dispone che in tutto il processo � prescritto l�uso della lingua italiana, a prescindere dalla nazionalit� e dalla residenza delle parti in giudizio. 27. Non sembra revocabile in dubbio la piena compatibilit� di tale disposizione con il diritto dell�Unione ed in particolare con il principio di non discriminazione di cui all�articolo 18 del TFUE e con il principio di libera circolazione dei cittadini dell�Unione di cui all�art. 21 TFUE. 28. Come riconosce lo stesso Tribunale di Bolzano, le disposizioni nazionali che, in deroga alla regola generale dell�art. 122 del codice dl procedura civile, consentono ai cittadini residenti nella provincia di Bolzano di utilizzare la lingua tedesca nei processi civili pendenti innanzi ai Giudici della provincia di Bolzano sono state introdotte nell�ordinamento italiano �al fine di tutelare la minoranza etnico-culturale di lingua tedesca residente nella provincia di Bolzano�. 29. Si tratta, in qualche misura, di disposizioni antidiscriminatorie che muovono e sono ispirate da ragioni storico-culturali ben precise, che ne giustificano l�applicazione ai soli cittadini italiani residenti in quel territorio. 30. Nel caso concreto, dunque, il principio di non discriminazione non pu� trovare applicazione. 31. Vale la pena di aggiungere che la previsione secondo cui i cittadini residenti nella provincia di Bolzano possono utilizzare la lingua tedesca nei processi civili pendenti innanzi ai giudici della provincia di Bolzano, importa per lo Stato italiano un onere in termini di spesa e di organizzazione degli uffici. 32. Nel momento in cui tale previsione dovesse ritenersi applicabile a qualunque cittadino comunitario non residente in provincia di Bolzano che decidesse di scegliere il tedesco come lingua processuale (e potrebbe trattarsi di un cittadino inglese, francese, ceco etc., come dimostra la fattispecie del giudizio principale) da un canto, l�onere a carico dello Stato italiano si aggraverebbe in termini economici, pur in assenza di quelle ragioni che ne giustificano l�assunzione; dall�altro, sganciato dal fatto obiettivo della residenza nella provincia di Bolzano, detto onere si aggraverebbe in termini organizzativi, non risultando prevedibile in termini quantitativi la domanda di giustizia in lingua tedesca. 33. Al riguardo, � opportuno ricordare che la stessa sentenza della Corte di Giustizia invocata dal giudice del rinvio Bickel e Franz, al punto 27 ha precisato che �una siffatta condizione di residenza pu� essere giustificata solo se basata su considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate, e adeguatamente commisurate allo scopo legittimamente perseguito dall�ordinamento nazionale� . 34. In proposito, l�obiettivo delle norme controverse consiste nel riconoscere l'identit� etnico-culturale della persona che appartiene alla minoranza linguistica tutelata. 35. Ne deriva che il diritto di ottenere l�impiego della lingua della minoranza etnico-culturale interessata non ha ragione di essere esteso al cittadino di uno Stato membro che si trovi occasionalmente e temporaneamente presente nella regione in questione, nella misura in cui gli siano garantiti strumenti che gli consentano di esercitare adeguatamente il suo diritto di difesa nonostante egli non conosca la lingua ufficiale dello Stato in questione, il che � sicuramente assicurato nell�ordinamento italiano. 36. Il principio di non discriminazione presuppone che situazioni analoghe non siano disciplinate in modo diverso. 37. � evidente invece che la situazione di un cittadino dell�Unione europea che si trovi occasionalmente e temporaneamente nella provincia di Bolzano per aver esercitato il proprio diritto di libera circolazione non � in alcun modo equiparabile a chi risieda stabilmente in un territorio in cui, per ragioni storico-culturali, sia tutelata una minoranza linguistica. 38. Anzi, la disciplina derogatoria dettata per la minoranza altoatesina costituisce essa stessa una disciplina antidiscriminazione. 39. Il punto non � quindi se l�estensione della normativa controversa ai cittadini di lingua tedesca di altri Stati membri che esercitano il loro diritto di libera circolazione leda l�obiettivo di tutela della minoranza linguistica altoatesina. 40. Su ci� si pu� concordare con il giudice del rinvio e con la Corte di Giustizia sul fatto che detta estensione non compromette lo scopo della norma in quanto non diminuisce la tutela della minoranza altoatesina accollandole ulteriori costi o rendendo pi� gravosa l�esplicazione del diritto di difesa. 41. Ci� che rileva invece � se tale estensione costituisca oneri ulteriori per lo Stato italiano, economici e organizzativi, non giustificati dall�obiettivo perseguito dalla normativa derogatoria al principio generale. 42. E ci� non pu� essere contestato. 43. Come si � ricordato, infatti, nel processo bilingue, disciplinato dall�art. 20, secondo comma del D.p.R. n. 574/1988, i provvedimenti del giudice sono pronunciati e redatti in entrambe le lingue e le parti possono, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione o dal deposito di atti e documenti, chiedere al giudice che siano tradotti nell�altra lingua in tutto o in parte a cura e spese dell�ufficio. 44. La stessa Corte di Giustizia, nella citata sentenza del 24 novembre 1998, causa C-274/96, al punto 30, aveva attribuito rilievo a tale circostanza, sia pure per affermare che la stessa non era stata dimostrata, precisando che �i signori Bickel e Franz hanno osservato, senza essere contraddetti sul punto, che i giudici interessati sono in grado di svolgere i procedimenti in lingua tedesca senza che ci� dia luogo a complicazioni o costi supplementari�. 45. Al contrario, si � visto che, pur essendo i magistrati in servizio nella provincia di Bolzano certamente in grado di condurre i processi in entrambe le lingue - essendo reclutati a mezzo di un concorso speciale che prevede appunto la conoscenza sia della lingua italiana, sia della lingua tedesca il processo bilingue - che presuppone il mancato accordo delle parti su un�unica lingua processuale - prevede la redazione dei provvedimenti giurisdizionali in entrambe le lingue (con conseguente aggravio organizzativo e di tempi) e legittima ciascuna parte a chiedere la traduzione degli atti e dei documenti prodotti nell�altra lingua a spese dell�ufficio (con ovvi costi supplementari a carico dello Stato). 46. � quindi innegabile che l�estensione della portata della norma nel senso suggerito dal giudice a quo implicherebbe oneri aggiuntivi in termini economici ed organizzativi non giustificati dal perseguimento dello scopo della normativa stessa che � esclusivamente quello di tutelare la minoranza linguistica altoatesina. Conclusioni. 47. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito nel senso che l�interpretazione degli articoli 18 e 21 TFUE non osti all�applicazione di disposizioni di diritto nazionale, come quelle controverse nella presente fattispecie, che riconoscono il diritto di utilizzare la lingua tedesca nei processi civili pendenti dinanzi ai giudici della provincia di Bolzano ai soli cittadini italiani residenti nella provincia di Bolzano, e non anche ai cittadini di altri Stati membri dell�UE, a prescindere dalla loro residenza nella provincia di Bolzano. Roma, 19 settembre 2013 Wally Ferrante Avvocato dello Stato Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Marina Russo) nella causa C-358/13 -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Germania) il 27 giugno 2013 - D. Materia: Libera circolazione delle merci Ravvicinamento delle legislazioni Sanit� pubblica I) Il giudizio a quo. Nel giudizio a quo, si controverte della responsabilit� penale di un imputato del reato di immissione in commercio non autorizzata di medicinali. Presupposto della responsabilit� penale dell�imputato � la riconducibilit� della sostanza dal medesimo commercializzata alla nozione di medicinale di cui all�art. 1 punto 2, lettera b) della Direttiva 2001/83/CE, del 6 novembre 2011. In particolare, trattandosi di sostanza non idonea a determinare effetti migliorativi sulla fisiologia umana, bens� solo effetti psicoattivi, forieri di uno stato euforico e, al tempo stesso, di effetti dannosi per la salute, il giudice a quo dubita della suddetta riconducibilit� ed ha pertanto articolato il seguente quesito, sottoponendolo al Giudizio della Corte: �Se l�art. 1 punto 2, lettera b) della Direttiva 2001/83/CE, del 6 novembre 2011, come modificata dalla direttiva 2004/27/CE del 31 marzo 2004, debba essere interpretato nel senso che sostanze o associazioni di sostanze ai sensi dei tale disposizione, atte unicamente ad incidere sulle funzioni fisiologiche - quindi senza ripristinarle o correggerle - debbano essere considerate quali medicinali, solamente qualora apportino un beneficio terapeutico o, comunque, producano effetti positivi sulle funzioni fisio logiche. Se, dunque, non rientrino nella definizione di medicinale di cui alla direttiva le sostanze o associazioni di sostanze consumate solamente per i loro effetti psicoattivi - produttivi di uno stato euforico - e che comportino comunque effetti dannosi per la salute�. II) La normativa comunitaria. Viene in considerazione, ai fini della soluzione dei quesiti sottoposti alla Corte dal giudice tedesco, la Direttiva 2001/83/CE (d�ora in avanti, �la Direttiva�. In particolare, ai fini della presente questione, interessa l�art. 1 della suddetta Direttiva, il quale prevede: �Ai fini della presente direttiva, valgono le seguenti definizioni: � 2) medicinale: a) ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente propriet� curative o profilattiche delle malattie umane; o b) ogni sostanza o associazione di sostanze che possa essere utilizzata sull'uomo o somministrata all'uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica�. Ad avviso del Governo italiano, rilevano altres� in particolare, ai fini della soluzione del quesito sollevato dal giudice remittente, il II ed il III Considerando: �(2) Lo scopo principale delle norme relative alla produzione, alla distribuzione e all'uso di medicinali deve essere quello di assicurare la tutela della sanit� pubblica. (3) Tuttavia questo scopo deve essere raggiunto avvalendosi di mezzi che non ostacolino lo sviluppo dell'industria farmaceutica e gli scambi dei medicinali nella Comunit��. ��� III) Le osservazioni del Governo italiano. III.1) La categoria �medicinale�, per come definita dalla Direttiva, comprende due sottocategorie: i medicinali �per presentazione� ed i medicinali �per funzione�, ed � quest�ultima a venire in considerazione nella presente fattispecie. Secondo la disciplina dettata dall�art. 1 punto 2 lett. b) della Direttiva, ci� che connota il medicinale �per funzione� � la sua idoneit� a �ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche�. Mentre il ripristino e la correzione di stati fisiologici sono concetti che necessariamente implicano un effetto migliorativo (dunque di cura o, comunque, di beneficio), la nozione di �modifica� � - dal punto di vista del significato letterale del termine - neutra, tale quindi da comprendere sia le alterazioni positive, sia quelle negative. Ad avviso del Governo italiano, la lettura estensiva della norma, che appunto - attribuisce alla parola �modificare� l�ampio significato che le � oggettivamente proprio, � quella corretta. Essa, infatti, non solo � coerente con il significato letterale del termine, utilizzato nella sua normale accezione onnicomprensiva (che include, cio�, ogni possibile alterazione fisiologica, a prescindere dalla sua portata migliorativa o meno); � anche coerente con la mancanza di riferimenti testuali, nell�ambito della norma, che legittimino la restrizione della sua portata ai soli casi di modifiche migliorative; � - infine - coerente con la ratio legis che ha ispirato il legislatore comunitario, come subito si dir� al punto seguente. III.2) In base al secondo Considerando, scopo della Direttiva � la tutela della salute. Tale scopo deve tuttavia realizzarsi (terzo Considerando) senza pregiudizio per lo sviluppo dell�industria farmaceutica e gli scambi. Ebbene, la lettura estensiva della norma, che - cio� - attribuisce alla parola �modificare� dell�art. 1 punto 2 lett. b) della Direttiva un senso ampio, comprensivo delle modifiche dannose: � � coerente con l�obiettivo di tutela della salute, in quanto amplia l�ambito operativo delle norme che assoggettano ad un regime autorizzatorio l�immissione in commercio di sostanze potenzialmente nocive per la salute e di quelle che ne sanzionano la circolazione non autorizzata. � non realizza alcun ostacolo allo sviluppo dell�industria farmaceutica n� al mercato, in quanto comporta unicamente l�assoggettamento di sostanze non curative, bens� potenzialmente dannose per la salute, ad un regime autorizzatorio che viene gi� applicato a sostanze benefiche. III.3) Nell�ordinanza di rimessione, il giudice a quo richiama la giurisprudenza comunitaria che accede ad una definizione di �medicinale� apparentemente restrittiva, in quanto enfatizza l�importanza dell�effetto benefico che il medesimo � chiamato a produrre sulla fisiologia. Al riguardo, si osserva che detta giurisprudenza non pare effettivamente ostativa rispetto ad una lettura della norma che attribuisca alla parola �modificare� un senso ampio, comprensivo anche delle modifiche dannose. Occorre al riguardo tenere presente che la giurisprudenza citata si � in realt� formata su fattispecie diverse da quella che viene ora in considerazione. Ad esempio, la sentenza resa nella causa C-319/05, che evidenzia come il medicinale debba �avere � una funzione di profilassi o cura� (punto 64), si riferisce ad un caso in cui si trattava di distinguere la categoria dei farmaci rispetto a quella degli alimenti, suscettibili di avere effetti neutri, o persino positivi, sulla salute. In quella fattispecie, quindi, la Corte ha necessariamente messo l�accento sul profilo dell�efficacia benefica dei medicinali, in quanto ha evidenziato l�esistenza di una soglia al di sotto della quale l�effetto benefico non � apprezzabile in termini medicamentosi, e superata la quale - al contrario -� possibile qualificare la sostanza come medicinale. Nel caso oggi all�esame della Corte, invece, si tratta di valutare l�opportunit� di inserire nella categoria �medicinale� sostanze psicoattive che mentre non modificano in senso favorevole, attraverso il ripristino o la correzione, le condizioni fisiologiche - possono essere dannose per la salute, sicch� - in un�ottica di tutela di quest�ultima - � ben possibile accedere ad una lettura della norma come quella che il Governo italiano propone. Ci� pare trovare indiretta conferma anche nella sentenza Upjohn (C112/ 91): �Per quanto riguarda la questione relativa a cosa debba intendersi per ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche, dal- l�obiettivo di tutela della salute perseguito dal legislatore comunitario risulta che questa espressione deve essere intesa in maniera sufficientemente ampia in modo da comprendere tutte le sostanze che possono avere effetti sul funzionamento vero e proprio dell�organismo�. La sentenza appena richiamata parla genericamente di �effetti sul funzionamento � dell�organismo� e non pare legittimare una restrizione del riferimento ai soli effetti favorevoli sul funzionamento stesso, limitandosi ad escludere dal novero dei medicinali le sostanze (cosmetiche) che non modificano affatto le condizioni del suo funzionamento, non incidono cio� - a differenza della sostanza considerata nel giudizio a quo, sulla salute. ��� IV) Per le ragioni sin qui esposte, il Governo italiano propone di rispondere al quesito nei seguenti termini: �L�art. 1 punto 2, lettera b) della Direttiva 2001/83/CE, del 6 novembre 2011, come modificata dalla direttiva 2004/27/CE del 31 marzo 2004, deve essere interpretato nel senso che sostanze o associazioni di sostanze consumate solamente per i loro effetti psicoattivi produttivi di uno stato euforico, atte unicamente a modificare le funzioni fisiologiche senza ripristinarle o correggerle, e che comportino comunque effetti dannosi per la salute, debbono essere considerate quali medicinali, anche qualora non apportino alcun beneficio terapeutico n� producano effetti positivi sulle funzioni fisiologiche�. Marina Russo Avvocato dello Stato Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Marina Russo) nella causa C-373/13 -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshofs Baden-W�rttemberg (Germania) il 2 luglio 2013 � H. T. / Land Baden-W�rttemberg. Materia: Visti, asilo I) Il giudizio a quo. I.a) Il giudizio a quo verte sulla legittimit�, o meno, dell�espulsione di- sposta nei confronti di un cittadino turco, gi� titolare di un permesso di soggiorno permanente, nonch� avente la qualifica di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra. Detta espulsione � fondata sull�assunto che egli abbia sostenuto un�organizzazione terroristica. I.b) Il giudice, premesso che - in base alla normativa tedesca - l�espulsione di un rifugiato riconosciuto va equiparata alla cessazione di un permesso di soggiorno ai sensi dell�art. 21 par. 3 Direttiva 2004/83/CE, non ritiene sussistenti nella specie le condizioni di cui all�art. 21 par. 2 e 3 della Direttiva citata. Si chiede, pertanto, se possa trovare - piuttosto - applicazione l�art. 24 par. 1 della stessa Direttiva, e come debba interpretarsi il requisito, ivi indicato, degli �imperiosi motivi di sicurezza nazionale�. I.c) Con ordinanza del 27 maggio 2013, il giudice a quo ha pertanto sottoposto all�attenzione della Corte i seguenti quesiti: 1) a) �Se la Disciplina di cui all�art. 24 par. 1 primo comma della Direttiva 2004/83/CE, sull�obbligo degli Stati membri di rilasciare un permesso di soggiorno alle persone cui � stato riconosciuto lo status di rifugiato, debba essere osservata anche in caso di revoca di un permesso di soggiorno gi� concesso�; b) Se essa debba quindi essere interpretata nel senso che osta alla revoca o alla cessazione del permesso di soggiorno (ad esempio attraverso un�espulsione disposta ai sensi del diritto nazionale) di un rifugiato riconosciuto qualora non sussistano le condizioni di cui al combinato disposto dell�articolo 21, paragrafi 3 e 2, della direttiva 2004/83/CE, oppure �imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico� ai sensi del- l�articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2004/83/CE. 2) �In caso di risposta affermativa alle questioni sub 1: a) Come debba essere interpretata la causa di esclusione costituita dagli �imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico� di cui all�articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2004/83/CE in relazione ai rischi derivanti dall�attivit� di sostegno a un�associazione terroristica�. b) �Se si possano ravvisare �imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico� ai sensi dell�articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2004/83/CE nel caso in cui un rifugiato riconosciuto abbia soste nuto il PKK in particolare mediante la raccolta di offerte e la costante partecipazione a manifestazioni vicine al PKK, anche se non sono soddisfatte le condizioni per disattendere il divieto di refoulement a norma dell�articolo 33, paragrafo 2, della convenzione di Ginevra e quindi neppure le condizioni dell�articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2004/83/CE�. 3) �In caso di risposta negativa alla questione pregiudiziale sub 1, lettera a): Se la revoca o la cessazione del permesso di soggiorno concesso a un rifugiato riconosciuto (ad esempio attraverso un�espulsione disposta ai sensi del diritto nazionale) sia ammissibile, sotto il profilo del diritto dell�Unione, solo in presenza delle condizioni di cui al combinato disposto dell�articolo 21, paragrafi 3 e 2, della direttiva 2004/83/CE (o della successiva, identica, disciplina della direttiva 2011/95/UE)�. II) La normativa comunitaria. Per la soluzione dei quesiti sopra riportati vengono in considerazione, in particolare, le seguenti norme: art. 21 commi 2 e 3 ed art. 24 comma 1 della Direttiva 2004/83/CE, i quali rispettivamente prevedono: -art. 21: �2. Qualora non sia vietato dagli obblighi internazionali previsti dal paragrafo 1, gli Stati membri possono respingere un rifugiato, formalmente riconosciuto o meno, quando: a) vi siano ragionevoli motivi per considerare che detta persona rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova; o b) che, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravit�, detta persona costituisca un pericolo per la comunit� di tale Stato membro. -3. Gli Stati membri hanno la facolt� di revocare, di cessare o di rifiutare il rinnovo o il rilascio di un permesso di soggiorno di un (o a un) rifugiato al quale si applichi il paragrafo 2�. -art. 24: ��1. Gli Stati membri rilasciano ai beneficiari dello status di rifugiato, il pi� presto possibile dopo aver riconosciuto loro lo status, un permesso di soggiorno valido per un periodo di almeno tre anni rinnovabile, purch� non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico e fatto salvo l'articolo 21, paragrafo 3�. -28^ Considerando della stessa Direttiva: �Nella nozione di sicurezza nazionale e di ordine pubblico rientrano pure i casi in cui un cittadino di un paese terzo faccia parte di un'organizzazione che sostiene il terrorismo internazionale o sostenga una siffatta organizzazione�. ��� III) Le osservazioni del Governo italiano. III.1) Ad avviso del Governo italiano, deve in linea di principio affermarsi che le cause che - secondo l�art. 24 comma 1 della Direttiva 2004/83/CE ostano al rilascio di un permesso di soggiorno ai beneficiari dello status di rifugiato rilevano anche ai fini della cessazione del permesso medesimo. Come giustamente evidenziato nell�ordinanza di rimessione, non necessariamente alla revoca di un permesso di soggiorno gi� concesso al rifugiato deve corrispondere il respingimento. Ove ci� avvenga, trover� applicazione l�art. 21 comma 3 in combinato disposto con il comma 2, fermo restando il principio di non refoulement; diversamente, la disciplina deve ricavarsi dall�art. 24 comma 1 cit., nel senso che - come � logico - quelle stesse condizioni il cui ricorrere osta alla concessione del permesso ne giustificano altres� la revoca. III.2) La disciplina delle due situazioni ha ragione di essere distinta per le ragioni ben evidenziate nell�ordinanza di rimessione, e cio� che l�esigenza di protezione del rifugiato rispetto alla prospettiva di un respingi- mento � maggiore che non rispetto alla mera prospettiva di una revoca o cessazione del titolo di soggiorno, la quale non determina - a differenza del respingimento - un pericolo immediato per il rifugiato, in termini di rischio per la sopravvivenza o di esposizione a persecuzione. In tale ottica, come osservato dal giudice a quo, il significato da attribuire all�espressione utilizzata dall�art. 24 comma 1 �imperiosi motivi di sicurezza nazionale� pu� anche essere ricostruito secondo un canone ermeneutico meno restrittivo rispetto a quello applicabile all�espressione �� ragionevoli motivi per considerare che detta persona rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato ��, utilizzata dall�art. 21 comma 2 lett. a). III.3) Ci� premesso, avendo riguardo allo specifico quesito sollevato, nella parte in cui si chiede se possa attribuirsi rilevanza all�attivit� di indiretto sostegno ad un�organizzazione terroristica ai fini della cessazione del titolo di soggiorno, si ritiene che la risposta debba in linea di massima essere affermativa, in quanto detta attivit� rientra sia nella categoria dei �ragionevoli motivi� di �pericolo per la sicurezza dello Stato� di cui all�art. 21 comma 2 lett. a), sia in quella degli �imperiosi motivi di sicurezza nazionale� richiamata dall�art. 24 comma 1. In tal senso depone, infatti, il tenore letterale del 28^ Considerando della Direttiva: �Nella nozione di sicurezza nazionale e di ordine pubblico rientrano pure i casi in cui un cittadino di un paese terzo faccia parte di un'organizzazione che sostiene il terrorismo internazionale o sostenga una siffatta organizzazione�. La valutazione in concreto della rilevanza della condotta del rifugiato in termini di sostegno indiretto ad un�organizzazione terroristica spetta poi, caso per caso, al giudice nazionale. IV) Ai quesiti proposti dal giudice a quo, pertanto, il Governo italiano propone di rispondere come segue: -�La Disciplina di cui all�art. 24 par. 1 primo comma della Direttiva 2004/83/CE, sull�obbligo degli Stati membri di rilasciare un permesso di soggiorno alle persone cui � stato riconosciuto lo status di rifugiato, va osservata anche in caso di revoca di un permesso di soggiorno gi� concesso�; -Detta disciplina va quindi interpretata nel senso che la stessa osta alla revoca o alla cessazione del permesso di soggiorno (ad esempio attraverso un�espulsione disposta ai sensi del diritto nazionale) di un rifugiato riconosciuto qualora non sussistano le condizioni di cui al combinato disposto dell�articolo 21, paragrafi 3 e 2, della direttiva 2004/83/CE, oppure �imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico� ai sensi del- l�articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2004/83/CE; -La causa di esclusione costituita dagli �imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico� di cui all�articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2004/83/CE pu� in astratto essere ravvisata in presenza di attivit� di sostegno a un�associazione terroristica�; -Quanto alla possibilit� di ravvisare �imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico� ai sensi dell�articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2004/83/CE nel caso in cui un rifugiato riconosciuto abbia sostenuto il PKK in particolare mediante la raccolta di offerte e la costante partecipazione a manifestazioni vicine al PKK, tale valutazione attiene al caso singolo e compete al giudice nazionale�. Marina Russo Avvocato dello Stato Memoria di replica della Repubblica Italiana (avv. Stato Wally Ferrante) nella causa T-256/13 - Ricorso proposto il 7 maggio 2013 - Italia/Commissione. Materia: Istruzione, formazione professionale e giovent� 1. Con ricorso depositato il 7 maggio 2013, la Repubblica italiana ha impugnato la lettera del 22 febbraio 2013 prot. Ares (2013) 237719 della Commissione Europea - Direzione Generale Educazione e Cultura, avente ad oggetto: �Agreement N. ADEC 2007-0266 - Reimbursement - Review after appeal� spedita il 25 febbraio 2013 e ricevuta dall�Agenzia Nazionale per i Giovani in data 6 marzo 2013, prot. ANG/2741/AMS, con la quale � stato chiesto il rimborso di somme per un totale di � 1.486.485,90, limitatamente all�importo di � 52.036,24 e di � 183.729,72 nonch� la lettera del 28 febbraio 2013 prot. 267064 della Commissione Europea - Di rezione Generale Educazione e Cultura, indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Capo Dipartimento della Giovent� e del Servizio civile nazionale, quale Autorit� Nazionale, con la quale sono state inviate le �Final evaluation conclusions� della �2011 Declaration of Assurance�. 2. La Commissione europea, con controricorso depositato il 15 luglio 2013, ha concluso per la irricevibilit� del ricorso nella parte in cui � diretto all�annullamento della lettera del 28 febbraio 2013 prot. 267064 nonch� per il rigetto del ricorso nella parte in cui si impugna la lettera del 22 febbraio 2013 prot. Ares (2013) 237719. 3. Con la presente memoria di replica, la Repubblica italiana intende contro- dedurre alle argomentazioni esposte dalla Commissione nel controricorso. Sull�eccepita irricevibilit� del ricorso avverso la lettera del 28 febbraio 2013 prot. 267064. 4. La Commissione ha chiesto dichiararsi l�irricevibilit� del ricorso nella parte in cui � diretto all�annullamento della lettera del 28 febbraio 2013 prot. 267064 in quanto, a suo avviso, questa sarebbe meramente confermativa e non conterrebbe alcun elemento nuovo rispetto ad una decisione precedente, n� costituirebbe una risposta ad una domanda di riesame fondata su fatti nuovi e rilevanti. Tale non sarebbe infatti la lettera dell�Agenzia del 28 settembre 2012 che non avrebbe apportato alcun elemento di valutazione nuovo. 5. Tale assunto non pu� essere condiviso. 6. L�Agenzia ha chiesto infatti alla Commissione di soprassedere alla richiesta di restituzione delle somme non recuperate dall�Agenzia a carico dei beneficiari del Programma Giovent� per le annualit� 2000-2004, avendo la stessa attivato tutte le procedure di riscossione coattiva previste dalla normativa nazionale, sebbene non sempre fruttuosamente. 7. Con la lettera del 28 settembre 2012, invece, l�Agenzia ha evidenziato un fatto nuovo, sottolineando che, per le annualit� 2005-2006, l�autorizzazione alla rinuncia (waiver) sarebbe stata concessa dalla Commissione in presenza di identica situazione: l�attivazione della procedura di previa duplice diffida e poi di recupero coattivo nei confronti dei beneficiari, con evidente disparit� di trattamento. 8. Sul tale specifico punto, la lettera della Commissione del 28 febbraio 2013, sebbene scarsamente motivata al riguardo, costituisce senz�altro una risposta negativa ad una domanda di riesame fondata su elementi nuovi. 9. Del resto, detta lettera integra un atto ufficiale di comunicazione da parte della Commissione all�Agenzia e all�Autorit� Nazionale delle decisioni prese in merito alle osservazioni formulate sulle attivit� poste in essere dall�Agenzia nel 2011, ivi comprese le notizie relative alle correzioni di natura finanziaria. 10. Non pu� quindi residuare alcun dubbio sulla piena ricevibilit� del ricorso avverso la predetta lettera. Sul primo motivo di ricorso. 11. In merito all�importo di Euro 52.036,24 relativo a somme spese dall�Agenzia per attivit� di formazione e valutazione dei volontari SVE nell�ambito del Programma Giovent� in Azione per l�annualit� 2007 e considerate non eleggibili, dall�esame del controricorso, non sembra emergano argomenti nuovi o decisivi a sostegno della tesi sposata dalla Commissione Europea. 12. In proposito, si osserva che la decisione n. C(2007)1828 def. del 30 aprile 2007 della Commissione (all. B1 al controricorso), all�art. 5, paragrafo 2, prevede che la Commissione Europea possa stabilire correzioni finanziarie: a) se i controlli effettuati dall'autorit� nazionale e dalla Commissione hanno rivelato importanti debolezze nel sistema di gestione e di controllo alle quali l'Agenzia Nazionale non ha rimediato, mettendo in pericolo il contributo della Comunit�, e hanno in particolare evidenziato la mancata realizzazione di controlli essenziali prescritti dalla guida destinata alle Agenzie nazionali; b) se i controlli realizzati dalla Commissione hanno individuato spese irregolari nello stato delle spese che non sono state corrette dall'autorit� nazionale; c) se lo Stato membro non ha rispettato gli obblighi che gli incombono in virt� dell'articolo 8, paragrafo 6, lettere b), c) e d) della decisione che stabilisce il Programma, prima dell�avvio della procedura prevista in tale articolo. 13. Appare evidente che, nel caso di specie, non � configurabile nessuna delle tre eventualit� sopra indicate, fermo restando che la giustificazione del sostenimento delle spese per attivit� di formazione e valutazione dei volontari SVE nell�ambito del Programma Giovent� in Azione per l�annualit� 2007 in misura superiore a quella prevista � stata pi� volte addotta dall�Agenzia e la Commissione Europea ha ritenuto di non doverla prendere in considerazione. 14. Si richiama pertanto quanto gi� esposto ai punti da 16 a 20 del ricorso. 15. Per mero scrupolo, si sottolinea, ad abundantiam, che la Guida al Programma e la Guida destinata alle agenzie nazionali allegata alla convenzione finanziaria (si veda punto 57 del controricorso), costituiscono documenti attuativi ed operativi del Programma che, in quanto tali, non possono certo derogare ai principi definiti nelle decisioni istitutive del Programma stesso. 16. Appare, peraltro, forzata l�affermazione contenuta nel controricorso della Commissione secondo la quale le evidenti carenze organizzative dell�Agenzia, dovute al ritardo nella sua istituzione, hanno comportato �conseguenze finanziarie� da porre �a carico del Programma� (punto 58 del controricorso). 17. Infatti, nessuna conseguenza finanziaria deriva dall�utilizzo dei fondi per il finanziamento delle spese SVE in quanto, seppure sostenute per un importo superiore a quello considerato eleggibile per singolo volontario, dette spese non sono state superiori all�importo complessivo dei fondi stanziati dalla Commissione per l�annualit� 2007. 18. Infine, appare chiaro il carattere forfettario delle spese di cui trattasi, visto che le norme di eleggibilit� prevedono, appunto, un importo massimo eleggibile per persona non soggetto a specifica rendicontazione. Sul secondo motivo di ricorso. 19. Quanto affermato dalla Commissione ai punti da 33 a 36 del controricorso, conferma in modo incontrovertibile l�assenza di inerzia da parte dell�Agenzia Nazionale per i Giovani e ci� soprattutto se si pone l�attivit� dell�Agenzia in relazione con quella posta in essere dalla precedente gestione del Programma �Giovent��, dalla quale avevano avuto origine i ritardi nelle procedure di recupero dei fondi versati ai beneficiari di quel Programma. 20. La stessa Commissione � costretta ad ammettere che �tra l'8 e il 10 settembre 2010, i servizi della Commissione procedevano ancora ad una visita di controllo presso l'Agenzia e, anche in tale occasione, constatavano che le procedure di recupero, pur essendo state finalmente messe in linea con i requisiti previsti dalla guida destinata alle agenzie, erano tuttavia ancora troppo lente ed inefficienti� (punto 35 del controricorso). 21. Ci� dimostra che l�Agenzia, nel periodo intercorrente tra l�aprile 2008 (prima missione della CE) e il settembre 2010 (terza missione della CE) ha posto in essere tutte le attivit� di recupero �in linea con i requisiti previsti dalla guida destinata alle agenzie�. 22. Si noti che, in detto periodo di tempo, l�organico dell�Agenzia era di 15 unit� di personale (prima con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e poi con contratto a tempo determinato) per il periodo settembre 2007 - aprile 2009, poi di 26 unit� (con contratto a tempo determinato) per il periodo aprile 2009 - maggio 2010 e, infine, di 31 unit� (con contratto a tempo indeterminato) a decorrere dal giugno 2010. 23. Risulta, quindi, evidente, che l�Agenzia, nonostante le difficolt� di gestione dovute all�evoluzione dell�assetto organizzativo, � riuscita, in quel periodo di tempo, a gestire in modo soddisfacente il nuovo Programma �Giovent� in Azione� e, contestualmente, a recuperare le inefficienze della pregressa gestione del Programma �Giovent��, mettendo, poi, in atto tutte le misure amministrative, organizzative e finanziarie, finalizzate alla corretta gestione di un ente pubblico autonomo nel rispetto dei requisiti previsti dalla guida al Programma. 24. Inoltre, proprio nello stesso periodo, l�Agenzia chiedeva ed otteneva dal- l�Avvocatura dello Stato indicazioni sulla procedura da porre in essere per il recupero delle somme versate ai beneficiari, mettendole, poi, in atto. 25. Pertanto, se � vero che l�Agenzia nazionale italiana giovent� pu� non aver compiuto le procedure di recupero nei tempi previsti, � invece, in contestabile che l�Agenzia Nazionale per i Giovani ha posto in essere dette procedure in modo tempestivo rispetto alle segnalazioni ricevute e alla luce della situazione nella quale si � trovata ad operare come sopra indicata, in tal modo scongiurando il decorso dei termini di prescrizione e salvaguardando, quindi, la possibilit� prevista dall�ordinamento italiano di recupero delle somme indebitamente percepite dai beneficiari. 26. N� pu� imputarsi all�Agenzia �l'inadeguatezza delle procedure di recupero seguite per le somme in questione e le difficolt� da essa incontrate al riguardo� (stigmatizzate al punto 67 del controricorso) se ed in quanto derivanti dalla puntuale applicazione di normative comunitarie e nazionali. 27. �, infine, evidente, contrariamente a quanto assume la Commissione al punto 71 del controricorso, l�applicazione di un diverso standard di valutazione in relazione alle somme da recuperare per il periodo 2005-2006 rispetto a quelle del periodo 2000-2004. 28. Infatti, si conferma che, per alcune delle somme da recuperare per il periodo 2005-2006, la Commissione Europea ha gi� concesso la rinuncia (il cosiddetto �waiver� ) mentre per alcune altre ha chiesto, proprio in questi giorni e via posta elettronica, supplementi di documentazione (ad es. copia della notificazione dell�ordinanza di ingiunzione) finalizzati alla concessione del waiver. 29. Palese � quindi la disparit� di trattamento di analoghe richieste in presenza di identiche situazioni, con conseguente autonomo vizio che inficia la legittimit�, anche sotto tale profilo, degli atti impugnati. Conclusioni. 30. La Repubblica Italiana conclude affinch� l�Ecc.mo Tribunale dell�Unione europea voglia annullare la lettera del 22 febbraio 2013 prot. Ares (2013) 237719 della Commissione Europea - Direzione Generale Educazione e Cultura, avente ad oggetto: �Agreement N. ADEC 2007-0266 - Reimbursement - Review after appeal� spedita il 25 febbraio 2013 e ricevuta dall�Agenzia Nazionale per i Giovani in data 6 marzo 2013, prot. ANG/2741/AMS, con la quale � stato chiesto il rimborso di somme per un totale di � 1.486.485,90, limitatamente all�importo di � 52.036,24 e di � 183.729,72, nonch� la lettera del 28 febbraio 2013 prot. 267064 della Commissione Europea - Direzione Generale Educazione e Cultura, indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Capo Dipartimento della Giovent� e del Servizio civile nazionale, con la quale sono state inviate le �Final evaluation conclusions� della �2011 Declaration of Assurance�. Roma, 13 settembre 2013 Wally Ferrante Avvocato dello Stato contenzioso nazionale CONTENZIOSO NAZIONALE L�Autorit� di regolazione dei trasporti e le Regioni d�Italia La competenza in materia di trasporto pubblico locale nella sentenza n. 41/2013 della Corte Costituzionale: un viaggio-pellegrinaggio lungo l�arcipelago della giurisprudenza costituzionale Domenico Andracchio* SOMMARIO: Premessa. SEZIONE PRIMA: IL TRASPORTO PUBBLICO TRA LEGISLAZIONE ORDINARIA E COSTITUZIONE - 1. La disciplina del Trasporto Pubblico Locale: i vari interventi legislativi - 2. Il Trasporto Pubblico Locale nella Costituzione - 2.1. Il Trasporto Pubblico Locale: �grandi reti di trasporto e di navigazione� ovvero �governo del territorio�? - 2.2. L�insegnamento della giurisprudenza costituzionale: il Trasporto Pubblico Locale tra competenza residuale delle Regioni ed eccezionali (ma legittime) interferenze dello Stato. SEZIONE SECONDA: L�AUTORIT� DI REGOLAZIONE DEI TRASPORTI: ISTITUZIONE, STRUTTURA E FUNZIONI - 3. L�Autorit� di regolazione dei trasporti - 3.1. Il procedimento istitutivo dell�Auctoritas dei trasporti - 3.2. La struttura e l�organizzazione - 3.3. Le funzioni - 3.3.1. Le funzioni normative - 3.3.2. Le funzioni amministrative - 3.3.3. Le funzioni para-giurisdizionalii - 3.3.4. Le funzioni ausiliarie. SEZIONE TERZA: IL CASO POSTO ALL�ESAME DELLA CORTE COSTITUZIONALE: LA SENTENZA N. 41/2013 - 4. Il procedimento dinnanzi alla Corte Costituzionale - 4.1. I motivi del ricorso - 4.2. La pronuncia della Corte sulla asserita violazione degli artt. 117 e 119 Cost. - 4.3. Il decisum sulla asserita violazione dell�art. 118 Cost. e del principio di leale collaborazione - 5. Gli antecedenti logico- dommatici su cui poggia la sentenza n. 41/2013 - 5.1. Il concetto di concorrenza - 5.2. La funzione di garanzia dell�Autorit� di regolazione dei trasporti 5.3. L�uguale esercizio dell�iniziativa economica nel settore trasportistico. SEZIONE QUARTA: I PROFILI CRITICI DELL�APPROCCIO FUNZIONALE DELLA CORTE COSTITUZIONALE SUI RAPPORTI TRA STATO E REGIONI ALLA LUCE DEL TITOLO V PARTE SECONDA (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. DELLA COSTITUZIONE - 6. L�approccio teleologico impiegato dalla Consulta - 7. I limiti della potest� legislativa residuale delle Regioni - 8. Le �cabalistiche� argomentazioni formulate dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 41/2013: il trasporto pubblico locale come i contratti pubblici? - 9. La pi� corretta soluzione: il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali. Premessa La indissolubile interdipendenza tra le dinamiche e gli automatismi della societ� moderna e la sempre pi� impellente necessit� di dare attuazione - in molteplici forme e con efficienti mezzi - alla libert� di circolazione contemplata, come noto, anche nell�art. 16 della Carta Costituzionale italiana hanno contribuito a determinare il nascere e la connessa strutturazione e regolamentazione del comparto dei trasporti (autostradale, aereo, ferroviario e navale). Considerata la multilivellica fisionomia dell�apparato amministrativo nazionale � parsa davvero lungimirante la risalente scelta del Costituente di individuare nel criterio della ripartizione delle competenze tra i plurimi soggetti pubblici cui � demandata la cura degli interessi generali, il pi� adeguato palliativo ai possibili fenomeni di interferenza e sovrapposizione nella regolamentazione dei settori nevralgici della societ� moderna. Se la nascita del comparto trasportistico (quale fenomeno ascrivibile alla naturalit� dell�agere umano) non � errato reputarla quale fenomeno fisiologico immune, o quasi, dall�essere affetto da complesse criticit� da fronteggiare e superare attraverso mirati interventi dell�eteronomia, in tutt�altra prospettiva si pone la regolamentazione dello stesso; solo la adeguata regolamentazione pu� assicurare la equa, giusta e proficua evoluzione di un settore. Nel presente scritto ci si occuper�, in particolare, del settore del Trasporto Pubblico Locale cos� come percepito dal Costituente del 2001 e modellato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Per esaustivit� espositiva, al fine di offrire una quadro informativo quanto pi� possibile completo, si ritiene doveroso preliminarmente approfondire gli istituti cardine attorno ai quali si sviluppa la nascita della Autorit� di regolazione dei trasporti e solo dopo, la portata della recente sentenza n. 41/2013 pronunciata dalla Corte Costituzionale. Si chiarisca come, sin d�ora, che i principi da essa partoriti sono da reputarsi estendibili all�intero comparto trasportistico. Sezione Prima IL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE TRA LEGISLAZIONE ORDINARIA E CARTA COSTITUZIONALE 1. La disciplina del Trasporto Pubblico Locale: i vari interventi del legislatore. Le osservazioni, ivi, rassegnate trovano il loro precipuo fondamento nei CONTENZIOSO NAZIONALE principi sanciti in una recente pronuncia della Corte costituzionale: la sentenza n. 41 del 15 marzo 2013. Come meglio si dir�, il caso posto all�attenzione della Consulta si � incentrato sulla asserita contrariet� dell�art. 36 co. 1, lett. a) del Decreto Legge 24 gennaio 2012 n. 1 (c.d. Decreto �Salva Italia�) convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 rispetto agli artt. 117, 118 e 119 Cost. La Regione ricorrente ha denunziato la violazione, in materia di trasporto pubblico locale, dei criteri di ripartizione delle competenze legislative e delle funzioni amministrative tra Stato e Regioni, unitamente alla compressione del- l�autonomia finanziaria e fiscale delle seconde. Considerata la rilevanza autenticamente costituzionale della questione, non � inutile prodigarsi in una, sebbene succinta, ricostruzione della disciplina del TPL. Per trasporto pubblico locale deve intendersi quel servizio che consente ad una massa indeterminata di individui di esercitare il diritto di libera circolazione attraverso l�utilizzo di mezzi che non rientrano nella sfera di propriet� privata degli utilizzatori. La prima organica normativa in materia di TPL deve farsi risalire alla Legge Quadro n. 151/1981. Con siffatto provvedimento, il legislatore, proponendosi di scardinare quelle parossistiche logiche antivirtuose che sovraintendevano al funzionamento del comparto del TPL, solo apparentemente riconducibili al concetto di monopolio naturale, ha introdotto: a) un meccanismo di calcolo standardizzato del deficit registrato dalle imprese concessionarie obbligate a garantire il servizio di trasporto pubblico anche sulle c.d. linee diseconomiche (es. trasporto studentesco); b) l�istituzione, presso il Ministero dei Trasporti, di un Fondo ad hoc deputato ad erogare i finanziamenti occorrenti per il ripiano dei disavanzi (c.d. Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio); c) l�istituzione, presso il Ministero dei Trasporti, di un Fondo destinato a sovvenzionare gli investimenti strutturali sostenuti dalle imprese concessionarie del Trasporto Pubblico Locale (c.d. Fondo per gli investimenti). Sennonch�, in ragione dei ritardi registrati in ordine alla pianificazione e alla programmazione del settore - a cui le Regioni dovevano addivenire per beneficiare dei finanziamenti statali - gli ambiziosi buoni propositi del 1981 sono rimasti, in larga parte, inattuati. Alla Legge Quadro � sopraggiunta la Legge n. 142 dell�8 giugno 1990 (Legge sull�ordinamento degli enti locali) che ha introdotto, nell�intento di superare le annose criticit� del settore, nuove metodologie di affidamento e gestione dei servizi di TPL. Tra le nuove metodologie di management & organization del settore del Trasporto Pubblico Locale sono state contemplate: i) l�affidamento alle tradizionali istituzioni pubbliche (Citt� metropolitane, Comuni e Provincie) della gestione di quei servizi privi di rilevanza economico-imprenditoriale; ii) l�af fidamento in economia dei servizi di piccole dimensioni; iii) l�affidamento a societ� per azioni partecipate, in prevalenza, da capitale pubblico dei servizi di significativa rilevanza. Come la Legge Quadro del 1981, anche tale intervento - con cui si � introdotto, per la prima volta, il modello delle aziende formalmente private ma sostanzialmente pubbliche nel settore del trasporto pubblico locale - non � riuscito ad ovviare alle significative criticit� del settore. Individuando nel principio di sussidiariet� lo strumento per dare decisa risposta alle esigenze e alle pretese degli operatori del settore, il legislatore nazionale ha cos� adottato la Legge 15 marzo 1997, n. 59 �Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa �, meglio nota come Legge Bassanini. Sulla scorta dei principi e dei criteri direttivi fissati nella Legge-delega, si � perci� addivenuti all�adozione del decreto legislativo del 19 novembre 1997, n. 422 (c.d. Decreto Burlando) col quale � stata ridefinita l�organizzazione del sistema del trasporto pubblico locale; il richiamato decreto, dopo aver enumerato le specifiche competenze statali in materia di trasporto pubblico locale, ha provveduto ad indicare le competenze spettanti alle Regioni. Alle Regioni, cos�, � stato fatto obbligo di trasferire alle provincie, ai comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni e i compiti attinenti al Trasporto Pubblico Locale che non richiedano un unitario esercizio a livello regionale. La responsabilizzazione di tutti i livelli della gerarchia statale (pur come ovvio sotto il presidio del principio di sussidiariet�) e la individuazione nella gara ad evidenza pubblica della precipua modalit� attraverso cui selezionare le imprese, strutturalmente ed economicamente, competenti a garantire il servizio hanno rappresentato le principali novit� del decreto legislativo n. 422/97. Nonostante gli sforzi compiuti dal legislatore al fine di garantite quei parametri di concorrenzialit�, di efficienza e di adeguatezza nel settore del TPL, l�analisi statistica della odierna realt� non offre, certamente, dati confortanti. La profonda criticit� in cui versa il settore del trasporto pubblico locale in molte Regioni italiane (specie quelle del Mezzogiorno) ne costituisce prova incontrovertibile. 2. Il Trasporto Pubblico Locale nella Costituzione. La prospettata ricostruzione dei principali steps dell�evoluzione normativa in materia di TPL ha avuto luogo, fino alle leggi Bassanini (Legge Bassanini 1 e Bassanini 2), in un quadro costituzionale dotato, per quel che qui interessa, di maggiore chiarezza. Prima della notissima riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione (1), l�art. 117 contemplava (espressamente) tra le materie di competenza esclusiva delle Regioni, sotto la dicitura �tranvie e linee CONTENZIOSO NAZIONALE automobilistiche di interesse regionale�, la materia del trasporto pubblico locale (TPL): segnatamente, si riconosceva all�Ente Regione un�ampia potestas comunque condizionata al rispetto dei �principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato� nonch� �l�interesse nazionale� e �quello di altre Regioni�. Nella nuova formulazione dell�art. 117 Cost. non � invece dato riscontrare alcun esplicito riferimento al trasporto pubblico locale; tanto nella elencazione delle materie di esclusiva potest� statale (comma 2), quanto in quelle rientranti nella potest� legislativa concorrente Stato-Regione (comma 3), non vՏ traccia alcuna. Occasionando comprensibili dubbi ed incertezze, la mancanza di una espressa previsione costituzionale della materia de qua ha contribuito alla nascita di molteplici interpretazioni. 2.1. Il Trasporto Pubblico Locale: �grandi reti di trasporto e di navigazione� ovvero �governo del territorio�? La scelta operata dal Costituente del 2001, quella cio� di non menzionare il trasporto pubblico locale in nessuno dei tre �blocchi competenziali� previsti dall�art. 117 Cost., ha stimolato, non poco, l�opera ermeneutica dei pi� raffinati studiosi di diritto costituzionale. L�inevitabile rigetto di tutto quanto si configuri come oscuro, criptico e incerto oltre alle fondate preoccupazioni legate al rischio di sovrapposizioni su un settore strategico per la quotidiana esistenza dei consociati hanno indotto gli operatori giuridici a teorizzare la riconducibilit� del trasporto pubblico locale alle materie (di competenza concorrente) del �governo del territorio� ovvero delle �grandi reti di trasporto e di navigazione�. Ancorch� in nome della certezza del diritto, giungere ad inquadrare il trasporto pubblico locale nella materia delle �grandi reti di trasporto� sarebbe equivalso ad ignorare le caratteristiche tecnico-strutturali che consentono di differenziare una rete di TPL da una grande rete di trasporto; � evidente come la locuzione trasporto pubblico locale allude ad un fenomeno di dimensioni di assai pi� modica portata rispetto alle grandi reti. Ad ogni modo, volendo ammettere, ab absurdo, la fondatezza della tesi che vorrebbe il trasporto pubblico locale quale species delle grandi reti di trasporto, un elemento di affinit� lo si potrebbe tutt�al pi� identificare nella riconducibilit� di entrambi alla nozione di infrastruttura (2). Tuttavia, considerato che per il comune sentire l�infrastruttura rappresenta quella grande opera ingegneristica, di natura pubblica, capace di agevolare, velocizzandolo oltre modo, lo sviluppo economico e sociale di un Paese, si (1) L. cost. del 18 ottobre 2001, n. 3. (2) La definizione che ne offre l�economista Albert Otto Hirschman (1915-2012) � quella di: �Insieme di beni e servizi che rendono possibile l�attivit� economica�. intuisce come la nozione di TPL sia ben lontana dal poter essere accostata e finanche mescolata con quella di grandi reti di trasporto. Le due nozioni, sebbene legate da un rapporto di mezzo a fine, rimangono ontologicamente distinte; � fuori dubbio che la rete di trasporto costituisce il principale mezzo che permette il trasporto. Se la manutenzione, la preservazione e la conservazione delle infrastrutture rientra - come agevolmente arguibile dal dettato costituzionale - nelle materie di competenza concorrente Stato-Regione, non pu� dirsi lo stesso quanto alla gestione e alla utilizzazione del trasporto che quelle reti consentono. Difatti, l�insegnamento della Corte Costituzionale � nel senso che: �la materia delle grandi reti di trasporto riguarda principalmente le infrastrutture e non i loro aspetti gestori di utilizzazione� (3). Non inconferente � invece parsa la possibile incapsulabilt� del trasporto pubblico locale nella materia (anche questa di competenza concorrente) del �governo del territorio�. Il governo del territorio � materia che si presta, pi� di altre, ad interpretazioni estensive; ne costituisce fattore indicativo lo sforzo compiuto, con sovraumana laboriosit�, dalla dottrina (4) nel tentativo di dare precisi tratti somatici alla sibillina nozione. Come accade in tutti i casi in cui il legislatore si �auto-deresponsabilizza� con la elaborazione di formule troppo sbrigative spetta al formante giurisprudenziale procedere al riempimento di concetti, come quello di governo del territorio, che rischiano di atteggiarsi come un �guscio vuoto� (5). La nozione sotto esame si caratterizza di una componente indefettibile (o essenziale) e di una aggiuntiva. Costituisce componente essenziale il settore dell�urbanistica. Nel correggere quel apprezzabile ma incondivisibile orientamento dottrinale (6) secondo il quale, la sostituzione dell�urbanistica con il termine governo del territorio non avrebbe rappresento un semplice e superficiale restyling della Costituzione, quanto piuttosto, un sintomatico epilogo della voluntas legis di far ricadere l�urbanistica nelle materie di competenza residuale delle Regioni, la Corte Costituzionale chiarendo che l�urbanista non ricade nell�art. 117, comma quarto, Cost. ha disposto: �Se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione e distribuzione nazionale dell�energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma dell�art. 117 Cost. e non rien (3) C. Cost. n. 208/2011. (4) N. PIGNATELLI, �Il Governo del territorio� nella giurisprudenza costituzionale: la recessivit� materiale� (2012); G. CORSO - V. LOPILATO, �Il Diritto Amministrativo dopo le riforme costituzionali� (2006); S. AMOROSINO, �Il Governo dei sistemi territoriali� (2008). (5) C. cost. n. 303/2003. (6) R. CHIEPPA, �Governo del territorio�, in G. CORSO -V. LOPILATO cit. CONTENZIOSO NAZIONALE trano quindi nel �governo del territorio�, appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti cos� rilevanti, quali quelli connessi all�urbanistica e che il governo del territorio sia stato ridotto a poco pi� di un guscio vuoto� (7). Ci� posto, preme comprendere quali siano gli altri settori che concorrono a formare la componente aggiuntiva del governo del territorio, verificando se tra di essi vi rientri o meno il trasporto pubblico locale. La soluzione viene offerta dagli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale ove si � sancito come: �la disciplina del governo del territorio deve essere considerata ben pi� ampia dei profili tradizionalmente appartenenti all�urbanistica e all�edilizia� (8). Su tale premessa, ad avviso della Consulta sono da farsi rientrare nella c.d. componente aggiuntiva: l�edilizia sanitaria (9); la riqualificazione urbana (10); l�edilizia pubblica residenziale (11); la fruizione delle risorse idriche (12); le opere di bonifica (13); la realizzazione di impianti di trattamento, smaltimento e gestione dei rifiuti (14); il condono edilizio di tipo straordinario (15). Non essendo menzionato, � gioco forza ritenere che il trasporto pubblico locale non pu� essere ricondotto neppure al concetto di governo del territorio. Viene allora spontaneo chiedersi quale sia l�esatto posizionamento del TPL nella griglia predisposta dall�art. 117 Cost. 2.2. L�insegnamento della giurisprudenza costituzionale: il Trasporto Pubblico Locale tra competenza residuale delle Regioni ed eccezionali (ma legittime) interferenze dello Stato. Ferma la non espressa previsione del TPL nell�art. 117 Cost. e considerato il disposto di cui al comma quarto: �Spetta alle Regioni la potest� legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato� si palesava evidente la riconducibilit� del trasporto pubblico locale nelle materie di competenza esclusiva delle Regioni. Il vulnus normativo, diffusamente menzionato in narrativa, ha determinato un�importante pronuncia con cui il Giudice delle leggi, sgomberando il campo da ogni dubbio, ha puntualizzato che il TPL � da farsi rientrare nell�ambito della competenza residuale delle Regioni; in particole la Consulta facendo ri (7) C. cost. n. 303/2003. (8) C. cost n. 196/2004; C. cost. n. 383/2005. (9) C. cost. nn. 99/2009; 15/2008; 105/2007. (10) C. cost. n. 16/2004. (11) C. cost. nn. 121/2010; 166/2008; 97/2007. (12) C. cost. n. 168/2008. (13) C. cost. n. 282/2004. (14) C. cost. n. 314/2009. (15) C. cost. nn. 246/2009; 290/2009. chiamo alla normativa vigente prima della riforma del titolo V ha precisato che il giusto inquadramento del trasporto pubblico locale nelle materie di competenza residuale � �(�) reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (...) aveva ridisciplinato l�intero settore conferendo alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalit� effettuati ed in qualsiasi forma affidato ed escludendo i trasporti pubblici di interesse nazionale� (16). Il delineato espresso inquadramento della materia nell�indefinito e slavato alveo delle competenze residuali delle Regioni non pu�, tuttavia, essere considerato come netto e assoluto; diversamente si incorrerebbe in una esorbitante e inconferente interpretazione capace di legittimare la creazione di un sistema amministrativo contraddistinto, pi� che da uno spirito federalistico, da una troppa marcata e pericolosa vocazione autoctona degli enti territoriali che potrebbe finire col comprimere, boicottandolo, l�esercizio dei diritti fondamentali dell�uomo, tra cui (in via diretta) la libert� di circolazione. Se cos� fosse stato, si sarebbe finito col sovvertire la struttura gerarchica dei valori, dei principi, delle qualit�, della aspettative, degli interessi e dei diritti che da secoli segna la cultura giuridica, politica e sociale della civilt� occidentale. Sicch�, gi� nel 2004 la Consulta, manifestando un sentimento di inequivocabile vituperio rispetto ad un, ancorch� solo potenziale, scenario di impermeabilit� del trasporto pubblico locale rispetto alla regolamentazione statale, ha ritenuto ammissibile delle eccezioni alla esclusivit� del potere legislativo regionale in materia. Nel sancire che il legislatore statale �non pu� porsi in contrasto con i criteri e i limiti che presiedono all�attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo art. 119 della Costituzione, che non consentono finanziamenti di scopo per finalit� non riconducibili a funzioni di spettanza statale�, il Giudice costituzionale ha comunque ammesso eccezioni a tale divieto subordinate al fatto che vengano rispettati i limiti imposti negli art. 118, comma primo, 119 comma quinto e 117 comma secondo, lett. e) (17). Sezione Seconda L�AUTORIT� DI REGOLAZIONE DEI TRASPORTI: ISTITUZIONE, STRUTTURA E FUNZIONI 3. L�Autorit� di regolazione dei trasporti. Considerato che la regolamentazione di principio del comparto del trasporto pubblico locale rientra tra le prerogative funzionali della neonata Au (16) C. cost. n. 222/2005. (17) C. cost. n. 423/2004. CONTENZIOSO NAZIONALE torit� di regolazione dei trasporti e poich� la pronuncia n. 41/2013 presuppone l�analisi di una questione di legittimit� costituzionale riguardante le competenze riconosciute all�Auctoritas in materia di TPL, giova evidenziare i principali aspetti (strutturali e funzionali) dell�Autorit� di regolazione dei trasporti. Solo cos� procedendo, ad avviso di chi scrive, potr� offrirsi tutto l�occorrente cognitivo idoneo a consentire una disamina azzimata e consapevole della sopraccennata pronuncia della Consulta. 3.1. Il procedimento istitutivo dell�Auctoritas dei trasporti. La necessit� di avviare procedimenti decisionali da conchiudersi con la adozione di regole idonee a sortire effetti riequilibranti in un sistema socio- politico sfibrato da una corrosiva crisi economica e da una imperante speculazione finanziaria non � potuta pi� essere n� ignorata, tampoco procastinata. La precedente esperienza governativa, malgrado iniziali resistenze provenienti da taluni ambienti (18), ha cos� ritenuto di dover istituire l�Autorit� di regolazione dei trasporti, quale determinazione da ricondurre, all�evidenza, nel novero delle misure adottate, in quel determinato momento storico, per fronteggiare la situazioni di straordinaria emergenzialit� che viveva lo Stato italiano. Il fondamento giuridico della Auctoritas menzionata � rinvenibile nell�art. 37 del D.lg. 6 dicembre 2011, n. 201 (anche noto come decreto �Salva Italia�). L�originaria formulazione della prescrizione istitutiva dell�Autorit� che ci occupa ha nondimeno formato oggetto di plurimi interventi emendamentali. La norma � stata dapprima modificata (nelle more del procedimento di conversione ex art. 77 Cost.) con la L. 22 dicembre 2011, n. 214, a sua volta modificata con D. lg. 24 gennaio 2012, n. 1 (anche noto come decreto �Cresci Italia�) che infine � stato modificato dalla L. 24 marzo 2012, n. 27. Merita di essere sottolineato come la ratio legis su cui radica la L. 27/2012 non � stata quella di istituire tanti enti regolatori per quanti fossero i comparti in cui viene tradizionalmente distinto il settore trasportistico - un siffatta tecnica operativa, assai impiegata in passato, ha reso la prassi amministrativa italiana assai inefficiente e inadeguata nella cura concreta dell�interesse generale - bens� quella di concentrare in una sola organizzazione pubblica un gran numero di funzioni sino ad allora spalmate su una consistente entit� di Pubbliche Amministrazioni. Il motivo reggente posto a giustificazione della scelta cui � giunto il legislatore nazionale, non � quindi errato identificarlo nell�intento di dare concrete risposte: i) alle istanze di snellimento dell�apparato burocratico amministrativo nazionale e quelle di contenimento delle conseguenze promanati da anni di errate scelte di contabilit� pubblica; ii) alla pluriennale incapacit� di abbattere (o co (18) S. CASSESE, �Chi ha paura delle autorit� indipendenti?�, in Mercato, concorrenza e regole, 1999, n. 3, pp. 471-473. munque ridimensionare) le posizioni monopolistiche nel settore trasportistico. Per scongiurare una svista tanto grossolana quanto diffusa, deve comunque essere chiarito che la paternit� della ideazione dell�Autorit� di cui ci si occupa � erroneo attribuirla al c.d. Governo tecnico che ha avuto, piuttosto, il solo merito di portare a compimento quella, gi� da qualcuno nominata, come faticosa e controversa gestazione (19). � piuttosto risalente l�idea di creare un�entit� pubblica competente a regolamentare la materia trasportistica su un piano di assoluta indipendenza rispetto al frenetico avvicendarsi, nelle apicali cariche governative, di forze politiche con ideologie, programmi e priorit� talvolta profondamente distinti; dunque, in posizione di assoluta �indifferenza� rispetto alle complicazioni che pu� talvolta occasionare il sistema dello spoils system (20) in termini di buon andamento, efficienza ed efficacia. A riprova di ci�, gi� con la legge del 14 novembre 1995, n. 481 recante �Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilit�. Istituzione delle Autorit� di regolazione dei servizi di pubblica utilit�� si era pensato di dar vita ad un organismo (l�Autorit� di regolazione dei trasporti dei servizi di pubblica utilit�) che fosse capace di garantire una regolamentazione del comparto dei trasporti idonea ad innalzare il livello di concorrenzialit� mediante l�abbattimento delle tradizionali barriere all�ingresso. La effettiva istituzione di un siffatta Auctoritas venne tuttavia a sfumare. Nel 1996 venne poi elaborato un successivo analogo disegno di legge, per vero mai avviato, a causa dello scioglimento anticipato delle Camere. Susseguentemente, nel 1999, col D.lgs n. 300 �Riforma dell�organizzazione del Governo, a norma dell�art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59� si pens� di istituire - sebbene con un modello organizzativo diverso rispetto a quello delle Auctoritas - l�Agenzia dei trasporti terrestri e delle infrastrutture; sennonch� al pari degli altri progetti, anche questo si rivel� fallimentare. E ancora, nel 2007 fu presentato un disegno di legge che, in un quadro di riorganizzazione e riordino sistemico delle Autorit� amministrative indipendenti, prevedeva l�istituzione dell�Autorit� per i servizi e l�uso delle infrastrutture. 3.2. La struttura e l�organizzazione. Un lucido esame dei principali tratti strutturali e organizzativi dell�Autorit� di regolazione dei trasporti non pu� che prendere le mosse dall�art. 37 del D.lg. n. 201/2011. L�art. 37 cit., co. 1 bis precisa che: �L�Autorit� � un organo collegiale�. In (19) A. TONETTI, �L�Autorit� di regolazione dei trasporti�, 2012, pp. 589 ss. Giornale di diritto amministrativo. (20) Si v. C. cost. n. 103/2007 quanto alla sancita contrariet� del sistema dello spoils system rispetto agli artt. 97 e 98 Cost. siccome pregiudizievole del buon andamento (inteso nella accezione di continuit� dell�azione amministrativa). CONTENZIOSO NAZIONALE quanto supremo organo attraverso il quale vengono determinate le linee direttive a cui conformare l�esercizio delle funzioni dell�Autorit�, la composizione del Collegio risponde a specifici caratteri di numero, genere e qualit� dei componenti. Il Collegio � composto dal Presidente e da due componenti (art. 37, co. 1 bis) scelti, nel rispetto dell�equilibrio di genere, tra persone di indiscussa moralit�, di indipendenza nonch� di comprovata professionalit� e competenza nei settori in cui opera l�Autorit� (art. 37, co. 1 ter). Come si vede la scelta dei componenti, fissati nel numero di tre unit�, deve essere effettuata nel rispetto di due parametri: a) l�equilibrio di genere; b) indiscussa professionalit� e indipendenza unitamente alla comprovata professionalit� e competenza. In ragione del richiesto equilibrio di genere � pertanto algebrico che dei tre componenti uno sar�, inevitabilmente, di sesso femminile. Per quel che invece riguarda i requisiti professionali e personali al cui possesso � posposta la nomina dei componente dell�Auctoritas, non pu� non notarsi come, a dispetto della alta e riconosciuta professionalit� e competenza (criterio di selezione ordinariamente richiesto per ricoprire apicali incarichi dirigenziali) si richiedono requisiti addirittura pi� stringenti (21). Alla comprovata professionalit� e competenza (c.d. requisiti professionali stricto sensu) si cumula, invero, la indiscussa moralit� e indipendenza (c.d. requisiti antropici). Come si vede, nonostante la accordatagli autonomia organizzativa, contabile e amministrativa, l�Autorit� non gode, giustamente, della incondizionata libert� di dare al Collegio una composizione, di volta in volta, diversa rispetto a quella assunta in precedenza. Si aggiunga che i tre componenti del collegio, il cui mandato ha durata settennale non rinnovabile, non possono, fino alla scadenza, esercitare attivit� professionale o di consulenza, essere amministratori o dipendenti di soggetti pubblici o privati, avere interessi o legami di qualunque natura con imprese operanti nei settori di competenza dell�Autorit�, ricoprire uffici pubblici, incarichi elettivi e di rappresentanza partitica. Si ritiene possa essere esteso anche al Collegio dell�Autorit� di regolazione dei trasporti quell�insegnamento giurisprudenziale in ossequio al quale, gli organi collegiali di governo delle Autorit� Indipendente non sono inquadrabili fra i c.d. �collegi perfetti� (22), sia perch� la loro composizione non � strutturata in rappresentanza di esperienze, di conoscenza e di interessi diversi, bens� in ragione della posizione di indipendenza dei suoi membri; sia perch� le funzioni affidate non sono di valutazione e di giudizio, ma di regolazione del mercato (23). Stante l�operato rinvio alla Legge n. 481/1995, la procedura di nomina (21) A. TONETTI, op. cit. (22) Tali sono gli organi collegiali abilitati a deliberare solo con la presenza di tutti i componenti (c.d. plenum). (23) T.A.R. Milano, n. 5197/08. dei componenti del collegio si articola secondo il tradizionale schema delle autorit� di regolazione: avviata con la designazione del Ministro competente, cui fanno seguito il parere a maggioranza qualificata delle commissioni parlamentari e la deliberazione del Consiglio dei Ministri, si chiude col decreto di nomina del Presidente della Repubblica. La composizione organico-strutturale non pu� certo ritenersi perfezionata con la sola nomina dei tre componenti del collegio. L�Autorit�, invero, � anche dotata di un Segretario Generale (nominato dal collegio) che, rispondendo al Presidente, sovraintende al funzionamento dei servizi e degli uffici. Quanto invece alla dotazione organica complessiva (capi ufficio, impiegati, tecnici informatici etc.) di cui potr� avvalesi l�Autorit�, non potr� superare il numero delle ottanta unit� (art. 37, co. 6) che non saranno reclutate con una unitaria procedura selettiva, bens� attraverso un iter bifasico: 1) col vincolo del 50% e nel limite delle risorse disponibili, l�Autorit� provveder�, dapprima, alla selezione delle ricercate unit� tra il personale impiegato in altre Pubbliche Amministrazioni ponendole, cos�, in posizione di comando e lasciando il relativo onere finanziario a carico dell�Amministrazione di provenienza; 2) solo una volta munita del potere di esigere dagli operatori economici presenti nei settori rientranti nelle proprie competenze funzionali il versamento di un contributo annuo commisurato al fatturato (c.d. autofinanziamento), il selezionato personale verr� immesso nei ruoli dell�Autorit� (24). 3.3. Le funzioni. La portata pi� innovativa dell�art. 37 del D.lg. n. 201/2011 � quella pertinente alle funzioni accordate all�Autorit� di regolazione dei trasporti. Le competenze di cui l�Autorit� risulta attributaria sono molteplici e variegate. � dato distinguere funzioni normative, funzioni amministrative, funzioni para-giurisdizionali e funzioni ausiliarie sotto le quali species � possibile riconnettere, con lineare e risoluta sistematicit�, le diverse competenze dell�Auctoritas (25). 3.3.1. Le funzioni normative. Le funzioni normative ruotano attorno ai concetti cardine di: accesso, corrispettivi, qualit� dei servizi, diritti degli utenti e atti di gara; vediamole partitamente. (24) Fatta eccezione per quello che doveva essere l�anno di istituzione dell�Autorit� di regolazione dei trasporti (2012), l�autofinanziamento dell�Auctoritas avverr� attraverso il versamento di un contributo (mai superiore all�uno per mille del fatturato dell�ultimo esercizio) che determinato annualmente dal- l�Autorit� e sottoposto all�approvazione del Presidente del Consiglio dei Ministri di concerto con il Ministro dell�Economia e della Finanza, sar� versato dai gestori di infrastrutture e dei servizi di trasporto. (25) Per una pi� approfondita lettura delle funzioni dell�Autorit� di regolazione dei trasporti si v. A. TONETTI, op. cit. CONTENZIOSO NAZIONALE I. Per quel che riguarda l�accesso, l�Autorit� di regolazione dei trasporti garantisce �condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali (�) nonch� in relazione alla mobilit� dei passeggeri e delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche collegate a stazioni, aeroporti e porti� (art. 37, co. 2, lett. a). II. Quanto ai corrispettivi, � prerogativa dell�Autorit� �definire, se ritenuto necessario (�), i criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti delle tariffe, dei canoni e dei pedaggi� (art. 37, co. 2, lett. b). A tale generica formula hanno fatto seguito pi� puntuali descrizioni della regolazione normativa che l�Autorit� dovr� definire nei plurimi settori. Sicch�, con riferimento al settore autostradale, l�Auctoritas stabilisce �sistemi di pedaggio basati sul metodo del price cap� (art. 37, co. 2, lett. g); in ordine al settore ferroviario, fissa �i criteri per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dell�infrastruttura� (art. 37, co. 2, lett. i); quanto invece al settore aeroportuale spetta all�Autorit� �stabilire taluni specifici modelli tariffari� (art. 37, co. 2, lett. h). III. In ordine alla qualit� dei servizi compete all�Autorit� determinare �le condizioni minime di qualit� dei sevizi di trasporto pubblico nazionali e locali connotati da oneri di servizio pubblico� (art. 37, co. 2, lett. d). IV. In merito ai diritti degli utenti, l�Autorit� fissa e determina �il contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori dei servizi e delle infrastrutture di trasporto� (art. 37, co. 2, lett. e). V. Con riferimento, infine, agli atti di gara, l�Autorit� predispone �gli schemi dei bandi per l�assegnazione dei servizi di trasporto in esclusiva e delle convezioni da inserire nei capitolati delle convinzioni delle medesime� oltre ai �ai criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici� (art. 37, co. 2, lett. f). 3.3.2. Le funzioni amministrative. Cos� come per le funzioni normative, anche le funzioni amministrative non � errato distinguerle mediante l�utilizzo di un criterio di c.d. riconducibilit� funzionale-dogmatica. La attenta lettura dell�art. 37 cit. permette di individuare tre specie di competenze che, ancorch� ricollegabili al genus �funzioni amministrative�, � possibile catalogarle in base alla riferibilit� ai concetti di: economia, controllo e vigilanza. I. La completa ricostruzione delle funzioni amministrative riconducibili al concetto di economia, esige di operare una puntuale distinzione dei settori in cui l�Autorit� � legittimata ad esercitare le funzioni di cui si discute. Nel settore aeroportuale, l�Autorit� approva l�individuazione del modello tariffario cui dovr� attenersi il gestore aeroportuale laddove, nel settore auto stradale, approva le proposte avanzate dall�Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali in ordine alla regolazione e variazioni tariffarie per le concessioni autostradali. Ancora, sentiti il Ministero delle infrastrutture, le Regioni e gli enti locali interessati, l�Autorit� definisce le tratte e le modalit� di funzionamento dei servizi pubblici di interesse regionale e/o locale. II. In merito alle funzioni amministrative pertinenti ai concetti di controllo e di vigilanza, l�Autorit� sovraintende, vigilando, alla corretta applicazione da parte degli operatori di settore dei criteri di determinazione di tariffe, canoni e pedaggi (art. 37, lett. c). Pi� in dettaglio, con riguardo al settore ferroviario, vigila e controlla la corretta applicazione da parte del gestore dell�infrastruttura dei criteri - fissati, formulati e approvati dall�Autorit� stessa - di determinazione dei pedaggi (art. 37, lett. i); quanto, invece, al settore aeroportuale, vigila sulla corretta applicazione dei diritti aeroportuali da parte del gestore (art. 37 lett. h). 3.3.3. Le funzioni para-giurisdizionali. Controversa e discussa � la concreta portata delle funzioni para-giurisdizionali e, ancor pi�, la sussistenza stessa in capo all�Autorit�. Eccezion fatta per il comparto ferroviario, ove all�Autorit� di regolazione di trasporti compete la risoluzione-composizione delle controversie insorte e/o insorgende tra il gestore dell�infrastruttura e l�impresa ferroviaria, nel testo dell�art. 37 del D.lg n. 201/2011 non � dato rinvenire un preciso stralcio normativo che riconosca, in maniera chiara e inequivocabile, una generale funzione di risoluzione delle controversie. Cos�, con riguardo agli altri comparti, si ritiene che la competenza di vagliare i reclami, le istanze e le segnalazioni degli utenti concernenti il livello qualitativo del servizio e la adeguatezza ed equit� delle pratiche tariffarie � da ritenersi come una �ulteriore sfaccettatura� di quelle funzioni di controllo e vigilanza di cui sՏ detto sopra. Non �, invero, riconosciuta all�Autorit� la prerogativa di adottare - nelle more di procedure arbitrali o di conciliazione - provvedimento di risoluzione delle controversie tra utenti ed esercenti il servizio, potendo solo favorire e non anche istituire procedure di conciliazione e risoluzione delle controversie. 3.3.4. Le funzioni ausiliarie. I pareri, le comunicazioni istituzionali, le segnalazioni e le circolari, rappresentano il principale strumento di esercizio delle c.d. funzioni ausiliarie. L�Autorit�, senza dubbio, mediante la formulazione e l�invio di atti pareristici (art. 37 co. 3, lett. a) pu� giuocare il ruolo di formidabile coadiutore istituzionale che, altamente qualificato, sia capace di guidare, indirizzare ed inquadrare gli spazi di manovra delle altre Pubbliche Amministrazioni nella gestione nel delicato e complesso settore dei trasporti e delle infrastrutture. Sebbene non espressamente contemplato, tra le funzioni de qua vi rien CONTENZIOSO NAZIONALE trano le segnalazioni e i pareri su questioni, aspetti e problematiche che l�Autorit� pu� inoltrare a Parlamento e Governo nonch� il rilascio di un parere preventivo cui gli enti territoriali dovranno conformare i provvedimenti con cui puntino a migliorare la qualit� dei servizi e ad innalzare il livello di liberalizzazione nel settore dei servizi di taxi. Sezione Terza IL CASO POSTO ALL�ESAME DELLA CORTE COSTITUZIONALE: LA SENTENZA N. 41/2013 4. Il procedimento dinnanzi alla Corte Costituzionale. A solo pochi mesi dall�entrata in vigore della legge 24 marzo 2012, n. 27, con la quale si � portato a conclusione il zigzagante iter istitutivo dell�Autorit� competente a regolamentare il settore dei trasporti, che � stato gi� introitato un articolato contenzioso costituzionale attorno ad essa. Per chiarezza, si precisi che con la sentenza in commento, la Corte costituzionale ha deciso soltanto su una delle plurime questioni di legittimit� costituzionale sollevate dalla Regione Veneto; quella concernente l�art. 36, co. 1, lett. a) del D.lg. n. 1/2012 che contempla l�istituzione, e disciplina l�organizzazione e le funzioni dell�Autorit� di regolazione dei trasporti. Con ricorso notificato in data 23 maggio 2012 al Presidente del Consiglio dei Ministri, la Regione Veneto ha impugnato l�art. 36 cit. per asserita violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. oltrech� per antiteticit� col principio di leale collaborazione. Stando alla ricorrente, la disposizione in virt� della quale: �L�Autorit� � competente nel settore dei trasporti e dell�accesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori, in conformit� della disciplina europea e nel rispetto del principi di sussidiariet� e delle competenze delle regioni e degli enti locali di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione� (cfr. art. 36, co. 1, lett. a), D.lg. n. 1/2012), causa la troppa vaghezza e genericit�, sarebbe stata affatto idonea ad evitare episodi di sconfinamento ed interferenza tra le competenze statuali e quelle regionali in materia di Trasporto Pubblico Locale (TPL). 4.1. I motivi del ricorso. Sul presupposto che le ipotesi di interferenza tra i due livelli di potest� legislativa costituzionalmente contemplati - quella statale da un lato e quella regionale dall�altro - sarebbero potuti intensificarsi a causa del conferimento all�Auctoritas di talune determinate competenze in materia di trasporti (es. la definizione dei criteri per la fissazione delle tariffe, dei canoni e dei pedaggi; la fissazione, con particolate riferimento al settore autostradale, di sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap; la definizione, sempre nel settore autostradale, degli schemi di concessione da inserire nei bandi di gara relativi alla gestione o costruzione e gli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali per le nuove concessioni; la definizione degli schemi dei bandi delle gare per l�assegnazione dei servizi di trasporto in esclusiva e delle convenzioni da inserire nei capitolati delle medesime gare nonch� dei criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici etc.) le argomentazioni prospettate nel ricorso si sono sviluppate attorno a tre morivi di impugnazione. In primo luogo, � stato sostenuto che l�attribuzione all�Autorit� della competenza a definire i criteri di determinazione delle tariffe, degli schemi dei bandi di gara e di concessione non sarebbe stata proporzionata alle esigenze di apertura del mercato, siccome non previsti specifici parametri di indirizzo e controllo cui l�Autorit� debba conformarsi. In secondo luogo, la portata di dette attribuzioni, essendo troppo invasiva rispetto alle competenze degli enti regionali, si sarebbe sostanziata, ad avviso della ricorrente Regione, in una palese violazione dei principi di sussidiariet�, differenziazione e adeguatezza ex art. 118 Cost. nonch� del principio di leale collaborazione. In terzo luogo, la competenza relativa alla definizione dei criteri per la determinazione delle tariffe avrebbe, altres�, violato l�autonomia finanziaria della Regione in ispregio all�art.119 Cost. Si � allora costituita la Presidenza del Consiglio che, rappresentata e difesa dal�Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto il rigetto del ricorso introdotto dalla Regione per palese infondatezza. 4.2. La pronuncia della Corte sulla asserita violazione degli artt. 117 e 119 Cost. Come anticipato, la ricorrente ha sollevato questione di legittimit� costituzionale per contrariet� dell�art. 36 co. 1 lett. a) del D.lg. n. 1/2012 rispetto gli artt. 117, 118 e 119 Cost. Rilevata la fumosit� del ricorso per carenza dei crismi formali e sostanziali cui necessariamente ispirare la redazione dell�atto introduttivo di un giudizio costituzionale, la Corte ha pregiudizialmente dichiarato inammissibili le questioni di legittimit� riferite agli artt. 117 e 119 Cost. � perci� verosimile ritenere che la Regione Veneto abbia sollevato le questioni di illegittimit� ut supra senza aver effettivamente compreso, o meglio, saputo specificare, quali fossero i precisi profili della disciplina dell�Autorit� lesivi dei criteri costituzionali di ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni in materia trasportistica (art. 117 Cost.) e dell�autonomia di entrate e di spese di cui godono, e continuano a godere, gli enti territoriali (art. 119 Cost.). 4.3. Il decisum sulla asserita violazione dell�art. 118 Cost. e del principio di leale collaborazione. Diversamente da quanto assunto con riguardo alla contrariet� agli artt. CONTENZIOSO NAZIONALE 117 e 119 Cost., la Corte ha invece deciso nel merito (pur sempre rigettandola) la questione di legittimit� costituzionale sollevata per asserita contrariet� con l�art. 118 Cost. Nel testo della pronuncia viene, lapidariamente, puntualizzato che l�art. 36 cit. non importa alcun sacrificio delle competenze degli enti territoriali e, perci� tale, non pu� ritenersi affatto sfregiante dei principi di sussidiariet�, adeguatezza e differenziazione ex art. 118 Cost.; per converso, l�istituzione del- l�Autorit� di regolazione dei trasporti persegue �la finalit� di promuovere la realizzazione di un mercato concorrenziale nel settore dei trasporti (da quello ferroviario a quello aeroportuale, da quello portuale a quello autostradale)�. Considerato che la materia della tutela della concorrenza rientra tra quelle di competenza esclusiva dello Stato (cfr. art. 117, comma secondo, lett. e), la Corte ha ritenuto di dover chiarire che le funzioni conferite all�Autorit� di regolazione non assorbono le competenze (per come sostenuto dalla ricorrente) spettanti alle amministrazioni regionali in materia di TPL ma, al contrario, le �presuppongono e le supportano�. In altri e pi� significativi termini, il Giudice costituzionale - dopo aver sottolineato che compete all�Autorit� dettare �una cornice di regolazione economica � all�interno della quale il Governo, le Regioni e gli enti locali ciascuno in forza delle specifiche competenze loro riconosciute ex lege provvedono a sviluppare le proprie politiche trasportistiche - ha stabilito che l�impugnato art. 36 D.lg. n. 1/2012 � tutt�altro che contrario ai principi di sussidiariet�, differenziazione ed adeguatezza, atteso che emerge in maniera solare come: �quanto alla funzione di fissare i modelli tariffari, i canoni e i pedaggi, l�Autorit� ha il compito di stabilire solo i criteri, laddove resta impregiudicata la possibilit� per le amministrazioni territoriali di determinare, in concreto, i corrispettivi per i servizi di erogati; con riferimento ai bandi di gara, l�Autorit� � legittimata solo a definire gli schemi, senza sostituirsi alle amministrazioni competenti nell�elaborazione in dettaglio dei bandi, delle convenzioni da inserire nei capitolati delle gare e delle concessioni; quanto poi alla nomina delle commissioni giudicatrici, anche ivi, l�Autorit� � dotata del solo potere di stabilire i criteri per la nomina, salve restando le competenze delle amministrazioni territoriali su ogni ulteriore decisione in ordine alla composizione delle commissioni aggiudicatrici o alle modalit� di scelta dei suoi componenti�. Se ne ricava che la �concreta� determinazione delle tariffe, dei canoni e dei pedaggi, unitamente alla �dettagliata� elaborazione dei bandi e alla fissazione degli �specifici� criteri di composizione delle commissioni sono da ritenersi, per vero, competenze regionali che non possono (rectius non devono) reputarsi compromesse dalla presenza di una Autorit� amministrativa indipendente deputata a dettare una regolazione di principio volta a garantire una disciplina trasportistica capace di assicurare un quanto pi� possibile omogeneo livello di concorrenzialit� su tutto il territorio nazionale. La summa notionis che � dato arguire dalla pronuncia n. 41/2013 � quella secondo cui all�Autorit� di regolazione dei trasporti spetta la funzione di (solo) elaborare una disciplina generale ed uniforme che, frutto del formidabile e dell�eccezionale tecnicismo che contraddistingue il vertice organizzativo della stessa, sia capace di orientare ed instradare correttamente (non annientandolo) l�esercizio del potere politico-amministrativo degli enti territoriali nella regolamentazione dei trasporti. Non � dubbio che, nella volont� del legislatore, vi sia stata e continua ad esservi l�ambizione di creare un meccanismo di sinergica cooperazione e collaborazione che �in conformit� con la disciplina europea e nel rispetto dei principi di sussidiariet� e delle competenze delle regioni e degli enti locali di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione (cfr. art. 37, co. 1 D.lg. n. 201/2011 come modificato)� sia funzionalmente idoneo ad abbattere quelle barriere all�ingresso e quelle troppo marcate sperequazioni che caratterizzano il settore dei trasporti. Dunque, i principi di cui all�art. 118 Cost. finiscono col trovare un terreno come non mai ideale ad una loro pi� ottimale attuazione. * * * La Corte ha anche rigettato la supposta violazione del principio di leale collaborazione. In proposito, non � inutile ricordare che la individuazione della norma costituzionale a cui ricondurre il principio de quo ha costituito tematica lungamente dibattuta. Per convenienza od impossibilit�, il Giudice delle leggi, in un primo tempo, si � tutt�altro che prodigato nel ricercare la disposizione cui ancorare un principio di cos� fondamentale importanza, finendo, addirittura, col considerarlo �categoria dell�ovvio�. Esimendoci dalla pedissequa ricostruzione di tutte le tappe del percorso evolutivo che ha interessato l�insegnamento giurisprudenziale sul punto, baster� qui rimarcare che il sopraccennato approccio primordiale � venuto presto ad essere abbandonato. Difatti � nel 1997 che la Corte costituzionale ha, finalmente, identificato il fondamento giuridico del principio di leale collaborazione nella norma contenuta nell�art. 5 Cost. precisando che: �il principio di leale collaborazione deve governare i rapporti fra Stato e Regioni nelle materie e in relazione alle attivit� in cui le rispettive competenze concorrano o si intersechino, imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi (�). Tale regola, espressione del principio costituzionale fondamentale per cui la Repubblica, nella salvaguardia della sua unit�, �riconosce e promuove le autonomie locali�, alle cui esigenze �adegua i principi e i metodi della sua legislazione� (art. 5 Cost.) va al di l� del mero riparto delle competenze per materia ed opera dunque su tutto l�arco delle relazioni istituzionali fra Stato e Regioni, senza che a tal proposito assuma rilievo diretto la distinzione fra competenze esclusive, ripartite o inte CONTENZIOSO NAZIONALE grative, o fra competenze amministrative proprie e delegate� (26). Quale ponderato contrappeso alla non totalizzante adattabilit� del c.d. principio di separazione delle competenze al nuovo assetto istituzionale italiano, il principio di cui si discute impone alle Pubbliche Amministrazioni di cooperare e vicendevolmente assistersi nella regolazione ed amministrazione di materie che incidono su interessi ed esigenze non riducibili alla competenza esclusiva di un solo ente; il presupposto applicativo di esso deve, perci�, identificarsi - senza timor di smentita - in una situazione di �intreccio di interessi� (27) ovvero di �campi di attivit� mista� (28). In tanto sar� invocabile il principio di leale collaborazione tra articolazioni (centrali e periferiche) dello Stato, in quanto si prospetti la necessit� di regolamentare, armoniosamente, settori o fattispecie �intercompetenziali�. Dappoich� la tutela della concorrenza (quale precipua finalit� dall�Autorit� di regolazione dei trasporti) rientra tra le materie di esclusiva competenza statale, quindi senz�altro non interessata da fenomeni ovvero da vicende di intercompetenzialit�, la Corte non ha potuto che ritenere infondata anche la violazione del principio di leale collaborazione aggiungendo, peraltro, che: �tale principio attiene ai rapporti di Governo, o Ministri, e Regioni e non riguarda, invece le Autorit� indipendenti (�) chiamate ad operare in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione�. 5. I concetti cardine su cui poggia la sentenza n. 41/2013. La portata della sentenza che si commenta pu� desumersi dalla doverosa attenzione da rivolgere a quei dogmi che, costituendo i principali paradigmi attorno ai quali � venuto a svilupparsi il ragionamento del Giudicante, hanno contribuito ad edificare la pronuncia cui si dedica il presente scritto. Le nozione di concorrenza, la configurazione della Autorit� di regolazione dei trasporti come istituzione di garanzia oltre alla insopprimibile uguaglianza nell�esercizio dell�iniziativa economica nel settore dei trasporti rappresentano le pietre miliari della sentenza n. 41 del 2013 capaci di riprovarne la conformit� con i precedenti insegnamenti del Giudice delle leggi. 5.1. Il concetto di concorrenza. Nella pronuncia sotto rassegna, la Corte ha voluto precisare che �l�istituzione dell�Autorit� dei trasporti si iscrive nel sistema di regolazione indipendente dei servizi di pubblica utilit� (�) e come tale � volta a realizzare un mercato concorrenziale nei servizi di trasporto�. (26) C. cost. n. 242/1997. (27) C. cost. n. 138/72. (28) A. ANZON, �Leale collaborazione tra Stato e Regione, modalit� applicative e controllo di costituzionalit��, in Giurisprudenza costituzionale (1998). La concorrenza rappresenta quell�indefettibile connotato capace di far girare, secondo giustizia ed equit�, i delicati e complessi sincronismi del mercato. Pi� pregnantemente, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, la concorrenza �: �la pi� ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici del settore in ossequio ai principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libert� di stabilimento e della libera prestazione dei servizi� (29). La Consulta non si �, tuttavia, limitata ad elaborare una dogmatica definizione di concorrenza; per vero, un siffatto lavoro sarebbe apparso inidoneo ad apportare un contribuito qualsivoglia tanto alla risoluzione delle questioni, di taglio pratico, che si pongono con riguardo alla concreta portata della competenza statuale in materia di concorrenza, quanto alla specifica individuazione degli strumenti pro-concorrenziali che lo Stato possa reputarsi legittimato ad approntare. L�intensit� e l�estensione della competenza esclusiva dello Stato in materia di concorrenza sono state descritte nei seguenti termini: �La titolarit� della relativa potest� legislativa consente allo Stato di adottare misure di garanzia del mantenimento di mercati gi� concorrenziali e misure di liberalizzazione dei mercati stessi; queste misure possono anche essere volte a evitare che un operatore estenda la propria posizione dominante in altri mercati; l�interevento statale pu� consistere nell�emanazione di una disciplina analitica, la quale pu� influire su materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni; spetta alla Corte effettuare un rigoroso scrutinio delle relative norme statali, volto ad accertare se l�intervento normativo sia coerente con i principi della concorrenza, e se esso sia proporzionato rispetto a questo fine� (30). L�intervento chiarificatore del giudice delle leggi - come anticipato - non � mancato neppure con riguardo alla seconda questione, tanto � vero che oggi si dispone di una analitica elencazione degli strumenti a tutela della concorrenza il cui uso, da parte dello Stato, � insindacabile. Secondo la giurisprudenza costituzionale, rientrano tra le misure pro-concorrenziali conformi col quadro normativo nazionale e comunitario: �1) le misure legislative di tutela in senso proprio che hanno ad oggetto gli atti e i comportamenti delle imprese che influiscono negativamente sull�assetto concorrenziale dei mercati (c.d. misure antitrust); 2) misure legislative di promozione che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l�apertura, eliminando barriere all�entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacit� imprenditoriale e della competizione tra imprese (c.d. misure proconcorrenziali nel mercato); 3) misure legislative che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione di tali (29) C. cost. n. 401/2007. (30) C. cost. n. 51/2008; C. cost. n. 63/2008; C. cost. n. 421/2007; C. cost. n. 401/2007; C. cost. n. 303/2007; C. cost. 38/2007. CONTENZIOSO NAZIONALE procedure in modo da realizzare la pi� ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici (c.d. misure proconcorrenziali per il mercato� (31). Se ne trae che, avendo l�organizzazione pubblica di cui ci si interessa natura di Autorit� amministrativa indipendente legittimata ad adottare una �una cornice di regolazione economica� e, essendo tale regolamentazione evidentemente inquadrabile tra le �misure proconcorrenziali nel mercato e per il mercato �, la Corte costituzionale non avrebbe potuto dare alla pronuncia n. 41/2013 un diverso tenore. 5.2. La funzione di garanzia dell�Autorit� di regolazione dei trasporti. Nello studio della pronuncia, un qualificato osservatore delle dinamiche giurisprudenziali non pu� sottovalutare la portata del passaggio in cui la mission dell�Autorit� � definita come: �funzione di garanzia in ragione della quale � configurata l�indipendenza dell�organo�. Le Autorit� amministrative indipendenti soggette alla sola legge e refrattarie rispetto alle pervicaci influenze del potere politico si caratterizzano per la capacit� di determinare la propria organizzativa e la propria azione al riparo da coazione e da pressioni politiche. In analoghe condizioni ha luogo la fissazione delle peculiari qualit� che debbono caratterizzare le persone fisiche alle quali si conferisce la titolarit� degli uffici di vertice di dette Auctorities (indipendenza, professionalit� e moralit�). In una recente pronuncia del Consiglio di Stato, si � avuto modo di specificare la natura degli enti in parola, stabilendosi che: �Le Autorit� indipendenti non sono istituzioni senza fini di lucro che (�) sfuggirebbero alla definizione di organismo pubblico in quanto non sottoposte al controllo dello Stato, ovvero a finanziamento pubblico: esse, invece, sono amministrazioni pubbliche in senso stretto, poich� composte da soggetti ai quali � attribuito lo status di pubblici ufficiali, svolgono (�) compiti propri dello Stato, e cos� di potere normativo secondario, di poteri sanzionatori, di ispezione e di controllo, hanno in conclusione, poteri direttamente incidenti sulla vita dei consociati che si giustificano solo in forza della natura pubblica che deve necessariamente essere loro riconosciuta. D�altra parte, le Autorit� amministrative indipendenti sono definite cos� dal legislatore in ragione della loro piena indipendenza di giudizio e di valutazione, la quale non va intesa (�) come ragione di esonero dalla applicazione della disciplina di carattere generale riguardanti le pubbliche amministrazioni. Pi� limitatamente comporta che, tranne i casi espressamente previsti dalla legge, il Governo non pu� esercitare la tipica funzione di indirizzo e di coordinamento, nel senso che non pu� influire sull�esercizio (31) C. cost n. 325/2010; C. cost. n. 270/2010; C. cost. n. 232/2010; C. cost. n. 45/2010; C. cost. n. 314/2009; C. cost. n. 148/2009; C. cost. n. 63/2008; C. cost. n. 430/2007; C. cost. n. 401/2007; C. cost. n. 272/2004). dei poteri tecnico-discrezionali, spettanti alle Autorit�� (32). � proprio la indipendenza da ogni influenza del potere politico unitamente al solo assoggettamento al principio della rule of law che fanno di queste Autorit� le principali istituzioni di garanzia per la cura degli interessi generali. Come osservato da autorevole dottrina, se alle istituzioni politiche, che trovano la loro legittimazione nel consenso di una maggioranza elettorale, spettano le �scelte di sistema�, alle Autorit� Amministrative indipendenti, che trovano la loro legittimazione nell�osservanza della legge e nell�imparzialit� rispetto ai colori politici dei destinatari della propria azione, spetta l�attuazione tecnica delle scelte di sistema (33). L�Autorit� di cui ci si occupa � competente ex lege nel garantire un livello di concorrenzialit� che sia effettivamente idoneo ad eliminare, ridurre o impedire nel settore dei trasporti la presenza di quelle posizioni monopolistiche che si configurano come fonti di ingiusti, sperequativi e finanche illegittimi fenomeni di concentramento della ricchezza economica nella mani di pochi operatori economici con gravi ed ingiusti nocumenti per l�utente finale che vede, cos�, evasa la pi� ampia possibilit� di scegliere l�offerta tecnicamente pi� congeniale ed economicamente pi� conveniente. Non pu� sorprendere che le barriere all�ingresso e la non perfetta uniformit� di disciplina hanno reso la materia trasportistica una delle principali problematiche su cui il c.d. Governo tecnico sՏ visto costretto ad intervenire, cos� come non pu� sorprendere che la Corte costituzionale parli dell�Autorit� di regolazione dei trasporti come istituzione di garanzia rigettando qualsiasi iniziativa che tenti di minarne l�incolumit�. 5.3. L�uguale esercizio dell�iniziativa economica nel settore trasportistico. I concetti di concorrenza e di garanzia sin qui illustrati risultano indissolubilmente legati alla nozione di mercato, quale luogo sociale e giuridico, non necessariamente fisico, che consente l�interazione tra compratori (domanda) e venditori (offerta) e i cui elementi fondamentali sono da rinvenirsi nella determinazione del prezzo e della quantit� di beni o servizi (34). Sotto un profilo squisitamente costituzionalistico, il concetto di mercato non pu� che essere ricondotto all�art. 41 Cost. La celebre formula �L�iniziativa economica privata � libera� si ridurrebbe a mera regola di stile qualora il legislatore, sulla scorta di essa, si limitasse a riconoscere il c.d. diritto alla imprenditorialit� senza dettare una normativa davvero idonea a tutelarlo in maniera incisiva. (32) Cons. Stato. n. 6014/2012. (33) Si v. F. LUCIANI, �Le autorit� amministrative indipendenti come istituzioni pubbliche di garanzia� in Le corti calabresi. (34) C. A. BOLLINO, �Elementi di politica economica�. CONTENZIOSO NAZIONALE � stato cos� giustamente detto che l�art. 41, comma primo, Cost. si tradurrebbe non gi� nel mero riconoscimento di un diritto dei singoli imprenditori ad accedere e rimanere sul mercato, quanto piuttosto in un formidabile magnete capace di attrarre nel nostro ordinamento quella disciplina comunitaria antitrust idonea a preservare la struttura concorrenziale del mercato, sebbene imperfetta, ma in ogni caso non monopolistica (35). Pertanto, al fine di assicurare una realt� mercantile innervata da proficue dinamiche concorrenziali � necessario che l�apparato burocratico-amministrativo proceda alla eliminazione di tutti quegli �ostacoli di ordine sociale ed economico� (art. 3, comma secondo, Cost.) che, favorendo la concentrazione del potere imprenditoriale nelle mani di pochi, finiscono col violare tanto l�iniziativa economica ex art. 41, comma primo, Cost., quanto il principio di uguaglianza di cui all�art. 3 Cost.; � evidente che non si ha un eguale acceso al mercato in un comparto contraddistinto da difficolt� di entrata in esso. Nella fattispecie in questione, specificato che: �il settore dei trasporti appare resistente pi� di altri all�ingresso di operatori privati, a causa di alcune peculiari caratteristiche, legate, tra l�altro, agli elevati costi, alla necessit� di assicurare il servizio anche in tratte non remunerative e alla consolidata presenza di soggetti pubblici tanto nella gestione delle reti quanto nell�offerta dei servizi. In questo contesto � particolarmente avvertito il rischio che si creino o si consolino posizioni dominanti e, pertanto, opportuno che il passaggio a un sistema liberalizzato sia accompagnato, come � gi� avvenuto per altri pubblici servizi, da una regolazione affidata ad una Autorit� indipendente che garantisca pari opportunit� a tutti gli operatori del settore� la Corte, rigettando il ricorso proposto dalla Regione Veneto, ha ritenuto di non poter arrestare, elargendogli nuova linfa vitale, quel processo di rimozione degli ostacoli di ordine sociale ed economico (c.d. processo di liberalizzazione) che sottende al D.lg. n. 1/2012, come convertito con la L. n. 27/2012. Sezione Quarta I PROFILI CRITICI DELL�APPROCCIO FUNZIONALE DELLA CORTE COSTITUZIONALE SUI RAPPORTI TRA STATO E REGIONE ALLA LUCE DEL TITOLO V PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE 6. L�approccio teleologico impiegato dalla Consulta. L�analisi sin qui svolta non potrebbe reputarsi veramente esaustiva qualora ci si astenesse dall�evidenziare quelle debolezze argomentative che paiono ravvisarsi nella pronuncia in rassegna. In proposito, la sentenza n. 41/2013 - alla stregua di tutte le pronunce che (35) Si v. A. PALAZZO e A. SASSI, �Diritto privato del mercato�; G. GHIDINi, �Slealt� della concorrenza e costituzione economica�. la Consulta � chiamata ad emettere per chiarire la corretta applicazione dei criteri imbalsamati dal Costituente del 2001 volti ad intercettare le materie rientranti nella potest� legislativa dello Stato e in quella delle articolazioni periferiche di esso - � stata anche un�occasione colta dal Giudice delle leggi per riutilizzare quella tecnica deduttiva impiegata con riguardo a fattispecie ontologicamente distinte rispetto a quella in esame: la c.d. tecnica funzionale. In alcuni casi, la cui portata pi� avanti si specificher�, la Corte, disancorandosi dalle pastose gabbie che avvoltolano l�enumerazione contenuta nell�art. 117 Cost., ha ritenuto pi� corretto addentrarsi in uno studio teleologico del provvedimento la cui conformit� costituzionale venne ad essere contestata; � stato cio� reputato assai migliore uno studio prognostico che tenesse in considerazione la finalit� (appunto la funzione) che quell�istituto avrebbe dovuto conseguire. In ragione, dunque, di quanto cennato, si � fermi nella convinzione che il tenore del decisum, il cui esame ci impegna, si sarebbe presentato pi� �chiaro� se la Consulta nella motivazione avesse meglio inteso o comunque evidenziato le implicazioni che sulla potest� legislativa residuale delle Regioni derivano (legittimamente) dalla natura riformistica della norma istitutiva dell�Autorit� di regolazione dei trasporti. 7. I limiti della potest� legislativa residuale delle Regioni. Con la pretesa di imbastire le criticit� che l�approccio seguito dalla Consulta sembra presentare, � opportuno brevemente ricostruire la disciplina della potest� legislativa residuale delle Regioni; il problema, difatti, si pone in particolare con riguardo alle materie non esplicitamente contemplate nel testo costituzionale. Il comma quarto dell�art. 117 Cost. contiene la ambigua formula secondo cui: �Spetta alle Regioni la potest� legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato�. Trattandosi di una disposizione dai confini evidentemente indeterminati o comunque sfiancante- mente determinabili, al punto da poter essere equiparata al fenomeno astronomico dei black holes, risulta di nodale importanza la esatta circoscrizione di quest�area di potere in grado di risucchiare un �incircoscritto� numero di materie. Le materie non elencate nei commi secondo e terzo dell�art. 117 Cost. e perci� destinate a ricadere nel comma quarto - sono tradizionalmente denominate dalla dottrina come �materia di competenza residuale�. La ragione di questa aggettivazione � presto disvelata: le materia ascrivibili al quarto comma sono il residuo di una attivit� di celebrale espunzione di tutte quelle indicate, a chiari lettere, nei precedenti due capoversi (36). (36) A tal proposito R. BIN in �I criteri di individuazione della materia�, in Le Regioni (2006) parla di �tecnica del carciofo� per indicare quel modus investigandi che consente di comprendere le materie rientranti nella competenza residuale delle Regioni attraverso la eliminazione delle �foglie� su cui si appuntano gli interessi ascrivibili allo Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE � risaputo che, in tutte le materie rientranti nella potest� legislativa resi- duale, gli apparati regionali sono legittimati a predisporre delle proprie specifiche normative persino difformi dai principi fondamentali dettati dalla legislazione dello Stato. Ci� nonostante, la potestas di cui si discute non � esatto considerarla spavaldamente sciolta dal rispetto di tutti quegli intramontabili limiti che illuminano l�ordinamento della Repubblica. Per vero, non sՏ mai dubitato che anche le �molli e sdrucciolevoli� materie sulle quali la regolazione regionale non � costretta a patire le cinghie della intelaiatura statale, debbano in ogni caso conformarsi ai principi della Carta Costituzionale oltrech� agli obblighi derivanti dall�ordinamento europeo ed internazionale. Oltre a questi limiti, di cui si fa letterale menzione nel primo comma del- l�art. 117, gli insegnamenti della Consulta hanno contribuito alla creazione di altri. Si � difatti ritenuto che, a fianco al fisiologico limite territoriale che impone a ciascuna Regione di esercitare la potest� legislativa al solo fine di intervenire su aspetti localizzati al territorio di propria pertinenza, dovessero contemplarsi i principi generali dell�ordinamento giuridico e le norme fondamentali delle riforme economico-sociali. Non ci si pu� allora esimere dal chiarire la sostanza degli ultimi due sopraccennati limiti. Per quel che riguarda i principi generali dell�ordinamento giuridico, la non agevole riconduzione degli stessi ad un unicum ha indotto la Consulta ad elaborare una definizione dotata di robotica adattabilit� e rinnovabilit� rispetto al mutare delle realt� giuridica e sociale; si � perci� affermato che essi �si compendiavano in direttive a carattere fondamentale, che si possono desumere dalla connessione sistemica, dal coordinamento e dalla intima razionalit� delle norme che concorrono a formare, in un dato momento storico, il tessuto dell�ordinamento giuridico� (37). E per�, nell�analizzare la sentenza n. 41/2013, centralizzante risulta essere il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali (38). Con la formula de qua si allude alle regole attraverso cui il legislatore nazionale, ricorrendo imperative e non altrimenti saldabili congiunture, � legittimato ad attivare un processo di necessaria trasformazione (rectius riformazione) dei settori economici e/o sociali ormai aspramente inidonei a dare risposta a quelle pretese per il cui soddisfacimento erano stati istituiti. La spiegazione di tale limite non la si pu� che acquisire attraverso una schietta e sistemica lettura della Carta costituzionale che, prendendo le mosse dal suo art. 5, consente di trovarne la giustificazione in tutto il suo articolato. Pu� di certo affermarsi che � il principio dell�unit� e della indivisibilit� della Repubblica Italiana, corroborato dalla inevitabile circostanza che le norme co (37) C. cost. n. 6/1956. (38) C. cost. n. 4/1964; C. cost. n. 129/1963; C. cost. 92/1968. stituzionali hanno come destinatario il cittadino italiano senza alcuna aggettivazione n� regionalistica n� provincialistica, ad aver fatto in modo che anche le norme fondamentali delle riforme economico-sociali rappresentassero dei limiti al potere legislativo residuale delle Regioni. Non sussiste Stato di diritto se, in ciascuna delle autonomie locali di cui si connota la struttura geopolitica del primo, � possibile riscontrare delle condizioni economiche e sociali che non rispondono ad identici (almeno sul piano formale) parametri. 8. Le �cabalistiche� argomentazioni formulate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 41/2013: il trasporto pubblico locale come i contratti pubblici? Il convincimento di rigettare le sollevate questioni di legittimit�, cui � giunta la Corte costituzionale nel caso in trattazione, non si vede davvero come potrebbe essere disapprovato. E in effetti, le funzioni di cui � attributaria l�Autorit� di regolazione dei trasporti non possono reputarsi in contrasto col vigente tessuto costituzionale e, segnatamente, con la laboriosa opera esegetica che la Corte svolge. Ci� posto, non pare errato considerare le argomentazioni di cui si � avvalsa la Consulta per motivare le proprie determinazioni come affette da un certo �sbalestramento cognitivo�. Si vuole dire che a poter essere sommessamente contestate non sono le conclusioni cui � giunta la Consulta, ma piuttosto il tragitto concettuale dalla stessa percorso per addivenire a quelle conclusioni. La lettura della pronuncia, lasciando intuire che la vicenda � stata considerata attratta nella materia della �tutela della concorrenza�, autorizza ad affermare che il ragionamento seguito dal Giudice delle leggi � sorprendentemente distante da quelle categorie dogmatiche che sovraintendono al sistema della giustizia costituzionale. Emblema di ci� � il passaggio in cui si afferma come: �(�) risulta chiaro che le disposizioni impugnate, pur avendo attinenza con la materia del trasporto pubblico locale, perseguono precipuamente una finalit� di promozione della concorrenza e quindi afferiscono alla competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell�art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (ex pluris sentenza n. 325 del 2010), dato che l�istituzione dell�Autorit� indipendente �, come si � visto, funzionale alla liberalizzazione dei pubblici servizi in tutti i comparti del trasporto, da quello ferroviario a quello aereo, da quello marittimo a quello autostradale�. Oltremodo accentuando la finalit� istituzionale dell�Autorit�, quale quella di promuovere la realizzazione di un mercato concorrenziale nel settore dei trasporti, con la riprodotta affermazione la Consulta ha �alchimisticamente smaterializzato� la materia del trasporto pubblico locale. Non pu� non trasparire, allora, la spiazzante identit� tra quest�approccio e quello seguito in materia di contratti pubblici. Al pari del trasporto pubblico locale, l�art. 117 Cost. non contiene nessuna CONTENZIOSO NAZIONALE esplicita menzione della materia dei contratti pubblici. Sicch�, causa le tipiche incertezze che compaiono laddove un istituto giuridico non trovi il proprio fondamento in una inequivocabile disposizione, si � accesamente questionato in merito a quale fosse la struttura pubblica (Stato, Regioni od enti locali) competente a legiferare su di essi. Per porre rimedio alla querelle � stato cos� invocato l�intervento della Corte che ha ritenuto conveniente procedere ad una �lettura funzionale� (39) della ripartizione delle competenze in materia di contratti pubblici. La Consulta �, per tal via, giunta ad elaborare definizioni quali: �ambiti di legislazione trasversale�, �materie non materie� e �materie funzioni� (40). La creazione di nozioni siffatte costituisce, all�evidenza, l�epilogo riassuntivo di quell�ormai consolidato orientamento che vuole i contratti pubblici non come materia che, dai draconiani confini, � dotata di propria automa identit�, bens� come una categoria fluida e informe ancorch� trasversalmente multiforme; si tratta cio� di un ambito di legislazione che assumer� una specifica qualificazione in relazione all�oggetto al quale afferir�. Cos�, ad exempli causa, potranno esservi contratti pubblici che, avendo ad oggetto l�istruzione, rientreranno nella potest� legislativa esclusiva dello Stato, cos� come contratti pubblici che, aventi ad oggetto i porti ovvero gli aeroporti, rientreranno nella potest� legislativa concorrente Stato-Regioni. Orbene, un tale approccio deve reputarsi giuridicamente indovinato per i contratti pubblici, ma non pu� dirsi lo stesso (come invece sembra aver fatto la Consulta nella sentenza in commento) con riferimento al trasporto pubblico locale. Se � vero che i contratti pubblici rappresentano quel vestimentum adattabile, di tanto in tanto, alla materia su cui gli effetti di essi dovranno riverberarsi, � altrettanto vero che il trasporto pubblico locale, lungi dal presentare elementi di marcata trasversalit�, ha degli specifici e indefettibili caratteri; si � cio� in presenza di una materia che, ben scolpita, non pu� essere spasticamente snaturata attraverso �letture funzionali� come invece quelle dedicate ai contratti pubblici. Ecco che allora la sentenza n. 41/2013 non � azzardato considerarla autorevole confezione di un fuorviante ragionamento seguito della Corte. Pur non potendosi dubitare che la finalit� perseguita con l�istituzione dell�Autorit� di regolazione dei trasporti sia quella di stimolare l�attivazione di dinamiche concorrenziali nel settore dei trasporti, � giuridicamente incondivisibile la sopraccennata intonazione volta ad inabissare la materia del �trasporto pubblico locale� in favore della �tutela della concorrenza�. Si � perci� convinti che un siffatto approccio di matrice statal-verticistica (39) v. F. CRISCUOLO, commento all�art. 4 in Codice degli appalti pubblici a cura di R. GAROFOLI e G. FERRARI. (40) C. cost. n. 303/2003; C. cost. n. 96/2003; C. cost. n. 31/2005; C. cost. nn. 50, 51, 58/2005; C. cost. n. 108/2005. rischi di tradursi in un arbitrario azzeramento delle gi� indefinite materie riconducibili alla potest� legislativa residuale. � fuori dubbio che nel caso in esame si era in presenza di una questione che riguardava direttamente il trasporto pubblico locale e solo per via riflessa la tutela della concorrenza. La Consulta, dunque, avrebbe meglio fatto a trattenersi dal sovvertire l�ordine degli elementi sui quali radicava la quaestio, concentrando direttamente il proprio potere cognitivo e il proprio obbligo motivazionale sul trasporto pubblico locale s� da riferirsi, solo indirettamente, alla materia della concorrenza, che � comunque di aderenza al TPL; se cos� non fosse qualsiasi provvedimento normativo che abbia una finalit� pro-concorrenziale potr� senz�altro riguardare un settore di competenza regionale senza che per� possa mettersi in discussione la potest� legislativa dello Stato. Cos�, nelle ipotesi in cui un ente decentrato, sollevando questioni di legittimit�, dovesse lamentare uno sconfinamento operato dal potere statuale, con quella tecnica ad incastro tipica del tetris, baster� che la Corte costituzionale riesca ad individuare - tra le materie di competenza esclusiva dello Stato - il giusto spazio in cui incuneare l�istituto reputato compressivo della potestas regionale e il gioco sar� fatto; cosa che evidentemente non � accettabile sic et simpliciter. Il pervasivo impiego di questo metodo potrebbe far correre il serio rischio di soppiantare il �criterio di ripartizione per materie� con un troppo evanescente �criterio funzionale� atteso che quest�ultimo, in taluni casi (come quello dei contratti pubblici), ben si erge a complemento del primo, mentre in altri, rischia di disseminare nebbia ed oblio su una sempre pi� pregnante parte della Costituzione. 9. La pi� corretta soluzione: il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali. Quanto osservato nel paragrafo che precede obbliga ad abbozzare il possibile diverso tenore tematico-concettuale che avrebbe potuto assurgere a sostrato giustificativo della sentenza n. 41/2013. � noto che il trasporto pubblico locale rientra, per insegnamento della stessa Corte costituzionale, nelle materie di potest� legislativa residuale delle Regioni e che tale potestas non deve reputarsi sgravata da qualsivoglia limite e condizionamento giuridico ma, all�inverso, pu� essere esercitata esclusivamente entro certi confini. Dei limiti che insistono su di essa, nel caso de quo, quello che la Consulta avrebbe potuto evidenziare, perch� lampante, � quello delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali. � risaputo che l�istituzione dell�Autorit� di regolazione dei trasporti � rientrata nell�ambito di tutta una serie di scelte legislative finalizzate a riformare quei settori economici la cui inefficienza era da annoverare tra le cause della CONTENZIOSO NAZIONALE profonda recessione economica italiana; ed ecco che il cerchio allora si chiude. Rilevato il riempimento della clausola di attribuzione residuale di cui al comma quarto dell�art. 117 Cost. anche mediante la riconducibilit�, ad esso, del TPL e assunto che la norma istitutiva dell�Auctoritas � da farsi rientrare tra quelle proprie di una riforma economico-sociale attuata dalla precedente esperienza governativa, sarebbe parso preferibile che il Giudice delle leggi avesse rigettato la asserita violazione delle competenze decentrante in materia di trasporto pubblico locale qualificando la �cornice di regolazione economica � che sar� adottata dall�Autorit� come incontestabile limite promanante da una riforma economico e sociale del Paese. Cos� motivando, si sarebbe stati probabilmente in presenza di una decisione di rigetto pi� asceticamente rispondente allo spirito del nuovo tessuto costituzionalistico. Corte costituzionale, sentenza 15 marzo 2013 n. 41 -Pres. Franco Gallo , Red. Marta Cartabia - Giudizio di legittimit� costituzionale dell�articolo 36, comma 1, lettera a), del decreto- legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivit�), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 23 maggio 2012 - Avv.ti Luigi Manzi e Daniela Palumbo per la Regione Veneto e avv. Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. (omissis) Considerato in diritto 1. � La Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe, ha proposto questioni di legittimit� costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivit�), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. 2. � Riservata a separate pronunce la decisione sull�impugnazione delle altre disposizioni, la Corte delimita l�oggetto del presente giudizio alle censure relative all�art. 36, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 1 del 2012, come risultante dalla legge di conversione; disposizione questa che, sostituendo i commi 1 e 2 dell�art. 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l�equit� e il consolidamento dei conti pubblici), cos� come convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, detta misure riguardanti l�istituzione e le funzioni dell�autorit� di regolazione dei trasporti. 3. � Le censure proposte nel ricorso si appuntano sulle competenze conferite a detta Autorit� a definire, anche nell�ambito dei servizi di trasporto locale, i criteri per la fissazione, da parte dei soggetti competenti, delle tariffe, dei canoni e dei pedaggi, tenendo conto dell�esigenza di assicurare l�equilibrio economico delle imprese regolate, l�efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i consumatori (lettera b del comma 2 dell�art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011); a stabilire, con particolare riferimento al settore autostradale, per le nuove concessioni, sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap (lettera g, del medesimo comma 2); a definire, ancora nel settore autostradale, gli schemi di concessione da inserire nei bandi di gara relativi alla gestione o costruzione e gli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali per le nuove concessioni (stessa lettera g); a definire gli schemi dei bandi delle gare per l�assegnazione dei servizi di trasporto in esclusiva e delle convenzioni da inserire nei capitolati delle medesime gare e a stabilire i criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici (lettera f del citato comma 2 dell�art. 37). Secondo la ricorrente, l�attribuzione di dette funzioni alla nuova Autorit� indipendente determinerebbe una interferenza con le competenze della Regione in materia di trasporto pubblico locale, in violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione. 4. � In via preliminare, devono essere dichiarate inammissibili le censure proposte in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost. In relazione ai suddetti parametri, il ricorso si presenta del tutto generico e insufficientemente motivato, limitandosi ad affermare, senza ulteriori specificazioni, la lesivit� delle disposizioni in esame rispetto agli artt. 117 e 119 Cost., senza illustrare adeguatamente le ragioni che determinerebbero le dedotte lesioni. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n. 3 del 2013 e n. 312 del 2010; ordinanza n. 123 del 2012), il ricorso in via principale non solo �deve identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi�, indicando �le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilit� o incompatibilit� costituisce l�oggetto della questione di costituzionalit�� (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2007, n. 139 del 2006, n. 450 e n. 360 del 2005, n. 213 del 2003, n. 384 del 1999), ma deve, altres�, contenere una argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimit� costituzionale della legge (si vedano, oltre alle pronunce gi� citate, anche le sentenze n. 261 del 1995 e n. 85 del 1990), tenendo conto che l�esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa si pone �in termini perfino pi� pregnanti nei giudizi diretti che in quelli incidentali� (sentenze n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005). 5. � Al fine di procedere all�esame nel merito delle rimanenti questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 36, comma 1, lettera a), del decreto-legge impugnato, proposte in riferimento all�art. 118 Cost. e al principio di leale collaborazione, appare opportuno ricordare che l�istituzione di una Autorit� nazionale dei trasporti s�inscrive nel sistema di regolazione indipendente dei servizi di pubblica utilit�, avviato con la legge 14 novembre 1995, n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilit�. Istituzione delle Autorit� di regolazione dei servizi di pubblica utilit�) e, come tale, � volta a realizzare un mercato concorrenziale nei servizi di trasporto. Il settore dei trasporti appare resistente pi� di altri all�ingresso di operatori privati, a causa di alcune peculiari caratteristiche, legate, tra l�altro, agli elevati costi, alla necessit� di assicurare il servizio anche in tratte non remunerative e alla consolidata presenza di soggetti pubblici tanto nella gestione delle reti quanto nell�offerta dei servizi. In questo contesto, � particolarmente avvertito il rischio che si creino o si consolidino posizioni dominanti e, pertanto, � opportuno che il passaggio a un sistema liberalizzato sia accompagnato, come gi� � avvenuto per altri pubblici servizi, da una regolazione affidata ad un�Autorit� indipendente, che garantisca pari opportunit� a tutti gli operatori del settore. In particolare, per quanto rileva nel presente giudizio, l�istituzione di un�Autorit� indipendente � tesa a ridurre le criticit� che potrebbero derivare dalla commistione, in capo alle medesime amministrazioni, di ruoli tra loro incompatibili, introducendo una distinzione tra soggetti regolatori e soggetti regolati. CONTENZIOSO NAZIONALE Alla luce delle considerazioni che precedono, risulta chiaro che le disposizioni impugnate, pur avendo attinenza con la materia del trasporto pubblico locale, perseguono precipuamente una finalit� di promozione della concorrenza e quindi afferiscono alla competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell�art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (ex plurimis, sentenza n. 325 del 2010), dato che l�istituzione dell�Autorit� indipendente �, come si � visto, funzionale alla liberalizzazione dei pubblici servizi in tutti i comparti del trasporto, da quello ferroviario a quello aereo, da quello marittimo a quello autostradale. 6. � La Corte ha pi� volte affermato che l�esercizio della competenza esclusiva e trasversale per la �tutela della concorrenza� pu� intersecare qualsivoglia titolo di potest� regionale, seppur nei limiti necessari ad assicurare gli interessi cui essa � preposta, secondo criteri di adeguatezza e proporzionalit� (ex plurimis, sentenze n. 325 del 2010, n. 452 del 2007, n. 80 e n. 29 del 2006, n. 222 del 2005). Nel caso in esame, le funzioni conferite all�Autorit� di regolazione dei trasporti, se intese correttamente alla luce della ratio che ne ha ispirato l�istituzione, non assorbono le competenze spettanti alle amministrazioni regionali in materia di trasporto pubblico locale, ma le presuppongono e le supportano. Valgono anche in questo caso i principi affermati dalla Corte in una fattispecie analoga: �le attribuzioni dell�Autorit� non sostituiscono n� surrogano alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo; esse esprimono una funzione di garanzia, in ragione della quale � configurata l�indipendenza dell�organo� (sentenza n. 482 del 1995). Compito dell�Autorit� dei trasporti �, infatti, dettare una cornice di regolazione economica, all�interno della quale Governo, Regioni e enti locali sviluppano le politiche pubbliche in materia di trasporti, ciascuno nel rispettivo ambito. Del resto la stessa disposizione censurata prevede, al comma 1 dell�art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011, che l�Autorit� di regolazione dei trasporti sia tenuta al rispetto delle competenze delle Regioni e degli enti locali di cui al Titolo V della parte seconda della Costituzione. Infatti, in relazione alle disposizioni sottoposte all�esame della Corte, per quanto riguarda le tariffe, i canoni e i pedaggi, le disposizioni impugnate (lettera b del comma 2 dell�art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011) attribuiscono all�Autorit� il compito di stabilire solo i criteri, mentre resta impregiudicata in capo ai soggetti competenti la determinazione in concreto dei corrispettivi per i servizi erogati. Analogamente, riguardo ai bandi di gara, l�Autorit� � investita della competenza a definire gli schemi, senza sostituirsi alle amministrazioni competenti nell�elaborazione in dettaglio dei bandi, delle convenzioni da inserire nei capitolati delle medesime gare e delle concessioni (lettera f del comma 2 dello stesso articolo). Ci� vale anche con specifico riferimento al settore autostradale (lettera g del citato comma 2 dell�art. 37). Ancora, con riguardo alla nomina delle commissioni giudicatrici, secondo la normativa in esame, l�Autorit� indipendente � dotata del potere di stabilire solo i criteri per la nomina, salve restando le competenze delle amministrazioni locali su ogni ulteriore decisione in ordine alla composizione delle commissioni giudicatrici o alle modalit� di scelta dei suoi componenti, decisioni che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, rientrano invece nella materia del- l�organizzazione amministrativa, spettante alle Regioni ex art. 117, quarto comma, Cost. (sentenze n. 43 del 2011 e n. 401 del 2007). In sintesi, come questa Corte ha gi� affermato a proposito di altre Autorit� di regolazione, �non vi � ragione di ritenere che le Autorit� di tale natura [�] possano produrre alterazioni dei criteri costituzionali in base ai quali viene ripartito l�esercizio delle competenze amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali� (sentenza n. 88 del 2009). Ne consegue che le censure prospettate in riferimento all�art. 118 Cost. non sono fondate. 7. � Quanto alla violazione del principio di leale collaborazione, esso non opera allorch� lo Stato, come nella specie, eserciti la propria competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza (ex plurimis, sentenza n. 339 del 2011 e n. 246 del 2009). Pertanto, anche la censura sul mancato rispetto del principio di leale collaborazione non � fondata. In ogni caso, tale principio attiene ai rapporti tra Governo, o Ministeri, e Regioni e non riguarda, invece le Autorit� indipendenti, tra cui rientra anche quella istituita dal decreto-legge impugnato, chiamate ad operare �in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione �. Esse dovranno, invece, agire nel rispetto delle modalit� di partecipazione previste dalla legge generale sul procedimento amministrativo, 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme sul procedimento legislativo e successive modificazioni) e dalle altre leggi dello Stato applicabili alle Autorit� indipendenti, tra cui specificamente quelle indicate nella legge n. 481 del 1995, alla quale la disposizione impugnata espressamente rinvia. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riservata a separate pronunce la decisione sull�impugnazione delle altre disposizioni contenute nel decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivit�), convertito con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27; 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimit� costituzionale dell�articolo 36, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, promosse dalla Regione Veneto, in riferimento agli articoli 117 e 119 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe; 2) dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale dell�articolo 36, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, promosse dalla Regione Veneto, in riferimento all�articolo 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con il medesimo ricorso. Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 marzo 2013. CONTENZIOSO NAZIONALE La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da emotrasfusione La Corte di Cassazione sviluppa i principi enunciati dalle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. VI - 3, sentenza 30 agosto 2013 n. 19997; Cass. civ., Sez. III, sentenza 7 ottobre 2013 n. 22822) Marina Russo* Con le recenti sentenze in materia di danno da emotrasfusione nn. 19997 del 30 agosto 2013 e 22822 del 7 ottobre 2013 (ad oggi non massimate), le sezioni VI e III della Suprema Corte traggono dai principi affermati dalle SS.UU. con le note sentenze 576-581/2008 alcuni corollari sulla questione della prescrizione del diritto al risarcimento che, questa volta, giocano a favore della difesa dell�Amministrazione. Sulla scorta della ritenuta unicit� dell�evento lesivo (�In tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B), HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bens� un unico evento lesivo, cio� la lesione dell'integrit� fisica � in conseguenza dell'assunzione di sangue infetto�), che era servita alle SS.UU. per affermare la responsabilit� del Ministero della Salute per omissione dei controlli preventivi anche rispetto al contagio di patologie non ancora note all�epoca della trasfusione, Cass. 22822/13 conferma la sentenza di merito che ha identificato il dies a quo del termine prescrizionale con la data della scoperta della prima delle patologie contagiate dalla trasfusione, senza che la successiva emersione di un ulteriore virus, contratto nella medesima occasione, valga a fare decorrere un nuovo, autonomo termine: �� deve ritenersi acquisita la circostanza che sin dal (OMISSIS ) la ricorrente fu consapevole di aver contratto l'epatite di tipo "B" e che con valutazione di fatto, non censurata sotto il profilo del vizio della motivazione, la Corte d'appello ha ritenuto che con l'ordinaria diligenza quella infezione si sarebbe potuta mettere in correlazione con le trasfusioni praticate durante il parto del (OMISSIS ). N� rileva che solo a seguito della biopsia del 1994 la vittima affermi di avere avuto contezza di aver contratto anche un'epatite di tipo "C". La Corte d'appello ne ha indicato la ragione nella considerazione � che "ai fini della decorrenza del termine prescrizionale si deve guardare al danno inteso come processo morboso patologico che trova eziologica insorgenza nel fatto � generatore, restando irrilevanti eventuali sviluppi successivi del processo patologico�. L�affermazione delle SS.UU. che individua presuntivamente nella data (*) Avvocato dello Stato. di presentazione dell�istanza amministrativa per la concessione del beneficio di cui alla legge 210/92 la conoscenza della patologia e della sua plausibile derivazione causale dalla trasfusione (�� appare ragionevole ipotizzare che dal momento della proposizione della domanda amministrativa la vittima del contagio deve comunque aver avuto una sufficiente percezione sia della malattia, sia del tipo di malattia che delle possibili conseguenze dannose��) viene a sua volta precisata da Cass. 19997/13, peraltro proprio nel senso sostenuto in numerose occasioni dalla difesa dell�Amministrazione: �� il termine di presentazione della domanda di indennizzo ai sensi della legge 210 del 1992 � quello ultimo e pi� favorevole per il danneggiato, essendo evidente che, a quella data, si � conseguito un apprezzabile grado di consapevolezza (non essendo richiesta la certezza) sugli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria configurabile, cio� il danno, l'evento produttivo del medesimo ed il nesso causale �; in altri termini, la personalizzazione degli accertamenti di fatto sulla consapevolezza del danneggiato � non pu� mai spostare ulteriormente in avanti l'exordium praescriptionis, ma solo rilevare in peius per il danneggiato, ove sia positivamente provato che egli abbia avuto una chiara e piena consapevolezza del danno, del nesso causale con l'emotrasfusione e della colpa della controparte anche in tempo anteriore; la data di presentazione della domanda di indennizzo rappresenta quindi - per cos� dire - la barriera preclusiva finale, oltre la quale la consapevolezza del danneggiato deve presumersi corrispondente all'id quod plerumque accidit e con quel grado non gi� di certezza assoluta, ma di rilevante e plausibile completezza sufficiente per intraprendere un'azione per danni (tra le altre: Cass. 14 giugno 2013, n. 14932)�. Cassazione civile, Sez. VI -3, sentenza 30 agosto 2013 n. 19997 -Pres. M. Finocchiaro, Rel. F. De Stefano, P.G. A. Carestia (difforme) - D.L.M. (avv. P. Perrone) c. Ministero della salute. Svolgimento del processo 1. - D.L.M. ricorre, affidandosi ad un unitario motivo, per la cassazione della sentenza n. 251 del 2.4.12 della Corte di appello di Lecce, con la quale � stato respinto il suo appello avverso la reiezione, per riconosciuta prescrizione, della sua domanda di condanna del Ministero della Salute al risarcimento dei danni patiti per lesioni da emotrasfusione. L'intimato non svolge attivit� difensiva in questa sede, ma il ricorrente deposita memoria ed istanza di rinvio a nuovo ruolo per la pendenza di ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in merito alla stessa pretesa. Motivi della decisione 2. - Il ricorrente (che risulta avere presentato l'istanza di indennizzo ex L. n. 210 del 1992 nel marzo 1999 ed intentato l'azione con citazione in primo grado notificata nel gennaio 2005) sviluppa un unitario motivo (rubricato "violazione e falsa applicazione degli artt. 2935, 2943, CONTENZIOSO NAZIONALE 2946 e 2947 c.c., art. 112 c.p.c., nonch� omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia a norma dell'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5), con cui contesta l'identificazione dell'exordium praescriptionis nella data di presentazione della domanda di indennizzo ex lege n. 210 del 1992, invocando configurarsi nella specie ipotesi di reato pi� gravi delle sole lesioni colpose - riconosciute anche in alcuni procedimenti penali - e quindi il pi� ampio termine prescrizionale decennale, comunque decorrente da quando egli era venuto a conoscenza della malattia e del contagio. 3. - Va preliminarmente disattesa la richiesta di rinvio a nuovo ruolo: non sussiste alcuna pregiudizialit� tra il giudizio di legittimit� e quello dinanzi alla Corte Europea dei Diritti del- l'Uomo, che involgano le medesime questioni di diritto. Del resto, la giurisprudenza in tema in base alla quale queste ultime possono essere risolte non offre alcuno spunto di novit� ed anzi � consolidata da tempo, sicch�, fino a quando la Corte Europea non ritenesse di pronunciarsi in senso contrario, � legittimo e doveroso, anche per la parit� di trattamento con innumerevoli casi analoghi, assicurare la sollecita applicazione della prima ad ogni caso controverso all'esame di questa Corte Suprema. Inoltre, nessun nuovo argomento di censura alla gravata sentenza pu� essere sviluppato per la prima volta nella memoria presentata dalla parte ricorrente ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., avendo essa, al pari di quella prevista dall'art. 378 cod. proc. civ., la funzione esclusiva di illustrare quanto gi� in precedenza ritualmente introdotto nel tema del decidere del giudizio di legittimit� e non potendo in alcun caso sopperirsi, con nessun atto successivo, alle eventuali lacune o carenze del ricorso introduttivo. 4. - Ci� posto, l'unitario motivo di ricorso - a prescindere dall'inammissibilit� per la genericit� derivante dalla commistione di ben tre diverse tipologie di doglianza di cassazione, con il richiamo indifferenziato all'art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5, se non pure per il mancato richiamo ai documenti specifici sulla cui base ciascuna di esse si baserebbe - � infondato. In materia � consolidato orientamento di questa Corte che: 4.1. sussisteva a carico del Ministero della sanit� (oggi Ministero della salute), anche prima dell'entrata in vigore della L. 4 maggio 1990, n. 107, un obbligo di controllo e di vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico; sicch� il giudice, accertata l'omissione di tali attivit� con riferimento alle cognizioni scientifiche esistenti all'epoca di produzione del preparato, ed accertata l'esistenza di una patologia da virus HIV, HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, pu� ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'insorgenza della malattia e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell'evento (per tutte: Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576); sicch�, per l'unicit� dell'evento lesivo - infezione da HBV, HIV, HCV - derivato dall'emotrasfusione (Cass. 29 agosto 2011, n. 17685; Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576), la responsabilit� pu� agevolmente ricavarsi nell'omissione, da parte del Ministero, dei controlli, consentiti dalle conoscenze mediche e dei pi� datati parametri scientifici del tempo, sull'idoneit� del sangue ad essere oggetto di trasfusione (tra le altre: Cass. 14 luglio 2011, n. 15453), in epoca anche anteriore alla pi� risalente delle scoperte dei mezzi di prevenibilit� delle relative infezioni, individuabile nel 1978; 4.2. la responsabilit� del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi � di natura extracontrattuale (non configurandosi un contatto sociale tra il Ministero ed i singoli individui sottoposti a trasfusione, ma, a tutto concedere, tra quelli e le singole strutture in cui la trasfusione � operata), n� sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime, i cui elementi materiali sono esclusi; e non rilevando ipotesi accusatorie penali non consacrate in condanne definitive e nei confronti di soggetti il cui operato non possa sicuramente ascriversi all'intimato, ove neppure esso risulti coinvolto nei relativi procedimenti penali); ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo � soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma dell'art. 2935 cod. civ. e art. 2947 cod. civ., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bens� da quello in cui tale malattia viene percepita o pu� essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, a tal fine coincidente di norma non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 4, bens� al pi� tardi con la proposizione della relativa domanda amministrativa (Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576; Cass. 23 maggio 2011, nn. 11301 e 11302; Cass., ord. 5 luglio 2011, n. 14694; Cass. 13 luglio 2011, n. 15391); 4.3. infatti, il termine di presentazione della domanda di indennizzo ai sensi della legge 210 del 1992 � quello ultimo e pi� favorevole per il danneggiato, essendo evidente che, a quella data, si � conseguito un apprezzabile grado di consapevolezza (non essendo richiesta la certezza) sugli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria configurabile, cio� il danno, l'evento produttivo del medesimo ed il nesso causale, mentre la colpa dell'amministrazione pu� in modo del tutto adeguato essere prefigurata in base agli elementi a disposizione nel momento in cui si insta per fare valere un quadro patologico chiaramente riferito alla somministrazione di sangue infetto; in altri termini, la personalizzazione degli accertamenti di fatto sulla consapevolezza del danneggiato, effettivamente oggetto della stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, non pu� mai spostare ulteriormente in avanti l'exordium praescriptionis, ma solo rilevare in peius per il danneggiato, ove sia positivamente provato che egli abbia avuto una chiara e piena consapevolezza del danno, del nesso causale con l'emotrasfusione e della colpa della controparte anche in tempo anteriore; la data di presentazione della domanda di indennizzo rappresenta quindi - per cos� dire - la barriera preclusiva finale, oltre la quale la consapevolezza del danneggiato deve presumersi corrispondente all'id quod plerumque accidit e con quel grado non gi� di certezza assoluta, ma di rilevante e plausibile completezza sufficiente per intraprendere un'azione per danni (tra le altre: Cass. 14 giugno 2013, n. 14932); 4.4. ed una tale complessiva interpretazione tutela idoneamente, cos� fugandosi i dubbi sulla conformit� alla Carta fondamentale od alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, il diritto del danneggiato al risarcimento, che � del tutto idoneamente posto in grado di agire avendo a sua disposizione il tutt'altro che breve lasso di cinque anni - se non altro da quando, prospettando il medesimo nesso causale quale fondamento della domanda di indennizzo, non pu� non averne avuto una conoscenza piena e soddisfacente, se non altro al fine di iniziare l'azione di risarcimento. 5. - Nel caso di specie � rigorosamente motivato dalla corte territoriale che, in relazione alla data di presentazione della domanda di indennizzo nel 1993 (pag. 3, quarto rigo, della sentenza; pag. 5, quinto rigo dal termine), il termine prescrizionale quinquennale era gi� ampiamente elasso - in carenza, comunque, di validi atti interruttivi - alla data di avvio dell'azione di risarcimento. CONTENZIOSO NAZIONALE D'altro canto, per la formulazione di una valida eccezione di prescrizione la consolidata giurisprudenza di legittimit� si limita ad esigere dall'excipiens l'adduzione del fatto del decorso del tempo in relazione all'inerzia di controparte, spettando poi al giudice il compito di valutare la sussistenza degli eventuali presupposti di legge. 6. - Pertanto, la gravata sentenza si sottrae alle censure mossele, tanto che il ricorso va rigettato. E tuttavia, quanto alle spese del giudizio di legittimit�, la procedura transattiva prevista dalla L. 29 novembre 2007, n. 222, di conversione del D.L. n. 159 del 2007 e dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, per il componimento dei giudizi risarcitori per effetto di trasfusioni con sangue infetto (pur lasciando libera la P.A. di valutare se pervenire alla transazione) denota un sostanziale trend legislativo di definizione stragiudiziale del contenzioso (da ultimo confermato dal D.M. 4 maggio 2012, pubbl. in G.U. 13.7.12) e tanto integra giusto motivo di compensazione delle spese processuali, a norma dell'art. 92 cod. proc. civ., nella formulazione -applicabile alla fattispecie - anteriore alla modifica di cui alla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimit�. Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2013. Cassazione civile, Sez. Terza, sentenza 7 ottobre 2013 n. 22822 -Pres. F. Trifone, Rel. A. Amatucci, P.M. G. Corasaniti (conforme) - S.M. (avv. D. Falaguerra) c/ Azienda Ospedaliera (...) (avv. P. Vinci); Allianz S.p.A.(gi� Riunione Adriatica di Sicurt� S.p.A.) (avv. G. Spada- fora); Assitalia S.P.A., Unipol Assicurazioni S.P.A. Svolgimento del processo 1.- S.M. fu sottoposta a due trasfusioni di sangue in occasione del parto naturale avvenuto il (OMISSIS) nell'ospedale (OMISSIS). Nel maggio del 2001 ag� giudizialmente, in una al marito ed alle figlie, nei confronti della suddetta Azienda ospedaliera, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per la contratta infezione da HCV, conseguita alle trasfusioni che afferm� inutilmente praticatele. Dichiar� che la malattia le era stata diagnosticata a seguito di biopsia nel (OMISSIS), ma che ella aveva potuto rilevare che le trasfusioni erano state effettuate in difetto dei parametri richiesti dal protocollo medico solo nel (OMISSIS), successivamente alla lettura delle cartelle cliniche. L'Azienda convenuta resistette, tra l'altro eccependo la prescrizione, e chiam� in garanzia le societ� assicuratrici Ras, Assitalia ed Unipol. Le prime due societ� si costituirono e a loro volta resistettero. Con sentenza n. 718 del 2004 il Tribunale di Milano rigett� la domanda per intervenuta prescrizione del diritto e compens� le spese. 2.- Con sentenza n. 2538 del 2007, la Corte d'appello di Milano ha rigettato l'appello degli attori in primo grado, nonch� quello dell'Azienda ospedaliera in punto di spese, che ha compensato anche per il secondo grado. 3.- Avverso detta sentenza ricorre per cassazione S.M., affidandosi ad un unico motivo, cui resistono con distinti controricorsi l'azienda ospedaliera (...) e la Allianz s.p.a. (gi� Ras s.p.a.), che hanno depositato anche memorie illustrative. Gli altri intimati non hanno svolto attivit� difensiva. Motivi della decisione 1.- La Corte d'appello ha fondato la decisione sui rilievi che, dalle osservazioni del consulente di parte attrice Dott. Gu., risultava che nel (OMISSIS) non soltanto la malattia epatica era in atto ma era anche refertata quale cronica; e che, inoltre, nella relazione della Dott.ssa C. del (OMISSIS), si dava atto del fatto che la S. era gi� risultata positiva per HBC nelle analisi del (OMISSIS) e del (OMISSIS). Ha concluso che, dunque, con l'adozione della "normale diligenza" richiesta dalla Corte di cassazione, la patologia si sarebbe potuta porre sin da allora in correlazione con il parto e le trasfusioni del (OMISSIS). 2.- Di tanto si duole la ricorrente, censurando la sentenza per falsa applicazione degli artt. 2935 e 2946 c.c., e art. 2947 c.c., comma 1, in ordine all'individuazione della data di decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilit� medica in caso di malattia lungolatente (contagio da sangue infetto). Sostiene che, bench� ella fosse consapevole sin dal (OMISSIS) di aver contratto una malattia a seguito delle emotrasfusioni del (OMISSIS), solo nel (OMISSIS) era stata tuttavia in grado di collegarle ad un errore dei medici, che gliele avevano inutilmente somministrate, sicch� nel (OMISSIS) il termine decennale di prescrizione (da responsabilit� contrattuale) non era assolutamente decorso. 2.1.- La censura � infondata sulla scorta dell'assorbente rilievo che deve ritenersi acquisita la circostanza che sin dal (OMISSIS) la ricorrente fu consapevole di aver contratto l'epatite di tipo "B" e che con valutazione di fatto, non censurata sotto il profilo del vizio della motivazione, la Corte d'appello ha ritenuto che con l'ordinaria diligenza quella infezione si sarebbe potuta mettere in correlazione con le trasfusioni praticate durante il parto del (OMISSIS). N� rileva che solo a seguito della biopsia del 1994 la vittima affermi di avere avuto contezza di aver contratto anche un'epatite di tipo "C". La Corte d'appello ne ha indicato la ragione nella considerazione - espressa a pagina 9, penultimo capoverso, della sentenza, dalla quale la ricorrente prescinde - che "ai fini della decorrenza del termine prescrizionale si deve guardare al danno inteso come processo morboso patologico che trova eziologica insorgenza nel fatto (preteso illecito) generatore, restando irrilevanti eventuali sviluppi successivi del processo patologico (Cass. 20.11.1997, n. 11583 e Cass. 13.12.1998, n. 15202)". Cass., sez. un., n. 576/2008 ha d'altronde chiarito che "in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B), HIV (AIDS) e HCV (epatite C), contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bens� un unico evento lesivo, cio� la lesione dell'integrit� fisica (essenzialmente del fegato)". Il principio � stato costantemente ribadito dalla uniforme giurisprudenza successiva (cos�, ex coeteris, da Cass., n. 17685/2011), la quale ha affermato che diversi contagi da pi� virus presenti in sangue infetto non integrano "eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo". La circostanza che tali enunciazioni concernessero casi nei quali era evocata la responsabilit� del Ministero (ora) della salute per non avere adeguatamente vigilato sulla sicurezza del sangue e per non avere adottato le misure necessarie per evitare i rischi per la salute umana, mentre nel caso in scrutinio � addotta la responsabilit� dell'azienda ospedaliera per avere il personale medico praticato trasfusioni inutili anche in soggetto anemico, non altera i termini della questione. Anche qui, infatti, della contrazione di un'infezione epatica da trasfusioni che si assumevano illecitamente praticate, il soggetto che le aveva ricevute era consapevole da CONTENZIOSO NAZIONALE poco meno di diciassette anni quando si determin� al primo atto di costituzione in mora (il 29.1.2001). Neppure � possibile conferire rilievo alla data in cui, ricevuta copia della la cartella clinica, la ricorrente afferma di aver avuto percezione della ricollegabilit� eziologica delle trasfusioni alla impropria determinazione dei medici nel decidere di praticarle, bench� (a suo dire) il suo stato non lo richiedesse: e, dunque, ad un atto che solo nel 2000 fu suscettibile di essere da lei individuato come inadempimento. Tanto per la determinante ragione che non si afferma che la cartella clinica era stata richiesta in epoca significativamente diversa da quella in cui era stata consegnata dall'ospedale e che la Corte d'appello ha implicitamente ritenuto che non rientri nell'ordinaria diligenza il domandarla dopo oltre tre lustri dalla acclarata infezione epatica (anche se da diverso virus, come sopra chiarito). 3.- Il ricorso � respinto. Le spese seguono stavolta la soccombenza. P.Q.M. LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che, per ciascuna delle controricorrenti, liquida in Euro 5.200,00, di cui 5.000,00, per compensi, oltre agli accessori di legge. Cos� deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 aprile 2013. In tema di sopravvenienze di fatto e di diritto nel �giudicato amministrativo� secondo il nuovo codice (Consiglio di Stato, Sez. Sesta, sentenza 19 giugno 2012 n. 3569) Vittorio Fava* SOMMARIO: 1. Il giudicato amministrativo - 2. Le sopravvenienze di fatto e di diritto - 3. Il nuovo orientamento indicato dalla sentenza del Consiglio di Stato del 19 giugno 2012 n. 3569. 1. Il giudicato amministrativo. All�interno del nostro ordinamento non � dato rinvenire una definizione specifica di giudicato amministrativo. Tale lacuna, tuttavia, non ha mai generato particolari problemi applicativi in quanto la dottrina e la giurisprudenza hanno sempre pacificamente ritenuto che la nozione dello stesso fosse desumibile in via interpretativa dagli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. (1). La duplicit� delle disposizioni richiamate, come noto, fa riferimento alla doppia natura dell�istituto del giudicato nel nostro ordinamento, ovverosia quella �formale� e quella �sostanziale� (2). La prima, contenuta nella norma processuale e sostanziantesi nel c.d. �giudicato formale�, indica la definitivit� della pronuncia giurisdizionale una volta che essa sia divenuta inoppugnabile in quanto esperiti tutti i possibili strumenti di impugnazione ovvero scaduti i relativi termini per impugnare (3). La seconda, invece, �giudicato sostanziale�, trova il proprio fondamento nella sopraindicata norma del codice civile, la quale lo definisce come �l�accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato, che fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa�. Quest�aspetto del giudicato, pertanto, fa riferimento al contenuto della sentenza, nonch� ai suoi effetti. Mentre si assiste ad una totale coincidenza della nozione formalistica nei due diversi settori dell�ordinamento, civilistico e amministrativo, per quanto (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. (1) Oggi l�art. 39 del c.p.a., d.lgs. 104/2010, avalla espressamente tale operazione interpretativa attraverso l�istituto del �rinvio esterno�, in forza del quale per quanto non � disciplinato espressamente dal codice del processo amministrativo si applicano le disposizione del codice di procedura civile, se compatibili o espressione di principi generali. (2) La giurisprudenza ha sostenuto che trattasi di due aspetti dello stesso fenomeno, in tal senso cfr. Cass., 3 luglio 1987, n. 5840, in Foro it., 1988, I, 1950. (3) In realt� sul punto � d�uopo distinguere i mezzi di impugnazione ordinari (appello, ricorso per Cassazione per motivi inerenti la giurisdizione ex 111, comma 8, Cost., regolamento di competenza, revocazione ex 395, n. 4-5, c.p.c.) da quelli straordinari (revocazione n. 1, 2, 3, 6, c.p.c. e opposizione di terzo). Questi ultimi, a cui � dedicato specificamente l�art. 106 c.p.a., sono attivabili anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza nei casi e nei modi previsti dagli artt. 395-396 c.p.c. CONTENZIOSO NAZIONALE concerne la nozione sostanzialistica sono ravvisabili significative diversit�, le quali connotano in maniera del tutto peculiare il giudicato amministrativo. La principale diversit� risiede nel fatto che l�approdo del giudizio civile � costituito da un dictum del giudice, che, indipendentemente dalla sua natura (di accertamento, costitutivo o di condanna), assume le fattezze di puntualit�, esaustivit� e definitivit�, in rapporto a quanto richiesto dalle parti. Pertanto, la pronuncia giurisprudenziale � atta a comporre interamente la controversia. Invece, come noto, il giudizio amministrativo, almeno nella sua qualificazione tradizionale, presenta una natura impugnatoria, o eliminatoria, in quanto lo stesso � incentrato sull�impugnazione del provvedimento amministrativo oggetto di sindacato da parte del giudice principalmente alla luce dei tre vizi, incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere. In ragione di ci�, la statuizione del giudice riveste una natura caducatoria dell�atto impugnato, normalmente con efficacia ex tunc (4), determinando la necessit� della riedizione del potere amministrativo, in s� inesauribile, per definire l�assetto degli interessi. Quindi, come ha sostenuto autorevole dottrina, normalmente nel processo amministrativo si � di fronte ad un �giudicato progressivo� (5), che si articola nella pronuncia cassatoria e nella conseguente deliberazione amministrativa discendente dall�effetto conformativo della pronuncia del giudice (6). Qualora l�Amministrazione rimanga inerte, parzialmente o totalmente, il precetto giurisprudenziale verr� integrato dalla pronuncia emessa ad esito del giudizio di ottemperanza. Di qui si comprende la diversit� di fondo, a cui si accennava sopra, del concetto di giudicato sostanziale all�interno dei due processi (7). Invero, � di assoluta importanza precisare sul punto che i termini della questione stanno radicalmente mutando, con l�effetto che si sta assistendo ad un progressivo avvicinamento delle due giurisdizioni. Il fenomeno a cui si fa riferimento � l�ormai noto mutamento dell�oggetto del processo amministrativo, portato a compimento dal codice del processo (8), (4) Sulla possibilit� di limitare nel tempo l�efficacia dell�annullamento si veda Cons. St., sez. VI, 10 maggio 2011, n. 2755. (5) M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 1983, pag. 383 e ss.. (6) Va specificato che in realt� quanto detto � valevole nel caso in cui si facciano valere in giudizio interessi legittimi di tipo pretensivo, in quanto per ci� che concerne gli interessi oppositivi la pronuncia del giudice di annullamento � immediatamente satisfattiva. In quest�ultima ipotesi pertanto il giudicato non abbisogna di esecuzione ed ha un�efficacia istantanea. (7) �Di tutto ci� ha risentito anche l�elaborazione del concetto sostanziale di giudicato amministrativo, che per molti decenni � stato limitato ad un accertamento costitutivo solo di effetti demolitori, eliminatori del provvedimento amministrativo e, per quanto possibile, ripristinatorio della pretesa e della situazione dedotta in giudizio e ritenuta meritevole di tutela giurisdizionale�, in tal senso, E. PICOZZA, Il processo amministrativo, Milano, 2009, pag. 608. (8) D.lgs., 2 luglio 2012, n. 104. che ha spostato il baricentro da una giurisdizione sull�atto ad una sul rapporto (9). In siffatta nuova impostazione, che, tuttavia, giova precisarlo, � confinata solamente all�esperimento di determinate azioni (10), il provvedimento giurisdizionale conclusivo � suscettibile di �attribuire� definitivamente al privato il bene della vita a cui egli aspira non essendovi la necessit� di un nuovo agere valutativo dell�amministrazione, bens� solamente di un�attivit� di mera esecuzione della sentenza. In questi casi � chiaro che si assiste ad un riallineamento della nozione di giudicato sostanziale amministrativo a quella civilistica (11). Esaminata la duplice natura del giudicato � necessario ora vedere quali sono gli effetti o, meglio, come li ha definiti la dottrina, i limiti, che da esso discendono, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo. Sotto il primo profilo, in forza dell�art. 2909 c.c., il giudicato �fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa�. Pertanto, in primo luogo esso spiegher� i propri effetti anzitutto tra le parti del giudizio, siano esse parti processuali o sostanziali. Va escluso invece il cointeressato, che titolare di una posizione giuridica soggettiva analoga a quella del ricorrente, avrebbe dovuto impugnare autonomamente il provvedimento. Nei confronti del controinteressato pretermesso e del terzo titolare di una situazione soggettiva incompatibile si estendono gli effetti del giudicato qualora essi non abbiano proposto l�azione entro i termini di decadenza/prescrizione (12). Tale limite soggettivo, tuttavia, viene meno in due distinte occasioni. La prima riguarda l�ipotesi in cui il provvedimento impugnato sia un atto amministrativo generale e concreto, che vede come destinatari una pluralit� indeterminata di soggetti, oppure quando lo stesso rivesta la natura di atto collettivo, rivolto ad una categoria omogenea di persone fisiche o giuridiche (13). La seconda ipotesi concerne l�impugnazione di una norma regolamentare, che pu� avvenire in via autonoma (14), ovvero unitamente all�atto amministrativo posto in essere in esecuzione della stessa. (9) In senso critico a tale cambiamento si veda P. CARPENTIERI, Esecuzione del giudicato, in www.giustizia-amministrativa.it. (10) Sono i casi in cui non viene in rilievo un�attivit� discrezionale di natura sia tecnica che amministrativa della pubblica amministrazione. (11) � importante precisare che tutto quanto detto si riferisce alla tradizionale giurisdizione di legittimit� poich� per quel che concerne le ipotesi di giurisdizione esclusiva il giudicato � pressoch� equiparabile a quello che scaturisce dall�applicazione delle regole civilistiche e processual-civilistiche. (12) Cons. di St., Ad. Pl., 22 dicembre 1982, n. 19, in Cons. Stato, 1982, I, 1507, ha stabilito che l�Amministrazione non � tenuta a estendere il giudicato a coloro che si trovino nella stessa situazione del ricorrente vittorioso in giudizio e, nel caso in cui essa provveda all�estensione soltanto nei confronti di alcuni, deve adeguatamente motivare onde non integrare una disparit� di trattamento. (13) Invero, come precisa autorevole dottrina, per quanto riguarda questa prima tipologia di atti il giudicato si estender� erga omnes solo qualora il provvedimento venga annullato per motivi procedurali o per radicale illegittimit�, E. PICOZZA, Il processo amministrativo, cit. sopra, pag. 610. CONTENZIOSO NAZIONALE In tali circostanze la sentenza avr� un effetto erga omnes. Sotto il secondo profilo, quello oggettivo, il giudicato amministrativo ha un ambito di applicazione delimitato dal petitum e dalla causa petendi, ambedue chiaramente delineati dal ricorrente. Con l�avvento del codice amministrativo � stata cristallizzata la possibilit� di esperire una pluralit� di azioni, le quali possono essere attivate anche congiuntamente ex art. 32, comma II, c.p.a. (15). Quindi a fianco dei tradizionali effetti demolitorio e conformativo il dictum del giudice � potenzialmente suscettibile di giungere a una molteplicit� di statuizioni che con la previsione di una condanna anche ad un facere specifico arrivano a coincidere, in virt� dei principi di effettivit� e di pienezza della tutela, con quelle prospettabili in sede civilistica (16). Ovviamente la portata del giudicato a valle dipender� dalla tipologia di azione esperita a monte e, in merito a ci�, appare opportuno sottolineare come il decisum del giudice sia strettamente vincolato alle doglianze e alle prospettazioni del ricorrente. Ci� risulta di fondamentale importanza soprattutto per la fase di attuazione del giudicato, cui l�amministrazione ha l�obbligo di conformarsi ex art. 4, comma II, L. 20 marzo 1865, n. 2248. La dottrina ha poi proposto una distinzione dogmatica tra giudicato interno e giudicato esterno. Il primo � quel vincolo che si esplica soltanto rispetto alle ulteriori fasi di quel giudizio, mentre il secondo determina un vincolo anche nei confronti di giudizi diversi, che possono sorgere tra le medesime parti e in cui venga in rilievo la medesima questione. Le sentenze di rito comportano vincoli tipicamente interni, a differenza di quelle di merito che, a contrario, si caratterizzano per l�idoneit� ad imporre vincoli esterni (17). 2. Le sopravveninenze di fatto e di diritto. Il giudicato amministrativo, come si accennava sopra, nella sua veste di giudicato sostanziale, � connotato da tratti peculiari che lo distinguono dal concetto di giudicato civilistico, cos� come da quello penalistico. (14) Come noto, in realt�, ci� � possibile solo qualora la norma sia idonea ex se a cagionare una concreta e diretta lesione della posizione giuridica sostanziale della persona. (15) Con le pronunce dell�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 3/2011 e 15/2011 il novero delle azioni esperibili si � ampliato con il riconoscimento, rispettivamente, dell�azione di accertamento e quella di esatto adempimento. In tal modo si � realizzata quell�ampiezza di tutela indicata all�interno dell�art. 44, comma II, della legge delega del codice del processo n. 69/2009. (16) L�azione di condanna pubblicistica, detta anche di esatto adempimento, dopo essere stata definitivamente riconosciuta in via giurisprudenziale dalla Plenaria n. 15/2011, �, mediante l�ultima modifica del codice del processo, avvenuta con il d.lgs. 160/2012, approdata all�interno del codice stesso, seppur riconosciuta solo in via indiretta all�art. 34, comma I, lett. c), c.p.a. (17) In tal senso, A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2010, pag. 337-338. � necessario riprendere brevemente il concetto. La pronuncia giurisdizionale del giudice amministrativo nella generale giurisdizione di legittimit� non � tradizionalmente orientata a definire completamente la controversia indicando la disciplina del rapporto tra privato e pubblico potere. Essa, a contrario, pone in essere una regula iuris non precisa, non definitiva, bens� suscettibile di varie interpretazioni e applicazioni (18). Il fisiologico completamento del precetto giurisprudenziale � demandato alla pubblica amministrazione. � quest�ultima che d� esecuzione alle sentenze del giudice amministrativo, completando in tal modo lo jussum e quindi definendo precisamente la disciplina del caso concreto (19). Come gi� detto, tale fenomeno prende il nome di c.d. �giudicato a formazione progressiva�. La ragione ultima di siffatta peculiarit� del giudicato amministrativo � rinvenibile nella sussistenza della discrezionalit� amministrativa, sia essa di carattere tecnico che giuridico. Orbene, all�interno del nostro ordinamento, in virt� del fondamentale principio di separazione dei poteri sancito a livello costituzionale, spetta esclusivamente al potere pubblico la determinazione di quale sia in concreto il provvedimento pi� opportuno per curare gli interessi pubblici sanciti in via astratta dal legislatore. Per tale motivo quindi, onde evitare indebite e pericolose sovrapposizioni di poteri dello Stato, il giudizio amministrativo � stato concepito come un controllo di legalit� dell�azione amministrativa, che quando censurata rimetteva comunque all�amministrazione la decisione ultima sulla disciplina del caso concreto nel pieno rispetto dei vincoli conformativi impressi dalla sentenza (20). Ci� a seguito di un lungo percorso culminato con il codice del processo amministrativo non � pi� del tutto vero. In questo quadro irrompe la tematica delle sopravvenienze fattuali e giuridiche, ovverosia i mutamenti delle circostanze di fatto o di diritto che sopraggiungono dopo la sentenza del giudice amministrativo ma prima della esecuzione della stessa da parte dell�amministrazione. In ambito processual civilistico esse non rilevano in alcun modo dal momento che qui il comando del giudice � gi� definitivo e definito in tutti i suoi elementi, indi per cui il giudizio di esecuzione � volto solamente alla mera attuazione della sentenza, non configurandosi lo spazio per dar rilievo a mutamenti di fatto o di diritto. (18) Si fa richiamo alla nota 6, supra. (19) Qualora la p.a. rimanga inerte o attui solo parzialmente la statuizione del giudice amministrativo si avr� il giudizio di ottemperanza, all�interno del quale � lo stesso giudice, questa volta con poteri estesi al merito, a dare esecuzione alla pronuncia provvedendo in luogo dell�amministrazione, o personalmente o tramite il commissario ad acta. (20) Autorevole dottrina ha parlato di �apostrofo guicciardiano� che separa due segmenti del fluire dell�azione amministrativa, in tal senso F. CARINGELLA, in Giurisprudenza italiana, 10/2010. CONTENZIOSO NAZIONALE Non � cos� per le ragioni sopra viste nel campo amministrativo. Nel momento in cui l�amministrazione o, in sua vece, il giudice dell�ottemperanza, si trovi a completare attuandolo il decisum del giudice essa non pu� trascurare le circostanze nel mentre intervenute, di qualunque natura esse siano. Ci� perch� il riesercizio del potere deve necessariamente confrontarsi con il nuovo quadro giuridico e fattuale della realt�. Il definire precisamente l�assetto di interessi in campo, che lo si ricorda � ancora indefinito allo stato della sentenza, non pu� non riferirsi a quello che � il dato della realt�. In altri termini, come ha sostenuto autorevole dottrina, il regime del giudicato amministrativo �risente della natura dinamica della fattispecie del potere amministrativo con cui si confronta� (21). Di qui per� nasce la problematica della rilevanza delle sopravvenienze in rapporto al giudicato, in quanto pu� accadere, e spesso accade, che i mutamenti sopravvenuti si pongano in contrasto, pi� o meno significativo, con quanto stabilito in sentenza. Si osserva, tuttavia, che il tema concerne unicamente le sopravvenienze in senso proprio, ovverosia dati di fatto o di diritto che non abbiano costituito oggetto effettivo o potenziale del thema decidendum e che siano emerse solo successivamente alla decisione del ricorso. Altrimenti, la non applicazione da parte del giudice di quanto sopravvenuto in corso di giudizio integra mero errore di diritto a cui � possibile porre rimedio mediante i mezzi di impugnazione previsti dall�ordinamento (22). Quid iuris qualora cambi in toto o parzialmente la disciplina giuridica o fattuale rispetto a quanto contenuto in sentenza? Tale interrogativo � risalente nel tempo e ha impegnato a lungo la dottrina e la giurisprudenza, le quali hanno raggiunto una soluzione di natura compromissoria che � resistita fino a pochi mesi fa. Parlare di compromesso non � un fuor d�opera in quanto dietro al quesito si cela una tensione tra due opposti principi che vengono a collidere nella situazione sopra rappresentata. � di facile intuizione comprendere che essi sono, da un lato, il principio di effettivit� della tutela giurisdizionale, avente come componente essenziale la regola per cui quanto statuito dal giudice in favore di una delle parti deve necessariamente essere rispettato e gli effetti della sentenza di accoglimento prendono data dalla proposizione della domanda, affinch� la durata del processo non si risolva in sacrificio della posizione sostanziale del ricorrente; dall�altro lato, il principio di preminenza dell�interesse pubblico sugli interessi privati pur meritevoli di tutela. (21) Cfr. E. PICOZZA, op. cit., pag. 612. (22) In questi termini, Cons. St., sez. VI, 5 luglio 2011, n. 4037. A delineare in questi specifici termini la questione � stata la pronuncia dell�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/1986 (23), la quale si � spinta in avanti giungendo ad affermare che ad affrontarsi nel caso de quo sono non tanto interessi quanto veri e propri principi di ordine etico e sociale oltre che giuridico. Tale sentenza ha definito la problematica ponendo le basi per un orientamento giurisprudenziale dominante che si � protratto quasi ininterrottamente per un quarto di secolo. � importante dunque specificare il caso da cui questa � originata per poi vedere quali sono stati i principi di diritto affermati. La questione giuridica si colloca nel campo dell�edilizia-urbanistica e alla base vede un diniego di una licenza di costruire (n.d.a. oggi permesso), annullato in via giurisprudenziale in quanto illegittimo, a cui aveva fatto seguito dopo la sentenza un nuovo piano regolatore comunale nuovamente ostativo dell�esercizio della facolt� di costruire. Quindi, a fronte di un riconoscimento pieno da parte dell�autorit� giurisdizionale della possibilit� di costruire � intervenuta una nuova normativa impeditiva dell�esercizio di tale facolt�, ponendosi pertanto in contrasto con quanto accertato e definito in sede processuale. Il Supremo Consesso con la pronuncia in esame, sulla scorta di un consolidato orientamento giurisprudenziale degli anni �70, ha ritenuto che fosse necessario dare preminenza alla intervenuta disciplina urbanistica, in quanto essa rappresentava il portato dell�interesse pubblico. Quest�ultimo � stato ritenuto dal Collegio prevalente rispetto a quello privato, che, si noti, non � tanto riferibile all�interesse a costruire del caso concreto, bens� al diritto di ricevere attuazione della tutela offerta in via giurisdizionale. Tuttavia, nella medesima pronuncia il Consiglio di Stato proprio in ragione della necessit� di trovare un giusto equilibrio tra i due principi in gioco, dopo aver affermato la preminenza dell�interesse pubblico, ergo, la piena rilevanza della disciplina nel mentre intervenuta, ha indicato due distinti correttivi al principio. In primo luogo il fatto che comunque restano inopponibili all�interessato le variazioni dello strumento urbanistico sopravvenute dopo la notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso contro il diniego o contro il silenzio-rifiuto. Ci�, come detto in sentenza, assume il valore implicito di una sorta di diffida a non operare variazioni normative, qui specificamente riferibili allo strumento urbanistico, che si pongano in contrasto con la situazione cos� come definita nella pronuncia del giudice. Il secondo correttivo vede invece il sorgere in capo al soggetto che abbia ottenuto un giudicato favorevole, di un interesse pretensivo a che l�autorit� titolare del potere di pianificazione urbanistica riveda in parte qua il piano vi (23) Cons. di St., Ad. Pl., 8 gennaio 1986, n. 1, in Foro amministrativo, 1986, pag. 14 e ss.. CONTENZIOSO NAZIONALE gente al fine di valutare se a esso possa essere apportata una deroga (una variante) che recuperi, in tutto o in parte, e compatibilmente con l�interesse pubblico, la previsione del piano abrogato, sulla quale si fondava originariamente la domanda di concessione. Alla luce di quanto detto, pertanto, con tale pronuncia il Consiglio di Stato, nell�ormai lontano 1986, ha sancito la prevalenza dell�interesse pubblico mitigata per� soprattutto dalla notificazione della sentenza, mediante la quale si determina un �arresto� della disciplina giuridica applicabile, che viene quindi a coincidere con quella vigente al momento della notifica stessa. Il punto di equilibrio raggiunto in questi termini, espresso nel settore dell�urbanistica-edilizia, ha rappresentato il principio di diritto sostanzialmente applicato dalla giurisprudenza fino al giugno del 2012 per risolvere il problematico conflitto tra giudicato e sopravvenienze giuridiche e fattuali. Vi � da dire che, infatti, seppur il principio sia sorto in un settore specifico, esso � stato poi esteso dalla giurisprudenza a tal punto da divenire un principio di carattere generale suscettibile di applicazione in ogni ambito del diritto amministrativo. Invece, per quanto attiene all�urbanistica, la giurisprudenza ha chiuso il cerchio nella materia de qua con la recentissima pronuncia del 19 febbraio 2013 della IV sezione del Consiglio di Stato, la n. 1007, affermando che �l�Amministrazione, nel nuovo esercizio del proprio potere, dovr� tenere conto degli eventuali vincoli e limiti diversi e ulteriori rispetto alla disciplina urbanistica in senso stretto che, in quanto siano applicabili anche se sopravvenuti (quali, in linea di massima, le prescrizioni sanitarie, anti-sismiche, i vincoli a tutela delle bellezze naturali e di beni di interesse storico e artistico), debbano essere valutati al momento in cui la domanda viene esaminata�. Ancora una volta quindi � stata sancita l�applicabilit� della disciplina posta a tutela di interessi pubblici rilevanti, con conseguente sacrificio dell�interesse privato a che sia data completa attuazione al giudicato ad esso favorevole. Al di l� di questa precisazione settoriale, dovuta a fini di completezza, � necessario risalire indietro nel tempo per vedere come la giurisprudenza si � orientata a seguito della famosa Adunanza Plenaria n. 1 del 1986. A proposito, sul punto non pu� trascurarsi un�altra pronuncia della stessa Plenaria, peraltro intervenuta solo a distanza di pochi mesi dalla prima. Si fa riferimento alla pronuncia n. 12 del 1986, con cui il Supremo Consesso � ancora una volta tornato sulla questione delle sopravvenienze al giudicato (24). In tale decisione � stato affermato che in linea di principio la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi deve essere effettiva, ex art. 24, comma I, Cost., nel senso che l�amministrazione ha in via generale il preciso compito di conformarsi al giudicato per quanto riguarda il caso deciso ma, d�altra (24) Cons. St., Ad. Pl., 14 ottobre 1986, n. 12, in Foro amministrativo, 1986, pag. 2059 e ss.. parte, la stessa �amministrazione deve (�) effettuare un apprezzamento delle esigenze generali da soddisfare tenendo conto anche dei nuovi elementi di fatto e normativi che siano sopravvenuti tempestivamente all�atto annullato� (25) . In altri termini, come precisato da altre pronunce, la forza del giudicato pu�, in casi eccezionali, trovare attenuazione e limitazione nei confronti del- l�amministrazione, in quanto essa � chiamata a effettuare una ponderata valutazione degli effetti di applicazione della sentenza di merito in rapporto a superiori e preponderanti interessi pubblici (26). Con tale arresto la Plenaria ha ripreso quanto statuito dalla precedente sentenza, indicando per� un principio di diritto di equilibrio tra i due opposti interessi pi� sfumato, ovverosia che l�applicazione del giudicato pu� soffrire limitazioni in nome di superiori interessi pubblici, la cui valutazione � rimessa all�autorit� che d� esecuzione alla sentenza. Appare chiara la propensione del giudice amministrativo ad evitare rigide formulazioni di principi e a riservarsi la giustizia del caso concreto. La tematica dello ius superveniens involge un�ulteriore questione, ovverosia quella concernente il caso in cui la disciplina giuridica sopravvenuta abbia natura retroattiva, in quanto si tratti di una norma interpretativa o innovativa ma con efficacia ex tunc. Tale questione � stata specifico oggetto dell�Adunanza Plenaria n. 4 del 1994 (27), la quale l�ha risolta, in linea peraltro con un univoco orientamento giurisprudenziale dell�epoca (28), attribuendo assoluta preminenza alla sentenza passata in giudicato, che, pertanto, viene a costituire �barriera preclusiva� alla retroattivit� delle leggi. Siffatta soluzione � il precipitato del rispetto del principio della ripartizione dei poteri dello Stato, in forza del quale la funzione giurisdizionale non pu� essere intaccata in via legislativa nemmeno mediante lo strumento del- l�interpretazione autentica (29). Lungo questo percorso giurisprudenziale che si sta ripercorrendo in tema di sopravvenienze un altro significativo arresto giurisprudenziale � rappresentato dalla sentenza dell�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 1998 (30). Questa pronuncia dopo aver ribadito anch�essa l�intangibilit� dell�accer (25) In tal senso, cfr. Cons. St., 14 luglio 1978, n. 23. (26) � chiaro che nel caso di giudizio di ottemperanza siffatta attivit� di apprezzamento � compiuta dal giudice. (27) Cons. St., Ad. Pl., 21 febbraio 1994, n. 4, in Foro amministrativo, 1994, pag. 352 e ss.. (28) C. Cost., 4 aprile 1990, n. 155, in Giur. Cost., 1990, 952 e C. Cost., 18 novembre 1993, n. 402, in Foro it., 1994, I, 32. (29) Nello stesso senso si era pronunciata anche la Plenaria n. 12 del 1986, con riferimento sia alle leggi sopravvenute che prendono in considerazione le decisioni giurisdizionali precedenti o per dichiararle inefficaci, se non ancora passate in giudicato, oppure per svuotarne di significato le statuizioni nel caso in cui invece siano passate in giudicato, sia alle leggi interpretative. (30) Cons. St., Ad. Pl., 11 maggio 1998, n. 2, in Foro amministrativo, 1998, pagg. 743 e ss.. CONTENZIOSO NAZIONALE tamento giurisprudenziale da parte della legge sopravvenuta retroattiva ha indicato un ulteriore principio di diritto nella materia de qua. Tale principio, che riguarda il caso di leggi sopravvenute questa volta irretroattive, si incentra sul criterio della temporalit� delle situazioni giuridiche oggetto di accertamento. Il Supremo Consesso amministrativo distingue le situazioni in due macrocategorie, quelle istantanee e quelle durevoli. Le prime sono quelle che conseguono il loro scopo quando si estinguono, le seconde, invece, sono quelle che conseguono il loro scopo in quanto durano nel tempo. Da questa premessa, accostata a quella minore della sopravvenienza di una nuova norma giuridica, i giudici traggono come conclusione il principio di diritto secondo cui in caso di situazioni giuridiche istantanee � strutturalmente irrilevante la sopravvenienza di nuove norme, mentre nel caso in cui si tratti di situazioni giuridiche durevoli per ci� che riguarda il tratto d�interesse che si svolge successivamente al giudicato sar� applicabile l�intervenuta disciplina, realizzandosi in tal modo un fenomeno non di contrasto normativo bens� di successione cronologica di regole disciplinanti la situazione giuridica. Dall�esame della decisione da ultimo richiamata emerge che il diritto sopravvenuto alla formazione del giudicato � applicabile solamente alle fattispecie giuridiche di durata e limitatamente alla parte non coperta dal giudicato. Quest�ultima pronuncia chiude il quadro giurisprudenziale che ha posto le basi interpretative in materia di sopravvenienze e si segnala sino ad ora che tutte le successive pronunce non sembrano aggiungere alcun consistente apporto argomentativo suscettibile di intaccare i principi di diritto sopra richiamati (31). Ad evidenza di quanto appena detto � utile indicare la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 22 ottobre 2002, n. 5816 che appare essere la decisione paradigmatica sul punto. Quest�ultima riprende pedissequamente l�orientamento giurisprudenziale della Plenaria n. 1 del 1986 in materia urbanistica-edilizia estendendone la portata mediante l�innesto di un principio di pi� ampio respiro che sembra riecheggiare la successiva Plenaria del medesimo anno. �Pi� in generale, pu� affermarsi che le sopravvenienze di fatto e di diritto anteriori alla notifica della sentenza costituiscono un ostacolo e un limite al- l�esecuzione del giudicato laddove le stesse comportino un diverso assetto dei pubblici interessi che sia inconciliabile con l�interesse privato salvaguardato dal giudicato. Ove siffatta inconciliabilit� non vi sia, deve invece darsi piena espansione alla regola secondo cui la durata del processo non deve andare in danno della parte vittoriosa, e la parte vittoriosa ha diritto all�esecuzione (31) In ordine cronologico prima su tutte, Cons. St., sez. VI, 21 aprile 1999, n. 494, in Giustizia amministrativa, 1999, pag. 1100. del giudicato in base allo stato di fatto e di diritto vigente al momento del- l�adozione degli atti lesivi caducati in sede giurisdizionale�. Pertanto, con queste parole, il Consiglio di Stato fa propria una sintesi dei precedenti orientamenti giurisprudenziali, il cui risultato finale in materia di sopravvenienze � costituito dal principio di diritto secondo cui il discrimen per individuare la disciplina applicabile � segnato dalla notifica della sentenza. Successivamente a questa qualsivoglia sopravvenienza giuridica � inopponibile alla parte. Tuttavia, ante notifica rilever� soltanto lo ius novum che sia inconciliabile con l�interesse privato sancito dal giudicato. Ancora una volta l�interesse pubblico prevale, seppur con il limite della notificazione. Come detto, siffatto principio, cos� come originato dalla sintesi delle precedenti pronunce, � stato ripetuto negli stessi termini in numerosi arresti giurisprudenziali, divenendo in tal modo un�acquisizione giuridica del tutto consolidata (32). A conclusione del presente paragrafo � d�uopo precisare che quanto finora detto attiene alla tematica delle sopravvenienze sia fattuali che giuridiche. La onnicomprensivit� di ambedue le tipologie di sopravvenienze � dovuta al modo di esprimersi della giurisprudenza nelle pronunce sopra viste; in realt�, a ben vedere, tutti i casi trattati si sono occupati di diritto sopravvenuto e non gi� di mutamenti fattuali. Per quanto riguarda quest�ultimi si rinviene, sempre negli anni �90, un filone giurisprudenziale specifico, il quale ha dato spesso rilevanza all�intervento di nuove situazioni di fatto ostative all�esecuzione del giudicato (33). La dottrina ha fin da subito rilevato che nel caso in questione lo strumento da invocare fosse la tutela risarcitoria, la quale, data la complementariet� tra reintegrazione specifica e risarcimento del danno, avrebbe attenuato i risvolti negativi dei mutamenti fattuali (34). La giurisprudenza ha accolto siffatto orientamento affermando esplicitamente che l�impossibilit� materiale di eseguire un giudicato non estingue il giudizio di ottemperanza, potendo l�amministrazione ristorare per equivalente il pregiudizio patrimoniale che � derivato dal provvedimento annullato (35). In definitiva, a fronte di cambiamenti dello stato di fatto che rendano im (32) Si veda in tal senso, Cons. St., sez. VI, 3 novembre 2010, n. 7761, id., Cons. St., sez. III, 26 agosto 2011, n. 4816, id. Cons. St., sez. V, 3 maggio 2012, n. 2547. (33) Si ricorda a proposito Cons. St., sez. VI, 16 maggio 1983, n. 352, cos� massimata �Il processo di trasformazione dell�esistente, indispensabile perch� il giudicato diventi situazione reale di composizione di interessi secondo lo schema prefigurato dal comando del giudice, incontra il limite del fatto accaduto ... �. Sul punto si veda anche Const. St., sez. V, 12 luglio 1996, n. 874, id., Cons. St., sez. V, 13 agosto 1996, n. 923, id. Cons. St., sez. VI, 27 novembre 1996, n. 1651. (34) F. SATTA, Giustizia amministrativa, 1997, 484 e A. TRAVI, L�esecuzione della sentenza, in S. CASSESE, Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, 4629. (35) Cfr., Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2003, n. 1077. CONTENZIOSO NAZIONALE possibile l�attuazione del giudicato il risarcimento del danno si erige a unico strumento di tutela in quanto �factum infectum fieri nequit� (36). 3. Il nuovo orientamento indicato dalla sentenza del Consiglio di Stato del 19 giugno 2012 n. 3569. Il criterio temporale della notificazione della sentenza quale spartiacque per individuare il diritto applicabile si � affermato per pi� di venticinque anni senza subire significativi mutamenti. Come si accennava sopra, esso � divenuto principio di diritto generale in tema di sopravvenienze di fatto e di diritto, andando ben oltre l�ambito di applicazione di origine. Durante questo lungo periodo per� � intervenuto un vero e proprio mutamento del processo amministrativo, in particolare per quanto attiene il suo oggetto. � ormai entrata nel linguaggio comune degli operatori del diritto l�espressione �passaggio da processo sull�atto a processo sul rapporto�. Sul punto, riprendendo quanto gi� detto nel primo capitolo, � da sottolineare il fatto che in conseguenza di questo mutamento quella peculiare nozione di giudicato sostanziale amministrativo � in parte venuta meno. Essa �, infatti, ricalcata sul modello tradizionale del processo amministrativo, ovverosia il processo impugnatorio, ove il giudicato disciplinante l�assetto definitivo degli interessi era costituito dal dictum del giudice integrato dalla riedizione del potere pubblico. Con l�ampliamento delle azioni esperibili le forme di tutela sono mutate e l�azione classica di annullamento, seppur ancora identificabile come l� �azione regina�, non � pi� l�unica. L�introduzione di azioni volte ad offrire una tutela integralmente satisfattiva al ricorrente attribuendogli il c.d. bene della vita, quali quella di esatto adempimento, quella risarcitoria e quella di accertamento, hanno inevitabilmente scalfito la precedente nozione di giudicato. Il nuovo processo amministrativo, cos� come disegnato dal codice di rito, � in diversi casi strumento in grado di assicurare una tutela completa e definitiva al ricorrente, senza che sia possibile effettuare nuove valutazioni di opportunit� per l�amministrazione. In queste ipotesi la tutela giurisdizionale si avvicina a quella processulcivilistica. In siffatto contesto origina la pronuncia della VI sezione del Consiglio di (36) Cass., sez. Un., 9 novembre 2011, n. 23302, secondo cui nell�ipotesi di giudicato comportante il rinnovo della procedura di conferimento di un incarico pubblico, in tanto pu� essere disposto all�amministrazione di provvedere al rinnovo della procedura in quanto l�incarico sia ancora conferibile e la procedura sia ancora espletabile, il che non si verifica nell�ipotesi in cui il ricorrente vittorioso in giudizio sia stato collocato a riposo per limiti di et�. Nello stesso senso Cons. St., sez. IV, 25 maggio 2012, n. 3093 e Cons. St., sez. V, 13 giugno 2012, n. 3468. Stato del 19 giugno 2012, n. 3569, la quale giunge ad affermare un nuovo principio di diritto nella delicata tematica delle sopravvenienze. La vicenda sottostante alla pronuncia � relativa alla riconversione di una centrale termoelettrica, al fine di consentirne il passaggio dall�alimentazione ad olio combustibile a quello a carbone. Il Consiglio di Stato era intervenuto annullando il decreto con cui il Ministero dell�Ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva espresso parere positivo di compatibilit� ambientale, sulla base del fatto che lo stesso, secondo le leggi vigenti al tempo di adozione, avesse dovuto indicare le ragioni per le quali la riconversione da olio combustibile a carbone fosse di pari o minore impatto ambientale rispetto al gas metano. Tuttavia, in fase di esecuzione della sentenza sono cambiate le norme disciplinanti la materia. Il Consiglio di Stato apre le considerazioni in diritto rilevando che non sussiste alcuna norma all�interno dell�ordinamento che disciplini il rapporto tra giudicato e normativa sopravvenuta. Su questa premessa esso continua sostenendo che tale rapporto non pu� essere ricostruito secondo un modello unitario predefinito, in quanto lo stesso � strettamente correlato all�oggetto del sindacato giurisdizionale, dipendente dal tipo di azione proposta e dal tipo di potere pubblico esercitato, e al contenuto precettivo dello ius superveniens. Alla luce di ci�, � d�uopo distinguere due possibili fattispecie. La prima, emblema del nuovo tipo di giurisdizione, � rappresentata da tutte quelle ipotesi in cui il giudice compie un sindacato pieno sul rapporto dedotto nel processo, ponendo in essere un giudicato atto ad imprimere un vincolo conformativo pieno sull�esercizio della successiva attivit� amministrativa ovvero a fare sorgere in capo alla stessa un obbligo di pagamento della somma risarcitoria. Gli stessi Giudici indicano ipotesi esemplificative di ci�, quali l�azione di annullamento di un provvedimento avente contenuto vincolato, l�azione di esatto adempimento contestuale alla prima, l�azione avverso il silenzio nei casi previsti dal comma III dell�art. 31 c.p.a. e, infine, l�azione di condanna al risarcimento presupponente un sindacato pieno del rapporto. Al ricorrere di questi casi la statuizione finale pertanto richieder� un�attivit� di mera esecuzione, in via amministrativa oppure giurisdizionale. Il principio generale di diritto che il Consiglio di Stato individua per disciplinare questa prima fattispecie � quello della prevalenza del giudicato sulla normativa sopravvenuta. La ragione fondante si incentra, a detta dello stesso Consesso, nel fatto che, in ossequio al principio di divisione dei poteri giurisdizionali e normativi (ex artt. 101, 102 e 104 Cost.) e a quello della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi (ex artt. 24 e 113 Cost.), la norma sopravvenuta non pu� scal CONTENZIOSO NAZIONALE fire quanto contenuto nel giudicato ledendo l�affidamento di chi abbia ottenuto il riconoscimento definitivo (37). Invece, fattispecie del tutto diversa � quella in cui la statuizione finale pone una regola incompleta, su cui si innester� la successiva attivit� amministrativa. � importante, sottolinea il Consiglio di Stato, considerare che la portata del giudicato e i conseguenti margini di discrezionalit� amministrativa sono strettamente dipendenti dalla tipologia di vizio accertato. I casi, riportati anche qui come esempio, sono quelli dell�azione di annullamento di un provvedimento amministrativo discrezionale o quello del- l�azione avverso il silenzio avente ad oggetto un�attivit� discrezionale della pubblica amministrazione. Questa seconda ipotesi � il paradigma del tradizionale modello di processo amministrativo, quello del giudicato �incompleto�, a formazione progressiva, ove la regula iuris necessita di integrazione. Qui il principio di diritto applicabile � opposto, la normativa sopravvenuta trova applicazione in quanto si realizza una normale successione cronologica di disciplina del potere pubblico. Invero, la Corte specifica che sussiste una deroga a tale principio. Essa � rappresentata dal caso in cui lo ius superveniens abbia come fine esclusivo quello di intaccare correggendo le funzioni del giudice. Trattasi delle c.d. leggi provvedimento e, specialmente, di quelle c.d. di sanatoria. A chiosa del riportato ragionamento il Consiglio di Stato indica la summa del proprio ragionamento. Il criterio della notificazione della sentenza quantomeno non � suscettibile di estensione generalizzata. Esso necessita di essere sostituito da quello del- l�ampiezza dell�accertamento sostanziale contenuto in sentenza. In altri termini, l�applicabilit� o meno delle sopravvenienze dipende dalla definitivit� o meno dell�accertamento giurisdizionale sul rapporto di diritto controverso. Qualora il giudice in considerazione della azione esperita emetta una sentenza che attribuisca in via definitiva l�agognato bene della vita al ricorrente tutto ci� che interviene nel lasso di tempo necessario a portare ad esecuzione il comando giudiziale � ininfluente. A contrario, quando l�Amministrazione � chiamata a riesercitare la propria funzione e i correlativi poteri essa non pu� non tenere conto di quanto intervenuto sul piano fattuale e giuridico. Il Consiglio di Stato nella pronuncia in commento ha riconosciuto l�intangibilit� del giudicato qualora esso definisca in via definitiva l�assetto degli interessi in gioco. (37) I Giudici di Palazzo Spada specificano, tuttavia, in sentenza che il principio del giudicato non ha espressa copertura costituzionale. Questa enunciazione � il portato del principio della pienezza e dell�effettivit� della tutela, sancito a chiare lettere all�art. 1 del codice del processo amministrativo. Ma vi � di pi�. I giudici di Palazzo Spada con questa sentenza hanno contribuito a porre un altro tassello all�inarrestabile mutamento del volto del processo amministrativo. L�aver costruito un principio di diritto applicabile in siffatta materia sulla nuova concezione di �giudizio sul rapporto� rappresenta un passaggio che segna ulteriormente la fase del cambiamento (38). La cartina di tornasole di quanto affermato � data dall�importanza della materia in cui si cala questa nuovo principio di diritto. Infatti, l�affermazione di un nuovo modello processuale vede l�incipit nel campo delle azioni giurisdizionali ma culmina necessariamente nell�affermazione dei medesimi principi in tema di giudicato, imprimendo unit� e coerenza all�intero processo. Ci� detto, appare opportuno svolgere due considerazioni. La prima, riguarda l�affermazione che effettua lo stesso Consesso quando ritiene il criterio della notificazione della sentenza non suscettibile di applicazione generalizzata, dicendo �a prescindere da una sua eventuale rivisitazione�. Vero � che questa pronuncia rappresenta l�apripista di nuovo orientamento e come tale � normale che non aspiri a definire fin da subito in toto la questione, vero � che la materia urbanistica non � oggetto della questione, ci� nonostante l�interprete non pu� comprendere le motivazioni per cui la disciplina urbanistica debba essere disciplinata in maniera peculiare. La sottrazione mediante una disciplina ad hoc peraltro scalfisce in qualche modo la portata di un principio di diritto avente una vocazione onnicomprensiva. La seconda considerazione riguarda, invece, una ben pi� consistente criticit� di un passaggio della pronuncia. Trattasi della deroga esplicitamente indicata al principio di diritto che vede la prevalenza del giudicato sulla normativa sopravvenuta. I Giudici di Palazzo Spada affermano testualmente che siffatto principio � �derogabile in ragione della peculiarit� di singole fattispecie e dei valori ad esse sottese�. I confini mobili di questa deroga appaiono ampi e vaghi, rischiando in tal modo di svuotare la stessa regola di diritto. Che cosa � suscettibile di rientrarvi? Sicuramente ragioni in cui la normativa sopravvenuta sia espressione di un interesse pubblico di particolare pregnanza. Tuttavia, rimettere all�apprezzamento dell�amministrazione, e in ultima battuta del giudice dell�ottemperanza, l�individuazione delle ipotesi deroga (38) Si segnala che siffatto orientamento � stato fatto proprio anche da Cons. St., sez. III, 21 gennaio 2013, n. 329. CONTENZIOSO NAZIONALE torie appare soluzione non convincente, riecheggiante vecchi principi di giustizia del caso concreto che sembrano rifarsi alla Plenaria n. 12 del 1986. � chiaro che tale possibilit� costituisce una sorta di �valvola� di chiusura del sistema in grado di assicurare che in determinate ipotesi eccezionali l�interesse pubblico non possa cedere innanzi a quello privato, ma la problematica che rischia di aprirsi � quella di proiettare la tematica del rapporto tra sopravvenienze e giudicato in un ambito ove nuovamente non sia pi� garantita a pieno la certezza del diritto. Il pericolo potrebbe essere cos� concreto che in questi termini, quasi paradossalmente, probabilmente sarebbe meglio rimanere attestati sul vecchio criterio della notificazione della sentenza. Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 19 giugno 2012 n. 3569 -Pres. Giorgio Giovannini, Est. Vincenzo Lopilato - Min. ambiente e tutela del territorio e del mare, Min. beni e attivit� culturali, Min. sviluppo economico (avv. Stato) c. Assagaime-Associazioni tra Agenzie D�Affari .... (avv.ti M. Ceruti e A. Petretti), Regione Veneto (avv.ti C. Ligabue, E. Mio, E. Zanon, A. Manzi), Enel s.p.a. (avv.ti G. De Vergottini, C. Caturani). In punto: chiarimenti all�ottemperanza della sentenza 23 maggo 2011 n. 3107 del Cons. St. Sez. VI. DIRITTO 1.� La questione posta all�esame di questa Sezione attiene alla vicenda relativa alla riconversione della centrale termoelettrica, situata nel Comune di Porto Tolle, al fine di consentirne il passaggio dall�alimentazione ad olio combustibile a quella a carbone. Il Consiglio di Stato, con sentenza 23 maggio 2011, n. 3107, ha annullato il decreto 24 luglio 2009, n. 873 del Ministero dell�Ambiente e della tutela del territorio e del mare, che aveva espresso parere positivo di compatibilit� ambientale rilevando che, sulla base delle leggi all�epoca vigenti, fosse necessario indicare le ragioni per le quali la riconversione da olio combustibile a carbone fosse di pari o minore impatto ambientale rispetto al gas metano. Nella fase di esecuzione della predetta sentenza, passata in giudicato, sono state modificate le norme di disciplina della materia (si veda punto 4.1. della parte in fatto). Le amministrazioni statali, indicate in epigrafe � al fine di avere indicazioni in ordine alla disciplina applicabile � hanno proposto l�azione prevista dall�art. 112, comma 5, cod. proc. amm. Tale norma prevede che il ricorso di ottemperanza �pu� essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalit� di ottemperanza�: lo scopo perseguito � quello di consentire, in attuazione del principio di celerit� nella definizione delle controversie, alla parte che deve eseguire la sentenza di ottenere le indicazioni necessarie ad evitare di porre in essere attivit� di violazione o elusione del giudicato. 2.� La risposta al quesito presuppone � prima di esaminare la fattispecie concreta � che venga analizzato, in assenza di una disciplina della materia, il rapporto tra giudicato e normativa sopravvenuta. Tale rapporto non � ricostruibile secondo un unico modello predefinito, essendo lo stesso strettamente correlato all�oggetto del sindacato giurisdizionale, che dipende dalla tipologia di azione proposta e di potere pubblico esercitato, e al contenuto precettivo dello ius superveniens. In particolare, occorre distinguere, da un lato, le fattispecie che consentono al giudice ammi nistrativo, sulla falsariga di quanto avviene nel processo civile, di svolgere, nell�ambito della sua giurisdizione di legittimit�, un sindacato pieno sul rapporto dedotto nel processo, dall�altro, quelle che non permettono che il sindacato abbia una tale estensione. 3.� La prima evenienza si verifica quando viene, ad esempio, proposta: i) un�azione di annullamento di un provvedimento amministrativo avente un contenuto vincolato; ii) un�azione di adempimento, contestualmente alla prima, con cui si chiede la condanna dell�amministrazione all�adozione del provvedimento richiesto; iii) un�azione avverso il silenzio, in presenza di una attivit� vincolata o che non presenti ulteriori margini di esercizio della discrezionalit� e non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere computi dall�amministrazione; iv) un�azione di condanna al risarcimento del danno che presuppone anch�essa, a prescindere dalla natura del potere esercitato, l�accertamento pieno del rapporto. In questi casi la domanda di cognizione proposta conduce alla formazione di un giudicato idoneo a produrre un vincolo conformativo pieno sull�esercizio della successiva attivit� del- l�amministrazione ovvero a fare sorgere l�obbligo di pagamento della somma risarcitoria. L�eventuale giudizio di ottemperanza ha natura di sola esecuzione, in quanto il giudice deve esclusivamente verificare se l�amministrazione abbia correttamente posto in essere l�azione che la sentenza di cognizione ha prefigurato in tutti i suoi contenuti. 3.1.� In presenza di azioni che, per le ragioni indicate, sono idonee a condurre alla formazione di un giudicato che accerta pienamente il rapporto, il principio generale � derogabile in ragione della peculiarit� di singole fattispecie e dei valori ad esse sottese � � quello della prevalenza del giudicato sulla normativa sopravvenuta. In questi casi, nonostante manchi una norma costituzionale che riconosca espressamente l�intangibilit� del giudicato, la legge sopravvenuta, come affermato pi� volte dalla Corte costituzionale, non pu� incidere � in ossequio al principio di divisione dei poteri giurisdizionali e normativi (artt. 101, 102 e 104 Cost.) e alla garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi (artt. 24 e 113 Cost.) � su �questioni coperte dal giudicato� ledendo l�affidamento di chi abbia ottenuto �il riconoscimento giudiziale definitivo� (Corte cost. n. 374 del 2000; si veda anche Corte cost. n. 267 del 2007). La Consulta ha chiarito che la funzione giurisdizionale non �, invece, violata nel caso in cui il legislatore si muova �sul piano generale ed astratto delle fonti� e costruisca �il modello normativo cui la decisione giudiziale deve riferirsi � (Corte cost. n. 432 del 1997 e n. 397 del 1994). La Corte europea dei diritti dell�uomo ha anch�essa sancito il divieto di ingerenza, a sensi dell�art. 6 � 1 della Convenzione, del legislatore nell�amministrazione della giustizia �allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia� (ex multis, sentenza 7 giugno 2011, Agrati ed altri c. Italia). Il Consiglio di Stato ha condiviso questi principi rilevando � con riferimento ad un caso in cui si trattava di stabilire se una legge sopravvenuta potesse incidere negativamente su un giudicato che aveva riconosciuto la sussistenza di un rapporto contrattuale di fatto, con obbligo dell�amministrazione di provvedere al pagamento di tutte le prestazioni retributive e previdenziali � che �l�immutabilit� del giudicato non pu� cedere di fronte a norme sopravvenute aventi efficacia retroattiva�. Ci� in quanto �il Parlamento non pu� sovrapporsi alla Magistratura modificando �ex post� singole situazioni gi� definite dal giudice e coperte dall�autorit� del giudicato� (Cons. Stato, Ad. plen., 21 febbraio 1994, n. 4). Lo stesso Consiglio di Stato ha, per�, puntualizzato � con riferimento all�accertamento del dovere di corrispondere da parte della pubblica amministrazione prestazioni periodiche � che in presenza di �situazioni giuridiche durevoli� la legge sopravvenuta, pur non potendo inci CONTENZIOSO NAZIONALE dere, per le ragioni indicate, sul rapporto pregresso accertato con il giudicato, pu� disciplinare diversamente il �tratto dell�interesse che si svolge successivamente� ad esso, �determinando non un conflitto, ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica � (Cons. Stato, Ad. plen., 11 maggio 1998, n. 2; da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 2010, n. 1876). In definitiva, quando ricorrono le condizioni sin qui esposte, la legge successiva che, con efficacia retroattiva, interferisse con l�accertamento giudiziale dotato della crisma della definitivit� e della pienezza sarebbe contraria agli evocati principi costituzionali. 4.� La seconda evenienza si realizza con riguardo a fattispecie in relazione alle quali il sindacato del giudice amministrativo non pu� estendersi all�intero rapporto controverso dovendo, in ossequio al principio costituzionale di separazione dei poteri, rispettare le sfere di valutazione di esclusiva spettanza della pubblica amministrazione. In particolare, ci� si verifica quando viene, ad esempio, proposta: i) un�azione di annullamento di un provvedimento amministrativo discrezionale; ii) un�azione avverso il silenzio avente ad oggetto una attivit� caratterizzata da discrezionalit� non ancora esercitata dall�amministrazione. In questi casi l�azione di cognizione conduce alla formazione di un giudicato che contiene una regola incompleta lasciando priva di vincoli la futura attivit� amministrativa che non � stata oggetto di sindacato giurisdizionale. La valutazione circa l�effettiva estensione del giudicato e i consequenziali margini liberi dell�azione amministrativa sono strettamente dipendenti dalla tipologia del vizio riscontrato. L�eventuale giudizio di ottemperanza ha, pertanto, secondo l�impostazione tradizionale, natura mista di cognizione e di esecuzione (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3871): il giudice, infatti, concorre alla definizione della regola del caso concreto dando luogo a quella che viene definita formazione progressiva del giudicato (Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3871). 4.1.� In presenza di azioni che, per le ragioni indicate, non sono idonee a condurre alla formazione di un giudicato che accerti pienamente il rapporto controverso, la relazione tra legge successiva e giudicato assume connotati diversi. La normativa successiva, potendo occupare gli spazi lasciati liberi dal giudicato, realizza normalmente una successione cronologica di regole di disciplina del potere pubblico. La prevalenza del giudicato sia ha soltanto nel caso in cui la predetta normativa sovrappone, in relazione a quello specifico tratto della vicenda amministrativa vincolato dalla sentenza, la propria regola giuridica a quella giudiziale al fine esclusivo di correggere l�esercizio delle funzioni del giudice. Questa evenienza si verifica soprattutto in presenza di leggi provvedimento che si caratterizzano per avere un contenuto particolare e concreto incidendo su un numero limitato e determinato di destinatari (Corte cost. n. 137 e n. 94 del 2009). In tale ambito si collocano le cosiddette leggi di sanatoria che perseguono lo scopo, contrario a Costituzione, di stabilizzare gli effetti di un determinato provvedimento amministrativo eliminando, in via normativa, il vizio di legittimit� riscontrato nell�ambito del processo (cfr. Corte cost. n. 14 del 1999 e n. 211 del 1998). 5.� In definitiva, alla luce di quanto sin qui esposto, deve ritenersi che l�ampiezza dell�accertamento sostanziale contenuto nella sentenza passata in giudicato condiziona gli spazi di applicabilit� della normativa sopravvenuta, senza che rilevi, � bene puntualizzare, il momento della notificazione della sentenza. L�orientamento giurisprudenziale, richiamato dalle parti, che risolve la questione relativa al rapporto tra giudicato e normativa sopravvenuta ritenendo che si applica la legge esistente al momento della notificazione della sentenza (Cons. Stato, Ad. plen. 8 gennaio 1986, n. 1; da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2012, n. 36) non �, a prescindere dall�esigenza di una sua eventuale rivisitazione, suscettibile di estensione generalizzata. Lo stesso, infatti, si � formato con riguardo ad azioni proposte a tutela di interessi legittimi pretensivi nel settore specifico della pianificazione urbanistica che vede, in alcuni casi, quando a cambiare � il piano regolatore, una sostanziale coincidenza tra l�autore dell�atto impugnato e il soggetto che introduce le nuove regole di disciplina. 6.� Occorre adesso accertare quali siano le conseguenze che l�applicazione di questi principi determinano in relazione alla fattispecie all�esame di questo Collegio, avendo riguardo: i) alla natura dell�accertamento giudiziale svolto nell�ipotesi in cui venga proposta, come � avvenuto nel caso in esame, un�azione di annullamento, a tutela di interessi legittimi oppositivi, da parte di terzi che si ritengono lesi da un provvedimento favorevole rilasciato dall�amministrazione; ii) al contenuto delle leggi sopravvenute. 6.1.� L�accertamento pieno del rapporto, in presenza della suddetta posizione soggettiva, presuppone che il giudice amministrativo svolga un sindacato sull�assetto sostanziale degli interessi che verifichi l�esistenza di una preclusione al riesercizio del potere ovvero particolari condizioni che impediscano la successiva modificazione della realt� materiale incisa dall�atto amministrativo poi annullato. L�accertamento non pieno del rapporto, in ragione dell�esistenza di margini di discrezionalit�, consente all�amministrazione, in coerenza con la natura dinamica del potere amministrativo, di riesercitare il potere stesso mediante l�avvio di un nuovo procedimento al quale si applicher�, salvo quanto si dir� tra breve, la normativa esistente in quel determinato momento ancorch� la stessa sia diversa da quella in vigore quando � stata emanata la sentenza. Nel caso in esame il Consiglio di Stato, per quanto interessa in questa sede, ha ritenuto fondato il motivo di ricorso con il quale � stato fatto valere il vizio di motivazione del provvedimento finale di compatibilit� ambientale. In particolare, ha rilevato che l�art. 30 della legge della Regione Veneto 8 settembre 1997, n. 36 (Norme per l�istituzione del Parco regionale del Delta del Po) � prevedendo che �gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale� � ha espresso �una sicura opzione legislativa di preferibilit� per gli impianti (�) alimentati a gas metano, ammettendo una differente alimentazione solo a condizione che siano utilizzate fonti alternative di pari o minore impatto ambientale�. Questa disposizione regionale, si � sottolineato, non pu� ritenersi derogata dall�art. 5-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonch� disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero- caseario), introdotto dalla legge di conversione 9 aprile 2009, n. 33, il quale prevede che �per la riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di consentirne l�alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale (�)�. Il riferimento, infatti, ai �limiti di localizzazione territoriale� riguarda, si � sottolineato, esclusivamente un divieto di localizzazione tale da determinare l�impossibilit� del- l�insediamento e non permettere, nel contempo, una localizzazione alternativa. Con tale sentenza questa Sezione non ha, pertanto, effettuato un accertamento pieno del rapporto nel senso sopra indicato. L�illegittimit� degli atti impugnati � stata, infatti, come detto, CONTENZIOSO NAZIONALE dichiarata per la presenza di un vizio formale senza che il sindacato giudiziale abbia coinvolto l�assetto sostanziale degli interessi verificando la presenza di preclusioni alla successiva modificazione della realt� materiale e dunque al riesercizio del potere. Non si �, dunque, realizzato in capo ai terzi ricorrenti alcun affidamento alla stabilit� della situazione fattuale oggetto del sindacato giurisdizionale. 6.2.� Chiarito ci�, occorre adesso passare a valutare il contenuto precettivo delle nuove disposizioni. L�art. 35, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 ha modificato il riportato art. 5-bis, prevedendo che si pu� procedere alla riconversione anche in deroga alle leggi statali e regionali �che condizionano o limitino la suddetta riconversione, obbligando alla comparazione, sotto il profilo dell�impatto ambientale, fra combustibili diversi o imponendo specifici vincoli all�utilizzo dei combustibili�, purch� si garantisca sempre l��abbattimento delle emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II dell�allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152�. Nell�ultima si afferma che �la presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto�. La legge della Regione Veneto 5 agosto 2011, n. 14 (Modifiche all�articolo 30 della legge regionale 8 settembre 1997, n. 36 �Norme per l�istituzione del Parco regionale del delta del Po�) ha aggiunto all�art. 30, comma 1, della legge regionale n. 36 del 1997 la lettera a-bis, la quale prevede che �nel caso di impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile di potenza superiore a 300 MW termici gi� esistenti alla data di entrata in vigore della legge istitutiva del Parco regionale delta del Po, per i quali sia stata richiesta o venga richiesta la conversione a carbone o altro combustibile solido ai sensi della normativa statale, la conversione deve assicurare l�abbattimento delle emissioni di almeno il cinquanta per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione� di cui al d.lgs. n. 152 del 2006. La norma ha specificato che quando ricorrono questi presupposti �non trovano applicazione le disposizioni di cui alla lettera a� dello stesso comma 1 dell�art. 30 della legge n. 36 del 1997, il quale, come gi� sottolineato, disponeva che, nell�ambito dell�intero territorio dei comuni interessati dal Parco del Delta del Po, gli impianti di produzione di energia elettrica �dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale�. In definitiva, alla luce della normativa statale e regionale sopra riportata non � necessario � contrariamente a quanto affermato dalle parti resistenti � effettuare la valutazione comparativa circa il pari o minore impatto ambientale nella fase di riconversione dei predetti impianti. Tale normativa non persegue lo scopo di interferire, in contrasto con la Costituzione, nel- l�esercizio delle funzioni giurisdizionali. La stessa, infatti, non ha un contenuto provvedimentale ponendo una regola giuridica che si sovrappone alla regola giudiziale. N� persegue un fine di sanatoria. Il legislatore, infatti, non � intervenuto sul tratto della vicenda amministrativa oggetto di sindacato giurisdizionale ritenendo, senza modificare la legge attributiva del potere, che gli atti impugnati non necessitano di motivazione e pertanto devono ritenersi legittimi. La nuova normativa pone regole generali e astratte di disciplina della riconversione delle centrali termoelettriche non limitando l�intervento ad un singolo caso ma a tutti quelli, attuali o futuri, rientranti nel suo ambito applicativo. Le leggi sopravvenute, del resto, regolano la vicenda in esame non in virt� della loro valenza retroattiva ma in quanto vigenti al momento di avvio del nuovo procedimento amministrativo. Quanto esposto � confermato dall�analisi dei lavori preparatori, in particolare, del decreto- legge n. 98 del 2011 da cui risulta che la modifica sia stata introdotta per evitare che disposizioni di leggi regionali possano prevedere come �vincolo per la riconversione anche quello di una previa comparazione in termini di impatto ambientale tra diverse modalit�/combustibili di alimentazione�. In altri termini, si chiarisce che la regola generale deve essere quella che consente la riconversione degli impianti alimentanti ad olio combustibile senza necessit� di adempiere ad �obblighi di comparazione, sotto il profilo dell�impatto ambientale, tra combustibili diversi� (scheda di lettura, Camera dei deputati, n. 522/1, parte II, 7 ottobre 2011; in data 25 febbraio 2012 � stata presentata una proposta di legge di iniziativa parlamentare, assegnata alle commissioni riunite 8� e 10� in sede referente il 14 maggio 2012; tale proposta prevede la modifica del vigente art. 5-bis del decreto-legge n. 5 del 2009, mediante una previsione che consentirebbe, tra l�altro, la riconversione di impianti di produzione di energia elettrica in esercizio purch� vengano rispettati, �su base regionale�, gli obiettivi �di riduzione del 20 per cento delle emissioni di sostanze produttive di alterazioni del clima rispetto alle emissioni del 1990�). 7.� Alla luce di quanto sin qui esposto, rispondendo al quesito posto, deve ritenersi che � in ragione della natura del giudicato e del contenuto delle leggi successive � si sia realizzata una legittima successione cronologica di regole di disciplina del potere pubblico. L�amministrazione statale competente, nel porre in essere gli atti del nuovo procedimento amministrativo volto alla verifica della compatibilit� ambientale della centrale termoelettrica, dovr�, pertanto, applicare la nuova normativa statale e regionale, salvo il potere, ove ne ricorrano i presupposti, di fare propri gli accertamenti gi� svolti e non intaccati dalle diverse regole giuridiche introdotte. 8.� L�analisi sin qui effettuata ha valutato soltanto gli aspetti relativi all�applicabilit�, sul piano procedimentale, dello ius superveniens. Si tratta adesso di prendere in esame i rilievi svolti dalle parti appellate con cui si assume, in particolare, che tale normativa sarebbe, sul piano sostanziale, irrilevante in quanto in contrasto con normativa comunitaria e, in particolare, con la direttiva 85/337/CEE del 27 giugno 1985, la quale imporrebbe che la valutazione delle possibili alternative di progetto costituisca una dei contenuti necessari della procedura di valutazione di impatto ambientale. Qualora non si condividesse questo aspetto, si aggiunge, sarebbe necessario disporre il rinvio alla Corte di Giustizia dell�Unione europea. 8.1.� Tali rilievi non possono essere esaminati in questa sede. La collocazione sistematica e la finalit� perseguita dall�art. 112, quinto comma, cod. proc. amm. segnano il perimetro di operativit� dello stesso: non si possono fornire chiarimenti in ordine a modalit� di azione che non siano di esecuzione del giudicato. Occorre, pertanto, stabilire se quanto richiesto dalle parti resistenti esuli dall�ambito del giudizio di ottemperanza. Nei casi in cui il giudicato accerta pienamente il rapporto l�attivit� successiva posta in essere dall�amministrazione � oggetto di sindacato da parte del solo giudice dell�ottemperanza. Nei casi, invece, in cui � ed � quanto accade nella specie � il giudicato non accerta pienamente il rapporto l�attivit� successiva posta in essere dall�amministrazione � oggetto di sindacato nel giudizio di ottemperanza soltanto se la stessa si colloca in un ambito coperto dal giudicato stesso. L�attivit� �, invece, oggetto di sindacato nel giudizio di cognizione qualora la stessa occupi un ambito lasciato libero dal giudicato e disciplinato dalla legge, anche sopravvenuta, che diventa il parametro per valutare la sua eventuale illegittimit� (si veda Cons. Stato, sez. VI, ordinanza 5 aprile 2012, n. 2024). CONTENZIOSO NAZIONALE Ne consegue che, una volta rilevato che l�amministrazione statale, per l�aspetto relativo alla valutazione comparativa di impatto ambientale, � tenuta ad applicare la normativa sopravvenuta il potere conseguentemente esercitato sar� posto in essere non in attuazione del giudicato ma delle nuovi leggi. L�eventuale sindacato giurisdizionale spetter�, pertanto, al giudice della cognizione che dovr� valutare anche la conformit� sostanziale di tali leggi alla normativa europea evocata. Qualora questo giudice svolgesse valutazioni inerenti a questo aspetto violerebbe i limiti posti alla sua giurisdizione incorrendo in un eccesso di potere giurisdizionale e incidendo sul diritto delle parti al rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione. Quanto sin qui esposto rende, altres�, priva di rilevanza la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. 8.2.� � bene, infine, rilevare come, allo stesso modo, esulano dall�ambito del presente giudizio, come delimitato dal ricorso introduttivo, anche le altre questioni, indicate in dettaglio nella parte in fatto, relative alla persistenza dell�interesse dell�Enel alla rinnovazione del procedimento, nonch� alle modalit� di valutazione del materiale istruttorio allegato alla diffida che le parti interessate hanno notificato alle ricorrenti. 10.� La particolare natura della questione giustifica l�integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull�appello, come in epigrafe proposto: a) fornisce, ai sensi dell�art. 112, quinto comma, cod. proc. amm., i chiarimenti indicati nella parte motiva; b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2012. La destinazione urbanistica a verde privato come vincolo meramente conformativo della propriet� rispetto alla tutela ambientale (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21 dicembre 2012, n. 6656) Lorenzo Maria Pelusi* SOMMARIO: 1. Il caso concreto - 2. Vincoli conformativi e vincoli ablatori: termini della questione e inquadramento della destinazione a verde privato - 3. La diversa fattispecie del verde pubblico, fonte di contrasti giurisprudenziali - 4. L�obbligo di motivazione gravante sulla P.A. e la rilevanza dei contrari interessi privati - 5. Il �governo del territorio� in funzione di coordinamento dell�espansione edilizia e della tutela ambientale - 6. I c.d. lotti interclusi - 7. I parametri in base ai quali valutare la coerenza della scelta di zonizzazione operata in concreto - 8. L�abusato appello alla naturale vocazione edificatoria delle aree. 1. Il caso concreto. La sentenza in commento offre lo spunto per esaminare un consolidato orientamento giurisprudenziale ad avviso del quale la destinazione a verde privato impressa da un piano regolatore generale debba considerarsi frutto dell�attivit� meramente conformativo-pianificatoria spettante alle amministrazioni locali e non inquadrabile, quindi, nell�ambito dei vincoli sostanzialmente espropriativi, malgrado gli effetti che ne conseguono sul piano sostanziale. Il giudizio prende le mosse dalla decisione del proprietario di un fondo di impugnare, chiedendone l�annullamento, tutti gli atti del procedimento di formazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Monteroni di Lecce, nel cui territorio � ricompreso il fondo stesso, a partire dalle delibere del Consiglio Comunale con cui � stato conferito l�incarico di redazione del piano e con cui � stato poi adottato lo stesso, passando per la delibera della Giunta Regionale di approvazione del piano con prescrizioni e modifiche e per la delibera comunale di recepimento e controdeduzioni in ordine alle prescrizioni e modifiche regionali, per finire con la delibera regionale di approvazione definitiva del PRG. Tale impugnazione s�impernia sulla differente qualificazione riservata all�area di propriet� del ricorrente, tipizzata come zona �B� destinata a edilizia residenziale nel vecchio Programma di Fabbricazione (strumento prescritto dal- l�art. 34 della legge urbanistica del 17 agosto 1942, n. 1150 per tutti i Comuni sprovvisti di PRG), ma in seguito classificata, nel nuovo piano, come zona a verde privato, che, ai sensi delle relative norme tecniche di attuazione, consente �attivit� primarie di tipo agricolo, la sistemazione di verde attrezzato, interventi manutentivi e di ristrutturazione dell�edificato esistente, di tipo conservativo�. (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE Risulta di tutta evidenza, pertanto, la notevole compressione del diritto dominicale esercitabile dal proprietario, intervenuta con la nuova destinazione urbanistica impressa al fondo in questione, dapprima edificabile, seppur entro limiti predefiniti, poi assoggettato a inedificabilit� pressoch� assoluta. Va inoltre osservato come, in parallelo al ridimensionamento del contenuto del diritto di propriet�, l�inibizione dello ius aedificandi determini altres� una drastica diminuzione del valore di scambio del bene immobile interessato da siffatto vincolo urbanistico. 2. Vincoli conformativi e vincoli ablatori: termini della questione e inquadramento della destinazione a verde privato. Prima ancora di addentrarsi nel percorso argomentativo seguito nel caso in esame dal Supremo Consesso di giustizia amministrativa, � opportuno soffermarsi su una distinzione che fa da sfondo al tema della destinazione a verde privato, incidendo sulla natura giuridica di quest�ultima. La questione in argomento, infatti, investe apertamente la summa divisio fra vincoli meramente conformativi e vincoli ablatori (1). Per vincoli aventi carattere sostanzialmente espropriativo debbono intendersi, alla luce della celeberrima sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 20 maggio 1999, quei vincoli che abbiano in concreto l�effetto di svuotare incisivamente il contenuto del diritto di propriet�, mediante l�imposizione immediatamente operativa di vincoli a titolo particolare su beni determinati, comportanti inedificabilit� assoluta. In quell�occasione la Corte dichiar� l�illegittimit� costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (d�ora in poi: legge urbanistica), e dell�art. 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui consentiva all�Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all�espropriazione o comportanti l�inedificabilit�, senza la previsione di alcun indennizzo. La Consulta, peraltro, ebbe modo di puntualizzare che non possono considerarsi alla stregua di vincoli sostanzialmente espropriativi quelli che, pur avendo contenuto specifico e operando a titolo particolare, impongono a determinati fondi una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o promiscua (1) Per una puntuale classificazione dei vincoli urbanistici si rinvia a G. PAGLIARI, La pianificazione e la propriet� edilizia, in A. GAMBARO, U. MORELLO, Trattato dei diritti reali. Volume IV - Propriet� e pianificazione del territorio, Milano, Giuffr�, 2012, 53 s., il quale distingue fra vincoli preordinati al- l�espropriazione, vincoli di inedificabilit� assoluta e vincoli procedimentali: i primi volti alla localizzazione di opere pubbliche per la cui realizzazione risulti imprescindibile l�espropriazione per pubblica utilit�, i secondi finalizzati a riservare determinate aree all�uso pubblico con la conseguente ed automatica inutilizzabilit� privata delle stesse, i terzi invece caratterizzati dall�imposizione dell�obbligo di preventiva adozione di un piano particolareggiato di attuazione. pubblico-privata e che quindi non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica (ad es. parcheggi, mercati o impianti sportivi). Non si pone, pertanto, un problema di indennizzo per i vincoli che non preludano all�esecuzione di opere pubbliche in senso stretto, in quanto connesse all�iniziativa anche concorrente dei privati. Parimenti non sono assoggettati al regime dei vincoli espropriativi quelli che, pur comprimendo l'edificabilit�, dispongono tale restrizione in ragione delle caratteristiche intrinseche del fondo, imponendo modi e limiti, in via generale ed astratta, a tutti i consociati in maniera oggettiva (si pensi ai vincoli ambientali paesistici). D�altra parte la zonizzazione del territorio (2), con i connessi vincoli che incidono con carattere di generalit� e in modo obiettivo su intere categorie di beni, � connaturata alla pianificazione urbanistica e non pu� essere ex se considerata un'azione ablatoria, in quanto la possibilit� che il diritto di propriet� subisca limitazioni costituisce un rischio fisiologico connesso al diritto stesso, al fine di assicurarne la funzione sociale nel perseguimento di obiettivi di interesse generale, ai sensi dell�art. 42, co. 2, Cost. (C. cost., 20 maggio 1999, n. 179)(3). Ne consegue che la destinazione a verde privato di un�area, siccome consente al privato sia di fruire del fondo, sia di eseguirvi autonomamente tutti gli interventi edificatori compatibili con tale qualificazione urbanistica, andrebbe intesa come riconducibile al generale potere conformativo della propriet� privata di cui � titolare l'Amministrazione Comunale in sede di pianificazione del territorio e non invece al ben diverso potere di carattere ablatorio previsto dall'art. 25 della legge urbanistica (4). Questa ricostruzione dogmatica � stata fatta propria, gi� in tempi risalenti, dal Consiglio di Stato, il quale ha pi� volte affermato che la destinazione a (2) Per zonizzazione s�intende, � il caso di ricordarlo, la divisione del territorio comunale in zone territoriali omogenee, con la preciszione delle zone destinate all�espansione dell�aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona. Tali zone sono disciplinate dal- l�art. 2 del D.M. n. 1444 del 1968 e ognuna di esse rappresenta l�insieme delle parti del territorio comunale che hanno ricevuto la medesima destinazione urbanistica. Contrapposta alla zonizzazione � l�attivit� di localizzazione, ovvero quell�attivit� tramite la quale il pianificatore individua le aree destinate a formare spazi di uso pubblico e le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonch� ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale. (3) In proposito sia consentito richiamare un�altra fondamentale pronuncia della Corte Costituzionale la quale, con sent. 9 maggio 1968, n. 55, ha affermato che �senza dubbio la garanzia della propriet� privata � condizionata, nel sistema della Costituzione, dagli artt. 41 al 44, alla subordinazione a fini, dichiarati ora di utilit� sociale, ora di funzione sociale, ora di equi rapporti sociali, ora di interesse ed utilit� generale. Ci� con maggiore ampiezza e vigore di quanto � stabilito dagli artt. 832 e 845 del Codice civile, i quali, per il contenuto del diritto di propriet� fondiaria in particolare, richiamano, rispettivamente, i limiti e gli obblighi stabiliti �dall'ordinamento giuridico� e le regole particolari per scopi di pubblico interesse [�] Secondo i concetti, sempre pi� progredienti, di solidariet� sociale, resta escluso che il diritto di propriet� possa venire inteso come dominio assoluto ed illimitato sui beni propri, dovendosi invece ritenerlo caratterizzato dall'attitudine di essere sottoposto nel suo contenuto, ad un regime che la Costituzione lascia al legislatore di determinare�. CONTENZIOSO NAZIONALE verde privato di un'area rientra tra le ipotesi di qualificazione delle zone territoriali omogenee di cui lo strumento urbanistico primario si compone e, anche se pone preclusione all'edificazione implicando l'esclusione della possibilit� di realizzare qualsiasi opera edilizia incidente sulla destinazione a verde (cos�, ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 5 ottobre 1995, n. 781; Id., 14 dicembre 1993, n. 1068), rimane comunque espressione delle funzioni di ripartizione in zone del territorio, senza determinare vincoli tali da escludere potenzialmente il diritto di propriet� nella sua interezza (cos� Cons. St., Sez. IV, 24 luglio 1985, n. 290). Va quindi segnalato come un indirizzo giurisprudenziale consolidato e univoco, riconfermato anche dalla pronuncia in commento, quello a mente del quale la destinazione a verde privato non � ascrivibile ai vincoli ablatori, atteso che essa non � prodromica all�espropriazione e non � ostativa alla fruizione del fondo da parte del proprietario, il quale vedr� limitata esclusivamente la propria facolt� di godimento dello stesso. Pertanto, la destinazione in questione non sostanzia alcun vincolo sussumibile nel regime di decadenza conseguente all'inutile decorso del termine quinquennale contemplato per i vincoli ablatori dall'art. 9 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 327 (come modificato dall'art. 1 del D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 352), regime che altrimenti implicherebbe l�insorgere in capo al Comune, da un lato, dell'obbligo di procedere alla riqualificazione urbanistica delle aree stesse dopo la scadenza del vincolo (cfr. sul punto, ad es., Cons. St., Sez. IV, 14 dicembre 1993, n. 1068), dall�altro, dell�obbligo di indennizzo a favore del privato (Cons. St., Sez. IV, 18 maggio 2012, n. 2919) (5). 3. La diversa fattispecie del verde pubblico, fonte di contrasti giurisprudenziali. In tempi pi� recenti si � statuito che persino la destinazione ad attrezzature ricreative, sportive e a verde pubblico, data dal piano regolatore ad aree di propriet� privata, non comporta l'imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo conformativo, il quale � funzionale all'interesse pubblico generale conseguente alla zonizzazione effettuata dallo strumento urbanistico, che definisce i caratteri generali dell'edificabilit� in ciascuna delle zone in cui � suddiviso il territorio comunale (Cons. St., Sez. IV, 3 dicembre (4) L�art. 25 della legge urbanistica dispone, infatti, che �le aree libere sistemate a giardini privati adiacenti a fabbricati possono essere sottoposte al vincolo dell'inedificabilit� anche per una superficie superiore a quella di prescrizione secondo la destinazione della zona�, con la precisazione che �in tal caso, e sempre che non si tratti di aree sottoposte ad analogo vincolo in forza di leggi speciali, il Comune � tenuto al pagamento di un'indennit� per il vincolo imposto oltre il limite delle prescrizioni di zona�. (5) I vincoli di piano regolatore ai quali invece si applica il principio della decadenza quinquennale sono soltanto quelli che incidono su beni determinati, assoggettandoli a vincoli preordinati all�espropriazione od a vincoli che ne comportano l'inedificabilit� assoluta e dunque svuotano il contenuto del diritto di propriet� incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale (Cons. St., Sez. IV, 22 gennaio 2010, n. 216). 2010, n. 8531). Anche in questi casi, peraltro, pu� rinvenirsi traccia dell�insegnamento della Corte costituzionale secondo cui non si � alla presenza del paradigma ablatorio tutte le volte in cui le iniziative di realizzazione dell�opera siano suscettibili di operare in regime di libero mercato. Ne rappresenta applicazione diretta, infatti, quell�orientamento che subordina il riconoscimento della natura conformativa del vincolo al ricorrere della possibilit� conferita al privato di far luogo alla costruzione delle attrezzature previste dallo stesso strumento urbanistico, per mezzo di iniziative totalmente private o in forme di partenariato misto pubblico-privato (Cons. St., Sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 244) (6). Di contro, nel caso in cui la disciplina urbanistica escluda in modo assoluto che nelle zone destinate a verde pubblico siano possibili, anche parzialmente, iniziative da parte del privato proprietario dell�area, detto vincolo potr� essere qualificato come preordinato all�espropriazione (Cons. St., Sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2718; Id., 24 febbraio 2004, n. 745). Contrapposta all�impostazione maggioritaria appena descritta, va inoltre menzionata la posizione assunta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia sul punto. Secondo la tesi che ad oggi appare dominante, come gi� detto, una destinazione a verde pubblico disposta da un piano regolatore, quindi di durata indeterminata, sarebbe pur sempre espressione della potest� conformativa del pianificatore, dal momento che non inibisce l�utilizzazione del fondo da parte dei proprietari, ma ne prescrive soltanto le modalit� di utilizzo, da realizzarsi anche ad iniziativa degli stessi proprietari (Cons. St., Sez. V, 13 aprile 2012, n. 2116; Sez. IV, 12 maggio 2010, n. 2843; Sez. VI, 19 marzo 2008, n. 1201). Tuttavia il massimo organo della giustizia amministrativa siciliana si � di recente espresso in senso contrario, stabilendo che, diversamente da altre solo in apparenza simili destinazioni urbanistiche (tra cui quelle a verde privato o verde agricolo) - che effettivamente conformano il diritto dominicale dei proprietari dei fondi interessati, senza per� sopprimerlo in toto - la destinazione a verde pubblico attrezzato, al pari di quella a verde pubblico, sia radicalmente incompatibile con la permanenza del fondo in propriet� privata. La ragione di tale indirizzo interpretativo poggia sulla ravvisata necessit� di ritenere sussistente �un vincolo preordinato all'espropriazione tutte le volte in cui la destinazione dell'area permetta la realizzazione di opere de (6) �Non si pone, pertanto, un problema di indennizzo per i vincoli che non preludano all�esecuzione di opere pubbliche in senso stretto, in quanto connesse all�iniziativa anche concorrente dei privati. Del pari non � indennizzabile la reiterazione del vincolo per destinazione a parco pubblico, a verde pubblico ovvero a zona di pregio agricolo con valenza di tutela ambientale, in considerazione che non tutti i vincoli di inedificabilit� assoluta hanno carattere espropriativo e che se anche si prevede la realizzazione di un parco pubblico, il vincolo imposto assolve la funzione primaria di conformare la propriet� a tutela dell�ambiente e solo in via indiretta quella di condurre ad una espropriazione, sicch� la nascita dell�effettivo vincolo di esproprio sarebbe ritardata al momento della successiva dichiarazione di pubblica utilit�� (Cons. St., Sez. IV, 15 giugno 2004, n. 4010). CONTENZIOSO NAZIONALE stinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica�, a prescindere quindi dalla concessione al privato sia della realizzazione dell�opera, sia di un margine di sfruttabilit� economica del bene, non pi� in termini di fruizione personale, bens� di disposizione onerosa a favore di terzi (Cons. Giust. Amm., Sez. giur., 27 febbraio 2012, n. 212; Id., 25 gennaio 2011, n. 95). In quest�ottica, ove ci si trovi innanzi ad una potest� conformativa che impedisca sine die la realizzazione di un opus suscettibile di valutazione economica pienamente assoggettato alla disponibilit� del privato, ne consegue, di fatto, l'ablazione di una precipua facolt� produttiva inerente al diritto di propriet�, tale da incidere significativamente sul contenuto minimo essenziale di quest�ultimo, con l�effetto di svuotarlo per intero del suo contenuto, piuttosto che di plasmarlo secondo lo schema conformativo. Ci� perch� lo sfruttamento delle potenzialit� edificatorie rappresenta la naturale destinazione di ogni area di propriet� privata, anche qualora si tratti di zone agricole, contraddistinte da un basso indice di edificabilit� (7). Tale qualificazione sostanzialmente espropriativa della destinazione a verde pubblico comporta che, decorso il quinquennio di cui all�art. 9 del DPR n. 327 del 2001 senza che sia stata dichiarata la pubblica utilit� dell�opera, la reiterazione del vincolo, in costanza di ulteriore inerzia in ordine agli atti consequenziali, si configura come patologica cristallizzazione di un vincolo di inedificabilit� assoluta, che tende a connotarsi come illegittima espropriazione di fatto. Analoghe osservazioni non valgono, invece, per la zona destinata a verde privato, poich� essa mantiene determinate capacit� edificatorie e potenzialit� di sfruttamento a fini economici (T.A.R. Lazio - Roma, Sez. II, 19 luglio 2011, n. 6442). 4. L�obbligo di motivazione gravante sulla P.A. e la rilevanza dei contrari interessi privati. Venendo, a questo punto, all�esame dei singoli passaggi che compongono la motivazione della sentenza in commento, va brevemente dato conto delle doglianze sottoposte alla cognizione dei giudici. In primo grado il TAR aveva respinto il ricorso; veniva pertanto richiesta la riforma della relativa sentenza innanzi al Consiglio di Stato. I ricorsi di primo e di secondo grado possono considerarsi sostanzialmente coincidenti e il motivo principale cui entrambi risultano affidati consiste nella censura del potere pianificatorio esercitato, in forza dei vizi di: eccesso di potere, violazione del principio della tendenziale (7) Rispetto alle istanze di cui si fa promotrice l�attivit� di zonizzazione, infatti, l�area agricola non rileva tanto per l�attivit� agricola che vi si pu� svolgere, quanto pi� semplicemente per i limiti �quantitativi� alla sua trasformazione edilizia, restando cos� inattuato quel principio costituzionale, contenuto nell�art. 44 Cost., che assegna alla legge il compito di perseguire il razionale sfruttamento del suolo. Per tali considerazioni, cfr. P. URBANI, La disciplina urbanistica delle aree agricole, in www.giustamm. it. stabilit� delle previsioni urbanistiche, violazione del principio di ponderazione degli interessi privati da sacrificare in relazione all�interesse pubblico perseguito e carenza motivazionale. Quest�ultima, in particolare, sarebbe da riscontrare nell�assenza di alcuna specifica motivazione in merito a una scelta cos� penalizzante per il ricorrente, posto che la nuova destinazione rende di fatto l�area inedificabile. Nel respingere tali censure, i giudici amministrativi richiamano il pacifico orientamento giurisprudenziale secondo cui le scelte urbanistiche costituiscono apprezzamenti di merito, risultando quindi sottratte al sindacato di legittimit� con l�eccezione di quelle inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicit� (Cons. St., Sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4319; Id., Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24). Le scelte inerenti alla disciplina del territorio possono quindi formare oggetto di sindacato giurisdizionale nei soli casi di arbitrariet�, irragionevolezza o di palese travisamento dei fatti, che costituiscono i limiti della discrezionalit� amministrativa. Ne consegue che il privato che si ritenga leso da una scelta di piano non favorevole ai suoi interessi in ordine alla destinazione data ad una certa area di sua propriet�, non pu� censurare, se non per evidenti vizi logici, le ragioni specifiche della singola scelta operata dall'amministrazione, poich� il sistema non richiede una giustificazione analitica delle singole scelte operate, ma solo delle ragioni d�insieme che hanno portato alle complessive scelte di pianificazione. Non potr� invocarsi, pertanto, il vizio di eccesso di potere per disparit� di trattamento basata sulla comparazione con la destinazione impressa ad immobili adiacenti (Cons. St., Sez. IV, 13 febbraio 2009, n. 811; Id., 9 giugno 2008, n. 2837). Va ricordato, d�altra parte, che in sede di elaborazione e approvazione dei PRG viene in rilievo un agire pubblico che � esclusivamente inteso a predisporre un ordinato assetto del territorio comunale e che quindi � tenuto a prescindere dalle posizioni particolari dei titolari di diritti reali, nonch� dai vantaggi o svantaggi che ad essi possano derivare dalla pianificazione stessa (Cons. St., Sez. IV, 22 febbraio 2013, n. 1097). Sulla scorta di tale premessa, viene poi ribadito che le scelte operate attraverso lo strumento pianificatorio generale, circa la destinazione di singole aree, sono congruamente motivate facendo riferimento alle ragioni evincibili dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano regolatore, mentre deve escludersi un obbligo di specifica motivazione, giacch� in subiecta materia trova applicazione l'art. 3, comma 2, della legge 241 del 1990, che esonera l�Amministrazione dall�obbligo motivazionale in caso di adozione di atti normativi e a contenuto generale (tra cui rientrano appunto i PRG e le relative varianti generali). Pertanto � ritenuto sufficiente l�espresso riferimento alla relazione illustrativa del piano regolatore, oppure alla relazione di accompagnamento al progetto di modifica del piano stesso (8), salvo il ricorrere di casi particolari in cui si configuri uno CONTENZIOSO NAZIONALE specifico obbligo motivazionale a carico dell�Amministrazione (Cons. St., Sez. IV, 5 gennaio 2011, n. 24; Id., 13 ottobre 2010, n. 7492; Id., 26 aprile 2009, n. 2293). Tale necessit� di pi� incisivi profili motivazionali pu� essere rinvenuta solo nei casi in cui preesistano particolari situazioni che abbiano creato aspettative o affidamenti qualificati sulla destinazione dell�area, dando luogo a posizioni differenziate rispetto alla generalit� degli interessati, e che quindi debbano ricevere una pi� compiuta valutazione, in ragione della sussistenza di posizioni soggettive meritevoli di specifica considerazione (9). In particolare, dette evenienze sono date: dal superamento, imposto dall�Amministrazione, degli standard urbanistici minimi di cui al D.M. n. 1444 del 1968 (con la precisazione che, in tal caso, la motivazione dovr� indicare le ragioni che hanno comportato il �sovradimensionamento� e non quelle che hanno portato ad assegnare una specifica destinazione di zona a una certa area); dalla lesione dell�affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione o da accordi ex art. 11 l. n. 241 del 1990 intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree (e gi� oggetto di stipula); dalla lesione di aspettative nascenti da un giudicato di annullamento di dinieghi di titoli abilitativi edilizi o di accertamento dell�illegittimit� del silenzio rifiuto su una domanda di titolo abilitativo (Cons. St., Sez. IV, 11 settembre 2012 n. 4806); o, pi� in generale, dalla lesione di aspettative collegate a situazioni di diverso regime urbanistico accertate da sentenze passate in giudicato (Cons. St., sez. IV, 16 febbraio 2010, n. 1015); nonch�, infine, dalla modificazione in zona agricola della destina (8) Ci� perch� sia i provvedimenti comunali di pianificazione urbanistica sia le varianti di piano regolatore hanno natura discrezionale e possono incidere su precedenti, difformi, destinazioni di zona, comportare modifiche radicali al piano vigente e rettificare direttive urbanistiche pregresse, al fine di realizzare un processo di adeguamento e modernizzazione delle strutture al servizio del territorio (Cons. St., Sez. IV, 25 novembre 2003, n. 7782). In sede di pianificazione generale o di variante generale, infatti, il Comune ha la facolt� ampiamente discrezionale di modificare le precedenti previsioni e non � tenuto a dettare una motivazione specifica per le singole zone o aree a destinazione innovata (Cons. St., Sez. IV, 1� marzo 2010, n. 1182; Id., 13 maggio 1992, n. 511). Quanto appena detto, tuttavia, incontra una deroga nell�ipotesi in cui la variante non abbia portata generale, bens� abbia finalit� particolari e oggetto circoscritto (come ad esempio quando essa intervenga a disciplina di un unico terreno): in tal caso, come nel caso in cui la variante incida su aspettative assistite da speciale tutela, si rende necessaria una puntuale motivazione (Trib. Reg. Giust. Amm., Bolzano, 12 gennaio 2012, n. 9; Cons. St., Sez. IV, 5 marzo 2008, n. 933; Id., 28 dicembre 2006, n. 8050). (9) Da notarsi, per inciso, come il principio dell'inesistenza di un obbligo specifico di motivazione delle scelte urbanistiche venga applicata anche alle osservazioni al piano formulate dai proprietari interessati, in quanto ritenute inidonee a determinare l�insorgere di aspettative qualificate. Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, infatti, le osservazioni proposte dai cittadini nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi alla formazione degli strumenti urbanistici e tanto il loro rigetto quanto il loro accoglimento non richiedono, pertanto, una puntuale controdeduzione sorretta da motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento pianificatorio (Cons. St., Sez. IV, 18 giugno 2009, n. 4024; Id., 19 marzo 2009, n. 1652). zione di un�area limitata, interclusa da fondi legittimamente edificati (Cons. St., sez. IV, 16 novembre 2011 n. 6049; Id., 13 ottobre 2010, n. 7492). Ogniqualvolta l�esercizio dello jus variandi vada ad incidere in senso peggiorativo su una di queste aspettative assistite da una peculiare tutela o da uno speciale affidamento, l�Amministrazione � tenuta ad operare una valutazione comparativa tra l�interesse pubblico e la posizione privata qualificata, corredando il provvedimento di una puntuale motivazione che dia altres� conto della concreta impossibilit� di conseguire l�obiettivo di pubblico interesse con soluzioni alternative, capaci di escludere o di contenere la vulnerazione dell�affidamento insorto in capo al privato. Al di fuori di queste fattispecie tipizzate in via pretoria, invece, pu� ravvisarsi in capo all�interessato unicamente una generica aspettativa ad una non reformatio in peius delle destinazioni di zona, tale da non giustificare n� una particolare tutela, n� un obbligo di pi� puntuale motivazione. Non pu� infatti ritenersi qualificato l�interesse del privato meramente correlato ad una precedente previsione urbanistica che consentiva un pi� proficuo utilizzo dell'area, quale � l�interesse che viene in rilievo nel caso di cui trattasi. Siffatta aspettativa, pertanto, risulta cedevole dinanzi alla discrezionalit� del potere pubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni analoghe a quelle per cui il divieto della reformatio in peius � un criterio del tutto inidoneo, atteso il difetto di qualsivoglia copertura costituzionale, a vincolare il legislatore (Cons. St., Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24). 5. Il �governo del territorio� in funzione di coordinamento dell�espansione edilizia e della tutela ambientale. In secondo luogo, la sentenza in commento si dichiara fedele a quella giurisprudenza che ha evidenziato come all�interno della pianificazione urbanistica possano trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessit� di evitare l'ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi. Si � affermato, in proposito, che il potere di pianificazione del territorio - attribuito dalla Carta costituzionale alla potest� legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, ex art. 117, comma terzo, Cost. ed il cui esercizio � normalmente rimesso, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune - non � limitato alla classificazione delle zone del territorio comunale e, in particolare, alla delimitazione delle potenzialit� edificatorie delle stesse (Cons. St., Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710). Al contrario, tale potere di pianificazione � da ricondursi ad un concetto di urbanistica che non pu� essere minimale, ovvero limitato alla sola disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalit�, in tal modo definiti), ma che invece deve essere ampio, tale da consentire che si possa dare attuazione, per mezzo della disciplina dell�utilizzo CONTENZIOSO NAZIONALE delle aree, anche a finalit� economico-sociali della comunit� locale (non in contrasto, bens� in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunit� territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati, come quelli di cui agli artt. 9, comma secondo, 32, 42, 44, 47, comma secondo, Cost. (Cons. St., Sez. IV, 13 giugno 2013, n. 3262). Tra le esigenze fondamentali della comunit� territoriale, vanno indubbiamente ricomprese sia le esigenze di tutela della salute, la quale richiede che agli abitanti sia garantito un ambiente salubre in cui vivere, sia l�aspirazione dell�individuo alla casa di abitazione, da porre necessariamente in relazione alle effettive esigenze abitative della comunit� ed alle concrete vocazioni dei luoghi. Anche siffatti interessi devono pertanto essere contemperati in sede di configurazione del �modello di sviluppo che s'intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione de futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunit� medesima, con le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, con la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio� (Cons. St., Sez. IV, 21 dicembre 2012, n. 6656). Proprio per tali ragioni, lo stesso legislatore costituzionale, nel novellare l�art. 117 Cost., per il tramite della legge cost. n. 3 del 2001, ha sostituito il termine �urbanistica� con l�onnicomprensiva espressione di �governo del territorio � (10), materia che risulta pertanto affidata alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali (11). Secondo l�insegnamento della Corte costituzionale, i due concetti non sono perfettamente coincidenti, poich� l�urbanistica si esaurirebbe nel governo del territorio, ma non sarebbe vero il contrario (12). Questa posizione, peraltro, risulta la medesima assunta (10) Per una panoramica sui dubbi e le perplessit� che l�intervento legislativo ha suscitato, si rinvia ai contributi della dottrina: T. BONETTI, Il diritto del �governo del territorio� in trasformazione, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, 5 ss.; M.A. CABIDDU, Diritto del governo del territorio, Torino, Giappichelli, 2010, 7 ss.; N. ASSINI, P. MANTINI, Manuale di diritto urbanistico, Milano, Giuffr�, 2007, 16 ss.; P. STELLA RICHTER, La nozione di �governo del territorio� dopo la riforma dell�art. 117 cost., in Giust. civ., 2003, 107 ss.; S. AMOROSINO, Il �governo del territorio� tra Stato, regioni ed enti locali, in Riv. giur. edil., 2003, 77 ss.; V. CERULLI IRELLI, Il �governo del territorio� nel nuovo assetto istituzionale, in S. CIVITARESE MATTEUCCI, E. FERRARI, P. URBANI (a cura di), Il governo del territorio, Milano, Giuffr�, 2003, 499 ss.; P. URBANI, Il governo del territorio nel Titolo V della Costituzione, in Riv. giur. urb., 2003, 50 ss.; M.A. SANDULLI, Effettivit� e semplificazioni nel governo del territorio: spunti problematici, in Dir. amm., 2003, 507 ss.; P.L. PORTALURI, Riflessioni sul �governo del territorio� dopo la riforma del Titolo V, in Riv. giur. edil., 2002, 357 ss.. (11) Va ricordato che l�art. 1, comma 3, della legge n. 131 del 2003 di attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione, prevede che �nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente le Regioni esercitano la potest� legislativa nell�ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti�. (12) La Consulta, infatti, ha avuto modo in pi� occasioni di chiarire l�esatta portata del mutamento testuale operato nel 2001: C. cost., 25 settembre 2003, n. 303, in Giur. cost., 2003, 2675 ss. con osser dalla dottrina dominante (13). Alcuni hanno inteso paragonare questa distinzione a due cerchi concentrici: il pi� ristretto, rappresentato dall�urbanistica, a sua volta costituita dalla pianificazione territoriale e urbanistica, e il pi� ampio, comprendente le ulteriori funzioni identificabili nel governo del territorio, ovvero quell�insieme composito di attivit� svolte da soggetti pubblici di varia natura che incidono fortemente nella definizione di un determinato assetto territoriale (ad es., servizi pubblici a rete e approntamenti infrastrutturali) (14). Non � tuttavia mancata una tesi minoritaria tendente a ravvisare, nella riforma costituzionale, nulla pi� che una mera interpolazione lessicale, volta ad adeguare la terminologia dell�art. 117 al suo mutato �significato di disciplina avente ad oggetto l�intero territorio, indipendentemente dal grado della sua urbanizzazione� (15). Proprio in ossequio alla rinnovata estensione delle finalit� che l�Amministrazione � chiamata a perseguire in sede pianificatoria, la giurisprudenza ha avvertito che le scelte urbanistiche destinate a tutelare l�ambiente, anche quando consistono nell�imprimere ad un�area il connotato di zona agricola o di verde privato, non richiedono una diffusa analisi argomentativa con riguardo al valore dell�ambiente, stante la sua copertura di rango costituzionale, offerta dall�art. 9 Cost. (Cons. St., Sez. IV, 19 gennaio 2000, n. 245) (16). In partico vazioni di A. D�ATENA, 2776 ss.; C. cost., 28 giugno 2004, n. 196, in Giur. cost., 2004, 1930 ss., con osservazioni di P. STELLA RICHTER, 2015 ss.; nonch�, da ultimo, con particolare riferimento ai rapporti fra materia urbanistica e tutela paesistico-ambientale: C. cost., 10 febbraio 2006, n. 51, in Giur. cost., 2006, 469 ss., con osservazioni di S. MANGIAMELI, 485 ss.; C. cost., 5 maggio 2006, n. 182, in Giur. cost., 2006, 1841 ss., con osservazioni di D. TRAINA, 1856 ss.. In tale prospettiva, viene in rilievo il confluire ineluttabile, nella materia del governo del territorio, delle esigenze di salvaguardia di valori costituzionali assoluti e non comprimibili quali il paesaggio, l�ambiente ed i beni culturali (cfr. da ultimo, Cons. St., Sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1461; Id., 12 giugno 2009, n. 3770; C. cost., 7 novembre 2007, n. 367). (13) Ex plurimis, S. AMOROSINO, Il �governo del territorio� tra Stato, regioni ed enti locali, in S. CIVITARESE MATTEUCCI, E. FERRARI, P. URBANI (a cura di), Il governo del territorio, Milano, Giuffr�, 2003, 139 ss.; P.L. PORTALURI, Poteri urbanistici e principio id pianificazione, Napoli, Jovene, 2003, 200 ss.. (14) Cos� T. BONETTI, Il diritto del �governo del territorio� in trasformazione, cit., 10. (15) Tale impostazione, per cui urbanistica e governo del territorio sarebbero da ritenersi concetti del tutto equivalenti, � riconducibile a P. STELLA RICHTER, I principi del diritto urbanistico, Milano, Giuffr�, 2006, 6 ss.. (16) Come chiarito dalla Corte costituzionale, infatti, i principi generali in materia ambientale e paesaggistica non possono esser disgiunti dagli artt. 9 e 117 della Costituzione, per cui deve essere data la prevalenza alla tutela del paesaggio non nel significato, meramente estetico, di �bellezza naturale�, ma come complesso dei valori inerenti il territorio naturale (cfr. C. Cost., 7 novembre 1994, n. 379), che � un bene �primario� ed �assoluto� (C. cost., 5 maggio 2006, nn. 182 e 183) e comunque una risorsa assolutamente limitata ed in via di esaurimento. Si aggiunga che �il piano regolatore generale, nell�indicare, tra l�altro, i limiti da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico, pu� disporre che determinate aree siano sottoposte a vincoli conservativi indipendentemente da quelli introdotti dalle amministrazioni competenti nel perseguimento della salvaguardia di cose di interesse storico, artistico e paesaggistico� (Cons. St., Sez. IV, 5 ottobre 1995, n. 781, in Riv. giur. edil., 1996, I, 341), e quindi �in sede di pianificazione urbanistica � consentita sia la ricognizione dei vincoli imposti in virt� di leggi speciali sia la costituzione di vincoli autonomi per la tutela di valori ambientali e pae CONTENZIOSO NAZIONALE lare, si � sostenuta la chiara valenza conservativa dei valori naturalistici propria della destinazione a verde privato, in considerazione del fatto che essa, salvaguardando �il polmone dell'insediamento urbano�, assume per tale via �la funzione decongestionante e di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano� (Cons. St., Sez. IV, 1� febbraio 2001, n. 420). Nel medesimo solco si muove quella giurisprudenza che riconosce, in ragione della necessit� di non consentire la totale consumazione del suolo nazionale, la possibilit� che gli strumenti urbanistici non siano sostenuti dalle tradizionali linee guida di espansione demografica o edilizia ma, al contrario, da linee guida esclusivamente rivolte al recupero ed alla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente (Cons. St., Sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2639). 6. I c.d. lotti interclusi. Il Consiglio di Stato si sofferma, poi, sul concetto di �lotto intercluso�, escludendone l�applicabilit� nel caso concreto. Tale fattispecie altro non � che una peculiare situazione di fatto che si realizza, secondo una pi� rigorosa impostazione, allorquando l�area edificabile di propriet� del richiedente: sia l�unica a non essere stata ancora edificata; si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni; sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione (primarie e secondarie), previste dagli strumenti urbanistici; sia infine valorizzata da un progetto edilizio del tutto conforme al PRG (Cons. St., Sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3699). In presenza di questi presupposti, anche nel caso in cui lo strumento urbanistico generale preveda che la sua attuazione debba aver luogo mediante saggistici considerati in una prospettiva specificatamente urbanistica� (Cons. St., Sez. IV, 14 maggio 2001, n. 2653, in Guida al dir., 2001, fasc. 30, 83). In altre pronunce si rinviene poi un�enunciazione del primato del valore ambientale e paesaggistico, rispetto al quale la stessa pianificazione urbanistica risulta recessiva; ne derivano alcuni corollari: �a) la tutela del paesaggio non � riducibile a quella del- l�urbanistica, n� pu� essere considerato vizio della funzione preposta alla tutela del paesaggio il mancato accertamento dell�esistenza, nel territorio oggetto dell�intervento paesaggistico, di eventuali prescrizioni urbanistiche che, rispondendo ad esigenze diverse, in ogni caso non si inquadrano in una considerazione globale del territorio sotto il profilo dell�attuazione del primario valore paesaggistico; b) l�avvenuta edificazione di un�area immobiliare o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall�intento di proteggere i valori estetici o culturali ad essa legati, poich� l�imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l�imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell�integrit� dello stesso; c) l�ambiente rileva non solo come paesaggio ma anche come assetto del territorio, comprensivo financo degli aspetti scientifico � naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona� (Cons. St., Sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246). A ulteriore conferma della prevalenza gerarchica della tutela del paesaggio rispetto al governo del territorio, sovvengono altres� gli artt. 143 ss. del D. Lgs. 42 del 2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio, a norma dei quali gli strumenti urbanistici sono tenuti a rispettare, a pena di illegittimit�, quanto previsto dalla pianificazione paesistica. In tal senso, v. anche G. SEVERINI, La tutela costituzionale del paesaggio (art. 9 Cost.), in S. BETTINI, L. CASINI, G. VESPERINI, C. VITALE, Codice di edilizia e urbanistica, Torino, UTET, 2013, 34. un piano di livello inferiore, si consente l�intervento costruttivo diretto, ovvero in mancanza di un titolo edilizio rilasciato dopo che lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed efficace. Purch� si accerti la sussistenza di una situazione di fatto perfettamente corrispondente a quella derivante dall�attuazione del piano esecutivo, viene pertanto consentito l�esercizio diretto dello ius aedificandi, allo scopo di evitare defatiganti attese per il privato ed inutili dispendi di attivit� procedimentale per l�ente pubblico (Cons. St., Sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 268; Id., Sez. V, 3 marzo 2004, n. 1013). Tale esonero dal piano di lottizzazione previsto dal PRG trova il suo necessario presupposto in uno stato di fatto che consenta di prescindere dalla predisposizione dello strumento attuativo, in quanto lo stesso risulta non pi� necessario perch� lo scopo cui sarebbe destinato � gi� stato raggiunto. Ci� risulta in tutta la sua evidenza nell�ipotesi appena descritta di lotto intercluso, nella quale nessuno spazio potrebbe rinvenirsi per un�ulteriore pianificazione. Non � a questo assimilabile, invece, il caso di zone solo parzialmente urbanizzate, esposte al rischio di compromissione di valori urbanistici, nelle quali la pianificazione pu� ancora conseguire l�effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto, al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo (Cons. St., Sez. V, 5 ottobre 2011 n. 5450; Id., Sez. IV, 13 ottobre 2010 n. 7486; Id., Sez. V, 1� dicembre 2003, n. 7799). Tale essendo la ratio della regola sottesa alla fattispecie di lotto intercluso, il Consiglio di Stato ne esclude la ravvisabilit� nel caso di specie, dal momento che l�area oggetto del contenzioso, affacciando su due diverse strade (non risultando quindi interclusa su tutti i lati) e trovandosi in una zona non completamente urbanizzata, non pu� affatto ricadere nell�ambito di applicazione dei principi che regolano suddetta tipologia di area, poich� questi principi, data la loro natura eccezionale, non sono suscettibili di estensione analogica. 7. I parametri in base ai quali valutare la coerenza della scelta di zonizzazione operata in concreto. Con ulteriore motivo di diritto, il ricorrente lamenta inoltre la mancata considerazione della fissazione dei criteri di formazione e indirizzo del piano, con particolare riguardo alla necessit� di ricucire il tessuto urbano esistente attraverso il recupero degli spazi destinabili a servizi: tale criterio risulterebbe leso dalla tipizzazione a verde dell�area, precedentemente qualificata come zona di completamento e destinata ad edilizia residenziale. Altro gravame si appunta, invece, sulla violazione del principio di tipicit� degli atti amministrativi, posto che la destinazione a verde privato non rientra tra le destinazioni espressamente previste dall�art. 2 del D.M. n. 1444 del 1968. Preme innanzitutto porre in risalto un caposaldo formulato dalla giurisprudenza maggioritaria: il potere di pianificazione urbanistica, a maggior ragione in considerazione della sua ampia portata in relazione agli interessi CONTENZIOSO NAZIONALE pubblici e privati coinvolti, cos� come ogni potere discrezionale, non � sottratto al sindacato giurisdizionale, dovendo la pubblica amministrazione dare conto, sia pure con motivazione di carattere generale, degli obiettivi che essa, attraverso lo strumento di pianificazione, intende perseguire e, quindi, della coerenza delle scelte in concreto effettuate con i detti obiettivi ed interessi pubblici agli stessi immanenti (Cons. St., Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710). Ebbene, nel caso di cui ci si occupa, viene riscontrata una puntuale motivazione di carattere urbanistico-ambientale della scelta laddove, nella relazione illustrativa, si esprime la volont� di �ritrovare un equilibrio nuovo dotando il centro esistente delle infrastrutture e delle aree per verde e servizi necessari�, �operazioni per favorire spazi di sosta, per servizi e verde�. Anche il giudice di prime cure, del resto, rigettava la censura a mezzo della quale si lamentava la contraddittoriet� della nuova destinazione con la delibera di intenti, dal momento che, a ben vedere, in tale provvedimento di indirizzo, tra gli obiettivi generali, il Comune introduceva anche quello �di ricucire il tessuto urbano esistente, recuperando tutti i possibili spazi da destinare a servizi, con priorit� per il verde�, nonch� �di salvaguardare il patrimonio edilizio privato di carattere ambientale e artistico�. Questi obiettivi prioritari, ad avviso dei giudici amministrativi di entrambi i gradi di giudizio, sono ritenuti non contraddetti, bens� confermati dalla destinazione impressa in sede di attuazione del piano (17). (17) A tal riguardo, si ravvisa l�utilit� di indicare, a titolo esemplificativo, alcune fattispecie emblematiche di motivazione della zonizzazione agricola o a verde privato che hanno superato il vaglio di legittimit� del giudice amministrativo. In una recente pronuncia si � ritenuta puntuale ed esaustiva la motivazione della destinazione agricola impressa, come stabilito nella Relazione illustrativa della Variante, al fine di �assicurare maggiore continuit� con l�edificato esistente e minori costi per nuove opere di urbanizzazione, evitando la formazione di aree residuali tra gli insediamenti residenziali, di incerta vocazione� (Cons. St., Sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5665). In altra pronuncia viene in evidenza una fattispecie in cui un Consiglio comunale ha mantenuto per l�area di un privato la destinazione a verde privato vincolato, rigettando l�osservazione da questo proposta, considerando che era �rilevante il mantenimento di una pregevole area a servizio di un edificio gi� esistente�: tale valutazione effettuata dal- l�ente locale � stata in giudizio ritenuta non affetta da irragionevolezza, n� da errore di fatto, in quanto effettivamente l�area risultava non edificata e prospiciente ad un edificio di propriet� privata, configurandosi pertanto la possibilit� di ravvisare un rapporto di pertinenzialit� dell�area stessa rispetto agli edifici attigui (Cons. St., Sez. IV, 13 giugno 2013, n. 3262). Con riferimento invece alla legittimit� della scelta di contenere l�espansione edilizia, scelta rientrante nella sfera di libera determinazione dell�ente locale il quale � istituzionalmente rappresentativo di tutti gli appartenenti alla comunit�, ivi compresi i non proprietari di terreni, si � stabilito che, �anche sul piano logico-funzionale e del senso comune, la determinazione di cui sopra appare del tutto ragionevole e legittima al fine di prevenire che, come � capitato ad altri Comuni turistici, l�eccessiva antropizzazione del territorio � facendo venir progressivamente meno l�attrattiva paesaggistico-ambientale della localit� � finisca per nullificare l�interesse dei villeggianti e, di conseguenza, innescare una irrimediabile crisi del relativo settore� (Cons. St., Sez. IV, 13 luglio 2011, n. 4242). Un altro caso in cui della pianificazione urbanistica � venuta in rilievo non tanto la sua funzione di regolare l�assetto e l�utilizzazione del territorio, quanto piuttosto quella di indirizzare lo sviluppo dell�economia locale, � rappresentato dalla �scelta di escludere in via generale una nuova edificazione residenziale nel territorio del Comune di Cortina d�Ampezzo, salvo la circoscritta � opportuno sottolineare che nel sistema pianificatorio appena delineato emerge un atto, la relazione illustrativa del PRG, che, sebbene non fosse nemmeno previsto dalla legge urbanistica, svolge un ruolo fondamentale tanto sul piano istruttorio quanto su quello motivazionale, rivelandosi un parametro essenziale, se non l�unico, ai fini dell�accertamento della coerenza interna fra le risultanze istruttorie e la concreta decisione adottata in sede di pianificazione (18). Venendo poi alla denunciata violazione del principio di tipicit� degli atti amministrativi, essa riceve confutazione pi� esplicita nella sentenza di primo grado, laddove si esclude l�atipicit� della zona �verde privato�, che viene qualificata come una sottospecie della zona agricola di cui alla lett. E), art. 2, D.M. 1444 del 1968. Si aggiunge, tuttavia, che la destinazione a verde privato di un'area �non postula necessariamente l'esistenza della effettiva vocazione agricola della stessa, dato che siffatta classificazione ha una pi� generale finalit� di provvedere - mediante il divieto di edificazione ovvero la possibilit� di edificazione in termini estremamente limitati - ad orientare gli insediamenti urbani e produttivi in determinate direzioni, ovvero di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale� (T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. I, 28 settembre 2005, n. 4374). Non � dato quindi riscontrare alcuna tipizzazione abnorme o extra ordinem, atteso che il verde privato viene a svolgere una funzione di riequilibrio del tessuto urbano, conservando adeguati spazi liberi da edificazione, senza sottrarre al proprietario l�utilizzo del bene, funzione del tutto compresa nelle potest� pianificatorie dell�ente comunale. 8. L�abusato appello alla naturale vocazione edificatoria delle aree. Viene censurata dal proprietario dell�area in questione, infine, la mancata considerazione della naturale vocazione edificatoria della stessa, in quanto avente le caratteristiche di cui alle zone B disciplinate dall�art. 2 del D.M. n. deroga per nuove edificazioni da eseguirsi sulle sole aree di propriet� comunale e regoliera e destinate ad abitazione per i residenti�. Ad avviso del Supremo Consesso di giustizia amministrativa, �lo strumento urbanistico � stato, dunque, utilizzato dal Comune � cos� come condivisibilmente chiarito dal I giudice � al fine di definire, per un verso, il modello di sviluppo del proprio territorio, negandone una ulteriore �terziarizzazione� o utilizzazione per cd. �seconde case�; per altro verso, al fine di risolvere il problema abitativo dei cittadini residenti�, finalit� ritenute entrambe riconducibili al potere pianificatorio, in concreto esercitato secondo un modello di zonizzazione non �ancorato a rigide individuazioni territoriali e/o per direttrici di sviluppo�, bens� mirato a �individuare diversamente le �zone omogenee� �, limitando lo specifico sviluppo edilizio voluto alle sole aree il cui regime di propriet� ne sia garanzia di realizzazione (Cons. St., Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710). Si segnala infine un�altra scelta urbanistica, volta a privilegiare l�espansione edilizia in zone gi� urbanizzate ma non immediatamente centrali, anch�essa considerata immune da alcun profilo di irrazionalit�, in quanto coerente con i criteri tecnico-urbanistici assunti per la redazione del Progetto di PRG e con il prefissato intento di attuare la salvaguardia di alcune aree interne al centro storico che costituiscono gli orti e i giardini esistenti, in un�ottica di tutela dei valori ambientali, di recupero di una migliore vivibilit� del Paese e di decongestionamento della viabilit� (Cons. St., Sez. IV, 4 marzo 2003, n. 1191). (18) In tal senso, cfr. B. BOSCHETTI, La discrezionalit� delle scelte di pianificazione generale tra fatti e limiti normativi, in Urbanistica e appalti, 11/2011, 1360 ss.. CONTENZIOSO NAZIONALE 1444 del 1968. A tal riguardo i giudici amministrativi contestano, in primo luogo, l�impiego nel caso de quo della nozione di naturale vocazione edificatoria, poich� essa postula la preesistenza di un�edificabilit� di fatto ed � quindi concetto proprio alle sole vicende espropriative. In secondo luogo, viene rilevato come le caratteristiche dell�area risultino del tutto chiare nella relazione illustrativa del PRG impugnato, contenente, come gi� affermato in primo grado, �dati puntuali circa la tipologia della zona, caratterizzata dall�esistenza di numerose ville e giardini con valenza architettonica e/o ambientale rilevante (come, indubbiamente, quelli di propriet� del ricorrente)�. Giova rammentare, inoltre, che la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire che la censura con cui si lamenta la pretermissione della vocazione edificatoria di un�area sconta una configurazione di tale vocazione di tipo strettamente �edilizio�, nel senso di offrirne una lettura limitata al solo aspetto dello �sviluppo edilizio� e in contraddizione con la pi� ampia gamma di finalit� pubblicistiche cui invece risponde il potere conformativo della propriet� privata (Cons. St., Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710). D�altra parte, si � altres� precisato che �il proprietario terriero non pu� lamentarsi del fatto che in aree limitrofe alla propria sono state autorizzate costruzioni sotto il vigore di precedenti strumenti urbanistici, in quanto il piano regolatore pu� rallentare l'utilizzazione edilizia delle aree mediante l'imposizione di vincoli di inedificabilit� su aree libere, attraverso la creazione di aree verdi. Tale potest� trova il limite della macroscopica irragionevolezza delle scelte effettuate che sussiste quando il contrasto tra lo stato di fatto e la destinazione urbanistica a verde sia, per l'area interessata, di assoluta ed indiscutibile evidenza, [�] come si verificherebbe se ci trovassimo di fronte ad una zona industriale ad alta densit� abitativa o caratterizzata da infrastrutture ad alto impatto ambientale. A ci� si aggiunge che l'intento di salvaguardare le pregevoli qualit� paesaggistiche ed ambientali di un'area mediante la creazione di un vincolo a verde secondo la giurisprudenza non pu� essere vanificato dall'affermazione che gran parte delle aree limitrofe siano state edificate, poich� l'avvenuta parziale compromissione del sito rende ancor pi� giustificata la cristallizzazione delle potenzialit� edificatorie nelle aree residue edificate e non� (TAR Lombardia Milano, Sez. IV, 9 settembre 2011, n. 2199). Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza 21 dicembre 2012 -Pres. Paolo Numerico, Est. Diego Sabatino - C.C. (avv.to Giovanni Pellegrino) c. Regione Puglia, Comune di Monteroni di Lecce (n.c.) DIRITTO 1. - L�appello non � fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati. 2. - Con il primo motivo di diritto, rubricato in tre distinti sottopunti, l�appellante lamenta l�erroneit� della sentenza del T.A.R. in relazione: alla mancata pronuncia sulla prima censura nel ricorso introduttivo, dove si � sindacata l�irrazionalit� della destinazione impressa alle aree di propriet� dell�appellante, non avendo il TAR valutato come tale imposizione di fatto venisse a precludere qualsiasi utilizzo edificatorio dell�area; all�irragionevolezza ed atipicit� della qualificazione come zona destinata �a verde privato� come �sottospecie della zona agricola�, in contrasto con i criteri generali valevoli per la redazione del piano e con la riserva di legge sui limiti apponibili alla propriet� privata; alla non configurabilit� di una normale zonizzazione riguardante un�area, stante la carenza delle caratteristiche proprie di tale tipologia di area. 2.1. - Le doglianze non possono essere condivise. Occorre osservare come il giudice di prime cure abbia fatto precedere la disamina dei singoli punti di doglianza con una premessa teorica di carattere generale. In particolare, con un esame del tutto in linea con i principi e i criteri seguiti dalla giurisprudenza, ha evidenziato come le scelte urbanistiche costituiscano apprezzamenti di merito, e quindi sottratte al sindacato di legittimit� con l�eccezione di quelle inficiate da errori di fatto o da incongruit� argomentativa. Sulla scorta di tale premessa, va condivisa l�affermazione per cui le scelte sulla destinazione di singole aree sono congruamente motivate facendo riferimento alle ragioni evincibili dai criteri generali seguiti nell'impostazione del piano regolatore, ossia emergenti dalla relazione illustrativa del piano. Al contrario, la necessit� di altri e pi� incisivi profili motivazionali pu� essere rinvenuta solo nei casi in cui preesistano particolari situazioni che abbiano creato aspettative o affidamenti, e che quindi, stante l�esistenza di posizioni soggettive meritevoli di specifica considerazione, debbano ricevere una pi� compiuta valutazione. Tuttavia, tali situazioni, lungi dall�essere riscontrabili in qualsiasi situazione peggiorativa, hanno il loro referente in situazioni oramai tipizzate dalla interpretazione giurisprudenziale (si pensi al superamento degli standards urbanistici minimi, alla lesione dell'affidamento qualificato del privato in rapporto a precedenti convenzioni di lottizzazione, agli accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, alle conseguenze da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 11 settembre 2012 n. 4806). Sulla base di tale ricostruzione, e sulla non contestata affermazione che nel caso in esame non ricorre nessuna di tali ipotesi, il T.A.R. ha potuto ravvisare in capo al ricorrente unicamente una generica aspettativa ad una non reformatio in peius, tale da non giustificare n� una particolare tutela, n� un obbligo di pi� puntuale motivazione. La conclusione di tale iter argomentativo � stata quindi nel senso di non poter spingere il proprio sindacato fino al merito delle scelte urbanistiche operate, che rientrano nell'ambito della discrezionalit� degli organi preposti all'adozione e approvazione del piano. Deve pertanto evidenziarsi che, al contrario di quanto dedotto in appello, il T.A.R. abbia correttamente spiegato le ragioni per cui non ha valutato i profili d�irrazionalit� censurati, atteso che gli stessi o ricadono in un ambito sottratto alla disamina giurisprudenziale oppure, come si vedr� in seguito, ricadono in altri aspetti di doglianza, partitamente esaminati. Conseguentemente, non pu� dirsi immotivata la scelta di procedere ad una classificazione dell�area a �verde privato�, stante l�inesistenza di una posizione particolarmente qualificata a non subire destinazioni peggiorative. Deve condividersi l�assunto del primo giudice che, sulla base del principio generale, ha applicato la stessa tecnica di giudizio anche al caso in specie, atteso che il passaggio dalla destinazione edificatoria, prevista dal previgente piano, a quella di tipo agricolo all�interno di una pi� ampia zona omogenea con carattere edificabile altro non � che un�applicazione in concreto di quanto sopra evidenziato; n� la circostanza dedotta � tale da fare mutare la ratio applicativa sottostante. CONTENZIOSO NAZIONALE Anche in questo caso, infatti, la destinazione a verde privato non richiede motivazione specifica. E, infatti, opportunamente deve farsi ricorso a quella giurisprudenza che ha evidenziato come all�interno della pianificazione urbanistica possano trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessit� di evitare l'ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi. Infatti, l�urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialit� edificatorie connesse al diritto di propriet�, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialit� edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunit� ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunit� radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s'intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione de futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunit� medesima, con le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, con la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 10 maggio 2012 n. 2710). Non � dato quindi riscontrare alcuna tipizzazione abnorme o extra ordinem nella vicenda de qua, atteso che il verde privato viene a svolgere una funzione di riequilibrio del tessuto edificatorio, del tutto compresa nelle potest� pianificatorie dell�ente comunale, come peraltro precisamente motivato nella relazione illustrativa, dove si fa riferimento all�intento di �ritrovare un equilibrio nuovo dotando il centro esistente delle infrastrutture e delle aree per verde e servizi necessari�. Proprio la funzione svolta rende corretta la risposta data dal giudice di prime cure, il quale ha inquadrato la destinazione a verde privato in un�ottica pi� comprensiva, utilizzabile anche al fine di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale. Conseguentemente, va respinto anche il terzo profilo del motivo, stante la rilevanza funzionale della destinazione di zona a verde privato. 3. - Con il secondo motivo di diritto, viene gravata la censura sub B) del primo motivo di diritto, sollevata in tema di carenza motivazionale sulla scelta di tipizzazione peggiorativa nei confronti dell�area, evidenziando come le ragioni addotte mostrino una ostilit� verso il ricorrente e una parzialit�, non avendo considerato la posizione interclusa del fondo. 3.1. - La doglianza non ha pregio. Come sopra evidenziato, la situazione del fondo escludeva la necessit� di una motivazione di particolare puntualit�. N� peraltro pare condivisibile la lettura della detta area come lotto intercluso, attesa la funzione eccezionale di tale concetto (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 10 giugno 2010 n. 3699 e tale quindi da escludere l�estensione analogica della sua applicazione) e la tipologia dell�area (che, affacciando su due diverse strade, non pare riconducibile a tale ambito). In ogni caso, va ricordato come la nozione di �lotto intercluso� abbia una sua valenza quando non si rinvenga spazio giuridico per un'ulteriore pianificazione, mentre non � applicabile nei casi, come quello in esame, di zone solo parzialmente urbanizzate, esposte al rischio di compromissione di valori urbanistici, nelle quali la pianificazione pu� ancora conseguire l'effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto (Consiglio di Stato, sez. V, 1 dicembre 2003, n. 7799). La particolare posizione, come evidenziata dalla parte appellante, non rientra quindi, come si ripete, tra quelle a cui la giurisprudenza connette una situazione di particolare affidamento, per cui le ragioni sopra esposte e la considerazione di una avvenuta corretta giustificazione delle scelte addotte possono essere pienamente richiamate. 4. - Con il terzo motivo di diritto, si lamenta la mancata considerazione della fissazione dei criteri di formazione e indirizzo del piano, dati con delibera n. 54 del 13 febbraio 1989, con particolare riguardo alla necessit� di ricucire il tessuto urbano esistente attraverso il recupero degli spazi destinabili a servizi, criterio leso dalla tipizzazione a verde dell�area. La detta ragione di doglianza trova poi adeguata precisazione nel quarto motivo di ricorso (pag. 11 del- l�appello e tuttavia rubricato con il n. 3), dove viene censurata la mancata considerazione della destinazione di area come zona di completamento, secondo quanto previsto nel vecchio PPA del Comune, nonostante che i criteri generali prevedessero la conservazione di tali prescrizioni per il restante periodo di validit�. 4.1. - La doglianza non pu� essere condivisa. La contraddittoriet� evidenziata, in rapporto a due diversi criteri generali, non � evincibile dalla lettura degli atti. Va, infatti, ribadito come la delibera di intenti contenga, tra gli obiettivi generali, proprio quello �di ricucire il tessuto urbano esistente, recuperando tutti i possibili spazi da destinare a servizi, con priorit� per il verde�, nonch� �di salvaguardare il patrimonio edilizio privato di carattere ambientale e artistico�. La scelta pianificatoria appare quindi del tutto coerente con le priorit� fissate. 5. - Con il quinto motivo (pag. 13 dell�appello e tuttavia rubricato con il n. 4) si censura la mancata considerazione della naturale vocazione edificatoria delle aree in questione, in quanto aventi le caratteristiche di cui alle zone B di cui all�art. 2 del D.M. n. 1444 del 1968. 5.1. - La doglianza non ha pregio dogmatico. In disparte la contestabilit� dell�impiego in questa sede della nozione di naturale vocazione edificatoria (che postula la preesistenza di una edificabilit� di fatto ed � quindi concetto impiegato propriamente nelle sole vicende espropriative), stante la sottoposizione di ogni attivit� edilizia alle scelte pianificatorie dell�amministrazione, occorre rilevare come le caratteristiche dell�area risultino del tutto chiare nella relazione illustrativa, dove si evidenziano le caratteristiche dell�area in rapporto alle costruzioni esistenti. 6. - L�appello va quindi respinto. Nulla per le spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, cos� provvede: 1. Respinge l�appello n. 10252 del 2005; 2. Nulla per le spese. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall�autorit� amministrativa. Cos� deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2012. CONTENZIOSO NAZIONALE Il principio di concorrenza come limite agli accordi tra pubbliche amministrazioni (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sentenza 8 aprile 2013, n. 3517) Antonio Vincenzo Castorina* SOMMARIO: 1. Premessa - 2. I soggetti degli accodi tra pp.aa. - 3. L�oggetto della cooperazione tra pubbliche amministrazioni - 4. Conclusioni. 1. Premessa. Il moltiplicarsi delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici, con la loro conseguente attribuzione a soggetti distinti, e la necessit� di garantire una partecipazione effettiva degli amministrati, hanno determinato la necessit� di un sempre pi� dettagliato coordinamento tra pubbliche amministrazioni, tradottosi nell�utilizzo dello strumento degli accordi (1). Non a caso la norma che stabilisce il potere di concludere accordi tra amministrazioni (2) � stata inserita nel capo IV della legge sul procedimento amministrativo, ovvero nella sezione relativa alla semplificazione procedimentale, a differenza degli accordi integrativi o sostituitivi (3) del provvedimento, collocati nel capo relativo alla partecipazione procedimentale. La ratio che si pone a fondamento degli accordi tra diverse amministrazioni pubbliche (4) trova riscontro nella circostanza che il pubblico interesse si presenta, sotto il profilo delle amministrazioni che devono provvedere alla sua tutela, non come un'entit� unitaria, ma come una realt� frazionata, in quanto ciascuna organizzazione amministrativa se ne occupa sotto uno specifico profilo. In numerosi casi solo il positivo esercizio di pi� poteri amministrativi autonomi consente il raggiungimento dei risultati prefissati, e l'accordo tra le amministrazioni interessate costituisce il migliore strumento per garantire una forma di coordinamento idonea al soddisfacimento del pubblico interesse ovvero dei differenti interessi pubblici, di cui sono portatrici le amministra (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. L�articolo pur effettuando una analisi seria ed approfondita della questione, non corrisponde alla linea della Avvocatura dello Stato e della Rassegna, attesa la libert� delle pubbliche amministrazioni di non ricorrere al mercato, soprattutto allorch� si presentino rilevanti profili d�interesse pubblico o di gestione di pubblici servizi (ad es. presenza attiva nel mercato, iniziative �strategiche�, necessit� di mantenere in settori complessi �enti di paragone�). (1) C. Conti Reg. Puglia, Sez. giurisd., 21 marzo 2003, n. 244 in www.cortedeiconti.it. (2) Art. 15 L. 241/1990. (3) Art. 11. L. 241/1990. (4) F. MANGANARO, Rilievi sugli accordi tra pubbliche amministrazioni, in Scritti per Enzo Silvestri, Milano, 1992, p. 337 e ss.. zioni interessate, in conformit� al principio di buon andamento sancito dall�art. 97 della Costituzione. La pronuncia in commento sorgeva dal ricorso proposto dalla Associazione Elicotteristica Italiana per l�annullamento della determinazione dirigenziale del Capo del Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale n. 256 del 28 marzo 2012 e dello schema di accordo ai sensi dell�art. 15 L. 241 del 1990 tra il Corpo forestale dello Stato e il Capo della Polizia locale. In particolare, l�accordo aveva ad oggetto l�attivit� di monitoraggio e controllo del territorio di Roma Capitale. L�Associazione elicotteristica italiana, che ha la finalit� di promuovere l�uso degli elicotteri presso amministrazioni locali, esaminando ogni provvedimento amministrativo che coinvolga gli operatori economici del settore, lamentava l�illegittimit� del suddetto accordo in quanto viziato da eccesso di potere per violazione dei principi in materia di gare pubbliche e di libera concorrenza per il mercato e poich� erano stati erroneamente applicati al caso di specie l�art. 15 della L. n. 241/1990, gli articoli 1, 2 e 19 del D.Lgs. n. 163/2006, 1 e 2 della L. n. 36/2004 e infine l�art. 18 della direttiva CE n. 18 del 2004. Le ragioni che fondavano il ricorso di parte attrice vertevano principalmente sull�assunto che tramite la collaborazione tra la Polizia Locale e il Corpo forestale dello Stato, viziata in quanto carente dei parametri di legittimit� previsti dalla legge, era stata di fatto elusa la normativa in materia di appalti pubblici. L�analisi della decisione in commento permette di evidenziare il recepimento da parte del giudice nazionale dell�orientamento della Corte di Giustizia (5) che ha elevato la concorrenza a principio prevalente nel noto bilanciamento di valori che il giudice del caso concreto ha l�obbligo di compiere nel dirimere controversie, anche quando difficolt� di natura organizzativa indurrebbero ad un pi� conveniente affidamento diretto (6). L�evoluzione giuridica nazionale degli ultimi venti anni, a seguito del- l�armonizzazione del diritto europeo, ha quindi sollevato numerosi interrogativi riguardanti il rapporto tra la c.d. amministrazione autoritativa e amministrazione concertata. Il dibattito, a causa della genericit� della norma, � quindi rivolto a comprendere, in prima battuta, l�individuazione dei requisiti che legittimano il ricorso a procedure di cooperazione tra pubbliche amministrazioni, e in seguito, comprese le ipotesi suddette, in quali casi essi non siano in contrasto con le norme europee in tema di concorrenza. 2. I soggetti degli accordi tra pp.aa. La costante evoluzione dell�ordinamento positivo ha indotto l�attivit� amministrativa verso modelli che possono essere definiti di amministrazione negoziale o concertata, intesi come sistemi organizzativi rivolti a coinvolgere (5) Corte di Giustizia UE, Grande sezione, 19 dicembre 2012, n. 159 in www.dejure.it. (6) Cons. St., Sez. V, 25 novembre 2010, n. 8231 in www.giustizia-amministrativa.it. CONTENZIOSO NAZIONALE due o pi� soggetti pubblici in modo coordinato, in vista del perseguimento di obbiettivi comuni e omogenei, i quali si pongono in alternativa rispetto agli strumenti dell�amministrazione tradizionale di tipo autoritativo (7). In tale ottica, l�azione amministrativa isolata si dimostra sempre pi� insufficiente rispetto al perseguimento dell�interesse pubblico. Non a caso parte della dottrina (8) evidenzia la perdita di centralit� del provvedimento amministrativo e il cedimento dell�unilateralit� come tratto qualificante, in favore della moltiplicazione dei modelli di intese ed accordi (9). L�accordo tra soggetti pubblici deve essere quindi inteso come strumento di unificazione rispetto ad assetti organizzativi disgregati, tuttavia � bene precisare come essi possono essere intesi anche come ausilio ad un sistema organizzativo che, pur non aspirando ad assumere una veste completamente unitaria, miri a garantire in determinati settori una certa unit� di intenti ed azioni (10). Un�analisi storica sarebbe in grado di fornire ipotesi in tal senso, dimostrando il profondo radicamento di questa disciplina, che solo un difetto di prospettiva potrebbe indurre a ritenere caratteristica dell�epoca moderna (11). Oggi, a seguito della entrata in vigore della L. n. 241/1990, il legislatore ha individuato un generale strumento dell�azione amministrativa, il cui utilizzo � rimesso al libero apprezzamento della pubblica amministrazione, ed il cui contenuto, stando alla lettera, � apparentemente libero nelle modalit� di attuazione, purch� indirizzato alla realizzazione dell�interesse pubblico. La legge sul procedimento amministrativo, come precedentemente accennato, disciplina all�art. 15 gli accordi tra pubbliche amministrazioni. La norma dispone quanto segue: �1. Anche al di fuori delle ipotesi previste dal- l'articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivit� di interesse comune. 2. Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall'articolo 11, commi 2 e 3. 2-bis. A fare data dal 1� gennaio 2013 gli accordi di cui al comma 1 sono sottoscritti con firma digitale, ai sensi dell' articolo 24 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 , con firma elettronica avanzata, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera q-bis), del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ovvero con altra firma elettronica qualificata, pena la nullita' degli stessi. Dall'at (7) E. STICCHI DAMIANI, Attivit� amministrativa consensuale e accordi di programma, Giuffr�, Milano, 1992, p. 33 e ss.. (8) R. FERRARA, Gli accordi tra i privati e la pubblica amministrazione, Giuffr�, Milano, 1985, p. 137. (9) G. GRECO, Accordi amministrativi tra provvedimento e contratto, Giappichelli, Torino, 2004, passim. (10) N. BASSI, Gli accordi fra soggetti pubblici nel diritto europeo, Giuffr�, Milano, 2004, p. 3. (11) L. MANNORI-B. SORDI, Storia del diritto amministrativo, Laterza, Roma-Bari, 2001, p. 12. tuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. All'attuazione della medesima si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente�. Come emerge dal testo dell�articolo, gli accordi costituiscono l�incontro di volont� di due o pi� amministrazioni, nonch� la compensazione tra vari interessi pubblici coinvolti. Tale intesa non determina quindi la nascita di un nuovo soggetto giuridico rispetto agli enti partecipanti, trattandosi di una modalit� di amministrazione dell�interesse pubblico. La disciplina in esame deriva principalmente dall�art. 11 della L. n. 241/90 a cui si rimanda per disposizioni compatibili, il legislatore non ha quindi introdotto una disciplina completa degli accordi tra pubbliche amministrazioni limitandosi a prevedere la mera possibilit� di tale accordo seguito da un richiamo ai principi in materia di obbligazioni e contratti previsti dal codice civile. A ben vedere, tuttavia, il richiamo alle disposizioni dell�articolo 11 L. n. 241/90 � subordinato alla c.d. clausola di compatibilit�, il che comporta ampio spazio all�applicazione da parte dell�interprete. Per quanto riguarda l'accezione di �interesse comune� (12), la giurisprudenza prevalente ha fornito una lettura piuttosto ampia della nozione, coincidente con il perseguimento dell'interesse pubblico da parte degli enti partecipanti all'accordo conformemente ai loro scopi istituzionali, ivi compreso il caso in cui una pubblica amministrazione affidi a titolo oneroso ad altra pubblica amministrazione un servizio rientrante tra i compiti dell'ente. Tanto premesso, data la genericit� della norma, � opportuno richiamare specifiche ipotesi previste dalla legge per definire i confini e l�ambito di applicazione degli accordi tra pp.aa.. La principale figura legislativamente prevista di tali accordi � il c.d. accordo di programma (13). Il T.U.E.L. prevede uno strumento procedimentale ad applicazione generale per la definizione ed attuazione di opere, di interventi o di programma di intervento che richiedono, per la loro realizzazione, l�azione integrata o coordinata di comuni, provincie e regioni, di Amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici. A tale scopo il presidente della regione o il presidente della provincia o il sindaco promuove la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o pi� soggetti interessati, per garantire il coordinamento delle azioni e per determinare i tempi, le modalit�, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento. Al fine di concordare l�accordo viene convocata una conferenza tra i rappresentanti delle Amministrazioni interessate le quali esprimono il loro consenso unanime alla proposta di accordo. (12) A. DI MARIO, Il recesso tra amministrazioni abbandona l�autotutela in Urb. e App., 2005, 7, p. 837. (13) F.G. SCOCA, Accordi e semplificazione, 2008, p. 557 in Nuove autonomie. pu� verificarsi l�ipotesi (17) in cui l�accordo sia stipulato con una pubblica amministrazione che sia al tempo stesso qualificabile come operatore economico. Il recente orientamento della Corte di Giustizia (18) afferma che la qualit� di operatore economico debba riconoscersi, indipendentemente da uno scopo di lucro, dalla dotazione di un organizzazione di impresa o dalla presenza continua sul mercato. In tal senso (19) le disposizioni della �direttiva appalti� devono essere interpretate in modo tale da ammettere i soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono di una struttura organizzativa di un�impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali ad esempio le Universit� o istituti di ricerca, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi. Pertanto, solo nel caso in cui l�amministrazione aggiudicataria � contestualmente un operatore economico, dovr� applicarsi la disciplina sugli appalti pubblici; al contrario non rientra in tale ambito di applicazione un contratto tra una pubblica amministrazione ed un soggetto non inteso come operatore economico in senso stretto poich�, proprio in quanto soggetto fuori dal mercato non � in grado di alterarlo o di condizionare in negativo la disciplina della concorrenza nel settore di riferimento. Ai fini dell�applicazione della disciplina sugli accordi tra pubbliche amministrazioni, non � quindi sufficiente che l�attivit� oggetto dell�accordo sia erogata da una struttura pubblica, ma � necessario che la stessa sia priva di connotazioni imprenditoriali, ovvero che l�attivit� svolta non si collochi nel mercato e che conseguentemente non sia richiesto, in cambio di tali servizi, alcun tipo di remunerazione. In tale prospettiva la Commissione Europea (20) ha precisato che la cooperazione pubblico-pubblico non dovrebbe vedere nessuna partecipazione di soggetti privati, ovvero non dovrebbe investire entit� market oriented, vale a dire entit� che sono attive nel mercato della concorrenza con gli operatori privati, e comunque che lo scopo principale della cooperazione non deve essere di natura commerciale. Ulteriore pericolo risulta dalla possibilit� che l�ente con cui sia concluso l�accordo, affidi a sua volta a soggetti privati parte della realizzazione della prestazione dovuta (21), di fatto aggirando la disciplina sugli appalti pubblici. La nozione di amministrazione pubbliche richiamata dell'articolo 15 della L. n. 241/1990 va quindi desunta dalla definizione di amministrazione aggiudicatrice dettata dall'articolo 3 del codice dei contratti pubblici, in modo che il servizio che forma oggetto del partenariato pubblico-pubblico sia svolto (17) A. NICODEMO e G. NICODEMO, Nuovi canoni interpretativi per il partenariato pubblico- pubblico. Il Giudice Europeo si mostra rigoroso sulle ipotesi di collaborazione tra le PP. AA. in favore del principio di concorrenza, in www.giustamm.it. (18) Corte di Giustizia Europea, Grande Sezione, 19 dicembre 2012 n. 159 in curia.europa.eu. (19) Corte di Giustizia Europea, Sez. IV, 23 dicembre 2009 n. 305 in curia.europa.eu. (20) Libro Verde 2011 p. 23 in ec.europa.eu. (21) R. CARANTA, Accordi tra amministrazioni e contratti pubblici in Urb. e App. 4/2013. CONTENZIOSO NAZIONALE esclusivamente da autorit� pubbliche, fermo restando che, se interviene, invece, un coinvolgimento di privati o di imprese private esterne, deve sussistere per tutte le parti dell'accordo l'assoggettamento alle regole ed ai principi della evidenza pubblica. Tanto premesso, la soluzione fornita dal giudice europeo permette di comprendere come sia illegittimo l�accordo ex. Art. 15 L. n. 241/1990 stipulato con soggetti rientranti nella categoria dell�applicazione normativa degli appalti pubblici, bench� amministrazioni, ed il cui oggetto � incompatibile con i servizi menzionati dalla direttiva 2004/18/CE. 3. L�oggetto della cooperazione tra pubbliche amministrazioni. Le riflessioni della Corte di Giustizia precedentemente analizzate permettono di rivolgere l�attenzione al secondo aspetto, idoneo a far comprendere i margini entro cui l�amministrazione pu� stipulare accordi, ovvero l�oggetto dell�accordo. Bisogna perci� premettere che le regole che possono essere formulate per disciplinare l�ambito concorrenziale, possono ricondursi a due modelli alternativi: da un lato lo Stato stabilisce che in linea di principio le restrizioni della concorrenza sono lecite fino al momento in cui non intervenga un provvedimento amministrativo che le vieti; dall�altro lo Stato prevede una presunzione di illeceit� per tutti gli atti e condotte astrattamente idonee ad alterare il mercato concorrenziale. Ovviamente la scelta del primo o del secondo modello comporta notevoli conseguenze nel rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini in materia di tutela della concorrenza (22). Non sembra tuttavia potersi rinvenire nel nostro ordinamento una espressa norma che ponga il principio di concorrenza come limite alla stipulazione di accordi tra pubbliche amministrazioni, sicch� sembrerebbe potersi escludere che il suddetto principio si ponga in contrasto con l�art. 15 L. n. 241/1990. In realt� una lettura non miope del problema necessit� la presa in considerazione non semplicemente del dato letterale, ma di un�interpretazione sistematica che tenga conto, nel caso in esame, anche della disciplina nazionale comunitaria in materia di appalti. Il criterio per il quale la disciplina in materia di appalti deve essere applicata, in luogo dell�art. 15 della legge sul procedimento amministrativo, riguarda la tutela dell�interesse pubblico, per il cui raggiungimento l�Amministrazione deve rivolgersi al libero mercato. Sia la giurisprudenza nazionale che europea (23), non ostano alle ipotesi di realizzazione dell�interesse pubblico mediate strumenti di partenariato pubblico- pubblico, purch� tuttavia non sia invaso l�ambito in cui � possibile il ri (22) A. POLICE, Tutela della concorrenza e pubblici poteri, Torino, Giappichelli, 2007, p. 11. (23) Corte di Giustizia Europea, 13 novembre 2008, n. 324 in curia.europa.eu. corso a strumenti che favoriscono il libero mercato. � perci� necessario che il riconoscimento alle pubbliche amministrazioni di realizzare l�interesse pubblico in collaborazione con altri apparati pubblici sia connesso ai parametri forniti dall�UE al fine di evitare possibili patologie del sistema, proprio in quei settori oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore comunitario, come appunto � la libera concorrenza (24). Da ci� consegue che, bench� il diritto comunitario non impone in alcun modo alle autorit� pubbliche di ricorrere ad una particolare forma giuridica per assicurare in comune (25) le loro funzioni di servizio pubblico, una cooperazione tra autorit� pubbliche non pu� mettere in discussione l�obbiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, cosicch� nessun impresa privata venga posta in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti (26). A sostengo di tale tesi, la determinazione dell�Autorit� per la vigilanza sui contratti pubblici n. 7 del 21 ottobre 2010 (27) precisa che, sulla base della giurisprudenza comunitaria, l�impiego di strumenti convenzionali, previsti dall�art. 15. L. n. 241/1990, � ritenuto non elusivo della normativa sugli appalti pubblici, qualora vengano rispettati determinati requisiti. L�accordo deve perci� regolare la realizzazione di un interesse pubblico comune ai partecipanti, che hanno l�obbligo di perseguire come compito principale, da valutarsi in ossequio alle finalit� istituzionali degli enti coinvolti. L�accordo deve prevedere una reale divisione dei compiti di responsabilit�; � esclusa la remunerazione di un eventuale profitto in favore di un ristoro delle spese sostenute. Il ricorso all�accordo non pu� quindi interferire con il perseguimento dell�obbiettivo comunitario di armonizzazione della disciplina in tema di appalti pubblici, libera circolazione dei servizi e libera concorrenza. Ci� detto, risulta quindi infondata la censura secondo la quale nell�interpretazione dell�atto amministrativo deve essere tenuto in considerazione esclusivamente il mero nomen iuris assegnato dall�amministrazione emanante, poich� invero, rappresenta ius receptum, che sia necessario fare riferimento all�effettivo contenuto (28) dell�atto amministrativo e al potere che in concreto la p.a. ha esercitato attraverso la sua emanazione. Ponendo nuovamente l�attenzione sul dato normativo, � possibile notare come la legge fornisca un ulteriore elemento idoneo a circoscrivere l�ambito degli accordi tra pubbliche amministrazioni; infatti i suddetti accordi devono (24) S. VENANZI, Gli accordi tra Pubbliche Amministrazioni: l�elemento soggettivo salva la concorrenza, in giustamm.it. (25) Consiglio di Stato, Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6548 in giustamm.it. (26) Corte di Giustizia Europea, 9 giugno 2009, n. 480 in curia.europa.eu. (27) www.avcp.it. (28) Tar. Lazio, Roma, Sez. III, 17 giugno 2008 n. 5916; Tar Lomabrdia, Milano, Sez. I, 19 gennaio 2010, n. 74 in giustamm.it. CONTENZIOSO NAZIONALE essere rivolti a regolare l�interesse comune, in collaborazione tra le amministrazioni stesse. Proprio quest�ultimo dato, la collaborazione, presuppone l�esistenza di uno scambio di prestazioni tra le parti che, perci�, devono interessare direttamente l�attivit� funzionale di competenza di ciascuna amministrazione, proprio al fine di realizzare l�interesse pubblico perseguito. Quanto detto indica la condivisione non solo della responsabilit�, ma anche dei compiti da svolgere, secondo quanto pattuito tramite l�accordo. Nel caso in esame tuttavia si pu� rilevare, dalla struttura dell�accordo, da parte del Corpo forestale dello Stato un ruolo meramente ausiliare dell�adempimento dei compiti istituzionali del Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale, infatti quest�ultimo si limitava a inviare il proprio personale sugli elicotteri messi a disposizione dal Corpo forestale, ai fini dello svolgimento dell'attivit� di monitoraggio e controllo del territorio di propria competenza, senza prestare alcun servizio in favore del Corpo forestale, se non il ristoro delle spese da questo sostenute per il mantenimento del veicolo. Con particolare riferimento all�aspetto della remunerazione da parte del Corpo di Polizia di Roma pu� essere rilevato che, nel caso in esame, il corrispettivo era bilanciato dalla mera copertura delle spese sostenute per lo svolgimento del servizio richiesto, sicch� si pone il problema circa la configurabilit� di titolo oneroso anche della remunerazione prevista esclusivamente come copertura integrale dei costi. Il Tar, recependo l�orientamento comunitario (29), sposa una interpretazione estensiva di tale nozione, ovvero idonea a ricomprendere ogni tipo di remunerazione consistente in un valore di denaro. La mera assenza di profitto economico non rappresenta il carattere di gratuit� (30), tantՏ che l�accordo continua ad avere titolo oneroso in quanto l�amministrazione continua a erogare la somma di denaro pattuita. Rientrerebbero quindi nella categoria delle convenzioni onerose anche le stipulazioni di diverse forme di compenso che non lascino trasparire immediatamente uno scopo di lucro (31). Un contratto non pu� quindi esulare dalla nozione di appalto pubblico per il solo fatto che la remunerazione in esso prevista sia limitata al rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio convenuto. Di fatto, solamente un'interpretazione estensiva della nozione di titolo oneroso � idonea a salvaguardare l'effetto utile delle direttive comunitarie in materia di appalti, in quanto consente di evitare l'elusione della relativa normativa, attraverso la stipulazione di diverse forme di compenso che non lascino trasparire immediatamente uno scopo lucrativo dell'accordo. Il Tar dunque ritiene illegittimo l�accordo, non perch� concluso in viola (29) Corte di Giustizia Europea, Grande Sezione, 19 dicembre 2012 n. 159, op. cit. (30) Consiglio di Stato, Sez. V, 15 febbraio 2011, n. 966, in www.leggiditaliaprofessionale.it. (31) Corte di Giustizia Europea, 27 settembre 1988 causa C-263/86 in www.curia.europa.eu. zione delle disposizioni di cui al D.lgs n. 163/206 ma in quanto stipulato in difetto dei presupposti stabiliti dall�art. 15 L. n. 241/1990 nella parte in cui i compiti istituzionali di entrambe le amministrazioni contraenti non risultano realizzati contestualmente ed in collaborazione. 4. Conclusioni. Rimane aperto il dubbio, ancorch� risolto dal giudicante in senso negativo, riguardo l�effettiva compatibilit� del suddetto accordo con i principi di concorrenza anche nell�ipotesi in cui le modalit� fossero avvenute in collaborazione tra le due amministrazioni. Il sostegno di tale interrogativo � rappresentato, tra l�altro, dalla circostanza che il medesimo servizio, confluito successivamente nell�accordo tra pubbliche amministrazioni oggetto di ricorso amministrativo, era stato in precedenza fatto oggetto di una procedura aperta di evidenza pubblica, successivamente revocata per ragioni di difficolt� economica con la specifica indicazione della tipologia, riconducibile al numero 27 dell�allegato II B del codice degli appalti. Sembrerebbe quindi essersi pro- spettata l�ipotesi di un accordo formalmente stipulato ex. Art. 15 L. n. 241/1990 il cui oggetto tuttavia era tutelabile e quindi riconducibile ad una differente disciplina, ossia il D.lgs. n. 163/2006 e la direttiva 2004/17/CE. Non bisogna infatti dimenticare come le due discipline sono incompatibili tra loro sia dal punto di vista contenutistico che della finalit�, sicch� risulta di dubbia legittimit� la riproposizione di un accordo avente un oggetto identico rispetto la precedente gara ad evidenza pubblica. � bene chiarie che la tesi secondo cui la giurisprudenza europea abbia inteso censurare l�art. 15. L. 241/90 in relazione alla compatibilit� con il diritto comunitario risulta poco convincente in quanto il partenariato pubblico-pubblico viene pacificamente riconosciuto dalla sentenza Commissione/Germania (32) la quale ammette, in tema di rifiuti, la possibilit� che pi� enti si rivolgano ad altro ente pubblico. Oltretutto � possibile affermare che tale giurisprudenza rappresenta il risultato della naturale evoluzione giurisprudenziale (33) in tema dell�affidamento in house (34). Sembra tuttavia opportuno accogliere la tesi che nega l�accordo tra pubbliche amministrazioni come forma di collaborazione sempre consentita per la pi� efficiente ed economica gestione dei servizi pubblici, volta al coordinamento dell�azione di diversi apparati amministrativi ed, in quanto tale, alternativa rispetto alle procedure ad evidenza pubblica. Da quanto detto deriva che l�oggetto dell�accordo deve vertere non semplicemente nella realizzazione (32) Corte di Giustizia Europea, Grande Sezione, 9 luglio 2009 n. 480, op cit. (33) Corte di Giustizia Europea, Quinta Sezione, 18 novembre 1999, n. 107, in curia.europa.eu. (34) M. MAZZAMUTO, L'apparente neutralit� comunitaria sull'autoproduzione pubblica: dall'in house al Partenariato "Pubblico-Pubblico", Giurisprudenza italiana, 2013 p. 1415-1420. CONTENZIOSO NAZIONALE di un interesse pubblico comune, ma pi� dettagliatamente in un servizio non altrimenti rinvenibile nel mercato ed espressione della specifica attivit� della pubblica amministrazione con cui l�accordo � contratto. Se cosi non fosse, si dovrebbe dubitare anche della stessa compatibilit� della ratio posta a fondamento dell�art. 15 della legge sul procedimento amministrativo con la realizzazione dell�interesse pubblico sotteso allo strumento di cooperazione tra pubbliche amministrazioni previsto dal legislatore. La disciplina europea, in- vero, si pone al vertice della regolazione del procedimento amministrativo con particolare riferimento alla semplificazione amministrativa (35). Tale fenomeno si manifesta attraverso la spinta verso la liberalizzazione sostanziale delle attivit� economiche. Tenuto conto di tale osservazione, e ricordando che l�art. 15 � collocato nella sezione relativa alla semplificazione procedimentale, � possibile affermare che la soluzione all�interrogativo circa i limiti degli accordi tra pubbliche amministrazioni � rinvenibile facendo ricorso ai principi di semplificazione dell�attivit� amministrativa, che nello specifico si estrinsecano nel favorire la libert� di iniziativa economica rispetto all�accesso al mercato e non nel porre qualsivoglia tipo di preclusione tramite il ricorso al partenariato pubblico. Emerge quindi come la possibilit� da parte della pubblica amministrazione di selezionare lo strumento degli accordi tra pp.aa. come modalit� per il perseguimento dell�interesse pubblico sia circoscritta sia dalla tutela della concorrenza (36) che dalla stessa ratio sottesa all�istituto. Se si ammettesse perci� l�ipotesi di un accordo tra pubbliche amministrazioni che avesse ad oggetto un determinato servizio, concretamente erogabile da un operatore economico, verrebbe meno non solo la finalit� di semplificazione, ma si potrebbe produrre una grave distorsione del mercato, il che non � ammissibile in un ottica europea in cui gli operatori economici nazionali possono partecipare alla procedura aperte di quei Paesi che scelgono di procedere con gara. In particolare gli operatori economici nazionali si troverebbero ostacolati dalla stessa pubblica amministrazione per le ragioni sopra indicate e svantaggiati rispetto agli operatori economici che operano in altri paesi in cui non � prevista la possibilit� che un determinato servizio, suscettibile di essere erogato attraverso la previa gara ad evidenza pubblica, sia sottratto alla relativa disciplina. Nonostante il compito delle istituzioni europee, di fornire un quadro normativo che si possa bene adattare ai differenti sistemi giuridici degli Stati membri, sia di difficile soluzione a causa delle profonde differenze economiche e strutturali delle pubbliche amministrazioni dei singoli paesi, non pu� es (35) Corte Cost., 4 luglio 2006, n. 256, in www.cortecostituzionale.it. (36) Consiglio di Stato, Sez. V, 15 febbraio 2011 n. 966, Consiglio di Stato, 16 settembre 2011 n. 5207 in www.dejure.it. sere dimenticato che il processo di armonizzazione del diritto europeo mira a contemperare tali difficolt� tramite standard di tutela minimi. Il rischio del perpetuarsi di tali differenze, sia dal punto di vista della qualit� dell�agire amministrativo che delle modalit� di esercizio del potere (autoritativo/ consensuale) rischierebbero inoltre di provocare non solo un�evidente rallentamento dell�economia nazionale ma il venire meno del corretto perseguimento dell�interesse pubblico tramite il difficile bilanciamento tra interessi primari e secondari, il quale non pu� non tenere conto delle indicazioni di carattere comunitario. A ben vedere la possibilit� in capo alla pubblica di amministrazione di optare per il modello del partenariato pubblico-pubblico deve quindi coordinarsi con l�evoluzione della pubblica amministrazione definita �performance oriented�, ossia diretta al raggiungimento del risultato, sicch� attraverso l�attento rispetto del principio di concorrenza � possibile ottenere, tra l�altro, sia la tutela che l�incentivo per l�iniziativa economica privata. Bench� le direttive in materia di aggiudicazione di appalti realizzino, attraverso il sistema delle soglie, una precisa limitazione dell�ambito di applicazione della relativa disciplina solo con riferimento a quegli appalti che per il loro valore consentono di individuare un apprezzabile interesse ultranazionale, pu� ritenersi che, anche quando le pubbliche amministrazioni non sono vincolate al rispetto della direttiva, sono per� tenute a garantire il rispetto dei principi di non discriminazione e parit� di trattamento e trasparenza (37). Ci� vuol dire che, anche qualora si volesse prescindere dal diritto europeo, i principi fondamentali dell�attivit� amministrativa impongono alla p.a. procedente di garantire un determinato livello di tutela non solo ad eventuali offerenti, ma pi� generalmente al libero esercizio del mercato. Per altro verso � stato osservato da parte della dottrina (38), che l�esercizio del potere amministrativo, sia in forma consensuale che autoritativa, non implica sempre e necessariamente di demandare alle regole del mercato il compito di guidare le scelte amministrative, ma piuttosto cercare di dare soluzioni in modo razionale ed efficiente ai problemi di allocazione dei rischi e porre rimedio mediante selezione negoziata delle opzioni legalmente possibili, al fine di realizzare uno dei principi fondamentali che in situazione di conflitto di interesse devono presiedere al diritto amministrativo, ovvero far prevalere la �cosa pubblica� con il minimo sacrificio della parte privata (39). Sembrerebbe quindi ammissibile una deroga ai principi di concorrenza in tutti quei casi in cui sia possibile giungere, tramite il ricorso al partenariato pub (37) F. IERVOLINO, Accordi tra pubbliche amministrazioni, in www.giustamm.it. (38) R. MOREA, Gli accordi amministrativi tra �norme di diritto privato� e principi italo-comunitari, Edi, Napoli, 2008, p. 46. (39) G.D. ROMAGNOSI, Principi fondamentali di diritto amministrativo, Milano. Stamp. Maltesta, 1814, p. 16. CONTENZIOSO NAZIONALE blico-pubblico, ad una scelta che, da un lato comporti una efficiente ed economica azione amministrativa e dall�altro il minimo sacrificio da parte del privato. A ben vedere le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica e di un suo migliore utilizzo, assegnano al principio di buon andamento significati ulteriori rispetto a quelli in cui normalmente si declina. In particolare si � andata attuando una profonda rivoluzione dello stesso concetto di azione pubblica, che da esercizio conforme al dettato legislativo si � rivolto ad esigenze differenti definite di �attenzione al risultato�. Proprio l�utilizzo di tale terminologia ha generato non poche perplessit�, in particolar modo con riferimento al rapporto con il principio di legalit�, fondamento dell�agire amministrativo. In realt� bisogna ricordare che, se � vero che la pubblica amministrazione � chiamata a perseguire i fini predisposti dalla legge, ci� certamente non pu� non comportare il conseguimento del risultato prefigurato dalla legge. Da tali riflessioni emerge che �la logica del risultato� non si colloca al di fuori della norma, e quindi del principio di legalit�, ma al contrario attribuisce a quest�ultima un significato maggiormente coerente con l�esigenza di tutela degli interessi. In altri termini il risultato rappresenta nient�altro che la capacit� della pubblica amministrazione di realizzare e tutelare gli interessi per cui � stata prevista, sicch� pu� pacificamente essere riconosciuto come espressione implicita del buon andamento (40). L�azione amministrativa non pu� esercitarsi in modo arbitrario ed � sempre finalizzata al raggiungimento di determinati scopi, secondo un procedimento decisionale ragionevole e, trasparente, in misura pi� o meno articolata predeterminato dalla normativa. Essa deve tener conto degli interessi dei terzi, protetti dall�ordinamento (diritti o interessi legittimi) (41). Tali riflessioni non vogliono certo suggerire una indiscriminata preferenza per la scelta dell�operatore privato in luogo di quello pubblico, oltretutto, come attentamente osservato (42), � bene distinguere i casi in cui la Corte di Giustizia si � pronunciata in specifici casi difformi dal paradigma normativo di riferimento dalle ipotesi in cui dalla decisione possano desumersi linee guida per l�agire amministrativo. Tuttavia, a parere di chi scrive, una pubblica amministrazione efficiente ed efficace deve, in particolar modo qualora abbia la possibilit� di scegliere il modello consensuale dell�agire amministrativo, tenere in debita considerazione il ricorso al libero mercato e nei casi in cui l�attivit� non sia compatibile con tale scelta, utilizzare lo strumento degli accordi tra pp.aa. Le maggiori criticit� non sorgono certamente con riguardo ad attivit� (40) M. RENNA -F. SAITTA, Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffr�, Milano, 2012, p. 134. (41) V. CERULLI IRELLI, Innovazione del diritto amministrativo e riforma dell�amministrazione in www.giustamm.it. (42) G. FIENGO, Le regole europee in materia di appalti pubblici: nulla di nuovo dalla Corte con la sentenza 19 dicembre 2012, C-159/11 (... ?), Rassegna dell�Avvocatura di Stato, Vol. IV, 2012, p. 23. di carattere non economico, ma per le attivit� che potrebbero essere oggetto di interesse economico da parte di operatori privati. � bene chiarire tuttavia che l�ordinamento comunitario si � fino ad oggi astenuto dal pronunciarsi sulla libert� degli Stati membri di ricorrere al partenariato pubblico-pubblico o al mercato, rimandando la valutazione di compatibilit� con la disciplina di riferimento al giudice del caso concreto (43). La scelta del giudice di Lussemburgo potrebbe quindi voler indicare che tale giudizio di compatibilit� deve essere svolto proprio dal giudice del rinvio, l�unico idoneo a interpretare in modo corretto l�assetto di interessi in base al sistema giuridico/economico di riferimento. La sentenza in commento si colloca parzialmente in sintonia con la proposta di direttiva avanzata dal Parlamento Europeo e dalla Commissione (44) in materia di appalti pubblici, che verosimilmente, sostituendo le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE che rappresentano gli elementi fondamentali del quadro legislativo in materia di appalti pubblici dell'Unione europea, sar� la prossima disciplina di diritto positivo. Il testo (45) prevede che un accordo concluso tra due o pi� amministrazioni non si considera un appalto pubblico, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: l'accordo stabilisce un'autentica cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, che mira a far s� che esse svolgano congiuntamente i loro compiti di servizio pubblico e che implica diritti e obblighi reciproci delle parti; l'accordo � retto esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico; le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti non svolgono sul mercato aperto pi� del 10% - in termini di fatturato - delle attivit� pertinenti all'accordo; l'accordo non comporta trasferimenti finanziari tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti diversi da quelli corrispondenti al rimborso dei costi effettivi dei lavori, dei servizi o delle forniture; nelle amministrazioni aggiudicatrici non vi � alcuna partecipazione privata. Orbene, se il testo venisse confermato, la materia degli accodi tra pubbliche amministrazioni troverebbe un ulteriore riscontro normativo idoneo a dettagliare la lacunosa materia. Ci� detto, i criteri elaborati dalla commissione europea in realt�, come ampiamente evidenziato, rappresentano non altro che il risultato della recente evoluzione dottrinale e giurisprudenziale sul tema. Ulteriore elemento che necessita una precisazione � tuttavia la parziale deroga fornita dalla proposta di direttiva, riscontrabile nella lettera c) del citato articolo, il quale prevede la possibilit� che le amministrazioni svolgano nel mercato aperto non pi� del 10% in termini di fatturato delle attivit� inerenti (43) Corte di Giustizia Europea, Grande Sezione, 19 dicembre 2012 n. 159, in curia.europa.eu. (44) Proposta del Parlamento Europeo e del Consiglio, COM(2011) 896 def. in www.eur-lex.europa. eu (45) Art. 11 c. 4, COM(2011) 896 def. in www.eur-lex.europa.eu. CONTENZIOSO NAZIONALE l�accordo. Viene quindi confermato implicitamente che la disciplina degli accordi necessit� di una particolare attenzione per quanto concerne il rispetto delle regole in materia di pubblici appalti. � opportuno rilevale infine che l�interpretazione europea del tema risulta decisamente pi� elastica rispetto a quella nazionale chiarendo che �se si consentisse alle amministrazioni aggiudicatrici di rivolgersi - al di l� del settore del partenariato pubblico-pubblico - ad altre autorit� pubbliche al fine di ottenere prestazioni di servizi senza essere assoggettate alle prescrizioni della normativa in materia di aggiudicazione di appalti, sarebbe fondato il timore che queste ultime possano essere alla lunga eluse e con ci� verrebbe frustrato, in ultima analisi, l�obiettivo dell�Unione di assicurare la libert� di stabilimento e la libera prestazione dei servizi nonch� una concorrenza priva di restrizioni nel mercato interno. Al fine di impedire siffatto risultato, � necessario un rigoroso controllo dell�applicazione dei criteri stabiliti dalla Corte nella sentenza Commissione/Germania� (46). Permane quindi insita, quantomeno in ambito sovranazionale, la preoccupazione che tale istituto possa degenerare in una violazione del principio di concorrenza. In conclusione, tenendo bene a mente l�estrema difficolt� di armonizzare la disciplina in esame a causa delle ragioni sopra esposte, dal quadro delineato emerge che rispettando i limiti e confini dell�ambito di applicazione degli accordi tra pubbliche amministrazioni, � possibile realizzare il risultato per cui l�istituto � stato elaborato, ossia la collaborazione per attivit� di interesse comune. � per� necessario aggiungere che dando un rilievo solo marginale alla evoluzione comunitaria sul tema, i potenziali rischi sarebbero da un lato la violazione della c.d logica del risultato, come precedentemente spiegato riconducibile all�art. 97 Cost., dall�altro il depotenziamento dell�iniziativa economica del privato che vedrebbe sottratto alla propria disponibilit� una possibile quota del libero mercato. TAR Lazio, Roma, Sezione II, sentenza 8 aprile 2013 n. 3517 -Pres. L. Tosti, Rel. M. C. Quiligotti - Associazione Elicotteristica Italiana - A.E.I. (avv. F. Buonanno) c. Roma Capitale (avv. A. Graziosi); Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale, (n.c.); Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e Corpo Forestale dello Stato (avv. gen. Stato). FATTO Con la determinazione dirigenziale del Capo del Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale n. 256 del 28.3.2012 � stato approvato lo schema di accordo, ai sensi dell�articolo 15 della legge n. 241 del 1990, tra il Corpo forestale dello Stato (d�ora in poi soltanto CFS) e il Capo del (46) Conclusioni dell'avvocato generale Trstenjak del 23 maggio 2012, p. 90, C-159/11 in http://eur-lex.europa.eu. Corpo della Polizia locale (d�ora in poi soltanto CPL) avente ad oggetto l�attivit� di monitoraggio e controllo del territorio di Roma Capitale. L�Associazione elicotteristica italiana (d�ora in poi soltanto AEI), che ha lo scopo tra gli altri di promuovere l�uso degli elicotteri presso amministrazioni locali, esaminando ogni provvedimento amministrativo che coinvolga gli interessi dei soci, ossia la maggioranza degli operatori economici del settore, ha impugnato la determinazione deducendone l�illegittimit� per i seguenti motivi di censura: 1- Violazione e falsa applicazione dell�articolo 15 della legge n. 241 del 1990, degli articoli 1, 2 e 19 del d.Lgs. n. 163 del 2006, degli articoli 1 e 2 della legge n. 36 del 6.2.2004 e del- l�articolo 18 della direttiva CE 2004/18 ed eccesso di potere per violazione dei principi in materia di gare pubbliche e di concorrenza per il mercato, per difetto dei presupposti, per difetto di istruttoria, per sviamento e per illogicit� della motivazione. Non sarebbero stati rispettati i parametri di legittimit� del ricorso allo strumento della collaborazione tra pubbliche amministrazioni, e nello specifico allo strumento dell�accordo di cui all�articolo 15 della legge n. 241 del 1990, di cui alla determinazione dell�Autorit� per la vigilanza sui contratti pubblici- A.V.C.P. n. 7 del 21.10.2010, individuati al fine di evitare che si concretizzasse un�elusione della normativa in materia di appalti pubblici e dati da: -realizzazione di un interesse comune che costituisce compito principale per tutti i partecipanti secondo le relative finalit� istituzionali; -reale condivisione dei compiti e responsabilit�; -ristoro delle sole spese sostenute; -non ostacolo alla libera circolazione dei servizi. Dall�esame del testo dell�accordo e a prescindere dal protocollo ivi previsto, che non risulta ancora adottato, risulta, infatti, che nel caso di specie: - i compiti istituzionali del CFS e del CPL sono diversi e l�interesse perseguito � solo occasionalmente e parzialmente comune; - nello svolgimento dell�attivit� manca l�effettiva collaborazione del CPL con il CFS, atteso che il primo si limita a inviare il proprio personale, adeguatamente istruito al volo, sugli elicotteri messi a disposizione dal CFS, ai fini dell�attivit� di monitoraggio e controllo del territorio; - la controprestazione del CPL per il servizio svolto dal CFS, data dalla corresponsione della somma di euro 2.500,00 per ora di volo, costituisce il prezzo dell�attivit� prestata, peraltro ingente e non inferiore al prezzo praticato degli operatori privati sul mercato ( con contestuale richiesta di verificazione ai sensi dell�articolo 66 c.p.a.). Nella sostanza si tratterebbe di un mero artificio finalizzato all�elusione della normativa nazionale e comunitaria sugli appalti pubblici. La ricorrente contesta, altres�, punto per punto, tutte le argomentazioni spese nel provvedimento ai fini dell�approvazione dell�accordo di cui trattasi, deducendo, in particolare, che: -le caratteristiche e le dotazioni dell�aereo sarebbero profondamente diverse rispetto a quelle indicate in sede di gara ad evidenza pubblica nel bando avente ad oggetto il medesimo servizio, per lo stesso periodo temporale, successivamente revocato da parte dell�amministrazione comunale, nonostante il costo orario elevato; -si tratterebbe per il resto del medesimo servizio; - anche il precedente operatore, ossia la societ� Elifriulia s.r.l., operava dall�aeroporto di Roma Urbe; - non � chiarito nell�accordo in che modo e secondo quali modalit� si realizzerebbe il coordinamento dei voli tra CFS e CPL; CONTENZIOSO NAZIONALE -la conformit� al Patto Roma Sicura era assicurata anche dal precedente servizio appaltato ad una societ� elicotteristica privata. 2- Violazione e falsa applicazione degli articoli 4 e 5 del d.P.R. n. 633 del 1972 ed eccesso di potere per violazione dei principi in materia di libera partecipazione e di concorrenza per il mercato, per sviamento, per ingiustizia manifesta, per disparit� di trattamento e per illogicit� della motivazione. L�esenzione dal pagamento dell�IVA sarebbe illegittima in quanto ai fini assume valenza dirimente la natura dell�attivit� esercitata e non lo status giuridico dell�ente e, nel caso di specie, l�attivit� di monitoraggio del territorio per il controllo dell�abusivismo edilizio, degli insediamenti abusivi e del traffico veicolare, non rientrerebbero nelle finalit� istituzionali principali del CFS, con conseguente ulteriore violazione della disciplina comunitaria in materia di concorrenza e libero mercato. 3- Violazione e falsa applicazione degli articoli 744 e 748 del codice della navigazione, degli articoli 1 e 4 della legge n. 36 del 2004, del regolamento CE 1008/2008 ed eccesso di potere. Il CFS in quanto forza di polizia ad ordinamento civile detiene velivoli di Stato che utilizza a fini non istituzionali propri e, pertanto, dovrebbe adeguarsi alla normativa in materia di cui al codice della navigazione e ai regolamenti dell�ENAC e dell�EASA, assicurando il possesso di tutta la prevista certificazione, come peraltro richiesto nel bando della gara pubblica successivamente revocata. Roma Capitale si � costituita in giudizio in data 5.10.2012 e ha depositato memoria difensiva in data 2.11.2012, con la quale, dopo avere ripercorso le tappe salienti dell�intera vicenda, ha dedotto l�infondatezza nel merito del ricorso per le seguenti considerazioni: -le attivit� oggetto dell�accordo rientrerebbero tra i comuni compiti di polizia amministrativa e sarebbero complementari e sinergiche; - vi sarebbe una convergenza di interessi; -il CFS opererebbe anche nel proprio interesse; - la forma di ristoro indicata sarebbe a copertura solo parziale delle spese effettivamente sostenute dal CFS per ciascuna ora di volo; - l�esenzione dal pagamento dell�IVA sarebbe giustificata dalla circostanza che si tratta del- l�utilizzo di aeromobili di Stato, i quali, peraltro, sarebbero sottratti per legge alla normativa ENAC concernente i velivoli commerciali privati. Il Ministero delle politiche forestali, agricole e alimentari si � costituito in giudizio con comparsa di mera forma in data 17.10.2012. La ricorrente ha depositato memorie conclusive in data 21.12.2012 e 11.1.2013. Con la prima memoria, dopo avere ribadito le proprie difese, ha pi� approfonditamente trattato i motivi di censura anche alla luce delle difese dell�amministrazione comunale; in particolare, ha ulteriormente rilevato come i compiti principali di CFS e CPL siano diversi e come manchi una reale collaborazione all�attivit� da parte del CPL, il quale non presta alcun servizio in favore del CFS, trattandosi, nella sostanza, della prestazione di un servizio a pagamento da parte del CFS in favore del CPL; con la seconda memoria si �, inoltre, richiamata ai principi espressi, da ultimo, nella sentenza della Corte di Giustizia C-159/11 del 19.12.2012, insistendo sulla mancanza, nella fattispecie all�esame, di una funzione di servizio pubblico comune ad entrambe le amministrazioni contraenti. Alla pubblica udienza il ricorso � stato trattenuto per la decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da separato verbale di causa. DIRITTO 1- Si premette in rito che, sebbene non sia stata sollevata eccezione al riguardo dalle parti, nel caso di specie sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo adito. E, infatti, gli accordi tra pubbliche amministrazioni, stipulati ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 241 del 1990 hanno natura pubblicistica, costituendo strumenti di contemperamento di interessi pubblici e di esplicazione di poteri amministrativi funzionalizzati e l'azione diretta a far dichiarare l�illegittimit� e/o l�inefficacia di un accordo della detta tipologia rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'articolo 133, comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a., il quale, rubricato �Materie di giurisdizione esclusiva�, dispone testualmente che �1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: a) le controversie in materia di: � 2) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni; ��. 2- Con riferimento alla posizione sostanziale fatta valere deve ritenersi la sussistenza sia della legittimazione ad agire che dell�interesse a ricorrere, in quanto si tratta di un�associazione che rappresenta le imprese elicotteristiche, ossia le imprese operanti nello specifico settore, la quale ha, pertanto, evidentemente pieno interesse all�apertura del mercato relativo al servizio di monitoraggio del territorio comunale con elicotteri, realizzato attraverso il noleggio degli elicotteri con il conducente (negli esatti termini, sebbene con riferimento all�atto di intervento in giudizio della predetta associazione, TAR Liguria-Genova, sez. II, 30 ottobre 2008, n. 1925). 3- Per quanto attiene, infine, la tempestivit� del ricorso la ricorrente ha dichiarato di avere avuto piena cognizione dell�accordo di cui trattasi soltanto a seguito dell�inoltro della relativa documentazione da parte di una delle societ� ad essa associata in data 16.7.2012 e rispetto alla predetta data il ricorso, in quanto portato alla notifica in data 21.9.2012, � tempestivo. 4- Nel merito il ricorso � fondato per le considerazioni che seguono. 4.1- Si premette in punto di fatto quanto segue. Con il bando di gara, di cui alla determinazione dirigenziale del capo del Corpo della Polizia Municipale di Roma Capitale n. 1201 del 7.12.2011, pubblicato sulla G.U.R.I. n. 153 del 30.12.2011 e sulla G.U.C.E. n. S 249/2011 del 28.12.2011, � stata indetta la procedura aperta ad evidenza pubblica, da aggiudicarsi con il criterio dell�offerta economicamente pi� vantaggiosa, avente ad oggetto il servizio - ricondotto alla categoria di servizi n. 27-altri servizi- di �Noleggio di elicotteri con equipaggio�, per i compiti istituzionali del monitoraggio e controllo del territorio comunale, per il periodo di 24 mesi e con importo a base di asta di euro 3.840.000,00, oltre IVA. A seguito della revoca della gara ad evidenza pubblica per l�aggiudicazione del relativo servizio, disposta in conseguenza della particolare situazione di attuale difficolt� economica, con la finalit� specifica di ottimizzazione dei costi e di risparmio di spesa, con la determinazione dirigenziale del Comandante del Corpo della Polizia locale di Roma Capitale n. 356 del 28.3.2012, � stato approvato lo schema di accordo tra il Corpo della Polizia locale di Roma Capitale e il Corpo Forestale dello Stato per lo svolgimento del servizio di monitoraggio del territorio comunale con elicottero, dichiaratamente redatto ai sensi dell�articolo 15 della legge n. 241 del 1990, norma richiamata testualmente nell�epigrafe dell�accordo. Nella delibera � posto in evidenza che: - rientra nell�attivit� istituzionale del CPL la tutela della sicurezza urbana e stradale mediante CONTENZIOSO NAZIONALE azioni di prevenzione, controllo e repressione e mediante il servizio si � nel passato potuto ovviare a situazioni di criticit� concernenti, in particolare, discariche abusive, insediamenti abusivi dei campi nomadi, abusi edilizi e transito veicolare; -l�attivit� di presidio del territorio rientra anche nell�ambito di competenza del CFS, il quale dispone di una propria flotta di elicotteri, per il monitoraggio relativo, in particolare, all�accertamento della commissione di reati ambientali; - la collaborazione tra CPL e CFS consiste nella �condivisione del servizio di monitoraggio� attraverso la �collaborazione del personale� con la realizzazione di �voli coordinati unitamente al personale del CFS�; -�le modalit� e le condizioni dell�esecuzione del servizio� vengono dettagliate in un protocollo operativo successivamente siglato dalle parti; -la durata dell�accordo � di 30 mesi e prevede un minimo di 810 ore di volo nel suddetto periodo e per lo svolgimento dell�attivit� viene corrisposto al CFS, a titolo di �parziale ristoro delle spese sostenute� la complessiva somma di euro 2.025.000,00, non imponibile I.V.A. ai sensi di cui agli articoli 4 e 5 del d.P.R. n. 633 del 1972, basata sulla spese per ora di volo di euro 2.500,00, ritenuta congrua in relazione alle spese necessarie, �senza alcun margine di guadagno�. Lo schema di accordo allegato alla deliberazione - dopo avere individuato, nelle premesse, la �tutela dell�ambiente� come elemento essenziale per assicurare la sicurezza e la qualit� di vita del cittadino, per come tutelata dal III Patto per Roma sicura - ha dato atto della volont� di �effettuare un�attivit� congiunta per il monitoraggio e la tutela del territorio della Capitale relativamente ai compiti comuni ai due Corpi con modalit� che consenta il contenimento dei costi per entrambe le Amministrazioni�. E, di seguito, ha specificato che: -il CFS concorre nell�espletamento dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e di controllo e vigilanza del territorio; - � prioritaria per CFS e CPL l�attivit� di monitoraggio del territorio comunale per la prevenzione dei reati edilizi e dell�inquinamento ambientale; -il CFS si impegna - ai sensi degli articoli 3 e 4 dell�accordo- a rendere disponibile un elicottero per le attivit� di monitoraggio e controllo del territorio, protezione ambientale, sicurezza pubblica e altre attivit� attinenti ai comuni compiti istituzionali; - il CPL si impegna �ad effettuare un numero minimo di 800 ore di volo nel periodo � mettendo a disposizione un adeguato contingente di proprio personale� del reparto volo e assicura �l�idoneit� al volo del proprio personale imbarcato�, formato sulle procedure e norme di comportamento �in qualit� di passeggero�. 4.2- In punto di diritto si osserva invece quanto segue. 4.2.1- Gli accordi tra pubbliche amministrazioni sono essenzialmente preordinati al coordinamento dell'azione di diversi apparati amministrativi, ciascuno portatore di uno specifico interesse pubblico, e possono essere utilizzati come forma di collaborazione per la pi� efficiente ed economica gestione di servizi pubblici. L'accezione di interesse comune �, allo stato della giurisprudenza, piuttosto ampia e coincide, nella sostanza, con il perseguimento dell'interesse pubblico da parte degli enti partecipanti all'accordo conformemente ai loro scopi istituzionali. Atteso che, tuttavia, l'accordo tra pubbliche amministrazioni pu� anche comportare l'affidamento senza una gara di un servizio finalizzato all'esercizio della funzione, � necessario che il relativo intervento non sia incompatibile con i principi di concorrenza, trasparenza e non discriminazione che regolano il mercato degli appalti pubblici. Infatti il riconoscimento alle amministrazioni pubbliche della potest� di adempiere alle proprie funzioni di diritto pubblico in collaborazione con altre autorit� pubbliche � comunque strettamente subordinato alle condizioni imposte dall'ordinamento comunitario per escludere che il partenariato pubblico/pubblico costituisca uno strumento elusivo dei vincoli imposti dalla normativa sugli appalti pubblici. Ne consegue che, se da una parte il diritto comunitario non impone in alcun modo alle autorit� pubbliche di ricorrere ad una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico, dall'altra, una cooperazione del genere tra autorit� pubbliche non pu� rimettere in questione l'obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, e cio� la libera circolazione dei servizi e l'apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, cosicch� nessun impresa privata venga posta in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti (cfr. Corte giust. CE, 9 giugno 2009 causa C-480/06). La Corte di Giustizia CE ha stabilito, in generale, che un�autorit� pubblica pu� adempiere ai compiti ad essa incombenti mediante propri strumenti, senza essere obbligata a far ricorso ad entit� esterne non appartenenti ai propri servizi, e che pu� farlo, altres�, in collaborazione con altre autorit� pubbliche (sentenza, 13 novembre 2008, causa C 324/07 e 9 giugno 2009 causa C-480/06) In particolare la sentenza 9 giugno 2009 in C-480/06, e soprattutto il paragrafo n. 47, attribuisce rilievo al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico mediante accordi tra pubbliche amministrazioni, e ne valuta la compatibilit� con la normativa comunitaria, in quanto la stessa tende preminentemente a salvaguardare il principio della parit� di trattamento tra soggetti privati aventi scopo di lucro. In conclusione, si deve ritenere che, pacificamente, nella giurisprudenza comunitaria sia riconosciuta la possibilit� che le amministrazioni pubbliche, ferma la loro legittimazione a concorrere alla pari delle imprese private nelle pubbliche gare, concludano accordi diretti per il perseguimento di fini di interesse pubblico. Lo stesso diritto nazionale prevede numerosi istituti che consentono un�agevole trasposizione dei predetti principi nell�ordinamento interno, il principale dei quali appunto disciplinato nella stessa legge fondamentale sul procedimento amministrativo secondo cui �le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivit� di interesse comune�, ai sensi dell�articolo 15 della legge n. 241 del 1990. 4.2.2- Per pacifico principio al riguardo, nell'interpretazione dell'atto amministrativo non si deve tener conto del �nomen iuris� assegnatogli dall'autorit� emanante, bens� occorre far riferimento al suo contenuto ed alle norme di riferimento, nonch� al potere che la pubblica amministrazione ha inteso esercitare attraverso la sua emanazione (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 17 giugno 2008, n. 5916 e TAR Lombardia Milano, sez. I, 19 gennaio 2010, n. 74). Non costituisce, pertanto, un eventuale ostacolo alla qualificazione dell�accordo di cui trattasi in termini di appalto, la circostanza che testualmente sia stato richiamato nelle sue premesse l�articolo 15 quale fonte legittimante dello stesso. E la valutazione finalizzata a verificare se, in concreto, possa rinvenirsi effettivamente l�esistenza di un appalto pubblico di servizi nonch� se l�accordo in questione rientri o meno nel- l�ambito di applicazione della detta direttiva, assume valenza preliminare rispetto al problema della compatibilit� del predetto accordo con l�ordinamento comunitario in materia di appalti pubblici che passa attraverso la verifica del se, nella fattispecie oggetto del procedimento, siano state violate le norme della direttiva CE 2004/18 in materia di servizi. Ai sensi dell�articolo 1, paragrafo 2, della direttiva, contenente le �Definizioni�, � 2. a) Gli "appalti pubblici" sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o pi� operatori CONTENZIOSO NAZIONALE economici e una o pi� amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva. �d) Gli "appalti pubblici di servizi" sono appalti pubblici diversi dagli appalti pubblici di lavori o di forniture aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui all'allegato II.�. La definizione � ripresa testualmente dall�articolo 3, comma 6, del codice dei contratti che stabilisce che �gli �appalti pubblici� sono i contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o pi� operatori economici, aventi per oggetto l�esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi come definiti dal presente codice�. Il primo ineludibile presupposto ai fini che interessano � quindi la sussistenza di una prestazione di servizi che possa ascriversi ad uno dei tipi elencati nell�articolo 1, paragrafo 2, della direttiva richiamata; l�allegato II B, relativo ai servizi di cui all'articolo 1, paragrafo 2, lettera d), individua al numero 27 gli �Altri servizi�. Nel caso di specie, anche considerato che il medesimo servizio era gi� stato in precedenza fatto oggetto di un procedura aperta ad evidenza pubblica con la specifica indicazione della relativa tipologia, pu� condividersi la qualificazione contenuta nel relativo bando di gara in termini di riconducibilit� nella detta categoria generale contraddistinta dal numero 27 �altri servizi� di cui all'allegato II B del codice degli appalti, avente ad oggetto l�elenco dei servizi di cui agli articoli 20 e 21, trattandosi, nello specifico, in sostanza, del servizio di noleggio di elicotteri con equipaggio. Potrebbe, quindi, conseguentemente, prospettarsi, sotto il predetto profilo relativo all�oggetto e in via assolutamente astratta, una qualificazione dell�accordo di cui trattasi in termini di appalto pubblico di servizi. Non pu�, peraltro, revocarsi in dubbio nemmeno la rilevanza economica del servizio in questione, in quanto in precedenza sempre affidato in esito a procedure competitive, a comprova della remunerativit� della relativa gestione. La definizione dell�appalto pubblico di servizi, basandosi sulla nozione dell�appalto pubblico di cui all�articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, presuppone, inoltre, un contratto scritto tra un�amministrazione aggiudicatrice ed un operatore economico. Nel caso di specie l�obbligo di legge della forma scritta � pienamente soddisfatto in quanto l�accordo di cui trattasi � stato effettivamente concluso e redatto per iscritto da parte di entrambe le amministrazioni pubbliche contraenti. Prima della verifica della qualificabilit� nei termini di cui alla direttiva dei soggetti contraenti �, tuttavia, importante rilevare come sia imprescindibile, ai fini della sua riconduzione nel- l�ambito dell�appalto, il carattere oneroso dell�accordo. Il titolo oneroso del servizio richiede che, alla prestazione del servizio da parte dell�offerente, corrisponda un obbligo di remunerazione a carico del committente; in sostanza vi deve essere tra le parti interessate una reciprocit� nella forma dello scambio materiale delle relative prestazioni. Nel caso di specie, poich� il corrispettivo promesso � stato asseritamente calcolato in modo tale da non essere superiore ai costi sostenuti per l�apprestamento del servizio di cui trattasi, si pone la preliminare questione se possano effettivamente considerarsi rientranti nella nozione di titolo oneroso anche le remunerazioni previste esclusivamente a copertura integrale dei detti costi. Secondo un�interpretazione estensiva di tale nozione, nel senso che essa debba comprendere ogni tipo di remunerazione consistente in un valore in denaro, la mera assenza di un profitto in senso tecnico da parte del prestatore di servizi non conferisce il carattere della gratuit� all�accordo contrattuale, atteso che, da un punto di vista prettamente economico, quest�ultimo continua ad avere titolo oneroso proprio in quanto, comunque, il beneficiario riceve pur sempre una prestazione in denaro. La giurisprudenza della Corte di Giustizia di cui da ultimo (Grande Sezione, 19 dicembre 2012 ) � giunta esattamente alle dette conclusioni secondo cui �un contratto non pu� esulare dalla nozione di appalto pubblico per il solo fatto che la remunerazione in esso prevista sia limitata al rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio convenuto�; in sostanza � stato ritenuto che soltanto un�interpretazione estensiva della nozione di titolo oneroso � idonea a salvaguardare l�effetto utile delle direttive comunitarie in materia di appalti rappresentato dall�apertura dei mercati ad una concorrenza effettiva tra imprese, in quanto consente di evitare l�elusione della relativa normativa, attraverso la stipulazione di diverse forme di compenso che non lascino trasparire immediatamente uno scopo lucrativo dell�accordo. Un�interpretazione della nozione di compenso di tal fatta, inoltre, � coerente con l�ampia definizione di retribuzione fornita dalla Corte di Giustizia a proposito della libera prestazione dei servizi di cui all�articolo 56 TFUE tenuto conto che la direttiva CE 2004/18, come risulta dal fondamento normativo costituito dall�articolo 95 CE (ora articolo 114 TFUE), � diretta a consentire l�attuazione delle libert� fondamentali nel mercato interno, secondo quanto espresso nel secondo considerando. Per quanto attiene, invece, alla qualificazione dei soggetti dalla definizione contenuta nel richiamato articolo 1, paragrafo 2, lett. a), della direttiva emerge che deve trattarsi di un contratto stipulato tra uno o pi� operatori economici e una o pi� amministrazioni aggiudicatrici; pertanto solo se l�amministrazione aggiudicataria � contestualmente anche un operatore economico nel senso della direttiva sussister� un contratto di appalto; non rientra, invece, nell�ambito della sua applicazione un contratto tra una pubblica amministrazione e un soggetto che non � operatore economico in senso stretto, proprio in quanto un soggetto fuori dal mercato non � in grado di alterarlo o, comunque, di danneggiare la concorrenza che nell�ambito del mercato stesso si svolge. Sul punto si rileva in primo luogo che - premesso che la nozione di "pubblica amministrazione" ai fini dell'applicazione dell�articolo 15 della legge n. 241 del 1990 non pu� prescindere e va, quindi, desunta, dalla definizione di "amministrazione aggiudicatrice" dettata dall'articolo 3 del codice dei contratti pubblici in modo che il servizio che forma oggetto del partenariato pubblico/pubblico sia svolto esclusivamente da autorit� pubbliche, secondo la definizione, fermo restando che, se interviene, invece, un coinvolgimento di privati o di imprese private esterne, deve sussistere per tutte le parti dell'accordo l'assoggettamento alle regole ed ai principi della evidenza pubblica - in base al richiamato articolo 3, sono da qualificare come aggiudicatici le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico - istituiti per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale e finanziati o controllati o amministrati con il prevalente intervento dall'autorit� amministrativa - nonch� le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti. Nel caso di specie i contraenti sono il Corpo di polizia locale di Roma Capitale e, quindi, in definitiva, un�articolazione di un ente territoriale, da un lato, e il Corpo dei Vigili del Fuoco, che costituisce invece articolazione del Ministero dell�interno, e, quindi, un�articolazione dello Stato, dall�altro. Data per acquisita la qualificazione in termini di pubbliche amministrazioni di entrambi i contraenti, � necessario quindi verificare se il Corpo dei Vigili del Fuoco, il quale fornisce al comune il servizio di messa a disposizione degli elicotteri con il conducente ai fini del CONTENZIOSO NAZIONALE monitoraggio del territorio comunale, possa contestualmente essere qualificato anche in termini di operatore economico. La figura dell�operatore economico � definita dal paragrafo 8 dell�articolo 1 della direttiva secondo cui �I termini �imprenditore�, �fornitore� e �prestatore di servizi� designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi. Il termine �operatore economico� comprende l'imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi. � utilizzato unicamente per semplificare il testo. L'operatore economico che ha presentato un'offerta � designato con il termine di �offerente�. Chi ha sollecitato un invito a partecipare a una procedura ristretta o negoziata o a un dialogo competitivo � designato con il termine di �candidato�.� Tali definizioni sono riprese dall�articolo 3, commi 19 e 22, del codice degli appalti che rispettivamente stabiliscono che �I termini �imprenditore�, �fornitore� e �prestatore di servizi� designano una persona fisica, o una persona giuridica, o un ente senza personalit� giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi� e che �Il termine �operatore economico� comprende l'imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi o un raggruppamento o consorzio di essi�. Ai fini di non eludere il divieto dell'obbligo di esperire una gara pubblica, infatti, l'accordo ai sensi dell'articolo 15 deve riguardare l'acquisizione di attivit� erogata da struttura non solo pubblica, ma anche e soprattutto priva di alcuna connotazione imprenditoriale, nell'ampia accezione delineata dall'ordinamento europeo; � necessario che si tratti, pertanto, di organismi che non collocano in alcun modo i loro servizi d'istituto nel mercato e che conseguentemente non esigono in cambio di tali servizi alcun prezzo, corrispettivo e/o remunerazione dell'attivit� organizzativa. � ininfluente la circostanza che l�operatore economico sia esso stesso un�amministrazione aggiudicatrice e che l�ente in questione non persegua un preminente scopo di lucro, che non abbia una struttura imprenditoriale o anche che non assicuri una presenza continua sul mercato; � sufficiente che a siffatti enti sia in linea di principio consentito partecipare ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi. E, infatti, gli Stati membri possono disciplinare le attivit� di tali soggetti e, in particolare, autorizzarli o non autorizzarli ad operare sul mercato, tenuto conto dei loro fini istituzionali e statutari; comunque, se e nei limiti in cui i suddetti soggetti siano autorizzati a offrire taluni servizi sul mercato, non pu� essere loro vietato di partecipare a una gara d�appalto avente ad oggetto i servizi in questione. Si pu�, pertanto, escludere di essere in presenza di un operatore economico solo se si tratta di organismi che non collocano in alcun modo i loro servizi d'istituto nel mercato. La giurisprudenza ha gi� avuto modo di evidenziare che, �anche alla luce della normativa comunitaria, pur orientata alla massima estensione del concetto di operatore economico (ossia dell�imprenditore, fornitore e prestatore di servizi) al fine di non limitare la concorrenza�, �il Corpo nazionale dei vigili del fuoco non � operatore economico in quanto non offre sul mercato i suoi servizi. I servizi svolti dai Vigili del fuoco non formano oggetto di una offerta sul mercato in quanto svolti indistintamente a favore della collettivit� e gratuitamente� (T.A.R. Liguria- Genova, sez. II, n. 1925/2008, confermata in sede di appello sul punto di specifico interesse da Consiglio di Stato, sez. V, 13 luglio 2010, n. 4539; e, idem, 28 novembre 2012, n. 1514). N� la circostanza che il Corpo dei Vigili del fuoco svolga alcuni servizi a pagamento, quali il servizio per soccorso non urgente e taluni di prevenzione degli incendi, � idonea, di per s� sola, a trasformarlo in un operatore economico, quanto meno in relazione al servizio in questione, ossia al servizio di monitoraggio del territorio nazionale con i propri elicotteri condotti dal relativo personale (argomento ex Consiglio di Stato, sez. V, 13 luglio 2010, n. 4539). Conclusivamente, dall�inconfigurabilit� dell�affidamento di cui si controverte quale appalto pubblico, ossia quale contratto a titolo oneroso con un operatore economico, consegue l�inapplicabilit� della disciplina in materia sottoposizione a procedure concorrenziali di cui alla richiamata direttiva 18/2004/CE e del conforme d.lgs. n. 163 del 2006. N� vale, in contrario, invocare l'articolo 19, comma 2, del codice dei contratti che prevede che �Il presente codice non si applica agli appalti pubblici di servizi aggiudicati da un'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore ad un'altra amministrazione aggiudicatrice o ad un'associazione o consorzio di amministrazioni aggiudicatrici, in base ad un diritto esclusivo di cui esse beneficiano in virt� di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative pubblicate, purch� tali disposizioni siano compatibili con il trattato�. La norma in questione si riferisce agli appalti di servizi, trova quindi applicazione quando si � in presenza di un appalto di servizi e cio� quando l'amministrazione aggiudicataria pu� essere qualificata come operatore economico in quanto offra sul mercato i propri servizi. La norma in questione tuttavia non si applica nei casi, come quello di specie, in cui un appalto non � configurabile non rivestendo il contraente la figura dell'operatore economico. Il ricorso �, pertanto, infondato nella parte in cui con le relative censure � stata prospettata la violazione e/o l�elusione della normativa comunitaria in materia di appalti. 5. Si tratta a questo punto di verificare, tuttavia, se, in concreto, ricorrano, altres�, tutti i presupposti necessari ai fini del corretto inquadramento nell�ambito degli accordi tra pubbliche amministrazioni ai sensi e per gli effetti di cui al richiamato articolo 15 della legge n. 241 del 1990 o, se, invece, nel caso di specie, per come � strutturato in concreto l�accordo di cui trattasi, la predetta norma non sia stata effettivamente violata. L�articolo 15 della legge n. 241 del 1990, rubricato �Accordi fra pubbliche amministrazioni�, dispone testualmente che �1. Anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivit� di interesse comune. 2. Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall'articolo 11, commi 2 e 3. ��. L�articolo 15 abilita le amministrazioni pubbliche a concludere tra loro, anche al di fuori delle ipotesi nelle quali � prevista l�indizione di una conferenza di servizi a norma del precedente articolo 14, accordi aventi ad oggetto la disciplina afferente lo svolgimento in collaborazione di attivit� di interesse comune. L�articolo 15 non provvede a dettare una disciplina specifica ovvero speciale relativamente agli accordi de quibus, non precisando n� le procedure attraverso le quali addivenire a tali accordi n� i soggetti abilitati a concluderli n� ancora l�oggetto specifico degli stessi, se non rinviando a parte della disciplina dettata da altra disposizione relativamente alla diversa fattispecie degli accordi integrativi e sostitutivi tra amministrazione e privati. La possibilit� di concludere accordi del genere � subordinata alla circostanza che possono essere parti di siffatti accordi esclusivamente amministrazioni pubbliche che abbiano un interesse allo svolgimento dell�attivit� per la cui disciplina si inducono ad addivenire alla conclusione di tali accordi e, quindi, che abbiano titolo a svolgere tale attivit�; per quanto at CONTENZIOSO NAZIONALE tiene, poi, al termine �attivit�� contenuto nella predetta disposizione lo stesso si deve intendere come generalmente riferito a qualsiasi tipo di attivit� giuridica, sia essa amministrativa di diritto pubblico sia essa amministrativa di diritto privato, cio� attivit� funzionalizzata, in quanto immediatamente intesa al perseguimento di interessi pubblici, sia essa, infine, attivit� di diritto comune, relativamente ai rapporti patrimoniali e alle acquisizioni di beni e di servizi strumentali allo svolgimento delle attivit� finali della amministrazione, nonch� attivit� materiale e, quindi, prestazioni. Gli accordi tra pubbliche amministrazioni sono, in definitiva, strumenti di riduzione della complessit� delle funzioni amministrative le quali sono attribuite a diversi soggetti pubblici che consentono altres� la soddisfazione armonica e contestuale di una pluralit� di diversi interessi pubblici; consentono, inoltre, di realizzare un�azione coordinata tra diverse pubbliche amministrazioni per rendere l�azione amministrativa efficace, efficiente, razionale e adeguata in ossequio al principio costituzionale del buon andamento di cui all�articolo 97 della costituzione nonch� alla normativa ed ai principi comunitari in materia. Con i predetti accordi, pertanto, si realizza la composizione in un quadro unitario degli interessi pubblici di cui ciascuna amministrazione � portatrice. La natura dei predetti accordi �, peraltro, indubbiamente pubblicistica anche se si tratta di accordi di tipo pattizio in quanto contraddistinti dallo scambio del consenso tra le parti. Per individuare i requisiti necessari ai fini dell�integrazione della fattispecie di cui trattasi, occorre prendere le mosse proprio dalla succinta definizione che ne offre l�ordinamento, secondo cui, in base a quanto in precedenza riportato, si tratta di �accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivit� di interesse comune�. I due elementi testuali che emergono dalla predetta definizione sono pertanto i seguenti: -attivit� di interesse comune tra le pubbliche amministrazioni coinvolte; -svolgimento in collaborazione tra di loro della predetta attivit�. Premessa la qualificazione in termini di pubbliche amministrazioni di entrambi i contraenti, secondo le indicazioni in precedenza riportate che finiscono per identificare la pubblica amministrazione con l�amministrazione aggiudicatrice ai sensi della normativa nazionale e comunitaria sugli appalti- l�interpretazione dei requisiti sopra individuati non pu�, tuttavia, essere strettamente vincolata fino al punto di identificarsi totalmente con le indicazioni fornite sul punto da parte della giurisprudenza comunitaria in materia di appalti pubblici, proprio perch�, in quella sede, i detti requisiti sono valutati nell�ambito della verifica sostanziale di una eventuale elusione della normativa comunitaria nell�indicata materia; nel caso di specie, invece, una volta che � stata esclusa la qualificazione dei Vigili del Fuoco in termini di operatore economico strettamente inteso, il problema della possibile elusione della richiamata normativa comunitaria � stato in radice superato, mancando uno degli elementi necessari ai fini del- l�astratta integrazione della fattispecie dell�appalto. Ne consegue che la valutazione in astratto del come debbano essere intesi i due requisiti indicati in precedenza nonch� la verifica in concreto dell�effettiva sussistenza di entrambi nel caso di specie, devono correttamente essere svolta esclusivamente sulla base dell�ordinamento interno e della relativa giurisprudenza nella materia; e la rilevanza della premessa in questione si coglie nella sua pienezza solo ove si consideri l�interpretazione restrittiva che viene offerta in sede comunitaria della nozione di interesse pubblico comune, quale identit� dell�interesse pubblico perseguito. Gli accordi di collaborazione di cui trattasi devono, infatti, essere tenuti distinti dagli appalti pubblici, proprio in quanto fondati su di una finalit� di collaborazione e di condivisione che si inquadra nell�ambito della sussidiariet� orizzontale, ai fini del raggiungimento degli obiettivi di rilevanza pubblica, implicanti l�esercizio di funzioni pubbliche, attraverso i quali si concretizza il principio costituzionale dell�efficienza e del buon andamento della pubblica amministrazione. Il primo requisito � lo svolgimento di una �attivit� di interesse comune�; quanto alle caratteristiche dell�attivit�, si � gi� detto in precedenza che la stessa deve essere intesa come qualsiasi tipo di attivit� giuridica posta in essere da parte di una pubblica amministrazione, finalizzata, pertanto, alla realizzazione di un interesse pubblico; quale che si la esatta tipologia dell�attivit� in questione- ossia attivit� amministrativa di diritto pubblico, attivit� amministrativa di diritto privato funzionalizzata, in quanto immediatamente intesa al perseguimento di interessi pubblici o ancora attivit� di diritto comune, avente ad oggetto i rapporti patrimoniali e le acquisizioni di beni e di servizi strumentali allo svolgimento delle attivit� finali della amministrazione. La stessa deve concretizzarsi, comunque, in definitiva, in una (immediata o mediata) funzione di interesse pubblico. La valutazione preliminare �, pertanto, quella di stabilire se il contratto di cui si tratta sia stato stipulato o meno da entrambe le parti con lo scopo di svolgere una funzione di interesse pubblico. Si premette che tale norma non prevede l�identit� delle funzioni, e pertanto delle competenze, ma solamente lo svolgimento di attivit� di interesse comune; e, in effetti, non ha senso richiedere una perfetta sovrapposizione di competenze per poter concludere un accordo ai sensi del richiamato articolo 15, ma sembra sufficiente il ricorrere di una evenienza in cui una determinata attivit� pu� essere complementare e sinergica ad un�altra di competenza di altra amministrazione. Ne consegue che le pubbliche amministrazioni possono integrare le proprie rispettive competenze istituzionali, scambiandosi tra di loro la prestazione di servizi proprio attraverso lo �svolgimento in collaborazione di attivit� di interesse comune�. E l'accezione di �interesse comune� in ambito nazionale � piuttosto ampia e coincide, nella sostanza, con il perseguimento dell'interesse pubblico da parte degli enti partecipanti all'accordo conformemente ai loro scopi istituzionali; non � necessario, pertanto, che lo specifico scopo istituzionale perseguito sia esattamente il medesimo per entrambe le amministrazione contraenti. Nel caso di specie, da un punto di vista prettamente astratto, avuto riguardo, nello specifico, alla particolare tipologia dell�attivit� oggetto dell�accordo, ossia il monitoraggio del territorio attraverso il servizio di volo svolto con elicottero, deve ritenersi che questa sia idonea a realizzare i compiti istituzionali attribuiti ad entrambe le amministrazioni contraenti. Il monitoraggio ed il controllo aereo del territorio consente, infatti, di realizzare, in modo contestuale, le funzioni e competenze pubbliche, anche non perfettamente coincidenti, attribuite a ciascuna amministrazione contraente dall�ordinamento. Tra i compiti istituzionali del CFS, ai sensi dell�articolo 1 della legge 6 febbraio 2004, n. 36, avente ad oggetto il �Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato.�, rientrano testualmente la �difesa del patrimonio agroforestale italiano� e la �tutela dell'ambiente, del paesaggio e dell'ecosistema� nonch� il concorso �nell'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica, ai sensi della legge 1� aprile 1981, n. 121� e �nel controllo del territorio, con particolare riferimento alle aree rurali e montane�. Nel successivo articolo 2 le competenze istituzionali sono puntualmente specificate, individuandosi il �a) concorso al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica con particolare riferimento alle aree rurali e montane; b) vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente, con specifico riferimento alla tutela del patrimonio faunistico e naturalistico nazionale �; � CONTENZIOSO NAZIONALE f) sorveglianza delle aree naturali protette di rilevanza internazionale e nazionale e delle altre aree protette secondo le modalit� previste dalla legislazione vigente; h) sorveglianza e accertamento degli illeciti commessi in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall'inquinamento e del relativo danno ambientale nonch� repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti; ��. Da quanto esposto consegue che il controllo del territorio sia con finalit� di ordine pubblico che con finalit� di tutela ambientale rientra a pieno titolo nelle competenze istituzionali del CFS, il quale pu� scegliere le modalit� operative ritenute pi� opportune al fine di conseguire la realizzazione dei compiti ascrittigli da parte dell�ordinamento. Gli elicotteri del CFS sono, infatti, impiegati non solo per la prevenzione e l'avvistamento degli incendi boschivi, per interventi diretti sul fuoco, per il trasporto di personale ed attrezzature, per il coordinamento di altri aeromobili e come guida delle squadre a terra durante lo spegnimento, ma anche come supporto per lo svolgimento degli altri compiti di istituto del Corpo forestale dello Stato, quali ad esempio i servizi di protezione civile e di pubblico soccorso, di monitoraggio ambientale, di antibracconaggio e di polizia giudiziaria. Per quanto attiene, invece, alla Polizia locale le competenze istituzionali che vengono in rilievo in questa sede sono essenzialmente la tutela del territorio attraverso la repressione degli abusi edilizi, la tutela dell�ordine pubblico attraverso l�individuazione degli insediamenti abusivi degli immigrati clandestini nonch� il controllo del traffico; ed � evidente, come peraltro dimostrato in atti, che le suddette finalit� possono essere realizzate in modo pi� agevole e penetrante proprio attraverso la particolare modalit� operativa del monitoraggio del territorio comunale per mezzo di elicotteri. In sostanza, nonostante la indubbia diversit� delle fondamentali funzioni istituzionali attribuite alle due amministrazioni almeno nella maggior parte delle stesse, � possibile, da un lato, rinvenire una loro parziale e limitata sovrapposizione, e, dall�altro, garantire, comunque, la realizzazione delle relative finalit� istituzionali eventualmente distinte per mezzo di una modalit� operativa condivisa, nella quale finisce per concretizzarsi essenzialmente la collaborazione tra le due amministrazioni. La circostanza che il servizio degli elicotteri non costituisca una necessit� assoluta ed imprescindibile per il perseguimento dei relativi compiti istituzionali non rappresenta un ostacolo ai fini che interessano, nei limiti in cui rappresenti, appunto, una particolare modalit� operativa rientrante comunque nell�ambito delle possibili opzioni riconosciute alle amministrazioni e che garantisca l�efficienza e la puntualit� nell�adempimento dei rispettivi compiti. Si tratta, allora di verificare se l�accordo di cui trattasi, avuto riguardo al suo contenuto ed alle sue singole clausole e prescrizioni, sia in concreto finalizzato alla realizzazione in modo contestuale dei compiti istituzionali di entrambe le amministrazioni coinvolte. Alla luce di quanto evidenziato nella parte in fatto che precede, deve, tuttavia, ritenersi che il servizio in questione realizzi esclusivamente i compiti istituzionali del CPL, atteso che non � previsto lo svolgimento, da parte del CFS, di altra attivit� se non quella di messa a disposizione dell�elicottero con il conducente. Nonostante, infatti, l�accordo faccia riferimento alla �condivisione del servizio di monitoraggio� attraverso la �collaborazione del personale� con la realizzazione di �voli coordinati unitamente al personale del CFS� e specifichi che �le modalit� e le condizioni dell�esecuzione del servizio� verranno dettagliate in un protocollo operativo successivamente siglato dalle parti�, dall�esame delle previsioni contrattuali dell�accordo di cui trattasi � possibile ricavare che, in realt�, il CFS si limita a mettere essenzialmente a disposizione del CPL un elicottero con il relativo conducente. Nulla � detto in concreto in ordine allo svolgimento contestuale, da parte del personale CFS a bordo dell�elicottero, di funzioni istituzionali di propria stretta competenza; appare che l�unica attivit� in concreto richiesta al personale del CFS sia appunto quella della materiale conduzione dell�elicottero, mentre l�attivit� specifica del monitoraggio del territorio � svolta in modo esclusivo da parte del solo personale del CPL ammesso a bordo per le finalit� sue proprie, il quale, peraltro, non � tenuto in alcun modo, a sua volta, a mettersi a disposizione del CFS al fine di porre in essere un monitoraggio del territorio per le finalit� proprie di quest�ultimo. E, allora, emerge con evidenza che l�unica finalit� di stampo pubblicistico effettivamente perseguita da parte del CFS � quella del perseguimento dell�economicit� dell�azione amministrativa, nel senso che, attraverso la stipulazione del predetto accordo, il CFS pu� sostenere i costi relativi ad un proprio elicottero, il quale, peraltro, � impegnato nel servizio di cui trattasi per un numero limitato di ore, senza ricorrere alle proprie risorse economiche interne. E, nonostante l�economicit� di un siffatto sistema convenzionale sia pur sempre uno dei criteri fondamentali che regolano l�azione amministrativa, non si ritiene che, da solo, lo stesso sia sufficiente al fine di legittimare il ricorso allo strumento convenzionale di cui trattasi. Nella sostanza, infatti, quello che non si evince allo stato degli atti, non essendo ancora stato adottato il protocollo operativo cui fa riferimento l�accordo, � proprio la sussistenza di una effettiva collaborazione materiale, intesa in senso stretto, nello svolgimento dell�attivit� di monitoraggio del territorio tra le due amministrazioni contraenti. La collaborazione, infatti, presuppone l�esistenza di uno scambio di prestazioni tra le parti; prestazioni che, tuttavia, devono interessare direttamente l�attivit� funzionale di competenza di ciascuna amministrazione proprio al fine di realizzare l�interesse pubblico sotteso. Deve trattarsi, pertanto, della realizzazione congiunta di un servizio pubblico con una effettiva condivisione di compiti pubblici e responsabilit� tra le due amministrazioni. Nel caso di specie, invece, per come � strutturato l�accordo in questione, il CFS finisce per assumere in sostanza esclusivamente un ruolo di mero ausiliare materiale dell�adempimento dei compiti istituzionali propri del CPL. E, infatti, il CPL si limita a inviare il proprio personale, adeguatamente istruito al volo, sugli elicotteri messi a disposizione dal CFS, ai fini dello svolgimento dell�attivit� di monitoraggio e controllo del territorio di propria competenza e non presta alcun servizio in favore del CFS, se non il ristoro delle spese da questo sostenute per il mantenimento del veicolo. Per quanto attiene, inoltre, al detto ultimo aspetto, da un lato, nelle premesse dell�accordo � espressamente indicata la volont� di perseguire un �contenimento dei costi per entrambe le amministrazioni� e, dall�altro, l�accordo si limita ad indicare all�articolo 9, rubricato �oneri finanziari�, la somma di euro 2.500,00 per ora di volo �a titolo di parziale rimborso delle spese effettivamente sostenute�; nella deliberazione del CPL di approvazione dello schema di accordo, inoltre, � detto come la predetta somma sia stata indicata da parte del CFS e sia comunque ritenuta congrua �in relazione alle varie spese necessarie per l�operativit� della base, del mezzo messo a disposizione e per garantire l�operativit� dello stesso, senza alcun margine di guadagno�. Non risulta che, tuttavia, al predetto accordo siano stati allegati la nota di quantificazione del CFS cui � fatto riferimento oppure un resoconto puntuale delle relative spese n� ancora � prevista la relativa puntuale rendicontazione se non relativamente al numero delle ore di volo effettivamente poste in essere secondo i criteri ivi indicati. Di contro la ricorrente ha dichiarato nel ricorso introduttivo che l�indicata somma di euro 2.500,00 per ora di volo rappresenterebbe CONTENZIOSO NAZIONALE �tipicamente un valore di mercato che praticano gli attuali operatori economici del settore�; e ha allegato agli atti del giudizio una autodichiarazione di un�impresa operante nel settore secondo cui appunto la somma indicata integra un tipico valore di mercato, Il comune, ha depositato, a sua volta, in riscontro alla censura articolata sul punto in ricorso, in allegato alla memoria difensiva, e contraddistinta con il n. 7, una �scheda delle voci di costo di un�ora di volo�, secondo la testuale indicazione contenuta nell�indice dei depositi documentali, la quale, tuttavia, consiste in un foglio dattiloscritto privo di qualsiasi indicazione relativamente alla sua provenienza o alla sottoscrizione o ancora alla data, nel quale il costo per ora di volo � quantificato in complessivi euro 3.688,16, attraverso l�indicazione delle relative voci e dei corrispondenti costi. Nell�ultima memoria difensiva la ricorrente ha proceduto all�analisi approfondita delle singole voci economiche e dei relativi costi, contestandone le risultanze; in particolare ha indicato, attraverso l�illustrazione di una tabella allegata, la somma di euro 2.358,00 per ora di volo conteggiando le n. 300 ore annue di volo indicate nell�accordo di cui trattasi. Ne consegue che non pu� nemmeno escludersi a priori che l�accordo, per come � strutturato con particolare riguardo ai relativi oneri economici, si caratterizzi per un�onerosit� dello stesso, in quanto il relativo costo sia effettivamente esorbitante il mero rimborso delle spese, che non sembra possa trovare legittimo fondamento nell�ambito della fattispecie di cui al richiamato articolo 15 e che, peraltro, confligge con le motivazioni addotte in sede di deliberazione comunale di approvazione dello schema di accordo, basate essenzialmente sull�esigenza di perseguire una riduzione dei costi relativi al servizio di cui trattasi. Per le considerazioni tutte che precedono il ricorso deve essere accolto per l�assorbente censura di cui sopra. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo che segue. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l�effetto, annulla il provvedimento impugnato. Condanna Roma Capitale e il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, in solido tra di loro, al pagamento in favore della societ� ricorrente delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi euro 2.000,00, oltre accessori di legge nonch� alla refusione del contributo unificato versato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2013. Italian antitrust administrative case law: an overview of all decisions from April to June 2013 Carlo Edoardo Cazzato* Il presente lavoro va letto quale primo contributo di un progetto pi� amplio, volto ad offrire al lettore una disamina completa su base trimestrale della giurisprudenza amministrativa antitrust. Con riferimento al primo trimestre in esame - quello dall'inizio di aprile alla fine di giugno 2013 - sono state pertanto prese in considerazione tutte le sentenze emesse dal TAR Lazio e dal Consiglio di Stato a valle di giudizi nei quali l'Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) � stata parte. Va precisato che quanto segue, pur offrendo una disamina completa di tutta l'attivit� giurisdizionale che ha coinvolto l'AGCM nel trimestre considerato, ha l'intento di soffermarsi soltanto sui giudizi afferenti a casi di intese restrittive della concorrenza e di abusi di posizione dominante. Il lavoro � dunque cos� articolato: dapprima viene riportata una breve ricognizione statistica dell'attivit� del Giudice Amministrativo nel trimestre considerato, per poi entrare nel merito delle singole decisioni assunte e dei principi di diritto affermati. Le decisioni complessivamente prese in considerazione sono sei, di cui cinque del TAR Lazio (TAR Lazio, Sez. I, 11 aprile 2013, n. 3718; TAR Lazio, Sez. I, 11 aprile 2013, n. 3724; TAR Lazio, Sez. I, 7 maggio 2013, n. 4478; TAR Lazio, Sez. I, 10 giugno 2013, n. 5796; TAR Lazio, Sez. I, 11 giugno 2013, n. 5822) e una del Consiglio di Stato (CdS, Sez. VI, 21 maggio 2013, n. 2722). Le evidenze emerse indicano come nel trimestre considerato il Giudice Amministrativo si sia prevalentemente occupato di casi di intese restrittive della concorrenza piuttosto che di abusi di posizione dominante. Tale dato appare peraltro in linea con le statistiche relative all'attivit� di public enforcement dell'AGCM. Gran parte delle decisioni in questione, inoltre, sottendono ricorsi inerenti l'ammontare della sanzione imposta dall'AGCM o il dies a quo da prendere in considerazione ai fini del computo degli interessi da versare al- l'Autorit�. A tal ultimo riguardo, in particolare, il Giudice Amministrativo ha ribadito che nel caso di annullamento (parziale o meno) di una decisione sanzionatoria dell'AGCM, tale provvedimento va considerato come tamquam non esset; per gli effetti, tale decisione non pu� essere presa in (*) Avvocato del libero Foro e dottore di ricerca. CONTENZIOSO NAZIONALE considerazione per determinare gli interessi sulla sanzione comminata. Una sola sentenza, infine, afferisce all'istituto dell'Associazione Temporanea di Imprese (ATI) ed afferma a tal riguardo principi coerenti con la prevalente giurisprudenza amministrativa e dell'Autorit�, secondo cui, come noto, tale fattispecie non pu� considerarsi anticompetitiva ex se ovverosia senza la prova - fornita dall'AGCM - che l'ATI sia stata utilizzata con finalit� anticompetitive. 1. Premise -This work is the first contribution of a project aimed to offer a general, quarterly overview of all the decisions of Italian administrative courts, which involve the Italian Competition Authority (Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato, hereinafter, the �AGCM�). Specifically, the reference is to those decisions related to proceeding concerning only anticompetitive agreements and abuses of dominant position in which the AGCM was party (as either plaintiff or respondent). With this pur- pose the present first contribution will take into account all the decisions of the TAR Latium (the Italian Regional Administrative Court of first instance, hereinafter the �TAR�) (1) and of the Consiglio di Stato (the Italian Administrative Court of second instance, hereinafter the �CdS�) (2) in the first quarter taken into account, from the start of April to the end of June 2013 (hereinafter, the �Quarter�). In this perspective, after a brief overview of case law under discussion, the work will examine each case in depth, highlighting the aspects of interest with reference to each decision. 2. The Quarter of TAR - As far as we know, the Quarter under consideration saw the AGCM involved in nine decisions of TAR. Among them, one is related to unfair commercial practices (3), one case concerns the new AGC- M�s powers ex article 21-bis of Law No. 287 of 10 October 1990 (hereinafter, the �Italian Competition Law) (4) and in two decisions the TAR limited itself to dismiss the proceedings (5). In light of the above, they will not be taken into account for the purpose of the present work, which will focus only on the residual five cases (6). (1) All the related decisions are available at http://www.giustizia-amministrativa.it/WEBY2K/frmRicercaSentenza. asp. (2) All the related decisions are available at http://www.giustizia-amministrativa.it/webcds/frmRicercaSentenza. asp. (3) TAR Latium, Sec. I, 11 April 2013, No. 3722. (4) TAR Latium, Sec. II, 6 May 2013, No. 4451. (5) TAR Latium, Sec. I, 22 April 2013, No. 4009 and TAR Latium, Sec. I, 22 April 2013, No. 4011. (6) TAR Latium, Sec. I, 11 April 2013, No. 3718; TAR Latium, Sec. I, 11 April 2013, No. 3724; TAR Latium, Sec. I, 7 May 2013, No. 4478; TAR Latium, Sec. I, 10 June 2013, No. 5796; TAR Latium, Sec. I, 11 June 2013, No. 5822. 2.1. The first two decisions taken into account - TAR Latium, Sec. I, 11 April 2013, No. 3724 and TAR Latium, Sec. I, 11 April 2013, No. 3718 � have the same premises. Indeed, both they regard proceeding I722 of the AGCM. As known, on 15 June 2011 nineteen companies operating in the land-based international shipping sector were fined over �76,000,000 for restricting competition by agreeing on the price increases applied to clients (hereinafter, the �First Decision�) (7). The Schenker Italiana S.p.A. (a subsidiary of Deutsche Bahn AG) avoided fines by applying for clemency and helping the AGCM to identify the other cartel members. The First Decision was issued at the conclusion of investigatory proceedings that reconstructed over five years of price fixing from March 2002 to fall 2007. The ascertained cartel members were Agility Logistics S.r.l., Albini & Pitigliani S.p.A., Alpi Padana S.r.l., Brigl S.p.A., Cargo Nord S.r.l., DHL Global Forwarding (Italy) S.p.A., DHL Express S.r.l., Francesco Parisi Casa di Spedizioni S.p.A., Gefco Italia S.p.A., Geodis Wilson S.p.A., I-Dika-S.p.A., Italmondo � Trasporti Internazionali S.p.A., Italsempione � Spedizioni Internazionali S.p.A., ITK Zardini S.r.l., ITX Cargo S.r.l., Rhenus Logistics S.p.A., Saima Avandero S.p.A., Schenker Italia S.p.A., Sittam - Spedizioni Internazionali Trasporti Terrestri Aerei Marittimi S.r.l., Spedipra S.r.l., Villanova S.p.A. and Armando Vidale S.p.A., with Fedespedi (the sector federation) participating in an active organizational role. Antitrust sanctioning powers were also prescribed for Alpi Padana S.p.A. and Spedipra S.r.l. According to the AGCM, the investigations proved that the said companies and association agreed on continuous increases in prices and price components during more than 20 meetings, in numerous e-mail contacts and intense communications both inside and outside of the sector. These meetings involved the sharing of cost-related information (i.e. fuel price fluctuations, foreign highway tolls and the cost structures of participants) and, most importantly, the reaching of agreements on the size and form of price increases. After the decisions were made, Fedespedi would send memorandums out to member businesses and associations, which would in turn issue press releases to ease in the price increases for their contractual counterparts. This also made it possible for businesses that were not directly participating in the cartel to behave in a manner consistent with the concerted actions. In its First Decision, the AGCM ascertained that the anticompetitive agreement under discussion seriously altered the dynamics of competition. Indeed, the businesses enjoyed a common baseline whenever they fielded price increases, which they could apply with reasonable certainty that their compe (7) AGCM, I722 � Logistica internazionale, Decision No. 22521 of 15 June 2011, in Boll. Uff., No. 24/2011. CONTENZIOSO NAZIONALE titors would embrace similar increases instead of engaging in price wars. In this way, they were well aware that their commercial counterparts already knew of the price increases because of the press releases, which conveyed a sense of sector-wide trends that discouraged any thoughts of switching over to other international shipping suppliers, which would presumably be adopting the same pricing trends. The basic documents of the investigation also revealed that the price increases themselves were in fact considerable, with public data alone telling of a nearly 50% increase between March 2002 and December 2006. The investigation highlighted that all of the sector's main operators participated in the consultation for the entire time period analysed, starting in 2002. In addition, a few of these played an even more active role in ensuring the cartel's stability, including Agility Logistics S.r.l., Albini & Pitigliani S.p.A., Brigl S.p.A., DHL Global Forwarding (Italy) S.p.A., DHL Express S.r.l., Italsempione � Spedizioni Internazionali S.p.A., Schenker Italia S.p.A. and Armando Vidale S.p.A. First Schenker Italia S.p.A. and later Agility Logistics S.r.l., DHL Global Forwarding (Italy) S.p.A. and DHL Express S.r.l. made statements that facilitated the Authority's intervention. Specifically, Schenker Italia S.p.A. was granted immunity because of the critical contributions it made to identifying the other cartel members and "fine-tuning" the inspections. Agility Logistics S.p.A., DHL Global Forwarding (Italy) S.p.A. and DHL Express S.r.l. confirmed and reinforced the evidential framework provided by Schenker Italia S.p.A., and in acknowledgement the AGCM reduced their respective fines by 50% and 49%. In recognition of its collaboration, fines for the Sittam - Spedizioni Internazionali Trasporti Terrestri Aerei Marittimi S.r.l. were also reduced by 10%. In light of the above evidence, the AGCM imposed a fine of �12,480,000 on Italsempione. This fine was obtained taking into account a base amount of the sanction equal to �23,143,800, one exacerbating circumstance consisting in the role of instigator of the infringement played by Italsempione and one mitigating circumstance consisting in the submission of commercial commitments. Italsempione, as the residual fined undertakings, challenged the First Decision before the TAR, which on 29 March 2012 rejected the claim with the exception of the ground concerning the quantum of the imposed sanction (8). On this basis, according to the TAR the �adjustment following the above said exacerbating circumstance does not meet evidence� (� 5.7). In light the above the First Decision was annulled in parte qua. The TAR�s decision was challenged before the CdS by the AGCM, which in the meantime recalculated the sanction under discussion with the decision (8) TAR Latium, Sec. I, 29 March 2012, No. 3035. adopted on 12 September 2012 (hereinafter, the �Second Decision�) (9). However, the AGCM decided to impose a fine of the same amount of that annulled. In addition, as explained in the related note (hereinafter, the �Note�) (10), pursuant to article 27, paragraph 6, of Law No. 689, dated 24 November 1981, and according to the current case law of Italian Supreme Court (11), the AGCM decided to impose an additional sum of � 1,248,000 on Italsempione due to the undertaking's failure to pay the sanction (hereinafter, the �Increase�). Against the Second Decision and the Note Italsempione first brought (i) an action for the execution of the TAR's decision which has not yet become final, based on article 114, paragraph IV, lett. c), of Legislative Decree No. 104 of 2 July 2010 (the Italian Administrative Code, hereinafter the �IAC�). Secondly, it launched before the same Court (ii) an action for the annulment of the Increase. The concerned actions were joined before the TAR ex article 32, paragraph 1, of IAC. Sub (i), the TAR ascertained that the Second Decision had not executed the TAR's decision and ordered the AGCM to recalculate the imposed sanction. It is essential to consider that in order to justify the Second Decision the AGCM explained that the First Decision was obtained �conciliating the amount obtained through the exacerbating and mitigating circumstances with article 15 of Italian Competition Law, according to which in the most serious cases the AGCM may decide, depending on the gravity and the duration of the infringement, to impose a fine up to ten per cent of the turnover of each undertaking or entity during the prior financial year; time limits shall be laid down within which the undertaking shall pay the penalty�. On this basis, the amount of the Second Decision would be the same applying article 15 of the Italian Competition Law and taking into account the above said limit of ten per cent of the turnover. On the contrary, according to the TAR, the First Decision was not the result of the application of the above said article 15. It was expressly obtained applying the two concerned aggravating and mitigating circumstances to the base amount of the sanction. As further proof of this conclusion, the TAR highlighted that the aforesaid article 15 of the Italian Competition Law was not mentioned by the AGCM with reference to the specific position of the Italsempione. Sub (ii), the TAR ascertained that the annulment of the Second Decision invalidates the Note as well. Specifically, according to the TAR the question under discussion was already examined in depth by the administrative case (9) AGCM, I722D - Logistica internazionale-Italsempione/Rideterminazione sanzione, Decision of 12 September 2012, No. 23889, in Boll. Uff., No. 37/2012. (10) AGCM, Note of 14 September 2012, No. 53849. (11) See Cass., SS. UU., 4 November 2009, No. 23318. CONTENZIOSO NAZIONALE law concerning the same First Decision (12). In addition, in the TAR�s opinion in case of order to recalculate the sanction, the mere modification of the amount of the fine supposing the effectiveness and the validity of the original decision is not brought into question. On the contrary, its partial annulment with reference to the imposed fine is questioned. In light of the above, according to the TAR �the annulment of the First Decision shall bring the illegality of all the decisions challenged with reference to the determination of the dies a quo of interests on late payment. Indeed, it has to be singled out on the basis of the Second Decision� (13). As stated, TAR Latium, Sec. I, 11 April 2013, No. 3718 has the same premises. It regards the claim of Albini & Pitigliani S.p.A., undertaking on which the First Decision imposed a sanction of �8,477,792. Also in this case the TAR on the basis of the same arguments annulled the First Decision in parte qua (14). In light of the above, Albini & Pitigliani S.p.A. brought an action for the execution of decision No. 3035/2012 against measure of the AGCM No. 23888/2012, which recalculated the said amount obtaining the same sum (15). 2.2. The further two decisions - TAR Latium, Sec. I, 10 June 2013, No. 5796 and TAR Latium, Sec. I, 11 June 2013, No. 5822 (hereinafter, the �Decisions�) - can be examined together. The Decisions still regard the amount of the imposed fines and specifically the calculation of interests in case of delay in the payment of antitrust fines. Indeed, the actions under discussion, brought by Jotun Italia S.p.A. (hereinafter, the �Jotun�) and Barelatyer Cropscience S.r.l. (hereinafter, the �Barelatyer�) respectively, challenged some notes of the AGCM regarding the amount that should be taken into consideration in order to calculate the above said interests. Specifically, the first decision concerns an anticompetitive agreement ascertained by the AGCM on 9 February 2007 (16). The imposed sanction, originally amounting to � 1,134,000, was recalculated to �486,000 by the TAR and to � 777,666 by the CdS (17). On 26 June 2012 Jotun paid the difference between the above said amounts (� 291,600). However, after the AGCM asked Jotun to pay a sum obtained by multiplying the 10% of the fine recalculated (12) See TAR, Sec. I, 24 January 2013, No. 867. (13) CdS, Sec. VI, 25 May 2012, No. 3058. (14) TAR Latium, Sec. I, 29 March 2012, No. 3029. (15) AGCM, I722C - Logistica internazionale-Albini & Pitignani/Rideterminazione della sanzione, Decision of 12 September 2012, No. 23887, in Boll. Uff., No. 37/2012. (16) AGCM, I646 - Produttori vernici marine, Decision of 25 January 2007, No. 16404, in Boll. Uff., No. 4/2007. (17) TAR Latium, Sec. I, 29 December 2007, No. 14157, and CdS, Sec. VI, 29 May 2012, No. 3189, respectively. by the CdS (� 29,160) for 10 (18). Indeed, according to the AGCM the delay in the payment amounted to 10 semesters, calculating from the date of the original AGCM�s decision under the case law of the Italian Supreme Court (19). The action launched by Barelatyer regards an AGCM decision (20), initially annulled by the TAR and subsequently restored by the CdS (21). By mean of Note No. 12836 dated 30 January 2013, the AGCM asked Barelatyer for payment of the original sanction and of the interests calculating from the date of the original decision of the AGCM to that of the CdS under article 27, paragraph 6, of Law No. 689, dated 24 November 1981. Differently from the first case, in this one the plaintiff agreed with the AGCM�s request for an increase but only with reference to the time from the deadline for the payment of the original sanction and the date of the publication of the TAR�s operating part of the decision and in the same manner from the publication of the CdS�s operating part of the sentence. Definitively, in both cases the AGCM calculated the interests under discussion taking into account the time between the administrative fine and the final decision of the CdS. On this basis, in the Decisions the TAR, accepting the related actions, confirmed that "when the Administrative Court [�] (both totally and partially) annuls the AGCM's decision, the above said decision needs to be considered as tamquam non esset. Consequently, this decision cannot be taken into account as starting date with reference to the payment of the sanction". In light of the above, both the Decisions were considered in contrast with article 27, paragraph 6 of the Law No. 689 of 24 November 1981, which imposes the sanctioning increase under discussion (22). According to the TAR the interests need to be calculated starting from the date of filing of the CdS's decision. Specifically, it was observed that "only through the filing of the decision of the CdS the sanction becomes payable so that also the surcharge under discussion becomes payable". Both Decisions are coherent with Italian administrative case law (23). In contrast, the reference to the Italian Supreme Court�s case law was not relevant because the decision cited concerned a case in which no fine was paid by the sanctioned undertaking. (18) Note of 5 September 2012, No. 52808. (19) See note 12. (20) AGCM, A415 - Sapec Agro/Bayer-Helm, Decision of 28 June 2011, No. 22558, in Boll. Uff., No. 26/2011. (21) TAR Latium, Sec. I, 16 May 2012, No. 4403 and CdS, Sec. VI, 29 January 2013, No. 548, respectively. (22) About the sanctioning (and not compensating) nature of the above said increase, please see C.Cost., 7 July 1999, No. 308; CdS, Sec. VI, 25 May 2012, No. 3058; CdS, Opinion of 22 October 2008, No. 1993. (23) See, ex multis, CdS, Sec. VI, 21 February 2008, No. 636; TAR Latium, Sec. I, 24 January 2013, No. 867; TAR Latium, Sec. I, 29 November 2012, No. 9957. CONTENZIOSO NAZIONALE 2.3. On 7 May 2013 the TAR issued decision No. 4478, concerning proceeding I740 of the AGCM. As known, at its meeting on 2 August 2012, the AGCM stated that 2iGas Infrastruttura Italiana Gas S.r.l. (at the time E.ON Rete S.r.l., hereinafter respectively �2iGas� and �E.ON Rete�) and Linea Distribuzione S.r.l. (hereinafter, �LD�) restricted competition in the natural gas distribution market, forming a competition-restricting agreement (hereinafter, the �Gas Decision�) (24) . Specifically, according to the AGCM, LD and 2iGas formed a temporary joint-venture (known as �ATI�) to take part in the tender called by the Municipality of Casalmaggiore, despite being able to bid individually as competitors. In the AGCM�s view, the ATI had the aim to guarantee that both companies could continue to manage the gas distribution service independently, in the exact same Municipalities in which each had previously operated. In addition, it allowed 2iGas and LD to obtain the optimum economic conditions for the tender. In light of the above, the AGCM decided to impose a joint and several fine totalling � 1,205,308 on E.ON Italia S.p.A. (at the time the parent company of E.ON Rete, which later became 2iGas, hereinafter �E.ON Italia�) and 2iGas, and a joint and several fine totalling � 129,675 on Linea Group Holding (the parent company of LD, hereinafter �LGH�). The Gas Decision was challenged before the TAR by E.ON Italia, Enel Rete Gas S.p.A. (hereinafter, �Enel Rete Gas�) (25), LD and LGH. The related actions were joined. First of all, the TAR accepted the grounds concerning the relevant market taken into account by the AGCM. The Court did not confirm the relevant market singled out by the Gas Decision. Indeed, according to the TAR the possibility to single out a small portion of the territory (26) as relevant market does not exclude the necessity to individuate conditions of autonomous supply and demand compared with that in contiguous areas. Indeed, �the mere existence of a situation of supply - side monopoly does not characterize the territorial area under discussion which does not have specific attributes compared to the about 6,500 local markets in which the demand may be equally distributed� (� 4.5.1). In the same manner, in the TAR�s view the AGCM did not establish that services requested by the Municipality of Casalmaggiore had specific characteristics able to be singled out as a separated market. This conclusion would (24) AGCM, I740 - Comune di Casalmaggiore-Gara per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas, Decision of 2 August 2012, No. 23794, in Boll. Uff., No. 31/2012. (25) E.ON Italia, part of the E.On AG Group, before of 7 April 2011, controlled E.On Rete. This has before changed its name in 2iGas and after was incorporated in Enel Rete Gas. (26) See CdS, Sec. VI, 9 April 2009, No. 2206; CdS, Sec. VI, 12 February 2001, No. 652; CdS, Sec. VI, 14 March 2000, No. 1348. be confirmed by the same case law of the AGCM (27). In addition, the TAR affirmed that the possibility to single out a specific tender as relevant market is subordinate to the evidence that the anticompetitive agreement was within a substantial part of the national market (28). In light of the above the quantitative and qualitative relevance of the involved market needs to be considered as the prerequisite of the AGCM�s sanctioning powers. According to the TAR this requirement was missing in the case under consideration because the Casalmaggiore�s tender regarded less than 1% of the national gas users. Secondly, the TAR excluded the existence of the ascertained anticompetitive agreement. To this regard, the TAR highlighted that, even if the assessment of the anticompetitive effects of the agreement need to be taken into account only in order to grade the related sanction, each anticompetitive agreement has to be structurally able to significantly and uninterruptedly impact on the market. On this basis, the TAR took into account the fact that the Italian Code of Public Contracts (29) does not single out limits regarding the use of the ATI and that in the same manner according to case law this device may not considered ex se unlawful (30). In addition, as known, horizontal co-operation agreements can lead to substantial economic benefits, in particular if they combine complementary activities, skills or assets. Horizontal co-operation can be a means to share risk, save costs, increase investments, pool know-how, enhance product quality and variety, and launch innovation faster. As admitted by the same AGCM, in the case of ATI the unlawfulness needs to be ascertained on the basis of specific symptomatic signs. However, in the TAR�s view, those cited by the AGCM (� 6.2.) and substantially consisting in the common willingness to renounce an autonomous policy in name of a joint approach to the involved tenders are not enough to establish that the ATI was designed to infringe competition rules. 3. The Quarter of CdS -As far as we know, during the Quarter the AGCM was involved in three decisions issued by the CdS. However, one concerns a case of unfair commercial practice and another one a merger so they will not be taken into consideration (31). Finally, the pre (27) See AGCM, A248 � Fornitura pezzi di ricambio caldaie a gas, Decision of 22 April 1999, No. 7115, in Boll. Uff., No. 16/1999 and AGCM, C11695 - Cassa Depositi e Prestiti/SNAM, Decision of 8 August 2012, No. 23824, in Boll. Uff., No. 32/2012. (28) See CdS, Sec. VI, 24 September 2012, No. 5067. (29) See Article 34, paragraph 1, lett. d) of Legislative Decree No. 163, dated 12 April 2006, . (30) See CdS, Sec. VI, 24 September 2012, No. 5067; CdS, Sec. III, 11 June 2012, No. 3402; CdS, Sec. VI, 29 December 2010, No. 9577. (31) CdS, Sec. VI, 18 April 2013, No. 2143 and CdS, Sec. VI, 12 April 2013, No. 2002, respectively. CONTENZIOSO NAZIONALE sent work will examine in depth only one decision (32). 3.1. It concerns the decision issued on the proceeding A383 (hereinafter, the "Decision"). As known, concluding the investigation under discussion on 30 June 2010 the AGCM imposed a fine of � 2,165,787 on the undertaking Saint Gobain Ppc Italia S.p.A. (hereinafter, the "SG") for an abusive behaviour aimed to exclude or at least hinder and delay Fassa S.p.A.'s entry into the plasterboard market (hereinafter, the "Fassa") (33). Specifically, the AGCM ascertained that SG had sought to impede the opening of a new plasterboard production facility by Fassa, the interested party, in Calliano (Monferrato). On this basis, in a market characterized by very few operators, SG applied a strategy that was designed to hinder Fassa's access to the gypsum reserves needed to produce and market plasterboard. The investigation confirmed that SG had interfered with Fassa's contractual negotiations with gypsum deposit owners, both directly and by persuading farmers with land pre-emption rights to resist via legal channels. In addition, SG subsequently launched several initiatives that were designed to mitigate the current impact of these behaviours. SG challenged the Decision before the TAR in 2010. However, the related sentence, issued on 24 December 2011 (hereinafter, the "Sentence") (34), confirmed the AGCM's conclusions regarding the singled out relevant market, the dominant position of the plaintiff and the abusiveness of the concerned conducts. On appeal, SG has substantially once again put forward the same grounds set forth before the TAR, additionally challenging the ratio decidendi of the Sentence. In this perspective, first of all the CdS explained that according to current administrative case law the Judge cannot be a substitute for an administration but he shall ascertain its possible manifest erroneous assessment. This general rule needs to be mitigated in the case of independent authorities such as the AGCM. Indeed, in this case according the same case law the Judge cannot exercise a substitute power except for the imposed sanctions with reference to which a more penetrating control is admissible (35). Moreover, the CdS assessed the legality of the Decision on the basis of the following parameters: (i) The correct representation of fact (36); (32) CdS, Sec. VI, 21 May 2013, No. 2722. (33) AGCM, A383 - Mercato del cartongesso, Decision of 30 June 2013, No. 21297, in Boll. Uff., No. 26/2010. (34) TAR Latium, Sec. I, 24 December 2011, No. 10180. (35) See, ex pluribus, CdS, Sec. III, 25 March 2013, No. 1645; CdS, Sec. VI, 7 November 2005, No. 6152; CdS, 2 March 2004, No. 926; CdS, Sec. VI, 1 October 2002, No. 5156; CdS, Sec. VI, 23 April 2002, No. 2199. (36) See Cass., SS.UU., 29 April 2005, No. 8882. (ii) The coherence and the reliability of the completed investigation and the conducts executed in order to cease the infringement; the adequacy and the reason of the plea in law, on the basis of parameters of common experience and with reference to all the figures of the misuse of power; (iii) The correct application of the involved technical rules. On the basis of the above said parameters, the CdS confirmed the Sentence. First of all, the CdS shared the market definition in the Decision. It was singled out in a macro-area, taking into account the main part of central-northern Italy, the south-east of France, part of Suisse and the west of Austria. In the same manner, the CdS confirmed the dominant position of SG, singled out by the AGCM in a market share greater than 40%. Specifically, in the CdS�s opinion the AGCM correctly took into account the characteristics of the involved sector. In this perspective, the AGCM accurately assessed the entry barriers caused by the scarcity in nature of the indispensable gypsum, the SG�s share of sales equal to about 55%, the importance and pre-eminence of SG�s products and brands. In addition, the CdS considered analytic the arguments of the Authority against that of SG, which were unable to highlight any form of misuse of power. With reference to the abusiveness of concerned conducts, it is essential to remember that according to the investigation under discussion SG would (i) impede the opening of a new plasterboard production facility by Fassa and (ii) interfere with Fassa's contractual negotiations with gypsum deposit owners, both directly and by persuading farmers with land pre-emption rights to resist via legal channels. According to the CdS the AGCM correctly established the above also through oral testimony, by which SG�s intent to block or delay Fassa's entry appears clear. In addition, during the investigation the AGCM rebutted SG�s arguments, which were proposed again before the CdS. Finally, the CdS did not ascertain the contested distortion of facts but only a different assessment of them. The evidential framework singled out by the AGCM appeared coherent and unequivocal. In light of that SG would establish that the contested conducts were unable to alter the competition in the concerned market (37). Finally, with reference to the amount of the imposed sanction, the CdS shared the conclusion of the AGCM. Specifically, regarding the imposition of a symbolic fine requested by SG, the CdS highlighted that this device was completely inapplicable in the case under discussion because of the complexity of the investigation under discussion. (37) See, ex multis, C-49/92 P - Commission of the European Communities v Anic Partecipazioni, Judgment of the Court (Sixth Chamber) of 8 July 1999; C-235/92 P - Montecatini v Commission of the European Communities, Judgment of the Court (Sixth Chamber) of 8 July 1999; CdS, Sec. VI, 23 June 2006, No. 4017; CdS, Sec. VI, 10 February 2006, No. 548; CdS, Sec. VI, 2004, No. 926; CdS, Sec. VI, 30 August 2002, No. 4362. CONTENZIOSO NAZIONALE 4. Conclusions -In light of the above, most decisions, in which the AGCM was involved during the Quarter, concerns anticompetitive agreements. This was allegedly caused by the general pre-eminence of cartel cases compared with the number of abusive conducts (38). Among them, the amount of the imposed fines represents the core topic focused on by Italian administrative Courts. In this perspective, the affirmed principles appear consistent with the dominant administrative case law. Indeed, according to a strengthened position administrative Courts �shall assess the facts, in order to ascertain whether the factual reconstruction was affected by distortion or defects, and assess whether the relevant rules were correctly singled out, interpreted and applied [�]� (39). Specifically, the case law has ascertained that the administrative Courts through a case-by-case approach �shall balance the effectiveness of judicial protection with the technical discretion of the AGCM, avoiding that the Judge exercises the AGCM�s administrative powers� (40). In addition, the decision of TAR pertaining to the device, known as ATI, appears coherent with the recent Italian administrative case law. Specifically, the CdS already examined the topic of the relationship between ATI and anti- trust infringements, highlighting that the use of this device, when it is not necessary in order to take part in the tender, did not represent ex se an infringement. According to the CdS on the basis of the case law of Italian Courts (41) and of the AGCM (42), the ATI may be considered anticompetitive only when the device is chosen in a factual context, which highlights the anticompetitive aim of the involved undertakings. (38) M. CARPAGNANO - A. NUZZI, L�antitrust in numeri. Rappresentazione quantitativa sintetica dell�attivit� di tutela della concorrenza svolta in Italia nel 2011, Trento-Roma, giugno 2012, pp. 16-17, available at www.osservatorioantitrust.eu. An analysis of the current year, is available at http://www.osservatorioantitrust. eu/index.php?id=884&L=5%25252525252525252525252525252525252525252525 2525252525252527. (39) See CdS, Sec. VI, 1 March 2012, No. 1192; CdS, Sec. VI, 24 September 2012, No. 5067; TAR Latium, Sec. I, 3 July 2012, No. 6044; TAR Latium, Sec. I, 18 December 2012, No. 8614. (40) CdS, Sec. VI, 13 September 2012, No. 4873. (41) See note No. 31; see also CdS, Sec. VI, 9 April 2009, No. 2208; CdS, Sec. VI, 8 March 2006, No. 1267; TAR Latium, Sec. I, 3 July 2012, No. 6044. (42) See AGCM, Bandi predisposti dalla concessionaria servizi informatici pubblici � Consip S.p.A., Decision of 7 February 2003, in Boll. Uff., No. 5/2003. legislazione ed attualit� LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� Giustizia, Economia, Riforme Giampaolo Rossi* Negli ultimi decenni la necessit� di riforme � stata proclamata da tutte le forze politiche, con toni enfatici. Che le riforme siano necessarie � da tempo sostenuto in modo convinto e unanime. Questa convinzione � stata rafforzata negli anni pi� recenti a causa della crisi economica: le mancate riforme della giustizia e della macchina burocratica che va semplificata costituiscono un intralcio allo sviluppo e una remora per gli investimenti stranieri. Poich� su questa analisi il consenso � totale, non vi � nessuno che avanzi obiezioni, e tuttavia le riforme non vengono fatte, � inutile limitarsi a ribadire queste enunciazioni ormai consumate e ci si deve chiedere piuttosto perch� le riforme sono mancate o sono state fatte male e quindi occorre di nuovo riformarle. I problemi, erano evidenti e spesso anche ben individuate le misure da adottare. In un convegno della DC di trent'anni fa la mia relazione indicava, fra l'altro, l'eliminazione del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero dei parlamentari, il rafforzamento dei poteri del premier, la semplificazione burocratica, una serie di riforme della giustizia e varie altre che in larga misura coincidono con quelle che ora si propongono. Nella bella legge sul procedimento amministrativo un intero capo era gi� dedicato alla semplificazione. Ma allora, perch� non si sono realizzate? Non vi � fra le forze politiche un grado di dissenso tale da spiegare la mancata riforma. La spiegazione va quindi ricercata in ragioni pi� profonde. Fra le tante, segnalerei quattro ragioni della mancanza o dell'inadeguatezza delle riforme. (*) Avvocato, Professore ordinario di Diritto Amministrativo, Universit� degli Studi di Roma Tre. Il presente scritto � la Relazione dell�Autore - gi� edita in Astrid Rassegna n. 19/2013 - al Convegno in memoria di Arturo Carlo Jemolo, tenutosi in Roma, Consiglio di Stato, 26 settembre 2013. La prima sta nel voler accontentare tutti gli interessi. L'attuale fenomeno della moltiplicazione dei diritti, anche di quelli fra loro conflittuali si accompagna alle difficolt� di fare scelte. Cos� si perseguono il pi� delle volte obiettivi contraddittori. Ad esempio: a fronte dell'esigenza di semplificazione, da un lato si cerca di ricorrere a formule rapide, dall'altro si continuano a introdurre adempimenti a tutela di specifici interessi. L'art. 1 bis del D.P.R. 380/2001, sulle autocertificazioni, esclude dalle autocertificazioni "i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonch� di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria". In realt� l'elenco non � completo perch� bisogna aggiungervi anche le norme sulla tutela del lavoro, della salute, la prevenzione del rischio e via di seguito. La seconda � l'impostazione di breve periodo che anima le riforme e che � del resto connessa all'ambito che ha la visione delle forze politiche. Da qui discendono norme che rispondono a esigenze immediate e che vanno cambiate con il mutare delle stesse. Le tanto (e giustamente) criticate norme ad personam ne sono l'espressione pi� evidente ma la prassi � utilizzata diffusamente (come il prevedere una modifica allo statuto di un partito nell'imminenza di un congresso, o il voler fare la legge elettorale alla vigilia delle elezioni, o il modificare i regolamenti parlamentari sul voto palese o segreto poco prima di una specifica votazione). La terza � connessa a una visione palingenetica e, insieme, formalista delle riforme, l'idea che si debbano fare "rivoluzioni copernicane", totali e onnicomprensive e che i cambiamenti scaturiscano direttamente e immediatamente dalla approvazione di una nuova legge. Cos� non �, soprattutto quando la materia concerne organizzazioni di persone, che agiscono inevitabilmente sulla base di un back round culturale e comportamentale. Le riforme devono essere, piuttosto, dei processi, dei quali un legislatore lungimirante individua non tanto i punti d'arrivo, che non ci sono mai, quanto la via da percorrere. Le riflessioni di Gian Domenico Romagnosi, agli inizi del '800 sull�"incivilimento" dei popoli, sui modi e i tempi nei quali un'idea diventa cultura diffusa o almeno prevalente, sono di estrema attualit� (1) La quarta ragione � connessa a quella che chiamerei la "mancata considerazione del contesto" in cui le riforme intervengono. Il Parlamento � abituato a ragionare come se l'Italia fosse un'isola autosufficiente. Manca la (1) GIAMPAOLO ROSSI, L�attualit� di G.D. Romagnosi nell�eclissi dello statalismo. Considerazioni sul passato e sul futuro del diritto amministrativo in Rass. Avv. Stato, 2013, I, 199 [ndr]. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� consapevolezza dell'ambito effettivo degli spazi di decisione di cui si pu� effettivamente disporre. In misura diversa a seconda dei settori, fatta a 100 la somma di tutto ci� che si pu� astrattamente decidere, quale � lo spazio effettivo a disposizione dello strumento legislativo, stretto da un lato fra vincoli della (parziale) globalizzazione e della normativa comunitaria, e dall'altro da quelli posti dal sistema antonomistico? Queste considerazioni introducono efficacemente il problema della riforma della giustizia. Ci si dovrebbe occupare in primo luogo della giustizia penale e di quella civile che sono le pi� carenti. L'attuale dibattito sull'amnistia e l'indulto � l'ennesima conferma del mancato funzionamento della giustizia penale. Ma anche qui il legislatore ha un atteggiamento contraddittorio perch� per altra via non fa che moltiplicare le fattispecie di reato. Mi limito a rilevare che si dovrebbe forse rivedere la norma costituzionale che stabilisce la presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva. La norma aveva senso ai tempi della Costituente, quando i tre gradi di giudizio si esaurivano in tempi molto ristretti. Oggi non ha senso dire che un condannato in primo grado si presume innocente. Quanto alla giustizia civile, � inutile sperare che si possa amministrare in tempi brevi subendo contemporaneamente le istanze pi� corporative degli avvocati e dei magistrati che sono controinteressati. Ci� posto, mi riferisco in particolare, data la sede e i partecipanti al convegno, ai problemi della giustizia amministrativa. La prima constatazione da fare � che una riforma della giustizia amministrativa c'� stata ed ha avuto uno spessore di particolare rilievo. Non mi riferisco in particolare alla, pur importante, approvazione del Codice del processo amministrativo, n� ad alcune leggi che l'hanno preceduto (Tribunali amministrativi regionali, Consiglio di Presidenza, ecc.). Mi riferisco a una evoluzione che si � registrata in varia misura in tutti i paesi europei e che ha portato a quello che il padre del diritto amministrativo spagnolo, Garcia de Enterria (del quale ricordiamo la morte avvenuta alcuni giorni or sono) ha definito un "cambio di paradigma": l'eliminazione dei privilegi della pubblica amministrazione e il passaggio a un processo fra parti uguali, volto alla tutela dei diritti (v. Le trasformazioni della giustizia amministrativa, Milano 2010, 65 ss.; v. anche, fra tanti, M. FROMONT, La Convergence des sist�mes de justice administrative in Europe, in Riv. trim. dir. pubbl. 2001, 128 ss.). La posizione soggettiva di supremazia del pubblico potere � stata scalzata per dar luogo a una posizione che resta quella della autorit� che adotta atti unilaterali, di carattere autoritativo, ma lo fa per la realizzazione delle funzioni che la legge le assegna nella cura di interessi generali. La sua funzione, prevista dalla legge, � la ragione e la misura dei suoi poteri e la questione se la legge � stata rispettata viene decisa da un giudice terzo di fronte al quale amministrazione e privati si trovano in una posizione paritaria. Sono stati superati cos� i privilegi soggettivi della P.A. e una visione ingombrante dell'interesse pubblico come interesse soggettivo dello Stato che trasferiva la supremazia che va data alla cura degli interessi generali sul soggetto che deve curarli. Agli studenti che tendono a dare per scontata questa nuova concezione ricordo che � stata frutto di una maturazione culturale e di grande impegno della dottrina e della giurisprudenza, e solo marginalmente del legislatore (la legge di delega per la riforma del codice del processo amministrativo conteneva fra i criteri direttivi quello di "adeguare la normativa ai principi elaborati dalle giurisdizioni superiori"). Frutto di una evoluzione giurisprudenziale, e prima che le direttive europee affermassero il principio, � stata anche l'introduzione del risarcimento del danno per sbagliato o mancato esercizio del pubblico potere. La previsione generale contenuta nell'art. 2043 del codice civile non si riteneva applicabile alle pubbliche amministrazioni finch� la Cassazione con la sentenza 500 del 1999 ha rivisto questo (proprio) orientamento. Una analisi comparata mostra che in questa evoluzione il sistema italiano ha raggiunto risultati omogenei a quelli dei paesi pi� progrediti come la Germania e la Francia, mentre altri paesi hanno da poco iniziato questa evoluzione, come la Cina; in altri, come l'Inghilterra, il grado di giuridicizzazione del pubblico potere � meno sviluppato. Anche in confronto con il sistema spagnolo, dove formalmente vi � un giudice unico ma contemporaneamente v'� anche il contenzioso amministrativo e l'esecuzione delle sentenze � molto faticosa, mostra che il sistema italiano � molto avanzato. Bisogna quindi concludere che il percorso di riforma � stato completato? Ritengo di no per varie ragioni che riguardano in particolare il problema della organizzazione della giustizia amministrativa e la valutazione degli effetti sul- l'economia della attivit� giurisdizionale. L'intervista estiva di Romano Prodi ha segnalato un problema reale, anche se ha indicato solo paradossalmente le misure per risolverlo (in termini che sarebbero contrari al diritto dell'U.E. che ormai regola quasi completamente la disciplina degli appalti). Quanto agli aspetti organizzativi: la riforma organica del processo non si � accompagnata a una parallela riorganizzazione della giustizia amministrativa. Sono state approvate solo alcune misure puntuali: quella sul Consiglio di Presidenza; le ultime norme anticorruzione hanno apportato alcuni limiti agli incarichi esterni; l'istituzione dei TAR e il conseguente aumento del numero di magistrati amministrativi ha indirettamente ridotto la percentuale di quelli di nomina governativa fino a renderla poco pi� che simbolica (sono 25 su 400); la Corte Costituzionale ha esteso al giudice amministrativo la tutela (assistenza di un avvocato) che ha il giudice ordinario nei procedimenti disciplinari. Quale �, se c'�, il senso di queste riforme? Quello di rimuovere alcuni profili di specialit� del giudice amministrativo avvicinandolo alla posizione LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� del giudice ordinario. Ci� � avvenuto per altro assumendo quest'ultima come parametro di riferimento, quando, invece, da pi� parti se ne chiede una riforma. Mi riferisco, in particolare, alla composizione dell'organo di autogoverno per il quale sarebbe forse preferibile adottare il modello di nomina che ha ben funzionato per la Corte Costituzionale (un terzo di elezione dai magistrati, un terzo dal Parlamento, un terzo dal Presidente della Repubblica). Mi riferisco, ancora, alla attuale disciplina degli incarichi esterni che, anche per il giudice ordinario non garantisce che il ruolo giurisdizionale non possa essere utilizzato al fine di conseguire risultati di carattere politico. Credo che la modifica di questi profili possa essere posta all'ordine del giorno. Il problema pi� generale che viene da alcuni ventilato in sede sia scientifica che politica � se si debba piuttosto arrivare a un pieno assorbimento dei giudici e della giustizia amministrativa in quella ordinaria. Se � vero che ormai il giudice amministrativo � diventato il giudice ordinario del pubblico potere, perch� non trarne le ultime conseguenze ed eliminare una specialit� che deriva da concezioni ormai superate? La risposta deve essere a mio avviso negativa, sulla base di un approccio riformista che non voglia incorrere nelle obiezioni che ho prima segnalato e tenda al migliore funzionamento di ci� che gi� � abbastanza soddisfacente piuttosto che farlo rifluire in un sistema del quale � unanime la denuncia della disfunzione a partire dai tempi nei quali la giustizia viene resa. Non a caso tutti gli ordinamenti tendono ad avere, in vario modo, un giudice non speciale ma specifico per il pubblico potere. La ragione non sta nella difesa dei precedenti privilegi ma nella constatazione della diversit� di problematiche che si pongono nel processo amministrativo e nel diverso approccio che deve avere il giudice nel risolverle. Non a caso nei lavori preparatori del nuovo codice coloro che sostenevano ulteriori equiparazioni al processo civile non hanno formulato la proposta di una semplice e totale applicazione del codice di procedura civile alle cause nelle quali si discuta dell'esercizio di un pubblico potere. La logica del processo amministrativo � diversa, e non � riducibile alla definizione di interessi di natura patrimoniale. L'interesse generale, che sottost� alle questioni che vengono trattate, non comporta una diversit� della posizione delle parti nel processo ma non diventa per ci� irrilevante, a partire dalla necessit� di concludere rapidamente la vertenza. Se si debba o no costruire una scuola o una strada non � questione che possa attendere i tempi propri delle controversie solo patrimoniali. La complessit� delle questioni poste nel processo amministrativo si riflette in modo significativo anche nella sua struttura nella quale, a differenza del processo civile, assume una posizione fondamentale la figura del contro- interessato. Ci� perch� ogni decisione pubblica incide su una pluralit� di interessi in modo fra loro conflittuale. Ne deriva anche la necessit� di una ap posita formazione, e di elevato livello, del giudice. Si deve quindi adottare un approccio analitico ed empirico per rimuovere i residui limiti della giustizia amministrativa, anche effettuando comparazioni con i sistemi degli altri paesi. Si scoprir� che per certi profili se ne potrebbero imitare le migliori performaces mentre per altri il nostro sistema risulta preferibile. Segnalo, in conclusione, alcune misure che potrebbero essere adottate, con miglioramenti che potrebbero derivare anche da pi� adeguati comportamenti nell'esercizio della funzione giurisizionale: va scoraggiato il contenzioso eccessivo. Vi sono quasi 70.000 ricorsi all'anno (10% dei quali negli appalti). In troppi casi il processo non si svolge, in realt�, fra l'Amministrazione e il ricorrente ma fra questi e il controinteressato e l'Amministrazione vi assiste in attesa di poter concludere il procedimento amministrativo. Le ragioni di pubblico interesse sembrano aver scarso rilievo. Sembra pi� importante sapere chi debba realizzare un'opera pubblica piuttosto che portarla a termine. Questo risultato non si ottiene elevando ulteriormente il costo del processo. Il giudice, se vuole, sa come incentivare o disincentivare il contenzioso. Quanto alla tempistica, i risultati sono molto positivi con rifermento alla fase cautelare ma poi corrono il rischio di dilatarsi eccessivamente, portandosi dietro uno strascico di incertezza che scoraggia l'attivit� economica. Si dovrebbe fare un pi� ampio ricorso alla decisione di merito assunta in termini brevi, gi� prevista dal codice, eventualmente consentendo motivazioni semplificate. Anche per il giudice amministrativo si manifesta l'esigenza di evitare i trabordamenti che caratterizzano l'insieme dell'attivit� giurisdizionale (la stessa Corte Costituzionale non ne � esente). Il cavallo di Troia per lo sconfinamento nel merito � ora l'applicazione del criterio di proporzionalit� che costituisce una grande conquista di civilt� ma deve restare nell'ambito della valutazione dell'eccesso di potere se non si vuole attribuire al giudice il potere di sovrapporre la propria ponderazione di interessi a quella dell'Amministrazione. Infine occorre meglio definire il riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e amministrativo per rimuovere le oscillazioni che si ripercuotono in termini insopportabili sulla durata dei processi. A volte � il giudice amministrativo che non accetta i suoi limiti o se ne impone eccessivi (come nel diniego di giurisdizione nei concorsi per titoli). A volte � la Cassazione che crea nuove fattispecie discutibili, come quella dei "diritti indegradabili", nozione il cui contenuto � rimesso alla valutazione soggettiva del giudice che non trova parametri oggettivi e di carattere normativo per distinguerli dai diritti in genere o almeno da quelli "fondamentali" (come ad esempio l'istruzione). Da non accettare, inoltre, � la tesi che tende a configurare il giudice amministrativo come "giudice dell'economia", perch� anche quello ordinario lo �, e l'enfasi eccessiva pu� indurre a stimolare ulteriori trabordarnenti. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� La tutela della biodiversit� e degli ecosistemi: l�evoluzione dei modelli e delle forme di tutela Paolo Francalacci* SOMMARIO: 1. Le convenzioni internazionali: modelli e forme di tutela. La tutela degli ecosistemi nelle convenzioni storiche e nella Convenzione di Ramsar - 2. Ecosistemi e rete ecologica europea. La Direttiva �Natura 2000� e la Direttiva �Uccelli�: tutela delle specie migratrici e degli habitat - 3. La Convenzione sulla diversit� biologica (CBD): le strategie e i piani di azione - 4. Il Millennium Ecosystem Assessment (MA): i servizi eco sistemici (ES) e i payment ecosystem serices (PES) - 5. La strategia italiana per la biodiversit� e i servizi ecosistemici: la disciplina vigente e l�attuazione della CBD. 1. Le convenzioni internazionali: modelli e forme di tutela. La tutela degli ecosistemi nelle convenzioni storiche e nella Convenzione di Ramsar. Il quadro normativo in materia di biodiversit� e servizi eco sistemici � il risultato di un processo culturale che ha avuto origine a livello internazionale e che si fonda sui principi di precauzione, partecipazione alle decisioni, sviluppo ecologico e sostenibile e valutazione degli effetti ambientali. Le fonti giuridiche di riferimento sono costituite da un complesso di dichiarazioni e conferenze mondiali e, soprattutto, da convenzioni internazionali (1). (*) Dottore di ricerca, Universit� degli Studi di Firenze, Dipartimento di Diritto Pubblico - Diritto Urbanistico e dell�Ambiente. La presente pubblicazione costituisce la seconda parte della tesi di dottorato dell�Autore �Il ruolo delle aree protette nella tutela dei servizi ecosistemici e della biodiversit��, tesi discussa il 5 aprile 2012. Il Lettore pu� fruire della prima parte ��Ecosistemi�, �biodiversit�� e �servizi naturali�: definizioni e caratteristiche� in Rass., 2012, IV, 269 ss.. (1) Tali convenzioni, inquadrabili per ambiti geografici (contesti regionali, europei, internazionali), e per fasi storiche (la prima generazione fino agli anni �60 favorisce la tutela di singole specie, la seconda generazione degli anni �70 e �80 promuove la tutela degli habitat delle specie, la terza generazione conseguenti alla Conferenza di Rio, del 1992, prospetta un approccio olistico ed ecosistemico), costituiscono elementi fondamentali per le politiche comuni in tema di conservazione della natura e della biodiversit� e rappresentano i presupposti delle politiche comunitarie e nazionali. I passaggi fondamentali sono contrassegnati: -dalla Dichiarazione di Stoccolma (1972), che chiude i lavori della Conferenza sull�ambiente umano assumendo la tutela ambientale tra i compiti della comunit� internazionale (�Noi abbiamo una sola Terra�) per tracciare le linee fondamentali della politica ambientale internazionale tramite il Programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP); -dal Rapporto Bruntdland �Principi legali per la protezione ambientale� (1987), elaborato dalla Commissione mondiale per l�ambiente e lo sviluppo, costituita nel 1983, che approfondisce l�interazione tra sviluppo ed ambiente (I lavori della commissione, presieduta da G.H. Bruntland, sono pubblicati nel volume Il futuro di noi tutti, ed. it. Milano, 1988); -dalla Conferenza di Rio de Janeiro (1992), che ha prodotto la Dichiarazione finale contenete i ventisette principi guida e il documento programmatico di Agenda XXI oltre alla CBD; Tali fonti promuovono differenti modelli e forme di tutela che possiamo ridurre a tre principali tipologie. La prima � caratterizzata dall�individuazione di singole specie o singoli elementi naturalistici da proteggere integrando quella che possiamo definire la tutela diretta della singola specie (o approccio monospecifico diretto): il divieto di commerciare specie animali, le restrizioni ai prelievi venatori ovvero la tutela di alcune specie di flora o di fauna si ispirano a questo modello (2). Una seconda tipologia prevede invece misure di tutela degli habitat delle specie (tutela indiretta delle singole specie o approccio specifico indiretto) come nel caso della tutela di zone umide, di aree specialmente protette del Mediterraneo oppure di regioni bio-geografiche (3). Pi� recentemente, infine, si � privilegiato un approccio olistico per sistemi ecologici geografico-territoriali (approccio eco regionale), la cui sperimentazione � tuttora in corso. Quest�ultimo modello ispira la strategia di tutela della biodiversit� (CBD). I differenti approcci presentano punti di congiunzione e sovrapposizione e possono interagire l�uno con l�altro all�interno delle singole fonti. La Convenzione di Ramsar del 3 febbraio 1971, ad esempio, sulle zone umide di importanza internazionale come habitat degli uccelli acquatici, costituisce un esempio di complessit� ed interazione. Le zone umide, secondo l�art. 1 della Convenzione, sono inserite in una �lista� di zone umide di importanza internazionale, censite in una mappa topografica (art. 2) (4). La convenzione assume come riferimento essenziale il concetto di �ha -dal Vertice mondiale di Johannesburg sulla sostenibilit� dello sviluppo (2002) (WSSD) finalizzato a definire modalit� operative per attuare la tutela ambientale mediante la dichiarazione politica (dove si illustra il percorso compiuto dalla Dichiarazione di Stoccolma per Rio e Johannesburg e si definiscono gli interventi prioritari) ed il Piano di azione sullo sviluppo sostenibile (cio� il Plan of implementation, contenente 152 obiettivi, distinti in 5 aree di azione tra cui la biodiversit� con l�obiettivo, entro il 2012, di istituire un network rappresentativo di aree marine protette) (A. MODELLA, Il vertice di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile, in Riv. giur. ambiente, 2003, p. 385). Per quanto riguarda la conservazione della biodiversit� i riferimenti essenziali sono i seguenti: 1. Convenzione relativa alla conservazione della fauna e della flora allo stato naturale, Londra 08/11/1933; 2. Convenzione internazionale per la protezione degli uccelli, Parigi 18/10/1950; 3. Convenzione relativa alle zone umide di importanza internazionale, Ramsar 02/02/1971; 4. Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, Parigi 16/11/1972; 5. Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione, Washington 03/03/1973; 6. Convenzione per la protezione del Mediterraneo, Barcellona 16/02/1976; 7. Convenzione sulla conservazione delle specie migratrici appartenenti alla fauna selvatica, Bonn 23/06/79; 8. Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell�ambiente naturale in europa, Berna 19/09/79; 9. Convenzione per la protezione delle alpi, Salisburgo 07/11/91; 10. Conferenza di Rio de Janeiro e Convenzione sulla diversit� biologica, Rio de Janeiro 05/06/92; 11. Convenzione europea del paesaggio, Firenze 20/10/2000. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� bitat� che, nella evoluzione interpretativa cui va soggetto, comprende non solo l�habitat come contesto riproduttivo per alcune specie protette ma anche l�ecosistema delle zone umide in s� considerato (si veda amplius infra). L�approccio internazionale si �, cos�, progressivamente orientato, a partire dagli anni �60 e �70 del secolo scorso, da un approccio di tutela delle singole specie della flora e della fauna (5) - che sottendono spesso motivazioni eco (2) Si ricordano: -la convenzione internazionale sulla regolamentazione della caccia alla balena (1946); -la convenzione per la protezione degli uccelli (1950); - la convenzione di Washington (1973) sul commercio internazionale di specie animali e vegetali in pericolo di estinzione; -la convenzione di Berna (1979) sulla conservazione dei biotopi e la protezione delle specie vegetali e animali; -la convenzione di Bonn (1979) sulla protezione delle specie migratorie. (3) Si ricordano: -la Convenzione di Ramsar (1971) sulla tutela delle zone umide; -il Protocollo di Ginevra (1982) recepito nell�ordinamento italiano con legge 5 marzo 1985, n. 127, recante Ratifica ed esecuzione del protocollo relativo alle aree specialmente protette del Mediterraneo, aperto alla firma a Ginevra il 3 aprile 1982; - la Convenzione di Salisburgo (1991) sulla regione alpina finalizzata a promuovere, tramite protocolli tra le parti contraenti, una politica globale di preservazione e protezione delle Alpi, prendendo in considerazione, gli interessi di tutti gli Stati alpini, delle loro regioni ed anche della Comunit� economica europea; -la Convenzione di Rio (1992) sulla diversit� biologica, negoziata per molti anni e aperta alla firma durante la Conferenza mondiale sull�ambiente delle Nazioni Unite. (4) Il Protocollo di Ginevra sulle aree specialmente protette del Mediterraneo (1982) promuove la tutela integrata degli aspetti culturali ed ambientali ed estende la tutela al territorio circostante l�area protetta. Il protocollo introduce altres� disposizioni per promuovere la pianificazione micro e macrosistemica nonch� speciali regimi di conservazione della natura. L�art. 7, tra le misure che andranno progressivamente applicate all�interno delle aree protette, indica �l�organizzazione di un sistema di pianificazione e gestione� con possibilit� di individuare una o pi� aree di protezione esterna (buffer zones), in cui le attivit� siano meno severamente ristrette, purch� compatibili con gli obiettivi dell�area protetta (art. 5). La pianificazione ambientale diviene lo strumento di gestione e il mezzo di integrazione tra l�area protetta ed il contesto circostante mediante la realizzazione di una rete (network) di aree protette coordinate e mutuamente assistite a livello internazionale nella direzione della creazione di una rete intesa come �network informativo� vero e proprio. (5) La dottrina (M.C. MAFFEI, La protezione internazionale delle specie animali minacciate, Ceda, Padova, 1992, p. 5 ss.) distingue, infatti, tre categorie di accordi ai quali gli Stati sono ricorsi in questa materia: a) trattati che tutelano direttamente la specie o le specie (es. l�accordo sulla conservazione degli orsi polari, Oslo, 15 novembre 1973) b) trattati che tutelano gli habitat essenziali per la sopravvivenza di un certo gruppo di specie (ad esempio la convenzione sulle zone umide di importanza internazionale (Ramsar, 2 febbraio 1971 ed emendata nel 1982 (protocollo di Parigi del 3 dicembre 1982 in vigore dal 1 ottobre 1986) c) trattati che tutelano le specie introducendo restrizioni al commercio internazionale della fauna e della flora selvatiche (ad esempio la convenzione di Washington 3 marzo 1973, Convention on International Trade in Endangered Species - CITES, entrata in vigore il 1 luglio 1975 ed emendata nel 1979 (emendamento di Bonn del 22 giugno 1979 in vigore dal 13 aprile 1987) e nel 1983 (emendamento di Gaborone del 30 aprile 1983). nomiche e di mercato (6) - ad un approccio per habitat di singole specie o gruppi di specie fino alle recenti evoluzioni nell�ambito dell�approccio ecologico, con l�avvento del nuovo millennio, e l�affermazione dell�ecosystem approach (EA) secondo i modelli di tutela introdotti dalla CBD. Gi� a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso la comunit� internazionale tende ad affrontare i problemi di tutela delle specie mostrando attenzione al loro contesto di vita, soprattutto per le indagini legate all�analisi della evoluzione delle minacce da esso derivanti. La dottrina osserva infatti che l� �ecosystem approach (�) demands that managers look not only at species being harvested but also at other dependent species� (7). Si rileva, cos�, che accordi intesi a tutelare singole specie includano, tra le loro disposizioni, anche norme che tutelano l�habitat o che istituiscono zone protette (8). Non esiste omogeneit� nell�interpretazione del concetto di habitat: taluni scienziati si riferiscono infatti solo all�ambiente abiotico altri invece vi com- pendono anche gli organismi viventi. Anche il linguaggio delle convenzioni parla indifferentemente di habitat, ambiente di una specie, biotopo, approccio eco sistemico. A ci� si aggiunge la difficolt� di tradurre in italiano termini come wildlife e nature. Cos� il concetto di habitat, pur avvicinandosi a quello di ecosistema, intendendo sia il luogo in cui una specie pu� vivere sia gli altri fattori che ne permettono la sopravvivenza, differisce da questo poich� l�habitat, diversamente dall�ecosistema, appare legato, per sua stessa definizione, ad una o pi� specie determinate (ad esempio l�habitat degli orsi polari, degli uccelli migra- tori, l�habitat di una specie minacciata e cos� via) e viene tutelato soprattutto (6) Ad esempio la convenzione sulle balene ICRW � tesa a tutelare l�industria baleniera limitando lo sfruttamento per salvaguardare l�immissione sul mercato di quote eccessive di prodotti (The �economizing� of Ecology: Why Big, Rare, Whales Still Die, in ELQ vol. I, 1980, p. 216 ss.). (7) LYSTER, International Wildlife Law, Cambridge, 1985, p. 300. (8) Si pensi ad esempio all�accordo tra Francia e Monaco (Parigi, 16 febbraio 1984) che all�art. 4, comma 2, dispone �� ces dispositions ne font toutefois pas obstacle � l�etablissement par cachune des Parties, dans ses eaux territoriales, d�une ou de plusieurs zones de r�serve ou de protection de la faune et de la flore marines��. Nel trattato tra Australia e Papua Nuova Guinea firmato a Sidney il 18 dicembre 1978 si prevede l�istituzione di una zona protetta al fine tra l�altro �� to protect and preserve the marine environment and indigenous fauna and flora in and in the vicinity of the Protected Zone �� (artt. 10, 13 e 14). Analogamente all�art. 45 del tratttao tra Argentina ed Uruguay relativo al rio de la Plata (Montevideo, 19 novembre 1973) si legge �The martin Garcia Island shall be exclusively destined as a natural reserve for the conservation and preservation of fauna and flora under jurisdiction of the Argentin Republic...�. E ancora la convenzione tra Messico e Guatemala del 10 aprile 1987 che introduce la conservazione di aree naturali (lett. b) a fianco alla protezione diretta delle specie (lett. c) ed alle restrizioni commerciali (lett. d). LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� con riferimento a quella specie. � altrettanto vero, tuttavia, che la protezione dell�ecosistema non pu� non comprendere anche quella pi� ristretta dell�habitat e non pu� non ripercuotersi positivamente su di essa (9). Si fa strada l�idea che i cetacei, cos� come le foche, non possono essere considerati solo risorsa da sfruttare - sia pur in modo accorto e razionale (il wise use presente anche nella convenzione di Ramsar per le zone umide) - ma che la loro uccisione non sia comunque lecita per ragioni etiche e morali. La tutela degli habitat non pu�, tuttavia, prescindere da una tutela pi� ampia e generale, che consideri le reciproche interdipendenze tra i sistemi ambientali Si pensi, ad esempio, al cd. �effetto serra� che porter�, se le previsioni sono esatte, all�innalzamento dei mari ad un livello tale da far scomparire le zone umide costiere, rendendo inefficaci le misure di protezione di tali habitat. Per questi motivi, a fianco della protezione diretta delle specie e di quella indiretta mediante gli habitat, � necessario un approccio alle interazioni ambientali, cos� come si avverte in molte convenzioni storiche (10). Si segnalano, comunque, alcune interessanti eccezioni anche all�interno di fonti orientate alla tutela di singole specie in pericolo di estinzione perch� minacciata dalla caccia o dallo sfruttamento eccessivo e non dalla perdita di habitat: a) la convenzione sulle foche da pelliccia del pacifico settentrionale, del 1957, che, nel 1976, aggiunge, all�art. II, par. 2, la disposizione che considera gli effetti dei cambiamenti ambientali causati dall�uomo sulle popolazioni di foche; b) la Convention on the Conservation of Antarctic Marine Living Resources (CCAMLR) (11), che pone il problema della fragilit� ed unicit� dell�eco (9) Per la definizione di habitat si vedano tra le altre la convenzione di Bonn, lett. c) e l�accordo sulla conservazione del carib�, art. 1, lett. c). (10) Si pensi, ad esempio, alla Convenzione internazionale per la protezione degli uccelli (Parigi 18 ottobre 1950). L�art. 10 prevede che le parti adottino misure �propres � pr�venir la destruction des oiseaux par les hydrocarbures et autres causes de pollution des eaux, par les phares, cables electriques, insecticides, poisons et par toute autre cause �� e anche la convenzione tra Giappone e Stati uniti per la protezione degli uccelli migratori e del loro ambiente (Tokyo, 4 marzo 1972) art. VI, lett. a), laddove dispone che si cerchino mezzi per evitare danni a tali uccelli e al loro ambiente, specialmente quelli derivanti dall�inquinamento marino. Cos� le caratteristiche di mobilit� delle specie animali impongono una collaborazione tra autorit� e tra Stati poich� talora, a varcare i confini nazionali, sono non solo le specie ma anche i fattori di disturbo degli habitat (inquinamento transfrontaliero, effetto serra, ozono etc.). (11) La Convenzione per la Conservazione delle Risorse Marine Viventi dell�Antartide (CCAMLR -Convention on the Conservation of Antarctic Marine Living Resources) � entrata in vigore nel 1982 come parte del Sistema del Trattato Antartico. La Convenzione fu istituita sopratutto in ragione del fatto che un aumento della pesca del krill nel- l'Oceano Meridionale avrebbe potuto avere gravi effetti non solo su questi piccoli crostacei (il cui nome scientifico � Euphausia superba) ma anche su altri organismi marini. Uccelli, foche, pesci e balene, infatti, dipendono, per la loro alimentazione, in gran parte dal krill. Le risorse considerate dal CCAMLR escludono specificatamente foche e balene, dato che queste rientrano in altre Convenzioni (Convention for the Conservation of Antarctic Seals, International Convention for the Regulation of Whaling). sistema antartico, stabilendo che le parti dovranno adottare, per lo sfruttamento delle risorse naturali della zona, tale approccio eco sistemico inteso come �the complex of relationship of Antartic marine living resources with each other and with their physical environment� (art. I, � 3). Per la convenzione di Ramsar, pur costituendo la fauna (e in particolare la presenza di uccelli acquatici), il criterio principale per la determinazione dell�importanza delle zone umide, (�convention on wetlands of international importance especially as waterfowl habitat� ) gli obiettivi della convenzione �are sufficiently broad to encopass all type of wetlands �� (12) mentre lo stesso Preambolo della convenzione di Ramsar riconosce che le zone umide costituiscono una risorsa di grande valore economico, culturale, scientifico e ricreativo, la cui perdita sarebbe irreparabile. L�applicazione della convenzione di Ramsar ha, infatti, evidenziato un doppio criterio nella selezione delle zone umide: l�importanza internazionale dal punto di vista botanico, zoologico, idrologico e l�importanza internazionale dal punto di vista ecosistemico. Quest�ultimo profilo pone il tema della connessione e continuit� del sistema delle zone umide e dell�integrazione di queste con le altre tipologie di aree pro- tette (zone rifugio, aree di riproduzione, riserve con divieti di caccia e simili). Ecco che i singoli modelli di tutela, dalle singole specie all�habitat, presuppongono e favoriscono comunque la conservazione dell�ecosistema se applicate secondo un approccio eco sistemico ed includono norme che consentono, in forma diretta o indiretta, la sua effettiva tutela, salvo il necessario coordinamento e l'integrazione delle attivit� gestionali. 2. Ecosistemi e rete ecologica europea. La direttiva �Natura 2000� e la direttiva �Uccelli�: tutela delle specie migratrici e degli habitat. La disciplina comunitaria, in parallelo a quanto osservato per la disciplina internazionale, prospetta analogo dualismo: alcune fonti si orientano alla tutela Lo scopo della CCAMLR � quindi la salvaguardia della vita marina nell�Oceano Meridionale. Questo non esclude le attivit� di pesca purch� esse siano svolte in modo razionale e controllato. La Convenzione ha istituito una Commissione ed un Comitato Scientifico. Attualmente nel CCAMLR vi sono 25 Stati Membri ed altri 9 Stati accedono alle riunioni in quanto interessati alle tematiche gestionali e scientifiche riguardanti le risorse ittiche antartiche. Il CCAMLR ed il suo Comitato Scientifico sono stati pionieri nello sviluppo di ci� che � divenuto noto come l� �approccio ecosistemico per la regolamentazione della pesca�. L'approccio ecosistemico non si concentra esclusivamente sulle specie pescate, ma mira ad evitare situazioni in cui la pesca abbia un significativo impatto negativo sulle �specie dipendenti e connesse�. La finalit� � sviluppare approcci di gestione che trattino lo status dell�ecosistema nel suo complesso. Nell�applicazione di questo approccio, il CCAMLR si � rapportato con la difficolt� di descrivere la vasta complessit� dell�ecosistema marino, tenendosi d�altra parte conto che il sistema � essenzialmente dominato dall'insieme delle specie pi� importanti nella catena alimentare. L�Italia � Membro del CCAMLR dal 1990. (12) IUCN, doc. CONF/5, p. 2. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� delle singole specie ed altre si rivolgono alla tutela dei siti naturalistici, rilevanti ai fini della loro tutela. Ne consegue che, soprattutto nella prima fase, la tutela dell�ecosistema, comunque presente nel sistema normativo, emerge in forma indiretta. La dottrina ha ritenuto, infatti, di poter osservare come �la Comunit� europea abbia preferito (o abbia dovuto) mettere in secondo piano la questione della protezione degli ecosistemi; problema anch�esso, in verit�, molto grave e urgente, ma spesso meno facilmente percepibile�(13). Le due direttive comunitarie in materia, la 79/409/CEE sulla tutela di alcune specie di uccelli selvatici del 2 aprile 1979 (14) e la 92/43 CEE in tema di habitat naturali e seminaturali del 21 maggio 1992 (15), pur se concepite in periodi diversi, sono tuttavia collegate dal comune denominatore di contribuire alla salvaguardia della biodiversit� mediante la conservazione degli habitat naturali. La direttiva 79/409 � relativa alla tutela di alcune specie di uccelli selvatici (art. 1 comma 1), e trova applicazione in riferimento �agli uccelli, alle loro uova, ai nidi e agli habitat � (art. 1 comma 2). L�obiettivo primario non � la disciplina di territori in s� naturalisticamente rilevanti n� la tutela degli ecosistemi in s� considerati quanto, piuttosto, la tutela di determinate specie animali mediante la protezione degli habitat in cui tali specie trovano il loro ambiente vitale (16). Scopo della Direttiva Habitat, in base all�art. 2, � �contribuire a salvaguardare la biodiversit� mediante la creazione di habitat naturali nonch� la flora e la fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri�. In particolare, la direttiva si propone di mantenere o ripristinare uno stato (13) A. SIMONCINI, Ambiente e protezione della natura, cit., p. 63. (14) Con la direttiva 79/409 - come evidenziato sopra - la Comunit� si pone come obiettivo non tanto la protezione di territori rilevanti dal punto di vista naturalistico quanto la tutela di determinate specie di animali soprattutto attraverso la creazione di �protected areas� e di �biotopes�, finalizzati alla protezione degli habitat in cui tali specie hanno il loro ambiente di vita. (15) La direttiva 92/43 ha costituito una �rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione� chiamata Natura 2000. Essa � composta da tutte le aree comunitarie dove sono collocati particolari habitat o specie protette ed ha il compito di salvaguardare tali habitat. A tal fine, questi luoghi vengono costituiti in zone di conservazione speciale, cio� siti di importanza comunitaria, ossia luoghi che contribuiscono in modo significativo a mantenere o ripristinare uno o pi� habitat naturali o habitat di specie, designati dagli Stati membri mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale ed in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie a proteggere o ripristinare gli habitat o le specie in esso contenuti. (16) Si veda F. DI DIO, La classificazione normativa delle aree naturali protette di diritto comunitario: rilievi critici e problemi aperti, in Dir. e giur. agr. e amb., 2005, 6, p. 630 secondo il quale, a conferma dell�idea delle aree protette come fattori strumentali per la tutela dell�ambiente, starebbe il fatto che la direttiva non prevede esclusivamente interventi di protezione della natura quali mezzi per raggiungere le proprie finalit�, ma affianca, a misure di conservazione in situ, anche misure relative alla cattura, l�uccisione, la distruzione dei nidi e delle uova, al disturbo durante la ricerca del cibo, nonch� il divieto della commercializzazione di uccelli vivi o morti o di parti di essi. di conservazione soddisfacente degli habitat naturali o delle specie di flora e di fauna di interesse comunitario (art. 2 comma 2) mediante la creazione della rete ecologica Natura 2000, su cui confluiscono anche le zone di protezione speciale (ZPS). La direttiva, pertanto, distingue due tipi di intervento a tutela dell�ambiente: la conservazione degli habitat (naturali o di specie) e la tutela delle specie (17). Mentre la prima azione consiste, essenzialmente, nella creazione di ZSC (cio� di aree soggette a misure particolari di conservazione, dirette a tutelare habitat naturali o habitat di specie), il secondo tipo di intervento si realizza tramite misure tecniche di prevenzione ex situ, tese cio� alla tutela delle specie animali indipendentemente dal luogo in cui stazionano. Elemento centrale � costituito dal fatto che la normativa comunitaria pone esplicitamente l�obbligo, in capo agli Stati membri, di creare un regime giuridico di protezione per alcune porzioni di territorio, non solo in quanto habitat di specie da proteggere - possibilit� gi� prevista dalla direttiva 79/409 - ma anche in quanto habitat naturali in s� meritevoli di considerazione per la loro elevata naturalit�. In tale direzione, una significativa evoluzione � determinata dall�introduzione dell� �approccio eco-regionale� che contraddistingue l�affermarsi della fase di gestione strategica e cooperativa nella fase attuale. Secondo tale approccio sono da individuare ambiti omogenei dal punto di vista ecologico, le �eco regioni�, che costituiscono il riferimento per la pianificazione e la gestione strategica in termini bio-geografici alle diverse scale. La Commissione europea ha infatti adottato, secondo tale approccio eco regionale, l�elenco dei siti per le �regioni biogeografiche� che interessano l�Italia: alpina (2003), continentale (2004) e mediterranea (2006). Le �eco regioni� consentono di affrontare il tema complesso dell�assetto ecosistemico nella pianificazione di area vasta anche in riferimento alla legge quadro sulle aree protette, che invita il pianificatore a individuare �ambiti omogenei� come riferimento per la pianificazione e per la gestione dello sviluppo socio economico compatibile. Con le �eco regioni� si propone una metodologia in grado di delimitare, anche in termini cartografici, ambiti conformi per caratteri fisici e biologici (regioni, sistemi, sottosistemi ed unit� ambientali). Questo approccio, frutto dell�evoluzione dinamica dell�ecologia del paesaggio, si integra con l�approccio ecoregionale ideato e promosso dal WWF, in base al quale viene imple (17) Ai sensi dell�art. 1, lett. b), si considerano habitat naturali quelle zone terrestri o acquatiche che si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, interamente naturali o seminaturali. La lett. f) classifica come habitat di una specie l�ambiente definito da fattori abiotici e biotici specifici in cui la specie vive in una delle fasi del suo ciclo biologico. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� mentato un modello, riferito ai caratteri fisici (clima, litologia e forme) e biologici (flora, fauna e vegetazione) che sar� poi utilizzato anche all�interno della Strategia per la biodiversit� (18). 3. La Convenzione sulla diversit� biologica (CBD): le strategie e i piani di azione. La CBD e le strategie per la tutela della biodiversit�. La Convenzione sulla diversit� biologica (o CBD, acronimo dell'inglese Convention on Biological Diversity) � un trattato internazionale adottato nel 1992 al fine di tutelare la diversit� biologica (19), ratificato dall�Italia con legge 14 febbraio 1994, n. 124, che ha successivamente provveduto a predisporre il documento �Linee strategiche per l�attuazione della Convenzione di Rio de Janeiro e per la redazione del piano nazionale sulla Biodiversit�� (Del. CIPE 16 marzo 1994, n. 26). Gli obiettivi primari della CBD sono: 1) la conservazione della diversit� biologica, 2) l'uso sostenibile delle sue componenti, 3) la giusta ed equa ripartizione dei benefici dell'utilizzo di queste risorse, compreso un giusto accesso alle risorse genetiche ed un appropriato trasferimento delle tecnologie necessarie. All�articolo 2, la convenzione definisce il �termine diversit� biologica� come �la variabilit� tra organismi viventi di qualsiasi tipo compresi, tra gli altri, quelli terrestri, marini e di altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici dei quali questi sono parte; questo include la diversit� all'interno delle specie, tra le specie e degli ecosistemi�. Sono considerate �risorse biologiche� �le risorse genetiche, gli organismi o parti di essi, le popolazioni, o ogni altra componente biotica degli ecosistemi con uso o valore reale o potenziale per l'umanit��. La biodiversit� rappresenta il livello di complessit� superiore rispetto alla (18) L�approccio ecoregionale � funzionale anche all�attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio che promuove una interpretazione legata all�evoluzione dinamica e culturale della natura e delle attivit� umane, senza trascurare l�importanza del valore estetico-visuale. La lettura per ecoregioni e/o unit� ambientali pu� divenire quindi il riferimento scientifico che rende possibile riconoscere l�eterogeneit� paesaggistica come riferimento territoriale utile per la pianificazione. Utilizzare i criteri ecoregionali (omogeneit� fisico-biologica) ed ecosistemici (modelli integrati funzionalmente e strutturalmente) per la pianificazione territoriale e paesaggistica sottende l�esigenza di rivedere molti dei pi� tradizionali e consolidati paradigmi di studio e di gestione del territorio, quali le classificazioni dei caratteri naturalistici e l�articolazione delle decisioni risolutive sulle trasformazioni ambientali. (19) Adottata a Nairobi, Kenya, il 22 maggio 1992, la Convenzione � stata aperta alla firma dei paesi durante il Summit Mondiale dei Capi di Stato di Rio nel 1992, insieme alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ed alla Convenzione contro la desertificazione. conservazione delle specie o delle aree protette poich� la sua tutela richiede una dimensione integrata con le politiche sociali ed economiche. Le fasi attuative della CBD, preparate partire dal 1994, si sviluppano soprattutto nella fase temporale successiva al 2000. Nel 2001 il Consiglio dell�Unione Europea di Gothenburg ha ribadito la necessit� di intraprendere azioni efficaci per arrestare la perdita di biodiversit� entro l�anno 2010 e tale impegno � stato successivamente confermato nel Summit mondiale per lo sviluppo sostenibile di Johannesburg, nel 2002, con l�adozione di un Piano contenente azioni mirate ad una significativa riduzione della perdita di biodiversit� entro l�anno 2010 (Obiettivo 2010). Nel summit, i governanti del mondo hanno dato alla Convenzione il mandato di ridurre significativamente la perdita di biodiversit� mediante la definizione di strategie, piani e programmi. La CBD, infatti, nello specificare gli obblighi delle Parti, stabilisce che ciascuno Stato, nella definizione di strategie nazionali, piani o programmi per la conservazione e l'uso sostenibile della diversit� biologica, dovr� �integrare, per quanto possibile ed appropriato, la conservazione e l'uso sostenibile della diversit� biologica nei piani di settore rilevanti, nei programmi e nelle politiche�. Nel maggio 2004 viene elaborato il Messaggio di Malahide nel corso della Conferenza degli stakeholder di �La Biodiversit� e l�Unione Europea Sostenere la vita, sostenere le economie�. Recependo tale Messaggio, la Commissione europea, con la COM (2006) 216, ha definito il Piano d�azione per la biodiversit� �Fino al 2010 e oltre�, evidenziando l�importanza di una politica intersettoriale per la biodiversit�, fondata sulla consapevolezza dei beni e servizi che essa offre per il benessere umano e la sopravvivenza della vita sul Pianeta. Il Piano d�azione europeo ha guidato l�attivit� di tutti i Paesi comunitari (compresa l�Italia) nella definizione delle strategie nazionali secondo l�approccio ecosistemico. L'approccio ecosistemico � stato sintetizzato, durante la quinta conferenza delle parti, in 12 principi (20), discussi in workshop regionali, finalizzati ad (20) La COP 5 ha cos� sintetizzato i dodici principi dell�EA: 1) La gestione delle risorse naturali sono il risultato di una scelta sociale; 2) la gestione dovr� essere decentralizzata, a partire dai livelli strutturali pi� bassi; 3) la gestione deve tener conto degli effetti delle attivit� praticate nelle adiacenze; 4) � necessario considerare l'ecosistema in un contesto economico; 5) la gestione deve considerare attentamente e scientificamente la struttura, il funzionamento e la conservazione degli ecosistemi; 6) gli ecosistemi devono essere gestiti entro i limiti delle loro funzioni; 7) la programmazione delle attivit� negli ecosistemi deve prevedere scale spaziali e temporali adeguate; 8) si deve riconoscere la variabilit� delle scale temporali e gli effetti ritardo che caratterizzano i processi degli ecosistemi, gli obiettivi devono essere identificati con una visione di lungo termine; 9) si deve accettare che il cambiamento dell'ecosistema � inevitabile; LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� Addis Abeba e presentati ed approvati alla settima Conferenza delle Parti a Kuala Lumpur. Anch'essi fanno riferimento ad un sistema di gestione di adaptive management in quanto le conoscenze scientifiche attuali non riescono ad identificare meccanismi certi per garantire che l'uso di una componente della biodiversit� sia veramente sostenibile. I principi di Addis Abeba, quindi, pongono grande enfasi sul fatto che per utilizzare la biodiversit� in maniera sostenibile bisogna monitorare la risorsa utilizzata in maniera periodica, in modo da verificare continuamente che il prelievo non intacchi lo stock iniziale. Sulla base di queste indicazioni della Convenzione, molti paesi, spesso con l'aiuto dell'UNEP, hanno finalizzato ricerche e preparato studi sulla diversit� biologica nazionale. Questi studi sono spesso preparati con l'aiuto di organizzazioni internazionali o nazionali specializzate e con il supporto economico, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, di agenzie bilaterali o multilaterali di cooperazione allo sviluppo. Sulla base dei primi studi nazionali sulla biodiversit� (Bahamas, Canada, Costa Rica, Germania, Indonesia, Kenya, Nigeria, Polonia, Thailandia e Uganda), l'UNEP ha predisposto un manuale per la preparazione degli studi nazionali della biodiversit� (21). Dopo che lo studio nazionale � completato, il paese deve redigere una Strategia Nazionale per la Biodiversit�, cio� un documento che riassume le principali strategie che saranno messe in atto per la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversit�. Alla preparazione della strategia nazionale seguono i Piani di Azione sulla biodiversit� che, settore per settore, identificano le azioni e gli obiettivi che si intendono mettere in atto, le modalit� ed i relativi tempi di attuazione (22). 10) bisogna stabilire un equilibrio tra la conservazione e l'uso della diversit� biologica; 11) si deve tener conto di tutte le informazioni rilevanti, incluse quelle scientifiche, innovative e quelle provenienti dalle tradizioni indigene; 12) si devono coinvolgere tutti i settori sociali e scientifici di rilievo. (21) Secondo questo manuale, uno studio nazionale deve: -identificare le componenti della biodiversit� importanti per la conservazione e l'uso sostenibile; - raccogliere e valutare i dati necessari per effettuare un monitoraggio delle componenti della biodiversit�; -identificare i processi e le attivit� che mettono a rischio la biodiversit�; -valutare le potenziali implicazioni economiche della conservazione e dell'uso sostenibile delle risorse biologiche (ossia i costi); -determinare il valore economico delle risorse biologiche e genetiche (ossia i benefici); -suggerire azioni prioritarie per la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversit�. (22) I Piani d'Azione vengono preparati sulla base degli studi e della strategia descritti in precedenza ma con la partecipazione delle autorit� e i soggetti interessati secondo un approccio partecipativo che rappresenta una delle innovazioni della CBD. L'insieme della strategia e dei piani d'azione sulla biodiversit� viene spesso indicato con l'acronimo NBSAPs dall'inglese National Biodiversity Strategy and Action Plans. Per questo la dimensione operativa della convenzione richiede la massima integrazione di settori politico-amministrativi e tecnici. Gli organismi della Convenzione, infatti, oltre alla Conferenza delle Parti, sono costituiti da unit� tecnico-scientifiche di supporto: il Subsidiary Body for the Technical, Technological and Scientific Advice (SBSTTA)(23), gli AHTEG (24) e i gruppi di lavoro Open Ended, uno dei quali opera in materia di aree protette (25) e che risultano fondamentali per la definizione degli strumenti tecnico operativi messi a punto nella Conferenza delle Parti. La COP 2002, il Piano Strategico e il Programma �aree protette�: priorit� ed obiettivi. Le Conferenze delle parti che si sono tenute fino ad oggi hanno definito obiettivi e linee strategiche per l�attuazione della CBD (26). Il Piano strategico di attuazione si articola in due principali fasi temporali e la strategia di attuazione della Convenzione � strutturata in programmi tematici e in aree di lavoro trasversali (27). Rilevante ai fini della presente ricerca � il Programma di lavoro sulle aree protette. L'articolo 2 della Convenzione definisce l' �area protetta� come "un'area geograficamente definita che � designata o regolata e gestita per raggiungere Quello dell'integrazione delle necessit� di conservazione della biodiversit� nelle politiche economiche di settore � al momento considerata da molti una delle sfide politiche pi� importanti per la conservazione. La Commissione Europea, che ha finalizzato la strategia della biodiversit� a livello di Comunit� Europea nel Febbraio 1998, ha identificato l'integrazione come una delle attivit� chiave della strategia. (23) Al fine di assicurare un fondamento scientifico alle decisioni della COP, la Convenzione � dotata del Subsidiary Body for the Scientific, Technical and Technological Advice (SBSTTA), ossia l'organo sussidiario per la consultazione scientifica, tecnica e tecnologica, che si riunisce due volte l'anno nella sede del Segretariato della Convenzione a Montreal. (24) Gli AHTEG, acronimo della forma inglese Ad Hoc Technical Expert Group, sono gruppi tecnici di lavoro ristretti, a cui partecipano solo 2 esperti per ciascuna regione delle Nazioni Unite, scelti dal Segretariato sulla base dei curricula proposti dalle Parti. Questi gruppi sono generalmente utilizzati per avviare il lavoro tecnico o per sviluppare un tema specifico all'interno di un programma. Il risultato del lavoro di un AHTEG viene quindi presentato al SBSTTA, che ha la possibilit� di modificarlo prima di presentarlo alla Conferenza delle parti per eventuali ulteriori modifiche e approvazione finale. Le riunioni degli AHTEG vengono generalmente svolti in paesi che si offrono di ospitarle. Il Ministero del- l'Ambiente e della Tutela del Territorio italiano ha ospitato un AHTEG sulla responsabilit� e il risarcimento in ambito di biosicurezza (Roma, 2002), sulla Biodiversit� montana (Roma, 2003), ed uno sulla valutazione del rischio in materia di biosicurezza (Roma, 2005). (25) La partecipazione ai gruppi di lavoro Open Ended � aperta a tutti i delegati che ciascuna Parte decide di nominare; questi gruppi continuano i lavori nel tempo fino al raggiungimento di una conclusione che presenta direttamente alla Conferenza delle Parti. Al momento esistono 4 gruppi Open Ended i cui lavori riguardano: -l'accesso alle risorse genetiche e l�equa condivisione dei benefici, -l'integrazione delle conoscenze tradizionali e delle comunit� indigene nella gestione della biodiversit�, -la revisione del processo di implementazione della Convenzione stessa -le aree protette. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� determinati obiettivi di conservazione". Le attivit� di conservazione in situ (descritte in dettaglio nell'articolo 8 della Convenzione) sono quelle effettuate nell'ambiente naturale in cui le specie oggetto di conservazione vivono. Ne fanno parte le attivit� e le politiche riguardanti le aree protette e le reti ecologiche, la gestione della fauna, le attivit� forestali e di gestione e conservazione della flora, le strategie e i piani di uso del suolo e, in forma minore, anche le politiche agricole e della pesca. Il testo della Convenzione prevede che, in casi eccezionali, le attivit� di conservazione si possano svolgere al di fuori dall'ambiente naturale dei taxa specifici. Si parla quindi di pratiche ex situ (articolo 9). Ne fanno parte, ad esempio, le banche genetiche e le banche dei semi, le colture microbiche o tissutali in vitro, ma anche le attivit� di captive breeding di animali e/o piante. Il programma di lavoro sulle aree protette � stato ufficialmente adottato con Decisione VII/28 del 2004, durante i lavori della settima Conferenza delle (26) Breve sintesi degli argomenti principali definiti dalle COP della CBD che si sono tenute fino ad oggi: - COP 1 (1994) Nassau, Bahamas: guida al meccanismo finanziario; programma di lavoro a medio termine; - COP 2 (1995) Jakarta, Indonesia: biodiversit� marina e costiera; accesso alle risorse genetiche; conservazione e uso sostenibile delle diversit� biologica; biosicurezza; - COP 3 (1996) Buenos Aires, Argentina: biodiversit� agricola; risorse finanziarie e meccanismi; identificazione, monitoraggio e assessment; diritti di propriet� intellettuale; - COP 4 (1998) Bratislava, Slovakia: ecosistemi delle acque interne; verifica delle operazioni della Convenzione; articolo 8(j) e argomenti collegati (conoscenze tradizionali); divisione dei benefici; - COP 5 (2000) Nairobi, Kenia: ecosistemi delle zone aride, mediterranee, semi-aride, praterie e savane; uso sostenibile e turismo; accesso alle risorse genetiche; - COP 6 (2002) L'Aja, Olanda: ecosistemi forestali; specie aliene; divisione dei benefici; piano strategico della convenzione 2002-2010; - COP 7 (2004) Kuala Lumpur, Malesia: ecosistemi montani; aree protette; trasferimento di tecnologie e cooperazione tecnologica; - COP 8 (2006) Curitiba, Brasile: biodiversit� delle isole; zone aride e sub-umide; iniziativa globale sulla tassonomia; accesso alle risorse genetiche ed equa condivisione dei benefici; articolo 8(j); educazione, comunicazione e sensibilizzazione; - COP 9 (2008) Bonn, Germania: biodiversit� agricola, strategia globale per la conservazione delle piante, biodiversit� forestale, approccio ecosistemico, progresso nell'attuazione del piano strategico per il raggiungimento dell'obiettivo 2010 e dei relativi obiettivi di sviluppo del millennio, risorse finanziarie e meccanismi di finanziamento; - COP 10 (2010) Nagoya, Giappone: nuovo piano strategico della Convenzione. (27) Il programma della convenzione prevede �programmi tematici� ed �aree di lavoro�. I �programmi tematici� sono i seguenti: 1) biodiversit� agricola; 2) biodiversit� delle zone aride e sub-umide; 3) biodiversit� forestale; 4) biodiversit� delle acque interne; 5) biodiversit� marina e costiera; 6) biodiversit� delle isole. Le �aree di lavoro trasversali� sono cos� identificate: a) accesso e divisione dei benefici; b) specie aliene; c) conoscenze tradizionali, innovazioni e pratiche; d) diversit� biologica e turismo; e) cambiamenti climatici e diversit� biologica; f) economia, commercio e incentivi; g) approccio eco sistemico; h) strategia globale per la conservazione delle piante; i) iniziativa di tassonomia globale; l) valutazione d'impatto; m) responsabilit� e risarcimento; n) indicatori; o) aree protette; p) educazione e sensibilizzazione; q) uso sostenibile della biodiversit�. Parti, anche a seguito del Summit della Terra di Johannesburg del 2002, che ha dato mandato ufficiale alla CBD di supportare iniziative per le aree hotspot e, in generale, per le aree essenziali per la biodiversit� al fine di promuovere lo sviluppo di reti ecologiche. Il Segretariato della CBD aveva promosso un procedimento di preparazione del programma di lavoro mediante gli organi tecnici della Convenzione, sulla base di quanto emerso in sede di quinto Congresso Mondiale sui Parchi di Durban, organizzato dall'IUCN (28). Il Programma di lavoro sulle aree protette ha, come obiettivo principale, quello di supportare la designazione e la conservazione di sistemi nazionali e regionali, ecologicamente rappresentativi di aree protette che contribuiscano, attraverso una rete globale, al raggiungimento dei tre obiettivi della Convenzione per ridurre significativamente l'attuale tasso di perdita della biodiversit�, ridurre la povert� e realizzare lo sviluppo sostenibile supportando, quindi, gli obiettivi del Piano Strategico della Convenzione, del piano di realizzazione del WSSD e degli obiettivi di sviluppo del millennio. Per dare efficacia al programma di lavoro sulle aree protette, che � parte integrante della strategia di conservazione in situ, l'Italia ha finanziato, nel giugno 2005, a Montecatini Terme, la prima riunione del gruppo di lavoro ad hoc sulle aree protette (AHTEG) (29). Durante il secondo open ended sulle aree protette e la successiva riunione del SBSTTA, tenutasi a Roma presso la sede della FAO nel Febbraio 2008, i principali temi in agenda hanno subito un rilevante ridimensionamento da parte di alcuni paesi. La questione principale ha riguardato i criteri per l'identificazione, l'istituzione e la gestione di aree marine protette oltre i confini delle giurisdizioni nazionali dove � ancora poco chiaro se la CBD riuscir� ad ottenere un ruolo almeno consultivo di tipo scientifico. (28) Il Segretariato della CBD ha quindi promosso un procedimento di preparazione del programma di lavoro mediante riunione di un gruppo di esperti ad-hoc (AHTEG) che si � svolto a Tjarno, in Svezia, nel Giugno 2003, con il mandato di identificare una prima bozza del programma di lavoro sulle aree protette. Tale bozza � stata quindi revisionata dal SBSTTA nella sua nona riunione a Montreal per essere, infine, approvata dalla settima Conferenza delle Parti a Kuala Lumpur nel 2004. Durante l�elaborazione, si � svolto a Durban, in Sud Africa, il quinto Congresso Mondiale sui Parchi, organizzato dall'IUCN. Al Congresso si � formato un ulteriore gruppo di lavoro che ha preparato una complesso di indicazioni utili a migliorare la prima bozza del programma di lavoro preparato dall'AHTEG. (29) Alla riunione hanno partecipato pi� di 700 esperti da tutto il mondo ed i risultati sono stati poi presentati alla ottava Conferenza delle Parti di Curitiba, Brasile. La proposta italiana di finanziare ed ospitare la riunione era nata durante la settima Conferenza delle Parti, nel 2004 a Kuala Lumpur, Malesia, quando le negoziazioni sembravano avere raggiunto uno stallo sull'uso dei fondi della Convenzione. Il successo della riunione di Montecatini ha fatto s� che l'ottava Conferenza delle Parti decidesse di proseguire le riunioni, dando finalmente un vero e proprio avvio al lavoro della CBD sulle aree protette. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 4. Il Millennium Ecosystem Assesment (MA): i servizi eco sistemici (ES) e i payment ecosytem services (PES). Il Millennium Ecosystem Assessment o "Assetto degli Ecosistemi del Millennio" (MA), � uno strumento che ha l�obiettivo di analizzare l�evoluzione degli ecosistemi del pianeta per identificare strategie di intervento tese a garantire la sostenibilit� dello sviluppo. Presentato dal Segretario generale delle Nazioni Unite nel 2005, � stato condotto sotto gli auspici delle Nazioni Unite e in particolare dell� United Nations Environmental Programme (UNEP). Il MA fornisce una base scientifico-concettuale basata sull�identificazione delle relazioni ecologiche e dei servizi ad esse associati, riconoscendone, in primo luogo, il carattere dinamico. In particolare, il MA propone una valutazione integrata sullo stato degli ecosystem service cio� delle funzioni degli ecosistemi quali i servizi di approvvigionamento (ciclo idrico, alimentazione, pescato), i servizi di regolazione (clima, acqua, rifiuti), i servizi di supporto (suolo, fotosintesi) e i servizi culturali (benefici ricreativi, fruizione culturale della natura) (30). Le conclusioni prospettano un rapido degrado degli ecosistemi, che si � fortemente accentuato negli anni recenti, con perdita rilevante del capitale naturale, scarsamente rappresentato dagli indicatori convenzionali pi� diffusi (31). Il Millennium propone pertanto quattro scenari globali basati sulla �gestione proattiva� degli ecosistemi: (30) Il documento del MA � organizzato in tre parti. La prima parte, a carattere teorico, offre un quadro generale di riferimento per l�analisi dei servizi eco- sistemici. La seconda parte descrive le condizioni dei servizi ecosistemici con riferimento a due casi esemplificativi: le foreste e gli ecosistemi acquatici, evidenziando il ruolo fondamentale delle politiche nel regolare i servizi ecosistemici e nell�attivare meccanismi per il pagamento dei servizi ambientali. Nella terza parte, il taglio dell�analisi assume carattere propositivo e l�attenzione si focalizza su alcune discrepanze tra principi generali di riferimento ed applicazione pratica, evidenziando le linee principali di intervento che tali politiche dovrebbero adottare per la salvaguardia dei servizi ecosistemici. (31) I risultati principali possono cos� riassumersi. Il processo di degradazione degli ecosistemi, e la conseguente diminuita capacit� di fornire servizi, potrebbe crescere significativamente durante i prossimi 50 anni, creando una barriera al processo per ridurre la povert� nel mondo e per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio per lo sviluppo. La sfida di invertire il processo di degrado degli ecosistemi e, allo stesso tempo, assolvere alle crescenti necessit� di cibo ed altri servizi, � parzialmente prevista dagli scenari sviluppati dal Millennium Ecosystem Assessment ma richiederebbe significativi cambiamenti nelle politiche, nelle istituzioni e nelle pratiche in atto. Alcune raccomandazioni riguardano: � eliminare i supporti finanziari all'agricoltura, alla pesca e alle risorse energetiche che provocano danni all'ambiente (cosiddetti "incentivi perversi"); � incoraggiare i proprietari terrieri a gestire le loro terre in modo da incentivare la fornitura di servizi eco sistemici quali generazione di acqua dolce e deposito di carbonio; � incentivare il lavoro di protezione di aree da attivit� di sviluppo, specialmente negli oceani. Per la lettura integrale dei documenti si rinvia al sito ufficiale del Millennium Ecosystem Assessment: http://www. millenniumassessment.org/en/index.aspx. 1. Global Orchestration, globalizzazione e crescita economica; 2. Order from Strenght, regionalizzazione con enfasi sulla sicurezza e la crescita economica locale; 3. Adapting Mosaic, regionalizzazione con adattamento locale; 4. Techno Garden, globalizzazione ed impiego della tecnologia verde (32). Il filo conduttore dell�analisi � basato sull�evidenza che larga parte dei servizi ecosistemici sono caratterizzati da beni pubblici che, come tali, per essere difesi e potenziati, necessitano di una forte capacit� di governance da parte delle istituzioni pubbliche che deve basarsi su criteri di efficienza tenendo conto dei rapporti tra ecologia ed economia (33). I pagamenti per i servizi ambientali possono essere una delle soluzioni al problema ma rimane il fatto che la creazione di meccanismi di internalizzazione � complessa e caratterizzata da elevati costi di transazione che si fonda sull�identificazione ed analisi dei servizi ambientali. I servizi eco sistemici. I �servizi eco sistemici� rappresentano la traduzione letterale di �ecosy (32) Millennium Ecosystem Assesment, Ecosystem and Human Well-being, Island press, 2003. Si veda anche: www.millenniumassesment.org. (33) J.W. BOYD - J. BANZHAF H.S., Ecosystem Services and Government Accountability: The Need for a New Way of Judging Nature�s Value. Resources, Summer, 2005, pagg. 16-19. L�economia ecologica sta tentando di interfacciare le due discipline, spinta dall�urgente necessit� per la popolazione umana - che ha superato la capacit� portante del pianeta - di orientare gli attuali modelli di sviluppo nella direzione della sostenibilit� ambientale e sociale (Si vedano: R. COSTANZA, R. D'ARGE, R. DE GROOT, S. FABER, M. GRASSO, B. HANNON, K. LIMBURG, S. NAEEM, R.V. O'NEILL, J. PARUELO, R.G. RASKIN, P. SUTTON, M. VAN DEN BELT, The value of the world's ecosystem services and natural capital, Nature, 1997, 387, pp. 253-260; G. W. BARRETT, A. FARINA, Integrating ecology and economics, BioScience, 2000, 50, pp. 311-312; L.R. BROWN, Eco-Economy: Building an Economy for the Earth, 2001, W.W Norton & Co., N.Y; DAILY, G.C., EHRLICH, P.R., Population, sustainability, and Earth's carrying capacity, BioScience, 1992, 42, pp. 761-771. Perch� possa esistere un dialogo ed una integrazione tra ecologia ed economia � importante che le metodologie di studio e i linguaggi siano compatibili e questo pu� succedere partendo dalla scelta dell�unit� di studio pi� idonea per valutare le pressioni antropiche sull�ambiente naturale: questa unit� che per gli ecologi � da tempo l�ecosistema, recentemente � stata scelta anche dagli economisti ambientali. L�ecosistema costituisce unit� complessa a causa del numero di interazioni esistenti tra le componenti biologiche e abiotiche. Se tuttavia non � facile n� valutare, n� prevedere il comportamento di un ecosistema nel suo complesso, � possibile quantificarne i servizi resi. I servizi ecosistemici sono dovuti sia alle propriet� collettive sia a quelle emergenti di un ecosistema: nell�esempio della foresta la crescita degli alberi, la loro capacit� di costruire biomassa dalla radiazione solare � una propriet� collettiva e pi� grande � la foresta pi� biomassa potremo ottenere mentre la capacit� di regolare l�umidit� dell�ambiente, tanto che una porzione di foresta potrebbe essere paragonata ad un enorme climatizzatore, � una propriet� emergente che un singolo albero non possiede. L�economia classica ha da sempre riconosciuto il valore commerciale del legname ricavabile dal diradamento o dal taglio raso di una foresta, anche se tale valore non ha niente a che vedere con il �valore ecologico� di questa componente dell�ecosistema, mentre solo di recente l�ecologia olistica ha attribuito un valore economico anche ai servizi ecosistemici. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� stem services� che, secondo la definizione data dal Millenium Ecosystem Assessment, sono �i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano�. Secondo quanto ricordato da Boyd e Banzhalf �ecosystem services are the end products of nature that yield human wellbeing. Three necessary conditions define an ecosystem service. First, and most obvious, the service has to emerge from the natural environment. Second, a service must enhance human well-being. Third, a service is an end product of nature directly used by people� (34). Per questa ragione l�applicazione del concetto di �servizio ecosistemico� si collega direttamente al problema della sua misurabilit�, in termini fisici, economici e giuridici, anche al fine di orientare le scelte degli operatori pubblici (35). Per poter adottare un approccio ecosistemico, le autorit� istituzionali devono quindi dotarsi di strumenti conoscitivi e gestionali in grado di valutare le dinamiche in questione, distinguendo i diversi ambiti di interesse e le interazioni alle diverse scale. � di fondamentale importanza, infatti, riconoscere tipologie e confini e mappature dei singoli ecosistemi di riferimento, per poter impostare l�analisi ecologica per la mappatura e la quantificazione di tali servizi ed ottenere una valutazione economica con specifico riferimento alla biodiversit�. A tal fine lo strumento privilegiato individuato dal Millennium Ecosystem Assessment concerne meccanismi riconducibili ai Payment for Ecosystem Services (PES). Servizi eco sistemici e payment ecosystem services (PES). Gli strumenti economici definiti nell�ambito delle politiche ambientali sono molto diversificati. Una prima fondamentale classificazione si basa sulla distinzione tra strumenti di regolamentazione diretta e strumenti basati su incentivi e meccanismi di mercato, generalmente ad adesione volontaria (36). (34) J.W. BOYD - J. BANZHAF H.S., Ecosystem Services, cit., pag. 16 ss.. (35) � possibile trovare nella letteratura sull�argomento altri termini come �servizi ambientali� e �servizi ecologici�. In effetti, sebbene l�ecosistema sia il livello di organizzazione biologica ritenuto ottimale per lo studio delle problematiche ambientali, comprese quelle delle alterazioni degli habitat e della diminuzione della biodiversit�, anche i biomi o le ecoregioni, sono stati utilizzati a questo scopo. Anche in questi casi, tuttavia, i servizi resi sono stati definiti ecosistemici, lasciando intendere che il termine sia applicabile a partire dall�ecosistema fino al massimo livello della scala gerarchica dell�organizzazione biologica che � quello del pianeta Terra (cfr. E.P. ODUM - G. W. BARRETT, Fondamenti di ecologia, Piccin ed., 2007). (36) � possibile una classificazione parzialmente diversa degli strumenti di politica ambientale, mettendo in luce come una rigida distinzione tra politiche di regolamentazione e politiche basate su sistemi di incentivo e di mercato non rispecchi adeguatamente la variet� di strumenti (Steiner, 2003) e soprattutto le inevitabili interdipendenze tra le diverse categorie. Si riporta di seguito una sintetica classificazione tratta da Una possibile tassonomia degli strumenti per la gestione delle risorse ambientali (World Bank, 2003) che prevede: I pagamenti per i sevizi ecosistemici trovano collocazione all�interno dei meccanismi basati su incentivi economici (37). Secondo la definizione proposta da Wunder (38), uno schema PES pu� essere definito come un accordo volontario e condizionato fra almeno un fornitore (venditore del servizio) e almeno un acquirente (beneficiario del servizio), riguardo ad un ben definito servizio ambientale. Alcuni autori (39) tuttavia, fanno riferimento ad una definizione pi� restrittiva, secondo cui si pu� parlare di PES solo quando la transazione: (a) � volontaria; (b) riguarda un ben preciso servizio ambientale (o una forma d�uso del suolo che garantisce la fornitura del servizio stesso); (c) il servizio viene acquistato da (minimo) un consumatore; (d) venduto da (minimo) un produttore; (e) se, e solamente se, il produttore garantisce continuit� nella fornitura. La struttura base di un progetto di implementazione di un PES prevede di attivare un meccanismo finanziario, talora indotto tramite un intervento pubblico di assegnazione dei diritti di propriet� o un intervento regolativo, attraverso il quale da un lato si trasforma il servizio ambientale in un vero e proprio prodotto creandone il mercato, e dall�altro si riconosce il diritto al regolamentazioni, incentivi e meccanismi di mercato, definizione di vincoli, obblighi e standard e ambientali, utilizzo di mercati esistenti, creazione di nuovi mercati, informazione e partecipazione, standard e requisiti minimi di legge, sussidi incentivi e contributi, attribuzione o riattribuzione di diritti di propriet�, informazione e comunicazione, divieti e zone di protezione, eco-tasse e/o sgravi fiscali, compravendita di permessi, consultazione degli stakeholder, permessi licenze e quote massime di prelievo, tariffe per acquisto di servizi, compravendita di quote/diritti sui mercati internazionali, certificazioni volontarie quali green labelling e green marketing, zonizzazioni, compravendita diretta di beni e servizi, partecipazione ai processi decisionali, responsabilit� legale. Anche la lapidaria classificazione proposta da Bemelmans-Videc (M.L BEMELMANS-VIDEC, R.C. RIST, E. VEDUNG, (a cura di) Carrots, Sticks and Sermons: Policy, 1998) in �carrots, sticks and sermons� carote, bastoni e sermoni - non rende giustizia alla ricchezza di mezzi di cui effettivamente si dispone, anche pensando ad alcuni strumenti indiretti, non citati ma importanti nel contesto italiano, come la realizzazione di infrastrutture a supporto di una buona gestione degli ambienti naturali, l�assistenza tecnica e la formazione degli operatori, lo sviluppo di forme associative, ed altri ancora. (37) S. PAGIOLA, G. PLATAIS, Implementing system of payments for environmental services: from Theory to practice, Washington, Worldbank, 2003. Si veda anche la letteratura sugli investimenti REDD (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation) e il carbon leakage (ad esempio le rassegne di S. PAGIOLA, J. BISHOP, N. LANDELL-MILLS, Selling Forest Environmental services Conservation and Development, in Environmental and Resource Economics, 26, 2003, pp. 496-498; N. LANDELL-MILLS, I.T. PORRAS, Silver bullet or fool�s gold?, 2002, in www.cbd.int/doc/external/iied/iied-silver-report2002- en.pdf). (38) S. WUNDER, Payments for environmental services: some nuts and bolts. CIFOR Occasional Paper N� 42, 2005, documento consultabile al seguente indirizzo: http://www.cifor.cgiar.org/publications/ pdf_files/OccPapers/OP-42.pdf, citato in: Verso la strategia nazionale per la biodiversit�, esiti del tavolo tecnico Definizione del metodo per la classificazione e quantificazione dei servizi ecosistemici, a cura del MATTM, marzo 2009. (39) S. ENGEL, S. PAGIOLA, S. WUNDER, Designing payments for environmental services in theory and practice: an overview, 2008. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� produttore di chiedere il rispettivo prezzo al consumatore del bene. Premessa sostanziale di tale implementazione � la precisa individuazione del servizio, di chi lo produce, dei possibili utenti finali e la stima del valore del servizio e quindi del suo possibile prezzo di mercato e la definizione delle modalit� contrattuali e di pagamento, tenendo in particolare considerazione le analisi tecnico-economiche del contesto (40), come dimostrano le esperienze applicative (41). Una maggiore efficienza economica si pu� raggiungere limitando al massimo i costi di transazione (ad esempio coinvolgendo nei programmi solamente forme organizzate e/o associate di gestione) anche se non si deve trascurare la necessit� di soddisfare l�equit� distributiva, cio� la capacit� di remunerare tutti i soggetti coinvolti nella filiera di produzione dei SE. Il progetto The Economics of Ecosystem and Biodiversity (TEEB). Il progetto �L�economia degli ecosistemi e della biodiversit��, acronimo TEEB, presentato a Nagoja alla COP10 della CBD, assume come principio fondamentale che la natura � la fonte di gran parte di ci� che definiamo �valore�, nonostante spesso aggiri i mercati e si ribelli alla valutazione. (40) Tallis e altri Autori (An Ecosystem services framework to support both practical conservation and economic development. Proceedings of the National Academy of Sciences, 2008, 105, 128, 94579464) individuano due contesti principali per la messa in atto dei PES basati su robusti supporti tecnico- economici. In un primo contesto (chiamato dagli autori �government investment in ecosystem services�) si pu� verificare il caso in cui un�accurata valutazione dei servizi offerti da determinati ecosistemi porti ad una sufficiente motivazione per un intervento pubblico per la loro conservazione e valorizzazione, attraverso strumenti di pagamento ad hoc, ad esempio come compensazione dei mancati redditi di chi cambia i suoi comportamenti ordinari per permettere il mantenimento del SE. In quest�ottica si possono inserire, almeno in senso lato, molte politiche forestali della UE rivolte al consolidamento dei suoli e alla mitigazione del rischio idrogeologico. Nel secondo caso, definito come �community based projects�, ci si trova nella situazione pi� tipica dei PES in senso stretto, nella quale sono identificabili localmente degli evidenti servizi positivi per un gruppo di beneficiari che possono quindi prevedere, attraverso adeguati meccanismi istituzionali e gestionali, dei veri e propri pagamenti diretti. In vari casi questo � stato possibile, ad esempio nell�ambito della gestione delle acque e dei suoli a scala di bacino, laddove abitanti delle regioni a valle paghino gli abitanti a monte, come nel caso sopra citato. (41) Un esempio concreto di un PES di successo � l�accordo sottoscritto tra l�azienda municipalizzata per la fornitura dei servizi idrici della citt� di New York e i proprietari forestali del bacino di captazione. In base all�accordo liberamente sottoscritto i proprietari si sono impegnati a gestire i propri boschi secondo un programma che prevede pratiche di gestione forestale aventi effetti positivi sulla costanza qualitativa e quantitativa del deflusso idrico. La compensazione per i servizi ecosistemici svolti viene corrisposta attraverso un�addizionale sulla tariffa idrica, pagata dagli utenti finali. L�implementazione del programma ha permesso un parziale risparmio di spesa sui 6-9 miliardi di dollari necessari per realizzare impianti di depurazione, un costo che avrebbe comunque gravato sui cittadini, mentre i proprietari forestali hanno potuto contare su un flusso annuo e costante di reddito (N. LANDELL- MILLS, I.T. PORRAS, Silver bullet or fool�s gold?, cit., in www.cbd.int/doc/external/iied/iied-silverreport- 2002-en.pdf). Il progetto TEEB si concentra quindi sulla risposta da dare a questa sfida e mira a produrre una tesi economica completa e convincente a favore della conservazione degli ecosistemi e della biodiversit�. La crescita del PIL non � in grado di cogliere molti aspetti vitali della ricchezza e del benessere delle nazioni, quali il cambiamento nella qualit� della salute, la portata dell�istruzione e i mutamenti nella qualit� e nella quantit� delle risorse naturali. Continuando ad utilizzare tali indicatori, come affermato da Pavan Sukhdev alla presentazione dello studio TEEB in sede di COP 10, �stiamo tentando di navigare in acque perigliose e sconosciute con una bussola dell�economia vecchia e difettosa�. Nel marzo 2007, i ministri dell�ambiente del G8+5 si sono riuniti a Potsdam. Ispirati dalla spinta verso un�azione tempestiva e un cambiamento politico creata dalla Stern Review of the Economics of Climate Change hanno espresso la necessit� di vagliare un progetto sull�economia della perdita degli ecosistemi e della biodiversit�. La scienza della biodiversit� e degli ecosistemi � in via di sviluppo e i loro servizi all�umanit� sono ancora mappati in maniera parziale e non perfettamente compresi, mentre i sistemi economici usati richiedono di adeguare le classiche misurazioni del PIL includendo esternalit� di grandi dimensioni, previamente non quantificate, come quelle concernenti gli ecosistemi e la biodiversit�. Emergono tre aspetti importanti della Fase I del progetto TEEB: il vincolo fra la povert� e il degrado degli ecosistemi (42); la dimensione etica ed inter- generazionale (43); la partecipazione degli utenti finali e la dimensione della governance. La seconda fase del TEEB nasce per concludere il lavoro esplorativo e di indagine svolto nella prima, finalizzata a pubblicare una metodologia di mi (42) Lo studio ha portato ad analizzare chi fossero gli immediati beneficiari di molti servizi eco- sistemici e della biodiversit� ed � risultato che sono soprattutto i ceti sociali meno abbienti. Le fonti di reddito pi� colpite sono l�agricoltura, l�allevamento, la pesca e le attivit� forestali di sussistenza, occupazioni da cui dipende la gran parte dei poveri di tutto il mondo. � prassi stimare che le perdite annuali di capitale naturale ammontino soltanto ad alcuni punti percentuali del PIL. Tuttavia, se le esprimiamo nuovamente in termini umani, basandoci sul principio di equit� e sulle conoscenze relative alla destinazione del flusso dei benefici della natura, l�argomentazione a favore della riduzione di tali perdite guadagna notevolmente terreno. Stiamo infatti parlando del diritto dei ceti sociali pi� poveri in tutto il mondo di godere dei flussi di sostentamento che originano dalla natura, fonte di almeno la met� del loro benessere e assolutamente insostituibili. Si potrebbe anche dire che la maggior parte degli obiettivi di sviluppo del Millennio � in realt� ostaggio di questa problematica. (43) Questi problemi erano gi� stati evidenziati dalla Stern review. Nella maggior pare degli studi di valutazione esaminati, i tassi di attualizzazione utilizzati erano nell�ordine del 3-5% o superiori. Si noti che con un tasso di attualizzazione del 4% stiamo valutando un servizio naturale per i nostri nipoti (50 anni da adesso) a un settimo dell�utilit� che ne traiamo: una posizione etica alquanto difficile da difendere. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� surazione e valutazione degli ecosistemi e della biodiversit� per gestire la nostra sicurezza ecologica e dare un valore agli ecosistemi e alla biodiversit�, in termini scientifici ed economici (44). PES ed ES: indicazioni del Parlamento europeo per la COP 10. Con Risoluzione del Parlamento europeo del 7 ottobre 2010 sugli obiettivi strategici dell'UE per la decima riunione della Conferenza delle parti della Convenzione sulla diversit� biologica (CBD) (Nagoya, Giappone, 18-29 ottobre 2010) il Parlamento europeo ha mostrato particolare interesse per gli studi promossi dalle autorit� internazionali quali il TEEB. L�Unione si spinge fino ad evidenziare la necessit� di prestare maggiore attenzione allo studio e all'approvazione di strumenti di mercato, quali il cosiddetto habitat banking (la creazione di riserve di habitat) e il pagamento per i servizi ecosistemici e sottolinea l'importanza di sviluppare e perfezionare metodi per la valutazione accurata del valore finanziario degli ecoservizi e determinare il costo della perdita di biodiversit�. L�Unione europea affronta anche il nodo cruciale del Piano strategico per la CBD e definisce gli obiettivi generali da conseguire entro il 2020 e gli obiettivi strategici per il 2050 (45) anche con riferimento al programma di lavoro tematico �aree protette� (46). Si sottolinea che la biodiversit� e gli ecosistemi (44) Si riportano di seguito in sintesi gli obiettivi prioritari della fase II del TEEB: � definire e pubblicare un �quadro scientifico ed economico� in grado di contribuire alla formulazione di esercizi di valutazione per la maggior parte degli ecosistemi terrestri, includendovi i valori materiali di tutti i biomi pi� significativi; � valutare ulteriormente e pubblicare una �metodologia di valutazione raccomandata�, includendovi i biomi (ad esempio, gli oceani) e taluni valori (quali i valori di opzione e i valori di lascito) non analizzati in dettaglio nel corso della Fase I; � coinvolgere in maniera precoce e dettagliata tutti gli �utenti� chiave del lavoro di valutazione, al fine di garantire che i risultati ottenuti siano il pi� possibile centrati sulle loro esigenze e �intuitivi� in termini di organizzazione, accessibilit�, attuabilit� e, soprattutto, utilit�; � valutare ulteriormente e pubblicare un toolkit, rivolto a legislatori e amministratori, che sostenga le riforme politiche e le valutazioni d�impatto ambientale con l�aiuto di validi principi economici, al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile e una migliore conservazione degli ecosistemi e della biodiversit�. (45) Il Parlamento europeo, con Risoluzione 7 ottobre 2010, ha indicato alla Commissione e agli Stati membri obiettivi generali ambiziosi per la CBD da conseguire entro il 2020 ed ha esortato altres� la Commissione e gli Stati membri a impegnarsi a favore di una strategia per il 2050, che garantisca la tutela, la valorizzazione e il ripristino degli ecosistemi. In specie il Parlamento ha esortato la Commissione e gli Stati membri a sostenere sotto-obiettivi misurabili, ambiziosi e realistici, da conseguire, entro termini precisi, entro il 2020. (46) Si riporta lo stralcio di alcuni passaggi significativi del Programma di lavoro tematico - aree protette in riferimento al quale il Parlamento europeo: �25. prende atto dei significativi progressi compiuti nell'ambito dell'attuazione del programma di lavoro relativo alle aree protette; rileva tuttavia che la piena attuazione del programma stesso � ancora lontana; 26. esorta la Commissione e gli Stati membri a garantire che nell'ambito della COP 10 sia attribuito carattere prioritario al rafforzamento di un sostegno e di una gestione adeguati per le aree protette, oltre che alla divulgazione dei benefici di tali aree presso i responsabili politici e alla richiesta, ove opportuno, di un incremento dei fondi; comportano benefici collettivi e devono essere considerati beni comuni a fronte del fatto che le comunit� locali ricevono spesso supporti inadeguati in cambio dei servizi che contribuiscono a generare, nonostante siano esse le pi� colpite dalla perdita di biodiversit� e dal collasso dei servizi eco sistemici. 5. La strategia italiana per la biodiversit� e i servizi ecosistemici: la disciplina vigente e l�attuazione della CBD. Il quadro normativo preesistente e le prime sperimentazioni di servizi eco sistemici (ES) e payment ecosystem services (PES). La disciplina dei servizi eco sistemici (ES) e dei payment ecosystem services (PES) trova alcuni riscontri nel nostro ordinamento (47), soprattutto nel settore ricreativo e turistico (48), pur essendo la nostra legislazione ambientale caratterizzata, principalmente, da strumenti di regolamentazione diretta. A) Il primo caso riguarda la disciplina dei servizi resi dagli ecosistemi forestali alle risorse idriche considerando che le interazioni positive tra foreste, regimazione delle acque e diminuzione del rischio idrogeologico sono state tra i principi ispiratori della legislazione forestale italiana (49). Con la legge n. 36 del 1994, sul ciclo integrato delle acque, si introduce, 27. sottolinea che, come principio incluso nella Dichiarazione universale dei diritti umani, la Commissione europea, le Nazioni Unite e gli Stati che prendono parte ai protocolli giuridici relativi all'assegnazione di parchi naturali e zone protette, dovrebbero includere una disposizione giuridica che garantisca la protezione giuridica e giudiziaria dei diritti di propriet� fondiaria delle popolazioni indigene quali proprietari terrieri tradizionali, la preservazione delle loro attivit� sociali e l'uso tradizionale delle loro terre e che riconosca formalmente i loro diritti negli attuali modelli di gestione; 28. sottolinea che, nelle dichiarazioni per le zone protette e nelle strategie di preservazione, � necessario creare un protocollo che includa la definizione di sistemi tropicali integrali, compresa l'acqua�. (47) Se pensiamo, ad esempio, alla legislazione forestale, gli studi scientifici ribadiscono da tempo che la foresta o il bosco non producono soltanto beni ma anche servizi. Basti pensare alla Relazione introduttiva al Primo Congresso Nazionale di Selvicoltura nel 1954 di G. Patrone fino ai recenti studi sul valore paesaggistico del bosco e della foresta e sulla multifunzionalit� forestale e la determinazione dell�ottima combinazione tra beni e servizi nella ricerca economico-estimativa (Congresso nazionale di selvicoltura per il miglioramento e la conservazione dei boschi italiani, tenutosi a Firenze dal 14 al 18 marzo 1954). (48) Si pensi alla vendita di servizi ricreativi e di turismo verde a carattere sportivo, escursionistico e culturale che comprende una pluralit� di tipologie di servizi, dal semplice accesso al bosco ad attivit� strutturate, quali la sosta veicolare al limitare delle aree naturali, le attivit� sportive e i relativi impianti turistici, la didattica naturalistico-ambientale, e simili. Un caso � quello dei cosiddetti �parchi avventura�, nati a partire dal 2001 sul modello francese, sorti negli ultimi anni per circa 70 strutture, localizzate soprattutto nell�arco Alpino. Il segmento cui attingono i Parchi Avventura costituisce un mercato relativamente maturo, dove il prodotto offerto � per� nuovo e richiede capitali, imprenditorialit� e competenze tecniche specifiche, caratteristiche pi� facilmente rinvenibili nei soggetti privati piuttosto che negli enti locali (ad esempio i comuni proprietari forestali nelle aree montane). Si deve sottolineare, nella prospettiva di questo studio, che i cosiddetti �parchi avventura� possano annoverarsi tra i PES a patto di considerare servizi ricreativo-ambientali tutte le condizioni poste dalla definizione di Wunder. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� nell�ordinamento italiano, una disciplina vicina al modello di PES laddove, all�art. 24, si prevede che una quota della tariffa idrica possa venire destinata ad interventi di salvaguardia nelle aree del bacino di captazione (50). I beneficiari sono le autorit� di ambito e, per loro tramite, gli utenti finali mentre i fornitori del servizio sono individuati negli abitanti delle aree montane, i quali beneficiano di tali contributi tramite gli enti locali, che promuovono iniziative di sviluppo e gestione del bacino idrografico. B) Un altro esempio riguarda il complesso dei servizi resi dagli eco sistemi delle acque interne (51). Il valore strategico della risorsa acqua � contenuto nella Direttiva Quadro dell�Unione Europea (2000/60/CE) che introduce �il principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse� prevedendo, all�art. 9, �un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori d�impiego dell�acqua�. La direttiva 2000/60/CE individua, nelle autorit� di distretto, gli organi preposti al recupero dei costi e, nei piani di gestione dei bacini idrografici, gli strumenti per ripristinare la qualit� e pervenire al buono stato ecologico delle acque. Per quanto riguarda le acque sotterranee, la maggior parte delle aree di (49) Un riferimento si trova nella Legge 27 dicembre 1953 n. 959, Norme modificatrici del TU delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici, di istituzione dei bacini imbriferi montani, in cui si prevedeva di far pagare ai concessionari di derivazione delle risorse idriche montane un sovracanone da destinare ad opere di sistemazione montana e di valorizzazione del territorio a compensazione dei disagi causati alle popolazioni montane dalle presenza di opere di captazione. (50) L�art. 24 della legge 36 del 1994, Gestione delle aree di salvaguardia, al comma 2, cos� recita: 2. La quota di tariffa riferita ai costi per la gestione delle aree di salvaguardia, in caso di trasferimenti di acqua da un ambito territoriale ottimale all'altro, � versata alla comunit� montana, ove costituita, o agli enti locali nel cui territorio ricadono le derivazioni; i relativi proventi sono utilizzati ai fini della tutela e del recupero delle risorse ambientali. Si prevede la compravendita del solo servizio di regimazione svolto dalle aree montane nei riguardi della risorsa idrica. Vedere: Legge Regione Piemonte 20 gennaio 1997 n. 13, Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali per l�organizzazione del servizio idrico integrato e disciplina delle forme e dei modi di cooperazione tra gli enti locali ai sensi della legge 5 gennaio 1994 n. 36 e successive modificazioni e integrazioni. Indirizzo e coordinamento dei soggetti istituzionali competenti in materia di risorse idriche (art. 8 comma 4); e Legge Regione Emilia Romagna 6 settembre 1999 n. 25, Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e disciplina delle forme di cooperazione tra gli enti locali per l�organizzazione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti urbani. (51) Tra i numerosi servizi associati alle acque interne particolarmente importanti sono quelli attribuibili al sistema suolo, che assicura il rifornimento di acque di falda destinate alla potabilizzazione, all�uso irriguo delle acque superficiali e profonde, quello per la produzione di energia idroelettrica, l�autodepurazione delle acque reflue civili e industriali, la regolazione del clima, la pesca e l�acquacoltura (L. EMERTON., E. BOS, Value. Counting ecosystems and economic part of water, International Union for Conservation of Nature and Natural Resources, 2004, Gland Switzerland and Cambridge, UK). ricarica si trova in zone pedemontane, in cui il suolo � caratterizzato da ecosistemi agro-forestali (52). C) La Comunit� Europea, mediante la direttiva quadro per la strategia marina 2008/56/CE, conferma l�impegno, nell�ambito della Convenzione per la Diversit� Biologica, di designare i siti Natura 2000 a mare in virt� delle direttive 92/43/CEE (direttiva Habitat) e 79/409/CEE (direttive �Uccelli�) per arrestare la perdita di biodiversit� marina grazie all�istituzione di una rete di aree marine protette ecologicamente rappresentative. Se tuttavia esistono basi scientifiche per quantificare la biodiversit� marina in relazione al funzionamento degli ecosistemi (53), la valutazione dei loro servizi e soprattutto la loro gestione nei termini di PES risulta, a tutt�oggi, estremamente complessa (54). Se, tuttavia, si prendono in esame, pi� genericamente, tutti gli strumenti economici adottati, come, ad esempio, alcuni interventi nella gestione dello sfruttamento delle risorse naturali, quali il regolamento 1967/2006/CE sulla pesca e la conseguente applicazione del medesimo in Italia con lo strumento finanziario FEP (Fondo Europeo Pesca), � possibile individuare casi di PES potenziali, definibili come sussidi environmental-friendly (55). (52) Il mantenimento e la gestione ecocompatibile dei suoli � cruciale per la salvaguardia delle acque che scorrono del sottosuolo e di quelle superficiali che si raccolgono a valle di un bacino di captazione: il gi� citato caso della citt� di New York � un esempio del riconoscimento del valore economico attribuibile al servizio svolto dai suoli per la fornitura di acque potabili. Nel caso della falda della Pianura Padana, la cui ricarica dipende dal percolamento di acque meteoriche attraverso suoli permeabili di aree subalpine intensamente coltivate a cereali, l�uso eccessivo di fertilizzanti e diserbanti ha provocato nei decenni passati contaminazioni tali da rendere la qualit� dell�acqua di falda inadeguata per il consumo umano. Tariffe imposte ai fruitori del servizio di ricarica, che sono principalmente i cittadini dei grossi insediamenti urbani, avrebbero potuto incentivare gli agricoltori ad adottare sistemi di produzione che minimizzino l�utilizzo di sostanze inquinanti. (53) BOERO E BONSDORFF, A conceptual framework for marine biodiversity and ecosystem functioning, 2007, Mar. Ecol. 28(1), pp. 134-145. (54) Potrebbero, forse, essere considerati esempi di PES a tutti gli effetti i pagamenti delle visite guidate o la gestione delle licenze di pesca sportiva in aree protette marine. In parte tali entrate vengono, infatti, dedicate al mantenimento dell�area naturale stessa. (55) Fondi pubblici potrebbero essere investiti nell�adeguamento di strumenti di pesca per una loro riduzione dell�impatto sulle specie bersaglio e sulla biodiversit�. � il caso della richiesta da parte del regolamento 1967/2006/CE della modifica delle maglie del sacco terminale (cod end) delle reti a traino poppiero, con il passaggio da maglia romboidale a maglia quadrata di 40 mm di lato. Accorgimento, quest�ultimo, che ridurrebbe la cattura di materiale biologico non vendibile a norma di legge o perch� non edibile (rigetti a mare). Tale azione ridurrebbe gli impatti sull�ambiente marino. Altro esempio, potrebbe essere il finanziamento di studi e delle relative applicazioni dei risultati ottenuti sotto forma di piani di gestione della pesca (con relativa formazione di operatori, assistenza tecnica, promozione di forme associative) in zone protette del tipo Natura 2000 a mare, come richiesto dalla direttiva 2008/56/CE. A tutt�oggi, in tale direzione va, ad esempio, il lavoro di Marangon mirato alla valutazione del bilancio economico-ambientale della Riserva naturale marina di Miramare (F. MARANGON, F. VISENTIN, Il valore delle aree naturali protette: la contabilit� ambientale della Riserva Naturale Marina di Miramare, in Valutazione ambientale, 2008, 13, pp. 79-81). LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� D) Il settore pi� promettente, tuttavia, per la sperimentazione dell�approccio eco sistemico nel settore delle aree protette e dell�habitat � costituito dalla disciplina attuativa della CBD e dalla relativa Strategia nazionale, recentemente approvata e, ad oggi, in corso di attuazione che andiamo ad esaminare. La strategia italiana per la biodiversit� e l�attuazione della disciplina internazionale. L'Italia ha ratificato la Convenzione sulla diversit� biologica nel 1994, con legge n. 124, e promosso alcune iniziative per la redazione del Piano nazionale per la biodiversit� (56). Nel nostro ordinamento il decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112 riserva allo Stato le competenze relative alla tutela della diversit� biologica nonch� della flora e della fauna specialmente protette da accordi internazionali e dalla normativa comunitaria. Si interviene, infatti, mediante delibera CIPE del 16 marzo 1994 a supportare tale processo attuativo mediante la definizione di linee strategiche per l�attuazione della Convenzione di Rio e per la redazione del Piano nazionale per la biodiversit�, riprendendo gli orientamenti emersi nel Piano nazionale per uno sviluppo sostenibile in attuazione dell�Agenda XXI, approvato con delibera CIPE 28 dicembre 1993. La Delibera CIPE del 1994 concentra le modalit� attuative su linee strategiche e aree lavoro tra le quali, un ruolo di preminenza, occupa l�area cosiddetta della �conservazione in situ (aree protette, territorio non protetto, recupero ambientale)�. Tale Piano nazionale non � stato mai adottato e, nel 2010, viene individuato un nuovo percorso, assumendo quali nuove fonti di riferimento e linee guida: -il Piano d'Azione europeo �Verso il 2010 e oltre� di cui alla Comunicazione della Commissione del Parlamento europeo COM (2006) 216 finale, del 22 maggio 2006 (57) e successiva Comunicazione COM (2010) 4 def., del 19 (56) Sono state definite le Linee guida strategiche per l'attuazione della Convenzione di Rio de Janeiro e per la redazione del Piano nazionale sulla Biodiversit� che ha visto alcuni tentativi di redazione quali il Piano elaborato dall�Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei 40, nel 1997, denominato Biodiversit�. Il Piano italiano: conoscere, utilizzare, conservare, e il piano elaborato da un apposito �Comitato per la Biodiversit�� nel Gennaio 2000, denominato Piano Nazionale sulla Biodiversit�. Dieci anni pi� tardi, nel 2004, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha istituito il Comitato di Coordinamento Nazionale per la Biodiversit� costituito dai Ministeri interessati e dal Rappresentate per il settore ambiente delle Regioni. (57) In particolare, nell�allegato 1, si riporta un Piano di azione della UE fino al 2010 e oltre, nel cui ambito si identificano gli obiettivi 2 e 3 come di interesse diretto per il contesto dei servizi ecosistemici e per la possibilit� di valorizzarli per mezzo di azioni di piano. L�obiettivo strategico 1 mira direttamente alla salvaguardia degli habitat e delle specie pi� importanti e in particolare l�azione 1.2.1 propone di attuare un�indagine scientifica volta a identificare tutti gli habitat di interesse, mentre la 1.2.2 propone l�inserimento in nuove aree protette, sulla base delle evidenze dello studio sistematico degli habitat. Tali obiettivi dovranno essere letti contestualmente con gli altri obiettivi gennaio 2010 (58) che ha evidenziato le principali carenze ed individuato le strategici considerando il principio di integrazione in materia ambientale al fine di sviluppare la conservazione e il ripristino di ecosistemi e biodiversit� nei contesti rurali, agro-forestali, dell�ambiente marino e, in generale, paesaggistici. L�obiettivo strategico 2, riguarda la conservazione e il ripristino dei servizi ecosistemici e della biodiversit� nel contesto rurale dell�UE e individua come obiettivo principale negli agro-ecosistemi (terrestri, di acqua dolce, acqua salmastra al di fuori della rete Natura 2000), che la perdita di biodiversit� sia arrestata entro il 2010 e mostri segni di sostanziale miglioramento entro il 2013. L�obiettivo strategico 2 si focalizza sulle politiche agricola e rurale, quella forestale e pi� in generale su quella ambientale, identificando una serie di obiettivi operativi. Nel caso delle politiche agro-forestali tali obiettivi operativi riguardano in pratica l�ottimizzazione delle politiche stesse in termini di protezione della biodiversit� almeno con un prodotto secondario delle politiche stesse. Le politiche agro-ambientali, come accennato nelle pagine precedenti, si prestano evidentemente per una interpretazione in termini di pagamenti pubblici per i servizi ambientali offerti dagli agricoltori che aderiscono e in questo campo varie misure riguardano direttamente o indirettamente la biodiversit�. � chiaro che se da un lato varie misure specifiche gi� esistono, molto si potrebbe ancora fare per rendere tali misure pi� efficaci, ma anche e forse soprattutto per migliorare i meccanismi di stima dell�efficacia delle misure stesse e per la valutazione economica dei servizi, a supporto di una sempre migliore e pi� equa definizione delle compensazioni, ovvero dei pagamenti per i servizi offerti. Si veda ad esempio il riferimento fatto nell�azione 2.1.9 al primo pilastro della Politica Agricola Comunitaria (PAC) per mirare pi� incisivamente verso la conservazione della biodiversit� per mezzo di meccanismi come la condizionalit� ambientale. Altre misure, in parte gi� proposte a livello locale potrebbero essere rafforzate per il mantenimento della variabilit� genetica di specie coltivate e allevate tradizionalmente in Italia. Nel caso delle politiche ambientali la conservazione della biodiversit� diventa un effetto diretto delle misure, ma anch�essa collegata a politiche ambientali settoriali di altro tipo, come ad esempio quelle per il controllo dell�inquinamento e il miglioramento della qualit� delle acque. In questo ambito si richiamano pi� volte azioni miranti al miglioramento delle conoscenze e al monitoraggio delle dinamiche dei fenomeni, ma anche alla valutazione degli stessi, come proposto pi� sopra, anche se mancano di fatto azioni mirate specificamente alla valutazione economica dei servizi. L�obiettivo strategico 3 riguarda l�ambiente marino ma gli obiettivi operativi vanno sostanzialmente in parallelo e la politica per la pesca costituisce l�omologo di quella agro-forestale in ambiente terrestre. (58) La Comunicazione ha cos� esplicitato le carenze attuative della CBD: -carenze nell�attuazione della rete Natura 2000: i siti della rete Natura 2000 (ZPS e SIC) occupano il 17% del territorio dell�Unione Europea (percentuale che sale al 19% per il territorio italiano). Si registrano ovunque ritardi e problemi di attuazione nella gestione efficace della rete, in gran parte determinati da risorse umane e finanziarie insufficienti; - carenze a livello politico e strategico: in particolare si evidenzia l�esigenza di rafforzare a livello comunitario le politiche in materia di tutela del suolo, per la quale esistono attualmente solo alcune indicazioni legate alla condizionalit� introdotta dalla Politica Agricola Comune e in materia di contrasto delle specie invasive; -carenze di dati e di conoscenze: nonostante significativi progressi permangono molte lacune, a tutti i livelli, sullo stato delle conoscenze, informazioni e dati sullo stato della biodiversit� e sui principali fattori di minaccia; -carenze nell�integrazione della biodiversit� nei diversi settori economici pertinenti: molti interventi realizzati per affrontare problemi in settori economici e sociali, da parte degli Stati membri, in particolare dalle rispettive unit� amministrative territoriali, come le Regioni nel caso dell�Italia, si sono rivelati incompatibili con gli obiettivi di conservazione della biodiversit� e anzi hanno avuto spesso effetti perversi e negativi; -carenze dei finanziamenti: le risorse economiche che l�Unione Europea e i diversi Stati membri hanno attribuito alla conservazione della biodiversit� sono risultate insufficienti per affrontare la complessit� della sfida dettata dall�obiettivo 2010. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� opzioni possibili per la definizione della nuova strategia (59); -il IV Rapporto sull'attuazione nazionale della Convenzione per la Diversit� Biologica (CBD), primo aggiornamento, del 2007 (successivamente aggiornato nel 2010), ex art. 26 della CBD (60). Entro tale cornice prende avvio, nel 2009, la predisposizione della nuova strategia di tutela della biodiversit� da parte dell�Italia quando si tiene, a Siracusa, il �G8 Ambiente�, con una sessione dedicata alla �Biodiversit� post 2010�, nel corso della quale viene condivisa la Carta di Siracusa sulla biodiversit� (61). Nello stesso anno, il Ministero dell�Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) avvia, in collaborazione col WWF, nell�ambito del Protocollo di intesa per lo sviluppo della Conservazione Ecoregionale della Biodiversit�, il progetto dal titolo: �Verso la Strategia Nazionale per la Biodiversit�: i contributi della Conservazione Ecoregionale� (62) finalizzato (59) Le opzioni individuate nella Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo COM (2010) 4 def. del 19 gennaio 2010 sono: -Opzione 1: ridurre in maniera significativa, entro il 2020, il tasso di perdita della biodiversit� e dei servizi ecosistemici nell'UE. -Opzione 2: arrestare, entro il 2020, la perdita della biodiversit� e dei servizi ecosistemici nell'UE. -Opzione 3: arrestare, entro il 2020, la perdita della biodiversit� e dei servizi ecosistemici nell'UE e, nei limiti del possibile, ripristinarli. -Opzione 4: arrestare, entro il 2020, la perdita della biodiversit� e dei servizi ecosistemici nell'UE, nei limiti del possibile ripristinarli e incrementare il contributo dell'UE per evitare la perdita di biodiversit� a livello mondiale. (60) Il documento � articolato in due volumi; il primo volume � il Rapporto vero e proprio, suddiviso, secondo le linee guida del Segretariato, in quattro Capitoli e quattro allegati. Il secondo volume raccoglie i contributi forniti dalle Regioni e Province Autonome per illustrate il loro impegno per la biodiversit� facendo riferimento al Piano d'Azione europeo per la biodiversit�, allegato alla Comunicazione della Commissione Europea COM 216(2006). (61) I 21 ministri partecipanti al G8 Ambiente del 2009 hanno concordato che: �[�] la perdita della biodiversit� e la conseguente riduzione e danno dei servizi ecosistemici possa mettere a rischio l�approvvigionamento alimentare e la disponibilit� di risorse idriche, nonch� di ridurre la capacita della biodiversit� per la mitigazione e per l�adattamento al cambiamento climatico, cosi come mettere a repentaglio i processi economici globali�. �Giacch� dalla perdita della biodiversit� e da un suo utilizzo non sostenibile scaturiscono rilevanti perdite economiche, si rendono necessari appropriati programmi ed azioni tempestive, volti a rafforzare la resilienza degli ecosistemi�. �Una strategia di comunicazione capillare che coinvolga pienamente tutti i settori, tutti i soggetti portatori di interesse, le comunit� locali ed il settore privato, tale da enfatizzarne la partecipazione e circoscriverne le responsabilit�, costituisce un fattore cruciale per l�effettiva attuazione del contesto post 2010 in materia di biodiversit��. �La riforma della governance ambientale, a tutti i livelli, � essenziale ai fini dell�integrazione della biodiversit� e dei servizi ecosistemici nei processi politici, cos� da trasformare in opportunit� quelle che oggi sono debolezze dei sistemi economici e per sostenere uno sviluppo ed un�occupazione sostenibili[�]�. (62) Tutelare la biodiversit� secondo l'approccio ecoregionale significa assumere come base una valutazione scientifica dello status della biodiversit� sulla base delle migliori conoscenze disponibili, definire per ogni eco-regione i livelli di tutela esistenti e le minacce che incombono e condividere una strategia comune con le autorit� e gli attori sociali che operano sul territorio. Il processo eco regionale, su cui si � basato il MA, ha portato alla identificazione delle aree pi� importanti ad avviare il processo di condivisione e partecipazione della bozza di strategia italiana per la biodiversit� (63). Il processo, articolato per tappe, ha portato ad una sintesi definita "Biodiversity Vision" che fotografa lo stato della biodiversit� e i fattori di conflitto per pianificare le strategie di conservazione, in coerenza con la Comunicazione della Commissione Europea (COM 2006-216) (64). Nell�ambito di tale progetto, il WWF Italia Onlus ha coordinato otto tavoli tecnici (65), secondo il principio cosiddetto di mainstreaming (66) delle per la biodiversit� dell'intero pianeta, individuando 867 aree marine e terrestri che non seguono i confini tracciati dall'uomo ma quelli della natura. Per concentrare gli sforzi di conservazione sulle aree pi� ricche di biodiversit� sono state selezionate 238 ecoregioni definite prioritarie a livello mondiale e l'Italia, per la sua ricchezza in biodiversit�, � inclusa in 2 di queste aree: l'Ecoregione Alpi e l'Ecoregione Mediterraneo Centrale. (63) Per promuovere un�ampia consultazione tra i diversi attori istituzionali, sociali ed economici interessati, il MATTM ha organizzato, con il supporto del WWF Italia e dell�Universit� di Roma �Sapienza�, tre Workshop territoriali (Firenze 29 aprile, Padova 6 maggio, Napoli 13 maggio) ed uno dedicato alle Aree Protette (Sabaudia, PN. del Circeo 11 maggio) con il supporto di Federparchi, per discutere la bozza di Strategia e raccogliere valutazioni e contributi per condividerne la visione e migliorare la definizione degli obiettivi strategici, degli obiettivi specifici e delle priorit� d�intervento per ognuna delle aree di lavoro. (64) Dal sito internet della CBD (https://www.cbd.int/reports/search/) � stato effettuato il download dei documenti sotto riportati, che riferiscono sullo stato di avanzamento nella produzione della Strategia Nazionale e/o del Piano di Azione sulla Biodiversit�, da parte dei vari Paesi aderenti alla CBD. Ad oggi, delle 191 Parti aderenti alla CBD, 166 (86,9 %) hanno prodotto Strategie Nazionali e/o Piani d�Azione e tra questi 21 (11 %) sono gi� alla prima revisione (seconda versione del Piano/Strategia), mentre 25 (13,1 %), tra cui l�Italia, devono ancora realizzarla. In particolare, nel documento del luglio 2008, l�Italia viene riportata tra le �Parties with first NBSAP under development� mentre, nel documento dell�aprile 2009, tra le �Parties for which there is no information about the status of NBSAPs�. Su 43 Paesi presi in considerazione, solo 10 (23,3 %) tra cui l�Italia (con Bosnia, Cipro, Grecia, Israele, Libia, Lussemburgo, Malta, Montenegro e Serbia), non si sono dotati di una Strategia e/o di un Piano per la Biodiversit�. Limitando invece tale analisi ai 27 Paesi dell�Unione Europea, si evince che sono solo 5 quelli a non essersi ancora dotati di Strategia e/o Piano per la Biodiversit� (Cipro, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta) pari al 18,5 % degli Stati membri, mentre 6 (22,2 %) sono gi� alla seconda revisione della Strategia e/o del Piano. (65) Le tematiche affrontate dagli otto tavoli sono state: -studio e analisi delle forme di coesistenza e criticit� tra sviluppo economico-sociale e conservazione della natura. Ruolo dei processi partecipati; -il ruolo dell�informazione e della comunicazione come fattori di facilitazione nei processi di condivisione delle strategie decisionali; -l�impatto delle specie aliene sugli ecosistemi: proposte di gestione; -cambiamenti climatici, biodiversit�, studio della mitigazione e proposte per l�adattamento; -ecoregioni, biodiversit� e governo del territorio, pianificazione d�area vasta come strumento di applicazione dell�approccio eco sistemico; -turismo e biodiversit�: opportunit� e impatti sulla biodiversit�; -definizione del metodo per la classificazione e quantificazione dei servizi ecosistemici in Italia; -tutela delle specie migratorie e dei processi migratori. Tutti i materiali relativi al progetto �Verso la Strategia Nazionale per la Biodiversit�: I contributi della Conservazione Ecoregionale� sono scaricabili dal sito http://www.minambiente.it, nella sezione �Biodiversit�: flora e fauna�. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� misure specifiche per la conservazione della biodiversit� e la valorizzazione dei SE (67) dove si ravvisa il tentativo di integrare la tutela della biodiversit� nei settori dell�ordinamento esistenti sia pur con una attenzione privilegiata al settore delle aree protette. Il 22 maggio 2010, giornata mondiale della biodiversit�, il MATTM presenta la nuova versione della Strategia nazionale, un documento dall�andatura descrittiva, ampia ed omnicomprensiva che individua tre obiettivi strategici da conseguire entro il 2020: a) la salvaguardia della biodiversit� e dei servizi eco sistemici; b) la riduzione sostanziale dell�impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversit� e sul benessere umano; c) l�integrazione della conservazione della biodiversit� nelle politiche economiche e di settore. Tali obiettivi sono attuati in riferimento a 15 aree lavoro tra cui �specie, (66) Per mainstreming si intende l�inserimento di misure specifiche nel corpus delle politiche ambientali, evitando la creazione di percorsi paralleli, non sempre coerenti e altrettanto sostenibili dal punto di vista finanziario e del consenso politico. In linea generale, lo sviluppo di strategie per la biodiversit� e, pi� in particolare, di quelle che sfruttano approcci basati sui PES dovrebbero quindi essere inserite nell�ambito delle politiche ambientali esistenti, sviluppandosi per� sulla base di una serie di fasi conoscitive e di elaborazione. Si veda, ad esempio, il Rapporto del Working Group 2 nel quarto Assessment Report dell�IPCC del 2007, in riferimento alle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici (COWLING R.M., EGOH B., KNIGHT A.T., O�FARRELL P.J., REYERS B., ROUGET M., ROUX D.J., WELZ A., and WILHELM-RECHMAN A., An operational model for mainstreaming eco system services for implementation. PNAS 2008, vol. 105, no. 28 p. 9483�9488). Per mainstreming si intende l�inserimento di misure specifiche nel corpus delle politiche ambientali, evitando la creazione di percorsi paralleli, non sempre coerenti e altrettanto sostenibili dal punto di vista finanziario e del consenso politico. In linea generale, lo sviluppo di strategie per la biodiversit� e, pi� in particolare, di quelle che sfruttano approcci basati sui PES dovrebbero quindi essere inserite nell�ambito delle politiche ambientali esistenti, sviluppandosi per� sulla base di una serie di fasi conoscitive e di elaborazione. (67) Possiamo elencare le componenti principali delle analisi preparatorie per il piano stesso, nel- l�ambito di strategie di PES: -in primis si rende necessaria l�identificazione degli ecosistemi nazionali sui quali focalizzare l�attenzione per le successive analisi; in particolare quelli per i quali esiste una maggiore qualit� ambientale, rispetto alla biodiversit� locale; -in secondo luogo � necessario approfondire il comportamento di tali ecosistemi e le loro dinamiche; -successivamente si tratter� di identificare gli attori che attualmente o nel prevedibile futuro giocano un ruolo importante per la gestione di tali sistemi; - quindi bisogner� sviluppare tecniche adeguate per la valutazione dei servizi offerti da ognuno di essi; -e infine bisogner� applicare tali tecniche standard per la valutazione dei diversi ecosistemi e dei loro servizi. Come risultato di tali analisi si potr� avere uno strumento conoscitivo fondamentale, che consiste nella catalogazione e mappatura degli ecosistemi di pregio, dei servizi da loro offerti e dei gestori di tali territori. Assieme a questi sforzi conoscitivi, sar� necessario esplorare la dimensione istituzionale, identificando le istituzioni pubbliche o private che possono svolgere un ruolo efficace nella gestione degli strumenti di PES identificati, tenendo conto dell�opportunit� di inserire i PES nel contesto istituzionale e legislativo esistente. habitat, paesaggio� (area 1) ed �aree protette� (area 2) (68). Tale documento diviene la base per il raggiungimento dell�intesa il 7 ottobre 2010 in Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell�art. 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003, con richiesta di alcune modifiche attinenti i seguenti profili: -la necessit� di definire una legge quadro nazionale per la conservazione e la valorizzazione della biodiversit�; -la costituzione di un tavolo di lavoro attinente le reti ecologiche, quali elementi strutturali della pianificazione urbanistica ed ambito privilegiato per l�attuazione della strategia medesima (69). Per l�attuazione della Strategia la Conferenza Stato-regioni chiede pertanto di procedere mediante emanazione di una specifica legge quadro nazionale, �per dettare i principi generali e gli indirizzi per la legislazione regionale nonch� per adeguare le normative esistenti in materia, con particolare riferimento alle aree protette e alla rete Natura 2000 e garantire il necessario coordinamento istituzionale nonch� la redazione di specifici piani d�azione nazionali e regionali con l�obiettivo di favorire la necessaria integrazione tra gli obiettivi di sviluppo e gli obiettivi di conservazione della biodiversit�� (70). Nella versione definitiva della Strategia italiana per la biodiversit�, approvata il 7 ottobre 2010, si afferma infatti: �Il Titolo V della Costituzione attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di �Tutela dell�ambiente e degli ecosistemi� (Art. 117, comma II, lett. s Costituzione), mentre trasferisce alle Regioni e agli altri Enti Locali specifiche competenze gestionali nei diversi settori. Risulta pertanto evidente che nel nostro Paese un�adeguata attuazione dei principi generali della CBD ed in particolare dell�art. 6 dovr� necessariamente avvenire attraverso una leale collaborazione tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome (P.A.) di Trento e Bolzano in relazione alle specifiche competenze loro attribuite nei diversi ambiti tematici, attraverso la programmazione e la gestione delle attivit� nei principali settori che incidono sulla conservazione della natura�. (68) Le altre aree lavoro sono: 3. risorse genetiche; 4. agricoltura; 5. foreste; 6. acque interne; 7. ambiente marino; 8. infrastrutture trasporti; 9. aree urbane; 10. salute; 11. energia; 12. turismo; 13. ricerca e innovazione; 14. educazione, informazione e comunicazione; 15. l�Italia e la biodiversit� nel mondo. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� Per questo si istituisce presso il Ministero dell�Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare un apposito Comitato paritetico a supporto della Conferenza Stato-Regioni, composto da rappresentanti delle Amministrazioni centrali e delle Regioni e Province Autonome. A supporto del Comitato paritetico sar� altres� istituito un Osservatorio Nazionale sulla Biodiversit�, che fornir� il necessario supporto scientifico multidisciplinare (71). (69) Tale documento, nell�esprimere l�intesa sul testo concordato col MATTM nel gruppo misto del 4 ottobre, ha formulato due esplicite richieste al Ministero dell�ambiente: -che si provveda, con il Decreto Ministeriale che istituir� il "Comitato tecnico paritetico" nella sua nuova composizione, che vede rappresentate tutte le Regioni e che si avvarr� di un Comitato ristretto per garantire la massima efficacia operativa nonch� dell'Osservatorio nazionale sulla Biodiversit� per il necessario apporto scientifico multidisciplinare, alla soppressione del "Comitato Nazionale per la biodiversit�" costituito con DM del 5 marzo 2010; -che, acclarata l'importanza delle "reti ecologiche" quali strutture territoriali essenziali per una pianificazione urbanistica coerente con la Strategia e per ogni programmazione settoriale, si costituisca un tavolo di lavoro nell'ambito dei lavori del suddetto Comitato paritetico, che affronti tale aspetto e al quale dovranno essere riconosciute la stessa dignit� e rilevanza attribuite alle "Aree di lavoro" individuate dalla Strategia. In sintesi le richieste di modifica formulate dalle Regioni e Province autonome sono le seguenti: -nelle premesse: la necessit� di approvazione di una "Legge Quadro nazionale per la conservazione e la valorizzazione della biodiversit� capace di dettare anche principi generali ed indirizzi per la legislazione regionale nei settori che impattano sulla biodiversit�; -nell�attuazione: l'istituzione di un apposito Comitato tecnico paritetico, a supporto della Conferenza Stato-Regioni, composto da un rappresentante per ciascuna Regione e Provincia Autonoma e da un eguale numero di rappresentanti delle Amministrazioni centrali. Tale Comitato verrebbe a sostituire il Comitato Nazionale per la Biodiversit� (CBN), istituito con DM del 5 marzo 2010, dove la rappresentanza regionale � fortemente sbilanciata a favore delle amministrazioni centrali. Le Regioni chiedono quindi di essere pi� rappresentate e pi� chiarezza sui compiti del Comitato. Si chiede inoltre l'istituzione di un Osservatorio nazionale sulla Biodiversit�, per fornire al Comitato paritetico il necessario apporto scientifico multidisciplinare. L'Osservatorio � formato dal rappresentanti degli Osservatori (o Uffici) regionali sulla biodiversit�, delle principali Associazioni Scientifiche, del mondo accademico, del- l'ISPRA e della Federazione dei Parchi e delle Riserve naturali; -negli strumenti di finanziamento: a parere delle regioni occorre che il Ministero dell'Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare si impegni ad inserire, nell'ambito dei proprio bilancio di spesa, specifiche risorse per l'attuazione della strategia; inoltre la futura programmazione dei fondi comunitari nel periodo 2014 - 2020 e dei fondi nazionali deve essere fortemente orientata al raggiungimento degli obietti declinati nella Strategia; - nel testo: si chiede di sottolineare la problematica in materia di Organismi Geneticamente Modificati (OGM), inserendo come obiettivo specifico la prevenzione dell'inquinamento genetico da OGM (nelle aree di lavoro "Specie habitat e paesaggio", "Risorse genetiche" e "Agricoltura"; -aree di lavoro: si propone l�inserimento di una nuova area dedicata alle �Reti ecologiche� e nell�area di lavoro �Ricerca e innovazione� si richiede di sviluppare le tematiche relative ai �processi di partecipazione� e di aggiungere una sezione dedicata alla �cultura�. (70) Strategia nazionale, tavolo 1. (71) Tra i compiti dell�Osservatorio vi � quello di predisporre documenti tecnici istruttori, di identificare gli indicatori di risultato per il monitoraggio della Strategia, di elaborare dei rapporti periodici sui risultati raggiunti rispetto agli obiettivi individuati, di proporre aggiornamenti ed integrazioni alla Strategia coerentemente con le necessit�/criticit� emerse a livello nazionale e le previsioni e gli impegni assunti a livello internazionale e comunitario, come la definizione di nuovi obiettivi post 2010 individuati dalla COP 10 della CBD; e nel 2015 la scadenza dei Millennium Development Goals. In attuazione di quanto stabilito nell�intesa con la Conferenza Stato regioni, del 7 ottobre 2010, il MATTM, con decreto 6 giugno 2011, ha provveduto ad istituire il Comitato paritetico per la biodiversit� (art. 1), il Comitato ristretto (art. 2), l�osservatorio nazionale per la biodiversit� (art. 3), il Tavolo di consultazione (art. 4). Al fine di valutare l�efficienza e l�efficacia della Strategia nazionale per la biodiversit�, dovr� essere attivato un sistema di monitoraggio periodico che consenta di verificare il raggiungimento degli obiettivi strategici (72). Nel 2015 � prevista una verifica approfondita e condivisa sulla validit� dell�impostazione della Strategia e sulle eventuali necessit� di adeguamento. Si pu�, quindi, provvisoriamente concludere questa seconda fase individuando sostanzialmente due fasi nella attuazione della CBD in Italia che si caratterizzano in modo diverso proprio in riferimento al significato con cui si assume la tutela le aree protette rispetto alla strategia di attuazione. 1) La prima fase, immediatamente successiva alla ratifica della CBD, prevede il ricorso a piani nazionali che, partendo dalle aree protette, promuovano l�integrazione in tutti i settori della gestione ambientale, sulla base del modello dei Piani europei di Agenda XXI; 2) la fase successiva, che si � poi tradotta nella approvazione della Strategia nazionale oggi vigente, prevede un approccio olistico che conferma la particolare attenzione alle aree protette, da intendere, per�, prevalentemente come rete ecologica. Viene, quindi, maggiormente sottolineato l�aspetto sistemico delle aree naturali protette quale mezzo strategico di attuazione, esteso (72) � opportuno inoltre distinguere gli indicatori di valutazione, da utilizzare per il monitoraggio dei risultati della Strategia nel conseguimento della vision e degli obiettivi strategici (indicatori di risultato e di impatto), da quelli per il monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi di conservazione degli elementi della biodiversit� (specie, habitat e paesaggio), attraverso le priorit� d�intervento individuate nelle aree di lavoro (indicatori di stato). In entrambi i casi � necessario pervenire all�individuazione di indicatori efficaci che tengano conto dei pi� recenti sviluppi su questo tema in ambito comunitario e internazionale, con particolare riferimento agli indicatori forniti dalla UE. La soglia di criticit� deve essere individuata utilizzando gli indicatori pi� sensibili alle modificazioni derivanti dalle scelte gestionali, sulla scorta del pragmatico principio �si pu� gestire, accortamente, solo ci� che si pu� misurare�. La formulazione delle soglie di criticit� � pi� diretta per indicatori di natura quantitativa e per essi tali soglie possono essere definite sulla base di criteri prudenziali. Per una corretta applicazione degli indicatori devono essere previste le seguenti azioni: -elaborare e pubblicare periodicamente una relazione sui principali indicatori ambientali; -presentare relazioni periodiche sugli indicatori sullo stato dell�ambiente; -elaborare indicatori dei costi delle diverse tipologie di danni ambientali; -creare database di valutazione in materia; -istituire un riesame di ampia portata dei sistemi di indicatori. Per quanto detto � necessario pervenire all�individuazione di indicatori in riferimento agli obiettivi specifici di ogni area di lavoro della Strategia. Per quanto concerne gli indicatori per la valutazione dello stato di conservazione degli elementi della biodiversit� la Strategia suggerisce di fare riferimento al concetto di �stato di conservazione soddisfacente di habitat/specie� cos� come formulato nella Direttiva Habitat. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� ed integrato con tutti i settori della tutela ambientale, identificati nelle 15 aree lavoro, come definite dalla Strategia. Si esplicita anche, nel testo della stessa Strategia, la necessit� di definire una specifica legge quadro nazionale sulla biodiversit�, configurando, quindi, tale ambito come un settore normativo a s� stante che richiede proprie disposizioni cornice. In materia di biodiversit� non risulta, ad oggi, nessun disegno di legge in itinere mentre numerosi sono i disegni di legge di riforma della legge quadro n. 394 del 1991 sulle aree protette, indicata dal Ministero dell�ambiente come uno dei settori in cui far confluire la disciplina della biodiversit� e identificare le aree protette come lo strumento principe per la sua attuazione. Si delineano pertanto tre modelli: a) una attuazione espressa attraverso la dimensione gestionale delle autorit� amministrative e di tutti i soggetti interessati, nell�ambito della legge di ratifica n. 124 del 1994 e della nuova Strategia nazionale, che potrebbe eludere il ricorso ad una nuova legislazione statale di principio; b) una attuazione che tende a configurare la tutela della biodiversit� come un ambito o un valore oggetto di una legislazione autonoma mediante una nuova legge quadro, di cui ad oggi non sono stati definiti i contenuti; c) una attuazione che, in assenza di una specifica legge quadro, promuove un processo trasversale di integrazione della disciplina vigente in tutti i settori normativi afferenti la Strategia nazionale, con riferimento alle 15 aree lavoro, tra le quali emerge, con particolare sottolineatura, il ruolo delle aree naturali protette. (...). 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Un bird�s eye view su recenti pronunce - 2. Causa prossima delle anfibolie. Conclusione. 1. Un bird�s eye view su recenti pronunce. 1.1. Leggendo due sentenze �gemelle� della Corte di Cassazione, pubblicate pochi mesi or sono (1), ci s�imbatte in fatti e motivi sintetizzabili come segue. Il Tribunale del riesame di Bari, pronunciandosi in favore di ordinanza di convalida di sequestro preventivo emessa dal G.I.P., ha affrontato il caso di dichiarazioni annuali per imposte sui redditi e I.V.A. le quali, ancorch� non omesse - perch� presentate entro novanta giorni dalla scadenza (2) -, contenevano l�indicazione di un giro d�affari, in capo a societ� gerente sale da giochi, pari a poche unit� di euro, contro le decine di milioni induttivamente rideterminate dalla guardia di finanza. La tesi della pubblica accusa, fatta propria dal G.I.P. e dal giudice del riesame, era nel senso di porre alla base del provvedimento cautelare il fumus della integrazione del reato di omessa dichiarazione (art. 5, legge n. 74 del 10 marzo 2000). In sede di convalida e di riesame, si � svolto il seguente ragionamento: � pure vero che le dichiarazioni sono state presentate; ma, vista l�entit� risibile degli importi indicati rispetto alla realt�, nella sostanza � come se le medesime siano state omesse. Cio� a dire si tratta di dichiarazioni pro forma, apprestate ad usum delphini onde evitare i controlli automatizzati sulle omissioni. Si sarebbe trattato, secondo il tribunale del riesame, di condotte abusive -e per� altres� elusive - penalmente rilevanti. La Corte nomofilattica accoglie sul punto i ricorsi dei due indagati, rinviando al tribunale affinch� accerti e determini: 1) qual � (dacch� occorre che se ve ne sia una) la norma tributaria antielusiva specificamente violata; 2) qual � (poich� anche questo elemento necessita nei reati d�elusione) il risparmio fiscale conseguito a mezzo delle dichiarazioni pro forma. (*) Avvocato del libero Foro. La Rassegna ne ospita il contributo. (1) Cass., Sez. III pen., 31 luglio 2013, n. 33184; Cass., Sez. III pen., 21 luglio 2013, n. 33187, in �banca dati fisconline�. (2) V. art. 5 cpv., legge n. 74/2000, su cui A. FANTOZZI, Diritto tributario, IV ed., Utet, Torino, 2012, p. 964 e F. CARINGELLA et al., Manuale di diritto penale. Parte speciale, II ed., Roma, Dike, 2010, p. 1579 e ivi alla nt. 73. 1.2. Si noti che, per ragioni tecnicamente processuali (della cui esposizione e valutazione non ci occupiamo), la Corte cassa, se pure con rinvio, l�assunto di merito secondo cui vi sarebbe stato (il fumus di) un abuso del diritto tributario, sussumibile sotto la fattispecie dell�omessa dichiarazione. Se non si presta attenzione a questa cassazione - cio� a quest�annullamento della sentenza del riesame -, si rischia d�incorrere nella confusione tra elusione e abuso nella sfera penale tributaria. Tale pericolo si prospetta non soltanto perch� il testo della sentenza condivide l�uno e l�altro sostantivo, ma anche perch�, nella materia tributaria �civilistica�- nel senso di extrapenale , l�abuso � sovente presentato come sinonimo di elusione fiscale. Sicch� le due sentenze in questione non aiutano a evitare queste false omonimie - foriere di confusione concettuale (3) -, poich� non dicono chiaramente che l�abuso non � penalmente rilevante. E non lo �, chiaramente, per il principio di legalit� - e conseguente tassativit� o determinatezza della fattispecie (4). In altre parole, se non si pongono distinzioni concettuali e terminologiche tra elusione (tipizzata) e abuso, si pu� non cogliere appieno l�erroneit� in radice - e l�incostituzionalit� - dell�idea stessa di una rilevanza penale del secondo; consistendo questo, per sua stessa natura, in un che di atipico, cio� d�incompatibile con la sanzione penale (5). Non che la possibile, a determinate condizioni, rilevanza penale dell�elusione sia per parte sua scontata (anzi); ma lo � - come si sa - secondo il pi� recente trend giurisprudenziale. 1.3. Le cose non cambiano se, dalle sentenze �gemelle � appena dette, si passa a un�altra pronuncia (appena antecedente) della Sezione III della Cassazione (6). Qui fatto e diritto sono enucleabili come segue. Una persona fisica, di professione attore, stipula con una societ� - facente capo per il 20% a s� e per la restante parte a due sorelle - un contratto, in base al quale; a) l�attore cede alla societ� i diritti di utilizzazione economica della sua immagine, verso un corrispettivo annuale con minimo garantito; b) l�attore si obbliga a versare alla societ� il 40% dei propri compensi da attivit� professionale. Il Tribunale di Roma rigetta l�appello del P.M. contro il provvedimento del G.I.P., a sua volta contrario al sequestro preventivo. (3) Cfr. F. COPPI, Il linguaggio della difesa penale, in A. MARIANI MARINI - F. BAMBI (a cura di), �Lingua e diritto�, Pisa University Press, Pisa, 2013, p. 107 ss.. (4) Sul punto F. CARINGELLA et al., op. cit., p. 11; G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, Bologna, p. 76 ss. (5) Perspicuamente F. MUCCIARELLI, Abuso del diritto, elusione fiscale e fattispecie incriminatrici, in G. MAISTO (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario, Giuffr�, Milano, 2009, p. 429 e 432. (6) Cass., Sez. III pen., 3 maggio 2013, n. 19100, in �banca dati fisconline�. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� Ricorre in cassazione la pubblica accusa, denunciando violazione dell�art. 4, legge n. 74/2000, correlativamente agli artt. 37 bis e 37, comma 3, DPR n. 600/73. La Sezione III della S.C. accoglie il ricorso del P.M. e annulla, con rinvio, l�ordinanza del tribunale. La motivazione � costellata dalla doppia menzione �elusione� / �abuso del diritto tributario�. Da questa cortina fumogena - sprigionata anche da richiami testuali a precedenti arresti - la sentenza sembra in parte uscire quando, all�abbrivio del par. 5 della motivazione, plaude al P.M. ricorrente che individua le �specifiche norme antielusive� integrate, menzionando gli artt. 37 bis (e 37 comma 3 (7)), DPR n. 600/73. In particolare viene in considerazione il comma 3 dell�art. 37 bis, che alla sua lett.b) menziona notoriamente i conferimenti in societ�. Peraltro, siccome la societ� che gestisce l�immagine dell�attore � una s.r.l., secondo la Corte rileva anche il novellato (dalla riforma societaria 2003) art. 2464 c.c., ai sensi del quale il valore dei conferimenti non pu� essere inferiore all�ammontare totale del capitale sociale (comma 1), fermo restando che i conferimenti possono avere a oggetto qualunque elemento dell�attivo, purch� suscettibile di valutazione economica (comma 2). E invero il Tribunale di Roma aveva affermato che di un conferimento non si pu�, nella specie, parlare, visto che il quid asseritamente conferito altro non � se non il diritto allo sfruttamento economico dell�immagine. Quindi non � invocabile - secondo il giudice del riesame - l�art. 37 bis, e particolarmente il suo comma 3, lett. b). Dal che l�ulteriore assunto - sempre del tribunale -, secondo cui non � concepibile nella specie un�elusione penalmente rilevante, vista la mancanza di un�operazione sussumibile sotto una norma antielusiva tipica. Cassa con rinvio questa visione delle cose la Corte Suprema, anzitutto perch� il giudice di merito non spiega l�asserita anomalia del conferimento societario, e in secondo luogo perch� trascura la formula dell�art. 2464. Per il Giudice di legittimit� un�elusione tipica vi �, invece, sotto il rispetto del conferimento dei diritti di sfruttamento dell�immagine, poich� questo stesso conferimento - civilisticamente tale in forza dell�autonoma valutabilit� dell�entit� apportata (8) - � stato posto in essere all�interno di un anomalo marchingegno operazionale. � un marchingegno questo, contraddistinto per il S.C. dalla finalit� di ridurre la base imponibile della persona fisica. A questo punto per� si palesa una certa oscurit� di questo argomento, giacch� - nel momento stesso in cui d� rilevanza al conferimento societario menzionato dall�all�art. 37 bis -, esso fa pi� volte riferimento all�abuso. La sola possibile spiegazione � che si reputi privo di rilevanza penale in (7) Su questa norma v. oltre, par. 1.4. (8) Sui conferimenti diversi dal denaro in s.r.l., cfr. O. CAGNASSO, La societ� a responsabilit� limitata, in �Trattato di diritto commerciale�, dir. da G. COTTINO, vol. V, Utet, Torino, p. 74 ss.. s� il conferimento societario, poich� viceversa tale rilevanza andrebbe invece spostata sulle sproporzionate somme, che sono dovute per contratto dalla persona fisica alla societ�. Ma siccome una simile sproporzione non sembra trovare cittadinanza in una fattispecie antielusiva tipica, se ne dovrebbe trarre il corollario del difetto motivazionale del giudice a quo sulla rilevanza penale della condotta. E se anche (vedendosi che tertium datur) s�intendesse dire che rileva piuttosto l�insieme del conferimento e delle somme dovute dall�attore alla societ� -anzich� il primo o le seconde isolatamente prese -, si sarebbe comunque costretti a fare i conti con l�assunto-base da cui non si scappa: che, cio�, la rilevanza penale delle condotte (sotto il rispetto della dichiarazione infedele nella specie) esige la riconduzione di quelle a una norma di legge antielusiva. E con ci� si ritornerebbe al punto di prima. Con il risultato che anche qui, come nelle sentenze �gemelle� di cui sopra, lo sviluppo argomentativo della Corte non mette in luce che l�abuso - secondo i suoi stessi precedenti - � cosa a s� stante (penalmente non sanzionabile per la Corte stessa); mentre tutt�altra cosa � l�elusione specifica di norme positive (di per s�, almeno per il S.C., non incompatibile con una rilevanza penale delle condotte (9)). Sicch� anche questa sentenza manifesta una pericolosa ambiguit� (non soltanto nominalistica ma altres�) concettuale tra le due categorie all�evidenza - elusione e abuso -, per le quali l�inquadramento e la disciplina dovrebbero essere distinti. 1.4. Vediamo infine un ulteriore arresto della Corte di Cassazione, anch�esso recente e proveniente (anzich� dalla Terza) dalla Quinta Sezione (10). Qui l�operazione posta in essere � denominata �retrocessione di dividendi�, e si articola in tre step: a) la partecipazione totalitaria in una s.p.a. (�Societ� Inizialmente Partecipata� o �SIP�) � ceduta dagli azionisti ad altra societ� per azioni (�Societ� Cessionaria� o �SC�), i cui soci sono gli stessi della prima; b) la SC diventa proprietaria della totalit� delle partecipazioni della SIP, e in cima alla filiera stanno le stesse persone detentrici dell�intero capitale della SIP ; c) i dividendi distribuiti dalla SIP confluiscono nella SC, e da qui sono distribuiti ai soci (le stesse persone fisiche di riferimento), unitamente ai dividendi autonomamente generati dalla SC. Il G.I.P. decreta un sequestro preventivo per vari reati, fra cui dichiarazione infedele e truffa aggravata ai danni dello Stato. (9) Contra, con dovizia d�argomenti, F. MUCCIARELLI, op. cit.; E. MUSCO - F. ARDITO, Diritto penale tributario, sec. ed., Zanichelli, Bologna, 2013, p. 178 ss., con utili riff. a margine. (10) Cass., Sez. V pen., 9 settembre 2013, n. 36894, in �banca dati fisconline�. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� Il Supremo Collegio, adito dagli indagati, respinge il ricorso. In particolare la Corte afferma che il reato di dichiarazione infedele, di cui all�art. 4 della legge �74�, pu� essere integrato in presenza di una condotta elusiva (quale quella del meccanismo in parola), finalizzata all�abbattimento degli importi attivi in dichiarazione - vuoi elidendovi componenti positivi, vuoi inserendovi componenti negative �fittizie�. Con il che, al contrario di quanto visto (11) nelle sentenze �gemelle� del 31 luglio, il giudice nomofilattico reputa legittimo il provvedimento cautelare, in quanto basato sul fumus di una dichiarazione infedele consumata con la �retrocessione dei dividendi�, Ma - viene da domandarsi - dovՏ, stante la trattazione congiunta di abuso ed elusione in motivazione, il risultato positivo e applicativo di questa commistione? Detto altrimenti, dovՏ la norma specifica antielusiva che sarebbe stata violata? Il passo argomentativo clou - cio� la parte finale del punto 1.4 della motivazione - non d� risposta a questo interrogativo. Difatti la cessione di partecipazioni non � compresa nell�elenco di cui all�art. 37 bis, comma 3, DPR n. 600/1973. Pertanto, visto che nelle motivazioni su elusione e abuso il Supremo Collegio sovente afferma la riconducibilit� dell�art. 37, comma 3, al novero delle norme antielusive tipiche - la cui integrazione pu� determinare sanzione -,si pu� pensare che su questa norma nella specie, piuttosto che sull�art. 37 bis, la Corte fondi l�affermazione del fumus di dichiarazione infedele. � un sforzo di sistemazione, questo, che poteva forse essere risparmiato (a lettori, interpreti, e soprattutto destinatari della pronuncia). Si dovrebbe, in tale prospettiva, ipotizzare che la Corte veda un�interposizione soggettiva in capo alla Societ� Cessionaria. E ci� perch� questa percepisce dividendi della Societ� Inizialmente partecipata; e per�, del reddito costituito da tali dividendi, gli effettivi possessori sono quei soggetti, che all�inizio detenevano il 100% del capitale della SIP. Essi diventano bens� titolari del 100% della Societ� Cessionaria; ma si tratterebbe una titolarit� meramente apparente che - in quest�ottica ricostruttiva -si contrapporrebbe alla titolarit� effettiva delle partecipazioni stesse. Quest�ultima, di contro, andrebbe posta in capo a quegli stessi soggetti, che prima della cessione possedevano l�intero capitale della SIP e della SC. Per effetto di ci� - se dal risvolto soggettivo si passa a quello oggettivo -, si � in presenza di dividendi �travestiti� da corrispettivi (commistione non peregrina tra componente soggettiva e oggettiva della simulazione). Allo stato dell�arte - cio� di testo e contesto della sentenza -, quella appena formulata � un�ipotesi di lettura. Evidentemente, se essa fosse corretta, avremmo l�assunto giurisprudenziale del fumus cautelare di una dichiarazione infedele, fondato sulla norma (11) Sopra al par. 1.1. che disciplina l�interposizione fittizia (rectius, per interpretazione, la simulazione (12)). 2. Causa prossima delle anfibolie. Conclusione. 2.1. � un fatto difficilmente revocabile in dubbio che la commistione terminologico- concettuale tra elusione e abuso, al pari di quella tra elusione ed evasione nella materia penale tributaria, risale alla pi� nota sentenza sull�argomento, riguardante due noti stilisti (13). Ivi la Corte argomenta ex art. 16, D. LGS. 74/2000, che a sua volta richiama sia l�art. 9 sia l�art. 10 della legge 30 n. 413/1991. Con ci� il Collegio perviene al corollario per cui, essendovi un�esimente per chi si uniforma all�interpello - vuoi relativo all�art. 37 bis, vuoi relativo all�art. 37, comma 3, a contrario sussiste (almeno in termini di compatibilit�) una rilevanza penale delle condotte riconducibili a tali due norme (14). Ne consegue la possibile integrazione, a mezzo delle relative condotte, dei reati di omessa o infedele dichiarazione (artt. 4 e 5 della legge �74�) (15). Ora, nel momento in cui la Corte perviene a tale esito interpretativo (sui cui profili di estrema criticit� qui sorvoliamo (16)), lo fa con univoca ed esplicita menzione della �rilevanza penale� della �condotta elusiva� (17). Se non che - quanto meno ad avviso del filone di pensiero pi� persuasivo -, se da un lato � indubbio che l�art. 37 bis costituisce norma antielusiva per eccellenza, per parte sua l�art. 37, comma 3, costituisce norma di chiaro stampo antievasivo, atteso che disciplina il fenomeno simulatorio (18). Ne � conseguito in giurisprudenza che, siccome le sentenze successive sulla rilevanza penale dell�elusione o dell�abuso - motivano riprendendo il leading case, si protraggono le commistioni della �originaria� struttura. 2.2. Quanto all�abuso, � pure vero che tutte le sentenze in materia - ivi incluso il leading case - riprendono gli arresti delle Sezioni Unite del Natale 2008 (19). Tuttavia sembra che sia andato perso il concetto fondante di tali pronunce. Esso � notoriamente quello per cui, al di l� di una tipizzazione (quanto (12) Ci permettiamo di rinviare a F. M. GIULIANI, La prova presuntiva della simulazione assoluta alla luce di un recente arresto della S.C., in �il fisco�, n. 33/2013, fascicolo 2, p. 5178 ss.; e amplius ID., La simulazione dal diritto civile all�imposizione reddituale, Cedam, Padova, 2009, passim. (13) Cass., Sez. II pen., 22 novembre 2011 - 28 febbraio 2012, n. 7739, in �banca dati fisconline�. (14) Cass. Pen. n. 7739/2012, cit., par. 4.6. (15) Id., par. 4.5. (16) E. MUSCO - F. ARDITO, op. loc. cit. (17) Id., par. 4.6. (18) Cfr. A. MONTI, Considerazioni in tema di rilevanza penale dell�abuso del diritto, relazione all�International Fiscal Forum di Lugano, 22 maggio 2012, in www.uncat.it (19) Cass., S.U. civ., 23 dicembre 2008, n. 30055, 30056, 30057, in �banca dati fisconline�. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� meno apparente) dell�elusione fiscale, specialmente nell�art. 37 bis, si deve piuttosto dall�ordinamento e dal sistema - segnatamente dagli artt. 2 e 53 Cost. -evincere un principio antielusivo immanente. Ma, giova ribadirlo ora, le caratteristiche di contenuto di tale principio (che qui diamo per assodate) sono portatrici necessarie di un�apertura e atipicit� - cio� di una genericit� e non- tassativit� -, che impingono contro il principio di legalit� del diritto penale. 2.3. � dunque auspicabile una nuova linfa giurisprudenziale, che non si fermi al precedente antonomastico - gi� di per s� foriero di dibattito -, ma lo rielabori con ragionamenti aggiuntivi e conseguenti, ispirati alla prevalenza della chiarezza sulle possibili ambiguit�. Ci� potr� condurre alla rimessa in ordine di concetti e discipline, relativi a fenomeni tra loro distinguibili, quali elusione e abuso ed evasione simulatoria. contributi di dottrina CONTRIBUTI DI DOTTRINA Gli incarichi extragiudiziari fuori ruolo dopo la legge anticorruzione Ennio Antonio Apicella* SOMMARIO: 1. Il collocamento fuori ruolo per lo svolgimento di incarichi extragiudiziari - 2. Le fonti normative: magistrati ordinari e militari - 3. Segue: magistrati amministrativi e contabili; avvocati e procuratori dello Stato - 4. I caratteri dell�istituto - 5. Segue: l�interesse dell�Amministrazione giudiziaria e la natura discrezionale delle relative valutazioni - 6. I nuovi limiti generali al collocamento fuori ruolo - 7. Le funzioni escluse dai nuovi vincoli 8. Segue: le funzioni �incompatibili� e l�esercizio della delega - 9. Il regime transitorio - 10. Considerazioni conclusive. 1. Il collocamento fuori ruolo per lo svolgimento di incarichi extragiudiziari. La tematica degli incarichi extragiudiziari del personale di magistratura, anche in posizione di fuori ruolo, � da sempre molto controversa. Si fronteggiano l�idea, ben salda nella dottrina (1), che gli incarichi estranei ai compiti d�ufficio non solo pregiudicano l�indipendenza e l�imparzialit� del giudice, ma incidono anche sull�attuazione del principio di separazione dei poteri, e quella, piuttosto diffusa negli ambienti giudiziari e che trova puntuale riscontro giurisprudenziale (2), dell�arricchimento delle esperienze e (*) Avvocato dello Stato. Il presente saggio � pubblicato nel volume MATTARELLA, PELISSERO (a cura di), La legge anticorruzione, Torino 2013, 323 ss.. (1) Spec. DI FEDERICO, Gli incarichi extragiudiziari dei magistrati: una grave minaccia per l�indipendenza ed imparzialit� del giudice, una grave violazione del principio della divisione dei poteri, saggio introduttivo a ZANNOTTI, Le attivit� extragiudiziarie dei magistrati ordinari, Padova, 1981, XXV ss., LX ss. (ora in DI FEDERICO (a cura di), Manuale di ordinamento giudiziario, Padova 2004, 538 ss.). (2) Solo di recente, Cons. St., sez. IV, 30 aprile 2012 n. 2486, in Foro amm.-C.d.S. 2012, 926, in motivazione, che conferma, sul punto, TAR Lazio, Roma, sez. I, 1� febbraio 2011 n. 907, in Foro amm.TAR 2011, 438. delle conoscenze giuridiche ed istituzionali derivanti al magistrato dallo svolgimento dell'incarico aliunde, che si risolve in un vantaggio per l'Amministrazione di appartenenza quando verranno riprese le ordinarie funzioni. Viene altres� in rilievo, a latere, l�interesse dell�Istituzione richiedente ad avvalersi di contributi esterni ad elevato tasso di competenza tecnico-giuridica. A destare perplessit� sono non soltanto gli incarichi politici, o di sola cooperazione alla formazione dell�indirizzo politico, che manifestano pi� o meno esplicitamente il collegamento tra magistrati e gruppi politici, o loro rappresentanti, ma anche l�assunzione di compiti di natura amministrativa da soggetti che mantengono la titolarit� delle funzioni giudiziarie (e che possono in ogni momento riprenderne l�esercizio). Non � tanto la semplice coesistenza di tali funzioni a menomare l�indipendenza, ma piuttosto il fatto che il magistrato pu� trovarsi a svolgere le funzioni amministrative in posizione gerarchica- mente sottordinata, nel qual caso � immanente il rischio che il potere dell�organo superiore possa indirettamente estendersi anche all�attivit� giurisdizionale e cos�, in definitiva, pregiudicare l�indipendenza del giudice. Non minori preoccupazioni suscita, all�opposto, il pericolo di lesione del principio di separazione dei poteri, a salvaguardia dell�autonomia dell�esecutivo, il quale comporta che, almeno tendenzialmente, le diverse funzioni dello Stato siano affidate ad organi inquadrati nei corrispondenti poteri e ad essi soltanto; in questo caso, proprio la presenza di magistrati in ruoli ministeriali apicali condiziona la discrezionalit� politica del potere esecutivo (3). Per tali ragioni la migliore dottrina � da sempre nel senso che, per garantire effettivamente l�indipendenza, sarebbe saggio inibire in modo assoluto l�assegnazione di ogni specie di incarichi ai magistrati, anche a quelli appartenenti alle giurisdizioni speciali amministrative: �incarichi che vengono di fatto assai ambiti e largamente assegnati, anche quando rivestono carattere politico e siano tali da generare vere incompatibilit�� (4). Come � emerso nel recente dibattito parlamentare (5), � necessario assicurare un corretto bilanciamento tra l�acqui (3) Su entrambi i profili, ZANON, BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura, Padova 2011, 81, 83 s.; SCARSELLI, Ordinamento giudiziario e forense, Milano 2010, 166; PIZZORUSSO, Compatibilit� od incompatibilit� delle attivit� extragiudiziarie col ruolo istituzionale dei magistrati ordinari, in Quest. giust. 1983, 185 ss.; con particolare riferimento alle funzioni amministrative dei magistrati ordinari presso il Ministero della Giustizia, gi� DEL FEDERICO, op. cit., passim, spec. XXV ss., LX ss., LXVIII ss. e ZANNOTTI, op. cit., cit., 5, 25, 53 ss.. Del tutto isolata � la contraria opinione, proveniente dai ranghi della magistratura ordinaria, di CANEVELLI, Gli incarichi fuori ruolo, in ALBAMONTE, FILIPPI (a cura di), Ordinamento giudiziario, Torino 2009, 536, per il quale l�apporto di magistrati ad attivit� di tipo amministrativo presso ministeri o altri enti non ha carattere servente, ma rappresenta un contributo di qualificate professionalit�, maturate nella sfera della giurisdizione, in altri ambiti pubblici. (4) Cos�, MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1967, II, 1013. Sull�argomento, anche STORCHI, Il ruolo politico del Consiglio di Stato, in Riv. trim. dir. pubbl. 1976, 536 ss.. (5) Intervento dell�on. Lanzillotta nella seduta del 6 febbraio 2013 delle Commissioni riunite I e II della Camera. CONTRIBUTI DI DOTTRINA sizione di specifiche professionalit� da parte di alcune Istituzioni e la necessit� di preservare la funzionalit� delle magistrature, nonch� la coerenza e la compatibilit� delle funzioni di consulenza con l�esercizio di quelle giurisdizionali; in ogni caso, l�attribuzione di siffatti incarichi extraistituzionali finisce per coinvolgere i magistrati in ruoli e scelte di governo rispetto alle quali, almeno come corpi istituzionali, essi dovrebbero agire come controllori (6). Al possibile pregiudizio dell�indipendenza ed imparzialit� derivante dalla commistione tra funzioni giudiziarie e funzioni amministrative, o di indirizzo politico, intende ovviare proprio il collocamento fuori ruolo (peraltro non sempre obbligatorio), in quanto la funzione esterna non � svolta contemporaneamente all�attivit� giudiziaria (7); anche se non pu� escludersi in radice che il rapporto di dipendenza derivante dall�incardinamento nell�ufficio amministrativo, o di diretta collaborazione, sia in grado di spiegare parte dei suoi effetti anche in epoca successiva al rientro nelle funzioni ordinarie, specie quando la permanenza fuori ruolo si sia prolungata nel tempo. Infatti, � anche la durata degli incarichi extragiudiziari a determinare gravi inconvenienti, sotto vari profili (8). Anzitutto, � necessario evitare che il collocamento fuori ruolo consenta la creazione di �carriere parallele�, che si svolgono prevalentemente al di fuori degli uffici giudiziari; per questo motivo, la durata degli incarichi fuori ruolo deve essere temporalmente limitata, va garantita la rotazione dei destinatari e disciplinato con precisione il rientro nella magistratura di appartenenza. Inoltre, il sistematico collocamento fuori ruolo di un numero elevato di soggetti pu� ostacolare il corretto funzionamento degli uffici e, dunque, pregiudicare la realizzazione degli obiettivi di efficienza ed efficacia dell�Amministrazione della giustizia, soprattutto nel caso di organici esili come quelli della magistratura amministrativa o contabile (e dell�Avvocatura dello Stato). Infine, non si pu� trascurare che l�allontanamento prolungato dalle funzioni di istituto e, in particolare, la destinazione a funzioni amministrative, comportano un evidente vulnus alla professionalit� specifica del giudice o dell�avvocato dello Stato, che non � agevole colmare al momento del rientro in ruolo e, in definitiva, finisce per elidere in gran parte l�utilit� che l�Amministrazione di appartenenza riceve dallo svolgimento dell�incarico (infra, � 4). Sono ampiamente note in tutte le magistrature situazioni di collocamento fuori ruolo prolungate per vari lustri, che rappresentano un�evidente condizione patologica del sistema. (6) Per questo rilievo, FONDERICO, Sugli incarichi extragiudiziari estesi vincoli esistenti, in Guida al diritto, 24 novembre 2012, n. 47, 105. (7) ZANON, BIONDI, Il sistema costituzionale, cit., 83. (8) Sui quali si � ampiamente soffermata la dottrina: ancora ZANON, BIONDI, ibidem, 84; SCARSELLI, op. loc. cit.; PIZZORUSSO, Compatibilit� od incompatibilit�, cit., 187; gi� DEL FEDERICO, Gli incarichi extragiudiziari dei magistrati, cit., XVI ss.. Anche se finalmente il problema � stato affrontato in sede parlamentare, dopo il sistematico naufragio dei numerosi progetti di riforma della materia (9), non pu� dirsi che su quest�ultimo e delicato aspetto il legislatore abbia avuto particolare coraggio. Il limite massimo di dieci anni, persino consecutivi, posto dalla legge c.d. �anticorruzione� non sembra idoneo ad evitare del tutto alcuno dei predetti inconvenienti; l�intervento normativo � condizionato dalle attuali contingenze politico-istituzionali e, soprattutto, non esprime alcuna consapevolezza riguardo al nodo cruciale della selezione e formazione del personale di diretta collaborazione dei vertici istituzionali, oggi prevalentemente rappresentato da magistrati ed avvocati dello Stato (10). 2. Le fonti normative: magistrati ordinari e militari. Il collocamento fuori ruolo � caratterizzato da un quadro normativo estremamente frammentario, che registra ripetuti interventi di fonti legislative e regolamentari, soprattutto relativi al personale di magistratura. Le disposizioni generali sono contenute nel testo unico degli impiegati civili dello Stato approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, ancora in vigore per il personale in regime di diritto pubblico e per quello con rapporto contrattualizzato (non essendo disapplicate dai contratti collettivi), ma si rinvengono previsioni specifiche sia per gli appartenenti alle magistrature, che per altre categorie di pubblici dipendenti (prefetti, militari, docenti della scuola), e discipline differenziate in riferimento a particolari incarichi (quali la destinazione temporanea ai servizi segreti, che comporta l�instaurazione di un nuovo rapporto e l�attribuzione di un posto di qualifica formale (11)). Fisionomia autonoma presentava, ancora, il fuori ruolo dei professori universitari, di recente soppresso. In ogni caso, le previsioni del D.P.R. n. 3 del 1957 costituiscono il paradigma dell�istituto e dei suoi limiti di ammissibilit� (12), specie riguardo al profilo dell�interesse dell�Amministrazione che il dipendente svolga un incarico non appartenente ai propri compiti istituzionali, che i singoli ordinamenti delle magistrature e dell�Avvocatura dello Stato non prevedono espressamente. Il fuori ruolo trova attuazione solo in presenza di una esplicita previsione normativa (13), trattandosi di un istituto modificativo del rapporto di lavoro (9) Sulle ipotesi per una nuova disciplina degli incarichi e del fuori ruolo, ad esempio, SCOTTI, Incarichi extragiudiziari, fuori ruolo dei magistrati e prospettive di riforma, in Doc. giust. 1988, 90 ss.. (10) Per tale rilievo, FONDERICO, Sugli incarichi extragiudiziari, 105. (11) Cons. St., sez. IV, 2 novembre 2004 n. 7099, in Foro amm.-C.d.S. 2004, 3139. (12) In tal senso, riguardo ai magistrati ordinari, IZZO, FIANDANESE, Lo stato giuridico dei magistrati ordinari, Roma 1986, 173; sull�applicabilit� delle norme del testo unico degli impiegati civili, anche ZANNOTTI, Le attivit� extragiudiziarie, cit., 27 ss.. (13) Cons. St., sez. IV, 30 aprile 2012 n. 2486, cit.; TAR Lazio, Roma, 11 aprile 2012 n. 3283, in Foro amm.-TAR 2012, 1223; TAR Veneto, sez. III, 22 luglio 2008 n. 2031, in Ragiusan 2009, 297-298, 330. Dello stesso avviso � la magistratura contabile: gi� Corte conti, sez. contr., 19 gennaio 1996 n. 12, in Riv. C. conti, 1996, 15; Corte conti, sez. contr., 2 novembre 1994 n. 121, in Riv. giur. scuola 1996, 570. CONTRIBUTI DI DOTTRINA che incide sullo status del pubblico dipendente. Proprio l�inerenza allo status comporta che l�intera disciplina (limiti, condizioni e modalit� di svolgimento) degli incarichi estranei ai compiti di istituto dei magistrati sia attratta nella riserva di legge statale sancita dall�art. 108 Cost. (14); per la stessa ragione, nel caso di inerzia prolungata per pi� di trenta giorni sulla richiesta di autorizzazione all'assunzione di incarichi extragiudiziari che implicano una posizione di fuori ruolo o di aspettativa del magistrato, non opera il meccanismo del silenzio assenso previsto dall�art. 53, comma 10, d.lgs. n. 165 del 2001 per gli altri dipendenti delle pubbliche amministrazioni, sicch�, decorso il termine per provvedere, la richiesta si intende definitivamente negata (15). Come si diceva, secondo l�art. 58 D.P.R. n. 3 del 1957 cit., il collocamento fuori ruolo dei pubblici dipendenti pu� essere disposto per il disimpegno di funzioni dello Stato o di altri enti pubblici attinenti agli interessi dell�Amministrazione che lo dispone ed estranee ai suoi compiti istituzionali. Riguardo ai magistrati ordinari, la posizione di fuori ruolo � regolata da fonti risalenti, anche dell�ordinamento giudiziario, che (oltre alle classiche ipotesi dell�aspettativa per motivi di famiglia o salute: art. 203 R.D. 30 gennaio 1941 n. 12), contemplano l�assegnazione all�ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione (art. 68 R.D. n. 12 del 1941), nonch� la destinazione presso il Ministero della Giustizia per l�esercizio di funzioni amministrative (art. 196 R.D. n. 12 del 1941) o per le attivit� dell�Ispettorato generale (art. 2 l. 12 agosto 1962 n. 1311). In via residuale ed eccezionale (16), l�art. 210 del- l�ordinamento giudiziario prevede altres� la collocazione al di fuori del ruolo organico per l�esercizio di incarichi speciali, ossia di �incarichi non previsti da leggi o da regolamenti�, se sia necessario sospendere il servizio giudiziario per un periodo maggiore di due mesi (17). (14) Corte cost. 3 giugno 1999 n. 224, in Giur. cost. 1999, 1986 ed in Giorn. dir. amm. 2000, 57, con nota di CAMMELLI, Gli incarichi extragiudiziari dei magistrati della Corte dei conti. (15) Di recente, Cons. St., sez. IV, 21 settembre 2011 n. 5341, in Foro amm.-C.d.S. 2011, 2755; in precedenza, nel senso della formazione del silenzio assenso sulle istanze di autorizzazione a svolgere un incarico extraistituzionale, Cons. St., sez. IV, 10 aprile 2009 n. 2239, ivi 2009, 955. In dottrina, sul- l�argomento, anche in riferimento agli orientamenti del Consiglio superiore, SANTALUCIA, Gli incarichi extragiudiziari dei magistrati ordinari, in CARCANO (a cura di), Ordinamento giudiziario: organizzazione e profili processuali, Milano 2009, 177 ss.. In generale, sul procedimento di autorizzazione all�espletamento degli incarichi extraistituzionali dei pubblici dipendenti previsto dal d.lgs. n. 165 del 2001, APICELLA, Lineamenti del pubblico impiego �privatizzato�, Milano 2012, 232 s.; TENORE, Le incompatibilit� nel pubblico impiego, gli incarichi, le consulenze e l�anagrafe delle prestazioni, Roma 2008, 26 ss.. (16) Sul regime dei c.d. �incarichi speciali�, SCOTTI, Incarichi extragiudiziari, cit., 94 s.; sulla loro eccezionalit� e sulle difficolt� di individuarli, gi� ZANNOTTI, Le attivit� extragiudiziarie, cit., 20 ss.. (17) In realt�, la possibilit� di svolgere incarichi non previsti da leggi o da regolamenti sembra da ritenere abrogata per incompatibilit�; infatti, secondo l�art. 58, commi 3 e 4, d.lgs. n. 29 del 1993 (oggi, art. 58 d.lgs. n. 165 del 2001), qualora non siano emanati i regolamenti ex lege 23 agosto 1988, n. 400 per individuare gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, �l'attribuzione degli incarichi � consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative�. Anche la giurisprudenza costituzionale � orientata nel senso che, in mancanza del regolamento, trova applicazione il Tali previsioni non esauriscono la disciplina dell�istituto, in quanto numerose leggi speciali prevedono specificamente l�attribuzione di incarichi extragiudiziari a magistrati ordinari da collocare fuori dal ruolo organico (18). Il collocamento fuori ruolo dei magistrati destinati al Ministero della Giustizia o ai quali siano conferiti incarichi estranei alle loro funzioni � deliberato dal Consiglio superiore della magistratura, �ove non sussistano gravi esigenze di servizio� (art. 15 legge 24 marzo 1958 n. 195). Con una peculiarit� che non trova riscontro negli altri ordinamenti di settore, la legge 13 febbraio 2001 n. 48 (art. 13) ha istituito, nell�ambito del ruolo organico della magistratura ordinaria, un contingente numerico di posti di magistrati chiamati a svolgere funzioni diverse da quelle giudiziarie. La previsione di posti organici di �fuori ruolo� per la magistratura ordinaria � confermata dall�art. 1-bis della legge 16 settembre 2008 n. 181 (lettera M della tabella allegata alla legge), che fissa in dieci anni anche continuativi il termine massimo di destinazione alle funzioni extragiudiziarie ivi indicate (19), fatta salva la maggiore durata prevista da specifiche disposizioni di legge; sono comunque esclusi dal contingente massimo e dai limiti di durata gli incarichi di diretta collaborazione con il Presidente del Consiglio dei Ministeri, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza, o singoli Ministri, e le funzioni non giudiziarie svolte presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura, nonch� gli incarichi elettivi. La disorganicit� del quadro normativo e la mancata emanazione del regolamento per l�individuazione degli incarichi consentiti e di quelli vietati, previsto dall�art. 53, comma 3, d.lgs. n. 165 del 2001 anche per i magistrati ordinari, hanno indotto il Consiglio superiore della magistratura ad intervenire sulla materia con proprie circolari che definiscono le condizioni di esercizio principio dell�ammissibilit� degli incarichi espressamente previsti da legge o da altre fonti normative (anche di legge regionale): Corte cost. 3 giugno 1999 n. 224, cit. Ritengono, al contrario, che la norma sia in vigore, FANTACCHIOTTI, FIANDANESE, Il nuovo ordinamento giudiziario, Padova 2008, 362; sulle ragioni della mancata emanazione del regolamento previsto dall�art. 58 cit. e sull�autorizzabilit� degli incarichi �atipici� in sua assenza, anche FASSONE, Gli incarichi extra- giudiziari dei magistrati, in Cass. pen. 1995, 771 s.. Per le altre magistrature e l�Avvocatura dello Stato, invece, i regolamenti attuativi dell�art. 53 cit. sono stati emanati (infra, nel testo). La giurisprudenza � univoca nel senso dell�applicabilit� al personale delle magistrature dell�art. 53 d.lgs. n. 165 del 2001 (gi� art. 58 d.lgs. n. 29 del 1993): Cass., sez. un., 28 novembre 2007 n. 24669, per i magistrati ordinari; Cons. St., sez. IV, 23 novembre 2002 n. 6455, in Foro amm.-C.d.S. 2002, 2868, riguardo ai magistrati amministrativi. In dottrina, nello stesso senso, CASO, Magistrati e avvocati dello Stato, in CARINCI, TENORE (a cura di), Il pubblico impiego non privatizzato, I, Milano 2007, 298 ss., 523, 592, 682; SANTALUCIA, Gli incarichi extragiudiziari, cit., 176. (18) Per un�ampia rassegna di tali previsioni specifiche, anche se ormai molto datata, IZZO, FIANDANESE, Lo stato giuridico, cit., 150 ss.; pi� di recente, CASO, op. cit., 307, nt. 361. (19) Il divieto per i magistrati ordinari di permanenza fuori ruolo oltre il periodo massimo complessivo di dieci anni (con esclusione del periodo di aspettativa per mandato parlamentare o al Consiglio superiore della magistratura) � previsto anche dall�art. 50 d.lgs. 5 aprile 2006 n. 160. CONTRIBUTI DI DOTTRINA del potere autorizzatorio ed ancorano le relative valutazioni a criteri generali e precostituiti, alle quali la giurisprudenza attribuisce particolare rilievo nella disciplina dell�istituto (20), anche per la peculiare posizione costituzionale dell�organo di autogoverno. Alla medesima disciplina soggiace il fuori ruolo dei magistrati militari, in quanto l�art. 52, comma 4, del codice dell�ordinamento militare approvato con d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66 prevede che il loro stato giuridico e le garanzie d'indipendenza (oltre che l'avanzamento e il trattamento economico) siano regolati dalle disposizioni in vigore per i magistrati ordinari, in quanto applicabili. 3. Segue: magistrati amministrativi e contabili; avvocati e procuratori dello Stato. I magistrati del Consiglio di Stato, secondo l�art. 2 della legge 21 dicembre 1950 n. 1018, �possono� essere collocati fuori ruolo per svolgere incarichi di carattere continuativo che non consentono il regolare esercizio delle funzioni di istituto (21); sono invece considerati �di diritto� collocati fuori ruolo i magistrati nominati Ministri e Sottosegretari di Stato. Ai magistrati dei tribunali amministrativi regionali, invece, l�art. 13, comma 4, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 faceva divieto assoluto di esercitare funzioni, o espletare compiti diversi da quelli istituzionali. L�art. 29 del nuovo ordinamento della giurisdizione amministrativa approvato con legge 27 aprile 1982 n. 186 consente ora il collocamento fuori ruolo dei magistrati amministrativi solo per lo svolgimento di funzioni giuridico- amministrative presso le amministrazioni dello Stato, ovvero presso enti o organismi internazionali. Il fuori ruolo pu� essere disposto, nel limite massimo di venti unit�, soltanto ove il magistrato abbia svolto funzioni di istituto per almeno quattro anni; la permanenza fuori ruolo (salvi i casi �di diritto�, sopra menzionati) non pu� avere durata superiore a tre anni consecutivi e pu� essere nuovamente disposta solo dopo due anni di effettivo esercizio delle funzioni giudiziarie. (20) Cons. St., sez. IV, 30 aprile 2012 n. 2486, cit. Per un�ampia ricognizione degli orientamenti dell�organo di autogoverno dei magistrati ordinari, CANEVELLI, Gli incarichi, cit., 542, 559; FANTACCHIOTTI, FIANDANESE, Il nuovo ordinamento giudiziario, cit., 366 ss.; sull�attivit� para-normativa del Consiglio superiore nella materia, anche FASSONE, Gli incarichi, cit., 764 s. e CASO, op. cit., 310, nt. 364. (21) Il collocamento fuori ruolo, peraltro, non costituiva una causa assolutamente preclusiva del- l�esercizio delle funzioni ordinarie del magistrato; infatti, secondo l�art. 6, comma 2, t.u. Cons. St., i consiglieri di Stato destinati ad altri uffici o investiti di speciali incarichi o missioni, anche se collocati fuori ruolo, potevano essere chiamati a partecipare ai lavori del Consiglio di Stato, ove il Ministro per l'interno, udito il Consiglio di presidenza del Consiglio di Stato, non ravvisasse ragioni di incompatibilit�. In proposito, Cass., sez. un., 5 giugno 1975 n. 2233, in Foro it. 1975, I, 2491, con nota di BARONE, in sede di controllo sui limiti esterni della giurisdizione amministrativa. Sugli incarichi assumibili dai magistrati delle giurisdizioni speciali, gi� STORCHI, Il ruolo politico del Consiglio di Stato, cit., 536 ss. La disciplina dell�istituto � ulteriormente integrata dal regolamento sugli incarichi dei magistrati amministrativi approvato con D.P.R. 6 ottobre 1993 n. 418 (ai sensi dell�art. 58, comma 3, d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29; ora art. 53 d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165), il cui art. 9 prevede che �determinano� il fuori ruolo le �cariche� presso le autorit� amministrative indipendenti o di alta amministrazione e garanzia, nonch� gli �incarichi� di segretario generale della Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale e Presidenza del Consiglio dei Ministri, di capo dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di capo di gabinetto presso i Ministeri, di direttore della Scuola superiore della pubblica amministrazione e le attivit� di insegnamento, studio e ricerca in istituzioni di ricerca italiane, estere ed internazionali. Sostanzialmente omologo � il regime dell�art. 8 legge 21 marzo 1953 n. 161 per i magistrati della Corte dei conti, i quali - fatti salvi i casi previsti da leggi speciali - �possono� essere collocati fuori ruolo, nel numero massimo di dodici, per svolgere incarichi di carattere continuativo che non consentono il regolare esercizio delle funzioni di istituto. Se leggi speciali non dispongano diversamente e salvi i casi di fuori ruolo �di diritto�, previsto sempre per le nomine a Ministro e Sottosegretario di Stato, � necessario che il magistrato abbia svolto funzioni di istituto per almeno un triennio; la permanenza fuori ruolo non pu� durare pi� di tre anni consecutivi e pu� essere nuovamente di- sposta solo dopo due anni di effettivo esercizio delle funzioni di istituto. Anche per i magistrati contabili, l�art. 7 D.P.R. 25 luglio 1995 n. 388 (22) prevede che �determinano� il fuori ruolo le �cariche� presso le autorit� amministrative indipendenti o di alta amministrazione e garanzia, nonch� gli �incarichi � di segretario generale della Presidenza della Repubblica, della Corte costituzionale o della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di capo dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di capo di gabinetto presso i Ministeri, di direttore della Scuola superiore della pubblica amministrazione e le attivit� di insegnamento, studio e ricerca in istituzioni di ricerca italiane, estere ed internazionali. �Vengono�, invece, collocati fuori dal ruolo organico gli avvocati dello Stato ai quali siano affidati, con il loro consenso, uffici, incarichi speciali o missioni, da espletarsi presso amministrazioni statali o altri enti pubblici ammessi al patrocinio dell�Avvocatura e che non consentono il regolare e continuo esercizio delle funzioni di istituto; �sono� altres� collocati fuori ruolo gli avvocati dello Stato chiamati a far parte dei gabinetti o degli uffici legislativi dei ministeri, o ai quali sia conferito l�incarico di segretario generale della Presidenza della Repubblica o di componente del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana, o che siano destinati presso delegazioni italiane (22) Sempre attuativo dell�art. 58, comma 3, d.lgs. n. 29 del 1993. CONTRIBUTI DI DOTTRINA in seno ad enti o organismi internazionali o presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione per assumere l�incarico di direttore o professore stabile. �Possono�, infine, essere collocati fuori ruolo gli avvocati dello Stato richiesti di collaborare in via continuativa per compiti di natura giuridica con altra amministrazione statale, anche ad ordinamento autonomo (art. 3 r.d. 13 gennaio 1941 n. 120). Le limitazioni previste dall�art. 3 r.d. n. 120 del 1941 e dall�art. 8 D.P.R. 31 dicembre 1993 n. 584 sono analoghe a quelle gi� esaminate, quanto al contingente massimo (pari a venti avvocati contemporaneamente) ed alla durata, non superiore a tre anni, salvo diversa ed espressa disposizione di legge, al termine dei quali � obbligatorio il rientro in servizio per un periodo di almeno due anni. Il collocamento fuori ruolo comporta l�automatica revoca degli incarichi precedentemente conferiti ed ancora in corso; agli avvocati dello Stato in posizione di fuori ruolo non possono essere conferiti incarichi di alcun genere. Per i magistrati ordinari, amministrativi e contabili ed il personale togato dell�Avvocatura dello Stato chiamati ad incarichi di diretta collaborazione con il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza, o singoli Ministri, gli organi di autogoverno deliberano il collocamento fuori ruolo, fatta salva l�esistenza di motivate e specifiche ragioni ostative (art. 13, comma 3, l. 3 agosto 2001 n. 317). Il collocamento obbligatorio fuori ruolo � ribadito dall�art. 9, comma 5-bis, d.lgs. 30 luglio 1999 n. 303 per gli incarichi di segretario generale e vice segretario generale della Presidenza del consiglio dei ministri. Va, infine, ricordato che i dipendenti pubblici possono essere collocati fuori ruolo per un tempo determinato, previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per assumere un impiego o un incarico temporaneo di durata non inferiore a sei mesi presso enti o organismi internazionali, o per esercitare funzioni anche di carattere continuativo presso Stati esteri, ai sensi della legge 27 luglio 1962 n. 1114; tale previsione si applica espressamente anche ai dipendenti statali di ruolo il cui ordinamento non � regolato dallo statuto degli impiegati civili dello Stato (art. 5 legge n. 1114 del 1962) e, dunque, al personale di magistratura. La ricognizione delle fonti normative presenta ipotesi di fuori ruolo facoltativo o obbligatorio, in relazione agli incarichi da svolgere, sempre comunque subordinato alla compatibilit� con le esigenze di servizio (infra, � 4); un sostanziale automatismo regolava il fuori ruolo �di diritto�, collegato al- l�assunzione di cariche di Governo. La distinzione, rilevante essenzialmente ai fini della durata e del margine di apprezzamento discrezionale riconosciuto agli organi di autogoverno, � in buona parte superata dal regime introdotto dalla legge c.d. �anticorruzione�. 4. I caratteri dell�istituto. Il collocamento fuori dal ruolo organico costituisce una modificazione del rapporto d�impiego, che comporta una diversa modalit� di svolgimento della prestazione lavorativa, con diretta ed immediata incidenza sull'Amministrazione di appartenenza (23); la prestazione, tuttavia, � sempre svolta in favore di una pubblica amministrazione e nel pubblico interesse, in conformit� all'art. 98, comma 1, Cost. L�impiegato fuori ruolo, pur conservando il trattamento economico, lascia scoperto l'ufficio di titolarit� (che pu� essere attribuito ad altro dipendente), senza che venga meno la pienezza del rapporto che lo lega alla struttura di appartenenza, fatte salve le limitazioni connesse alla temporanea mancanza di esercizio delle funzioni d'istituto (24). Come si diceva, secondo l�art. 58 t.u. n. 3 del 1957, la modificazione del rapporto � giustificata dall�esistenza di un interesse dell�Amministrazione allo svolgimento di compiti diversi da quelli istituzionali da parte del proprio dipendente (25); questi, infatti, non recide il rapporto di servizio, poich� non solo ha diritto a rientrare in ruolo alla cessazione dell'incarico, anche in soprannumero, ma risulta pienamente titolare dello status derivante dalla sua originaria collocazione nel ruolo organico, senza che lo svolgimento del suo servizio presso diversa struttura possa determinare effetti negativi sullo stato giuridico ed economico e, in particolare, su tutti i profili attinenti alla carriera. Il collocamento fuori ruolo, infatti, interrompe non il rapporto di servizio, ma solo quello d�ufficio con l�Amministrazione di appartenenza (26). Il mantenimento della qualifica ed il pieno rilievo giuridico �interno� del (23) Sui magistrati, da ultimo, Cons. St., sez. IV, 30 aprile 2012 n. 2486, cit., in motivazione; nello stesso senso, Cons. St., sez. IV, 14 novembre 2003 n. 7279, in Foro amm.-C.d.S. 2004, 409; TAR Lazio, Roma, 11 aprile 2012 n. 3283, cit., in motivazione; TAR Lazio, Roma, sez. I, 1� febbraio 2011 n. 907, cit; TAR Lazio, Roma, sez. I, 21 settembre 2006 n. 9097, in Foro amm.-TAR 2006, 2908. Riguardo ai pubblici dipendenti in generale, TAR Lazio, Roma, sez. III, 10 dicembre 2008 n. 11155, ivi 2008, 3391; gi� C. conti, sez. contr., 19 gennaio 1996 n. 12, cit. (24) VOLPE, Fuori ruolo, elettorato attivo e Corte costituzionale: il Consiglio di Stato individua una consuetudine di �rilievo costituzionale�, in Foro amm.-C.d.S. 2004, 426. (25) TAR Lazio, Roma, sez. III, 19 marzo 2009 n. 2838, in Foro amm.-TAR 2009, 776; TAR Veneto, sez. III, 22 luglio 2008 n. 2031, cit.: TAR Lazio, Roma, sez. III, 31 luglio 1995 n. 1387, in TAR 1995, 3535. (26) Nel senso dell�interruzione temporanea dall�ufficio, Cons. St., sez. VI, 1� febbraio 2010 n. 407, in Foro amm.-C.d.S. 2010, 399; Cons. St., sez. IV, 29 novembre 2000 n. 6323, in Foro amm. 2000, 3601; TAR Puglia, Bari, sez. II, 14 maggio 2013 n. 736, in Foro amm.-TAR 2013, 1727; Corte conti, sez. contr., 6 giugno 2001 n. 25, in Riv. Corte conti 2001, 7. Di eccezionale modificazione del rapporto di servizio parlano, invece, TAR Lazio, Roma, sez. III, 10 dicembre 2008 n. 11155, cit. e gi� TAR Lazio, Roma, sez. II, 10 ottobre 1995 n. 1498, in T.A.R. 1995, 4455. Nel senso della instaurazione di un nuovo rapporto di servizio con l�Amministrazione che si avvale del- l�attivit� lavorativa, mentre il rapporto d�ufficio permane con l�ente di appartenenza, il quale conserva la competenza ad adottare i provvedimenti relativi allo stato giuridico, CANEVELLI, Gli incarichi, cit., 538. CONTRIBUTI DI DOTTRINA servizio prestato presso altro ente (27), comportano che le implicazioni patrimoniali relative al trattamento economico del dipendente ricadono sull�Amministrazione di appartenenza (art. 57 e 59 D.P.R. n. 3 del 1957), che trae un beneficio indiretto dall�arricchimento della professionalit� del dipendente. Rimane, invece, esclusa la possibilit� di svolgere presso la diversa Amministrazione contemporaneamente anche i compiti ordinari del proprio ufficio, che si porrebbe in contrasto con il canone costituzionale di buon andamento. La permanenza del rapporto di servizio ed il carattere naturalmente temporaneo dell�interruzione del rapporto organico, come per il comando degli altri pubblici dipendenti presso diversa amministrazione, da un lato escludono il consolidamento dello stato giuridico ed economico conseguente al collocamento fuori ruolo (28); dall�altro, comportano il mantenimento dei diritti e dei doveri correlati allo status, che non cessa per il fatto che al magistrato (o all�Avvocato dello Stato) siano state temporaneamente conferite funzioni diverse da quelle istituzionali (29), ivi compresi il divieto di iscrizione a partiti politici (30) e la necessit� di ottenere l�autorizzazione dell�organo di autogoverno a svolgere ulteriori incarichi (31). Infatti, l�ordinamento disciplinare ha carattere unitario e prescinde da ogni distinzione relativa allo svolgimento, o meno, delle funzioni giudiziarie. (27) Da considerare servizio effettivo nella qualifica: Cons. St., sez. IV, 7 settembre 2004 n. 5758, in Foro amm.-C.d.S. 2004, 2510. (28) Sulla temporaneit� del fuori ruolo, spec. Cons. St., sez. IV, 30 aprile 2012 n. 2486, cit., in motivazione e Cons. St., sez. IV, 23 novembre 2002 n. n. 6455, cit., che esclude la compatibilit� del- l�istituto del comando con lo status del magistrato per la peculiarit� delle funzioni giurisdizionali; TAR Campania, Salerno, 14 maggio 2010 n. 6550, in Foro amm.-TAR 2010, 1806. Sulla mancanza di stabilit� della posizione, anche riguardo agli effetti economici, Cons. St., sez. VI, 21 settembre 2010 n. 7003, in Foro amm.-C.d.S. 2010, 1931; TAR Lazio, Roma, sez. I, 7 marzo 2007 n. 2206, in Foro amm.-TAR 2007, 943. (29) Cass., sez. un., 23 dicembre 2009 n. 27292, in Giust. civ. 2010, I, 1392, in fattispecie di illecito disciplinare commesso da un magistrato in posizione di fuori ruolo; Cass., sez. un., 18 giugno 2008 n. 16541. Sui limiti al godimento del congedo per ferie dei magistrati fuori ruolo, TAR Lazio, Roma, sez. I, 4 luglio 2011 n. 5847, in Foro amm.-TAR 2011, 2343. In dottrina, sulla sottoposizione del magistrato fuori ruolo ai doveri degli appartenenti all�ordine giudiziario, per tutti, CIAMPOLI, Magistrati (illecito disciplinare), in Dig. disc. pen., Agg., II, Torino 2008, 653 ss., 656; DE NARDI, L�art. 98, comma 3, Cost. riconosce al legislatore la facolt� non solo di limitare, bens� di vietare l�iscrizione di magistrati a partiti politici (anche se sono collocati fuori ruolo per svolgere un compito tecnico), in Giur. cost. 2009, 5121 ss., nt. 28, che richiama le deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura, anche in sede disciplinare. (30) Corte cost. 17 luglio 2009 n. 224, in Giust. civ. 2009, I, 2098. (31) La necessit� dei soggetti collocati fuori ruolo di essere autorizzati allo svolgimento di ulteriori incarichi, si rinviene a volte nei singoli ordinamenti di settore (es. art. 8, comma 6, D.P.R. n. 584 del 1993 per gli avvocati e procuratori dello Stato). In tali casi, tuttavia, l�Amministrazione non pu� negare l�autorizzazione sotto il profilo della compatibilit� dell�incarico con le esigenze di servizio, in quanto il richiedente non presta servizio presso un ufficio giudiziario: TAR Lazio, Roma, sez. I, 21 luglio 2005 n. 5793, in Foro amm.-TAR 2005, 2425. 5. Segue: l�interesse dell�Amministrazione giudiziaria e la natura discrezionale delle relative valutazioni. Il profilo dell�utilit� che l�Amministrazione deve trarre dallo svolgimento di funzioni diverse da parte del proprio dipendente non trova esplicito riconoscimento nella disciplina specifica del fuori ruolo nelle magistrature, ma viene costantemente richiamato dalla giurisprudenza (32), essendo riconducibile al sistema di guarentigie delineato dalla Costituzione non solo a tutela del singolo magistrato, ma anche a salvaguardia dell'indipendenza e del prestigio della magistratura di appartenenza. Anzi, la valutazione dell'interesse pubblico assume pi� ampio rilievo e maggior rigore proprio nel caso dei magistrati, poich� � necessario escludere -riguardo alla natura del soggetto richiedente e per le concrete caratteristiche dell�incarico extraistituzionale - ogni possibile compromissione, anche futura, non solo della loro indipendenza e terziet�, ma anche della percezione dei cittadini in ordine allo svolgimento indipendente delle funzioni giurisdizionali (33). Tuttavia, non sempre in passato le decisioni degli organi di autogoverno sono risultate coerenti con tali esigenze, tanto da far apparire molto sfumato, quasi recessivo, l�interesse derivante all�Istituzione di appartenenza dallo svolgimento delle funzioni estranee ai compiti dell�ufficio e del tutto prevalente quello individuale all��arricchimento� professionale e personale. Peraltro, laddove leggi particolari prevedano specificamente singoli casi di collocamento fuori ruolo, indicando sia l�ufficio che le funzioni che in concreto il magistrato dovr� assumere, la valutazione dell�interesse � operata direttamente dal legislatore (34), ma permane la necessaria verifica di compatibilit� con le esigenze di servizio (infra). Dopo l�introduzione dell�aspettativa per lo svolgimento di incarichi estranei ai compiti di istituto, tale elemento dovrebbe (recte, avrebbe dovuto) essere inteso in senso molto pi� rigoroso rispetto al passato. Infatti, � proprio sotto il profilo dell�interesse perseguito mediante l�esercizio delle funzioni extragiudiziarie che si colgono le differenze tra l�istituto in esame ed il collocamento in aspettativa del personale di magistratura per lo svolgimento di incarichi pubblici, introdotto nel testo unico del pubblico impiego dalla legge �Frattini� 15 luglio 2002 n. 145. Infatti, secondo l�art. 23-bis d.lgs. n. 165 del 2001, recante disposizioni in materia di mobilit� tra pubblico e privato, i magistrati ordinari, amministra (32) Cons. St., sez. IV, 14 novembre 2003 n. 7279, in Foro amm.-C.d.S. 2003, 3301; TAR Lazio, Roma, sez. I, 9 giugno 2011 n. 5165, in Foro amm.-TAR 2011, 1976; TAR Lazio, Roma, sez. I, 1� febbraio 2011 n. 907, cit.; TAR Campania, Salerno, sez. I, 14 maggio 2010 n. 6550, ivi 2010, 1806. (33) Cos�, Cons. St., sez. IV, 30 aprile 2012 n. 2486, cit. (34) IZZO, FIANDANESE, Lo stato giuridico, cit., 174; pi� di recente, FANTACCHIOTTI, FIANDANESE, Il nuovo ordinamento giudiziario, cit., 368. CONTRIBUTI DI DOTTRINA tivi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato - salvo motivato diniego in relazione alle preminenti esigenze organizzative dell'Amministrazione sono collocati in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attivit� presso soggetti e organismi pubblici, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale (35); resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti. Si tratta di istituti affini del rapporto d�impiego, che presentano tratti comuni, ma rispondono a finalit� essenzialmente diverse: entrambi comportano una sospensione delle obbligazioni sinallagmatiche delle parti e, segnatamente, della prestazione lavorativa (36), permanendo tutti gli altri diritti e doveri del pubblico dipendente non incompatibili con tale vicenda del rapporto di lavoro (37). Infatti, al pari del fuori ruolo, l�aspettativa costituisce una posizione di status, che determina l�interruzione del solo rapporto d�ufficio con l�Amministrazione di appartenenza (38). L�art. 23-bis cit., infatti, non incide sulla disciplina del fuori ruolo, ma introduce una fattispecie diversa ed �aggiuntiva�, derogatoria del regime ordinario delle incompatibilit� (come tale, di stretta interpretazione), che consente al magistrato di assumere incarichi presso qualunque soggetto pubblico, a domanda e salvo che vi ostino �preminenti esigenze� dell�organizzazione giudiziaria, e non semplici esigenze di servizio (39). L�aspettativa, dunque, consente di superare il limite peculiare ed intrinseco del collocamento fuori ruolo, non essendo richiesta l�attinenza tra gli interessi dell�Amministrazione di destinazione e quelli dell�Istituzione di (35) Ai soggetti collocati in aspettativa senza assegni presso soggetti e organismi pubblici � comunque riconosciuta l'anzianit� di servizio: art. 1, comma 578, legge 27 dicembre 2006 n. 296. (36) Con riferimento all�aspettativa, Cons. St., sez. VI, 9 maggio 2011 n. 2736, in Foro amm. C.d.S. 2011, 1592; Cons. St., sez. VI, 5 ottobre 2010 n. 7295, ivi 2010, 2176; Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2008 n. 3230, ivi 2008, 1855; Cons. St., sez. IV 27 aprile 2005 n. 1956, ivi 2005, 1108, tutte in materia di compenso per ferie non godute. L�istituto ha una comune matrice nel lavoro privato: Cass. 27 marzo 2004 n. 6155; Cass., sez. un., 22 dicembre 2003 n. 19661, in Foro it. 2004, I, 2764, in motivazione; Cass. 8 giugno 1999 n. 5661, in Notiz. giur. lav. 1999, 622; gi� Cass. 6 luglio 1998 n. 6563. (37) Sui diritti, Cass. 29 aprile 1997 n. 3719, in Mass. giur. lav. 1997, 392; Cass. 24 maggio 1996 n. 4811; Cass. 14 agosto 1991 n. 8857, in Giust. civ. 1992, I, 2447, in motivazione. Sui doveri, compreso il divieto di svolgere attivit� incompatibili, TAR Lazio, Roma, sez. III, 23 luglio 2008 n. 7241, in Foro amm.-TAR 2008, 2071; Lazio, Roma, sez. III, 4 gennaio 2006 n. 73, ivi 2006, 186. Anche nell�aspettativa senza assegni per mandato parlamentare, utile ai fini dell'anzianit� di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza, in quanto pubblici dipendenti gli eletti rimangono soggetti agli obblighi contributivi: Cons. St., sez. IV, 11 novembre 2010 n. 8021, in Foro amm.-C.d.S. 2010, 2336. (38) Cons. St., sez. VI, 1� febbraio 2010 n. 407, cit.; Cons. St., sez. VI, 6 maggio 2008 n. 1995, ivi 2008, 1508. Riguardo agli analoghi caratteri del fuori ruolo, v. retro nt. 25. (39) Cons. St., sez. IV, 21 luglio 2005 n. 3914, ivi 2005, 2135; sul carattere <<aggiuntivo>> della disciplina sull�aspettativa dei magistrati per assumere incarichi pubblici, che non incide sul regime del fuori ruolo, pi� di recente, anche Cons. St., sez. IV, 30 aprile 2012 n. 2486, cit. In dottrina, VOLPE, Fuori ruolo, elettorato attivo, cit., 427. appartenenza (40); consente altres� di superare gli ulteriori limiti, quali il contingente numerico e, soprattutto oggi, il limite temporale massimo di esclusivo esercizio di funzioni extragiudiziarie. Ci� comporta che il trattamento economico e previdenziale sia a carico del soggetto pubblico presso il quale il magistrato presta la propria attivit� (41). In ogni caso, la giurisprudenza � univoca nel senso che, nella valutazione della possibilit� di autorizzare lo svolgimento di funzioni estranee a quelle giudiziarie, l�Amministrazione gode di ampia discrezionalit�, in particolare ove l�incarico comporti il collocamento del magistrato fuori dal ruolo organico (42); la posizione giuridica dell�istante ha consistenza non di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo pretensivo, atteso che questi non pu� conseguire l�utilit� alla quale aspira senza l�esercizio in senso positivo del potere amministrativo. Tale discrezionalit� permane anche in presenza di fonti regolatrici che prevedano l�obbligatoriet� del collocamento fuori ruolo, se del caso in deroga alle norme e criteri del singolo ordinamento di appartenenza (43). Infatti, le norme che impongono il fuori ruolo per lo svolgimento di determinati incarichi vanno interpretate come divieto di contemporaneo esercizio delle funzioni giudiziarie, e non come esenzione dalla verifica dell�incidenza del provvedimento sulla funzionalit� dell�ufficio, che rimane comunque necessaria. La discrezionalit� si esercita sin dal momento della valutazione della sussistenza della fattispecie normativa, alla quale appartiene, come elemento essenziale, il disimpegno di funzioni attinenti agli interessi dell�Amministrazione della giustizia; la considerazione delle esigenze di servizio deve essere effettuata sia con riferimento alla situazione generale degli organici e dell�efficienza dell�organizzazione giudiziaria, che riguardo alla particolare posizione del magistrato da collocare fuori ruolo (44). (40) TAR Lazio, Roma, sez. I, 9 giugno 2011 n. 5165, cit. (41) Pertanto, non condivisibili appaiono le conclusioni di Cons. St., sez. IV, 21 luglio 2005 n. 3914, cit., in motivazione, che ritiene applicabile il divieto di reformatio in peius del trattamento economico in ragione del pieno rilievo �interno� del servizio prestato dal magistrato in aspettativa presso altro ente, le cui implicazioni patrimoniali dovrebbero ricadere sull�Amministrazione di appartenenza. (42) Cons. St., sez. IV, 30 aprile 2012 n. 2486, cit.; Cons. St., sez. IV, 24 aprile 2009 n. 2580, in Foro amm.-C.d.S. 2009, 969; TAR Lazio, Roma, sez. I, 1� febbraio 2011 n. 907, cit.; TAR Veneto, sez. III, 22 luglio 2008 n. 2031, in Ragiusan 2009, 297-298, 330; TAR Lazio, Roma, sez. I, 4 febbraio 2008 n. 940, in Foro amm.-TAR 2008, 490; TAR Lazio, Roma, sez. I, 21 settembre 2006 n. 9097, cit. (43) Cass., sez. un., 9 novembre 2009 n. 23673, riguardo a sanzione disciplinare irrogata per assunzione di incarico extragiudiziario in assenza di autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura. Lo stesso periodo massimo decennale di permanenza fuori ruolo generalizzato dalla legge �anticorruzione � non opera automaticamente ed inderogabilmente, essendo comunque necessaria una valutazione dell�Amministrazione in ordine alla sussistenza delle condizioni utili ai fini dello svolgimento dell�incarico: cos�, TAR Lazio, Roma, sez. I, 4 febbraio 2013 n. 1178, in Foro amm.-TAR 2013, 485. (44) IZZO, FIANDANESE, Lo stato giuridico, cit., 174; pi� di recente, FANTACCHIOTTI, FIANDANESE, Il nuovo ordinamento giudiziario, cit., 368. Lo stesso collocamento in aspettativa senza assegni ex art. 23-bis d.lgs. n 165 del 2001 � subordinato all�insussistenza di esigenze dell�organizzazione giudiziaria, che tuttavia devono assumere carattere �preminente�. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Di recente, il Consiglio di Stato ha chiarito che, dovendo compiere le valutazioni discrezionali entro i limiti e le condizioni definite dalla disciplina normativa, gli organi di autogoverno possono definire preventivamente (come per ogni altro potere amministrativo discrezionale) le future modalit� di esercizio del potere autorizzatorio attraverso l�indicazione dei criteri da utilizzare nel- l�esame delle istanze, individuando in via preventiva i profili dell'interesse del- l'Amministrazione allo svolgimento dell'incarico ed eventualmente specificando in astratto taluni incarichi come non compatibili con lo status del magistrato; tale apprezzamento discrezionale, in particolare, concerne la possibilit� di arricchimento che pu� derivare per effetto dell�attuazione di compiti estranei alle ordinarie funzioni dell�ufficio giudiziario, in relazione alle oggettive caratteristiche ed ai contenuti dell�incarico da svolgere in posizione di fuori ruolo. Entro questi limiti, le concrete determinazioni sulle istanze di autorizzazione afferiscono al merito delle scelte amministrative, non sindacabile in sede di legittimit�. Rimane, invece, esclusa la possibilit� di individuare ulteriori elementi ostativi all�assunzione dell'incarico, che esulino dalla riferibilit� al parametro del- l�interesse, previsto dalla legge: in particolare, non rilevano, a tal fine, la valutazione dell'idoneit� specifica del soggetto all�espletamento dell'incarico (che compete all'Amministrazione richiedente, poich� attiene ai compiti ad essa affidati dall'ordinamento), o il �percorso professionale� del magistrato e la sua produttivit�, ovvero un precedente disciplinare, o il coinvolgimento in un procedimento penale, anche se riferito al risalto mediatico avuto dalla vicenda (45). 6. I nuovi limiti generali al collocamento fuori ruolo. Il dibattito parlamentare che ha preceduto l�approvazione della legge 6 novembre 2012 n. 190 � stato, ancora una volta, piuttosto acceso, soprattutto sul tema della commistione tra funzioni giudiziarie ed attivit� amministrative e di collaborazione alla formazione dell�indirizzo politico, tanto da profilarsi interventi radicali tendenti a vietare, o limitare fortemente, la stessa possibilit� per i magistrati di assumere incarichi extragiudiziari; tali posizioni, tuttavia, non sono sfociate in una compiuta volont� delle Camere. Il tema, altrettanto sentito, del cumulo delle retribuzioni, aveva invece gi� trovato soluzione nell�ambito delle misure di contenimento della spesa nel settore pubblico, che hanno reso meno appetibile la posizione sotto il profilo economico e costituiscono un indiretto, ma sicuro disincentivo alla �corsa� al fuori ruolo; infatti, la retribuzione, l�indennit� o il rimborso delle spese per le funzioni direttive, dirigenziali o equiparate svolte in posizione di fuori ruolo (o di aspettativa) presso ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le auto (45) Tale valutazione si risolverebbe in un�espansione di fatto del potere sanzionatorio e nella sostanziale irrogazione di sanzione non prevista, n� previamente tipizzata dalla legge: cos�, Cons. St., sez. IV, 30 aprile 2012 n. 2486, cit. rit� amministrative indipendenti, non pu� ormai superare il 25 per cento del- l'ammontare complessivo del trattamento economico percepito dal dipendente pubblico (art. 23-ter legge 22 dicembre 2011 n. 214). L�art. 1, commi 66 ss., della legge n. 190 cit. innova ora direttamente la disciplina del fuori ruolo, introducendo una limitazione temporale e la netta separazione tra i pi� rilevanti incarichi nelle Istituzioni pubbliche ed il contemporaneo esercizio delle funzioni giudiziarie, entrambe di carattere generale. Infatti, tutti gli appartenenti alle magistrature non possono essere collocati fuori dal ruolo organico per un tempo che, nell'arco del loro servizio, superi complessivamente dieci anni, anche continuativi; la posizione di fuori ruolo non determina comunque alcun pregiudizio con riferimento alla posizione rivestita nei ruoli di appartenenza. Inoltre, i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, e gli avvocati e procuratori dello Stato devono svolgere tutti gli incarichi di livello apicale o semiapicale, compresa la titolarit� dell'ufficio di gabinetto, presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali, con contestuale collocamento fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Il legislatore si muove su binari paralleli. L�obbligatoriet� del fuori ruolo per le posizioni apicali e semiapicali � finalizzata ad evitare qualsiasi contaminazione tra funzioni giudiziarie ed attivit� esercitata dal magistrato in ragione dell�incarico esterno, in adesione ad una delle direttrici fondamentali dell�intervento normativo, che tende a prevenire situazioni di conflitto di interessi, anche potenziale, pregiudizievoli per l'esercizio imparziale dei compiti attribuiti ai pubblici dipendenti. La legge, infatti, ha un ambito pi� ampio della corruzione intesa come fenomeno criminale ed anche le regole sugli incarichi extragiudiziari rispondono alla pi� ampia esigenza di indipendenza di giudizio dei funzionari pubblici, presidiate da altre disposizioni dello stesso testo normativo (46); tale obiettivo, del resto, trova preciso riscontro negli stessi principi e criteri direttivi indicati nella delega legislativa conferita per l�individuazione di ulteriori incarichi da svolgere necessariamente in posizione di fuori ruolo. L�innovazione pone altres� rimedio a qualche eccesso del recente passato, quando l�assunzione di incarichi di particolare rilievo nell�organizzazione amministrativa non si era sempre accompagnata alla temporanea cessazione delle funzioni giudiziarie (e persino di quelle giurisdizionali), richiesta dalla natura dell�incarico gi� alla luce delle disposizioni dell�epoca. La concomitante previsione della durata massima complessiva di dieci anni nell�arco dell�intero servizio, mutuata dalla disciplina della magistratura ordinaria (47), favorisce la rotazione nello svolgimento dei pi� elevati incarichi (46) Cos�, FONDERICO, Sugli incarichi extragiudiziari, cit., 103, che menziona la generalizzazione del divieto di partecipare ad arbitrati, in precedenza previsto per i soli magistrati ordinari (art. 1, comma 18, l. n. 190 cit.). CONTRIBUTI DI DOTTRINA extragiudiziari (soprattutto se combinata all�obbligatoriet� del fuori ruolo); realizza adeguatamente anche l�utilit� che l�Amministrazione deve trarre dallo svolgimento di tali incarichi, consentendo l�arricchimento di un maggior numero di soggetti ed evitando l�allontanamento prolungato dalle funzioni di istituto, con conseguente pregiudizio per la professionalit� specifica dell�interessato. Tale ultimo profilo, anzi, avrebbe consigliato la previsione di un pi� breve periodo di permanenza massima al di fuori dal ruolo organico. In ogni caso, la generalizzazione del limite temporale � certamente da accogliere con favore. Come si accennava, il legislatore si limita ad introdurre ulteriori vincoli rispetto quelli esistenti, ma rinuncia a disciplinare complessivamente non solo gli incarichi attribuibili al personale di magistratura (che sono valutati alla stregua della disciplina previgente), ma lo stesso istituto del fuori ruolo; infatti, lo stesso schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri (infra), aveva fatto salve le vigenti disposizioni che gi� prevedono il collocamento obbligatorio in posizione di fuori ruolo. Sembrano, dunque, permanere i limiti previsti dai singoli ordinamenti delle magistrature diversi da obbligatoriet� e durata massima; in particolare, gli obblighi relativi al periodo minimo di servizio iniziale prima della collocazione fuori ruolo (tre o quattro anni), che tendono a garantire l�acquisizione ed il consolidamento della professionalit� specifica, impedendo l�allontanamento dall�esercizio della giurisdizione nei primi anni della carriera. � invece problematica la vigenza delle disposizioni degli ordinamenti delle magistrature amministrativa e contabile e dell�Avvocatura dello Stato che prevedono la ripresa dell�effettivo esercizio di funzioni giudiziarie dopo un determinato periodo di svolgimento di attivit� extraistituzionali e la successiva permanenza in ruolo per un periodo minimo (retro, � 2); l�art. 1, comma 68, legge n. 190 cit., infatti, prevede ora che la collocazione fuori ruolo non possa superare complessivamente dieci anni, �anche consecutivi�. Ove la necessit� di interrompere periodicamente l�esercizio delle funzioni estranee ai compiti ordinari dovesse ritenersi superata, il nuovo intervento normativo finirebbe per diventare ampliativo del precedente regime, in palese dissonanza dalle finalit� perseguite dal legislatore. Rimane, in ogni caso, il limite generale di compatibilit� del fuori ruolo con le esigenze funzionali dell�ufficio di appartenenza, da ritenersi immanente al sistema, tanto che, come si � detto, la giurisprudenza lo applica anche ai casi di fuori ruolo �obbligatorio� (48). (47) Art. 1-bis, comma 3, d. lgs. n. 143 del 2008; art. 50, comma 2, d.lgs. n. 160 del 2006. (48) Cass., sez. un., 9 novembre 2009 n. 23673, cit. Con riferimento al periodo massimo decennale di permanenza fuori ruolo, generalizzato dalla legge �anticorruzione�, TAR Lazio, Roma, sez. I, 4 febbraio 2013 n. 1178, cit. La nuova disciplina, peraltro, neppure � esaustiva delle modalit� di destinazione del personale di magistratura a compiti non giudiziari. Sarebbe stato auspicabile un analogo intervento limitativo sull�istituto, parallelo ma a maglie ben pi� larghe, dell�aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attivit� presso soggetti ed organismi pubblici, anche operanti in sede internazionale, consentita dall�art. 23-bis d.lgs. n. 165 del 2001 senza alcun limite temporale, se del caso dopo la permanenza fuori ruolo per dieci anni consecutivi, accentuando la lesione all�indipendenza e alla professionalit� del singolo ed all�efficienza dell�attivit� giudiziaria. 7. Le funzioni escluse dai nuovi vincoli. Lo svolgimento di determinate funzioni pubbliche � sottratto ai nuovi vincoli di legge: infatti, l�obbligatoriet� del fuori ruolo ed il termine massimo di durata della relativa posizione di status non si applicano ai membri di Governo, alle cariche elettive, anche presso gli organi di autogoverno, ed ai componenti delle Corti internazionali comunque denominate. Il criterio utilizzato per l�individuazione delle funzioni escluse dal nuovo regime limitativo � piuttosto eterogeneo, accomunando alle cariche politiche ed elettive, per le quali rileva l�attinenza con l�elettorato passivo, le funzioni giurisdizionali presso Autorit� internazionali. Non � agevole comprendere il riferimento alle cariche elettive: il magistrato che si candidi alle elezioni politiche o amministrative, o partecipi al rinnovo dell�organo di autogoverno, deve essere collocato in aspettativa per assumere un pubblico ufficio, ossia per esercitare un diritto individuale costituzionalmente garantito, e non viene posto fuori ruolo per svolgere un incarico (49). La formula della legge sembra escludere dai nuovi limiti anche i componenti delle authority eletti dal Parlamento, ma si deve considerare che l�ordinamento della magistratura amministrativa e contabile prevede(va) il fuori ruolo �obbligatorio� anche per l�assunzione di �cariche� presso autorit� indipendenti o di alta amministrazione e garanzia (50). Per le cariche politiche non elettive, la deroga al nuovo regime riguarda i soli membri del Governo. Sembra, dunque, che obbligatoriet� e durata massima complessiva trovino applicazione per lo svolgimento degli incarichi di assessore (esterno) regionale, provinciale o comunale, ove ritenuti dagli organi di autogoverno autorizzabili in posizione di fuori ruolo, come in qualche caso � gi� accaduto. L�esclusione dai nuovi vincoli per gli incarichi di componente delle Corti internazionali, trova invece fondamento nello svolgimento di funzioni omologhe a quelle di istituto, specie in un momento in cui sono particolarmente (49) In tal senso, gi� ZANON, BIONDI, Il sistema costituzionale, cit., 85. (50) Artt. 9 D.P.R. n. 418 del 1993 e 7 D.P.R. n. 388 del 1995. CONTRIBUTI DI DOTTRINA intense le interazioni tra gli ordinamenti interni e quelli sovranazionale ed internazionale (51). 8. Segue: le funzioni �incompatibili� e l�esercizio della delega. Nel complesso, tuttavia, come sovente accade nella normazione dell�attuale periodo storico, la tecnica legislativa utilizzata non � brillante e si caratterizza per una serie di rinvii e salvezze tra le varie disposizioni nelle quali si articola l�intervento, che a volte risultano incoerenti persino al loro interno. Manca, poi, un qualsiasi coordinamento con le disposizioni vigenti, il che aumenta la farraginosit� del quadro normativo. Risulta incerta, ad esempio, l�individuazione della collocazione apicale o semiapicale dell�incarico, che il legislatore non ha potuto definire puntualmente a causa della pluralit� dei modelli organizzativi delle amministrazioni pubbliche e va, dunque, individuata in riferimento agli ordinamenti dei singoli enti. Non si rivengono, al riguardo, utili indicazioni nel rapporto della Commissione per lo studio e l�elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, istituita dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, e negli stessi lavori preparatori, in quanto il nuovo regime del fuori ruolo � frutto di un emendamento di origine parlamentare approvato dalla Camera, riformulato nel testo definitivo con il maxiemendamento governativo presentato al Senato. In via di ampia approssimazione, l�incompatibilit� con il contemporaneo esercizio delle funzioni giudiziarie dovr� essere riconosciuta per l�incarico di capo di gabinetto, espressamente menzionato dalla legge, di segretario e vice segretario generale, direttore e vice direttore generale, capo dipartimento ed anche di dirigente generale, specie ove l�ufficio dirigenziale non sia incardinato in un dipartimento. Del problema si era fatto carico il Governo in sede di attuazione della delega prevista dall�art. 1, comma 67, l. n. 190 cit. Infatti, entro quattro mesi dal- l�entrata in vigore della legge (28 novembre 2012), un decreto legislativo doveva individuare ulteriori incarichi, anche negli uffici di diretta collaborazione, che comportano l'obbligatorio collocamento in posizione di fuori ruolo, in aggiunta a quelli gi� espressamente indicati. Il legislatore delegato avrebbe dovuto considerare le differenze e specificit� delle funzioni relative alla giurisdizione ordinaria, amministrativa, contabile e militare, nonch� all'Avvocatura dello Stato; la durata dell'incarico; la continuativit� e onerosit� dell'impegno lavorativo connesso allo svolgimento dell'incarico; le possibili situazioni di conflitto di interesse tra le funzioni esercitate presso l'amministrazione di appartenenza e quelle esercitate in ragione dell'incarico ricoperto fuori ruolo. (51) FONDERICO, Sugli incarichi extragiudiziari, cit., 104, che critica la mancanza di un trattamento differenziato di siffatti incarichi. L�adozione del decreto legislativo era condizionata al parere delle competenti Commissioni parlamentari ed il Governo poteva adottare disposizioni integrative o correttive entro un anno dall�entrata in vigore del provvedimento, nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi. La bozza licenziata dal Consiglio dei Ministri della seduta del 22 gennaio 2013 individuava le funzioni apicali e semiapicali che, ai sensi all�art. 1, comma 66, della legge n. 190 cit., comportano necessariamente il collocamento fuori ruolo per l�intera durata dell�incarico extragiudiziario: presidente, componente, segretario e vice segretario generale di Autorit� amministrative indipendenti; segretario generale e consigliere presso la Presidenza della Repubblica; capo dell�ufficio del Presidente emerito della Repubblica; segretario e vice segretario generale della Corte costituzionale, della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri; segretario generale del Consiglio nazionale dell�economia e del lavoro; capo di gabinetto dei Ministeri; capo dipartimento della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri; segretario generale e capo di gabinetto di enti territoriali e locali; capo di gabinetto di un membro della Commissione europea; presidente delle scuole pubbliche di formazione; direttore e vicedirettore delle Agenzie. � dubbia la riconducibilit� di tali indicazioni all�oggetto della delega, chiamata a definire i soli incarichi ulteriori che comportano il collocamento fuori ruolo, completando il novero delle funzioni �a rischio di conflitto di interessi �; la relazione illustrativa del provvedimento attribuisce alla previsione finalit� di chiarezza applicativa e di coerenza sistematica complessiva. Gli �ulteriori incarichi� da svolgere obbligatoriamente in posizione di fuori ruolo erano individuati dallo schema di decreto nel capo della segreteria tecnica di ministri, vice ministri e sottosegretari; direttore e vice direttore delle scuole pubbliche di formazione; presidente, segretario generale, o equipollente, capo dipartimento e direttore generale presso enti pubblici non economici; incarico di livello dirigenziale generale presso i Ministeri e le Agenzie. Per le funzioni di capo ufficio legislativo di Ministeri con portafoglio il fuori ruolo era obbligatorio solo ove l�organo di autogoverno avesse ritenuto che l�incarico comporti un�attivit� lavorativa continuativa particolarmente onerosa, o comunque tale da rendere incompatibile l�impegno richiesto con lo svolgimento degli ordinari compiti d�istituto. Sono, invece, certamente estranee all�oggetto della delega legislativa le previsioni concernenti l�aspettativa ex art. 23-bis d.lgs. n. 165 del 2001, che secondo la bozza di decreto trasmesso alle Camere dovrebbe conseguire obbligatoriamente all�assunzione di cariche apicali o semiapicali presso organi o enti partecipati o controllati dallo Stato, o pu� essere concessa su richiesta dagli interessati nei casi di svolgimento dei predetti �incarichi ulteriori�. Peraltro, l�aspettativa senza assegni ha un diverso (e pi� ampio) ambito applicativo, essendo prevista dall�art. 23-bis cit. per lo svolgimento di generiche CONTRIBUTI DI DOTTRINA �attivit�� presso soggetti e organismi pubblici, anche operanti in sede internazionale, e, dunque, anche per l�esercizio di incarichi non apicali o semiapicali senza applicazione dei vincoli specifici ai quali soggiace il collocamento fuori ruolo (52). Le criticit� manifestate dalla proposta governativa hanno trovato puntuale riscontro in sede di esame delle Commissioni parlamentari. Mentre la seduta del 5 febbraio 2013 del Senato � andata deserta, le Commissioni I e II della Camera hanno espresso parere favorevole con le seguenti condizioni: 1) che tra gli incarichi apicali o semiapicali da svolgere obbligatoriamente in posizione di fuori ruolo siano compresi anche gli incarichi di vice capo di gabinetto (presso Ministeri, membri della commissione europea ed enti territoriali e locali), nonch� tutti gli incarichi di capo dell�Ufficio legislativo dei Ministeri, anche senza portafoglio, eliminando la previsione che rimette agli organi di autogoverno la valutazione circa possibilit� di svolgere l�incarico in posizione diversa da quella di fuori ruolo; 2) che, in riferimento all�incarico di segretario generale presso enti territoriali e locali, siano soppresse le parole �e locali�. Nonostante il parere espresso con prescrizioni dalla Camera dei Deputati, il Governo non ha provveduto ad adottare il testo definitivo del decreto delegato nei termini previsti per l�esercizio della delega. Tuttavia, le indicazioni contenute nello schema potrebbero essere recuperate in via interpretativa dagli organi di autogoverno, anche in sede di definizione dei criteri generali per l�esercizio del potere autorizzatorio degli incarichi extragiudiziari. 9. Il regime transitorio. Il regime transitorio della nuova disciplina �, come sempre, piuttosto complesso. Il legislatore esordisce con due affermazioni, apparentemente perentorie e correlate alle linee di intervento sopra richiamate. In relazione alla prevista incompatibilit� con l�esercizio delle funzioni giudiziarie, gli incarichi apicali o semiapicali in corso di svolgimento alla data di entrata in vigore della legge cessano di diritto se nei centottanta giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo; riguardo alla durata, il termine massimo di dieci anni continuativi per la permanenza fuori ruolo si applica anche agli incarichi in corso (art. 11, commi 66 e 69, l. n. 190 cit.). Tale perentoriet�, tuttavia, � subito attenuata dalle ulteriori regole inter- temporali. L�esclusione soggettiva dalle nuove limitazioni riguarda anche le cariche dei membri del Governo, quelle elettive, anche presso gli organi di autogoverno, e quelle di componente delle Corti internazionali, che siano in corso alla data del 28 novembre 2012. (52) Sulle differenze funzionali e di ambito tra l�aspettativa ed il collocamento fuori ruolo, retro � 5. Decorre, invece, dall�entrata in vigore della legge la durata massima di dieci anni per la permanenza fuori ruolo negli incarichi presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale ed il Consiglio superiore della magistratura, che per i magistrati ordinari gi� l'art. 1-bis, comma 4, legge n. 181 del 2008 aveva esclusi sia dal limite temporale di dieci anni che dal contingente numerico previsto nella dotazione organica. Infine, ove il periodo massimo decennale di collocamento fuori ruolo sia gi� maturato alla data di entrata in vigore della legge, o maturi successivamente, la posizione � mantenuta sino al termine dell'incarico, della legislatura, della consiliatura, o del mandato relativo all'ente o soggetto presso il quale � svolto l'incarico; qualora l'incarico non preveda un termine, il fuori ruolo � mantenuto non oltre il 28 novembre 2013. 10. Considerazioni conclusive. Conclusivamente, la legge c.d. �anticorruzione� rappresenta un�occasione mancata per l�introduzione di un regime uniforme degli incarichi extraistituzionali del personale di magistratura e, segnatamente, della posizione di fuori ruolo, certamente auspicabile non solo per l�unicit� dello stato giuridico degli interessati, ma anche in relazione alle comuni esigenze di garantire l�indipendenza del giudice ed i confini tra i poteri dello Stato, sottese allo svolgimento di tali attivit�; una uniformit� in grado di neutralizzare la miriade di previsioni contenute in leggi speciali, che hanno consentito (e continueranno a consentire) la fuga dalle stesse regole �generali� previste negli ordinamenti delle singole Istituzioni giudiziarie. Nonostante le aporie ed incongruenze dell�intervento normativo, che rifugge qualsiasi finalit� di sistema, � comunque da valutare positivamente la generalizzazione di alcune delle regole di fondo e l�indiretto ampliamento della platea dei soggetti chiamati alle funzioni extragiudiziarie, che favorisce l�avvicendamento negli incarichi e riduce i rischi di contiguit� politica per gli appartenenti alle magistrature. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Le controversie sul recupero degli aiuti illegali e incompatibili dinanzi al giudice tributario ante riforma della L. 234/2012 Alessandro De Stefano* SOMMARIO: I. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE. 1. Benefici fiscali ed aiuti di stato - 2. Gli aiuti di Stato illegali di natura fiscale: le fattispecie rilevanti - 3. I principi comunitari in tema di recupero degli aiuti illegali - 4. Norme interne e prassi amministrativa per il recupero degli indebiti benefici fiscali. II. I PRINCIPI GENERALI RELATIVI ALLA TUTELA GIURISDIZIONALE AVVERSO I PROVVEDIMENTI DI RECUPERO DEGLI AIUTI ILLEGALI IN FORMA DI INDEBITI BENEFICI FISCALI. 1. La natura dell�azione di recupero e l�oggetto del giudizio di opposizione - 2. Contenuto e limiti dei giudizi avverso i provvedimenti di recupero degli aiuti illegali - 3. La disapplicazione delle norme interne incompatibili con l�obbligo di esecuzione della decisione di recupero - 4. Le questioni relative all�illegittimit� della decisione di recupero ed il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia U.E. III. PROFILI PROCESSUALI DEL GIUDIZIO RELATIVO AL RECUPERO DEI BENEFICI FISCALI ILLEGALI NEL REGIME PREVISTO DALL�ART. 47-BIS DEL D.LGS. 31 DICEMBRE 1992, n. 546. 1. La sospensione del- l�esecutivit� del provvedimento impugnato - 2. I profili di specialit� del giudizio di merito - 3. Il giudizio di appello. IV. LE QUESTIONI PRELIMINARI E DI MERITO. 1. Decadenza e prescrizione - 2. Obbligo di recupero e principio dell�affidamento 3. La quantificazione del recupero e la determinazione degli interessi. V. LA RIFORMA INTRODOTTA DALL�ART. 46 E SS. DELLA L. 24 DICEMBRE 2012, N. 234. I. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE 1. Benefici fiscali ed aiuti di Stato. - I benefici fiscali costituiscono uno strumento sensibile di politica sociale ed economica, perch� operano il bilanciamento tra il principio di capacit� contributiva stabilito dall�art. 53 Cost. ed altri valori di rilevanza costituzionale che il legislatore � tenuto a perseguire (doveri di solidariet�; rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l�effettiva uguaglianza dei cittadini; promozione del diritto delle libert� economiche, della cultura e della ricerca scientifica e tecnica; sostegno della cooperazione e del risparmio; tutela del paesaggio, ecc.). Quando incide sull�esercizio di una attivit� di impresa, la potest� del legislatore nazionale di concedere benefici fiscali trova tuttavia un limite nel divieto di aiuti di Stato che possano falsare le regole della concorrenza e del mercato. Pertanto, fatti salvi gli aiuti ammessi in via generale dalla normativa (*) Avvocato dello Stato. Il presente studio riproduce, ma con circoscritte integrazioni/revisioni dell�Autore, l�articolo pubblicato in AA.VV. �Dizionario sistematico del diritto della concorrenza� a cura di LORENZO F. PACE, Napoli, 2013, p. 764 ss. comunitaria (1), qualsiasi disposizione di legge o di regolamento che intenda introdurre un beneficio fiscale � assoggettata alle ordinarie procedure di interlocuzione preventiva con la Commissione U.E., alle quali devono sottostare tutte le norme che prevedono la concessione di aiuti di Stato (2). In questa materia, il nostro Paese non vanta una tradizione positiva. Nel recente passato, numerose norme di legge che prevedevano la concessione di benefici fiscali sono state dichiarate in contrasto con la disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato, soprattutto a causa della violazione degli obblighi di notificazione delle misure adottate. 2. Gli aiuti di Stato illegali di natura fiscale: le fattispecie rilevanti -Nel recente passato si sono verificati frequenti casi di violazione dei principi comunitari in tema di aiuti di Stato per la concessione di benefici fiscali senza il rispetto delle procedure prescritte. Ne � derivato un ampio contenzioso tra la Repubblica Italiana e la Commissione U.E., che ha normalmente visto soccombente il nostro Governo e che ha imposto l�attivazione di onerose procedure di recupero degli aiuti illecitamente concessi, nel rispetto del principio di effettivit� del diritto dell�Unione. Le decisioni sfavorevoli sono ascrivibili prevalentemente al mancato rispetto delle procedure di notificazione delle misure adottate. In particolare, con decisione del 28 maggio 1991 n. 91/500/CEE, la Commissione Europea ha dichiarato illegittime - per mancanza di previa notificazione - le provvidenze fiscali previste dall'art. 2 della l. 16 aprile 1987 n. 183, a favore delle imprese localizzate nei territori delle Province di Trieste e Gorizia, nella parte in cui ne ha fissato l�efficacia fino al 31 dicembre 1995, anzich� fino al 31 dicembre 1992. Con altra decisione dell�11 dicembre 2001, n. 2002/581/CE, la stessa Commissione ha dichiarato l�illegittimit� del regime fiscale agevolato previsto dalla legge n. 461 del 23 dicembre 1998, n. 461, e dal decreto legislativo n. 153 del 17 maggio 1999, per favorire il consolidamento del settore bancario. Tale pronuncia � stata confermata dalla Corte di Giustizia C.E. con sentenze del 15 dicembre 2005 in causa C-66/02, Commissione/Repubblica Italiana, ed in causa C-148/04, Unicredito Italiano. Successivamente, con decisione del 5 giugno 2002, n. 2003/193/CE, la (1) V. l�art. 2 del regolamento (CE) n. 69/2001, che consentiva la concessione di aiuti di importanza minore, contenuti entro la soglia di centomila euro su un periodo di tre anni (cd. aiuti �de minimis�). Tale soglia � stata raddoppiata dall�art. 2 del regolamento (CE) n. 1998/06. A questa regola si � attenuto l�art. 7, comma 10, l. 29 dicembre 2000, n. 388, relativo agli aiuti per gli aumenti occupazionali a favore delle imprese ubicate in territori svantaggiati, le cui disposizioni sono state tenute ferme dall�art. 63, primo comma, della l. 27 dicembre 2002, n. 289, che ha prorogato i benefici da esso previsti. Per la legittimit� dell�applicazione della regola �de minimis� ai benefici in esame, cfr., tra le tante, Cass., 11 maggio 2012, n. 7361; Cass., 20 ottobre 2011, n. 21797. (2) Cfr. in proposito Cass., 26 settembre 2012, n. 16349; Cass., 23 maggio 2012, n. 8108. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Commissione ha dichiarato non compatibile con l�ordinamento comunitario l�esenzione triennale dall�imposta sul reddito disposta dall'articolo 3, comma 70, della l. 28 dicembre 1995, n. 549, e dall'articolo 66, comma 14, del decreto legge del 30 agosto 1993, n. 331, convertito con legge del 29 ottobre 1993, n. 427, a favore delle societ� per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria istituite ai sensi della legge dell'8 giugno 1990, n. 142. Anche i benefici previsti dall�articolo 5 sexies del decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282, introdotto con legge di conversione 21 febbraio 2003, n. 27, che ha prorogato i benefici previsti dall�articolo 4, primo comma, della legge 18 ottobre 2001, n. 383, a favore delle imprese che abbiano realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, sono stati oggetto dei rilievi della Commissione, che ne ha dichiarato l�illegittimit� con decisione del 20 ottobre 2004, n. 2005/315/CE. Altra pronuncia sfavorevole � stata adottata dalla Commissione Europea in data 14 dicembre 2004 con il n. 2005/919/CE in relazione alle disposizioni dell�art. 1, comma 1, lett. b), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, che ha previsto incentivi fiscali specifici per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all�estero A non diverse conclusioni la Commissione � pervenuta con riguardo agli incentivi fiscali specifici previsti dall�art. 1, primo comma, lett. d), e dall�art. 11 del d.l decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con la legge 24 novembre 2003 n. 326, a favore delle societ� ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato dell'Unione europea nel periodo compreso tra il 2 ottobre 2003 e il 31 dicembre 2004, giusta decisione del 16 marzo 2005, n. 2006/261/CE. Tale decisione � stata poi confermata dal Tribunale di I grado con sentenza del 4 settembre 2009 in causa T-211/05, a propria volta confermata in appello dalla Corte di Giustizia U.E. con sentenza del 24 novembre 2011, in causa C-458/09, Repubblica Italiana/Commissione Europea. Infine, in ordine di tempo, con decisione dell�11 marzo 2008, n. C/2008/869 la Commissione ha dichiarato non conforme al diritto comunitario l�art. 2, comma 26, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, che ha previsto uno speciale regime di riallineamento fiscale per i beni di taluni istituti di credito nati da (o sottoposti a) riorganizzazione ai sensi della precedente legge 30 luglio 1990, n. 218 sulla privatizzazione degli istituti di credito di diritto pubblico in Italia. Di conseguenza, la Commissione ha disposto che la Repubblica Italiana dovesse: a) sopprimere il regime agevolativo; b) adottare tutti i provvedimenti necessari per recuperare �senza indugio� dai beneficiari l�aiuto concesso mediante l�applicazione dell�imposta sostitutiva prevista dall�articolo 2, comma 26, della legge 350/2003, cos� da consentire l�esecuzione immediata ed effettiva della predetta decisione; c) maggiorare le somme da recuperare degli interessi, decorrenti dalla data in cui l�aiuto � stato posto a disposizione del beneficiario fino a quella del suo effettivo recupero e calcolati in confor mit� con le disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004. 3. I principi comunitari in tema di recupero degli aiuti illegali. - Le decisioni di illegittimit� dei benefici fiscali previsti dalla legislazione nazionale impongono di procedere al recupero dell�aiuto illegittimamente concesso, nel rispetto del tredicesimo �considerando� e dell�art. 14 del Regolamento CE del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659, recante �modalit� di applicazione dell�articolo [88 CE]�. L�art. 23, n. 1, del medesimo Regolamento dispone inoltre che: �Qualora lo Stato membro interessato non si conformi ad una decisione condizionale o negativa, in particolare nei casi di cui all�articolo 14, la Commissione pu� adire direttamente la Corte di giustizia delle Comunit� europee ai sensi dell�articolo [88, n. 2, CE]�. La giurisprudenza della Corte di Giustizia U.E. ha elaborato principi assai rigorosi, allo scopo di assicurare l�effettivit� dell�ordinamento comunitario. In base ad essi, lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare gli aiuti illegali � tenuto, ai sensi dell�art. 288 TFUE, ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l�esecuzione di tale decisione (3). Lo Stato membro deve giungere ad un effettivo ed integrale recupero delle somme dovute, maggiorate di interessi (4). Un recupero tardivo, successivo ai termini stabiliti, non pu� soddisfare i requisiti del Trattato (5). Il provvedimento di recupero, finalizzato a ripristinare lo status quo ante, non si pu� ritenere sproporzionato rispetto alle finalit� delle disposizioni del Trattato in materia di aiuti di Stato. Infatti, esso costituisce la logica conseguenza dell�accertamento della sua illegittimit�. Per effetto della restituzione dell�aiuto, il beneficiario � privato del vantaggio di cui aveva fruito sul mercato rispetto ai suoi concorrenti, ed � ripristinata la situazione esistente prima della corresponsione dell�aiuto (6). Secondo la Corte di Giustizia U.E., la sola esimente che uno Stato membro pu� addurre a giustificazione dell�inadempimento ad un tale obbligo � quello dell�impossibilit� assoluta di dare corretta esecuzione alla decisione di cui trattasi (7). La condizione dell�assoluta impossibilit� dell�esecuzione non � soddisfatta quando lo Stato membro convenuto si limita a comunicare alla (3) Cfr. Corte di Giustizia U.E., sentenza 5 maggio 2011, in causa C-305/09, punto 26, Commissione/ Italia, che richiama la sentenza 5 ottobre 2006, in causa C.232/05, Commissione/Francia, punto 42 e la giurisprudenza ivi citata. (4) Cfr. Corte di Giustizia U.E., sentenze Commissione/Francia, cit., punto 42, e 22 dicembre 2010, in causa C.304/09, Commissione/Italia, punto 33. (5) Cfr. Corte di Giustizia U.E., sentenza Commissione/Italia, cit., punto 32 e la giurisprudenza ivi citata. (6) Cfr. Corte di Giustizia C.E., sentenze 15 dicembre 2005, in causa C-148/04, Unicredito Italiano, punto 113, e 29 aprile 2004, in causa C-66/02, Italia/Commissione, punti 103 e 104, e giurisprudenza ivi richiamata. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Commissione le difficolt� giuridiche, politiche o pratiche che presentava l�esecuzione della decisione, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso le imprese interessate al fine di recuperare l�aiuto e senza proporre alla Commissione altre modalit� di esecuzione della decisione che avrebbero consentito di superare le difficolt� (8). Secondo la giurisprudenza comunitaria, il recupero dell�aiuto indebitamente concesso non � impedito dall�asserito stato di buona fede del percipiente e dall�affidamento da lui riposto nella validit� e nell�efficacia delle norme di favore. Si � infatti affermato che, tenuto conto del carattere imperativo del controllo sugli aiuti di Stato operato dalla Commissione ai sensi dell�art. 108 TFUE e del grado di diligenza cui sono tenuti gli operatori del settore, le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento sulla regolarit� dell�aiuto solo se esso sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dal menzionato articolo. In particolare, se il beneficio � stato concesso senza previa notifica alla Commissione ed � perci� illegittimo per il disposto dell�art. 108 � 3 TFUE, il beneficiario dell�aiuto non pu� riporre alcun legittimo affidamento nella regolarit� della sua concessione, ed � obbligato alla restituzione senza eccezioni (9). Per altro verso, n� lo Stato membro n� l�operatore interessato possono invocare il principio di certezza del diritto al fine di impedire la restituzione dell�aiuto, essendo sempre prevedibile il rischio di un contenzioso (10). La Corte di Giustizia U.E. ha posto inoltre precisi limiti al potere giurisdizionale dei giudici nazionali chiamati a valutare la legittimit� dell�azione di recupero. Invero, se da un lato il principio generale dell�Unione impone di ritenere che l�atto nazionale di recupero di un aiuto di Stato illegale possa essere sempre assoggettato al controllo del giudice nazionale, da un altro lato occorre considerare che, in base all�art. 14, n. 3, Reg. n. 659/1999, i giudici nazionali sono tenuti a garantire la piena effettivit� della decisione che ordina il recupero dell�aiuto illegale ed a giungere ad una soluzione conforme alla finalit� perse (7) Cfr., in particolare, Corte di Giustizia U.E., sentenze 20 settembre 2007, in causa C.177/06, Commissione/Spagna, punto 46; 13 novembre 2008, in causa C.214/07, Commissione/Francia, punto 44, e Commissione/Italia, cit., punto 35. (8) Cfr. Corte di Giustizia C.E., sentenze 14 dicembre 2006, in cause riunite da C.485/03 a C.490/03, Commissione/Spagna, punto 74; 13 novembre 2008, cit., punto 46, e Commissione/Italia, cit., punto 36. In particolare, il fatto che lo Stato membro abbia necessit� di verificare la situazione individuale di ciascuna impresa interessata, allo scopo di compiere un esame preliminare volto ad identificare i beneficiari dei vantaggi considerati dalla decisione della Commissione, non � idoneo a giustificare la mancata esecuzione di tale decisione: cfr. Commissione/Italia, cit., punto 37, che richiama le sentenze 1� aprile 2004, in causa C.99/02, Commissione/Italia, punto 23, e 1� giugno 2006, in causa C.207/05, Commissione/Italia, punti 46 e 50. (9) Cfr. Corte di Giustizia C.E., Unicredito, cit., punto 104; sentenza 11 novembre 2004, in cause riunite C.183/02 P e C.187/02, P. Demesa e Territorio Hist�rico de �lava/Commissione, punti 44 e 45, e la giurisprudenza ivi richiamata. (10) Cfr. Corte di Giustizia C.E., Unicredito, cit., punto 104. guita da detta decisione. Infatti, l�annullamento di un atto nazionale di esecuzione di una decisione della Commissione che ordina il recupero dell�aiuto illegittimo, che osti all�esecuzione immediata ed effettiva di detta decisione, � incompatibile con le esigenze espresse dall�art. 14, n. 3, Reg. n. 659/1999 (11). In questa prospettiva, il giudice nazionale non � vincolato dalle statuizioni contenute in una precedente sentenza, passata in giudicato, che abbia disposto il pagamento dell�aiuto. Infatti, il diritto comunitario osta all�applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l�art. 2909 del c.c., che sancisca il principio dell�autorit� della cosa giudicata, nei limiti in cui l�applicazione di tale disposizione impedisca il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilit� con il mercato comune sia stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva (12). Infine, il diritto comunitario limita il potere del giudice nazionale di sospendere l�esecutivit� di una decisione della Commissione, che imponga agli Stati membri di procedere al recupero degli aiuti illegali. In particolare, un giudice nazionale pu� disporre provvedimenti provvisori di sospensione solo se nutra gravi riserve sulla validit� dell�atto dell�Unione e provveda direttamente ad effettuare il rinvio pregiudiziale, nell�ipotesi in cui alla Corte non sia gi� stata deferita la questione di validit� dell�atto contestato (13). 4. Norme interne e prassi amministrative per il recupero degli indebiti benefici fiscali. -La concreta osservanza degli obblighi di recupero che incombono sullo Stato, alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria, costituisce oggetto di un procedimento di verifica puntuale e di monitoraggio continuo da parte della Commissione, svolto in collaborazione con le Autorit� nazionali. A tal fine, nel rispetto del principio di leale collaborazione stabilito dall�art. 4, � 3 TFUE, la Commissione viene tenuta costantemente aggiornata sullo stato di avanzamento della procedura di recupero (14). Qualora ravvisi ingiustificati inadempimenti e ritardi nell�esecuzione della decisione che impone il recupero, la Commissione instaura un giudizio di infrazione nei confronti dello Stato che non abbia provveduto al tempestivo ed integrale recupero dell�aiuto illegittimamente concesso ed indebitamente fruito. In considerazione della rigorosit� dei principi e dei controlli comunitari nella materia, gli artt. 44 e ss. 1. 24 dicembre 2012 n. 234, recante �Norme sulla partecipazione dell�Italia alla formazione e all�attuazione della normativa e delle Politiche dell�Unione Europea�, entrata in vigore il 19 gennaio (11) V. Corte di Giustizia U.E., sentenze 5 maggio 2011, cit. punti 46 e 47, e 20 maggio 2010, in causa C.210/09, Scott e Kimberly Clark, punti 25, 29 e 30. (12) Cfr. Corte di Giustizia C.E., sentenza 18 luglio 2007, in causa C-119/05, Lucchini, punto 63. (13) Cfr. Corte di Giustizia U.E., sentenze 5 maggio 2011, cit., punto 44; 21 febbraio 1991, in cause riunite C.143/88 e C.92/89, Zuckerfabrik S�derdithmarschen e Zuckerfabrik Soest, e 9 novembre 1995, in causa C.465/93, Atlanta Fruchthandelsgesellschaft e a.. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 2013, hanno introdotto per la prima volta nell�ordinamento nazionale una disciplina generale ed organica sulle procedure di recupero degli aiuti illegali, sotto qualsiasi forma e da qualsiasi fonte provenienti, ed hanno affidato al giudice amministrativo la competenza esclusiva a decidere sulle opposizioni avverso i provvedimenti relativi (15). In precedenza, in mancanza di norme generali di contenuto equivalente, si � reso necessario introdurre specifiche norme di legge che individuassero volta per volta, in relazione a ciascuna pronuncia di illegalit� dell�aiuto da parte della Commissione, l�autorit� competente a provvedere, le modalit� del recupero ed i mezzi di opposizione concessi al contribuente (16). Ne � derivata una disciplina assai frastagliata, che non (14) Per una esemplificazione del procedimento di controllo sull�esecuzione delle decisioni della Commissione europea, cfr. Corte di Giustizia, 1� giugno 2006, cit., spec. punti da 7 a 17. � dubbio se siano soggette al controllo della Commissione Europea anche le fattispecie di indebita fruizione di benefici fiscali illegali da parte di contribuenti che siano risultati privi dei requisiti previsti dalla legge nazionale, nei cui confronti l�Amministrazione finanziaria abbia emesso tempestivi avvisi di accertamento per il recupero dei tributi evasi. La circostanza che il beneficio sia stato fruito abusivamente, e non costituisca perci� un effetto diretto della norma dichiarata in contrasto con il diritto comunitario, induce ad accogliere la soluzione negativa; ma in diverso senso sembra orientata la Commissione Europea, che ha aperto la procedura di infrazione n. 2012/2201 a carico della Repubblica Italiana per non aver fornito adeguate informazioni sul recupero delle imposte non versate da tali contribuenti, che abbiano comunque fruito degli aiuti illegali previsti dall�art. 5 sexies del d.l. n. 282 del 2002, introdotto dalla legge di conversione n. 27 del 2003. (15) Sui profili generali della riforma introdotta dalla l. n. 234 del 2012 sulle procedure di recupero degli aiuti di Stati illegali ed incompatibili e sulle relative forme di tutela giurisdizionale, cfr. S. FIORENTINO - D. GOTTUSO, �La riforma della l. 234/2012 con riferimento agli aiuti di Stato�, in AA.VV., �Dizionario sistematico del diritto della concorrenza�, a cura di L. PACE, Napoli, 2013, p. 715 ss.; A. CIOFFI, �Il riparto di giurisdizione per l�applicazione degli artt. 107 e 108 � 3 TFUE�, ibidem, p. 724 ss.; M. MARTINELLI, �Il private enforcement dell�art. 108 � 3 del TFUE e le controversie sul recupero degli aiuti illegali e incompatibili dinanzi al giudice amministrativo�, ibidem, p. 733 ss.. (16) Con riguardo agli aiuti concessi sotto forma di benefici fiscali illegittimi, l�art. 5 del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito nella legge 15 giugno 2002, n. 112, ha disposto la sospensione delle riduzioni di imposta istituite a favore delle banche in forza della legge n. 461/98. Successivamente, con l�art. 1 del decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito in legge 21 febbraio 2003, n. 27, � stato imposto alle banche beneficiarie degli aiuti di versare, entro il 31 dicembre 2002, un importo corrispondente alle imposte non versate in conseguenza del regime di aiuti, oltre ad interessi nella misura del 5,5% annuo, e si � affidato al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro il compito di provvedere al recupero coattivo delle somme non versate, con l�avvalimento dell'Agenzia delle entrate. Per l�esecuzione della decisione della Commissione C.E. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, concernente l�illegittimit� dei benefici fiscali favore delle municipalizzate, cfr. l�art. 27, della l. 18 aprile 2005, n. 62; l�art. 1 del d.l. 15 febbraio 2007 n. 10, convertito in legge, con modificazioni, dall�art. 1, l. 6 aprile 2007, n. 46; l�art. 24 del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, l.. 28 gennaio 2009, n. 2, come interpretato autenticamente dall'art. 7, comma 2-bis, del d.l.. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009, n. 33, e come modificato dall'art. 19, comma 1, d.l.. 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla l. 20 novembre 2009, n. 166. Per l�attuazione della decisione C (2004) 4746 del 14 dicembre 2004 della Commissione, relativa al regime di aiuti a favore delle imprese partecipanti alle fiere all'estero, cfr. l�art. 15 della l. 25 gennaio 2006, n. 29. Secondo l�ordinanza della Corte Costituzionale del 6 febbraio 2009, n. 36, tali disposizioni, essendo finalizzate a dare attuazione agli obblighi comunitari, non incontrano il limite dell�irretroattivit� delle norme tributarie, n� violano i principi di capacit� contributiva e di imparzialit� e di buon andamento della Pubblica Amministrazione. Nello stesso senso, v. pure Cass., 10 marzo 2009, n. 5708. ha favorito l�elaborazione di principi uniformi ed ha provocato disfunzioni e ritardi nelle azioni di recupero. In linea di massima, le norme pregresse hanno affidato l�azione di recupero all�Amministrazione competente nella materia alla quale l�aiuto si riferiva. In questa prospettiva, il compito di recuperare gli aiuti illegalmente concessi sotto forma di benefici fiscali � stato usualmente affidato all�Agenzia delle Entrate (17). Il. I PRINCIPI GENERALI RELATIVI ALLA TUTELA GIURISDIZIONALE AVVERSO I PROVVEDIMENTI DI RECUPERO DEGLI AIUTI ILLEGALI IN FORMA DI INDEBITI BENEFICI FISCALI 1. La natura dell�azione di recupero e l�oggetto del giudizio di opposizione. - L�originaria tendenza del legislatore ad affidare le azioni di recupero alle Amministrazioni competenti nella specifica materia alla quale l�aiuto si riferisce, implicava l�attribuzione di una specifica rilevanza alla natura del beneficio illegittimamente concesso. In questa prospettiva, l�aiuto di Stato conservava il suo collegamento genetico con il sottostante rapporto sostanziale nel cui ambito era stato concesso, e l�azione di recupero si sviluppava, come naturale riflesso, sul modello delle tipiche azioni riguardanti quel particolare rapporto. Secondo questa impostazione, le azioni di recupero degli indebiti benefici fiscali, affidate all�Agenzia delle Entrate, si sono spontaneamente modellate sugli schemi dell�attivit� di accertamento dei tributi non versati, e l�oggetto del recupero si � identificato con il tributo che si sarebbe dovuto corrispondere se il beneficio non fosse stato concesso. In questo modo, i provvedimenti di recupero, assimilati a comuni avvisi di accertamento, si sono naturalmente Con sentenza del 12 settembre 2012, n. 15207, la Corte di Cassazione ha affermato inoltre che tali norme, finalizzate a privare il beneficiario dell�aiuto dei vantaggi indebitamente conseguiti ed a ripristinare la situazione esistente prima della sua concessione, costituiscono una forma di attuazione della decisione comunitaria ed introducono nell'ordinamento statuale disposizioni di natura speciale che si inseriscono nella procedura comunitaria di verifica della compatibilit� degli aiuti concessi dagli Stati membri, realizzando un continuum con il precetto contenuto nella decisione. Da ci� consegue che eventuali lacune della disciplina delle modalit� di recupero degli aiuti illegali possono essere integrate ricorrendo ad altre disposizioni interne dello Stato membro, ma sempre in conformit� dei principi del diritto comunitario ed in funzione di assicurarne l�effettivit�. (17) Nella stessa prospettiva, la normativa speciale ha attribuito all�INPS la competenza a recuperare gli aiuti illegali concessi sotto forma di sgravi contributivi, quali quelli previsti dalla l. 31 maggio 1995, n. 206 e dalla l. 28 febbraio 1997, n. 97, in favore delle aziende situate a Venezia e Chioggia, e quelli connessi alla stipulazione dei contratti di formazione e lavoro di cui alla l. 19 dicembre 1984, n. 863. Le controversie contro i relativi provvedimenti, adottati nelle stesse forme previste per la riscossione dei contributi, sono state affidate al giudice del lavoro. Cfr., sul tema, E. ROCCHINI �Il private enforcement dell�art. 108 � 3 TFUE e le controversie sul recupero degli aiuti illegali ed incompatibili dinanzi al giudice del lavoro prima della riforma della l. 234/2012�, in �Dizionario�, cit., p. 778. Per la tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti di recupero di altre tipologie di aiuti, prima della riforma introdotta dalla l. n. 234 del 2012, cfr. A. PERIN, �Il private enforcement dell�art. 108 � 3 e le controversie sul recupero degli aiuti illegali e incompatibili dinanzi al giudice civile prima della riforma della l. 234/2012�, ibidem, p. 750 ss. CONTRIBUTI DI DOTTRINA esposti agli ordinari rimedi giurisdizionali dinanzi ai giudici tributari, nonch� a tutte le eccezioni (in primis, quelle di decadenza) ordinariamente proponibili avverso gli atti impositivi. Tutto ci� si � rivelato ben presto incompatibile con l�obbligo di dare tempestiva esecuzione alla decisione di recupero della Commissione ed ha determinato l�avvio di procedure di infrazione contro la Repubblica Italiana per violazione dell�art. 14 del regolamento n. 659/1999 (18). L�evoluzione giurisprudenziale ed i successivi interventi normativi hanno attivato un processo di astrazione del procedimento di recupero dalla specifica natura del beneficio indebitamente concesso, nel presupposto che il denominatore comune e l�oggetto essenziale dell�azione sono costituiti dall�adempimento degli obblighi comunitari e dalla ricostituzione della situazione di concorrenza indebitamente alterata, rimanendo irrilevanti le forme e le modalit� di concessione dell�aiuto. In tal modo, la prospettiva si � spostata progressivamente dal soggetto che ha erogato l�aiuto, dalla tipologia della misura e dalle regole che governano il rapporto sottostante, all�esigenza di dare immediata esecuzione all�ordine di recupero adottato dalla Commissione, nel rispetto delle norme comunitarie alle quali si � fatto riferimento innanzi (19). Per quanto riguarda gli aiuti concessi sotto forma di benefici fiscali, la principale tappa di questo processo � stata rappresentata dall�art. 2 del d.l. 8 aprile 2008 n. 59, convertito in legge, con modificazioni, dall�art. 1 c. 1, 1. 6 giugno 2008 n. 101, che ha introdotto nel d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l�art. 47-bis, rubricato �sospensione di atti volti al recupero di aiuti di Stato e definizione delle relative controversie�. Questa norma, pur salvaguardando (ed anzi implicitamente riconoscendo) la giurisdizione del giudice tributario in ragione del collegamento genetico dell�azione con la natura del beneficio indebitamente concesso, ha dettato speciali disposizioni di carattere processuale, che sono chiaramente ispirate all�esigenza di recepire i principi comunitari della materia e di configurare l�azione di recupero quale mera esecuzione della decisione della Commissione. Il processo di astrazione dell�azione di recupero dalla causa sottostante � giunto a compimento con la riforma introdotta dalla gi� richiamata 1. n. 234/12, che ha unificato le procedure di recupero ed i rimedi giurisdizionali, indipendentemente dalla forma di erogazione dell�aiuto. Conseguentemente, l�art. 61, quinto comma, di tale legge ha abrogato l�art. 47-bis d.lgs. n. 546/92, (18) Cfr. Corte di Giustizia U.E., sentenza 5 maggio 2011, cit.. (19) Secondo la sentenza della Cassazione del 12 settembre 2012, n. 15207, �la relazione che viene ad istituirsi tra la Commissione e lo Stato membro destinatario della decisione dichiarativa della illegalit� dell�aiuto di Stato�bene pu� essere sussunta � in quanto attinente al momento esecutivo della decisione comunitaria � in uno schema latamente delegatorio (sia pure caratterizzato da ampia discrezionalit� nella scelta dei mezzi di attuazione del recupero, purch� resa effettiva), nel quale lo Stato membro adempie all�incarico ricevuto nella qualit� quasi di commissario �ad acta� dell�Istituzione comunitaria, rimanendo vincolato al risultato di scopo predeterminato dalla Commissione�. che continua ad applicarsi ai soli giudizi in corso al 19 gennaio 2013 (data di entrata in vigore della riforma). Pertanto, al giorno d�oggi il procedimento di public enforcement che costituisce oggetto del presente articolo, non � pi� ammissibile, e continua ad applicarsi in via solo residuale ai giudizi iniziati prima della riforma. I principi cui esso si ispira, che costituiscono espressione del progressivo adattamento dell�ordinamento interno ai principi comunitari, assumono tuttavia una valenza generale, e potranno conservare piena validit� anche nell�ambito del nuovo procedimento, rimesso alla competenza giurisdizionale esclusiva del giudice amministrativo. 2. Contenuto e limiti dei giudizi avverso i provvedimenti di recupero degli aiuti illegali. - Dalla qualificazione dell�azione quale strumento di esecuzione della decisione di recupero della Commissione e di ottemperanza dello Stato membro agli obblighi comunitari, derivano importanti conseguenze per la determinazione dell�ambito del giudizio e delle questioni proponibili. In base ad essa, il giudice nazionale non pu� conoscere della legittimit� delle decisioni adottate dalle istituzioni comunitarie, alle quali � tenuto ad adeguarsi, n� pu� applicare norme interne che impediscano l�attuazione degli obblighi comunitari. In questa prospettiva, le uniche questioni conoscibili da parte del giudice nazionale sono quelle relative ai vizi propri del provvedimento di recupero adottato dall�Amministrazione, con riguardo ai profili soggettivi ed oggettivi dell�obbligazione restitutoria. Sotto il primo profilo, tali questioni attengono alla individuazione del soggetto beneficiario dell�aiuto e del soggetto responsabile per il pagamento; sotto il profilo oggettivo, invece, i motivi di impugnazione potranno riguardare principalmente l�inapplicabilit� della decisione di recupero al caso di specie o la determinazione del quantum debeatur. A questo riguardo, giova considerare che il beneficio fiscale effettivamente fruito non si identifica necessariamente con un aiuto da recuperare, nonostante la dichiarata incompatibilit� della normativa interna con l�ordinamento comunitario. In particolare, esso si pu� legittimamente sottrarre all�obbligo di restituzione qualora non sia stato percepito nell�esercizio di un�impresa e non abbia perci� connessione con le regole della concorrenza e del mercato, che gli artt. 107 e 108 TFUE tendono a tutelare. Inoltre, il beneficio potrebbe ritenersi giustificato in base ad un regolamento di esenzione o quando sia contenuto entro la soglia prevista dalla regola de minimis, che - secondo la normativa comunitaria - costituisce eccezione al divieto generale di aiuti di Stato (20). (20) Giova considerare, a tal riguardo, che al punto 126 della decisione n. 2003/193/CE, relativa agli aiuti concessi a favore delle municipalizzate, la Commissione ha affermato che �una decisione relativa a regimi di aiuto non pregiudica la possibilit� che aiuti individuali siano considerati, interamente o parzialmente, compatibili con il mercato comune per ragioni attinenti al caso specifico (ad esempio CONTRIBUTI DI DOTTRINA Altre eccezioni utilmente proponibili nel giudizio di opposizione al provvedimento di recupero riguardano poi la prescrizione del credito (nei limiti che saranno specificati infra, � IV, punto 1) e la quantificazione del credito dell�Amministrazione. A quest�ultimo riguardo, giova considerare che l�obbligazione restitutoria potr� riguardare l�intero importo del tributo non versato nel caso di concessione di esenzioni indebite, e dovr� essere limitata alla differenza tra il tributo dovuto in via generale e quello effettivamente versato, nel caso di benefici concessi sotto forma di aliquote agevolate o di attribuzione di particolari deduzioni o detrazioni. Considerati la natura del provvedimento impugnato ed i limiti del potere giurisdizionale del giudice nazionale, ogni altra questione (di ordine sia sostanziale che processuale) � ordinariamente estranea all�oggetto del giudizio. Inoltre, l�inquadramento della fattispecie nell�ambito dell�esecuzione della decisione di recupero dell�aiuto illegale, piuttosto che del pagamento dei tributi non versati, pu� avere importanti riflessi anche sul fondamento delle eccezioni proponibili (in particolare, di quelle relative alla decadenza dal potere impositivo, alla prescrizione del credito ed al computo degli interessi), cos� come si evidenzier� nel prosieguo (21). 3. La disapplicazione delle norme interne incompatibili con l�obbligo di esecuzione della decisione di recupero. - Il carattere vincolante della decisione di recupero adottata dalle Istituzioni comunitarie impedisce al giudice nazionale di applicare le norme dell�ordinamento interno che, sotto qualsiasi forma, impediscano di dare ad essa completa esecuzione. Nel riconoscere il diritto alla tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti di recupero adottati dallo Stato membro, la Corte di Giustizia precisa infatti che �i giudici nazionali sono tenuti, in base all�art. 14, n. 3, del regolamento n. 659/1999, a garantire la piena effettivit� della decisione che ordina il recupero dell�aiuto illegittimo ed a giungere ad una soluzione conforme alla finalit� perseguita da detta decisione (v. sentenza 20 maggio 2010, causa C-210/09, Scott e Kimberly Clark, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 25 e 29). Infatti, l�annullamento di un atto nazionale di esecuzione di una decisione della Commissione che ordina il recupero dell�aiuto illegittimo, il quale osti all�esecuzione immediata ed effettiva di detta decisione, � incompatibile con le esigenze espresse dal- per il fatto che la concessione individuale di aiuto rientri nelle regole de minimis oppure nel contesto di una decisione futura della Commissione o in virt� di un regolamento di esenzione)�. In applicazione di questo principio, l�art. 1, commi 4 e 9, del d.l. n. 10 del 2007 ha espressamente escluso dal recupero gli aiuti che rientrano nell�ambito della regola �de minimis�. Secondo Cass., 3 maggio 2012, n. 6671, peraltro, compete al contribuente l�onere di dimostrare la legittimit� dell�aiuto ricevuto, perch� ricompreso tra gli aiuti di minore importanza che possono essere legittimamente concessi, in deroga al divieto generale. (21) Cfr. � IV, punti 1 e 3. l�art. 14, n. 3, del citato regolamento n. 659/1999 (v., in tal senso, sentenza Scott e Kimberly Clark, cit., punto 30)� (22). Come corollario di questo principio generale, �spetta ai giudici nazionali interpretare le disposizioni del diritto nazionale quanto pi� possibile in modo da consentirne un�applicazione che contribuisca all�attuazione del diritto comunitario. Risulta inoltre da una giurisprudenza costante che il giudice nazionale incaricato di applicare, nell�ambito della propria competenza, le norme di diritto comunitario ha l�obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all�occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale (v., in particolare, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punti 21.24; 8 marzo 1979, causa 130/78, Salumificio di Cornuda, Racc. pag. 867, punti 23.27, e 19 giugno 1990, causa C.213/89, Factortame e a., Racc. pag. I.2433, punti 19.21)� (23). La giurisprudenza di legittimit� ha pi� volte affermato che le decisioni con cui la Commissione, nell�esercizio del controllo sulla compatibilit� degli aiuti di Stato con il mercato comune dispone il recupero dell�aiuto, hanno efficacia diretta nell�ordinamento interno (24), in guisa che il giudice nazionale � tenuto a darvi immediata esecuzione anche in mancanza di una specifica legge di recepimento ed in contrasto con le vigenti leggi nazionali (25). La S. Corte ha altres� precisato che l�esigenza di dare immediata ed integrale esecuzione alle decisioni delle Istituzioni comunitarie impone di disapplicare ogni norma di legge interna, anche di carattere processuale, che possa impedirne il rispetto. Come conseguenza, in simili fattispecie i giudici di legittimit� possono accedere anche alla cognizione dei fatti di causa e possono giudicare anche al di l� degli specifici motivi di impugnazione proposti dalle parti; ed invero, �il potere-dovere del giudice di conformarsi al diritto comunitario nella decisione della controversia comporta [...] la necessaria disapplicazione delle regole processuali di diritto interno che, precludendo in sede di legittimit� l�esame di questioni non specificamente dedotte dal ricorrente e l�introduzione di nuove questioni di fatto, impediscano la piena applicazione delle norme comunitarie� (26). (22) Corte di Giustizia U.E., 5 maggio 2011, cit., punti 46 e 47. (23) Corte di Giustizia C.E., Lucchini, cit., punti 60 e 61. (24) Cfr.. Cass., 6 luglio 2010, n. 15980; Cass., 3 febbraio 2010, n. 2428. (25) Cfr. Cass., 12 settembre 2012, n. 15207; Cass., 15 giugno 2011, n. 13067; Cass., 10 dicembre 2002, n. 17564. (26) Cass., 18 dicembre 2006, n. 26948. Nello stesso senso, Cass., 29 dicembre 2010, n. 26285, per la quale il giudice di merito non pu� rilevare l�inammissibilit� del gravame proposto dall�Amministrazione finanziaria, quando ci� impedisca il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario, e Cass., ord. 30 aprle 2004, n. 8319, secondo cui �il carattere �chiuso� del giudizio di cassazione non impedisce che venga applicato il diritto comunitario nella sua interezza, indipendentemente da specifiche domande proposte nel giudizio di merito o introdotte con i motivi di ricorso e, al CONTRIBUTI DI DOTTRINA Nella stessa prospettiva, si � costantemente affermato che il recupero dell�aiuto indebitamente fruito non � impedito dal ricorso ad istituti a carattere premiale o a procedure di condono che consentano di definire i rapporti tributari relativi ai periodi di imposta interessati dal beneficio illegale. Ed invero, �in tema di recupero di aiuti di Stato, non pu� essere applicata la disciplina nazionale relativa al condono fiscale, ove contrasti con il principio di effettivit� del diritto comunitario, espressamente enunciato dall�art. 14, comma terzo, del Regolamento CE n. 659 del 1999 del Consiglio in data 22 marzo 1999 in relazione al recupero degli aiuti dichiarati illegittimi con decisione della Commissione europea� (27). 4. Le questioni relative all�illegittimit� della decisione di recupero ed il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia U.E. - Un ulteriore limite del giudizio avverso i provvedimenti di recupero dei tributi non versati per effetto di un beneficio fiscale dichiarato illegale, � costituito dalla carenza di giurisdizione del giudice nazionale a conoscere delle questioni relative alla legittimit� delle decisioni adottate dalle Istituzioni comunitarie. Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia U.E., �i giudici nazionali non sono competenti a pronunciarsi sulla compatibilit� di un aiuto di Stato con il mercato comune. Emerge infatti da una giurisprudenza costante che la valutazione della compatibilit� con il mercato comune di misure di aiuto o di un regime di aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che opera sotto il controllo del giudice comunitario (28). Sebbene in linea di principio i giudici nazionali possano trovarsi ad esaminare la validit� di un atto comunitario, non sono per� competenti a dichiarare essi stessi l�invalidit� degli atti delle istituzioni comunitarie. La Corte � quindi la sola competente a dichiarare l�invalidit� di un atto comunitario� (29). Per queste ragioni, al contribuente non � precluso eccepire l�illegittimit� derivata del provvedimento di recupero di imposta dell�Amministrazione fi pari delle questioni di legittimit� costituzionale o del cosiddetto �jus superveniens�, con l�osservanza del solo limite dell�avvenuta definizione del rapporto controverso�. V. pure Corte di Giustizia, 18 luglio 2007, Lucchini, secondo cui il giudice nazionale � tenuto a disapplicare una norma come quella contenuta nell�art. 2909 c.c., che impedisca di dare esecuzione ad una decisione di recupero per effetto di un giudicato di segno contrario intervenuto tra le stesse parti. (27) Cass., 16 maggio 2012, n. 7663, ed altre coeve. Nello stesso senso, Cass., n. 16349 del 2012 e Cass., n. 8108 del 2012, cit. (28) Corte di Giustizia U.E., Lucchini, cit., punti 51 e 52, che richiama le precedenti sentenze 22 marzo 1977, in causa 78/76, Steinike & Weinlig, punto 9; 21 novembre 1991, in causa C.354/90, F�d�ration nationale du commerce ext�rieur des produits alimentaires et Syndicat national des n�gociants et transformateurs de saumon, punto 14, ed 11 luglio 1996, in causa C.39/94, SFEI e a.. (29) Corte di Giustizia U.E., Lucchini, cit., punto 53, che richiama le precedenti sentenze 22 ottobre 1987, in causa 314/85, Foto.Frost, punto 20; 21 febbraio 1991, Zuckerfabrik S�derdithmarschen e Zuckerfabrik Soest, cit., punto 17, e 10 gennaio 2006, in causa C.344/04, IATA e ELFAA, punto 27. Nella giurisprudenza nazionale, cfr. da ultimo Cass. nn. 16349 e 15207 del 2012, cit.. nanziaria per effetto dell�illegittimit� della decisione adottata dalla Commissione. Tuttavia, il giudice adito non pu� pronunciarsi su questa eccezione, ma deve rimetterla al giudizio pregiudiziale della Corte di Giustizia dell�Unione Europea, alla quale soltanto compete la potest� di pronunciarsi su di essa. Peraltro, il rinvio pregiudiziale non � consentito senza limiti, ma � ammesso nel solo caso in cui il ricorrente non sia decaduto dalla potest� di sollevare simili eccezioni. Infatti, la stessa Corte di Giustizia ha costantemente affermato che �una decisione adottata dalle istituzioni comunitarie che non sia stata impugnata dal destinatario entro il termine stabilito dall�art. [263], quinto comma, [TFUE] diviene definitiva nei suoi confronti [�]� (30). Occorre dunque concludere che l�eccezione di illegittimit� della decisione di recupero della Commissione pu� essere proposta soltanto dai beneficiari dell�aiuto, che non avrebbero potuto proporre autonomo ricorso in via principale avverso la decisione di recupero adottata in proposito dalla Commissione ai sensi dell�art. 263 TFUE. Ai sensi di tale norma, infatti, �gli atti che istituiscono gli organi e organismi dell�Unione possono prevedere condizioni e modalit� specifiche relative ai ricorsi proposti da persone fisiche o giuridiche contro atti di detti organi o organismi destinati a produrre effetti giuridici nei loro confronti�. III. PROFILI PROCESSUALI DEL GIUDIZIO RELATIVO AL RECUPERO DEI BENEFICI FISCALI ILLEGALI NEL REGIME PREVISTO DALL�ART. 47-BIS DEL D.LGS. 31 DICEMBRE 1992, N. 546 1. La sospensione dell�esecutivit� del provvedimento impugnato. - Con riferimento alla tutela cautelare avverso i provvedimenti di recupero, l�art. 47bis d.lgs. n. 546/92 ha introdotto rilevanti elementi di specialit� rispetto alla disciplina generale. Infatti, esso rinvia ai soli commi 1, 2, 4, 5, 7 ed 8 del precedente art. 47 e contiene alcune deroghe espresse alle sue previsioni. In primo luogo, dal combinato disposto delle norme si desume che � esclusa la possibilit� di richiedere la sospensione urgente del provvedimento impugnato mediante decreto presidenziale emesso inaudita altera parte. La decisione sul- l�istanza cautelare � perci� rimessa alla competenza esclusiva del collegio. Sotto altro profilo, il presupposto della sospensione dell�atto di recupero � rappresentato non dalla semplice prospettazione di un danno grave ed irreparabile, ma dalla ricorrenza cumulativa dei seguenti requisiti: a) gravi motivi di illegittimit� della decisione di recupero, ovvero nell�individuazione del soggetto obbligato alla restituzione o evidente errore nel calcolo della somma da recuperare, nei limiti di tale errore; b) pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile. Ai sensi del secondo comma dell�art. 47-bis, inoltre, se la sospensione si (30) Corte di Giustizia C.E., Lucchini, cit., punti 54 e 55, che richiama le precedenti sentenze 9 marzo 1994, in causa C.188/92, TWD Textilwerke Deggendorf, punto 13, e 22 ottobre 2002, in causa C.241/01, National Farmers� Union, punto 34. CONTRIBUTI DI DOTTRINA fonda su motivi attinenti alla illegittimit� della decisione di recupero della Commissione, il giudice nazionale deve disporre la sospensione del giudizio e l�immediato rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia, con richiesta di trattazione d�urgenza ai sensi dell�art. 104-ter Reg. proc. Corte di Giustizia, salvo il caso in cui tale questione non sia gi� stata ad essa deferita. La sospensione che sia richiesta sulla base di questi motivi non pu� essere comunque concessa se il ricorrente: a) sia decaduto dalla potest� di sollevare simili eccezioni per non aver proposto autonomo ricorso in via principale dinanzi alla Corte di Giustizia U.E. ai sensi dell�art. 263, c. 5, TFUE, pur essendo individuabile in base alla decisione di recupero; b) pur avendo proposto tale autonomo ricorso dinanzi ai Giudici comunitari, non abbia ivi chiesto o ottenuto la sospensione dell�esecutivit� della decisione di recupero della Commissione (31). Ai sensi del quarto comma dell�art. 47-bis, la misura cautelare ha una validit� limitata ad un periodo di 60 giorni. Essa pu� essere tuttavia confermata per un periodo massimo (non prorogabile) di ulteriori 60 giorni, sulla base degli stessi presupposti e nel caso in cui la causa non sia stata ancora decisa nel merito. 2. I profili di specialit� del giudizio di merito. - Il giudizio tributario concernente il recupero dei benefici fiscali ritenuti illegali � caratterizzato da varie norme speciali, aventi tutte funzione acceleratoria. Tali norme tendono ad adeguare il rito al principio comunitario secondo cui il recupero deve essere effettuato integralmente e senza indugio (32). Sotto un primo profilo occorre osservare che, per il disposto del quarto comma dell�art. 17-bis d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la proposizione della causa non � subordinata al preventivo esperimento del tentativo di mediazione, introdotto in via generale per il giudizio tributario dall�art. 39, c. 9, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla 1. 15 luglio 2011, n. 111. La mediazione non avrebbe infatti nessuna effettiva utilit�, in considerazione (31) V. supra, paragrafo I.3 e nota 13. Le disposizioni in esame costituiscono la fedele trasposizione dei principi contenuti nella Comunicazione della Commissione relativa all�applicazione della normativa in materia di aiuti di Stato da parte dei giudici nazionali (2009/C 85/01), e fondati sulla giurisprudenza comunitaria. Ai sensi dei punti 66-68 di tale Comunicazione, infatti: a) i ricorsi promossi dinanzi ai giudici nazionali non possono contestare la validit� della decisione della Commissione qualora il ricorrente abbia avuto la possibilit� di impugnare direttamente tale decisione dinanzi al giudice comunitario ai sensi dell�art. 230 del trattato CE, corrispondente all�attuale art. 263 del T.F.U.E.; b) qualora tale eccezione non sia preclusa, il giudice nazionale deve richiedere una pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia conformemente all�art. 234 del Trattato CE (corrispondente all�attuale art. 267 T.F.U.E.); c) in conformit� con i principi enunciati nelle sentenze della Corte di Giustizia C.E.E., Zuckerfabrik ed Atlanta, cit., la concessione di un provvedimento provvisorio in siffatte circostanze � strettamente subordinata: i) all�esistenza di gravi riserve sulla validit� della decisione di recupero ed all�immediato deferimento della questione alla Corte di Giustizia europea, qualora essa non sia gi� stata preventivamente adita; ii) alla ricorrenza degli estremi del danno grave ed irreparabile; iii) alla mancanza di pregiudizi per gli interessi della Comunit�. (32) V. supra, paragrafo I, 3. dell�obbligo di procedere all�integrale recupero dell�aiuto. Il quarto comma dell�art. 47-bis del d.lgs. n. 546/92 dispone poi che la causa � definita nel merito nel termine di 60 giorni �dalla pronuncia dell�ordinanza di sospensione�. Si tratta di disposizione di ordine puramente programmatico: lo stesso legislatore ipotizza che tale termine non sia rispettato, laddove prevede la possibilit� di prorogare oltre la sua scadenza l�efficacia delle misure cautelari concesse (33). Il citato quarto comma dell�art. 47-bis dispone inoltre che: �Non si applica la disciplina sulla sospensione feriale dei termini�. Ad una prima lettura, a carattere meramente dichiarativo, questa disposizione assume portata generale ed appare applicabile a tutti i termini processuali, compresi quelli per la proposizione del ricorso e delle eventuali impugnazioni. La Cassazione ha tuttavia ritenuto, in base ad argomenti sistematici, che la regola dell�inapplicabilit� della sospensione dei termini feriali riguarda soltanto i giudizi di primo grado, in cui sia stata richiesta l�adozione di una misura cautelare (34). Tale tesi appare plausibile, perch� la disposizione si inserisce nel contesto delle previsioni relative alla durata dei provvedimenti cautelari. Il legislatore ha inteso precisare, in sostanza, che il termine di efficacia dei provvedimenti di sospensiva non pu� essere maggiorato dei termini feriali, ed ha stabilito che la breve durata della misura cautelare concessa � compensata dalla possibilit� di fissare l�udienza di discussione nel periodo feriale. La portata limitata e parziale della disposizione di cui trattasi trova d�altronde conferma nel fatto che il settimo comma estende espressamente la regola della inapplicabilit� della sospensione dei termini feriali al giudizio di appello; e tale estensione sarebbe inutile, se la norma richiamata avesse una portata generale. � vero altres� che - come rileva la S. Corte nella sentenza sopra considerata - la deroga alle ordinarie regole sulla sospensione feriale dei termini rischia di pregiudicare, piuttosto che favorire, l�adempimento dei precetti comunitari, perch� espone al rischio di impugnazioni tardive l�Amministrazione finanziaria che sia soccombente in un grado del giudizio di merito. In questa prospettiva, � preferibile l�interpretazione restrittiva sostenuta innanzi, che � maggiormente conforme alla normativa comunitaria in tema di recupero degli aiuti illegali. Il quinto e sesto comma dell�art. 47-bis prevedono infine la pubblicit� del rito, l�immediata lettura del dispositivo in udienza ed il deposito delle motivazioni della sentenza entro 15 giorni, cos� da evitare pregiudizievoli ritardi (33) Ai sensi dell�art. 2, comma 3, del d.l. n. 59 del 2008, convertito nella l. n. 101 del 2008, �il presidente di sezione, in ogni grado del procedimento, vigila sul rispetto dei termini di cui [�] ai commi 4 e 7, primo periodo, dell'articolo 47-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 [�]�. (34) Cfr. Cass., 29 dicembre 2010, n. 26285. CONTRIBUTI DI DOTTRINA nella attivit� di recupero. La mancanza della lettura del dispositivo in udienza � causa di nullit� della decisione (35). 3. Il giudizio di appello. - Come gi� osservato, nel giudizio di appello avverso gli atti di recupero dell�Amministrazione non si applica la sospensione dei termini feriali di cui alla l. 7 ottobre 1969 n. 742. Ci� � stabilito testualmente dal settimo comma, ultimo periodo, dell�art. 47-bis in esame, che fa espresso richiamo alla disposizione sull�inapplicabilit� dei termini feriali contenuta nel quarto comma e gi� sopra analizzata. Ai sensi del predetto comma, inoltre, �tutti i termini del giudizio di appello [�], ad eccezione di quello stabilito per la proposizione del ricorso, sono ridotti alla met��. La norma ha significato e portata inequivoci; appaiono perci� opinabili le interpretazioni giurisprudenziali che tendono ad escluderne la portata precettiva, al dedotto scopo di evitare che essa possa pregiudicare le impugnazioni proposte dell�Amministrazione finanziaria al fine di assicurare il rispetto dell�obbligo di recupero delle istituzioni comunitarie (36). � incerta inoltre la portata dell�eccezione al dimezzamento dei termini stabilita per la �proposizione del ricorso�, dovendosi stabilire se essa si riferisca solo alla sua notificazione o anche al suo successivo deposito. Al riguardo, occorre considerare che la giurisprudenza amministrativa, nell�affrontare l�analogo problema originato dall�art. 23-bis l. 7 dicembre 1991, n. 1034, introdotto dall�art. 4, 1. 21 luglio 2000, n. 205, ha accolto la prima soluzione (37); ma anche in questo caso l�alterazione dei termini ordinari pu� pregiudicare l�interesse pubblico al recupero dell�aiuto, rendendo pi� gravoso l�eventuale appello dell�Amministrazione finanziaria avverso una sentenza di primo grado sfavorevole. Il settimo comma dell�art. 47-bis dispone infine che la trattazione del- l�appello �ha priorit� assoluta� e richiama le disposizioni dei commi 5 e 6, concernenti la pubblicit� dell�udienza di discussione; l�obbligo di lettura del dispositivo in udienza, a pena di nullit� della sentenza; l�obbligo di deposito della motivazione nel termine di 15 giorni dalla lettura del dispositivo. IV. LE QUESTIONI PRELIMINARI E DI MERITO 1. Decadenza e prescrizione. - Le azioni di recupero dei tributi non versati per effetto di benefici fiscali qualificati come aiuti di Stato illegali, hanno originato frequenti questioni pregiudiziali di decadenza e di prescrizione. Secondo le tesi ordinariamente prospettate dai beneficiari degli aiuti, (35) In tal senso, cfr. Cass., 27 aprile 2012, nn. 6534 e 6535. (36) Cfr. Cass., sentenza n. 26285 del 2010, cit., e Cass., 20 maggio 2011, n. 11228. (37) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 31 maggio 2002, n. 5; ID., 28 dicembre 2011, n. 6925; ID., 23 novembre 2010, n. 8154. l�obbligazione restitutoria avrebbe natura tributaria, in guisa che si renderebbero applicabili gli ordinari termini stabiliti per l�accertamento e/o per l�iscrizione a ruolo degli omessi versamenti. Questa tesi non pu� essere condivisa. Essa non considera che il recupero non costituisce espressione della ordinaria attivit� impositiva degli Uffici finanziari, ma rappresenta una forma di esecuzione della decisione di recupero adottata dalla Commissione, cos� inserendosi nel procedimento comunitario di verifica della ammissibilit� del beneficio (38). La giurisprudenza della S. Corte ha pertanto sistematicamente affermato che �al credito erariale per il recupero di aiuti di Stato, imposto dai competenti organi dell�Unione europea, � inapplicabile il termine quinquennale di decadenza di cui all�art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sia perch� contrastante con il principio di effettivit� del diritto comunitario e con l�obbligo di rispettare le decisioni della Commissione, sia perch� l�azione di recupero di aiuti di Stato � vicenda giuridica diversa dal potere di accertamento in materia fiscale� (39). L�inapplicabilit� degli ordinari termini di decadenza e di prescrizione stabiliti per la riscossione delle imposte non versate per effetto dei benefici indebiti, fa sorgere il problema di individuare i termini prescrizionali concretamente applicabili all�azione di recupero. A tal riguardo, la giurisprudenza di legittimit� ha escluso che si possa fare diretta applicazione del termine decennale, decorrente dal giorno in cui l�aiuto illegale � stato concesso, stabilito dall�art. 15 reg. CE n. 659/99 del 22 marzo 1999 per l�esercizio dei �poteri della Commissione per quanto riguarda il recupero degli aiuti�. Infatti, �tale termine non disciplina direttamente le azioni e le misure intraprese dallo Stato membro volte al recupero presso i terzi beneficiari degli aiuti dichiarati illegittimi, ma trova applicazione esclusivamente con riferimento all�esercizio dei poteri attribuiti alla Commissione europea, esaurendo la propria funzione nell�ambito della definizione del procedimento volto alla verifica di compatibilit� dell�aiuto con il diritto comunitario... [Ed infatti] il procedimento di verifica della compatibilit� dell�aiuto si esaurisce nell�ambito del diritto comunitario ed attiene ad una fonte distinta - anche cronologicamente - dal rapporto amministrativo e dall�eventuale controversia giudiziaria che si instaura tra lo Stato membro ed il beneficiano e che � regolata secondo le procedure previste dalla legge [n.d.r.: sostanziale e processuale] dello Stato membro interessato (art. 14, co. 3), non essendo interscambiabili i termini stabiliti in funzione della garanzia della certezza dei rispettivi ordinamenti comunitario e nazionale� (40). (38) V. supra, paragrafo II, 1, spec. nota 18. (39) Cass., n. 16349 del 2012, cit.. Nello stesso senso, Cass., n. 8108 del 2012, cit.; Cass., 4 maggio 2012, n. 6756; Cass., 20 maggio 2011, n. 11228; Cass., 29 dicembre 2010, n. 26286; Cass., 19 novembre 2010, n. 23418. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Di conseguenza, in mancanza di una specifica norma applicabile al- l�azione di recupero dei benefici illegali, la giurisprudenza ha fatto riferimento all�ordinario termine prescrizionale stabilito dall�art. 2946 c.c., decorrente dal momento in cui il diritto pu� essere fatto valere; momento che deve essere fissato in quello �della notifica della decisione della Commissione allo Stato membro destinatario, atteso che solo all�esito del procedimento di verifica, definito con decisione negativa della Commissione, l�aiuto di Stato fino allora erogato a favore dei beneficiari pu� essere qualificato illegale (non jure)�(41). Il tema del recupero dei benefici fiscali che costituiscano aiuti illegali, deve essere tuttavia oggigiorno rivisitato in base al disposto dell�art. 51 della citata 1. n. 234/12. Infatti, tale norma ha introdotto per la prima volta una specifica disciplina dell�estinzione dell�azione di recupero, stabilendo che: �indipendentemente dalla forma di concessione dell�aiuto di Stato, il diritto alla restituzione dell�aiuto oggetto di una decisione di recupero sussiste fino a che vige l�obbligo di recupero ai sensi del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999�. La norma d� luogo a difficolt� interpretative. Sotto un primo profilo, si potrebbe dubitare che essa sia applicabile al caso degli aiuti concessi sotto forma di benefici fiscali. Infatti, essa si riferisce espressamente al �diritto alla restituzione dell�aiuto�, e sembra perci� presupporre che l�aiuto sia stato concesso sotto forma di sovvenzioni o contributi da recuperare (e non pure sotto forma di esenzione dall�obbligo di corrispondere i tributi nella misura ordinariamente dovuta). � tuttavia preferibile un�interpretazione estensiva, che comprenda anche i casi in cui l�azione consista non gi� nella ripetizione di un aiuto indebitamente corrisposto, ma nel pagamento del tributo a suo tempo non versato per effetto dell�indebito beneficio. Il legislatore afferma infatti che la norma in esame si applica �indipendentemente dalla forma di concessione dell�aiuto�, e mostra cos� di voler introdurre una disciplina di carattere generale, applica (40) Cass., 12 settembre 2012, n. 15207. Tale statuizione � conforme alla giurisprudenza della Corte di Giustizia C.E., che con sentenza del 6 ottobre 2005, in causa C-276/03, Scott SA, ha affermato che la interruzione della prescrizione della azione di verifica della compatibilit� di una misura di aiuto disposta da uno Stato membro, ai sensi dell�art. 15 del Regolamento n. 659/1999, non � subordinata alla condizione dell�avvenuta notificazione dell�atto interruttivo al beneficiario dell�aiuto; e ci� in quanto tale azione si svolge esclusivamente nei confronti dello Stato membro, e non pure del beneficiario del- l�aiuto, che - pur godendo di alcuni diritti procedurali in considerazione dei propri interessi sostanziali -non pu� considerarsi parte del procedimento comunitario. Nello stesso senso, cfr. la sentenza della Corte Cost. n. 125 del 2009, che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 3, comma 9, lett. a), ultima parte, e comma 10, della l. 8 agosto 1995, n. 335, in combinato disposto con l�art. 15 del regolamento del Consiglio delle Comunit� Europee n. 659/1999 del 22 marzo 1999, perch� fondata sull�erroneo presupposto che il termine di prescrizione previsto da tale norma possa trovare applicazione nei rapporti tra lo Stato membro ed il beneficiario dell�aiuto. (41) Cass., n. 15207 del 2012, cit. bile a qualsiasi genere di aiuto di Stato da recuperare in base ad una decisione di non conformit� della Commissione. Ulteriori ed ancor pi� gravi difficolt� interpretative riguardano la concreta determinazione del termine di estinzione dell�azione di recupero, a cui la norma in esame ha inteso fare riferimento. In base ad essa, l�azione nei confronti del beneficiario pu� essere esercitata �fino a che vige l�obbligo di recupero ai sensi del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999�; tuttavia, tale regolamento non stabilisce affatto il termine per l�esercizio dell�azione di recupero, ma dispone che �la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l�aiuto dal beneficiano� (art. 14 � i Reg. n. 659/ 99) e rinvia �alle procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentono l�esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione� (art. 14 � 3 Reg. citato). In tali circostanze, si potrebbe ritenere che il legislatore - rinviando alla disciplina del Regolamento comunitario, che a sua volta fa salve le procedure previste dalla legge nazionale - abbia voluto accogliere la soluzione gi� accolta dalla citata giurisprudenza di legittimit�, secondo cui il predetto Regolamento rende applicabile la legge (non solo processuale, ma anche sostanziale) degli Stati membri, e comporta quindi l�applicabilit� dell�ordinario termine di prescrizione decennale (decorrente dal momento in cui il diritto pu� essere fatto valere) stabilito dall�art. 2946 c.c. Tale interpretazione appare tuttavia poco logica, essendo poco plausibile che la norma in esame abbia voluto riferirsi puramente e semplicemente, attraverso un duplice rinvio, alla comune disciplina interna. � pi� verosimile che il riferimento all��obbligo di recupero ai sensi del Regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999� deve essere inteso nel senso che l�azione di recupero pu� e deve essere esercitata finch� perdurano gli obblighi di esecuzione della decisione di recupero emessa dalla Commissione, ai sensi del predetto Regolamento. Il legislatore ha inteso dunque operare un rinvio dinamico (non alle disposizioni del Regolamento, ma, alle misure imposte dalla Commissione a carico dello Stato membro con la decisione prevista dal predetto Regolamento. 2. Obbligo di recupero e principio dell�affidamento. - In conformit� con i principi pi� volte affermati dalla Corte di Giustizia U.E. (42), la giurisprudenza di legittimit� ha costantemente riconosciuto che l�azione di recupero dell�Amministrazione non � impedita dall�asserito stato di buona fede del beneficiario dell�aiuto e dall�affidamento che egli abbia riposto nella validit� ed efficacia delle norme che prevedevano i benefici fiscali dichiarati non compatibili con il diritto dell�Unione. Infatti, gli obblighi di diligenza che gravano (42) V. supra, paragrafo I,3. CONTRIBUTI DI DOTTRINA sul contribuente impediscono di ritenere che egli potesse legittimamente confidare nella legittimit� del beneficio, prima della sua approvazione da parte della Commissione, in conformit� con le pertinenti disposizioni del TFUE. Invero, �in tema di recupero di aiuti di Stato, in ragione del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione europea ai sensi dell�art. 88 TCE (ora 108 TFUE: n.d.r.), le imprese beneficiarie di un aiuto non possono fare legittimo affidamento sulla regolarit� dell�aiuto ove lo stesso sia stato concesso senza il rispetto della procedura o prima della sua regolare conclusione, n� possono invocare a sostegno di tale affidamento l�eventuale incertezza degli orientamenti comunitari in materia [...], dovendosi altres� considerare irrilevanti sia l�esistenza di eventuali disposizioni legislative nazionali che disciplinano gli aiuti, poi giudicati illegittimi, sia eventuali pronunce dei giudici nazionali, ivi inclusa la Corte Costituzionale, in quanto la valutazione di compatibilit� degli aiuti con il mercato comune di portata comunitaria � di spettanza esclusiva della Commissione� (43). 3. La quantificazione del recupero e la determinazione degli interessi. - Il recupero dell�aiuto deve essere integrale (44). Ci� comporta che, nel caso in cui sia superata la soglia de minimis (che consentirebbe di ritenere la compatibilit� dell�aiuto con la normativa comunitaria, e la conseguente insussistenza dell�obbligo di recupero da parte dello Stato membro), riacquista pieno vigore la disciplina del divieto, che involge l�intera somma; con la conseguenza che il beneficiario non potr� pretendere di limitare il proprio obbligo di pagamento alla sola parte del beneficio che eccede la soglia di tolleranza (45). Dalla natura dell�attivit� di recupero come azione di esecuzione della decisione comunitaria, piuttosto che come azione di riscossione dei tributi non pagati, deriva l�inapplicabilit� delle norme in tema di interessi sui debiti di imposta, dettata dalla 1. 26 gennaio 1961 n. 29 e dalla l. 18 aprile 1978 n. 130. Si rende invece applicabile l�art. 14, � 2, Reg. CE n. 659/99, secondo cui �all�aiuto da recuperare ai sensi di una decisione di recupero si aggiungono gli interessi calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla Commissione. Gli interessi decorrono dalla data in cui l�aiuto illegale � divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data di recupero�. V. LA RIFORMA INTRODOTTA DAGLI ARTT. 46 E SS. DELLA L. 24 DICEMBRE 2012, N. 234 Come si � gi� evidenziato (46), l�art. 47-bis d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, � stato recentemente abrogato dall�art. 61, c. 5, 1. 24 dicembre 2012, n. (43) Cass., n. 6756 del 2012. (44) V. supra, paragrafo I,3. (45) In tal senso, v. Cass., n. 11228 del 2011, cit. (46) V. supra, paragrafo II,1. 234, che ha dettato una nuova disciplina, generale ed uniforme, per il recupero degli aiuti di Stato illegali o incompatibili, concessi sotto qualunque forma, nel rispetto del principio di equivalenza contenuto nella disciplina comunitaria. In particolare, la riforma ha attribuito al Ministro competente il potere di procedere al recupero dell�aiuto indebito e ha affidato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione delle controversie �relative agli atti e i provvedimenti che concedono aiuti di Stato in violazione dell�articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell�Unione europea� e delle controversie �aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di cui all�articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, a prescindere dalla forma del- l�aiuto e dal soggetto che l�ha concesso�. Nel caso di aiuti concessi sotto forma di benefici fiscali, il vecchio rito rimane applicabile in via residuale ai giudizi in corso alla data del 19 gennaio 2013. In questo modo, si � definitivamente interrotto il rapporto genetico tra l�azione di recupero ed il rapporto giuridico sottostante, e si � stato portato a compimento il processo di astrazione dell�azione di esecuzione della decisione della Commissione dalla tipologia dell�aiuto concesso al beneficiario. La pregressa esperienza giurisprudenziale non pu� considerarsi per� vana, perch� i principi generali da essa elaborati sono suscettibili di essere traslati nel contesto del nuovo giudizio che si dovr� svolgere dinanzi al giudice amministrativo. Rimane da verificare se il nuovo rito sia integralmente applicabile al caso di aiuti illegali concessi sotto forma di benefici fiscali, o se in questa ipotesi siano ravvisabili ipotesi di specialit�. In particolare, occorrer� verificare se possa essere estesa a questa fattispecie la disposizione che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione delle controversie �relative agli atti ed ai provvedimenti che concedono aiuti di Stato in violazione dell�art. 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell�Unione Europea� (art. 133, comma 1, lett. z-sexies, del c.p.a., introdotto dall�art. 49, comma 2, della 1. n. 234 del 2012); atti e provvedimenti che, ai sensi del successivo articolo 50 della predetta 1egge, �possono essere impugnati davanti al tribunale amministrativo regionale competente per territorio�. La norma in esame fa riferimento non gi� all�ipotesi dei ricorsi proposti dal beneficiario dell�aiuto illegale contro il provvedimento dell�Amministrazione che ne dispone il recupero, in attuazione di una decisione della Commissione (e, quindi, all�ipotesi di public enforcement degli artt. 107 e 108 � 3 TFUE), ma al caso del ricorso proposto da un�impresa privata concorrente avverso l�atto o il provvedimento di concessione dell�aiuto concesso dall�Amministrazione in asserita violazione dei principi comunitari della concorrenza. In definitiva, si tratta di stabilire se possono configurarsi ipotesi di private enforcement dinanzi al giudice nazionale giurisdizionalmente competente in caso di aiuti concessi sotto forma di benefici fiscali. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Sembra che al quesito si debba dare risposta negativa, per insormontabili ragioni di ordine sia letterale che logico. Sotto il primo profilo, si osserva che la legge fa riferimento ai ricorsi proposti dal privato interessato avverso �atti e provvedimenti che concedono aiuti di Stato�, e quindi avverso gli aiuti concessi dallo Stato in via amministrativa. In questa tipologia non possono rientrare gli aiuti concessi sotto forma di benefici fiscali, che - per il principio di legalit� stabilito dall�art. 23 Cost. - devono essere concessi in base ad una specifica norma di legge. Sotto il profilo logico, non sembra possibile devolvere al giudice amministrativo, che � giudice della legittimit� degli atti amministrativi, la cognizione della legittimit� di un aiuto concesso dallo Stato in base alla legge. La concessione di un beneficio fiscale rappresenta pur sempre un�espressione della sovranit� dello Stato, che non � sindacabile dal privato, se non nelle forme (che qui non ricorrono) dell�incidente di costituzionalit�. Occorre dunque concludere che, nel caso di aiuti concessi sotto forma di indebiti benefici fiscali, la riforma del rito si limita a devolvere al giudice amministrativo le controversie gi� conoscibili dal giudice tributario, facendo salvi i principi ed i limiti gi� individuati dalla pregressa giurisprudenza. Bibliografia AA.VV. (a cura di L. SALVINI), Aiuti di Stato in materia fiscale, Padova, 2007; E. ALTIERI, Competenze del giudice nazionale in materia di aiuti di Stato nel settore fiscale, in Rass. trib., 2003, 2339 ss.; V. DI BUCCI, Aiuti di Stato e misure fiscali nella recente prassi della Commissione C.E. e nella giurisprudenza delle giurisdizioni tributarie, in Rass. trib., 2003, 2315 ss.; A. FANTOZZI, The applicability of State aid rules to tax competition measures: a process of �de facto� harmonization in tax field?, in AA.VV. (a cura di W. 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RUSSO, Le agevolazioni e le esenzioni fiscali alla luce dei principi comunitari in materia di aiuti di Stato: i poteri del giudice nazionale, in Rass. trib., 2003, 330 ss., e in Riv. it. dir. pubbl. com., 2004, 225 ss.; W. SCHON, Taxation and State aid law in the European Union, in C.m.l.rev., 1999, 935 ss.. Finito di stampare nel mese di novembre 2013 Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma