ANNO LXV - N. 2 APRILE - GIUGNO 2013 


RASSEGNA 
AV V O C AT U R A 
DELLO STATO 


PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 


COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino -
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 

DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 

COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria 
Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano 
Varone. 

CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo Luigi 
Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni 

- Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola 
Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 

HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Alessandra Bruni, Antonio 
Vincenzo Castorina, Enrico De Giovanni, Gianna Maria De Socio, Ettore Figliolia, Fabrizio 
Gallo, Giuliano Gambardella, Michele Gerardo, Federico Maria Giuliani, Nicol� Guasconi, 
Francesco Mataluni, Adolfo Mutarelli, Glauco Nori, Giustina Noviello, Vincenzo Nunziata, 
Carmela Pluchino, Diana Ranucci. Valeria Romano, Massimo Salvatorelli, Agnese Soldani, 
Francesco Spada, Fabio Tortora, Cesare Trecroci, Sabrina Trivelloni, Fabrizio Urbani Neri. 

E-mail: 
giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 
maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829562 

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AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
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Stampato in Italia - Printed in Italy 

Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


INDICE - SOMMARIO 


TEMI ISTITUZIONALI 

Protocollo d�intesa tra Avvocatura dello Stato ed Agenzia delle Entrate 

Gianna Maria De Socio, Gestione del contenzioso relativo a strutture 
commissariali cessate dopo la chiusura dello stato di emergenza. Art. 3 

D.L. n. 59/2012. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

Stefano Varone, Corte di Giustizia UE 4 luglio 2013 causa C-100/2012: 
note minime sui rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale 
�escludente�. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Sabrina Trivelloni, Attivit� di protezione civile tra contratti di appalto, 
affidamenti in house, accordi fra pubbliche amministrazioni, e alla luce 
delle pronunce della Corte di Giustizia dell�Unione Europea e della giurisprudenza 
nazionale. Interpretazione della sentenza CGUE 19 dicembre 
2012, C-159/11 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

CONTENZIOSO NAZIONALE 

Glauco Nori, Una questione di principio sulla sentenza FIOM (C. cost., 
sent. 23 luglio 2013 n. 213) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Marina Russo, Indennizzo di danni da emotrasfusione anche per contagio 
da emodialisi (Cass. civ., Sez. III, sent. 16 aprile 2013 n. 9148) . . . . . . . 

Maurizio Borgo, Competenza del giudice ordinario sui respingimenti di-
feriti dello straniero (Cass. civ., Sez. Un., sent. 17 giugno 2013 n. 15115) 

Fabrizio Gallo, La protezione umanitaria nell�interpretazione delle corti 
territoriali calabresi e delle giurisdizioni superiori. . . . . . . . . . . . . . . . . 

Michele Gerardo, Confermata in appello l�accertamento della demanialit� 
�sopravvenuta� delle acque del lago Lucrino (Trib. sup. acque, sent. 
4 dicembre 2012 n. 164). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Valeria Romano, Potere amministrativo implicito e atto amministrativo 
implicito: ammissibilit� e condizioni di legittimit� dell�uno e dell�altro 

(Cons. St., Sez. VI, sent. 2 maggio 2012 n. 2521). . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Antonio Vincenzo Castorina, L�onere della prova in tema di illegittima 
aggiudicazione di appalti pubblici e il recente orientamento della Corte 
di Giustizia (Cons. St., Sez. V, sent. 8 novembre 2012 n. 5686) . . . . . . . 

Giustina Noviello, Provvedimento disciplinare inflitto a magistrato ordinario 
(Tar Lazio, Sez. I quater, sent. 23 maggio 2013 n. 4064) . . . . . . . 

I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

Enrico De Giovanni, Appalto di opere pubbliche: modalit� di cessione 
del credito vantato verso una P.A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

pag. 1 
�� 10 
�� 37 
�� 50 
�� 67 
�� 78 
�� 85 
�� 90 
�� 99 
�� 106 
�� 128 
�� 146 
�� 153 


Agnese Soldani, Prevalenza del criterio di specialit� per le assunzioni a 
tempo indeterminato presso l�AGCM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 155 


Ettore Figliolia, Interpretazione art. 1, co. 19 e segg., L. 190/2012 in materia 
di arbitrato dei lavori pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 157 


Carmela Pluchino, Spese di giustizia: oneri del contributo unificato anche 
in caso di �soccombenza virtuale� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 161 


Fabrizio Urbani Neri, Risarcimento per �danno all�immagine di una P.A.� 
a seguito di reati perpetrati da pubblico ufficiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163


�� 
Agnese Soldani, Spese di giustizia: oneri del contributo unificato in caso 
di soccombenza reciproca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 165 

Ettore Figliolia, Sulla giustiziabilit� immediata delle riserve iscritte dal 
contraente generale ante collaudo delle opere in appalto . . . . . . . . . . . . �� 166 

Massimo Santoro, Rimborso spese legali ex art. 32 l. n. 152/1975: procedimenti 
conclusi con sentenza di prescrizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169

�� 
Giuseppe Albenzio, Applicabilit� del termine, previsto dall�art. 2 l. n. 
241/1990 e s.m.i. per la conclusione del procedimento amministrativo, 
all�autotutela in materia tributaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 174 

Marina Russo, Sull�affidamento della gestione del Fondo per i l sostegno 
finanziario dell�internalizzazione del sistema produttivo (Fondo Pubblico 
di Venture Capital - FVC). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 180 

Fabio Tortora, Accise: sanzioni per la tutela del bene giuridico sostanziale 
(evasione/tentata evasione di imposta) e sanzioni per la tutela del bene 
giuridico formale (mancata/non corretta dichiarazione in via telematica) �� 185 

Vincenzo Nunziata, Criteri interpretativi delle ordinanze cautelari in materia 
di appalti pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 188

�� 
Massimo Salvatorelli, Domanda di accesso al Fondo di rotazione per la 
solidariet� alle vittime dei reati di tipo mafioso. Legge 22 dicembre 1999, 

n. 512 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 192 

Diana Ranucci, Utilizzazione del R.D. 14 aprile 1910 n. 639 nelle procedure 
di rimborso a favore della P.A.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 194 

LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 

Alessandra Bruni, Nicol� Guasconi, Lo Stato ferito: con la sentenza in 
commento un contributo sui reati compiuti nel corso delle manifestazioni 


(nota a Trib. Roma, Sez. VII, sent. 30 novembre 2012 n. 16442) . . . . . . �� 199 

Michele Gerardo, Adolfo Mutarelli, Il pubblico impiego dinanzi alla Riforma 
Fornero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 219 

Federico Maria Giuliani, Finanziameti bancari rogati all�estero tra regime 
civilistico e imposta sostitutiva del registro (Nota a Risoluzione n. 
20/E in data 28 marzo 2013 della Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale 
Normativa). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 231 


Francesco Mataluni, Sulla azione per l�efficienza amministrativa introdotta 
con il D. lgs. 198/2009 con riferimento ai primi orientamenti giurisprudenziali 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 239 
Francesco Spada, Le disposizioni in materia di inconferibilit� e incompatibiulit� 
di incarichi di cui al d.lgs. n. 39/2013 . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 261 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Lorenzo D�Ascia, L�atto presupposto nel diritto tributario. . . . . . . . . . . �� 271 
Giuliano Gambardella, Osservazioni sul libro III, titolo I del codice del 
processo amministrativo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 289 
Cesare Trecroci, Il risarcimento del danno per equivalente da aggiudicazione 
illegittima. Alcune osservazioni in materia di decadenza dell�azione 
di condanna, prescrizione e quantum risarcibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 334 

temi istituzionali
TEMI ISTITUZIONALI 
PROTOCOLLO D�INTESA TRA 
AVVOCATURA DELLO STATO ED AGENZIA DELLE ENTRATE 


Considerato che, ai sensi dell�art. 72 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 
300, l�Agenzia delle Entrate (di seguito denominata anche solo Agenzia) pu� 
avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato (di seguito denominata 
anche solo Avvocatura) ai sensi dell�art. 43 del testo unico approvato con regio 
decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e che, in base a tale ultima disposizione, 
l�Avvocatura � autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa del-
l�Agenzia, salve le ipotesi di conflitto ed i casi speciali ivi previsti; 

Ritenuta l�opportunit� di disciplinare, sulla base della distinzione dei ruoli e 
delle competenze e del riconoscimento delle rispettive responsabilit�, le modalit� 
di cooperazione tra l�Agenzia e l�Avvocatura, al fine di assicurare nel 
modo migliore la piena tutela degli interessi pubblici coinvolti, prevedendo 
anche forme snelle e semplificate di relazioni, tali da rafforzare l�efficienza e 
l�efficacia dell�azione amministrativa e l�ottimale funzionalit� delle strutture; 

Ravvisata, in particolare, l�opportunit� di prevedere modalit� operative volte 
a garantire un efficiente ed incisivo apporto consultivo dell�Avvocatura, nonch� 
lo svolgimento del patrocinio dell�Agenzia affidato alla stessa Avvocatura 
nei giudizi attivi promossi o proseguiti in gradi ulteriori dall�Agenzia e nei 
giudizi passivi instaurati o coltivati da terzi nei confronti della medesima; 

Considerata, per effetto delle disposizioni di cui all�articolo 23-quater del de-
creto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 
agosto 2012, n. 135, la successione dell�Agenzia delle Entrate nei rapporti giuridici 
attivi e passivi, anche processuali, dell�Agenzia del Territorio, in materia 
di catasto, di registri immobiliari, di servizi geotopocartografici e di servizi di 
valutazione immobiliare e tecnico-estimativi (di seguito, settore Territorio); 


Tra il Direttore dell�Agenzia delle Entrate, Dott. Attilio Befera, come da delibera 
del Comitato di gestione del 23 luglio 2013, n. 31/2013 (allegato sub A) 

e 
l�Avvocato Generale dello Stato, Avv. Michele Giuseppe Dipace 
si conviene quanto segue. 

1. ATTIVIT� CONSULTIVA 

1.1 Allo scopo di razionalizzare gli interventi, l�Agenzia, tramite le competenti 
Direzioni centrali, provvede a coordinare la proposizione di 
quesiti e richieste di pareri che involgono questioni interpretative di 
carattere generale o di particolare rilevanza, evitando l�inoltro di specifiche 
richieste tramite proprie strutture periferiche. 

1.2 Considerato che l�efficacia dell�attivit� consultiva � direttamente correlata 
alla tempestiva acquisizione dei richiesti pareri, l�Avvocatura provvede 
a corrispondere con tempestivit� alle relative richieste, comunque 
nei termini imposti dai procedimenti amministrativi o, in mancanza, 
entro 60 giorni dalla richiesta (eventualmente anticipando il parere per 
posta elettronica o fax), segnalando i casi in cui ci� non sia possibile. 

1.3 L�Agenzia - ove ritenuto necessario - informa l�Avvocatura generale 
dei principali orientamenti dalla stessa assunti, in particolare in ordine 
all�interpretazione di normativa di prima applicazione, al fine di acquisire 
eventuali suggerimenti e/o pareri, particolarmente nella prospettiva 
dei riflessi sulla gestione del relativo contenzioso, potenziale o in atto. 

1.4 L�Avvocatura, su richiesta dell�Agenzia, esprime parere sugli atti di 
transazione redatti dalle strutture centrali o periferiche interessate e, 
nei limiti della propria disponibilit�, assicura l�assistenza nel luogo ove 
si svolge l�attivit� transattiva. 

2. ASSISTENZA E RAPPRESENTANZA IN GIUDIZIO 

2.1 Disposizioni generali 

2.1.1 Al fine di consentire all�Avvocatura il regolare svolgimento delle proprie 
funzioni, l�Agenzia, attraverso le proprie strutture centrali o territoriali, 
provvede ad investire l�Avvocatura delle richieste di patrocinio con il 
pi� ampio margine rispetto alle scadenze, fornendo tutti gli opportuni 
elementi istruttori. In sede di richiesta verr� precisato il nominativo del 
funzionario incaricato dell�istruttoria, con le modalit� per la sua immediata 
reperibilit� (telefono, fax, posta elettronica); analogamente l�Avvocatura 
provvede a segnalare alla struttura richiedente dell�Agenzia il 
nominativo dell�Avvocato incaricato dell�affare e le medesime modalit� 
di immediata reperibilit� (telefono, fax, posta elettronica). Ogni eventuale 
modifica dei predetti recapiti va tempestivamente comunicata. 


2.1.2 Al fine di assicurare nel modo pi� sollecito ed efficace lo svolgimento 
delle rispettive attivit� istituzionali, � assicurato all�Avvocatura l�accesso 
ai dati relativi ai fascicoli di causa delle controversie pendenti 
presso le Commissioni tributarie. 

2.1.3 Ove l�Avvocatura ritenga di non convenire, per singole controversie, 
sulle richieste avanzate dall�Agenzia, provvede, se del caso previa acquisizione 
di elementi istruttori, a darne tempestiva e motivata comunicazione 
alla struttura richiedente, al fine di pervenire ad una definitiva 
determinazione. Le divergenze che insorgono tra l�Avvocatura e 
l�Agenzia, circa l�instaurazione di un giudizio o la resistenza nel medesimo, 
sono risolte dal Direttore dell�Agenzia, ai sensi dell�art. 12, 
secondo comma, della legge 3 aprile 1979, n. 103. 

2.1.4 Qualora gli atti introduttivi del giudizio o di un grado di giudizio e qualunque 
altro atto o documento vengano notificati all�Agenzia presso 
una sede dell�Avvocatura, non ancora investita della difesa, sono dalla 
stessa inviati senza indugio alla competente struttura dell�Agenzia, utilizzando 
gli strumenti in concreto pi� rapidi. 

2.1.5 L�Avvocatura provvede a tenere informata la competente struttura del-
l�Agenzia dei significativi sviluppi delle controversie dalla stessa curate, 
assicurando, laddove l�Agenzia ne faccia motivata richiesta, il tempestivo 
invio degli atti difensivi propri (in formato editabile onde agevolarne 
l�utilizzo in casi analoghi) e delle controparti, dando comunque 
pronta comunicazione dell�esito del giudizio con la trasmissione di 
copia della decisione. Ove si tratti di pronuncia sfavorevole all�Agenzia 
suscettibile di gravame, l�Avvocatura formula il proprio parere in ordine 
all�impugnabilit� della decisione, di norma contestualmente all�inoltro 
della stessa all�Agenzia. Le pronunce che investano questioni di carattere 
generale sono dall�Avvocatura segnalate alla Direzione centrale 
competente (ivi compresa la Direzione centrale pubblicit� immobiliare 
e affari legali per i contenziosi che interessano il settore Territorio). 

2.1.6. Per le cause che si svolgono davanti ad autorit� giudiziaria avente sede 
diversa da quella della competente Avvocatura, quest�ultima si avvale 
per le funzioni procuratorie di funzionari dell�Agenzia ai sensi dell�art. 
2 del R.D. n. 1611 del 1933; in tal caso, l�Avvocatura trasmette l�atto 
di delega alla competente struttura territoriale dell�Agenzia. In casi eccezionali 
e a seguito di una preventiva intesa con l�Agenzia, l�atto di 
delega pu� essere conferito ad avvocato del libero foro. 

2.1.7 Per le notificazioni degli atti, l�Avvocatura si avvale della collaborazione 
dell�Agenzia nei casi in cui risulti opportuno (qualora, ad esempio, sia 
dubbia l�individuazione del luogo ove effettuarle). In tali casi, se la notifica 
va eseguita nel capoluogo di regione, l�Avvocatura trasmette l�atto 
alla Direzione regionale competente, mentre, se la notifica va eseguita 


fuori del capoluogo di regione, trasmette l�atto alla Direzione provinciale 
o alla sua articolazione territoriale del luogo di esecuzione della 
notifica, sempre che nella citt� ove ha sede tale articolazione sia presente 
l�Ufficio notificazioni esecuzioni e protesti. Ai fini della notifica, 
l�Avvocatura fa pervenire l�atto entro tre giorni lavorativi liberi prima 
della scadenza del termine di impugnazione; si considera non lavorativo 
anche il sabato. La struttura dell�Agenzia invia l�atto all�Avvocatura, 
subito dopo la notifica, tramite modalit� che ne assicurino comunque il 
tempestivo ricevimento da parte dell�Organo legale. 
Per gli atti del settore Territorio le notificazioni sono eseguite sempre 
a cura dell�Avvocatura. 

2.1.8 A richiesta del Direttore dell�Agenzia, l�Avvocatura pu� assumere, ai 
sensi dell�art. 44 del R.D. n. 1611 del 1933, la rappresentanza e la difesa 
di dipendenti dell�Agenzia nei giudizi civili e penali che li interessano 
per fatti e cause di servizio. 

2.1.9 L�Avvocatura segnala tempestivamente i casi in cui non pu� assumere 
il patrocinio potendosi configurare un conflitto di interessi con altra 
amministrazione. Con provvedimento motivato del Direttore, l�Agenzia 
segnala all�Avvocatura generale eventuali casi di possibile conflitto 
con altra amministrazione parimenti assistita dall�Avvocatura, per le 
relative determinazioni. 

2.2 Controversie in cui l�Agenzia pu� stare in giudizio direttamente 

2.2.1 L�Agenzia sta in giudizio direttamente nei casi in cui la legge lo consente, 
salvo diverse intese a livello locale. L�Avvocatura assicura comunque, 
d�intesa con l�Agenzia, il patrocinio nelle controversie in cui vengono 
in rilievo questioni di massima o particolarmente rilevanti in considerazione 
del valore economico o dei principi di diritto in discussione. 

2.2.2 Le sentenze pronunciate in grado di appello relativamente a controversie 
di lavoro, notificate presso l�Avvocatura distrettuale dello Stato, 
sono da quest�ultima trasmesse contemporaneamente, oltre che all�Avvocatura 
generale dello Stato, alla struttura dell�Agenzia parte del giudizio 
di appello, unitamente agli atti essenziali di cui l�Agenzia stessa 
non sia in possesso. 

2.3 Giudizi davanti alle Commissioni tributarie 

Davanti alle Commissioni tributarie regionali, anche a seguito di rinvio 
della Corte di cassazione, d�intesa con la competente Direzione regionale, 
ovvero Direzione regionale-Territorio (di seguito, Direzione regionale 
competente), l�Avvocatura assicura il patrocinio nelle 
controversie particolarmente rilevanti, in particolare nei casi di complessa 
applicazione del principio di diritto affermato dalla Cassazione 


ovvero in considerazione del valore economico o dei principi di diritto 
in discussione. Su richiesta dell�Agenzia, l�Avvocatura assicura altres� 
un supporto legale per l�elaborazione di strategie difensive nelle controversie 
tributarie nei gradi di merito. 

2.4 Giudizi penali 

2.4.1 L�Avvocatura, d�intesa con l�Agenzia, trasmette gli atti dei procedimenti 
penali, irritualmente comunicati o notificati presso l�Organo legale, 
esclusivamente: 

- alla Direzione provinciale, ovvero all�Ufficio provinciale-Territorio 
(di seguito, Direzione provinciale competente), o alla Direzione regionale 
competente che ha presentato la denuncia o, se la denuncia non � 
dell�Agenzia, alla Direzione provinciale o regionale competente a fornire 
le valutazioni funzionali alla costituzione di parte civile; 

-nel caso in cui siano coinvolte pi� Direzioni provinciali competenti 
aventi sede nella stessa regione, alla Direzione regionale competente 
nel cui ambito hanno sede le predette Direzioni provinciali; 
-nel caso in cui siano coinvolte pi� Direzioni provinciali competenti 
aventi sede in regioni diverse, a tutte le Direzioni regionali competenti 
nel cui ambito le Direzioni provinciali competenti hanno sede o, in subordine, 
qualora tale ricerca possa risultare difficoltosa, alla Direzione 
regionale competente nel cui ambito si svolge il procedimento/processo 
penale, la quale provvede al necessario coordinamento con le altre Direzioni 
regionali competenti interessate. 


2.4.2 L�Avvocatura, a seguito di documentata richiesta della Direzione regionale 
competente, invia tempestivamente e comunque almeno dieci giorni 
prima dell�udienza il proprio parere sull�opportunit� della costituzione 
di parte civile dell�Agenzia nel processo penale, semprech� la predetta 
richiesta le sia pervenuta almeno venti giorni prima dell�udienza stessa. 

2.4.3 L�Avvocatura informa la Direzione regionale competente in ordine agli 
esiti dei procedimenti penali in cui l�Agenzia si � costituita parte civile. 

2.5 Ricorsi per cassazione 

2.5.1 Le richieste di ricorso per cassazione concernenti giudizi tributari devono 
pervenire all�Avvocatura generale, integrate con tutta la necessaria 
documentazione, compresi la copia degli scritti difensivi 
dell�Agenzia e della controparte e dei documenti prodotti in giudizio, 
dalla competente struttura territoriale dell�Agenzia, entro: 
a trenta giorni dalla notifica della sentenza all�Agenzia o all�Avvocatura. 
In caso di notifica presso pi� sedi, occorre fare riferimento 
alla prima notifica ricevuta; 
b quattro mesi dalla data di deposito della sentenza non notificata. 


Tale termine � aumentato a dieci mesi per i giudizi instaurati fino al 4 
luglio 2009, data di entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, 
che ha ridotto il �termine lungo� di impugnazione da un anno a sei mesi. 
Ai predetti termini si aggiungono la sospensione feriale di cui all�art. 
1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, nonch� altre eventuali proroghe o 
sospensioni dei termini, ove applicabili. 
In considerazione delle esigenze di organizzazione e pianificazione del 
lavoro dell�Avvocatura, l�Agenzia si impegna ad attivarsi affinch�, con 
effetto dalla data del prossimo protocollo d�intesa, le richieste di ricorso 
per cassazione pervengano all�Avvocatura entro tre mesi (o nove mesi 
per i giudizi instaurati fino al 4 luglio 2009) dal deposito della sentenza. 
Le richieste di ricorso per cassazione sono integrate dalla documentazione 
necessaria per consentire all�Avvocatura la compiuta delibazione 
delle stesse anche sotto il profilo della concreta ed effettiva possibilit� 
di recupero del credito erariale. A tale fine la documentazione di supporto 
relativa al ricorso dovr� comprendere, nel caso di societ�, visure 
camerali aggiornate, nonch�, per le ipotesi di avvenuta estinzione, 
l�elenco dei soci e il bilancio di liquidazione con allegato il piano di riparto. 
Resta inteso che eventuali variazioni successive alla data dei documenti 
allegati alla richiesta saranno verificate dall�Avvocatura. 

2.5.2 In ogni caso la richiesta di ricorso per cassazione, in formato editabile, 
con allegati gli atti e i documenti disponibili in formato elettronico oppure 
agevolmente convertibili, � anticipata all�indirizzo di posta elettronica 
della sezione dell�Avvocatura competente per ciascuna 
Direzione regionale competente. 

2.5.3 L�Avvocatura d� tempestiva informazione alla Direzione regionale 
competente della avvenuta proposizione del ricorso anche attraverso 
l�invio dell�istanza di cui all�art. 369, terzo comma, c.p.c.. 

2.5.4 L�Avvocatura, nei casi in cui non condivida la richiesta di ricorso per 
cassazione, d� tempestiva comunicazione del proprio motivato parere 
negativo, senza restituire il relativo fascicolo, alla Direzione regionale 
competente, tramite posta elettronica o fax e, se del caso, dandone anticipazione 
telefonica ai recapiti indicati nella richiesta di ricorso. In 
ogni caso, tale parere � inviato alla Direzione regionale competente, 
salvo obiettive circostanze impedienti, almeno dodici giorni prima della 
scadenza del termine di impugnazione. 

2.5.5 La Direzione regionale competente, qualora non condivida il parere 
negativo dell�Avvocatura, entro due giorni lavorativi dalla ricezione 
dello stesso, invia per posta elettronica la reiterata richiesta di ricorso, 
con puntuali repliche al predetto parere, alla Direzione centrale competente 
e, per conoscenza, all�Avvocatura. 

2.5.6 Entro quattro giorni lavorativi dalla reiterata richiesta, la Direzione cen



trale competente comunica, preferibilmente per posta elettronica, all�Avvocatura 
il proprio parere in ordine alla sussistenza o meno dei 
presupposti della reiterata richiesta di ricorso. 

2.5.7 Qualora l�Avvocatura non condivida la reiterata richiesta di ricorso cui 
abbia aderito la Direzione centrale competente, comunica con la necessaria 
urgenza il proprio definitivo parere alla Direzione centrale e 
alla Direzione regionale competente mediante posta elettronica o fax. 

2.5.8 Nel caso in cui la Direzione centrale competente non condivida quest�ultimo 
parere dell�Avvocatura, per la risoluzione della divergenza si 
applica il secondo periodo del punto 2.1.3. 

2.5.9 In mancanza di formale e tempestiva conferma del parere negativo 
espresso dall�Avvocatura, quest�ultima provvede, in modo da evitare 
decadenze, alla proposizione del ricorso per cassazione, salvo eventuale 
successiva rinuncia. 

2.5.10 L�Avvocatura si pu� avvalere della collaborazione delle strutture del-
l�Agenzia per la richiesta di trasmissione del fascicolo d�ufficio, ai sensi 
dell�art. 369, terzo comma, c.p.c.. In tal caso, l�Avvocatura invia la predetta 
richiesta alla Direzione regionale competente; se la sentenza impugnata 
� stata emessa da una sezione staccata della Commissione 
tributaria regionale, alla Direzione provinciale competente del luogo 
in cui ha sede la stessa sezione staccata. 

2.5.11 La richiesta di cui al punto precedente, dopo gli adempimenti di rito, � 
immediatamente restituita con modalit� che assicurino comunque il 
tempestivo ricevimento da parte dell�Avvocatura. 

2.5.12 Nel caso di notifica da parte del contribuente di ricorso per cassazione 
concernente un giudizio tributario, la Direzione provinciale competente 
fa pervenire entro venti giorni l�originale notificato del ricorso completo 
di relata di notifica, gli elementi istruttori per il controricorso e 
per l�eventuale ricorso incidentale, con tutti gli atti di causa (atto impugnato, 
ricorso, controdeduzioni e ogni altro atto o documento depositato), 
all�Avvocatura generale e, per conoscenza, alla Direzione 
regionale competente. Per il computo dei termini si tiene conto della 
sospensione di cui al punto 2.5.1. La richiesta di controricorso e del-
l�eventuale ricorso incidentale, con i relativi allegati, � anticipata con 
le modalit� di cui al punto 2.5.2. 

2.5.13 Qualora un ricorso per cassazione sia notificato presso la sede della Direzione 
centrale competente, questa trasmette direttamente all�Avvocatura 
l�originale del ricorso notificato e, contestualmente, ne invia 
copia alla Direzione provinciale competente, che provvede ad inoltrare 
all�Organo legale gli elementi istruttori per il controricorso e per l�eventuale 
ricorso incidentale, con la tempistica e le modalit� di cui sopra. 

2.5.14 L�Avvocatura, qualora ritenga che non sia opportuna la proposizione 


del ricorso incidentale, d� tempestiva comunicazione del proprio motivato 
parere negativo alla Direzione regionale competente, almeno 
sette giorni prima della scadenza del termine per la notifica del ricorso 
incidentale, tramite posta elettronica o fax e se del caso dandone anticipazione 
telefonica ai recapiti indicati nella richiesta. 

2.5.15 La Direzione regionale competente, qualora non condivida il parere negativo, 
formula, entro due giorni lavorativi, le proprie osservazioni alla 
Direzione centrale competente. Per la risoluzione della eventuale divergenza, 
si applicano, in quanto compatibili, i punti da 2.5.5 a 2.5.9. 

2.5.16 La Direzione centrale competente pu� segnalare i giudizi in Cassazione 
relativi a una questione controversa caratterizzata da ampia diffusione o 
comunque di particolare rilevanza per il principio di diritto in contestazione, 
affinch� l�Avvocatura solleciti alla Cassazione la decisione della 
causa, facendo presente il significativo effetto deflattivo che conseguirebbe 
dal tempestivo consolidarsi, sul punto, dell�orientamento della Cassazione. 

2.5.17 L�Avvocatura, qualora ravvisi che in un giudizio pendente la posizione 
dell�Agenzia � in contrasto con la consolidata giurisprudenza della 
Corte di cassazione, procede, d�accordo con la Direzione regionale 
competente, all�abbandono della lite. In questi casi spetta all�Avvocatura, 
senza preventiva comunicazione alla Direzione regionale competente, 
verificare la possibilit� di addivenire ad un preventivo accordo 
con la controparte sulle spese di giudizio. Nell�impossibilit� di tale accordo, 
la Direzione regionale competente evidenzia all�Avvocatura gli 
eventuali elementi da sottoporre al giudice che possano giustificare la 
compensazione delle spese. 

2.6 Recupero spese di giudizio 

L�Avvocatura, in quanto distrattaria ex art. 21 del R.D. n. 1611 del 
1933, provvede al diretto recupero nei confronti delle controparti delle 
spese di giudizio, poste a loro carico per effetto di sentenza, ordinanza, 
rinuncia o transazione. In caso di giudizio conclusosi con esito favorevole 
per l�Agenzia ma con disposta compensazione, totale o parziale, 
delle spese di giudizio, cos� come in caso di transazione dopo sentenza 
favorevole, trova applicazione il disposto dell�art. 21, commi terzo, 
quarto e quinto del R.D. n. 1611 del 1933, avendo riguardo alla complessit� 
e all�impegno processuale della controversia, sulla base delle 
tariffe professionali applicabili. In ogni caso, ai fini suddetti, l�Agenzia 
invier� all�Avvocatura copia autentica della sentenza che conclude il 
giudizio in sede di rinvio con esito favorevole ad essa. 

3. NOTIFICA DEGLI ATTI 

L�Avvocatura presta la propria collaborazione all�Agenzia per le noti



ficazioni degli atti diversi da quelli processuali, ove questa non possa 
provvedervi direttamente. 

4. INCONTRI PERIODICI 

Tra l�Avvocatura generale e ciascuna Direzione centrale competente � 
fissato un calendario di incontri periodici, di regola a cadenza quadrimestrale, 
per l�esame dell�evoluzione del contenzioso concernente le 
pi� significative e rilevanti problematiche in discussione, al fine di definire 
congiuntamente e uniformemente le linee di condotta delle controversie 
in corso e l�interesse alla prosecuzione delle stesse. 
Negli incontri sono esaminate congiuntamente anche le tematiche di 
particolare rilevanza generale che possono avere un impatto sulla conduzione 
e sulla soluzione del contenzioso potenziale o in atto. 
Analoghi incontri, di regola a cadenza annuale, si svolgono tra le Direzioni 
regionali competenti dell�Agenzia e le Avvocature distrettuali. 
Per ciascuna sede distrettuale l�Avvocatura indica un proprio avvocato 
con funzioni di referente. 

5. COOPERAZIONE APPLICATIVA 

Al fine di favorire l�interoperabilit� e la cooperazione applicativa dei 
sistemi informatici e dei flussi informativi, l�Avvocatura e l�Agenzia 
s�impegnano a proseguire ed intensificare le attivit� volte alla realizzazione 
di servizi attraverso i quali potranno procedere allo scambio 
in via automatica delle informazioni e dei documenti necessari per lo 
svolgimento delle rispettive attivit�. 

6. DISPOSIZIONE FINALE 

L�Avvocatura e l�Agenzia si impegnano a segnalare reciprocamente 
tutte le difficolt� operative eventualmente insorte nella gestione dei 
rapporti oggetto del presente protocollo, allo scopo di provvedere, nello 
spirito della pi� piena collaborazione, al superamento delle stesse ed 
eventualmente alla modifica delle modalit� di cooperazione. 

Roma, 10 settembre 2013 

DIRETTORE DELL�AGENZIA AVVOCATO GENERALE 
Dott. Attilio Befera Avv. Michele Giuseppe Dipace 


Gestione del contenzioso relativo a strutture commissariali 
cessate dopo la chiusura dello stato di emergenza. Art. 3 D.L. 

n. 59/2012(*) 

(Parere prot. 314924 del 20 luglio 2013, AL 2974/13, avv. GIANNA MARIA DE SOCIO) 

Oggetto del parere. 

Con la nota indicata a margine codesto Dipartimento chiede il parere della 
Scrivente in ordine a varie questioni che nascono dalla applicazione della L. 
100/2012 (che ha modificato l'ordinamento della protezione civile) e in specie 
della disciplina transitoria racchiusa nell'art. 3 del D.L. 59/2012, che ha previsto 
la cessazione al 31 dicembre 2012 di tutte le gestioni commissariali in 
corso alla data della sua entrata in vigore. 

In particolare codesto Dipartimento evidenzia che la normativa sopra 
menzionata pone il problema di stabilire in capo a quale ente, a seguito della 
cessazione delle gestioni commissariali, e dunque dopo l'estinzione dell'organo 
straordinario costituto dal Commissario delegato, si trasferiscano i rapporti 
giuridici pendenti, e quali ripercussioni abbia tale successione in relazione ai 
processi in corso. 

Si evidenziano inoltre le implicazioni di carattere processuale di tale problematica, 
ponendosi il dubbio se il ritrasferimento alle amministrazioni ordinariamente 
competenti del munus esercitato dal Commissario delegato, dia 
luogo ad una ipotesi di successione a titolo universale ovvero a titolo particolare, 
con la conseguente applicabilit� dell'art. 110 o dell'art. 111 c.p.c. 

Premesso quanto sopra si chiede di valutare quale condotta processuale 

(*) Il presente parere, reso, secondo la tradizionale prassi dell�Avvocatura, �sentito l�avviso del Comitato 
Consultivo�, presenta importanti aspetti di rilevanza istituzionale che ne consigliano la pubblicazione 
in questa sezione della Rassegna. 
Con l�occasione la Direzione formula due osservazioni: 
La prima � che, al fondo, la vecchia dottrina della �delegazione intersoggettiva� tra enti e soggetti 
pubblici, ancorch� superata dalla successiva giurisprudenza amministrativa e costituzionale, aveva 
una sua logica e semplicit�. Il valore del parere sta tutto nell�essere giunto alle stesse condivisibili 
conclusioni di merito per una via un po� pi� complicata� 
Il secondo aspetto riguarda la prosecuzione dei processi ai sensi dell�art. 111 c.p.c. e l�affermazione 
un po� drastica che non sussiste una norma che legittimi l�Avvocatura dello Stato a proseguire il giudizio 
�anche nell�interesse dell�ente subentrato� alla gestione commissariale. La tesi, indubbiamente 
fondata sul dato testuale normativo (o meglio, sull�assenza di un dato testuale normativo) sembra 
non tener conto dell�unit� della Repubblica e della circostanza che il modello organizzativo degli ultimi 
anni, soprattutto dopo le modifiche costituzionali del Titolo V, tende a muoversi dalle regole del-
l�autonomia amministrativa (il cosiddetto doppio binario) a quelle dell�autogoverno e della 
sussidiariet�. Il �pubblico� resta pubblico ovunque sia allocato (si argomenta anche dal vecchio dpr 

n. 616/77) ed un�intesa con l�ente subentrante, che eviti conflitti d�interessi ed assicuri continuit� 
nella difesa giudiziale, potrebbe essere utile. 

GF 


assumere, anche prudenzialmente, per evitare qualunque tipo di pregiudizio 
per gli interessi erariali, in particolare ponendo in evidenza che per le numerose 
sentenze, sfavorevoli ai Commissari, emesse recentemente si pone il problema 
di valutare se, e nell'interesse di quale soggetto, debba essere proposto l'eventuale 
gravame. 

Per rispondere alla suddette questioni si ritiene di dover trattare i seguenti 
profili: 

1. Natura dei poteri emergenziali dello Stato; 
2. I poteri emergenziali dello Stato nei confronti degli enti competenti in 
via ordinaria; 
3. La figura del Commissario delegato di protezione civile e rapporti con 
l'autorit� Governativa; 
4. La struttura commissariale quale eventuale autonomo centro di imputazione 
di effetti giuridici; 
5. Cessazione delle funzioni del Commissario delegato; 
6. Funzioni e procedimento amministrativo: riespansione delle attribuzioni 
degli enti competenti in via ordinaria; 
7. La successione nei rapporti privatistici; 
8. La successione nei rapporti processuali; 
9. Il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato; 
10. Condotta processuale in ordine alle impugnazioni. 


1. Natura dei poteri emergenziali dello Stato. 

Le attribuzioni e i poteri esercitati dallo Stato in sede emergenziale non 
sono considerati poteri appartenenti agli enti ordinariamente competenti e in 
qualche modo �trasferiti� allo Stato stesso, ma poteri �propri� dello Stato. 

Tale assunto trova avallo in molteplici decisioni della Corte Costituzionale, 
che ha affrontato la questione in sede di conflitto di attribuzione Stato-Regioni. 

La Consulta ha chiarito che con la legge n. 225/1992 il legislatore statale 
�ha rinunciato ad un modello centralizzato per una organizzazione diffusa a 
carattere policentrico� (sentenze n. 129/2006 e n. 327/2003), chiarendo che 
in tale prospettiva, le competenze e le relative responsabilit� sono state ripartite 
tra i diversi livelli istituzionali di governo in relazione alle seguenti tipologie 
di eventi che possono venire in rilievo: 

-eventi da fronteggiare mediante interventi attuabili dagli enti e dalle amministrazioni 
competenti in via ordinaria (art. 2, comma 1, lettera a); 
-eventi che impongono l'intervento coordinato di pi� enti o amministrazioni 
competenti in via ordinaria (art. 2, comma 1, lettera b); 


-calamit� naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensit� o estensione, 
richiedono mezzi e poteri straordinari (art. 2, comma 1, lettera c). 

Nella decisione n. 284/2006, � stato poi chiarito che �lo Stato, sulla base 
di quanto previsto dall'art. 5 della legge n. 225 del 1992, ha una specifica 


competenza a disciplinare gli eventi di natura straordinaria di cui al citato 
art. 2, comma 1, lettera c)�. 

La ratio della disciplina � stata chiarita dalla Corte con il richiamo �alla 
necessit� di evitare il disordine, l'accavallamento e la dispersione degli interventi 
che spesso hanno ridotto l'efficacia dell'opera di soccorso, pur quando si 
sia svolta in modo pronto e generoso. L'esperienza ha insegnato - come rilevava 
gi� nel 1965 la commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont che 
nelle improvvise e gravi emergenze � indispensabile una direzione unitaria, 
che possa agire immediatamente, in un quadro di chiarezza e di certezza per 
quanto attiene alle competenze e ai poteri�, sicch� �tenuto conto della rilevanza 
nazionale delle attivit� di tutela nel loro complesso, e dell'ampio coinvolgimento 
in esse dell'Amministrazione statale, i poteri di promozione e coordinamento 
non possono che essere conferiti al Governo� (Corte cost., n. 418/1992). 

Richiamando l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del d.lgs. n. 112/1998 e il 
rilievo nazionale delle funzioni di coordinamento e direzione, la Corte ha infine 
escluso che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione 
vigente possa avvenire da parte della legge regionale (sentenza n. 82/2006). 

Alla luce di quanto esposto, per quanto occorre al fine del presente parere, 
si pu� concludere sul punto che: 

Le attribuzioni e i poteri esercitati dallo Stato in sede emergenziale non sono 
poteri appartenenti agli enti ordinariamente competenti e in qualche modo�trasferiti� allo Stato stesso, ma sono poteri �propri� dello Stato. 

2. I poteri emergenziali dello Stato nei confronti degli enti competenti in via 
ordinaria. 

2.1-L'esercizio dei poteri emergenziali �propri� dello Stato deve avvenire 
d'intesa con le Regioni interessate, sulla base di quanto disposto dall'art. 
107 del D.Lgs. n. 112/1998 (�Conferimento di funzioni e compiti amministrativi 
dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della 
legge 15 marzo 1997, n. 59�), nonch� dall'art. 5, comma 4-bis, del D.L. n. 
343/2001 (�Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo 
delle strutture preposte alle attivit� di protezione civile (e per migliorare le 
strutture logistiche nel settore della difesa civile) convertito, con modificazioni, 
dall'art. 1 della legge n. 401/2001�). 

2.2-Pronunciandosi in vari casi di conflitto Stato-Regioni sorti in relazione 
all�esercizio dei rispettivi poteri in presenza di situazioni emergenziali, la Corte 
Costituzionale si � espressa in termini di �compressione� delle attribuzioni 
degli enti competenti in via ordinaria, ovvero di �sacrificio� delle stesse. 

In particolare � stato precisato che �situazioni di emergenza, specialmente 
connesse a calamit� naturali, che reclamano la massima concentrazione di energie 
umane e di mezzi materiali, possono anche giustificare, secondo la costante 


giurisprudenza costituzionale, interventi statali straordinari suscettibili di arrecare 
compressioni alla sfera di autonomia regionale� (Corte Cost. n. 39/2003). 

Correlativamente la potest� dei predetti enti locali viene ad essere temporaneamente 
�sacrificata� quando sussistono ragioni di urgenza che giustificano 
l'intervento unitario del legislatore statale - gli eventi di natura straordinaria 
di cui all'art. 2, comma 1, lettera c), della stessa legge n. 225 del 1992...� (Corte 
Cost., n. 286/2006, che richiama le sentenze n. 327/2003 e n. 127/1995). 

D�altra parte, fino a quando dura lo stato di emergenza, le Regioni neppure 
possono sospendere l�efficacia dei provvedimenti di necessit� ed urgenza 
disposti dallo Stato, provvedimenti coperti dalla competenza concorrente dello 
Stato in materia di protezione civile (Corte Cost. n. 284/2006). 

La Corte ha peraltro anche chiarito che �l'"emergenza" non legittima il 
sacrificio illimitato dell'autonomia regionale, e il richiamo a una finalit� di interesse 
generale "pur di precipuo e stringente rilievo" - non d� fondamento, di 
per s�, a misure che vulnerino tale sfera di interessi, garantita a livello costituzionale 
(sent. n. 307 del 1983, considerato in diritto, n. 3)�, il che comporta che 
deve �sussistere un nesso di congruit� e proporzione fra le misure adottate e la 
"qualit� e natura degli eventi", secondo quanto precisato dall'art. 5, comma 1; 
ci� che questa Corte ha sottolineato, richiedendo che le misure siano proporzionate 
alla concreta situazione da fronteggiare (v. ancora le sent. n. 201 del 
1987, sent. n. 100 del 1987, e sent. n. 4 del 1977)� (Corte Cost., n. 129/2006). 

2.3-Il potere statale in materia emergenziale viene comunemente inquadrato 
nell�ambito del potere sostitutivo c.d. ordinario dello Stato, che trova il 
suo fondamento implicito negli artt. 117 e 118 Cost. e si colloca accanto al 
potere sostitutivo c.d. straordinario del Governo ex art. 120 comma 2 Cost. 
(Corte Cost. n. 43/2004). 

Secondo la dottrina si verifica �sostituzione� quando, in presenza di determinati 
presupposti, una figura giuridica soggettiva opera in luogo di un'altra, 
che � titolare di una situazione giuridica di diritto o di obbligo ma che non ha 
ancora operato per produrre gli effetti connessi a quella situazione, compiendo 
l�attivit� giuridica necessaria e producendo effetti che ricadono in via diretta 

o indiretta nella sfera della figura titolare. 

Con riferimento alle ordinanze emesse dallo Stato in sede emergenziale, 
la peculiarit� del potere sostitutivo � dato dal fatto che il potere di ordinanza 
non richiede necessariamente un inadempimento o un inesatto adempimento da 
parte degli enti ordinariamente competenti, ma presuppone invece il verificarsi 
di una situazione di emergenza che richieda una direzione unitaria e coordinata. 

2.4-La giurisprudenza amministrativa conosce ed applica i principi sopra 
esposti. 

Si trovano infatti precedenti secondo cui gli atti posti in essere dal Commissario 
delegato nell'ambito delle funzioni amministrative esercitate in via 
emergenziale, sono suscettibili di incidere direttamente nella sfera dell'ente 


locale proprio in forza dei poteri �sostitutivi� derivanti dalla dichiarazione di 
emergenza. 

In una controversia in cui la Regione Calabria rivendicava la propria 
estraneit� agli atti (di gestione di una gara e relativo atto d�obbligo) emanati 
dal Commissario, il Consiglio di Stato ha precisato che �la controversia si inserisce 
nell'ambito della normativa emergenziale e dei poteri sostitutivi del 
commissario delegato all'emergenza rifiuti con imputazione dei relativi effetti 
nella sfera giuridica dell'ente sostituito, sicch� non ha alcun pregio rivendicare 
una posizione di terziet� rispetto all'attivit� del Commissario Delegato. 
Il Commissario delegato all'emergenza rifiuti � soggetto investito di pubbliche 
funzioni, temporalmente investito di una serie di poteri pubblicistici al fine di 
concentrare le funzioni ripartite in via ordinaria tra pi� Uffici per risolvere 
attraverso detta concentrazione e unicit� della funzione con rapidit� le questioni 
legate ad uno stato di emergenza ... Inquadrata la controversia nell'ambito 
della normativa emergenziale e dei poteri sostitutivi del Commissario 
delegato, � necessitata l'imputazione all'ente sostituito degli effetti dell'attivit� 
svolta dal Commissario delegato� (C.d.S. sentenza n. 5412/2012). 

Alla luce di quanto esposto, sul punto si pu� concludere che: 

Le attribuzioni e i poteri esercitati dallo Stato in sede emergenziale operano invia sostitutiva degli enti competenti in via ordinaria, le cui attribuzioni sono 
dunque �compresse� temporaneamente nei limiti di un doveroso nesso di congruit� 
e proporzione: agli enti sostituiti sono comunque necessariamente imputati 
gli effetti dell�attivit� e degli atti posti in essere dallo Stato e dai suoi 
organi preposti alla gestione dell�emergenza. 

3. Il Commissario delegato di protezione civile. Rapporto con l'autorit� delegante. 


3.1-L'art. 5, comma 4, della L. 225/1992 prevede che gli organi centrali 
possano avvalersi di commissari delegati. 

La nomina dei commissari delegati � consentita nelle ipotesi indicate dal-
l'art. 2, lett. c), cio� quando si verifichino eventi calamitosi che, per intensit� 
ed estensione, devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari. In 
tali casi � lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri che, oltre a deliberare 
lo stato di emergenza (art. 5, comma 1), direttamente o a mezzo di un suo delegato, 
pu� a sua volta emanare ordinanze dirette ad evitare situazioni di pericolo 
o maggiori danni a persone o a cose. 

Al proposito la Corte Costituzionale ha precisato che �nel ricorrere di 
cos� gravi emergenze, quando l'ambiente, i beni e la stessa vita delle popolazioni 
sono in pericolo e si richiede un'attivit� di soccorso straordinaria ed urgente, 
risulta giustificato che si adottino misure eccezionali, quale pu� essere 
la nomina di commissari delegati (per i quali peraltro la norma impugnata 


prevede che vengano determinati col provvedimento di delega contenuto, 
tempi e modalit� di esercizio dell'incarico)� (Corte Cost., n. 418/1992). 

I Commissari sono nominati con ordinanza del Presidente del Consiglio 
dei Ministri o suo delegato. 

3.2-La prassi, com'� noto, sovente ha visto cadere la scelta per la nomina 
dei Commissari sugli organi esponenziali degli enti locali competenti in via 
ordinaria (ad esempio il Presidente della Regione, ovvero il sindaco del Comune 
interessato agli eventi emergenziali). 

I tratti comuni delle gestioni commissariali, come regolamentate dalle 
varie ordinanze emesse ai sensi dell�art. 5 L. 225/1992, sono riconducibili ai 
seguenti: 

- i commissari (come si � detto, spesso organi esponenziali di enti locali 
competenti in via ordinaria, ad esempio il Presidente della Regione, ovvero il 
sindaco del Comune interessato agli eventi emergenziali), sono per lo pi� abilitati 
ad avvalersi di personale proprio dell'ente in cui � incardinato il Commissario 
delegato (es. personale del Comune), ma anche a conferire incarichi 
a personale esterno; sicch� in alcuni casi si � creata una vera e propria �struttura 
commissariale�; 

-per quanto riguarda gli oneri di funzionamento della struttura, � spesso 
previsto che quelli relativi al personale interno ricadano (per lo pi�) nel bilancio 
dell'ente di appartenenza, ivi compreso quanto riguarda il lavoro straordinario, 
mentre quelli relativi al personale esterno siano a carico del bilancio dello Stato 
(nelle ultime ordinanze sono stati previsti limiti di impegno per l�erario statale); 

- per quanto gli oneri derivanti dalla esecuzione degli interventi di emergenza, 
essi sono coperti con risorse statali trasferite al Commissario delegato 
per lo pi� prelevate dallo stato di previsione della Presidenza del Consiglio 
ovvero del Ministero dell�Economia e Finanze; 

-nelle ultime ordinanze si � precisato che il Dipartimento della Protezione 
civile rimane estraneo ai rapporti comunque nascenti in dipendenza del compimento 
delle attivit� del Commissario delegato. 

3.3-In tale contesto si � posto il problema di definire il rapporto tra Stato 
e organo esponenziale di enti locali nominato quale Commissario delegato. 

In sede di prima interpretazione della norma, si � ritenuto di poter inquadrare 
la fattispecie nella figura della delega intersoggettiva, ossia l'istituto in 
base al quale il soggetto delegante, derogando al principio costituzionale del-
l�immodificabilit� dell�ordine delle competenze (art. 97 Cost.), attribuisce al delegato 
l�esercizio di una funzione propria del delegante (Giampaolino, Costa)(1). 

Tale impostazione ha trovato iniziale s�guito nella giurisprudenza ammi


(1) Tale soluzione sembrava avallata dalla circostanza che nel progetto di legge definitivo era 
stato soppresso il riferimento all�art. 11 della legge n. 400/1988 (che disciplina i �commissari straordinari 
del Governo�) 


nistrativa soprattutto meno recente (in particolare si ricorda la sentenza del 
Consiglio di Stato Sez. IV, n. 52/1999, secondo cui �per le situazioni di emergenza, 
� comunque certo che la l. 24 febbraio 1992, n. 225 � considera tale 
figura � come soggetto delegato, nei cui confronti si opera un trasferimento 
di poteri gestionali. Nella specie, infatti, si versa in materia di delega�; negli 
stessi termini anche alcune coeve decisioni di TAR (2)). 

Detto inquadramento non � stato per� confermato dalla giurisprudenza 
della Corte Costituzionale, che ha ormai definitivamente escluso l'inquadrabilit� 
della figura del Commissario di protezione civile nell'istituto della delega 
intersoggettiva. 

La Corte ha infatti avuto modo di chiarire che �i provvedimenti posti in 
essere dai commissari delegati sono atti dell�amministrazione centrale dello 
Stato (in quanto emessi da organi che operano come longa manus del Governo) 
finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunit� 
locali coinvolte dalle singole situazioni di emergenza, e ci� in ragione tanto 
della rilevanza delle stesse, quanto della straordinariet� dei poteri necessari 
per farvi fronte� (Corte Cost. n. 237/2007, v. anche negli stessi termini Corte 
Cost. ord. n. 92/2008). 

In definitiva deve ritenersi che la figura del Commissario delegato ai sensi 
della L. 225/1992 opera su un piano di immedesimazione organica nell'amministrazione 
centrale. 

Proprio sulla base della natura �governativa� degli atti posti in essere dal 
Commissario, la Consulta ha ritenuto giustificata anche la competenza esclusiva 
del T.A.R. del Lazio su tutte le situazioni di emergenza e sui relativi provvedimenti 
commissariali (3). 

Infatti la legittimit� costituzionale della norma che prevede la predetta 

(2) Secondo il T.A.R. Lombardia, ad esempio, �il Presidente della Regione [Commissario delegato 

-N.d.A.], pur avendo agito per delega del Presidente del Consiglio, non per questo pu� essere considerato 
organo governativo. Ci� considerato � sufficiente richiamare il principio secondo cui la rappresentanza 
in giudizio dell�Avvocatura dello Stato va riferita alle sole amministrazioni statali in senso 
proprio, ossia agli organi dello Stato-apparato da cui promanano gli atti sottoposti al giudizio� (T.A.R. 
Lombardia, Milano, Sez. I, 27 gennaio 1998, n. 96). 
Nello stesso senso il T.A.R. Calabria ha affermato che �la delega conferita al Presidente della Regione 
Calabria per la predisposizione di un piano di interventi di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti 
solidi urbani e assimilabili, integra un�ipotesi di delega intersoggettiva, comportante spostamento di 
competenze tra soggetti diversi, ossia tra vari centri di competenze entificati (nella specie: Ministro del-
l�interno, Presidente della Giunta regionale; Stato, Ente Regione), con la conseguenza che gli effetti dei 
provvedimenti adottati per delega vanno imputati al delegato il quale opera, pur sempre, nell�ambito di 
una propria sfera di autonomia amministrativa ...� (T.A.R. Calabria, Catanzaro, 17 maggio 1999, n. 701). 

(3) La competenza esclusiva del TAR Lazio � ora prevista dal combinato disposto degli artt. 135 
e 133 lett. p) del D.lgs. 104/2010, con riferimento alle �controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i 
provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5 
co. 1 della Legge 24 febbraio 1992 n. 225 e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione 
di gestione del ciclo dei rifiuti ...�. 


competenza del T.A.R. Lazio � stata confermata proprio in ragione del fatto 
che i provvedimenti posti in essere dai commissari delegati �sono atti del-
l�amministrazione centrale dello Stato� (Corte Cost. ord. n. 92/2008). 

Secondo una parte della dottrina la posizione del Commissario delegato 
potrebbe essere inquadrata nell'ambito del c.d. avvalimento, figura organizzativa 
secondo la quale un�amministrazione pubblica, anzich� dotarsi di propri 
Uffici, si avvale degli uffici (del personale e delle attrezzature) di una diversa 
figura soggettiva per lo svolgimento dei suoi poteri e delle sue funzioni. 

Detto modello organizzativo (attualmente codificato dall'art. 3 comma 1 
lett. f) della L. 59/1997 - c.d. legge Bassanini - che prevede la regolamentazione 
delle �modalit� e delle condizioni con le quali l'Amministrazione dello 
Stato, pu� avvalersi per la cura di interessi nazionali di uffici regionali e locali...�), 
mira ad evitare l'inutile proliferazione di strutture ed assetti organizzativi 
favorendo l'utilizzazione di quelle esistenti. 

Il conseguente modello organizzatorio viene definito in dottrina amministrazione 
indiretta ovvero impropria (in particolare si parla di amministrazione 
indiretta per alludere agli organi amministrativi e agli atti amministrativi di 
competenza statale ma posti in essere da soggetti diversi dallo Stato). 

In ogni caso, a prescindere dalla correttezza dell'inquadramento nella formula 
organizzatoria dell'avvalimento ovvero in altro modello di amministrazione 
c.d. indiretta, ci� che rileva - ai fini del presente parere - � di affermare 
che il Commissario non possa essere configurato quale destinatario di una delega 
intersoggettiva. 

Ci� infatti consente di giungere ad una conclusione certa in ordine alla 
inapplicabilit� dei principi relativi a tale istituto (ivi compreso quello secondo 
cui, nella delega intersoggettiva, l'ente delegato agisce in nome proprio e sono 
ad esso imputabili gli effetti giuridici e le responsabilit� connessi alla sua attivit� 
(4)), imponendo di applicare invece i principi propri dell'esercizio indiretto 
di funzioni centrali dello Stato. 

In definitiva gli atti del Commissario delegato sono �atti dell�Amministrazione 
centrale dello Stato� che producono i loro effetti direttamente nella 
sfera dell�ente competente in via ordinaria in virt� del potere sostitutivo connesso 
alla situazione emergenziale (v. sopra par. 2). 

Per quanto occorre ai fini del presente parere, sul punto si pu� concludere 
che: 

(4) Secondo pacifica giurisprudenza della Cassazione, comՏ noto, �la delega (cd. intersoggettiva) 
comporta che l'ente delegato agisce, nei rapporti esterni ... in nome proprio e non come rappresentante 
del delegante; per cui sono ad esso imputabili gli effetti giuridici e le responsabilit� connessi alla sua 
attivit�, senza che, in contrario, abbiano rilievo le ripercussioni dell'attivit� stessa nei rapporti interni 
tra ente delegante ed ente delegato ...� (Cass. civ. Sez. I, n. 17199/2012 che richiama Cass. 16470/2009; 
12345/1992). 


Il Commissario straordinario di cui all'art. 5 co. 4 L. 225/1992 (ancorch�per tale carica possa essere nominato l'organo esponenziale di un ente competente 
in via ordinaria) non va considerato quale destinatario di una delega 
intersoggettiva di funzioni, ma quale organo del Governo (�longa manus�
del Governo stesso) del quale esercita le funzioni emergenziali ad esso proprie, 
sicch� i provvedimenti posti in essere dai commissari delegati �sono 
atti dell�amministrazione centrale dello Stato�. 

4. La struttura commissariale quale eventuale autonomo centro di imputazione 
di effetti giuridici. 

Una volta chiarito che il Commissario delegato di protezione civile � 
longa manus del Governo, e che gli atti del Commissario sono �atti dell�Amministrazione 
centrale dello Stato� (ancorch� produttivi di effetti nella sfera 
dell�ente sostituito), per ci� che concerne il presente parere si pone il successivo 
problema di chiarire se l'attivit� compiuta debba essere imputata alla medesima 
struttura commissariale, in virt� della autonomia di cui gode, o debba 
essere imputata allo Stato. 

In proposito si rinvengono vari precedenti della giurisprudenza amministrativa 
(soprattutto dei TAR ma anche del Consiglio di Stato) in base ai quali 
sembra potersi escludere che il Commissario operi quale autonomo centro di 
imputazione di interessi, affermandosi per converso - in modo pi� o meno esplicito 
- la diretta imputazione allo Stato dell'attivit� svolta dal Commissario. 

Il Consiglio di Stato, rigettando la domanda della Presidenza del Consiglio 
dei Ministri relativa alla propria estromissione da una causa concernente 
una gara indetta dal Commissario per l'emergenza rifiuti in Sicilia, ha affermato 
che �l'Ufficio del Commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Sicilia 
� un ufficio che, sebbene autonomo, fa capo appunto alla Presidenza del Consiglio 
dei ministri, per cui � evidente che gli atti assunti da tale organo sono 
riferibili alla stessa Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha nei confronti 
del Commissario delegato suddetto un carattere di supervisione e di indirizzo� 

(C.d.S. Sez. IV n. 2576/2004). 
Anche la giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi si � conformata a 
tale indirizzo. 

Significativa sul punto appare la recente decisione del T.A.R. Lazio di 
cui di seguito si riporta stralcio: �il Commissario delegato, bench� come sopra 
costituito nell�ambito del Comune interessato dall�iniziativa, ha veste di organo 
straordinario, di cui il competente apparato statale, Presidenza del Consiglio 
dei Ministri - Dipartimento della protezione civile, si avvale per lo 
svolgimento dei compiti di cui alla legge 24 febbraio 1992, n. 225 in materia 
di protezione civile. Ne consegue che il Sindaco del Comune di Messina, nella 
qualit� di Commissario delegato, e nell�assunzione degli atti connessi alla 
funzione, fa capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che, per l�effetto, 


non pu� ritenersi estranea alla materia dell�odierno contendere. E nulla muta 
considerando che il Commissario delegato � dotato, rispetto al delegante, di 
indubbia autonomia amministrativa: essa, invero, unitamente alla possibilit� 
di essere destinatario, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, 
di poteri derogatori ad ogni disposizione vigente (art. 5, comma 2, l. 
225/92), � finalizzata strettamente ed esclusivamente al raggiungimento degli 
obiettivi assegnatigli per il superamento dello stato emergenziale alle condizioni 
e nei termini, anche temporali, previsti ai sensi dell�art. 5, commi 1 e 2, 
della l. 225/92. Gli atti assunti nell�esercizio delle funzioni delegate sono, pertanto, 
riferibili alla stessa Presidenza del Consiglio dei ministri, autorit� che 
esercita nei confronti del Commissario delegato attivit� di supervisione e di 
indirizzo (in termini, tra altre, Tar Lazio, I, 9 agosto 2010, n. 30424; C. Stato, 
sez. IV, 28 aprile 2004 , n. 2576)� (T.A.R. Lazio n. 8598/2012). 

In termini pressoch� analoghi, T.A.R. Lazio Sez. I, Sent., n. 1398/2012, 

T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., n. 1241/2009, T.A.R. Lazio Sez. I, n. 
4467/2008 (5). 
Sul punto si � anche espressa la scrivente nel parere 12 gennaio 2009 prot. 
8937 P Cs. 41713/08 di cui alla successiva nota 7. 

Quindi, per quanto occorre ai fini del presente parere, sul punto si pu� 
concludere che: 

Il Commissario straordinario di cui all'art. 5 co. 4 L. 225/1992, ancorch�dotato di indubbia autonomia amministrativa, non va considerato quale autonomo 
centro di imputazione degli effetti giuridici dell'attivit� svolta quale 
delegato del Governo; gli atti assunti nell�esercizio delle funzioni delegatesono infatti sempre riferibili alla stessa Presidenza del Consiglio che esercita�attivit� di supervisione e di indirizzo�. 

5. La cessazione delle funzioni del Commissario delegato. 

ComՏ noto, la cessazione dello stato di emergenza e delle gestioni commissariali 
� stata ridisciplinata per effetto delle modifiche introdotte nell'art. 
5 L. 225/1992 dal citato D.L. n. 59/2012. 

Per quanto interessa ai fini del presente parere giova ricordare che: 

A regime con la modifica normativa introdotta nell�art. 5 L. 225/1992 � 
stato previsto, tra l�altro, che �La durata della dichiarazione dello stato di 

(5) La sentenza da ultimo citata appare significativa in quanto si trova ivi affermato che �la competenza 
funzionale� del TAR Lazio, giustificata proprio dal fatto che i provvedimenti commissariali 
sono atti dell'amministrazione centrale dello Stato, �si estende, nel caso oggi in rilievo, anche alla delibera 
adottata dalla Giunta regionale pugliese dopo "il rientro nell'ordinariet�" ... in quanto... essa 
rappresenta non gi� una determinazione autonoma bens� una sorta di appendice della fase emergenziale, 
in quanto adottata in dichiarata esecuzione delle precedenti statuizioni del Commissario delegato� 

(T.A.R. Lazio Sez. I, n. 4467/2008). 


emergenza non pu�, di regola, superare i novanta giorni�, prorogabile ovvero 
rinnovabile, di regola, per non pi� di sessanta giorni (comma 1-bis), e che �Le 
funzioni del Commissario delegato cessano con la scadenza dello stato di 
emergenza� (comma 4). 

I commi successivi regolano il subentro dell�Amministrazione pubblica 
competente in via ordinaria (comma 4 ter) e l�eventuale intestazione delle contabilit� 
speciali alla stessa Amministrazione, la quale � tenuta a coordinare gli 
interventi per un periodo di tempo determinato ai fini del loro completamento 
(comma 4 quater). In particolare: 

-comma 4 ter: �Almeno dieci giorni prima della scadenza del termine 
di cui al comma 1-bis, il Capo del Dipartimento della protezione civile emana, 
di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, apposita ordinanza 
volta a favorire e regolare il subentro dell'amministrazione pubblica competente 
in via ordinaria a coordinare gli interventi, conseguenti all'evento, che 
si rendono necessari successivamente alla scadenza del termine di durata 
dello stato di emergenza�. 
-comma 4 quater: �Con l'ordinanza di cui al comma 4-ter pu� essere 
individuato, nell'ambito dell'amministrazione pubblica competente a coordinare 
gli interventi, il soggetto cui viene intestata la contabilit� speciale appositamente 
aperta per l'emergenza in questione, per la prosecuzione della 
gestione operativa della stessa, per un periodo di tempo determinato ai fini 
del completamento degli interventi previsti dalle ordinanze adottate ai sensi 
dei commi 2 e 4-ter. Per gli ulteriori interventi da realizzare secondo le ordinarie 
procedure di spesa con le disponibilit� che residuano alla chiusura 
della contabilit� speciale, le risorse ivi giacenti sono trasferite alla regione 


o all'ente locale ordinariamente competente ovvero, ove si tratti di altra amministrazione, 
sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva 
riassegnazione�. 

In via transitoria l'art. 3 del D.L. n. 59/2012 (Disposizioni transitorie e 
finali), ha invece disposto, al comma 2, la cessazione delle gestioni commissariali 
in corso, prevedendo che: 

�Le gestioni commissariali che operano, ai sensi della legge 24 febbraio 
1992, n. 225, e successive modificazioni, alla data di entrata in vigore del presente 
decreto, non sono suscettibili di proroga o rinnovo, se non una sola volta 
e comunque non oltre il 31 dicembre 2012; per la prosecuzione dei relativi 
interventi trova applicazione l'articolo 5, commi 4-ter e 4-quater, della predetta 
legge n. 225 del 1992, sentite le amministrazioni locali interessate�. 

Per completezza occorre altres� soggiungere che per effetto del recente 

D.L. n. 1/2013 (Disposizioni urgenti per il superamento di situazioni di criticit� 
nella gestione dei rifiuti e di taluni fenomeni di inquinamento ambientale) convertito, 
con modificazioni, dall'art. 1 L. n. 11/2013, alcune specifiche gestioni 
commissariali sono state prorogate fino al 31 dicembre 2013. 


Quindi, per quanto occorre ai fini del presente parere, sul punto si pu� 
concludere che: 

La cessazione dello stato di emergenza comporta la cessazione delle funzionidei Commissari delegati e il �subentro� degli enti ordinariamente competentinella posizione dei Commissari cessati. 

6. Funzioni amministrative e procedimenti in corso: �riespansione� delle attribuzioni 
degli enti competenti in via ordinaria. 

Come si � visto al par. 2, lo stato emergenziale comporta la necessit� di attribuire 
allo Stato la direzione unitaria degli interventi necessari nell'interesse della 
comunit� colpita dall'evento calamitoso; ci� comporta la �compressione� e il �sacrificio� 
temporaneo delle attribuzioni degli enti competenti in via ordinaria. 

Correlativamente, dunque, la cessazione dell'emergenza comporta la �riespansione� 
dei poteri degli enti competenti in via ordinaria e, conseguentemente, 
la loro successione nei procedimenti in corso. 

Dal momento in cui � cessata l�emergenza le funzioni amministrative non 
possano pi� essere esercitate dai Commissari (infatti in base all'art. 5 co. 4 L. 
225/1992 �le funzioni del Commissario delegato cessano con la scadenza 
dello stato di emergenza�), ma dovranno essere esercitate dagli enti competenti 
in via ordinaria, ai quali spetter� di avviare i nuovi procedimenti nel rispetto 
delle proprie competenze e dei principi legislativi ordinari. 

A tal proposito si ritiene utile puntualizzare quanto segue: 

a) la �successione� nelle funzioni amministrative in favore degli enti competenti 
in via ordinaria si verifica non gi� in quanto vi sia un �ritrasferimento� 
di funzioni dall�organo emergenziale statale ai predetti enti, ma in quanto la 
cessazione dello stato di emergenza fa �riespandere� le competenze e potest� 
ordinarie dell�ente locale, in precedenza �sacrificate� in sede di emergenza; 

b) all�amministrazione competente in via ordinaria dovrebbe, dunque, 
spettare sia l'avvio di nuovi procedimenti amministrativi e sia la prosecuzione 
dell'iter amministrativo dei procedimenti pendenti; 

c) a tali compiti pu� essere deputato anche un soggetto (competente in 
via ordinaria) con funzione di coordinamento (ci� si deduce dagli artt. 5 
comma 4 ter e 4 quater della L. 225/1992 che fa riferimento ad un'amministrazione, 
competente in via ordinaria, �per coordinare gli interventi� necessari 
successivamente alla scadenza dello stato di emergenza). 

Tanto si giustifica in quanto il ritorno alla normalit� fa venire meno la necessit� 
dell'intervento sostitutivo statale, ma non la necessit� del coordinamento; 

d) eventuali atti della P.C.M. (e, tanto pi�, del Commissario ormai cessato) 
dopo la chiusura dello stato di emergenza, rischierebbero di essere dichiarati 
nulli perch� emessi in carenza (in astratto) di potere. 

N�, a parere della Scrivente, potrebbe operare nel caso in esame l'istituto 


della prorogatio (di cui al D.L. 293/1994, conv. in L. 444/1994), da ritenere 
inapplicabile ad organi (come il Commissario delegato) che solo per un periodo 
di tempo determinato sono attributari di poteri sostitutivi straordinari, 
tanto pi� in un contesto normativo (come quello previsto dall'art. 5 co. 4 ter 

L. 225/1992) che prevede �il subentro dell'amministrazione pubblica competente 
in via ordinaria ...� sicch� sul piano astratto non si configura alcuna discontinuit� 
nell'azione amministrativa (6); 

e) gli effetti dell'attivit� fino a quel momento svolta dal Commissario si 
sono prodotti comunque direttamente nella sfera dell'ente locale, ci� in forza 
dei poteri sostitutivi esercitati (a mezzo del Commissario delegato) in via 
emergenziale dallo Stato (v. par. 2.4). 

Pertanto, salvo l�eventuale esercizio della potest� di autotutela da parte del-
l'ente locale tornato competente, questi non potr� dichiararsi estraneo al procedimento 
gi� avviato dal Commissario (C.d.S. n. 5412/2012, richiamata al par. 2.4). 

Quindi, per quanto occorre ai fini del presente parere, si pu� concludere 
sul punto che: 

La cessazione dell'emergenza comporta la �riespansione� dei poteri degli 
enti competenti in via ordinaria, ai quali spetter� di avviare i nuovi procedimenti 
nel rispetto delle proprie competenze e dei principi ordinari; 

-per quanto concerne i procedimenti pendenti, la cessazione dell�emergenza 
determina la �successione�, nella fase in corso, degli enti ordinariamentecompetenti; 

- eventuali atti della P.C.M. (e, tanto pi�, del Commissario ormai cessato e 
non procrastinabile neppure in via di prorogatio) dopo la chiusura dellostato di emergenza, rischierebbero di essere dichiarati nulli perch� emessiin carenza (in astratto) di potere- difetto di attribuzione ex art. 21-septies l. 
n. 241/1990.
- gli effetti dell'attivit� fino a quel momento svolta dal Commissario si sonoprodotti comunque direttamente nella sfera dell'ente locale, che - salvo 
l�eventuale esercizio della potest� di autotutela - non potr� dichiararsi estraneo 
al procedimento gi� avviato dal Commissario. 


7. La successione degli enti competenti in via ordinaria nei rapporti privatistici. 


7.1 L�attivit� privatistica posta in essere dal Commissario delegato. 

I Commissari delegati, in stretta connessione con l'esercizio del munus 
pubblico derivante dall'emergenza, hanno posto in essere una serie di rapporti 
di natura privatistica caratterizzati da elementi comuni: 

(6) In tal senso risulta si sia espresso anche codesto Dipartimento (es. nota 14 gennaio 2013 prot. 
CG/0001800 diretta al Commissario Delegato ex ord. 3983/2011 Calabria). 


-tutti appaiono connessi alle pubbliche funzioni esercitate in via temporanea 
e straordinaria dai Commissari; 
-tutti sono funzionali ad una determinata necessit� emergenziale, sicch� si 
pu� dire che siano caratterizzati da una causa comune rappresentata dalla necessit� 
di gestione di una certa emergenza, la quale si pone come elemento teleologico 
e finalistico dei rapporti contrattuali instaurati dal Commissario delegato; 


-tutti sono accomunati dall�essere riferiti ad una situazione riguardante 
una parte del territorio nazionale. 


In un certo senso si pu� dunque dire, in via di larga approssimazione, che 
in relazione ad ogni gestione commissariale si crea un �fascio di rapporti giuridici�, 
rispetto ai quali l�emergenza costituisce titolo di legittimazione e causa 
accomunante, delimitata territorialmente. 

La questione che si pone � se, con la cessazione dei poteri commissariali, 
si realizzi o meno una sorta di successione in universum jus, con conseguente 
subingresso dell�ente competente in via ordinaria in tutte le posizioni (attive 
e passive) facenti capo al Commissario ormai cessato. 

Applicando le categorie giuridiche tradizionali la risposta potrebbe essere 
negativa in quanto la cessazione del Commissario non pu� essere assimilata 
alla estinzione e/o soppressione di un autonomo soggetto giuridico, trattandosi 
non di un autonomo centro di imputazione di interessi, ma di organo (straordinario) 
della Presidenza del Consiglio (v . sopra par. 4) (7). 

Tuttavia tale conclusione non appare appagante alla luce della evoluzione 
della normativa in materia di protezione civile e dei pi� recenti approfondimenti 
in tema di successione tra soggetti pubblici. 

7.2 L�attuale modello organizzativo della protezione civile. 

Per effetto delle modifiche introdotte nell'art. 5 L. 225/1992 dalla novella 
del 2012, lo �stato emergenziale�, con il conseguente avvicendamento di competenze 
tra enti locali e Stato, viene configurato come un fenomeno in cui la 
�sostituzione� statale � destinata ad essere circoscritta ad un tempo rigorosamente 
determinato dal legislatore. 

Infatti, come si � visto al par. 5, con la modifica normativa introdotta 
nell�art. 5 L. 225/1992 � stato previsto, tra l�altro, che �La durata della dichiarazione 
dello stato di emergenza non pu�, di regola, superare i novanta 
giorni�, prorogabile ovvero rinnovabile, di regola, per non pi� di sessanta 
giorni (comma 1-bis), e che �Le funzioni del Commissario delegato cessano 

(7) In tale senso si � espressa in passato anche la Scrivente affermando la responsabilit� della Presidenza 
del Consiglio con riferimento i danni conseguenti alle attivit� compiute dal Commissario delegato 
(v. parere 12 gennaio 2009 prot. 8937P Cs. 41713/08 ove si � affermato che �l�estraneit� formale� 
della P.C.M. ai rapporti posti in essere dal Commissario �non potrebbe comportare una esclusione di 
responsabilit� patrimoniale della stessa P.C.M. per i debiti nascenti dal proprio organo straordinario 
(il che, tra l�altro risulta di tutta evidenza allorch� l�organo straordinario sia cessato)�). 


con la scadenza dello stato di emergenza� (comma 4). 

Attraverso la fissazione �presuntiva� della fine dell�emergenza (operata 
mediante la determinazione rigida della sua durata), con la quale si � inteso 
anche contrastare il diffuso fenomeno delle gestioni commissariali perpetuate 
�sine die�, il legislatore ha inteso ribadire con fermezza la temporaneit� dello 
stato emergenziale e, di conseguenza, della funzione �sostitutiva� statale rispetto 
alle competenze ordinarie (8). 

Analoga ratio appare sottesa anche alla norma transitoria di cui all'art. 3 
del D.L. 59/2012 che, con riferimento alle gestioni commissariali in corso, ha 
stabilito la cessazione dell�emergenza al 31 dicembre 2012. 

Questa precisa delimitazione temporale dell�emergenza, disposta per la 
prima volta con la novella del 2012 e diversamente dal passato, non � senza 
peso nella connotazione del ruolo dello Stato (e del Commissario che � sua 
�longa manus�). 

In effetti la gestione commissariale - ormai circoscritta in termini di rigorosa 
temporaneit� - si connota come una �parentesi� di breve durata (complessivamente 
non superiore a 5 mesi) nell�esercizio delle funzioni da parte 
dei soggetti ordinariamente competenti. 

In definitiva le richiamate disposizioni normative delineano un vero e 
proprio modello organizzativo a fasi multiple, in cui � fisiologico che gli interventi 
necessari a far fronte all'emergenza vengano solo �avviati� dal commissario 
in via straordinaria e, senza soluzione di continuit�, �proseguiti� 
dagli enti ordinariamente competenti (9). 

Il �subingresso� degli enti ordinariamente competenti appare dunque 
come un effetto connaturale alla particolare modalit� organizzativa prevista 
dal legislatore in presenza di situazioni emergenziali. 

D'altra parte il subingresso degli enti ordinariamente competenti viene 
supportato con il trasferimento in loro favore delle risorse finanziarie necessarie 
per il completamento degli interventi identificati nell�ordinanza di rientro 
e degli altri interventi conseguenti all�evento calamitoso. 

La definizione di tale modello organizzativo si ritrova nel tenore letterale 
dell'art. 5 L. 225/1992 (come mod. dal citato D.L. n. 59/2012); detta norma 
infatti: 

-espressamente qualifica in termini di �subentro� l�avvicendamento tra 

(8) Al proposito si sottolinea che, nel disposto normativo, il subentro degli enti ordinariamente 
competenti appare collegato direttamente alla scadenza dell'emergenza, a prescindere dall'ordinanza �di 
rientro� di cui al comma 4 ter dell'art. 5 L. 225/1992; questa ordinanza, infatti, secondo il disposto della 
norma ha solo la funzione di �favorire e regolare� il subentro, che appare un effetto prodotto direttamente 
dalla cessazione dello stato di emergenza. 
(9) La Corte Costituzionale ha chiarito che con la legge n. 225/1992 il legislatore statale �ha rinunciato 
ad un modello centralizzato per una organizzazione diffusa a carattere policentrico� (sentenze 
n. 129/2006 e n. 327/2003), v. sul punto par. 1 del presente parere. 



Commissario e amministrazione pubblica competente in via ordinaria a coordinare 
gli interventi (co. 4 ter); 

-prevede il correlativo trasferimento delle risorse finanziarie, stabilendo 
che la contabilit� speciale aperta per l'emergenza: 

-in prima battuta, e �per un periodo di tempo determinato�, possa essere intestata 
ad un soggetto dell�Amministrazione competente in via ordinaria a coordinare 
gli interventi �ai fini del completamento degli interventi previsti dalle 
ordinanze� di rientro; 

-poi, che la contabilit� speciale venga chiusa e che le �disponibilit� che residuano 
alla chiusura� vengano trasferite �alla regione o all'ente locale ordinariamente 
competente� (ovvero, ove si tratti di altra amministrazione, sono 
versate all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione) �per 
gli ulteriori interventi da realizzare secondo le ordinarie procedure di spesa�. 

Tali disposizioni autorizzano a ritenere che per effetto della riespansione 
delle potest� ordinarie si attua una sorta di �reinvestitura� degli enti ordinariamente 
competenti nella stessa posizione gi� facente capo al commissario 
(ora cessato). 

Tale �reinvestitura� (gi� esaminata con riferimento ai poteri amministrativi 
che si sono �riespansi� al termine dell�emergenza, v. sopra par. 6) non 
pu� non avvenire anche con riferimento al complesso dell�attivit� �privatistica� 
avviata dal Commissario, naturalmente nella misura in cui tale attivit� 
sia connessa e strumentale all�esercizio delle pubbliche funzioni ormai tornate 
nelle competenze ordinarie. 

Alla riespansione dei poteri ordinari si accompagna la cessazione dei poteri 
straordinari esercitati dal Commissario (cessazione che appare effetto, e 
non causa, della riespansione dei poteri ordinari). 

Il punto essenziale � che, cessando i poteri straordinari del suo organo, lo 
Stato risulta ormai �spogliato� non solo delle funzioni amministrative, ma 
anche della facolt� di gestire i rapporti privatistici sorti per effetto dell�esercizio 
di tali poteri. 

Diversamente ritenendo, infatti, la gestione dei rapporti di natura privatistica 
verrebbe ad essere svincolata dall�esercizio della pubblica funzione e ci� appare 
irragionevole in quanto l�asservimento alla pubblica funzione costituisce proprio 
l�elemento teleologico dei rapporti �privatistici� instaurati dal Commissario. 

In base a tali premesse si arriva alla conclusione che, con la cessazione 
dell'emergenza, si deve ritenere realizzata una sorta di successione dell�ente 
�ordinario� in universum jus della gestione commissariale cessata, con conseguente 
subingresso del successore in tutte le posizioni (attive e passive) facenti 
capo al Commissario ormai cessato. 

7.3 � ammissibile una successione in universum jus senza estinzione? 

Occorre valutare se osti a tale conclusione il fatto che la cessazione del 


Commissario delegato non possa essere qualificata tecnicamente come estinzione 
in quanto riguarda solo un organo (straordinario) della Presidenza del 
Consiglio (v . sopra par. 4) e questa non si estingue. 

Al proposito si deve far presente che la dottrina, studiando i fenomeni di 
successione tra enti pubblici, gi� da tempo ha sganciato la nozione di successione 
�universale� da quella dell�estinzione dell�ente �predecessore� (legata 
ad una concezione antropomorfa degli enti giuridici) (10). 

Il fondamento caratterizzante della successione universale � stato ravvisato, 
piuttosto, nella circostanza che il nuovo ente, oltre a subentrare in diritti 
e rapporti, abbia l�attitudine a svolgere la �stessa� attivit� dell�ente estinto 
continuandola giuridicamente (M. Nigro). 

Con ragionamento affine altra autorevole dottrina (Giannini) ha rilevato 
che il dato tipico della successione universale consiste nella �sopravvivenza 
dello scopo�: se il munus dell�ente a quo viene espunto dall�ordinamento, 
quella che segue sar� una mera attivit� liquidatoria (quindi la successione non 
potr� che essere a titolo particolare), mentre se il munus permane (attraverso 
la sua trasmissione ad un diverso soggetto), la successione di altro soggetto 
pubblico sar� a titolo universale, ove ricorrano altri indici rivelatori di tale tipo 
di successione (es. trapasso, sia pure parziale, delle strutture organizzative; 
passaggio delle situazioni patrimoniali ecc.). 

La giurisprudenza della Suprema Corte, pur rimanendo per lo pi� ancorata 
a posizioni tradizionali (collegando la successione universale all��estinzione�), 
� peraltro pervenuta in qualche caso a riconoscere che il fenomeno successorio 
si attua diversamente a seconda che dalla legge sia previsto �il permanere delle 
finalit� dell'ente soppresso ed il loro trasferimento ad altro ente, unitamente al 
passaggio sia pure parziale delle strutture e del complesso delle posizioni giuridiche 
gi� facenti capo al primo ente, ovvero abbia disposto la soppressione; 
nel primo caso deve ritenersi che la successione si attui in universum ius, con 
la conseguenza che tutti i rapporti giuridici che facevano capo all'ente soppresso 
passano all'ente sottentrante, mentre nel secondo caso, difettando la 
contemplazione del permanere degli scopi dell'ente soppresso, non avrebbe 
senso una successione a titolo universale nelle strutture organizzatorie che fosse 
attuata ai soli fini del loro dissolvimento, e deve ritenersi che la successione 
avvenga a titolo particolare, limitata ai soli beni che residuino alla procedura 
di liquidazione, con la conseguenza che l'ente liquidatore non solo non si sostituisce 
nella titolarit� della sfera giuridica originaria, ma non assume neppure 
alcuna diretta responsabilit� patrimoniale per le obbligazioni contratte dall'ente 

(10) Infatti sono state ritenute possibili sia ipotesi di estinzione di enti non segu�ta da successione 
a titolo universale (tale � stata considerata la soppressione delle Usl cui ha fatto seguito una successione 
a titolo particolare delle Regioni cui sono state attribuite funzioni liquidatorie), e sia ipotesi di successione 
universale senza �estinzione� (M. Nigro). 


estinto e che gi� risultavano all'atto della liquidazione� (Cass. n. 5971/1983, 
confermata da Cass. n. 535/2002; il perseguimento degli stessi fini quale indice 
della �successione� viene valorizzato anche da Cass. n. 2660/1995). 

In applicazione di tale principio, pertanto, � stato affermato (a proposito 
della nazionalizzazione delle imprese elettriche) che si tratterebbe di �un caso 
di successione universale senza estinzione delle societ� cedenti� (cos� Cass. 

civ. n. 11979/2003 che richiama Cass., sez. un., n. 1173/1970; Cass., n. 
1045/1974, n. 599/1978, n. 3527/1979); in particolare il fenomeno � stato spiegato 
in termini di �successione in una vastissima serie unificata di rapporti 
giuridici attivi e passivi� - cfr. Cass. S.U. 2988/1968, cui ha fatto s�guito la 
�conseguente automatica e totale liberazione dei precedenti datori di lavoro 
da tutte le obbligazioni relative ai rapporti di lavoro del personale trasferito, 
comprese quelle anteriori al trasferimento� (Cass. 7096/1983). 

7.4 Il �subentro� degli enti competenti in via ordinaria. 

Applicando tali principi alla cessazione delle gestioni commissariali, si 
pu� affermare che mentre il fine �emergenziale� (che ha occasionato il potere 
straordinario dei Commissari) deve considerarsi ex lege esaurito con la cessazione 
dell�emergenza, non cos� � per le finalit� di volta in volta perseguite mediante 
gli interventi avviati dal Commissario (es. realizzazione di una discarica, 
ricostruzione dopo una calamit�, misure di contenimento del traffico ecc.). 

Infatti le finalit� sottese a tali interventi, avviati dal Commissario, certamente 
sopravvivono e proseguono in capo agli enti ordinariamente competenti 
incaricati del relativo completamento (e per tal fine attributari anche delle relative 
risorse finanziarie). 

Tale permanenza della finalit� pubblicistica, che sopravvive alla cessazione 
dell�organo straordinario, � confermata dalla lettera dell�art. 5 co. 4 ter 
e 4 quater L. 225/1992 che, infatti, si esprime in termini di �subentro dell'amministrazione 
pubblica competente in via ordinaria� e di �prosecuzione� della 
gestione operativa. 

Deve altres� sottolinearsi che tale �subentro� non ha affatto valenza liquidatoria 
(aspetto ritenuto rilevante dalla Cassazione, ad esempio, con riferimento 
alla soppressione delle USL, cfr. Cass. S.U. n. 1989/1997), ma ha 
valenza gestionale, rispondendo ad un modello organizzativo a pi� fasi, in cui 
� fisiologico che gli interventi �avviati� dai Commissari in via straordinaria 
vengano poi �proseguiti� dagli enti ordinariamente competenti (v. par.7.2). 

D�altro canto occorre anche rilevare che nel caso in esame manca una 
norma che (diversamente da quanto avvenuto ad esempio nel caso delle USL) 
escluda espressamente il trasferimento delle passivit� e che, dunque, valga a 
manifestare la volont� del legislatore di escludere la natura universale del �subentro� 
degli enti ordinariamente competenti. 

In definitiva, dunque, la �reinvestitura� degli enti ordinariamente com



petenti si caratterizza per i seguenti elementi: 

-�sopravvivenza dello scopo� attestata dalla lettera della legge che si 
esprime in termini di �subentro� degli enti ordinari; 

- ricorrenza di vari indici per affermare la successione in universum jus 
(prosecuzione della gestione operativa, trasferimento delle risorse finanziarie); 

-assenza di una norma che espressamente escluda la successione nelle 
passivit�. 

In tale contesto sembra dunque potersi affermare che il �subentro� degli 
enti ordinariamente competenti (ovvero dell�amministrazione pubblica competente 
in via ordinaria a coordinare gli interventi) si verifichi nella totalit� 
dei rapporti gi� facenti capo al Commissario cessato in base al principio della 
�continuit� economica�. 

Tale soluzione appare sostenibile 

-sia con riferimento alle obbligazioni nascenti da contratti la cui controprestazione 
� stata gi� eseguita (atteso che dette controprestazioni gi� eseguite 
rientrano appunto nel novero di quegli effetti trasferiti al soggetto ordinariamente 
competente); 

-e sia con riferimento alle obbligazioni extracontrattuali nascenti da fatto 
illecito non doloso (vale a dire se le circostanze dell'illecito non abbiano determinato 
l'interruzione del nesso organico). 

Infatti tanto le une quanto le altre obbligazioni sono sorte non solo �in 
occasione� ma anche �in funzione� della realizzazione della finalit� pubblicistica 
(es. realizzazione di una discarica, misura di disinquinamento) ora trasferita 
alla cura dell'ente ordinariamente competente che subentra nelle attivit� 
gi� compiute e ne persegue il completamento. 

Ed invero appare coerente anche da un punto di vista sistematico - oltre 
che rispondente a criteri di giustizia sostanziale: ubi commoda ibi et incommoda 
- che il soggetto che viene a giovarsi degli effetti �favorevoli� dell'attivit� 
svolta dal Commissario, correlativamente si faccia carico anche degli eventuali 
effetti �sfavorevoli�. In tale ottica � coerente la conclusione che i �costi� ancora 
da pagare vengano sostenuti dal soggetto al quale, unitamente alle opere 
e alle attivit� fino a quel momento realizzate, sono trasferite anche le risorse 
finanziarie residue finalizzate - al pari e nel concorso di quelle ordinariamente 
assegnate all�ente - a consentirne la prosecuzione della gestione (11). 

(11) Al proposito si pu� richiamare la giurisprudenza di merito formatasi nelle controversie risarcitorie 
per danni da fumo in cui veniva in discussione la �successione� dell'Ente Tabacchi Italiani al-
l�Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. La Corte di appello di Roma (Sez. I, sentenze 15 
maggio 2006, e 7 marzo 2005) ha condannato al risarcimento dei danni da fumo l'Ente Tabacchi Italiani 

- divenuto in seguito British American Tobacco B.A.T. Italia s.p.a. - che era succeduto all�Amministrazione 
autonoma dei monopoli di Stato. Sulla questione non si � pronunciata la Cassazione in quanto tra 
ETI e Monopoli intervenne una transazione che determin� la cessazione della materia del contendere 
(Cass. n. 22884/2007). 


Naturalmente la �successione� avviene esclusivamente con riferimento 
a quei rapporti privatistici posti in essere dal Commissario in diretta connessione 
con l�esercizio del munus pubblico e svolto in via emergenziale (e ora 
tornato nelle competenze ordinarie). 

Nessuna successione, per converso, si pu� ritenere attuata nei rapporti 
privatistici non strettamente connessi alla pubblica funzione. 

Sul punto si pu� dunque concludere come segue: 

Il subentro degli enti ordinariamente competenti (ovvero dell�amministrazione 
pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli interventi) si verifica 
nella totalit� dei rapporti privatistici posti in essere dal Commissario(ivi comprese le obbligazioni extracontrattuali nascenti da fatto illecito non 
doloso e a quelle nascenti da contratti la cui controprestazione sia stata gi�eseguita), naturalmente nella misura in cui detti rapporti siano sorti in connessione 
con l�esercizio delle pubbliche funzioni ormai tornate nelle competenze 
ordinarie. 

8. La successione degli enti competenti in via ordinaria nei rapporti processuali. 


Se la successione degli enti ordinariamente competenti � �universale� 

(v. sopra par. 7.4), va anche ribadito che la cessazione del Commissario non 
pu� essere assimilata alla estinzione e/o soppressione di un autonomo soggetto 
giuridico, trattandosi a di organo (straordinario) della Presidenza del Consiglio 
(v. sopra par. 4). 


In tale contesto occorre dunque valutare se la regola da applicare nel processo, 
con riferimento ai giudizi che vedono parte un Commissario ormai cessato, 
sia quella dell'art. 110 c.p.c. ovvero quella dell'art. 111 c.p.c. 

Com'� noto la dottrina e la giurisprudenza prevalenti sono soliti ancorare 
la distinzione tra l'una e l'altra ipotesi normativa al �venir meno� del soggetto 
titolare della posizione soggettiva trasferita. 

La scriminante � ravvisata nel fatto che, nel contesto dell�art. 111 c.p.c., 
il soggetto continua ad esistere e pertanto il processo pu� proseguire tra le 
parti originarie (si pone solo il problema di estendere l'ambito soggettivo di 
efficacia della pronuncia nei confronti del successore); invece nel contesto 
dell�art. 110 c.p.c. la cessazione dell'esistenza del soggetto giuridico pone il 
problema di ripristinare la necessaria bilateralit� processuale venuta meno a 
seguito dell'estinzione di una parte (ed � a tale funzione che risponde l�interruzione 
del processo). 

La giurisprudenza della Cassazione � per lo pi� incline ad applicare - come 
regola generale - quella della perpetuatio del processo, ossia la prosecuzione 
del giudizio (art. 111 c.p.c.), mentre alla interruzione (art. 110 c.p.c.) fa seguito 
solo quando il processo non possa proseguire per il �venir meno� della parte. 


Quanto poi a tale situazione, essa viene intesa non in senso parziale, ma 
in senso �assoluto�, nel senso che la soppressione deve riguardare l�ente 
stesso e non una sua parte (Cass civ. Sez. n. 11045/2002, che richiama Cass. 

n. 7258/2001 con riferimento alla costituzione di una nuova provincia attuata 
mediante distacco di alcuni comuni da una provincia preesistente). 

D'altra parte la Cassazione tende anche ad affermare che quando la parte 
non viene meno (e dunque il processo pu� proseguire ai sensi dell'art. 111 c.p.c.) 
la successione � sempre a titolo particolare, ossia limitata a �singoli� rapporti: 

a) ad esempio con riferimento alle Agenzie Fiscali, subentrate al Ministero 
delle Finanze, la Corte ha giustificato l�applicabilit� dell�art. 111 c.p.c. 
facendo leva, non solo sulla considerazione che �l'ente "cedente" (il Ministero) 
non � "venuto meno"�, ma anche con la considerazione che �le Agenzie sono 
destinatarie di posizioni attive e passive �specificamente determinate��, e ci� 
anche se il trasferimento riguardava intere "materie" ed "aree funzionali" gi� 
esercitate dal Ministero delle Finanze (con esclusione delle sole �funzioni statali") 
(cfr. Corte cass. SS.UU. 14 febbraio 2006 n. 3116 e 3118, nonch� Cass. 

n. 1054/2006); 

b) anche nel caso del subingresso dell'Ente Poste nei rapporti attivi e passivi 
gi� facenti capo alla Amministrazione PP.TT, la successione nel processo � stata 
ritenuta rientrante nell'art. 111 c.p.c., in quanto il trasferimento "ex lege" era �solo 
di una parte di beni e rapporti ad uno o pi� soggetti senza estinzione dell'ente i 
cui beni e rapporti sono in parte trasferiti� (Cass. n. 6521/2007), e ci� ancorch� 
il subingresso dell'Ente Poste avesse riguardato tutti i rapporti attivi e passivi, i 
diritti personali e i beni gi� facenti capo alla soppressa Amministrazione delle 
PP.TT. (con eccezione solo di quelli da destinare a sedi ed uffici del - non soppresso 
- Ministero delle Poste e Telecomunicazioni - D.L. n. 487/1993, art. 6); 

c) con riferimento al caso della trasformazione dell'Amministrazione autonoma 
dei monopoli di Stato nell'Ente tabacchi italiani (art. 1.1. D.Lgs. 9 luglio 
1998, n. 283), la Corte ha affermato che �il fenomeno successorio, nei 
suoi riflessi processuali, si inquadra nell'art. 111 c.p.c.� (ci� in quanto �l'Amministrazione 
dei monopoli non � stata soppressa�) (Cass. civ. Sez. Unite, n. 
7945/2003), ma anche in tal caso il nuovo ente era �subentrato nei rapporti 
attivi e passivi afferenti a tali attivit� (art. 3)�, quindi il subentro riguardava 
senz�altro una universitas. 

Come si vede, dunque, in tali decisioni sembra emergere la preoccupazione 
della Corte di associare al concetto del �venir meno� della parte, quello 
di �universalit�� della successione. 

Ci� porta ad affermare il postulato che, per converso, tutte le successioni 
di cui all�art. 111 c.p.c. (ossia senza �estinzione�) sono �a titolo particolare�. 

Ora, tale postulato tende a forzare la realt� dei fenomeni giuridici che si 
verificano nel caso di successione tra soggetti pubblici; infatti mentre tra persone 
fisiche � vero che il �venir meno� della parte tendenzialmente si accom



pagna al fenomeno della successione in universum jus (ma non nel caso del 
legato, disciplinato dal secondo comma dell�art. 111 c.p.c.), non cos� � nel 
caso di enti pubblici, ove, come si � visto, la successione pu� essere di portata 
�universale� anche senza estinzione (12). 

In tale ordine logico, occorre segnalare alcune (non diffuse ma significative) 
pronunce giurisprudenziali che, facendosi carico di tali fenomeni, sono 
pervenute a scindere i due presupposti affermando che per uscire dall�ambito 
di applicabilit� dell�art. 110 c.p.c. non � necessario che la successione sia �particolare�, 
ma � sufficiente che la parte non sia �venuta meno�. 

Tale condizione basterebbe per rientrare nell�ambito dell�art. 111 c.p.c. 
anche se la successione � in universum jus. 

Quindi vi sarebbero ipotesi di successione �universale�, ma regolate 
dall�art. 111 c.p.c. in quanto non vi � estinzione della parte. 

Infatti � stato affermato che �allorch� non vi sia estinzione dell'ente cedente, 
si verifica un'ipotesi particolare di successione nel diritto controverso, 
ai sensi dell'art. 111 c.p.c.: ci�, si noti, anche quando si abbia una successione 
"per universitatem" nel diritto dedotto in giudizio (purch�, ripetesi, non sia 
venuta meno la parte). In tali casi �� il processo prosegue tra le parti originarie� 
(Cass. civ. Sez. V, n. 11979/2003). 

La medesima Cassazione segnala il caso della �nazionalizzazione delle 
imprese elettriche (ritenuto un caso di successione universale senza estinzione 
delle societ� cedenti) per la �sostanziale applicabilit� (in via diretta od analogica 
od estensiva) dell'art. 111 c.p.c� (Cass. n. 11979/2003). 

La dottrina, d'altra parte, (Dalfino) ha gi� da tempo chiarito che si ha successione 
nel processo ai sensi dell�art. 110 c.p.c. solo nei casi in cui ricorrano 
entrambe le condizioni di applicabilit� di tale istituto (cio� sia il �venir meno� 
della parte e sia la successione in �universum jus�); quando ci� non avviene, 
in quanto una delle due condizioni non si verifica, la regola della successione 
� quella di cui all�art. 111 c.p.c. 

8.2-In applicazione di tali principi si dovrebbe dunque affermare che a 
seguito della cessazione dei Commissari delegati di protezione civile di cui 
alla L. 225/1992, il conseguente subentro degli enti competenti in via ordinaria 

-non ricorrendo il �venir meno� dello Stato (di cui il Commissario era longa 
manus) - integra un'ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso 
ai sensi dell'art. 111 c.p.c., ancorch� la successione degli enti ordinariamente 
competenti possa essere qualificata come �universale�. 

Trattandosi peraltro di successione a titolo particolare nel processo, in applicazione 
dell'art. 111 co. 1 c.p.c., il giudizio prosegue tra le parti originarie, 
quindi nei confronti della P.C.M. (gi� costituita in causa ovvero entrata formal


(12) Al proposito in dottrina si � parlato di �successione parziale�: parziale perch� non legata al-
l�estinzione dell�ente predecessore, ma universale per la struttura del trapasso (M. Nigro). 


mente in causa con comparsa di costituzione in prosecuzione -ex art. 302 cod. 
proc. civ. - o in riassunzione - ex art. 303 cod. proc. civ. - in seguito alla cessazione 
del Commissario delegato), che agirebbe di fatto come un sostituto 
processuale ex art. 81 cod. proc. civ.. 

8.3-Adempimenti suggeriti: 

- si suggerisce, ove possibile nello stato del giudizio, di effettuare la chiamata 
in causa dell'ente locale competente in via ordinaria ai sensi dell'art. 111 
co. 3 c.p.c.; 

-potrebbe essere richiesta in tal caso l�estromissione dal giudizio (che, 
comՏ noto, pu� essere disposta solo con l�adesione delle parti); 

- in ogni caso, ai sensi del 4� co. dell'art. 111 c.p.c., la sentenza pronunciata 
nei confronti della P.C.M. spiega i suoi effetti anche contro l'ente competente 
in via ordinaria (o ente di coordinamento). 

Concludendo sul punto si pu� dire che: 

La cessazione delle funzioni commissariali comporta che il giudizio prosegue 
nei confronti della P.C.M. ai sensi dell'art. 111 c.p.c. , ancorch� la successione 
degli enti ordinariamente competenti si possa considerare 
�universale�. 

9. Il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato. 

Inquadrando la fattispecie successoria in esame nell�art. 111 c.p.c. il giudizio, 
come si � visto, prosegue fisiologicamente nei confronti dell�Amministrazione 
statale, che altrettanto fisiologicamente mantiene il patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato. 

In ogni caso va del tutto escluso che l'Avvocatura dello Stato possa proseguire 
le proprie attivit� processuali anche nell'interesse dell'ente locale competente 
in via ordinaria in mancanza di una norma che lo consenta. 

Ci� appare particolarmente significativo se si considera che, invece, nel 
caso della cessazione del Funzionario Delegato del CIPE per il sisma del 1981, 
fu espressamente disposto dall'art. 22 co. 9-bis del D.L. n. 244/1995 che �Le 
controversie derivanti dai rapporti posti in essere ai sensi del titolo VIII della 

L. 14 maggio 1981, n. 219 �restano nella competenza dell'Avvocatura dello 
Stato che agisce in difesa degli enti proprietari [successori a titolo particolare]�. 

Pertanto il patrocinio dell'Avvocatura continua ad essere esercitato esclusivamente 
in favore dell'Amministrazione dello Stato (o altri enti gi� difesi in 
via ordinaria). 

In relazione a quanto sopra si pu� dunque concludere che: 

Va del tutto escluso che l'Avvocatura dello Stato possa proseguire le proprieattivit� processuali anche nell'interesse dell'ente locale competente in viaordinaria; manca infatti una norma che lo consenta. 


10. Condotta processuale in ordine alle impugnazioni. 

Nella nota indicata a margine codesto Dipartimento chiedeva, tra l'altro, 
di valutare quale condotta processuale assumere, anche prudenzialmente, per 
evitare qualunque tipo di pregiudizio per gli interessi erariali, in particolare 
ponendo in evidenza che per le numerose sentenze, sfavorevoli ai Commissari, 
emesse recentemente si pone il problema di valutare se, e nell'interesse di quale 
soggetto, debba essere proposto l'eventuale gravame. 

La questione va risolta tenendo conto che l'Amministrazione statale (nei cui 
confronti, come si � visto al par. 8, il giudizio prosegue ai sensi dell'art. 111 c.p.c.), 
ha sempre l'onere di proporre il gravame avverso la sentenza sfavorevole. 

Nei soli casi in cui l'ente locale subentrato impugni a sua volta la sentenza 
che fa stato anche nei suoi confronti ai sensi dell'art. 111 co. 4 c.p.c., tale impugnazione 
potr�, se del caso, essere superflua (al proposito giova ricordare 
che, con riferimento alle Agenzie fiscali, la Cassazione ha affermato la �implicita 
estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 
3 ove costituita in primo grado� nei casi in cui l'Amministrazione statale non 
aveva assunto la posizione di parte processuale nel giudizio di appello introdotto 
dall�Agenzia - cfr. Cass. civ. S.U. n. 3116/2006, ripresa da Cass. n. 
9562/2013)(13). 

Naturalmente, come gi� rilevato al par. 8, il gravame dovr� essere proposto 
per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 

In relazione a quanto sopra si pu� dunque concludere che: 

L'Avvocatura dello Stato ha sempre l'onere di proporre gravame avverso lesentenze eventualmente sfavorevoli nell'interesse dell'Amministrazione statale 
(nei cui confronti il giudizio prosegue ai sensi dell'art. 111 c.p.c.).
In singole ipotesi l�impugnazione potr� non essere indispensabile nei casiin cui l'ente locale competente in via ordinaria (unico interessato alla controversia) 
impugni a sua volta la sentenza ai sensi dell'art. 111 co. 4 c.p.c. 

Conclusioni. 

Tanto considerato si sintetizzano le conclusioni su cui � pervenuta la Scrivente 
come segue: 

1. Le attribuzioni e i poteri esercitati dai Commissari delegati sono poteri 
�propri� dello Stato. 

(13) Occorre precisare che in tali casi l�estromissione �implicita� � stata ammessa dalla Cassazione 
in quanto �L'attribuzione al nuovo soggetto, in via esclusiva, della gestione del contenzioso, �comporta 
che, pur mantenendo l'Amministrazione finanziaria la qualit� d� parte, la concreta strategia processuale 
(e quindi il mantenimento di tale qualit�) spetta all'Agenzia ... Quindi, la proposizione dell'appello 
esclusivamente da parte dell'Agenzia, senza esplicita menzione dell'ufficio finanziario periferico che 
era parte originaria, ha comportato la conseguente estromissione di quest'ultimo� (Cass. civ. S.U. n. 
3116/2006). 


2. Le attribuzioni e i poteri esercitati dallo Stato in sede emergenziale 
operano in via sostitutiva degli enti competenti in via ordinaria, le cui 
attribuzioni sono dunque �compresse� temporaneamente nei limiti di 
un doveroso nesso di congruit� e proporzione. 
Gli effetti delle funzioni amministrative svolte dal Commissario delegato 
si attuano direttamente nella sfera dell�ente competente in via ordinaria 
(sostituito). 
3. Il Commissario straordinario di cui all'art. 5 co. 4 L. 225/1992 non va 
considerato quale destinatario di una delega intersoggettiva di funzioni, 
ma quale organo del Governo (�longa manus� del Governo stesso) del 
quale esercita le funzioni emergenziali ad esso proprie, sicch� i provvedimenti 
posti in essere dai commissari delegati �sono atti dell�amministrazione 
centrale dello Stato�. 
4. Il Commissario straordinario di cui all'art. 5 co. 4 L. 225/1992 non va 
considerato quale autonomo centro di imputazione degli effetti giuridici 
dell'attivit� svolta quale delegato del Governo; 
5. La cessazione dello stato di emergenza comporta il �subentro� degli 
enti ordinariamente competenti nella posizione dei Commissari cessati. 
6. La cessazione dell'emergenza comporta la �riespansione� dei poteri 
degli enti competenti in via ordinaria, ai quali spetter� di avviare i nuovi 
procedimenti nel rispetto delle proprie competenze e dei principi ordinari; 


- per quanto concerne i procedimenti pendenti, la cessazione dell�emergenza 
determina la �successione�, nella fase in corso, degli enti ordinariamente 
competenti; 

-eventuali atti della P.C.M. (e, tanto pi�, del Commissario ormai cessato 
e non procrastinabile neppure in via di prorogatio) dopo la chiusura 
dello stato di emergenza, rischierebbero di essere dichiarati nulli perch� 
emessi in carenza (in astratto) di potere; 

- gli effetti dell'attivit� fino a quel momento svolta dal Commissario si 
sono prodotti comunque direttamente nella sfera dell'ente competente 
in via ordinaria, che - salvo l�eventuale esercizio della potest� di autotutela 
- non potr� dichiararsi estraneo al procedimento gi� avviato dal 
Commissario. 

7. Il subentro degli enti ordinariamente competenti (ovvero dell�amministrazione 
pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli interventi) 
si verifica nella totalit� dei rapporti privatistici posti in essere 
dal Commissario (ivi comprese le obbligazioni extracontrattuali nascenti 
da fatto illecito colposo e a quelle nascenti da contratti la cui 
controprestazione sia stata gi� eseguita), naturalmente nella misura in 
cui essi siano sorti in connessione con l�esercizio delle pubbliche funzioni 
ormai tornate nell�alveo delle competenze ordinarie. 
8. La cessazione delle funzioni commissariali comporta che il giudizio 





prosegue nei confronti della P.C.M. ai sensi dell'art. 111 c.p.c., ancorch� 
la successione degli enti ordinariamente competenti si possa considerare 
�universale�. 


9. Va del tutto escluso che l'Avvocatura dello Stato possa proseguire le 
proprie attivit� processuali anche nell'interesse dell'ente locale competente 
in via ordinaria, mancando, tra l�altro, una norma che lo consenta. 
10. L'Avvocatura dello Stato ha sempre l'onere di proporre gravame avverso 
le sentenze eventualmente sfavorevoli nell'interesse dell'Amministrazione 
statale. 


*** 
Si rimane a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti. 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato Consultivo di cui all�art. 

26 della legge 3 aprile 1979 n. 103, che si � espresso in conformit�. 

L�AVVOCATO INCARICATO L�AVVOCATO GENERALE 
Gianna Maria De Socio Michele DIPACE 
. 


contenzioso comunitario e internazionale
CONTENZIOSO COMUNITARIO 
ED INTERNAZIONALE 
Corte di Giustizia UE 4 luglio 2013 causa C-100/2012: note 
minime sui rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale 

�escludente� 

Stefano Varone* 

La Corte di Giustizia si � pronunciata sull�annosa questione dell�ordine 
di esame delle questioni in ipotesi di ricorso incidentale volto a contestare la 
legittimazione del ricorrente principale che abbia partecipato ad una procedura 
ad evidenza pubblica. 

L�incerto panorama giurisprudenziale � stato caratterizzato, sul piano interno, 
dall�importante arresto del Consiglio di Stato il quale, con decisione 
dell�Adunanza Plenaria 7 aprile 2011 n. 4, aveva ritenuto che l�esame del ricorso 
incidentale diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale 
attraverso l'impugnazione della sua ammissione alla procedura di gara deve 
comunque precedere quello del ricorso principale. 

L�importanza della decisione derivava dal fatto che in precedenza la medesima 
Adunanza Plenaria con sentenza n. 11/2008 aveva affermato la sussistenza 
di un�eccezione generale alla regola della precedenza nei confronti del ricorso 
incidentale, in applicazione della quale il Giudice aveva l�onere di esaminare 
anche il merito del ricorso principale qualora fosse fatto valere dal ricorrente 
principale un interesse strumentale alla ripetizione della procedura di gara. 

Per contro l�Adunanza Plenaria n. 4/2011 ha affermato che: 

a) la parit� delle parti e l�imparzialit� del giudice non intaccano le regole 
sull�ordine di esame di questioni di rito e di merito, che anzi ne sono espressione 
e applicazione; il codice del processo amministrativo ha fissato l�ordine 
di esame delle questioni, con portata ricognitiva della disciplina previgente, 

(*) Avvocato dello Stato. 


prima le questioni di rito, poi quelle di merito. In particolare, l�art. 76, IV. co. 
del c.p.a., nel disciplinare le modalit� di votazione delle decisioni nei giudizi 
amministrativi rinvia al II comma dell�art. 276 c.p.c., secondo cui il collegio, 
sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali 
proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa 

(par. 28-30 della sentenza). 

b) la questione della legittimazione al ricorso principale � prioritaria rispetto 
al merito: detta questione � rilevabile d�ufficio e va introdotta mediante 
ricorso incidentale (par. 31-32); 

c) L�art. 42, I comma, del c.p.a., nel disciplinare il ricorso incidentale e 
la domanda riconvenzionale, prevede che �le parti resistenti e i controinteressati 
possono proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della 
domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale�. Pertanto, 
il ricorso incidentale nel c.p.a. serve a introdurre non solo eccezioni, ma anche 
domande, e domande di accertamento pregiudiziale e, perci�, non necessariamente 
deve essere esaminato dopo il ricorso principale; va esaminato prima 
se introduce una questione di legittimazione del ricorrente principale (� 33); 

d) la legittimazione � un prius rispetto all��interesse strumentale�: la nozione 
di �interesse strumentale�, infatti, non identifica un�autonoma posizione 
giuridica soggettiva, ma indica il rapporto di utilit� tra l�accertata legittimazione 
al ricorso e la domanda formulata dall�attore (�� 34-36); 

e) salve puntuali eccezioni, individuate in coerenza con il diritto comunitario, 
la legittimazione al ricorso, in materia di affidamento di contratti pubblici, 
spetta solo al soggetto che ha legittimamente partecipato alla procedura 
selettiva (�� 36-40). 

Alla luce delle suesposte argomentazioni, l�Adunanza Plenaria ha sancito 
il seguente principio di diritto: �il ricorso incidentale, diretto a contestare la 
legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione 
alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente, 
anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l�interesse 
strumentale alla rinnovazione dell�intera procedura. Detta priorit� logica sussiste 
indipendentemente dal numero dei partecipanti alla procedura selettiva, 
dal tipo di censura prospettata dal ricorrente incidentale e dalle richieste formulate 
dall�amministrazione resistente�. 

La netta inversione di tendenza che caratterizzava la pronuncia della plenaria 
del 2011, oltre a trovare opinioni dissenzienti in alcune decisioni dei 
TAR, era stata fortemente criticata dalla Cassazione che, con la pronuncia a 
Sez. Unite, 21 giugno 2012, n. 10294, aveva censurato - sia pure in obiter - la 
posizione del Consiglio di Stato. Infatti secondo le Sezioni Unite il principio 
di diritto affermato dalla plenaria �non � condivisibile, in quanto, al cospetto 
di due imprese che sollevano a vicenda la medesima questione, ne sanziona 
una con l'inammissibilit� del ricorso e ne favorisce l'altra con il mantenimento 


di un'aggiudicazione (in tesi) illegittima, denotando una crisi del sistema che, 
al contrario, proclama di assicurare a tutti la possibilit� di provocare l'intervento 
del giudice per ripristinare la legalit� e dare alla vicenda un assetto 
conforme a quello voluto dalla normativa di riferimento, tanto pi� che l'aggiudicazione 
pu� dare vita ad una posizione preferenziale soltanto se acquisita 
in modo legittimo�. 

La pronuncia della Suprema Corte non si poneva tuttavia quale precedente 
effettivamente rilevante in quanto era la stessa decisione a chiarire che 
la questione dell�ordine di esame delle questioni si configurava come possibile 
errore di diritto e non gi� quale ipotesi di diniego di giustizia, escludendo pertanto 
l�ammissibilit� della cassazione per eccesso di potere giurisdizionale. 

Le perplessit� manifestate dalla Cassazione sono state tuttavia di recente 
condivise da due ordinanze dello stesso Consiglio di Stato che, antecedentemente 
alla pubblicazione della pronuncia della Corte di Giustizia, hanno nuovamente 
rimesso la questione all�adunanza plenaria. 

In particolare l�ordinanza 15 aprile 2013 n. 2059 ha rilevato che �anche 
se per un verso la Sezione condivide l�orientamento secondo il quale la giustizia 
amministrativa non ha il compito di ripristinare la legalit� in senso assoluto, 
ma quello di tutelare situazioni giuridiche soggettive qualificate, e pu� ricorrere 
al giudice amministrativo solo chi abbia una posizione giuridica legittimante 
(sicch� qualora il ricorso incidentale abbia lo scopo di promuovere la verifica 
della legittimazione del ricorrente principale, correttamente � il ricorso incidentale 
a dover essere esaminato per primo: v. anche C.d.S., Sez. III, 27 settembre 
2012, n. 5111), per altro verso questa stessa Sezione osserva che in 
fattispecie come quella in esame il ricorso incidentale porta preliminarmente 
in giudizio, con la verifica della legittimazione, una parte cospicua del merito 
della controversia, nonch� il sindacato sui criteri di valutazione delle offerte 
da parte della stazione appaltante. Sicch� l�esame delle sole prospettazioni 
dell�aggiudicatario sembrerebbe contrario al principio di parit� delle parti�. 

La successiva ordinanza 17 maggio 2013 n. 2681, all�esito di una accurata 
ricostruzione degli istituti processuali ha quindi evidenziato le criticit� conseguenti 
all�applicazione dei principi enunciati dalla sentenza n. 4 del 2011 ed 
in particolare ha sottolineato che: a) �l�esito del giudizio (e della gara) dipende 
da un atto dell�Amministrazione che - con la prospettiva di risultare insindacabile 
in sede giurisdizionale - pu� risultare la conseguenza di determinazioni 
arbitrarie e indebitamente sollecitate�; b) �quando risultino viziati gli atti di 
ammissione alla gara di entrambe le imprese partecipanti, pur a seguito della 
statuizione di inammissibilit� del ricorso principale, conserva rilievo sostanziale 
il vizio dell�atto che ha ammesso alla gara l�aggiudicatario, sicch� si � 
in presenza di un giudicato del tutto �cedevole�, poich� l�Amministrazione ispirandosi 
al principio di legalit� - al termine del giudizio pu� anche annullare 
in sede di autotutela l�atto di ammissione dell�aggiudicatario e della conse



guente aggiudicazione (il che dovrebbe porsi anche in termini di doverosit�, 
quando il ricorrente principale ha fondatamente - ma inutilmente - dedotto che 
l�aggiudicatario � privo di uno o pi� requisiti sostanziali)�; c) �qualora in sede 
di giustizia amministrativa non sia presa in considerazione la domanda di annullamento 
della aggiudicazione, in conseguenza della declaratoria di inammissibilit� 
del ricorso principale, vi � la concreta possibilit� che il perdurante 
rilievo della illegittimit� (pi� o meno evidente) dell�atto di ammissione alla 
gara dell�aggiudicatario sia sottoposto all�esame di altri ordini giurisdizionali, 
che constatino un pregiudizio economico per la stessa Amministrazione aggiudicatrice 
e potrebbero giungere a conclusioni incongruenti con la conseguita 
inoppugnabilit� dell�aggiudicazione�. 

Nelle more, come noto, il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte 
con l�ordinanza n. 208/2012, aveva sollevato questione pregiudiziale 
rimettendo alla Corte di Giustizia il quesito �se i principi di parit� delle parti, 
di non discriminazione e di tutela della concorrenza nei pubblici appalti, di 
cui alla direttiva n. 89/665/CEE, modificata con la direttiva n. 2007/66/CE, 
ostino al diritto vivente quale statuito nella decisione dell'Adunanza Plenaria 
del Consiglio di Stato n. 4 del 2011, secondo il quale l'esame del ricorso incidentale, 
diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale attraverso 
l'impugnazione della sua ammissione alla procedura di gara, deve 
necessariamente precedere quello del ricorso principale ed abbia portata pregiudiziale 
rispetto all'esame del ricorso principale, anche nel caso in cui il 
ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dell'intera 
procedura selettiva e indipendentemente dal numero dei concorrenti che 
vi hanno preso parte, con particolare riferimento all'ipotesi in cui i concorrenti 
rimasti in gara siano soltanto due (e coincidano con il ricorrente principale 
e con l'aggiudicatario-ricorrente incidentale), ciascuno mirante ad escludere 
l'altro per mancanza, nelle rispettive offerte presentate, dei requisiti minimi 
di idoneit� dell'offerta�. 

La Corte di Giustizia, con sentenza 4 luglio 2013 causa C-100/2012, ha 
quindi ritenuto che la soluzione fornita dall�Adunanza Plenaria nel 2011 non 
fosse compatibile con la vigente normativa europea (art. 1, paragrafo 3, della 
dir. 89/665/CEE come modificata dalla dir. 2007/66/CE) esprimendo il seguente 
principio di diritto: �se, in un procedimento di ricorso, l'aggiudicatario 
che ha ottenuto l'appalto e proposto ricorso incidentale solleva un'eccezione 
di inammissibilit� fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell'offerente 
che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l'offerta da questi presentata 
avrebbe dovuto essere esclusa dall'autorit� aggiudicatrice per non conformit� 
alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta 
al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza 
dell'esame preliminare di tale eccezione di inammissibilit� senza pronunciarsi 
sulla conformit� con le suddette specifiche tecniche sia dell'offerta dell'ag



giudicatario che ha ottenuto l'appalto, sia di quella dell'offerente che ha proposto 
il ricorso principale�. 

A tale soluzione giunge sulla base di una sintetica motivazione, ove viene 
dapprima sostanzialmente richiamato il principio di effettivit� della tutela citando 
il precedente, Hackerm�ller, (C.249/01) quindi affermato che il ricorso 
incidentale dell�aggiudicatario �non pu� comportare il rigetto del ricorso di 
un offerente nell�ipotesi in cui la legittimit� dell�offerta di entrambi gli operatori 
venga contestata nell�ambito del medesimo procedimento e per motivi 
identici. In una situazione del genere, infatti, ciascuno dei concorrenti pu� far 
valere un analogo interesse legittimo all�esclusione dell�offerta degli altri, 
che pu� indurre l�amministrazione aggiudicatrice a constatare l�impossibilit� 
di procedere alla scelta di un�offerta regolare�. 

Proprio tale passo della sentenza potrebbe essere letto quale indice della 
peculiarit� del caso esaminato: si ha infatti cura di precisare che la legittimit� 
dell�offerta di entrambi gli operatori era contestata nell�ambito del medesimo 
procedimento e per motivi identici; una situazione sostanzialmente speculare 
che potrebbe avere influito in maniera decisiva nella soluzione del caso, soprattutto 
a mente dell�ottica �sostanzialista� che � solita esprimere le decisioni 
della Corte di Giustizia. 

Si vuol cio� significare che dal tenore letterale della pronuncia si potrebbe 
ricavare una limitazione del principio all�ipotesi di vizi �speculari� ed �escludenti�, 
anche se a diverse conclusioni potrebbe condurre la circostanza che la 
Corte ha implicitamente disatteso uno degli argomenti cardine addotti dal governo 
italiano a suffragio della legittimit� della tesi sostenuta dall�adunanza 
plenaria, ovverosia la necessit� di rendere recessivo il mero interesse strumentale 
alla ripetizione della gara rispetto a quello all�aggiudicazione. 

Tale tesi era fondata sulla circostanza che i �considerando� della direttiva 
e alcune disposizioni della stessa potevano essere lette come indice che la tutela 
garantita a livello europeo era relativa alla sola la posizione di chi ha interesse 
a ottenere l�affidamento di un determinato appalto pubblico e non gi� 
l�interesse strumentale all�intero annullamento della gara e alla ripetizione 
della stessa da parte di un soggetto privo dei requisiti per l�aggiudicazione (1) 
(che a ben vedere � meramente eventuale, potendo l�amministrazione optare 
per la non riedizione della gara). In altre parole si era prospettato che �l�interesse 
all�affidamento� andava inteso come riferito a un �determinato appalto 
pubblico�, ossia allo specifico appalto alla cui gara ha partecipato il soggetto 

(1) Si era cio� rappresentato che applicando il principio di diritto posto dalla Plenaria n. 4/2011 
non si precluderebbe la tutela giurisdizionale ad un concorrente, ma semplicemente non si ammette che 
il ricorso dallo stesso presentato sia da valutare nel merito in quanto, dall�esame del ricorso presentato 
dalla controparte, si evince in modo certo ed inconfutabile che lo stesso non era in possesso dei requisiti 
per aggiudicarsi la gara. 


che contesta l�operato della stazione appaltante. La carenza di requisiti per 
l�aggiudicazione avrebbe determinato il difetto di legittimazione a ricorrere 
in quanto mai avrebbe potuto conseguire quell�appalto. Come predetto tale 
tesi � stata tuttavia smentita dalla Corte di Giustizia, e di tale dato occorre 
prendere atto. La Corte infatti � addivenuta ad una ricostruzione che garantisce 
comunque l�interesse �strumentale� del partecipante a far cadere la gara per 
ottenere la riedizione della stessa. 

Al di l� di letture pi� o meno restrittive della portata del principio affermato 
dalla Corte di Giustizia resta il fatto che le peculiarit� del caso esaminato 
rendono di perdurante vitalit� la questione oggetto della remissione all�Adunanza 
plenaria di cui alle citate ordinanze del 2013. 

Di certo il punto fermo � che il mero aspetto �processuale� ovverosia la 
regola di esame delle questioni di cui agli artt. 76, IV comma, del d. lgs. 
n.104/2010 e 276, II co., del codice di procedura civile non pu� assumere rilievo 
per negare la possibilit� di tutela giurisdizionale al partecipante alla gara. 
In tal senso pare corretto ritenere che quello che dovr� essere principalmente 
oggetto di revisione da parte della Plenaria rispetto alla posizione del 2011 � 
il concetto stesso di legittimazione, che nell�ambito del giudizio amministrativo 
assume una connotazione peculiare ed in gran parte autonoma rispetto 
all�omologa nozione processual-civilsitica. Tale profilo � stato ben messo in 
luce dall�ordinanza n. 2684/2013 in quanto mentre nel processo civile la questione 
della legittimazione � principalmente legata alla prospettazione della 
parte (coincidenza tra il soggetto che propone la domanda e il soggetto che 
nella domanda si afferma titolare del diritto), nel processo amministrativo 
quella recepita � una nozione pi� marcatamente sostanziale: �non basta che il 
ricorrente si autodichiari titolare dell�interesse che fa valere, ma occorre andare 
a verificare se ne sia effettivamente titolare, se cio� egli sia realmente titolare 
di una posizione giuridica differenziata e normativamente qualificata�. Se ci� 
� vero, la verifica di merito richiesta per accertare la legittimazione esclude 
che il semplice ordine delle questioni possa assurgere a discrimine nella garanzia 
della tutela giurisdizionale effettiva. 

Corte di Giustizia dell�Unione Europea, Decima Sezione, sentenza del 4 luglio 2013 nella 
causa C-100/12 -Pres. A. Rosas, Rel. D. .v�by, Avv. Gen. J. Kokott - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte - Fastweb SpA 
contro Azienda Sanitaria Locale di Alessandria. 

�Appalti pubblici � Direttiva 89/665/CEE � Ricorso in materia di appalti pubblici � Ricorso 
proposto contro la decisione di aggiudicazione di un appalto da un offerente escluso � Ricorso 
fondato sulla motivazione che l�offerta prescelta non sarebbe conforme alle specifiche tecniche 
dell�appalto � Ricorso incidentale dell�aggiudicatario fondato sull�inosservanza di alcune 
specifiche tecniche dell�appalto nell�offerta presentata dall�offerente che ha proposto il ri



CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INERNAZIONALE 43 

corso principale � Offerte entrambe non conformi alle specifiche tecniche dell�appalto � Giurisprudenza 
nazionale che impone di esaminare in via preliminare il ricorso incidentale e, in 
caso di fondatezza di quest�ultimo, di dichiarare inammissibile il ricorso principale senza 
esaminarlo nel merito � Compatibilit� con il diritto dell�Unione� 

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione della direttiva 
89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, 
regolamentari e amministrative relative all�applicazione delle procedure di ricorso 
in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, 
pag. 33), come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 
dell�11 dicembre 2007 (GU L 335, pag. 31; in prosieguo: la �direttiva 89/665�). 

2 Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia tra Fastweb SpA (in 
prosieguo: �Fastweb�), da una parte, e l�Azienda Sanitaria Locale di Alessandria, nonch� 
Telecom Italia SpA (in prosieguo: �Telecom Italia�) ed una controllata di quest�ultima, 
Path-Net SpA (in prosieguo: �Path-Net�), dall�altra, a proposito dell�aggiudicazione 
di un appalto pubblico a tale controllata. 

Contesto normativo 

3 Il secondo ed il terzo considerando della direttiva 89/665 sono formulati come segue: 
�[C]onsiderando che i meccanismi attualmente esistenti, sia sul piano nazionale sia sul 
piano comunitario, per garantire [l�]applicazione [effettiva delle direttive in materia di 
appalti pubblici] non sempre permettono di garantire il rispetto delle disposizioni comunitarie, 
in particolare in una fase in cui le violazioni possono ancora essere corrette; 
considerando che l�apertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende 
necessario un aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione 
e che occorre, affinch� essa sia seguita da effetti concreti, che esistano mezzi di ricorso 
efficaci e rapidi in caso di violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici 

o delle norme nazionali che recepiscano tale diritto�. 

4 Il considerando 3 della direttiva 2007/66 cos� recita: 
�[�] le garanzie di trasparenza e di non discriminazione che costituiscono l�obiettivo 
[in particolare della direttiva 89/665] dovrebbero essere rafforzate per garantire che la 
Comunit� nel suo complesso benefici pienamente degli effetti positivi dovuti alla modernizzazione 
e alla semplificazione delle norme sull�aggiudicazione degli appalti pubblici, 
operate [in particolare dalla direttiva 2004/18/CE, del Parlamento europeo e del 
Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione 
degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114)] 
(...)�. 

5 Ai sensi dell�articolo 1 della direttiva 89/665, rubricato �Ambito di applicazione e accessibilit� 
delle procedure di ricorso�: 

�1. La presente direttiva si applica agli appalti di cui alla direttiva [2004/18], a meno 
che tali appalti siano esclusi a norma degli articoli da 10 a 18 di tale direttiva. 
Gli appalti di cui alla presente direttiva comprendono gli appalti pubblici, gli accordi 
quadro, le concessioni di lavori pubblici e i sistemi dinamici di acquisizione. 
Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda 
gli appalti disciplinati dalla direttiva [2004/18], le decisioni prese dalle amministrazioni 
aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, 
quanto pi� rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2 septies 


della presente direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in 
materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono. 
(...) 

3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo 
modalit� dettagliate che gli Stati membri possono determinare, [per lo meno] a chiunque 
abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l�aggiudicazione di un determinato appalto e 
sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. 
(...)�. 

6 L�articolo 2, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce quanto segue: 
�Gli Stati membri provvedono affinch� i provvedimenti presi in merito alle procedure 
di ricorso di cui all�articolo 1 prevedano i poteri che consentono di: 
(...) 
b) annullare o far annullare le decisioni illegittime (�); 
(...)�. 

7 Il considerando 2 della direttiva 2004/18 � formulato come segue: 
�L�aggiudicazione degli appalti negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici 
territoriali e di altri organismi di diritto pubblico � subordinata al rispetto dei principi 
del trattato [FUE] ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, 
della libert� di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonch� ai principi che 
ne derivano, quali i principi di parit� di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento 
reciproco, di proporzionalit� e di trasparenza. Tuttavia, per gli appalti pubblici 
con valore superiore ad una certa soglia � opportuno elaborare disposizioni di coordinamento 
comunitario delle procedure nazionali di aggiudicazione di tali appalti fondate 
su tali principi, in modo da garantirne gli effetti ed assicurare l�apertura degli appalti 
pubblici alla concorrenza. Di conseguenza, tali disposizioni di coordinamento dovrebbero 
essere interpretate conformemente alle norme ed ai principi citati, nonch� alle altre 
disposizioni del trattato�. 

8 Ai sensi dell�articolo 2 della direttiva: 
�Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parit�, 
in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza�. 

9 L�articolo 32 della direttiva in questione cos� dispone: 
�(...) 


2. Ai fini della conclusione di un accordo quadro, le amministrazioni aggiudicatrici seguono 
le regole di procedura previste dalla presente direttiva in tutte le fasi fino all�aggiudicazione 
degli appalti basati su tale accordo quadro. (...) 
Gli appalti basati su un accordo quadro sono aggiudicati secondo le procedure previste 
ai paragrafi 3 e 4. (...) 
(...) 


4. (...) 
Gli apalti basati su accordi quadro conclusi con pi� operatori economici possono essere 
aggiudicati: 
(...) 


� qualora l�accordo quadro non fissi tutte le condizioni, dopo aver rilanciato il confronto 
competitivo fra le parti in base alle medesime condizioni, se necessario precisandole, e, 
se del caso, ad altre condizioni indicate nel capitolato d�oneri dell�accordo quadro, secondo 
la seguente procedura: 



CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INERNAZIONALE 45 

a) per ogni appalto da aggiudicare le amministrazioni aggiudicatrici consultano per 
iscritto gli operatori economici che sono in grado di realizzare l�oggetto dell�appalto; 
(...) 
d) le amministrazioni aggiudicatrici aggiudicano ogni appalto all�offerente che ha presentato 
l�offerta migliore sulla base dei criteri di aggiudicazione fissati nel capitolato 
d�oneri dell�accordo quadro�. 


Procedimento principale e questione pregiudiziale 

10 Conformemente al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, �Codice dell�amministrazione 
digitale� (supplemento ordinario alla GURI n. 112 del 16 maggio 2005), il Centro 
Nazionale per l�Informatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA) � abilitato a concludere 
contratti quadro con operatori economici da esso individuati. Le amministrazioni 
non statali hanno facolt� di attribuire appalti fondati su tali contratti quadro, sulla base 
delle proprie esigenze di servizio. 

11 Il CNIPA ha concluso un contratto quadro di questo tipo, in particolare, con Fastweb e 
Telecom Italia. Il 18 giugno 2010, l�Azienda Sanitaria Locale di Alessandria ha indirizzato 
a tali societ� una richiesta di progetto riguardante �linee dati/fonia� sulla base di 
un �piano di fabbisogni�. Con delibera del 15 settembre 2010, essa ha scelto il progetto 
presentato da Telecom Italia, concludendo un contratto con una controllata di quest�ultima, 
Path-Net, il 27 dello stesso mese. 

12 Fastweb ha proposto ricorso contro la decisione di aggiudicazione dell�appalto dinanzi 
al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte. Telecom Italia e Path-Net sono 
intervenute nel procedimento, proponendo ricorso incidentale. La legittimit� dell�offerta 
di ciascuno degli operatori viene contestata dal suo unico concorrente a causa del mancato 
rispetto di alcune specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni. 

13 In esito alla verificazione dell�idoneit� delle offerte presentate dalle due societ� rispetto 
al piano di fabbisogni, disposta dal giudice del rinvio, � stato constatato che nessuna 
delle due offerte risultava conforme all�insieme delle specifiche tecniche imposte dal 
piano. Secondo tale giudice, una simile constatazione dovrebbe logicamente condurre 
all�accoglimento dei due ricorsi e, di conseguenza, ad annullare la procedura di aggiudicazione 
dell�appalto pubblico in questione, dal momento che nessun offerente ha presentato 
un�offerta idonea a dar luogo ad aggiudicazione. Tale soluzione soddisferebbe 
l�interesse del ricorrente principale, in quanto la rinnovazione della procedura di aggiudicazione 
gli procurerebbe una nuova chance di ottenere l�appalto. 

14 Il giudice del rinvio rileva tuttavia che, con decisione del 7 aprile 2011, resa in adunanza 
plenaria, il Consiglio di Stato, a proposito dei ricorsi in materia di appalti pubblici, ha 
enunciato un principio di diritto secondo il quale l�esame di un ricorso incidentale diretto 
a contestare la legittimazione del ricorrente principale, in quanto illegittimamente ammesso 
a partecipare alla procedura di aggiudicazione controversa, deve precedere 
l�esame del ricorso principale, anche nel caso in cui il ricorrente principale abbia un interesse 
strumentale alla rinnovazione dell�intera procedura di aggiudicazione e indipendentemente 
sia dal numero dei concorrenti che vi hanno preso parte, sia dal tipo di 
censura prospettata con il ricorso incidentale, sia infine dalle richieste dell�amministrazione 
interessata. 

15 Il Consiglio di Stato ritiene infatti che la legittimazione a ricorrere contro la decisione 
di aggiudicazione di un appalto pubblico spetti soltanto al soggetto che abbia legittimamente 
partecipato alla procedura di aggiudicazione. Secondo tale giudice, l�accertamento 


dell�illegittimit� dell�ammissione del ricorrente principale alla procedura avrebbe una 
portata retroattiva e l�esclusione definitiva di quest�ultimo dalla suddetta procedura comporterebbe 
che esso si trovi in una situazione che non gli permette di contestare l�esito 
della procedura stessa. 

16 Secondo questa giurisprudenza del Consiglio di Stato, l�interesse pratico alla rinnovazione 
della procedura di aggiudicazione invocato dalla parte che abbia proposto ricorso 
contro la decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico non attribuisce a quest�ultima 
una posizione giuridica fondante la legittimazione al ricorso. Tale interesse non si 
distinguerebbe infatti da quello di qualsiasi altro operatore economico del settore che 
aspiri a partecipare ad una futura procedura di aggiudicazione. Pertanto, il ricorso incidentale 
diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale dovrebbe essere 
sempre esaminato per primo, anche quando gli offerenti siano solo due, ossia il ricorrente 
principale, cio� l�offerente escluso e il ricorrente incidentale, cio� l�aggiudicatario. 

17 Il giudice del rinvio esprime dubbi sulla compatibilit� di tale giurisprudenza, in particolare 
nella misura in cui essa afferma incondizionatamente la prevalenza del ricorso 
incidentale su quello principale, con i principi di parit� di trattamento, non discriminazione, 
libera concorrenza e tutela giurisdizionale effettiva, quali recepiti negli articoli 
1, paragrafo 1, e 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 89/665. Secondo tale giudice, 
infatti, l�esame in via preliminare � ed eventualmente assorbente � del ricorso incidentale 
attribuisce all�aggiudicatario un vantaggio ingiustificato rispetto a tutti gli altri operatori 
economici che hanno partecipato alla procedura di aggiudicazione, qualora risulti che 
l�appalto gli � stato aggiudicato illegittimamente. 

18 Alla luce di quanto sopra, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha deciso 
di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se i principi di parit� delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza 
nei pubblici appalti, di cui alla Direttiva [89/665], ostino al diritto vivente quale statuito 
nella decisione dell�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2011, secondo il 
quale l�esame del ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente 
principale attraverso l�impugnazione della sua ammissione alla procedura di gara, deve 
necessariamente precedere quello del ricorso principale ed abbia portata pregiudiziale 
rispetto all�esame del ricorso principale, anche nel caso in cui il ricorrente principale 
abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dell�intera procedura selettiva e indipendentemente 
dal numero dei concorrenti che vi hanno preso parte, con particolare riferimento 
all�ipotesi in cui i concorrenti rimasti in gara siano soltanto due (e coincidano 
con il ricorrente principale e con l�aggiudicatario-ricorrente incidentale), ciascuno mirante 
ad escludere l�altro per mancanza, nelle rispettive offerte presentate, dei requisiti 
minimi di idoneit� dell�offerta�. 
Sulla ricevibilit� della domanda di pronuncia pregiudiziale 

19 Telecom Italia, Path-Net e il governo italiano contestano la ricevibilit� della domanda 
di pronuncia pregiudiziale per diversi motivi. Tuttavia, le quattro eccezioni di irricevibilit� 
sollevate al riguardo non possono essere accolte. 

20 In primo luogo, infatti, il presente rinvio pregiudiziale � avvenuto in un caso che rientra 
perfettamente nella previsione dell�articolo 267 TFUE. Ai sensi del primo e del secondo 
comma di tale articolo, un giudice di uno Stato membro pu� domandare alla Corte di 
pronunciarsi su qualsiasi questione relativa all�interpretazione dei trattati e degli atti di 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INERNAZIONALE 47 

diritto derivato, qualora reputi una decisione su questo punto necessaria per emanare la 
sua sentenza nella controversia di cui � investito. Orbene, nel caso di specie, dalla decisione 
di rinvio emerge che il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte 
esprime dei dubbi in merito alle implicazioni della direttiva 89/665 nel contesto fattuale 
e processuale della controversia di cui al procedimento principale, prospettando due 
possibili risposte dalle quali discenderebbero soluzioni diverse di tale controversia. 

21 In secondo luogo, la decisione del giudice del rinvio contiene una descrizione sufficientemente 
chiara del contesto giuridico nazionale, in quanto essa descrive e chiarisce la 
giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale � fondata sull�interpretazione, fornita da 
quest�ultimo, dell�insieme delle norme e dei principi processuali di diritto nazionale rilevanti 
in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nonch� delle 
conseguenze che ne derivano, secondo tale giudice, in merito all�ammissibilit� del ricorso 
principale dell�offerente escluso. 

22 In terzo luogo, nonostante il giudice del rinvio non indichi la specifica disposizione di 
diritto dell�Unione della quale aspira ad ottenere l�interpretazione, esso si riferisce esplicitamente, 
gi� nella stessa questione pregiudiziale, alla direttiva 89/665, e la decisione di 
rinvio contiene un insieme di informazioni sufficientemente completo per permettere alla 
Corte di individuare gli elementi di tale diritto che richiedono un�interpretazione, tenuto 
conto dell�oggetto del procedimento principale (v., per analogia, sentenza del 9 novembre 
2006, Chateignier, C.346/05, Racc. pag. I.10951, punto 19 e giurisprudenza citata). 

23 Infine, in quarto luogo, non risulta che tale controversia riguardi un appalto pubblico 
rientrante in una delle eccezioni di cui all�articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 89/665. 
Pertanto, nella misura in cui l�importo di tale appalto raggiunga la soglia per l�applicazione 
della direttiva 2004/18 fissata all�articolo 7 di quest�ultima, cosa che spetta al giudice 
del rinvio accertare, ma di cui nulla al momento induce a dubitare, le due citate 
direttive sono applicabili ad un appalto come quello di cui al procedimento principale. 
Va ricordato, in proposito, che il fatto che una procedura di aggiudicazione di un appalto 
pubblico riguardi soltanto imprese nazionali � irrilevante ai fini dell�applicazione della 
direttiva 2004/18 (v., in tal senso, sentenza del 16 dicembre 2008, Michaniki, C.213/07, 
Racc. pag. I.9999, punto 29 e giurisprudenza citata). 
Sulla questione pregiudiziale 

24 Con la sua questione, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se le disposizioni della 
direttiva 89/665, e in particolare i suoi articoli 1 e 2, debbano essere interpretate nel 
senso che se, in un procedimento di ricorso, l�aggiudicatario solleva un�eccezione di 
inammissibilit� fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell�offerente che ha 
proposto il ricorso, con la motivazione che l�offerta da questi presentata avrebbe dovuto 
essere esclusa dall�autorit� aggiudicatrice per non conformit� alle specifiche tecniche 
indicate nel piano di fabbisogni, il suddetto articolo 1, paragrafo 3, osta al fatto che tale 
ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell�esame preliminare di tale eccezione 
di inammissibilit�, quando il ricorrente contesta a sua volta la legittimit� del-
l�offerta dell�aggiudicatario con identica motivazione e soltanto questi due operatori 
economici hanno presentato un�offerta. 

25 Va rilevato che dall�articolo 1 della direttiva 89/665 deriva che quest�ultima mira a consentire 
la proposizione di ricorsi efficaci contro le decisioni delle autorit� aggiudicatrici 
contrarie al diritto dell�Unione. Secondo il paragrafo 3 del suddetto articolo, gli Stati 
membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo le modalit� 


che gli Stati membri possono determinare, almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse 
ad ottenere l�aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere 
leso a causa di una presunta violazione. 

26 A questo proposito, una decisione con cui l�autorit� aggiudicatrice esclude un�offerta 
prima ancora di procedere alla selezione costituisce una decisione contro la quale dev�essere 
possibile ricorrere, ai sensi dell�articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 89/665, 
essendo tale disposizione applicabile a tutte le decisioni adottate dalle autorit� aggiudicatrici 
soggette alle norme di diritto dell�Unione in materia di appalti pubblici e non 
prevedendo essa alcuna limitazione relativa alla natura e al contenuto di dette decisioni 
(v., in particolare, sentenza del 19 giugno 2003, Hackerm�ller, C.249/01, Racc. pag. 
I.6319, punto 24, e giurisprudenza citata). 

27 In tal senso, al punto 26 della citata sentenza Hackerm�ller, la Corte ha affermato che 
il fatto che l�autorit� dinanzi alla quale si svolge il procedimento di ricorso neghi la partecipazione 
a tale procedimento, per mancanza della legittimazione a ricorrere, ad un 
offerente escluso prima ancora di procedere a una selezione, avrebbe l�effetto di privare 
tale offerente non solo del suo diritto a ricorrere contro la decisione di cui egli afferma 
l�illegittimit�, ma altres� del diritto di contestare la fondatezza del motivo di esclusione 
allegato da detta autorit� per negargli la qualit� di persona che sia stata o rischi di essere 
lesa dall�asserita illegittimit�. 

28 Certamente, quando, al fine di ovviare a tale situazione, viene riconosciuto all�offerente 
il diritto di contestare la fondatezza di detto motivo di esclusione nell�ambito del procedimento 
instaurato a seguito di un ricorso avviato da quest�ultimo per contestare la 
legittimit� della decisione con cui l�autorit� aggiudicatrice non ha ritenuto la sua offerta 
come la migliore, non si pu� escludere che, al termine di tale procedimento, l�autorit� 
adita pervenga alla conclusione che detta offerta avrebbe dovuto effettivamente essere 
esclusa in via preliminare e che il ricorso dell�offerente debba essere respinto in quanto, 
tenuto conto di tale circostanza, egli non � stato o non rischia di essere leso dalla violazione 
da lui denunciata (v. sentenza Hackerm�ller, cit., punto 27). 

29 In una situazione del genere, all�offerente che ha proposto ricorso contro la decisione 
di aggiudicazione di un appalto pubblico deve essere riconosciuto il diritto di contestare 
dinanzi a tale autorit�, nell�ambito di tale procedimento, la fondatezza delle ragioni in 
base alle quali la sua offerta avrebbe dovuto essere esclusa (v., in tal senso, sentenza 
Hackerm�ller, cit., punti 28 e 29). 

30 Tale insegnamento � applicabile, in linea di principio, anche qualora l�eccezione di inammissibilit� 
non sia sollevata d�ufficio dall�autorit� investita del ricorso, ma in un ricorso 
incidentale proposto da una parte nel procedimento di ricorso, come l�aggiudicatario regolarmente 
intervenuto nello stesso. 

31 Nel procedimento principale, il giudice del rinvio, all�esito della verifica dell�idoneit� 
delle offerte presentate dalle due societ� in questione, ha constatato che l�offerta presentata 
da Fastweb non era conforme all�insieme delle specifiche tecniche indicate nel 
piano di fabbisogni. Esso � giunto peraltro alla stessa conclusione in relazione all�offerta 
presentata dall�altro offerente, Telecom Italia. 

32 Una situazione del genere si distingue da quella oggetto della citata sentenza Hackerm�ller, 
in particolare per essere risultato che, erroneamente, l�offerta prescelta non � 
stata esclusa al momento della verifica delle offerte, nonostante essa non rispettasse le 
specifiche tecniche del piano di fabbisogni. 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INERNAZIONALE 49 

33 Orbene, dinanzi ad una simile constatazione, il ricorso incidentale dell�aggiudicatario 
non pu� comportare il rigetto del ricorso di un offerente nell�ipotesi in cui la legittimit� 
dell�offerta di entrambi gli operatori venga contestata nell�ambito del medesimo procedimento 
e per motivi identici. In una situazione del genere, infatti, ciascuno dei concorrenti 
pu� far valere un analogo interesse legittimo all�esclusione dell�offerta degli altri, 
che pu� indurre l�amministrazione aggiudicatrice a constatare l�impossibilit� di procedere 
alla scelta di un�offerta regolare. 

34 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione sollevata 
dichiarando che l�articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 deve essere interpretato 
nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l�aggiudicatario che ha 
ottenuto l�appalto e proposto ricorso incidentale solleva un�eccezione di inammissibilit� 
fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell�offerente che ha proposto il ricorso, 
con la motivazione che l�offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dal-
l�autorit� aggiudicatrice per non conformit� alle specifiche tecniche indicate nel piano 
di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile 
in conseguenza dell�esame preliminare di tale eccezione di inammissibilit� 
senza pronunciarsi sulla compatibilit� con le suddette specifiche tecniche sia dell�offerta 
dell�aggiudicatario che ha ottenuto l�appalto, sia di quella dell�offerente che ha proposto 
il ricorso principale. 
Sulle spese 

35 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un 
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. 
Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono 
dar luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (decima sezione) dichiara: 
L�articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 
1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative 
all�applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli 
appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE 
del Parlamento europeo e del Consiglio, dell�11 dicembre 2007, deve essere interpretato 
nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l�aggiudicatario che ha ottenuto 
l�appalto e proposto ricorso incidentale solleva un�eccezione di 
inammissibilit� fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell�offerente che 
ha proposto il ricorso, con la motivazione che l�offerta da questi presentata avrebbe 
dovuto essere esclusa dall�autorit� aggiudicatrice per non conformit� alle specifiche 
tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto 
ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell�esame preliminare 
di tale eccezione di inammissibilit� senza pronunciarsi sulla conformit� con le suddette 
specifiche tecniche sia dell�offerta dell�aggiudicatario che ha ottenuto l�appalto, 
sia di quella dell�offerente che ha proposto il ricorso principale. 


Attivit� di protezione civile tra contratti di appalto, 
affidamenti in house, accordi fra pubblice amministrazioni 

E alla luce delle pronunce della Corte di Giustizia dell�Unione Europea e 
della giurisprudenza nazionale. Interpretazione della sentenza della CGUEdel 19 dicembre 2012, C-159/11 

Sabrina Trivelloni* 

SOMMARIO: Premessa - 1. Onerosit� della prestazione di servizi - 2. Nozione di operatore 
economico - 3. Affidamento in house - 4. Servizi di cui all�Allegato II della direttiva 
2004/18/CE. L�applicazione della deroga di cui all�art. 16, comma 1, lettera f) della direttiva 
2004/18/CE (art. 19, comma 1, lettera f) del D. Lgs. 163/2006) - 5. Il diritto esclusivo. La deroga 
di cui all�art. 18 della direttiva 2004/18/CE (art. 19, comma 2, D. Lgs. 163/2006) - 6. 
La cooperazione tra soggetti pubblici. 

Premessa. 

Come noto, l�art. 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 istituisce il Servizio 
nazionale della Protezione civile, con lo scopo di tutelare �l�integrit� 
della vita, i beni, gli insediamenti e l�ambiente da danni o dal pericolo di danni 
derivanti da calamit� naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi�. 

Al fine di garantire il perseguimento del predetto scopo, l�art. 3 della medesima 
legge - come modificato dalla recente riforma attuata dal D.L. 15 maggio 
2012, n. 59 convertito dalla legge 12 luglio 2012, n. 100 - individua le 
relative attivit� di protezione civile, consistenti nella previsione e prevenzione 
dei rischi, oltre che nel soccorso delle popolazioni sinistrate ed in ogni azione 
necessaria ed indifferibile diretta al superamento dell�emergenza ed alla mitigazione 
del rischio relativa ad eventi e calamit� naturali o connessi con l�attivit� 
dell�uomo. 

Ai sensi di quanto previsto dall�art. 6, comma 1, della legge de qua, al-
l�attuazione dell�attivit� di protezione civile provvedono e vi concorrono, �secondo 
i rispettivi ordinamenti e competenze�, tutte le Componenti del Servizio 
nazionale della protezione civile, ovvero �le amministrazioni dello Stato, le 
regioni, le province, i comuni, le comunit� montane, gli enti pubblici, gli istituti 
ed i centri di ricerca scientifica con finalit� di protezione civile, nonch� ogni 
altra istituzione ed organizzazione anche privata�. 

La medesima disposizione conclude prevedendo che �a tal fine, le strutture 
nazionali e locali di protezione civile possono stipulare convenzioni con 
soggetti pubblici e privati�. 

(*) Dottore in Giurisprudenza, gi� praticante forense presso l�Avvocatura dello Stato. 


Sembrerebbe, pertanto, che il legislatore, attraverso il predetto art. 6, 
abbia voluto individuare nella convenzione lo strumento ideale per garantire 
l�espletamento delle attivit� di protezione civile. 

Tale affermazione, tuttavia, necessita di maggiore approfondimento nei 
termini di seguito indicati. 

Il richiamato art. 6, comma 1, della legge 225/92, nella parte in cui prevede 
la stipula di convenzioni con soggetti pubblici, pu� ragionevolmente interpretarsi 
quale norma speciale, in materia di protezione civile, rispetto all�art. 
15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che prevede generalmente la possibilit�, 
per le pubbliche amministrazioni, di concludere tra loro accordi per disciplinare 
lo svolgimento in collaborazione di attivit� di interesse comune. 

La medesima disposizione, invece, potrebbe presentare profili di illegittimit� 
costituzionale per violazione dell�art. 117, comma 1, Cost. - con riferimento 
al parametro interposto di cui alla direttive comunitarie in materia di 
appalti pubblici - nella parte in cui prevede la possibilit� di concludere convenzioni 
con soggetti privati, bench� Componenti del servizio nazionale di 
protezione civile, nei limiti in cui tali convenzioni abbiano ad oggetto attivit� 
che potrebbero rivestire le caratteristiche dei servizi di cui all�allegato II della 
direttiva 2004/18/CE. 

Le convenzioni stipulate con soggetti privati, infatti, bench� formalmente 
concluse ai sensi dell�art. 6 della legge 225/92, potrebbero integrare nella sostanza 
i requisiti di un appalto pubblico di servizi, come tale soggetto alla disciplina 
della direttiva 2004/18/CE. 

Il presente studio, pertanto, intende preliminarmente analizzare i requisiti 
in presenza dei quali una convenzione formalmente stipulata ai sensi dell�art. 
6 della legge 225/92 configuri nella sostanza un appalto pubblico di servizi con 
conseguente assoggettamento alle procedure ad evidenza pubblica di cui 
alle direttive comunitarie - per poi verificare in che limiti le convenzioni ex 
art. 6 legge 225/92 possano integrare, invece, i presupposti di una cooperazione 
tra pubbliche amministrazioni ex art. 15 della legge 241/90 - secondo le 
indicazioni fornite da ultimo dalla recente pronuncia della Corte UE del 19 
dicembre 2012, C-159/11 - o, invece, possano presentare le caratteristiche di 
un affidamento in house, ferma restando la verifica circa l�applicabilit� delle 
deroghe di cui all�art. 16, comma 1, lettera f) ed art. 18 della direttiva 
2004/18/CE. 

Nella suddetta indagine, si far� riferimento alle convenzioni che il Dipartimento 
della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri stipula 
con i Centri di Competenza - ovvero con le componenti del servizio 
nazionale di protezione civile titolari della funzione di fornire informazioni, 
dati, elaborazioni, e contributi tecnico scientifici, ognuno per definiti ambiti 
di specializzazione, in relazione alle diverse tipologie di rischio - individuati 
dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 settembre 2012, 


recante �Definizione dei principi per l'individuazione ed il funzionamento dei 
Centri di Competenza�, adottato in attuazione dell�art. 3 bis, comma 2, della 
legge 24 febbraio 1992, n. 225. 

La scelta di far riferimento ai Centri di competenza � dettata dalla circostanza 
che la maggior parte delle convenzioni in materia di protezione civile 
sono stipulate proprio con tali soggetti; tuttavia le conclusioni a cui il presente 
studio perviene sono suscettibili di applicazione alla totalit� delle convenzioni 
stipulate con le Componenti del servizio nazionale di protezione civile. 

Esaurita tale doverosa premessa, al fine di verificare i presupposti in presenza 
dei quali una convenzione ex art. 6 della legge 225/92 rientri nel campo 
di applicazione della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, deve 
analizzarsi l�art. 1 della direttiva 2004/18/CE che definisce gli appalti pubblici 
di servizi come contratti a titolo oneroso tra uno o pi� operatori economici e 
una o pi� amministrazioni aggiudicatrici, aventi per oggetto la prestazione di 
servizi di cui all�allegato II. 

1. Onerosit� della prestazione di servizi. 

Il primo requisito richiesto dall�art. 1 della direttiva 2004/18/CE ai fini 
della qualificazione di un accordo come appalto pubblico, pertanto, � l�onerosit� 
della prestazione di servizi che, secondo l�interpretazione fornita dalla 
giurisprudenza comunitaria (sentenza del 12 luglio 2001, C-399/98, Ordine 
degli Architetti; sentenza 18 gennaio 2007, C-220/05, Auroux e.a.; sentenza 
29 novembre 2007, C-119/06, Commissione/Italia), consiste in ogni vantaggio 
economicamente valutabile, ivi compresa l�ipotesi in cui il corrispettivo promesso 
a fronte del servizio sia limitato al rimborso delle spese sostenute per 
l�espletamento dello stesso (sentenza del 19 dicembre 2012, C-159/11, ASL 
Lecce e Universit� del Salento /Ordine degli Ingegneri di Lecce ed altri). 

La suddetta impostazione della giurisprudenza comunitaria � stata seguita 
anche dal Consiglio di Stato (Sez. VI, 10 gennaio 2007, n. 30) il quale - con 
riferimento ad un contratto avente ad oggetto il servizio di erogazione di prestiti 
personali ai dipendenti di un ente pubblico affidato direttamente dall�ente 
medesimo a istituti bancari in assenza di procedura ad evidenza pubblica - ha 
ritenuto il carattere oneroso del richiamato contratto sul presupposto per cui 
�pur in assenza di un corrispettivo pecuniario a carico dell�ente pubblico, 
viene in rilievo un�utilit� contendibile sub specie di vantaggio pubblicitario e 
di avvicinamento ad una clientela di notevoli dimensioni che danno la stura 
ad un�ipotesi paradigmatica di rilevanza economica indiretta�. 

Deve segnalarsi, tuttavia, come il Consiglio di Stato, Sez. III, con recente 
ordinanza n. 1195 del 27 febbraio 2013, sembra discostarsi dal descritto concetto 
di onerosit�, rimettendo alla Corte di Giustizia dell�Unione Europea, ex 
art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell�Unione Europea, la questione circa 
l�onerosit� o meno di un contratto che preveda, all�interno del rimborso delle 


spese, anche il rimborso dei costi fissi e durevoli (�Dica la Corte di Giustizia 
se il diritto dell�Unione in materia di appalti pubblici osti ad una normativa 
nazionale che permetta l�affidamento diretto del servizio di trasporto sanitario, 
dovendo qualificarsi come oneroso un accordo quadro, quale quello in contestazione, 
che preveda il rimborso anche dei costi fissi e durevoli nel tempo�). 

Secondo la tesi seguita dalla sez. III del Consiglio di Stato, il mero rimborso 
delle spese non � sufficiente al fine di integrare il requisito dell�onerosit� 
della prestazione di servizi, dovendosi richiedere, invece, un ulteriore presupposto, 
ovvero che il rimborso non si limiti a coprire i soli costi diretti legati al 
servizio ma abbracci anche i costi indiretti e generali legati all�attivit� stabilmente 
svolta dal soggetto affidatario (utenze, canoni, spese condominiali, assicurazioni 
e comunque spese generali e di funzionamento), s� da far configurare 
il rimborso quale un vero e proprio corrispettivo per la prestazione svolta. 

Tale impostazione non appare in linea con il descritto orientamento della 
giurisprudenza comunitaria, seguita da quella nazionale, secondo cui il mero 
rimborso spese, a prescindere dalla copertura delle singole voci di costo, � di 
per s� suscettibile di integrare il requisito dell�onerosit� del contratto ogniqualvolta 
il prestatore ottenga dall�affidamento del servizio un vantaggio economicamente 
valutabile che non deve necessariamente consistere in un compenso 
di natura economica, ben potendo consistere anche in un�utilit� mediata. 

Ci� premesso, ai sensi del richiamato decreto del Presidente del Consiglio 
dei Ministri del 14 settembre 2012, recante �Definizione dei principi per l'individuazione 
ed il funzionamento dei Centri di Competenza�, le convenzioni 
che il Dipartimento della Protezione civile stipula con i Centri di Competenza 
possono prevedere esclusivamente il riconoscimento delle �spese sostenute 
per la realizzazione delle attivit� richieste, senza la previsione di alcun utile 

o ulteriore spesa�. 

Conseguentemente, si ritiene che le suddette convenzioni integrino il requisito 
dell�onerosit�. 

2. Nozione di operatore economico. 

Con riferimento al profilo soggettivo, la Corte di giustizia dell�UE (sentenza 
23 dicembre 2009, C-305/08, CoNISMA) interpreta in maniera estensiva 
il concetto di operatore economico, includendovi �qualunque persona fisica 

o giuridica o un ente pubblico che offra sul mercato la realizzazione di servizi� 

a prescindere dalla struttura imprenditoriale, dallo scopo di lucro e dalla presenza 
continua sul mercato, cos� includendovi anche le Universit� che, ai sensi 
della normativa nazionale, sono autorizzate a fornire prestazioni di ricerca e 
consulenza ad enti pubblici o privati, purch� tale attivit� non comprometta la 
loro funzione didattica. 

Secondo la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia, 29 novembre 
2007, C-119/06, Commissione/Italia), anche le associazioni di volontariato 


devono essere ricomprese nella descritta nozione di operatore economico, in 
quanto l�assenza di fini di lucro non esclude di per s� che le stesse associazioni 
di volontariato - le quali, ad esempio, garantiscono servizi di trasporto d�urgenza 
e di trasporto malati - esercitino attivit� economiche in concorrenza con 
altri operatori (nello stesso senso, Cons. Stato Sez. VI, 23 gennaio 2013, n. 
387; Cons. Stato Sez. III, 20 novembre 2012, n. 5882; Cons. Stato, Sez. III, 
ordinanza n. 1195 del 27 febbraio 2013). 

Ci� premesso, l�art. 2, comma 2, del citato DPCM del 14 settembre 2012 
individua i centri di competenza: 

1) nelle strutture operative di cui all�art. 11 della legge 225/1992 (Corpo 
nazionale dei vigili del fuoco, Forze di Polizia, Corpo Forestale dello Stato, 
Servizi tecnici nazionali, Gruppi nazionali di ricerca scientifica, l�Istituto nazionale 
di geofisica, Croce rossa Italiana, Strutture del Servizio sanitario nazionale, 
organizzazioni di volontariato e Corpo nazionale soccorso alpino); 

2) nei soggetti pubblici di cui all�art. 1, comma 3, della legge 196/2009 
deputati a svolgere attivit�, ricerche e studi in forza di leggi e provvedimenti 
per il perseguimento di fini istituzionali; 

3) nei soggetti partecipati da componenti del Servizio nazionale di protezione 
civile, istituiti con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e 
l�alta formazione, laddove il medesimo soggetto sia a totale partecipazione 
pubblica, svolga la propria attivit� prioritariamente in favore del Servizio nazionale 
di protezione civile e sia soggetto a vigilanza da parte del Dipartimento 
della protezione civile; 

4) nelle Universit�, Dipartimenti universitari e Centri di ricerca. 

A prescindere dalle Universit� e dalle associazioni di volontariato, che la 
Corte di Giustizia dell�UE ha definito espressamente �operatori economici�, 
non pu� escludersi, in linea di principio, che anche gli altri soggetti pubblici 
e privati individuati dal suddetto D.P.C.M. possano essere inclusi nell�ampia 
nozione delineata dalla giurisprudenza comunitaria, laddove la normativa nazionale 
gli consenta di prestare servizi sul mercato. 

In particolare, con riferimento ai soggetti di cui al n. 3, deve verificarsi 
se sussistano i presupposti richiesti dalla giurisprudenza comunitaria affinch� 
si configuri l�affidamento in house che esclude la sussistenza stessa dell�appalto 
di servizi, essendo il soggetto affidatario un�articolazione di quello affidante 
e non, invece, un soggetto distinto. 

3. Affidamento in house. 

Secondo l�insegnamento della Corte di Giustizia dell�U.E., i requisiti richiesti 
affinch� si configuri un affidamento in house - che devono essere oggetto 
di interpretazione rigorosa e restrittiva - consistono nella circostanza che 
�l�autorit� pubblica eserciti sull�ente distinto un controllo analogo a quello 
che esercita sui propri servizi� e che �il soggetto affidatario realizzi la parte 


pi� importante della propria attivit� in favore dell�ente pubblico di appartenenza� 
(sentenza 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal). 

3.1. Il requisito del controllo analogo presuppone la partecipazione pubblica 
totalitaria del soggetto a cui viene affidato il servizio, mentre deve escludersi 
in presenza di un soggetto partecipato anche da privati, in quanto in tal caso 
l�amministrazione non potrebbe esercitare lo stesso controllo che svolge sui 
propri servizi (sentenza 19 aprile 2007, C-295/05, Asociaci�n Nacional de 
Empresas Forestales c. Transformaci�n Agraria SA; 21 luglio 2005, C-231/03, 
Consorzio Coname; 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle). 

La giurisprudenza ha chiarito che, in astratto, � configurabile un �controllo 
analogo� anche nel caso di partecipazione pubblica indiretta, in cui il 
pacchetto azionario non sia detenuto direttamente dall�ente pubblico, ma indirettamente 
mediante una societ� per azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta 
al 100% dall�ente medesimo (sentenza 11 maggio 2006, causa 
C-340/04, Carbotermo). 

La Corte (sentenza del 13 novembre 2008, C-324/07, Coditel Bradant 
Sa; sentenza 29 novembre 2012, C-182/11 e C-183/11, Econord s.p.a.) ha ammesso, 
anche, la possibilit� che il soggetto affidatario sia partecipato da una 
pluralit� di enti pubblici, come nel caso di una societ� cooperativa intercomunale 
detenuta esclusivamente da autorit� pubbliche, quando il controllo sul-
l�ente affidatario pu� essere esercitato congiuntamente (nello stesso senso, 
Cons. Stato Sez. V, 8 marzo 2011, n. 1447). 

In tal caso, il requisito del controllo analogo deve essere verificato secondo 
un criterio sintetico e non atomistico, con la conseguenza � soddisfatto 
quando il controllo pubblico sull'ente affidatario, purch� effettivo e reale, sia 
esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalit�, senza che necessiti una verifica 
della posizione di ogni singolo ente (Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2011, 

n. 1447; Cons. Stato, sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092; Corte di Giustizia 
13 novembre 2008, in causa C-324/07, Coditel Brabant Sa.). 

Tuttavia, come chiarito dalla giurisprudenza comunitaria, la partecipazione 
pubblica totalitaria, per quanto necessaria, non � da sola sufficiente ad 
integrare il requisito in esame, occorrendo anche un�influenza determinante 
da parte dell�ente pubblico, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti 
del soggetto affidatario, da valutare caso per caso con riferimento alle 
disposizioni normative ed alle circostanze concrete (sentenza 11 maggio 2006, 
C-340/04, Carbotermo; sentenza 13 ottobre 2005, C-458/03, Parking Brixen). 

Negli stessi termini si esprime la giurisprudenza nazionale che accoglie 
la descritta nozione di controllo analogo elaborata dalla giurisprudenza comunitaria 
(da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 20 dicembre 2012, n. 6565), richiedendo 
�non solo che i soci pubblici detengano la totalit� delle azioni, ma 
anche che siano dotati di poteri decisionali (direttivi, ispettivi e di nomina) 


idonei a determinare un�influenza determinante sia sugli obiettivi strategici 
che sulle decisioni importanti della societ��. 

3.2. In senso particolarmente restrittivo la giurisprudenza comunitaria ha inteso 
anche il secondo requisito della sentenza Teckal, quello dell�attivit� svolta prevalentemente 
a favore dell�ente affidante, ritenendo che tale condizione sia 
soddisfatta quando l�affidatario diretto non fornisca i suoi servizi a soggetti 
diversi dall�ente controllante, anche se pubblici, ovvero li fornisca in misura 
quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle strategie aziendali 
(sentenza 17 luglio 2008, C-371/05, Commissione/Italia; sentenza 11 maggio 
2006, C-340/04, Carbotermo Spa). 

La Corte (sentenza 17 luglio 2008, C-371/05, Commissione/Italia) afferma 
che un soggetto svolge la parte pi� importante della sua attivit� con 
l�ente che lo detiene se l�attivit� di impresa � �destinata principalmente al-
l�ente ed ogni altra attivit� risulta avere solo carattere marginale� (nello 
stesso senso la giurisprudenza nazionale, Cons. Stato, sez. VI, 20 dicembre 
2012, n. 6565; Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 2011, n. 2151). 

Nell�ipotesi di enti partecipati da pi� soggetti pubblici, la Corte (sentenza 
17 luglio 2008, C-371/05, Commissione/Italia) ha affermato che l�attivit� prevalente 
da prendere in considerazione, al fine di verificare la sussistenza del 
requisito, � quella realizzata dall�ente in house nei confronti di tutti i soggetti 
controllanti e non nei confronti di ciascuno di essi. 

3.3. Alla luce di queste considerazioni, pertanto, deve valutarsi se i soggetti 
di cui all�art. 1, comma 2, lettera b) del D.P.C.M. del 14 settembre 2012 (soggetti 
partecipati da componenti del Servizio nazionale di protezione civile, 
istituiti con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l�alta formazione, 
laddove il medesimo soggetto sia a totale partecipazione pubblica, 
svolga la propria attivit� prioritariamente in favore del Servizio nazionale di 
protezione civile e sia soggetto a vigilanza da parte del Dipartimento della 
protezione civile) soddisfino i richiamati requisiti in materia di affidamento 

in house. 

Dal tenore letterale della disposizione (�soggetti partecipati da componenti 
del Servizio nazionale di protezione civile�) non � dato comprendere se 
essi siano partecipati anche dal Dipartimento della Protezione civile, che stipula 
con essi le convenzioni o comunque da soggetti a loro volta partecipati 
al 100% dal Dipartimento. 

Inoltre, sembra che la �vigilanza da parte del Dipartimento della protezione 
civile� sui suddetti soggetti non equivalga al concetto di controllo analogo 
delineato dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale tenuto conto che, 
come gi� riferito, tale requisito consiste nel �potere assoluto di direzione, coordinamento 
e supervisione dell�attivit� del soggetto partecipato, e riguarda 


l�insieme dei pi� importanti atti di gestione del medesimo� (Cons. Stato Sez. 
VI, Sent., 11 febbraio 2013, n. 762). 

3.3.1. Occorre poi rilevare e sottolineare che il Consiglio di Stato (Cons. stato, 
sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514; Cons. Stato, sez. VI, 25 novembre 2008, n. 
5781), ha escluso la possibilit� di utilizzare il modello dell�in house in assenza 
di un�apposita disposizione normativa che lo preveda, sul presupposto che l�in 
house non costituisce un principio generale, prevalente sulla normativa interna, 
ma � un principio derogatorio di carattere eccezionale che consente e non obbliga 
i legislatori nazionali a prevedere tale forma di affidamento. 

Nella medesima pronuncia, il Consiglio di Stato ha ricordato come una 
norma di carattere generale sia stata proposta nel primo schema del codice 
degli appalti, per poi essere espunta dal testo finale del D. Lgs. n. 163/2006, 
a conferma della volont� del legislatore di non generalizzare il modello dell�in 
house a qualsiasi forma di affidamento di lavori, servizi e forniture. 

Nel caso di specie, occorre dunque verificare se possa configurarsi una 
disposizione espressa che riconosca la possibilit�, anche nell�ambito dell�attivit� 
statale di protezione civile, di affidamento diretto di un servizio ad un 
soggetto interamente partecipato dall�Amministrazione aggiudicante. 

Tale verifica potrebbe dar luogo a un esito positivo, facendo leva proprio 
sull�art. 6, legge n. 225/1992, nella parte in cui prevede che �le strutture nazionali 
e locali di protezione civile possono stipulare convenzioni con soggetti 
pubblici e privati�, cos� ammettendo anche l�istituto dell�in house in detto settore, 
pur omettendo il riferimento ai requisiti comunitari del controllo analogo 
ed all�attivit� svolta prevalentemente a favore dell�ente affidante. 

Potrebbe sostenersi che l�art. 6 della legge n. 225/1992, nel silenzio del 
legislatore, debba essere interpretato nel senso che siano ammesse convenzioni 
concluse senza procedura di evidenza pubblica con soggetti c.d. in house, ma 
con le limitazioni di una interpretazione �comunitariamente� orientata, ovvero 
sempre a condizione che sussistano i citati presupposti necessari per il configurarsi 
della fattispecie dell�in house. 

3.4. Deve, infine, segnalarsi come l�art. 4, comma 6 del D.L. 95/2012, convertito 
con modificazioni nella legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135, 
abbia previsto quanto segue: 

�A decorrere dal 1� gennaio 2013 le pubbliche amministrazioni di cui 
all�articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire 
a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, 
da enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile esclusivamente 
in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformit� 
con la disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato di cui agli articoli 
da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dell�amministra



zione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico 
delle finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni istituite con lo scopo di 
promuovere lo sviluppo tecnologico e l�alta formazione tecnologica e gli enti 
e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni 
ed attivit� culturali, dell�istruzione e della formazione, le associazioni di promozione 
sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, gli enti di volontariato 
di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, le organizzazioni non 
governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, le cooperative sociali 
di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le associazioni sportive dilettantistiche 
di cui all�articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonch� le 
associazioni rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti territoriali 
e locali�. 

Come confermato dalla lettura della relazione illustrativa (acquisita dagli 
atti parlamentari), la suddetta norma vieta alle pubbliche amministrazioni, a partire 
dal 1� gennaio 2013, l�affidamento diretto in house agli enti privati di cui 
agli artt. da 13 a 42, c.c. (associazioni anche non riconosciute, fondazioni e comitati) 
di servizi a titolo oneroso, imponendo l�espletamento delle procedure di 
gara previste dalla normativa nazionale in conformit� con quella comunitaria. 

Fanno eccezione a questo divieto gli affidamenti a soggetti in house rientranti 
in categorie tassativamente elencate, tra cui le fondazioni di ricerca, ovvero 
istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l�alta 
formazione tecnologica, e gli enti di volontariato. 

Con riferimento, pertanto, ai suddetti soggetti, pu� ancora prospettarsi la 
possibilit� di un affidamento in house dei servizi a titolo oneroso da parte delle 
amministrazioni di cui all�art. 1, comma 2, D.Lgs. 165/2001 - sempre che naturalmente 
ne ricorrano i descritti presupposti richiesti dalla giurisprudenza 
comunitaria e nazionale - mentre, per gli altri enti privati (associazioni anche 
non riconosciute, fondazioni e comitati), l�in house � precluso dalla citata disposizione 
a partire dal 1� gennaio 2013. 

4. Servizi di cui all�Allegato II della direttiva 2004/18/CE. L�applicazione 
della deroga di cui all�art. 16, comma 1, lettera f) della direttiva 2004/18/CE 
(art. 19, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 163/2006). 

Con riferimento al requisito oggettivo, l�art. 1, comma 1 del D.P.C.M. del 
14 settembre 2012 prevede che i centri di competenza �forniscono informazioni, 
dati, elaborazioni e contribuiti tecnico - scientifici, ognuno per i definiti 
ambiti di specializzazione di interesse del Servizio nazionale di protezione civile, 
in relazione alle diverse tipologie di rischio che interessano il territorio�. 

Tali servizi potrebbero rientrare tra i �servizi di ricerca e sviluppo� o tra 
i �servizi attinenti all�architettura e all�ingegneria, anche integrata; servizi 
affini di consulenza scientifica e tecnica; servizi di sperimentazione tecnica e 
analisi� elencati all�allegato II della direttiva 2004/18, e quindi soggetti alla 


relativa disciplina che impone la procedura di evidenza pubblica. 

Tuttavia, ai sensi dell�art. 16, comma 1, lettera f) della direttiva 
2004/18/CE, la direttiva medesima �non si applica ai contratti pubblici concernenti 
servizi di ricerca e sviluppo diversi da quelli i cui risultati appartengono 
esclusivamente all�amministrazione aggiudicatrice perch� li usi 
nell�esercizio della sua attivit�, a condizione che la prestazione del servizio 
sia interamente retribuita da tale amministrazione�. 

Secondo il considerando n. 23 della stessa direttiva, �a norma dell�articolo 
163 del trattato, la promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico 
costituisce uno dei mezzi per potenziare le basi scientifiche e tecnologiche 
dell�industria della Comunit� e l�apertura degli appalti pubblici di servizi 
contribuisce al conseguimento di questo obiettivo�. 

Sulla base del citato art. 16, comma 1, lettera f) della direttiva 2004/18/CE 
potrebbe sostenersi che ai servizi di ricerca e sviluppo prestati dai centri di 
competenza non si applichi la disciplina della direttiva 2004/18/CE, qualora 
tali servizi perseguano finalit� tecnico - scientifiche i cui risultati siano diretti 
a vantaggio dell�intera collettivit�, sempre a condizione che la prestazione 
degli stessi sia interamente retribuita dal Dipartimento della Protezione civile. 

Per orientare la verifica della sussistenza di questi requisiti, pu� essere 
utile richiamare le considerazioni che l�avvocato generale presso la Corte di 
Giustizia dell�UE, nelle conclusioni relative alla citata Causa 159/11 (punto 
56): questi ha manifestato i propri dubbi sull�applicazione di tale norma alla 
convenzione stipulata dalla Asl con l�Universit� tenuto conto che �sebbene, a 
termini del contratto di consulenza, tutti i risultati derivanti dall�attivit� sperimentale 
appartenessero alla ASL, quest�ultima era comunque tenuta, in caso 
di pubblicazione dei risultati in ambito tecnico - scientifico, a citare espressamente 
l�Universit�. Ci� solleva la questione della misura in cui la propriet� 
dei risultati della ricerca spettasse alla USL�. 

� evidente quindi che l�applicazione concreta di questa disciplina alla varia 
casistica che pu� offrirsi all�esame dell�operatore � quanto meno problematica. 

La disposizione di cui all�art. 16, comma 1, lettera f) della direttiva 
2004/18/CE � stata recepita dal legislatore italiano nell�art. 19, comma 1, lettera 
f) del D.Lgs. 163/2006, fra i contratti di servizi esclusi dall�applicazione 
del codice. 

Peraltro, deve attirarsi l�attenzione sull�art. 27 del D.Lgs. 163/2006, che 
stabilisce che l�affidamento dei contratti pubblici aventi per oggetto servizi 
esclusi dall�ambito di applicazione del codice deve avvenire nel rispetto dei 
principi di economicit�, parit� di trattamento, trasparenza, proporzionalit� e 
deve essere preceduto da un invito ad almeno cinque concorrenti (Cons. Stato, 
Ad. Plen., 3 marzo 2008, n. 1). 

Secondo l�Autorit� per la vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi 
e forniture (Deliberazione n. 72 del 9 settembre 2009), i contratti di ricerca e 


sviluppo esclusi dall�ambito di applicazione del codice sono assoggettati non 
solo ai principi di cui all�art. 27, ma anche alla disciplina di cui all�art. 20, 
comma 1 dello stesso Codice che prevede, per i servizi elencati nell�allegato 
II B, l�applicazione dell�articolo 68 (specifiche tecniche), dell�articolo 65 (avviso 
sui risultati della procedura di affidamento) e dell�articolo 225 (avvisi relativi 
agli appalti aggiudicati). 

Alla luce delle suddette considerazioni, deve ritenersi che l�applicazione 
della suddetta disposizione non esclude la necessit� di rispettare i principi del 
Trattato di cui all�art. 27 che impongono, quantomeno, il previo invito ad almeno 
cinque concorrenti. 

5. Il diritto esclusivo. La deroga di cui all�art. 18 della direttiva 2004/18/CE 
(art. 19, comma 2, D.Lgs. 163/2006). 

Ai sensi dell�art. 18 della direttiva 2004/18/CE, recepito fedelmente dal-
l�art. 19, comma 2, D.Lgs. 163/2006, �la presente direttiva non si applica agli 
appalti pubblici di servizi aggiudicati da un�amministrazione aggiudicatrice 

o da un ente aggiudicatore ad un�altra amministrazione aggiudicatrice o ad 
un�associazione o consorzio di amministrazioni aggiudicatrici, in base ad un 
diritto esclusivo di cui esse beneficiano in virt� di disposizioni legislative, regolamentari 
o amministrative pubblicate, purch� tali disposizioni siano compatibili 
con il trattato�. 

Il Consiglio di Stato, in una recente pronuncia (n. 4452 del 25 luglio 2011) 
ha escluso l�applicazione della suddetta disposizione al servizio di elaborazione 
informatica e di notificazione dei verbali relativi alle sanzioni amministrative 
affidato dal Comune di Casoria a Societ� Poste Italiane sul presupposto 
che se �non � contestato che alla Societ� Poste Italiane sia riservata ex lege 
la notificazione degli atti a mezzo del servizio postale in quanto concessionaria 
del servizio postale universale ai sensi dell�art. 23 del D.Lgs. 261/1999�, esorbitano, 
invece, �dal raggio di azione di tali diritti esclusivi i servizi, pure oggetto 
dell�affidamento, relativi alla fornitura di software e hardware e le 
attivit� di archiviazione�. 

In applicazione del richiamato art. 18 della direttiva 2004/18/CE, potrebbe 
in linea di principio sostenersi l�esistenza di un diritto esclusivo dei centri di 
competenza, previsto dall�art. 6 delle legge 225/92, ad espletare le attivit� oggetto 
di convenzione, ovvero le attivit� di protezione civile. 

Siffatta tesi, tuttavia, pare difficilmente percorribile, tenuto conto che l�eccesiva 
genericit� dell�art. 6 della legge 225/1992, che si riferisce ad una vasta 
platea di soggetti (�le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni 
e le comunit� montane, gli enti pubblici, gli istituti ed i gruppi di ricerca 
scientifica con finalit� di protezione civile nonch� ogni altra istituzione ed organizzazione 
anche privata�), esclude di per s� la possibilit� di individuare un 
soggetto titolare del citato diritto esclusivo allo svolgimento del servizio. 


6. La cooperazione tra soggetti pubblici. 

6.1. Altra deroga elaborata dalla giurisprudenza all�applicazione della disciplina 
prevista dalla direttiva 2004/18/CE � costituita dagli accordi di cooperazione 
tra enti pubblici finalizzati a garantire l�adempimento di una funzione 
di servizio pubblico comune ad entrambi. 

Come riconosciuto dalla sentenza C-480/06, un�autorit� pubblica pu� 
adempiere i compiti di interesse pubblico ad essa incombenti in collaborazione 
con altre autorit� pubbliche. 

6.2. La Corte di Giustizia UE nella citata sentenza del 19 dicembre 2012, C159/
11 ha specificato i presupposti necessari affinch� si configuri una cooperazione 
tra enti pubblici: a) il contratto stipulato tra enti pubblici deve perseguire 
il fine di garantire l�adempimento di una funzione di servizio pubblico 
comune agli enti medesimi, b) deve essere retto unicamente da considerazioni 
ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d�interesse generale, c) 
deve essere tale da non porre un prestatore privato in una situazione privilegiata 
rispetto ai suoi concorrenti. 

6.3. Deve dunque, in via immediata, rilevarsi che - trattandosi di cooperazione 
tra pubbliche amministrazioni - la deroga in esame non sembra poter riguardare 
le convenzioni stipulate dal Dipartimento della Protezione civile della 
Presidenza del Consiglio dei Ministri con soggetti privati (ancorch� centri di 
competenza ai sensi dell�art. 6, legge 225/92). 

Un�estensione delle possibilit� di affidamento diretto anche ai casi di accordo 
pubblico-privato, per il solo fatto che il privato sia un centro di competenza 
ai sensi dell�art. 6 cit., parrebbe in aperto contrasto con la menzionata 
giurisprudenza della Corte di Giustizia. 

Non si disconosce il fatto che nell�ordinamento nazionale, e in particolare 
con l�art. 6 cit., sia prevista la possibilit� di stipulare convenzioni anche con 
soggetti privati che siano inquadrabili tra i centri di competenza. Tale previsione, 
tuttavia, non pare pi� in linea con la recente giurisprudenza comunitaria, 
che ammette una deroga al principio della necessaria evidenza pubblica nei 
soli casi di accordi /convenzione tra enti pubblici. 

6.4. Le convenzioni stipulate con i centri di competenza che hanno veste di 
soggetto pubblico potrebbero qualificarsi come accordi tra pubbliche amministrazioni 
e, quindi, potrebbero essere sottratte alla disciplina della gara. 

Le suddette convenzioni sono stipulate al solo fine di garantire l�adempimento 
di una funzione di servizio pubblico comune agli enti stipulanti, e 
sono rette unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento 
di obiettivi d�interesse generale. 


Il Dipartimento e gli enti pubblici che siano centri di competenza sono 
titolari, ai sensi dell�art. 6, legge n. 225/1992, della funzione pubblica delle 
attivit� di protezione civile, ed � previsto lo strumento delle convenzioni come 
modulo organizzativo ideale per il coordinamento tra detti soggetti. 

Gli accordi tra enti pubblici sottoscritti ai sensi dell�art. 6, pertanto, sembrerebbero 
del tutto distinti e differenti da quello oggetto della decisione della 
Corte di Giustizia dell�UE nella citata sentenza di cui alla causa 159/11. 

La convenzione sottoposta all�esame della Corte nella pronuncia de qua 
aveva, infatti, ad oggetto un servizio di consulenza relativo allo studio ed alla 
valutazione della vulnerabilit� sismica delle strutture ospedaliere della Provincia 
di Lecce che, pare correttamente, � stato ritenuto estraneo alla funzione 
di servizio pubblico svolta dall�Universit�, ovvero alla ricerca scientifica. 

La Corte di Giustizia ha ritenuto che il contratto di cooperazione non garantiva 
l�adempimento di una funzione di servizio pubblico comune all�ASL 
ed all�Universit� e, quindi, come tale doveva essere sottoposto alla gara. 

6.5. Tanto premesso, considerata invece la peculiarit� delle funzioni dei centri 
di competenza come delineate dall�art. 6, legge n. 225/1992, e tenendo conto 
della nozione restrittiva di �funzione comune� adottata dalla Corte di Giustizia, 
deve ritenersi che la stipulazione delle convenzioni tra Pubbliche Amministrazioni 
ex art. 15, legge n. 241/1990 (e nell�ambito della protezione civile, 
ex art. 6, legge 225/1992) sia consentita quando il legislatore attribuisca alle 
amministrazioni che ne siano parte: 

a) funzioni di servizio pubblico identiche: ossia attribuiscano a detti enti, 
pur distinti, la medesima funzione, che pu� essere svolta individualmente da 
ciascuno di essi, ma anche, e per ovvie finalit� di maggiore efficienza, in coordinamento 
reciproco tra essi; 

b) o comunque funzioni che hanno, per espressa previsione normativa, 
una connotazione l�una strumentale rispetto alla funzione dell�altra Amministrazione 
stipulante la convenzione, anche, ma non necessariamente, in via reciproca: 
pu� cio� accadere che un�Amministrazione sia investita, per legge (e 
nell�ambito dei poteri che la Costituzione attribuisce al legislatore nell�organizzazione 
della Pubblica Amministrazione), di svolgere una funzione strumentale 
rispetto all�attivit� di un�altra Amministrazione, e che sia quindi 
opportuno regolare con convenzione il coordinamento tra le due (sotto questo 
profilo pu� evocarsi anche quanto sancito in tema di diritto esclusivo dall�art. 
18 della direttiva 2004/18/CE, di cui si � detto nel � 5). 

Nel caso di specie, la legge n. 225/1992 prevede la stipula di convenzioni 
attraverso le quali il Dipartimento della Protezione civile e gli enti pubblici di 
cui all�art. 6, tra cui le Universit�, concorrono, cooperando tra loro, allo svolgimento 
di una funzione pubblica comune ad entrambe, ovvero all�attuazione 
delle attivit� di protezione civile. 


Sembra quindi configurarsi l�ipotesi di �funzioni di servizio pubblico comuni 
e identiche�. 

6.6. Con riferimento all�ultimo presupposto necessario affinch� possa parlarsi 
di cooperazione fra enti pubblici - l�accordo non deve essere tale da porre un 
prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti deve 
rilevarsi che la Corte di Giustizia ha ritenuto l�insussistenza di tale requisito 
nel contratto concluso dall�ASL con l�Universit� in quanto esso consentiva 
all�Universit� di ricorrere, per la realizzazione di alcune prestazioni, a 
collaboratori esterni altamente qualificati tra cui prestatori privati. 

L�art. 3, comma 6, del richiamato D.P.C.M. del 14 settembre 2012 consente 
ai Centri di competenza di avvalersi, per l�espletamento delle attivit� ed 
essi affidate, di altri soggetti tecnico-scientifici, nel rispetto della normativa 
vigente in materia di acquisizione di beni e servizi. 

Deve ritenersi dunque che, ove sia assicurata una procedura di evidenza 
pubblica �a valle� da parte dei Centri di competenza per il reclutamento dei soggetti 
tecnico-scientifici di cui avvalersi, e ci� avvenga dopo la stipula della convenzione 
e con specifica finalizzazione alla sua esecuzione, sia scongiurato il 
rischio di realizzare un�indebita posizione di privilegio per un prestatore privato. 

Diversamente, le clausole che consentono ai Centri di competenza di avvalersi, 
per l�espletamento di parte delle attivit� oggetto della convenzione, di 
soggetti privati, seppur altamente specializzati, in assenza di una procedura di 
evidenza pubblica, appaiono evidentemente in contrasto con il citato presupposto 
richiesto dalla suddetta giurisprudenza comunitaria. 

6.7. Deve segnalarsi come l�Autorit� per la vigilanza sui contratti Pubblici di 
lavori, servizi e forniture, con la determinazione n. 7 del 21 ottobre 2010, abbia 
fornito indicazioni in merito ai requisiti richiesti ai fini della configurazione 
di una cooperazione pubblico - pubblico, affermando che 

1. l�accordo deve regolare la realizzazione di un interesse pubblico, effettivamente 
comune ai partecipanti, che le parti hanno l�obbligo di perseguire 
come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalit� istituzionali degli 
enti coinvolti; 
2. alla base dell�accordo deve esserci una reale divisione di compiti e responsabilit�; 
3. i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l�accordo devono 
configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento 
di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno; 
4. il ricorso all�accordo non pu� interferire con il perseguimento del-
l�obiettivo principale delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici, 
ossia la libera circolazione dei servizi e l�apertura alla concorrenza non falsata 
negli Stati membri. Pertanto, la collaborazione tra amministrazioni non 



pu� trasformarsi in una costruzione di puro artificio diretta ad eludere le 
norme menzionate e gli atti che approvano l�accordo, nella motivazione, devono 
dar conto di quanto su esposto. 

6.8. Deve rilevarsi, peraltro, come nel 2011, la Commissione dell�Unione Europea 
abbia presentato una proposta di nuova direttiva europea sui contratti 
pubblici che, all�art. 11, comma 4, disciplina gli accordi tra pubbliche amministrazioni, 
delineandone i requisiti necessari al fine di sottrarli alla disciplina 
prevista per gli appalti pubblici. 

Secondo la richiamata disposizione, gli accordi stipulati tra pubbliche 
amministrazioni non si qualificano in termini di appalti pubblici quando soddisfano 
i seguenti requisiti: a) l�accordo stabilisce un�autentica cooperazione 
tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, che mira a far s� che esse 
svolgano congiuntamente i loro compiti di servizio pubblico e che implica diritti 
ed obblighi reciproci delle parti; b) l�accordo � retto esclusivamente da 
considerazioni inerenti all�interesse pubblico; c) le amministrazioni aggiudicatrici 
partecipanti non svolgono sul mercato aperto pi� del 10% - in termini 
di fatturato - delle attivit� pertinenti all�accordo; d) l�accordo non comporta 
trasferimenti finanziari tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti diversi 
da quelli corrispondenti al rimborso dei costi effettivi dei lavori, dei servizi 
o delle forniture; e) nelle amministrazioni aggiudicatrici non vi � alcuna 
amministrazione privata. 

Tale disposizione - bench� in linea con i principi espressi dalla citata giurisprudenza 
comunitaria (Corte di Giustizia UE, sentenza 19 dicembre 2012, 
C-159/11) e con le indicazioni fornite dall�Autorit� per la vigilanza sui contratti 
Pubblici di lavori, servizi e forniture, nella richiamata determinazione n. 
7 del 21 ottobre 2010 - subordina la sussistenza degli accordi tra pubbliche 
amministrazioni ad un requisito ulteriore rispetto a quelli richiesti dalla Corte 
di Giustizia U.E., ovvero la circostanza che le amministrazioni stipulanti non 
espletino sul mercato aperto pi� del 10% - in termini di fatturato - delle attivit� 
pertinenti all�accordo. 

Tal requisito, siccome previsto allo stato da una mera proposta di direttiva 
ed in assenza di indicazioni contrarie da parte della giurisprudenza comunitaria, 
non sembra debba vincolare le amministrazioni nell�elaborazione degli 
accordi di cooperazione. 

*** 

In conclusione, l�art. 6, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, 
nella parte in cui consente la stipula di convenzioni con le Componenti del 
servizio nazionale di protezione civile che rivestono natura di soggetti pubblici, 
deve interpretarsi come norma speciale, applicabile alla sola materia di 
protezione civile, rispetto alla disciplina generale di cui all�art. 15 della legge 

n. 241 del 7 agosto 1990. 


La parte della norma de qua, invece, che prevede la conclusione delle 
medesime convenzioni con soggetti privati, necessita di un�interpretazione 
�comunitariamente orientata� con riferimento all�applicazione delle direttive 
comunitarie in materia di appalti pubblici, pena la sua declaratoria di illegittimit� 
costituzionale ex art. 117, comma 1, Cost.. 

La medesima disposizione, poi, alla luce del richiamato orientamento 
della giurisprudenza nazionale (Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1541, 
confermata da Cons. Stato, sez. VI, 25 novembre 2008, n. 5781, cfr. � 3.3.1.), 
potrebbe rivestire particolare rilevanza nell�ipotesi in cui la Componente del 
servizio nazionale di protezione civile presenti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza 
nazionale e comunitaria per il configurarsi della fattispecie dell�affidamento 
in house. 

Potrebbe sostenersi, infatti, che l�art. 6, comma 1, della legge 225/92, 
debba essere interpretato come disposizione espressa che consente, anche 
nell�ambito dell�attivit� di protezione civile, il ricorso alla fattispecie dell�in 
house, ammettendo convenzioni concluse senza procedure ad evidenza pubblica 
con soggetti c.d. in house, sempre a condizione che sussistano i relativi 
presupposti del controllo analogo e dell�attivit� prevalentemente svolta a favore 
dell�ente controllante. 


contenzioso nazionale
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Una questione di principio sulla sentenza FIOM 

(Corte costituzionale, sentenza 23 luglio 2013 n. 213) 

Glauco Nori* 

La sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013, che ha richiamato 
l�attenzione per il rilevo dei giudizi di merito che l�hanno provocata, fa sorgere 
anche una questione di principio sulla quale la Corte non si � soffermata, almeno 
formalmente, alla quale � il caso di accennare: � stata dichiarata costituzionalmente 
illegittima una norma nel testo modificato attraverso un 
referendum, diventata illegittima proprio per le modifiche referendarie. 

Nel suo testo originario la disposizione legislativa non avrebbe fatto sorgere 
la questione di merito perch� l�associazione sindacale interessata, anche 
dopo il suo rifiuto di sottoscrivere il contratto aziendale, avrebbe partecipato 
ugualmente alla rappresentanza sindacale aziendale, in quanto aderente ad una 
delle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. 

Una volta venuto meno questo titolo di legittimazione a seguito del referendum, 
� diventata attuale la questione sulla quale la Corte si � pronunciata 
dichiarando la illegittimit� costituzionale dell�art. 19, primo comma, lettera 
b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 �nella parte in cui non prevede che la 
rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell�ambito 
di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati 
all�unit� produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa 
agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavatori dell�azienda�. 

La Corte ha giudicato corretta la premessa formulata dal giudice remittente 
secondo il quale �la soluzione di una lettura estensiva della espressione 
�associazioni firmatarie�, nel senso della sua riferibilit� anche alle organiz


(*) Avvocato dello Stato, Presidente emerito del Comitato scientifico di questa Rassegna. 


zazioni che abbiano comunque partecipato al processo contrattuale � cui, in 
analoghe circostanze, altri giudici di merito sono pervenuti, in funzione di 
una �interpretazione adeguatrice� al dettato costituzionale della disposizione 
in esame � non �, preliminarmente, ritenuta condivisibile dal Tribunale rimettente, 
per l�univocit� del dato testuale che inevitabilmente vi si opporrebbe�. 

Il referendum che ha modificato l�originaria disposizione oggi dichiarata 
illegittima, � stato dichiarato ammissibile dalla Corte con sentenza n. 1 del 1994 
dopo aver rilevato che erano state rispettate le esigenze di chiarezza, univocit� 
ed omogeneit� del quesito e che la coesistenza di due quesiti referendari per 
l�art. 19 non dava luogo a inconvenienti applicativi della normativa di risulta. 

Di fronte a due sentenze, di cui la prima ha dichiarato ammissibile un referendum 
abrogativo e la seconda ha dichiarato illegittima costituzionalmente 
la norma nella formulazione risultante dal referendum, cՏ da domandarsi se 
e come vadano coordinate. 

La sentenza n. 213 ha evidentemente presupposto che sulla verifica della 
legittimit� costituzionale della norma non avesse nessun rilievo la sentenza 
sull�ammissibilit� del referendum. In mancanza di indicazioni sulla ragione 
si pu� tentare una ricostruzione. 

� stato l�art. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953 che ha attribuito 
alla Corte costituzionale la competenza a giudicare dell�ammissibilit� delle 
richieste di referendum ai sensi del secondo comma dell�art. 75 Cost. Per questo 
la Corte costituzionale nella sua prima giurisprudenza si � limitata a verificare 
se le richieste riguardavano leggi per le quali appunto il secondo comma 
dell�art. 75 Cost. non consentiva il referendum. 

Quando le richieste di referendum sono diventate pi� impegnative e complicate 
la Corte ha esteso la sua indagine sulla norma di risulta perch� non si 
creassero vuoti normativi o si stravolgesse la disciplina precedente o si incontrassero 
difficolt� applicative. 

�Con la sentenza n. 16 del 1978 la Corte ha affermato che al di l� dei 
casi di ammissibilit� del referendum enunciati espressamente dall�art. 75, secondo 
comma, sono presenti nella Costituzione riferibili alle strutture od ai 
temi delle richieste referendarie, valori che debbono essere tutelati escludendo 
i relativi referendum. Di qui l�elaborazione e la formale enunciazione, sempre 
in detta sentenza, di precise ragioni costituzionali di inammissibilit�, tra le 
quali si iscrive la non abrogabilit� delle �disposizioni legislative ordinarie a 
contenuto costituzionalmente vincolato��. � questa una delle premesse dalle 
quali � partita la Corte nella sentenza n. 35 del 1997 nella quale ha concluso 
per la non ammissibilit� del referendum abrogativo di parti della legge sul-
l�aborto perch� �l�abrogazione � travolgerebbe ... disposizioni di contenuto 
normativo costituzionalmente vincolato sotto pi� aspetti, in quanto renderebbe 
nullo il livello minimo di tutela necessaria dei diritti costituzionalmente inviolabili 
��. 


Oggi l�art. 19 � stato dichiarato illegittimo costituzionalmente perch� �in 
collisione con i precetti di cui agli art. 2, 3, e 39 Cost.�. In linea di principio 
quindi il referendum non sarebbe stato ammissibile perch� eliminava il contenuto 
normativo costituzionalmente vincolato provocando la �esclusione di 
un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente 
rappresentativo, s� da non potersene giustificare la stessa 
esclusione dalle trattative�. 

Il coordinamento tra le due sentenze, quella che ha dichiarato ammissibile 
il referendum e quella che ha dichiarato incostituzionale la norma di risulta, 
comporta qualche difficolt�. I criteri possono essere diversi, ognuno con dei 
pro e dei contro. 

Sembra difficile sostenere che, in sede di ammissibilit� del referendum, 
la Corte non debba domandarsi se gli effetti normativi dell�abrogazione risultino 
in contrasto con la Costituzione perch� sarebbe irragionevole che il Giudice 
di costituzionalit� possa consentire la formazione di norme incostituzionali 
e perch�, come si � visto, la Corte in varie occasioni lo ha fatto. Questa prima 
ipotesi sembra improbabile. 

Se nella sentenza non � detto nulla a proposito della legittimit� costituzionale 
della normazione di risulta, il silenzio sarebbe privo di effetti preclusivi 
e non porterebbe ad un giudicato implicito: significherebbe solo che l�indagine 
non � stata fatta e che quindi pu� essere fatta successivamente. In favore di 
questa seconda ipotesi potrebbe operare il principio secondo il quale la dichiarazione 
di legittimit� costituzionale di una norma non impedisce che sia dichiarata 
illegittima successivamente per motivi diversi. Come noto, la Corte 
ha chiarito da tempo che giudica solo sulle questioni sollevate con il ricorso o 
con l�ordinanza di rimessione. Si dovrebbe tenere conto, peraltro, della differenza 
delle situazioni: nel caso del referendum il giudizio � ufficioso e la Corte 
non interviene su sollecitazione del ricorrente o del giudice remittente, ma in 
un procedimento formalizzato. 

Se anche il silenzio nella sentenza di ammissibilit� portasse effetti preclusivi, 
questi sarebbero superati e il conflitto tra le due sentenze sarebbe solo 
apparente � � questa la terza ipotesi � perch� nel frattempo si sarebbe modificata 
la situazione di fatto facendo diventare illegittima una norma che all�inizio 
non lo era. In questo senso sembra il richiamo a quanto il Giudice remittente 
aver rilevato a proposito della sentenza n. 244 del 1996 e dell�ordinanza n. 
345 del 1996, vale a dire che �quelle pronunzie � legate ad un diverso contesto, 
connotato dalla unitariet� di azione dei sindacati e dalla unitaria sottoscrizione 
dei contratti collettivi applicati all�azienda, nel quale 
�ragionevolmente quella sottoscrizione poteva essere assunta a criterio misuratore 
della forza del sindacato e della sua rappresentativit�� � vadano ora 
�ripensate alla luce dei mutamenti intercorsi nelle relazioni sindacali degli 
ultimi anni�, caratterizzate dalla rottura della unit� di azione delle organiz



zazioni maggiormente rappresentative e alla conclusione di contratti collettivi 
separati�. 

Prendendo spunto da questa vicenda potrebbe essere utile che la Corte in 
sede di giudizio di ammissibilit� del referendum effettuasse espressamente 
una verifica della legittimit� costituzionale delle norme di risulta. 

Corte costituzionale, sentenza 23 luglio 2013 n. 231 -Pres. Gallo, Rel. Morelli - Giudizi di 
legittimit� costituzionale dell�art. 19, primo comma, lett. b), della legge 20 maggio 1970, n. 
300 (Norme sulla tutela della libert� e dignit� dei lavoratori, della libert� sindacale e dell�attivit� 
sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promossi dal Tribunale ordinario 
di Modena con ordinanza 4 giugno 2012, dal Tribunale ordinario di Vercelli con 
ordinanza 25 settembre 2012 e dal Tribunale ordinario di Torino con ordinanza 12 dicembre 
2012 - (avv.ti V. Angiolini, P. Alleva e F. Focareta) per la FIOM - Federazione Impiegati 
Operai Metalmeccanici - Federazioni Provinciali di Modena, di Vercelli e Valsesia e di Torino, 
(avv.ti R. Nania, R. De Luca Tamajo e D. Dirutigliano) per Case New Holland Italia s.p.a., 
Maserati s.p.a. e Ferrari s.p.a., per Fiat Group Automobiles s.p.a. e per Abarth & C. Italia 
s.p.a., (avv. Stato Giustina Noviello) per il Presidente del Consiglio dei ministri. 

(Omissis) 
Considerato in diritto 

1.� Il Tribunale ordinario di Modena ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 39 della 
Costituzione, questione di legittimit� costituzionale dell�articolo 19, primo comma, lettera b), 
della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libert� e dignit� dei lavoratori, 
della libert� sindacale e dell�attivit� sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), 
nel testo risultante dall�abrogazione parziale disposta � in esito al referendum indetto con decreto 
del Presidente della Repubblica 5 aprile 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 85 
dell�11 aprile 1995 � dal d.P.R. 28 luglio 1995, n. 312 (Abrogazione, a seguito di referendum 
popolare, della lettera a e parzialmente della lettera b dell�art. 19, primo comma, della legge 
20 maggio 1970, n. 300, sulla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, nonch� 
differimento dell�entrata in vigore dell�abrogazione medesima), nella parte in cui consente la 
costituzione di rappresentanze aziendali alle sole �associazioni sindacali che siano firmatarie 
di contratti collettivi applicati nell�unit� produttiva�, e non anche a quelle che abbiano comunque 
partecipato alla relativa negoziazione, pur non avendoli poi, per propria scelta, sottoscritti. 

1.1.� La rilevanza della questione � motivata dal rimettente in ragione del fatto che, nei 
giudizi (riuniti) innanzi a lui pendenti, il sindacato ricorrente (FIOM) aveva denunciato il 
comportamento antisindacale delle controparti imprenditoriali (varie societ� del gruppo FIAT), 
le quali avevano disconosciuto la sua legittimazione a costituire rappresentanze sindacali, 
nelle rispettive unit� produttive, in conseguenza, appunto, della mancata sottoscrizione del 
contratto collettivo, ivi applicato, da parte di esso sindacato, che pure aveva attivamente partecipato 
alle trattative che ne avevano preceduto la conclusione. 

1.2.� In punto di non manifesta infondatezza del cos� proposto quesito, il Tribunale a quo, 
muovendo dalla considerazione che la partecipazione al negoziato � un dato che evidenzia 
l�effettiva forza contrattuale e, di riflesso, la capacit� rappresentativa del sindacato, ne inferisce 
la �intrinseca irragionevolezza� del criterio selettivo della sottoscrizione del contratto, 


espresso dalla disposizione denunciata, �nel [l�attuale] momento in cui, applicato a fattispecie 
concrete, porta ad un risultato che contraddice il presupposto a dimostrazione del quale il criterio 
stesso era stato elaborato�. Risultato cui, appunto, si perverrebbe nei processi a quibus, 
nei quali, alla luce di quel criterio, �dovrebbe riconoscersi maggior forza rappresentativa alle 
associazioni firmatarie del contratto [�], anzich� alla FIOM [che non lo ha sottoscritto], laddove 
in fatto � incontestato il contrario�. 

1.3.� La soluzione di una lettura estensiva della espressione �associazioni firmatarie�, nel 
senso della sua riferibilit� anche ad organizzazioni che abbiano comunque partecipato al processo 
contrattuale � cui, in analoghe controversie, altri giudici di merito sono pervenuti, in 
funzione di una �interpretazione adeguatrice� al dettato costituzionale della disposizione in 
esame � non �, preliminarmente, ritenuta condivisibile dal Tribunale rimettente, per l�univocit� 
del dato testuale che inevitabilmente vi si opporrebbe. 

Da qui la conclusione che la reductio ad legitimitatem della norma denunciata, in quella 
delineata direzione estensiva, non possa altrimenti avvenire che attraverso un intervento (evidentemente 
additivo) di questa Corte. 

1.4.� Non ignora, peraltro, il rimettente la sentenza n. 244 del 1996, e la ordinanza n. 345 
del 1996, di questa Corte, che hanno, rispettivamente, escluso la fondatezza, e dichiarato poi 
la manifesta infondatezza, di identiche questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 19, primo 
comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori, in riferimento ai medesimi parametri (artt. 3 e 
39 Cost.) ora nuovamente evocati. Ma ritiene che quelle pronunzie � legate ad un diverso 
contesto, connotato dalla unitariet� di azione dei sindacati e dalla unitaria sottoscrizione dei 
contratti collettivi applicati in azienda, nel quale �ragionevolmente quella sottoscrizione poteva 
essere assunta a criterio misuratore della forza del sindacato e della sua rappresentativit�� 

� vadano ora �ripensate alla luce dei mutamenti intercorsi nelle relazioni sindacali degli ultimi 
anni�, caratterizzate dalla rottura della unit� di azione delle organizzazioni maggiormente 
rappresentative e dalla conclusione di contratti collettivi �separati�. 

Lo scenario delle attuali relazioni sindacali risulterebbe, inoltre, ulteriormente, e profondamente, 
alterato dal nuovo sistema contrattuale, definito �autoconcluso ed autosufficiente�, 
instaurato dalle societ� del Gruppo FIAT, le quali, uscite dal sistema confindustriale e recedute 
dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i metalmeccanici, hanno stipulato, nelle rispettive 
aziende, un separato contratto collettivo specifico di primo livello, sottoscritto appunto 
solo da associazioni sindacali diverse dalla ricorrente. 

Sarebbe mutato anche il quadro normativo di riferimento, in ragione della copiosa legislazione 
che ha elevato la contrattazione collettiva a fonte integrativa, suppletiva o derogatoria, 
della propria disciplina, in correlazione, sempre, ad un parametro di effettiva, e comparativamente 
maggiore, rappresentativit� dei sindacati stipulanti. 

Ed, appunto, alla luce di tali nuovi dati di sistema e di contesto, il criterio selettivo di cui 
alla lettera b) del primo comma del denunciato art. 19 verrebbe ora a �tradire la ratio stessa 
della disposizione dello Statuto, volta ad attribuire una finalit� promozionale e incentivante 
all�attivit� del sindacato quale portatore di interesse del maggior numero di lavoratori, che 
trova una diretta copertura costituzionale nel principio solidaristico espresso dall�art. 2 Cost., 
nonch� nello stesso principio di uguaglianza sostanziale, di cui al secondo comma dell�art. 3 
della Costituzione�. 

Si porrebbe, inoltre, quel criterio, in insanabile contrasto con il precetto dell�art. 39 Cost., 
incidendo negativamente sulla libert� di azione del sindacato, la cui decisione di sottoscrivere 

o no un contratto collettivo ne risulterebbe inevitabilmente �condizionata non solo dalla fi



nalit� di tutela degli interessi dei lavoratori, secondo la funzione regolativa propria della contrattazione 
collettiva, bens� anche dalla prospettiva di ottenere (firmando) o perdere (non firmando) 
i diritti del Titolo III, facenti capo direttamente all�associazione sindacale, potendo 
le due esigenze, come nella fattispecie in esame, entrare in conflitto, e dovendosi inoltre valutare 
la necessit�, ai fini della sottoscrizione, del consenso e della collaborazione di parte datoriale
�. Con l�ulteriore conseguenza che, �in ipotesi estrema, ove la parte datoriale decidesse 
di non firmare alcun contratto collettivo, non vi sarebbe nell�unit� produttiva alcuna rappresentanza 
sindacale�. 

2.� Sostanzialmente la stessa questione, con coincidenti argomentazioni, � stata sollevata 
anche dal Tribunale ordinario di Vercelli e dal Tribunale ordinario di Torino. 

3.� I giudizi promossi da dette tre ordinanze, avendo il medesimo oggetto, vanno riuniti e 
decisi con unica sentenza. 

4.� In via preliminare, deve essere confermata l�ordinanza adottata nel corso dell�udienza 
pubblica, ed allegata alla presente sentenza, con la quale sono stati dichiarati inammissibili 
gli interventi adesivi spiegati dalla CGIL, FILCAMS di Milano e Provincia e dalla Federazione 
nazionale della stampa italiana (FNSI) nei giudizi di cui, rispettivamente, all�ordinanza 
del Tribunale ordinario di Modena ed a quella del Tribunale ordinario di Vercelli, nonch� l�intervento 
ad opponendum dell�Associazione Unione industriale della Provincia di Torino, nel 
giudizio relativo all�ordinanza del Tribunale di detta citt�. 

5.� � ancora preliminare l�esame delle eccezioni di inammissibilit� della questione formulate 
da tutte le societ� resistenti nei giudizi a quibus e dal Presidente del Consiglio. 

5.1.� Ad avviso delle predette resistenti, l�odierna questione sarebbe, infatti, inammissibile 
perch� identica a quella gi� decisa, nel senso della non fondatezza, con la sentenza di questa 
Corte n. 244 del 1996; ovvero per incertezza e perplessit� del petitum che comunque, se additivo, 
�omette[rebbe] di indicare in maniera sufficientemente circostanziata il �verso� della 
pretesa addizione� e, se demolitorio, renderebbe la questione stessa priva di rilevanza. 

Argomento, quest�ultimo, fatto valere anche dall�Avvocatura generale dello Stato, secondo 
la quale �l�eventuale declaratoria di illegittimit� costituzionale dell�art. 19, lettera b), dello 
Statuto dei lavoratori determinerebbe il venir meno del criterio della sottoscrizione dei contratti 
quale criterio selettivo per l�accesso ai diritti di cui al Titolo III dello Statuto ma, in assenza 
di un diverso criterio selettivo, non darebbe titolo all�associazione sindacale di godere di quei 
diritti�. 

Con riguardo, poi, alle sole ordinanze dei Tribunali ordinari di Vercelli e di Torino, le societ� 
resistenti nei rispettivi processi promossi ai sensi dell�art. 28 della citata legge n. 300 
del 1970 hanno ulteriormente eccepito il �difetto di motivazione in punto di (pretesa) non 
manifesta infondatezza della questione di legittimit� costituzionale sotto i profili enunciati�, 
per essersi detti giudici limitati a motivare per relationem all�ordinanza del Tribunale ordinario 
di Modena. 

5.2.� Nessuna delle prospettate eccezioni pu� essere accolta. 

In primo luogo, non � esatto che l�esistenza di una precedente pronuncia di non fondatezza 
(ed anche di manifesta infondatezza) di una questione (ove pur) identica a quella riproposta 
dal giudice a quo sia, come si eccepisce, ostativa all�ammissibilit� di quest�ultima, potendo 
un tal precedente unicamente, invece, rilevare nella successiva fase di esame del merito della 
questione stessa, alla luce degli eventuali nuovi profili argomentativi a suo supporto offerti 
dal rimettente. 

Non � poi sostenibile che il petitum della odierna questione sia incerto o perplesso, poich� 


ci� che i giudici a quibus chiedono ora a questa Corte � in ragione della prospettata incostituzionalit� 
dell�art. 19, primo comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970 � non � una decisione 
demolitoria, che effettivamente darebbe luogo ad un vuoto normativo colmabile solo 
dal legislatore, bens�, inequivocabilmente, una pronuncia additiva che consenta (ci� che, appunto, 
altri giudici di merito hanno ritenuto di poter direttamente desumere in via di interpretazione 
sistematica, evolutiva o, comunque, costituzionalmente adeguata della norma stessa) 
di estendere la legittimazione alla costituzione di rappresentanze aziendali anche ai sindacati 
che abbiano attivamente partecipato alle trattative per la stipula di contratti collettivi applicati 
nell�unit� produttiva, ancorch� non li abbiano poi sottoscritti (per ritenuta loro non idoneit� 
a soddisfare gli interessi dei lavoratori). 

E, in tal senso, il �verso� della addictio richiesta � e che, in relazione ai parametri evocati, 
si prospetta come obbligata � si sottrae, evidentemente, anche alla eccezione di non sufficientemente 
circostanziata sua indicazione. 

L�inammissibilit� non pu� essere, infine, riferita neppure alle sole ordinanze dei Tribunali 
di Vercelli e di Torino. Le quali, lungi dall�essere motivate solo per relationem alla precedente 
ordinanza del Tribunale di Modena, nel condividerne il petitum, richiamano puntualmente, e 
sviluppano anche ulteriormente, le argomentazioni che lo sorreggono. 

6.� Nel merito, le questioni sono fondate. 

6.1.� L�articolo 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori � stato ripetutamente 
sottoposto all�esame di questa Corte. 

Le prime pronunce hanno riguardato la versione originaria di detto articolo, anteriore al 
referendum del 1995, ossia quella per la quale �Rappresentanze sindacali aziendali possono 
essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unit� produttiva, nell�ambito: a) delle associazioni 
aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) 
delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di 
contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell�unit� produttiva�. 

I dubbi di legittimit� costituzionale investivano, in quel contesto, la mancata attribuzione 
ad ogni associazione sindacale esistente nel luogo di lavoro della possibilit� di costituire rappresentanze 
sindacali aziendali. 

Nell�affermare la razionalit� del disegno statutario, con i due livelli di protezione accordata 
alle organizzazioni sindacali (libert� di associazione, da un lato, e selezione dei soggetti collettivi 
fondata sul principio della loro effettiva rappresentativit�, dall�altro), la Corte si � soffermata 
anche sul criterio della �maggiore rappresentativit��, che pur conducendo a 
privilegiare le confederazioni �storiche�, non precludeva rappresentanze aziendali nell�ambito 
delle associazioni sindacali non affiliate alle confederazioni maggiormente rappresentative, 
purch� si dimostrassero capaci di esprimere, attraverso la firma di contratti collettivi nazionali 

o provinciali di lavoro applicati nell�unit� produttiva, un grado di rappresentativit� idoneo a 
tradursi in effettivo potere contrattuale a livello extra-aziendale (sentenze n. 334 del 1988 e 
n. 54 del 1974). 


6.2.� A partire dalla seconda met� degli anni ottanta si � sviluppato, per�, un dibattito critico 
in vista di una esigenza di revisione del meccanismo selettivo della �maggiore rappresentativit�� 
previsto ai fini della costituzione delle rappresentanze nei luoghi di lavoro. 

Ed � stata proprio questa Corte a segnalare, con un monito al legislatore, l�ormai ineludibile 
esigenza di elaborare nuove regole che conducessero a un ampliamento della cerchia dei soggetti 
chiamati ad avere accesso al sostegno privilegiato offerto dal Titolo III dello Statuto dei 
lavoratori, oltre ai sindacati maggiormente rappresentativi (sentenza n. 30 del 1990). 


L�invito al legislatore � stato ribadito nella sentenza n. 1 del 1994, che ha dato ingresso ai due 
quesiti referendari che in quell�occasione la Corte era chiamata ad esaminare: il primo, �massimalista�, 
volto ad ottenere �l�abrogazione di tutti i criteri di maggiore rappresentativit� adottati 
dall�art. 19, nelle lettere a e b�, e il secondo, �minimalista�, mirante all�abrogazione dell�indice 
presuntivo di rappresentativit� previsto dalla lettera a) e all�abbassamento al livello aziendale 
della soglia minima di verifica della rappresentativit� effettiva prevista dalla lettera b). 

In quella decisione, nella consapevolezza dei profili di criticit� che avrebbero potuto anni-
darsi nel testo risultante dall�eventuale conformazione referendaria, nuovamente, questa Corte 
sottoline� che, comunque �il legislatore potr� intervenire dettando una disciplina sostanzialmente 
diversa da quella abrogata, improntata a modelli di rappresentativit� sindacale compatibili 
con le norme costituzionali e in pari tempo consoni alle trasformazioni sopravvenute 
nel sistema produttivo e alle nuove spinte aggregative degli interessi collettivi dei lavoratori�. 

6.3.� Come � noto, in occasione del referendum indetto con decreto del Presidente della 
Repubblica 5 aprile 1995 e tenutosi l�11 giugno 1995, ottenne il quorum solo �il quesito minimalista�, 
dando luogo all�attuale art. 19, che attribuisce il potere di costituire rappresentanze 
aziendali alle sole associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell�unit� 
produttiva di qualunque livello essi siano, dunque anche di livello aziendale. 

Nel commentare la normativa �di risulta�, non si manc� di sottolineare come questa � pur 
coerente con la ratio referendaria di allargare il pi� possibile le maglie dell�agere sindacale 
anche a soggetti nuovi che fossero realmente presenti ed attivi nel panorama sindacale � rischiasse, 
per�, nella sua accezione letterale, di prestare il fianco ad una applicazione sbilanciata: 
per un verso, in eccesso, ove l�espressione �associazioni firmatarie� fosse intesa nel 
senso della sufficienza di una sottoscrizione, anche meramente adesiva, del contratto a fondare 
la titolarit� dei diritti sindacali in azienda (con virtuale apertura a sindacati di comodo); e, per 
altro verso, in difetto, ove interpretata, quella espressione, come ostativa al riconoscimento 
dei diritti in questione nei confronti delle associazioni che, pur connotate da una azione sindacale 
sorretta da ampio consenso dei lavoratori, avessero ritenuto di non sottoscrivere il contratto 
applicato in azienda. E ci� con il risultato, nell�un caso e nell�altro, di una alterazione 
assiologica e funzionale della norma stessa, quanto al profilo del collegamento, non certamente 
rescisso dall�intervento referendario, tra titolarit� dei diritti sindacali ed effettiva rappresentativit� 
del soggetto che ne pretende l�attribuzione. 

6.4.� Le pronunzie di questa Corte, nel quinquennio successivo al referendum � sentenza 

n. 244 del 1996, ordinanze n. 345 del 1996, n. 148 del 1997 e n. 76 del 1998 � hanno fornito 
indicazioni, per quanto in concreto sottoposto al suo esame, solo con riguardo al primo dei 
due sottolineati punti critici. 

E, per questo aspetto, l�art. 19, �pur nella versione risultante dalla prova referendaria�, ha 
superato il vaglio di costituzionalit� sulla base di una esegesi costituzionalmente orientata, 
che ha condotto ad una sentenza interpretativa di rigetto. In virt� della quale, dalla premessa 
che �la rappresentativit� del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di lavoro 
espresso in forma pattizia�, bens� dalla �capacit� del sindacato di imporsi al datore di lavoro 
come controparte contrattuale�, la Corte ha inferito che �Non � perci� sufficiente la mera 
adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione 
attiva al processo di formazione del contratto�, e che �nemmeno � sufficiente la stipulazione 
di un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di un contratto normativo che regoli in modo organico 
i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, 
anche in via integrativa, a livello aziendale di un contratto nazionale o provinciale gi� applicato 


nella stessa unit� produttiva� (sentenza n. 244 del 1996). 

In questi termini, la Corte ha ritenuto che l�indice selettivo di cui alla lettera b), del primo 
comma, dell�art. 19 dello Statuto dei lavoratori �si giustifica, in linea storico-sociologica e 
quindi di razionalit� pratica, per la corrispondenza di tale criterio allo strumento di misurazione 
della forza di un sindacato, e, di riflesso, della sua rappresentativit�, tipicamente proprio del-
l�ordinamento sindacale�. 

6.5.� Nell�attuale mutato scenario delle relazioni sindacali e delle strategie imprenditoriali, 
quale diffusamente descritto ed analizzato dai giudici a quibus, l�altro (speculare) profilo di 
contraddizione (per sbilanciamento in difetto) � teoricamente, per quanto detto, gi� presente 
nel sistema della lettera b) del primo comma, dell�art. 19, ma di fatto sin qui oscurato dalla 
esperienza pratica di una perdurante presenza in azienda dei sindacati confederali � viene invece 
ora compiutamente ad emersione. E si riflette nella concretezza di fattispecie in cui, 
come denunciato dai rimettenti, dalla mancata sottoscrizione del contratto collettivo � derivata 
la negazione di una rappresentativit� che esiste, invece, nei fatti e nel consenso dei lavoratori 
addetti all�unit� produttiva. 

In questa nuova prospettiva si richiede, appunto, una rilettura dell�art. 19, primo comma, 
lettera b), dello Statuto dei lavoratori, che ne riallinei il contenuto precettivo alla ratio che lo 
sottende. 

6.6.� L�aporia indotta dalla esclusione dal godimento dei diritti in azienda del sindacato 
non firmatario di alcun contratto collettivo, ma dotato dell�effettivo consenso da parte dei lavoratori, 
che ne permette e al tempo stesso rende non eludibile l�accesso alle trattative, era 
gi� stata del resto rilevata; e dalle riflessioni svolte in proposito era scaturita anche la sollecitazione 
ad una interpretazione adeguatrice della norma in questione, alla stregua della quale, 
superandosi lo scoglio del suo tenore letterale, che fa espresso riferimento ai sindacati �firmatari�, 
si ritenesse condizione necessaria e sufficiente, per soddisfare il requisito previsto 
dall�art. 19, quella di aver effettivamente partecipato alle trattative, indipendentemente dalla 
sottoscrizione del contratto. Interpretazione di cui si � sostenuta la coerenza con la richiamata 
giurisprudenza costituzionale in materia di irrilevanza, ai fini dell�art. 19, primo comma, 
lettera b), dello Statuto dei lavoratori, della mera sottoscrizione del contratto collettivo non 
preceduta dalla effettiva partecipazione alle trattative. 

I Tribunali rimettenti, a differenza di quanto ritenuto da altri giudici di merito, hanno 
escluso, per�, la possibilit� della richiamata interpretazione adeguatrice, reputata incompatibile 
con il testo dell�art. 19, e perci� hanno sollevato le questioni di legittimit� costituzionale all�odierno 
esame, al fine di conseguire, attraverso una pronuncia additiva, quel medesimo risultato 
di estensione della titolarit� dei diritti sindacali, sulla base della nozione di �effettivit� 
dell�azione sindacale�, alle organizzazioni che abbiano partecipato alle trattative, ancorch� 
non firmatarie del contratto. 

7.� La Corte giudica corretta questa opzione ermeneutica, risultando effettivamente univoco 
e non suscettibile di una diversa lettura l�art. 19, tale, dunque, da non consentire l�applicazione 
di criteri estranei alla sua formulazione letterale. 

Ma alla luce di una siffatta testuale interpretazione la disposizione in oggetto non sfugge 
alle censure sollevate dai rimettenti. 

Infatti, nel momento in cui viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione 
della loro rappresentativit� e, per una sorta di eterogenesi dei fini, si trasforma invece in meccanismo 
di esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque 
significativamente rappresentativo, s� da non potersene giustificare la stessa 


esclusione dalle trattative, il criterio della sottoscrizione dell�accordo applicato in azienda 
viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli artt. 2, 3 e 39 Cost. 

Risulta, in primo luogo, violato l�art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della irragionevolezza 
intrinseca di quel criterio, e della disparit� di trattamento che � suscettibile di ingenerare tra 
sindacati. Questi ultimi infatti nell�esercizio della loro funzione di autotutela dell�interesse 
collettivo � che, in quanto tale, reclama la garanzia di cui all�art. 2 Cost. � sarebbero privilegiati 
o discriminati sulla base non gi� del rapporto con i lavoratori, che rimanda al dato oggettivo 
(e valoriale) della loro rappresentativit� e, quindi, giustifica la stessa partecipazione 
alla trattativa, bens� del rapporto con l�azienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato 
contingente di avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa. 

E se, come appena dimostrato, il modello disegnato dall�art. 19, che prevede la stipulazione 
del contratto collettivo quale unica premessa per il conseguimento dei diritti sindacali, condiziona 
il beneficio esclusivamente ad un atteggiamento consonante con l�impresa, o quanto 
meno presupponente il suo assenso alla fruizione della partecipazione sindacale, risulta evidente 
anche il vulnus all�art. 39, primo e quarto comma, Cost., per il contrasto che, sul piano negoziale, 
ne deriva ai valori del pluralismo e della libert� di azione della organizzazione sindacale. 

La quale, se trova, a monte, in ragione di una sua acquisita rappresentativit�, la tutela del-
l�art. 28 dello Statuto nell�ipotesi di un eventuale, non giustificato, suo negato accesso al 
tavolo delle trattative, si scontra poi, a valle, con l�effetto legale di estromissione dalle prerogative 
sindacali che la disposizione denunciata automaticamente collega alla sua decisione di 
non sottoscrivere il contratto. Ci� che si traduce, per un verso, in una forma impropria di sanzione 
del dissenso, che innegabilmente incide, condizionandola, sulla libert� del sindacato in 
ordine alla scelta delle forme di tutela ritenute pi� appropriate per i suoi rappresentati; mentre, 
per l�altro verso, sconta il rischio di raggiungere un punto di equilibrio attraverso un illegittimo 
accordo ad excludendum. 

8.� Va, pertanto, dichiarata l�illegittimit� costituzionale dell�art. 19, primo comma, lettera 
b), della legge n. 300 del 1970, nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale 
aziendale possa essere costituita anche nell�ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie 
dei contratti collettivi applicati nell�unit� produttiva, abbiano comunque partecipato 
alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell�azienda. 

9.� L�intervento additivo cos� operato dalla Corte, in coerenza con il petitum dei giudici a 
quibus e nei limiti di rilevanza della questione sollevata, non affronta il pi� generale problema 
della mancata attuazione complessiva dell�art. 39 Cost., n� individua � e non potrebbe farlo 

� un criterio selettivo della rappresentativit� sindacale ai fini del riconoscimento della tutela 
privilegiata di cui al Titolo III dello Statuto dei lavoratori in azienda nel caso di mancanza di 
un contratto collettivo applicato nell�unit� produttiva per carenza di attivit� negoziale ovvero 
per impossibilit� di pervenire ad un accordo aziendale. 

Ad una tale evenienza pu� astrattamente darsi risposta attraverso una molteplicit� di soluzioni. 
Queste potrebbero consistere, tra l�altro, nella valorizzazione dell�indice di rappresentativit� 
costituito dal numero degli iscritti, o ancora nella introduzione di un obbligo a trattare 
con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento, o nell�attribuzione 
al requisito previsto dall�art. 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio 
generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell�unit� produttiva 
vigente, oppure al riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze 
sindacali nei luoghi di lavoro. Compete al legislatore l�opzione tra queste od altre 
soluzioni. 


PER QUESTI MOTIVI 

LA CORTE COSTITUZIONALE 
riuniti i giudizi, 
dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 
20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libert� e dignit� dei lavoratori, della libert� 
sindacale e dell�attivit� sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nella parte 
in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche 
nell�ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati 
nell�unit� produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti 
quali rappresentanti dei lavoratori dell�azienda. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 
2013. 


Indennizzo di danni da emotrasfusione anche per contagio da 
emodialisi 

(Cassazione civile, Sez. III, sentenza 16 aprile 2013 n. 9148) 

Marina Russo* 

Con l'unita sentenza, la Corte di Cassazione ha affermato che sono suscettibili 
di indennizzo ai sensi della legge 210/1992 i danni da contagio da 
emodialisi provocato dall'insufficiente pulizia del macchinario da residui ematici 
di un paziente precedente. 

La pronuncia si pone dichiaratamente in contrasto con l'opposto orientamento 
espresso dalla Sezione Lavoro in un precedente in termini, e giustifica 
il superamento degli argomenti fondanti detto precedente con il richiamo alla 
successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 28/09: quest'ultima infatti nel 
dichiarare l'illegittimit� costituzionale dell'art. 3 l. 210/92 nella parte in 
cui non prevede che il diritto ai benefici competa anche ai soggetti che presentino 
danni irreversibili da epatite contratta a seguito di somministrazione 
di derivati del sangue - avrebbe, a giudizio della Suprema Corte, aperto la 
strada ad un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 3, "che prescinde 
dal concetto stesso di trasfusione" per estenderne la portata a fattispecie 
(come il contagio da emodialisi) contigue a (ma non perfettamente coincidenti 
con) quelle direttamente contemplate dalla norma. 

Cassazione civile, Sez. Terza, sentenza 16 aprile 2013 n. 9148 -Pres. G.M. Berruti, Rel. R. 
Frasca, P.M. T. Basile (difforme) - Ministero della salute (avv. Stato) c. C.E. (n.c.). 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

�.1. Il Ministero della Salute ha proposto ricorso per cassazione contro C.E., nella qualit� 
di erede del defunto B.P., avverso la sentenza del 25 luglio 2006, con la quale la Corte d'Appello 
di Cagliari, in funzione di Giudice del Lavoro, in accoglimento dell'appello della C. ed 
in riforma della sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Cagliari in funzione di giudice 
del lavoro il 28 luglio 2004, ha accolto la domanda della medesima intesa ad ottenere nella 
detta qualit� l'assegno una tantum previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 2, comma 
3, ed ha condannato il ricorrente alla sua corresponsione con gli interessi legali dal centoventunesimo 
giorno dalla presentazione dell'istanza in via amministrativa. 

�.2. Detta domanda era stata proposta dalla C. con ricorso al Tribunale del 1 agosto 
2001, adducendosi: che il proprio coniuge B.P., affetto da insufficienza renale cronica trattata 
fin dal 1974 con dialisi, aveva contratto a causa di detta terapia dapprima l'epatite B e, quindi, 
una epatopatia cronica virale HVC, che ne aveva determinato il decesso il 17 ottobre 1996; 

(*) Avvocato dello Stato. 


che il Ministero aveva respinto la domanda amministrativa diretta ad ottenere la corresponsione 
dell'indennizzo ai sensi della detta normativa. 

�.3. Il Tribunale, sulla base della consulenza esperita, per quanto ancora interessa, aveva 
rigettato la domanda reputando che le patologie epatitiche contratte dal de cuius fossero state 
contratte verosimilmente per il tramite del trattamento dialitico, ma che il contagio avvenuto 
attraverso tale tipologia di trattamento non fosse riconducibile alla fattispecie legale giustificativa 
dell'indennizzo richiesto, relativa all'emotrasfusione. 

�.4. La Corte territoriale, sulla base delle risultanze dell'espletamento di una nuova consulenza 
tecnica d'ufficio, ha ribaltato l'esito del giudizio considerando invece il contagio da 
emodialisi ricompreso nella suddetta fattispecie. 

�.5. L'intimata non ha resistito al ricorso. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

�.1. Il Collegio, preliminarmente, rileva che, inerendo ad impugnazione di una sentenza 
resa dal giudice del lavoro e della previdenza ed assistenza, il ricorso avrebbe dovuto assegnarsi 
alla Sezione Lavoro di questa Corte. Tuttavia, la congiunta considerazione che una rimessione 
al Primo Presidente del ricorso perch� lo assegni a quella Sezione ritarderebbe, in conflitto 
con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, l'esame del ricorso, nonch� 
dell'assoluta ininfluenza dell'assegnazione alla Sezione Lavoro ai fini del rito processuale da 
seguirsi in questa sede di legittimit�, che non presenta scostamenti da quello da seguire dalle 
sezioni ordinarie soprattutto ai fini della decisione, induce a dar corso alla decisione. 

�.2. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione di legge in relazione all'art. 7, 
commi 1 e 2, lett. a), nonch� D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, artt. 112 e 114; art. 360 c.p.c., n. 3". 

Sulla premessa che si tratterebbe di questione formulabile per la prima volta in questa 
sede di legittimit�, perch� si tratterebbe "di accertare non gi� l'effettiva titolarit� del rapporto 
sostanziale per cui � causa (questione, questa, che attiene al merito e sarebbe ormai preclusa 
dalla mancata tempestiva proposizione nei precedenti gradi di giudizio) bens� di accertare - ai 
fini della verifica della ritualit� dell'instaurazione del contraddittorio - l'astratta coincidenza 
fra le parti in causa (attore e convenuto) e coloro che secondo la legge regolatrice del rapporto 
controverso - sono destinatari della sentenza", vi si sostiene, con corredo di corrispondente 
quesito di diritto, che il Ministero non sarebbe stato legittimato passivo all'azione, perch� tale 
sarebbe stata la Regione Sardegna. Ci�, perch� in relazione ai giudizi, aventi ad oggetto istanze 
di riconoscimento dell'indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, presentate in via amministrativa 
in data precedente il 1 gennaio 2001 ovvero il 21 febbraio 2001 e non ancora definite a quelle 
date, la legittimazione passiva alla successiva azione giudiziaria sarebbe stata delle Regioni. 

�.2.1. L'assunto � fondato innanzitutto sull'allegazione che nella fattispecie si tratterebbe 
di "un caso in cui - come si evince dal ricorso introduttivo - l'istanza � stata infruttuosamente 
presentata dall'interessato in sede amministrativa in epoca anteriore al 1.1.01 (data a decorrere 
dalla quale l'esercizio delle funzioni in materia transita alla regione), e non definita all'epoca 
del suddetto transito (pag. 2 del ricorso di primo grado, punti da 5 a 7)". 

La sua illustrazione prosegue, poi, con una serie di argomentazioni, che si sforzano di 
dimostrare l'assunto ripercorrendo la vicenda normativa in materia, a partire dalla L. n. 59 del 
1997, e dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 114, nonch� dall'art. 7 di tale D.Lgs., e, quindi, evocando 
il D.P.C.M. 26 maggio 2000, quanto all'art. 3, comma 1, e art. 2, n. 4, l'Accordo Governo/
Regioni dell'8 agosto 2001 ed in fine il D.P.C.M. 8 gennaio 2001. 

�2.2. Il Collegio osserva che la questione posta nel motivo � ammissibile, ancorch� pro



spettata per la prima volta in questa sede di legittimit�. 
Lo � sulla base del principio di diritto secondo cui "Il difetto di legittimazione attiva 

o passiva, da valutarsi in base allo schema normativo astratto al quale si riconduce il diritto 
fatto valere in giudizio, � questione che, pur risultando decisiva per l'esistenza della 
titolarit� di tale diritto (e, dunque, afferendo in senso lato al merito), � rilevabile anche 
in sede di legittimit� alla duplice condizione che non si sia formata sulla sua esistenza 
cosa giudicata interna (per essere stato il punto ad essa relativo oggetto di discussione e 
poi di decisione rimasta priva di impugnazione) e che la questione emerga sulla base dei 
fatti legittimamente prospettati davanti alla Corte di cassazione e, dunque, nel rispetto 
dei limiti entro i quali deve svolgersi l'attivit� deduttiva della parti negli atti introduttivi 
del giudizio di cassazione" (da ultimo cos� Cass. n. 23568 del 2011, dove si trova ampia analisi 
dello stato della giurisprudenza della Corte ed anche si rafforza l'argomentazione al lume 
di Cass. sez. un. n. 26019 del 2008, in punto di limiti del c.d. giudicato implicito dopo l'arresto 
di cui a Cass. Sez. Un. n. 24483 del 2008). 

�.2.3. Il motivo �, tuttavia, inammissibile, perch� si fonda su un atto processuale, il ricorso 
introduttivo della lite, riguardo al quale non si fornisce l'indicazione specifica nei termini 
di cui alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (inaugurata da Cass. (ord.) n. 22303 del 
2008 e subito avallata da Cass. sez. un. n. 28547 del 2008 e di seguito da Cass. sez. un. n. 
22726 del 2011 con specifico riferimento all'onere per gli atti processuali): infatti, pur indicando 
la parte del ricorso introduttivo della lite da cui risulterebbe quanto allegato, non assolve 
completamente a quanto richiesto dalla norma, in quanto non precisa se e dove sarebbe esaminabile 
l'atto di cui trattasi ed in particolare non dice se esso sia esaminabile, perch� prodotto, 
agli effetti dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nel fascicolo del ricorrente oppure se si sia inteso 
fare riferimento (come ammesso da Cass. sez. Un. n. 22726 cit.) alla sua presenza nel fascicolo 
d'ufficio del giudice d'appello (per il che si sarebbe dovuto fornire anche precisazione di dove 
in esso l'atto sarebbe stato rinvenibile, tenuto conto che esso sarebbe stato, in ipotesi, presente 
nel fascicolo d'ufficio di primo grado se acquisito dal giudice d'appello). 

�.2.4. Il motivo sarebbe stato, comunque, ove lo si fosse potuto esaminare, privo di fondamento, 
al lume del principio di diritto, enunciato a composizione del contrasto anzitempo 
esistente in seno alla Sezione Lavoro della Corte, da Cass. sez. un. n. 23358 del 2011 nel 
senso che "In tema di controversie relative all'indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 
1992, n. 210, in favore di soggetti che hanno riportato danni irreversibili a causa di vaccinazioni 
obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, e da questi ultimi 
proposte per l'accertamento del diritto al beneficio, sussiste la legittimazione passiva del 
Ministero della salute, in quanto soggetto pubblico che, analogamente, decide in sede 
amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la prestazione assistenziale". 
Alle motivazioni di questa decisione, che si fa ampio carico delle argomentazioni su cui si 
fonda il motivo - redatto prima di essa - � sufficiente far rinvio. 

�3. Con il secondo motivo si deduce "violazione di legge in relazione alla L. n. 210 del 
1992, art. 1, commi 1 e 2", in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. 
Il motivo � concluso dal un quesito di diritto che pone alla Corte la questione del se sia 
indennizzabile, ai sensi del combinato disposto dell'art. 1, primo e secondo comma della L. 

n. 210 del 1992, il danno da epatite irreversibile cagionato da trattamento dialitico. 
�.3.1. Il motivo � infondato. 
Vi si censura la sentenza impugnata perch� avrebbe erroneamente ritenuto compresa la 

fattispecie nell'ambito della tutela di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3, sull'assunto 


che la previsione in esso contenuta, l� dove dispone che "i benefici di cui alla presente legge 
spettano altres� a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti postrasfusionali", ancorch� 
nella fattispecie, come sarebbe emerso dalla c.t.u. di appello, il contagio fosse derivato non 
da una trasfusione eterologa bens� dal reinserimento nel corpo del de cuius, come � tipico 
della pratica della emodialisi, del suo stesso sangue, che si sarebbe infettato per contatto con 
sangue eterologo nel c.d. "rene artificiale", prima della reimmissione. 

In pratica si sostiene che la norma dell'art. 1, comma 3, sarebbe applicabile solo nel caso 
di contagio determinato da trasfusioni di sangue eterologo. 

�.3.2. Ora, il Collegio non ignora che il motivo sarebbe fondato sulla base dell'unico 
precedente che risulta nella giurisprudenza di questa Corte e particolarmente della Sezione 
Lavoro, che, successivamente alla proposizione del ricorso, ha cos� statuito: "La L. n. 210 del 
1992, art. 1, - che prevede l'erogazione di un indennizzo da parte dello Stato a favore di soggetti 
danneggiati da vaccinazioni obbligatorie o da trasfusioni di sangue - mira a tutelare il rischio 
che il donatore sia affetto da una infezione che venga trasmessa al donatario attraverso 
una trasfusione, nozione che, pertanto, non ricomprende la cosiddetta autotrasfusione ovvero 
la circolazione extracorporea del sangue, dovendosi escludere che il soggetto a cui venga 
iniettato il proprio sangue rischi di contrarre infezioni nuove rispetto a quelle di cui � portatore. 
N� pu� ritenersi ammissibile una interpretazione analogica della normativa - che si fonda su 
specifici presupposti e consente l'attribuzione di benefici economici con onere per le pubbliche 
risorse - non potendosi invocare, in senso contrario, l'orientamento espresso dalla Conferenza 
Stato-Regioni, le cui linee guida non costituiscono fonte normativa idonea a modificare la 
legge formale. (Nella specie, relativa ad un caso di contagio HCV da parte di paziente emodializzato, 
la S.C., nel rigettare il ricorso, ha pure rilevato che, ove si ipotizzasse che una patologia 
fosse stata cagionata in ragione dell'insufficiente "pulizia" della macchina per 
emodialisi dalle sostanze lasciate da altro paziente, la fonte del risarcimento andrebbe individuata 
nella responsabilit� contrattuale che lega l'azienda ospedaliera al paziente e non nella 

L. n. 210 del 1992)" (Cass. n. 17975 del 2008). 

Tale principio di diritto � stato affermato dalla Sezione Lavoro sulla base della seguente 
motivazione: "La L. n. 210 del 1992, prevede la corresponsione di indennizzi a favore di soggetti 
danneggiati da vaccinazioni obbligatorie o da trasfusioni di sangue. Per trasfusione 
deve intendersi il passaggio di sangue da una ad altra persona, o direttamente o previa raccolta 
e conservazione del sangue e somministrazione dello stesso o di un suo derivato ad un 
utilizzatore. Non rientra nel concetto di trasfusione il prelevamento del sangue da un soggetto 
e l'iniezione dello stesso sangue nella stessa persona (autotrasfusione ovvero circolazione 
extracorporea). In questo caso, manca a tacer d'altro il rischio che la legge ha inteso tutelare, 
vale a dire il rischio che il donatore sia affetto da una infezione la quale viene trasmessa al 
donatario. Un soggetto che riceve il suo sangue non pu� essere soggetto a rischio di contrarre 
nuove infezioni rispetto a quelle di cui � portatore. Ove si ipotizzi che la macchina destinata 
a ripulire il sangue dell'emodializzato sia sporca per altre sostanze lasciate da altro paziente, 
la fonte del risarcimento del danno non sar� la L. n. 210 del 1992, ma la responsabilit� contrattuale 
per danni che lega l'azienda ospedaliera al paziente. 9. L'accoglimento della domanda 
attrice comporta una estensione della legge, secondo il tenore delle parole adoperate 
dal legislatore, oltre il contenuto della stessa e quindi una interpretazione analogica, che � 
inammissibile in quanto trattasi di normativa che attribuisce benefici a valere su risorse pubbliche 
e sulla base di determinati presupposti. 10. Le linee guida eventualmente approvate 
dalla conferenza Stato- Regioni non costituiscono fonte normativa atta a modificare la legge 


formale e pertanto di esse non pu� tenersi conto per estendere la portata della legge oltre il 
suo tenore letterale e ideologico. Trattasi di linee da utilizzare de iure condendo onde venire 
incontro ad aspettative, peraltro comprensibili, degli emodializzati. 11. Il ricorso, per i suesposti 
motivi, deve essere rigettato". 

Questo Collegio, peraltro, senza necessit� di prendere posizione sulla condivisibilit� 
dell'orientamento interpretativo espresso dalla Sezione Lavoro (che, per la verit�, sarebbe 
stata pi� che dubbia, atteso che esso omise di considerare le conseguenze sull'esegesi del 
comma 3, dell'art. 1, della pronuncia di cui a Corte Costituzionale n. 476 del 2002, che aveva 
dichiarato "l'illegittimit� costituzionale della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 3, 
(Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di 
vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui 
non prevede che i benefici previsti dalla legge stessa spettino anche agli operatori sanitari 
che, in occasione del servizio e durante il medesimo, abbiano riportato danni permanenti 
alla integrit� psico-fisica conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue 
e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatiti", e la lettura delle cui motivazioni 
avrebbe dovuto suggerire una diversa esegesi della norma o altrimenti di prospettare questione 
di costituzionalit� della stessa), ritiene, per�, esso sia stato superato proprio da sopravvenienze 
normative verificatesi successivamente alla pronuncia le 2008 per effetto di pronunce di incostituzionalit� 
di natura additiva della Corte Costituzionale, le quali hanno fatto assumere 
alla norma della L. n. 201 del 1992, art. 1, comma 3, un significato che ora, letto alla luce 
delle addizioni, consente all'interprete di pervenire ad una soluzione opposta a quella della 
Sezione Lavoro e ci� anche mantenendo la struttura motivazionale che Essa us� nell'affrontare 
il problema esegetico in allora. 

La circostanza che alla diversa interpretazione si pervenga ora sulla base delle sopravvenienze 
normative che si verranno esponendo esclude, d'altro canto, l'opportunit� di una rimessione 
alle Sezioni Unite, dato che non ci pone in contrasto con il suddetto precedente, ma 
in continuit� con esso. 

�3.3. Ci� premesso si osserva che Corte Costituzionale n. 28 del 2009 ha dichiarato 
"l'illegittimit� costituzionale della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 3, (Indennizzo 
a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni 
obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni), nella parte in cui non prevede che i benefici riconosciuti 
dalla legge citata spettino anche ai soggetti che presentino danni irreversibili derivanti 
da epatite contratta a seguito di somministrazione di derivati del sangue". 

Il Giudice delle Leggi, per pervenire alla declaratoria di illegittimit�, della quale era investito 
sotto il riflesso che l'art. 1, comma 3, contrastava "con l'art. 3 Cost., per l'irragionevole 
disparit� di trattamento che essa determina tra i soggetti che abbiano contratto l'epatite a 
seguito di somministrazione di emoderivati, ai quali non � riconosciuto alcun indennizzo, e 
coloro che abbiano contratto l'infezione da HIV per la medesima ragione, ai quali la legge, 
invece, accorda il beneficio" nonch� per "la violazione degli artt. 2, 32 e 38 Cost., dal momento 
che non vi sarebbero ragioni per cui la tutela della salute e l'assistenza sociale correlata 
siano escluse per i soggetti che subiscano danni irreversibili derivanti da epatiti contratte 
a seguito di somministrazione di derivati del sangue", ha osservato quanto segue: "2. - La 
questione � fondata. La L. n. 210 del 1992, art. 1, commi 2 e 3, riconosce una misura di sostegno 
economico in favore dei soggetti che abbiano subito danni a seguito di taluni interventi 
terapeutici. In particolare, � previsto un indennizzo in favore di coloro che siano stati contagiati 
da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di sangue e suoi derivati, nonch� in 


favore degli operatori sanitari che a causa del contatto con sangue e derivati siano stati contagiati 
dalla medesima infezione. La L. n. 210 citata, art. 1, comma 3, riconosce, altres�, l'indennizzo 
in favore di coloro che abbiano subito danni irreversibili da epatite contratta a 
seguito di trasfusione. Con la sentenza n. 476 del 2002 questa Corte ha riconosciuto analogo 
beneficio anche in favore degli operatori sanitari che in occasione del servizio e durante il 
medesimo abbiano riportato danni permanenti conseguenti a infezione contratta a seguito di 
contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatite. Dunque, dalla 
disciplina complessiva del 1992 emerge che, mentre l'indennizzo � sempre riconosciuto nel 
caso di soggetti che abbiano contratto infezioni da HIV, siano esse derivate dalla somministrazione 
di sangue ovvero di emoderivati, ai soggetti che abbiano contratto l'epatite il beneficio 
� concesso solo nel caso in cui la malattia sia conseguita a trasfusione, ovvero, se si 
tratta di operatori sanitari, nelle ipotesi di contatto con il sangue o suoi derivati. Resta priva 
di tutela, invece, l'ipotesi, oggetto del giudizio a quo, in cui l'infezione da epatite sia conseguita 
alla somministrazione di emoderivati. Dunque, con riguardo a tale caso, si interrompe 
il parallelismo con la disciplina prevista a favore dei soggetti affetti da infezione da HIV (sentenza 
n. 476 del 2002). Come gi� riconosciuto da questa Corte, il beneficio previsto della L. 

n. 210 del 1992, art. 1, commi 2 e 3, consiste in una misura di sostegno economico fondata 
sulla solidariet� collettiva garantita ai cittadini, alla stregua degli artt. 2 e 38 Cost., a fronte 
di eventi generanti una situazione di bisogno (sentenze n. 342 del 2006, n. 226 del 2000 e n. 
118 del 1996). Esso trova il proprio fondamento nella insufficienza dei controlli sanitari fino 
ad allora predisposti in questo specifico settore (sentenza n. 476 del 2002), e come tale si impone 
anche a favore di coloro che, allo stato dell'attuale legislazione, ne siano irragionevolmente 
esclusi, nonostante che ricorra la medesima ratio ora indicata. Il mancato 
riconoscimento dell'indennizzo a favore di coloro che abbiano contratto l'epatite a seguito di 
somministrazione di emoderivati non trova alcuna ragionevole giustificazione, dal momento 
che, del tutto immotivatamente, tale fattispecie resta priva di tutela". 

Ebbene, la pronuncia di incostituzionalit� n. 28 del 2009 ha ormai fatto assumere alla 
norma della L. n. 210 del 1992, art., comma 3, un contenuto che, ammettendo la spettanza 
del beneficio nel caso di contagio da emoderivati e, quindi, con riguardo ad una fattispecie 
che prescinde dal concetto stesso di "trasfusione", rende pienamente possibile come interpretazione 
costituzionalmente orientata ed anzi doverosa sul piano costituzionale, senza bisogno 
di sollevare una nuova ennesima questione di costituzionalit� (tenuto conto che sovente la 
Consulta sanziona con l'inammissibilit� ordinanze di rimessione di questioni incidentali che 
non praticano l'interpretazione costituzionalmente orientata, se possibile), un'esegesi della 
norma nel senso di comprendere una fattispecie di contagio da emodialisi, che si presenta con 
elementi di molto maggiore contiguit� rispetto a quella originaria della norma, prima della 
declaratoria di incostituzionalit� e che anzi quella contiguit� presentava gi� con riferimento 
alla fattispecie introdotta in via additiva da Corte cost. n. 476 del 2002. 

Si aggiunga che indurrebbe alla stessa conclusione l'ulteriore intervento, sia pure mirato 
sull'art. 1, comma 1, di cui la Corte costituzionale n. 107 del 2012, che nel dichiarare "l'illegittimit� 
costituzionale della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 1, (Indennizzo a 
favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni 
obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede 
il diritto ad un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, nei confronti 
di coloro i quali abbiano subito le conseguenze previste dallo stesso art. 1, comma 1, 
a seguito di vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia", ha ulteriormente evi



denziato che l'impianto generale della L. n. 210 del 1992, alla luce dev'essere letto alla luce 
dei principi costituzionali e, dunque, in modo da assegnare alle fattispecie astratte il massimo 
significato possibile. 

In base alle considerazioni svolte, il motivo risulta allora infondato sulla base del seguente 
principio di diritto: "La L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3, a seguito della declaratoria 
di incostituzionalit� di cui alla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 
28 del 2009, dev'essere interpretato, alla luce del complessivo significato che la norma 
ha assunto, anche per effetto della combinazione della nuova additiva con la precedente 
di cui a Corte Costituzionale n. 476 del 2002, ed alla stregua del criterio di esegesi che 
impone di intendere le norme in modo conforme a Costituzione, nel senso che il rischio 
per cui prevede l'indennizzo comprende anche l'ipotesi in cui il contagio sia derivato 
dalla contaminazione del sangue proprio del contagiato durante un'operazione di emodialisi, 
a causa di una insufficiente pulizia della macchina per emodialisi dalle sostanze 
ematiche lasciate da altro paziente, con la conseguenza che al contagiato compete l'indennizzo 
di cui alla norma". 

�4. Il ricorso � conclusivamente rigettato. 

�5. Non � luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione. 

P.Q.M. 
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 febbraio 
2013. 


Competenza del giudice ordinario sui respingimenti differiti 
dello straniero 

(Cassazione civile, Sez. Un., sentenza 17 giugno 2013 n. 15115) 

Con la sentenza n.15115 del 17 giugno 2013, la Corte di Cassazione afferma 
che anche nel caso dei respingimenti �differiti�, disposti dal questore 
ex art. 10, comma 2, del T.U. 286 in materia di immigrazione, deve pronunciarsi 
il giudice ordinario e non quello amministrativo. 

La norma che prevede i respingimenti �immediati� e quelli �differiti� (articolo 
10 comma 1 e 2 del Testo Unico sull�immigrazione n. 286 del 1998) 
appare assai lacunosa, e come osserva del resto la Corte di Cassazione, �la 
disciplina dei respingimenti risultante dagli articoli 10 e 19 del d.lgs. 286 del 
1998 non individua il giudice davanti al quale lo straniero pu� invocare la 
tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive�. 

Cosa � successo in questi anni ? 

Fino all�intervento della Corte di Cassazione rimaneva controverso, sia 
in dottrina che nella giurisprudenza, il riparto di giurisdizione tra il giudice 
amministrativo e il giudice ordinario, e la Corte ricorda i termini della questione 
che poi risolve riconoscendo la giurisdizione del giudice ordinario. 

Ed infatti, secondo un primo orientamento, le controversie relative ai respingimenti 
con accompagnamento alla frontiera adottati dal questore ai sensi 
dell�art. 10 c. 2 del d.lgs. 286 del 1998 sono devolute al giudice ordinario 
avendo una omogeneit� "contenutistica e funzionale" con i provvedimenti di 
espulsione, rispetto ai quali si pongono in un rapporto di species a genus s� 
che dovrebbero ritenersi applicabili anche ai respingimenti l�art. 13 del T.U. 
sull�immigrazione (per la giurisprudenza amministrativa v. t.a.r Sicilia, 9 settembre 
2010 n. 1036 - che trae argomento anche dal rapporto con la disciplina 
del diritto di asilo e, in generale, del diritto alla protezione umanitaria - e 17 
marzo 2009, n. 510; t.a.r Campania, 3 luglio 2007, n. 6441; t.a.r. Calabria, 23 
febbraio 2007, nn. 112 e 113; t.a.r. Sicilia, 7 novembre 2006, n. 2706; t.a.r. 
Calabria, 26 aprile 2006, n. 432; per la giurisprudenza ordinaria v. giud. pace 
Agrigento 8 luglio 2011, n. 478 e 26 settembre 2008, n. 555). 

Altro orientamento radica in capo al giudice amministrativo l�impugnazione 
dell�atto di respingimento adottato dal questore, in ragione della sua natura 
di atto autoritativo, che lo ricondurrebbe natura/iter nella giurisdizione 
generale di legittimit� ai sensi dell�art. 103 c. 1 Cost. (v. per la giurisprudenza 
amministrativa, Cons. Stato, parere 4 febbraio 2011, n. 571/11; t.a.r. Lombardia, 
16 febbraio 2009, n. 1312; t.a.r. Friuli Venezia Giulia 29 gennaio 2007, n. 
102; t.r.g.a. Bolzano, 23 settembre 2006, n. 119; t.a.r. Piemonte 19 luglio 2005, 

n. 2561; t.a.r. Lazio 28 maggio 2003, n. 4830; per la giurisprudenza ordinaria 
v. trib. Agrigento 26 marzo 2009; trib. Palermo 13 maggio 2005). 



Con la sentenza n. 11535 del 17 giugno 2013, la Corte di Cassazione detta 
un punto fermo sulla tutela giurisdizionale dell'immigrato sottoposto alla misura 
del respingimento �differito� disposto sulla base dell�art. 10 comma 2 del 

T.U. 286 del 1998. 

Secondo la Corte, �Deve dunque, in raccordo con le premesse esigenze 
di mantenere ferma una coerenza di "sistema", darsi atto che il provvedimento 
del questore diretto al respingimento incide su situazioni soggettive aventi 
consistenza di diritto soggettivo: l�atto � infatti correlato all�accertamento 
positivo di circostanze-presupposti di fatto esaustivamente individuate dalla 
legge (art. 10, c. 2 lett. a) e b) del d.lgs n. 286 del 1998) ed all�accertamento 
negativo della insussistenza dei presupposti per l�applicazione dalle disposizioni 
vigenti che disciplinano la protezione internazionale nelle sue forme del 
riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ovvero 
che impongono l�adozione di misure di protezione solo temporanea per motivi 
umanitari (art. 10, c. 2 e 19, c. 1 d.lgs. n. 286 del 1998). E pertanto, in mancanza 
di norma derogatrice che assegni al giudice amministrativo la cognizione 
della impugnazione dei respingimenti, deve trovare applicazione il 
criterio generale secondo cui la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto 
diritti soggettivi, proprio in ragione della inesistenza di margini di ponderazione 
di interessi in gioco da parte della Amministrazione, spetta al 
giudice ordinario�. 

Secondo la Corte �Le ragioni appena illustrate trovano peraltro conferma 
nella recente sentenza 23 febbraio 2012 della Grande Chambre della 
Corte europea dei diritti dell�uomo (Hirsi Jamaa e altri c. Italia), che, nel dichiarare 
illegittimi i respingimenti, effettuati in mare, verso la Libia, per violazione, 
tra l�altro, dell�art. 3 CEDU, ha affermato che "Le difficolt� nella 
gestione dei flussi migratori non possono giustificare il ricorso, da parte degli 
Stati, a pratiche che sarebbero incompatibili con i loro obblighi derivanti da 
convenzioni". E, in particolare che "l�Italia non � dispensata dal dovere di rispettare 
i propri obblighi derivanti dall�articolo 3 della Convenzione per il 
fatto che i ricorrenti avrebbero omesso di chiedere asilo o di esporre i rischi 
cui andavano incontro". 

M.B. 

Corte di Cassazione. Sez. Unite, sentenza 17 giugno 2013 n. 15115 -Primo Pres. ff. Roberto 
Preden, Rel. Luigi Macione, P.M. Carlo Destro - D.B. (avv. Mario Mangino) c. Questura di 
Agrigento, Ministro Interno. 

Svolgimento del processo 

Il cittadino della (OMISSIS) D.B. giunse in Italia sulle coste dell'isola di (OMISSIS) e, dopo un 
periodo di accoglienza presso il centro dell'isola, con decreto 6.9.2011 adottato dal Questore 
di Agrigento D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19, comma 2 venne respinto alla frontiera ed in



terinalmente trattenuto presso il CIE Brunelleschi di Torino. D.B. con ricorso 5.11.2011 si 
oppose innanzi al Giudice di Pace di Agrigento a detto respingimento affermando, in via preliminare, 
la giurisdizione dell'adito Giudice di Pace e nel merito contestando la legittimit� del 
respingimento adottato dopo tredici giorni dalla identificazione dello straniero. 
Il Giudice di Pace di Agrigento con decreto 25.11.2011, preliminarmente rilevato che non potevano 
essere concessi rinvii dell'udienza al fine di proporre regolamento preventivo, richiamati 
alcuni precedenti del giudice amministrativo che avevano evidenziato la discrezionalit� 
della Amministrazione nell'adottare i decreti di respingimento, ha opinato in tal senso e pertanto 
declinato la propria giurisdizione. 
Per la cassazione di tale decreto D.B. ha proposto ricorso notificando l'atto al Ministero del-
l'Interno il 23.1.2012; l'Amministrazione non ha svolto difese. 

Motivi della decisione 

Ritiene il Collegio che il ricorso contenga condivisibili censure alla declinatoria di giurisdizione 
adottata dal giudice del merito e che, pertanto, affermata la giurisdizione erroneamente 
negata, vada cassato il decreto e vada disposto rinvio innanzi allo stesso giudice per l'esame 
della proposta opposizione. 
Il ricorso, preso atto della assenza di una esplicita disciplina di impugnativa del decreto di respingimento 
ma della prevalente giurisprudenza che assegna al giudice ordinario tale cognizione, 
argomenta dalla lettura del T.U. approvato con D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10, commi 
1, 2 e 4, in particolare dalla disciplina del respingimento "differito" e dalla sua incidenza sulla 
libert� personale del respingendo per affermare la piena attrazione della sua contestazione 
nell'ambito della giurisdizione generale dei diritti soggettivi. 
Osserva il Collegio che, come rilevato in ricorso, la disciplina dei respingimenti risultante dal 
D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 10 e 19 non individua il giudice davanti al quale lo straniero pu� 
invocare la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive. 
Diversamente, � noto, � stato ab origine operato per la individuazione nel Tribunale, poi nel 
Giudice di Pace, del giudice attributario della cognizione delle opposizioni ad espulsione dal-
l'art. 13, comma 8 dello stesso T.U..Ci� ha ingenerato una diversit� di orientamenti tanto nella 
giurisprudenza amministrativa quanto in quella ordinaria. 
Ed infatti, secondo un primo orientamento, le controversie relative ai respingimenti con accompagnamento 
alla frontiera adottati dal questore ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 
10, comma 2 sono devolute al giudice ordinario avendo una omogeneit� "contenutistica e funzionale" 
con i provvedimenti di espulsione, rispetto ai quali si pongono in un rapporto di species 
a genus s� che dovrebbero ritenersi applicabili anche ai respingimenti l'art. 13 del T.U. 
sull'immigrazione (per la giurisprudenza amministrativa v. t.a.r Sicilia, 9 settembre 2010 n. 
1036 - che trae argomento anche dal rapporto con la disciplina del diritto di asilo e, in generale, 
del diritto alla protezione umanitaria - e 17 marzo 2009, n. 510; t.a.r Campania, 3 luglio 2007, 

n. 6441; t.a.r. Calabria, 23 febbraio 2007, nn. 112 e 113; t.a.r. Sicilia, 7 novembre 2006, n. 
2706; t.a.r. Calabria, 26 aprile 2006, n. 432; per la giurisprudenza ordinaria v. giud. pace Agrigento 
8 luglio 2011, n. 478 e 26 settembre 2008, n. 555). 
Altro orientamento radica in capo al giudice amministrativo l'impugnazione dell'atto di respingimento 
adottato dal questore, in ragione della sua natura di atto autoritativo, che lo ricondurrebbe 
naturaliter nella giurisdizione generale di legittimit� ai sensi dell'art. 103 Cost., 
comma 1 (v. per la giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, parere 4 febbraio 2011, n. 
571/11; t.a.r. Lombardia, 16 febbraio 2009, n. 1312; t.a.r. Friuli Venezia Giulia 29 gennaio 



2007, n. 102; t.r.g.a. Bolzano, 23 settembre 2006, n. 119; t.a.r. Piemonte 19 luglio 2005, n. 
2561; t.a.r. Lazio 28 maggio 2003, n. 4830; per la giurisprudenza ordinaria v. trib. Agrigento 
26 marzo 2009; trib. Palermo 13 maggio 2005). 
Ad avviso del Collegio deve ritenersi pienamente condivisibile l'opinione, fatta propria dal 
ricorso in disamina, che conduce ad affermare la giurisdizione del giudice ordinario non per 
effetto dell'applicazione analogica delle cennate disposizioni sull'opposizione alla espulsione 
bens� alla stregua di considerazioni desumibili dal sistema. 
Non pu�, invero e certamente, farsi applicazione analogica del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 
13, comma 8, trattandosi di norma speciale che ha abrogato la previsione contenuta nel D.L. 


n. 416 del 1989, art. 5, comma 3, conv. in L. n. 39 del 1990: la norma abrogatrice, invero, superava 
la generale attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione sulle impugnazioni 
dei provvedimenti prefettizi di espulsione sulla base del rilievo, emergente dai lavori 
preparatori (in particolare dalla relazione al d.d.l. n. 3240) secondo cui la scelta a favore del 
giudice ordinario, veniva operata da un canto perch� "il giudice ordinario, per struttura ed organizzazione 
diffuse sul territorio, appare in grado di operare entro i brevi termini previsti 
dalla legge" e dall'altro canto perch� tale scelta non trovava "particolari ostacoli neppure dal 
punto di vista sistematico": e si faceva significativo riferimento al fatto che l'ordinamento gi� 
conosceva altre ipotesi di attribuzione della giurisdizione ordinaria dei ricorsi avverso provvedimenti 
della pubblica amministrazione, in specie nel caso delle opposizioni ai provvedimenti 
di irrogazione di sanzioni amministrative. 
Deve dunque, in raccordo con le premesse esigenze di mantenere ferma una coerenza di "sistema", 
darsi atto che il provvedimento del questore diretto al respingimento incide su situazioni 
soggettive aventi consistenza di diritto soggettivo: l'atto � infatti correlato all'accertamento positivo 
di circostanze-presupposti di fatto esaustivamente individuate dalla legge (D.Lgs. n. 286 
del 1998, art. 10, comma 2, lett. a) e b)) ed all'accertamento negativo della insussistenza dei presupposti 
per l'applicazione dalle disposizioni vigenti che disciplinano la protezione internazionale 
nelle sue forme del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ovvero 
che impongono l'adozione di misure di protezione solo temporanea per motivi umanitari (D.Lgs. 
n. 286 del 1998, art. 10, comma 2 e art. 19, comma 1). E pertanto, in mancanza di norma derogatrice 
che assegni al giudice amministrativo la cognizione della impugnazione dei respingimenti, 
deve trovare applicazione il criterio generale secondo cui la giurisdizione sulle controversie 
aventi ad oggetto diritti soggettivi, proprio in ragione della inesistenza di margini di ponderazione 
di interessi in gioco da parte della Amministrazione, spetta al giudice ordinario. 
Pare poi necessario aggiungere che il predetto accertamento negativo che costituisce requisito 
di legittimit� del provvedimento di respingimento del questore, � diverso e indipendente dal 
procedimento di accertamento spettante alle commissioni territoriali: esso, perch� svolto per 
la verifica del requisito di legittimit� del provvedimento di respingimento del questore, non 
interferisce con le competenze demandate alle commissioni territoriali, alle quali, a seguito 
di presentazione dell'istanza dell'interessato spetta di accertare in via definitiva e previa adeguata 
istruttoria, anche officiosa, la sussistenza dei presupposti per la concessione dello status 
di rifugiato e delle altre misure di protezione internazionali. L'accertamento in discorso infatti 
si esprime in valutazioni necessariamente sommarie, stante l'intrinseca urgenza, e del tutto 
incidentali. 
La appena formulata statuizione � del resto coerente con quanto questa Corte ha gi� avuto 
modo di rilevare, sia con riferimento alla situazione normativa vigente prima del 20 aprile 2005 
(Cass. S.U. n. 19393 del 2009) sia con riguardo alla disciplina successiva all'entrata in vigore 



del D.L. 30 n. 416 del 1989, art. 1 quater (convertito in legge n. 39 del 1990), introdotto dalla 

L. n. 189 del 2002, art. 32, comma 1, lett. b), (Cass. S.U. n. 11535 del 2009), e cio� l'appartenenza 
alla giurisdizione ordinaria di tutte le controversie in materia di protezione internazionale, 
che comprendono le domande di tutela del diritto alla protezione umanitaria, del diritto allo 
status di rifugiato e del diritto costituzionale di asilo, aventi identica natura riconducibile alla 
categoria dei diritti umani fondamentali, che debbono essere riconosciuti allo straniero "comunque 
presente alla frontiera o nel territorio dello Stato" (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, 
comma 1). E tali situazioni protette, in quanto coperte dalla garanzia apprestata dall'art. 2 Cost., 
non possono essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate 
al potere amministrativo, a tal potere potendo essere rimesso solo l'accertamento dei presupposti 
di fatto che legittimano la protezione, facendo uso di una mera discrezionalit� tecnica, essendo 
il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservate al legislatore, 
fermo il rispetto delle convenzioni vigenti, e in particolare dell'art. 3 CEDU (in tal 
senso anche Cass. n. 3898 del 2011, 10636 del 2010, 26253 del 2009). 
Le ragioni appena illustrate trovano peraltro conferma nella recente sentenza 23 febbraio 2012 
della Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell'uomo (Hirsi Jamaa e altri c. Italia), 
che, nel dichiarare illegittimi i respingimenti, effettuati in mare, verso la Libia, per violazione, 
tra l'altro, dell'art. 3 CEDU, ha affermato che "le difficolt� nella gestione dei flussi migratori 
non possono giustificare il ricorso, da parte degli Stati, a pratiche che sarebbero incompatibili 
con i loro obblighi derivanti da convenzioni". E, in particolare che "l'Italia non � dispensata 
dal dovere di rispettare i propri obblighi derivanti dall'art. 3 della Convenzione per il fatto che 
i ricorrenti avrebbero omesso di chiedere asilo o di esporre i rischi cui andavano incontro...". 
Da quanto esposto discende, in conclusione, ed in totale coincidenza con il decisum e con gli 
argomenti della appena pubblicata ordinanza delle S.U n. 14502 del 2013, che debba essere 
cassato il decreto in accoglimento del ricorso e dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario: 
le parti dovrebbero essere rimesse davanti al tribunale territorialmente competente, non 
potendosi, come sopra detto, applicare analogicamente la speciale competenza del giudice di 
pace prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8 per l'impugnazione dei provvedimenti 
di espulsione e dovendosi dare corso alla generale e residuale attribuzione di competenza 
di cui all'art. 9 c.p.c.. Ma a tale conclusione fa ostacolo la preclusione nella specie 
avveratasi - per la mancata denunzia impugnatoria e per il mancato rilievo officioso - con la 
conseguenza per la quale devesi rinviare al Giudice di Pace di Agrigento il cui decreto viene 
in questa sede cassato. 
La novit� della questione consiglia di dichiarare irripetibili le spese. 

P.Q.M. 
Accoglie il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, cassa il decreto impugnato 
contenente la declinatoria e rinvia innanzi al Giudice di Pace di Agrigento in persona di altro 
magistrato. Spese non ripetibili. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 febbraio 2013. 


La protezione umanitaria nell�interpretazione delle corti 
territoriali calabresi e delle giurisdizioni superiori 

Fabrizio Gallo* 

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Questioni di giurisdizione - 3. Protezione sussidiaria e protezione 
umanitaria. Elementi per un actio finium regundorum - 4. I requisiti della protezione 
umanitaria - 5. Conclusioni. 

1. Premessa. 

L�ambito operativo della protezione umanitaria, nel regime previgente 
all�entrata in vigore del D.L.vo 251/2007 e 25/2008, era ben definito e non 
dava luogo a particolari problemi applicativi. 

In effetti, l�esistenza, in quel quadro normativo, di due soli istituiti di protezione, 
lo status di rifugiato ed appunto la protezione umanitaria, consentiva 
di orientare l�attivit� decisoria in modo uniforme. In tal modo, si riconducevano 
ai motivi umanitari tutti quei casi di conflitto generalizzato o di particolare condizione 
di vulnerabilit� che, pur essendo apprezzabili, non integravano i precisi 
e stringenti presupposti di cui all�art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1957. 

L�articolata disciplina recata dai decreti legislativi 251/2007 e 25/2008, 
in applicazione delle direttive europee 2004/83/CE e 2005/85/CE, ha modificato 
il sistema normativo pregresso facendo sorgere alcuni nodi problematici 
relativi alla protezione umanitaria, prima non rilevanti sotto il profilo teorico 

o di ridotto impatto nella prassi applicativa. 

In particolare, si � posto, da principio, la questione sulla sopravvivenza 
della protezione umanitaria dopo l�introduzione nel sistema della protezione 
sussidiaria (istituto che, in qualche modo, assorbe uno degli ambiti operativi 
in precedenza oggetto d�azione della misura in esame) anche alla luce dell�art. 
34 del D.L.vo 251/2007 che ha previsto la progressiva trasformazione dei permessi 
di soggiorno per protezione umanitaria, rilasciati prima dell�entrata in 
vigore del suddetto testo normativo, in permessi per protezione sussidiaria. 

Una volta appurata la persistenza dell�istituto nel diritto vigente, � stato 
esaminato il problema dei rapporti tra protezione sussidiaria e protezione umanitaria, 
al fine di individuare i campi d�azione reciproci. 

Infine, emerge il tema pi� generale dei presupposti legittimanti l�adozione 
del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non pi� rinviabile ai fini del-
l�orientamento univoco della prassi decisionale, alla luce di un interpretazione 
costituzionalmente orientata della Corte di Cassazione per la quale l�attuale 
sistema in materia di diritto d�asilo e protezione internazionale � integralmente 

(*) Viceprefetto, Presidente della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale 
di Crotone. 


esaustivo del campo d�azione dell�art.10, comma 3 Cost. (1). 

Il presente scritto si propone, quindi, di delimitare, per quanto possibile, 
l�ambito applicativo dell�istituto in questione, recato dall�art. 5, comma 6 del 
D.L.vo 286/1998 (T.U. dell�immigrazione), partendo dall�analisi della giurisprudenza 
delle corti territoriali calabresi, che hanno cognizione sull�attivit� 
decisoria di una delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione 
internazionale quantitativamente pi� impegnate sul territorio nazionale 
(2), e completando l�esame con le indicazioni della Corte di Cassazione e della 
Corte Europea dei Diritti dell�Uomo. 

2. Questioni di giurisdizione. 

La questione dell�esatta qualificazione e della relativa delimitazione della 
protezione umanitaria nel nuovo sistema normativo � stata oggetto di attenzione 
a partire dalla proposizione di questioni di giurisdizione sull�argomento. 
In effetti, la Corte di Cassazione, investita del tema, ha iniziato ad operare una 
pi� approfondita ricognizione dell�argomento, allo scopo di determinare il tipo 
di posizione giuridica soggettiva sottesa all�istituto esaminato e, per questa 
via, determinare la giurisdizione competente. 

In una prima pronunzia (3), la Suprema Corte prende le mosse dalla precedente 
e non remota giurisprudenza dello stesso Giudice (4) che aveva affermato 
la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione ai ricorsi avverso 
il rifiuto del questore a concedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari. 
Rispetto a quella decisione, la Cassazione evidenzia che la stessa operava 
con riguardo ad un quadro ordinamentale delineato dagli artt. 5, co. 6 e 19, 
co. 1, del D.L.vo 286/1998. 

Dall�ordito normativo in questione, emergeva la competenza della Commissione 
centrale alla verifica delle condizioni per il riconoscimento dello status 
di rifugiato, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulle 
controversie relative, mentre alcuna funzione si poteva individuare, per il medesimo 
organo centrale, in materia di protezione umanitaria. Detto ambito di 
valutazione, in quel sistema connotato da profili di apprezzamento politico-
amministrativi, veniva, infatti, riservato al questore. 

Da tale ricostruzione esegetica e sistematica, si faceva derivare la competenza 
del giudice amministrativo a conoscere delle controversie relative ai 
provvedimenti questorili in argomento. 

Secondo la Corte di Cassazione, nella motivazione della predetta Ord. n. 
11535/2009, il precedente orientamento espresso al massimo livello delle Se


(1) V. par. 4. 
(2) A tale riguardo, si veda il �Quaderno statistico per gli anni 1999 � 2011�, in www.interno.it. 
(3) Cass. Ord. n. 11535/2009. 
(4) Cass., SS.UU., Ord. n. 7933/2008. 



zioni Unite non pu� pi� applicarsi, a partire dall�entrata in vigore delle norme 
che progressivamente hanno modificato il sistema organizzativo deputato a 
decidere in materia. In particolare, il punto di svolta viene individuato con 
l�entrata in vigore del combinato disposto della L. n. 189/2002 (che aveva introdotto 
modifiche determinati alla L. 39/1990) e del D.P.R. 303/2004. 

In tale nuovo contesto, l�art. 1 quater della L. 39/1990, prevedeva che le 
commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato (introdotte 
proprio con quel complesso normativo), nell�esaminare la domanda di 
asilo, avrebbero dovuto valutare le conseguenze di un rimpatrio, alla luce degli 
obblighi internazionali gravanti sull�Italia, per i provvedimenti di cui all�art. 
5, co. 6 del D.L.vo 286/1998. 

Il sistema, secondo la Cassazione, � maggiormente chiarito, ma non modificato, 
nell�ulteriore riassetto della legislazione nazionale in materia di protezione 
internazionale, come noto costituita ora dal D.L.vo 251/2007 e dal 
D.L.vo 25/2008, in attuazione delle direttive comunitarie in materia. 

L�art. 32 del D.L.vo 25/2008, infatti, espressamente prevede che, nel caso 
in cui non ravvisi i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione 
internazionale e ritenga sussistenti gravi motivi di carattere umanitario, 
la commissione territoriale trasmetta gli atti al questore per l�eventuale rilascio 
del permesso di soggiorno di cui all�art. 5, co. 6 del D.L.vo 286/1998. 

Nell�interpretazione della Cassazione, dunque, si viene a delineare, gi� a 
partire dalla L.189/2002, un sistema nel quale ogni accertamento valutativo sui 
presupposti di ogni forma di protezione viene attribuito esclusivamente alla cognizione 
tecnica della commissione territoriale venendo meno ogni margine di 
apprezzamento politico sulle condizioni del paese di provenienza e residuando 
cos� al questore nulla pi� che il compito di �mera attuazione dei deliberati� assunti 
dalla commissione stessa e la verifica degli altri requisiti di legge che, per 
questa ragione, rendono eventuale il rilascio del permesso umanitario. 

Operata tale ricostruzione, la Cassazione, con l�ordinanza in esame, riconosceva 
la natura di diritto soggettivo alla posizione giuridica dello straniero 
che chiedeva il rilascio del permesso di soggiorno per protezione umanitaria 
e, pertanto, affermava la giurisdizione del giudice ordinario. 

La predetta conclusione sulla giurisdizione si consolida con una successiva 
pronunzia a Sezioni Unite (5) che, peraltro, articola la propria motivazione 
in senso pi� ampio della precedente e, in tal modo, promuove una riconsiderazione 
globale della materia e comincia a porre il problema della determinazione 
dei requisiti per il riconoscimento dei motivi umanitari. 

In primo luogo, detta decisione, nel riprendere l�analisi esegetica dell�art. 
5, co. 6 del D.L.vo 286/1998, sottolinea come la norma non definisca i �seri 
motivi di carattere umanitario� posti a basamento della decisione di rilasciare 

(5) Cass., SS.UU., n. 19393. 


il relativo permesso di soggiorno, ma faccia un rinvio, definito generico, alla 
disciplina del diritto internazionale umanitario ovvero a quel compendio di 
fonti di diritto internazionale che, in caso di conflitti armati, proteggono le 
persone ed i beni coinvolti. Il riferimento mediato � dunque alle convenzioni 
operanti in materia che trovano un riflesso nell�art. 2 della Costituzione che 
contribuisce a chiarire e ad integrare le fattispecie di protezione in questione. 

L�inquadramento sistematico viene cos� operato con riguardo alla categoria 
dei diritti umani fondamentali, nei quali il diritto allo status di rifugiato, 
il diritto costituzionale all�asilo ed il diritto alla protezione umanitaria rivelano 
una medesima natura, sebbene con disciplina giuridica in parte differente. La 
nuova normativa recata dal compendio D.L.vo 251/2007 - D.Lvo 25/2008, 
dunque, nel recare le nuove competenze amministrative in materia, non fa 
altro che prendere atto di ci� assumendo, pertanto, pi� una funzione ricognitiva 
e chiarificatrice che innovativa. Conclusivamente e conseguentemente, quindi, 
le Sezioni Unite confermano la giurisdizione del giudice ordinario in materia 
rendendo una certezza in termini di inquadramento dogmatico della posizione 
giuridica soggettiva connessa ai motivi umanitari ma lasciando aperta (anzi, 
in qualche modo rilevando) la questione dei requisiti legittimanti. 

3. Protezione sussidiaria e protezione umanitaria. Elementi per un actio finium 
regundorum. 

Venendo agli aspetti di merito della questione affrontata, vale a dire la perimetrazione 
dell�istituto della protezione umanitaria nel nuovo quadro ordinamentale, 
� opportuno partire dal confronto esterno tra tale misura tutoria e la 
protezione sussidiaria, introdotta nel nostro ordinamento con il D. L.vo 251/2007. 
Come detto in premessa, la protezione sussidiaria, cos� come disciplinata nella 
menzionata fonte normativa, assorbe al suo ambito applicativo numerose fattispecie 
che, nella precedente prassi operativa, venivano ricomprese nei motivi 
umanitari. Pare esemplare, al riguardo, il caso di persone potenzialmente coinvolte 
in conflitti generalizzati che, pur non possedendo i requisiti per il riconoscimento 
dello status di rifugiato, rimanevano destinatarie di permesso di soggiorno per 
motivi umanitari. Tale ipotesi � ora tipizzata nell�art. 14, lett. C), del D.L.vo 
251/2007, come uno dei casi di riconoscimento della protezione sussidiaria. 

Il problema del rapporto tra protezione sussidiaria e protezione umanitaria 
viene inquadrato, in un primo tempo, nella logica di un superamento della protezione 
umanitaria con il nuovo istituto della sussidiaria. Infatti, la Corte di 
Cassazione (6) ha rilevato che l�istituto della protezione umanitaria, nel nuovo 
quadro normativo, verrebbe ad essere configurato come �istituto ad esaurimento� 
posto che, da un canto, i rinnovi di pregressi permessi umanitari portano 
alla loro sostituzione con i permessi per protezione sussidiaria e che, 

(6) Cass., Ord. n. 11535 del 19 maggio 2009. 


dall�altro canto, nella permanenza interinale dei primi, ai titolari viene riconosciuta 
un�entit� di diritti pari a quella garantita dalla nuova protezione. 

Una tale lettura dello sviluppo del sistema normativo doveva, per�, fare 
i conti, da un lato, con la persistenza nell�ordinamento dell�art. 5, comma 6 
del D.L.vo 286/1998 e, dall�altro, con il contenuto dell�art. 32, D.L. vo 
25/2008. Tale norma, nel determinare i possibili contenuti della decisione della 
commissione territoriale, prevede, oltre ai casi di rigetto, il riconoscimento 
dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria nonch�, al comma 3, la 
trasmissione degli atti al questore per il rilascio del permesso di soggiorno per 
gravi motivi di carattere umanitario. 

Ed infatti, la stessa Suprema Corte, con una successiva pronuncia (7), ha 
superato la tesi della protezione umanitaria quale istituto ad esaurimento e, 
comparando la misura tutoria in discorso e la protezione sussidiaria, ha affermato 
che la pi� breve e tenue protezione (la protezione umanitaria) spetta 
quando le gravi ragioni di protezione accertate, aventi gravit� e precisione pari 
a quelle sottese alla tutela maggiore, siano solo temporalmente limitate (ad 
esempio per la speranza di una rapida evoluzione della situazione del paese di 
rimpatrio o per la stessa posizione personale del richiedente, suscettibile di un 
mutamento che faccia venir meno l�esigenza di protezione). 

In tale ottica, dunque, i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria 
e della protezione umanitaria sarebbero gli stessi, fatta salva la dimensione 
temporale che, nel caso della misura pi� tenue, sarebbe temporalmente limitata. 

Anche questa impostazione, tuttavia, veniva superata e, sempre in sede 
di legittimit� (8), si perveniva all�affermazione per la quale i requisiti della 
protezione sussidiaria non coincidono con quelli che consentono l�adozione 
di una misura atipica di protezione umanitaria che trova il suo fondamento nel 
principio di non refoulement di cui all�art. 19 del D. L. vo 286/1998. Secondo 
una ricostruzione logica, dunque, l�operatore, sia esso la commissione territoriale 
sia esso il giudice, deve verificare, in prima istanza, la presenza dei requisiti 
per il riconoscimento dello status di rifugiato per poi vagliare, in caso 
di risposta negativa al primo quesito, l�esistenza dei presupposti per il riconoscimento 
della protezione sussidiaria. Solo in caso di esito negativo anche rispetto 
alla seconda operazione si dovr� verificare l�esistenza dei seri motivi 
umanitari che danno luogo alla terza misura tutoria, pi� tenue ed atipica. 

Un caso di contatto tra le due misure di protezione, meritevole di approfondimento, 
� quello relativo all�accertamento di una causa di esclusione della protezione 
sussidiaria. Come � noto, ai sensi dell�art. 16, D.L.vo 251/2007, lo status di 
protezione sussidiaria � escluso quando sussistono fondati motivi per ritenere che 
lo straniero abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un 

(7) Cass., Ord. n. 24544 del 21 novembre 2011. 
(8) Cass., Ord. n. 4230/2013, anche per il richiamo di giurisprudenza conforme. 



crimine contro l�umanit�, un reato grave nel territorio nazionale o all�estero, si sia 
reso colpevole di atti contrari alle finalit� e ai principi delle Nazioni Unite, costituisca 
pericolo per la sicurezza dello Stato o per l�ordine e la sicurezza pubblica. 

Sulle conseguenze di tali previsioni, ha avuto modo di soffermarsi la 
Corte Europea dei Diritti dell�Uomo. In particolare, assume specifico significato, 
per l�analisi che ci occupa, il caso di Toumi Ali Ben Sassi (9). Il predetto, 
nel novembre del 2003 era destinatario di ordinanza di custodia cautelare 
emessa dal G.I.P. distrettuale del Tribunale di Milano, per il reato di cui all�art. 
270 bis c.p. (associazione con finalit� terroristiche o di eversione). Successivamente, 
il Toumi veniva condannato definitivamente alla pena di sei anni di 
reclusione per il medesimo delitto. Il 7 luglio 2009, il suddetto era destinatario 
di un provvedimento di diniego della Commissione territoriale per la protezione 
internazionale di Crotone. 

In linea con la sua consolidata giurisprudenza, la Corte europea, relativamente 
alla fattispecie esaminata, ha ribadito che gli stati, allorch� esercitano 
il diritto di espellere una persona devono osservare l�art. 3 C.E.D.U. che proibisce 
in termini assoluti la tortura, le pene e i trattamenti inumani o degradanti. 
In altri termini, la minaccia terroristica che una persona pu� rappresentare per 
lo stato ospitante non pu� attenuare la tutela apprestata dall�art. 3 C.E.D.U. 
che � pi� ampia rispetto a quella di altri strumenti internazionali, come la convenzione 
O.N.U. sui rifugiati del 1951, che attribuiscono rilevanza anche al-
l�eventuale personalit� negativa del richiedente asilo (10). 

L�indirizzo giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell�uomo 
pone dunque il problema dell�apparente conflitto di norme interne e del-
l�Unione Europea con quelle della C.E.D.U. e, per quello che qui interessa, 
dell�attuazione concreta nel diritto interno della suddetta decisione. 

Il Tribunale di Catanzaro (11), chiamato a decidere sulla fattispecie dopo 
la pronunzia del giudice europeo ha dunque acclarato che il Toumi, se fosse 
dovuto rientrare nel paese d�origine, avrebbe corso il pericolo di essere sottoposto 
a tortura o trattamenti inumani o degradanti ed ha, pertanto, riconosciuto 
il diritto alla protezione sussidiaria ai sensi dell�art. 14, lett. B) del D.L.vo 
251/2007, eludendo il problema del conflitto di norme sopra indicato e del-
l�applicazione delle cause di esclusione. 

Sembrerebbe, tuttavia, preferibile quella tendenza interpretativa (12) per la 
quale in presenza dell�ipotesi prima descritta e cio� qualora, ricorrendo le cause 
di inclusione per il riconoscimento della protezione sussidiaria, si rinvengano 
anche cause di esclusione tipizzate e quindi ineludibili, si debba rigettare 

(9) Corte europea dei diritti dell�uomo, Toumi c. Italia, 5 aprile 2011. 
(10) V. anche Corte europea dei diritti dell�uomo, Saadi c. Italia, 28 febbraio 2008. 
(11) Trib. Catanzaro, Seconda Sezione, n. 221/12, 7 febbraio 2011. 
(12) P. GATTARI, Il giudizio di �impugnazione� davanti al tribunale del provvedimento sulla protezione 
internazionale dello straniero (art. 35 D. L.vo n. 25 del 2008), pp. 17 ss., www.meltingpot.org. 



l�istanza di protezione sussidiaria ma concedere al richiedente una protezione 
umanitaria qualora l�espulsione lo esporrebbe al concreto rischio di subire la 
tortura o un trattamento disumano o degradante nel paese in cui sarebbe espulso. 

4. I requisiti della protezione umanitaria. 

Affrontati alcuni aspetti preliminari, occorre ora confrontarsi con il problema 
fondamentale: individuare i presupposti per il riconoscimento della protezione 
umanitaria. 

La questione sussiste quasi per ontologica necessit� perch�, al contrario 
dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, i cui requisiti sono nominativamente 
indicati nelle norme di riferimento (13), la stessa cosa non avviene 
per la protezione umanitaria, di cui a ragione si pu� parlare di �misura 
atipica� (14), in qualche modo direttamente ricollegata all�art. 19, D.Lvo 
286/1998, come attuazione del generale principio di �non refoulement� (15). 

Nell�operazione ermeneutica di individuazione degli ambiti della norma, 
procediamo, dunque, ad esaminare la giurisprudenza delle corti territoriali calabresi 
(Tribunale e Corte d�Appello di Catanzaro) che si trovano a dover giudicare 
i ricorsi avverso la Commissione territoriale di Crotone, come detto fra 
le pi� impegnate in Italia, da un punto di vista quantitativo, per una media di 
circa 1.000 processi annuali. 

Il Tribunale di Catanzaro (16), nell�individuare quale limite invalicabile 
l�ambito di operativit� proprio della protezione sussidiaria, con formula tralatiziamente 
riportata nel testo delle motivazioni decisorie, delinea con chiarezza 
ed originalit� i requisiti valutabili ai fini della protezione umanitaria, affermando 
che: �I presupposti per l�accesso alla protezione umanitaria possono 
essere individuati in situazioni soggettive del richiedente (quali gravi condizioni 
di salute incompatibili con il ritorno nel Paese d�origine) ovvero in situazioni 
generalizzate del Paese d�origine non di natura socio � politica (che 
integrano ipotesi di protezione sussidiaria) ma alimentare (quali situazioni di 
carestia o grave emergenza alimentare che rendano altamente probabile che 
il richiedente, tornato nel proprio Paese, muoia d�inedia) e/o sanitaria (quali 
la diffusione di epidemie non controllabili in un determinato Paese, cosicch� 
la semplice permanenza del richiedente nel suo Paese determinerebbe per lui 
il rischio di contrarre la malattia) e/o ambientale (ad esempio cataclismi naturali 
che abbiano sconvolto l�intero territorio statale e lasciato la popolazione 
senza abitazione e sostentamento alimentare)�. 

La Corte d�Appello di Catanzaro, invece, discostandosi dalla netta presa 

(13) Artt. 2, 7, 8 e 14, D. L.vo 251/2007. 
(14) Cass. Ord. n. 4230/2013. 
(15) Ibidem. 
(16) Giurisprudenza granitica. A solo titolo di esempio, si vedano Trib. Catanzaro, Ord. n. 
694/2012, n. 641/2012, Ord. 31 maggio 2013, r.g. 3940/2011, Ord. 3 giugno 2013, r.g. 3772/2012. 



di posizione del Giudice di primo grado, si riporta nelle sue motivazioni (17) 
alla giurisprudenza di Cassazione che, in un primo tempo, come abbiamo notato 
in precedenza (18), ha qualificato l�istituto della protezione umanitaria ex 
art. 5, comma 6, D.L.vo 286/1998, come �istituto ad esaurimento�, salvo poi 
a precisare che, nel caso in cui vengano accertate gravi ragioni di protezione, 
astrattamente idonee all�ottenimento della misura tipica richiesta ma limitate 
nel tempo, deve procedersi al positivo accertamento delle condizioni per il rilascio 
della misura minima del permesso umanitario. 

Ci� non di meno, l�attivit� concreta delle commissioni territoriali segnala 
che la questione non pu� chiudersi con le categorie dell�istituto ad esaurimento 
e della misura temporanea, atteso che la prassi applicativa, prima ancora che 
ragioni di carattere sistematico o dottrinario, inducono a ritenere necessaria 
una terza misura di protezione, oltre a quelle tipiche dello status di rifugiato e 
della protezione sussidiaria, a chiusura del sistema. 

Nello sforzo di chiarire la problematica e di recepire indicazioni concrete 
per l�operatore, dunque, appare utile menzionare due sentenze della Corte di 
Cassazione. 

La prima (19) evidenzia che i presupposti relativi alla misura della protezione 
umanitaria, unitamente a quelli relativi allo status di rifugiato e di protezione sussidiaria, 
devono ritenersi ricompresi nell�ampia previsione di cui all�art. 10, 
comma 3, della Costituzione, il cui testo recita: �Lo straniero, al quale sia impedito 
nel suo paese l'effettivo esercizio delle libert� democratiche garantite dalla 
Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo 
le condizioni stabilite dalla legge�. A completamento di tale impostazione, una 
successiva decisione (20) ha affermato che il diritto d�asilo: ҏ oggi interamente 
attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre 
istituti di protezione, sicch� non si scorge alcun margine di residuale applicazione 
della norma costituzionale�. In conclusione, la tendenza giurisprudenziale del 
Giudice di legittimit� sembra disegnare l�ambito operativo dell�art. 10, comma 
3, della Costituzione come un grande insieme in cui si collocano i sottoinsiemi 
dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria arrivando, per sottrazione, 
all�area di attivit� residua che coincide con quella della protezione umanitaria. 

5. Conclusioni. 

Sintetizzando le tappe del percorso logico affrontato, possiamo tentare di 
definire alcune conclusioni, in linea con gli orientamenti che derivano dalla 
giurisprudenza esaminata. 

(17) Ex pluribus Corte d�Appello di Catanzaro, Sent. n. 133/2012, Sent. n. 164/2012. 
(18) Cass., Ord. n. 11535/2009. 
(19) Cass., Sez. VI, Sent. n. 20637/2012. 
(20) Cass., Ord. n. 10686/2012. 



In primo luogo, la protezione umanitaria � istituto residuale rispetto alle 
due protezioni maggiori e non pu� essere utilizzato per ipotesi che, almeno 
astrattamente, ricadono nell�ambito di operativit� proprio di quelle. 

Cos� sembra doversi ritenere che, nel caso di riscontro di presupposti per 
il riconoscimento della protezione sussidiaria, sia pure per esigenze che si possono 
supporre limitate temporalmente, si debba riconoscere la suddetta forma 
di protezione internazionale. 

Allo stesso modo, non pare che in casi di conflitti generalizzati si possa 
fare ricorso alla protezione umanitaria che invece trover� applicazione in casi 
di problematiche situazioni di carattere, ad esempio, alimentare, sanitario od 
ambientale (21). 

Ancora, la misura di protezione in discorso � valido strumento di ausilio 
nel caso di riscontro di cause di esclusione per lo status di rifugiato o di protezione 
sussidiaria, qualora intervengano comunque esigenze di protezione 
coperte dalla generale e prevalente formula di cui all�art. 3 C.E.D.U. 

Inoltre, ovviamente, la protezione umanitaria dovr� essere riconosciuta ogni 
qual volta si riscontrino: �seri motivi, in particolare di carattere umanitario o 
risultanti da obblighi costituzionali o internazionali� (22). Nell�interpretazione 
costituzionalmente orientata della Cassazione (23), la norma fa riferimento alle 
fattispecie previste dalle convenzioni universali o regionali che autorizzano o 
impongono al nostro Paese di adottare misure di protezione a garanzia dei diritti 
umani e fondamentali e che trovano espressione e garanzia anche nella Costituzione. 
L�ampio catalogo che ne risulta pu� essere delimitato attraverso la valorizzazione 
dell�aggettivo �seri� che pare richiedere, pur in assenza di 
interpretazione giurisprudenziale consolidata sul punto, una contestualizzazione 
soggettiva ed oggettiva tale da non far ritenere meramente ipotetico il rischio. 

Secondo l�insegnamento della Cassazione (24), infine, il rilascio del permesso 
di soggiorno per protezione umanitaria richieder� il positivo accertamento, 
da parte del questore, degli ulteriori requisiti previsti dall�ordinamento 
(25), con specifico riferimento anche all�insussistenza delle circostanze menzionate 
dall�art. 4, comma 3, del D.L.vo 286/1998 (essere una minaccia per 
l�ordine pubblico o avere riportato condanna penale per uno dei reati previsti 
dall�art. 380, comma 1 e 2, del codice di procedura penale, o per reati inerenti 
gli stupefacenti, al libert� sessuale, il favoreggiamento dell�immigrazione, o 
per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione) (26). 

(21) Si richiama, al riguardo, la giurisprudenza del Tribunale di Catanzaro citata in precedenza. 
(22) Art. 5, comma 6, D.L.vo 286/1998. 
(23) Cass. Ord. n. 19394/2009. 
(24) Cass., Ord. 11535/2009. 
(25) Ci si riferisce alla previsione di cui all�art. 28, comma 1, lett. D del D.P.R. 394/1999. 
(26) Corte d�Appello di Palermo, Sent. n. 103/2011. 



Confermata in appello l�accertamento della demanialit� 
�sopravvenuta� delle acque del lago Lucrino 

(Tribunale Superiore Acque Pubbliche, sentenza 4 dicembre 2012 n. 164) 

Michele Gerardo* 

La sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche del 4 dicembre 
2012 n.164 che si annota definisce il secondo grado del giudizio instaurato 
dall�Amm.ne dello Stato al fine di fare accertare la qualit� di demanio idrico 
delle acque del lago Lucrino in conseguenza della legge 5 gennaio 1994 n. 36 
contenente �Disposizioni in materia di risorse idriche� (cd. legge Galli). 
L�art.1 di tale legge - iterato nei contenuti con l� art. 1 d.P.R. 18 febbraio 1999 

n. 238 e con l�art.144 del D.L.vo 3 aprile 2006 n.152 - enuncia che tutte le 
acque superficiali e sotterranee, ancorch� non estratte dal sottosuolo, sono 
pubbliche. L�indicato quadro normativo ha superato il pregresso regime delineato 
dal r.d. 1 dicembre 1933 n. 1775 che ricollegava la qualit� di acque pubbliche 
all'attitudine "ad usi di pubblico generale interesse" (art. 1 comma 1 

r.d. n. 1775 cit.), avendo il legislatore operato a monte la scelta di riservare in 
via esclusiva al demanio dello Stato la propriet� di tali risorse. 

La nuova normativa ha avuto l�effetto, nel caso di specie, di rendere irrilevante 
il pregresso titolo di acquisto delle acque lacuali ad opera di privati. 
Acquisto valido, per la previgente disciplina, nella evenienza che le acque non 
avessero i caratteri di pubblico generale interesse. 

Il primo grado si � definito con la sentenza n. 17 del 10 febbraio 2010 del 
Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Napoli con la quale si �dichiara 
la propriet� dello Stato con la qualit� di demanio idrico del Lago di Lucrino, 
come riportato al N.C.T. al foglio 77 p.lla 29 del Comune di Pozzuoli e delle 
sue pertinenze�. Tale sentenza � stata pubblicata su questa Rassegna (Rass. 
Avv. Stato, 2010, 2, pp. 244 e ss.) con breve nota dello Scrivente con la quale 
si segnalavano i profili di interesse collegati all�esame degli effetti giudicato 
nel tempo e ai requisiti necessari affinch� le acque interne possano essere considerate 
pubbliche. 

Il giudice di secondo grado ha rigettato l�appello, confermando l�impianto 
contenuto nella sentenza impugnata. 
Sulla disposizione dell�art. 1 della legge Galli - per la quale tutte le acque 
superficiali e sotterranee, ancorch� non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche 

-la sentenza in rassegna contiene almeno due importanti enunciazioni. 

1. In prima analisi, il giudice d�appello - rigettando le censure dell�ap


(*) Avvocato dello Stato. 


pellante per il quale la sentenza del giudice delle acque di Napoli nell�accertare 
la qualit� demaniale di acque interne in precedenza nella titolarit� di privati 
avrebbe violato il principio di irretroattivit� della legge - rileva che la legge 
Galli, in parte qua, non contiene una disposizione retroattiva, atteso che �A 
prescindere dal rilievo che la retroattivit� � proibita solo in materia penale 
(art. 25, secondo comma, Cost.), si osserva come l'affermazione generale della 
qualit� demaniale di una categoria di beni - posti, perci� stesso, extra commercium 
- per definizione prescinde dalla considerazione degli atti dispositivi 
che possano costituirne titolo di acquisto particolare�. 

Quanto sinteticamente rilevato dal giudicante � esatto, in quanto nel caso 
di specie � improprio parlare di applicazione retroattiva della legge. A voler 
seguire la prospettazione dell�appellante, la legge Galli (e le successive) non 
dovrebbe riguardare le acque appartenenti a privati alla data della sua entrata 
in vigore. Tuttavia alcun limite del tipo evidenziato � applicabile. Ci� per una 
molteplicit� di ragioni. 

a) alcun limite vi � nella legge. Non viene in rilievo un problema di applicazione 
retroattiva della legge. La retroattivit� implica la applicabilit� della 
legge a condotte, ad atti pregressi. Ma nella vicenda esaminata dal Tribunale 
Superiore vi � la disciplina di stati e di connotazione di beni che non pu� non 
riferirsi ad essi beni; 

b) dalla parte motiva delle sentenze della Corte Costituzionale del 19 luglio 
1996 n. 259 e 27 dicembre 1996 n. 419 - acclaranti la legittimit� della 
legge Galli - si evince chiaramente che il giudice delle leggi reputa applicabile 
la legge Galli alle acque cos� come esistenti alla data di entrata in vigore della 

L. n. 36/ 94; 

c) la L. n. 36/94 non pu� che applicarsi alle acque esistenti. Implausibile 
� la applicazione ad acque future. 

2. Viene reputata, poi, manifestamente infondata la questione di illegittimit� 
costituzionale degli artt. 1 della legge 36/1994, 144 del d.P.R. 152/2006, 
ed 1 del d.P.R. 238/1999 per contrasto con l�art. 42 della Costituzione e con 
la Convenzione europea dei diritti dell'uomo sotto il profilo dell'assenza di indennizzo 
a fronte dell'espropriazione di un bene immobile. Ci� sul rilievo che 
l'affermazione della demanialit� idrica di tutti i bacini di acqua con le caratteristiche 
precisate nella legge non � assimilabile all'espropriazione di un singolo 
bene, specificamente individuato, in funzione di un'opera pubblica da realizzare. 
Il giudice delle acque rileva che ҏ ormai jus receptum che le limitazioni 
normative del diritto di propriet�, proprio per il loro carattere generale ed 
astratto, non integrano una lesione del singolo diritto suscettibile, come tale, 
di indennit� ai sensi dell'art. 42 della Costituzione� e che non sono �prospettabili 
nuovi profili di illegittimit� da sottoporre alla Corte costituzionale, gi� 
espressasi, sulla questione, in senso reiettivo, per la ricordata estraneit� della 


previsione di demanialit� delle acque allo schema legale delle espropriazioni 
per pubblica utilit� con obbligo di indennizzo (Corte costituzionale, 27 Dicembre 
1996, n.419)�. 

La Corte Costituzionale � intervenuta sulla costituzionalit� della cd. Legge 
Galli (art. 1 comma 1 L. 5 gennaio 1994 n. 36 poi sostituito dall'art. 144 D.L.vo 

n. 152/06, come sopra evidenziato), oltre che con la sentenza 27 Dicembre 
1996, n. 419, anche con la sentenza del 19 luglio 1996 n. 259, con le quali ha 
rilevato che tale legge si applica a tutte le acque indiscriminatamente. 

All�evidenza il giudice d�appello ha reputato che la normativa sopravvenuta 
non contiene vincoli espropriativi, ma la mera conformazione di situazioni 
giuridiche soggettive che, per i principi esclude qualsivoglia diritto ad 
indennizzi. 

Difatti i vincoli espropriativi hanno carattere puntuale, individuano le aree 
sulle quali ricadono ed impongono un sacrificio particolare e differenziato rispetto 
al regime di zona. A fronti di tali vincoli il soggetto inciso ha diritto ad 
un indennizzo. 

Tali vincoli si distinguono e sono da tenere separati dai vincoli conformativi 
che sono espressione della potest� pubblica - nel caso di specie: con 
atto legislativo - di conformare il territorio; i vincoli conformativi costituiscono 
limitazioni che la legge stessa configura come connaturali all�intera categoria 
dei beni disciplinati da essa medesima definita a priori, in connessione con 
caratteri che gli immobili interessati posseggono ex se e non vengono impressi 
ad essi per scelta amministrativa. Tali vincoli non attribuiscono alcun diritto 
all�indennizzo. 

Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, sentenza 4 dicembre 2012 n.164 -Pres. Antonino 
Elefante S.C., Rel. Renato Bernabai - S.C. (avv. Paolo Di Martino) c/ Agenzia del Demanio 
e Ministero per i Beni e le Attivit� Culturali (Avv. Stato) nonch� Elgea s.r.l. (avv.ti 
Mario Ciancio e Stanislao Giammarino) e Amministrazione provinciale di Napoli (avv. Aldo 
Di Falco). 

(Omissis) 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

Con ricorso notificato il 20 novembre 2006 l'Agenzia del Demanio ed il Ministero per 
i Beni e le Attivit� Culturali convenivano dinanzi il Tribunate regionale delle acque pubbliche 
di Napoli la signora C.S. e la Elgea s.r.l. per l�accertamento della propriet� demaniale idrica, 
ai sensi della legge 5 gennaio 1994 n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), del lago 
di Lucrino, alienato con le sue pertinenze dalla signora S. alla Elgea s.r.l. 

Costituendosi disgiuntamente, le convenute eccepivano l'incompetenza del tribunate regionale 
delle acque pubbliche alla luce di precedenti giudicati che avevano statuito trattarsi 
di acque marittime; ed in subordine, la carenza di legittimazione attiva del Ministero per i 
Beni e le Attivit� Culturali ai cui fini istituzionali era estranea la tutela della demanialit� idrica 
del lago. 


Nel merito, chiedevano i1 rigetto della domanda per infondatezza, assumendo che lo 
jus superveniens non si applicava alle acque lacustri di natura marina, quali quelle da cui era 
formato il lago di Lucrino, tuttora disciplinate dal codice della navigazione. 

L' Elgea s.r.l, chiedeva, in subordine, di essere garantita dalla S., con ripetizione del 
prezzo pagato, in caso di accoglimento della domanda. 

Interveniva in giudizio l'Amministrazione provinciale di Napoli, aderendo alla domanda 
principale. 

Con sentenza 10 febbraio 2010 il Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la 
Corte d'appello di Napoli, in accoglimento del ricorso, dichiarava la propriet� dello Stato a 
titolo di demanio idrico del lago di Lucrino; condannava la signora S. alla restituzione all'Elgea 

s.r.l. del prezzo di vendita di euro 845.000,00, oltre interessi e rivalutazione, e condannava le 

convenute alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti delle parti attrici. 
Motivava 

-che oggetto del giudizio era solo l'accertamento della demanialit� idrica del lago di 
Lucrino, restandone esclusa la demanialit� marittima, oggetto di precedenti pronunce; 

- che nessuna efficacia preclusiva ob rem judicatam era invocabile nella specie, in forza 
dello jus superveniens costituito dalla legge n. 36/1994, che aveva reso pubbliche tutte le 
acque superficiali e sotterranee - norma, poi abrogata e sostituita dall'articolo 144, primo 
comma, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale: cd. codice dell'ambiente) 
che ne aveva riprodotto il testo senza variazioni sostanziali - con superamento definitivo del 
regime legale antecedente, che ricollegava, invece, la qualit� di acque pubbliche all'attitudine 
ad un uso di generale interesse (regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 - Testo unico delle 
disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici; art. 822 cod. civ.); 

-che quindi il lago di Lucrino, pur essendo un bacino interno autonomo e indipendente 
dal mare limitrofo, doveva considerarsi acquisito al demanio idrico, dal momento che la nuova 
normativa non si riferiva solo a invasi di acqua dolce; tenuto altresi conto delle esigenze di 
preservazione della fauna e della flora acquatiche pure tutelate nella legge in vigore; 
-che nessun rilievo, in senso contrario, rivestiva il vincolo archeologico di cui alla legge 
1 giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose d'interesse artistico e storico) imposto dal Ministero 
dei Beni Culturali e Ambientali e trascritto in data 10 marzo 1997, che rispondeva alla diversa 
esigenza di salvaguardare l'ambiente da interventi edilizi privati con esso incompatibili; 


- che era pure fondata la domanda di garanzia svolta dall'acquirente Elgea s.r.l. verso la 
signora S., in forza dell'evizione subita per causa anteriore alla stipulazione del contratto. 
Avverso la sentenza la signora S. proponeva gravame, articolato in sei motivi e notificato 

il 18 marzo 2011. 

Deduceva 

1) la violazione degli artt. 140 r. d. n. 1775/1933, 28 cod. della navigazione e 822, primo 
e secondo comma, cod. civile, nonch� del principio di giudicato, e la carenza di motivazione, 
per omessa pronunzia di incompetenza, in controversia riguardante un bene appartenente, in 
ipotesi, al demanio marittimo; 

2) la violazione del principio di intangibilit� del giudicato e del principio di irretroattivit� 
della legge; 
3) l'omessa pronunzia sulla carenza di legittimazione attiva del Ministero e dell'Amministrazione 
provinciale; 
4) la carenza di motivazione e la violazione di legge nell'affermazione della demanialit� 
idrica del lago nonostante la sua indiscutibile conformazione di bacino artificiale, in cui con



fluivano sia acque marine, sia acque sorgive di carattere termom�nerale; 

5) la violazione degli artt. 822, 840, 909 e 953 cod. civ. nonch� dell'art. l d. P. R. 238/1999, 
e in generale dei principi fondamentali in materia di propriet� e di espropriazione per pubblica 
utilit�, per la ritenuta demanialit� idrica del lago di Lucrino con tutte le sue pertinenze; 

6) la violazione degli artt. 823 e 1483 cod. civile, nonch� l'illogicit� della motivazione 
in ordine all'accoglimento della domanda di garanzia. 

In via subordinata, sollevava eccezione di illegittimit� costituzionale degli artt. 1 della 
legge 36/1994, 144 del d.P.R. 152/2006, ed 1 del d.P.R. 238/1999, per contrasto con l'art. 42 
della Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo nella parte in cui procedeva 
all'espropriazione di un bene immobile senza previsione di indennizzo. 

Resistevano con comparsa l'Agenzia del Demanio, il Ministero per i Beni e le Attivit� 
Culturali e l'Amministrazione provinciale di Napoli, nonch� l'Elgea s.r.l. 

La ricorrente S. e l'Elgea s.r.l depositavano, altres�, memoria conclusionale. 

La causa passava in decisione all'udienza del 3 ottobre 2012, sulle conclusioni in epigrafe 
riportate. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Con il primo motivo l'appellante deduce, in via pregiudiziale di rito, l�erroneit� del-
l'omessa pronunzia di incompetenza in una vertenza in tema di demanio marittimo. 

Il motivo e infondato. 

Premessa l'inammissibilita della censura sotto il concorrente profilo dell'omessa motivazione 
in ordine ad una questione processuale di competenza, si osserva come questa vada 
risolta sulla base della prospettazione della domanda. Nella specie, le parti attrici hanno chiaramente 
rivendicato l'appartenenza del bene al demanio idrico; e tale formulazione vale ad 
integrare la competenza del tribunate delle acque pubbliche, indipendentemente dall'esattezza 
della qualificazione, attinente invece al merito della causa: con la conseguenza che l'eventuale 
estraneit� del lago in questione al demanio idrico comporterebbe il rigetto della domanda, 
pronunziato pur sempre dal tribunate adito. 

In via gradata, la S. denunzia la violazione dei principi di intangibilit� del giudicato e 
di irretroattivit� della legge. 

Anche queste censure sono infondate. 

Nessuna efficacia preclusiva ob rem judicatam esercita la citata sentenza irrevocabile 
9/1960 del T.r.a.p., trattandosi, in questa sede, di accertare la demanialit� idrica del lago di Lucrino 
sulla base dello jus superveniens di cui alla legge 5 gennaio 1994 n. 36 (Disposizioni in materia 
di risorse idriche), il cui art.1, primo comma, enuncia solennemente il principio fondamentale: 
"Tutte le acque superficiall e sotterranee, ancorch� non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche 
e costituiscono una risorsa che � salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidariet��. 

N� la successiva abrogazione della norma suddetta ad opera del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 
152 (Norme in materia ambientale - Codice dell'ambiente) modifica i termini del problema, 
in considerazione della riproduzione inalterata della disciplina nella norma sostitutiva di cui 
all'art. 144 (Tutela e uso delle risorse idriche). Ne consegue che ogni riferimento all'utilizzazione 
pubblica dell'acqua, in funzione discriminante della demanialit� - che costituiva il presupposto 
dei precedenti giurisprudenziali citati dalla ricorrente - � venuto meno; e con esso, 
l'eccepita preclusione da giudicato del pregresso accertamento giudiziale. 

Inconferente si palesa, poi, l'invocazione del principio di irretroattivit� della legge. 

A prescindere dal rilievo che la retroattivit� � proibita solo in materia penale (art. 25, 
secondo comma, Cost.), si osserva come l'affermazione generale della qualit� demaniale di 


una categoria di beni - posti, perci� stesso, extra commercium - per definizione prescinde dalla 
considerazione degli atti dispositivi che possano costituirne titolo di acquisto particolare. 

Meramente assertiva, e quindi inammissibile, appare la successiva doglianza, non sorretta 
da alcuna specifica ragione in fatto o in diritto, avverso la ritenuta legittimazione attiva 
del Ministero e dell'Amministrazione provinciale (art. 342 cod. proc. civ.). 

Con il quarto motivo l'appellante contesta, nel merito, l'affermazione della demanialit� 
idrica del lago, nonostante la sua conformazione di bacino artificiale. 

Anche questo motivo � infondato. 

La qualit� non artificiale del lago di Lucrino dipende dalla sua origine naturale; e non � 
certo esclusa, ex post, da opere artificiali di contenimento, storicamente effettuate per evitarne 
la comunicazione col mare. 

Neppure pu� escludersi la demanialit� in considerazione della natura termominerale 
dell'acqua, che farebbe rientrare il lago in questione nella riserva di disciplina prevista dall�art.
1, quarto comma, della legge 36/1994 ("Le acque termali, minerali e per uso geotermico 
sono disciplinate da leggi speciali"). Affinch� tale deroga operi occorre, infatti, che si tratti 
di acque solo termali o minerali, suscettibili dell'uso specifico ad esse confacente; e non, come 
nella specie, di acque salmastre, di struttura ed origine composita ed in parte marina. 

Sul punto, la prospettata distinzione tra il regime legale delle acque e quello del suolo 
che le contiene, si risolve in un'improponibile equiparazione di opere artificiali e manufatti 
destinati a contenerle e convogliarle (acquedotti, cisterne e condutture di vario genere) - in 
cui tale distinzione � giuridicamente possibile (art. 822, secondo comma, cod. civ.) - a bacini 
naturali, per i quali, invece, la stessa non � concepibile, in forza del vincolo naturale dell'acqua 
con l'invaso: vincolo, che fa di un lago (come di un fiume o di altro corpo idrico) un bene 
unitario, comprensivo delle sponde e del fondo. 

Manifestamente infondata si palesa, in chiusura, la questione di illegittimit� costituzionale 
degli artt. 1 della legge 36/1994, 144 del d.P.R. 152/2006, ed 1 del d.P.R. 238/1999 per 
contrasto con l�art. 42 della Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo 
sotto il profilo dell'assenza di indennizzo a fronte dell'espropriazione di un bene immobile. 

L'affermazione della demanialit� idrica di tutti i bacini di acqua con le caratteristiche 
precisate nella legge non � in alcun modo assimilabile all'espropriazione di un singolo bene, 
specificamente individuato, in funzione di un'opera pubblica da realizzare. 

Al riguardo, � ormai jus receptum che le limitazioni normative del diritto di propriet�, 
proprio per il loro carattere generale ed astratto, non integrano una lesione del singolo diritto 
suscettibile, come tale, di indennit� ai sensi dell'art. 42 della Costituzione. 

Anche la censura di violazione del principio di uguaglianza, con riferimento ad altri 
laghi che si assume esenti dalla disciplina normativa in esame, non vale ad integrare il tertium 
comparationis di un giudizio di legittimit� costituzionale, basandosi su mere affermazioni, 
senza che la denunziata disparit� di trattamento risulti dallo stesso testo normativo impugnato 

o da altre leggi specificamente indicate. 

Alla luce dei predetti rilievi non sono, dunque, prospettabili nuovi profili di illegittimit� 
da sottoporre alla Corte costituzionale, gi� espressasi, sulla questione, in senso reiettivo, per 
la ricordata estraneit� della previsione di demanialit� delle acque allo schema legale delle 
espropriazioni per pubblica utilit� con obbligo di indennizzo (Corte costituzionale, 27 Dicembre 
1996, n. 419). 

Con l'ultimo motivo la signora S. censura l'accoglimento della domanda di garanzia 
svolta dall'acquirente Elgea s.r.l. 


Anche sotto questo profilo l'appello � infondato. 

La nullit� del contratto di compravendita per impossibilit� dell'oggetto -extra commercium, 
in quanto bene demaniale - con la conseguente evizione a seguito dell'esercizio del-
l'azione di accertamento della demanialit� svolta dall'Agenzia d�l Demanio e dal Ministero, 
comporta l'obbligazione restitutoria del prezzo. 

Priva di pregio si palesa, in senso contrario, la tesi dell'assunzione del rischio da parte 
dell'acquirente. 

Seppur ammissibile, l'esonero convenzionale dalla garanzia (art. 1487 cod. civ.) esime 
dalla risoluzione del contratto ex artt. 1479 e 1480 cod. civ. in caso di ignoranza, in buona 
fede, da parte del compratore, dell'altruit� totale o parziale della cosa; ma non previene anche 
la ripetizione del prezzo in caso di evizione effettiva, fatta salva espressamente dall' art. 1488, 
primo comma, cod. civile. Affinch� anche questa sia impedita, occorre che le parti abbiano 
inteso stipulare un contratto aleatorio in senso tecnico - e cio�, a rischio e pericolo del compratore 
(ibidem, secondo comma) - in forza di clausola espressa; inesistente, nella specie. 

Ne l'aleatoriet� del contratto stipulato dalla S. e dall'Elgea s.r.l pu� essere desunta per 
fatti concludenti, ravvisati in comportamenti non solo oggettivamente ambigui, ma, per di 
pi�, neppure imputabili alla societ� acquirente, bensi ad un terzo, avv. D.C., la cui allegata 
posizione di socio-sovrano, dominus dell'Elgea s.r.l., � stata ritenuta indimostrata nella sentenza 
del T.R.A.P. e tale � restata anche in questo grado. 

Per completezza di analisi, si osserva come la pattuizione della condizione sospensiva 
della compravendita del lago, consistente nel mancato esercizio del diritto di prelazione da 
parte della Regione Campania - valorizzata dalla S. per inferirne l'assunzione ex adverso del 
rischio di demanialit� - dimostra, sernmai, che le parti confidavano nella validit� del contratto 
alla data della stipulazione: salvo subordinarne l'efficacia ad una circostanza estrinseca, passibile 
di avveramento solo sulla presupposizione della commerciabilit� del bene. 

Pure infondata � l'eccezione di improcedibilit� dell'azione di garanzia, in quanto svolta 
prima dell'irrevocabilit� ob rem judicatam dell'accertamento di demanialit�. Questo non integra, 
infatti, un presupposto processuale e pu� essere quindi svolto contestualmente, nel medesimo 
giudizio: come, del resto, prefigurato nella fattispecie legale di cui all'art. 1485 cod. 
civile, in cui la compresenza del venditore vale a prevenire l'eventuale perdita della garanzia 
per omesso contrasto della pretesa del terzo. 

Irrilevanti appaiono, da ultimo, ulteriori intese che si assume intercorse tra la signora S. 
e l'avv. D.C., stante la diversit� oggettiva e soggettiva dei rapporti dedotti. 

L'impugnazione dev'essere dunque rigettata, con la conseguente condanna alla rifusione 
delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del 
numero e complessit� delle questioni trattate. 

P.Q.M. 
ll Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche rigetta l'appello e condanna l'appellante alla rifusione 
delle spese processuali sostenute dalle parti appellate, liquidate, per l'Agenzia del Demanio 
ed il Ministero per i Beni e le Attivit� culturali in complessivi � 2.000,00, di cui � 
500,00 per la fase di studio, � 400,00 per la fase introduttiva ed � 1100,00 per la fase decisoria; 
e per l'Elgea s.r.l. in complessivi � 2.000,00, di cui � 500,00 per la fase di studio, � 400,00 per 
la fase introduttiva ed � 1100,00 per la fase decisoria; oltre gli accessori di legge. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del Tribunale superiore delle acque pubbliche 
del 3 ottobre 2012. 


Potere amministrativo implicito e atto amministrativo implicito: 
ammissibilit� e condizioni di legittimit� dell�uno e dell�altro 

(Consiglio di Stato., Sez. VI, sentenza 2 maggio 2012, n. 2521) 

Valeria Romano* 

Come � noto, il principio di legalit� impone non solo la indicazione dello scopo che l�autorit� 
amministrativa deve perseguire ma anche la predeterminazione, in funzione di garanzia, del 
contenuto e delle condizioni dell�esercizio dell�attivit�. Nel caso degli atti regolamentari la 
legge, per�, normalmente non indica nei dettagli il loro contenuto. La parziale deroga al principio 
di legalit� sostanziale si giustifica in ragione dell�esigenza di assicurare il perseguimento 
di fini che la stessa legge predetermina: il particolare tecnicismo del settore impone, 
infatti, di assegnare alle Autorit� il compito di prevedere e adeguare costantemente il contenuto 
delle regole tecniche all�evoluzione del sistema. Una predeterminazione legislativa rigida 
sarebbe di ostacolo al perseguimento di tali scopi: da qui la conformit� a Costituzione, in relazione 
agli atti regolatori in esame, dei poteri impliciti. La dequotazione del principio di legalit� 
sostanziale � giustificata, come detto, dalla valorizzazione degli scopi pubblici da 
perseguire in particolari settori � impone, inoltre, il rafforzamento del principio di legalit� 
procedimentale che si sostanzia, tra l�altro, nella previsione di rafforzate forme di partecipazione 
degli operatori del settore al procedimento di formazione degli atti regolamentari. 

Con la massima riportata il Consiglio di Stato affronta il problema del 
rapporto tra principio di legalit� amministrativa e poteri impliciti, con particolare 
riferimento all�attivit� delle Autorit� amministrative indipendenti. La 
sentenza del maggio 2012 fornisce lo spunto per ricostruire la distinzione tra 
potere amministrativo implicito e atto implicito e per esaminare le questioni 
relative all�ammissibilit� ed alle condizioni di legittimit� dell�uno e dell�altro. 

I poteri amministrativi impliciti possono essere definiti, in via di prima 
approssimazione, come poteri che, sebbene non attribuiti expressis verbis dalla 
legge alla P.A., risultino tuttavia necessari per il raggiungimento degli scopi 
che l�Amministrazione � chiamata a perseguire. I poteri amministrativi impliciti 
si connotano, dunque, per due caratteri: la non esplicita attribuzione in 
capo alla P.A. da parte di una fonte legislativa ed il nesso di strumentalit� tra 
il loro concreto esercizio ed il conseguimento degli obiettivi che l�Amministrazione 
� chiamata a realizzare nell�ambito della sua attivit� di cura degli interessi 
pubblici. I poteri impliciti sono, dunque, poteri che, come evidenziato 
dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 4 del 1957, si �accompagnano� ai 
poteri espressamente riconosciuti dalla legge alla Pubblica Amministrazione. 
La nozione di atto amministrativo implicito si differenzia da quella, appena 

(*) Dottore in Giurisprudenza, gi� praticante forense presso l�Avvocatura dello Stato. 


tracciata, di potere amministrativo implicito. L�atto amministrativo implicito 
si configura come una manifestazione indiretta della volont� della P.A. La volont� 
dell�Amministrazione pu�, infatti, estrinsecarsi sia in un atto provvedi-
mentale formale sia attraverso un provvedimento in forma orale ovvero 
mediante comportamenti e facta concludentia. L�atto amministrativo implicito 
pu�, altres�, essere definito come un atto logicamente collegato ad un provvedimento 
presupposto il quale si pone a monte di quello implicito. L�attitudine 
dell�atto implicito a porsi come una manifestazione indiretta della volont� 
della P.A. vale a distinguere la figura dell�atto amministrativo implicito dalla 
figura del silenzio dell�Amministrazione. Detto altrimenti, il silenzio della 

P.A. si sostanzia in un�inerzia, un�astensione dall�esercizio del potere da parte 
dell�Amministrazione; l�atto amministrativo implicito, viceversa, si configura 
come un comportamento attivo della P.A. consistente in una manifestazione 
di volont� sebbene implicita. Per meglio chiarire le nozioni di potere implicito 
ed atto amministrativo implicito pu� essere utile fornire alcuni esempi. La giurisprudenza 
ha riconosciuto ipotesi di atti amministrativi impliciti nei seguenti 
casi: l�autorizzazione all�acquisto ex art. 13 della L. n. 127 del 1997 valeva 
come implicito riconoscimento dell�ente; l�utilizzazione consapevole dell�attivit� 
del privato vale come dichiarazione implicita dell�utiliter coeptum in relazione 
all�azione di arricchimento; la comunicazione del parere negativo reso 
dalla commissione edilizia sull�istanza di concessione edilizia vale come implicito 
diniego dell�istanza di concessione. � possibile, traendo spunto dalla 
casistica giurisprudenziale, fornire alcuni esempi anche in relazione ai poteri 
impliciti. Si � ritenuto che la legge n. 84 del 1992 riconoscendo esplicitamente 
al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il potere di vigilanza sull�Autorit� 
portuale (art.12) abbia implicitamente riconosciuto al Ministero stesso 
il potere di rimuovere gli organi direttivi dell�Autorit� portuale (1). 

Esaminate le nozioni di poteri amministrativi impliciti e atti amministrativi 
impliciti e forniti alcuni esempi dell�uno e dell�altro, pu� concludersi che 
l�aggettivo implicito che accompagna il termine potere sta ad indicare �non 
tipizzato dalla legge�, mentre l�aggettivo implicito che accompagna la locuzione 
atto amministrativo qualifica la forma dell�atto quando questo � assunto 
tacitamente o emanato in forma orale. Passiamo ora alla questione della legittimit� 
dei poteri amministrativi impliciti e degli atti amministrativi impliciti. 

Il problema dell�ammissibilit� dei poteri amministrativi impliciti riguarda, 
come emerge dalla sentenza in rassegna, la questione della loro compatibilit� 
con il principio di legalit�. Come a tutti noto, il principio di legalit� ha referenti 
costituzionali agli articoli 97, 95, 24, 103 della Carta Fondamentale oltre ad 
essere sancito all�art. 1 della legge sul procedimento amministrativo (L. n. 

(1) T.A.R.Puglia - Bari - Sezione I, 9 luglio 2009 n. 1803, in Foro amm. TAR 2009, 7-8, 2225. 


241/1990). L�art. 97 della Costituzione, in particolare, pone una riserva di 
legge relativa in materia di �organizzazione degli uffici�. Pur avendo ad oggetto 
immediato l�organizzazione della Pubblica Amministrazione, il principio 
di legalit� copre non soltanto l�organizzazione dell�Amministrazione 
come apparato, ma anche il complessivo espletamento dell�attivit� amministrativa. 
L�interpretazione secondo la quale il principio di legalit� non riguarda 
la sola organizzazione della P.A., ma impone all�Amministrazione 
l�osservanza della legge nell�esercizio delle sue funzioni trova conferma agli 
articoli 24 e 103 della Costituzione che, sottoponendo al sindacato giurisdizionale 
l�attivit� della Pubblica Amministrazione, impongono ad essa l�osservanza 
della legge nella sua azione di cura dell�interesse pubblico. 

Ci� detto in via generale, bisogna valutare la compatibilit� del principio 
di legalit� con l�esercizio di poteri impliciti da parte della P.A. Il problema 
pu� essere riassunto nei seguenti termini: tanto pi� rigorosamente � interpretato 
il principio di legalit� tanto pi� ridotti saranno i margini per riconoscere 
l�ammissibilit� dei poteri amministrativi impliciti nel nostro ordinamento. 
Occorre, dunque, soffermarsi sulle diverse tesi interpretative del principio di 
legalit�. Il principio in parola � stato interpretato in tre diverse accezioni: debolissimo, 
formale e sostanziale (2). Nella sua accezione debolissima il principio 
di legalit� deve essere inteso come divieto imposto alla P.A. di agire in 
senso difforme dalle disposizioni di legge che ne regolano l�agere. In senso 
formale il principio di legalit� esprime la necessit� di un fondamento normativo 
per gli atti e l�attivit� della P.A. In senso sostanziale il principio in parola 
impone all�Amministrazione di agire in conformit� alla legge. Tale ultima 
accezione � stata fatta propria dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 
115 del 2011 (3). L�adesione all�accezione debolissima, formale o sostanziale 
del principio di legalit� si riflette, come detto, sulla questione dell�ammissibilit� 
dell�esercizio di poteri amministrativi impliciti da parte della Pubblica 
Amministrazione. 

Sulla compatibilit� dei poteri impliciti con il principio in parola si sono 
consolidate due opposte teorie. Secondo un primo orientamento, i poteri amministrativi 
impliciti sono inammissibili. La tesi in parola muove dalla premessa 
per cui il principio di legalit� implica che la legge non si limiti a 
stabilire i fini che la P.A. deve perseguire, ma disciplini anche i mezzi con i 
quali raggiungerli, ossia i poteri che possono essere esercitati per il raggiungimento 
degli scopi affidati all�Amministrazione. L�argomento � tratto dal-
l�art. 1 della legge 241 del 1990 a norma del quale la P.A. non solo persegue 
i fini stabiliti dalla legge, ma agisce secondo le modalit� previste dalla legge 

(2) ROBERTO GAROFOLI - GIULIA FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Neldiritto editore, 
ottobre 2012. 
(3) Corte Costituzionale, 7 aprile 2011, n. 115 in Il civilista 2011, 6, 17. 



laddove per modalit� si intendono gli strumenti e, quindi, i poteri stabiliti 
dalla legge. Secondo la tesi in esame, dunque, i poteri amministrativi sono 
tipici tanto nei presupposti quanto negli effetti del loro esercizio. Dall�affermazione 
della tipicit� dei poteri della Pubblica Amministrativa deriva la logica 
conseguenza dell�inammissibilit� di poteri impliciti, non tipizzati. A 
sostegno della tesi della tipicit� dei poteri della Pubblica Amministrazione si 
sostiene, inoltre, che ove si opinasse in senso contrario l�Amministrazione 
sarebbe libera di adottare qualunque mezzo idoneo a perseguire i fini legislativi 
con la conseguente esposizione del privato a rischi di arbitri da parte 
della P.A. La tipicit� dei presupposti e degli effetti dell�esercizio del potere 
della Pubblica Amministrazione si traduce, dunque, secondo la teoria in parola, 
in un rafforzamento delle garanzie del privato nei confronti dell�Amministrazione. 
Si nega, pertanto, cittadinanza nel nostro ordinamento ai poteri 
amministrativi impliciti nell�esigenza di mettere a riparo il cittadino dai rischi 
di indebite compressioni della sua sfera giuridica conseguenti all�esercizio 
di poteri non direttamente disciplinati dal Legislatore. 

Secondo un opposto indirizzo interpretativo, adottato dalla massima in 
rassegna, i poteri amministrativi impliciti devono, invece, essere considerati 
ammissibili. Secondo l�interpretazione del principio di legalit� fornita dal-
l�orientamento in parola tale principio impone che l�attivit� amministrativa 
persegua fini determinati dalla legge. Ci� equivale ad affermare che la Pubblica 
amministrazione non pu� stabilire essa stessa i fini da perseguire, ma li 
riceve dal Legislatore. La tesi in esame finisce, dunque, per riconoscere l�ammissibilit� 
di poteri impliciti allorquando il loro esercizio si qualifichi come 
necessario per il raggiungimento degli obiettivi il cui perseguimento � affidato 
all�Amministrazione dalla legge. La tesi in esame riconosce, inoltre, l�esercitabilit� 
di poteri impliciti in un ottica di valorizzazione del principio del-
l�efficacia e buon andamento dell�azione amministrativa. La teoria che 
ammette l�esercitabilit� di poteri impliciti da parte della P.A. attribuisce prevalenza 
alle esigenze di efficacia dell�azione amministrativa rispetto a quella 
di fornire adeguate garanzie al privato contro l�esposizione della sua sfera 
giuridica a poteri amministrativi non previsti dalla legge. La tesi valorizza 
un�interpretazione della P.A. come Amministrazione orientata al risultato o 
performance-oriented. Oltre alla valorizzazione delle esigenze di assicurare 
buon andamento ed efficacia dell�azione della P.A., la tesi che ammette l�esercitabilit� 
dei poteri impliciti sostiene che negandone la cittadinanza nel nostro 
ordinamento si determinerebbe un ingessamento dell�azione amministrativa. 
Un ulteriore argomento fa leva sull�impossibilit� per il Legislatore di tipizzare 
in via preventiva ogni potere e ogni strumento per il perseguimento dei fini 
della P.A. 

La tesi favorevole all�ammissibilit� dei poteri impliciti � stata fatta propria, 
gi� prima della sentenza in commento, dalla giurisprudenza del Consi



glio di Stato nella sentenza n. 5827 del 2005, Sez. VI (4). Nel caso risolto con 
la pronuncia appena citata, i Giudici di palazzo Spada hanno vagliato la legittimit� 
dell�operato dell�Autorit� garante per il gas e l�energia che aveva imposto 
ai cittadini utenti finali di assicurarsi contro i rischi legati all�uso del gas 
naturale. Nel riconoscere l�ammissibilit� dei poteri amministrativi impliciti, 
il Consiglio di Stato ha spiegato come il loro esercizio rientri nella generale 
facolt� dell�Amministrazione di autoprogrammarsi. Il riconoscimento dell�ammissibilit� 
dei poteri amministrativi impliciti della P.A. si inquadra, dunque, 
nell�interpretazione dell�azione della P.A. come teologicamente orientata al 
conseguimento dei risultati assegnati dalla legge all�Amministrazione. Un 
orientamento in linea con quello assunto dalla sentenza n. 5827 del 2005 � 
stato fatto proprio dai giudici amministrativi di merito. Il Tar Puglia ha, infatti, 
ammesso i poteri amministrativi impliciti sostenendo la loro esercitabilit� da 
parte delle Amministrazioni il cui operato deve essere funzionalizzato al raggiungimento 
degli scopi istituzionali (sentenza n. 1806 del 2009 gi� citata). 

Tanto chiarito in merito all�ammissibilit� dei poteri amministrativi impliciti, 
bisogna affrontare la diversa questione dell�ammissibilit� degli atti amministrativi 
impliciti. Tale questione si pone su un piano diverso che non 
riguarda la compatibilit� della figura con il principio di legalit�, ma involge 
la questione se l�atto amministrativo implicito rientri tra le possibili forma di 
estrinsecazione degli atti della P.A. In senso affermativo circa l�ammissibilit� 
degli atti amministrativi impliciti si sono espressi i giudici di palazzo Spada 
sin dal 1923. Nella sentenza 24.05 del 1923 la V Sez. del Consiglio di Stato 
ha ammesso la possibilit� per la P.A. di esprimere la sua volont� attraverso 
atti amministrativi impliciti o sottintesi argomentando tale possibilit� in base 
al generale principio di libert� delle forme degli atti amministrativi. A conferma 
della non necessaria estrinsecazione della volont� della P.A. in un atto 
amministrativo formale pu� essere richiamata la nota sentenza n. 204 del 2004 
della Corte Costituzionale (5). Con la pronunzia appena citata e con la successiva 
n. 191 del 2006 (6), il Giudice delle Leggi, nel vagliare la legittimit� 
degli artt. 33 e 34 del d.lgs 80/1998, ha affermato che l�esercizio del potere 
della P.A. pu� avvenire mediante l�emanazione di provvedimenti formali ovvero 
attraverso �comportamenti amministrativi� che, sebbene non destinati a 
sfociare nell�adozione di un provvedimento formale, sono legati a doppio filo 
con l�esercizio del potere della P.A. Dai �comportamenti amministrativi� la 
Corte distingue i �meri comportamenti� della P.A. che, non rappresentando 
un�estrinsecazione del potere dell�Amministrazione, radicano la giurisdizione 

(4) Consiglio di Stato, sez. VI, 17 ottobre 2005, n. 5827, in Foro amm. CDS 2005, 10, 3022. 
(5) Corte costituzionale, 6 luglio 2004 n. 204 in Foro amm. CDS 2004, 1895, 2475 (nota di: SATTA; 
GALLO; SICLARI) 
(6) Corte costituzionale, 11 maggio 2006, n. 191 in Giur. it. 2006, 8-9, 1729. 



del G.O. Ai fini della presente trattazione rileva l�assunto sostenuto dal Giudice 
delle Leggi della possibilit� per l�Amministrazione di esercitare potere di cui 
� titolare anche in modo tacito o mediante comportamenti. 

L�ammissibilit� degli atti amministrativi impliciti � stata altres� posta in 
discussione in relazione alla loro compatibilit� con i principi del giusto procedimento 
positivizzati nella legge 241 del 1990. In particolare, le norme con le 
quali � sembrato essere incompatibile la figura dell�atto amministrativo implicito 
sono quelle contenute agli articoli. 3, 2, 21 septies e 10 bis della L. 
241/1990. Con riguardo all�art. 3 della legge sul procedimento amministrativo 
� stato sostenuto dai fautori della tesi dell�inammissibilit� degli atti amministrativi 
impliciti che tali atti sarebbero privi di motivazione. � stato ribattuto 
dai sostenitori della tesi dell�ammissibilit� degli atti amministrativi impliciti 
che la motivazione dell�atto sottinteso � ricavabile dall�atto presupposto cui 
l�atto implicito � collegato da logica consequenzialit�. I detrattori dell�ammissibilit� 
degli atti amministrativi impliciti hanno, inoltre, sostenuto l�incompatibilit� 
di tali atti con il dettato dell�art. 2 della Legge 241/1990 che prescrive 
che il procedimento si concluda con un provvedimento espresso. Sul punto � 
stato obiettato che l�atto implicito si sostanzia una manifestazione di volont� 
espressa sebbene in forma indiretta, tacita ovvero orale. � stato, poi, argomentato 
che, in base alla disposizione dell�art. 21 septies, l�atto amministrativo implicito 
dovrebbe essere considerato nullo per difetto di volont� e forma. Anche 
tale argomento � stato criticato. � stato, infatti, rilevato che l�atto amministrativo 
implicito � un atto fornito di un contenuto volitivo ricavabile dall�atto presupposto. 
Solo quando la legge prescriva un forma ad substantiam potr� concludersi 
per la nullit� strutturale dell�atto implicito. I fautori della tesi 
dell�inammissibilit� degli atti amministrativi impliciti hanno infine argomentato 
la loro dubbia conformit� all�istituto della comunicazione dei motivi ostativi 
all�accoglimento dell�istanza di cui all�art. 10 bis della legge 241 del 1990. I 
sostenitori della tesi dell�ammissibilit� degli atti amministrativi impliciti hanno 
fugato il paventato dubbio sostenendo un�interpretazione funzionale dell�art. 
10 bis che consente di escludere la rilevanza invalidante dei vizi di forma e procedura 
ogniqualvolta si dimostri che il contenuto dispositivo dell�atto amministrativo 
implicito non avrebbe potuto essere diverso da quello di fatto adottato. 

Fornita risposta affermativa al quesito dell�ammissibilit� dei poteri amministrativi 
impliciti e degli atti amministrativi impliciti, � possibile indagare 
la questione delle condizioni di legittimit� degli uni e degli altri. Quanto ai 
poteri amministrativi impliciti la giurisprudenza ha isolato due condizioni affinch� 
il potere implicito possa essere legittimamente esercitato. Il primo requisito 
� l�individuazione nella legge dello scopo-fine che la P.A. deve 
perseguire ed alla cui realizzazione deve essere funzionalizzato l�esercizio del 
potere implicito. Il secondo requisito, in compensazione delle minori garanzie 
che il privato vanta di fronte all�esercizio di un potere implicito rispetto a 


quelle di cui gode nel caso di esercizio di poteri tipici, � rappresentato dal rafforzamento 
delle garanzie procedimentali e partecipative riconosciute agli interessati 
ed ai controinteressati rispetto all�esercizio del potere. Diverse le 
condizioni di legittimit� degli atti amministrativi impliciti. Le condizioni affinch� 
un atto amministrativo implicito possa essere considerato legittimo sono 
le seguenti: il collegamento di logica consequenzialit� implicazione con l�atto 
presupposto, inequivocabilit� della manifestazione indiretta della volont� della 
P.A., la mancata previsione legislativa di una forma ad substantiam per l�atto 
implicito, l�atto amministrativo implicito deve essere rientrante della sfera di 
competenza dell�organo che ha emendato il provvedimento presupposto. 

Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 2 maggio 2012, n. 2521 -Pres. Giuseppe Severini, 
Est. Vincenzo Lopilato - Autorit� per l�energia elettrica ed il gas (Avv. Stato) c. Toscana Energia 
S.p.A. (avv.ti Giuseppe Caia e Mario Sanino), pi� altri. 

(Omissis) 

FATTO e DIRITTO 

1.� Con gli atti di appello, indicati in epigrafe, sono state impugnate quattro sentenze del Tribunale 
amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione terza, con le quali sono stati decisi 
ricorsi aventi ad oggetto talune deliberazioni dell�Autorit� per l�energia elettrica ed il gas 
(d�ora in avanti Autorit�) relative alle modalit� di determinazione delle tariffe nel settore della 
distribuzione del gas naturale. 
2.� Con sentenza 11 ottobre 2010, n. 6912 sono stati accolti in parte tre ricorsi proposti da: Aspem 
s.p.a., Aemme Linea distribuzione s.r.l., Dgn, Distribuzione gas naturale s.r.l., Prealpi gas s.r.l. 
Con sentenza 11 ottobre 2010, n. 6914 � stato accolto in parte il ricorso proposto da Gas plus 
reti s.r.l. 
Con sentenza 11 ottobre 2010, n 6915 sono stati accolti in parte tre ricorsi proposti da: Assogas 

� Associazione nazionale industriali privati gas e servizi collaterali, Erogasmet s.p.a., Italcogim 
reti s.p.a., Condotte Nord s.p.a. 
Con sentenza 11 ottobre 2010, n. 6916 � stato accolto il ricorso proposto da Toscana Energia 


s.p.a. 
Gli atti impugnati pi� rilevanti sono riportati nella parte che precede l�analisi delle singole 
censure (punto 6.3.) 
3.� Le sentenze sopra indicate sono state impugnate � con quattro separati atti di appello re-
canti, rispettivamente, i numeri 469, 472, 468, 467 � dall�Autorit� per i motivi che verranno 
indicati nel prosieguo. 
3.1.� Assogas � Associazione nazionale industriali privati gas e servizi collaterali, Erogasmet 
s.p.a., Italcogim reti s.p.a., Condotte Nord s.p.a. hanno proposto appello avverso la sentenza 
n. 6915 del 2010. 
3.2.� Gas plus reti s.r.l. ha proposto appello avverso la sentenza n. 6914 del 2010. 
4.� I sei atti di appello, sopra indicati, attesa la connessione oggettiva e soggettiva, possono 
essere riuniti per essere decisi con un�unica sentenza. 
5.� In via preliminare, deve rilevarsi che, con atto del 15 febbraio 2012, Toscana Energia 
s.p.a. ha rinunciato al ricorso di primo grado e agli effetti della sentenza n. 6916 del 2010, 



con la conseguenza che la stessa deve essere annullata senza rinvio. 
La decisione in esame ha, pertanto, ad oggetto i rimanenti cinque appelli introdotti con i ricorsi 
dell�Autorit�, recanti numeri 469, 472 e 468 del 2011, e delle societ� private, recanti numeri 
426 e 468 del 2011. 
6.� In via preliminare � necessario indicare: i) i principi generali applicabili ai servizi pubblici 
di rete; ii) il quadro normativo di riferimento nel settore della distribuzione del gas naturale; 
iii) le deliberazioni, rilevanti in tale settore, adottate dall�Autorit�; vi) gli orientamenti della 
giurisprudenza amministrativa, con riferimento alle modalit� del sindacato giurisdizionale 
sugli atti delle Autorit� amministrative indipendenti. 
6.1� I settori dei servizi pubblici di rete, nell�ambito dei quali, come si dir� oltre, si inserisce 
il servizio di distribuzione del gas naturale, sono oggetto, su impulso del diritto europeo, di 
ampie misure di liberalizzazione. Lo Stato interviene nel settore introducendo norme volte 
ad eliminare i possibili ostacoli all�ingresso nel mercato di nuovi operatori economici mediante, 
tra l�altro, l�eliminazione di diritti speciali ed esclusivi alle imprese pubbliche, la semplificazione 
procedimentale nonch� la segmentazione del mercato. 
In attesa del completamento di tali processi, � necessario, per�, che lo Stato intervenga anche 
allo scopo di prevedere misure di regolazione � diverse da quelle sopra indicate � finalizzate 
ad assicurare che il sistema sia idoneo a tutelare i consumatori e a garantire la stessa efficienza 
delle prestazioni. In questa prospettiva si giustificano, anche nell�ottica europea, l�imposizione 
di obblighi di servizio in capo alle imprese, pubbliche o private, che possono avere diversa 
natura ma che hanno l�obiettivo di evitare che la mancanza del necessario pluralismo di operatori 
rischi di risolversi in un fallimento del mercato a danno dei consumatori. 
In tale contesto, assumono un ruolo fondamentale le Autorit� amministrative di regolazione 
alle quali la legge attribuisce non solo compiti di attuazione delle misure di liberalizzazione 
ma anche funzioni di regolazione del comportamento degli operatori economici allo scopo di 
limitare la loro libert� d�impresa nella determinazione, tra l�altro, del contenuto dei contratti 
stipulati. Tali interventi non devono, per�, risolversi in misure eccessivamente rigide e complesse 
n� in misure che impediscono agli operatori stessi di perseguire gli scopi economici 
che connotano la loro attivit�. 
Negli ambiti caratterizzati da particolare tecnicismo, quale � quello del gas naturale, le leggi di 
settore attribuiscono alle Autorit�, per assicurare il perseguimento degli obiettivi sopra indicati, 
non solo poteri amministrativi individuali ma anche poteri regolamentari. Come � noto, il principio 
di legalit� impone non solo la indicazione dello scopo che l�autorit� amministrativa deve 
perseguire ma anche la predeterminazione, in funzione di garanzia, del contenuto e delle condizioni 
dell�esercizio dell�attivit�. Nel caso degli atti regolamentari la legge, per�, normalmente 
non indica nei dettagli il loro contenuto. La parziale deroga al principio di legalit� sostanziale 
si giustifica in ragione dell�esigenza di assicurare il perseguimento di fini che la stessa legge 
predetermina: il particolare tecnicismo del settore impone, infatti, di assegnare alle Autorit� il 
compito di prevedere e adeguare costantemente il contenuto delle regole tecniche all�evoluzione 
del sistema. Una predeterminazione legislativa rigida sarebbe di ostacolo al perseguimento di 
tali scopi: da qui la conformit� a Costituzione, in relazione agli atti regolatori in esame, dei 
poteri impliciti. La dequotazione del principio di legalit� sostanziale � giustificata, come detto, 
dalla valorizzazione degli scopi pubblici da perseguire in particolari settori � impone, inoltre, 
il rafforzamento del principio di legalit� procedimentale che si sostanzia, tra l�altro, nella previsione 
di rafforzate forme di partecipazione degli operatori del settore al procedimento di formazione 
degli atti regolamentari (Cons. Stato, VI, 27 dicembre 2006, n. 7972). 


6.2.� Questi principi sono stati attuati nel settore del gas naturale mediante l�adozione della 
legge 14 novembre 1995, n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di 
pubblica utilit�. Istituzione delle Autorit� di regolazione dei servizi di pubblica utilit�) e, soprattutto, 
del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva 98/30/CE 
recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell�articolo 41 della 

L. 17 maggio 1999, n. 144). 
L�art. 1 del d.lgs. n. 164 del 2000 � la cui rubrica reca �Liberalizzazione del mercato interno del 
gas naturale� � ha previsto che, �nei limiti delle disposizioni del presente decreto, le attivit� di 
importazione, esportazione, trasporto e dispacciamento, distribuzione e vendita di gas naturale, 
in qualunque sua forma e comunque utilizzato, sono libere�. 


In questa sede viene in rilievo la disciplina della distribuzione del gas naturale che � definita dal 
citato decreto �trasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per la consegna ai 
clienti� (art. 2, comma 1, lettera n). L�attivit� di distribuzione del gas naturale, non destinata direttamente 
al pubblico ma indirizzata al venditore, � espressamente qualificata quale servizio 
pubblico (art. 14, primo comma). 
L�art. 23 della stessa legge prevede che le tariffe che possono applicare le imprese che operano 
nel settore della distribuzione del gas vengono definite dall�Autorit� per l�energia elettrica e 
il gas secondo la disciplina gi� introdotta dalla legge 14 novembre 1995, n. 481 (Norme per 
la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilit�. Istituzione delle Autorit� di regolazione 
dei servizi di pubblica utilit�). In particolare, tale legge stabilisce, innanzitutto, che 
per tariffe si intendono �i prezzi massimi unitari dei servizi al netto delle imposte� (art. 2, 
comma 17) e che l�Autorit� ha il compito di stabilire, �in relazione all�andamento del mercato
�, la tariffa base, �i parametri e gli altri elementi di riferimento� in applicazione del metodo 
del price-cap, �inteso come limite massimo della variazione di prezzo vincolata per un 
periodo pluriennale� (art. 2, commi 12, lettera e, e 18, della legge n. 481 del 1995). Nel complesso 
� necessario dare vita ad �sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti
� (art. 1, comma 1, della predetta legge). 
Dalla lettura combinata del complesso delle disposizioni sopra indicate si desume che le finalit� 
normative del sistema di determinazione tariffaria affidato all�Autorit� sono quelle di: i) promuovere 
la tutela degli interessi di utenti e consumatori (art. 1, comma 1, della legge n. 481 del 
1995); ii) assicurare �la qualit�, l�efficienza del servizio e l�adeguata diffusione del medesimo 
sul territorio nazionale� (art. 2, comma 12, lettera e, della legge n. 481 del 1995); iii) garantire 
�una congrua remunerazione del capitale investito� (art. 23, comma 2, ultimo inciso, della legge 

n. 164 del 2000) e, in particolare, �remunerare iniziative volte ad innalzare l�efficienza di utilizzo 
dell�energia e a promuovere l�uso delle fonti rinnovabili, la qualit�, la ricerca e l�innovazione 
finalizzata al miglioramento del servizio� (art. 23, comma 4, della legge da ultimo citata). 
Da quanto esposto risulta, dunque, che il legislatore ha dato attuazione ai principi generali prima 
esposti prevedendo, con norme imperative, misure che, anche attraverso l�intervento delle Autorit� 
di regolazione, impongono obblighi di comportamento alle imprese che operano nel settore 
della distribuzione del gas nella definizione delle tariffe. Tali misure, come detto, si giustificano 
proprio in quanto il mercato rilevante non � completamente liberalizzato. � necessario, dunque, 
che lo Stato intervenga per assicurare la tutela dei consumatori e l�efficienza delle prestazioni. 
6.3.� L�Autorit�, a sua volta, ha dato attuazione a tali principi e norme mediante l�adozione 
di atti regolamentari volti a definire, in relazione a periodi temporali predefiniti, le modalit� 
di regolazione tariffaria. 
La regola generale seguita, pur nella diversit� dei criteri, � stata quella di imporre un vincolo 


sui ricavi di distribuzione (VRD), che definisce i costi massimi riconosciuti con riferimento 
alla gestione, agli ammortamenti e ai costi di capitale relativi all�attivit� di distribuzione, per 
la totalit� dei clienti allacciati alla rete distributiva. 
Il primo periodo di regolazione � dal 1� gennaio 2001 al 30 settembre 2004 � � stato disciplinato 
dalla deliberazione n. 237 del 2000. La modalit� di definizione del vincolo dei ricavi, sia per la 
parte relativa al costo del capitale investito sia per la parte relativa ai costi di gestione, � avvenuta 
mediante l�applicazione del metodo parametrico. Secondo questo metodo il vincolo sui ricavi � 
pari alla somma delle componenti rappresentative dei costi riconosciuti di gestione (CGD) e di 
capitale (CCD). L�art. 4 della predetta delibera stabiliva, con formule matematiche, tecniche automatiche 
di definizione di tali costi. Questo metodo, non riconoscendo alle imprese i costi che 
fossero superiori a quelli risultanti dagli standards predefiniti, impediva alle imprese stesse di 
definire il costo del capitale investito sulla base dei dati concreti ancorati all�effettivo andamento 
dell�attivit� imprenditoriale. La predetta deliberazione ha anche introdotto il concetto di ambito 
tariffario costituito dall�insieme delle localit� servite attraverso pi� impianti di distribuzione. 
Con la deliberazione n. 87 del 2003 l�Autorit� � al fine di dare esecuzione a talune decisioni 
del Consiglio di Stato e del Tribunale amministrativo della Lombardia che avevano rilevato 
le esposte criticit� del metodo parametrico � ha introdotto, quale alternativa, il metodo del 
costo storico rivalutato. Quest�ultimo si fonda su un regime individuale e non presuntivo che 
consente alle imprese di determinare, qualora dispongano di regolare documentazione contabile, 
il capitale investito tenendo conto dei costi effettivamente e concretamente sostenuti secondo 
calcoli definiti nel dettaglio dalla predetta deliberazione. 
Il secondo periodo di regolazione � dal 1� ottobre 2004 al 30 settembre 2008 � � stato disciplinato 
dalla deliberazione 29 settembre 2004, n. 170 che ha lasciato invariato il sistema di 
calcolo alternativo sopra descritto. 
Il terzo periodo di regolazione comprende gli anni 2009-2012 ed � disciplinato dalla deliberazione 
dell�Autorit� per l�energia elettrica e il gas n. 159 del 2008, �Testo unico della regolazione 
della qualit� e delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo 
di regolazione 2009-2012 (TUDG): approvazione della Parte II �Regolazione tariffaria dei 
servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo di regolazione 2009-2012 (RTDG). Disposizioni 
transitorie per l�anno 2009�. Tale delibera, oggetto di impugnazione nel giudizio 
di primo grado, � stata poi modificata e integrata, per quanto interessa in questa sede, dalle 
deliberazioni: n. 197 del 2008 (su cui si veda anche punto 6.3.); numeri 22, 164, 197 e 206 
(su cui si veda anche punto 6.3.) del 2009. 
Con tale deliberazione � stato generalizzato il metodo del costo storico escludendosi la possibilit� 
di utilizzare in alternativa il metodo parametrico. La ragione principale di questo nuovo 
sistema � che contempla anche altre innovazioni, alcune delle quali verranno esaminate nel 
prosieguo � � stata quella di eliminare un meccanismo ibrido che, consentendo agli operatori 
del settore, la scelta tra due diverse modalit� di definizione delle tariffe introduceva nel sistema 
elementi di complessit�. La maggiore certezza derivante dal nuovo sistema in ordine alle modalit� 
di definizione dei costi e pi� in generale di determinazione delle tariffe consente, inoltre, 
di semplificare le procedure ed eliminare possibili ostacoli all�ingresso nel mercato della vendita. 
L�esistenza, infatti, di un sistema unitario e improntato il pi� possibile a criteri non complessi 
di calcolo dei costi rappresenta un fattore di incentivo per gli operatori ad entrare nel 
mercato con consequenziale beneficio anche per i clienti finali. 
Il sistema tariffario per il terzo periodo prevede, inoltre, la determinazione di una tariffa obbligatoria, 
applicata ai clienti finali, ed una tariffa di riferimento che definisce il ricavo am



messo per ciascuna impresa distributrice a copertura del costo riconosciuto. 
Con riguardo alla delibera n. 159 del 2008 l�Autorit� ha anche emanato la Relazione di analisi 
della regolazione (d�ora in avanti Relazione AIR). 
L�Autorit� ha, inoltre, adottato delibere di attuazione, anch�esse oggetto di impugnazione, 
delle riportate prescrizioni. In particolare: con le deliberazioni n. 79 e n. 197 del 2009 sono 
state approvate le tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per l�anno 2009; con deliberazione 
n. 206 del 2009 sono state aggiornate le tariffe per l�anno 2010. 
6.4.� Gli atti dell�Autorit�, sin qui riportati, sono normalmente espressione di valutazioni tecniche 
e conseguentemente suscettibili di sindacato giurisdizionale, in applicazione di criteri 
intrinseci al settore che viene in rilievo, esclusivamente nel caso in cui l�Autorit� abbia effettuato 
scelte che si pongono in contrasto con quello che pu� essere definito principio di ragionevolezza 
tecnica. Non � sufficiente che la determinazione assunta sia, sul piano del metodo 
e del procedimento seguito, meramente opinabile. Non � consentito, infatti, al giudice amministrativo 
� in attuazione del principio costituzionale di separazione dei poteri � sostituire proprie 
valutazioni a quelle effettuate dall�Autorit�. In definitiva, �, pertanto, necessario che le 
parti interessate deducano l�esistenza di specifiche figure sintomatiche dell�eccesso di potere 
mediante le quali dimostrare che la determinazione assunta dall�Autorit� si pone in contrasto 
con il suddetto principio di ragionevolezza tecnica. 
7.� Chiarito ci�, si possono esaminare dapprima i motivi posti a base degli atti di appello 
dell�Autorit� e poi quelli contenuti negli atti di appello delle societ� private. 
Si seguir� il seguente ordine di esposizione: a) contenuto dell�atto impugnato; b) indicazione 
dei motivi di impugnazione nel giudizio di primo grado e motivazione della sentenza del Tar; 
c) motivi di appello; d) esame dei motivi. 
8.� La prima questione posta dall�Autorit� appellante, con i tre ricorsi numeri 469, 472 e 468 
del 2011, attiene all�applicazione di una maggiorazione nel caso di determinazione d�ufficio 
della tariffa. 
8.1.� La delibera n. 159 del 2008 prevede, all�art. 7.5., che l�Autorit� procede alla determinazione 
d�ufficio della tariffa di riferimento, nel caso in cui: a) non venga presentata la richiesta; b) non 
sia stato sottoscritto il modulo di richiesta da parte del legale rappresentante; c) non sia stata trasmessa 
la dichiarazione di cui al precedente comma 7.3, lettera a) (e cio� �una dichiarazione di 
veridicit� dei dati trasmessi e di corrispondenza con i valori, desumibili dalla documentazione 
contabile dell�impresa, tenuta ai sensi di legge, sottoscritta dal legale rappresentante�); d) non 
siano forniti, in tutto o in parte, i dati necessari per la determinazione delle componenti tariffarie 
a copertura dei costi di capitale centralizzato; e) non siano stati forniti, in tutto o in parte, i dati 
necessari per la determinazione delle componenti a copertura dei costi di capitale di localit�. 
L�art. 7.6. stabilisce che nei casi sopra indicati si procede alla determinazione d�ufficio della 
tariffa di riferimento, �limitatamente alle componenti per le quali non si dispone della documentazione 
completa, sulla base del valore della quota parte del vincolo calcolato per l�anno 
termico 2007-2008 a copertura dei costi di capitale, corretto per le variazioni relative all�anno 
2007, al netto dei costi di capitale relativi ai cespiti centralizzati ed effettuando una decurtazione 
a forfait del 10% sul risultato cos� ottenuto con efficacia fino all�esercizio in cui saranno 
resi disponibili i dati relativi ai costi sostenuti per lo svolgimento del servizio�. 

8.2.� Il primo giudice, con le medesime argomentazioni nelle tre sentenze rese sui predetti ricorsi, 
accogliendo le censure prospettate dalle societ� ricorrenti, ha ritenuto che �la circostanza 
dell�omessa trasmissione dei dati necessari per la determinazione del valore del capitale investito 
da parte delle imprese distributrici, non pu� intaccare in alcun modo l�obbligo dell�Auto



rit� di pervenire comunque ad un valore di tariffa aderente alla realt� economica del contesto 
operativo in cui l�impresa inadempiente svolge la propria attivit�, attivando tutti i poteri istruttori 
di cui essa dispone�. Si � conseguentemente affermato che la previsione regolamentare �si 
atteggia a sanzione surrettizia volta a colpire il comportamento inadempiente della ricorrente, 
senza che la sua comminazione sia assistita dalle apposite garanzie procedimentali (�) e senza, 
peraltro, alcuna considerazione circa la imputabilit� del comportamento sanzionato�. 

8.3.� Secondo l�appellante la sentenza � errata in quanto la previsione della decurtazione del 
10% sarebbe finalizzata ad evitare �comportamenti distorti�. � necessario evitare, si afferma, 
che �la determinazione d�ufficio, effettuata sulla base del valore ottenuto applicando il metodo 
parametrico in vigore nel secondo periodo regolatorio e concepita come un rimedio eccezionale 
ad un inadempimento di parte, da eccezione si tramuti in regola�. Si aggiunge che la 
decurtazione del 10% intende evitare che �per le imprese sia economicamente pi� conveniente 
rimanere inerti o formulare una proposta incompleta, cos� da beneficiare della tariffa d�ufficio 
determinata in base al metodo parametrico non pi� in vigore, piuttosto che presentare una 
richiesta di tariffa di riferimento alla luce del nuovo quadro regolatorio e dunque dei costi 
effettivi sostenuti�. Infine, si deduce che la decurtazione, contrariamente a quanto affermato 
dal Tar, non avrebbe carattere sanzionatorio ma sarebbe �espressione del potere tariffario�. 
8.4.� Il motivo � fondato. 
La ragione principale che ha giustificato la revisione, per il terzo periodo regolatorio, delle 
modalit� di determinazione tariffaria �, come gi� rilevato, rappresentata dalla necessit� di prevedere 
un sistema unitario idoneo a superare le incertezze applicative del precedente periodo 
determinate dal riconoscimento della facolt� di scelta del metodo rimessa alla stessa impresa. 
Inoltre, si � voluto, proprio per venire incontro a talune criticit� prospettate dagli stessi operatori, 
che il sistema unico del costo storico rivalutato si fondasse su criteri di definizione 
delle tariffe concreti ed aderenti alle specifiche realt� aziendali. 
In questo contesto risulta conforme al principio di ragionevolezza tecnica avere previsto che 
nei casi in cui non sia possibile, per la mancanza di documentazione completa, determinare 
la tariffa con il metodo individuale si debba procedere d�ufficio al calcolo dei costi sostenuti 
dalle imprese applicando ad essi una decurtazione forfettaria del 10%. La previsione di tale 
modalit� di determinazione della tariffa � quella di differenziare, in modo rilevante, i due metodi 
in esame ed evitare che si possa, sia pure indirettamente, consentire alle imprese, come 
avveniva nel precedente periodo regolatorio, di scegliere se mettere a disposizione la contabilit� 
consentendo l�applicazione del criterio del costo storico rivalutato ovvero tenere un 
comportamento passivo ed ottenere l�applicazione dei criteri presuntivi. 
L�esistenza di un meccanismo, quale quello prefigurato dall�Autorit�, consente, pertanto, che 
rimanga centrale il metodo individuale, con conseguenti vantaggi, come gi� rilevato, sul piano 
della semplificazione procedimentale, della tutela della concorrenza e dei benefici per gli 
stessi consumatori. 
Per le ragioni sin qui esposte non si tratta, pertanto, di una sanzione ma di una modalit� di determinazione 
officiosa della tariffa che rinviene la sua giustificazione nell�esigenza di consentire 
lo stesso funzionamento del nuovo sistema tariffario. N� varrebbe obiettare, come 
hanno fatto le societ� appellate, che la prescrizione in esame violerebbe il principio di legalit� 
una volta che si ritiene che, per le ragioni esposte, tale principio trovi una applicazione modulata 
sulla specificit� del potere regolatorio. 
� bene aggiungere che se le imprese dovessero subire dei pregiudizi economici in ragione 
dell�applicazione di tale metodo per comportamenti tenuti da terzi il sistema conosce gli stru



menti di tutela che possono essere azionati per rimediare all�eventuale danno subito. 
9.� La seconda questione posta dall�Autorit�, con ricorsi n. 468 e n. 469 del 2011, attiene alla 
modalit� di determinazione d�ufficio della tariffa con riguardo agli ambiti tariffari. 
9.1.� Le deliberazioni n. 197 e n. 206 del 2009 prevedono che la tariffa si determina d�ufficio, secondo 
le modalit� sopra indicate, non solo limitatamente alle localit� per le quali la societ� di distribuzione 
non dispone della documentazione completa ma anche per tutte le altre localit� servite. 
9.2.� Il primo giudice ha accolto i motivi di censura rilevando �il carattere del tutto sproporzionato 
del dispositivo nella misura un cui consente che, a fronte di un�indagine avente ad 
oggetto i dati relativi ad alcune soltanto delle localit� in cui gli operatori esercitano il pubblico 
servizio di distribuzione del gas naturale, qualora le risposte fornite anche per una sola 
localit� non vengano ritenute soddisfacenti, l�AEEG possa approvare in via definitiva la tariffa 
d�ufficio per tutte le localit� servite dall�esercente. Per tale via, si arriva ad estendere il 
meccanismo anche a quelle localit� per le quali non � stata invece effettuata alcuna verifica 
e per le quali si adduce, in forza di una presunzione disancorata da parametri concretamente 
raffrontabili, la sussistenza di errori di rilevazione ed incongruenze�. 

9.3.� Secondo l�appellante la scelta dell�Autorit� di prevedere un meccanismo campionario 
per la determinazione della tariffa d�ufficio � una scelta necessaria �senza la quale vi sarebbe 
la paralisi della regolazione tariffaria�. Si aggiunge che �in assenza di una proposta tariffaria 
completa, presentata dall�unico soggetto in grado di procurarsi la molteplicit� dei dati contabili 
relative alle varie localit� servite, l�Autorit� non � in grado di acquisire tali dati, che 
peraltro vanno moltiplicati per le centinaia di localit� raggiunte dai vari distributori che possono 
rilevarsi inadempienti�. 

9.4.� Il motivo non � fondato. 
La previsione di procedere alla generalizzata determinazione d�ufficio delle tariffe anche in 
relazione a localit� per quali le imprese non hanno posto in essere alcun comportamento contrario 
alle regole generali di disciplina della loro azione rappresenta una misura regolatoria 
che contrasta con la stessa scelta di fondo di determinare le tariffe alle luce dei dati concreti 
forniti dalle imprese stesse. In questo caso, diversamente da quanto esposto in relazione al 
motivo precedente, si tratta di una modalit� di determinazione delle tariffe non supportata da 
una ragione giustificativa conforme al canone della ragionevolezza tecnica. Infatti, il meccanismo 
di determinazione officiosa, con applicazione della maggiorazione, rinviene la propria 
ratio giustificativa nel comportamento del singolo operatore. Non �, dunque, possibile, avendo 
riguardo agli stessi criteri stabiliti dall�Autorit�, estendere tale forma di determinazione a fattispecie 
in relazione alle quali manca lo stesso presupposto generale che giustifica la deroga 
all�applicazione del metodo generale individuale. 
10.� La terza questione posta dall�Autorit� appellante, con i ricorsi numeri 468 e 469 del 
2011, attiene al previsto meccanismo di gradualit� nell�applicazione dei nuovi criteri. 
10.1.� L�art. 17.1 della delibera n. 159 del 2008 prevede che qualora a seguito della valutazione 
del capitale investito netto �risulti una variazione, positiva o negativa, del valore del 
medesimo capitale investito netto aggregato a livello nazionale per tutte le imprese distributrici 
di gas naturale, superiore al 5% del valore riconosciuto alle medesime imprese con riferimento 
all�anno termico 2007-2008, corretto applicando la variazione relativa del deflatore 
per gli investimenti fissi lordi e per tenere conto delle variazioni del capitale investito netto 
intervenute nell�anno 2007, � attivato un meccanismo di gradualit��. L�art. 17.2. stabilisce 
le modalit� tecniche di correzione del valore del capitale investito netto. 
10.2.� Il primo giudice, accogliendo i motivi di ricorso, ha dichiarato illegittima tale deliberazione 


nella parte in cui fa riferimento ad una percentuale calcolata sul valore aggregato e non individuale. 
Tale meccanismo � stato ritenuto irragionevole in quanto �pu� verificarsi l�ipotesi che una 
determinata impresa di distribuzione, pur registrando una sensibile diminuzione del capitale investito 
(ammettiamo di molto superiore al 5%), qualora la variazione, riferita a livello aggregato 
nazionale a tutte le societ� fosse inferiore alla soglia del 5%, non possa giovarsi del meccanismo 
in questione (anche se ci� comportasse gravi ripercussioni sull�ammontare dei ricavi attesi)�. 

10.2.� Secondo l�Autorit� tale motivazione sarebbe erronea. Per dimostrarlo si riporta testualmente 
la parte della relazione AIR. Si aggiunge poi che l�Autorit� avrebbe accolto le deduzioni 
delle principali associazioni di categoria volte ad ottenere �l�introduzione di un meccanismo 
che recuperi entro il 2012 il mancato ricavo connesso ad meccanismo di gradualit� introdotto 
per il riconoscimento degli ammortamenti�, disponendo che �il minore ammortamento riconosciuto 
in tariffa si sostanzia in un allungamento della vita utile del cespite ai fini regolatori�. 
10.3.� La censura � inammissibile per genericit�. 
In via preliminare deve essere esaminato il rilievo dell�Amministrazione, prospettato nella memoria 
del 9 febbraio 2012, secondo cui non sussisterebbe pi� l�interesse delle societ� a far valere 
la illegittimit� della deliberazione in quanto � �stata registrata a livello nazionale una variazione 
del capitale investito superiore al 5%�. La mancata dimostrazione che dall�avvenuta dichiarazione 
di illegittimit� della delibera non deriva neanche un vantaggio, sia pure indiretto, in capo 
alle societ� e soprattutto la circostanza che le difese delle societ� hanno ribadito la permanenza 
dell�interesse conduce a ritenere non meritevole di condivisione il rilievo dell�Amministrazione. 
Chiarito ci�, la genericit� del motivo � conseguenza del fatto che l�Autorit� si � limitata a richiamare 
il contenuto della relazione AIR la quale, a sua volta, non ha introdotto elementi rilevanti 
rispetto a quanto gi� risulta dalla lettura della disposizione regolatoria. Non si 
comprendono, pertanto, le ragioni per le quali la sentenza impugnata, che indica i motivi del-
l�accoglimento, sarebbe, sul punto, erronea. 
11.� La quarta questione posta dall�Autorit� appellante, con i ricorsi numeri 468, 469 e 472 
del 2011, attiene al cosiddetto effetto volume. 
11.1.� Si impugnano le nuove delibere di determinazione delle tariffe n. 79 e n. 197 del 2009 
nella parte in cui non contemplano pi� il meccanismo che consente di tenere conto del cosiddetto 
effetto volume relativamente all�andamento climatico sfavorevole. 
11.2.� Il primo giudice, accogliendo sul punto le censure prospettate dalle societ�, ha ritenuto 
che �la delibera n. 170/04 prevedeva un meccanismo di bilanciamento per recuperare negli 
anni successivi la quota parte dei costi operativi che non erano stati interamente coperti in un 
determinato anno a causa dell�andamento climatico sfavorevole per le imprese di distribuzione. 
L�andamento dei ricavi dell�attivit� di distribuzione aveva come parametro di riferimento il 
volume di gas distribuito dall�operatore due anni prima: se il volume era uguale, l�ammontare 
dei ricavi della distribuzione rimaneva in linea (fatte salve le altre variabili applicabili); se il 
volume era maggiore o inferiore, l�entit� dei ricavi variava nella stessa misura�. La mancata 
previsione di tale recupero lederebbe il legittimo affidamento delle societ� in ordine a �situazioni 
maturate e concluse nel periodo temporale governato dalla previgente disciplina�. 
11.3.� Secondo l�Autorit� appellante il giudice di primo grado sarebbe incorso in un errore. 
In particolare, si assume che le tariffe si determinano ponendo a base di riferimento i dati contabili 
dei costi relativi ai due anni precedenti. Ne consegue che �lo stesso anno assume quindi 
una duplice rilevanza temporale, in quanto anno per il quale calcolare le tariffe e in quanto 
anno i cui dati di costo costituiscono la base di calcolo per le tariffe di distribuzione di due 
anni successivi�. Nel 2007, utilizzato per calcolare le tariffe del 2009, primo anno del terzo 


periodo regolatorio, si � registrato un �inverno anormalmente caldo, con conseguente riduzione 
dei volumi di gas distribuiti dalle imprese e dei connessi ricavi�. Si aggiunge che �sebbene 
il 2007 ricada nell�ambito di applicazione della nuova regola tariffaria RTDG le imprese 
chiedono l�applicazione di un istituto previgente, il c.d. effetto volume, che nella RTDG � 
stato incorporato nel parametro di rischiosit� beta�. In conclusione, secondo l�Amministrazione, 
l��Autorit� non ha affatto cambiato le regole adottate nel precedente periodo regola-
torio ma si � limitata ad applicare le nuove regole tariffarie�. 

11.4.� Il motivo � fondato. 
L�Autorit�, nel dettare le nuove disposizioni regolatorie, non ha tenuto conto dell�effetto volume 
riferito all�anno 2007 (recte: 2008) secondo i precedenti meccanismi in quanto ha determinato 
le tariffe alla luce del nuovo parametro di rischiosit� elaborato dal regolatore. 
Nella parte motiva del RTDG si afferma che si intende �non accogliere le istanze relative ai 
mancati ricavi del secondo periodo regolatorio, conseguenti all�andamento climatico sfavorevole, 
in quanto tale rischio � implicitamente intercettato nella valutazione dei parametri di rischiosit� 
che concorrono alla definizione della remunerazione del capitale investito�. 
Nella relazione AIR si afferma che il rischio climatico � stato gi� �implicitamente intercettato 
nella valutazione dei parametri di rischiosit� che concorrono alla definizione della remunerazione 
del capitale investito�. 

Da quanto esposto risulta, pertanto, che l�Autorit� ha inteso disciplinare diversamente, in linea 
con il nuovo meccanismo di determinazione delle tariffe, le modalit� di incidenza degli effetti 
climatici. La decisione di non prendere in considerazione, applicando le regole previgenti, l�andamento 
climatico sfavorevole � conseguenza, pertanto, della esistenza di una diversa modalit� 
di calcolo dei fattori di rischio che possono incidere sullo svolgimento dell�attivit� di impresa. 
Al fine di evitare incertezze in sede di esecuzione della presente decisione � bene chiarire che 
l�Autorit� � in coerenza, del resto, con quanto dalla stessa affermato � dovr� riconoscere alle 
imprese la remunerazione del capitale alla luce del nuovo criterio in sostituzione del vecchio 
criterio non pi� contemplato nelle disposizioni di disciplina del terzo periodo regolatorio. 
12.� La quinta questione posta dall�Autorit� appellante, con i ricorsi numeri 468, 469 e 472 
del 2011, attiene alle modalit� di determinazione del tasso di riduzione annuale dei costi unitari. 
12.1.� L�art. 41.1 della delibera n. 158 del 2008 prevede che �nel corso del periodo di regolazione 
1� gennaio 2009 � 31 dicembre 2012 l�Autorit� aggiorna, entro il 15 dicembre del-
l�anno precedente a quello di efficacia, le componenti a copertura dei costi operativi, 
applicando, tra l�altro, �il tasso di riduzione annuale dei costi unitari riconosciuti�. L�art. 

41.2. determina, nel dettaglio, le percentuali del tasso di riduzione parametrato esclusivamente 
alla luce della classe dimensionale delle imprese distributrici. 
12.2.� Il primo giudice ha accolto i motivi di ricorso affermando che �sia dirimente rilevare 
il profilo di illogicit� consistente nel determinare una percentuale di recupero di produttivit� 
costante per l�intera durata del periodo regolatorio, determinando esso un valore numerico 
progressivo non conciliabile con il fisiologico contrarsi dei livelli di efficienza man mano che 
il recupero di produttivit� raggiunge un punto di equilibrio in cui non cՏ pi� spazio per significativi 
miglioramenti�. 

12.3.� Secondo l�Amministrazione, se � innegabile, come affermato dal primo giudice, che 
la possibilit� di procedere a recuperi di produttivit� decresce nel tempo, tuttavia �il carattere 
decrescente dei recuperi di produttivit� si registra soltanto se si adotta un approccio di analisi 
statico, poich� nel tempo, in un�ottica dinamica, subentrano vari fattori, in particolare quelli 
riconducibili all�evoluzione tecnologica, ma anche quelli connessi alle evoluzioni normative, 


regolamentari, di cambiamento del mercato del lavoro, che fanno s� che anche le imprese sufficientemente 
efficienti in un determinato periodo possano o debbano procedere all�efficientamento 
dei propri costi nel periodo successivo�. 

12.4.� Il motivo non � fondato. 
Il sistema del price cup costituisce un utile strumento per stimolare il recupero di efficienza 
degli operatori economici del settore: la riduzione, infatti, dei costi unitari che vengono riconosciuti 
alle imprese rappresenta per esse uno stimolo ad innescare meccanismi virtuosi di 
aumento dell�efficienza. 
Questo Consiglio di Stato, con sentenza V, 29 maggio 2006, n. 3274, ha gi� avuto modo di 
affermare che quello in esame � �uno strumento essenziale per stimolare il recupero di efficienza, 
incentivando le imprese ad attivare azioni di riduzione dei costi con obiettivi ed effetti 
anche superiori al tasso prefissato dall�Autorit�, al fine di trattenere i maggiori recuperi di 
produttivit� all�interno dell�azienda stessa a titolo di profitto�. Nella stessa sentenza si rileva, 
per�, in linea con quanto ritenuto dal primo giudice e con orientamento che la Sezione condivide, 
che �costituisce fatto notorio la circostanza che i risparmi derivanti dal miglioramento 
di efficienza vanno diminuendo con gli anni fino addirittura ad esaurirsi�, con la conseguenza 
che il recupero di produttivit� deve essere decrescente. 
Nella fattispecie in esame non risulta che l�Autorit� abbia svolto una istruttoria volta ad accertare 
quale sia il corretto livello di progressiva diminuzione della produttivit� in relazione 
ai decrescenti margini di recupero di efficienza. In questo caso il difetto di istruttoria rappresenta, 
alla luce di quanto affermato, un indice sintomatico della violazione del principio di 
ragionevolezza tecnica della scelta effettuata. 
N� ad una conclusione diversa si pu� pervenire prendendo in esame, come sostenuto nell�atto 
di appello, fattori riconducibili all�evoluzione tecnologica o ai cambiamenti del sistema normativo 
e del mercato del lavoro. Si tratta, infatti, di fattori che, se pure sono in grado di consentire 
un miglioramento del recupero di efficienza, hanno una valenza ipotetica che in quanto 
tale da sola non � sufficiente a giustificare, sul piano della razionalit� tecnica, la previsione 
di una riduzione costante dei costi. 
13.� La prima questione posta dalle Societ� appellanti, con i ricorsi numeri 302 e 426 del 
2011, riguarda le modalit� di determinazione dei costi dei cespiti acquisiti nell�ambito di processi 
di aggregazione societaria. 
13.1.� L�art. 13 RTDG � la cui rubrica reca �disposizione per casi particolari di indisponibilit� 
delle informazioni per la ricostruzione dei dati storici stratificati� � prevede, al comma, 2, nel 
testo modificato dalla delibera n. 29 del 2009, che il costo storico �per cespiti in esercizio al 31 
dicembre 2006, acquisiti fino al 31 dicembre 2003 in occasione di processi di aggregazione societaria, 
quali acquisizioni di rami d�impresa, fusioni o incorporazioni� qualora non siano disponibili 
le informazioni per ricostruire i dati storici stratificati di cui al gi� citato comma 12.1 

Ǐ pari al costo originario di prima iscrizione desumibile dalle fonti contabili obbligatorie del-
l�impresa distributrice che ha acquisito il ramo o che risulta dalla fusione o dall�incorporazione�, 
opportunamente corretto secondo le disposizioni contenute nei successivi commi da 2 a 6. 
Il comma 1-ter della stessa disposizione regolatoria stabilisce che il costo storico, per cespiti 
in esercizio al 31 dicembre 2006, conferiti al momento della costituzione di aziende speciali e 
di societ� per azioni, qualora non siano disponibili le informazioni per ricostruire i dati storici 
stratificati come riportati nelle fonti contabili giuridiche dei soggetti che precedentemente gestivano 
il servizio, Ǐ pari al costo originario di prima iscrizione desumibile dalle fonti contabili 
obbligatorie dell�impresa distributrice che risulta dal medesimo atto di costituzione�. 


13.2.� Le societ� ricorrenti in primo grado, con argomentazioni analoghe, hanno sostenuto 
che sia discriminatorio, con violazione delle regole della concorrenza, consentire soltanto ad 
alcune imprese di utilizzare i valori di perizia dei cespiti per la costruzione del costo storico 
rivalutato. N� sarebbe ragionevole avere previsto lo sbarramento temporale al 2003 in quanto 
a quella data il metodo del costo storico rivalutato era soltanto facoltativo permanendo la possibilit� 
per l�impresa di ricorrere anche al metodo parametrico. La delibera di modifica del 
2009 avrebbe accentuato la valenza discriminatoria della previsione riconoscendo la possibilit� 
di ricorrere a questo metodo, senza alcun limite temporale, alle aziende speciali e alle societ� 
derivanti da trasformazioni di aziende speciali. 
In particolare, Assogas ha poi censurato l�asserita indeterminatezza e arbitrariet� dei criteri 
introdotti dall�art. 13 della RTDG. 
13.3.� Il primo giudice ha rigettato, con entrambe le sentenze, le censure prospettate dalle societ� 
ricorrenti. 
In primo luogo, si sottolinea che anche il valore dei cespiti acquisiti nell�ambito di processi 
di aggregazione societaria avvenuti fino al 2003 � determinato in base ai dati storici stratificati 
come risultanti dalle fonti contabili obbligatorie dei soggetti che precedentemente gestivano 
il servizio di distribuzione. Soltanto in via sussidiaria, laddove non siano disponibili le informazioni 
necessarie a determinare il costo storico rivalutato il valore dei cespiti � quello risultante 
dalle perizie giurate. 
Inoltre, la previsione regolatoria, si sottolinea, sarebbe ragionevole in quanto soltanto con la 
pubblicazione della deliberazione n. 87/03, che ha introdotto l�applicazione del criterio del costo 
storico rivalutato, pu� presumersi che fosse a tutti nota l�esigenza di disporre di dati storici. 
Con riguardo poi al motivo prospettato nel ricorso n. 426 del 2011 lo stesso � stato dichiarato 
inammissibile �non avendo le ricorrenti esemplificato concretamente i termini di manifesta 
illogicit� dei criteri introdotti; parimenti, pu� dirsi con riguardo alla doglianza secondo cui 
l�algoritmo per il calcolo sarebbe illogico�. 

13.4.� Le appellanti hanno censurato, con gli atti sopra indicati, le sentenze del Tribunale amministrativo 
ribadendo sostanzialmente le argomentazioni contenute nei ricorsi introduttivi 
del giudizio di primo grado. 
Nell�atto di appello n. 426 si aggiunge che qualora non si ritenga di accogliere il motivo prospettato 
dovrebbe essere dichiarata illegittima la previsione regolamentare nella parte in cui 
concede soltanto ad alcuni operatori il diritto di potere optare per un sistema pi� favorevole 
di determinazione dei costi. Nello stesso atto si contesta la sentenza nella parte in cui sono 
stati dichiarati inammissibili i motivi proposti volti a dimostrare che gli algoritmi utilizzati 
per il calcolo della tariffe sarebbero irragionevoli, atteso che la concretezza delle doglianze 
sarebbe dimostrata dalla perizia depositata. 
Infine, le parti chiedono che venga ordinato all�Autorit� di fornire i dati dai quali risultino gli 
operatori che hanno concretamente usufruito del meccanismo in esame. 
Le parti ribadiscono la loro richiesta istruttoria volta ad ottenere i dati in possesso dell�Autorit� 
relativi agli operatori che hanno usufruito del meccanismo di cui all�art. 13. 
13.5.� I motivi di appello non sono fondati. 
In via preliminare, � bene chiarire che, secondo quanto risulta dalle stesse delibere dell�Autorit�, 
per processo di aggregazione societaria si intende l�acquisizione di rami di impresa da 
parte di altra impresa distributrice, la fusione di due o pi� imprese distributrici o l�incorporazione 
di un�impresa distributrice da parte di altra impresa distributrice. 
Chiarito ci�, deve rilevarsi che il sistema di calcolo delle tariffe, prima dell�adozione della 


deliberazione n. 87 del 2003, si fondava, come gi� sottolineato, sul solo meccanismo parametrico. 
Soltanto a seguito di tale deliberazione � stato introdotto, quale modalit� alternativa, 
il sistema di determinazione individuale basato sui costi storici. 
La ragione che giustifica la possibilit� esclusivamente per le aggregazioni societarie avvenute 
anteriormente al 2003 di potere ricorrere, in assenza dei dati contabili, ad un sistema che di 
fatto si fonda sul valore industriale risultante da perizie � rappresentata, pertanto, dal fatto che 
prima del 2003 le imprese che avevano dato luogo a tali aggregazioni non potevano sapere che 
poi i dati contabili stratificati avrebbero dovuto essere posti a base della nuova determinazione 
delle tariffe. Ne consegue, come si afferma condivisibilmente, nella relazione AIR, che �in occasione 
delle aggregazioni societarie successive alla pubblicazione della deliberazione n. 87/03 
le parti ben avrebbero potuto concordare il trasferimento delle fonti contabili necessarie per 
una puntuale ricostruzione del valore degli asset a costi storici rivalutati, in coerenza con le 
disposizioni della medesima deliberazione n. 87 del 2003�. La diversit� di trattamento, lamentata 
dalle societ� appellanti, �, pertanto, giustificata dalla differente situazione in cui si trovano 
le imprese nella fase di passaggio dal vecchio sistema, basato sul solo metodo parametrico, al 
nuovo sistema, basato sui due metodi posti in una posizione di libera alternativit�. N� vale 
obiettare che la previsione di tale facolt� di scelta impediva all�operatore economico di potere 
programmare la propria azione considerando quale unica possibilit� di calcolo il ricorso al metodo 
del costo storico rivalutato. Sul punto � sufficiente rilevare che, una volta introdotta la 
possibilit� di una duplice determinazione del capitale da remunerare, risponde ad un criterio 
di efficienza economica che ispira normalmente l�attivit� imprenditoriale quello di adoperarsi 
per avere la disponibilit� dei dati storici. Ci� al fine poi di decidere quale fosse il meccanismo 
che, in concreto, si potesse risolvere in un maggiore vantaggio per l�impresa stessa. In definitiva, 
risulta non irragionevole la scelta dell�Autorit� di ancorare ad un dato temporale che sancisce 
il passaggio da un sistema ad un altro la possibilit� di valutare in maniera diversa i costi 
per i cespiti acquisiti in occasione di processi di aggregazione societaria. 
Si tenga conto, inoltre, che, come correttamente indicato dal primo giudice, la modalit� in 
esame di determinazione della tariffa in caso di aggregazioni societarie ha una valenza suppletiva 
operante soltanto nel caso in cui le imprese non dispongano degli elementi contabili 
in grado di consentire un calcolo secondo il metodo �ordinario�. 
Per quanto attiene, poi, alla censura con la quale si lamenta il riconoscimento in capo soltanto 
ad alcune imprese della facolt� del calcolo in esame � sufficiente rilevare come, una volta dimostrata 
la ragionevolezza della scelta tecnica, non assume valenza discriminatoria la previsione 
che consente esclusivamente agli operatori economici che hanno posto in essere le 
aggregazioni societarie nel periodo temporale considerato di effettuare il calcolo della tariffa 
secondo le modalit� indicate. 
Allo stesso modo provata la non illegittimit� della previsione regolamentare nella parte in cui 
non include anche le societ� appellanti nel proprio campo di applicazione ne consegue che le 
stesse, anche a volere prescindere dalla natura generica delle censure rilevate dal primo giudice, 
non hanno interesse a contestare le modalit� di calcolo concreto delle tariffe previste 
dalla disposizione regolatoria in esame. 
Per quanto attiene, infine, alla richiesta istruttoria la stessa, a prescindere dalla sua rilevanza 
ai fini della decisione dell�appello, ha ad oggetto dati che sono stati successivamente consegnati 
alle ricorrenti dalla stessa Autorit�. 
14.� La seconda questione, posta soltanto con l�atto di appello n. 426 del 2011, attiene alle 
modalit� di determinazione del valore iniziale delle immobilizzazione centralizzate. 


14.1.� L�art. 8 del RTDG, inserito nel capo relativo alla �determinazione del valore iniziale 
delle immobilizzazioni centralizzate�, prevede, con riferimento agli �immobili e fabbricati 
non industriali�, che: �ai fini della fissazione dei livelli iniziali del capitale investito centralizzato 
per il terzo periodo di regolazione il valore delle immobilizzazioni nette relativo a immobili 
e fabbricati non industriali dell�impresa distributrice c esistenti al 31 dicembre 2006, 
� determinato secondo la seguente formula (�.)�. 
Il successivo art. 9, relativo ad �altre immobilizzazioni materiali e immobilizzazioni immateriali
�, prevede che �ai fini della fissazione dei livelli iniziali del capitale investito centralizzato 
per il terzo periodo di regolazione, il valore netto relativo alle altre immobilizzazioni materiali 
e immobilizzazioni immateriali, dell�impresa distributrice c esistenti al 31 dicembre 2006, � 
determinato secondo la seguente formula (�)�. 

14.2.� L�appellante riporta, in primo luogo, le seguenti censure prospettate in primo grado, 
rilevando come le stesse non hanno inteso censurare tout court n� la metodologia prescelta 
dall�Autorit� n� tanto meno il valore preso a riferimento quale importo fisso da riconoscere 
ai distributori, ponendo invece l�attenzione sull�illegittimit� della delibera nella parte in cui 
non considera che i valori riconosciuti a copertura di detti costi, ove riferiti a quelle aziende 
che, collocandosi in una classe dimensionale medio-piccola, beneficiano in misura ridotta del 

c.d. effetto scala, sono del tutto insufficienti a coprire i costi realmente sostenuti dalle stesse 
per fornire il servizio di distribuzione. Si sottolinea che il riconoscere in modo fisso la copertura 
di costi che per loro natura sono soggetti a economie di scala, rappresenta un indebito 
vantaggio per gli operatori di grandi dimensioni. 
Per evitare tale effetto discriminatorio l�unica possibilit� sarebbe quella di fare s� che le imprese 
di piccole e medie dimensioni (come definite nella tabella 4 dell�RTDG) abbiano una 
remunerazione superiore a quella delle imprese di grandi dimensioni. 
14.3.� Il Tar ha rigettato i motivi di appello mettendo in rilievo come �i costi di cui agli artt. 
8 e 9 non sono costi operativi, ovvero di erogazione del servizio di distribuzione, ma sono 
costi di investimento che a differenza dei primi non sono soggetti ad un percorso di efficientamento 
e quindi sono sottratti dall�ambito di applicazione dell�X-factor�. Si �, pertanto, concluso 
rilevando che �non � affatto arbitrario assumere per i costi di capitale valori forfettari 
efficienti (individuati, nella specie, nei costi medi di settore)�. 

14.4.� La societ� appellante ha riproposto sostanzialmente i motivi prospettati nel ricorso di 
primo grado, sottolineando come il criterio adottato non sarebbe idoneo ad assicurare la corretta 
remunerazione dei beni e delle attivit� investite per le imprese di medie e piccole dimensioni. 
14.5.� I motivi di appello non sono fondati. 
Nella Relazione AIR viene indicato il percorso motivazionale che ha condotto all�adozione 
della misura regolatoria in esame. 
Il capitale investito delle imprese distributrici � stato distinto in due categorie: capitale investito 
centralizzato e capitale investito di localit�. 
Sono considerati immobilizzazioni di localit� relative al servizio di distribuzione i cespiti appartenenti, 
tra l�altro, alle seguenti tipologie: terreni sui quali insistono; fabbricati industriali; 
impianti principali e secondari, ecc.. 
Sono considerate immobilizzazioni centralizzate tutte le seguenti tipologie: immobili e fabbricati 
non industriali; altre immobilizzazioni materiali e immobilizzazioni immateriali, quali 
ad esempio sistemi di telegestione e telecontrollo, attrezzature, automezzi, sistemi informatici, 
mobili e arredi, licenze software. 
Nel nostro caso vengono in rilievo queste categorie di immobilizzazioni. 



In relazione ad esse, l�Autorit�, si legge sempre nella Relazione, ha ritenuto, all�esito di una 
ampia consultazione con le imprese del settore e la valutazione anche di altri possibili metodi, 

�preferibile uniformare i criteri per la valutazione dei costi unitari di capitale da riconoscere 
alle imprese e ha disposto l�adozione del costo medio di bilancio anche per la valutazione di 
immobili e fabbricati non industriali�. Si aggiunge, ed � questo il dato che rileva in questa 
sede, che �i valori di riferimento per l�anno 2006 sono stati determinati sulla base di un�analisi 
puntuale dei dati relativi a un campione di 82 imprese distributrici. Tale campione rappresenta 
circa il 27% delle imprese distributrici, a cui corrisponde un grado di copertura, in 
termini di punti di riconsegna serviti, pari a circa l�87%�. 

Alla luce di quanto esposto risulta che l�Autorit�, stabilendo il valore �medio� degli immobili 
in esame, ha preso in esame nell�indagine anche le imprese di piccola e media dimensione. 
Non vendo in rilievo in questa sede, come riconosciuto dalla stessa appellante, il metodo prescelto, 
la scelta tecnica effettuata fondata su costi standard medi non risulta contraria al principio 
della ragionevolezza tecnica. 
15.� La terza questione, posta soltanto con l�atto di appello n. 426 del 2011, attiene alle modalit� 
di determinazione concreta delle tariffe per l�anno 2009. 
15.1.� L�art. 6 del RTDG prevede quanto segue. 


�Ai fini della determinazione delle tariffe di riferimento per l�anno 2009, i valori delle voci 
di costo sono: a) determinati sulla base dei dati riscontrati al 31 dicembre 2006; b) aggiornati 
per tenere conto dei nuovi investimenti effettuati nell�anno 2007; c) aggiornati per tenere 
conto dei contributi pubblici (�); d) aggiornati per tenere conto dei recuperi di produttivit�; 
e) aggiornati per tenere conto delle variazioni delle variabili di scala intervenute tra il 31 dicembre 
2006 e il 31 dicembre 2008 (�); f) aggiornati per tenere conto delle variazioni del 
tasso d�inflazione e del deflattore degli investimenti fissi lordi relative al periodo 31 dicembre 
2006 - 31 dicembre 2008, valutate sulla base dei pi� recenti dati disponibili�. 

15.2.� Le societ� hanno ritenuto l�illegittimit� della disciplina di cui all�art. 6 il quale, nel recare 
i criteri per procedere alla determinazione delle tariffe di riferimento per l�anno 2009, non espliciterebbe 
le formule e gli algoritmi matematici in applicazione dei quali l�Autorit� proceder� 
alla definizione delle voci di costo. La mera elencazione dei criteri, si afferma, sarebbe del 
tutto inutile mentre la disciplina dettata dall�art. 6 sarebbe incompleta nella misura in cui, in 
violazione di quanto prescritto dall�art. 1, comma 1, della l. 14 novembre 1985, n. 481, non 
consente agli esercenti il servizio di distribuzione di elaborare, in modo autonomo e diretto, la 
propria proposta tariffaria. Tale censura, peraltro, non avrebbe perso di significato nemmeno 
in seguito alla determinazione delle tariffe di riferimento approvate con la delibera n. 197 del 
2009 in quanto, ad oggi, l�Autorit� non ha ancora ufficialmente reso pubbliche le formule e gli 
algoritmi utilizzati per procedere al calcolo delle tariffe. Tali deficienze impediscono agli operatori 
del settore, sempre secondo l�appellante, di potere programmare la propria attivit�. 
15.3.� Il primo giudice ha ritenuto la censura inammissibile �per sopravvenuta carenza di interesse, 
poich� nell�ambito della relazione AIR sono state rese note le formule di determinazione 
e aggiornamento delle tariffe (v. par. 21.45-21.61 e 28) �. 

15.4.� Con l�appello vengono riproposti gli stessi motivi dichiarati inammissibili dal primo 
giudice. Secondo l�appellante, ed � questo l�aspetto che rileva in questa, non si � potuto procedere 
alla determinazione concreta delle tariffe neanche applicando i criteri contenuti nella 
relazione AIR in quanto gli stessi sarebbero divergenti rispetto a quelli indicati dall�Autorit� 
nelle delibere tariffarie. 
15.5.� Il motivo di appello � inammissibile. 


Come correttamente messo in rilievo nella sentenza impugnata l�Autorit� ha indicato, nella relazione 
AIR, le ragioni che hanno condotto alle modalit� di determinazione delle tariffe per l�anno 
di riferimento. L�eventuale contestazione di tali ragioni deve, pertanto, essere fatta valere mediante 
puntuale indicazione delle ragioni della non correttezza di quanto risulta dalla predetta relazione. 
16.� Con la quarta questione posta, con atto di appello n. 426 del 2011, � stato impugnato il 
capo II della sentenza n. 6915 del 2010 nella parte in cui non sono state accolte le censure 
formulate avverso l�art. 15 della RTDG. 
Il motivo di appello � stata oggetto di espressa rinuncia con memoria del 22 settembre 2011 
a seguito della pubblicazione da parte del primo giudice dell�ordinanza collegiale n. 1112 del 
2011 di correzione di errore materiale di un aspetto che aveva costituito oggetto, per fini cautelativi, 
anche del presente motivo di appello. 
17.� La quinta questione, posta con il ricorso n. 302 del 2011, attiene alle modalit� di determinazione 
dei costi e in particolare dei costi di esercizio. 
17.1.� La disciplina generale � contenuta negli articoli 10, 12 e 13 di cui non si riporta, per 
brevit�, il contenuto. 
17.2.� La societ� ha impugnato, nel giudizio di primo grado, tali statuizioni ritenendo la loro 
illegittimit� nella parte in cui taluni costi sostenuti per la realizzazione degli impianti (come 
gli allacciamenti) non sarebbero iscritti a libro cespiti ma quali costi dell�esercizio. Specularmente 
i contributi percepiti per i medesimi allacciamenti sarebbero stati contabilizzati come 
ricavi del medesimo esercizio. Si assume che il principio di ragionevolezza imporrebbe che i 
costi sostenuti dall�esercente e relativi contributi da lui percepiti vengano valorizzati in termini 
omogenei: e quindi, o si considerano, ai fini della determinazione del capitale investito, anche 
i costi sostenuti e rappresentati nel conto economico (anzich� registrati nel libro cespiti); ovvero 
non resta che computare i contributi entro e non oltre la capienza dei costi capitalizzati. 
17.3.� Il primo giudice ha rigettato il motivo di ricorso premettendo che, secondo le determinazioni 
dell�Autorit�, possono concorrere alla determinazione del capitale investito solo i 
costi capitalizzati e non quelli in �conto esercizio�. A questa stregua, �non pare affatto irragionevole 
ma del tutto conseguente che i contributi siano conteggiati, in ogni caso, ai fini 
della loro detrazione�. Si rileva, inoltre, come, �non si comprende perch� la societ� ricorrente 
ritenga (invero senza adeguata esemplificazione delle ragioni giuridiche a sostegno) che occorra 
computare i contributi entro e non oltre la �capienza� dei costi contabilizzati�. 
17.4.� La societ� ha impugnato tale sentenza ribadendo le argomentazioni prospettate nel giudizio 
di primo grado. 
17.5.� Il motivo non � fondato. 
La scelta dell�Autorit� di non trattare in maniera omogenea, in alcuni casi, i contributi e l�attivit� 
cui gli stessi si indirizzano non risulta, considerata la diversit� degli ambiti e dei criteri 
valutativi, contraria al principio di ragionevolezza tecnica. Il trattamento giuridico del contributo 
come ricavo dell�impresa non implica necessariamente che il referente oggettivo del 
contributo debba essere considerato costo di esercizio. L�eventuale sindacato su una tale determinazione, 
in mancanza ancora una volta di elementi dotati di un livello maggiore di concretezza 
da parte dell�appellante, si risolverebbe in una non consentita invadenza di sfere di 
competenza dell�Autorit�. 
18.� L�ultima questione, posta con il ricorso n. 302 del 2011, riguarda l�applicazione del criterio 
di gradualit� anche agli ammortamenti. 
18.1.� L�art. 17 del RTDG, il cui contenuto � stato gi� riportato, disciplina tale meccanismo. 
La delibera n. 79 del 2009, oggetto di impugnazione, nel determinare la tariffa obbligatoria 


applicando il meccanismo di gradualit� di cui all�articolo 17 della RTDG ai costi di capitale, 
ha espressamente incluso �gli ammortamenti�. 
18.2.� Tale statuizione � stata ritenuta illegittima in quanto l�estensione del meccanismo di 
gradualit� alla quota tariffaria destinata a coprire i costi aziendali rappresentati dagli ammortamenti, 
sarebbe contraria ai principi di legge che sanciscono la necessit� che il sistema tariffario 
garantisca gli equilibri economici e finanziari dei soggetti esercenti il servizio. 
In particolare, si assume che non � possibile applicare un medesimo meccanismo di gradualit� 
al parametro rappresentato dalla remunerazione dei capitali investiti ed a quello della valorizzazione 
degli ammortamenti. 
18.3.� Il primo giudice ha ritenuto non fondato il motivo di ricorso. Si � affermato, infatti, che, 
con la delibera n. 197 del 2009, � stato disposto, venendo incontro alle richieste avanzate dagli 
operatori del settore, un allungamento della vita utile del cespite ai fini regolatori. Ne consegue, 
si sottolinea, che �l�impresa � in grado di ammortizzare l�intero valore del bene, senza perdere 
nulla nel valore del capitale, risultando scongiurato qualunque pregiudizio economico�. 


18.4.� Con l�atto di appello si riprendono i motivi indicati nel ricorso di primo grado. 
18.5.� La censura � infondata. 
La delibera n. 79 del 2009 ha determinato la tariffa obbligatoria �applicando il meccanismo 
di gradualit� ai costi di capitale, inclusi gli ammortamenti�. 


L�Autorit� ha inteso, pertanto, applicare tale meccanismo, nel passaggio dal vecchio al nuovo 
sistema, rispondente alla ratio gi� illustrata, anche agli ammortamenti. L�inclusione nella valutazione 
dei costi di capitale anche degli ammortamenti non risulta contraria al principio 
della ragionevolezza tecnica e soprattutto non impedisce di per s� �una congrua remunerazione 
del capitale investito�. N� l�appellante ha indicato specifici motivi volti a dimostrare 
come, in concreto, la previsione impugnata si risolva in una violazione delle regole che presiedono 
alle modalit� di determinazione delle tariffe. 
Si tenga conto, inoltre, che le associazioni di categoria hanno chiesto l�introduzione di �un 
meccanismo che recuperi entro il 2012 il mancato ricavo connesso al meccanismo di gradualit� 
introdotto per il riconoscimento degli ammortamenti�. 


La delibera n. 197 del 2009 ha accolto parzialmente la richiesta prescrivendo che �il minor ammortamento 
riconosciuto in tariffa si sostanzi in un allungamento della vita utile ai fini regolatori�. 
19.� Per tutte le ragioni sin qui esposte sono accolti, in parte, gli appelli proposti dall�Autorit� 
mentre sono rigettati gli appelli proposti dalle societ� indicate in epigrafe. 
10.� La natura della controversia giustifica l�integrale compensazione tra le parti delle spese 
del giudizio. 


P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, riuniti i giudizi: 
a) preso atto della rinuncia al ricorso di primo grado e agli effetti della sentenza 11 ottobre 2010, 
n. 6916 del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, la annulla senza rinvio;. 
b) accoglie, nei limiti indicati nella motivazione, gli appelli, indicati in epigrafe, proposti 
dall�Autorit� per l�energia elettrica e il gas; 
c) rigetta l�appello, indicato in epigrafe, proposto da Assogas � Associazione nazionale industriali 
privati gas e servizi collaterali, Erogasmet s.p.a., Italcogim reti s.p.a., Condotte Nord s.p.a.; 
d) rigetta all�appello, indicato in epigrafe, proposto da Gas plus reti s.r.l. 
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2012. 



L�onere della prova in tema di illegittima aggiudicazione di 
appalti pubblici e il recente orientamento della Corte di Giustizia 

(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 8 novembre 2012 n. 5686) 

Antonio Vincenzo Castorina* 

SOMMARIO : 1. Premessa - 2. I tentativi della giurisprudenza di invertire l�onere probatorio 
tramite il criterio delle presunzioni semplici - 3. L�imprescindibilit� dell�elemento soggettivo 
nelle ipotesi di responsabilit� amministrativa elaborate dalla dottrina - 4. L�irrilevanza 
dell�accertamento della colpa in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici - 5. 
Conclusioni. 

1. Premessa. 

L�evoluzione giurisprudenziale, la codificazione del diritto processuale 
amministrativo ed in particolare le spinte comunitarie hanno dato nuovo impulso 
allo storico dibattito circa la natura della responsabilit� da lesione di interessi 
legittimi. La pronuncia in commento rappresenta l�ennesima indicazione 
che i tempi sono maturi per nuove considerazioni sulla responsabilit� della 
pubblica amministrazione a seguito di illegittima attivit� provvedimentale. 

Il tema della responsabilit� della pubblica amministrazione costituisce 
certamente un elemento per comprendere il fenomeno di c.d. destatualizzazione 
(1) che investe il diritto amministrativo nazionale, poich�, come � noto, 
gli ordinamenti amministrativi si aprono, oltre che al diritto comunitario, ai 
diritti amministrativi degli altri Paesi membri dell�Unione Europea. Ci� comporta 
che tale fenomeno, da un lato tende a rendere pi� completa ed efficace 
la tutela dei diritti dei singoli lesi da attivit� illecite poste in essere dalle istituzioni 
comunitarie e nazionali, dall�altro tende a promuovere l�armonizzazione 
dei regimi vigenti negli ordinamenti nazionali. 

L�intento della giurisprudenza comunitaria consistente nel garantire una 
tutela pi� rigorosa ed effettiva in una materia in cui sono in gioco i valori della 
concorrenza e della trasparenza del mercato, appare in evidente contrasto con 
il tentativo compiuto dalla giurisprudenza amministrativa nazionale, tramite 
il ricorso al meccanismo delle presunzioni semplici, di coniugare l�approccio 
comunitario con i tradizionali principi in materia di illecito. 

In tale solco si colloca la sentenza in commento che riguarda una controversia 
concernente l�aggiudicazione di un appalto di servizio di sorveglianza. 

� necessario premettere che il Tar Lombardia, Milano, sez. I, con sentenza 
n. 1811 del 14 giugno 2010 aveva in parte respinto il ricorso volto ad 

(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 

(1) M. RENNA-F. SAITTA, Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffr�, Milano, 2012, p. 286. 


ottenere il risarcimento in forma specifica o, in subordine, per equivalente in 
relazione ai pregiudizi patiti a causa dell�illegittima mancata aggiudicazione 
della procedura concorsuale indetta dal comune di Milano avente ad oggetto 
il servizio di sorveglianza presso il Palazzo di Giustizia, nonch� per l�annullamento 
degli atti connessi, con i quali l�amministrazione si era limitata a reintegrare 
parte ricorrente solo per il periodo residuale di otto mesi. 

Il Tar, respingendo il ricorso, aveva osservato che dall�andamento degli 
avvenimenti succedutisi non poteva rinvenirsi in capo all�Amministrazione la 
sussistenza dell�elemento soggettivo della colpa, indispensabile al fine della configurazione 
dell�imputazione di responsabilit� civile nei confronti della stessa. 

Il giudici di Palazzo Spada hanno riformato tale decisione, argomentando 
proprio in base alle indicazioni contenute nella sentenza della Corte di Giustizia 
30 settembre 2010 C-314/09 ove si afferma che la vigente disciplina 
dell�aggiudicazione degli appalti di lavori, forniture e servizi non consente 
che il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da una Amministrazione 
Pubblica, che abbia violato le norme sulla disciplina degli appalti, sia subordinato 
al carattere colpevole di tale violazione. 

Tale fenomeno sembra inquadrabile nel c.d spill over effect, ovvero quel 
processo di spontanea imitazione che vede i giudici nazionali porre a fondamento 
delle proprie decisioni le pronunce della giurisprudenza europea (2). 

Il dibattito � quindi incentrato sull�ammissibilit� dell�interpretazione che, 
in materia di illegittima aggiudicazione di una gara di appalto, ascrive la responsabilit� 
alla pubblica amministrazione basandosi sulla mera illegittimit� 
dell�atto amministrativo e non gi� sulla prova della colpa o dolo, reintroducendo 
in via interpretativa il principio della culpa in re ipsa fondato sul rilievo 
che la mera adozione di un provvedimento illegittimo, da parte di un soggetto 
dotato di capacit� istituzionale e di competenza funzionale ad operare nel settore 
di riferimento, comporta la consapevole violazione di leggi, regolamenti 

o norme di condotta non scritte nella quale si risolve la colpa. 

2. I tentativi della giurisprudenza di invertire l�onere probatorio tramite il criterio 
delle presunzioni semplici. 

Sin dal momento in cui � stata ammessa anche per l�attivit� di diritto 
pubblico la responsabilit�, il problema che la stessa determina in relazione alla 
pubblica amministrazione si � sempre rilevato di difficile soluzione (3). 

Come noto, la giurisprudenza nazionale escludeva che la lesione di interessi 
legittimi fosse idonea ad originare obbligazioni risarcitorie degli apparati 

(2) A. FORMICA, L�onere della prova in materia di colpa della pubblica amministrazione: le ricadute 
sulla giurisprudenza nazionale degli orientamenti della corte di giustizia delle comunit� europee, 
in www.giustamm.it. 
(3) E. CASETTA, Manuale di Diritto Amministrativo, Giuffr�, Milano, 2010, pag. 637. 



pubblici anche in ragione della difficolt� di applicare alla pubblica amministrazione 
la disciplina codicistica della responsabilit� civile ordinaria, incentrata 
sul profilo della colpa, intesa quale coefficiente psicologico difficilmente 
adattabile ad una organizzazione. 

Per superare tale ostacolo parte della dottrina aveva proposto la costruzione 
di una autonoma fattispecie di responsabilit�, c.d. speciale, svincolata 
dall�elemento soggettivo di dolo e della colpa. Si prospettava quindi un ipotesi 
di responsabilit� obbiettiva, fondata sull�elemento oggettivo della illegittimit� 
della condotta (4). 

La giurisprudenza non segu� l�interpretazione proposta dalla dottrina ma 
ribad� la natura civilistica, sottolineando come la pubblica amministrazione 
in tema di responsabilit� � soggetta alle norme comuni a tutti i soggetti del-
l�ordinamento. La tesi della presunzione assoluta di colpa, proposta dalla dottrina, 
si risolveva quindi nell�ingiusta assegnazione all�amministrazione di un 
trattamento deteriore rispetto a quello degli altri soggetti di diritto. 

� evidente come l�impostazione adottata dalla Cassazione si scontri con 
l�estrema difficolta

, per il ricorrente, di provare la colpa della pubblica amministrazione, 
in considerazione del fatto che, nella specie, non opera il principio 
di vicinanza della prova, poich� l�onere probatorio e posto a carico della parte 
che normalmente non dispone degli elementi di prova sufficienti a soddisfare 
il principio di cui all�art. 2697 c.c. 

Per tale ragione la giurisprudenza (5) ha accolto la regola del cd. principio 
dispositivo con metodo acquisitivo (6). Le ragioni di una tale impostazione 
risiedono nella disparit� sostanziale e dunque, processuale, tra le �parti� del 
rapporto di diritto pubblico: da un lato l�amministrazione, dotata di poteri autoritativi 
e dall�altro il ricorrente, in situazione di soggezione che si traduce 
nella impossibilit� di avere a disposizione tutto il materiale probatorio idoneo 
per la definizione della lite. L�illegittimit� dell�atto pu� emergere dall�esame 
degli accertamenti istruttori espletati dalla pubblica amministrazione nella fase 
procedimentale, le cui risultanze restano nella sua disponibilit�, con la conseguenza 
che elementi probatori, anche essenziali, potrebbero non essere facilmente 
reperibili dal ricorrente (7). 

La giurisprudenza prevalente (8), fermo restando il carattere aquiliano della 
responsabilit� amministrativa, facendo ricorso al meccanismo delle presunzioni 

(4) F. SCOCA, Diritto Amministrativo, Giappichelli, Torino, 2011, pag. 722. 
(5) T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, Sez. I, 11 luglio 2012 n. 220; T.A.R. Campania, Napoli, 
Sez. IV, 24 aprile 2012 n. 1942; Cons. St., Sez. IV, 11 febbraio 2011 n. 924, in www.dejure.it. 
(6) A. CIANFLONE, L�appalto di opere pubbliche, Tomo II, Giuffr� , Milano, 2012, pag. 2061. 
(7) D�SIR�E ZONNO, I poteri del giudice amministrativo in tema di prove: intervento del giudice 
nella formazione della prova., in www.giustizia-amministrativa.it. 
(8) Cons. St., Sez. IV, 31 gennaio 2012 n. 482; Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 2010, n. 8549; Cons. 
Stato, Sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2384; Cons. Stato, Sez. V, 8 settembre 2008, n. 4242. in www.dejure.it. 



semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., � giunta ad affermare che l'illegittimit� 
del provvedimento amministrativo costituisce un indice presuntivo di colpevolezza, 
da considerare unitamente ad altri quali il grado di chiarezza della normativa 
applicabile, la semplicit� del fatto, il carattere pacifico della questione esaminata, 
il carattere vincolato o a bassa discrezionalit� dell'azione amministrativa. 

Seguendo questo orientamento, se non a una vera e propria sua inversione, 
si � pervenuti a un sostanziale alleggerimento dell'onere probatorio incombente 
sul privato in forza del quale una volta accertata l'illegittimit� dell'azione della 
pubblica amministrazione, � a quest'ultima che spetta di provare l'assenza di 
colpa (9) attraverso la deduzione di circostanze integranti gli estremi del c.d. 
errore scusabile, ovvero l'inesigibilit� di una condotta alternativa lecita. 

La giurisprudenza amministrativa giunge quindi al risultato di semplificare 
il quadro probatorio della parte ricorrente in punto di elemento soggettivo, 
consentendo al privato danneggiato di adempiere all�onere della prova imposto 
dall�art. 2697 c.c. mediante elementi da cui presumere la colpa. A sua volta, 
l�Amministrazione pu� dimostrare la mancanza di colpa fornendo a suo discarico 
degli elementi riconducibili allo schema dell�errore scusabile (10). 

Trattasi, tuttavia, di una soluzione che tende a parificare elementi della 
responsabilit� contrattuale con quella extracontrattuale. La giurisprudenza 

(11) infatti, nel tentativo di attenuare l�onere probatorio gravante sull�amministrato, 
ha affermato che l�illegittimit� di un provvedimento produttivo di un 
danno ingiusto pu� essere sufficiente a far sussistere l�agire colposo della pubblica 
amministrazione laddove in base al contesto normativo vi sia un vizio di 
legittimit� particolarmente grave, formulando di fatto una nozione quasi oggettiva 
di colpa (12). 

3. L�imprescindibilit� dell�elemento soggettivo nelle ipotesi di responsabilit� 
amministrativa elaborate dalla dottrina. 

A seguito della sent. 500/99, la giurisprudenza maggioritaria, pur esaminando 
la configurazione della colpa e il relativo onere probatorio, non ha mai 
messo in dubbio la natura giuridica della responsabilit� della pubblica amministrazione 
conseguente all�illegittima attivit� provvedimentale, fondata quindi 
sulla responsabilit� extracontrattuale. 

� tuttavia opportuno ricordare i differenti orientamenti dottrinali in tema, 
accolti parzialmente dalla giurisprudenza, poich� come � noto il regime del-
l�onere della prova si manifesta in modo diverso a seconda che si discuta di 

(9) F. CORTESE, L�accertamento della colpa della p.a. nella fattispecie di danno da provvedimento 
illegittimo: il giudice amministrativo in equilibrio tra diritto interno e diritto europeo, in www.dejure.it. 
(10) S. CIMINI, La colpa nella responsabilit� civile delle Amministrazioni pubbliche, Giappichelli, 
Torino, 2008, pag. 493. 
(11) Cons. St. Sez. V, 10 gennaio 2005, n. 32, in www.dejure.it. 
(12) M. D�ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2012, pag. 288. 



responsabilit� precontrattuale, extracontrattuale o contrattuale. 

L�orientamento giurisprudenziale (13) e dottrinale (14) che accoglie la 
tesi della responsabilit� precontrattuale fonda le propria teoria sull�art. 1337 
c.c., ovvero nel rispetto del principio di buona fede nello svolgimento delle 
trattative e nella formazione del contratto. Pi� precisamente la buona fede, intesa 
in senso oggettivo, e espressione del principio di solidariet� contrattuale 
nella duplice accezione, negativa come dovere di astenersi da qualsiasi condotta 
lesiva dell�interesse altrui, e positiva, come dovere di salvaguardare nei 
limiti di un apprezzabile sacrificio gli interessi della controparte, sicch� si ritiene 
che dal fatto giuridico dell�instaurazione fra le parti delle trattative contrattuali 
discende ex lege l�obbligazione di buona fede (oggettiva) dal cui 
inadempimento deriva il risarcimento del danno ex 1218 c.c.. 

Differente orientamento (15) basa i propri convincimenti invece sul presupposto 
che la pubblica amministrazione, rispetto a un privato, non possa considerarsi 
come il �c.d. terzo qualunque� poich� il provvedimento 
amministrativo lesivo � preceduto dal rapporto giuridico che si instaura tra cittadino 
ed amministrazione nel corso del procedimento amministrativo, cosi 
come regolato dalla l. 241/90. In base a tale interpretazione, c.d. �da contatto 
amministrativo qualificato�, la responsabilit� andrebbe condotta nell�ambito 
della c.d. responsabilit� contrattuale ex art. 1218 c.c. Questo indirizzo dottrinale 
afferma che il cittadino di fronte all�attivit� autoritativa dell�amministrazione 
vanta, se non un diritto al conseguimento di un bene della vita almeno una pretesa 
che la pubblica amministrazione agisca nel rispetto delle regole che devono 
scandire l�attivit� procedimentale; si configura in tal modo una responsabilit� 
per violazione dei c.d. obblighi di protezione, senza obbligo primario di prestazione. 
La fonte di questi obblighi viene individuata nell�ultima parte dell�art. 
1173 c.c. che che sancisce l�atipicit� delle fonti delle obbligazioni rinviando 
ad ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformit� dell�ordinamento giuridico, 
in particolare il procedimento amministrativo costituirebbe il fatto generatore 
di obblighi di protezione in capo alla pubblica amministrazione. 

Secondo invece una interpretazione pi� decisa, l�illegittimo esercizio del-
l�attivit� amministrativa configura l�inadempimento di un obbligazione avente 
a oggetto una vera e propria prestazione. Si afferma quindi che oltre a uno specifico 
obbligo di correttezza, diretta applicazione del principio di imparzialit�, 
sulla pubblica amministrazione gravano specifici obblighi di prestazione coincidenti 
con le singole fasi scandite dalla legge sul procedimento amministrativo. 

Entrambe le soluzioni esposte, ovvero sia la responsabilit� precontrattuale 

(13) Cons. St. Sez. V, 30 dicembre 2011, n. 7000. 
(14) P. FAVA, La responsabilit� civile, Giuffr�, Milano, 2009, pag. 374. 
(15) T.A.R. Palermo, Sicilia, Sez. II, 26 giugno 2012, n.1300; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. 
VIII, 5 giugno 2012 n. 2646; Cons. St., Sez. IV, 27 novembre 2010, n. 829, in www.dejure.it. 



che contrattuale, convengono tuttavia, anche se attraverso strade differenti, nel 
ricondurre la responsabilit� all�art. 1218. c.c. giungendo dunque a una medesima 
disciplina in tema di onere della prova. Ad ogni modo, qualsiasi sia la natura 
riconosciuta alla responsabilit� della pubblica amministrazione, rimane immutata 
la circostanza che essa non possa prescindere dalla sussistenza dell�elemento 
soggettivo, presente in ciascuna delle esaminate ipotesi di responsabilit�. 

Come precedentemente accennato, l�orientamento dominante in giurisprudenza 
e in dottrina (16) � quello che configura la responsabilit� della pubblica 
amministrazione come aquiliana. 

Nel caso di specie, tale impostazione � stata accolta dal giudice di primo 
grado il quale aveva affermato che la responsabilit� civile della pubblica amministrazione, 
pur presentando connotazioni di specialit�, sia in relazione alla 
qualificazione pubblica ed autoritativa del soggetto agente che in considerazione 
della natura pubblica degli interessi sottesi all'esplicazione della funzione 
amministrativa, deve essere ricompresa nello schema generale della responsabilit� 
civile aquiliana. 

Il giudicante specificava inoltre che, per poter riconoscere come responsabile 
della lesione inferta alla posizione del privato e, quindi, obbligata al risarcimento 
del danno l'amministrazione, devono sussistere, dunque, tutti gli 
elementi costitutivi dell'illecito extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 c.c.: antigiuridicit� 
del comportamento, identificata con l'illegittimit� dell'atto amministrativo, 
danno provocato al singolo mediante tale comportamento, nesso di 
causalit� tra il comportamento antigiuridico ed il danno, elemento soggettivo. 

Secondo il costante orientamento che si ricava dalle pi� recenti decisioni 
in tema di responsabilit� civile della pubblica amministrazione, il risarcimento 
del danno non � una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale 
del provvedimento impugnato, richiedendosi la positiva verifica di tutti i requisiti 
previsti, e cio� la lesione della situazione soggettiva tutelata, la colpa 
dell'amministrazione, l'esistenza di un danno patrimoniale e la sussistenza di 
un nesso causale tra l'illecito ed il danno subito e, riguardo all'elemento soggettivo, 
� indispensabile accedere ad una nozione di tipo oggettivo, che tenga 
conto dei vizi che inficiano il provvedimento, nonch�, della gravit� della violazione 
commessa dall'amministrazione, anche alla luce dell'ampiezza delle 
valutazioni discrezionali ad essa rimesse e dei precedenti giurisprudenziali. 

La responsabilit� va affermata quando la violazione risulti grave e commessa 
in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi 
e giuridici tale da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo 
nell'assunzione del provvedimento viziato; viceversa, va negata quando l'indagine 
conduca al riconoscimento di un errore scusabile, per la sussistenza di 

(16) S. PUDDU, Colpa dell�apparato e rapporto procedimentale, Edizioni Scientifiche Italiane, 
Napoli, 2011, pag. 75. 


contrasti giurisprudenziali, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento 

o per la complessit� della situazione di fatto. 

4. L�irrilevanza dell�accertamento della colpa in caso di violazione delle 
norme sugli appalti pubblici. 

In posizione di rottura rispetto all�orientamento della giurisprudenza nazionale 
dominante � invece la decisione del Consiglio di Stato sez. V n. 
5686/2012 che, recependo la giurisprudenza europea, stravolge l�impostazione 
tipica della responsabilit� in tema di ricorso in materia di aggiudicazione degli 
appalti di pubblici lavori, servizi e forniture. 

Il giudicante richiama la pronuncia emessa dalla Terza Sezione della Corte 
di Giustizia dell�Unione Europea in data 30 settembre 2010, C314/09 secondo 
cui la vigente normativa che regola le procedure di ricorso in materia di aggiudicazione 
degli appalti non consente che il diritto ad ottenere il risarcimento 
danno da una Amministrazione pubblica che abbia violato le norme sulla disciplina 
degli appalti sia subordinata al carattere colpevole di tale violazione. 

In particolare la Corte di Giustizia, confermando un indirizzo gi� manifestato 
in ambito europeo (17), precisa che il principio di effettivit� delle garanzie 
� soddisfatto soltanto a condizione che la possibilit� di riconoscere un 
risarcimento in caso di violazione delle norma sugli appalti pubblici non sia 
subordinata all�accertamento dell�esistenza di un comportamento colpevole 
tenuto dall�amministrazione aggiudicatrice, poich� nel momento in cui si consente 
di vincere la presunzione di colpevolezza su essa gravante, emerge l�evidente 
pericolo che il soggetto danneggiato da una decisione illegittima venga 
comunque privato del diritto di ottenere un risarcimento per il danno causato 
da tale decisione, nel caso in cui l�Amministrazione riesca a vincere la suddetta 
eventuale presunzione di colpevolezza. 

In altri termini, a parere della Corte di Giustizia, la regola comunitaria, 
prevista dall�art. 2. n. 1, lett. c) nonch� dal sesto �considerando� dell�originaria 
direttiva 89/665/89 CEE, fondata sull�effettiva tutela degli interessi delle 
imprese nel settore degli appalti pubblici, configura una responsabilit� non 
avente natura n� extracontrattuale n� contrattuale ma oggettiva, quindi fondata 
sulla mera illegittimit� del provvedimento amministrativo. Emerge quindi che 
nelle norme appena richiamate non viene in alcun modo indicato che la violazione 
delle norme sugli appalti pubblici rivolta ad ottenere il risarcimento 
del danno a favore di colui che ha subito un pregiudizio debba presentare caratteristiche 
particolari, quale � quella di essere connessa ad una colpa, provata 

o presunta, dell�amministrazione. 

Da ci� deriva, da un lato, che non pu� gravare su colui che ha subito un 
pregiudizio l�onere di provare che il danno proveniente dal provvedimento 

(17) Corte di Giustizia 14 ottobre 2004, C275/03, in www.eur-lex.europa.eu. 


illegittimo sia conseguenza di una colpa dell�Amministrazione, dall�altro che 
non possa l�amministrazione sottrarsi all�obbligo di risarcire il danno cagionato 
da un suo provvedimento illegittimo adducendo l�inesistenza a proprio 
carico dell�elemento del dolo o della colpa. 

Il rispetto dei principi di equivalenza ed effettivit�, e in particolare il tentativo 
di uniformare la disciplina europea in tema di appalti, nel caso in cui 
tale indirizzo non fosse recepito dal giudice nazionale, rischierebbe di essere 
svuotato da un inquadramento nazionale che subordina l�ottenimento del risarcimento 
danni da parte del danneggiato al riscontro dell�elemento soggettivo 
della responsabilit� della pubblica amministrazione. 

Orbene, i giudici di Palazzo Spada, accolto l�orientamento sopra citato, 
sottolineano che il ricorrente che non ottiene direttamente il bene a cui aspira, 
ovvero la riedizione della gara di appalto, pu� legittimamente avanzare la richiesta 
di risarcimento per il danno subito. Se, tuttavia, in quest�ultima ipotesi 
si ammettesse la possibilit� di provare l�assenza di colpa della pubblica amministrazione, 
� facilmente comprensibile come il privato rischierebbe di rimanere 
privo di qualsiasi tipo di tutela. 

La decisione in esame, accolta dalla parte minoritaria della giurisprudenza 

(18) ispirata all�intento di garantire una tutela effettiva in una materia che investe 
i valori della concorrenza e della trasparenza del mercato appare inconciliabile 
con il tentativo compiuto dalla giurisprudenza amministrativa, tramite 
lo strumento delle presunzioni semplici ritenute idonee a superare le limitazioni 
poste a livello europeo con la Dir. 89/665/CEE, di collegare l�approccio 
comunitario con i tradizionali principi in materia. 

Parte della dottrina (19) ha osservato che il modello di responsabilit� appena 
delineato dovrebbe applicarsi esclusivamente al settore disciplinato dalle 
direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, ovvero le procedure di aggiudicazione 
degli appalti pubblici, come chiarito dal terzo considerando della Dir. 
89/665/CEE che specifica come l�apertura degli appalti pubblici alla concorrenza 
comunitaria rende necessario un�implementazione degli strumenti di tutela 
per il danneggiato, coerentemente con i principi di trasparenza e non 
discriminazione. L�obbiettivo che si pone a fondamento di tali disposizioni � 
quello di garantire l�effettivit� delle regole comunitarie sulla concorrenza attraverso 
ricorsi rapidi ed efficaci. 

Secondo un�opposta opinione (20), invece, le procedure di affidamento 
dei contratti pubblici non sono cos� diverse dalle procedure concorsuali per 

(18) Cons. St., Sez. V, 24 febbraio 2011 n. 1993; T.A.R Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 5 aprile 
2011 n. 98; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 9 settembre 2011 n. 4371; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. 
III, 19 ottobre 2011 n. 2493, in www.dejure.it. 
(19) CIMINI, op. cit. in www.giustamm.it. 
(20) GUIDO VELTRI, La parabola della colpa nella responsabilit� da provvedimento illegittimo: 
riflessioni a seguito del codice del processo e della recente giurisprudenza. in www.studiolegaleriva.it. 



l�assunzione del personale a tal punto da giustificare la ragionevole persistenza 
di un modello differenziato di responsabilit� rispetto alla generale azione della 
pubblica amministrazione ed alla tutela degli interessi legittimi negli altri settori 
dell�ordinamento. Si sostiene, quindi, che se la tutela deve essere accessibile, 
rapida ed effettiva, non sussiste motivo per circoscrivere tale garanzia 
esclusivamente a determinati ambiti. 

A ben vedere, che la tutela risarcitoria in materia di appalti possa avere 
corsie preferenziali o differenziate in punto di effettivit� e celerit� lo ha da subito 
affermato la giurisprudenza all�inizio della propria opera di delimitazione 
dell�ambito di applicazione dei riti speciali ed accelerati, chiarendo che �il rito 
accelerato si deve applicare quando la domanda proposta in giudizio, rientrante 
tra quelli di cui all�art. 23 bis, c. 1, L. n. 1034/1971, non abbia il mero risarcimento 
del danno, ma riguardi anche l�annullamento di atti amministrativi� (21). 

Il Consiglio di Stato inoltre, per corroborare la tesi della natura oggettiva 
della responsabilit� amministrativa, richiama il criterio della �natura delle 
cose�(22) come metodo di ricostruzione sistematica tra ordinamento nazionale 
e comunitario. Tale teoria, sostenuta da autorevole dottrina (23), ponendosi in 
antitesi con il formalismo e legalismo giuridico, afferma che l�armonizzazione 
del diritto comunitario debba avvenire attraverso la recezione della sfera economica 
e sociale dello strumento pi� idoneo a conseguire la finalit� prefissata 
in rapporto ai criteri di uguaglianza e proporzionalit�. Nel caso di specie viene 
quindi affermato che, � la normativa sulla responsabilit� che deve modellarsi 
sulla natura delle cose nel caso di esistenza del danno, non � la normativa che 
pu� individuare i presupposti per la risarcibilit� del danno, poich� il danno, 
come fattore oggettivamente esistente deve legittimare il risarcimento. Ci� 
comporta che ogni danno che sia conseguenza immediata e diretta della violazione 
di norme in tema di appalti, possa per ci� solo definirsi idoneo a legittimare 
un adeguato ristoro. 

5. Conclusioni. 

Sebbene la tesi della natura oggettiva della responsabilit� da attivit� provvedimentale 
della pubblica amministrazione sia accolta dalla dottrina (24) � 
necessario ricordare che nel nostro ordinamento la regola vigente (art. 2043 
c.c.) � fondata imprescindibilmente sul principio della colpa, inteso come cri


(21) Cons. giust. amm. Sicilia Sez. giurisd. 14 settembre 2009, n. 788, in www.giustizia-amministrativa.
it. 
(22) M. PROTTO, Il Rapporto Amministrativo, Giuffr�, Milano, 2008, pag. 134 in Responsabilit� 
civile e previdenza. 
(23) F. MERUSI, La natura delle cose come criterio di armonizzazione comunitaria nella disciplina 
degli appalti pubblici, 1997, pag. 39. in Riv. It. Dir. pubbl.. 
(24) L. GAROFALO, Verso un modello autonomo di responsabilit� dell�Amministrazione, 2005, 
1060 e ss. in Urbanistica e Appalti. 



terio di imputazione della responsabilit� per tutti i danni ingiusti che non trovano 
una specifica disposizione normativa. 

Una nuova ipotesi di responsabilit� necessiterebbe, quindi, di una espressa 
previsione legislativa, poich� se si escludono i riferimenti alle pronunce della 
Corte di Giustizia, non esiste nessuna norma che possa giustificare un differente 
trattamento nei confronti dell�amministrazione pubblica rispetto ai singoli 
cittadini, ammesso che anche qualora fosse presente sia compatibile con 
il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione all�art. 3. 

Il testo del Trattato istitutivo della Comunit� Europea, attualmente, non 
colloca le decisioni della Corte di Giustizia tra le fonti del diritto e non conferisce 
a queste ultime un�efficacia extraprocessuale sicch� tale scelta necessita 
di una espressa norma, comunitaria o nazionale, e non pu� quindi essere affidata 
all�interprete, in particolare nei casi, come quello in esame, in cui l�orientamento 
adottato dal giudice di Lussemburgo si colloca in contrasto con 
l�indirizzo storicamente accolto dalla giurisprudenza nazionale maggioritaria. 

La tutela della concorrenza, principio pacificamente riconosciuto in ambito 
europeo (25), richiamata dalla Corte di Giustizia per fondare il regime di 
responsabilit� oggettiva, bench� tutelato dalla nostra Costituzione all�art. 41, 
non pu� derogare al principio di uguaglianza poich�, come affermato dalla 
Corte Costituzionale (26), l'esercizio dei poteri normativi delegati all'Unione 
Europea trova un limite nei principi fondamentali dell'assetto costituzionale 
e nella maggiore tutela dei diritti inalienabili della persona. 

L�art. 3 della Costituzione non pu� quindi essere derogato in quanto rientrante 
tra i principi inviolabili presenti nella nostra Costituzione, sicch� la tesi 
che ammette una deroga al suddetto principio, consistente in un regime differenziato 
di responsabilit� per la pubblica amministrazione, in favore della tutela 
della concorrenza non pu�, secondo un interpretazione costituzionalmente 
orientata, essere accolta. 

Peraltro come notato da tempo da un�attenta dottrina (27) non sussiste alcuna 
valida ragione per escludere che i principi generali previsti dal codice 
civile in materia di obbligo di risarcimento per danno ingiusto si applichino 
anche alle Amministrazioni pubbliche, neppure quando il danno consegua ad 
una attivit� di diritto pubblico degli enti medesimi. 

Differente dottrina (28) ritiene, al contrario di quanto sopra esposto, che 
il regime di responsabilit� oggettiva, accolto parzialmente dalla giurisprudenza 
italiana a seguito dell�impulso fornito dal giudice di Lussemburgo, avrebbe 

(25) Titolo VI, capo I, Trattato Istitutivo della Comunit� Europea. 
(26) Corte Costituzionale, 24 giugno 2010, n.227, in cortecostituzionale.it. 
(27) E. CASETTA, L�illecito degli entri pubblici, Giappichelli, Torino, 1953, pag. 106 e ss. 
(28) R. CAROCCIA, Lo strano caso del legislatore statale in linea con le direttive europee. in 
www.giustamm.it. 



dovuto imporsi immediatamente dopo l�entrata in vigore del Codice del Processo 
Amministrativo alla luce delle disposizioni nello stesso presenti. 

In particolare si sottolinea che in virt� dell�art. 124 c.p.a. o il giudice accoglie 
la domanda di conseguire la aggiudicazione e il contratto, al verificarsi 
delle condizioni previste dagli artt. 121 c. 1 e 122, o nel caso di dichiarazione 
di inefficacia non doverosa, qualora non ritenga di comandare il subentro di 
questi nel rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione �dispone il 
risarcimento del danno per equivalente, subito e provato�. 

Il codice del processo amministrativo prevede dunque la possibilit� di ottenere, 
da un lato, il conseguimento dell�aggiudicazione o del contratto, c.d. risarcimento 
in forma specifica, e dall�altro, nel caso in cui il giudice non concede 
il bene della vita a cui il ricorrente aspira, il risarcimento per equivalente. 

Si nota immediatamente che, a differenza della disposizione prevista 
dall�art. 2043 c.c, la parola �danno� non � seguita dall�aggettivo �ingiusto�, 
n� sono presenti i parametri psicologici di qualsiasi facere antigiuridico, ovvero 
�doloso o colposo�. 

Al contrario l�art. 2 bis della l. 241/90 che disciplina le conseguenze del 
ritardo dell�amministrazione nella conclusione del procedimento specifica 
esattamente il tipo di danno, ovvero �ingiusto�, rendendo facilmente riconducibile 
alla responsabilit� aquilina la disciplina prevista dalla legge sul procedimento 
amministrativo. Tale differenza di terminologia che si manifesta 
con il silenzio del legislatore nella previsione dell�art. 124 c.p.a, lungi dall�essere 
una dimenticanza, conduce a configurare l�articolo in questione come una 
vera e propria deroga all�ordinario principio di responsabilit� amministrativa 
come configurato dalla sent. 500/99, e con ci� legittimando la tesi di una responsabilit� 
svincolata dall�elemento soggettivo del dolo o colpa. 

Inoltre � opportuno rilevare che la stessa ratio che si pone a fondamento 
della gara di appalto di forniture e servizi si fonda sull�individuazione dell�impresa 
pi� efficiente presente sul mercato, se tale intento non pu� essere realizzato 
a causa del cattivo esercizio del potere amministrativo spetta 
all�impresa pretermessa un risarcimento monetario. 

Il rimedio per equivalente non costituisce perci� un rimedio risarcitorio 
in senso stretto ma una misura sostitutiva della tutela specifica, sostanziandosi 
nell�attribuzione del bene della vita in ragione del suo valore economico. In 
sostanza non si tratta di una domanda risarcitoria tout court ma dell�accoglimento 
della stessa domanda di esatto adempimento proposta dal ricorrente che 
chieda l�aggiudicazione del contratto, con la mera sostituzione del bene della 
vita in senso specifico con il suo surrogato economico (29). 

Tale teoria non tiene tuttavia conto che numerosi sono gli inconvenienti 
di una responsabilit� oggettiva. Certamente � importante tenere in considera


(29) F. CARINGELLA, Manuale di diritto Amministrativo, VI edizione, Dike, Roma, 2012, p. 251. 


zione l�insostenibile esborso economico a cui sarebbe soggetto lo Stato con 
conseguente paralisi dell�attivit� amministrativa (30). 

Alla luce delle considerazioni fin qui condotte, pare ragionevole ritenere 
che nel nostro ordinamento la responsabilit� della pubblica amministrazione 
per i danni cagionati da illegittimo esercizio della funzione non possa che rimanere 
attratta nell�orbita civilistica, almeno fino a quando non ci sar� una 
specifica disciplina legislativa che indichi un regime differente. Inoltre sarebbe 
difficilmente giustificabile, secondo i parametri costituzionali vigenti, una tutela 
risarcitoria dell�interesse legittimo che muta il punto di partenza, ovvero 
la natura giuridica extracontrattuale o oggettiva, in base alla materia oggetto 
della controversia. 

Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 8 novembre 2012 n. 5686 -Pres. ff. Carlo Saltelli, 
Est.. Paolo Giovanni Nicol� Lotti - All System S.p.A. in proprio e quale mandataria R.T.I. 
(avv. ti Alessandra Sandulli, Massimo Falsanisi e Roberto Invernizzi) c. Comune di Milano, 
(avv.ti Maria Rita Surano, Raffaele Izzo, Maria Teresa Maffey e Stefania Pagano). 

FATTO 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, sez. I, con la sentenza n. 
1811 del 14 giugno 2010, ha in parte respinto, in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto 
dall�attuale appellante per il risarcimento in forma specifica, o in subordine per equivalente, 
anche in applicazione dell�art. 35 d.lgs. 80/1998, in relazione ai pregiudizi patiti e 
patiendi dalle ricorrenti a causa di atti e comportamenti impugnati, nonch� a causa dell�illegittima 
mancata aggiudicazione del servizio di sorveglianza presso il Palazzo di Giustizia e 
presso altri uffici, da espletare a mezzo di guardie giurate e fornitura/installazione di telecamere, 
durante il periodo 15 giugno 2007-14 giugno 2010�; per l�accertamento del diritto delle 
ricorrenti ex art. 115 d.lgs. 163-06 a praticare per il servizio il prezzo di cui all�offerta da esse 
presentata nella gara di cui al servizio predetto, maggiorato con l�applicazione degli indici 
revisionali maturati dal momento della presentazione dell�offerta medesima; per l�accertamento 
dell�illegittimit� e della nullit� della clausola contrattuale che vorrebbe imporre la deroga 
patrizia all�entit� degli interessi per ritardato pagamento stabilita ex d.lgs. 231-02 e 
direttiva 2000/35/CE; nonch� per l�annullamento degli atti connessi, con i quali l�amministrazione 
si � limitata a reintegrare parte ricorrente solo per il periodo residuale di otto mesi 
(note comunali e relativi verbali del 21.9.09, 2.10.09, 14.10.09, 22.10.09; atto dirigenziale n. 
410 dell�1.10.09; schema di contratto sottoposto dal Comune). 
Il TAR ha fondato la sua decisione rilevando, sinteticamente, che, con bando pubblicato in 
data 19 aprile 2007, il Comune di Milano aveva indetto una procedura aperta, con il criterio 
dell�offerta economicamente pi� vantaggiosa, per l�affidamento del servizio di sorveglianza 
mediante guardie particolari giurate, con fornitura e installazione di telecamere, presso il Palazzo 
di Giustizia e l�Aula Bunker di piazza Filangieri, Milano, (lotto I) e presso altri Uffici 
Giudiziari (lotto II); la durata prevista dell�appalto era dal 15 giugno 2007 al 14 giugno 2010. 

(30) S. CIMINI, op. cit. in www.giustamm.it. 


Con precedente sentenza n. 3052 del 28 luglio 2008, previa pubblicazione del dispositivo in 
data 30 aprile 2008, il TAR aveva respinto il ricorso intentato dall�attuale appellante per l�annullamento 
degli atti della gara in contestazione; il Comune aveva conseguentemente stipulato 
il contratto con l�originario aggiudicatario per i due lotti, avente come termine finale il 14 
giugno 2010, nelle date del 27 giugno e 3 luglio 2008. 
Tale sentenza era stata riformata da questo Consiglio, con sentenza n. 5096 del 27 agosto 
2009, previa pubblicazione del dispositivo in data 8 maggio 2009. 
In seguito alla pubblicazione di tale ultima decisione, il Comune di Milano, nel mese di settembre 
2009, aveva rinnovato le operazioni di gara e riformulato la graduatoria, disponendo, 
in data 24 ottobre 2009, il subentro della ricorrente, risultata al primo posto della graduatoria 
del lotto in questione, nell�esecuzione del contratto, per la residua validit� di circa otto mesi, 
fino al 14 giugno 2010. 
Il contratto veniva, poi, sottoscritto il 12 marzo 2010. 
Il TAR ha osservato che dall�andamento degli avvenimenti succedutisi, cos� come descritti, 
non poteva rinvenirsi in capo all�Amministrazione la sussistenza dell�elemento soggettivo 
della colpa, indispensabile al fine della possibilit� di configurazione dell�imputazione di responsabilit� 
civile nei confronti della stessa. 
Il TAR, quindi, ha in parte respinto il ricorso, quanto alla domanda risarcitoria, e, per il resto, 
lo ha dichiarato inammissibile nella parte in cui era stato rivolto avverso le clausole contrattuale 
che derogavano alle ordinarie scadenze e alle decorrenze degli interessi legali, sostanzialmente 
per difetto di giurisdizione. 
L�appellante ha contestato la sentenza del TAR chiedendo l�accoglimento dell�appello quanto 
alla censura avverso l�assunta omissione della revisione prezzi ai sensi dell�art. 115 del d.lgs. 

n. 163-06, poich� tale clausola era mutata nel contratto rispetto alla bozza prodotta dalla ricorrente 
in senso favorevole alla stessa e quanto alla censura concernente la clausola relativa 
alla deroga pattizia all�entit� degli interessi per ritardato pagamento, afferendo all�esecuzione 
contrattuale e, quindi, alla giurisdizione del giudice ordinario. 
Si � costituito il Comune, chiedendo il rigetto dell�appello. 
All�udienza pubblica del 3 luglio 2012 la causa � stata trattenuta in decisione. 


DIRITTO 

Rileva il Collegio che il primo e centrale motivo di appello � incentrato sull�individuazione, 
in capo all�Amministrazione, della sussistenza dell�elemento soggettivo della colpa, ritenuta 
dal TAR indispensabile al fine della possibilit� di configurazione dell�imputazione di responsabilit� 
nei confronti della stessa. 
Questa Sezione deve rilevare che, con sentenza in data 30 settembre 2010, C-314/09, la Terza 
Sezione della Corte di Giustizia dell�Unione Europea (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. IV, 
31 gennaio 2012, n. 482) ha affermato che la vigente normativa europea che regola le procedure 
di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di 
servizi non consente che il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da una Amministrazione 
pubblica che abbia violato le norme sulla disciplina degli appalti sia subordinato al carattere 
colpevole di tale violazione. 
Secondo la Corte, il rimedio risarcitorio previsto dall'art. 2, n. 1, lett. c), dell�originaria direttiva 
89/665/CEE pu� costituire, se del caso, un'alternativa procedurale compatibile con il principio 
di effettivit� delle garanzie offerte soltanto a condizione che la possibilit� di riconoscere un 
risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata, cos� 


come non lo sono gli altri mezzi di ricorso previsti dal citato art. 2, n. 1, alla constatazione 
dell'esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall'Amministrazione aggiudicatrice. 
Poco importa, per il giudice comunitario, che un ordinamento nazionale non faccia gravare sul 
ricorrente l'onere della prova dell'esistenza di una colpa dell'Amministrazione aggiudicatrice, ma 
la presuma a carico della stessa; infatti, dal momento in cui si consente a quest'ultima di vincere 
la presunzione di colpevolezza su di essa gravante, si genera ugualmente il rischio che il ricorrente 
pregiudicato da una decisione illegittima di un'Amministrazione aggiudicatrice venga comunque 
privato del diritto di ottenere un risarcimento per il danno causato da tale decisione, nel caso in 
cui l'Amministrazione riesca a vincere la suddetta eventuale presunzione di colpevolezza. 
La decisione qui riassunta, pur non introducendo elementi di novit� rispetto ad altra precedente 
decisione della stessa Corte in data 14 ottobre 2004, C-275/03, che aveva sanzionato lo Stato 
del Portogallo per aver subordinato la condanna al risarcimento dei danni cagionati da violazioni 
del diritto comunitario in materia di pubblici appalti all'allegazione della prova, da parte 
dei danneggiati, che gli atti illegittimi dello Stato o degli enti di diritto pubblico fossero stati 
commessi colposamente o dolosamente, ribadisce in modo chiaro e univoco che, in materia 
di appalti pubblici, da un lato non possa gravare sul ricorrente danneggiato l'onere di provare 
che il danno derivante dal provvedimento amministrativo illegittimo sia conseguenza di una 
colpa dell'Amministrazione; dall'altro lato, che non possa l'Amministrazione sottrarsi all'obbligo 
di risarcire i danni cagionati da un suo provvedimento illegittimo adducendo l'inesistenza 
a proprio carico di elementi di dolo o di colpa. 
In altre parole, la regola comunitaria vigente in materia di risarcimento dei danno per illegittimit� 
accertate in materia di appalti pubblici per avere assunto provvedimenti illegittimi lesivi 
di interessi legittimi configurerebbe una responsabilit� non avente natura n� contrattuale n� 
extracontrattuale, ma oggettiva, sottratta ad ogni possibile esimente, poich� derivante da principio 
generale funzionale a garantire la piena ed effettiva tutela degli interessi delle imprese, 
a protezione della concorrenza, nel settore degli appalti pubblici. 
Intesa in questo senso, � dunque evidente che tale regola non pu� essere circoscritta ai soli 
appalti comunitari ma deve estendersi, in quanto principio generale di diritto comunitario in 
materia di effettivit� della tutela, a tutto il campo degli appalti pubblici, nei quali i principi di 
diritto comunitario hanno diretta rilevanza ed incidenza, non fosse altro che per il richiamo 
che ad essi viene fatto dal nostro legislatore nel Codice appalti (art. 2 d. lgs. 163-06). 
Per certi versi, in questo settore, viene di nuovo in rilievo il modello, lungamente adottato 
dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, della colpa in re ipsa, che obliterava, infatti, 
l'elemento soggettivo nell'illecito provvedimentale, ritenendolo implicita nell'illegittimo esercizio 
della funzione e/o nell'esecuzione di un atto illegittimo. 
Al riguardo, � noto che, con il revirement della Cassazione nella sentenza n. 22 luglio 1999 

n. 500, si � affermato expressis verbis che dall'illegittimit� di un atto non pu� pi� essere evinta 
l'illiceit�. 
La sistematica della colpa si trova oggi, tuttavia, a dover essere rimeditata non solo in generale 
alla luce della novella azione di condanna al risarcimento, positivizzata dal Codice del processo 
amministrativo (ex art. 30), questione che esula dal perimetro del presente giudizio; ma 
soprattutto, come detto, in relazione alla responsabilit� civile della P.A. nel campo degli appalti 
pubblici, rispetto al quale il giudice comunitario ha mostrato di confermare l'orientamento invalso 
gi� a partire dalla pronuncia resa in occasione del caso Brasserie du p�cheur � Factortame 
(CGE 5 marzo 1996, Cause riunite C-46/93 e C-48/93), secondo cui si deve configurare 
la responsabilit� in senso oggettivo, atteso che il rimedio risarcitorio contemplato dalla diret



tiva 89/665/CEE pu� effettivamente rivelarsi un efficace mezzo di ristoro soltanto a condizione 
che la possibilit� di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti 
pubblici non sia subordinata alla constatazione dell'esistenza di un comportamento colpevole 
tenuto dall'Amministrazione aggiudicatrice. 
In questo modo si conferisce massima importanza ai principi di equivalenza e, soprattutto, di 
effettivit�, garantendo nel contempo in tutto il territorio dell'Unione un'uniforme disciplina 
degli appalti pubblici. 
L�effettivit� del comando normativo non viene perseguita attraverso prescrizioni di regolazione 
dei procedimenti amministrativi, ma avviene attraverso il versante delle garanzie, giurisdizionali 
o paragiurisdizionali: la direttiva 89/665, nei suoi considerando (e ancor pi� le 
successive direttive di codificazione attualmente vigenti, nonch� la nuova direttiva ricorsi 
66/2007/CE), rilevano l'assenza, sia sul piano dei diritti nazionali che su quello del diritto comunitario, 
di adeguati strumenti di garanzia dell'applicazione effettiva della normativa comunitaria 
in materia di appalti pubblici, determinando un freno alla partecipazione delle imprese 
comunitarie alle gare e, dunque, incidendo sulla libera circolazione dei servizi. 
Il fatto che manchino rimedi validi ed efficaci avverso le violazioni del diritto comunitario riduce 
la concorrenza comunitaria e determina un allontanamento dai fini del Trattato, improntata 
in questo settore ai principi della massima concorrenza e della non discriminazione. 
La disciplina comunitaria della concorrenza � rivolta, infatti, essenzialmente alla tutela delle 
posizioni soggettive delle imprese, cui dovrebbe corrispondere in capo alla Pubblica Amministrazione 
l'obbligo di tenere un corretto comportamento verso i concorrenti alle gare pubbliche; 
tale intento rischierebbe con ogni probabilit� di essere frustato da una disciplina 
nazionale che subordinasse l'ottenimento del risarcimento dei danni, da parte dell'offerente 
offeso, al previo positivo riscontro dell'elemento soggettivo della responsabilit� della Pubblica 
Amministrazione. 
L�ordinamento comunitario dimostra che ci� che rileva � l�ingiustizia del danno e non l�elemento 
della colpevolezza; ci� determina ipso facto la creazione di un diritto amministrativo 
comune a tutti gli Stati membri nel quale i principi che si elaborano a livello comunitario, in 
applicazione dei Trattati, trovano humus negli ordinamenti interni, e costituiscono una sorta 
di sussunzione unificante di regole riscontrabili in tali ordinamenti. 
In questo processo di astrazione � inevitabile che i principi di diritto interno vengano sostituiti 
da principi caratterizzati da pi� larga acquisizione, poich� il ravvicinamento e l'armonizzazione 
normativa premia il principio maggiormente condiviso, come � quello della responsabilit� 
piena della P.A. senza aree di franchigia. 
Peraltro, l'assenza, nella disciplina comunitaria degli appalti, di qualsivoglia riferimento ad 
un'indagine in ordine all'elemento soggettivo della responsabilit�, lungi dall'essere una dimenticanza, 
si spiega ponendo mente al fatto che, di norma, la via del risarcimento per equivalente 
viene percorsa qualora risulti preclusa quella della tutela in forma specifica; la 
reintegrazione in forma specifica rappresenta, peraltro, in ambito amministrativo l'obiettivo 
tendenzialmente primario da perseguire e il risarcimento per equivalente costituisce invece 
una misura residuale, di norma subordinata all'impossibilit� parziale o totale di giungere alla 
correzione del potere amministrativo, come dimostra, d�altra parte, anche la vicenda giurisprudenziale 
e normativa relativa alla dichiarazione di inefficacia del contratto d�appalto, 
come da ultimo risolta per effetto del d. lgs. n. 53-2010, le cui previsioni sono confluite nel 
Codice del processo amministrativo agli artt. 121 e ss. 
In tal modo, dunque, il ricorrente che non ottiene direttamente il bene della vita a cui aspira, 


ossia la riedizione della gara o l'aggiudicazione definiva pu� aspirare alla monetizzazione del 
pregiudizio subito; se, tuttavia, anche tale ultima via di ristoro venisse resa impraticabile o assolutamente 
impervia, il privato rischierebbe di restare sprovvisto di qualsiasi forma di tutela. 
Quanto prefigurato � esattamente ci� che accade qualora una normativa nazionale subordini 
il risarcimento del danno al positivo riscontro della colpa della stazione appaltante. 
D�altra parte, anche in applicazione del metodo della natura delle cose, proposto da autorevole 
dottrina come criterio di armonizzazione comunitaria nella disciplina sugli appalti, � la normativa 
sulla responsabilit� che deve modellarsi sulla natura della cosa, nel caso sull'esistenza 
del danno, non � la normativa che pu� individuare i presupposti per la risarcibilit� del danno, 
poich� � il danno, come fattore oggettivamente esistente, infatti, che deve legittimare il risarcimento; 
ci� porta a ritenere che ogni danno che sia conseguenza immediata e diretta della 
violazione di norme in tema di appalti pubblici possa, per ci� solo, definirsi ingiusto e, come 
tale, meritevole di adeguato ristoro. 
Nel caso di specie, superata in questo modo la questione della colpa da cui si pu�, dunque, 
prescindere per configurare la risarcibilit� dei danni per equivalente in materia di appalti pubblici, 
il Collegio ritiene sussistenti anche tutte le altre componenti dell�illecito e cio�: l�illegittimit� 
dell�agire comunale, dedotto sulla base della decisione di questo Consiglio n. 5096-09 
citata; il nesso di causalit�, atteso che, riammesso in gara, l�appellante l�ha vinta; infine, il 
danno, consistente nella mancata integrale esecuzione del contratto. 
In concreto, sotto il profilo della quantificazione del danno, poich� l�originario affidamento 
avrebbe dovuto coprire trentasei mesi, nella parentesi temporale tra il 15 giugno 2007 e il 15 
giugno 2010 e poich� per circa ventotto mesi, dal giugno 2007 all�ottobre 2009, il servizio � 
stato svolto in forza dell�illegittima originaria aggiudicazione, tale ultimo periodo costituisce 
il parametro per la liquidazione dei danni; danni che sono rappresentati, dunque, dal mancato 
utile conseguito in questo periodo dall�appellante che non ha potuto svolgere il servizio per 
effetto dell�illegittima aggiudicazione a terzi. 
A nulla rileva, come invece eccepisce il Comune, che altri ricorrenti non abbiano interposto 
appello all�originaria sentenza del TAR, poich� ci� che � centrale nel configurare l�ingiustizia 
del danno nel caso di specie � rappresentato dall�annullamento dell�aggiudicazione conseguente 
all�accertamento dell�illegittimit� degli atti, a prescindere dalle condotte di acquiescenza 
di soggetti terzi che non incidono sulla posizione dell�appellante e, quindi, sulla misura 
del risarcimento del danno ad esso spettante. 
Tale parametro (giugno 2007 all�ottobre 2009) deve esser ridotto di un mese, poich� il primo 
mese � stato svolto dall�odierna appellante in regime di proroga. 
Non rileva, invece, il fatto, eccepito dal Comune, che dal 14 giugno 2010, giorno di prevista 
scadenza dell�appalto in questione, All System abbia continuato ad effettuare il servizio di 
sorveglianza oggetto della sentenza appellata ininterrottamente fino al 30 aprile 2012, atteso 
che tale periodo non risulta attribuito a fini di ristoro e, comunque, anche se lo fosse stato, 
rappresenta un�attribuzione illegittima poich� effettuata senza la necessaria procedura di gara, 
con conseguente configurabilit� di un�illegittimit� amministrativa e di un conseguente possibile 
illecito contabile. 
Inoltre, in sede di determinazione del quantum risarcitorio, esclusa la pretesa di ottenere l'equivalente 
del 10% dell'importo a base d'asta, non essendo oggetto di applicazione automatica e 
indifferenziata, � necessaria la prova, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo 
che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, prova desumibile in primis 
dall'esibizione dell'offerta economica presentata al seggio di gara; tale principio trova, in



fatti, conferma nell'art. 124 del codice del processo amministrativo che, nel rito degli appalti, 
prevede il risarcimento del danno (per equivalente) subito e provato. 
Occorre, quindi, verificare se parte ricorrente ha rispettato il principio basilare sancito dall'art. 
2697 c.c., secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della 
domanda: come noto, il diritto entra nel processo attraverso le prove, che devono avere ad 
oggetto circostanze di fatto precise, e si debbono disattendere le domande risarcitorie formulate 
in maniera del tutto generica, senza alcuna allegazione degli elementi presupposti. 
Il Collegio ritiene di sciogliere positivamente il quesito, poich� gli elementi prodotti in giudizio 
sono sufficienti ad emettere una pronuncia che statuisca sul quantum spettante a titolo di riparazione 
pecuniaria, ai fini della formulazione della proposta risarcitoria da parte del Comune 
e l�eventuale raggiungimento di un accordo con la ricorrente ex art. 34, comma 4, c.p.a. 
In particolare la stazione appaltante dovr�: 

- attenersi all'offerta economica presentata dall�appellante in sede di gara; 
- valorizzare sul punto l'elaborato contenente le giustificazioni delle voci di prezzo che concorrono 
a formare l'importo complessivo esibito; 


-tenere in particolare conto di tutte le spese sostenute e sostenibili; 

- determinare il margine di guadagno che residua dopo l'applicazione del ribasso indicato in 
sede di gara, anche in relazione all�utile conseguito in concreto nei mesi in cui l�appellante 
ha potuto gestire il servizio. 
Il suddetto parametro deve, comunque, essere ridotto in considerazione del fatto che, nel caso 
di annullamento dell'aggiudicazione di appalto pubblico e di certezza dell'aggiudicazione in 
favore del ricorrente, come nella specie, il mancato utile spetta nella misura integrale solo se 
si dimostra di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione 
in vista dell'aggiudicazione. 
In difetto di tale dimostrazione, che compete comunque al concorrente fornire, � da ritenere 
che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o 
servizi e da qui la decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum 
vel percipiendum, considerato anche che, ai sensi dell'art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale 
dovere di non concorrere ad aggravare il danno (cfr. Consiglio di Stato, questa Sezione, 
20 aprile 2012, n. 2317). 
Pertanto, � pienamente ragionevole stabilire una detrazione dal risarcimento del mancato utile 
nella misura del 50%. 
Quanto alla residua questione relativa alla deroga pattizia all�entit� degli interessi per ritardato 
pagamento, il Collegio rileva che effettivamente tale deroga, in quanto contrastante con l�art. 
7 del d. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, � nulla e tale nullit� pu� essere rilevata d�ufficio incidentalmente 
ai fini di stabilire l�entit� del risarcimento del danno e, in particolare la sussistenza 
e l�entit� della mora che, nella responsabilit� aquiliana � prevista dall�art. 1219 c.c. 
Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l�appello deve essere accolto, con conseguente 
risarcimento del danno ai sensi della motivazione, maggiorato di interessi e rivalutazione. 
Per liquidare l�obbligazione di risarcimento del danno da fatto illecito, infatti, il giudice deve 
effettuare una duplice operazione; innanzitutto va reintegrato il danneggiato nella stessa situazione 
patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto, dovendosi 
cos� provvedere alla rivalutazione del credito, cio� alla trasformazione dell�importo 
del credito originario in valori monetari correnti alla data in cui � compiuta la liquidazione 
giudiziale; normalmente questa operazione viene effettuata avvalendosi del coefficiente di rivalutazione 
elaborato dall�Istat, applicando l�indice dei prezzi al consumo per famiglie di ope



rai e impiegati, se non dimostrato un diverso indice di rivalutazione. 
In secondo luogo, dovr� calcolarsi il cd. danno da ritardo, utilizzando il metodo consistente 
nell�attribuzione degli interessi (c.d. compensativi), da calcolare secondo i criteri gi� fissati 
dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 1712/95), secondo cui gli interessi (ad un tasso non 
necessariamente corrispondente a quello legale) vanno calcolati dalla data del fatto non sulla 
somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bens� sulla somma originaria rivalutata 
anno dopo anno, cio� con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta 
somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria. 
Le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. 


P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando 
sull�appello come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l�effetto, in riforma della sentenza 
impugnata, condanna il Comune resistente al pagamento delle somme indicate in motivazione 
a titolo di risarcimento del danno, ai sensi dell�art. 34, comma 4, c.p.a. 
Condanna il Comune appellato alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, 
spese che liquida in euro 8.000,00, oltre accessori di legge. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2012. 


Provvedimento disciplinare inflitto a magistrato ordinario 

(TAR Lazio, Sez. I quater, sentenza 23 aprile 2013 n. 4064) 

Giustina Noviello* 

In materia di impugnazione di atti ministeriali esecutivi di trasferimento disciplinare di magistrato 
ordinario, sussiste la giurisdizione esclusiva delle Sezioni Unite della Cassazione, 
ai sensi degli artt. 24 d.lgvo n. 109/2006 e 17, co. 3, l. n. 195/1958. 

Con la sentenza 23 aprile 2013 n. 4064, il Tar Lazio (Sezione I-Q) prende 
posizione, in modo chiaro e puntuale, su questione delicata e nuova per il giudice 
amministrativo: la giurisdizione in tema di esecuzione dei provvedimenti 
disciplinari adottati nei confronti dei magistrati ordinari e, segnatamente, dei 
trasferimenti disciplinari (nella specie, si trattava di ricorso proposto da giudice 
della sezione fallimentare del tribunale di Roma, avverso gli atti ministeriali 
esecutivi della sanzione accessoria del trasferimento presso il tribunale de 
l'Aquila, inflitta - unitamente alla sanzione della perdita di anzianit� di sei 
mesi - con sentenza della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della 
Magistratura, passata in giudicato). 

Sembra opportuna una breve riflessione preliminare: la materia disciplinare, 
da sempre punto nodale e di particolare pregnanza nel settore del pubblico 
impiego, assume connotazioni di estrema rilevanza quando si tratta della 
magistratura: se la violazione degli obblighi inerenti la prestazione lavorativa, 
integrante ipotesi di illecito disciplinare, deve sempre essere perseguita con 
immediatezza e seriet� dall'Amministrazione datore di lavoro pubblico, tali 
esigenze (di celerit� ed efficacia) sono presenti in maniera assolutamente potenziata 
quando a commettere un illecito disciplinare sia un magistrato; questa, 
in sintesi, la "ratio" della peculiare disciplina, prevista sia in relazione alla fase 
procedurale (di competenza della Sezione disciplinare del CSM ed avente natura 
giurisdizionale), sia per la relativa tutela giudiziaria (con giurisdizione 
esclusiva delle Sezioni Unite della Cassazione, ai sensi dell'art. 24 d.lgvo 23 
febbraio 2006 n. 109). 

Ora, il caso di specie attiene al segmento finale - ma non per questo meno 
rilevante dal punto di vista pratico - della esecuzione della sanzione irrogata: 
il magistrato ricorrente aveva impugnato dinanzi al Tar Lazio gli atti ministeriali, 
adottati ai sensi dell'art. 17 1.n. 195 de1 1958, per l�esecuzione del trasferimento 
disciplinare. 

La Difesa erariale ha eccepito il difetto di giurisdizione sotto un doppio 
aspetto: per essere impugnato, quale atto presupposto, ancora una volta il tra


(*) Avvocato dello Stato. 


sferimento sanzione disciplinare; e perch� lo stesso decreto ministeriale attuativo 
partecipa della natura giurisdizionale dell'atto cui da esecuzione. 

Infatti, da un lato, pur in presenza di forrnale impugnazione del provvedimento 
ministeriale di esecuzione del trasferirnento disciplinare, la ricorrente 
ha contestato (quale atto presupposto del decreto ministeriale) proprio la decisione 
della sezione disciplinare, ormai in giudicato. 

Pertanto, � stato eccepito il difetto di giusrisdizione del giudice amministrativo, 
sussistendo in materia la giurisdizione della Cassazione a Sezioni 
unite, ai sensi dell'art. 24, D.Lgvo n. 109/2006 (ove si stabilisce, al comma 1, 
che il magistrato incolpato pu� proporre <contro i provvedimenti in materia 
di sospensione cautelare di cui agli artt. 21 e 22 ... ricorso per cassazione, nei 
termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale>; e al comma 2 
che <La Corte di Cassazione decide a sezioni unite civili, entro sei mesi dalla 
data di proposizione del ricorso> (1); con conseguente impossibilit� per il giudice 
amministrativo di adottare, nella specie, misure cautelari, giusta l'art. 10, 
comma 2, C.P.A.(norma che, come noto, impedisce l'adozione di provvedimenti 
cautelari, se il giudice "non ritiene sussistente la propria giurisdizione"). 

D'altra parte, quanto considerato per il trasferimento sanzione disciplinare, 
vale anche per il conseguente provvedimento ministeriale inerente la 
presa di possesso. 

In tal senso, si � richiamata la pur risalente pronuncia delle Sezioni Unite 
Civili della Suprema Corte di Cassazione n. 9751 del 1983, la quale, in un 
caso di sospensione disciplinare dalle funzioni e dallo stipendio adottata dalla 
Sezione disciplinare del C.S.M., ha affermato che: "L'esperibilit� del ricorso 
alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, avverso i provvedimenti in materia 
disciplinare riguardanti i magistrati, secondo la previsione dell'art. 17 
terzo comma della legge 24 marzo 1958 n. 195, va riconosciuta tanto per le 
statuizioni della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, 
quanto per i decreti del Capo dello Stato adottati in conformit� di dette 
statuizioni, vertendosi in tema di atti di natura giurisdizionale, congiuntamente 
incidenti sulle posizioni soggettive coinvolte dal procedimento disciplinare". 

Pertanto, ogni questione relativa a provvedimenti meramente attuativi 
delle statuizioni della Sezione disciplinare spetta alla cognizione delle Sezioni 
Unite della Corte di Cassazione, in ragione della natura giurisdizionale del 
provvedimento. 

La natura meramente attuativa degli eventuali decreti ministeriali successivi 
alla pronuncia disciplinare � confermata anche da un'altra pronuncia di 
codeste Sezioni Unite della S.C., la quale afferma che: "In tema di procedi


(1) In virt� dell�assetto normativo indicato nel testo devono applicarsi per la fase introduttiva le 
norme processuali penali e per quella attinente al giudizio quelle processuali civili (sul punto: Cass. Sez. 
Un. 11 dicembre 2007, n. 25815). 


mento disciplinare a carico di magistrati, i provvedimenti cautelari provvisori 
(sospensione dallo stipendio e dalle funzioni), essendo destinati ad operare 
durante il tempo necessario ad accertare il merito dell'incolpazione e volti a 
far cessare immediatamente comportamertti lesivi del prestigio della funzione, 
sono esecutivi anche se impugnati con ricorso alle Sezioni Unite della Corte 
di Cassazione; l�indicata natura cautelare dei suddetti provvedimenti esclude 
altres� che l'operativita degli stessi possa essere condizionata dalla emanazione 
del relativo decreto ministeriale di sospensione, decreto che, potendo 
essere adottato anche a notevole distanza di tempo dalla delibera della sezione 
disciplinare del C.S.M., ne vanificherebbe le finalit� cautelari, essendo, peraltro, 
inipotizzabile l�incidenza di un atto dovuto del potere esecutivo (quale 
l'adozione del provvedimertto di sospensione) sulla immediata efficacia di 
provvedimenti di natura giurisdizionale quali quelli adottati dalla Sezione disciplinare 
del C.S.M." (Cass. Sez. Un. 30 luglio 1998 n. 7477). 

Nella decisione in commento, il Tar Lazio declina la giurisdizione del 
giudice amministrativo in caso di provvedimenti ministeriali inerenti la fase 
esecutiva, in base al combinato disposto degli artt. 24 del d.lgs. n. 109 del 
2006 e 17, comma 3, della legge n. 195 del 1958: �� la prima disposizione 
afferma la giurisdizione delle SS.UU. quanto alle sentenze rese in fase disciplinare, 
e la seconda quanto a qualsivoglia altro atto conseguente, quando 
assunto nelle forme del d.P.R. o del D.M.". 

Sulla questione della natura giuridica degli atti ministeriali impugnati, la 
sentenza sceglie una via intermedia, argomentando che "... anche senza arrivare 
ad affermare che i decreti del Capo dello Stato, ovvero del Ministro, condividano 
tale natura (sul punto, peraltro, Cass. SS.UU. n. 975 del 1983, alla 
cui statuizione sulla giurisdizione si conforma oggi questo Tribunale), in ogni 
caso essi si profilano attuativi del comando giurisdizionale, piuttosto che meramente 
amministrativi. Non � in discussione, infatti, una qualche forma di 
esercizio della discrezionalit� amministrativa, ma la dovuta esecuzione di una 
sentenza resa dalla Sezione disciplinare, con cui � stato predeterminato il contenuto 
dell'atto". 

Tar Lazio, Sezione I quater, sentenza 23 aprile 2013 n. 4064 -Pres. Elia Orciuolo, Est. 
Marco Bignami - C.S. (avv.to Mario Sanino) c. Ministero della Giustizia (Avv. Stato). 

FATTO e DIRITTO 

1. Con ricorso notificato il 6 marzo 2013, e depositato il successivo 8 marzo, la ricorrente, 
magistrato in servizio presso il Tribunale di Roma, impugna e chiede la sospensione cautelare 
del decreto del Ministro della giustizia del 7 gennaio 2013, con il quale se ne � disposto il trasferimento 
al Tribunale dell�Aquila, nonch� del provvedimento del 27 febbraio seguente, con 
cui si � assegnato termine per assumere le funzioni presso tale sede. 
Si contesta, anzitutto, la legittimit� del decreto di trasferimento, atteso che esso fa seguito ad 





una pronuncia disciplinare che non sarebbe definitiva: � stato infatti proposto ricorso innanzi 
alla Corte di Strasburgo, al fine di far constare violazioni della CEDU verificatesi nella fase 
del giudizio. 
In secondo luogo, si impugna per violazione di legge ed eccesso di potere la indicazione, ai 
fini della presa di possesso, del termine ordinario previsto dall�art. 10 del R.d. 30 gennaio 
1941, n. 12. 


2. Alla camera di consiglio del 4 aprile 2013 le parti hanno rinunciato ai termini a difesa, al 
fine di consentire la trattazione del merito del ricorso alla presente udienza. Parte ricorrente 
ha contestualmente rinunciato alla domanda cautelare. 
3. Il ricorso � inammissibile per carenza di giurisdizione, secondo quanto esattamente eccepito 
dall�Avvocatura dello Stato. 
Il trasferimento della dott. S. � stato disposto in esecuzione della sentenza resa dalla Sezione 
disciplinare del Consiglio in data 9 marzo 2012, e divenuta definitiva a seguito di infruttuoso 
ricorso in Cassazione. 
All�esito del giudizio, la ricorrente ha subito le sanzioni della perdita di anzianit� per sei mesi 
e quella del trasferimento al Tribunale dell�Aquila con funzioni di giudice: la sentenza precisa 
che quest�ultima previsione, come del resto ovvio, costituisce sanzione disciplinare accessoria, 
ai sensi dell�art. 13 (rectius: art. 13, comma 1) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109. 
Non � dubitabile che, ai sensi dell�art. 24 di quest�ultimo testo normativo, la giurisdizione a 
conoscere delle impugnative contro le sentenze pronunciate dalla Sezione disciplinare spetti 
alle S.U. della Corte di Cassazione. 
Altra sezione di questo Tribunale, in particolare, ha di recente promosso questione di legittimit� 
costituzionale con riferimento all�attribuzione della giurisdizione al medesimo supremo giudice, 
ma esclusivamente nei casi in cui il trasferimento ad altra sede del magistrato sottoposto 
a procedimento disciplinare sia stato adottato in via cautelare o comunque provvisoria. Si tratta 
di ipotesi gi� a prima vista del tutto diversa da quella per cui pende l�odierno giudizio. 
Ci� detto, il Tribunale osserva che la giurisdizione non pu� certamente radicarsi innanzi al 
giudice amministrativo, ove venga impugnata non la sentenza disciplinare, ma il decreto ministeriale 
che � tenuto a recepirne il contenuto, e che costituisce anch�esso un �provvedimento 
in materia disciplinare�: come � noto, l�art. 17, comma 3, della legge 24 marzo 1958, n. 195 
riconosce in tal caso la giurisdizione delle S.U. 
Ci� avviene operando un rinvio, sia pure limitato ai provvedimenti di carattere disciplinare, 
a tutti gli atti indicati dal comma 1, ovvero non soltanto alle deliberazioni del Consiglio, ma 
anzitutto ai decreti del Presidente della Repubblica, o del Ministro, che conferiscono loro 
forma legale. 
Il coordinamento tra l�art. 24 del d.lgs. n. 109 del 2006 e l�art. 17, comma 3, della legge n. 
195 del 1958 � dunque immediato: la prima disposizione afferma la giurisdizione delle S.U. 
quanto alle sentenze rese in fase disciplinare, e la seconda quanto a qualsivoglia altro atto 
conseguente, quando assunto nelle forme del d.P.R. o del D.M. 
Come � noto, la scelta normativa di rivestire di tale forma le delibere del Consiglio si inserisce 
in quella forte corrente di ridimensionamento dell�autonomia costituzionale dell�organo di 
autogoverno, dalla quale mosse il legislatore del 1958, in un�epoca di ripiegamento rispetto 
agli ideali del Costituente. Ben si comprende, dunque, che in una prima fase dell�attivit� legislativa 
di attuazione della Costituzione non si sia preso le distanze dal tradizionale modello 
di inquadramento degli atti concernenti il personale di magistratura quali atti riconducibili, 
nella forma, a manifestazioni del potere esecutivo, o presidenziale. 



In seguito, si � tuttavia definitivamente chiarita la autonoma collocazione del Consiglio nel 
tessuto dell�ordinamento, quale soggetto titolare di una propria quota di potere costituzionale, 
tanto che oramai se ne ritengono pacificamente impugnabili le delibere. 
Tuttavia, la formulazione dell�art. 17 non � mutata, ed ha continuato ad investire, piuttosto che 
le delibere del Consiglio, i provvedimenti del Capo dello Stato, o del Ministro, che le recepiscono: 
alla luce di ci�, trova conferma la conclusione, secondo cui tale disposizione non solo 
non � stata tacitamente abrogata (del resto, il primo comma dell�art. 17 � a tutt�oggi oggetto di 
richiamo da parte dell�art.135, comma 1, lett. a c.p.a.), ma continua pienamente ad operare unitamente 
all�art. 24 del d.lgs. n. 109 del 2006, che ha invece cura di regolare la giurisdizione 
con diretto riferimento ad un atto dell�organo di autogoverno, quale � la sentenza disciplinare. 
Del resto, questa soluzione normativa ben si giustifica in ragione dell�opportunit� di concentrare 
presso un unico giudice ogni controversia attinente alla materia disciplinare, la cui specificit� 
discende dal carattere giurisdizionale delle pronunce della Sezione competente del Consiglio 
(Cass. S.U., ordinanze nn. 19566 e 19568 del 2011; id., ordinanza n. 21122 del 2012). 
Anche senza arrivare ad affermare che i decreti del Capo dello Stato, ovvero del Ministro, 
condividano tale natura (sul punto, peraltro, Cass. S.U. n. 975 del 1983, alla cui statuizione 
sulla giurisdizione si conforma oggi questo Tribunale), in ogni caso essi si profilano attuativi 
del comando giurisdizionale, piuttosto che meramente amministrativi. Non � in discussione, 
infatti, una qualche forma di esercizio della discrezionalit� amministrativa, ma la dovuta esecuzione 
di una sentenza resa dalla Sezione disciplinare, con cui � stato predeterminato il contenuto 
dell�atto. 
I problemi del tutto specifici che la fattispecie disciplinare comporta, quindi, sono propri e 
della fase decisoria, e della fase esecutiva, alla quale ultima debbono ricondursi sia il decreto 
ministeriale che dispone il dovuto trasferimento, sia il conseguente decreto che prescrive la 
presa di possesso, e che solo apparentemente, in questo caso peculiare, conquista una propria 
autonomia. 
Esso, infatti, � anello necessario ai fini dell�esecuzione della sentenza disciplinare, e condivide 
con il decreto ministeriale di trasferimento la natura di �provvedimento in materia disciplinare� 
ai sensi dell�art. 17, comma 3, della l. n. 195 del 1958 sopra citata: ogni dilazione dei 
termini per l�assunzione delle funzioni cui si � stati destinati dalla Sezione disciplinare, infatti, 
non � in linea astratta estranea agli interessi rilevanti nell�ambito del relativo giudizio, e dei 
quali conoscono in sede giurisdizionale le S.U. 
Difatti, l�art. 10 dell�ordinamento giudiziario consente al Ministro di abbreviare il termine ordinario 
per la presa di possesso, pari a 30 giorni, ovvero di prorogare per non oltre 6 mesi 
l�esercizio delle funzioni nelle quali il magistrato � gi� immesso. 
Ma, nell�ipotesi in cui il trasferimento alla nuova sede abbia natura di sanzione disciplinare, 
un qualsivoglia prolungamento della permanenza del magistrato condannato presso la sede 
originaria compromette l�immediata efficacia della sanzione stessa. Perci�, appare del tutto 
congrua la scelta del legislatore di affidare anche le controversie che ne possano nascere alle 
Sezioni Unite, che hanno giurisdizione sul provvedimenti in materia disciplinare. 
Non spetta a questo Tribunale dilungarsi su di un profilo attinente al merito della controversia, 
ma ugualmente non � improprio osservare incidentalmente che, a fronte dell�obbligo di eseguire 
la sanzione disciplinare, � persino dubitabile che il Ministro possa concedere il posticipato 
possesso per �ragioni di servizio�, posto che nel caso di specie non si tratta di bilanciare 
le esigenze contrapposte degli uffici giudiziari coinvolti, ma piuttosto di porre in esecuzione, 
senza margine di discrezionalit�, la sanzione disciplinare. 


Avanti alla suprema Corte il ricorso potr� essere riassunto, nel termine perentorio di tre mesi 
indicato dall�art. 11 del c.p.a. 

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in euro 2500,00, di cui 1500,00 per onorari, 
750,00, per diritti ed il residuo per spese, oltre accessori di legge. 

P.Q.M. 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) 
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, 
Dichiara il proprio difetto di giurisdizione, a favore delle S.U. della Corte di Cassazione. 
Condanna la ricorrente a rifondere le spese, che liquida in euro 2500,00, oltre accessori di 
legge, come in motivazione. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2013. 


pareri comitato consultivo
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Appalto di opere pubbliche: modalit� di cessione del credito 
vantato verso una P.A. 

(Parere prot. 82016 del 21 febbraio 2013, AL 12228/11, avv. ENRICO DE GIOVANNI) 

Con riferimento alla richiesta di parere datata 21 dicembre 2012 si osserva 
quanto segue. 

La giurisprudenza della Suprema Corte ritiene, costantemente, che il principio 
generale recato dall�art. 9 della l. 20 marzo 1865, nr. 2248, All. E, secondo 
cui la cedibilit� del credito vantato verso una P.A. � sottoposta alla 
previa accettazione da parte di quest�ultima, opera solo fino al momento in 
cui il contratto � in corso e cessa con la conclusione del rapporto contrattuale 
che, in tema di appalto di opere pubbliche, pu� ritenersi realizzata a seguito 
dell�espletamento e dell�approvazione da collaudo. (cfr., ex multis, C. Cass. 
sez. 1�, sent. 11475 dell�8 maggio 2008). 

Nel caso di specie, quindi, la norma, nella parte in cui richiede l�assenso 
alla cessione, non risulta, effettivamente, applicabile. 

Resta tuttavia applicabile, nella fattispecie, l�art. 69 del R.D. 18 novembre 
1923, nr. 2440 secondo il quale �le cessioni � relative a somme dovute dallo 
Stato � debbono essere notificate all�Amministrazione � cui spetta ordinare 
il pagamento�. 

Si rileva peraltro che recentemente la necessit� della notifica alle P.A. 
degli atti di cessione del credito con riferimento al settore dei contratti relativi 
ai lavori pubblici � stata ribadita dall�art. 117 del d. lgs. 163 del 2006 (cfr. 
comma 2: �2. Ai fini dell�opponibilit� alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni 
pubbliche, le cessioni di crediti devono essere stipulate mediante 
atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere notificate alle 
amministrazioni debitrici�), disposizione che comunque non ha abrogato il 
citato art. 9 l. 2248/1865 e che non esclude l�applicazione degli artt. 69 e 70 
del R.D. 18 novembre 1923, nr. 2440 (cfr. C. Cass. sez. I, sent. n. 19571/07), 


e ci� a prescindere da ogni considerazione, ultronea in questa sede, circa l�applicabilit� 
al caso in esame della norma speciale di cui al citato art. 117. 

Fermo quanto sopra, si osserva che anche la L. s.p.a., che afferma di essere 
la cessionaria del credito controverso, da quanto emerge dalla nota a cui 
si d� riscontro sembra in sostanza riconoscere la necessit� della notifica del-
l�atto di cessione all�Amministrazione ceduta, ma pretende che essa riguardi 
non l�atto di cessione del credito in quanto tale, ma possa validamente esercitarsi 
per equivalente attraverso �un atto pubblico ricognitivo della scrittura 
privata di compravendita del 21 marzo 2012, da redigere a cura di un Notaio, 
nel quale non verr� riportato il prezzo d�acquisto�. 

La pretesa esposta dalla citata societ� non � meritevole di accoglimento. 

Il combinato disposto degli artt. 69 e 70 del citato R.D. 2440/23, infatti, va 
interpretato, a giudizio della Scrivente, in termini puntuali e rigorosi, trattandosi 
di norme intese ad apprestare una tutela speciale e peculiare al pubblico interesse. 

L�art. 69, infatti, oltre a statuire il ricordato obbligo di notificazione, tratta, 
in modo strettamente connesso al tema della notifica, della forma dell�atto di 
cessione, specificando (comma terzo), che �le cessioni � devono risultare da 
atto pubblico o da scrittura privata, autenticata da notaio� ( disposizione che 
trova sostanziale conferma nel citato art. 117 del d. lgs. 163 del 2006, che si 
richiama qui sempre nei sensi sopra segnalati); siffatta previsione va interpretata 
non solo nel senso che l�atto di cessione va redatto nelle predette modalit�, 
ma anche nel senso che esso debba �risultare� da atto pubblico o da scrittura 
privata autenticata, notificato alla P.A.. 

L�uso del verbo �risultare� appare palesemente inteso a far s� che la P.A. 
possa direttamente e immediatamente verificare l�atto di cessione nella sua 
veste documentale e giuridica originale (ancorch� per copia conforme notificata), 
accertando cos� che esso sia effettivamente redatto nelle forme e con i 
contenuti di legge e non presenti vizi o comunque contenuti che possano determinarne 
la nullit�, annullabilit� o inefficacia: solo in tal modo la cessione 
potr� �risultare� da atto pubblico o scrittura privata autenticata e la norma in 
esame potr� spiegare i propri effetti. 

Inoltre l�art. 70 specifica i contenuti necessari dell�atto di cessione, che evidentemente 
vanno verificati da parte dell�Amministrazione all�atto della notifica. 

A ci� si aggiunga che anche in tutte le altre norme citate appare evidente il 
nesso tra l�atto pubblico o la scrittura privata autenticata recante la cessione e la 
notifica, che deve palesemente riguardare l�atto stesso e non un suo equivalente. 

Non si ritiene, quindi, che i contenuti del contratto di cessione possano 
risultare aliunde, cio� attraverso un altro e diverso documento in cui vengono 
riportati, per di pi� in modo parziale, i contenuti del contratto di cessione. 

Pertanto la societ� che afferma di essere cessionaria del credito dovr� notificare 
a codesta Amministrazione copia conforme dell�atto di cessione, a 
nulla rilevando la pendenza del giudizio. 


Pertanto allo stato ogni eventuale trattativa volta a soluzione transattiva 
dovr� essere svolta solo con � La M. s.c.a.r.l.�; qualora in futuro dovesse intervenire 
la notifica della cessione del credito e tale cessione risulti validamente 
eseguita, ogni conseguente rapporto dovr� aver luogo solo verso la cessionaria. 

Sul predetto parere si � espresso in senso conforme il Comitato Consultivo 
in data 13 febbraio 2013. 

Prevalenza del criterio di specialit� per le assunzioni a tempo 
indeterminato presso l�AGCM 

(Parere prot. 108709 del 9 marzo 2013, AL 25031/12, avv. AGNESE SOLDANI) 

L�art. 66, comma 7 D.L. 112/2008, convertito in l. 133/2008 e poi modificato 
dall�art. 9 comma 5 d.l. 78/2010 convertito con modificazione nella l. 
122/2010, ha introdotto per il quadriennio 2010-2013 il c.d. blocco del turn 
over, facendo divieto alle amministrazioni di procedere ad assunzione di personale 
a tempo indeterminato oltre il limite del 20% delle unit� cessate nel-
l�anno precedente e per una spesa superiore al 20% di quella relativa al 
personale cessato nell�anno precedente. 

Il comma 11 del medesimo art. 66 ha stabilito che tale limite si applica 
anche al personale elencato nell�art. 3 D.Lgs 165/2001, elenco nel quale rientrano 
anche i dipendenti dell�Autorit�. 

Successivamente il D.L. 1/2012 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, 
lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivit�), convertito in l. 27/2012, ha 
conferito all�Autorit� garante della Concorrenza e del mercato l�esercizio di 
nuove competenze, consistenti nella emanazione di pareri obbligatori sugli 
schemi dei regolamenti di delegificazione di cui all�art. 1, comma 3 del medesimo 
D.L. e sugli schemi di delibera degli enti locali di cui all�art. 4, comma 
2 D.L 138/2011 relative all�attribuzione dei diritti di esclusiva nella gestione 
di servizi pubblici locali non liberalizzabili (art. 25), nonch� sulla eventuale 
motivata scelta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di affidare 
senza gara il servizio di gestione automatizzata dei pagamenti dei corrispettivi 
dovuti dall'utenza per le pratiche automobilistiche e dei servizi connessi (art. 
86). Inoltre ha conferito all�Autorit� nuovi poteri di accertamento e sanziona-
tori in ordine alla vessatoriet� delle clausole inserite nelle condizioni generali 
di contratto stipulate tra professionisti e consumatori (art. 5); nonch� in ordine 
al rispetto delle nuove prescrizioni in tema di stipulazione dei contratti tra professionisti, 
con particolare riguardo a quelli che hanno ad oggetto la cessione 
dei prodotti agricoli e alimentari (art. 62). 


L�art. 5 bis, comma 3 del medesimo D.L. n. 1/2012 ha inoltre stabilito: 

�In ragione delle nuove competenze attribuite all'Autorit� garante della 
concorrenza e del mercato in base agli articoli 1, 5, 25, 62 e 86 del presente 
decreto, la pianta organica dell'Autorit� � incrementata di venti posti. Ai relativi 
oneri si provvede con le risorse di cui al comma 7-ter dell'articolo 10 della 
legge 10 ottobre 1990, n. 287, introdotto dal comma 1 del presente articolo�. 

Il comma 7 ter dell�art. 10 l. 287/1990 a sua volta disciplina il nuovo sistema 
di finanziamento dell�Autorit�, interamente affidato ai contributi obbligatori 
delle imprese maggiori. 

In attuazione dell�art. 5 bis comma 3, che ha disposto l�aumento di organico 
dell�Autorit�, � stato emanato, ai sensi dell�art. 11 comma 1 della legge 
287/1990 istitutiva dell�Autorit� medesima (1), il DPCM del 21 dicembre 
2012 che ha modificato, in aumento, la pianta organica dell�Autorit� effettuando 
la ripartizione delle 20 nuove unit� in 2 unit� dirigenziali, 16 unit� di 
funzionario e 2 unit� con qualifica di operativo. 

Codesta Autorit� ha chiesto alla Scrivente se la disposizione relativa al 
blocco del turn over possa ritenersi derogata, quanto meno limitatamente alle 
venti nuove unit� di cui all�art. 5 bis D.L. 1/2012, in considerazione del fatto 
che l�aumento di organico � intervenuto in epoca successiva rispetto alla previsione 
del predetto blocco ed in ragione del nesso tra l�ampliamento di organico 
e l�attribuzione delle nuove competenze che devono essere da subito 
esercitate dall�Autorit�. 

Al quesito posto si ritiene che possa darsi risposta positiva. 

La ratio giustificatrice del disposto aumento di organico � chiaramente 
riconnessa alla esigenza di svolgere le nuove, impegnative, competenze previste 
dal D.L. n. 1/2012 e dunque contiene l�implicito riconoscimento della 
inadeguatezza della struttura preesistente dell�Autorit� - sotto il profilo della 
dotazione organica - a farvi fronte. 

Se dunque l�intento del legislatore era quello di corredare l�Autorit� Garante 
della Concorrenza e del Mercato della dotazione organica necessaria a 
far fronte ai nuovi compiti istituzionali affidatile, un simile intento verrebbe 
evidentemente sacrificato ove quella dell�aumento dell�organico rimanesse 
una mera previsione astratta, alla quale non fosse possibile dare concretamente 
corso in virt� dell�applicazione della disciplina sul blocco del turn over. 

Deve invece ritenersi che proprio l�aver riconnesso l�aumento di organico 
all�attribuzione delle nuove competenze comporta che detto aumento � stato 
visto dal legislatore come strumentale alla concreta realizzabilit� dei compiti 
affidati all�Autorit� e dunque, in ultima analisi, alla esigibilit� degli stessi, attesa 
la loro urgenza ed indifferibilit�. 

(1) �Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri � istituito un apposito ruolo del personale 
dipendente dell'Autorit��. 


In un simile contesto, l�art. 5 bis citato, nel disporre l�aumento dell�organico 
dell�Autorit� di 20 unit�, si configura, ad avviso di quest�Avvocatura, 
come norma speciale rispetto al generale blocco del turn over disposto dall�art. 
66, comma 7 D.L. 112/2008 e, in quanto tale, deve ritenersi sottratta alla sua 
disciplina. 

Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo che si � espresso in 
conformit�. 

Interpretazione art. 1, co. 19 e segg., L. 190/2012 in materia di 
arbitrato dei lavori pubblici 

(Parere prot. 109574 dell�11 marzo 2013, AL 1035/13, avv. ETTORE FIGLIOLIA) 

Con riferimento al quesito di cui alla nota che si riscontra, inerente alla 
corretta interpretazione da riservarsi all�art. 1 comma 19 e segg. della Legge 

n. 190/2012 del 6 novembre 2012, entrata in vigore il 28 novembre 2012, che 
detta �una nuova disciplina in materia di arbitrato dei lavori pubblici, prevedendo 
in via generale la nullit� delle clausole compromissorie non previamente 
autorizzate, con provvedimento motivato, dall�organo di governo 
dell�amministrazione�, si ritiene di dover valutare quanto segue. 

Preliminarmente deve evidenziarsi, in via generale, che la Corte di Cassazione 
ha gi� avuto modo di chiarire in materia di clausole compromissorie incise 
da sopravvenuti divieti legislativi in punto di deferimento ad arbitri di controversie 
con la Pubblica Amministrazione, che dette clausole non sono da considerarsi 
retroattivamente nulle ma, similmente alla disciplina concernente i casi 
analoghi di rapporti di durata, le stesse debbono ritenersi esclusivamente inefficaci 
dal momento in cui �, appunto, legislativamente stabilito il predetto divieto. 

Ed invero, alla stregua del principio costituzionale di portata generale di 
cui all�art. 102 Cost., sulla base del quale l�esercizio della funzione giurisdizionale 
� devoluto a magistrati ordinari istituiti ai sensi delle norme sull�ordinamento 
giudiziario, la facolt� per le parti di compromettere ad arbitri la 
risoluzione di una controversia costituisce espressione dell�autonomia delle parti 
stesse, sicch� la sopravvenienza legislativa recante la proibizione per le parti 
medesime del ricorso all�arbitrato non si risolve in una indebita compressione 
del diritto di difesa sancito dall�art. 24, comma 1, Cost., residuando pur sempre 
in capo alle stesse parti la possibilit� di adire gli organi della giurisdizione ordinaria, 
onde conseguire piena tutela giurisdizionale alle situazioni soggettive di 
titolarit� ex art. 113 Cost. (sez I, 27 aprile 2011, n. 9394). Quindi, ha ritenuto la 
Corte di Cassazione, e proprio in materia di sopravvenuto divieto legislativo alla 


compromissione ad arbitri delle controversie con la Pubblica Amministrazione, 
che, in carenza di specifiche norme di natura transitoria di salvezza delle precedenti 
pattuizioni convenzionali, non vi � la possibilit� sul piano giuridico di opinare 
la perpetuazione dell�efficacia delle previste clausole compromissorie, 
posto che l�intervento normativo in parola ha proprio lo scopo di sancirne l�inefficacia 
per il futuro, e senza che possa porsi alcun problema di retroattivit� o di 
ragionevolezza rispetto ad una ipotizzata deroga all�art. 11 delle Preleggi. 

Tali principi, tra l�altro, risultano in piena sintonia con la giurisprudenza 
(Cass. Civ., sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1689) che ha statuito che laddove intervenga 
nel corso di un rapporto contrattuale una nuova disposizione di legge 
che regoli il rapporto stesso in maniera difforme rispetto alla pattuizione originaria, 
questa non potr� pi� produrre effetti che non siano quelli gi� prodottisi, 
in quanto, ai sensi dell�art. 1339 c.c, lo �ius superveniens� prevale sulle previsioni 
contrattuali espressione dell�autonomia delle parti. 

Orbene, alla stregua di quanto test� considerato, la sopravvenienza della 
norma di legge di cui all�art. 1, co. 19, l. n. 190/2012, che prevede che �Le controversie 
sui diritti soggettivi, derivanti dall�esecuzione dei contratti pubblici 
relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazioni e di idee, comprese 
quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell�accordo bonario previsto 
dall�articolo 240, possono essere deferite ad arbitri, previa autorizzazione motivata 
da parte dell�organo di governo dell�amministrazione. L�inclusione della 
clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell�avviso 
con cui � stata indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nel-
l�invito, o il ricorso all�arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli�, 
deve essere interpretata come diretta a porre, rispetto all�originario contenuto 
del regolamento contrattuale, una nuova norma imperativa condizionante l�autonomia 
contrattuale delle parti nel regolamento del rapporto obbligatorio, essendo 
appunto assente una norma transitoria che preveda l�ultrattivit� della 
previgente disciplina normativa, sicch� la clausola compromissoria contrattualmente 
prevista risulta sostanzialmente interdetta nella relativa operativit�. 

La condivisibilt� di tale interpretazione, trova, ad avviso di questo G.U., 
conforto nella particolare rilevanza che il legislatore attribuisce agli interessi di 
titolarit� delle committenze pubbliche e dei quali risulta permeata la materia relativa 
agli appalti di opere pubbliche, anche in ragione dell�elevato valore delle 
relative controversie e della conseguente entit� dei costi che il ricorso all�arbitrato 
comporta per le amministrazioni interessate, e rispetto ai quali stessi interessi 
l�autonomia privata legittimamente pu� essere compressa posto che, si ripete, in 
capo alle parti private permane pur sempre la facolt� di adire gli organi della giurisdizione 
ordinaria per conseguire il riconoscimento delle proprie istanze. 

Quindi, la prescrizione contenuta nel sopracitato comma 19, che impone 
la previa autorizzazione motivata da parte dell��organo di governo� per il deferimento 
ad arbitri della risoluzione della vertenza, ovvero per l�inclusione 


della clausola compromissoria nel bando o nel contratto, ovvero per il ricorso 
all�arbitrato, introducendo un ragionevole limite all�autonomia privata, interdice 
lo spettro di efficacia delle disposizioni del regolamento pattizio sul punto, 
tutte le volte in cui detta autorizzazione dell�organo di governo medesimo non 
intervenga coerentemente con la previsione normativa in rassegna. 

Ci� premesso, va ora osservato che la nuova disciplina di cui al citato 
comma 19 � assistita da una disposizione regolante il regime transitorio laddove, 
al successivo comma 25, � espressamente previsto che: �Le disposizioni 
di cui ai commi 19 e 24 non si applicano agli arbitrati conferiti o autorizzati 
prima della entrata in vigore della presente legge�, sicch� si pone il problema 
interpretativo su quale sia il significato da attribuirsi alla proposizione di �arbitrati 
conferiti o autorizzati�, onde individuare la corretta condotta che la 
committenza deve tenere rispetto alle vigenti fattispecie contrattuali in cui � 
presente la clausola compromissoria ed in cui la parte privata abbia instato per 
il deferimento ad arbitri della controversia, ma senza che si sia ancora costituito 
il collegio arbitrale antecedentemente all�entrata in vigore della presente 
legge, e cio� alla data del 28 novembre 2012. 

Ebbene, detta previsione, alla luce del dato oggettivo che anteriormente 
all�entrata in vigore della legislazione in esame non era consentito individuare 
alla stregua di alcun specifico dato normativo dette tipologie di arbitrati (conferiti 
o autorizzati), sembra potersi interpretare nel senso di �incarichi conferiti 

o autorizzati�, per cui i primi devono intendersi quelli in cui l�Ente abbia operato 
la designazione dell�arbitro anteriormente alla data di entrata in vigore 
della legge in rassegna, e non quindi l�avvenuta costituzione del collegio arbitrale, 
posto che, da un lato, il legislatore non ha fatto nessun specifico riferimento 
a tale ulteriore fase della procedura di che trattasi e, dall�altro lato, a 
prescindere dalla costituzione stessa, con detto conferimento dell�incarico arbitrale 
si � comunque radicato un interesse giuridicamente rilevante nei confronti 
del soggetto nominato che il legislatore stesso ha ritenuto evidentemente 
non suscettibile di compressione. 

Per converso, per arbitrati �autorizzati�, l�esegesi del comma in rassegna 
probabilmente consente di prescindere da una lettura in combinato disposto 
con il precedente comma 19, comma questo che, per la prima volta, qualifica 
il concetto di �arbitrato autorizzato�, a ragione del gi� menzionato dato del 
precedente silenzio del codice degli appalti, del codice civile e della precedente 
normativa di settore di tale tipologia arbitrale. 

Ed allora, alla stregua della esposta superiore esegesi, dovendosi la locuzione 
�arbitrati autorizzati�, di cui al citato comma 25, intendersi come �incarichi 
arbitrali autorizzati�, pu� opinarsi che gli stessi siano quelli per i quali, 
prima dell�entrata in vigore della legge n. 190/12, e cio� prima del 28 novembre 
2012, sia intervenuto il consenso dell�Ente di appartenenza dell�arbitro, 
se del caso da parte dell�Organo di autogoverno. 


Siffatta interpretazione, non solo non eccede il limite di �ragionevolezza� 
di cui si � detto, dato che non determina alcuna indebita compressione del diritto 
di difesa costituzionalmente tutelato dall�art. 24, ma nemmeno si pone in 
contrasto con l�art. 111, comma 2, Cost. (�Ogni processo si svolge nel contraddittorio 
tra le parti, in condizioni di parit�, davanti a giudice terzo e imparziale. 
La legge ne assicura la ragionevole durata�) e con la Convenzione 
europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo, ed in particolare, appunto, 
con il diritto a un tempo ragionevole di durata del processo. 

In altre parole, l�intervento del legislatore sugli arbitrati �conferiti o autorizzati�, 
e cio� degli �incarichi conferiti o autorizzati�, prima dell�entrata 
in vigore della legge in rassegna, parrebbe mirare sostanzialmente ad evitare 
che il diritto costituzionalmente tutelato a un tempo ragionevole di durata del 
processo possa venire leso in tutti quei casi in cui l�esercizio dell�azione di difesa 
si sia comunque realizzato mediante il conferimento dell�incarico di arbitro, 
ovvero mediante l�autorizzazione all�espletamento dell�incarico de quo 
da parte dell�Ufficio o dell�Organo competente, per cui una diversa interpretazione 
del contesto che privasse di effetti giuridici tale operato potrebbe risolversi 
in un grave pregiudizio a carico delle parti private, ed eventualmente 
per la stessa parte pubblica. 

Dunque, tutto ci� premesso e in ordine alla richiesta di parere inerente 
alle �istanze arbitrali� che codesta Anas riferisce che �in data 27 novembre 
2012 sono state notificate�, � opinione di questo G.U. che le predette istanze 
siano utilmente declinabili alla stregua delle considerazioni espresse nella presente 
consultazione, tenuto conto del sopravvenuto quadro normativo, non risultando, 
dagli atti qui trasmessi, intervenuta, anteriormente alla data di entrata 
in vigore della legge n. 190/2012, alcuna nomina arbitrale n� rilasciata alcuna 
autorizzazione all�espletamento dell�incarico di che trattasi. 

Il quesito poi inerente alla nomina degli arbitri rispetto alla previsione 
dei commi 23 e 24 del pi� volte citato art. 1 della L. 190/2012 rimane evidentemente 
assorbito dalle precedenti considerazioni test� espresse nella presente 
consultazione. 

Sulle questioni di cui al presente parere si � espresso in conformit� il Comitato 
Consultivo dell�Avvocatura dello Stato. 


Spese di giustizia: oneri del contributo unificato anche in caso 
di �soccombenza virtuale� 

(Parere prot. 112607 del 12 marzo 2013, AL 21332/11, avv. CARMELA PLUCHINO) 

In riscontro alla nota del 28 novembre 2012, trasmessa a mezzo fax in 
data 3 gennaio 2013, con cui codesta Amministrazione ha richiesto parere in 
merito al rimborso del contributo unificato pagato dal ricorrente, si osserva 
quanto segue. 

Il ricorso proposto dalla societ� � stato dichiarato improcedibile, con sentenza 
TAR Lazio n. 5913/12, per sopravvenuto difetto di interesse, in dipendenza 
dell�avvenuto annullamento da parte di codesto Ministero del provvedimento 
interdittivo 16 marzo 2011; con compensazione delle spese di lite. 

Controparte ha chiesto la rifusione del contributo unificato corrisposto 
per il ricorso e per i �motivi aggiunti�, ai sensi dell�art. 13, co. 6 bis, del DPR 

n. 115/2002, a mente del quale ��L�onere relativo al pagamento dei suddetti 
contributi � dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di 
compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si � costituita in 
giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza si determina con il passaggio in giudicato 
della sentenza. Ai fini del presente comma, per ricorsi si intendono 
quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande 
nuove�. 

Il Consiglio di Stato (sez. III, sentenza n. 4596 del 2 agosto 2011) ha chiarito 
che �L�art. 13, co. 6 bis, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dispone che 
�l�onere relativo al pagamento dei suddetti contributi (contributo unificato) 
� dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione 
giudiziale delle spese e anche se essa non si � costituita in giudizio�. In 
altre parole, la parte soccombente � tenuta in ogni caso a rimborsare a quella 
vittoriosa il contributo unificato da essa versato; ed � chiaro dal contesto della 
norma che si tratta di una obbligazione ex lege sottratta alla potest� del giudice 
di disporne la compensazione ovvero di liquidarne autonomamente l�ammontare 
(poich� quest�ultimo non pu� che corrispondere all�importo versato). 
Nondimeno, si pu� ammettere che, qualora il giudice condanni alle spese la 
parte soccombente liquidando a tal fine un importo genericamente onnicomprensivo 
senza nulla precisare riguardo alla sua compensazione ed ai criteri 
di liquidazione, sia dubbio se quell�importo includa o meno il rimborso del 
contributo unificato comunque dovuto�, aggiungendo che �L�inderogabilit� 
e specialit� dell�art. 13, comma 6-bis, tolgono rilievo alla collocazione della 
disciplina del contributo unificato, contenente la norma in parola, nel titolo 
primo della parte II del Testo unico rubricata �voci di spesa�, nel senso che 
ai fini dell�imposizione dell�onere del rimborso a carico della parte soccombente 
separano nettamente il regime delle spese relative al pagamento del 


contributo stesso da quello riguardante tutte le altre �spese di giustizia�, quali 
ad esempio quelle di notificazione, ricomprese nel concetto delle generiche 
spese legali sostenute dalla parte��. 

Come evidenziato nella Circolare del Segretariato Generale della Giustizia 
amministrativa del 18 ottobre 2011, contenente �Istruzioni sull�applicazione 
della disciplina in materia di contributo unificato nel processo 
amministrativo�, l�art. 13, comma 6-bis, del T.U. n. 115 del 2002 disciplina, 
con il carattere dell�esclusivit�, l�imposizione del contributo unificato nell�ambito 
del processo amministrativo. 

Al lume delle considerazioni che precedono si ritiene fondata la domanda 
di rimborso da parte della ricorrente, pur in presenza della disposta compensazione 
delle spese. 

Ed invero, nel caso di specie appare configurabile una ipotesi di �soccombenza 
virtuale�, avendo l�Amministrazione - a seguito del ricorso e delle 
relative verifiche - riconosciuto, con l�annullamento in autotutela del provvedimento 
interdittivo impugnato, l�errore in cui era incorsa nella valutazione 
del requisito temporale previsto per l�adozione del suddetto provvedimento. 

D�altra parte, la Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 19456 del 15 luglio 
2008) ha chiarito che �La soccombenza, costituendo un�applicazione del principio 
di causalit�, per il quale non � esente da onere delle spese la parte che, 
col suo comportamento antigiuridico (per la trasgressione delle norme di diritto 
sostanziale) abbia provocato la necessit� del processo, prescinde dalle 
ragioni � di merito o processuali � che l�abbiano determinata e dal fatto che 
il rigetto della domanda della parte dichiarata soccombente sia dipeso dal-
l�avere il giudice esercitato i suoi poteri ufficiosi�. 

Pertanto, si ritiene che gravi su codesto Ministero l�onere relativo al pagamento 
del contributo in questione, in quanto parte soccombente, in conformit� 
al disposto dell�art. 13 co. 6-bis succitato. 

Infine, prima di procedere al relativo rimborso, si invita ad acquisire la 
documentazione attestante l�avvenuto versamento degli importi pretesi da controparte 
(non essendo sufficiente la fattura allegata), osservandosi che in calce 
ai �motivi aggiunti al ricorso� lo stesso ricorrente ha dichiarato quanto segue: 
�Non viene corrisposto il contributo unificato in quanto non trattasi di domanda 
nuova, ai sensi dell�art. 13, co. 6 bis, D.P.R. n. 115/2002 e ss.mm.ii.�. 

Pertanto, sembrerebbe dovuto soltanto l�importo versato a titolo di contributo 
per il ricorso introduttivo del giudizio. 

Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo che si � espresso in 
conformit� in data 8 marzo 2013. 


Risarcimento per �danno all�immagine di una P.A� a seguito 
di reati perpetrati da pubblico ufficiale 

(Parere prot. 161064 dell�11 aprile 2013, AL 31171/12, avv. FABRIZIO URBANI NERI) 

Con riferimento alla richiesta di cui alle note di codesto Dicastero 22 agosto 
2012 n. 55/1/17152/12 e successiva nota, non datata, pervenuta il 29 dicembre 
2012, si osserva quanto segue. 

L�art. 17, comma 30-ter, del D.L. 78/2009 (convertito in l. n. 102/2009 e 
successivamente modificato dalla l. 103/2009) prevede l�esperibilit� del-
l'azione per il risarcimento del danno all'immagine �nei soli casi e nei modi 
previsti dall'art. 7 della l. 27 marzo 2001 n. 97�. 

Il richiamato art. 7 cit. stabilisce a sua volta che �La sentenza irrevocabile 
di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'articolo 3 
per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II 
del libro secondo del codice penale � comunicata al competente procuratore 
regionale della Corte dei conti affinch� promuova entro trenta giorni l'eventuale 
procedimento di responsabilit� per danno erariale nei confronti del condannato. 
Resta salvo quanto disposto dall'articolo 129 delle norme di 
attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale�. 

La menzionata normativa si riferisce, pertanto, ai soli �delitti contro la 
pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del 
codice penale di cui all�art. 7 L. n. 97/2001�, come, ad esempio, ai reati per 
corruzione o per concussione commessi dal pubblico ufficiale, mentre sembra 
escludere la configurabilit� d�una responsabilit� contabile del pubblico dipendente 
per danno all�immagine della P.A. a seguito di condanna per altri tipi di 
reato, quali quelli accertati all�esito del processo penale di cui in oggetto, come 
i reati di falso, calunnia e i reati contro la persona. 

Questo Generale Ufficio non ignora, tuttavia, l�esistenza di un indirizzo, 
non consolidato, della giurisprudenza contabile, che tende a far rientrare nel-
l�alveo della risarcibilit� del danno all�immagine anche i fatti dannosi conseguenza 
di altri tipi di reato, non espressamente contemplati dalla citata 
normativa speciale. 

In particolare, nella sentenza n. 809/2012 della I sezione giurisdizionale 
d�Appello della Corte dei Conti, i giudici contabili hanno pronunziato una 
condanna al risarcimento di un danno all�immagine, pur dopo la novella legislativa 
di cui al ripetuto art. 17, comma 30-ter, anche qualora il danno derivi 
non da un reato contro la pubblica amministrazione, bens� da altro tipo di reato. 

In tale pronuncia la Corte dei Conti afferma che l�art. 17, comma 30-ter, 
non indica direttamente i casi in cui pu� essere esercitata l�azione contabile 
per danno all�immagine, ma rinvia ai �casi� e �modi� previsti dall�art. 7 della 
legge 27 marzo 2001, n. 97; e, inoltre, che �tale riferimento implica, da un 


lato, la comunicazione al P.M. contabile della sentenza irrevocabile di condanna 
pronunciata per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti 
nel capo I, titolo II del libro II del codice penale (i �casi� indicati dalla 
norma) e, dall�altro, l�obbligo per il P.M. penale di comunicare al P.M. contabile, 
ex art. 129 delle norme di attuazione del c.p.p., l�esercizio dell�azione 
penale per i reati, di qualsiasi natura, che abbiano cagionato un danno per 
l�erario (i �modi� indicati dal medesimo Legislatore)�. 

Dello stesso tenore � la sentenza n. 335/2012, Corte conti, Sez. Giurisdizionale 
per la Toscana, secondo cui l�art. 7 della legge n. 97 del 2001 andrebbe 
interpretato nel senso che �la norma, mentre col primo periodo mira ad introdurre 
una nuova disciplina per i danni derivanti dai reati contro la pubblica 
amministrazione, si preoccupa, con il secondo periodo, di mantenere ferma, 
per gli altri reati, la disciplina di cui all�art. 129 (comma 3) disp. att. c.p.p.�. 

In sostanza, secondo tale orientamento, il danno all�immagine sarebbe 
ipotizzabile anche nella commissione accertata di altri tipi di reato da parte 
del pubblico ufficiale. 

Nondimeno, appare opportuno ricordare come la Corte Costituzionale, 
intervenuta sul punto, con sentenza n. 355/2012, affermi (sebbene con sentenza 
di rigetto) che il danno all�immagine della p.a. � configurabile solo ove sia 
stato commesso un reato contro la pubblica amministrazione previsto nel capo 
I, titolo II del libro II del codice penale. 

Quanto alla concreta determinazione in sede di accertamento del danno 
all�immagine, beninteso ove ritenuto effettivamente sussistente nel caso di 
specie, si ricorda che la recente �Legge anticorruzione�, L. 6 novembre 2012 

n. 190, prevede, all�art. 1 comma 62, una sorta di determinazione automatica 
del danno all�immagine, stabilendo che �Nel giudizio di responsabilit�, l'entit� 
del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione 
di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con 
sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio 
della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilit� illecitamente 
percepita dal dipendente�, norma che non risulta applicabile al caso di specie, 
atteso che non si � in presenza di alcuna ipotesi di utilit� percepita dal pubblico 
dipendente; anche detta novella sembra deporre a favore di una non configurabilit� 
di un danno all�immagine nella fattispecie in esame. 

Tuttavia, nella subordinata ipotesi di ravvisata responsabilit� per danno 
all�immagine, l�entit� del risarcimento andrebbe determinata in via equitativa 
ex art. 1226 c.c., con riferimento a spese e costi sopportati dall�Amministrazione 
per il ripristino della propria reputazione (ad es. per spese in convegni 
finalizzati a promuovere una positiva immagine del Corpo nella lotta ai reati 
comuni e alla criminalit� organizzata), ferma, comunque, anche sotto tale profilo, 
l�estrema difficolt� probatoria di dimostrare un effettivo danno prodotto 
all�immagine di codesta Amministrazione. 


Sulla questione, nella seduta del 5 aprile 2003, � stato sentito il Comitato 
Consultivo, che si � espresso in conformit�. 

Spese di giustizia: oneri del contributo unificato in caso di 
soccombenza reciproca 

(Parere prot. 203993 del 10 maggio 2013, AL 36520/12, avv. AGNESE SOLDANI) 

Con nota prot. n. 123-UTGC-3-2011/115-239 del 20 settembre 2012 che 
si invia per opportuna conoscenza anche all�Avvocatura Distrettuale in 
indirizzo - codesta Amministrazione ha chiesto parere alla Scrivente Avvocatura 
in ordine alla richiesta, avanzata dal difensore dei Sig.ri (...), di integrale 
rimborso del contributo unificato pagato in relazione a due ricorsi al TAR Salerno 
proposti nell�interesse dei suoi assistiti, parzialmente accolti con le sentenze 
Nn. 276 e 277/2012, depositate il 18 febbraio 2012 e notificate l�8 marzo 
2012: dette sentenze, passate in giudicato, hanno accolto uno dei quattro pro-
posti motivi d�impugnazione e respinto perch� infondati gli altri tre, per l�effetto 
annullando �in parte qua� il provvedimento impugnato e compensando 
le spese di lite. 

L�esame del quesito proposto impone la soluzione di una problematica di 
carattere generale, consistente nello stabilire quale sia il soggetto obbligato a 
sostenere, all�esito del giudizio amministrativo, i �costi� del pagamento del 
contributo unificato anticipato dal ricorrente. 

� noto che l�art. 21 D.L. 223/2006 ha introdotto l�onere del pagamento del 
contributo unificato anche nel processo amministrativo modificando l�art. 13 
del DPR 115/2002. La legge di conversione del predetto D.L. (l. 4 agosto 2006 

n. 248) ha aggiunto una disposizione - attualmente trasfusa, per effetto di successive 
modifiche, nell�art. 13 comma 6 bis 1, ultima parte - la quale prevede: 

�L'onere relativo al pagamento dei suddetti contributi � dovuto in ogni 
caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale 
delle spese e anche se essa non si � costituita in giudizio. Ai fini predetti, la 
soccombenza si determina con il passaggio in giudicato della sentenza�. 

La norma riguarda evidentemente l�ipotesi della soccombenza totale, stabilendo 
il principio che il contributo unificato resta a carico della parte soccombente 
anche quando il giudice abbia ritenuto (nonostante la soccombenza) 
di compensare le spese processuali. 

Il Testo Unico delle spese di giustizia nulla invece dispone per il caso di 
soccombenza parziale o reciproca. 

Se tuttavia il principio di fondo evincibile dal testo Unico � nel senso che 


nel processo amministrativo il contributo unificato � a carico della parte soccombente, 
sembra ragionevole affermare che da tale principio derivi il corollario 
che il contributo unificato sia posto a carico della o delle parti 
soccombenti nei limiti della loro soccombenza. 

Sicch�, ove il Giudice, a fronte di una situazione di soccombenza reciproca, 
abbia compensato le spese, cos� implicitamente �quantificando� la soccombenza 
reciproca nei limiti del 50% per ciascuna delle due parti, nella stessa proporzione 
deve essere posto il contributo unificato a carico di ciascuna di esse. 

In altri termini, la regola dello �sganciamento� dell�onere del pagamento 
del contributo unificato rispetto alla statuizione giudiziale sulle spese vale solo 
in caso di soccombenza totale (in tale ipotesi, anche se il giudice decide di 
compensare le spese, il contributo unificato sar� per� comunque dovuto per 
intero dalla parte soccombente), mentre per la soccombenza reciproca il contributo 
va posto a carico di entrambe le parti (in quanto entrambe soccombenti), 
nei limiti della soccombenza, e dunque utilizzando la stessa proporzione 
individuata dal giudice per porre a carico delle parti le spese di lite. 

Sulla sola questione di massima, propedeutica alla soluzione del caso concreto 
oggetto del quesito (al quale si fornir� risposta con separato parere), � 
stato sentito il Comitato Consultivo che nella seduta dell�8 marzo 2013 si � 
espresso in conformit�. 

Sulla giustiziabilit� immediata delle riserve iscritte dal contraente 
generale ante collaudo delle opere in appalto 

(Parere prot. 205194 del 10 maggio 2013, AL 28036/09, avv. ETTORE FIGLIOLIA) 

Con la nota che si riscontra codesta Anas, premesso che in relazione ai 
lavori di cui all�oggetto ҏ in fase di definizione un atto aggiuntivo di regolazione 
dei rapporti per affidare al contraente generale maggiori e/o diversi lavori 
previsti in perizia�, sottopone alla consultazione di questa Avvocatura 
Generale la tematica della giustiziabilit� immediata delle riserve gi� iscritte 
da tale appaltatore, anteriormente perci� al collaudo delle opere, unitamente 
alla eventuale possibilit�, in linea di diritto, di convenire pattiziamente detta 
immediata giustiziabilit� laddove, secondo la tesi sostenuta dal contraente generale 
medesimo, dovesse opinarsi che le disposizioni di cui agli artt. 32, 33 
del D.M. 145/2000 siano di ostacolo all�adizione della giurisdizione prima del 
termine della fase di collaudazione. 

Per converso, la tesi dell�Anas espressa nella nota in riferimento � contrap



posta a quella dell�appaltatore ora sinteticamente riportata, ritenendo �di non 
rinvenire nelle disposizioni contrattuali e nella normativa applicabile al contratto, 
alcuna prescrizione che imponga con certezza tale differimento�, per cui 
detto Ente non condivide il richiesto �inserimento nell�atto aggiuntivo di apposita 
clausola recante l�accordo delle parti che dovrebbe rimuovere la ipotizzata 
preclusione alla immediata instaurazione del giudizio� sulle riserve gi� iscritte. 

Ritiene al riguardo questo G.U. di dover preliminarmente, ed in via generale, 
operare alcune riflessioni sia sul complesso di peculiarit� dell�affidamento 
al contraente generale, che in ordine all�istituto dell��accordo bonario� 
ex art. 240 del D.Lgs. n. 163/2006, che, come � noto, per effetto dell�art. 4 
comma 2 lett. gg) n. 01 D.L. n. 70/2011 conv. con modif. dalla L. n. 106/2011, 
non � pi� applicabile a tale tipologia di affidamento. 

Orbene, alla stregua della vigente normativa � innegabile come il contraente 
generale goda, rispetto ad un appaltatore tradizionale, di una maggiore 
autonomia organizzativa in uno con le pi� ampie responsabilit� e i conseguenti 
rischi, in termini di sostanziale corrispondenza con la natura obbligatoria di 
risultato assunta, sicch� � parimenti inconfutabile come il contratto cos� concluso 
imponga a detta categoria di appaltatore di praticare misure adeguate 
per superare le possibili criticit� insorte nel corso dell�opera, anche se del caso 
riorganizzando funzionalmente le proprie attivit� di cantiere, s� da limitare ovvero 
elidere l�eventuale pregiudizio connesso alla diseconomica utilizzazione 
di manodopera e di mezzi. 

� pertanto conseguente a quanto test� considerato che i maggiori oneri da 
azionare con l�iscrizione delle riserve da parte del contraente generale dovrebbero 
derivare esclusivamente da circostanze del tutto imprevedibili, tali, anche 
per consistenza e gravit�, da non consentire un�idonea riprogrammazione delle 
attivit� di competenza, e, comunque, detti oneri dovrebbero essere identificati 
in termini quantitativi e qualitativi alla stregua di rigidi parametri correlati ai 
tempi strettamente necessari a porre in essere utili correttivi nell�impiego delle 
risorse, e non perci� calibrati sull�intera durata dell�impedimento. 

Per quanto precede, dovendosi ricondurre la legittimit� delle riserve del 
contraente generale a fattori di carattere eccezionale, e senza cio� che possano 
imputarsi alla committenza oneri di natura teorica, ovvero causati da deficienze 
organizzative dello stesso appaltatore, il ricorso all�istituto della riserva da parte 
di quest�ultimo dovrebbe atteggiarsi in termini piuttosto episodici, di rara frequenza, 
tanto � vero che il legislatore con la richiamata recente normativa del 
2011 ha novellato l�art. 240 del codice dei contratti interdicendo l�utilizzo del-
l�istituto dell�accordo bonario, evidentemente ritenendone la relativa �ratio� 
non corrispondente alle peculiarit� del contratto del contraente generale rispetto 
agli incombenti che a questo fanno capo ex art. 176 dello stesso codice. 

In particolare dovendosi riconoscere al prefato istituto la funzione di strumento 
deflattivo del contenzioso, il cui esperimento costituisce condizione di 


ammissibilit� dell�azione giudiziaria, che resta accessibile solo ove il tentativo 
di conciliazione fallisca ovvero siano decorsi inutilmente i termini di legge, 
finalizzato come tale a risolvere le situazioni di criticit� insorte nel corso del-
l�appalto, e per le quali il rinvio della trattazione delle riserve inerenti potrebbe 
determinare pregiudizio all�interesse pubblico per i seri problemi creatisi per 
l�utile prosieguo di lavori, pu� inferirsi che il legislatore nel caso del contraente 
generale, proprio per le test� richiamata caratteristiche del relativo contratto, 
abbia ritenuto che la possibilit� della iscrizione di riserve sia di scarsa consistenza, 
e comunque, inidonea a compromettere l�ulteriore iter realizzativo a 
fronte della �capacit� di risposta� di detto appaltatore per l�autonomia che 
gli compete rispetto alle sopravvenienze causative degli oneri oggetto delle 
riserve medesime. 

Ora sulla base delle superiori riflessioni, cos� delineato l�attuale quadro 
normativo di riferimento con particolare riguardo ai caratteri propri dell�affidamento 
al contraente generale ed all�istituto dell��accordo bonario�, ritiene 
questa Avvocatura Generale che la non attivabilit� di quest�ultimo per effetto 
della richiamata novella legislativa alla fattispecie oggetto del presente parere, 
precluda effettivamente l�anticipata trattazione delle riserve rispetto alla conclusione 
del collaudo finale, e senza che possano in merito concludersi convenzioni 
di tenore derogatorio, anche alla luce del dato oggettivo che l�art. 33 

D.M. 145/2000 � stato abrogato. 

Invero, una volta riconosciuto in via generale all�istituto ex art. 240 codice 
dei contratti la funzione di strumento eccezionale ed obbligatorio, il cui mancato 
esperimento � interdittivo dell�adizione del giudice, e con il riconoscimento 
giuridico in capo all�appaltatore stesso di una specifica posizione 
giuridica soggettiva ad ottenere che la committenza attivi la procedura de qua, 
il divieto legislativo prima citato all�esperimento di quest�ultima per il contraente 
generale, non sembra consentire elusioni di sorta, addirittura attribuendo 
al contraente generale stesso una posizione di vantaggio di maggiore 
e pi� significativo spessore rispetto all�appaltatore tradizionale, attraverso il 
riconoscimento della facolt� di conseguire la ricognizione giudiziale delle riserve 
nel corso dell�appalto senza che sia concluso il collaudo finale. 

La correttezza delle suesposte considerazioni si rinviene oltretutto nelle 
pertinenti disposizioni del d.p.r. n. 207/2010 (Regolamento di esecuzione ed 
attuazione del d.lgs. n. 163/20006), con particolare riferimento agli artt. 190, 
191 e 200, alla stregua dei quali in via generale le riserve iscritte dall�esecutore 
nel corso dell�appalto, dovendo necessariamente essere confermate sul conto 
finale, posto che altrimenti si ritengono abbandonate dall�esecutore medesimo, 
dimostra chiaramente come non sia anticipabile la giustiziabilit� delle riserve 
stesse se non attraverso l�istituto dell�accordo bonario, peraltro, come � noto, 
non praticabile nella ipotesi in cui l�appaltatore sia contraente generale. 

Conclusivamente, si suggerisce a codesto Ente di evitare l�inserimento 


nello stipulando atto aggiuntivo di clausole che possano essere lette in termini 
non coerenti con i parametri normativi di riferimento, laddove, per converso, 
parrebbe maggiormente preferibile praticare ogni opportuno approfondimento 
del contesto sul piano della specificit� tecnica ed eventualmente giuridica al 
fine di valutare la risolvibilit� anche solo parziale delle problematiche insorte 
sul tema progettuale dell�appalto in discorso nell�ambito della redazione delle 
perizie di variante tecniche e suppletive citate nella nota che si riscontra. 

Sulle questioni oggetto del presente parere si � pronunciato in conformit� 
il Comitato Consultivo. 

Rimborso spese legali ex art. 32 l. n. 152/1975: procedimenti 
conclusi con sentenza di prescrizione 

(Parere prot. 209694 del 14 maggio 2013, AL 35242/12, avv. MASSIMO SANTORO) 

1. Il quesito. 

Con la nota emarginata, codesta Amministrazione - avendo riscontrato 
un contrasto tra posizioni espresse da varie sedi dell�Avvocatura dello Stato chiede 
l�avviso della Scrivente sull�applicazione della norma di cui all�art. 32 
della legge n. 152 del 1975 ad ipotesi nelle quali i procedimenti penali siano 
stati definiti con una pronuncia di prescrizione del reato. 

2. Il quadro normativo e giurisprudenziale. 

L�art. 32 della legge n. 152 del 1975 dispone che �Nei procedimenti a carico 
di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o dei 
militari in servizio di pubblica sicurezza per fatti compiuti in servizio e relativi 
all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, la difesa pu� essere assunta 
a richiesta dell'interessato dall'Avvocatura dello Stato o da libero professionista 
di fiducia dell'interessato medesimo. 

In questo secondo caso le spese di difesa sono a carico del Ministero del-
l'interno salva rivalsa se vi � responsabilit� dell'imputato per fatto doloso�. 

La norma succitata differisce da quella generale in materia di rimborso 
delle spese legali dell�amministratore statale di cui all�art. 18 del d.l. n. 
67/1997, che cos� testualmente dispone: �Le spese legali relative a giudizi per 
responsabilit� civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti 
di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con 
l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi 
con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilit�, sono 


rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui 
dall'Avvocatura dello Stato [...]�. 

La disposizione di cui all�art. 18 del d.l. n. 67/1997 e quella di cui all�articolo 
32 della legge n. 152 del 1975, cos� come altre norme del settore pubblico 
recanti disposizioni analoghe (1), costituiscono espressione di un 
principio generale dell�ordinamento, secondo il quale le conseguenze economiche 
dei comportamenti adottati da chi cura un interesse altrui devono essere 
poste a carico del titolare dell�interesse medesimo. 

In applicazione di tale principio, � stato chiarito che affinch� l�Amministrazione 
possa sostenere le spese legali del dipendente, il fatto oggetto del 
giudizio deve essere stato compiuto nell�esercizio delle attribuzioni a questo 
affidate e deve esservi un nesso di strumentalit� tra l�adempimento del dovere 
ed il compimento dell�atto, di talch� l�Amministrazione risponder� per le spese 
sostenute dal dipendente solo a condizione che il comportamento tenuto da 
quest�ultimo non sia stato realizzato per perseguire un suo interesse personale 
non coincidente con quello dell�Amministrazione. 

In applicazione di quanto sopra illustrato, se non si pone alcun dubbio 
per la spettanza dei rimborsi nelle ipotesi in cui i processi penali siano stati 
definiti con sentenza di assoluzione �perch� il fatto non sussiste� o �perch� 
l�imputato non l�ha commesso�, nei processi conclusi con sentenze di proscioglimento 
con formule processuali non ampiamente liberatorie, come le 
pronunce di prescrizione, la giurisprudenza amministrativa, pronunciandosi, 
in particolare, sull�art. 18 del d.l. n. 67/1997, � apparsa concorde nel ritenere 
non dovuto il rimborso delle spese legali. 

Nella sentenza n. 2242 del 14 aprile 2000, il Consiglio Stato sez. V, ha infatti 
affermato che �La pretesa al rimborso delle spese legali sostenute dagli 
amministratori nel corso di liti penali per fatti connessi all'espletamento del-
l'incarico va riconosciuta solo quando l'imputato sia prosciolto con la formula 
pi� liberatoria e non anche quando il proscioglimento avvenga con formule meramente 
processuali, salvo che l'assoluzione non intervenga in fase istruttoria�. 

Il principio � stato successivamente confermato anche da altre sezioni del 
Consiglio di Stato; in particolare, con la sentenza n. 7660 del 2 luglio 2004, 
sez. VI, il Consiglio di Stato ha enucleato dei principi generali applicabili ad 
ogni ipotesi di assunzione, da parte dell�Amministrazione, delle spese legali 
sostenute dai pubblici dipendenti. 

(1) Cfr., ad esempio, art. 41 del D.P.R. 20 maggio 1987 n. 270, riguardante il personale del Servizio 
sanitario nazionale, l�art. 19 del D.P.R. 16 ottobre 1979, n. 509, relativo al personale degli Enti 
pubblici di cui alla L. 20 marzo 1975 n. 70, l�art. 20 del D.P.R. 4 agosto 1990 n. 335, concernente il personale 
del comparto delle aziende delle Amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, l�art. 
67, primo comma, del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, con il quale � stato recepito l�accordo sindacale 
per il triennio 1985-1987 relativo al comparto del personale dipendente degli enti locali. 


Dopo avere ribadito che il rimborso delle spese legali non spetta nelle 
ipotesi in cui sia dichiarata la prescrizione del reato, il Consiglio di Stato ha 
chiarito che la disposizione di cui all�art.18 cit. costituisce espressione di un 
principio generale dell�ordinamento, declinato in modo diverso da varie norme 
di settore, con un minimo comune denominatore rappresentato dalla necessit�, 
affinch� possa darsi seguito al rimborso, che non sussista un conflitto di interessi 
tra Amministrazione e dipendente, il cui accertamento pu� avvenire non 
soltanto in sede penale: 

�Va osservato in proposito che la disposizione legislativa in questione, 
come pure le norme di varie leggi relative a particolari settori del pubblico 
impiego (cfr., ad esempio, art. 41 del D.P.R. 20 maggio 1987 n. 270, riguardante 
il personale del Servizio sanitario nazionale; art. 19 del D.P.R. 16 ottobre 
1979, n. 509, relativo al personale degli Enti pubblici di cui alla L. 20 
marzo 1975 n. 70; art. 20 del D.P.R. 4 agosto 1990 n. 335, concernente il personale 
del comparto delle aziende delle Amministrazioni dello Stato ad ordinamento 
autonomo), che consentono con varie modalit� l�assunzione delle 
spese legali da parte dello Stato e di Enti pubblici, costituisce espressione di 
un principio generalissimo e fondamentale dell�ordinamento amministrativo, 
in base al quale � consentito all�Amministrazione di intervenire a contribuire 
alla difesa del suo dipendente, imputato in un processo penale, sempre che, 
naturalmente, sussista un suo diretto interesse in proposito, da riconoscersi 
in tutti i casi in cui l�imputazione riguardi una attivit� svolta in diretta connessione 
con i fini dell�Ente e sia in definitiva imputabile all�Ente stesso (cfr. 
C.d.S., Sez.V, 22 dicembre 1993, n. 1993 n. 1392). 

In coerenza con il suesposto criterio va, peraltro, ribadito che, in ogni caso, 
l�ammissione al beneficio in questione resta pur sempre condizionata dall�effettiva 
mancanza di un qualsiasi conflitto di interessi tra l�Amministrazione ed il dipendente, 
da valutarsi alla stregua della statuizione definitiva di proscioglimento 
della competente autorit� giudiziaria, e ci� non solo sotto il profilo della responsabilit� 
penale in ordine ai fatti addebitati al dipendente medesimo (che deve essere 
comunque espressamente esclusa dalla pronuncia del giudice), ma anche 
sotto altri profili, che siano riscontrabili in riferimento ai fatti medesimi, in ordine 
ai quali deve essere ugualmente esclusa pure una eventuale responsabilit� di tipo 
disciplinare od amministrativo, per mancanze attinenti al compimento dei doveri 
dell�ufficio (cfr. C.d.S., Commissione speciale, 6 maggio 1996, n. 4). 

Quanto alla tesi dell�appellante sul carattere necessitato dell�esito del 
procedimento penale nel quale � stato coinvolto, la stessa deve essere respinta, 
perch� la sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, applicata 
nei suoi confronti, presuppone la mancanza di opposizione dell�imputato 
e del pubblico ministero, secondo quanto espressamente statuito dall�art. 
226 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51�.. 

I principi sopra illustrati appaiono utili ad orientare l�interprete anche ai 


fini dell�esegesi della norma di cui all�art. 32 della legge n. 152 del 1975, qualora 
il procedimento penale a carico del dipendente si sia concluso con una 
sentenza che abbia dichiarato l�estinzione del reato per prescrizione. 

3. Differenze normative tra l�art. 32 della legge n. 152 del 1975 e l�art. 18 del 

d.l. n. 67/1997. 

Si � visto che rispetto al disposto dell�art. 18 del d.l. n. 67/1997, l�art. 32 
della legge n. 152 del 1975 reca alcuni elementi di sostanziale distinzione, legati 
sia alla qualifica soggettiva del dipendente e ai fatti oggetto del giudizio, 
sia alle modalit� di accertamento della responsabilit�. 

Quanto ai primi, mentre l�art. 18 � applicabile a tutti i dipendenti statali 
per qualunque atto compiuto nell�esercizio delle loro attribuzioni istituzionali, 
ad esse avvinto da un nesso di strumentalit�, l�art. 32 � applicabile, soggettivamente, 
solo agli �ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria 
o dei militari in servizio di pubblica sicurezza� e, oggettivamente, solo 
�per fatti compiuti in servizio e relativi all'uso delle armi o di altro mezzo di 
coazione fisica�. 

Con riferimento alle modalit� di accertamento della responsabilit� del dipendente, 
ai sensi dell�art. 18 il rimborso delle spese legali spetter� solo quando 
il procedimento a carico del dipendente si concluda con un provvedimento giurisdizionale 
che esclude espressamente la sua responsabilit� mentre, ai sensi 
dell�art. 32, il rimborso spetter� in via definitiva solo ove non venga accertata 
la �responsabilit� dell'imputato per fatto doloso�, accertamento che il dato letterale 
della norma non ancora espressamente ad una pronuncia giurisdizionale. 

Ulteriore elemento di distinzione tra le due disposizioni � rappresentato 
dal meccanismo di pagamento: mentre nell�art. 18 - ad eccezione di ipotesi di 
anticipazioni - il pagamento delle spese legali sar� a carico del dipendente 
salvo rimborso, nei casi in cui si applichi l�art. 32 le spese saranno sempre 
sopportate dall�Amministrazione salvo rivalsa. 

� evidente che la norma di cui all�articolo 32 della legge n. 152 del 1975, 
nell�escludere il rimborso solo nei casi in cui venga accertata la responsabilit� 
dell�imputato per fatto doloso, reca una disciplina maggiormente favorevole 
al dipendente rispetto a quella contenuta nell�art. 18 del d.l. n. 67/1997. 

Le ragioni di tale favor vanno ricercate, oltre che nel maggior rischio cui 
vanno incontro ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria 

o militari in servizio di pubblica sicurezza che usino le armi o altri mezzi di 
coazione fisica nell�esercizio dei propri doveri, anche nella considerazione 
che tali azioni, per il contesto in cui sono avvenuti i fatti e per gli ordini ricevuti, 
possono rendere difficoltoso l�accertamento del coefficiente di imputazione 
soggettivo dell�azione criminosa. 


4. Conclusioni: applicazione dell�art. 32 della legge n. 152 del 1975 ai casi 
di estinzione del reato per prescrizione. 

La soluzione del quesito formulato da codesta Amministrazione sulla possibilit� 
di esercitare la rivalsa quando il procedimento penale a carico del dipendente 
si sia concluso con una sentenza che dichiara l�estinzione del reato 
per prescrizione, dovr� tenere conto, oltre che della formulazione letterale 
della norma e della sua particolare ratio, anche dei principi generali in materia 
di rimborsi e delle connotazioni giuridiche dell�istituto della prescrizione. 

Si � gi� detto degli elementi di differenziazione della norma di cui all�art. 
32 della legge n. 152 del 1975, evidenziando, in particolare, come il suo dato 
letterale non pone l�accento - a differenza dell�art. 18 del d.l. n. 67/1997 - sulla 
necessit� di un provvedimento giurisdizionale che contenga l�accertamento 
della responsabilit� dell�imputato; si � anche detto della ratio dell�art. 32 e dei 
principi generali che regolano la materia dell�assunzione da parte dell�Amministrazione 
delle spese legali sostenute dal dipendente. 

Quanto all�istituto della prescrizione del reato, il provvedimento giurisdizionale 
che la dichiara non equivale ad un�assoluzione con formula piena, 
anche se gli effetti per l�imputato possono sembrare identici. 

Ai sensi dell�art. 129 cod. proc. pen., infatti, quando ricorre una causa di 
estinzione del reato, quale � la prescrizione, ma dagli atti risulta evidente che il 
fatto non sussiste o che l�imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce 
reato, il giudice � tenuto a pronunciare una sentenza di assoluzione piena. 

Allo stesso modo, � possibile (anche se, in questo caso, non esiste un obbligo 
giuridico) che il giudice, nel pronunciare la prescrizione, accerti la sussistenza 
del reato indicandone anche l�ascrivibilit� all�imputato a titolo di dolo o colpa. 

Inoltre, la prescrizione � sempre espressamente rinunciabile dall'imputato 
(art. 157, comma 7, cod. pen.) che pu� decidere di non eccepirla e far proseguire 
il procedimento giudiziale che lo riguarda al fine di vedere riconosciuta 
la propria innocenza. 

Ad avviso della Scrivente, dunque, nelle ipotesi in cui i processi penali 
siano stati definiti con una sentenza che accerti l�estinzione del reato per prescrizione, 
la norma di cui all�art. 32 della legge n. 152 del 1975, secondo la 
quale �le spese di difesa sono a carico del Ministero dell'interno salva rivalsa 
se vi � responsabilit� dell'imputato per fatto doloso�, dovr� essere interpretata 
nel senso che l�Amministrazione non potr� esercitare la rivalsa solo quando 
la sentenza che dichiara la prescrizione accerti anche la responsabilit� del dipendente 
a titolo di colpa. 

Nel caso, invece, in cui la sentenza che pronuncia la prescrizione del reato 
contenga anche un accertamento della responsabilit� dell�imputato a titolo di 
dolo, l�Amministrazione dovr� esercitare la rivalsa prevista dall�art. 32. 

Infine, ove la sentenza non sia scesa nel merito dell�accertamento della 


responsabilit� dell�imputato, nulla statuendo in proposito, ma si sia limitata a 
dichiarare l�estinzione del reato per prescrizione, l�Amministrazione eserciter� 
il diritto di rivalsa solo qualora risulti in modo evidente che i fatti contestati 
al dipendente e oggetto del procedimento penale sussistano e siano a questo 
addebitabili a titolo di dolo. 

Questa soluzione appare confortata sia dal dato letterale dell�art. 32 che, 
a differenza dell�art. 18, non richiede espressamente che la responsabilit� del 
dipendente venga accertata con un provvedimento avente natura giurisdizionale, 
sia dalla sua coerenza con il principio generale secondo cui le conseguenze 
economiche dei comportamenti adottati dal dipendente nell�esercizio 
delle sue funzioni istituzionali devono essere poste a carico del titolare di detto 
interesse, cio� dell�Amministrazione, a condizione che tali comportamenti non 
siano stati realizzati per perseguire un interesse personale del dipendente non 
coincidente con quello dell�Amministrazione. 

* * * 

Si rimane a disposizione per ogni eventuale chiarimento si ritenesse utile. 

Sul presente parere � stato sentito il Comitato Consultivo nella seduta del 
giorno 10 maggio 2013, che si � espresso in conformit�. 

Applicabilit� del termine, previsto dall�art. 2 l. n. 241/1990 e 

s.m.i. per la conclusione del procedimento amministrativo, 
all�autotutela in materia tributaria 

(Parere prot. 218899 del 20 maggio 2013, AL 35237/12, avv. GIUSEPPE ALBENZIO) 

Codesta Agenzia delle Dogane chiede a questa Avvocatura Generale dello 
Stato di pronunciarsi sul seguente quesito: 

�Applicabilit� dell�art. 2 della legge n. 241 del 1990, modificata da ultimo 
dall�art. 1 del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni 
dalla legge 4 aprile 2012, n. 35 ai procedimenti relativi all�esercizio del potere 
di autotutela di competenza di questa Agenzia aventi natura tributaria�. 

In particolare l�Agenzia delle Dogane domanda se il termine previsto per 
la conclusione del procedimento amministrativo dall�art. 2 della legge n. 241 
del 1990, modificato dall�art. 1 del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito 
con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, sia applicabile ai 
procedimenti relativi all�esercizio di autotutela di competenza della medesima 
aventi natura tributaria, dato che il 2 comma dell�art.1 del D.l. 5/2012 precisa 
che �le disposizioni del presente articolo non si applicano nei procedimenti 


tributari e in materia di giochi pubblici, per i quali restano ferme le particolari 
norme che li disciplinano�. 

*** 

1. Va premesso che l�autotutela in materia tributaria differisce da quella 
amministrativa ed � disciplinata dal Decreto Ministeriale 11 febbraio 1997, n. 
37, recante le norme relative all�esercizio del potere di autotutela da parte degli 
organi dell�Amministrazione Finanziaria, in attuazione dell�articolo 2 quater 
della legge n. 656 del 30 novembre 1994 [�Con decreti del Ministero delle Finanze 
sono indicati gli organi dell�amministrazione finanziaria competenti per 
l�esercizio del potere di annullamento d�ufficio o di revoca, anche in pendenza 
di giudizio o in caso di non impugnabilit�, degli atti illegittimi o infondati. Con 
gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicit� sulla base dei quali s�inizia 
o si abbandona l�attivit� dell�amministrazione�]; il potere discrezionale di 
cui trattasi era gi� previsto dall�articolo 68 del D.P.R. n. 287 del 27 marzo 1992, 
concernente il regolamento del personale del Ministero delle Finanze [�salvo 
che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell�amministrazione finanziaria, possono 
procedere all�annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti 
illegittimi o infondati con provvedimento motivato notificato al contribuente�]. 

In materia tributaria l�autotutela presenta peculiarit� proprie, in ragione 
della disciplina legale della prestazione tributaria, dell�indisponibilit� del tributo 
e della natura vincolata della funzione impositiva. Infatti, in ossequio ai 
principi dettati dagli art. 53 e 97 Cost., l�autotutela tributaria tende a realizzare 
un�opportuna mediazione degli interessi pubblici in conflitto rappresentati, da 
un lato, dall�interesse alla certezza e stabilit� dell�imposizione tributaria e, 
dall�altro, dall�interesse pubblico a fornire un�immagine dell�amministrazione 
di correttezza e di comportamento giusto e imparziale. 

Allo stesso tempo, l�autotutela � strumento anti-lite che consente la contrazione 
di quel contenzioso che risulterebbe inutile e dispendioso per la Pubblica 
Amministrazione, nei casi in cui, sulla base di un giudizio prognostico, 
� destinata a risultare soccombente nella lite, garantendo, altres�, il rispetto dei 
�criteri di economicit�, di efficacia, di imparzialit�, di pubblicit� e di trasparenza� 
che devono reggere l�agire amministrativo, in base alla disposizione 
dell�art. 1 della legge 241/1990. 

2. Ci� precisato, occorre verificare se la riforma di cui alla legge n. 5 del 
2012, che reca modifiche all�art. 2 della legge 241/1990 (pi� esattamente la 
legge ha sostituito gli originari commi 8 e 9 con gli attuali commi da 8 a 9 
quinquies), sia applicabile o meno ai procedimenti relativi all�esercizio di autotutela 
di competenza dell�Agenzia delle Dogane aventi natura tributaria. 

L�art. 2 della legge 241/1990 prevede che, salvo nel caso in �cui disposizioni 
di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono 
un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni 
statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il 


termine di trenta giorni�; in via preliminare, si sottolinea che la riforma del 
2012 non ha apportato modifiche alla natura e funzione dell�art. 2 che resta 
norma di carattere generale (rispetto a quella speciale dell�art. 21 nonies per 
l�autotutela) che concerne i soli procedimenti ad attivazione obbligatoria. 

Codesta Agenzia, in ossequio a quanto previsto dagli articoli 2 e 4 della 
medesima legge, ha provveduto ad individuare, per i procedimenti di propria 
competenza, i termini e i responsabili degli stessi. Il D.M. 37/1997, sempre seguendo 
l�art. 2 della legge 241/1990, specifica chi siano i soggetti preposti all�annullamento 
dell�atto e i poteri sostitutivi in caso di grave inerzia, stabilendo 
all�art. 1 che �Il potere di annullamento e di revoca o di rinuncia all�imposizione 
in caso di autoaccertamento spetta all�ufficio che ha emanato l�atto illegittimo 

o che � competente per gli accertamenti d�ufficio ovvero in via sostitutiva, in 
caso di grave inerzia, alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale 
l�ufficio stesso dipende�, ma nulla prevedendo relativamente al termine. 

La stessa disciplina prevista dall�art. 21 nonies della legge sul procedimento 
amministrativo non prevede limiti temporali all�esercizio del potere di 
annullamento in via di autotutela e, infatti, statuisce che �Il provvedimento 
amministrativo illegittimo ai sensi dell�articolo 21-octies pu� essere annullato 
d�ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole 
e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, 
dall�organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge�. 

Nel nostro ordinamento, quindi, il decorso del tempo non preclude il potere 
di ritiro, ma rende solo pi� severa la valutazione comparativa in ordine all�affidamento 
del privato e impone che l�annullamento d�ufficio sia esercitato entro 
un termine ragionevole e di ci� si trova conferma anche nella recente giurisprudenza 
del Consiglio di Stato, ove si statuisce che �L�art. 21 nonies l. 7 agosto 
1990 n. 241, non fissa un termine ultimo oltre il quale l�esercizio dell�attivit� 
di autotutela � illegittima, riconducendo la valutazione in concreto in ordine 
alla tempistica della vicenda al parametro di valutazione della ragionevolezza 
del termine� (Consiglio di Stato, sez. VI, 27 febbraio 2012, n. 1081). 

Il riferimento a tale parametro indeterminato ed elastico fa s� che sia lasciato 
all�interprete il compito di individuare in concreto il limite temporale, in ragione 
del grado di complessit� degli interessi coinvolti e del relativo consolidamento 
secondo il principio costituzionale di ragionevolezza di cui all�art. 3 Cost.: in 
presenza di posizioni oramai consolidate e a fronte di vizi di legittimit� meramente 
formali, occorre, infatti, procedere ad un apprezzamento del ragionevole 
affidamento suscitato nell�amministrato sulla regolarit� della sua posizione 
(Consiglio di Stato, sez. I, 30 gennaio 2013, n. 5279). Tuttavia, allorch� vengano 
in rilievo contrastanti interessi di terzi o superiori interessi pubblici, tali principi 
devono contemperarsi con quello secondo cui per gli atti che esplicano effetti 
giuridici ripetuti nel tempo il principio di legalit� impone all�Amministrazione 
il loro adeguamento in ogni momento al quadro normativo di riferimento, dato 


che, in tali ipotesi, l�interesse pubblico all�esercizio dell�autotutela � in re ipsa 
e si identifica nella cessazione di ulteriori effetti contra legem. 

Da ci� pu� desumersi che l�aspetto temporale � strettamente correlato 
all�affidamento che si genera in capo al privato, inteso quale situazione di fiducia 
sulla permanenza della situazione determinata dal provvedimento e maturata 
in capo al destinatario o quale aspettativa del privato che 
l�Amministrazione si comporti in ogni caso secondo le regole di correttezza, 
che impongono di tener conto delle situazioni altrui, da essa create, nel momento 
in cui volesse ritornare sulle proprie decisioni. 

Il parametro temporale, invece, assume preminente ed autonomo rilievo 
in relazione al consolidamento della situazione prodotta dal provvedimento annullato 
in via di autotutela. La giurisprudenza, infatti, ha osservato che l�annullamento 
di un atto in autotutela, dopo un certo lasso di tempo dalla data di 
adozione dell�atto medesimo, non pu� fondarsi sulla mera esigenza di ripristino 
della legalit� ma deve tener conto della sussistenza di un interesse pubblico 
concreto e attuale alla rimozione dell�atto, dato che l�esercizio di siffatto potere 
da parte dell�Amministrazione incontra un limite nell�esigenza di salvaguardare 
le situazioni del privato che, confidando nella legittimit� dell�atto rimosso, ha 
acquisito il consolidamento di posizioni di vantaggio scaturenti da esso. 

Il mancato richiamo del Decreto Ministeriale a termini temporali, nonch� 
la lettera espressa dell�art. 1, 2 comma, del D.l. 5/2012 e dell�art. 21 nonies 
della l. 241/1990, oltre che le gi� richiamate caratteristiche dell�art. 2, portano 
a ritenere non applicabili, ai procedimenti aventi natura tributaria connessi all�esercizio 
del potere di autotutela, le disposizioni temporali relative alla conclusione 
del procedimento amministrativo e, quindi, anche a quelli di natura 
tributaria di competenza dell�Agenzia delle Dogane; sul punto in maniera conforme 
si sono espressi anche il Ministero dell�Economia e delle Finanze (nota 
prot. n. 3-3409 del 29 marzo 2013) e l�Agenzia delle Entrate (nota prot. n. 
36384 del 21 marzo 2013). 

3. Per quanto attiene pi� propriamente la materia tributaria, va ribadito 
che essa � materia specialis rispetto all�ampio genus del diritto amministrativo. 
A venire in rilievo non sono situazioni di interesse legittimo, ma diritti soggettivi 
e, pi� esattamente, un diritto soggettivo del contribuente a non essere 
obbligato a prestazioni patrimoniali all�infuori dei casi contemplati dalla legge, 
diritto che trova manforte nell�interesse pubblico che deve essere perseguito 
dall�Amministrazione, anche in ordine alla corretta esazione delle imposte dovute 
in base alla legge. 

Il contribuente vanta, invece, un interesse legittimo, a fronte del potere discrezionale 
della Pubblica Amministrazione di esercitare l�annullamento in autotutela. 

L�Amministrazione Finanziaria non �, quindi, obbligata a provvedere in 
sede di autotutela ed � pienamente libera di rivedere o meno i propri atti illegittimi, 
senza che a ci� faccia capo una posizione tutelabile del privato, con la con



seguenza che l�interesse all�applicazione dell�autotutela � identificato soltanto 
con quello dell�osservanza dei principi di giustizia, legalit� e buona amministrazione 
degli uffici finanziari. L�Amministrazione ha la facolt�, non l�obbligo, 
di correggersi e di procedere alla rimozione degli atti illegittimi al fine di realizzare 
l�interesse pubblico e ripristinare la legalit�, nonch� di ricercare una soluzione 
alle potenziali controversie insorte, evitando il ricorso a mezzi 
giurisdizionali, in ossequio al principio dell�economia dei mezzi giuridici. 

Tale facolt� dell�amministrazione viene ricordata anche nella nota del 21 
marzo 2013 dell�Agenzia delle Entrate, nella quale si fa presente che �il Segretario 
Generale, con circ. 198 del 1998, ha chiarito che se anche gli uffici 
tributari non posseggono una �potest� discrezionale di decidere a proprio piacimento 
se correggere o no i propri errori�, gli stessi hanno il potere ma non 
il dovere giuridico di ritirare l�atto viziato, mentre � certo che il contribuente, 
a sua volta, non ha un diritto soggettivo a che l�ufficio eserciti tale potere�. 

L�autotutela, inoltre, non deve essere intesa come un ulteriore mezzo di difesa 
concesso al contribuente, oltre quelli previsti dal sistema giuridico, n� pu� 
essere considerato un metodo sostitutivo dei rimedi giurisdizionali ordinari non 
esperiti, ma solo come uno strumento che permette agli uffici di attivarsi per 
assicurare il rispetto dei dettati costituzionali di imparzialit� e buon andamento. 

Del resto, l�esercizio del potere in questione non richiede alcuna istanza 
di parte e l�eventuale istanza del privato costituisce soltanto un atto di mera 
sollecitazione che non comporta l�obbligo per l�Amministrazione di avviare 
un procedimento di autotutela e assumere provvedimenti al riguardo. La mancata 
risposta dell�amministrazione non comporta, infatti, la formazione di un 
silenzio con valore giuridico, determinante la riapertura delle procedure di tutela 
gi� esaurite, ci� in quanto � necessario evitare commistioni tra l�istituto 
dell�autotutela e quello della tutela, poich� si finirebbe per vanificare il fine a 
cui l�autotutela stessa � diretta, ovvero la realizzazione dell�interesse pubblico. 

La Suprema Corte, trattando la questione relativa all�impugnabilit� o meno 
del rifiuto di autotutela da parte della P.A., ha sostenuto che �In merito alle 
azioni giudiziarie inerenti il diniego di autotutela da parte dell'amministrazione 
finanziaria sussiste la giurisdizione del giudice tributario, il quale dovr� valutare, 
da un lato, l'esistenza dell'obbligazione tributaria e, dall'altro, nei limiti 
e nei modi in cui ci� sia possibile, il corretto esercizio del potere discrezionale 
della P.A. In relazione a tale ultimo aspetto � bene sottolineare che la valutazione 
operata in tale contesto dal giudice, comunque, non pu�, e non deve, sostituirsi 
a quella operata dall'amministrazione nell'esercizio del potere 
discrezionale che le compete e, in ogni caso, non pu� comportare l'adozione 
dell'atto di autotutela da parte del giudice tributario. Il sindacato, in altre parole, 
pu� riguardare solo la legittimit� del rifiuto e non la fondatezza della pretesa 
tributaria poich�, in tale ipotesi, il Giudice tributario verrebbe a sostituirsi 
indebitamente nell'attivit� amministrativa. In conclusione, quindi, deve essere 


esclusa l'impugnabilit� del diniego di autotutela per ragioni attinenti non alla 
legittimit� ma al merito� (Cass. civ. Sez. V, 30 giugno 2010, n. 15451). 

Si conviene, pertanto, con il Ministero dell�Economia e delle Finanze 
che, nella nota prot. n. 3-3405 del 29 marzo 2013, richiama la giurisprudenza 
delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo la quale �avverso l�atto 
con il quale l�Amministrazione finanziaria manifesta il rifiuto di ritirare, in 
via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non � esperibile una 
autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalit� propria (in questo 
caso) dell�attivit� di autotutela, sia perch�, diversamente opinando, si darebbe 
inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimit� di un atto 
impositivo ormai definitivo� (Cassazione civile, Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 
2870) e prosegue affermando che �Il contribuente che richiede all'Amministrazione 
finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento 
divenuto definitivo, non pu� limitarsi a dedurre eventuali vizi dell'atto medesimo, 
la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare 
l'esistenza di un interesse di rilevanza generale dell'Amministrazione 
alla rimozione dell'atto. Ne consegue che contro il diniego dell'Amministrazione 
di procedere all'esercizio del potere di autotutela pu� essere proposta 
impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimit� del rifiuto 
e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria� (Cassazione civile, 
Sez. trib., 12 maggio 2010, n. 11457). 

4. Si deve, quindi, ritenere che non possono esservi limiti temporali al potere 
della P.A. di annullare, in sede di autotutela, un proprio atto illegittimo in 
seguito ad una diversa valutazione dell�interesse pubblico, motivatamente correlato 
agli eventuali interessi ed alle aspettative del soggetto privato coinvolto, 
salvo il limite della sentenza di merito passata in giudicato sull�atto medesimo 
(anche se in taluni casi neppure lo stesso giudicato � ostativo in assoluto del-
l�esercizio dell�autotutela, purch� il ritiro dell�atto venga fatto per motivi che 
non contraddicono il contenuto della sentenza passata in giudicato e che non 
siano stati oggetto di esame specifico da parte dell�organo giudicante). 

Del resto, all�art. 1, comma 136, della L. 311/04, � lo stesso Legislatore 
a prendere una specifica posizione, disponendo che �Al fine di conseguire risparmi 
o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, pu� sempre 
essere disposto l�annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, 
anche se l�esecuzione degli stessi sia ancora in corso�. 

In definitiva, con l�esercizio del potere di autotutela, l�ufficio, dopo aver 
ponderato le diverse esigenze in gioco, quali la certezza e stabilit� dei rapporti, 
il profilo della buona fede del contribuente, la gravit� del vizio denunciato 
etc., decide, facendosi carico di una funzione in senso ampio giustiziale ed in 
ossequio al principio di capacit� contributiva oltrech� a quelli di buona fede, 
imparzialit� e buon andamento dell�amministrazione, se procedere o meno al 
ritiro di una pretesa gi� formalizzata. 


In conclusione, deve escludersi l�applicazione dell�art. 2 della legge n. 
241/1990 ai procedimenti relativi all�esercizio del potere di autotutela posti 
in essere dall�Amministrazione doganale. 

Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo che si � espresso in 
conformit� nella seduta del 10 maggio 2013. 

Sull�affidamento della gestione del Fondo per il sostegno 
finanziario dell�internalizzazione del sistema produttivo (Fondo 
Pubblico di Venture Capital - FVC) 

(Parere prot. 258903 del 12 giugno 2013, AL 42778/12, avv. MARINA RUSSO) 

Con la nota in riferimento, l�Amministrazione in indirizzo richiede il parere 
della Scrivente sulla questione in oggetto, articolando tre quesiti: 

1. Se l�affidamento della gestione del FVC debba avvenire attraverso una 
gara ad evidenza pubblica, ovvero con procedura negoziata ai sensi dell�art. 
57 del Codice dei contratti pubblici approvato con D.lgs. 163/06; 
2. Se l�entrata in vigore del suddetto Codice abbia determinato l�abrogazione 
tacita delle previgenti norme che individuano in SIMEST il gestore del 
Fondo, e se il Codice stesso valga quale chiave interpretativa delle norme riguardanti 
la medesima materia entrate in vigore successivamente, o se - invece - sia 
corretto procedere alla disapplicazione delle norme che prevedono l�affidamento 
a SIMEST della gestione del FVC per contrasto con l�ordinamento comunitario; 


3. Se - ai fini dell�affidamento della gestione con gara - occorra l�adozione 
di una norma di rango primario. 

Tanto premesso, la Scrivente rende il seguente parere. 

I) Sembra utile premettere alcuni cenni relativi alla finalit� ed al funzionamento 
del FVC, nonch� al quadro normativo che lo riguarda. 

I.1) La finalit� del FVC � quella di sostenere l�internazionalizzazione delle 
imprese italiane. Ci� avviene attraverso l�acquisizione, alimentata attraverso il 
FVC, di quote partecipative nel capitale delle societ� che intendono svolgere attivit� 
su mercati esteri. Il FVC � e resta di propriet� ministeriale, ed � gestito da 
SIMEST secondo un sistema c.d. �rotativo�; ci� significa che le quote acquisite 
devono essere nuovamente cedute entro un determinato numero di anni, cos� 
che il FVC si autoalimenti attraverso il prezzo comprensivo delle eventuali plusvalenze 
ricavate dalla vendita delle partecipazioni azionarie alle imprese. Il 
solo compenso percepito per la gestione del FVC da Simest �, dunque, quello 
pagato dal MISE come previsto nella convenzione. 


I.2) Sono tuttora formalmente vigenti le norme di legge che prevedono, 
rispettivamente: 

-l�affidamento a SIMEST della �gestione degli interventi di sostegno finanziario 
all'internazionalizzazione del sistema produttivo di cui alla legge 
24 aprile 1990, n. 100� , (art. 25 del D.lgs. 143/1998); 

-l�autorizzazione alla costituzione di SIMEST nonch� l�inserimento, fra 
i suoi compiti, della gestione, in base ad apposite convenzioni, dei fondi �di 
cui al comma 1 dell'articolo 25 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, 
nonch� i fondi rotativi di cui all'articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 
21 marzo 2001, n. 84, e quelli istituiti ai sensi dell'articolo 46 della legge 12 
dicembre 2002, n. 273� (legge 100/90 art. 1 commi 1 e 2 lett. h-quinquies, introdotto 
dall�art. 7 comma 2 l. 56 del 31 marzo 2005). I fondi ivi menzionati 
sono quelli poi confluiti, per effetto dell�art. 1 comma 932 della legge Finanziaria 
2007, nel Fondo Unico oggetto del quesito in esame. 

La persistente vigenza delle norme sopra richiamate ha altres� trovato recente 
conferma nell�art. 23-bis del D.L. 95/12, conv. in l. 135/12, che - attribuendo 
a Cassa Depositi e Prestiti il diritto di opzione per l�acquisto delle 
partecipazioni statali in SIMEST - ha altres� previsto (al comma 5) che quest�ultima 
continui a svolgere le attivit� gi� affidatele in base alle norme legislative 
e regolamentari vigenti, nonch� �� ad osservare le convenzioni con il 
Ministero dello Sviluppo Economico gi� sottoscritte o che verranno sotto-
scritte con il Ministero in base alla normativa di riferimento�. 

II) Venendo ai quesiti sottoposti da codesta Amministrazione all�esame 
della Scrivente, si osserva quanto segue. 

II.1) L�art. 25 D.lgs 143/1998 descrive l�attivit� affidata a SIMEST come la 
gestione degli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del 
sistema produttivo, mentre la Convenzione recante il disciplinare del rapporto 
precisa, nelle premesse, che oggetto della stessa � la novazione dei pregressi 
rapporti convenzionali relativi alla gestione di �interventi di venture capital e/o 
l�acquisizione di partecipazioni aggiuntive� e, all�art. 3, che l�attivit� del gestore 
� finalizzata all��acquisizione e successiva cessione delle partecipazioni�, e 
comprende altres� tutta una serie di attivit� collaterali e strumentali, quali la promozione 
e cura del contenzioso, lo studio dei mercati di riferimento, l�operativit� 
dei fondi e l�amministrazione della relativa liquidit�, la tenuta delle scritture 
dei Fondi, la stipula di contratti, la valutazione dei piani aziendali ecc.. 

Le attivit� sopra descritte potrebbero, prima facie, sembrare riconducibili 
alla definizione di �servizi finanziari� contenuta nel Codice dei Contratti. Tuttavia, 
ad un pi� approfondito esame, sembra che il servizio di gestione dei 
FVC di cui SIMEST � titolare ex lege vada, invece, sottratto all�ambito di applicazione 
del Codice stesso, trattandosi di un servizio prestato da un�amministrazione 
aggiudicatrice in favore di un�altra, sulla base di un diritto esclusivo 
previsto da norme legislative (quelle, tuttora vigenti, richiamate sopra, al punto 


I.2) che non sembrano presentare profili di possibile contrasto con il trattato 

(cfr. art. 19 comma 2 del Codice). 

Ci� in ragione degli argomenti che qui di seguito si espongono. 

II.2) Debbono tenersi nella debita considerazione sia la natura pubblicistica 
dei soggetti parte del rapporto, quali sono il Ministero e SIMEST (ambedue 
�amministrazioni aggiudicatrici� ex art. 3 comma 25 del Codice, in quanto 
amministrazione dello Stato il primo, ed organismo di diritto pubblico il secondo), 
sia la riserva ex lege dell�attivit� di gestione del FVC, sia - infine - le 
specifiche peculiarit� proprie di detta attivit�. 

II.2.a) Quanto al primo dei summenzionati profili, occorre considerare, 
quanto alla natura pubblicistica di SIMEST che quest�ultima presenta i tratti distintivi 
propri dell��organismo di diritto pubblico� tale essendo, ex art. 3 comma 
26 del Codice, �qualsiasi organismo anche in forma societaria istituito per soddisfare 
specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale 
o commerciale; dotato di personalit� giuridica; la cui attivit� sia 
finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o 
da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo 
di questi ultimi oppure il cui organo d�amministrazione, di direzione o di 
vigilanza sia costituito da membri dei quali pi� della met� � designata dallo 
Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico�. 

SIMEST, infatti, � un soggetto: 

-dotato di personalit�; 

-il cui capitale azionario � detenuto al 76% da Cassa Depositi e prestiti 
(la cui natura di organismo di diritto pubblico � stata espressamente riconosciuta 
dal C.d.S. con sent. 550/2007); 

-che opera �per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, 
aventi carattere non industriale o commerciale�, quale l�internazionalizzazione 
delle imprese. 

N� deve dubitarsi che quest�ultima attivit� sia priva di carattere industriale 

o commerciale: invero, bench� la stessa si svolga a scopo di lucro ed in regime 
di concorrenza e bench�, secondo la giurisprudenza nazionale e comunitaria, 
tali circostanze possano rilevare come indizi del carattere commerciale di 
un�attivit� (si vedano C.d.S. 2764/08 e 1913/08 e C-229/99 e 260/99, che 
hanno escluso la finalit� di interesse pubblico di alcuni enti fieristici, in quanto 
perseguono essenzialmente fini di sostegno all�iniziativa economica privata), 
detti indizi non hanno tuttavia carattere necessariamente decisivo ai fini della 
connotazione dell�attivit� stessa: il carattere commerciale infatti ben pu� essere 
escluso in presenza di un interesse pubblico prevalente, come ritenuto dal Consiglio 
di Stato (sent. n. 6835/11) sempre con riferimento ad una s.p.a fieristica, 
in ragione della prevalenza, nel caso esaminato, dell�interesse pubblico perseguito 
da detta s.p.a., emergente dalla prevalenza del ritorno di immagine di 
cui il territorio beneficia per effetto dell�organizzazione di manifestazioni com



merciali. La giurisprudenza comunitaria (C-360/96) ha, a sua volta, escluso il 
carattere commerciale di un�attivit� in ragione del solo fatto che il soggetto 
opera in un regime concorrenziale, laddove si versi in una situazione in cui 
l�operatore potrebbe essere indotto a subire perdite economiche per perseguire 
una determinata politica, condizione - quest�ultima - che puntualmente ricorre 
nel caso oggetto del presente parere (sul che si dir� oltre, al punto II.2.b). 

Ci� posto, appare evidente come l�internazionalizzazione delle imprese 
effettivamente corrisponda proprio ad un interesse pubblico, che assume carattere 
di prevalenza. 

Essa, infatti - oltre a rilevare come mezzo per l�attuazione della politica 
industriale nazionale - soprattutto costituisce diretto strumento di politica estera, 
tantՏ vero che, secondo l�art. 2 l. 100/90, �Il Ministro del commercio con 
l'estero, sentiti il direttore generale della Sezione speciale per l'assicurazione 
del credito all'esportazione (SACE), il direttore generale del Mediocredito centrale 
e il direttore generale dell'Istituto nazionale per il commercio estero e 
sulla base degli indirizzi generali stabiliti dal Comitato interministeriale per la 
politica economica estera (CIPES), all'uopo allargato al Ministro delle partecipazioni 
statali, anche con riferimento a specifiche iniziative di rilevante interesse 
nazionale, formula le linee direttrici per gli interventi della SIMEST S.p.a., 
con particolare riguardo ai settori economici, alle aree geografiche, alle priorit� 
e ai limiti degli interventi, e ne verifica il rispetto. In ogni caso gli interventi 
della societ� devono essere basati su rigorosi criteri di validit� economica delle 
iniziative partecipate. 2. Con deliberazione del Comitato interministeriale per 
la programmazione economica potranno essere individuati Paesi o aree geografiche 
di interesse prioritario ai fini degli interventi della SIMEST S.p.a. ��. 

Si tratta, insomma, di finalit� pubbliche che trascendono il mero interesse 
privato degli imprenditori che accedono ai finanziamenti, e che - in quanto attengono 
non solo alla politica economica ed industriale del Paese, ma anche 
a quella estera - rivestono interesse generale e rientrano fra le attribuzioni fondamentali 
ed esclusive dello Stato. 

Quanto alla prevalenza del fine pubblico, essa non pu� essere negata, sol 
che si considerino le sostanziali restrizioni che esso impone alla libera iniziativa 
economica di SIMEST, sul che si dir� subito infra, al punto II.2.b). 

II.2b) Venendo al secondo profilo indicato al punto II.2), cio� la riserva 
ex lege (artt. 25 D.lgs 143/98, 1 l. 100/90) dell�attivit� affidata a SIMEST ed il 
particolare oggetto della stessa, si osserva che la rilevanza in termini di politica 
estera di detta attivit�, meglio descritta al punto che precede, implica che SIMEST 
- pur operando in regime di concorrenza (in quanto le attivit� elencate 
all�art. 1 della legge 100/909 non sono suo esclusivo appannaggio) ed a scopo 
di lucro -non possa tuttavia essere equiparata agli altri operatori del mercato: 
non solo, infatti, come gi� evidenziato, essa subisce un pesante condizionamento 
da parte dello Stato quanto ad individuazione delle priorit�, dei limiti 


e dei settori degli interventi, tale da poter ridurre anche significativamente il 
margine di lucro conseguibile rispetto a quello ottenibile da un soggetto che 
si muova liberamente sul mercato, ma � anche soggetta ad ulteriori, precise 
condizioni e limitazioni, quali la durata (otto anni) delle partecipazioni assunte 
nelle imprese finanziate ed il relativo ammontare (art. 5 comma 2 lett. C. l. 
84/01), il limite massimo della partecipazione percentuale che essa pu� acquisire 
nelle imprese partecipate (art. 1 comma 2 lett. h-bis l. 100/90). 

III) Le suesposte considerazioni inducono a ritenere che l�affidamento 
della gestione del FVC operi su di un piano ben distinto rispetto a quello del 
Codice dei Contratti, ricorrendo nella specie tutti i requisiti cui l�art. 19 comma 
2 del medesimo condiziona l�esclusione dal proprio campo applicativo dei cosiddetti 
appalti �interni�. 

Come detto, infatti, la gestione del FVC costituisce oggetto di un diritto 
esclusivo riservato ex lege da un�Amministrazione aggiudicatrice ad un�altra; 
n� le norme che riservano detta gestione a SIMEST sembrano presentare profili 
di possibile incompatibilit� con il Trattato U.E.: ci� proprio in considerazione 
della diretta funzionalit�, meglio descritta in precedenza, dell�attivit� svolta 
da SIMEST ad una prerogativa esclusiva dello Stato, qual � la gestione della 
politica estera, oltre che delle forti limitazioni alla libera iniziativa imprenditoriale 
di SIMEST che tale funzionalit� comporta. 

��� 

La risposta della Scrivente ai quesiti di cui sopra � pertanto la seguente: 

Non sussistono i presupposti per dar luogo alla disapplicazione, n� per 
ritenere l�intervenuta abrogazione, delle norme che riservano a SIMEST la gestione 
dei FVC; 

Pertanto - alla scadenza della Convenzione attualmente in essere con SIMEST 
- non si dovr� ricorrere ad una procedura ad evidenza pubblica per l�affidamento 
della gestione del FVC, bens� dovr� procedersi al rinnovo della 
convenzione stessa, restando tuttora valido e vigente il sistema di affidamento 
ex lege del servizio in via riservata a SIMEST. 

��� 

Il suesposto parere � stato sottoposto all�approvazione del Comitato Consultivo 
della Scrivente che, nelle sedute del 19 aprile 2013 e 31 maggio 2013, 
si � espresso in conformit�. 


Accise: sanzioni per la tutela del bene giuridico sostanziale 
(evasione/tentata evasione di imposta) e sanzioni per la tutela 
del bene giuridico formale (mancata/non corretta dichiarazione 
in via telematica) 

(Parere prot. 258941 del 12 giugno 2013, AL 6610/13, avv. FABIO TORTORA) 

In riferimento alla richiesta di parere all�oggetto, ritiene la scrivente Avvocatura 
di condividere, per le ragioni di seguito indicate, la prospettazione 
di codesta Agenzia in ordine al rispettivo ambito applicativo delle disposizioni 
di cui all�art. 59, comma 1, del D.Lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 (Testo Unico in 
materia di Accise; di seguito, breviter, T.U.A.) ed all�art. 1, comma 1 bis, del 

D.L. 3 ottobre 2006 n. 262 (introdotto dall�art. 11, comma 6, D.L. 2 marzo 
2012 n. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012 n. 44). 

L�art. 59, comma 1 del T.U.A. recita: �1. Indipendentemente dall�applicazione 
delle pene previste per i fatti costituenti reato, sono puniti con la sanzione 
amministrativa del pagamento di una somma di denaro dal doppio al 
decuplo dell�imposta evasa o che si � tentato di evadere, non inferiore in ogni 
caso a 258 euro, i soggetti obbligati di cui all'articolo 53 che: 

� 

c) omettono o redigono in modo incompleto o inesatto le dichiarazioni 
di cui agli articoli 53, comma 8, e 55, comma 2, non tengono o tengono in 
modo irregolare le registrazioni di cui all�articolo 55, comma 7, ovvero non 
presentano i registri, i documenti e le bollette a norma dell'articolo 58, commi 
3 e 4; 

��. 

Viceversa l�art. 1, comma 1 bis, del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262 recita: �1bis. 
Indipendentemente dall�applicazione delle pene previste per le violazioni 
che costituiscono reato, la omessa, incompleta o tardiva presentazione dei dati, 
dei documenti e delle dichiarazioni di cui al comma 1, ovvero la dichiarazione 
di valori difformi da quelli accertati, � punita con la sanzione amministrativa 
di cui all�articolo 50, comma 1, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504�. 

Nonostante il tenore letterale delle citate norme possa, ad una prima lettura, 
ingenerare l�apparenza di una possibile loro contestuale applicazione 
nella disciplina delle conseguenze della mancata, inesatta o incompleta comunicazione 
all�Amministrazione della dichiarazione di consumo annuale di cui 
all�art. 53, comma 8, T.U.A., la questione del rapporto fra le disposizioni in 
parola appare potersi dirimere mediante una corretta applicazione del principio 
di specialit�. 

In particolare, ad avviso della scrivente, fra l�art. 59 comma 1, T.U.A. e 
l�art. 1, comma 1 bis, D.L. 262/2006 intercorrerebbe un rapporto di specialit� 
cd. �per aggiunta�, l�elemento ulteriore e specializzante della disposizione di 


cui all�art. 59 comma 1, T.U.A. dovendosi individuare - come correttamente evidenziato 
da codesta Agenzia - nella evasione o nella tentata evasione d�imposta. 

Alla differente configurazione �strutturale� pare corrispondere, peraltro, 
anche una diversa oggettivit� giuridica. La disposizione di cui all�art. 1 comma 
1 bis, D.L. 262/2006 sembra, infatti, posta a presidio della specifica modalit� 
(telematica) con la quale deve assolversi all�obbligo di presentazione annuale 
delle dichiarazioni di cui al precedente comma 1 lett. c) del medesimo articolo 
(�c) � dichiarazioni di consumo per il gas metano e l�energia elettrica di cui 
agli articoli 26 e 55 del testo unico delle accise di cui al decreto legislativo 
26 ottobre 1995, n. 504� - come gi� rilevato, in proposito, da codesta Agenzia 
il riferimento all�art. 55 deve intendersi fatto oggi all�art. 53, comma 8 T.U.A., 
ex art. 1, comma 1, lett. d, D.Lgs. n. 26/2007), mentre la norma di cui all�art. 
59 comma 1 T.U.A. mira evidentemente al pi� ampio obiettivo di garantire il 
pagamento dell�accisa sull�energia elettrica prodotta nel corso dell�annualit�, 
sanzionando le condotte trasgressive in maniera proporzionale rispetto al 
danno erariale effettivamente arrecato. 

La funzione della prima disposizione - volta a presidiare il bene di natura 
�formale� rappresentato dall�interesse dell�Amministrazione all�acquisizione 
in modalit� telematica della summenzionata dichiarazione - appare quindi marcatamente 
anticipatoria rispetto all�esigenza di tutela del bene giuridico �sostanziale� 
costituito dalla corretta e completa esazione dell�accisa dovuta. 

La stessa pi� ampia portata della norma di cui all�art. 1 comma 1 bis D.L. 
262/2006 - mirante a garantire una serie di obblighi di comunicazione per via 
telematica alla P.A. di dichiarazioni e informazioni che riguardano anche settori 
diversi dalla produzione di energia elettrica - conferma l�assunto interpretativo 
che si tratti di una norma ispirata a differenti finalit� e volta a tutelare 
un diverso bene giuridico rispetto all�art. 59 comma 1 T.U.A.. 

Analogamente, appare confermare tale interpretazione la considerazione 
che l�art. 50 comma 1 T.U.A. sarebbe gi� di per s� idoneo a sanzionare �la 
omessa o tardiva presentazione delle dichiarazioni e delle denunce prescritte� 
(n.d.r., dal medesimo T.U.A.), potendosi razionalmente spiegare l�introduzione 
della disposizione in questione solo con l�intento del legislatore di sanzionare 
la mancata presentazione per via telematica della dichiarazione indicata al 
comma 1 della medesima disposizione. 

Inoltre, ulteriori indici rivelatori della mancata coincidenza dell�ambito 
applicativo delle disposizioni in questione sono da individuarsi nella diversa 
collocazione sistematica e nel ricorso a una differente tecnica sanzionatoria. 

Come noto, infatti, l�art. 1 comma 1 bis D.L. 262/2006, mediante il rinvio 
all�art. 50 T.U.A., prevede una sanzione di portata afflittiva piuttosto modesta 
e compresa entro limiti fissi e predeterminati, mentre l�art. 59 comma 1 T.U.A. 
commina una sanzione da determinarsi proporzionalmente rispetto all�importo 
dell�effettiva o tentata evasione. 


Conforta tale ricostruzione anche il raffronto fra il contenuto dispositivo del 
primo e dell�ultimo comma dell�art. 59, ultimo comma, peraltro, modificato anch�esso 
dal D.L. 2 marzo 2012 n. 16 (art. 11 comma 5 lett. b)), con la previsione 
di una sanzione identica a quella di cui all�art. 1 comma 1 bis D.L. 262/2006. 

Laddove, infatti, le norme qui prese in esame si ritenessero effettivamente 
concorrere sempre, non si comprenderebbe come lo stesso Legislatore che ha 
introdotto il comma 1 bis nell�art. 1 del D.L. 262/2006 non abbia contestualmente 
modificato il primo comma dell�art. 59 - in ipotesi, abrogandolo - bens� 
l�ultimo comma di tale disposizione. 

Pertanto, qualora si ritenessero �sovrapponibili� le norme in esame, la 
condotta di chi, omettendo o comunque redigendo in maniera incompleta o 
inesatta le dichiarazioni di cui all�art. 53, comma 8 T.U.A. abbia evaso o tentato 
di evadere l�accisa sarebbe sanzionata, del tutto illogicamente, con la medesima 
sanzione prevista, in via generale e residuale, dall�art. 59 u.c. T.U.A. 
per �ogni altra violazione delle disposizioni del presente titolo e delle relative 
norme di applicazione�. Si realizzerebbe, cos�, una perfetta coincidenza fra 
la sanzione comminata per il caso, evidentemente pi� grave, di evasione o tentata 
evasione d�imposta e quella prevista per il novero delle condotte, certamente 
connotate da una minore offensivit�, riconducibili alla disposizione �di 
chiusura� di cui all�ultimo comma dell�art. 59 T.U.A.. 

Sembra da escludere, ad avviso della scrivente, che il Legislatore, peraltro 
con il medesimo intervento novellistico, abbia inteso addivenire a risultati connotati 
da tale incongruenza sistematica ed irrazionalit� applicativa. 

E ci� vale a maggior ragione se si considera la ratio che appare sottesa 
all�intervento novellistico realizzato con il decreto legge 2 marzo 2012 n. 16, 
recante �disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento 
e potenziamento delle procedure di accertamento�, con l�art. 11 
significativamente inserito nel Titolo II (�Efficientamento e potenziamento 
dell�azione dell�amministrazione tributaria�), Capo II (�Potenziamento�). 

Sembra, infatti, da escludere che il Legislatore abbia inteso mitigare la 
risposta sanzionatoria per i pi� gravi casi di evasione - o tentata evasione dell�accisa 
con la medesima norma - l�art. 11 - che ha provveduto a raddoppiare 
le sanzioni previste per le pi� lievi violazioni di cui agli artt. 50 e 59 
comma 5 T.U.A.. 

In conclusione, dal complessivo esame delle modifiche normative introdotte 
dall�art. 11 del D.L. 16/2012 emerge un disegno che appare coerente e 
che, al di l� della formulazione letterale del comma 1 bis, in qualche misura 
equivoca, appalesa la finalit� di rafforzare, e non certo di attenuare, la reazione 
sanzionatoria per i casi di violazione della disciplina dettata in materia di accise. 

La scrivente Avvocatura ritiene, pertanto, di dover convenire con quanto 
prospettato da codesta Agenzia con la nota citata in riferimento in merito ai 
criteri di delimitazione del rispettivo ambito applicativo delle disposizioni di 


cui all�art. 59 comma 1 T.U.A. ed all�art. 1 comma 1 bis D.L. 262/2006, e cio� 
che la sanzione di cui all�art. 1, comma 1 bis D.L. 262/2006 vada in ogni caso 
applicata esclusivamente laddove la dichiarazione di consumo annuale non 
venga presentata o venga presentata in formato diverso da quello telematico 
o in modo incompleto rispetto alle modalit� previste per l�invio telematico, o 
tardivamente, fermo restando che da tali condotte non derivi in ogni caso alcuna 
evasione o tentativo di evasione d�imposta, per il quale caso vige, anche 
in possibile concorso, la diversa sanzione prevista dall�art. 59 comma 1 T.U.A.. 

Sul parere, costituente questione di massima, � stato sentito il Comitato 
Consultivo che, nella seduta del 30 maggio 2013, si � espresso in conformit�. 

Criteri interpretativi delle ordinanze cautelari in materia di 
appalti pubblici 

(Parere reso in via ordinaria, AL 47705/12, avv. VINCENZO NUNZIATA) 

Si fa riferimento all�oggetto ed in particolare alla richiesta di chiarimenti 
formulata da codesta Societ� circa la modalit� con cui prestare esecuzione alla 
ordinanza del Consiglio di Stato n. 1680/2013 che ha accolto l�istanza cautelare. 

I dubbi di codesta Societ� sono evidentemente correlati ai possibili effetti 
della pronunzia cautelare rispetto alla aggiudicazione o addirittura al contratto, 
nella specie in corso di esecuzione. 

Come � noto il Consiglio di Stato ha motivato sia con riferimento al periculum 
che al fumus, ritenendo sotto questo secondo profilo che �non paiono prima 
facie infondate� le censure formulate ex adverso concernenti le offerte dell�aggiudicataria 
e della seconda classificata. � dunque plausibile affermare che vi sia 
una concreta possibilit� di soccombenza all�esito del giudizio di merito. 

Tanto premesso, e per venire alle concrete modalit� di esecuzione, va 
detto che l�ordinanza non � del tutto perspicua, posto che, nella parte dispositiva, 
�accoglie l�istanza cautelare in primo grado�, compensa le spese, ed ordina 
la trasmissione dell�ordinanza al TAR per la urgente fissazione 
dell�udienza di merito ex art. 119, comma 3, c.p.a. 

Va subito premesso che non aiuta il riferimento ai contenuti dell�istanza 
di sospensione in primo grado posto che il ricorso introduttivo, proposto come 
� noto dinanzi al Tar Sardegna, poi dichiaratosi incompetente, genericamente 
si riferiva agli atti della procedura e ricollegava la sussistenza del fumus proprio 
alla possibile stipula del contratto, avvenuta come � noto solo a seguito 
della favorevole pronunzia cautelare di primo grado. 

L�art. 119, comma 3, cpa dispone che �il tribunale amministrativo regio



nale chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare, se ritiene, a un primo 
sommario esame, la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio 
grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione del 
merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni 
dalla data di deposito dell'ordinanza�. 

Prosegue che �In caso di rigetto dell'istanza cautelare da parte del tribunale 
amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi l'ordinanza 
di primo grado, la pronuncia di appello � trasmessa al tribunale amministrativo 
regionale per la fissazione dell'udienza di merito�. 

Come si vede, il comma 3 non fa riferimento a misure cautelari specifiche 
n� richiede (o presuppone) la sospensione dei provvedimenti impugnati, sostanziando 
i concreti effetti della pronunzia cautelare nella ulteriore accelerazione 
del giudizio, finalizzata evidentemente all�obiettivo di evitare che i tempi 
della decisione pregiudichino l�interesse della parte che ha ragione. 

Tale contenuto (o finalit�) della tutela cautelare, come prevista al comma 
3, trova ulteriore rafforzamento nel disposto del comma 4 dell�articolo 119, 
ai sensi del quale �con l�ordinanza di cui al comma 3, in caso di estrema gravosit� 
ed urgenza, il Tribunale amministrativo dispone le opportune misure 
cautelari�. 

In questa ultima ipotesi, dunque, al giudice amministrativo � affidato non 
solo il compito di accelerare il giudizio, ma anche di dettare concrete misure 
connesse all��estrema gravit� o urgenza�: ci� che, evidentemente, nella specie 
non si � verificato. 

La disposizione di cui all�articolo 119 costituisce la sostanziale riproduzione 
ai giudizi abbreviati di cui al Titolo V del c.p.a. dell�articolo 55 stesso 
codice, dettato per il rito ordinario (in particolare commi 10 e ss.), con la unica 
(ma sostanziale) differenza che nel rito abbreviato il giudice amministrativo, 
in caso di accoglimento della cautela, deve fissare l�udienza di merito. 

Non a caso, in sede cautelare, il Consiglio di Stato ha affermato che anche 
la pronunzia con cui il Tar, ai sensi dell�articolo 55, comma 10, cpa, fissa 
l�udienza di merito, ha natura di pronunzia cautelare. 

Tale ricostruzione � sostanzialmente condivisa dalla dottrina che si � occupata 
della questione. 

Cos�, ad esempio si � affermato (Codice del Processo Amministrativo a 
cura di Mario Sanino pag. 252) che �La disposizione di cui al comma 3 del-
l�articolo in esame non prevede di regola la concessione dell�istanza cautelare, 
anche ove ritenuti sussistenti i presupposti del fumus boni iuris e del 
periculum in mora, ma stabilisce semplicemente che il TAR fissa con immediatezza 
l�udienza di merito. Ci� nel presupposto che la ravvicinata definizione 
del giudizio e dunque il probabile esito favorevole per il ricorrente (almeno 
secondo quanto emerge in termini di probabilit� ad una prima valutazione in 
sede cautelare) rende non indispensabile per la sospensione dell�efficacia 


degli atti impugnati. Si ritiene, in altri termini, che la celere definizione del 
giudizio, attraverso l�immediata fissazione dell�udienza di merito sia idonea 
ad impedire il verificarsi di effetti irreversibili. 

Tuttavia, nel giudizio abbreviato l�accoglimento della domanda cautelare 
non � preclusa in assoluto, ma solo sottoposta a pi� severi presupposti per la 
sua concessione. Il 4 comma, infatti stabilisce la possibilit� di accordare le 
opportune misure cautelari in caso di estrema gravit� ed urgenza. Il requisito 
dell�estrema gravit� ed urgenza sembra presupporre una fattispecie in cui 
anche la celere fissazione dell�udienza di merito non consente comunque di 
lasciare immutato lo stato di fatto, ma rende anzi indispensabile il ricorso a 
misure cautelari, in assenza delle quali anche l�accoglimento del ricorso rischierebbe 
di rendere vani gli effetti annullatori del provvedimento. 

Si ritiene generalmente che il Consiglio di Stato, nell�ipotesi di accoglimento 
dell�istanza cautelare, in coerenza con la disposizione del 3� comma, 
non � tenuto ad accordare la tutela cautelare ma pi� semplicemente deve limitarsi 
a ravvisare la sussistenza dei presupposti per la sollecita fissazione 
dell�udienza di merito�. 

Orbene, nella specie il Consiglio di Stato non ha adottato alcuna effettiva 
misura cautelare che si concreti nella sospensione degli effetti dei provvedimenti 
impugnati (come avrebbe potuto e normalmente nella pratica avviene 
quanto il giudice amministrativo, nell�accogliere l�istanza cautelare, indica altres� 
i provvedimenti sospesi negli effetti). 

Non sembra a questo punto possa revocarsi in dubbio, sulla base del tenore 
letterale delle disposizioni citate, che la pronunzia cautelare adottata rientri 
dunque nella previsione di cui al comma 3 dell�articolo 119, inidonea 
pertanto a produrre effetti sospensivi del contratto stipulato. 

Ma in questo senso depongono anche argomenti di carattere sistematico. 

� noto che il recente c.p.a. � intervenuto in maniera esauriente sulla complessa 
tematica dei rapporti tra annullamento dell�aggiudicazione, naturalmente 
solo all�esito del giudizio di merito, e conseguente caducazione degli 
effetti del contratto, risolvendo le precedenti perplessit� dottrinali e giurisprudenziali 
sulla situazione di invalidit� in cui venga trovarsi il contratto stesso 
una volta annullato il provvedimento di aggiudicazione. 

� noto altres� che lo stesso c.p.a. non prevede di norma un automatismo 
tra annullamento dell�aggiudicazione e dichiarazione di inefficacia del contratto 
(articolo 122), salvo le ipotesi in cui la declaratoria di inefficacia consegua 
a determinate fattispecie di particolare gravit� (art. 121). 

Ci� che nel complesso emerge dal sistema delineato dal nuovo cpa � una 
particolare cautela del legislatore rispetto alla soluzione radicale della cessazione 
degli effetti del contratto, connessa evidentemente al naturale contemperamento 
della effettiva tutela della parte risultata vittoriosa con l�interesse 
pubblico perseguito con l�affidamento contrattuale. 


� stato cos� affermato in giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 5 novembre 
2012, n. 5591) che �dopo l'entrata in vigore delle disposizioni attuative della 
direttiva comunitaria 2007/66/CE, ora trasfuse negli artt. 121 e 122 c.p.a., in 
caso di annullamento giudiziale dell'aggiudicazione di una pubblica gara 
spetta al giudice amministrativo il potere di decidere discrezionalmente, anche 
nei casi di violazioni gravi, se mantenere o no l'efficacia del contratto nel frattempo 
stipulato; il che significa che l'inefficacia non � conseguenza automatica 
dell'annullamento dell'aggiudicazione, che determina solo il sorgere del 
potere in capo al giudice di valutare se il contratto debba continuare o non a 
produrre effetti, sicch� la privazione degli effetti del contratto per effetto del-
l'annullamento dell'aggiudicazione deve formare oggetto di una pronuncia 
giurisdizionale tipica�. 

Analogamente, si � affermato (Cons. Stato, Sez. V, 21 febbraio 2012, n. 
932), che �In materia di appalti pubblici, la disciplina introdotta dal D.Lgs. 

n. 53 del 2010 e poi trasfusa nell'art. 122 del codice del processo amministrativo, 
caratterizzata da una maggiore semplificazione, concentrazione in un 
unico processo ed effettivit� della tutela, secondo quanto previsto dalla normativa 
comunitaria di cui alla direttiva n.66/2007/CEE, comporta il potere 
del giudice amministrativo di pronunciarsi in ordine all'inefficacia del contratto, 
con estensione della giurisdizione esclusiva. � del tutto consequenziale 
che il sindacato sulla sorte del contratto determini, all'esito della decisione di 
annullamento dell'aggiudicazione, un assetto del rapporto contrattuale - nel 
senso della sua inefficacia o del suo mantenimento - che le parti sono obbligate 
ad osservare e di cui devono tenere conto nei successivi comportamenti�. 

Ci� che � sicuro, � che la pronunzia di merito che dichiari la inefficacia del 
contratto deve disporla espressamente e deve essere ancorata dal punto di vista 
argomentativo ai criteri di valutazione puntualmente indicati dall�articolo 122. 

Tutto ci� non � nella specie ed anzi, anche ammesso in ipotesi che il giudice 
amministrativo disponga nella fase cautelare del potere di sospendere gli 
effetti del contratto in una con l�aggiudicazione, in concreto l�ordinanza cautelare 
assolutamente nulla dice al riguardo. 

Conseguentemente, una lettura ad opera dell�interprete della pronunzia 
cautelare tale da ricollegare ad essa anche effetti sul contratto, comporterebbe 
una (inammissibile) attivit� di integrazione e/o completamento della pronuncia 
giudiziale dai confini assolutamente incerti, se non discrezionali. 

Ed esporrebbe la Stazione appaltante al rischio di azioni risarcitorie da 
parte dell�aggiudicataria nell�ipotesi di (in ogni caso possibile) esito ad essa 
favorevole del giudizio; e ci�, a tacere dell�interesse pubblico che verrebbe 
sicuramente compromesso dal ritardo nell�esecuzione delle prestazioni contrattuali, 
le quali certo non potrebbero in questa fase interinale essere svolte 
dal ricorrente (come invece pu� verificarsi, all�esito della pronuncia di merito, 
con il subentro del ricorrente vittorioso nel contratto). 


Tanto premesso in punto di diritto, � chiaro che in concreto deve raccomandarsi 
a codesta Societ� una particolare cautela nella gestione della vicenda 
contrattuale, sino alla pronunzia di merito del TAR (che questo G.U. ha gi� 
provveduto a sollecitare con apposita istanza e che � stata fissata all�udienza 
del 17 luglio p.v.). 

Ci� evidentemente in applicazione dei principi di buon andamento e di 
interpretazione secondo buona fede della pronunzia cautelare, nell�obiettivo 
di assicurare il perseguimento dell�interesse pubblico, ma anche di non svuotare 
di contenuto il possibile esito del giudizio favorevole alla parte ricorrente. 

In concreto, quindi, codesta Societ� dovr� valutare le specifiche attivit� 
che l�aggiudicatario sta svolgendo, eventualmente evitando di commetterne 
di nuove ed ulteriori, con il rischio che si producano nuovi e maggiori oneri 
all�esito della pronunzia di accoglimento, alla quale come � noto possono conseguire, 
oltre che la dichiarazione di inefficacia del contratto, effetti sanzionatori 
e risarcitori anche per equivalente (articoli 123 e 124 c.p.a.). 

Al fine di pervenire quanto prima ad un chiarimento, ove codesta Societ� 
lo ritenga utile, questa Avvocatura potr� richiedere in sede di udienza di merito 
la pubblicazione anticipata del dispositivo (articolo 119, comma 5, cpa). 

Si segnala inoltre che, in presenza di particolari perplessit� interpretative 
da parte di codesta Societ�, risulta attivabile la speciale procedura prevista 
dall�articolo 112, comma 5, cpa, volta a richiedere al medesimo Giudice chiarimenti 
in ordine alle modalit� di esecuzione anche della pronunzia cautelare. 

Si resta a disposizione per quanto possa occorrere. 

Con l�occasione, ai fini della predisposizione di eventuali ulteriori scritti 
difensivi, vorr� codesta Societ� far conoscere le proprie valutazioni sui punti, 
relativi al fumus, ritenuti rilevanti dal Consiglio di Stato. 

Domanda di accesso al Fondo di rotazione per la solidariet� alle 
vittime dei reati di tipo mafioso. Legge 22 dicembre 1999, n. 512 

(Parere reso in via ordinaria prot. 249896 del 7 giugno 2013, 
AL 41396/12, avv. MASSIMO SALVATORELLI) 

Con la nota indicata in oggetto codesta Amministrazione ha fornito i chiarimenti 
richiesti dalla Scrivente con il foglio n. 481997 del 6 dicembre 2012 
con riferimento alla Delibera n. 92 del 28 febbraio 2012 relativa alla domanda 
di accesso al Fondo indicato in oggetto presentata dal dottor (...), congiunto 
del giornalista (...), assassinato dalla camorra in data (...). 

In particolare, ad integrazione di quanto esposto nella richiesta di parere 


del 2 novembre 2012, si fornisce documentazione dalla quale emerge che la 
sentenza della Corte d�Assise d�appello di Napoli � stata depositata in data 30 
settembre 1999 e che � passata in giudicato (per tutti gli imputati tranne uno) 
il 13 ottobre 2000. 

Viene inoltre chiarito che il dottor (...) non ha assunto ad oggi iniziativa 
alcuna avverso il provvedimento di reiezione della domanda di accesso al 
Fondo. 

Tanto premesso, si rammenta che il provvedimento negativo (di rigetto 
per tardivit�) � stato a suo tempo adottato sulla base di una interpretazione letterale 
del disposto dell�art. 5, comma 5, della L. 22 dicembre 1999, n. 512 
(�la domanda al fondo per il risarcimento dei danni disposto con sentenze 
pronunciate prima della data di entrata in vigore della presente legge � proposta, 
a pena di decadenza, �, entro un anno dalla data di entrata in vigore 
della legge�). Come visto, per la sentenza in esame non solo la lettura del dispositivo, 
ma anche il deposito � effettivamente avvenuto in data anteriore all�entrata 
in vigore della legge, di tal che alla fattispecie risulterebbe applicabile 
il regime transitorio regolato dal comma 5. 

Codesta Amministrazione esprime tuttavia oggi dubbi in ordine alla legittimit� 
del provvedimento (sul quale potrebbe intervenirsi in via di autotutela) 
alla luce di una lettura coordinata della menzionata norma con la 
previsione del comma 4 del medesimo articolo (�la richiesta di pagamento 
al fondo � accompagnata dalla copia autentica dell�estratto della sentenza di 
condanna passata in giudicato�). 

Tale ultima disposizione lascerebbe intendere che �solo dopo la definitivit� 
della sentenza il dottor (...) poteva correttamente chiedere la liquidazione 
dei danni�. Pertanto, l�espressione �sentenze pronunciate� dovrebbe essere 
rettamente intesa come riferita alle sentenze �passate in giudicato� prima 
dell�entrata in vigore della legge. In tal caso, poich� il passagio in giudicato 
della statuizione andrebbe sicuramente collocato in data successiva all�entrata 
in vigore della legge, non troverebbe applicazione la previsione (transitoria) 
di cui al comma 4, e la fattispecie sarebbe assoggettata al regime di prescrizione 
ordinario (anzich� a quello decadenziale), con conseguente tempestivit� 
della domanda di accesso al Fondo. 

Definitivamente accertati i fatti di causa, la Scrivente ritiene che il provvedimento 
adottato dal Comitato di solidariet� per le vittime dei reati di tipo 
mafioso vada esente da censure. 

Per un verso, infatti, la disposizione recata nel comma 5 appare di piana 
lettura, e non fa riferimento al concetto di �sentenza passata in giudicato�, 
bens� a quello (certamente dotato di specifica e autonoma valenza) di �sentenza 
pronunciata�. Ci� mostra una precisa volont� in tal senso, atteso che il Legislatore 
ha in altre disposizioni espressamente fatto riferimento al passaggio in 
giudicato della statuizione giurisdizionale. La stessa non appare d�altro canto 


irrazionale, ma perfettamente coerente con le esigenze di certezza dei rapporti 
giuridici (qui collegate anche alle ovvie necessit� contabili di copertura di bilancio, 
ed al principio per cui le norme che comportano erogazione di fondi 
pubblici devono essere oggetto di stretta interpretazione), atteso che non pu� 
consentirsi di azionare la domanda di accesso al Fondo per un periodo estremamente 
lungo (corrispondente alla prescrizione ordinaria decennale), come 
avrebbe potuto verificarsi per fatti anche remotissimi, in assenza di una disposizione 
transitoria. 

D�altro canto, l�interpretazione che assimila le due espressioni usate dal 
Legislatore al quarto e al quinto comma dell�art. 5 non appare del tutto corretta, 
atteso che, come risulta dallo stesso testo del comma 4, il passaggio in giudicato 
della sentenza non � condizione necessaria per azionare la richiesta di accesso 
al Fondo, essendo la stessa espressamente consentita anche nell�ipotesi 
di �sentenza di condanna al pagamento di provvisionale� e di �sentenza civile 
di liquidazione del danno� che non necessariamente presuppongono una statuizione 
definitiva. 

Conclusivamente si ritiene che allo stato, non essendo lo stesso viziato 
per illegittimit�, non sussistano i presupposti per agire in via di autotutela annullando 
il provvedimento adottato dal Comitato di solidariet� per le vittime 
dei reati di tipo mafioso sulla istanza prodotta dal dottor (...). 

Si rimane a disposizione per quanto altro possa occorrere. 

Utilizzazione del R.D. 14 aprile 1910 n. 639 nelle procedure di 
rimborso a favore della P.A. 

(Parere reso in via ordinaria prot. 274910 del 24 giugno 2013, 
AL 25758/13, avv. DIANA RANUCCI) 

1) L�Avvocatura de L�Aquila ha trasmesso alla Scrivente la richiesta, formulata 
da codesto Comando, di procedere al recupero delle somme indebitamente 
percepite dal nominato in oggetto, il quale, dalla lettura delle carte 
allegate a detta richiesta, non risulterebbe pi� essere dipendente dell�Amministrazione 
Difesa. 

Per tale motivo l�Avvocatura aquilana propone di notificare al debitore, il 
quale non ha ottemperato alle richieste di rimborso avanzate da codesto Comando, 
ricorso per decreto ingiuntivo da richiedersi al TAR competente per territorio. 

Esaminata la documentazione trasmessa la Scrivente ritiene che allo stato 
sia opportuno in via preliminare procedere diversamente, con lo strumento pi� 
rapido, e probabilmente pi� efficace quanto a forza persuasiva, della ingiun



zione ex R.D. 14 aprile 1910, n. 639, tuttora validamente utilizzabile dallo 
Stato non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico ma anche per 
quelle di diritto privato. 

Tale strumento trova il suo fondamento nel potere di autoaccertamento 
della Pubblica Amministrazione ed il suo legittimo uso � subordinato alla sola 
condizione che � il credito in base al quale viene emesso l'ordine di pagare 
la somma dovuta sia certo, liquido ed esigibile, senza alcun potere di determinazione 
unilaterale dell'Amministrazione, dovendo la sussistenza del credito, 
la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilit� 
derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati, rimanendo 
all'Amministrazione un mero potere di accertamento dei detti elementi� (Cass. 
Sez. I, n. 13587/1992), condizione quest�ultima certamente soddisfatta nella 
specie, risultando il credito della P.A. dai documenti contabili. 

2) N� potrebbe obiettrasi che trattasi di istituto abrogato, atteso che, al 
contrario, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che �l'ingiunzione 
emessa ai sensi del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, deve ritenersi "sopravvissuta", 
nella sua componente di atto di accertamento della pretesa erariale (idoneo 
a dar vita ad un giudizio sulla legittimit� della pretesa stessa), al disposto del-
l'art. 130, comma secondo, del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, il quale, nel-
l'abrogare tutte le disposizioni che regolavano la riscossione coattiva delle 
imposte mediante il rinvio al R.D. n. 639 del 1910, ha sancito l'abrogazione 
delle sole previgenti disposizioni in materia di riscossione e non anche quelle 
in materia di accertamento. Pertanto, tale ingiunzione, inidonea di per se 
stessa (quando emessa in epoca successiva all'entrata in vigore del citato 

D.P.R. n. 43 del 1988) ad attivare un procedimento di riscossione a mezzo 
ruoli, si sostanzia pur sempre in un invito al pagamento di quanto dovuto, in 
ordine al quale la notifica a mezzo del servizio postale deve ritenersi strumento 
idoneo al fine di portare a conoscenza del contribuente la pretesa erariale e 
di consentirgli la piena tutela del diritto di difesa anche in sede giudiziaria� 

(Cass. Sez. V, n. 10923/2003). 

Pi� di recente, la Cassazione, chiamata a decidere quale giudice fosse dotato 
di giurisdizione in un giudizio di opposizione ad ingiunzione emessa sulla 
base del R.D. n. 639/1910, ha avuto modo di chiarire �che l'ingiunzione che 
precede l'espropriazione speciale attuata in base al Decreto del 1910, quando 
d� luogo ad una contestazione basata su una norma tributaria, non pu� che 
essere assegnata alla Commissione Tributaria. L'ingiunzione non � sicuramente 
un atto dell'espropriazione forzata, ma � un atto (normalmente di natura 
tributaria) riferibile al creditore, che non � preceduto da una notificazione del 
ruolo o di una cartella. Esso ha la stessa funzione della cartella e deve potere 
essere impugnato come una cartella. Giova ricordare che nel processo esecutivo 
ordinario c'� il principio contenuto nell'articolo 479 c.p.c. secondo il 
quale "Se la legge non dispone altrimenti, l'esecuzione forzata deve essere 


preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto". 

Questo principio � ribadito anche nell'articolo 50 del D.P.R. n. 602/73 
secondo il quale �Il concessionario procede a espropriazione forzata quando 
� inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della 
cartella di pagamento, salve le disposizioni relative alla dilazione e alla sospensione. 
Se l'espropriazione non � iniziata entro un anno dalla notifica della 
cartella di pagamento, l'espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, 
da effettuarsi con le modalit� previste dall'articolo 26, di un avviso che 
contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque 
giorni. Ma, anche l'articolo 5 del decreto del 1910 presuppone che prima del-
l'espropriazione forzata venga notificata l'ingiunzione. 

Tutto ci�, allora, conferma che l'ingiunzione svolge la stessa funzione che 
svolge la cartella in quanto atto prodromico per l'esecuzione forzata� (Cass. 
Sez. Un. n. 10958/2005). 

In disparte dal notare che, nella fattispecie ivi esaminata, la Suprema 
Corte ha concluso per la giurisdizione della Commissione tributaria poich� la 
pretesa sottostante l�ingiunzione aveva natura fiscale, quel che occorre sottolineare 
� il dato fondamentale che la Corte abbia ritenuto pienamente legittimo 
l�uso dell�ingiunzione ex TU 1910. 

3) � poi pacifico che lo strumento in discorso sia utilizzabile anche per 
le entrate di natura non tributaria. 

In questo senso si � espresso il giudice amministrativo (cfr. Cons.di S. 
sez. V, n. 8156/2010) secondo cui �le controversie relative ad atti di recupero 
di ratei di pensione erogati e non dovuti appartengono alla giurisdizione 
esclusiva della Corte dei Conti in materia di dipendenti degli enti locali poich�, 
venendo in discussione il quantum (o nella specie l'an) del trattamento 
pensionistico e, quindi, la sussistenza o l'entit� del diritto a pensione, ci� che 
rileva ai fini in questione � il contenuto pubblicistico del rapporto dedotto in 
giudizio; n� tale regola soffre della deroga in favore di altro giudice nell'ipotesi 
in cui l'Amministrazione si sia avvalsa del procedimento per ingiunzione 
di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, art. 2 (cfr., tra le tante, Cass., ss.uu., 16 
novembre 2007 n. 23731). La Corte regolatrice della giurisdizione tanto ha 
altres� ribadito, affermando che spetta alla Corte dei conti la giurisdizione 
sulla controversia avente ad oggetto l'indebita percezione di ratei di pensione 
ed il conseguente diritto alla ripetizione fatto valere dall'amministrazione del 
tesoro, n� tale giurisdizione soffre deroga, in favore di altro giudice, nel caso 
in cui si contesti l'esperibilit� ai fini del recupero del procedimento di riscossione 
adottato (cfr. Cass., ss.uu., 18 giugno 2008 n. 16530)�. 

4) In altri termini, sia il giudice ordinario che quello amministrativo ritengono 
che l�ingiunzione in esame sia legittimamente utilizzabile dalle Amministrazioni 
statali in ogni ipotesi in cui si debba procedere al recupero di 
somme, certe, liquide ed esigibili, aventi natura tributaria, pubblicistica o 


anche privatistica (esclusa l�ipotesi di somme di natura risarcitoria), costituendo 
l�ingiunzione atto idoneo ad attivare la pretesa dell�amministrazione 
ed a consentire l�opposizione del debitore avanti al giudice competente. 

Alla luce degli esposti principi, non � dubbio che la fattispecie in esame 
rientri perfettamente nei confini delineati, atteso che le somme da recuperare 
attengono ad un rapporto di natura pubblica: il rapporto d�impiego. 

Si evidenzia infine che, nella decisione sopra citata, il Consiglio di Stato 
ha anche ritenuto legittimo � il recupero disposto mediante il procedimento di 
riscossione dell'indebito consistente nella trattenuta di un quinto dello stipendio 
in godimento nell'ambito della prosecuzione del rapporto di impiego con 
l'Ente datore di lavoro�. 

Qualora quindi il nominato in oggetto fosse ancora titolare di rapporto di 
lavoro con codesta Amministrazione ovvero di trattamento pensionistico nulla 
osta a che si proceda al recupero mediante la suddetta trattenuta. 

Vorr� pertanto codesto Comando procedere nel senso indicato, e provvedere 
ad emettere e notificare al debitore, con la massima celerit�, l�ingiunzione 
suddetta. 


legislazione ed attualit�
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Lo Stato ferito: con la sentenza in commento un contributo sui 
reati compiuti nel corso delle manifestazioni 

(Nota a Trib. Roma, Sez. VII Coll., sentenza 30 novembre 2012 n. 16442) 

Alessandra Bruni* 
Niccol� Guasconi** 

SOMMARIO: 1. Lo Stato in giudizio: le ragioni di una scelta - 2. Il caso in esame e la resistenza 
a pubblico ufficiale - 3. Il reato di devastazione e la sua problematica applicabilit� 
alla manifestazione del 15 ottobre 2011. 

1. Lo Stato in giudizio: le ragioni di una scelta. 

La sentenza n. 16442, emessa dal Tribunale Penale di Roma in composizione 
collegiale, le cui motivazioni sono state depositate in cancelleria il 30 
novembre 2012, � una delle tante che riguardano gli eventi verificatisi a Roma 
durante la manifestazione del 15 ottobre 2011, la c.d. �Giornata europea del-
l�indignazione� (1). Il processo si � concluso con la condanna dell�imputato a 
5 anni di reclusione e al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili. 

La decisione in commento assume particolare rilievo, oltre che per le problematiche 
giuridiche affrontate, anche per la costituzione dello Stato nel processo 
come parte civile e per la precisione con cui sono state tratteggiate le 
ragioni e le modalit� che hanno trasformato una manifestazione pacifica in 

(*) Avvocsto dello Stato. 

(**) Dottorando in �Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate� presso l�Universit� degli 

Studi di Roma �La Sapienza�, gi� praticante forense presso l�Avvocatura dello Stato. 

(1) La denominazione richiama il movimento degli Indignados nato nel 2011 in Spagna per protestare 
contro la gestione della crisi economica e finanziaria in atto e la subordinazione della politica all�economia 



scontri d�inaudita violenza, tali da poter essere definiti i pi� gravi accaduti a 
Roma nell�ultimo ventennio, paragonabili per drammaticit� agli eventi del G8 
di Genova del 2001. 

A differenza del giudizio civile, che � spesso una questione di puro diritto, 
il processo penale si basa essenzialmente sul fatto e, in quanto tale, non pu� 
prescindere dalla ricostruzione non solo delle condotte individuali, ma anche 
della cornice di eventi in cui esse si collocano. Come si vedr�, anche dal contesto 
possono ricavarsi elementi giuridicamente rilevanti per appurare il disvalore 
della condotta del singolo, senza che ci� vada a menomare il principio 
di personalit� della responsabilit� penale sancito dall�art. 27 Cost. Infatti, 
quando ci si deve confrontare con fenomeni collettivi di questo tipo, una mancata 
analisi del contesto in cui i singoli episodi si collocano non consentirebbe 
di coglierne appieno il significato. In questo senso pu� dirsi che, ferma l�esigenza 
di appurare tutti gli elementi della fattispecie in ogni singolo caso, � lo 
stesso ordinamento ad imporre un accertamento ad ampio raggio, perch� solo 
una ricostruzione quanto pi� possibile fedele dei fatti e del significato delle 
azioni nel loro complesso permette di calibrare la risposta sanzionatoria. 

In questo contesto va dunque spiegata l�attenzione che la pronuncia in 
commento dedica alla descrizione del clima, delle strategie e dei comportamenti 
dei diversi gruppi durante la manifestazione. A tale scopo si � rivelata 
particolarmente significativa la deposizione del teste Lamberto Giannini, dirigente 
della Digos di Roma, dalla quale sono emersi elementi utili a ricostruire 
le dinamiche tipiche in grado di trasformare manifestazioni pacifiche in 
un�escalation di violenza (2). 

Anche in questo caso, come in tanti altri analoghi, il rischio era ampiamente 
preventivato dall�intelligence, ma ugualmente inevitabile proprio per 
le modalit� che hanno caratterizzato gli episodi di violenza. 

Volendo tracciare un quadro sintetico degli elementi che hanno consentito 
la deflagrazione di una vera e propria guerriglia urbana, bisogna partire dal 
dato di fatto che vi � stata una sistematica opera di infiltrazione tra i manifestanti 
pacifici da parte di numerosi gruppi violenti, di varia estrazione politica. 
Si tratta di formazioni ben organizzate che strumentalizzano il diritto costituzionale 
di riunione per fini eversivi premeditati, tali da implicare un lavoro di 
progettazione e di studio dei luoghi che consenta di nascondere lungo il percorso 
oggetti atti ad offendere (mazze, fionde, biglie, molotov) e di individuare 
in anticipo quali materiali, anche fra gli arredi urbani, presenti sul posto pos


(2) Occorre in proposito ricordare che l�art. 17, co. 1, Cost. consente solo lo svolgimento di riunioni 
pacifiche e senz�armi, ma, secondo quanto sostenuto da autorevole dottrina, per vietare una manifestazione 
occorre che vi sia un pericolo immediato e concreto di violazione dell�ordine pubblico o 
che ad essere armati siano la maggior parte dei manifestanti, sicch� risulti impossibile isolare gli intrusi. 
Sul tema si veda A. PACE, Art. 17, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione italiana, 
Foro it. � Zanichelli, Roma � Bologna, 1977, pp. 147 ss. 


sono prestarsi ad opere di danneggiamento (transenne, cassonetti, sampietrini). 
Gli episodi di violenza non sono quindi, almeno nel loro momento genetico, 
figli di un raptus o di un clima di eccitazione collettiva, ma lucidamente preordinati; 
cos� la manifestazione diventa strumento incolpevole di mire che 
nulla hanno a che vedere con questa. 

Le difficolt� nel fronteggiare i facinorosi sono dovute anche alle loro modalit� 
di azione, basate su aggregazioni improvvise di persone, pronte poi a disperdersi, 
confondendosi nel corteo pacifico, all�avvicinarsi delle forze dell�ordine. 

Ulteriore elemento indispensabile per ricostruire il clima venutosi a creare 
� l�individuazione degli obiettivi presi di mira dalle frange violente. Infatti, 
diversamente da altre occasioni in cui i bersagli erano circoscritti e individuabili 
ex ante, in questo caso gli episodi di devastazione hanno raggiunto una 
molteplicit� di obiettivi eterogenei: da un supermercato agli istituti bancari, 
dagli uffici postali alle auto in sosta, da esercizi commerciali di vario genere 
agli alloggi della Guardia di Finanza, fino a giungere alla profanazione di luoghi 
di culto, quale la chiesa dei Santi Marcellino e Pietro al Laterano. 

Non si � trattato dunque di azioni mirate e rivolte contro obiettivi strategici, 
il che ha reso ulteriormente imprevedibile il comportamento dei facinorosi 
e difficoltosa l�opera di monitoraggio e prevenzione, che pure cՏ stata, pur 
con tutte le difficolt� dovute all�esigenza di non coinvolgere i manifestanti pacifici. 
Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che le violenze fossero fini a se stesse; 
l�evoluzione successiva dei fatti fa pensare che in realt� l�obiettivo finale fosse 
l�attacco alle forze dell�ordine, in quanto emblema delle istituzioni. Infatti, polizia 
e carabinieri, intervenuti per presidiare i siti oggetto di aggressione, sono 
essi stessi divenuti le vittime dirette degli attacchi. Tutto ci�, anche alla luce 
della pre-organizzazione dell�escalation violenta, fa ritenere che fin dall�origine 
l�obiettivo fosse far uscire allo scoperto, e rendere cos� pi� vulnerabile, il bersaglio 
vero: lo Stato, rappresentato dagli uomini e dalle donne istituzionalmente 
incaricati di difendere l�ordine pubblico. Circa un centinaio di loro sono rimasti 
feriti, ma il senso di responsabilit� delle forze dell�ordine ha impedito che il 
bilancio fosse ancor pi� grave. In questo senso va letta anche la dichiarazione 
del teste Giannini, laddove ha fatto riferimento al fatto che gli idranti erano 
stati calibrati a bassa potenza per evitare di �fare molto male a qualcuno�. 

L�assalto alla camionetta dei carabinieri avvenuto in piazza San Giovanni 
rappresenta dunque il momento culminante di una sistematica opera di aggressione 
ai danni dello Stato che si � protratta per tutta la giornata con modalit� 
da guerriglia urbana. In questo senso � opportuno sottolineare la rilevanza e il 
significato della presenza nel processo delle parti civili che l�Avvocatura Generale 
dello Stato rappresenta. Il Ministero della Difesa e il Ministero dell�Interno 
sono espressione dello Stato democratico e agiscono nel processo per la 
tutela dello Stato medesimo, nella sua forma, nel suo libero funzionamento, nei 
suoi organi, nella sua dimensione istituzionale volta ad assicurare ai cittadini 


che lo svolgimento della vita pubblica avvenga pacificamente e nel rispetto 
della Costituzione e delle leggi, contro chi ha fatto della violenza l�unico strumento 
per veicolare una protesta meramente distruttiva e fine a se stessa. 

La costituzione di parte civile � pertanto la reazione processuale contro 
un attacco che si � concretizzato nella lesione della funzione statuale di assicurare 
l�ordine pubblico, come �ordine su cui poggia la convivenza sociale� 
(3), e nell�aggressione alle persone e ai simboli che di questo ruolo costituiscono 
espressione e garanzia. Al di l� del fatto in s�, ci� che per qualche ora � 
venuto meno � proprio il ruolo originario e basilare della statualit�: far s� che 
l�esercizio di diritti configgenti non sia regolato, come avviene allo stato naturale, 
da meri rapporti di forza, ma garantire a ciascun cittadino il massimo 
di libert� possibile senza ledere quella altrui. Il problema non � dunque la contrariet�, 
anche espressa con particolare forza, a certe scelte politiche, che � anzi 
espressione di democrazia, quanto il disconoscimento dello Stato in s� per tornare 
ad una condizione in cui a prevalere � la legge del pi� forte. Ci� che viene 
intaccato in ultima istanza non � lo Stato come ente astratto, ma il resto della 
collettivit�, spogliata del proprio diritto di manifestare pacificamente e di utilizzare 
il suolo pubblico senza ritrovarsi esposta al pericolo di una guerriglia, 
con possibile pregiudizio per la propria incolumit� personale e patrimoniale. 

Questa � la prospettiva in cui si coglie il senso profondo della costituzione 
di parte civile e delle ragioni che l�Avvocatura dello Stato ha voluto rappresentare 
in giudizio. Del resto, se � vero che la pubblica accusa � portatrice 
della pretesa punitiva dello Stato, la pena sanziona il danno criminale assolvendo 
a finalit� rieducative e preventive, ma non risarcisce il soggetto passivo 
per il danno patito. Il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale viene dedotto 
con la costituzione di parte civile e riparato mediante il risarcimento, 
che qui assolve alla duplice funzione di rimedio contro la lesione del prestigio 
dello Stato e di strumento per evitare che i danni provocati dagli atti di devastazione 
restino a carico della collettivit�. 

2. Il caso esaminato e la resistenza a pubblico ufficiale. 

Il fatto in s� � noto, perch�, essendo stato ripreso dalle telecamere, � divenuto 
agli occhi dell�opinione pubblica uno dei momenti simbolo della protesta: 
poco prima delle ore 18 un mezzo blindato dei carabinieri viene bloccato 
in piazza San Giovanni da un gruppo di facinorosi, che dapprima colpiscono, 
per fortuna senza conseguenze letali, gli occupanti del veicolo e poi riversano 
tutta la loro rabbia contro la camionetta, danneggiandola e, infine, incendiandola. 
In questo frangente le riprese aeree consentono di enucleare il ruolo di 

(3) Cos� l�ordine pubblico � stato testualmente definito da Corte cost., sent. 16 marzo 1962, n. 19. 
Per una ricostruzione a pi� ampio raggio della nozione di ordine pubblico si veda G. CORSO, voce Ordine 
Pubblico (diritto pubblico), in Enciclopedia del Diritto, XXX, Giuffr�, Milano 1980, pp. 1058 ss. 


uno dei partecipanti all�assalto, poi identificato in S.C., che, dopo aver scagliato 
oggetti contundenti contro il blindato e aver incitato i compagni a fare 
altrettanto, lancia contro il veicolo del liquido, che lui stesso riconoscer� essere 
infiammabile, in quanto composto da cola e whisky. 

I reati contestati all�imputato sono sia la resistenza aggravata a pubblico 
ufficiale sia la devastazione, ma il processo si � giocato quasi tutto sul secondo 
capo d�imputazione e sulle aggravanti da applicarsi al primo capo. Infatti, bench� 
la difesa abbia chiesto l�assoluzione da entrambe le imputazioni, l�orientamento 
giurisprudenziale registratosi in casi analoghi � generalmente 
sfavorevole all�imputato per quanto attiene alla resistenza a pubblico ufficiale, 
mentre risulta pi� contrastato riguardo alla devastazione. In questo senso � 
importante rammentare che il processo che aveva ad oggetto un altro momento 
simbolo della giornata, il lancio di un estintore contro le forze dell�ordine, si 
� concluso con la condanna dell�imputato per resistenza aggravata e l�assoluzione 
dal reato di devastazione (4). 

La prima fattispecie ascritta al S. si colloca nell�ambito dei reati che tutelano 
il corretto andamento della P.A. tramite la difesa della libert� del pubblico 
ufficiale (5). Il reato, nella forma aggravata ai sensi dell�art. 339 c.p., 
ricorre con frequenza nei casi in cui l�ordine pubblico sia messo in pericolo 
da degenerazioni di manifestazioni. Del resto proprio per ipotesi analoghe il 

d.l. 8 febbraio 2007, n. 8, ha aggiunto all�art. 339 c.p. una nuova fattispecie 
circostanziale, giacch� l�aumento di pena si applica anche in caso di resistenza 
consumata con il lancio di oggetti contundenti o altri strumenti atti ad offendere 
in modo da creare un effettivo pericolo alle persone. Nella sostanza il 
bene giuridico tutelato � sempre l�ordine pubblico nella sua accezione dinamica, 
di sovversione del normale andamento della vita di una comunit�, la cui 
violazione � la risultante di diverse e concorrenti violazioni normative. 

Nel caso concreto, ad opinione del Tribunale, assume particolare rilievo 
l�individuazione del momento in cui l�imputato cessa di esercitare i suoi diritti 
costituzionalmente tutelati di riunirsi e manifestare il proprio pensiero per entrare 
nell�ambito del penalmente rilevante. Secondo il Collegio tale momento 
precede l�incendio del blindato dei carabinieri e va individuato nel frangente 
in cui la manifestazione nel suo complesso perde il suo carattere non violento, 
al punto che i manifestanti pacifici sono costretti a scappare. Gi� in quel momento 
la manifestazione non � pi� tale, da diritto fondamentale si � trasformata 
in un pretesto per dar sfogo ad una violenza incontrollabile, per cui la scelta 

(4) Il riferimento � alla sentenza nei confronti di F.F., emessa dal Tribunale di Roma, 11 giugno 
2012, che ha condannato l�imputato a 3 anni di reclusione. In altri casi di analoga gravit�, sempre riferibili 
ai fatti del 15 ottobre 2011, il reato di devastazione non � stato neanche contestato agli imputati. Si veda 
in proposito la sentenza emessa in primo grado nei confronti di V.P., Trib. Roma, 14 marzo 2012. 
(5) R. PASELLA, voce Violenza e resistenza a pubblico ufficiale, in Digesto delle discipline penalistiche, 
XV, UTET, 1999, p. 251. 



del S. di permanere in piazza San Giovanni, nonostante le violenze crescenti 
e sebbene i manifestanti pacifici abbiano gi� abbandonato il corteo, sar� determinante 
per ascrivergli la responsabilit� delle condotte successive sia dal 
punto della condotta che dell�elemento soggettivo. 

Tale ricostruzione assume peculiare valore ai fini della configurabilit� 
delle aggravanti del concorso di pi� persone riunite, ex art. 339, secondo 
comma, c.p., e di aver profittato di una situazione tale da ostacolare la difesa, 
ex art. 61, quinto comma, c.p., nel reato di resistenza a pubblico ufficiale. Con 
riferimento alla compresenza di pi� persone riunite, il Tribunale ha correttamente 
rilevato che la fattispecie non richiede il previo concerto, ma la semplice 
consapevolezza del singolo di inserirsi in un contesto numerico di persone che 
condividono le stesse finalit�. In questo senso il fatto che l�imputato sia rimasto 
sul luogo degli scontri, nonostante la manifestazione fosse gi� palesemente 
degenerata, � un indicatore pressoch� univoco. Il disvalore che l�ordinamento 
intende colpire � infatti quello dell�aggressione di gruppo ad interessi protetti, 
in quanto nella modalit� � insita di per s� una maggior forza intimidatoria ed 
una minor capacit� di reazione. Questi ultimi elementi peraltro caratterizzano 
l�aggravante in parola anche rispetto al concorso di persone nel reato. 

Quanto alla minorata difesa, l�aggravante ha carattere obiettivo e ricorre 
anche quando la situazione che ostacola la difesa si sia ingenerata indipendentemente 
dalla volont� dell�agente, per cui non si � reso necessario accertare se 
l�imputato abbia concorso ad innescare la situazione o ne abbia solo tratto giovamento. 
Il Tribunale ha invece dovuto affrontare il problema della compatibilit� 
tra le due aggravanti in oggetto e l�ha risolto ritenendo non assorbibile la mino-
rata difesa nell�aver agito in numero maggiore di dieci e nell�aver adoperato oggetti 
contundenti. Invero, pur essendo unico il fatto, lo stesso assume una portata 
antigiuridica diversa ed ulteriore, giacch� la minorata difesa non sempre pu� essere 
compresa nel solo aver agito in numero elevato: nel caso di specie � integrata 
dall�aver commesso il fatto profittando della situazione caotica innescatasi 
a seguito del degenerare della manifestazione, il che rappresenta un disvalore 
ulteriore rispetto al numero degli agenti e al lancio di oggetti contundenti. 

In conclusione, il reato di resistenza a pubblico ufficiale, che rappresenta 
un modello talmente generico e duttile da essere riconducibile ai fatti pi� di-
sparati, assume, grazie alla sapiente modulazione delle molteplici aggravanti, 
tratti sempre pi� nitidi, fino a presentarsi in maniera di volta in volta diversa 
per ciascuna situazione. In tal modo rappresenta una risposta sanzionatoria in 
grado di attagliarsi con esattezza al disvalore della condotta nelle diverse sfumature 
che questa pu� assumere. 

3. Il reato di devastazione e la sua problematica applicabilit� alla manifestazione 
del 15 ottobre 2011. 

L�art. 419 c.p. prevede la devastazione e il saccheggio come fattispecie 


alternative e penalmente equivalenti dettate a tutela dell�ordine pubblico, da 
intendersi come armonica e pacifica coesistenza di cittadini, che si concretizza 
nella percezione di tranquillit� e sicurezza che lo Stato garantisce ai consociati 

(6) e che assurge a condizione basilare dell�esercizio dei diritti individuali. 
L�ordine pubblico, pur essendo il motivo ispiratore della norma (7), non costituisce 
esso stesso elemento della fattispecie di devastazione, la quale, dal 
punto di vista oggettivo, � individuata in maniera a dir poco laconica dal legislatore 
con le semplici parole �fatti di devastazione�. Risulta, pertanto, sempre 
necessaria un�opera interpretativa da parte del Giudice per determinare a priori 
quali siano in concreto le condotte che integrano il reato, riconducendo in tal 
modo la fattispecie all�interno dei canoni di tipicit� e offensivit�. 

In una prima fase applicativa il delitto in commento veniva ritenuto configurabile 
solo per casi di guerra civile, ma la giurisprudenza pi� recente, sia 
pur con non poche incertezze dovute proprio alla genericit� della formula usata 
dalla norma incriminatrice, ne ha esteso l�ambito applicativo fino a farvi rientrare 
ipotesi di gravi disordini commessi nel corso di eventi sportivi o manifestazioni 
politiche. Quanto all�elemento oggettivo, la devastazione si 
caratterizza rispetto ad altre fattispecie analoghe (8), per una capacit� distruttiva 
indiscriminata, vasta e profonda, tale da cagionare non solo un danno patrimoniale 
ai proprietari, ma anche un�offesa concreta all�ordine pubblico (9). 
A tal fine l�ipotesi delittuosa pu� essere integrata sia da una pluralit� di fatti 
che da un singolo atto (10), purch� tale da recare in s� una grave lesione del-
l�ordine pubblico, indipendentemente dalle modalit� concrete dell�azione, trattandosi 
di reato a condotta libera. Si tratta, in altre parole, di una fattispecie in 
cui l�ordine pubblico, pur non espressamente menzionato, � una sorta di convitato 
di pietra, la cui lesione passa attraverso un�aggressione patrimoniale ma 
resta indipendente dall�entit� del pregiudizio economico causato (11). 

Nel caso concreto l�elemento oggettivo del reato � stato individuato es


(6) M. BOUCHARD, Devastazione e saccheggio, in Digesto delle discipline penalistiche, III, UTET, 
1989, p. 442. 
(7) S. MARANI, I delitti contro l�ordine e l�incolumit� pubblica, Giuffr�, Milano, 2008, p. 110. 
(8) Particolarmente problematico � il rapporto con il meno grave reato di danneggiamento di cui 
all�art. 635 c.p. Una parte della dottrina ammette il possibile concorso tra devastazione e danneggiamento, 
v. G. FIANDACA � E. MUSCO, Diritto penale: parte speciale, Zanichelli, 2006, p. 479; altra parte 
della dottrina preferisce inquadrare il rapporto tra i due reati nell�ottica del reato progressivo, v. R. VENDITTI, 
voce Saccheggio e devastazione, in Enciclopedia del Diritto, XLI, Giuffr�, Milano, 1989, p. 187. 
(9) Cass. Pen., sent. 1 aprile 2010, n. 16553. 
(10) Cass. Pen., sent. 27 marzo 2009, n. 15543. Detta tesi, ormai ampiamente maggioritaria, � sostenuta 
da tempo da V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. VI, UTET, 1983, pp. 221-223. 
(11) Va precisato che a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso la giurisprudenza di legittimit� 
ha abbandonato il criterio quantitativo per distinguere tra devastazione e danneggiamento sostenuto in 
passato; v. ad es. Cass., S.U., sent. 26 marzo 1960, Niedermajer. L�orientamento pi� recente ritiene invece 
che la devastazione si caratterizzi rispetto al danneggiamento per la messa in pericolo dell�ordine 
pubblico; v. ad es. Cass. 16 aprile 2004, n. 25104. 



senzialmente nell�aver contribuito al rogo del mezzo blindato dei carabinieri: 
un comportamento che, pur inserendosi in condotte di distruzione e danneggiamento, 
assume un disvalore aggravato nella forma della devastazione in 
virt� della sua attitudine a turbare l�ordine pubblico. 

Sotto questo aspetto, la decisione appare corretta nelle conclusioni ma 
motivata in maniera fin troppo scarna, senza dare adeguata rilevanza alle modalit� 
dell�aggressione n� al valore simbolico che essa ha avuto nel sottrarre 
piazza San Giovanni al controllo delle forze dell�ordine n� alla potenzialit� 
lesiva del gesto in s�; basti considerare al proposito il rischio di esplosione 
della camionetta. 

Dal punto di vista psicologico, ai fini della configurabilit� del reato, non � 
richiesto il dolo specifico, ma solo il dolo generico. � quindi sufficiente la coscienza 
e volont� di porre in essere fatti che costituiscono devastazione, mentre 
resta irrilevante l�ulteriore finalit� di attentare all�ordine pubblico (12). Va per� 
considerato che la volont� di commettere atti di devastazione implica anche la 
consapevolezza di contribuire, nell�ambito di condotte antecedenti, concomitanti 
e susseguenti, a determinare un quadro complessivo di eccezionale gravit�. 

Alla luce di queste considerazioni va vista la sentenza del Tribunale di 
Roma che ha invece assolto dal reato di cui all�art. 419 c.p. F.F. per il famoso 
episodio del lancio dell�estintore. I due casi sono per molti versi analoghi, perch� 
per entrambi sono stati prospettati i medesimi capi d�imputazione e perch� 
in tutti e due gli episodi la devastazione sarebbe essenzialmente integrata da 
un singolo fatto, potenzialmente molto pericoloso e altamente simbolico, tanto 
da diventare emblema della sovversione dell�ordine pubblico. In entrambi i 
processi i giudici hanno ritenuto sussistente l�elemento oggettivo del delitto 
de quo, mentre per l�elemento soggettivo hanno reputato necessaria un�indagine 
che non si esaurisse nel solo atto incriminato ma considerasse il comportamento 
degli imputati nel contesto di tutta la manifestazione. All�esito di 
questo accertamento, mentre F. � stato assolto dal capo d�imputazione per l�insussistenza 
dell�elemento soggettivo, S. � stato condannato. 

In realt� si tratta in ambo le ipotesi di ragazzi che non si erano presentati 
travisati alla manifestazione e il cui apporto ai fatti violenti si � concretizzato 
in un solo atto, non essendo stata segnalata la loro presenza nei teatri delle 
principali attivit� di devastazione. Tutto lascia dunque pensare a condotte non 
premeditate, ma dovute piuttosto all�eccitazione creata dal contesto e alla sensazione 
di trovarsi in una dimensione di sospensione della legalit�. In conclusione 
le differenze tra i due fatti non erano tali da giustificare la diversa 
qualificazione giuridica dei fatti, che piuttosto va ricondotta a differenti impostazioni 
seguite dai giudici riguardo alla valutazione dell�elemento soggettivo. 

La divergenza d�impostazione sta tutta nel fatto che nel caso di F. il Giu


(12) Cass. Pen., sent. 29 gennaio 1985, n. 2949. 


dice ha tenuto conto esclusivamente dei fatti commessi dal singolo agente, insistendo 
quindi sull�aspetto psicologico e motivazionale fino ad escludere l�intenzione 
di partecipare ad un�aggressione reiterata ed organizzata tale da 
compromettere la pace pubblica (13). Non pu� sfuggire come una simile lettura 
tenda ad introdurre surrettiziamente un elemento che la fattispecie non prevede: 
il dolo specifico, sub specie di finalit� ulteriore di sovvertire l�ordine pubblico. 

Viceversa, la sentenza resa sul caso S., che, come si � evidenziato fin 
dall�inizio del presente commento, pone una particolare attenzione alla ricostruzione 
del contesto in cui si sono svolti i fatti, appare pi� aderente al dettato 
normativo dell�art. 419 c.p. Infatti il Collegio giudicante, pi� che ragionare 
sulle motivazioni ulteriori che hanno guidato l�agente, si � concentrato sulla 
volont� di realizzare fatti che, nella loro consistenza oggettiva, costituiscono 
devastazione. A tal fine non � dunque richiesto alcun accertamento in ordine 
ad una volont� devastatrice o di compromettere l�ordine pubblico, ma � sufficiente 
la mera consapevolezza delle diverse azioni antecedenti, concomitanti 
e susseguenti, nonch� del pi� ampio contesto in cui il proprio comportamento 
si iscrive. La condotta assume dunque un disvalore maggiore di quello suo 
proprio non perch� sorretta da un particolare scopo, ma in quanto giunge al 
culmine di una situazione oggettiva di guerriglia, di cui l�agente si rendeva 
perfettamente conto e alla quale ha voluto offrire un autonomo apporto causale, 
contribuendo cos� in maniera decisiva a sottrarre il luogo pubblico alle 
pi� elementari regole di convivenza. Coerentemente con quanto finora si � 
detto, seguendo quest�orientamento l�ordine pubblico continua ad essere solo 
il bene giuridico tutelato e non elemento della fattispecie. 

Dalla lettura della motivazione della sentenza F. emerge, da parte del giudicante, 
un�ulteriore profilo di preoccupazione, che spiega l�interpretazione erroneamente 
restrittiva data in relazione all�elemento soggettivo: il timore che la 
devastazione altro non sia che una duplicazione dell�imputazione per resistenza 
aggravata a pubblico ufficiale. Il Tribunale in quell�occasione aveva ritenuto che 
l�elemento distintivo tra i due capi fosse proprio una particolare accentuazione 
del dolo nella devastazione e per questo vi aveva incentrato la propria statuizione. 

In effetti il problema del concorso tra devastazione e resistenza aggravata 
a pubblico ufficiale esiste, ma andava risolto in maniera diversa. Nella sentenza 
S., coerentemente con l�insegnamento della Suprema Corte sul punto 
(14), si evidenzia infatti che l�elemento differenziale risiede nella direzione 

(13) Cos� testualmente Trib. Roma, 11 giugno 2012: �non vi sono elementi univoci � ma anzi 
siamo in presenza di elementi del tutto contraddittori � che possano inserire la condotta isolata del F. 

� la cui gravit� e disvalore rimangono ampiamente coperti e sanzionati dalla contestazione di cui al 
capo 1) della richiesta del Pm � in una azione pi� grave e complessa la cui struttura e finalit� si identificavano 
nella aggressione reiterata ed organizzata della propriet� pubblica e privata con conseguente 
paralisi della cd. Pace Pubblica�. 

(14) Cass. Pen., sent. 5 luglio 2012, n. 26144. 


della violenza esplicata dall�agente: la devastazione implica l�aggressione a 
beni patrimoniali, di particolare intensit� e vastit� tali da mettere in pericolo 
l�ordine pubblico, ma non pu� assorbire anche condotte caratterizzate dall�uso 
di violenza contro la persona. 

In conclusione, la decisione in commento s�inserisce a pieno titolo in quel 
filone giurisprudenziale che negli ultimi anni ha riscoperto il delitto di devastazione 
e saccheggio, ritenendolo applicabile a contesti quali manifestazioni 
sfociate in violenti disordini. Va d�altra parte segnalato, ed � evidente gi� dal-
l�analisi dei processi aventi ad oggetto i fatti del 15 ottobre 2011, come il surriferito 
orientamento risulti tutt�altro che pacifico, determinando cos� 
significative quanto ingiustificate differenze nel trattamento sanzionatorio di 
vicende analoghe. A ben vedere, il nostro ordinamento sconta l�inesistenza di 
figure di reato specificamente preposte a reprimere l�uso della violenza nel 
corso delle manifestazioni e cos� � toccato alla giurisprudenza colmare la la-
cuna. Tuttavia, nel far ci�, i giudici hanno utilizzato in maniera ondivaga la 
fattispecie incriminatrice de qua, con ci� menomando la certezza del diritto. 

Nell�attesa che prima o poi il legislatore metta mano alla materia, magari 
introducendo circostanze attenuanti ed aggravanti specifiche, cos� comՏ stato 
fatto per la resistenza a pubblico ufficiale, l�auspicio � che la giurisprudenza 
riesca ad offrire un�interpretazione unitaria all�art. 419 c.p. Come si � gi� avuto 
modo di accennare, chi scrive condivide l�impostazione seguita dal Tribunale 
di Roma nel caso S., in quanto pi� rispondente al dettato codicistico e alla funzione 
general-preventiva della norma. Del resto il segreto della sopravvivenza 
fino ad oggi di un codice che ha pi� di ottanta anni risiede proprio in un�interpretazione 
che, scostandosi dalla volont� del legislatore storico, ha saputo 
adattare i modelli astratti previsti dalle norme ad una realt� in continua trasformazione. 


Tribunale di Roma, Sezione Settima Collegiale, sentenza del 30 novembre 2012 n. 16442 

-Pres. M. Silvestri, Est. S. Calegari, P.M. F. Minisci. 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
(...) 
L'odierna vicenda processuale trae origine dai drammatici eventi connessi allo svolgimento 
della manifestazione denominata "Giornata dell'indignazione" che, svoltasi a Roma il 15 ottobre 
2011, era stata indetta dal "Coordinamento 15 ottobre" ed aveva raccolto l'adesione di 
iscritti alla confederazione Cobas, di studenti universitari dell'Universit� "La Sapienza", di 
aderenti ai collettivi universitari della capitale e ai movimenti universitari autonomi di altre 
citt� italiane, di appartenenti al movimento "Roma Bene Comune" nonch� dei metalmeccanici 
di Pomigliano d'Arco e del movimento dei "NO TAV". 
Dalla deposizione del teste Lamberto GIANNINI, dirigente la Digos della Questura di Roma, 
� emerso che la predetta manifestazione nazionale ed il relativo corteo, erano stati regolar



mente preavvisati per il 15 ottobre 2011 e dovevano svolgersi dalle ore 14.00 alle ore 21.00 
circa, su un percorso che, da Piazza della Repubblica, doveva terminare a piazza San Giovanni, 
attraversando le zone comprese tra via Cavour, via dei Fori Imperiali e viale Manzoni. 
Sin dai giorni precedenti la manifestazione, le forze di Polizia avevano acquisito informazioni 
investigative di intelligence in merito alla possibile infiltrazione di gruppi non pacifici di varia 
natura e di varia estrazione, in particolare di componenti della sinistra antagonista pi� estrema, 
anche di stampo marxista - leninista, di aderenti ai movimenti anarco - insurrezionalisti e di 
aderenti alle tifoserie ultras di calcio. 
Conseguentemente la Digos di Roma, unitamente alle altre forze di polizia, aveva deciso di 
controllare il percorso stabilito dagli organizzatori al fine di evitare uno spostamento in massa, 
altamente probabile, presso sedi e palazzi istituzionali. 
Per evitare la messa in pericolo dei bersagli istituzionali, erano stati dislocati, alla testa e alla 
coda del corteo, contingenti di forze di polizia. Un consistente presidio di militari era stato, 
inoltre, collocato in piazza San Giovanni e, cio�, nel previsto luogo di arrivo della manifestazione. 
L'attuazione di tale servizio di prevenzione, come narrato dal GIANNINI, si era dimostrato 
di particolare difficolt� a causa dell'eccezionale numero di partecipanti pacifici che, a 
notevole distanza gli uni dagli altri, erano sparsi lungo l'itinerario stabilito. 
Il teste ha, altres�, riferito di aver ricevuto, durante lo svolgimento della manifestazione, numerose 
e particolarmente allarmanti informazioni investigative che segnalavano ripetute e 
preordinate attivit� delittuose che si stavano organizzando in occasione del passaggio del corteo 
in prossimit� di possibili bersagli istituzionali. 
Conseguentemente la Polizia di Stato, unitamente al personale dell'Arma dei Carabinieri, iniziavano 
a svolgere attivit� coordinate di controllo che portavano al fermo di appartenenti a 
movimenti anarchici che stavano infiltrandosi nella manifestazione armati di mazze, fionde, 
biglie ed altri micidiali oggetti atti ad offendere. 
La situazione si presentava decisamente pericolosa, in quanto, sin dal momento in cui il corteo 
aveva iniziato a percorrere via Cavour, erano scoppiati i primi tafferugli. In quel frangente, 
infatti, uno spezzone dei manifestanti, rappresentato dai cost detti "black bloc", da aderenti 
all' anarco-insurrezionalismo, da appartenenti alle frange antagoniste pi� estreme, tutti vestiti 
in egual modo, si era era mischiato ai manifestanti pacifici e, di fatto, aveva reso, praticamente, 
impossibile procedere alla loro identificazione, nonostante la preventiva predisposizione di 
riprese video sia da terra che da mezzi aerei. 
Il clima si presentava di particolare tensione ed effervescenza. 
Dietro striscioni di colore arancione, alcuni soggetti avevano iniziato una sistematica opera 
di devastazione nei confronti di vari obiettivi e, in particolare, del supermercato Elite, di istituti 
bancari, di uffici postali e di autovetture in sosta. 
Gi� in questa fase era risultata particolarmente evidente la programmazione di preordinate 
azioni delittuose volte, anche in pregiudizio dei pacifici manifestanti, a compromettere l'ordine 
pubblico ed il regolare, pacifico svolgimento del corteo autorizzato. 
Veniva tra l'altro rinvenuto, da parte delle forze di polizia, un borsone sospetto che, dopo il suo 
prelievo, risult� contenere otto o nove bottiglie molotov gi� confezionate e pronte per l'uso. 
Nel frattempo, un gruppo travisato si era staccato dal corteo e, con cartelli stradali, sampietrini 
ed altri oggetti contundenti, si era reso responsabile dei danneggiamenti sopra descritti, non 
astenendosi dal lanciare i medesimi oggetti contro le forze dell'ordine che, all'uopo, avevano 
creato degli sbarramenti a presidio del centro cittadino e delle sedi istituzionali ivi presenti. 
Nella fase iniziale della manifestazione, cui stavano partecipando oltre 100 mila persone, il 


numero dei "devastatori", secondo il dettagliato racconto del teste, poteva essere stimato in 
appena 400 persone. 
Sempre pi� difficoltosa era apparsa l'organizzazione di un intervento calibrato visto che, nei 
punti c.d. sensibili, i "devastatori", come osservato dall'equipaggio di un elicottero che sorvolava 
la zona, erano soliti infiltrarsi e farsi scudo dei manifestanti pacifici. 
I danneggiamenti e le devastazioni erano iniziate, sostanzialmente, a partire dal passaggio 
presso la stazione metro Colosseo, altezza via dei Fori Imperiali. 
In questo frangente, per le forze dell'ordine coordinate dal GIANNINI, era risultato impossibile 
intervenire proprio per la presenza dei manifestanti pacifici nella cui "pancia", come 
emerso dall' osservazione aerea, si era infiltrato il gruppo dei facinorosi. 
In via Labicana erano continuati ed avevano preso vigore episodi di estrema gravit� e, in particolare, 
si erano consumati danneggiarnenti e saccheggi di negozi, di autovetture, di un istituto 
bancario e addirittura di uno stabile eve erano ubicati degli alloggi di servizio della Guardia 
di Finanza. 
Le linee di viabilit� pubblica urbana nelle zone interessate erano state soppresse ed erano stati 
constatati numerosi danneggiamenti a telecamere, postazioni dei vigili urbani e cassonetti del-
l'immondizia. 
Qui, a fronte di una prima fuga generale, c'era stato un ricompattamento del manifestanti che 
avevano posto in essere comportamenti particolamiente aggressivi nei confronti della polizia 
ed avevano dato inizio a scontri che, senza soluzione di continuit�, erano proseguiti per oltre 
un paio d'ore. 
Orbene, proprio in concomitanza con tale specifico e drammatico momento della manifestazione, 
viene a determinarsi una peculiare situazione che, ad avviso del tribunate, offre una 
precisa chiave di lettura degli eventi successivi e, per ci� che qui interessa, delle condotte di 
cui, anche il S., si rese responsabile. 
Come narrato, nel dettaglio, dal teste Giannini, l�elevato livello di violenza da parte dei soggetti 
infiltratisi tra i pacifici manifestanti determin� il doveroso intervento del reparti schierati 
in servizio di ordine pubblico che, con decisione, tentarono di isolare i soggetti violenti. 
I successivi scontri venutisi a determinate a seguito di quelle azioni indussero i tantissimi manifestanti 
pacifici a tornare sui propri passi o a cercare via di fuga lungo percorsi altemativi 
aperti dagli stessi contingenti di polizia. 
Grazie a tale, opportuna opera di protezione, la gran parte dei partecipanti al corteo fu accompagnata 
lungo un itinerario alternativo e utile a sottrarla agli scontri di efferata violenza che, 
nel frattempo, andavano incrementandosi. 
A questo punto al gruppo degli originari facinorosi, gi� individuato dalle riprese aeree, si aggiunsero 
altri soggetti che, senza avere partecipato ai precedenti atti di violenza, si aggregarono 
ai primi e, anche con la loro attiva presenza, contribuirono ad accentuare il clima di grossa 
tensione che, gi� da tempo, era venuto a deterrninarsi. 
La particolare rilevanza di tale specifico momento della manifestazione rende opportuno riprodurre, 
testualmente, il racconto del teste GIANNINI che, cos�, si � espresso: 
ADR GIANNINI; omissis "Gli scontri che io ho rivisto mille volte nei filmati in tutta la loro 
fase per� sulla piazza mi sono solo brevissimamente affacciato proprio per cercare di evitare 
che anche quest�altro gruppo venisse coinvolto, c'� stato un fortissimo gruppo di soggetti 
dove ci stavano in parte quelli che avevano disordine prima, altri soggetti che si sono aggiunti 
anche perch� quando si crea una grossa tensione nei confronti delle forze dell�ordine i simpatizzanti 
sono tanti, si aggregano. Successivamente, nella fase degli arresti, nella fase delle 


denunce, nella fase delle identificazioni, abbiamo visto quanto fosse composito il mondo dei 
soggetti che erano stati identificati e arrestati. In questa fase, sostanzialmente, con vari scontri 
c'� un gruppo, parlo di Piazza San Giovanni, sono tre o quattrocento persone, in maniera 
compatta si inizia ad attaccare le forze di Polizia, forze di Polizia che sono frammentate perch� 
non riescono a ricongiungersi perch� c'� un fittissimo lancio di oggetti ... tantissimi sampietrini, 
bottiglie, grossi petardi, fumogeni sono state utilizzate delle transenne che erano 
state utilizzate delle transenne cheerano state utilizzate per la piazza come arieti e anche per 
improvvisare delle barricate per cercare di riuscire a bloccare i mezzi perch� poi ci sono riusciti, 
ma il tentativo era proprio di venire a contatto e di riuscire a bloccare i mezzi della Polizia, 
Guardia di Finanza e Carabinieri che ci stavano che hanno avuto anche difficolt�, nei 
confronti di una aggressione cos� forte, a fermarsi e fare un 'azione ... io ho parlato con il dirigente 
che si faceva il servizio, che non riuscivano a disimpegnarsi anche perch� c'era grossa 
difficolt� a manovrare con una retromarcia, cose del genere per le persone ... c '� stato quest'attacco 
violentissiino che � durato per diverso tempo. In questo gruppo, come si vede anche 
dalle immagini dall'altro, si muoveva sostanzialmente compatto, appena si avvicinava la Polizia 
si disperdevano, poi si aggregavano e portavano i vari attacchi, � stato piuttosto lungo. 
C'� stato anche l'intervento degli idranti, ma � servito molto poco anche perch� ai fini ... insomma, 
il getto non era tale da poter neutralizzare ... la potenza degli idranti vengono calibrati 
perch� altrimenti si potrebbe fare molto male qualcuno. Vengono fatte anche delle 
barricate in strada spostando cassonetti, spostando altri mezzi e nel frattempo piccoli scontri 
e piccoli tafferuigli arrivano anche nelle vie che sono limitrqfe, stiamo parlando di dietro, la 
parte di Via Sannio, Torquato Tasso, Museo Della Liberazione, questo � quello che accade. 
Vengono fatti degli arresti in fragranza di reato in questa situazione e, poi, dopo diverso 
tempo, la situazione in qualche maniera si placa. Affluiscono a sistemare molti altri reparti, 
i facinorosi non erano pi� tantissimi ... alcuni gruppi vengono inseguiti e poi si riescono a 
defilare arrivando fino a Piazza San Giovanni ... io ritengo che il momento clou per la pericolosit� 
� stato l'incendio del mezzo dei Carabinieri perch� l� � stata veramente una fortuna 
che non ci siano state delle conseguenze maggiori sia perch� .... � stato colpito con un palo 
sia perch� quello che si � dato alla fuga poi l'abbiamo arrestato, l'abbiamo colpito con una 
pietra ed � riuscito a rimanere in piedi perch� abbiamo tutto questo gruppo intorno. Debbo 
dire che tutta la fase di questi movimenti e di questi attacchi � stata di estrema drammaticit� 
e violenza. 
PUBBLICO MINISTERO -lei ha detto che il militare dell'arma � stato colpito con un palo, 
� stato inseguito, colpito con i sampietrini, sul mezzo che cosa � stato provocato? 
TESTE -incendiato e distrutto oltre che devastato perch� noi abbiamo foto di soggetti travisati 
che sono andati con i cimeli che poteva essere uno specchietto retrovisore ... 
PUBBLICO MINISTERO -parliamo di Piazza San Giovanni e dell'incendio del mezzo blindato 
dei carabinieri. Come si arriva all'identificazione di S.C. 
TESTE -allora, innanzitutto la collocazione, proprio davanti la scala Santa, Piazza San Giovanni 
in alto, Piazza del Vicariato era pi� tranquilla, leggermente pi� in l�, l'entrata laterale, 
l� questo mezzo viene incendiato, non riesce pi� a partire, si incendia e capita quello che poi 
� nei filmati 
PUBBLICO MINISTERO -dottor Giannini, volevo capire con riferimento agli scontri che 
ci sono stati e alle conseguenze che il vostro personale ha avuto, che cosa ci pu� dire? 
TESTE -come Polizia, che ricordi, sono state 64 le persone che hanno fatto ricorso alle cure 
mediche, le prognosi pi� gravi, ho visto le prime e non so poi le evoluzioni, c'erano state deIle 


fratture, tre o quattro persone con delle fratture quindi erano superiori ai trenta giorni, so 
che 18 appartenenti alla Guardia di Finanza hanno fatto ricorso alle cure mediche. I Carabinieri 
hanno fatto la comunicazione diretta, ma penso sicuramente oltre 30. 
PUBBLICO MINISTERO -senta, lei da quando tempo dirige la Digos di Roma? 
TESTE -sono alla Digos di Roma sin dal 1992 e la dirigo dal 2004, a mia memoria, non ricordo 
incidenti cos� gravi da quando sono alla Digos, non li ricordo. Ho vissuto atti di devastazione 
sistematica, ma soprattutto di incendi anche a stabili, si � verificata la profanazione 
di una chiesa, c'era anche un altare collocato in un istituto non li ricordo, devo andare in 
altre parti d'Italia dove sono stato ad esempio a Genova, ma a Roma no". 

Alla luce della ricostruzione offerta dal teste GIANNINI, appare, pertanto, conforme alle acquisite 
risultanze istruttorie affermare che l'incendio del mezzo blindato dei Carabinieri e, 
dunque, uno degli specifici episodi contestati al S., si � concretizzato proprio al culmine dei 
gravissimi disordini scoppiati, per ci� che qui interessa, all'interno di p.zza San Giovanni. 
La visione, all'udienza del 19 luglio 2012, di un video contenente anche le immagini relative 
ai momenti immediatamente antecedenti e successivi a quell'attacco ha permesso di apprezzare, 
con ancora maggiore perfezione ed attendibilit�, lo svilupparsi degli eventi narrati dal 
teste e, in particolare, il momento in cui il militare a bordo del mezzo venne colpito con un 
palo e, quindi, dopo essere stato attinto da una grossa pietra scagliatagli durante la fuga, riusc� 
a mettersi in salvo. 
Immediatamente dopo tale tragica sequenza, sempre nel filmato visionato in udienza, si nota 
l'aggressione del mezzo ad opera di un folto gruppo di violenti che, con ogni tipo di oggetto 
contundente (bastoni, sampietrini, razzi e bottiglie molotov), prende d'assalto la camionetta 
ormai abbandonata e, quindi, la danneggia e, infine, la incendia. Proprio in tale specifico frangente 
si nota, per ci� che qui specificamente interessa, una persona che, a volto scoperto e 
con una maglia tipo baseball di indubbia evidenza, dopo aver incitato altri facinorosi ad avvicinarsi 
al mezzo dei carabinieri, lancia il contenuto di una bottiglia in direzione del veicolo 
che appare gi� in fiamme. 
Vale, altres�, segnalare, come dalle riprese aeree visionate sempre all'udienza del 19 luglio 
2012 sia possibile ricostruire il contesto pi� generale in cui viene a registrarsi l'episodio specificamente 
contestato al S.. 
Dalle sequenze delle immagini riprodotte in quel video, infatti, emerge come gli atti di ripetuta 
violenza consumatisi sulla camionetta poi data alla fiamme maturino in un quadro di vera e 
propria guerriglia urbana che, con tutta evidenza, viene alimentata anche dalle persone che si 
resero responsabili dell'assalto a quel mezzo blindato. 
N� pu�, infine, tacersi come, a testimoniare la violenza degli scontri registratisi durante la 
manifestazione, venivano constatati gli ingenti danni arrecati ad edifici pubblici e privati, ad 
esercizi commerciali, ad autovetture, alla segnaletica ed alla pavimentazione stradale, ai cassonetti 
AMA. Analoghi, decisi riscontri alla violenza di quegli scontri emergevano dal numero 
delle vittime registratesi tra gli appartenenti alle forze di polizia che, alla fine della drammatica 
giornata, contavano circa un centinaio tra agenti e militari feriti. 
A questo punto, nonostante la sua, ormai, pacifica identificazione, vale ripercorrere, per completezza 
di indagini, la pista investigativa che pone alla individuazione del S.. 
La Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione diram� ai vari comandi di pg dislocati sul 
territorio nazionale alcuni dei fotogrammi che, estrapolati dalle riprese video della manifestazione, 
ritraevano soggetti particolarmente attivi durante gli scontri avvenuti nella giornata 
del 15 ottobre 2011 e, tra questi, il fotogramma dell'individuo che gettava oggetti contundenti 


e il liquido di una bottiglia contro il mezzo blindato dei carabinieri in fiamme. 
Nella pressoch� immediatezza delle indagini, il personale della stazione dei CC di Castel 
Franco di Sotto, sulla base di quella estrapolazione fotografica, riconosceva nell'odiemo imputato 
uno dei cittadini residenti nella zona di sua competenza. 
Conseguentemente, come si evince della deposizione del teste 1.gt Quaranta Emanuele, il 27 
ottobre 2011, venne effettuata una perquisizione di iniziativa presso l'abitazione del S.. 
Lo stesso, nel predetto frangente, riconosciuto dai militari come l'individuo rappresentato nel 
fotogramma divulgato sul sito "IL GIORNALE.IT" quotidiani, confermava di essere ii giovane 
ritratto nella foto e dichiarava di aver lanciato contro il blindato del CC liquido composto da 
coca cola e whisky. 
In tale occasione venivano sequestrati al S.: 

-gli indumenti indossati il giorno della manifestazione; 

-un volantino che istigava al boicottaggio degli istituti bancari; 
-un telefono cellulare con all'intemo immagini del S. con in volto una maschera anti gas, ed 
un sms con scritte quali: "sbirri assassini" e "picchia duro i celerini", ricevuti immediatamente 
prima l'inizio della manifestazitme. 
II S., anche in sede di convalida del fermo, confermava di essere il giovane che, nel fotogramma 
pi� volte citato, gettava il contenuto di una bottiglia all'indirizzo del mezzo blindato 
in fiamme. 
Quante alle condotte riferibili al S., il racconto dei testi escussi e la visione del DVD contenente 
le riprese effettuate sia dall'elicottero della Polizia di Stato che da terra, hanno permesso 
di verificare come l'imputato facesse, sicuramente, parte di un nutrito gruppo di manifestanti 
che, nella fase degli scontri culminata con l'assalto alla camionetta in questione, si stacc� da 
quest'ultimo e, rivolgendosi all'indietro, invit� i compaani ad avvicinarsi e, quindi, dopo avere 
gettato oggetti contundenti contro il mezzo blindato dei CC gi� in fiamme, svuot� il liquido 
di una bottiglia all' indirizzo di quest' ultimo. 
Le condotte specificamente contestate all'imputato, pertanto, trovano un preciso ed oggettivo 
riscontro nel materiale fotografico e video in atti che, per l'appunto, ritrae il S. nell'atto di 
commettere le azioni a lui specificamente addebitate nel capo di imputazione. 
Lo stesso imputato, del resto, non potendo contestare la configurabilit� a suo carico di quelle 
condotte, consapevole del grave contesto in cui le stesse furono filmate, rispondendo a specifiche 
domande rivoltegli nel corso del suo esame, ha giustificato la sua presenza in piazza 
San Giovanni per avere, senza particolare intenzione di partecipare alla manifestazione, semplicemente 
accompagnato un'amica di cui, peraltro, non forniva alcun utile elemento di identificazione. 
Il S., poi, in merito alla richiesta di giustificare le ragioni che lo indussero a rimanere nella 
piazza nonostante la determinatasi situazione di "guerriglia", chiamato a spiegare il movente 
che lo spinse a gettare del liquido sul mezzo in fiamme, si � rifugiato nella pi� comoda ed in-
dimostrata spiegazione, dichiarando di aver agito in stato di ebbrezza e, dunq�e, inconsapevole 
di quanto stesse facendo. 
Ci� posto, appare di tutta evidenza come le dichiarazioni difensive del S. non solo siano smentite 
dal chiaro contenuto del filmato visionato all'udienza del 19 luglio 2012, ma appaiano 
contraddette da elementari canoni logici ed altrettanto comuni regole di esperienza. 
Sotto il primo dei profili prospettati, non pu� ignorarsi come la sequenza delle azioni riferibili 
all'imputato, lungi dal documentarne un suo stato di ebbrezza, testimoni, al contrario, la coerente 
e consapevole condotta di un soggetto che, totalmente padrone delle sue azioni, intende 



opporsi, con atti di violenza e in concorso con numerosi, altri manifestanti, al legittimo intervento 
del personale operante e, quindi, partecipa, attivamente, all'attacco ed all'incendio di 
un mezzo blindato in specifico e doveroso servizio di ordine pubblico. 
Sotto il secondo dei profili prospettati, deve, poi, segnalarsi come la presenza del S. nel momento 
in cui si registr� il culmine delle azioni violente in danno delle forze di polizia testimoni, 
secondo logica e comuni regole di esperienza, non solo, la sua, precisa volont� di aderire 
ad un progetto condiviso con gli altri facinorosi, ma, soprattutto, la sua, altrettanto, evidente 
intenzione di rafforzarne ed agevolarne le condotte, offrendo un suo, autonomo contributo 
causale allo, svilupparsi degli scontri che, dopo il lancio di oggetti contundenti, portarono, 
addirittura, all'attacco ed all'incendio di una camionetta dei carabinieri. 
N� pu� tacersi come la valutazione della condotta del S. non possa prescindere dalla doverosa 
considerazione di una oggettiva circostanza che, emersa dal suo racconto, � stata, con chiarezza, 
sottolineata dal GIANNINI. Il teste ha riferito, per ci� che qui interesa, che l'elevato livello 
di violenza che ebbe a precedere le azioni registratesi in p.zza San Giovanni aveva 
determinato la fuga della gran parte dei pacifici manifestanti cui, proprio a causa della drammatica 
situazione di ordine pubblico venutasi a creare, fu, di fatto, impedito il legittimo esercizio 
di un diritto costituzionalmente garantito. In tale quadro appare ragionevole ritenere che 
le documentate, successive condotte del S., lungi dal potersi ricondurre in una occasionale 
presenza in piazza San Giovanni, sono, piuttosto, da attribuirsi alla sua precisa volont� di partecipare, 
attivamente e a differenza dei tanti, altri manifestanti costretti a fuggire, agli scontri 
violenti che, come reso evidente dai filmati visionati, trasformarono piazza San Giovanni in 
un luogo di vera e propria guerriglia in cui risultava impossibile esercitare le pi� normali attivit� 
di vita comune. 
Alla luce delle risultanze istruttorie fin qui esaminate, si �, pertanto, dell'avviso che, con tranquilla 
certezza, possa essere affermata la penale responsabilit� del S. con riferimento ad entrambi 
i reati a lui ascritti. 
In relazione al capo A), non sembra, infatti, contestabile come le azioni violente di cui si rese 
consapevolmente responsabile l'imputato fossero destinate a contrastare l'operato dei pubblici 
ufficiali addetti al servizio di ordine pubblico che, per dovere del loro ufficio e non senza 
rischi per la loro incolumit� personale, furono chiamati ad intervenire per interrompere le 
gravi azioni di danneggiamento e le altre condotte violente che, di fatto, avevano impedito 
un pacifico svolgimento di una legittima manifestazione. 
Parimenti provata deve, poi, ritenersi, ad avviso del tribunale, la sussistenza delle aggravanti 
ipotizzate con riferimento al delitto di resistenza descritto nel capo di imputazione. 
Come pacifico in giurisprudenza, per la configurabilit� dell'aggravante di cui al comma 2 del-
l'art. 339 cp, ҏ necessario e sufficiente che i concorrenti nella esecuzione del delitto siano 
stati presenti in pi� di dieci sul luogo e nel momento in cui la violenza viene perpetrata" ed 
inoltre "non rileva che alcune di esse siano rimaste non identificate". 
Orbene, risultando evidente che il S., come emerge dal filmato visionato in udienza, ag� unitamente 
ad un nutrito gruppo di altri manifestanti e risultando, altrettanto, evidente che le sue 
condotte furono agevolaie dalla concomitante presenza di questi ultimi, nessun dubbio sussiste 
quanto alla configurabilit� nel caso di specie dell'aggravante in questione. 
Ad ulteriore conforto della conclusione cui si � pervenuti vale, altres�, evidenziare come, sempre 
secondo una consolidata e condivisa giurisprudenza, l'affermazione della effettiva sussistenza 
della circostanza aggravante di cui all'art. 339 II co. c.p. non richieda l'accertamento 
di un previo concerto degli autori del fatto, essendo sufficiente la consapevolezza, da parte di 


questi ultimi, che la propria azione si inserisca in un contesto numerico di persone che ne condividono 
finalit�, destinatari e modalit�. 
Ad una conclusione ugualmente sfavorevole all'imputato deve, poi, pervenirsi anche con riferimento 
alla configurabilit� delle ulteriori, due circostanze aggravanti contestate. 
L'accertato, ripetuto lancio di oggetti e, da ultimo del liquido versato sul mezzo in fiamme, 
rende, in particolare, evidente come le condotte di resistenza poste in essere dal S. furono 
consumate con le modalit� di cui all'ultimo comma dell'art. 339 cp. 
N� sembra contestabile che le particolari circostanze di tempo e di luogo in cui ebbero a svolgersi 
i fatti contestati integrino, senz'altro, gli estremi dell'aggravante comune di cui al n. 5 
dell'art. 61 cp.. Ove, infatti, si consideri che il S. pot� agire grazie alla grave situazione di ordine 
pubblico venutasi a determinare per i ripetuti atti di violenza che portarono la fuga dei 
pacifici manifestanti; che l'intervento del personale schierato a difesa dell'ordine pubblico fu 
ostacolato non solo dall'elevato numero di facinorosi, ma dalla loro organizzata azione di resistenza; 
che, come riferito dal teste GIANNINI, al culmine degli scontri cui partecip� l'imputato, 
la piazza San Giovanni appariva il teatro di atti di vera e propria "guerriglia", appare 
conforme a logica, oltre che a diritto, ritenere che il S., cos� come gli viene contestato, abbia, 
sicuramente, approfittato di una peculiare situazione che, fino al ripristino dell'ordine pubblico, 
ostacolava la difesa tanto pubblica che privata. 
Per completezza di indagine, vale, infine, evidenziare come tra le aggravanti ad effetto speciale 
di cui all'art. 339 c.p. e l'aggravante di cui al n. 5 dell'art. 61 c.p. non sussista, a parere del tribunale, 
alcuna situazione di incompatibilit� n� � prospettabile l'assorbimento dell'aggravante 
comune nell'una o nell'altra delle aggravanti ad effetto speciale. 
Infatti, la circostanza di aver profittato di condizioni di tempo e di luogo tali da ostacolare la 
pubblica o privata difesa non costituisce elemento gi� implicito nelle aggravanti di aver agito 
in numero di persone superiore a dieci e di aver fatto impiego di oggetti contundenti per potenziare 
l'azione di contrasto alle forze dell'ordine, ma si configura come elemento diverso 
ed ulteriore di individuazione della condotta antigiuridica. 
Quanto ai fatti contestati al capo B) della rubrica, il tribunale � dell'avviso che, sia sotto il 
profilo oggettivo, sia sotto quello soggettivo, l'accertata condotta del S. debba, per l'appunto, 
essere ricondotta nel paradigma del delitto di devastazione. 
Non ignora il tribunale le decisioni di legittimit� che, anche di segno opposto, sono intervenute 
per delimitare l'ambito applicativo della norma incriminatrice di cui all'art. 419 cp. 
Tuttavia, senza alcuna pretesa di originalit� e trascrivendo, testualmente, argomenti sviluppati 
in una recente decisione adottata dal supremo collegio proprio con riferimento ad un soggetto 
indagato per gli stessi fatti contestati al S., vale ricordare, in punto di diritto "che la fattispecie 
di cui all'art. 419 c.p., risulta integrata allorch� le condotte di distruzione e danneggiamento, 
anche aventi ad oggetto uno specifico bene (nel caso di specie, il mezzo blindato dei CC), 
siano attuate con modalit� tali da ledere il bene dell'ordine pubblico, inteso come forma di 
civile e corretta convivenza" (Cassazione Penale sez. I del 5.07.2012, n. 26144 che richiama 
sez. I n. 20313 del 29/04/2010). 
Ritenuta la configurabilit�, in astratto, del delitto di devastazione anche con riferimento all'incendio 
del mezzo blindato cui partecip� il S., resta da valutare se, nel caso di specie, possano 
ritenersi sussistenti le modalit� che, secondo la regola di diritto sopra richiamata, valgano 
ad integrare la ipotizzata violazione delle contestata norma incrimimatrice. 
La risposta al formulato quesito non pu� che essere sfavorevole all'imputato. 
Nella ricostruzione degli eventi addebitati al S., si �, pi� volte, evidenziato come le azioni 


violente di cui questi si rese responsabile si consumarono al culmine degli scontri tra mani-
festanti e forze di polizia e, in particolare, quando, la situazione dell'ordine pubblico era gravemente 
compromessa. Il racconto dei testi escussi e le sequenze del filmato messo a 
disposizione del tribunale hanno, infatti, testimoniato che, allorch� fu attaccato e incendiato 
il mezzo blindato del carabinieri, la piazza San Giovanni era stata sottratta ai pi� elementari 
usi di civile e corretta convivenza. N� pu� tacersi, che sempre a causa di quella documentata 
situazione di "guerriglia" fu, di fatto, inibito ai tantissimi, pacifici partecipanti del corteo di 
esercitare il loro diritto costituzionale "di manifestare liberamente il proprio pensiero". 
Deve, pertanto, ritenersi che, in ossequio al principio in diritto richiamato dalla citata sentenza, 
proprio la ricostruzione dei fatti e delle condone antecedenti, concomitanti e susseguenti alla 
consumazione delle azioni violente addebitate al S. (creazione di barricate, lancio di oggetti 
contundenti all'indirizzo di persone e case, utilizzo di armi improprie per l'assalto al veicolo 
blindato dei carabinieri) rende di tutta evidenza come, nel caso di specie, si sia realizzata una 
grave lesione al bene giuridico dell�ordine pubblico che, pertanto, vale, senz'altro, ad integrare 
il contestato delitto di devastazione. 
Nella stessa decisione, infine, il giudice di legittimit� ha avuto modo di precisare, con specifico 
riferimento al possibile concorso tra i reati contestati al S., che "il reato di resistenza aggravata 
non pu� ritenersi assorbito dal reato di devastazione, stante il fatto che quest'ultimo include 
condotte di violenza reale che aggrediscono beni patrimoniali (quali danneggiamenti, furti 
ed altre condotte lesive di interessi patrimoniali) con una vastit� tale da generare un pericolo 
per l'ordine pubblico; la fattispecie non assorbe condotte connotate dall'uso di violenza contro 
la persona le quali integrano concorrenti fattispecie autonome di reato". 
Provata la penale responsabilit� dell'imputato per entrambi i delitti a lui contestati, appare evidente 
come la contestualit� di tempo e di luogo in cui si sono consumati i fatti, la palese unicit� 
del disegno criminoso che anim� il S. consentono di applicargli il trattamento sanzionatorio 
previsto dall'art. 81 cp, con conseguente determinazione di una quota di aumento di pena sulla 
sanzione relativa al pi� grave degli accertati reati e, dunque, a quello di devastazione. 
Sempre con riferimento ai parametri di determinazione della pena, una circostanza merita di 
essere segnalata in favore dell'imputato. 
L'analisi delle risultanze istruttorie, evidenzia come da nessuna fonte di prova sia possibile 
ricavare una partecipazione del S. alla fase organizzativa degli scontri poi registratesi durante, 
le varie fasi della manifestazione. Parimenti sfornita di prova � una ipotetica partecipazione 
dell'imputato a fatti avvenuti all'esterno di piazza San Giovanni. 
In tale quadrq, nella totale assenza di emergenze di segno contrario, � ragionevole affermare 
che le condotte violente di cui si rese responsabile l'imputato, bench� connotate da oggettiva 
gravit�, scaturirono da una, verosimile estemporanea volont� dell'imputato che, non diversamente 
da quanto accaduto per altri manifestanti, matur� la decisione di partecipare agli atti di 
resistenza e di devastazione solo perch� animato da un dolo d'impeto e, quindi, senza una sua, 
qualsiasi, precedente programmazione con appartenenti a gruppi organizzati. 
Proprio l'assenza di una partecipazione del S. alla pianificazione delle azioni violente, il suo 
marginale contributo causale alla fase terminale degli scontri consentono, ad avviso del tribunale, 
di applicare un trattamento di clemenza anche mediante il ricorso all'art. 114 c.p. 
La condotta del S., infatti, seppur utile a configurare i gravi reati a lui ascritti, non appare 
comparabile con quella, ben pi� aggressiva, degli altri ignoti facinorosi che, durante le varie 
fasi del corteo, facendosi scudo dei tantissimi, pacifici manifestanti, si resero responsabili di 
ripetute atti di aggressioni a persone e cose e, con la loro pianificata azione di provocazione, 


procurarono la ingestibile situazione di ordine pubblico che port� allo scatenarsi degli scontri 
cui prese parte l'imputato. 
Ove, poi, si consideri che le sequenze del filmato visionato mostrano il S. nell'atto di versare 
il liquido di una bottiglia su un mezzo blindato gi� in fiamme, appare conforme a logica ed 
alle acquisite risultanze istruttorie affermare che quella condotta, seppure apprezzabile quale 
autonomo contributo alla consumazione degli accertati fatti di devastazione, non fu la causa 
scatenante dell'incendio che altri avevano gi� provocato. 
Anche con riferimento alla fase esecutiva del delitto pu�, pertanto, stimarsi marginale l'opera 
che l'imputato ebbe a prestare per la consumazione del delitto di devastazione e, quindi, anche 
sotto tale profilo, pu� trovare applicazione l'attenuante comune di cui all'art. 114 c.p. 
Avuto, poi, riguardo alla necessit� di adeguare la pena al caso concreto e, in buona sostanza, 
di mitigate la severit� delle pene edittali previste per il reato di devastazione, possono essere 
applicate al S. anche le circostanze attenuanti generiche. 
In conclusione valutati comparativamente gli elementi tutti di cui all'art. 133 cp, appare conforme 
a giustizia, in ragione del sistema di calcolo sopra prospettato, condannare l�imputato 
alla pena finale e complessiva di anni 5 di reclusione (p.b. anni 8 di reclusione � 1/3 ex art. 
114 c.p. � 10 mesi di recl. ex art. 62 bis c.p. + pi� mesi 6 di recl. ex art. 81 cpv. c.p.). 
L'affermazione di penale responsabilit� dell'imputato e la durata della pena detentiva a lui inflitta 
comportano la sua condanna al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare 
nonch� l'applicazione nei suoi confronti delle pene accessorie specificate in dispositivo. 
Ai sensi dell'art. 240 c.p. va disposta la confisca e la distruzione delle cose di cui al verbale 
di sequestro del 27.10.2011 ad eccezione del computer di marca Acer, di cui al n. 1 , e del telefono 
cellulare marca Alcatel con relativa scheda Vodafone, di cui al n. 2, delle quali deve 
essere disposta l'immediata restituzione al S. 
L'imputato deve poi essere condannato al risarcimento dei danni - da liquidarsi in separata 
sede, difettando nella presente elementi precisi per la loro determinazione - in favore delle 
parti civili costituite nonch� alla rifusione nei confronti delle medesime delle spese sostenute 
per il presente giudizio, che vanno determinate nella misura di � 2.000,00 per ciascuna parte 
civile. 
Va respinta la richiesta di provvisionale, difettando la prova degli specifici danni derivanti 
dalla condotta dell'imputato. 
II termine per il deposito della presente motivazione, di carattere complesso, viene fissato alla 
data del 30 novembre 2012. 

P.Q.M. 
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., 
dichiara S.C. colpevole dei reati a lui ascritti e concesse la circostanza attenuante di cui all'art. 
114 c.p. e le circostanze attenuanti generiche, ritenuta la continuazione, lo condanna alla pena 
finale e complessiva di anni 5 di reclusione (p.b. anni 8 di reclusione � 1/3 ex art. 114 c.p. 

� 10 mesi di recl. ex art. 62 bis c.p. + mesi 6 di recl. ex art. 81 cpv. c.p.), oltre al pagamento 
delle spese processuali e di quelle di custodia cautelare. 
Visti gli artt. 28, 29 e 32 c.p., 
dichiara S.C. interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale per la 
durata della pena. 
Visto l'art. 240 c.p., 
ordina la confisca e la distruzione delle cose di cui al verbale di seq�estro del 27.10.2011 ad 
eccezione del computer di marca Acer, di cui al n.1; e del telefono cellulare marca Alcatel 



con relativa scheda Vodafone, di cui al n. 2, delle quali deve essere disposta l'immediata restituzione 
all'imputato. 
Visti gli artt. 538 e ss c.p.p., 
condanna S.C. al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili ATAC s.p.a., Ministero 
della Difesa, Ministero dell'Interno, AMA s.p.a. e Roma Capitale, da liquidarsi in separata 
sede e alla rifusione delle spese di costituzione in giudizio che liquida, in favore di 
ciascuna, in euro 2.000,00. 
Rigetta la richiesta di provvisionale avanzata dalle predette parti civili. 
Fissa alla data del 30 novembre 2012 il termine per il deposito della motivazione. 



Il pubblico impiego dinanzi alla Riforma Fornero 

Michele Gerardo e Adolfo Mutarelli* 

SOMMARIO: 1. La problematica esclusione del pubblico impiego dall�ambito applicativo 
della Riforma Fornero - 2. Le posizioni dottrinati sin qui emerse. La tesi dell�applicabilit� 


3. (Segue) La tesi dell�inapplicabilit� - 4. Le ragioni che militano in favore dell�inapplicabilit� 
al pubblico impiego delle disposizioni sostanziali della Riforma Fornero - 5. Le ragioni che 
depongono per l�applicabilit� al pubblico impiego del nuovo rito speciale previsto dalla Riforma 
Fornero per i licenziamenti illegittimi. 

1. La problematica esclusione del pubblico impiego dall�ambito applicativo 
della Riforma Fornero. 

Il legislatore dell�ambiziosa riforma del mercato del lavoro � riuscito a 
dar vita, si ignora quanto consapevolmente, ad un testo normativo a dir poco 
sibillino addirittura in ordine al campo di applicazione della riforma. Non � 
chiaro infatti in che misura la riforma si applichi anche al pubblico impiego e, 
manco a dirlo, se si applichi il novellato testo dell�art. 18 della L. 300/1970 
sui licenziamenti ed il correlato rito speciale disciplinato agli art. 47-68 del 
medesimo corpus normativo. 

I prodromi di tale impiccio erano stati peraltro tempestivamente avvertiti 
dalla dottrina (1), che gi� con riferimento al disegno di legge governativo 3249 
(divenuto poi riforma del mercato del lavoro) aveva messo in guardia l�incauto 
legislatore dal �rattoppo� dell�ultimo minuto costituito dal compromissorio testo 
dell�art. 2 (1� e 2� comma) divenuti poi 7� e 8� commi dell�art. 1 L. 92/2012 (2). 

� noto come in occasione della predisposizione del ricordato disegno di 
legge si sia scatenata una aspra polemica politico-sindacale che ha coinvolto 
gli stessi Dicasteri del Lavoro e della Funzione Pubblica (3) in ordine all�ap


(*) Avvocati dello Stato. 

Autore dei �� 1 e 5 Adolfo Mutarelli. 

Autore dei �� 2, 3 e 4 Michele Gerardo. 

(1) F. CARINCI, Complimenti, dottor Frankenstein: il disegno di legge governativo in materia di 
riforma del mercato del lavoro, in LG, 2012, 6, 529; S. MAGRINI, Quer pasticciaccio brutto (dell�art.18), 
in ADL, 2012, 3, 535; M. GERARDO, Contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico e giurisdizione 
del giudice ordinario, in M. GERARDO, A. MUTARELLI, Il processo nelle controversie di lavoro pubblico, 
Giuffr�, 2012, pag. 29, nota 40. 
(2) L�osservazione di L. ZOPPOLI, La riforma del mercato del lavoro vista dal Mezzogiorno: profilo 
giuridico istituzionali, in http://www.giuslavoristi.it, secondo cui Ǐ troppo evidente in questo caso il 
rattoppo dell�ultimo minuto realizzato in considerazione delle polemiche suscitate dall�eventuale applicazione 
del �nuovo� art. 18 St. lav. anche ai dipendenti pubblici�. 
(3) L. OLIVERI, Una controriforma per il pubblico impiego, in www.lavoce.info.it; V. BRANCACCIO, 
E. CAVALLARO, L�articolo 18, pulizie di primavera, in Il Manifesto, 22 aprile 2012. 



plicabilit� al pubblico impiego della disciplina di cui al novellato testo dell�art. 
18 Statuto dei lavoratori. 

Figli di questa aspra polemica sono appunto i ricordati commi 7 e 8 dell�art 
1 L. 92/2012 secondo cui: �7. Le disposizioni della presente legge, per quanto 
da essa non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione 
dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni 
di cui all�art. 1, comma 2, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, 
in coerenza con quanto disposto dall�art. 2 comma 2 del medesimo 

d. lgs. Restano ferme le previsioni di cui all�art. 3 del medesimo d. lgs. 

8. Ai fini dell�applicazione del comma 7 il Ministro per la Pubblica Amministrazione 
e la semplificazione, sentite le Organizzazioni Sindacali maggiormente 
rappresentative dei dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche, 
individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalit� 
e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle 
Amministrazioni Pubbliche�. 

Gi� ad una prima lettura � agevole osservare che le richiamate disposizioni 
sono state concepite senza tener conto che alcuna delle disposizioni modificate 
e - per quanto di interesse - tra queste in particolare l�art. 18, erano 
gi� operanti nella disciplina del pubblico impiego in virt� dell�espresso rinvio 
contenuto nel 2� comma dell�art. 51 del T.U. 165/2001 �alla legge 20 maggio 
1970, n. 300 e successive modificazioni e integrazioni� secondo cui �la legge 
20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni e integrazioni, si applica 
alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti�. Richiamo 
reso pi� stringente e completo dal 2� comma dell�art. 2, T.U. 165/2001 
alla luce del quale �i rapporti di lavoro dei dipendenti delle Amministrazioni 
Pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo 1, titolo II, del libro V 
del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell�impresa, 
fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono 
disposizioni a carattere imperativo�. 

Sicch� rispetto al novellato testo dell�art. 18 St. lav. risulta quanto mai 
arduo stabilire se tale disposizione sia nella mens legis destinata a costituire 
principio cui dovr� informare la propria azione il Ministro per la pubblica amministrazione 
e per la semplificazione per definire modalit� e tempi dell�armonizzazione 
della disciplina alle amministrazioni pubbliche o, viceversa, destinata 
a costituire disciplina di immediata applicazione in virt� del rinvio dinamico di 
cui al ricordato 2� comma dell�art. 51, T.U. 165/2001 rispetto a cui alcun effettivo 
argine sarebbe riuscito a porre il comma 7 dell�art. 1 della riforma Fornero. 

2. Le posizioni dottrinali sin qui emerse. La tesi dell�applicabilit�. 

L�illustrato quadro normativo � tale da rendere ragionevolmente plausibile 
ognuna delle opzioni ermeneutiche astrattamente configurabili (e configurate) 
dinanzi a tale anodina trama normativa. 


Pur essendo state infatti formulate in dottrina tutte le opzioni possibili 
non pu� infatti ritenersi che si sia individuata una definitiva chiave di lettura 
normativa del testo. 

Secondo una parte della dottrina laddove la riforma interviene su disposizioni 
gi� applicabili al pubblico impiego le modifiche apportate non potrebbero 
non essere applicate al lavoro pubblico. Ci� in quanto la previsione di cui al 7� 
comma dell�art. 1 della L. 92/2012 non sembra idonea sul piano tecnico/giuridico 
a modificare l�ambito di applicabilit� delle norme oggetto di riforma (4). 

Ad analoghe conclusioni perviene altro orientamento secondo cui l�inciso 
�per quanto da esse non espressamente previsto� andrebbe letto quale �salva 
espressa previsione in senso contrario� (5). In tale prospettiva l�espressa diversa 
previsione sarebbe da ricercare non solo nella legge 92/2012 - laddove vi � un 
espresso riferimento alla Pubblica Amministrazione - ma anche in tutte quelle 
altre disposizioni che sono destinate a trovare applicazione immediata anche 
nell�ambito del lavoro pubblico per effetto della �funzione di travaso� garantita 
dall�art. 51, 2� comma nonch� dall�art. 2, 2� comma del T.U. 165/2001 (6). 

Deve tuttavia segnalarsi come l�illustrato orientamento dottrinario si diversifichi 
poi all�interno in ordine alla problematica dell�applicabilit� al pubblico 
impiego del nuovo rito speciale disciplinato dai commi da 48 a 67 dell�art. 
1 della L. 92/2012 che, per dettato del comma 47 si applica �alle controversie 
aventi ad oggetto l�impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall�art. 
18 della L. 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anche quando 
devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto�. 

Secondo una prima opzione ricostruttiva, l�esclusione di carattere generale 
di cui all�art. 1 comma 7 della riforma del mercato del lavoro sarebbe idonea 
a giustificare l�inapplicabilit� al pubblico impiego del nuovo rito speciale 
per i licenziamenti in quanto il legislatore, in questo caso ed a differenza del-
l�art. 18, non � intervenuto su una norma gi� applicabile per rinvio al pubblico 
impiego ma � intervenuto predisponendo un rito speciale del tutto nuovo (7). 

Da tale prospettiva pertanto si osserva che mentre le modifiche della legge 
92/2012 concernenti la disciplina sostanziale dei licenziamenti devono trovare 

(4) L. GALANTINO, Diritto del lavoro pubblico, Torino 2012, pag. 16. 
(5) � questa la posizione di A. TAMPIERI, La legge 92/2012 e il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 
in G. PELLACANI (a cura di), La riforma del lavoro, Giuffr�, 2013, pag. 29. 
(6) Per l�applicabilit� del nuovo testo dell�art. 18 al pubblico impiego, v. L. CAVALLARO, L�art.18 
St. Lav. e il pubblico impiego: breve (per ora) storia di un equivoco, in LPA, 2012, 1019; A. TAMPIERI, 
La legge 92/2012 e il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, cit., pag. 29 ss.; G. GENTILE, I dipendenti 
delle Pubbliche amministrazioni, in M. CINELLI, G. FERRARO, O. MAZZOTTA (a cura di), Il nuovo mercato 
del lavoro. Dalla riforma Fornero alla legge di stabilit� 2013, Giappichelli, 2013, 227; C. MUSELLA, Il 
rito speciale in materia di licenziamenti, ivi, 359; E.A. APICELLA, Lineamenti del pubblico impiego privatizzato, 
Giuffr�, 2012, 208 ss.; R. RIVERSO, Indicazioni operative sul rito Fornero (con una divagazione 
minima finale), in www.altalex.com. 
(7) Cos� A. TAMPIERI, La legge n. 92/2012 e il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, cit., 33. 



applicazione anche nel settore pubblico in quanto relative a disposizioni sostanziali 
gi� applicabili, viceversa le ulteriori novit� del rito in materia di licenziamenti 
non dovrebbero trovare applicazione non intervenendo direttamente su 
norma gi� applicabile al pubblico impiego (8). 

Partendo viceversa dal carattere necessario ed esclusivo del nuovo rito previsto 
dalla legge sul mercato del lavoro si ritiene che lo stesso sia applicabile 
anche al pubblico impiego in quanto alcuna indicazione contraria � desumibile 
dal complesso normativo della L. 92/2012. Sicch� le impugnative del licenziamento 
del pubblico impiegato non potrebbero ritenersi sottratte al nuovo rito (9). 

3. (Segue) La tesi dell�inapplicabilit�. 

Sul fronte opposto si osserva che, alla luce dell�art. 1, comma 1, l. 
92/2012, le finalit� perseguite dalla riforma del mercato del lavoro appaiono 
ritagliate a misura del lavoro privato con l�evidente corollario che il successivo 
7� comma dell�art. 1, seppur di infelice formulazione, non pu� che essere letto 
come presidio dei dichiarati obiettivi normativi apparendo quindi del tutto coerente 
l�esclusione del lavoro pubblico dall�ambito del complesso normativo. 

In tal prospettiva si rileva altres� come la soluzione di tecnica legislativa 
di cui ai commi 7 e 8 del ricordato articolo 1 non � cos� distante da quella utilizzata 
nel d. lgs. 10 settembre 2003 n. 276, che oltre a prevedere la generale 
esclusione del pubblico impiego stabiliva all�art. 86 comma 8 che il Ministro 
della funzione Pubblica convocasse entro sei mesi le organizzazioni sindacali 
maggiormente rappresentative dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni 
per esaminare i profili di armonizzazione conseguenti all�entrata in vigore della 
nuova disciplina, e ci� anche ai fini dell�eventuale predisposizione di provvedimenti 
legislativi in materia (di cui oggi si � tuttora in attesa). L�esclusione 
del lavoro pubblico dall�ambito della riforma del mercato del lavoro viene cos� 
veicolata in una progressiva scelta politica che se non va in dichiarata contro-
tendenza rispetto al processo di privatizzazione del pubblico impiego ne connota 
tuttavia una lenta erosione su aspetti normativi di particolare rilievo (10). 

Tale orientamento postula pertanto la coesistenza di un testo �storico� 
dell�articolo 18 applicabile al pubblico impiego e un testo vigente applicabile 
al lavoro privato. In ordine al fenomeno della sopravvivenza del testo dell�articolo 
18 ante novella la stessa viene variamente spiegata come effetto implicitamente 
abrogativo del comma 2 dell�articolo 51 del d.lgs. 165/2001 
determinato dall�esclusione del pubblico impiego contenuta nel comma 7 del


(8) Cos� G. GENTILE, I dipendenti delle pubbliche amministrazioni, cit., 229. 
(9) C. MUSELLA, Il rito speciale in materia di licenziamento, cit., pag. 359; P. CURZIO, Il nuovo 
procedimento in materia di licenziamenti, in P. CHIECO (a cura di), Flessibilit� e tutele del lavoro. Commentario 
della legge 28 giugno 2012, n. 92, Bari 2012, 8 ss.. 
(10) F. CARINCI, Articolo 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, 
in LPA, 2012, pag. 247 ss.. 



l�articolo 1 L. 92/2012 (11) o, viceversa, meramente disapplicativo (12) od ancora, 
pi� radicalmente, dovendosi ritenere come sopravvissuto per rinvio materiale 
il vecchio testo dell�art. 18 Stat. lav. (13). Pertanto il testo storico dell�art. 
18 in tale assetto ricostruttivo rimarrebbe operativamente applicabile ai rapporti 
di pubblico impiego sino all�eventuale attuazione dell�armonizzazione preannunziata 
dall�8� comma, dell�art. 1 L. 92/2012 (e sin qui neanche avviata). 

Quanto all�applicabilit� ai licenziamenti del lavoro pubblico del nuovo 
rito speciale anche in tale orientamento si registra una difformit� di soluzioni. 
Secondo taluno dovrebbe in ogni caso applicarsi il nuovo rito in quanto il 47� 
comma dell�art. 1 l. 92/2012 non individua come discrimen per l�assoggettamento 
a nuovo rito l�applicabilit� alla controversia dell�art. 18 dello Statuto 
dei lavoratori nel testo novellato (14). 

Per altri invece il nuovo rito non potrebbe ritenersi applicabile in virt� 
della pi� generale esclusione del pubblico impiego dall�ambito di operativit� 
della legge (15). 

4. Le ragioni che militano in favore dell�inapplicabilit� al pubblico impiego 
delle disposizioni sostanziali della Riforma Fornero. 

Il richiamo contenuto agli artt. 2, 2 comma e 51, 2 comma d. lgs. 
165/2001 alle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell�impresa ed alla l. 
20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni ed integrazioni opera un 
rinvio mobile (detto anche formale o non-recettizio) in quanto viene richiamato 
non uno specifico atto, ma una fonte di esso (16). Con il rinvio mobile 
vengono recepite tutte le modifiche che si producono nella normativa posta 
dalla fonte richiamata. 

In presenza di tale sistema, le leggi sui rapporti di lavoro subordinato nel-
l'impresa si applicano al rapporto di lavoro pubblico a prescindere da specifici 
richiami nelle stesse contenute. 

Necessaria �, invece, l�espressa previsione della non applicazione al fine 
di escludere l�applicazione delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nel-
l'impresa al lavoro pubblico. 

Un esempio in quest�ultimo senso � rinvenibile nell�art. 1 comma 2 

(11) F. CARINCI, Articolo 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, cit., 
pag. 255. 
(12) E. PASQUALETTO, La questione del pubblico impiego privatizzato, in C. CESTER, I Licenziamenti 
dopo la legge 92 del 2012, Cedam, 2013, pag. 58, nota 20. 
(13) A. VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, Giappichelli 2012, pag. 55. 
(14) In tal senso F.M. GIORGI, Il nuovo processo per l�impugnazione dei licenziamenti. Questioni 
generali, in ID. (coordinato da), La riforma del mercato del lavoro, Jovene, 2012, pag. 318. 
(15) C. ROMEO, La �legge Fornero� e il rapporto di impiego pubblico, in LPA, 2012, pag. 713. 
In tal senso sembra potersi leggere M. DE CRISTOFARO, G. GIOIA, Il nuovo rito dei licenziamenti: l�anelito 
alla celerit� per una tutela sostanziale dimidiata, in www.judicium.it, pag. 5, nota 10. 
(16) Ex plurimis, R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, G.Giappichelli, 2012, pag. 319 ss.. 



D.L.vo 10 settembre 2003 n. 276 ( cd. Legge Biagi) (17), relativo alla attuazione 
delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla 
legge 14 febbraio 2003, n. 30, secondo cui �Il presente decreto non trova applicazione 
per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale�. 

Come si � gi� osservato analoga esclusione � disposta dalla riforma Fornero, 
in termini generali che coinvolgono anche la novella dell�art. 18 St. lav. Dispone 
infatti il pi� volte citato comma 7 dell�art.1, secondo cui: �Le disposizioni della 
presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono 
principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle 
pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 
30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in coerenza con quanto disposto 
dall'articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo. Restano ferme 
le previsioni di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo�. 

Il menzionato comma stabilisce la generale inapplicabilit� delle le disposizioni 
contenute nella legge Fornero al lavoro pubblico - rimettendosi al meccanismo 
disciplinato nel successivo comma 8 la possibile estensione - tranne 
quelle espressamente (�per quanto da esse non espressamente previsto�) dalla 
stessa dichiarate applicabili al lavoro pubblico. Un esempio in quest�ultimo 
senso � rinvenibile nell�art. 1 comma 32 (18) della L. n. 92/2012 che, novellando 
l�art. 70 del d.lgs. n. 276/2003, amplia la possibilit� per il committente 
pubblico di far ricorso al lavoro accessorio. 

Orbene, nelle disposizioni della legge Fornero non vi � la espressa previsione 
dell�applicabilit� al pubblico impiego della novella all�art. 18 St. lav. 

(17) S. MAINARDI, D. lgs. 10 settembre 2003, 276 e riforma del mercato del lavoro: l�esclusione 
del pubblico impiego, in LPA, 2003, I, 1069. 
(18) Per il quale: �Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti 
modificazioni: a) l'articolo 70 � sostituito dal seguente: 
�Art. 70 (Definizione e campo di applicazione). - 1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono 
attivit� lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalit� 
dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati 
sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli 
impiegati intercorsa nell'anno precedente. Fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso 
di un anno solare, nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti, le attivit� 
lavorative di cui al presente comma possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per 
compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati annualmente ai sensi del presente comma. Per l'anno 
2013, prestazioni di lavoro accessorio possono essere altres� rese, in tutti i settori produttivi, compresi 
gli enti locali, fermo restando quanto previsto dal comma 3 e nel limite massimo di 3.000 euro di corrispettivo 
per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. 
L'INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario 
o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio. 


2. [�] 
3. Il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico � consentito nel rispetto 
dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale 
e, ove previsto, dal patto di stabilit� interno. 
4. [�]�. 



La peculiare formulazione del comma 7 richiede per l�immediata applicazione 
al lavoro pubblico dei precetti contenuti nella legge n. 92/2012 una espressa 
previsione nel senso che la specifica disposizione sia destinata ad operare anche 
per i �rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui 
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165�. 

Quanto detto implica che si deve escludere la conclusione per cui tutte 
le volte che la legge Fornero contenga previsioni modificative di disposizioni 
rese applicabili al rapporto alle dipendenze della Pubblica Amministrazione 
da altri contesti normativi -rectius: dal rinvio mobile operato dagli artt. 2 
comma 2 e 51 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001 - ci� equivalga ad una espressa 
previsione quale quella richiesta dal citato comma 7 (�per quanto da esse non 
espressamente previsto�) per l�applicabilit� alla pubblica amministrazione. 
Non si pu� pertanto ritenere che le norme gi� applicabili alla pubblica amministrazione 
continuino ad essere applicate alla Pubblica Amministrazione nel 
nuovo testo Fornero. 

Ci� non appare consentito dal pur atecnico dettato della disposizione di 
cui al comma 7 in esame di cui non si pu� non cogliere l�intento ad excludendum 
solo se messa a confronto con gli artt. 51, 2� comma, e 2, 2� comma del 
D.L.vo n. 165/2001. 

Da tale raffronto emerge con sufficiente chiarezza che la previsione di 
cui al comma 7, dell�art. 1, L. 92/2012 intende porsi come argine al rinvio dinamico 
contenuto nelle ricordate disposizioni del d. lgs. 165/2001 escludendone 
l�operativit�. 

L�interpretazione letterale e sistematica conduce ad una lettura secondo 
cui sono applicabili alla Pubblica Amministrazione solo ed esclusivamente 
quelle disposizioni la cui applicabilit� � espressamente prevista dalla stessa 
legge Fornero. Difatti: 

-il precetto generale della disposizione di cui al settimo comma dell�art. 
1 L. 92/2012 � quello della inapplicabilit� delle �disposizioni della presente 
legge� ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni; 
-il precetto �per quanto da esse [rectius: �disposizioni della presente legge�] 
non espressamente previsto� non pu� - logicamente - che riferirsi a quelle disposizioni 
che prevedano l�applicabilit� delle �disposizioni della presente legge� ai 
rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. 


L�illustrato canone interpretativo appare peraltro sintonico rispetto alla 
evoluzione della disciplina riservata al pubblico impiego che ha visto nel 
tempo di fatto annacquato (o forse pi� propriamente eluso) il carattere dinamico 
di ricordati rinvii che avrebbero dovuto per il legislatore della privatizzazione 
assicurare la costante armonizzazione del regime normativo tra 
impiego pubblico e privato. 

Ne consegue che il rapporto tra il d. lgs. 165/2001 e la L. 92/2012 non 
pu� essere scrutinato nei termini di un rapporto di successione tra leggi in 


quanto tale possibilit� appare inibita dalla scelta ad excludendum compiuta 
dalla legge Fornero. 

Pu� pertanto ritenersi che al rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica 
Amministrazione continua ad applicarsi il testo �storicizzato� dell�art. 
18 L. 300/70 vigente alla data di entrata in vigore della legge Fornero non in 
virt� di un preteso carattere materiale del rinvio di cui al 2� comma dell�art. 
51 d. lgs. 165/2001, bens� per volont� legislativamente codificata nella riforma 
Fornero di rimettere proprio il settore �caldo� del licenziamento disciplinare 
alla contrattazione collettiva cui era stato �scippato� dalla riforma Brunetta. 
Ci� in evidente sintonia con la pax stipulata con le organizzazioni sindacali 
per il pubblico impiego con il protocollo 3 maggio 2012 - intesa raggiunta tra 
il Ministero per la Pubblica Amministrazione e la semplificazione, i sindacati 
maggiormente rappresentativi dei dipendenti pubblici e le amministrazioni locali 
(poi approvata in data 10 maggio 2012 dalla conferenza Regioni e Provincie 
autonome) - il quale gi� prevedeva l�individuazione di forme di stabilit� 
in caso di licenziamento. N� pu� nascondersi che questo potrebbe rivelarsi 
come un definitivo disancoramento della disciplina del pubblico impiego dalla 
stagione (invero breve) della ricerca di armonizzazione con l�impiego privato. 

5. Le ragioni che depongono per l�applicabilit� al pubblico impiego del nuovo 
rito speciale previsto dalla Riforma Fornero per i licenziamenti illegittimi. 

Altro osso duro della riforma in esame � costituito dalla problematica 
dell�applicabilit� al pubblico impiego del nuovo rito speciale (19) disciplinato 
dai commi da 47 a 68 dell�art. 1 della riforma sul mercato del lavoro e, in particolare, 
se la sua applicabilit� sia (o meno) condizionata dalla soluzione che 
si accolga sul pi� ampio tema della applicabilit� al lavoro pubblico della complessiva 
riforma in esame. 

Deve in primo luogo osservarsi come, pur aderendo all�orientamento secondo 
cui il pubblico impiego deve ritenersi escluso dall�ambito di operativit� 
della riforma Fornero, non sembra possa conseguirne l�inapplicabilit� del 
nuovo rito speciale in essa disciplinato. 

Sul piano sostanziale non appare percepibile alcuna incompatibilit� strutturale 
tra tutela sostanziale e processuale tenuto conto che il nuovo rito � dichiaratamente 
applicabile �alle controversie instaurate successivamente alla 
entrata in vigore della presente legge� (comma 67, art. 1, l. 92/2012) e quindi 
anche a licenziamenti intimati prima della entrata in vigore della stessa (e cio� 

(19) Rito speciale costruito a m� di �adattata� sintesi del procedimento ex art. 28 Statuto dei lavoratori 
(per la fase sommaria definita con ordinanza e, in ipotesi di opposizione, per il primo grado di 
giudizio definito con sentenza) con l�innesto del rito divorzile (per la fase di reclamo introdotta con ricorso). 
Cos� M. GERARDO, Contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico e giurisdizione del giudice 
ordinario, cit., pag. 29, nota 40. 


intimati sulla base del testo dell�art. 18 ante riforma). 

Sotto il profilo ermeneutico pu� inoltre osservarsi che la congiunzione �e� 
con cui il comma 47 dell�art. 1 della L. 92/2012 circoscrive l�applicabilit� del 
nuovo rito alle ipotesi disciplinate � dall�art. 18, L. 20 maggio 1970 n. 300, e successive 
modificazioni� non denota un concetto unitario bens� due distinti spazi 
di operativit� della disposizione, costituiti dall�art. 18 nel testo previgente alla L. 
92/2012 nonch� sempre dallo stesso art. 18 come integrato dalle modifiche apportate 
dalla legge Fornero. Tale opzione semantica risulta rafforzata dalla circostanza 
che la locuzione �e successive modificazioni� � collocata tra due virgole. 

In ogni caso l�applicazione del rito non potrebbe ritenersi preclusa dal-
l�insostenibile leggerezza dello sbarramento costituito dal comma 7 dell�art. 
1, L. 92/2012 anche perch� nella lettura proposta il comma 47 dell�art. 1 l. 
92/2012 costituirebbe ex se disciplina direttamente applicabile al pubblico impiego 
in quanto idonea ad integrare quella �espressa previsione� normativa 
salvifica, alla luce dello stesso comma 47 dell�art. 1 l. 92/2012, della applicabilit� 
delle disposizioni al pubblico impiego. 

Non appare peraltro in alcun modo ipotizzabile la attribuzione al Ministro 
per le Pubbliche Amministrazioni e le semplificazioni (art. 1, comma 8, L. 
92/2012) dell�individuazione e della definizione di una disciplina rigorosamente 
processuale da applicare al pubblico impiego. A meno che non si auspichi 
l�introduzione di un nuovo rito �pi� speciale degli altri" (20) e sempre 
che una tale opzione possa ritenersi (a parit� di tutela) costituzionalmente �ragionevole� 
(21). Del resto in tale senso milita lo stesso comma 7 dell�art. 1 l. 
92/2012, allorch� circoscrive la natura programmatica �delle disposizioni 
della presente legge� esclusivamente a quelle concernenti la �regolazione dei 
rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni� . 

Mentre infatti � comprensibile sul piano della ragionevolezza che il recesso 
della pubblica amministrazione sia regolato da norme diverse da quelle 
che disciplinano l�analogo potere dei datori di lavoro privati, non altrettanto 
pu� dirsi a proposito della disciplina processuale delle controversie aventi ad 
oggetto l�impugnazione dei licenziamenti (22). 

Non sembra peraltro condivisibile neanche l�orientamento (23) secondo 
cui (pur nel lodevole intento di pervenire ad una soluzione compositiva del ser


(20) Sulla semplificazione e riduzione dei riti in chiave di garanzia della celerit� del processo sia 
consentito il rinvio a: M.GERARDO, A.MUTARELLI, Sulla causa della �irragionevole� durata del processo 
civile e possibili misure di reductio a �ragionevolezza�, in www. judicium.it, pag. 110. 
(21) La previsione di riti differenziati non � in quanto tale incostituzionale essendo riconosciuto 
al legislatore disporre apposite discipline differenziate sempre con l�ovvio limite che la adottata differenziazione 
sia costituzionalmente �ragionevole�. Su tali profili L.P. COMOGLIO, Tutela differenziata e 
pari effettivit� nella giustizia civile, in Riv. dir. proc., 2008, pag. 1526. 
(22) In tal senso: Trib. Roma ord. 23 gennaio 2013, inedita. 
(23) C. MUSELLA, Il rito speciale in materia di licenziamento, cit., 359. 



rato dibattito oramai aperto in subiecta materia) il nuovo rito si applicherebbe 
solo in via transitoria e cio� fino a quando non saranno adottate le iniziative di 
cui al comma 8 dell�art. 1 della riforma in esame. Tale opzione sembra palesare 
una insanabile contraddizione: se infatti il nuovo rito deve costituire per il pubblico 
impiego solo un criterio cui informare il (futuribile) processo di armonizzazione 
ci� vuol dire che lo stesso non � applicabile neanche medio tempore. 
Il comma 7 dell�art. 1 l. 92/2012 non contiene infatti una mera disciplina di carattere 
intertemporale delle riforma Fornero bens� individua il criterio discretivo 
tra disposizioni immediatamente applicabili e �criteri e principi� da porre a 
base delle auspicabili iniziative di armonizzazione: tertium non datur. 

� a questo punto da chiedersi se valga l�inverso. Se cio� alla ritenuta applicabilit� 
al pubblico impiego della riforma dell�art. 18 Statuto dei lavoratori 
consegua (o meno) l�applicabilit� del nuovo rito speciale sui licenziamenti. 

Al riguardo non sembrano potersi condividere quegli orientamenti che, 
seppur sotto vari profili, postulano rispetto al pubblico impiego la divaricazione 
tra l�art. 18 St. lav. nel testo post Fornero e il rito speciale sui licenziamenti. 

� infatti di solare evidenza che ove ritenuto applicabile al pubblico impiego 
il testo novellato dell�art. 18 St. lav. non potrebbe poi non riconoscersi 
al licenziato �pubblico� una pari dignit� di tutela processuale rispetto al lavoratore 
privato. 

Ed indubitabile al riguardo che tra rito e disciplina sostanziale come concepiti 
nella legge l. 92/2012 vi � uno stretto rapporto tra compressione della 
tutela reintegratoria a fronte di licenziamenti illegittimi e la costruzione di un 
processo speciale a tempi serrati. 

Nella riferita prospettiva appare pertanto inaccettabile una dissociazione 
tra rito e nuovo testo dell�art. 18 che peraltro potrebbe dar luogo ad evidenti 
censure di costituzionalit� sia rispetto al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) 
sia rispetto al diritto di difesa (art. 24 Cost.). 

Una tale disparit� di trattamento non appare infatti costituzionalmente 
tollerabile e certo cadrebbe sotto la scure dalla Corte Costituzionale cui pure 
in passato si � addebitata la responsabilit� di non aver colto l�occasione di 
astenersi dal differenziare il trattamento tra lavoro pubblico e privato in tema 
di cumulo di interessi e rivalutazione monetaria (24). 

Non va per� sottaciuto al riguardo che nella ricordata occasione la Corte 
era stata investita della questione di costituzionalit� non in riferimento agli 
artt. 3 e 24 Cost. (bens� con riferimento all�art. 36 Cost.) e che nei giudizi a 
quibus la questione era stata sollevata solo con riferimento ai datori di lavoro 
privati per cui la Corte era tenuta ad applicare il vincolo processuale della cor


(24) Corte Cost., 2 marzo 2000, n. 459, in Giur. Cost., 2001, pag. 119, con nota di P. PASSALACQUA, 
Sul cumulo tra rivalutazione e interessi per i crediti di lavoro la Corte Costituzionale reintroduce l�instabile 
regime delle tutele differenziate. 


rispondenza tra chiesto e pronunciato in conformit� del principio desumibile 
per tali giudizi dall�art. 27 L. 11 marzo 1953, n. 87 (25). 

Nel caso di specie infatti, oltre ai ricordati parametri costituzionali (artt. 
3 e 24 Cost.), potrebbe configurarsi altres� un�incompatibilit� con gli artt. 14 
e 26 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici con conseguente interessamento 
anche del parametro di costituzionalit� costituito dal 1� comma 
dell�art. 117 Cost. 

Pertanto, ove si ritenga la nuova disciplina sui licenziamenti legittimi 
estesa al pubblico impiego, l�applicabilit� del nuovo rito speciale diviene 
l�unica possibile interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni 
in rassegna. 

Peraltro, sul piano pi� rigorosamente processuale, il nuovo rito speciale 
disciplinato dalla L. 92/2012 costituisce modalit� esclusiva per l�esercizio 
dell�azione giudiziale riconosciuta al lavoratore dinanzi al licenziamento illegittimo 
(26). Sicch� anche sotto tale profilo non appare concretamente percorribile 
una opzione ricostruttiva sostanzialmente ambigua che da un lato non 
esclude il pubblico impiego dall�applicazione dell�art. 18 St. lav. nuova formula 
e, dall�altro, lo esclude dall�unica forma processuale di quella tutela (27). 

In via conclusiva deve ritenersi che il nuovo rito speciale previsto dalla 
riforma Fornero a fronte di licenziamenti illegittimi si applica al pubblico impiego 
indipendentemente dall�orientamento assunto in ordine alla pi� generale 
esclusione (o meno) di tale comparto delle disposizioni sostanziali della l. 
92/2012 (28). 

Rimane in ogni caso irrisolto (e irresolubile) stabilire se il �capolavoro di 
italica furbizia� (29) operato dall��ignoto staff tecnico preposto alla stesura di 

(25) In ordine alle regole cui � sottoposto giudizio della Corte per quanto attiene al thema decidendum, 
v. G. ZAGREBELSKY, Processo costituzionale, in Enc. Dir., XXXVI, Milano, 1987, pag. 594. 
(26) P. SORDI, L�ambito di applicazione del nuovo rito per l�impugnazione dei licenziamenti e disciplina 
della fase di tutela urgente, relazione svolta nell�incontro di studio �La riforma del mercato del 
lavoro nella legge 28 giugno 2012 n. 92� organizzato a Roma il 29-31 ottobre 2012, pag. 5. 
(27) Per la natura necessaria del nuovo rito F.M. GIORGI, Il nuovo processo per l�impugnazione 
dei licenziamenti. Questioni generali, cit., pag. 306; L. DE ANGELIS, Art. 18 dello Statuto dei lavoratori 
e processo: prime considerazioni, in WP C.S.D.L.E. �Massimo D�Antona�.it, n. 152/2012, pag. 11; G. 
PACCHIANA PARRAVICINI, Il nuovo art. 18 St. Lav.: problemi sostanziali e processuali, in Mass. Giur. lav., 
2012, pag.755; P. CURZIO, Il nuovo rito per i licenziamenti, WP C.S.D.L.E. �Massimo D�Antona�.it, n. 
158/2012, pag. 16; F.P. LUISO, La disciplina processuale speciale della legge n. 92 del 2012 nell�ambito 
del processo civile: modelli di riferimento ed inquadramento sistematico, in www.juudicium.it, 2012, 
pag. 6 e ss., il quale osserva che il nuovo rito �tutela anche la parte che ha torto�; C. CONSOLO, D. RIZZARDO, 
Vere o presunte novit�, sostanziali e processuali, sui licenziamenti individuali, in Corr. Giur., 
2012, 6, pag. 735. 
(28) Ritiene in ogni caso inapplicabile alla fattispecie l�art. 700 c.p.c. atteso il carattere di resi-
dualit� di tale forma di tutela: U. ADORNO, Licenziamenti: Legge Fornero e pubblici dipendenti, in Rass. 
Avv. Stato, 2012, 3, 156. 
(29) Cos� F. CARINCI, Complimenti, dottor Frankenstein: il disegno di legge governativo in materia 
di riforma del mercato del lavoro, cit., 8. 



quella destinata a passare alla cronaca come la riforma Fornero� (30) sia costituito 
dall�essere riuscito con gli evanescenti commi 7 e 8 dell�art. 1, l. 92/2012 
ad abrogare di fatto ed in parte qua il 2� comma dell�art. 11 T.U. 165/2001 o, 
viceversa, a rendere occultamente applicabile la riforma dell�art. 18 St. lav. gi� 
applicabile al pubblico impiego nel testo storicizzato (o forse il solo rito speciale) 
o, piuttosto, nell�aver di fatto maliziosamente affidato alla supplenza della giurisprudenza 
l�individuazione degli incerti confini dell�accordo compromissorio 
politicamente sbandierato da parte sindacale e governativa. 

(30) Ancora F. CARINCI, Articolo 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, 
cit. 247. 


Finanziamenti bancari rogati all�estero tra regime civilistico e 
imposta sostitutiva del registro 

(Nota a Risoluzione n. 20/E - 28 marzo 2013 - della 
Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa) 

Federico Maria Giuliani * 

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Le questioni - 3. In punto di abuso (rinvio) - 4. Su tempo e 
luogo di conclusione del contratto: a) il caso della sottoscrizione in Italia degli elementi essenziali 
� 5. (Segue): b) il caso della nullit� del contratto italiano per vizio formale e le conseguenze 
impositive (cio� il �sottinteso� della risoluzione) - 6. Sull�abuso (conclusione). 

1. Premessa. 

Con risoluzione 28 marzo 2013 n. 20/E (1) l�Agenzia delle Entrate ha risposto 
a un quesito sui contratti di finanziamento bancari a medio-lungo termine, 
stipulati all�estero in forma di scrittura privata autenticata o atto 
pubblico, da banche italiane con clienti residenti in Italia. In particolare il quesito 
e la risposta vertono sull�applicazione dell�imposta sostitutiva di cui agli 
artt. 15 ss., d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601 (agevolazioni). A parere di chi 
scrive la risoluzione assume rilevanza, non soltanto per ci� che a chiare lettere 
esprime, ma anche per ci� che lascia intendere in modo inesplicito ai lettori, 
alla luce della normativa applicabile. 

2. Le questioni. 

Il quesito posto all�Agenzia in primo luogo prospettava un possibile esito 
di abuso del diritto, nella misura in cui, nonostante il contratto sia formato per 
scrittura privata autenticata o atto pubblico - fuori dal territorio nazionale 

(e.g. in Svizzera), proprio tale ubicazione territoriale appariva mirata all�indebito 
e mero conseguimento del vantaggio fiscale. 

Quest�ultimo consisterebbe nel fatto che, essendo il tributo sostitutivo, al 
pari di quelli sostituiti (registro ecc.), improntato sul presupposto della territorialit�, 
e recandosi all�uopo i paciscenti oltre le Alpi a stipulare, ci� farebbero 
soltanto al fine di evitare la debenza del tributo stesso. 

Ci� � tanto pi� vero - secondo l�autore del quesito - se i contratti in parola, 
come accade sovente, sono �di fatto� gi� prima conclusi in Italia quando l�intera 
istruttoria e deliberazione, interna alle banche eroganti, si perfeziona su 
domanda del sovvenuto. Di talch�, una volta conchiusa tale procedura, l�ac


(*) Avvocato del Libero Foro. LL.M. 
Independent Researcher, libero scrittore. 


(1) Infra. 


cordo si � gi� perfezionato nel territorio e la trasferta all�estero, per la formalizzazione 
dinnanzi al notaio ivi ubicato, si riduce a duplicazione di un quid 
negoziale che gi� esiste, se pure in altra forma. 

Peraltro, in stretta correlazione a ci�, l�interrogante prospettava anche 
l�ipotesi di una gi� intervenuta conclusione del contratto in Italia sul piano 
astrattamente civilistico, a prescindere dal ricorso alla categoria dell�abuso nel 
diritto tributario. 

Si ponevano, dunque, non poche esigenze di chiarimento. 

E l�Agenzia non si � sottratta a tale necessit�. 

3. In punto di abuso (rinvio). 

Anzitutto l�ente autore della risoluzione non condivide la prospettazione 
dell�abuso del diritto tributario. 

A parere della scrivente, infatti, nella fattispecie all�esame manca l�utilizzo 
distorto di strumenti civilistici, privo di valide ragioni economiche che 
non siano quelle del risparmio fiscale. 

Sembra cio� che, per l�Agenzia, la extra-territorialit� stipulatoria avanti 
il notary public estero, pi� che l�impiego di un istituto civilistico piegato al 
fine deviato del vantaggio tributario, costituisca il semplice ricorso all�applicazione 
del conflict of rules, cio� del diritto internazionale privato, in punto 
di lex contractus, in presenza di diversi criteri di collegamento. Ci� � posto al 
di fuori della sfera di rilevanza dell�abuso. 

Ed invero le parti decidono di stipulare all�estero e, altrettanto concordemente, 
assoggettano con clausola esplicita il contratto alla legge italiana. 

Siccome per� il cuore dei problemi sollevati dal quesito e svolti nella risoluzione, 
si dipana nel prosieguo, occorre fare tornare sull�abuso nella parte 
finale di questo scritto (2). 

4. Su tempo e luogo di conclusione del contratto: a) il caso della sottoscrizione 
in Italia degli elementi essenziali. 

Diversa da quella sull�abuso � la soluzione che l�Agenzia fornisce in ordine 
alla seconda questione posta, cio� quella relativa all�esatto momento e 
luogo di conclusione del contratto di finanziamento. 

Ora, � ben vero anzitutto che, come osserva la stessa Agenzia, in punto 
di forma dei contratti bancari, tra cui i finanziamenti in questione, la legge 
prescrive non gi� l�atto pubblico o la scrittura privata autenticata, bens� semplicemente 
la forma scritta, ai sensi dell�art. 117, d.lgs. 1 settembre 1993, n. 
385 (testo unico bancario, �TUB�). 

Sicch�, a prescindere dalle (posteriori) formalit� notarili all�estero, se nel 
territorio italiano interviene una scrittura privata avente a oggetto il finanzia


(2) Infra, par. 6. 


mento stesso, essa � soggetta alla citata imposta sostitutiva di cui all�art. 15 

d.p.r. 601/73. Rispetto a tale scrittura, il rogito o la scrittura privata autenticata 
all�estero diventano, a quel punto, mera �riproposizione� - per dirla con l�ente 
scrivente (rectius �ricognizione�) - e in ogni caso quelli non rilevano, siccome 
posti in essere fuori dal territorio, ai fini del tributo medesimo (3). 

Resta da mettere a fuoco che cosa occorre esattamente, in concreto, acciocch� 
siano integrati gli estremi di una scrittura privata italiana. 

� necessario e sufficiente che sia reperito, in sede di verifica fiscale, un �term 
sheet� - si scrive -�o altra documentazione da cui risulti gi� avvenuta la formazione 
del consenso in ordine agli elementi essenziali del contratto di finanziamento 
[poi] riproposti con l�atto pubblico o la scrittura privata autenticata�. 

Ebbene pu� condividersi l�assunto, per cui sono sufficienti gli �elementi 
essenziali� o determinanti, nel testo sottoscritto, acciocch� il contratto possa 
dirsi concluso (4). Cos� come � condivisibile l�ulteriore assunto dell�Agenzia 
secondo cui, ai fini del soddisfacimento della forma scritta, non � necessaria 
la sottoscrizione delle parti sul medesimo documento, ma sono bastevoli le rispettive 
sottoscrizioni non contestuali su proposta e accettazione (5). 

Sicch�, nel caso all�esame, tutti gli elementi richiesti ricorrono acciocch� 
il contratto sia civilisticamente esistente e valido e, sul versante tributario, soggetto 
all�imposta sostitutiva, sol che vi sia sottoscrizione di proposta e accettazione 
(essenziali). 

Quindi � corretto menzionare, fra l�altro, i c.d. �term sheets�, a condizione 
che, nel presente contesto, siano firmati sia dalla banca sia dal cliente in 
Italia, sebbene non di necessit� sul medesimo esemplare documentale n� contestualmente 
(6). 

Invece non sarebbe corretto, allo stato attuale del ragionamento (7) - viceversa 
generandosi confusione - pensare che siano bastevoli, per la conclusione 
del contratto in Italia, documenti e/o �term sheets� non sottoscritti. 

Al riguardo l�Agenzia delle Entrate nulla scrive. E pertanto si deve rite


(3) V., supra, par. 1. 
(4) Cfr. M. FRATINI � A. PENSABENE, Compendio di diritto civile, Nel Diritto Ed., Roma, 2012, p. 


307. Contra, ma solo attraverso la dimostrazione di una contraria rilevanza attribuita dalle parti agli elementi 
accidentali, F. CARINGELLA � L. BUFFONI, Manuale di diritto civile, Dike, Roma, 2009, p. 687. E 
infatti adde P. TRIMARCHI, Manuale di diritto privato, XVIII ed., Giuffr�, Milano, 2009, par. 210, che ai 
fini della conclusione sui soli elementi essenziali - propende a che le parti si riservino di trattare poi 
le clausole accessorie in una successiva ed eventuale pattuizione (richiamando, sul punto, Cass. n. 
23949/2008 e Cass. n. 11429/1992). 

(5) Cos�, proprio in materia di contratti bancari, vedi la recente Cass., 21 agosto 2012, n. 14584. 
(6) Si pu� discutere se siano necessarie, per la conclusione civilistica del contratto bancario, le 
firme sia della banca sia del cliente, atteso che la forma scritta � prescritta a tutela del solo cliente, cio� 
per sua informativa di protezione. La tesi rigorista sembra per� prevalere: Cass., 14 novembre 2012, n. 
19934 (nel senso, appunto, della necessaria sottoscrizione di ambedue le parti); Trib. Mantova, 13 marzo 
2006, G.U. Laura De Simone, in www.ilcaso.it (conf.). 
(7) Vedi poi, infra, par. 5. 



nere che, rettamente, essa non accordi rilevanza a siffatte documentazioni 
provvisorie, reperibili in Italia e non firmate. 

5. (Segue): b) il caso della nullit� del contratto italiano per vizio formale e le 
conseguenze impositive (cio� il �sottinteso� della risoluzione). 

Se per� il lettore del caso e della risoluzione si arrestasse qui, l�esito interpretativo 
sarebbe semplicistico. 

Per l�imposta sostitutiva sui finanziamenti, infatti, valgono le stesse regole 
applicative del tributo di registro sostituito, secondo quanto previsto dall�art. 
20, penultimo comma, d.p.r. n. 601/1973. 

E se � vero che, ex art. 2 d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131 (testo unico leggi registro, 
�TUR�), di regola sono soggetti al tributo solo gli atti formati per 
iscritto, � altres� vero che, ai sensi dell�art. 38 TUR, la nullit� dell�atto non dispensa 
dall�obbligo di registrazione e dal pagamento della relativa imposta, 
salva la restituzione (al netto della misura fissa) se e quando l�atto � dichiarato 
nullo, per causa non imputabile alle parti, con sentenza passata in giudicato. 

Perci� se un contratto � nullo per violazione della forma scritta prescritta 
dalla legge ad substantiam (8), esso non sfugge a registrazione perch� fatto in 
forma orale, ma tutt�al contrario � soggetto a registrazione in quanto nullo. E 
il tributo � dovuto fino alla eventuale restituzione, che potr� per� esigersi soltanto 
dopo il passaggio in giudicato di sentenza di nullit� dell�A.G.O (9). 

Del resto l�art. 38 TUR trova la sua ratio per un verso proprio nella prospettiva 
antielusiva e, per altro verso, nell�assunto per cui comunque anche il contratto 
nullo, ai fini tributari, non � del tutto improduttivo di effetti giuridici (10). 

Quindi, anche per l�imposta sostitutiva sui finanziamenti, vale la stessa 
regola secondo quanto si � detto. 

Il che importa che, se il contratto di finanziamento risulta concluso in Italia 
in forma orale, e poi esso � fatto oggetto di rinnovazione estera con atto 
pubblico o scrittura autenticata, in Italia esso � da assoggettarsi al tributo sostitutivo; 
mentre all�estero la rinnovazione non � soggetta al tributo stesso per 
carenza del presupposto territoriale. 

Da questo punto di vista, a differenza della situazione di cui al par. prec., 
non occorre sottoscrizione di sorta. 

(8) Sulla nullit� come conseguenza del vizio di forma nei contratti bancari, vedansi le sentenze 
citate supra alla nota 6. 
(9) La sentenza del Giudice Tributario a nulla rileva, sotto questo profilo, poich� in essa la nullit� 
� questione meramente incidentale e su di essa non si forma il giudicato. 
(10) V. UCKMAR � R. DOMINICI, Registro (imposta di), in Nov. Dig. It., Utet, Torino, 1986; G. FALSITTA, 
Manuale di diritto tributario. Parte speciale, VII ed., Cedam, Padova, 2010, p. 818; F. BATISTONI 
FERRARA, Atti simulati e invalidi nell�imposta di registro, Jovene, Napoli, 1969, p. 77 ss.; P. RUSSO, Manuale 
di diritto tributario. Parte speciale, Giuffr�, Milano, 2002, p. 261; G. ARNAO, Manuale dell�imposta 
di registro, V ed., Ipsoa, Milano, 2005, p. 207 ss.. 



Occorre per� all�uopo dimostrare che, sui testi finali del contratto di finanziamento, 
si sia effettivamente formato, in Italia, un accordo contrattuale 
orale. Cio� un consenso definitivo in tale forma. Una prova pressoch� diabolica, 
certo, ma che nell�analisi della risoluzione e delle sue implicazioni non 
puo essere sottaciuta. 

Da questo punto di vista, al vaglio delle norme, la risoluzione in commento 
assume rilevanza pi� per ci� che non dice, che per ci� che apertamente esprime. 

6. Sull�abuso (conclusione). 

A questo punto si deve condividere in modo pieno l�assunto dell�Agenzia, 
secondo cui sarebbe inesatto, nel caso di specie, ravvisare una ipotesi di abuso 
del diritto. 

Ed invero, per la situazione considerata al par. 3, di abuso non ha senso 
parlare poich� per ipotesi vi � un contratto sottoscritto in Italia, se pure in 
modo non contestuale ma mediante separata proposta e accettazione. E siccome, 
ancora per ipotesi, quel contratto contiene almeno gli elementi essenziali 
della ricognizione poi fatta all�estero in forma di scrittura autenticata o atto 
pubblico, l�applicazione dell�imposta sostitutiva � diretta, senza bisogno alcuno 
di ricorrere all�abuso. 

D�altro canto, per la situazione considerata al par 4 abbiamo visto esistere 
una norma impositiva apposita, che rende del tutto ultronea, di per se stessa, 
ogni invocazione della categoria dell�abuso. 

RISOLUZIONE N. 20/E 

AGENZIA DELLE ENTRATE Roma, 28 marzo 2013 

Direzione Centrale normativa 

OGGETTO: Contratti di finanziamento bancario a medio e lungo termine stipulati all�estero 
- Profili elusivi e ipotesi di applicabilit� del regime impositivo di cui agli artt. 
15 e seguenti del D.P.R. 601/1973. 

Nel caso di contratti di finanziamento a medio-lungo termine, formati in Italia ma stipulati 
all�estero con atto pubblico o scrittura privata autenticata tra una banca italiana e un 
cliente residente in Italia, la �trasferta� per la stipula non integra gli estremi dell�abuso 
sotto il profilo della imposta sostitutiva, di cui agli artt. 15 ss. del d.p.r. n. 601/1973. Se 
per� dai controlli in Italia emergono �term sheets� o altra documentazione, da cui risulti 
gi� costituitosi il consenso nel territorio della Repubblica sugli elementi essenziali del 
contratto di finanziamento riproposti con l�atto pubblico o la scrittura privata autenticata 
all�estero, allora il contratto � soggetto alla predetta imposta sostitutiva. 

PREMESSA 

� pervenuto un quesito, con il quale si chiede di conoscere il corretto trattamento da riservare, 
ai fini dell�applicazione dell�imposta sostitutiva sui finanziamenti, ai contratti 


relativi ad operazioni di finanziamento a medio e lungo termine stipulati all�estero e destinati 
a produrre effetti giuridici principalmente in Italia. 
In particolare, � stata rappresentata la fattispecie della stipula all�estero di operazioni di 
finanziamento nelle quali: 


-le parti contraenti sono entrambe residenti in Italia; 

-i finanziamenti sono concessi per finalit� operative sul territorio nazionale; 
-i contratti sono formati per atto pubblico firmato all�estero e sottoposti alla giurisdizione 
italiana. 
� stato richiesto se il comportamento posto in essere dalle parti pu� essere censurato 
alla luce del principio del divieto di abuso del diritto, in quanto la circostanza che la 
mera sottoscrizione dei contratti avvenga al di fuori dei confini dello Stato pu� apparire 
finalizzata ad ottenere un indebito vantaggio fiscale, anche in considerazione del fatto 
che detti contratti di finanziamento, sebbene formalmente sottoscritti all�estero, sono di 
fatto formati nel territorio dello Stato. 
� stato rilevato, infatti, che le principali fasi del processo di erogazione del finanziamento 
sono normalmente effettuate da articolazioni interne di istituti di credito, aventi 
sede in Italia, e terminano con l�assunzione da parte del consiglio di amministrazione 
degli istituti stessi della delibera, per effetto della quale i fidi sono immediatamente erogabili. 
Generalmente, quindi, tutti gli atti necessari per l�erogazione del finanziamento 
sono predisposti in Italia e vengono trasmessi all�estero solo successivamente, esclusivamente 
per la stampa e la sottoscrizione dell�atto. 
Sulla base di tali elementi, si potrebbe ritenere che la conclusione del contratto, inteso 
come luogo in cui viene raggiunto il consenso negoziale, avviene sul territorio nazionale, 
mentre all�estero viene meramente sottoscritto il contratto di fatto gi� concluso in Italia. 


ABUSO DEL DIRITTO 

Per quanto concerne il richiamo al principio dell�abuso del diritto, si rappresenta che lo 
stesso, secondo costante giurisprudenza, si sostanzia nel divieto di �trarre indebiti vantaggi 
fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, 
di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni 
economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa 
di quel risparmio fiscale� (Cassazione, sezioni unite, nn. 30055, 30056 e 30057 
del 2008). 
L�abuso del diritto sembra, pertanto, essere stato individuato dalla giurisprudenza nel-
l�utilizzo distorto di strumenti giuridici senza alcuna valida ragione economica diversa 
dal risparmio d�imposta cui la stessa operazione posta in essere � finalizzata. 
In linea generale, dunque, il luogo di sottoscrizione del contratto, di per s� considerato 
ed in assenza di ulteriori elementi, non sembra rientrare nella definizione di abuso del 
diritto finora elaborata dalla giurisprudenza, per la configurazione della quale appare 
necessario un quid pluris idoneo a realizzare �l�utilizzo distorto di strumenti giuridici� 
finalizzato all�ottenimento di un risparmio fiscale. 

FORMAZIONE DELL�ATTO 

Diversa questione, riguarda, invece, l�individuazione del momento di �formazione� del-
l�atto, al fine di stabilire se tale momento si realizzi in Italia o all� estero. 
In linea generale, per l�individuazione degli atti soggetti all�imposta sostitutiva si appli



cano i criteri dettati per l�imposta di registro che, in particolare, all�articolo 2 del DPR 26 
aprile 1986, n. 131 (di seguito TUR) dispone che "Sono soggetti a registrazione, (... ): 
a) gli atti indicati nella tariffa, se formati per iscritto nel territorio dello Stato; 
(...);. 
Ai sensi dell�articolo 1326 del codice civile (Conclusione del contratto) �Il contratto � 
concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione 
dell'altra parte�. 
Pertanto, in linea di principio, il contratto si considera concluso al momento della contestuale 
sottoscrizione ad opera delle parti oppure quando chi ha fatto la proposta ha conoscenza 
dell�accettazione dell�altra parte. 
� possibile ritenere, quindi, che la �formazione� dell�atto si verifichi alla conclusione 
del contratto realizzata secondo le modalit� appena evidenziate (sottoscrizione contestuale 
oppure momento di conoscenza dell�accettazione da parte del proponente qualora 
proposta ed accettazione non siano contestuali). 
Con specifico riferimento al tema in esame, va considerato che la forma pubblica non � 
prevista ad substantiam per la conclusione del contratto di finanziamento. 
Infatti, come si rileva dall�articolo 117 del Decreto Legislativo 1� settembre 1993, n. 
385 (�Testo Unico Bancario�), secondo cui �I contratti sono redatti per iscritto e un 
esemplare � consegnato ai clienti�, per tali contratti � richiesta la forma scritta ma non 
� necessario l�atto pubblico o la scrittura privata autenticata. Pertanto, essi possono essere 
conclusi in forma di scrittura privata semplice. 
Conseguentemente, qualora con riferimento a fattispecie del tipo rappresentato, il consenso 
negoziale in ordine agli elementi essenziali del contratto di finanziamento risulti 
gi� da scrittura privata semplice, prima che da atto pubblico o da scrittura privata autenticata 
sottoscritta all�estero, si pu� ritenere che l�atto � formato per iscritto nel territorio 
dello Stato e, quindi, ricade nell�ambito applicativo dell�imposta sostitutiva. 
In tal caso, infatti, l�atto pubblico o la scrittura privata autenticata sottoscritta all�estero 
concretizza una mera riproposizione dell�accordo gi� raggiunto con la scrittura privata 
semplice e non assume rilevanza ai fini del presupposto di territorialit� di cui al citato 
articolo 2 del TUR. 
Tale fattispecie potrebbe ricorrere, ad esempio, laddove venga reperito in sede di controllo 
un �term sheet� o altra documentazione da cui risulti gi� avvenuta la formazione 
del consenso in ordine agli elementi essenziali del contratto di finanziamento riproposti 
con l�atto pubblico o la scrittura privata autenticata sottoscritta all�estero. 

ADEMPIMENTI E SANZIONI 

Si ritiene utile rammentare che gli enti che effettuano le operazioni rilevanti ai fini del-
l�imposta sostitutiva devono dichiarare, ai sensi dell�articolo 20 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 601, le somme sulle quali si commisura l�imposta dovuta. 
In particolare, devono essere presentate due dichiarazioni, di cui la prima relativa alle 
operazioni effettuate nel primo semestre dell�esercizio e la seconda relativa alle operazioni 
effettuate nel secondo periodo dell�esercizio stesso. Le dichiarazioni devono essere 
presentate entro tre mesi, rispettivamente, dalla scadenza del primo semestre e dalla 
chiusura dell�esercizio (articolo 8, comma 4, decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito 
dalla legge 26 giugno 1990, n. 165). 
Inoltre, l�articolo 20, quinto comma, del d.P.R. n. 601 del 1973 rinvia alle norme in ma



teria di imposta di registro per quanto concerne: 

-la rettifica dell�imponibile e l�accertamento; 

-le sanzioni per l�omissione o l�infedelt� della dichiarazione; 

-la riscossione del tributo; 

-il contenzioso; 

-e per quanto altro riguarda l�applicazione dell�imposta sostitutiva. 
Sullo specifico tema delle sanzioni, l�articolo 3 del decreto del Ministero delle Finanze 
del 28 febbraio 1975, n. 2456, richiama le norme dell�imposta di registro dettate dal 
DPR 26 ottobre 1972, n. 634 (attualmente sostituito dal TUR). 
In particolare, in caso di omessa o tardiva presentazione della dichiarazione si applicano 
le sanzioni di cui all�articolo 69 del TUR (articolo 67 del DPR n. 634 del 1972), previste 
nella misura dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell�imposta dovuta. 
In tale circostanza, l�imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro il termine 
di cinque anni dalla data entro la quale la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, 
ai sensi dell�articolo 76, comma 1, del TUR. 
Qualora la dichiarazione sia stata presentata ma risulti infedele, si applicano le sanzioni 
stabilite per l�occultazione di corrispettivo dall�articolo 72 del TUR (articolo 70 del 
DPR n. 634 del 1972), stabilite nella misura dal duecento al quattrocento per cento della 
differenza tra l�imposta dovuta e quella gi� applicata. 
In tale circostanza, l�imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro il termine 
di tre anni decorrenti dalla data di presentazione della dichiarazione, ai sensi dell�articolo 
76, comma 2, lettera b), del TUR. 

IL DIRETTORE CENTRALE 


Sulla azione per l�efficienza amministrativa introdotta con il 

D. Lgs. 198/2009 con riferimento ai primi orientamenti 
giurisprudenziali 

Francesco Mataluni* 

SOMMARIO: 1. La disciplina generale del d.lgs. 198/2009 - 2. L�ammissibilit� dell�azione 
per l�efficienza: TAR Lazio, Roma, sez. III, sentenza 20 gennaio 2011, n. 552 - 3. L�onere 
della prova per il ricorrente: TAR Lazio, Roma, sez. I, sentenza 3 settembre 2012, n. 7483 


4. Le condizioni dell�azione per l�efficienza: TAR Basilicata, Potenza, sez. I, sentenza 23 settembre 
2011, n. 478. 

1. La disciplina generale del d.lgs. 198/2009. 

Il d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 (1) contiene la disciplina del ricorso 
per l�efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. 
� stato adottato in attuazione dell�art. 4, della l. 4 marzo 2009, n. 15, la quale 
� una legge di delega al governo finalizzata, fra le altre cose, �alla ottimizzazione 
della produttivit� del lavoro pubblico e alla efficienza delle pubbliche 
amministrazioni� e che si inserisce all�interno delle riforme dell�allora Ministro 
per la Pubblica Amministrazione e l�Innovazione. 

Come afferma l�art. 1, comma 1, del d.lgs. 198/2009, lo scopo principale 
dell�azione in esso disciplinata � �ripristinare il corretto svolgimento della funzione 
o la corretta erogazione di un servizio�. Tale fine dimostra il perfetto inserimento 
del ricorso in esame nelle riforme che stanno attraversando la P.A. e 
che l�hanno portata a trasformarsi in un�amministrazione di risultato (2). Infatti, 
almeno nelle intenzioni del Legislatore, il ricorso per l�efficienza della P.A. � 
uno strumento molto innovativo, che dovrebbe ben inserirsi nella moderna concezione 
di Amministrazione e di attivit� amministrativa. Negli ultimi anni, si � 
affermata l�idea che l�Amministrazione non � pi� un�autorit� che, in modo im


(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 

(1) Sull�argomento si vedano: C. DEODATO e M.G. COSENTINO, �L�azione collettiva contro la P.A. 
per l�efficienza dell�Amministrazione�, Nel Diritto Editore, 2010; A. FABRI, �Le Azioni Collettive nei 
confronti della Pubblica Amministrazione nella sistematica delle Azioni Non Individuali�, Edizioni 
Scientifiche Italiane, 2011; G. FIDONE, �L�azione per l�efficienza nel processo amministrativo: dal giudizio 
sull�atto a quello sull�attivit��, Giappichelli, 2012; D. SICLARI, �Decreto Legislativo 20 dicembre 
2009, n. 198�, in E. PICOZZA (a cura di), �Codice del Processo Amministrativo, Decreto Legislativo 2 
luglio 2010, n. 104, Commento articolo per articolo�, Giappichelli, 2010; G. SORICELLI, �Contributo 
allo studio della Class Action nel sistema amministrativo italiano�, Giuffr�, 2012. 
(2) A tal proposito, basti dire che, in coerenza con il principio del buon andamento sancito dall�art. 
97 della nostra Costituzione, l�amministrazione di risultato � caratterizzata dal fatto che il mero rispetto 
delle regole a volte non basta a garantire il raggiungimento degli scopi che il Legislatore pone all�azione 
amministrativa e che l�esercizio di un potere, formalmente corretto, potrebbe, nei fatti, risultare lesivo 
di interessi giuridicamente meritevoli di tutela. 



perativo, esercita i suoi poteri contro impotenti cittadini al solo fine di soddisfare 
l�interesse pubblico, bens� � divenuta il soggetto che gestisce e si fa portatore 
anche degli interessi degli individui, quelli meritevoli di tutela si intende, la cui 
azione, per di pi�, � finalizzata al soddisfacimento di tali bisogni e tali esigenze, 
almeno per quanto compatibile con l�interesse pubblico primario. 

Una simile P.A., che preferisce l�accordo, quello previsto dalla Legge sul 
Procedimento Amministrativo, al tradizionale provvedimento autoritativo, non 
pu� non essere sottoposta a quella forma di controllo che solo la tutela giurisdizionale 
pu� assicurare, cos� che i cittadini, lesi nei loro interessi, abbiano 
un effettivo strumento posto alla loro protezione. 

L�obiettivo del d.lgs. 198/2009 � introdurre un controllo esterno di tipo 
giudiziale che assicuri, in taluni casi, il buon andamento della pubblica amministrazione. 
Partendo dalla possibilit� del ricorso da parte dei cittadini, il 
Legislatore vuole migliorare in termini di efficienza e buon andamento la Pubblica 
Amministrazione. La grande novit� del ricorso per l�efficienza � che con 
questo non si impugna un provvedimento della P.A. n� si vuole contestare il 
silenzio della stessa. In prima analisi, si pu� dire che l�oggetto dell�azione � 
costituito dalla pretesa del cittadino al corretto svolgimento della funzione amministrativa 
o alla corretta erogazione di un servizio (appunto l�efficienza di 
cui sopra). L�azione per l�efficienza deve essere volta ad assicurare la tutela 
del cittadino, inteso come utente della P.A., e al tempo stesso la trasparenza di 
quest�ultima, elemento essenziale per il suo buon andamento. 

Per proporre l�azione in questione � necessario che vi siano dei malfunzionamenti 
dell�azione amministrativa, dai quali deve derivare quella �lesione 
diretta, concreta ed attuale� degli interessi che legittima la realizzazione del 
ricorso. I vizi dell�attivit� amministrativa sanzionabili con il ricorso sono indicati 
dallo stesso art. 1, comma 1: violazione dei termini; mancata emanazione 
di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto 
normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato 
dalla legge o da un regolamento; violazione degli obblighi contenuti nelle carte 
di sevizi; violazione di standard qualitativi ed economici. Sono tutte ipotesi 
di lesione dell�efficienza della P.A. e del principio del buon andamento di cui 
all�art. 97 della Costituzione. 

Rinviando a un secondo momento l�analisi dei presupposti soggettivi del 
ricorso, � importante individuare chi sono i soggetti contro i quali questo pu� 
essere esercitato. L�art. 1, comma 5 indica quali legittimati passivi �gli enti i 
cui organi sono competenti a esercitare le funzioni o a gestire i servizi�, cui 
si riferiscono quei malfunzionamenti appena descritti; si fa riferimento alle 

P.A. e ai concessionari di servizi pubblici. 

Per Pubblica Amministrazione, semplificando il grande dibattito sull�argomento, 
dobbiamo intendere tutti quei soggetti pubblici che svolgono un�attivit� 
che si ponga al servizio dei cittadini e allo scopo di soddisfare le loro 


esigenze (3). Per �concessionari di servizi pubblici�, invece, sembra farsi riferimento 
a quei soggetti di diritto privato che esercitano un�attivit� diretta al 
soddisfacimento di interessi pubblici e che, per questo, dovrebbe essere prerogativa 
dei poteri pubblici, ma che viene esercitata, di regola sotto il controllo 
di questi ultimi, da privati titolari di un apposito provvedimento autorizzatorio. 
In ogni caso, dal decreto sono esclusi una serie di soggetti contro i quali non 
� possibile proporre il ricorso: le autorit� amministrative indipendenti; gli organi 
giurisdizionali; le assemblee legislative; gli organi costituzionali e la Presidenza 
del Consiglio dei Ministri. 

Secondo quanto stabilito dall�art. 1, comma 7, il ricorso per l�efficienza � 
attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e rientra, cio�, 
in quelle materie in cui questi si occupa delle controversie nelle quali si faccia 
questione sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi (4). A differenza di 
quanto era disposto nella legge delega, il decreto non prevede pi� la giurisdizione 
estesa al merito, il che esprime la volont� del Legislatore di ricostruire 
il ricorso non come un sindacato per valutare la P.A. in maniera generalizzata, 
ma come uno strumento volto a sindacare la legittimit� delle sue scelte organizzative 
e gestionali con riferimento a standard e parametri valutativi prede-
terminati e precisi. Infine, nel silenzio del d.lgs. 198/2009, l�individuazione 
del giudice amministrativo competente � realizzata secondo le regole generali 
contenute nell�art. 13 del Codice del Processo Amministrativo. 

L�art. 3 detta una disciplina sintetica ma al tempo stesso specifica e particolare 
del procedimento giurisdizionale da seguire nel caso del ricorso per 
l�efficienza. L�elemento centrale di tale disciplina �, senza dubbio, la diffida 
che il ricorrente deve preventivamente notificare alla pubblica amministrazione 
o al concessionario di pubblico servizio affinch� questi realizzino �gli 
interventi utili alla soddisfazione degli interessati� (5). In via alternativa alla 
diffida, il ricorrente pu� tentare la risoluzione non giurisdizionale della sua 
controversia attraverso lo strumento di conciliazione offerto dall�art. 30, della 

l. 18 giugno 2009, n. 69, con la possibilit�, in caso di fallimento, di proporre 
il ricorso per l�efficienza al TAR. 

Con la sentenza che accoglie il ricorso, il giudice ordina, �nei limiti delle 
risorse strumentali, finanziarie ed umane gi� assegnate in via ordinaria e 

(3) In tal modo, nel concetto di P.A. vi rientrano sia i pubblici poteri che gli enti pubblici. 
(4) La disposizione � conforme all�art. 103 della Costituzione cos� come interpretato dalla Corte 
Costituzionale nella sentenza 204/2004 perch� il ricorso non � volto a contestare un mero comportamento 
materiale della P.A. o dei concessionari, bens� un vero e proprio comportamento amministrativo di esercizio 
di un potere. 
(5) Art. 3, comma 1, D.Lgs. 198/2009. Le finalit� della diffida sono di dare la possibilit� alla pubblica 
amministrazione o al concessionario diffidato di porre autonomamente rimedio al malfunzionamento 
contestato e di tentare di ridurre il carico di lavoro dei nostri giudici, con lo scopo di velocizzare 
e, quindi, migliorare dal punto di vista dell�efficienza, l�attivit� giudiziaria nel nostro ordinamento. 



senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica� (6), alla amministrazione 
o al concessionario soccombente di rimuovere e correggere la disfunzione 
accertata in giudizio, rimettendo le modalit� di esecuzione del comando 
solo alla discrezionalit� del soggetto che deve adempiervi. 

Nei casi in cui dovesse riscontrarsi una �perdurante inottemperanza di 
una pubblica amministrazione� (7), si potr� procedere con il relativo giudizio 
di ottemperanza secondo le regole generali del processo amministrativo. Per 
evitare di dare la possibilit� al giudice amministrativo, che nel caso dell�ottemperanza 
ha ampli poteri discrezionali, di interferire con l�attivit� di societ� 
private, spesso quotate in borsa, quali sono i concessionari, per questi � esclusa 
l�ottemperanza, cosa che pone non pochi problemi di coerenza con il quadro 
costituzionale delle tutele giurisdizionali per la disciplina dell�esecuzione della 
sentenza che accoglie il ricorso per l�efficienza (8). 

Dopo aver inquadrato l�azione per l�efficienza, si pu� passare all�analisi 
di alcune prime pronunce giurisprudenziali sulla sua disciplina. Si � cercato 
di individuare quelle pi� rilevanti che aiutano a comprendere meglio la portata 
del d.lgs. 198/2009. 

2. L�ammissibilit� dell�azione per l�efficienza: TAR Lazio, Roma, sez. III, sentenza 
20 gennaio 2011, n. 552. 

�La formula utilizzata dal legislatore con l'art. 7 d.lg. 198/09 descrive una 
norma incompleta che, avendo individuato in via generale e astratta posizioni 
giuridiche di nuovo conio, oltre che strumenti azionabili per la relativa 
tutela, ma non i parametri specifici della condotta lesiva, necessita di una 
ulteriore previsione normativa, agganciata alla peculiarit� e concretezza 
dell'assetto organizzativo dell'agente e ai limiti della condotta diligente dal 
medesimo esigibili, ferme restando le risorse assegnate. Ne consegue che, 
allo stato, nonostante la vigenza della norma primaria, le posizioni giuridiche 
in via generale individuate e protette dalla stessa non sono ancora in 
concreto prospettabili davanti ad un giudice difettando la compiuta definizione 
della fattispecie lesiva o l'esatta individuazione del comportamento 
esigibile, oltre che la fissazione del �dies a quo� della concreta applicazione. 
Le medesime considerazioni non possano, per contro, riprodursi per 
quelle norme del d.lgs. 198/09 che individuano fattispecie completamente 
definite in ogni loro aspetto, ivi compresa l'esatta perimetrazione del comportamento 
lesivo; quest�ultima ipotesi ricorre, in particolare, nel caso relativo 
all'obbligo di �emanazione di atti amministrativi generali obbligatori 

(6) Art. 4, comma 1, D.Lgs. 198/2009. 
(7) Art. 5, comma 1, D.Lgs. 198/2009. 
(8) Si ritiene che il cittadino interessato al rispetto della sentenza debba rivolgersi all�Amministrazione 
che vigila sul concessionario per fargli adempiere all�ordine del giudice. 



e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e 
non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento�. 

La sentenza del TAR Lazio n. 552/2011 � stata la pronuncia che ha deciso 
il primo ricorso per l�efficienza della pubblica amministrazione proposto ai 
sensi del d.lgs. 198/2009. 

Con il giudizio in questione, il Coordinamento delle associazioni per la difesa 
dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori (CODACONS) ha 
agito contro il Ministero dell�Istruzione per richiedere l�adozione degli atti amministrativi 
in materia di formazione delle classi scolastiche e dimensionamento 
della rete scolastica. In altri termini, ha agito contro le c.d. classi pollaio, dovute 
alla presenza di un numero eccessivamente elevato di studenti in un�unica aula. 

Pi� che sulla decisione di merito, con la quale il TAR Lazio ha accolto il 
ricorso, preme concentrarsi sulle considerazioni riguardanti gli aspetti rituali 
del ricorso svolte dai giudici romani. Questi ultimi, infatti, sono stati i primi 
giudici ad aver considerato ammissibile il ricorso per l�efficienza, superando 
i dubbi e le perplessit� sollevati dalla dottrina sul punto. 

Le perplessit� sull�ammissibilit� o meno del ricorso per l�efficienza erano 
legate al testo del decreto del 2009. Infatti, l�art. 7, del d.lgs. 198/2009 rinvia 
a successivi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (da adottare su 
proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto 
con il Ministro dell'economia e delle finanze e di concerto, per quanto 
di competenza, con gli altri Ministri interessati) la determinazione della �concreta 
applicazione� della disciplina in esame. 

La dottrina, fin dall�introduzione del d.lgs. 198/2009, aveva, dunque, sollevato 
dubbi sulla reale applicazione dello stesso e, di conseguenza, sull�ammissibilit� 
di un eventuale ricorso per l�efficienza. In particolare, dal dato 
testuale, emergeva la necessit� di una previsione regolamentare, successiva, 
necessaria per attuare e far applicare il decreto. Tale considerazione era, poi, 
accompagnata dal timore che, mancando l�indicazione di un termine per 
l�emanazione di tale normativa di attuazione, il d.lgs. 198/2009 rischiasse di 
restare lettera morta. 

I dubbi in dottrina erano rimasti nonostante, appena due mesi dopo l�emanazione 
del decreto, il Dipartimento della funzione pubblica costituito presso 
la Presidenza del Consiglio dei Ministri avesse adottato una direttiva volta a 
superare i dubbi circa l�art. 7 in questione. Con tale circolare, intitolata �Direttive 
sull�attuazione dell�art. 7 del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 
198 in materia di ricorso per l�efficienza delle Amministrazioni e dei concessionari 
di servizi pubblici� (9), l�allora Ministro per la pubblica amministra


(9) Si tratta della circolare del 25 febbraio 2010, n. 4/2010, emanata dalla Presidenza del Consiglio 
dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica. 


zione e l�innovazione sanciva che �alcune delle azioni introdotte dal decreto 
legislativo n. 198/2009 sono gi� esperibili attualmente�. In particolare, nella 
direttiva, il Ministro fa riferimento all�ipotesi di violazione dei termini e a 
quella della mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e 
non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non 
oltre un termine fissato dalla legge o da un regolamento. Il secondo caso � oggetto 
della sentenza in commento. 

Il TAR Lazio, chiamato per primo a pronunciarsi su un ricorso per l�efficienza, 
riconosce l�ammissibilit� del ricorso per l�efficienza in forza dell�applicabilit� 
del decreto del 2009, dando seguito alla circolare del Ministro. In questo 
modo, i giudici laziali sgombrano il campo dai residui dubbi in merito all�azione 
per l�efficienza e fanno venire meno i timori sollevati dalla dottrina in materia. 

Le argomentazioni del TAR si fondano sull�attenta analisi del testo del-
l�art. 7. Se � vero che tale disposizione ha dato adito a non pochi dubbi sul-
l�applicabilit� del d.lgs. 198/2009, � altrettanto vero, come rilevano i giudici 
amministrativi, che l�art. 7 � una norma transitoria e che ha a oggetto l�applicazione 
della disciplina del ricorso per l�efficienza e non il suo vigore o la sua 
efficacia. In altri termini, il d.lgs. 198/2009 � gi� pienamente in vigore fin dalla 
sua promulgazione, come le altre norme di legge. Il decreto, pertanto, produce 
i suoi effetti, anche se la sua concreta attuazione � stata rimessa dallo stesso 
Legislatore all�adozione di successive fonti regolamentari. 

Resta da chiarire, dunque, cosa si intenda per concreta attuazione. 

I giudici del TAR laziale ritengono che con l�espressione �concreta attuazione�, 
il Legislatore abbia voluto indicare quel processo nel corso del 
quale vengono indicati gli elementi (parametri, organizzazione, sostenibilit� 
degli impegni, ecc.) necessari affinch� una norma astrattamente applicabile 
diventi concreta ed effettiva. 

Il decreto del 2009 ha delineato in astratto i contorni del ricorso per l�efficienza, 
ma necessita di un intervento normativo di secondo grado che lo agganci 
alla realt�. Manca un provvedimento di attuazione che individui i parametri della 
condotta che, posta in essere, possa dare avvio al ricorso in questione. 

Dopo questa premessa generale, in cui ha dimostrato la vigenza del d.lgs. 
198/2009, il TAR del Lazio approfondisce il tema dell�applicabilit� della disciplina 
in esso contenuta, precisando che l�art. 7 deve intendersi come non 
riferito all�intero testo normativo. Premesso quanto sopra, � chiaro che le 
norme del d.lgs. 198/2009 che individuano fattispecie astratte completamente 
definite in ogni loro aspetto sono gi� concretamente applicabili. I decreti ministeriali 
di attuazione non sono necessari per quelle condotte represse dal 
d.lgs. 198/2009 e la cui disciplina individua in maniera esaustiva perch�, in 
tali ipotesi, la fattispecie astratta che fonda il ricorso per l�efficienza � adeguatamente 
individuata dalla fonte legislativa. 

I giudici romani si riferiscono espressamente all�ipotesi di �emanazione di 


atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da 
emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge 

o da un regolamento�, individuata all�art. 1. In tal caso, il legislatore ha delineato 
compiutamente tutti gli aspetti della fattispecie astratta: � definita la posizione 
giuridica del ricorrente; � individuato l�atto alla cui emanazione (rectius mancata 
emanazione) � correlata la posizione tutelata; � regolamentata la procedura per 
la proposizione del ricorso e il processo dinanzi al giudice amministrativo. 

In definitiva, l'art. 7 non esclude l'immediata operativit� delle disposizioni 
che individuano fattispecie gi� completamente definite dal Legislatore in ogni 
loro aspetto e, in particolare, che individuano esattamente il comportamento 
lesivo da sanzionare. In questa tipologia di disposizioni rientrano quelle che 
prevedono l'obbligo di emanazione di atti amministrativi generali obbligatori 
e non aventi contenuto normativo, da emanarsi obbligatoriamente entro e non 
oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento. In tali casi, pertanto, 
� ammissibile la proposizione del ricorso per l'efficienza per richiedere e ottenere 
il rispetto dell�obbligo di emanazione di atti amministrativi generali. 

� importante sottolineare che la sentenza in commento � stata confermata 
dal Consiglio di Stato in sede di appello. Il Supremo Consesso amministrativo, 
infatti, ha ritenuto di disattendere �i motivi dell'appello principale con cui si 
deduce l'erronea applicazione della disciplina dettata d. lgs. 20 dicembre 2009 

n. 198, e in particolare dell'art. 1, co. 1� poich� ha ritenuto sussistenti �nel 
caso di specie tutti i presupposti cui la disposizione richiamata subordina 
l'esperibilit� del rimedio previsto� (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 9 giugno 
2011, n. 3512). 

Nonostante le pronunce appena esaminate, nel caso concreto permango 
alcuni dubbi riguardanti l�applicabilit� del d.lgs. 198/2009 con riferimento ai 
presupposti fattuali della norma. Per quanto sia fuori discussione che, in 
astratto, il ricorso per l�efficienza sia gi� esperibile, almeno nei casi indicati 
dal TAR e dal Consiglio di Stato, rimane in ogni caso qualche perplessit� sul 
quando effettivamente tali ipotesi si realizzino nella fattispecie concreta. 

Basti pensare, per esempio, al caso oggetto delle sentenze appena esaminate. 
Date le pronunce dei giudici amministrativi, non vi sono dubbi che il ricorso 
per l�efficienza sia stato adeguatamente ed esaustivamente disciplinato 
dal d.lgs. 198/2009 con riferimento al caso della �mancata emanazione di atti 
amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi 
obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o 
da un regolamento� (art. 1, comma 1). Ci� nondimeno, possono sussistere 
delle perplessit� sulla corretta individuazione dell�atto generale obbligatorio 
e non normativo, la cui mancata adozione legittima la proposizione del ricorso 
per l�efficienza. 

Nel giudizio conclusosi con la sentenza del Consiglio di Stato citata, si � 
discusso, fra le altre cose, proprio dell�effettiva natura generale del provvedi



mento oggetto della causa, senza giungere a una soluzione che fosse veramente 
soddisfacente. Si pensi, infatti, che il Supremo Consesso si � limitato ad affermare 
che la natura generale del piano oggetto del ricorso per l�efficienza 
fosse deducibile dalla legge. Nulla ha detto, tuttavia, su quali siano o debbano 
essere i requisiti che un provvedimento amministrativo deve avere per essere 
qualificato come atto avente natura generale ai sensi del d.lgs. 198/2009. 

La questione risulta ancora pi� complicata in ipotesi, come quella del 
caso di specie, in cui la legge � poco chiara sulla definizione della natura del 
provvedimento in essa disciplinato. Nella fattispecie, la norma di riferimento 
era il d.P.R. 20 marzo 2009, n. 81. In particolare, l�art. 3 di tale decreto, dopo 
aver disposto che il Dirigente scolastico determina il numero delle classi del-
l�istituto in base al numero complessivo degli alunni iscritti e, di conseguenza, 
assegna gli stessi alle singole classi, al comma 2 prescrive che �per il solo 
anno scolastico 2009-2010 restano confermati i limiti massimi di alunni per 
classe previsti dal decreto del Ministro della pubblica istruzione in data 24 
luglio 1998, n. 331, e successive modificazioni, per le istituzioni scolastiche 
individuate in un apposito piano generale di riqualificazione dell'edilizia scolastica 
adottato dal Ministro dell'istruzione, dell'universit� e della ricerca, 
d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze�. 

Si potrebbe a lungo discutere sulla natura generale o meno di questo �apposito 
piano generale� contemplato dalla disposizione citata, la cui mancata 
emanazione � stata oggetto della controversia in esame. 

Il legislatore, infatti, utilizza il termine �apposito� che sembra non lasciare 
dubbi in merito alla natura particolare del provvedimento amministrativo. 
In tal senso, il ricorso per l�efficienza non sarebbe utilizzabile nella 
fattispecie poich� riservato ai casi di mancata emanazione di provvedimenti 
amministrativi generali. 

Il legislatore, tuttavia, utilizza anche il termine �generale�, riferendosi 
allo stesso piano, aprendo la strada alla proposizione del ricorso per l�efficienza. 
A bene vedere, tuttavia, leggendo attentamente le disposizioni di legge 
rilevanti, il carattere generale del piano in questione ben pu� essere riqualificato 
in termini, per cos� dire, particolari. Il comma 2, infatti, individua e disciplina 
una deroga alla regola generale in esso contenuta nel momento in cui 
afferma che il Ministro dell�istruzione deve adottare un piano di riqualificazione 
dell�edilizia scolastica che riguardi gli istituti appositamente individuati 
nel piano stesso. In altri termini, stando alla lettera del comma 2, il Ministro 
� chiamato ad adottare un piano che valga solo per gli istituti ai quali non si 
applica la regola derogatoria per l�anno scolastico 2009/2010. 

In tal senso, il piano potrebbe essere considerato generale solo in quanto il 
legislatore avrebbe richiesto un unico provvedimento per tutti gli interventi di 
riqualificazione dell�edilizia scolastica degli istituti oggetto della deroga. Ci� 
non toglie, tuttavia, che un provvedimento amministrativo cos� individuato, vale 


a dire con riferimento solo ad alcuni istituti soggetti a una particolare deroga, 
debba essere considerato come avente natura particolare e non certo generale. 

Al di l� della soluzione del caso specifico, quanto detto � interessante ai 
fini della disciplina dell�azione per l�efficienza. Come detto, infatti, la natura 
generale o particolare di un provvedimento amministrativo � determinante ai 
fini dell�ammissibilit� o meno del ricorso ex d.lgs. 198/2009. Nel silenzio del 
decreto sul punto, sarebbe auspicabile un intervento giurisprudenziale chiarificatore 
che permettesse di superare definitivamente i dubbi in tal senso. Le 
sentenze esaminate, per quanto siano state di fondamentale importanza ai fini 
dell�affermazione dell�ammissibilit� in astratto del ricorso per l�efficienza, non 
hanno saputo affrontare n� risolvere adeguatamente il problema dell�individuazione 
della natura del provvedimento amministrativo oggetto della causa. 

La soluzione proposta, pi� o meno condivisibile che sia, permette di affrontare 
solo il caso di specie, mantenendo ferme le problematicit� generali 
sull�argomento. 

3. L�onere della prova per il ricorrente: TAR Lazio, Roma, sez. I, sentenza 3 
settembre 2012, n. 7483. 

�La �class action� ex d.lg. 198/2009 non sfugge ai comuni principi in 
materia di domanda giudiziale, e, dunque, alla regola che questa debba 
essere sufficientemente determinata nel suo �petitum�, in relazione al 
contenuto dell'azione ed alla sua finalit�. Parte ricorrente, quindi, non 
pu� limitarsi genericamente a chiedere l'emanazione di �atti amministrativi 
generali obbligatori e non aventi contenuto normativo�: giacch� si 
deve trattare di atti �obbligatori�, chi li richiede deve evidentemente dimostrare, 
quale elemento costitutivo essenziale della sua domanda, che 
tali essi sono, e ne dovr� perci� definire il contenuto, indicando la fonte 
normativa di tale obbligo, in riferimento alla situazione di pregiudizio 
lamentata: o, comunque, tutto ci� dovr� essere �de plano� desumibile 
dal ricorso, per consentire al giudice di pronunciare l'accertamento richiesto 
e le statuizioni consequenziali. Peraltro, se con un solo ricorso 
sono individuate una pluralit� di situazioni, in cui debba essere ripristinato 
il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un 
servizio - e quindi, in pratica, in cui sono cumulate pi� domande - per 
ciascuna di esse dovr� essere identificabile l'atto generale da emettere�. 

La seconda sentenza presa in considerazione si lega in maniera stringente 
con la precedente e, al tempo stesso, segna un ulteriore passo in avanti nella 
definizione delle regole che disciplinano il ricorso per l�efficienza. 

Ancora una volta � il CODACONS ad adire il giudice amministrativo al 
fine di far accertare la sussistenza dell�obbligo per le amministrazioni resistenti 
(nella fattispecie la Protezione Civile in primis e altri enti locali interessati) di 


adottare gli atti necessari alla rimozione di una serie di situazioni di rischio 
idrogeologico. 

Il TAR di Roma, in questo caso, dichiara il ricorso inammissibile perch� 
la domanda presentata dal ricorrente � generica. 

Correttamente, i giudici ritengono che, salvo che per gli aspetti particolari 
dettati dalla disciplina speciale di cui al d.lgs. 198/2009, il ricorso per l�efficienza 
debba rispettare le regole e i principi generali del processo amministrativo. 
Fra questi, vi � il principio della determinatezza dell�azione e, soprattutto, 
del petitum in essa contenuto: il ricorrente non pu� formulare una domanda 
generica al giudice adito, ma deve specificare la propria richiesta in modo tale 
da delineare correttamente il thema decidendum. In questo modo, da un lato, 
si assicura il rispetto della corrispondenza fra chiesto e pronunciato da parte 
del giudice, che decider� entro i limiti della domanda del ricorrente. Dall�altro 
lato, si assicura un�adeguata garanzia del contraddittorio attraverso il diritto 
di difesa delle controparti che potranno replicare al ricorso solo se � individuabile 
il suo oggetto. 

Applicando questi principi generali al caso del ricorso per l�efficienza, i 
giudici del TAR affermano che con tale azione il ricorrente non pu� limitarsi 
a chiedere l�emanazione di atti amministrativi generali obbligatori senza aggiungere 
altro. Nel ricorso, il soggetto interessato dovr� indicare per quale motivo 
ritiene che gli atti di cui chiede l�emanazione sono �obbligatori� ai sensi 
dell�art. 1, del d.lgs. 198/2009. Di conseguenza, per poter correttamente presentare 
l�azione per l�efficienza, il ricorrente deve indicare quali sono le norme 
di legge che si presumono violate perch� contenenti l�obbligo disatteso dal-
l�Amministrazione resistente. Inoltre, il ricorrente dovr� indicare il contenuto 
che l�atto obbligatorio non emanato avrebbe dovuto avere per essere conforme 
alle disposizioni normative violate e, quindi, per soddisfare il suo interesse. 

Sul ricorrente incombe, in altri termini, l�onere della prova della sussistenza 
del comportamento lesivo sanzionato dal Legislatore. Con la sentenza 
del 2011, si � dimostrato che il d.lgs. 198/2009 � concretamente applicabile 
con riferimento alle fattispecie che delinea in tutti i loro elementi. Con quella 
del 2012, in esame, i giudici affermano che il ricorrente deve provare l�esistenza 
concreta di tale fattispecie, pena l�inammissibilit� del ricorso. 

Peraltro, i giudici laziali sembrano rendersi conto delle difficolt� che potrebbe 
incontrare il ricorrente nell�individuare il contenuto dell�atto di cui 
chiede l�emanazione. In tal senso, per quanto si debba assicurare il corretto 
svolgimento del processo, non si deve dimenticare di garantire l�effettivit� del 
diritto di azione del ricorrente. Per questo motivo, il TAR afferma che, ai fini 
dell�ammissibilit� del ricorso per l�efficienza, non � necessario individuare 
l�esatto contenuto dell�atto obbligatorio non emanato, ma basta che ci� sia desumibile 
dal ricorso. Leggendo l�atto introduttivo del giudizio, il giudice deve 
avere la possibilit� di capire quale sia la richiesta del ricorrente e in quali ter



mini deve pronunciarsi ai fini dell�accertamento domandato. 

Ne consegue anche che se con un unico ricorso sono individuate una pluralit� 
di situazioni giuridiche tutelate dal d.lgs. 198/2009, come accade nel caso 
al giudizio del TAR Lazio, allora il ricorso contiene una pluralit� di domande 
che comportano la necessit� di individuare per ciascuna di esse il contenuto del-
l�atto generale da emettere. Nella fattispecie su cui si � pronunciato il TAR, nulla 
di tutto questo � accaduto perci� il ricorso � stato dichiarato inammissibile. 

4. Le condizioni dell�azione per l�efficienza: TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 
sentenza 23 settembre 2011, n. 478. 

�La legittimazione delle associazioni alla proposizione dell'azione per 
l'efficienza delle p.a. va sempre verificata in concreto, caso per caso, in 
relazione alla natura e alla tipologia dell'interesse leso, al fine di accertare 
se l'ente ricorrente sia statutariamente deputato alla tutela di quello specifico 
interesse �omogeneo per una pluralit� di utenti e di consumatori�. 
Deve ritenersi pertanto preclusa la legittimazione a proporre l'azione per 
l'efficienza di cui al d.lg. n. 198 del 2009 da parte di partiti e movimenti 
politici o, in generale, di associazioni e comitati a tutela oggettiva del ripristino 
della legalit� violata: il movimento politico � espressione, per sua 
stessa definizione, degli interessi politici dei sui associati ed in quanto 
rappresentativo di una classe generale ed eterogenea non � legittimato ad 
esprimere gli interessi giuridicamente rilevanti di una classe determinata 
ed omogenea di �utenti e consumatori�. 

La sentenza del TAR lucano � la seconda, in ordine cronologico, sul tema 
del ricorso per l�efficienza. � di particolare rilevanza se si intende analizzare 
l�azione in esame sotto il profilo delle condizioni processuali necessarie alla 
sua proposizione. 

Nella fattispecie, una serie di associazioni hanno proposto ricorso al TAR 
di Potenza per accertare un disservizio della Regione Basilicata, consistente 
nella mancata pubblicazione dell�indirizzo di posta elettronica certificata sulla 
home page del proprio sito istituzionale. Prima di entrare nel merito della questione, 
che si conclude con l�accoglimento del ricorso, il TAR verifica la sussistenza 
delle condizioni dell�azione: la sua ammissibilit�, la legittimazione 
ad agire del ricorrente; il suo interesse a ricorrere. 

Sul primo punto, vi si � gi� soffermati analizzando la sentenza del TAR 
Lazio n. 552/2011 che, infatti, viene richiamata anche dai giudici potentini. 
Non vi sono dubbi, quindi, sull�ammissibilit� del ricorso per l�efficienza. 

Pi� interessanti considerazioni suscitano la legittimazione ad agire e l�interesse 
a ricorrere. 
Prima di vedere come il TAR affronta l�analisi delle condizioni del-
l�azione, � necessario fare qualche premessa di carattere generale. 


In un ordinamento giuridico democratico, la tutela apprestata in giudizio 
ha una rilevanza fondamentale come strumento di effettivit� delle libert� e dei 
diritti che lo stesso riconosce. Per questo motivo � importante garantire l�accesso 
a questa tutela a chiunque necessiti del suo intervento; peraltro, si deve assicurare 
che nessuno abusi della macchina giudiziaria con il rischio di sovraccaricarla di 
ricorsi ed azioni manifestamente infondate, magari con l�unico scopo di rallentarla 
a scapito della tutela degli altri cittadini. Per questo sono centrali le condizioni 
generali dell�azione: legittimazione a ricorrere e interesse a ricorrere. 

Il principio di effettivit� della tutela giurisdizionale, dunque, � di fondamentale 
importanza tanto che lo stesso art. 1 del c.p.a. lo afferma, richiamando 
le norme costituzionali che la assicurano (10) e anche il diritto europeo che, in 
un certo senso, lo ha costruito e introdotto nei nostri ordinamenti (11). Nel processo 
amministrativo, il principio di effettivit� funge da criterio di interpretazione 
delle norme di rito e, al tempo stesso, quale fine ultimo da realizzare. 

Al fine di avere gli strumenti e le conoscenze necessari a studiare le figure 
della legittimazione ad agire e dell�interesse a ricorrere, bisogna analizzare le posizioni 
giuridiche soggettive che in giudizio vengono tutelate. Trattandosi di Diritto 
Amministrativo, non si pu� prescindere dallo studio dell�interesse legittimo. 

Dare una definizione di interesse legittimo non � per niente facile, per� 
possiamo accettare l�idea di considerarlo come �la situazione giuridica soggettiva 
della quale � titolare un soggetto privato nei confronti della pubblica 
amministrazione, che esercita un potere autoritativo attribuitole dalla legge� 
(12). Tale posizione giuridica va ricollegata, da una parte, al potere della pubblica 
amministrazione e, dall�altra, alla legge che lo regola. Inoltre, poich� 
l�interesse legittimo �, in ogni caso, una posizione giuridica soggettiva, questo 
deve avere i caratteri della qualificazione e della differenziazione (13) 

Il diritto soggettivo, invece, � tradizionalmente definito come il potere 
che il singolo ha di agire per realizzare un proprio interesse tutelato dall�ordinamento 
(14). La distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi ha avuto 
una duplice funzione: da una parte, � stata criterio di riparto fra la giurisdizione 

(10) Ovviamente, si fa implicito riferimento agli articoli 24, 103 e 113 della Costituzione che 
esprimono �i principi sull�azione del Processo Amministrativo� (A. TRAVI, �Lezioni di Giustizia Amministrativa�, 
Giappichelli, 2010). 
(11) Anche attraverso il principio del giusto processo che, in recepimento della disposizione dell�art. 
6 della Convenzione Europea dei Diritti dell�Uomo, ora � riconosciuto anche dall�art. 111 della Costituzione. 
(12) M. CLARICH e G. FONDERICO, �Dizionario di Diritto Amministrativo�, Il Sole 24 Ore, 2007, 
voce �L�Interesse Legittimo�. 
(13) Un interesse � qualificato, e quindi pu� essere considerato legittimo, quando � lo stesso ordinamento 
giuridico, in particolare la norma che attribuisce il potere alla P.A., a riconoscerne la rilevanza 
all�interno dell�attivit� procedimentale amministrativa. La differenziazione rende l�interesse legittimo 
una vera e propria posizione di carattere soggettivo, in quanto � rilevabile solo qualora il singolo � 
titolare di una situazione giuridica distinta da quella degli altri, pi� intensamente tutelata. 
(14) Cfr. A. TORRENTE e P. SCHLESINGER, �Manuale di Diritto Privato�, Giuffr�, 2007; gli Autori 
dicono che �il diritto soggettivo � la signoria del potere� (pag. 72). 



del giudice amministrativo, posta a tutela degli interessi legittimi, e del giudice 
ordinario, per la cura dei diritti soggettivi; dall�altra, era il confine dell�ambito 
della responsabilit� civile della P.A., in quanto, prima, la lesione degli interessi 
legittimi non era risarcibile (15). Risulta, dunque, di fondamentale importanza, 
anche ai fini del nostro tema, riuscire a distinguere tra interesse legittimo e diritto 
soggettivo. La cosa non � per niente facile tanto che la giurisprudenza 
nel corso degli anni ha ricostruito una serie di criteri che si sono susseguiti nel 
tempo per individuare tale distinzione. Cercando di semplificare, diremmo 
che il cittadino � titolare di una posizione di diritto soggettivo nei casi in cui 
l�amministrazione abbia agito cos� contro le regole da non poter nemmeno 
configurare il suo comportamento come un vero potere, che, nel caso, � carente; 
se, invece, la P.A. ha solo mal esercitato il potere attribuitole dalla legge, 
discostandosi dalle regole poste da questa, allora il privato vanter� un interesse 
legittimo al rispetto di tali regole. 

A queste due categorie, si affiancano quelle degli interessi diffusi e degli 
interessi collettivi. I primi sono definiti come interessi senza titolare in quanto 
fanno riferimento ad una pluralit� di soggetti che costituiscono all�interno della 
societ� una comunit� non ancora organizzata stabilmente; i secondi, invece, 
fanno capo ad una collettivit� organizzata in un�apposita associazione stabile 
cui fa capo l�interesse stesso, come collettore degli interesse omogenei ed analoghi 
dei singoli componenti l�organizzazione stessa. 

Infine, nello studio del ricorso per l�efficienza � importante occuparsi anche 
dell�interesse semplice il quale � un interesse che non � qualificato dall�ordinamento 
come meritevole di tutela e per questo � definito come di mero fatto perch� 
attiene alla sfera fattuale di un soggetto o di pi� soggetti e non a quella del 
giuridicamente rilevante. La caratteristica distintiva degli interessi semplici � 
che, in quanto tali, non sono tutelabili in giudizio quindi non fanno sorgere nessuna 
legittimazione ad agire in capo a chi ne � titolare, salvo i casi eccezionali 
in cui � il Legislatore a garantirne la tutela attraverso le azioni popolari. 

La legittimazione ad agire si identifica nella titolarit� dell�azione, nel 
senso che legittimato ad agire � quel soggetto che l�ordinamento giuridico considera 
essere idoneo a presentare l�azione dinanzi al giudice. � legittimato ad 
agire in giudizio chi afferma nella domanda di essere titolare del diritto o del-
l�interesse del quale chiede la tutela al giudice. Essendo il Processo Amministrativo 
un processo di parti centrale in esso � il tema della legittimazione ad 
agire, rectius a ricorrere, la quale �deve essere direttamente correlata alla situazione 
giuridica sostanziale che si assume lesa dal medesimo provvedimento� 
(16). Per questo motivo possiamo affermare che in generale, nel diritto 

(15) Sappiamo che le cose oggi sono cambiate dopo la sentenza 500/1999 delle Sezioni Unite 
della Cassazione. 
(16) Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 28 agosto 2001, n. 4544. 



amministrativo, la legittimazione ad agire in giudizio coincide con la titolarit� 
di una posizione giuridica qualificata riconducibile ad un interesse legittimo 

o ad un diritto soggettivo che con il ricorso si intende tutelare. Di sicuro, questa 
non potr� fondarsi di regola su interessi semplici o di mero fatto (17). 

L�altra condizione dell�azione � l�interesse a ricorrere che potremmo definire 
come il �filtro di efficienza attraverso il quale si vuole evitare il dispendio 
di attivit� giurisdizionale inutile� (18). Come si pu� evincere, ha lo scopo 
di evitare che si svolgano attivit� processuali superflue perci� si pone come 
obiettivo quello di permettere l�accesso alla giustizia solo a chi ne possa effettivamente, 
se anche in via potenziale, trarne un vantaggio. Di fondamentale 
importanza � ricordare che �l'interesse ad agire deve essere concreto ed attuale, 
e non pu� dunque essere rivolto alla soluzione in via di massima di una 
questione giuridica in vista di situazioni future ed ipotetiche� (19). Inoltre, la 
sua stessa valutazione dipende dalla prospettazione che fa il ricorrente (20), 
quindi per poterne accertare la sussistenza si deve andare a guardare la domanda, 
rectius il ricorso che � stato depositato presso il giudice amministrativo 
adito. Infine, � necessario sottolineare che l�interesse a ricorrere va tenuto distinto 
dall�interesse legittimo, per quanto sul punto la dottrina non � unanimemente 
d�accordo. Infatti, da un lato, l�interesse sostanziale pu� sussistere anche 
nel caso in cui non dovesse esserci l�interesse al ricorso; dall�altro lato, se sussiste 
l�interesse a ricorrere non per forza si accerter� anche l�interesse legittimo, 
altrimenti si arriverebbe all�assurda conclusione che ogni volta in cui il 
giudice accerta anche implicitamente (21) l�interesse a ricorrere, dovrebbe accertare 
l�interesse legittimo del ricorrente accogliendone la domanda. 

La legittimazione ad agire e l�interesse a ricorrere formano insieme le 
condizioni generali dell�azione, ma sono distinti e separati l�uno dall�altra: chi 
� titolare della situazione giuridica che gli permette di agire in giudizio, non � 
detto che possa trarre un vantaggio da detto giudizio, quindi potrebbe non 
avere il necessario interesse; viceversa, chi agisce in giudizio potr� anche essere 
concretamente interessato a questo, per� magari potrebbe risultare non 

(17) Ci� non toglie che vi sono dei casi eccezionali nei quali la legittimazione a ricorrere non presuppone 
una situazione giuridica sostanziale, ma si basa su elementi meramente formali; non di interessi 
di mero fatto si tratta, ma semplicemente di una sorta di legittimazione eccezionale che il Legislatore 
espressamente ma solo in talune ipotesi riconosce a chi non � titolare effettivo dell�interesse giuridico 
tutelato. 
(18) A. DO PASSO CABRAL, �Interesse ad agire e zone di interesse�, in www.judicium.it. La disposizione 
cardine dell�interesse ad agire � l�art. 100 del Codice di Procedura Civile, considerata espressione 
di un principio generale del nostro ordinamento giuridico e, quindi, applicabile sia nel rito ordinario 
che in quello amministrativo. 
(19) Cassazione Civile sentenza 7 dicembre 1985 n. 6177. 
(20) Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 1 agosto 2001, n. 4206. 
(21) Il non pronunciare l�inammissibilit� o l�improcedibilit� del ricorso rispettivamente per originaria 
o sopravvenuta carenza dell�interesse significa riconoscerne implicitamente la sussistenza. 



essere legittimato allo stesso (22). 

Acquisiti gli strumenti necessari allo studio delle figure dalla legittimazione 
ad agire e dell�interesse a ricorrere, vediamo come li analizza il TAR 
Basilicata, premettendo che la sentenza in esame valuta le condizioni per la 
proposizione del ricorso da parte delle associazioni. 

Il TAR afferma che la legittimazione ad agire delle associazioni non va 
valutata in astratto, bens� con riferimento al caso concreto. Di conseguenza, 
un�associazione non pu� proporre ricorso per l�efficienza per qualsiasi disfunzione 
amministrativa che riguardi i propri iscritti, ma solo per quelle connesse 
al suo scopo. L�associazione, in altri termini, deve svolgere, in nome del proprio 
statuto, un�attivit� volta alla tutela di un interesse �omogeneo per una 
pluralit� di utenti e di consumatori� che sono i suoi iscritti. 

Sulla base di simili considerazioni, il TAR conclude che le associazioni sono 
legittimate a proporre il ricorso per l�efficienza solo quando dimostrano di rappresentare 
adeguatamente tale interesse cos� che quest�ultimo da diffuso che era 
si soggettivizza in capo all�associazione, trasformandosi in un interesse collettivo. 

L�interesse al ricorso funge, invece, da limite alla legittimazione ad agire. 
Infatti, come spiega il TAR Basilicata, il ricorso per l�efficienza non � stato 
introdotto dal Legislatore come strumento di controllo oggettivo e generalizzato 
sull�operato dell�Amministrazione. L�azione di cui al d.lgs. 198/2009 � 
pur sempre uno strumento per ottenere una tutela processuale di interessi sostanziali, 
rectius di interessi concreti e attuali. Di conseguenza, non basta dimostrare 
di essere legittimati a proporlo, bisogna avere anche uno specifico 
interesse da proteggere. 

In altri termini, non � sufficiente che chi presenta il ricorso in esame lamenti 
un�inefficienza della Pubblica Amministrazione n� basta dimostrarne 
l�esistenza. Se cos� fosse, infatti, l�azione per l�efficienza si trasformerebbe in 
un�azione popolare che qualsiasi cittadino potrebbe proporre per correggere i 
difetti della macchina pubblica. Il ricorso per l�efficienza andrebbe a sostituire 
i tradizionali meccanismi di controllo amministrativo e politico, trasformandosi 
in una potente arma nelle mani di tutti i cittadini. 

Per evitare che ci� accada, il Legislatore, all�art. 1, richiede la sussistenza 
dell�interesse a ricorrere che � connesso alla lesione diretta, concreta e attuale 
che il ricorrente ha subito o sta per subire con pregiudizio per il suo interesse 
tutelato, che � omogeneo alla pluralit� di utenti e consumatori di cui fa parte. 

Tale discorso vale anche nel caso delle associazioni che, per quanto legittimate 
ad agire, devono essere interessate a farlo, per la tutela dei propri 
membri. A tal proposito, tuttavia, i giudici lucani affermano che, nel caso di 
un ente collettivo, l�interesse a ricorrere si ricava in via presuntiva sulla base 
della sua rappresentativit�. 

(22) Lo afferma anche il Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 14 luglio 1972, n. 475. 


Il ragionamento del TAR prende le mosse dalla considerazione che l�interesse 
al ricorso per l�efficienza serve per accertare che il singolo proponente 
sia effettivamente titolare di un interesse omogeneo alla classe di utenti e consumatori 
di cui afferma di far parte. Se l�associazione rappresenta una particolare 
categoria di utenti e consumatori di cui al d.lgs. 198/2009, allora 
l�omogeneit� dell�interesse dedotto in giudizio � di per s� dimostrata. Di conseguenza, 
secondo i giudici lucani, � dimostrato l�interesse a ricorrere che si 
presume, quindi, in forza della rappresentativit� dell�associazione ricorrente. 

Per quanto si possano apprezzare le argomentazioni utilizzate dal TAR 
Basilicata, non si possono condividere le conclusioni a cui � giunto sugli istituti 
della legittimazione ad agire e dell�interesse a ricorrere nel caso dell�azione 
per l�efficienza. 

Le condizioni dell�azione per l�efficienza pongono non pochi problemi. 
Al fine di comprendere al meglio queste problematiche, � opportuno concentrare 
l�attenzione sull�attivit� amministrativa oggetto del ricorso per l�efficienza 
e sulle sue finalit�. 

La trasformazione di tale attivit� da funzione autoritativa a servizio �deve 
consentire, in linea di principio, l�utilizzazione dell�azione per l�efficienza a 
fronte di ogni tipo di attivit� amministrativa il cui malfunzionamento arrechi 
pregiudizio ad un determinato gruppo di individui, qualificabili in relazione 
a tale attivit� come utenti o consumatori� (23). Lo scopo dell�azione � individuare 
e correggere (24) i malfunzionamenti nello svolgimento delle funzioni 
delle amministrazioni pubbliche e nell�erogazione di servizi da parte dei concessionari, 
senza dimenticarne per� il carattere individuale perch� l�utente ricorrente 
vuole ottenere con tale azione che il risultato finale dell�attivit� della 

P.A. sia per lui soddisfacente. Queste particolarit� portano la necessit� di adattare 
gli istituti generali della legittimazione ad agire e dell�interesse a ricorrere 
alle specifiche esigenze dello strumento giudiziale in esame. 

Nella legge 15/2009, il Legislatore delegante si era occupato di definire, 
in via generale, anche la legittimazione ad agire della nuova azione, per� il 
Legislatore delegato ha apportato una qualche modifica a quanto disposto nella 
delega. La legge aveva l�intenzione di introdurre nel nostro ordinamento una 
forma di azione del tutto particolare posta alla tutela di interessi nuovi, rectius 
interessi tradizionalmente non tutelabili in giudizio, quali gli interessi diffusi; 
con il decreto, invece, si � recuperato il carattere individuale dell�azione. 

L�azione � proponibile dal singolo che rientri nella categoria dei �titolari 

(23) G. FIDONE, �L�azione per l�efficienza nel processo amministrativo: dal giudizio sull�atto a 
quello sull�attivit��, Giappichelli, 2012. 
(24) La correzione prima ancora della sanzione, secondo F. PATRONI GRIFFI, �Class Action e ricorso 
per l�efficienza delle amministrazioni e dei concessionari pubblici� (Relazione al convegno: �Le 
Class Actions: modelli a confronto�, Universit� Roma Tre, Facolt� di Economia, Roma 9 giugno 2010), 
in Federalismi.it, 2010. 



di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralit� di utenti e 
consumatori� (25); in tal modo non viene meno il carattere per cos� dire diffuso 
della legittimazione. Con ci�, tuttavia, non si vuole dire, che l�azione tutela un 
interesse diffuso, n� che tale � la posizione giuridica fatta valere, bens� si sostiene 
che l�azione per l�efficienza possa essere presentata da chiunque rientri 
nella categoria dei titolari dell�interesse tutelato in quanto utente o consumatore, 
intendendo per questi �il soggetto, individuale o collettivo, che ha diritto 
di usufruire o che comunque richiede di usufruire del servizio pubblico� (26). 

Chi vuole proporre il ricorso per l�efficienza non deve essere un quisque 
de populo, ma deve dimostrare di essere titolare di un interesse giuridicamente 
rilevante che sia anche differenziato in capo ad una collettivit� di utenti e consumatori 
che, per quanto ampia possa essere, sar� sempre ristretta rispetto alla 
generalit� dei cittadini. Il ricorso per l�efficienza � una fattispecie di giurisdizione 
soggettiva. 

Punto nodale dell�analisi sulle condizioni dell�azione per l�efficienza e, 
in particolare, sulla sua legittimazione ad agire, � comprendere la natura giuridica 
della posizione giuridica sottostante. A tal proposito, sembra necessario 
negare la creazione di una nuova figura giuridica attraverso l�azione per l�efficienza, 
ma non basta nemmeno assegnare l�etichetta di interesse legittimo o 
di diritto soggettivo a tale posizione legittimante: � necessario far evolvere le 
figure tradizionali per renderle compatibili con le esigenze dell�azione per l�efficienza. 
Non bisogna, per�, pensare che in dottrina sono tutti d�accordo con 
questa soluzione prospettata. 

Infatti, da un lato vi � chi identifica l�interesse giuridicamente tutelato 
con l�azione per l�efficienza come un interesse semplice perch� questa va a 
correggere i malfunzionamenti delle amministrazioni e dei concessionari, 
dando ai cittadini uno strumento di tutela proprio in quelle ipotesi in cui, tradizionalmente, 
non si riconosceva altro che un interesse di mero fatto in capo 
ai singoli. Il presupposto per poter mantenere questa prospettiva � che non 
deve ritenersi necessario essere titolari di un diritto soggettivo o di un interesse 
legittimo per poter agire in giudizio, dato che talvolta basta anche un quid 
minus, come appunto un interesse semplice. In realt�, affermare che il titolare 
di un interesse semplice pu� agire in giudizio per la sua tutela � un controsenso, 
senza considerare che aprirebbe la strada ad un�ipotesi di giurisdizione 
oggettiva tanto osteggiata dalla Corte Costituzionale; potremmo dire che grazie 
al ricorso per l�efficienza un interesse semplice si � trasformato in interesse 
legittimo, ma � cosa ben diversa. Alla base della legittimazione ad agire ex 

(25) Art. 1, comma 1, D.Lgs. 198/2009. 
(26) Commissione Indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l�Integrit� delle Amministrazioni 
Pubbliche (CiVIT), delibera 24 giugno 2010, n. 88: �Linee guida per la definizione degli standard 
di qualit� (articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198)�. 



D.Lgs. 198/2009, non pu� esserci un interesse di mero fatto. 

Dall�altro lato, parte della dottrina ha cercato di configurare l�interesse 
del ricorso per l�efficienza come un interesse diffuso, in conformit� con quanto 
detto dal Consiglio di Stato in sede consultiva nel parere 1943/2009. Tale tesi 
non si condivide perch� se il ricorso per l�efficienza presupponesse interessi 
diffusi, allora il ricorrente agirebbe non per la cura di un proprio interesse personale, 
ma con il solo intento di ripristinare la correttezza della funzione amministrativa 
o dell�erogazione del servizio reso dal concessionario. Saremmo 
nuovamente dinanzi ad un�azione totalmente oggettiva, dove il singolo e il 
suo interesse vengono messi sullo sfondo. 

In realt�, il ricorso per l�efficienza � posto a tutela di un interesse legittimo 
di carattere pretensivo. Si tratta dell�interesse al buon funzionamento dei servizi 
pubblici, quindi quello che una volta era un interesse di mero fatto, privo 
di tutela giurisdizionale, si trasforma in un interesse legittimo che pu� essere 
portato dinanzi al giudice amministrativo affinch� adotti i provvedimenti necessari 
a garantirne la soddisfazione; inoltre, non si tratta di semplici interessi 
legittimi perch� non fanno capo solo al singolo, ma sono omogenei ad una 
pluralit� di persone, i nostri utenti e consumatori perci� presentano un particolare 
carattere di pluralit� e di collettivit�, pur rimanendo situazioni giuridiche 
individuali che connotano una legittimazione ad agire anch�essa individuale. 
Questa natura � riconducibile al fatto che il giudizio instaurato con il ricorso 
per l�efficienza ha come oggetto, un�attivit� amministrativa rivolta a una pluralit� 
di persone titolari di interessi fra loro omogenei. Il carattere collettivo 
del ricorso viene individuato sotto due profili: da un parte, con riferimento 
alla legittimazione ad agire, dove il carattere dell�omogeneit� funge da limite 
alla legittimazione del ricorso per l�efficienza in quanto serve ad evitare che 
chiunque possa proporlo; dall�altra, riguardo gli effetti della sentenza che 
chiude il giudizio perch� questa produce sempre effetti ultra partes su tutti gli 
utenti e consumatori a prescindere dalla loro partecipazione allo stesso processo. 
Non vi � modo, invece, di configurare come collettivo l�interesse giuridico 
tutelato, come invece sostiene il TAR Basilicata. 

Dopo aver analizzato la legittimazione ad agire del ricorso per l�efficienza 
sotto i suoi molteplici aspetti problematici, � necessario adesso occuparsi del-
l�interesse a ricorrere. L�interesse a ricorrere � collegato al ricorrente e alla posizione 
giuridica soggettiva che egli vuole tutelare. Essendo il ricorso posto a 
tutela di interessi legittimi, allora l�interesse a ricorrere ha carattere individuale 
e personale, riferito al singolo. In realt�, da pi� parti la dottrina sostiene strenuamente, 
ma anche in maniera diversa, la tesi contraria di un interesse a ricorrere 
di carattere collettivo. Ancora una volta, si apre la strada della 
giurisdizione di diritto oggettivo, che non � configurabile nel caso del ricorso 
per l�efficienza perch� questo nasce comunque con lo scopo di porsi a tutela di 
un interesse legittimo individuale, tanto che finch� non si ottiene una pronuncia 


che davvero sia finalizzata a garantire il ripristino dell�attivit� amministrativa 
corretta, l�interesse a ricorrere prima e quello alla decisione poi permangono 
in capo al ricorrente. Per questo l�interesse a ricorrere ha una rilevanza collettiva 
che si esprime nel requisito dell�omogeneit�: l�interesse del ricorso per l�efficienza 
� collettivo perch� rivolto a un bene della vita omogeneo per tutti coloro 
che appartengono alla categoria degli utenti e consumatori e che consiste nel-
l�efficienza della Pubblica Amministrazione. Ribadendo che non sono diffusi 
n� collettivi, si pu� dire che gli interessi tutelati dal ricorso per l�efficienza sono 
omogenei in quanto derivano tutti da una pluralit� di rapporti analoghi che i 
singoli utenti e consumatori hanno con la P.A. o con i concessionari e che sono 
stati lesi dalla stessa funzione amministrativa o dalla stessa attivit� di servizio. 

Per questo motivo, quando afferma che l�interesse a ricorrere delle associazioni 
si pu� ricavare dalla loro rappresentativit�, il TAR di Potenza coglie 
nel segno solo in parte. Certamente � importante assicurarsi che l�interesse 
dedotto con il ricorso per l�efficienza abbia il carattere di omogeneit� richiesta 
dal decreto del 2009. Peraltro, l�interesse a ricorrere si fonda sulla lesione di 
questo interesse omogeneo: se manca la lesione o non la si dimostra, non � 
possibile proporre l�azione per l�efficienza. Anche nel caso delle associazioni, 
quindi, � necessario dimostrare la lesione diretta, concreta e attuale ai sensi 
dell�art. 1, del d.lgs. 198/2009 e non basta la rappresentativit� della stessa. In 
altri termini, rappresentare la classe di utenti e consumatori legittimati ad agire 
in giudizio pu� essere rilevante ai fini della legittimazione, ma non � sufficiente 
a configurare l�interesse a ricorrere. 

Fra gli interessanti spunti per una riflessione che il ricorso per l�efficienza 
pone, vi � quello sul legame che potrebbe unirlo all�azione di adempimento. 
Strumento ben noto in altri ordinamenti (27), questa azione ha avuto molte 
difficolt� ad affermarsi nel nostro, anzi non � con assoluta certezza che possiamo 
riconoscerne la sussistenza all�interno del processo amministrativo. Grazie 
all�azione di adempimento, il cittadino avrebbe la possibilit� di non 
limitarsi a chiedere l�annullamento di un provvedimento illegittimo o al massimo 
una generica condanna della P.A. ad esercitare, rectius ad esercitare di 
nuovo il potere pubblico in conformit� con la legge e la sentenza del giudice; 
grazie all�azione di adempimento, il ricorrente pu� ottenere in giudizio la realizzazione 
del bene della vita che sottost� all�interesse dedotto nel processo, 
attraverso una sentenza che non si limiterebbe a valutare la legittimit� di un 
provvedimento, bens� andrebbe ad accertare cosa sarebbe spettato al cittadino 
se l�Amministrazione avesse agito correttamente. 

Il c.p.a. non prevede la disciplina dell�azione di adempimento, per quanto 
la commissione istituita presso il Consiglio di Stato per la redazione dello 

(27) Il tedesco su tutti. 


stesso Codice aveva inserito nella bozza finale del testo di legge l�art. 40 dedicato 
a questa particolare forma di azione. Sennonch� il lavoro di cesura del 
Governo � stato poco razionale perch� � stato eliminato l�articolo sull�azione 
di adempimento, ma non la corrispondente disposizione sulla sentenza che ne 
avrebbe fatto seguito, ancora oggi l�art. 34, comma 1, lett. c); tra l�altro, questa 
� solo una delle disposizioni che richiamano in qualche modo l�azione di 
adempimento e, quindi, aprono la strada al riconoscimento di tale azione nel-
l�ordinamento italiano. Infatti, la stessa giurisprudenza sembra riconoscere 
l�esistenza dell�azione di adempimento nel processo amministrativo (28); il 
che sarebbe un importante passo in avanti verso una pi� piena attuazione del 
principio di effettivit� della tutela giurisdizionale. 

In ogni caso, come ulteriore indice dell�utilit� concreta dell�azione di 
adempimento, si deve rilevare che gi� prima del Codice, nonostante mancasse, 
come ora, la sua previsione generale, il Legislatore ha introdotto delle azioni 
che sono riconducibili a questo modello. Si pensi all�ipotesi della tutela che 
viene apprestata nei casi di silenzio-inadempimento della Pubblica Amministrazione, 
nel qual caso l�art. 31, comma 3 del Codice che d� al giudice amministrativo 
la possibilit� di pronunciarsi sulla fondatezza della domanda 
dedotta in giudizio; oppure alla disciplina del rito speciale in materia di accesso 
ai documenti della Pubblica Amministrazione, nel quale il giudice amministrativo, 
adito da chi ha fatto richiesta di accessi di un documento della P.A. e 
in cambio ha ottenuto un suo provvedimento di diniego o il suo silenzio, pu� 
ordinare l�esibizione dei documenti richiesti. Sotto forma di azione speciale, 
l�azione di adempimento � gi� presente nel c.p.a.; come azione generale, non 
ha una vera e propria disciplina, ma facendo leva sul principio di atipicit� delle 
azioni si pu� trovare la strada per ammetterla come strumento di ricorso al 
giudice amministrativo. 

Nel caso dell�azione di adempimento, il giudice � chiamato a decidere 
non solo sulla legittimit� di un provvedimento ai fini del suo possibile annullamento, 
ma anche sulla fondatezza della pretesa del ricorrente per questo deve 
godere di una cognizione piena che gli permetta di conoscere dell�intera faccenda, 
in modo tale da poter valutare se e quale provvedimento la P.A. avrebbe 
dovuto correttamente adottare se avesse agito in maniera legittima, senza pregiudicare 
l�interesse del ricorrente. Resta comunque fermo il limite del merito 
amministrativo per il giudice anche nel caso dell�azione di adempimento perch�, 
in nome del principio della separazione dei poteri, il giudice, nemmeno 
quello amministrativo, non pu� sindacare la scelta della P.A. se non con riferimento 
alla legittimit�, intesa come conformit� alle norme che la regolano. 
Non si potr� decidere sul merito, quindi il giudice pu� pronunciare sulla fondatezza 
della pretesa dedotta in giudizio con l�azione di adempimento solo 

(28) Si veda T.A.R. Lombardia di Milano, sentenza 1428 del 2011. 


quando si tratta di attivit� vincolata, intesa anche solamente nel concreto e 
cio� quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalit� 
amministrativa. 

Da un certo punto di vista, il risultato che si pu� ottenere con una simile 
azione � simile a quello raggiungibile attraverso altre forme di ricorso, come 
l�azione di annullamento, attraverso l�effetto conformativo di una sentenza 
che l�accolga, ed il ricorso di ottemperanza. Per l�azione di annullamento la 
differenza con l�azione di adempimento sta nella sentenza: in caso di accoglimento, 
il giudice non inserisce una generica regola comportamentale che imponga 
semplicemente la non ripetizione dell�errore accertato, come fa in caso 
di annullamento, perch� con l�adempimento la P.A. sar� obbligata ad adottare 
un provvedimento specifico, quello che puntualmente soddisfi la richiesta del 
ricorrente vittorioso. La distinzione con il giudizio di ottemperanza � pi� difficile 
da cogliere, ma si basa sul fatto che questo pu� essere intrapreso solo 
dopo che si � gi� ottenuta una sentenza del giudice amministrativo, come potrebbe 
essere quella di annullamento, e che la P.A. non vi si sia conformata e 
che, inoltre, l�ottemperanza � possibile solo nei casi espressamente previsti 
all�art. 112 del Codice del Processo Amministrativo. 

Dopo aver inquadrato in maniera analitica e dettagliata l�azione di adempimento, 
averne analizzato i caratteri, gli aspetti critici, l�importanza, l�ammissibilit� 
nel nostro ordinamento, � giunto il momento di metterla a confronto 
con l�azione per l�efficienza, cercando di capire se l�azione introdotta nel 2009 
dal decreto Brunetta possa essere considerata o almeno equiparata ad una 
forma di azione di adempimento. 

Nel caso del ricorso per l�efficienza, l�oggetto � l�attivit� dell�Amministrazione; 
anche l�azione di adempimento ha a oggetto in un certo senso l�attivit� 
amministrativa in quanto il giudice deve poter conoscere e accertare tutti 
i profili dell�azione amministrativa che siano rilevanti da un punto di vista 
giuridico al fine di poter decidere sulla pretesa del ricorrente. Inoltre, l�attivit� 
amministrativa si lega in maniera stringente al risultato all�interno dell�azione 
per l�efficienza che � volta a controllare se il secondo segua correttamente alla 
prima: il ricorso per l�efficienza � finalizzato a realizzare l�esatto adempimento 
dell�attivit� amministrativa in relazione al risultato indicato dagli standard. Da 
notare che questo particolare tipo di azione di adempimento si concluder� semplicemente 
con la condanna da parte del giudice per la P.A. di realizzare un 
determinato risultato specifico, lasciandole libert� di scelta su come raggiungere 
l�obiettivo; inoltre, la condanna � possibile, solo nei limiti delle risorse 
strumentali, finanziarie e umane gi� assegnate in via ordinaria e senza nuovi 

o maggiori oneri per la finanza pubblica, come afferma l�art. 4, comma 1. 

In definitiva, gli schemi delle due azioni sembrano essere quanto meno 
paragonabili, se non addirittura assimilabili. La similitudine si mostra anche 
attraverso le condizioni dell�azione. 


Nel ricorso per l�efficienza, la legittimazione ad agire si fonda su un interesse 
legittimo di tipo pretensivo connesso al buon funzionamento della funzione 
amministrativa che, ormai, viene considerata alla stregua di un servizio 
pubblico; analogamente, nell�azione di adempimento, la legittimazione si 
esprime nella titolarit� di un interesse legittimo pretensivo volto a ottenere dalla 

P.A. un provvedimento specifico che amplia la sfera giuridica del ricorrente. 

Infine, nel caso del ricorso per l�efficienza, chi agisce in giudizio ha come 
obiettivo quello di �ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la 
corretta erogazione di un servizio� (29). L�interesse a ricorrere dell�azione 
di adempimento consiste nel voler ottenere dal giudice una pronuncia con la 
quale si condanna la P.A. ad adottare uno specifico provvedimento che sia 
conforme alle pretese del ricorrente cos� da poterle soddisfare, ricordando che 
intanto potr� sussistere l�interesse a ricorrere in quanto la P.A. sia, in un certo 
senso, tenuta ad adottare quell�atto: l�azione di adempimento � possibile abbia 
esaurito le proprie possibilit� di scelta. 

(29) Art. 1, comma 1, D.Lgs. 198/2009. 


Le disposizioni in materia di inconferibilit� e incompatibilit� 
di incarichi di cui al D. lgs. n. 39/2013 

Francesco Spada* 

Premessa 

Con decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, sono state adottate le �Disposizioni 
in materia di inconferibilit� e incompatibilit� di incarichi presso le 
pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a 
norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190�. 

Il decreto si articola in otto capi, riguardanti: principi generali; inconferibilit� 
di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione; 
inconferibilit� di incarichi a soggetti provenienti da enti di diritto 
privato regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni; inconferibilit� 
di incarichi a componenti di organi di indirizzo politico; incompatibilit� tra 
incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico 
e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalle pubbliche 
amministrazioni nonch� lo svolgimento di attivit� professionale; incompatibilit� 
tra incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo 
pubblico e cariche di componenti di organi di indirizzo politico; 
vigilanza e sanzioni; norme finali e transitorie. 

Tanto premesso, si esaminer� qui di seguito il contenuto del decreto, suddividendo 
la trattazione in quattro parti. 

L�inconferibilit� 

L�articolo 3 del decreto disciplina l�inconferibilit� di incarichi in caso di 
condanna per reati contro la pubblica amministrazione. 

In particolare, la disposizione prevede: 

� l�impossibilit� di attribuzione di alcune tipologie di incarichi per coloro 
che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno 
dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale; 
� il carattere permanente dell�inconferibilit� di cui al comma 1, laddove 
la condanna riguardi uno dei reati di cui all'articolo 3, comma 1, della legge 
27 marzo 2001, n. 97, nei casi in cui sia stata inflitta la pena accessoria del-
l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero sia intervenuta la cessazione 
del rapporto di lavoro a seguito di procedimento disciplinare o la cessazione 


(*) Dirigente di II fascia del Ministero dell�Economia e delle Finanze. Ha svolto la pratica forense 
presso l�Avvocatura Generale dello Stato. 

Il presente contributo riflette le opinioni dell�Autore e non impegna in alcun modo l�Amministrazione 
di appartenenza. 


del rapporto di lavoro autonomo. Ove sia stata inflitta una interdizione temporanea, 
l'inconferibilit� ha la stessa durata dell'interdizione. Negli altri casi 
l'inconferibilit� degli incarichi ha la durata di cinque anni; 

� il carattere permanente dell�inconferibilit�, laddove la condanna riguardi 
uno degli altri reati previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice 
penale, nei casi in cui sia stata inflitta la pena accessoria dell'interdizione perpetua 
dai pubblici uffici ovvero sia intervenuta la cessazione del rapporto di 
lavoro a seguito di procedimento disciplinare o la cessazione del rapporto di 
lavoro autonomo. Ove sia stata inflitta una interdizione temporanea, l'inconferibilit� 
ha la stessa durata dell'interdizione. Negli altri casi l'inconferibilit� 
ha una durata pari al doppio della pena inflitta, per un periodo comunque non 
superiore a cinque anni; 
� la possibilit� di conferimento di incarichi diversi da quelli che comportino 
l'esercizio delle competenze di amministrazione e gestione nei casi di 
cui all'ultimo periodo dei commi 2 e 3, salve le ipotesi di sospensione o cessazione 
del rapporto, al dirigente di ruolo, per la durata del periodo di inconferibilit�. 
� in ogni caso escluso il conferimento di incarichi relativi ad uffici 
preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi 
e forniture, nonch� alla concessione o all'erogazione di sovvenzioni, contributi, 
sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici 
e privati, di incarichi che comportano esercizio di vigilanza o controllo. 
Nel caso in cui l'amministrazione non sia in grado di conferire incarichi compatibili 
con le disposizioni in esame, il dirigente viene posto a disposizione 
del ruolo senza incarico per il periodo di inconferibilit� dell'incarico; 
� la cessazione di diritto della situazione di inconferibilit�, laddove 
venga pronunciata, per il medesimo reato, sentenza anche non definitiva, di 
proscioglimento; 
� la sospensione dell'incarico e dell'efficacia del contratto di lavoro subordinato 
o di lavoro autonomo, stipulato con l'amministrazione, l'ente pubblico 
o l'ente di diritto privato in controllo pubblico nel caso di condanna, 
anche non definitiva, per uno dei reati di cui ai commi 2 e 3 nei confronti di 
un soggetto esterno all'amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato 
in controllo pubblico cui e' stato conferito uno degli incarichi di cui al comma 


1. Per tutto il periodo della sospensione non spetta alcun trattamento economico. 
In entrambi i casi la sospensione ha la stessa durata dell'inconferibilit� 
stabilita nei commi 2 e 3. Fatto salvo il termine finale del contratto, all'esito 
della sospensione l'amministrazione valuta la persistenza dell'interesse all'esecuzione 
dell'incarico, anche in relazione al tempo trascorso; 

� l�equiparazione, agli effetti della disposizione in esame, della sentenza 
di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. alla sentenza di condanna. 

I successivi articoli 4 e 5 disciplinano l�inconferibilit� di incarichi nelle 
amministrazioni statali, regionali e locali, nonch� di incarichi di direzione nelle 


Aziende sanitarie locali a soggetti provenienti da enti di diritto privato regolati 

o finanziati. 
In particolare, le disposizioni prevedono: 

� l�impossibilit� di attribuzione di alcune tipologie di incarichi per coloro 
che, nei due anni precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in 
enti di diritto privato o finanziati dall'amministrazione o dall'ente pubblico che 
conferisce l'incarico ovvero abbiano svolto in proprio attivit� professionali, 
se queste sono regolate, finanziate o comunque retribuite dall'amministrazione 

o ente che conferisce l'incarico; 

� l�impossibilit� di attribuzione di alcune tipologie di incarichi per coloro 
che, nei due anni precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in 
enti di diritto privato regolati o finanziati dal servizio sanitario regionale. 

L�articolo 6 disciplina l�inconferibilit� di incarichi a componenti di organo 
politico di livello nazionale, prevedendo che per le cariche di Presidente del 
Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e di 
commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 
1988, n. 400, si applicano i divieti di cui alla legge 20 luglio 2004, n. 215. 

L�articolo 7 disciplina l�inconferibilit� di incarichi a componenti di organo 
politico di livello regionale e locale, prevedendo: 

� l�impossibilit� di attribuzione di alcune tipologie di incarichi per coloro 
che, nei due anni precedenti, siano stati componenti della giunta o del consiglio 
della regione che conferisce l'incarico, ovvero nell'anno precedente siano stati 
componenti della giunta o del consiglio di una provincia o di un comune con 
popolazione superiore ai 15.000 abitanti della medesima regione o di una 
forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima 
regione, oppure siano stati presidente o amministratore delegato di un ente di 
diritto privato in controllo pubblico da parte della regione ovvero da parte di 
uno degli enti locali di cui al presente comma; 
� l�impossibilit� di attribuzione di alcune tipologie di incarichi per coloro 
che, nei due anni precedenti, siano stati componenti della giunta o del consiglio 
della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce 
l'incarico, ovvero a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della 
giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore 
ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima 
popolazione, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce 
l'incarico, nonch� a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato 
di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e 
loro forme associative della stessa regione; 
� la non applicazione delle inconferibilit� di cui al presente articolo ai 
dipendenti della stessa amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato 
in controllo pubblico che, all'atto di assunzione della carica politica, erano titolari 
di incarichi. 





L�articolo 8 disciplina l�inconferibilit� di incarichi di direzione nelle 
Aziende sanitarie locali, prevedendo che: 


� l�inconferibilit� di alcune tipologie di incarichi a coloro che nei cinque 
anni precedenti siano stati candidati in elezioni europee, nazionali, regionali 
e locali, in collegi elettorali che comprendano il territorio della ASL; 
� l�inconferibilit� di alcune tipologie di incarichi a coloro che nei due 
anni precedenti abbiano esercitato la funzione di Presidente del Consiglio dei 
ministri o di Ministro, Viceministro o sottosegretario nel Ministero della salute 


o in altra amministrazione dello Stato o di amministratore di ente pubblico o 
ente di diritto privato in controllo pubblico nazionale che svolga funzioni di 
controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario nazionale; 

� l�inconferibilit� di alcune tipologie di incarichi a coloro che nell'anno 
precedente abbiano esercitato la funzione di parlamentare; 
� l�inconferibilit� di alcune tipologie di incarichi a coloro che nei tre 
anni precedenti abbiano fatto parte della giunta o del consiglio della regione 
interessata ovvero abbiano ricoperto la carica di amministratore di ente pubblico 
o ente di diritto privato in controllo pubblico regionale che svolga funzioni 
di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario regionale; 
� l�inconferibilit� di alcune tipologie di incarichi a coloro che, nei due 
anni precedenti, abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, 
di un comune con popolazione superiore ai 15.000 o di una forma associativa 
tra comuni avente la medesima popolazione, il cui territorio e' 
compreso nel territorio della ASL. 


L�incompatibilit� 

Gli articoli 9 e 10 del decreto disciplinano l�incompatibilit� tra incarichi 
nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche 
in enti di diritto privato regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni 
nonch� tra i medesimi incarichi e lo svolgimento di attivit� professionale. 

In particolare, le disposizioni prevedono: 

� l�incompatibilit� degli incarichi amministrativi di vertice e degli incarichi 
dirigenziali, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, che 
comportano poteri di vigilanza o controllo sulle attivit� svolte dagli enti di diritto 
privato regolati o finanziati dall'amministrazione che conferisce l'incarico, 
con l'assunzione e il mantenimento, nel corso dell'incarico, di incarichi e cariche 
in enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione o ente 
pubblico che conferisce l'incarico; 
� l�incompatibilit� degli incarichi amministrativi di vertice e degli incarichi 
dirigenziali, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, 
degli incarichi di amministratore negli enti pubblici e di presidente e amministratore 
delegato negli enti di diritto privato in controllo pubblico con lo svolgimento 
in proprio, da parte del soggetto incaricato, di un'attivit� 





professionale, se questa e' regolata, finanziata o comunque retribuita dall'amministrazione 
o ente che conferisce l'incarico; 


� l�incompatibilit� degli incarichi di direttore generale, direttore sanitario 
e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali di una medesima regione: 
a) con gli incarichi o le cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati 
dal servizio sanitario regionale; b) con lo svolgimento in proprio, da 
parte del soggetto incaricato, di attivit� professionale, se questa e' regolata o 
finanziata dal servizio sanitario regionale; 
� l'estensione dell�incompatibilit� di cui al presente articolo agli incarichi, 
alle cariche e alle attivit� professionali assunte o mantenute dal coniuge 
e dal parente o affine entro il secondo grado. 


Gli articoli 11, 12, 13 e 14 disciplinano l�incompatibilit� tra incarichi nelle 
pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche 
di componenti di organi di indirizzo politico. 

In particolare, le disposizioni prevedono: 

� l�incompatibilit� degli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni 
statali, regionali e locali e degli incarichi di amministratore di ente 
pubblico di livello nazionale, regionale e locale, con la carica di Presidente 
del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e 
commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 
agosto 1988, n. 400, o di parlamentare; 
� l�incompatibilit� degli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni 
regionali e degli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello 
regionale: a) con la carica di componente della giunta o del consiglio 
della regione che ha conferito l'incarico; b) con la carica di componente della 
giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore 
ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima 
popolazione della medesima regione; c) con la carica di presidente e 
amministratore delegato di un ente di diritto privato in controllo pubblico da 
parte della regione; 
� l�incompatibilit� degli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni 
di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 
abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione 
nonch� gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale 


o comunale: a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della 
provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che ha conferito 
l'incarico; b) con la carica di componente della giunta o del consiglio della 
provincia, del comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una 
forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, ricompresi 
nella stessa regione dell'amministrazione locale che ha conferito l'incarico; c) 
con la carica di componente di organi di indirizzo negli enti di diritto privato 
in controllo pubblico da parte della regione, nonche' di province, comuni con 


popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di forme associative tra comuni 
aventi la medesima popolazione abitanti della stessa regione; 

� l�incompatibilit� degli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle 
pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in 
controllo pubblico con l'assunzione e il mantenimento, nel corso dell'incarico, 
della carica di componente dell'organo di indirizzo nella stessa amministrazione 
o nello stesso ente pubblico che ha conferito l'incarico, ovvero con l'assunzione 
e il mantenimento, nel corso dell'incarico, della carica di presidente 
e amministratore delegato nello stesso ente di diritto privato in controllo pubblico 
che ha conferito l'incarico; 
� l�incompatibilit� degli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche 
amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo 
pubblico di livello nazionale, regionale e locale con l'assunzione, nel corso 
dell'incarico, della carica di Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice 
Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di 
cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, o di parlamentare; 
� l�incompatibilit� degli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle 
pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in 
controllo pubblico di livello regionale: a) con la carica di componente della 
giunta o del consiglio della regione interessata; b) con la carica di componente 
della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione 
superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la 
medesima popolazione della medesima regione; c) con la carica di presidente 
e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da 
parte della regione; 
� l�incompatibilit� degli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle 
pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in 
controllo pubblico di livello provinciale o comunale: a) con la carica di componente 
della giunta o del consiglio della regione; b) con la carica di componente 
della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con 
popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni 
avente la medesima popolazione, ricompresi nella stessa regione dell'amministrazione 
locale che ha conferito l'incarico; c) con la carica di componente 
di organi di indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico da parte 
della regione, nonch� di province, comuni con popolazione superiore ai 15.000 
abitanti o di forme associative tra comuni aventi la medesima popolazione 
della stessa regione; 
� l�incompatibilit� degli incarichi di presidente e amministratore delegato 
di enti di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale, regionale e 
locale, con la carica di Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, 
sottosegretario di Stato e di commissario straordinario del Governo di 
cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, o di parlamentare; 



� l�incompatibilit� degli incarichi di presidente e amministratore delegato 
di ente di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale: a) con 
la carica di componente della giunta o del consiglio della regione interessata; 
b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia o 
di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa 
tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione; 
c) con la carica di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato 
in controllo pubblico da parte della regione, nonche' di province, comuni con 
popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di forme associative tra comuni 
aventi la medesima popolazione della medesima regione; 
� l�incompatibilit� degli incarichi di presidente e amministratore delegato 
di ente di diritto privato in controllo pubblico di livello locale con l'assunzione, 
nel corso dell'incarico, della carica di componente della giunta o del 
consiglio di una provincia o di un comune con popolazione superiore ai 15.000 
abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione 
della medesima regione. 
� l�incompatibilit� degli incarichi di direttore generale, direttore sanitario 
e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali con la carica di Presidente 
del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di 
Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 
23 agosto 1988, n. 400, di amministratore di ente pubblico o ente di diritto 
privato in controllo pubblico nazionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza 
o finanziamento del servizio sanitario nazionale o di parlamentare; 
� l�incompatibilit� degli incarichi di direttore generale, direttore sanitario 
e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali di una regione: a) con 
la carica di componente della giunta o del consiglio della regione interessata 
ovvero con la carica di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato 
in controllo pubblico regionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o 
finanziamento del servizio sanitario regionale; b) con la carica di componente 
della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione 
superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la 
medesima popolazione della medesima regione; c) con la carica di presidente 
e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da 
parte della regione, nonche' di province, comuni con popolazione superiore ai 


15.000 abitanti o di forme associative tra comuni aventi la medesima popolazione 
della stessa regione. 

Vigilanza e sanzioni 

L�articolo 15 del decreto disciplina la vigilanza sul rispetto delle disposizioni 
in materia di inconferibilit� e incompatibilit� nelle pubbliche amministrazioni 
e negli enti di diritto privato in controllo pubblico. 

In particolare, la disposizione prevede che: 


� il responsabile del piano anticorruzione di ciascuna amministrazione 
pubblica, ente pubblico e ente di diritto privato in controllo pubblico, cura, 
anche attraverso le disposizioni del piano anticorruzione, che nell'amministrazione, 
ente pubblico e ente di diritto privato in controllo pubblico siano rispettate 
le disposizioni del decreto sulla inconferibilit� e incompatibilit� degli 
incarichi. A tale fine il responsabile contesta all'interessato l'esistenza o l'insorgere 
delle situazioni di inconferibilit� o incompatibilit� di cui al decreto; 
� il responsabile segnala i casi di possibile violazione delle disposizioni 
del decreto all'Autorit� nazionale anticorruzione, all'Autorit� garante della 
concorrenza e del mercato ai fini dell'esercizio delle funzioni di cui alla legge 
20 luglio 2004, n. 215, nonch� alla Corte dei conti, per l'accertamento di eventuali 
responsabilit� amministrative; 
� il provvedimento di revoca dell'incarico amministrativo di vertice o dirigenziale 
conferito al soggetto cui sono state affidate le funzioni di responsabile, 
comunque motivato, e' comunicato all'Autorit� nazionale anticorruzione 
che, entro trenta giorni, pu� formulare una richiesta di riesame qualora rilevi 
che la revoca sia correlata alle attivit� svolte dal responsabile in materia di prevenzione 
della corruzione. Decorso tale termine, la revoca diventa efficace. 
Il successivo articolo 16 disciplina la vigilanza dell'Autorit� nazionale 
anticorruzione. 
In particolare, la disposizione prevede che: 


� l'Autorit� nazionale anticorruzione vigila sul rispetto, da parte delle 
amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in 
controllo pubblico, delle disposizioni di cui al decreto, anche con l'esercizio 
di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli 
incarichi; 
� l'Autorit� nazionale anticorruzione, a seguito di segnalazione o d'ufficio, 
pu� sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con un proprio 
provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull'atto di conferimento 
dell'incarico, nonch� segnalare il caso alla Corte dei conti per l'accertamento 
di eventuali responsabilit� amministrative. L'amministrazione, ente pubblico 


o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento del-
l'incarico deve motivare l'atto tenendo conto delle osservazioni dell'Autorit�; 

� l'Autorit� nazionale anticorruzione esprime pareri, su richiesta delle 
amministrazioni e degli enti interessati, sulla interpretazione delle disposizioni 
del decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilit� 
e incompatibilit� degli incarichi. 

Il successivo articolo 17 commina la sanzione della nullit� per gli atti di 
conferimento di incarichi adottati in violazione delle disposizioni del decreto 
e per i relativi contratti. 

Infine, gli articoli 18 e 19 prevedono, in materia di sanzioni: 

� la responsabilit�, per le conseguenze economiche degli atti adottati, per 


i componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli. Sono 
esenti da responsabilit� i componenti che erano assenti al momento della votazione, 
nonch� i dissenzienti e gli astenuti; 

� l�impossibilit� di conferimento, per i componenti degli organi che abbiano 
conferito incarichi dichiarati nulli, degli incarichi di loro competenza, 
per un periodo di tre mesi. Il relativo potere e' esercitato, per i Ministeri dal 
Presidente del Consiglio dei ministri e per gli enti pubblici dall'amministrazione 
vigilante; 
� l�adeguamento, da parte delle regioni, delle province e dei comuni, 
entro tre mesi dall'entrata in vigore del decreto, dei propri ordinamenti, individuando 
le procedure interne e gli organi che in via sostitutiva possono procedere 
al conferimento degli incarichi nel periodo di interdizione degli organi 
titolari; 
� la pubblicazione dell'atto di accertamento della violazione delle disposizioni 
del decreto sul sito dell'amministrazione o ente che conferisce l'incarico; 
� la decadenza dall'incarico e la risoluzione del relativo contratto, di lavoro 
subordinato o autonomo, decorso il termine perentorio di quindici giorni 
dalla contestazione all'interessato, da parte del responsabile di cui all'articolo 
15, dell'insorgere della causa di incompatibilit� nei casi di svolgimento degli 
incarichi di cui al decreto in una delle situazioni di incompatibilit� di cui ai 
capi V e VI; 
� la perdurante vigenza delle disposizioni che prevedono il collocamento 
in aspettativa dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni in caso di incompatibilit�. 


Norme finali e transitorie 

L�articolo 20 del decreto disciplina la dichiarazione sulla insussistenza di 
cause di inconferibilit� o incompatibilit�, prevedendo che: 

� all'atto del conferimento dell'incarico l'interessato presenta una dichiarazione 
sulla insussistenza di una delle cause di inconferibilit� di cui al decreto; 
� nel corso dell'incarico l'interessato presenta annualmente una dichiarazione 
sulla insussistenza di una delle cause di incompatibilit� di cui al decreto; 
� le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 sono pubblicate nel sito della pubblica 
amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico 
che ha conferito l'incarico; 
� la dichiarazione di cui al comma 1 e' condizione per l'acquisizione del-
l'efficacia dell'incarico; 
� ferma restando ogni altra responsabilit�, la dichiarazione mendace, accertata 
dalla stessa amministrazione, nel rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio 
dell'interessato, comporta la inconferibilit� di qualsivoglia incarico 
di cui al presente decreto per un periodo di cinque anni. 


Il successivo articolo 21 prevede che, ai soli fini dell'applicazione dei di



vieti di cui al comma 16-ter dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 
2001, n. 165, e successive modificazioni, sono considerati dipendenti delle 
pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di 
cui al decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l'amministrazione, 
l'ente pubblico o l'ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto 
di lavoro, subordinato o autonomo e che detti divieti si applicano a far 
data dalla cessazione dell'incarico. 

Infine, l�articolo 22 disciplina la prevalenza su diverse disposizioni in 
materia di inconferibilit� e incompatibilit�, prevedendo che: 

� le disposizioni del decreto recano norme di attuazione degli articoli 54 e 
97 della Costituzione e prevalgono sulle diverse disposizioni di legge regionale, 
in materia di inconferibilit� e incompatibilit� di incarichi presso le pubbliche 
amministrazioni, gli enti pubblici e presso gli enti privati in controllo pubblico; 
� sono in ogni caso fatte salve le disposizioni della legge 20 luglio 2004, 
n. 215; 
� le disposizioni di cui agli articoli 9 e 12 del decreto non si applicano 
agli incarichi presso le societ� che emettono strumenti finanziari quotati in 
mercati regolamentati e agli incarichi presso le loro controllate. 



contributi di dottrina
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
L�atto presupposto nel diritto tributario 


Lorenzo D�Ascia* 

SOMMARIO: 1. L�art. 19, d. lgs. n. 546/1992 nel sistema del processo tributario: la separata 
impugnazione degli atti solo per vizi propri - 2. Atti presupposti generali - 2.1 La disapplicazione 
- 2.2 Il doppio binario della disapplicazione del giudice tributario e della tutela 
del giudice amministrativo - 2.3 L�illegittimit� derivata per vizio dell�atto presupposto generale 

- 2.4 Limiti al potere di disapplicazione - 2.5 Configurabilit� di un potere di disapplicazione 
d�ufficio - 2.6 Principio del contraddittorio - 3. Atti presupposti particolari - 3.1 L�illegittimit� 
derivata dal vizio dell�atto presupposto particolare - 3.2 La presupposizione impropria o �attenuata�. 
I motivi dell�annullamento dell�atto presupposto: vizi di forma o vizi sostanziali 


3.3 Sanabilit� della mancata o irrituale notifica dell�atto presupposto - 4. Vicende dell�atto 
presupposto e riflessi sull�atto conseguenziale - 4.1 Atto presupposto inoppugnabile - 4.2 Atto 
presupposto impugnato - 4.3 Atto presupposto ritenuto legittimo con sentenza passata in giudicato 
- 4.4 Atto presupposto ritenuto illegittimo con sentenza (anche non passata in giudicato) 

- 5. La sospensione del processo avente ad oggetto l�atto conseguenziale: problemi sull�applicaizone 
dell�art. 295, c.p.c. - 5.1 La sospensione nel processo tributario - 5.2 Casi di presupposizione 
in cui non si pu� dar luogo alla sospensione ex art. 295, c.p.c. - 5.3 Ricadute del 
giudicato pregiudiziale nel giudizio sospeso - 6. Conflitto di giudicati. La revocazione ex art. 
395, c.p.c. e l�effetto espansivo esterno ex art. 336, c.p.c. - 7. Il potere/dovere di autotutela. 

1. L�art. 19, d. lgs. n. 546/1992 nel sistema del processo tributario: la separata 
impugnazione degli atti solo per vizi propri. 

Il tema dei vizi dell�atto presupposto impone preliminarmente di operare 
una differenziazione delle diverse ipotesi di presupposizione che possono pre


(*) Avvocato dello Stato. 

Il presente studio costituisce la relazione dell�Autore al Seminario - tenutosi presso l�Aula Magna 
della Corte Suprema di Cassazione il giorno 13 novembre 2012 - sul tema �I vizi dell�atto impositivo 
tra contenuto e procedimento�. 


sentarsi all�esame dell�operatore, con peculiarit� tali da incidere sulla disciplina 
sostanziale e processuale. 

Dando alla nozione il significato pi� ampio possibile, � possibile distinguere 
tre tipi di presupposizione: 

a) atti prodromici che si collocano all�interno del procedimento impositivo, 
e che sono strumentali all�emanazione dell�atto finale: hanno natura infraprocedimentale 
e non sono impugnabili autonomamente. Essi incidono sulla 
validit� dell�atto impositivo finale, che potr� essere impugnato deducendo i 
vizi di tali atti preparatori. 

Sono ad esempio gli ordini di servizio, l�autorizzazione del procuratore 
della Repubblica a una perquisizione, o altri atti istruttori funzionali all�acquisizione 
delle prove. 

Per alcuni di essi, peraltro, si configura una immediata, autonoma lesivit�, 
suscettibile di tutela dinanzi al giudice ordinario per violazione dei diritti soggettivi 
del destinatario (ad esempio la lesione della libert� d�impresa dell�imprenditore 
o il diritto alla privacy di un contribuente soggetti a una ispezione 

o un accesso). 

Secondo Cass., SS.UU., n. 6315/09 si tratta di atti plurilesivi che, al di l� 
della loro rilevanza fiscale che potr� dar luogo a un sindacato giurisdizionale 
dinanzi al giudice tributario solo quando verr� adottato il provvedimento impositivo 
finale, potrebbero ledere anche diritti soggettivi non tributari del contribuente. 
Per la tutela di questi ultimi, pi� che configurare un interesse 
legittimo al corretto esercizio della potest� pubblica che incide su libert�, deve 
parlarsi di diritti soggettivi, con giurisdizione del giudice ordinario per la verifica 
della sussistenza dei presupposti di legge per la loro adozione. 

b) atti presupposti in senso �proprio�: sono gli atti, con dignit� provvedi-
mentale autonoma, che costituiscono per� il presupposto indefettibile di altri 
provvedimenti. 

Gli atti ad essi conseguenziali si caratterizzano per non poter essere 
emessi se non preceduti dall�atto presupposto, e dal fatto che l�esistenza stessa 
dell�atto presupposto � condizione della loro esistenza. 

Possono essere: 

* atti generali: ad esempio il regolamento sugli studi di settore, il D.P.C.M. 
sui parametri del 29 gennaio 1996; le delibere comunali sulle tariffe TARSU, 
i decreti ministeriali contenenti l�elenco dei Paesi a fiscalit� privilegiata (c.d. 
black list); le delibere comunali sulle aliquote Ici o Imu; 
* atti particolari: ad esempio quelli che si situano nella sequenza �accertamento 
- cartella - avviso di mora�; il provvedimento di diniego o di disconoscimento 
di un�agevolazione o di una esenzione rispetto al conseguente 
provvedimento di diniego del rimborso; il diniego o la revoca dell�iscrizione 
di un�associazione all�anagrafe delle Onlus rispetto al conseguente provvedimento 
di disconoscimento delle relative agevolazioni; l�avviso di accertamento 



rispetto al provvedimento di fermo del pagamento di rimborso Iva. 

Per questi atti presupposti occorre distinguere tra quelli da impugnare separatamente 
(in ossequio al principio generale sancito dall�art. 19, d. lgs. n. 
546/1992) e atti in cui � possibile la cognizione incidentale dei vizi dell�atto presupposto 
da parte del giudice investito del sindacato dell�atto conseguenziale. 

L�art. 19, d. lgs. n. 546/1992 stabilisce che ogni atto pu� essere impugnato 
solo per vizi propri, il che comporta che nessun atto pu� essere disapplicato 
nell�ambito di un giudizio relativo ad un altro atto. Se � vero che, in linea di 
massima, il giudice tributario dispone di ampi poteri di cognizione incidentale 

-con le sole eccezioni delle questioni in materia di querela di falso o di stato 
e capacit� delle persone (art. 2, comma 3, d. lgs. n. 546/1992) -, l�art. 19 
esclude per� che questo potere di cognizione incidentale si estenda ai vizi e 
alla illegittimit� di provvedimenti diversi, ancorch� presupposti. 

Fanno eccezione i soli atti regolamentari e generali, per i quali l�art. 7, d. lgs. 

n. 546/1992 d� al giudice tributario un potere di disapplicazione, ferma restando 
la possibilit� di impugnarli in via principale davanti al giudice amministrativo. 

c) atti con presupposizione in senso improprio o �attenuata� (v. infra � 
3.2). � il caso di: 

-atti conseguenziali che possono anche non essere preceduti dall�atto presupposto: 
sono atti cio� che presuppongono l�accertamento di una circostanza 
di fatto che � riportata, di norma, ma non necessariamente, in un atto che li 
precede. Possono per� anche essere emessi del tutto indipendentemente da 
detti atti (l�avviso di accertamento del maggior reddito e il separato atto di 
contestazione; il provvedimento di diniego o disconoscimento di un�agevolazione 
o di una esenzione (art. 19, lettera h), d. lgs. n. 546/1992) e il provvedimento 
di diniego del rimborso (art. 19, lettera g), d. lgs. n. 546/1992). 
-atti distinti che in realt� fanno capo a un rapporto unico (socio - societ� 
di persone: Cass., SS.UU., n.14815/2008 parla di pregiudizialit� secundum 
eventum litis) che possono essere impugnati in maniera separata, ancorch� con 
riunione obbligatoria, e in ogni caso garantendo il litisconsorzio necessario. 
Il litisconsorzio necessario non opera invece per il rapporto di presupposizione 
tra accertamento nei confronti di societ� di capitali a ristretta base azionaria e 
accertamento conseguenziale nei confronti dei soci (per i quali pure si presume 
la distribuzione degli utili extrabilancio). 


2. Atti presupposti generali. 

2.1 La disapplicazione. 

L�art. 7, d. lgs. n. 546/1992 conferisce al giudice tributario il potere di disapplicazione 
dei regolamenti e degli atti generali. 

Nel diritto amministrativo una delle differenze tra regolamenti e atti generali 
� costituita dalla impossibilit� di disapplicazione di questi ultimi da parte 
del giudice amministrativo (dinanzi al quale � ammessa la disapplicazione dei 


soli atti regolamentari), ci� in quanto uno dei principi del diritto amministrativo 
� quello dell�inoppugnabilit�. 

Lo stesso non vale per il giudice tributario che detiene poteri di disapplicazione 
incidentale anche degli atti generali. 

Casi pi� ricorrenti sono le delibere comunali che regolano l�applicazione 
della tassa sui rifiuti, spesso impugnato, forse anche perch� si tratta di un atto 
generale per il quale, in deroga alla legge n. 241/1990 (art. 3, comma 2), � prescritto 
l�obbligo di motivazione (art. 69, d. lgs. n. 507/1993). 

Ma vi sono anche i decreti ministeriali su parametri e studi di settore, il 
decreto ministeriale che individua l�elenco dei Paesi a regime fiscale privilegiato 
(c.d. black list), le delibere comunali che fissano l�aliquota Ici o Imu. 

2.2 Il doppio binario della disapplicazione del giudice tributario e della tutela 
del giudice amministrativo. 

Quella del processo tributario � un tipo di disapplicazione particolare, che 
desta qualche perplessit� nella misura in cui la situazione giuridica soggettiva 
fatta valere dinanzi sia al giudice amministrativo che al giudice tributario � 
sempre fiscale, � sempre rivolta all�atto impositivo. 

A fronte di ci�, per il solo fatto che il petitum sia diverso (annullamento 
totale, mera disapplicazione incidentale) vi � una doppia giurisdizione rimessa 
alla scelta dell�interessato. 

Normalmente i fenomeni di doppia giurisdizione si accompagnano ad atti 

o comportamenti plurilesivi, che incidano cio� su situazioni giuridiche sog


gettive eterogenee e soggette, nella loro diversit�, a giurisdizioni diverse. 
Non pare che questo avvenga nei casi in cui trova applicazione l�art. 7, 

d. lgs. n. 546/1992. 

L�atto regolamentare o generale � in astratto impugnabile dinanzi al giudice 
amministrativo, quando sia immediatamente lesivo della sfera giuridica 
del contribuente. 

La Corte di Cassazione ritiene che ai fini della disapplicazione non importa 
se tale impugnazione non sia avvenuta e l�atto regolamentare o generale 
sia divenuto inoppugnabile. 

L�inoppugnabilit� presuppone la impugnabilit�, dunque il fatto che l�atto 
avesse una immediata portata lesiva della posizione del contribuente. 

Tale pu� essere, ad esempio, la delibera comunale che aumenta le tariffe 
Tarsu o le aliquote Ici o Imu (non anche, probabilmente, le norme sugli studi 
di settore, o gli elenchi dei Paesi a fiscalit� privilegiata): si � al cospetto di de-
libere immediatamente lesive e dunque, per questo, subito impugnabili con ricorso 
al giudice amministrativo. 

Se il contribuente non impugna questi atti generali o regolamentari, pu� 
poi chiederne la disapplicazione quando l�Amministrazione titolare del potere 
impositivo li applica nei suoi confronti. 


Ma siamo veramente al cospetto di una cognizione meramente incidentale 
che non aggira il principio dei termini di decadenza? 

Tutto sommato la situazione giuridica soggettiva fatta valere � sempre la 
stessa, ed � volta a evitare una maggiore imposizione. La ripartizione della 
giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice tributario non esclude che 
comunque ogni atto debba essere impugnato, a pena di decadenza, entro un 
termine. �, pare, proprio questo il motivo per cui la giurisprudenza amministrativa 
ha escluso la disapplicazione dell�atto amministrativo nel giudizio amministrativo, 
fatta eccezione per i regolamenti, per i quali opera (anche) il 
principio della gerarchia delle fonti. 

Viene dunque da pensare che il potere di disapplicazione dovrebbe forse 
operare solo quando l�atto generale produca effetti che incidentalmente investano 
la causa principale, non quando l�atto generale costituisca il presupposto 
dell�atto impositivo e sia esso stesso gi� lesivo della posizione soggettiva del 
contribuente. 

2.3 L�illegittimit� derivata per vizio dell�atto presupposto generale. 

Da un punto di vista sostanziale, il vizio dell�atto presupposto pu� integrare 
una ipotesi di illegittimit� derivata, dal momento che il giudice tributario 
pu� disapplicarlo e rilevare l�illegittimit� dell�atto conseguenziale. Questo effetto 
derivato dovrebbe operare, indistintamente, sia per vizi formali (es. decreto 
ministeriale emesso senza il previo parere del consiglio di stato) sia per 
vizi sostanziali (cattivo esercizio della discrezionalit�). 

Occorre per� verificare, caso per caso, come in concreto l�illegittimit� 
dell�atto incida sull�atto conseguenziale, o meglio, sulla generalit� degli atti 
conseguenziali. 

In primo luogo, per poter dichiarare la illegittimit� derivata dell�atto conseguenziale 
occorre che il contribuente abbia dedotto, con ricorso, il vizio 
dell�atto presupposto. 

Resta infatti fermo il principio dispositivo del processo tributario, di tal 
che, in caso di annullamento da parte del TAR dell�atto presupposto, non vi � 
una illegittimit� derivata di massa degli atti conseguenziali: � sempre necessario 
che il contribuente impugni (o abbia impugnato) nei termini l�atto conseguenziale 
deducendo quel vizio. 

Ove il vizio sia stato dedotto occorre verificare come incide l�illegittimit� 
dell�atto presupposto. 

Ad esempio, in caso di decreto illegittimo che preveda uno studio di settore, 
il suo annullamento (o la sua disapplicazione) dovrebbe determinare il 
venir meno della presunzione semplice del reddito. 

Ne deriverebbe, seguendo una impostazione pi� formalistica, l�illegittimit� 
ex se dell�accertamento che si � limitato a valutare negativamente le prove 
contrarie fornite nel contraddittorio dal contribuente senza fornire elementi 


probatori costitutivi della pretesa tributaria e a monte del maggior reddito. 

Per altro verso si potrebbe ritenere che, una volta introdotto il giudizio di 
merito, essendo quello tributario un giudizio sul rapporto, si verificherebbe la 
semplice inversione dell�onere della prova a carico dell�Amministrazione, che 
per� a rigore non potrebbe presentare nuovi elementi probatori non contenuti 
nella motivazione dell�accertamento. 

Occorre quindi distinguere se l�accertamento si basasse esclusivamente 
sullo scostamento del reddito dichiarato dal reddito desumibile dallo studio di 
settore, o se tenesse conto comunque di altri elementi indiziari ad abundantiam 
(in questo secondo caso il giudizio dovrebbe proseguire sul rapporto). 

Lo stesso dovrebbe dirsi se ad essere annullato o disapplicato � il decreto 
contenente l�elenco dei Paesi a fiscalit� privilegiata, nel giudizio nel quale si 
discuta della effettiva residenza del contribuente, ritenuto evasore totale per 
non aver fornito la prova prescritta. 

Se invece viene annullata o disapplicata una delibera tariffaria o un�aliquota, 
verosimilmente trova applicazione la precedente delibera e dunque le 
precedenti tariffe, senza possibilit� per il giudice tributario di sostituirsi al-
l�amministrazione nella determinazione delle tariffe. Per le delibere tariffarie 
sui rifiuti v. Cass., n. 16937/2007 ma anche Cass., n. 9415/2005, dove si precisa 
che, accertata la contrariet� di un regolamento comunale a una previsione 
normativa, il giudice deve limitarsi a disapplicarlo e verificare la legittimit� 
dell�atto impositivo alla luce della normativa vigente e applicabile. 

2.4 Limiti al potere di disapplicazione. 

La Corte di Cassazione ha affermato che il potere di disapplicazione sia 
esercitabile anche quando l�atto � divenuto inoppugnabile, con l�unico limite 
del giudicato amministrativo, che s�impone al giudice tributario in modo diverso 
a seconda che sia: 

a) confermativo della legittimit� dell�atto presupposto: il giudicato vincola 
il giudice tributario solo se la decisione del giudice amministrativo � stata 
resa nel contraddittorio tra le stesse parti (Cass., SS.UU. n. 8277/2008); 

b) di annullamento dell�atto presupposto: il giudicato vincola sempre il 
giudice tributario visto che l�annullamento opera ex tunc ed erga omnes, dunque 
non � necessario il contraddittorio con il contribuente che se ne avvantaggia. 

Per il resto, il giudice tributario pu� disinteressarsi dell�esito del giudizio 
amministrativo, e in particolare: 

-non � tenuto a sospendere il giudizio tributario ex art. 295, c.p.c.: per 
costante orientamento della Corte di Cassazione l�art. 295 non opera in questi 
casi, dal momento che il giudice tributario ha poteri di disapplicazione e quindi 
di cognizione incidentale, e considerato poi che la Cassazione non ammette 
la sospensione per pregiudiziali pendenti dinanzi a giurisdizioni diverse. 
-non � vincolato dal giudicato confermativo reso con altre parti. 



Nei casi in cui il giudice tributario debba attenersi al giudicato amministrativo 
(ossia nelle ipotesi appena descritte sub a) e b), se il giudicato interviene 
nel corso del giudizio, questo sar� effettivamente vincolante per lui. 

Cosa succede se il giudicato sull�atto presupposto interviene invece dopo 
la decisione sull�atto conseguenziale? Come si risolve l�eventuale conflitto tra 
giudicati? 

Il giudicato amministrativo successivo non dovrebbe poter incidere su situazioni 
ormai definite con sentenza passata in giudicato (n� peraltro divenute 
inoppugnabili per mancata impugnazione). 

In particolare, il giudicato di annullamento dell�atto regolamentare o generale 
non fa venir meno quello del giudice tributario in cui sia stata dichiarata 
(incidenter tantum) la legittimit� degli stessi: il giudicato di annullamento si 
comporterebbe insomma come le decisioni della Corte Costituzionale che operano 
ex tunc ma non incidono sulle situazioni ormai consolidate per essersi il 
relativo rapporto esaurito. 

Dunque � possibile avere, teoricamente, soluzioni diverse per cause aventi 
ad oggetto atti conseguenziali rispetto al medesimo atto presupposto, oggetto 
di una causa pregiudiziale, ove dette cause siano incardinate in momenti diversi: 
se l�atto lesivo � stato emesso prima del giudicato amministrativo sul-
l�atto presupposto (che in teoria pu� arrivare anche anni dopo l�emanazione 
dell�atto generale presupposto), il giudice tributario pu� decidere e disapplicare 
liberamente. Se l�atto � emesso dopo, il giudice tributario deve attenersi al 
giudicato amministrativo formatosi sull�atto presupposto. 

2.5 Configurabilit� di un potere di disapplicazione d�ufficio. 

La disapplicazione non pu� ovviamente essere disposta d�ufficio dal giudice 
tributario (Cass., n. 15285/2008), ma il contenuto del ricorso va valutato 
con elasticit�, nel senso che non � necessaria una espressa formalizzazione 
della richiesta di disapplicazione, essendo sufficiente che il ricorrente deduca 
il vizio dell�atto presupposto a fondamento della impugnazione dell�atto conseguenziale. 
Occorre comunque allegare l�atto presupposto illegittimo e indicare 
i suoi vizi. 

Per i regolamenti, questo principio � mitigato dal fatto che la sua disapplicazione 
� imposta dal principio di gerarchia delle fonti e dalla regola secondo 
cui iura novit curia. 

2.6 Principio del contraddittorio. 

Secondo la Corte di Cassazione la disapplicazione non richiede il contraddittorio 
con l�autore dell�atto presupposto (Cass., n. 16937/2007: �Il sindacato 
incidenter tantum di un atto amministrativo presupposto 
dell�imposizione, finalizzato alla disapplicazione di tale atto con riflessi sulla 
legittimit� dell�atto impositivo impugnato, non pu�, infatti, comportare l�esi



genza di un contraddittorio nei confronti del soggetto autore dell�atto presupposto. 
Si consideri, d�altra parte, che, secondo una consolidata giurisprudenza 
della Corte (sentenze 18541/03; 139, 181, 12598, 17934 del 2004) il processo 
tributario non consente l�intervento adesivo dipendente e, in generale, la partecipazione 
di soggetti che non siano parti del rapporto tributario, essendovi 
ammessi soltanto i soggetti che hanno partecipato direttamente all�emissione 
dell�atto impositivo o che ne sono diretti destinatari� ). 

3. Atti presupposti particolari. 

3.1 L�illegittimit� derivata dal vizio dell�atto presupposto particolare. 

L�illegittimit� derivata opera in modo diverso a seconda che si tratti di: 

a) illegittimit� di atto prodromico: questa comporta l�illegittimit� derivata 
dell�atto impositivo finale. Si tratta di una illegittimit� viziante, occorre sempre 
impugnare l�atto finale; 

b) atti presupposti: non si pu� parlare in questo caso di illegittimit� derivata: 
nel diritto tributario il vizio dell�atto presupposto particolare non contagia 
l�atto finale: anche in presenza di un collegamento funzionale tra gli atti, gli 
stessi, ai sensi dell�art. 19, d. lgs. n. 546/1992, sono caratterizzati da una particolare 
autonomia, che comporta: 

- il consolidamento degli effetti in caso di mancata tempestiva impugnazione; 

-la impugnabilit� limitata ai soli vizi propri dell�atto. 
Fanno eccezione, come visto, gli atti regolamentari e generali che possono 
essere disapplicati nel giudizio relativo all�atto particolare. 

Il riflesso viziante delle vicende dell�atto presupposto sull�atto conseguente 
pu� essere duplice: 

* l�atto presupposto manchi del tutto (ex art. 19, comma 3): non si � al 
cospetto di una illegittimit� derivata dell�atto conseguenziale, ma di una sua 
illegittimit� propria. 

L�atto conseguenziale � nullo per situarsi nella sequenza procedimentale 
senza il suo antecedente necessario. � un vizio di illegittimit� del solo atto immediatamente 
successivo e conseguenziale: ai sensi dell�art. 19 la mancata 
notifica dell�atto presupposto deve comunque essere fatta valere censurando, 
nei termini, l�atto conseguenziale. 

Per cui, se non si impugna l�atto immediatamente successivo nella sequenza, 
ancorch� viziato per la mancanza dell�atto presupposto, tale vizio non 
potr� pi� essere fatto valere impugnando l�atto ancora successivo, parte della 
medesima sequenza. 

La mancanza dell�atto presupposto inficia di invalidit� solo l�atto immediatamente 
successivo, e non quello che viene ancora dopo; su questo si veda infra � 4. 

Dal punto di vista della mediazione, l�art. 17-bis, d. lgs. n. 546/1992 (introdotto 
dal d. lgs. n. 28/2010) la limita agli atti emessi dall�Agenzia delle entrate, 
sono dunque esclusi gli atti del concessionario, come la cartella di 


pagamento. Ma se la impugnazione, ad esempio, della cartella di pagamento 
si fonda sul vizio dell�atto presupposto emesso dall�Agenzia delle entrate 
(come la mancata notifica dell�avviso di accertamento), a rigore dovrebbe 
prima procedersi alla mediazione. 

** l�atto presupposto venga a mancare (per annullamento giurisdizionale 
dello stesso): nella sequenza procedimentale il segmento precedente, che costituisce 
titolo per il segmento successivo, viene meno. 

Questa circostanza non pu� non influire sull�atto conseguenziale, sia pure 
in via sopravvenuta. L�illegittimit� sopravvenuta dell�atto conseguenziale, ove 
non impugnato (perch� privo di vizi propri), e magari inoppugnabile, deve essere 
fatta valere con istanza di autotutela, su cui si torner� infra � 7. 

In particolare nel rapporto tra accertamento e riscossione, se viene impugnato 
l�accertamento e non la riscossione, e l�accertamento viene annullato, 
deve cadere anche la riscossione, anche senza bisogno del passaggio in giudicato 
di annullamento dell�accertamento (arg. ex art. 68, comma 2, d. lgs. 
546/1992; v. anche Cass., n. 10436/2003). 

3.2 La presupposizione impropria o �attenuata�. I motivi dell�annullamento 
dell�atto presupposto: vizi di forma o vizi sostanziali. 

Nella sequenza ordinaria �accertamento - cartella - avviso di mora� vi � 
un rapporto di dipendenza assoluta: qualunque sia il motivo (formale o sostanziale) 
che fa cadere l�atto presupposto, cadr� anche l�atto conseguenziale. 

Lo stesso vale in altri casi di presupposizione: mancata iscrizione a onlus 
/ diniego di agevolazioni; attribuzione rendita catastale / avviso di accertamento 
imposta di registro o ici. 

Ma non � sempre cos�. 

Si pensi al rapporto atto di accertamento / atto di contestazione per il medesimo 
periodo d�imposta, o ancora il diniego del diritto a una esenzione e il 
diniego di rimborso: se il primo cade per un vizio di forma, ci� non vuol dire 
che il secondo sia ugualmente illegittimo, avendo comunque una sua autonomia 
e non avendo bisogno del primo per esistere. 

Lo stesso, come visto, vale per la presupposizione tra atti relativi alla societ� 
di persone e atti che accertano, in via derivata, il maggior reddito da partecipazione 
del socio. 

Sono atti con presupposizione attenuata (socio/societ�): fanno capo a un 
rapporto plurisoggettivo unitario, ma in realt� ogni atto ha una sua autonomia 
sostanziale (oltre che processuale, ex art. 19 cit.) e investe soggetti diversi. 
Quindi s�impongono il litisconsorzio necessario, la riunione obbligatoria dei 
giudizi incardinati separatamente, ma non la sospensione necessaria del giudizio 
sulla posizione del socio, visto che il giudicato sull�atto presupposto non 
� opponibile a chi non � stato parte del giudizio sulla societ�. 

L�atto dei soci presuppone quello della societ�, ma quest�ultimo non co



stituisce condizione necessaria per l�emanazione del primo: l�atto del socio 
deve comunque contenere una sua autonoma motivazione. 

Per cui se manca l�accertamento nei confronti della societ� (o se questo 
viene annullato, o, ancora, se la societ� si estingue per cancellazione prima 
della notifica dell�accertamento che la riguarda), l�atto impositivo nei confronti 
del socio non � di per s� illegittimo o caducato. 

In particolare, se l�accertamento nei confronti della societ� viene dichiarato 
illegittimo per motivi di forma, questo non vuol dire che la ripresa fiscale 
non sia sostanzialmente corretta e quindi l�atto del socio sia illegittimo. Del 
pari, se il socio contesta la sua percentuale di partecipazione alla societ�, la 
conferma della legittimit� dell�accertamento verso la societ� non significa necessariamente 
la legittimit� dell�accertamento nei confronti del socio (cui l�accertamento 
della societ� sia opponibile). 

Per questi atti non vi � quindi un rapporto di presupposizione assoluta. 

3.3 Sanabilit� della mancata o irrituale notifica dell�atto presupposto. 

La Corte di Cassazione ha chiarito, in ordine all�applicazione dell�art. 19, 

d. lgs. n. 546/1992, che l�omessa notifica (o anche la nullit� della stessa) dell�atto 
presupposto determina sempre la nullit� dell�atto conseguenziale, e non rimette 
semplicemente in termini il contribuente per impugnare l�atto presupposto. 

Secondo Cass., SS.UU., n. 16412/2007, in caso di mancata o irrituale notifica 
dell�atto presupposto, l�atto conseguenziale � nullo, e il contribuente pu� scegliere: 

-se impugnare solo l�atto conseguenziale e ottenerne l�annullamento; 

- o impugnare anche l�atto presupposto: ove voglia far accertare nel merito 
la illegittimit� della pretesa, e sempre che vi abbia interesse (ad esempio quando 
l�amministrazione � ancora in termini per reiterare l�atto, o quando si tratti di 
atto concernente pi� periodi d�imposta, e puntando a un giudicato esterno). 

La Suprema Corte precisa che il giudice tributario deve interpretare la domanda 
e capire quale sia la scelta del contribuente: nel caso di doppia impugnazione 
si potrebbe anche arrivare a una conferma della legittimit� dell�atto presupposto. 

La facolt� data al contribuente serve a risolvere subito e scongiurare nuovi 
contenziosi tributari, ma in questo modo, sembra dire la Cassazione, il contribuente 
rinuncia al motivo di doglianza del mancato rispetto della corretta sequenza 
procedimentale: la scelta, dice la Corte, � tra �impugnare il solo atto 
successivo (notificatogli) facendo valere il vizio derivante dall�omessa notifica 
dell�atto presupposto - che costituisce vizio procedurale per interruzione della 
sequenza procedimentale caratterizzante l�azione impositiva e predisposta 
dalla legge a garanzia dei diritti del contribuente (e per questo vincolante per 
l�amministrazione, ma disponibile da parte del garantito mediante l�esercizio 
dell�impugnazione cumulativa) -, oppure impugnare con l�atto conseguenziale 
anche l�atto presupposto (non notificato) facendo valere i vizi che inficiano 
quest�ultimo e contestando alla radice il debito tributario reclamato nei suoi 


confronti�. E ancora Cass., n. 9873/2011 ritiene che l�impugnazione congiunta 
dell�atto presupposto sani la nullit� della notifica dello stesso. 

La scelta del contribuente, tra limitarsi a chiedere l�annullamento dell�atto 
conseguenziale o sanare questo vizio e chiedere l�annullamento dell�atto presupposto, 
pu� essere dettata da varie considerazioni. 

La soluzione pi� cauta, a rigore, dovrebbe essere quella di impugnare la 
cartella da sola e in subordine anche l�accertamento. 

Pu� tuttavia essere pi� conveniente per il contribuente impugnare direttamente 
il solo accertamento (sanando il vizio della mancata notifica): quando 
l�accertamento � mal motivato o presenta vizi di forma, l�Amministrazione � 
ancora in termini per emanarlo ed il contribuente spera che il mancato esercizio 
tempestivo dell�autotutela sostitutiva porti ad un annullamento dell�atto di accertamento 
quando i termini per riemanarlo siano ormai scaduti. In questo senso 
la mediazione � uno strumento posto anche nell�interesse dell�Amministrazione 
per verificare tempestivamente se si � ancora in tempo per riadottare il provvedimento 
emendandolo di eventuali vizi di forma o di motivazione. 

4. Vicende dell�atto presupposto e riflessi sull�atto conseguenziale. 

4.1 Atto presupposto inoppugnabile. 

In linea generale l�atto presupposto inoppugnabile mette l�atto successivo 
al sicuro sotto il profilo del rispetto della sequenza procedimentale. 

L�atto successivo sar� impugnabile solo per vizi propri. 

Non sempre � cos�. 

Nel caso di presupposizione societ�/soci, l�avviso di accertamento societario 
non impugnato dalla societ� non giustifica una riscossione diretta nei 
confronti del socio per redditi da partecipazione: occorre notificare al socio 
l�avviso di accertamento che lo riguarda. 

Cosa diversa � la riscossione della pretesa vantata solidalmente nei confronti 
della societ� e illimitatamente dei soci, dove la notifica dell�accertamento 
alla societ�, non impugnato, giustifica, senza necessit� di ulteriori 
notifiche dello stesso ai soci, l�iscrizione a ruolo nei loro confronti e l�emissione 
della cartella di pagamento; i soci possono per� sempre impugnare, insieme 
con la cartella o l�avviso di mora, l�accertamento presupposto (che 
quindi per loro non � definitivo, e consente loro di avere sanzioni pi� favorevoli 
in caso di mutamenti normativi, ex art. 3, comma 3, d. lgs. n. 472/1997 


v. Cass., n. 29625/2008). 

4.2 Atto presupposto impugnato. 

Se l�atto presupposto � impugnato, e il contribuente riceve la notifica 
dell�atto conseguenziale, due sono le ipotesi: 

a) l�atto conseguenziale non ha vizi propri: non viene impugnato e si 
aspetta l�esito del giudizio sull�atto presupposto (v. supra � 3.1, lett. b)**). 


b) l�atto conseguenziale presenta vizi propri: allora viene impugnato in 
separato giudizio che, ove non possa essere riunito al primo, pone il problema 
della sospensione del processo (v. infra � 5). 

4.3 Atto presupposto ritenuto legittimo con sentenza passata in giudicato. 

Se l�atto presupposto � legittimo, l�atto conseguente non pu� ovviamente 
cadere per i vizi dell�atto presupposto. 

Nel caso di presupposizione societ�/socio, nonostante si tratti di un rapporto 
unitario, il giudicato di conferma relativo alla societ� � opponibile ai 
soci solo se sia stato rispettato il litisconsorzio necessario, altrimenti si deve 
comunque svolgere un nuovo giudizio sui vizi dell�atto relativo al socio. 

Occorre ricordare che la motivazione dell�accertamento nei confronti dei 
soci, se richiama l�accertamento della societ� lo deve allegare o riportare nel 
contenuto essenziale (secondo Cass., n. 14815/2008, l�accertamento societario 
va notificato unitariamente anche a tutti i soci; afferma Cass., n. 8166/2011 
che � sufficiente l�accertamento dei soci riporti in motivazione gli elementi su 
cui si fonda l�accertamento nei confronti della societ�). 

La motivazione della sentenza sul socio pu� richiamare la sentenza confermativa 
dell�atto presupposto sulla societ� solo se costituisce un giudicato 
formatosi tra le stesse parti, o altrimenti (nel caso di violazione della regola 
sul litisconsorzio necessario) pu� riprodurne la motivazione e farla propria 
(Cass., n. 14815/2008). Per quest�ultima ipotesi, peraltro, la Cassazione ha 
puntualizzato che, violando le regole del contraddittorio, se si conclude il giudizio 
nei confronti della societ� o di alcuni soci, il giudicato sfavorevole non 
� opponibile (per i limiti soggettivi dell�art. 2909, c.c.) al socio estraneo per 
quel che riguarda la sua posizione. Tale giudicato non � per� tamquam non 
esset e integra un documento che il giudice deve valutare sia pure senza una 
mera motivazione per relationem (Cass., n. 11459/2009). 

4.4 Atto presupposto ritenuto illegittimo con sentenza (anche non passata in 
giudicato). 

La sentenza che annulla l�atto presupposto, in teoria, fa cadere l�atto conseguenziale. 


Non vi � bisogno di un giudicato, anche se, a rigore, il giudice dell�atto 
conseguenziale deve sospendere ex art. 295, c.p.c. e aspettare il passaggio in 
giudicato della sentenza che ha annullato l�atto presupposto. 

Ad ogni modo ai fini della (caducazione della) riscossione non � necessario 
il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell�accertamento, 
visto l�art. 68, d. lgs. 546/1992. 

* Il giudicato di annullamento dell�atto presupposto � opponibile all�amministrazione, 
anche se reso nei confronti di un�Amministrazioni diversa 
(quindi anche superando l�art. 2909, c.c.). 


Ad esempio, nel rapporto tra gli atti di attribuzione della rendita catastale (impugnati 
al giudice tributario contro l�Agenzia del territorio) e i conseguenziali atti 
impositivi (registro/Agenzia delle entrate; ici-imu/comune), la Cassazione ritiene 
che il giudicato si estenda anche al terzo comune o all�Agenzia delle entrate che 
non siano stati parti del giudizio presupposto, essendo la loro una posizione dipendente, 
e senza che vi sia un litisconsorzio necessario nel giudizio presupposto. 

La dottrina al riguardo ha manifestato qualche perplessit�, soprattutto per 
la posizione del comune che in astratto potrebbe essere legittimato a impugnare 
la insufficiente rendita catastale, visto che influisce sul gettito fiscale a 
suo favore, e quindi dovrebbe poter prendere parte al giudizio sulla rendita, e 
non subirlo da estraneo. 

La possibilit� di una interferenza tra giudicati porta a ritenere possibile 
la sospensione ex art. 295, c.p.c. anche se le parti sono diverse. 

** Nei rapporti societ�/socio la sentenza n. 14815/08 stabilisce che il socio 
estraneo pu� avvantaggiarsi del giudicato favorevole su questioni comuni formatosi 
nel giudizio con la societ� o anche con singoli altri soci (e nel caso di 
giudicato parzialmente favorevole, il socio pretermesso pu� avvantaggiarsene, 
ferma restando la possibilit� di chiedere l�annullamento totale del suo atto, 
visto che la parte sfavorevole alla societ� non � a lui opponibile ex art. 2909) 

(v. anche Cass., n. 14014/2007). 

*** Vi � per� il limite del giudicato sfavorevole o della inoppugnabilit� maturati 
nei confronti del socio estraneo: secondo Cass., n. 14011/2012 (e gi� Cass., 

n. 11469/2009) l�accoglimento del ricorso proposto da una societ� di persone, 
con conseguente annullamento dell�avviso di accertamento, esplica effetti positivi 
nei confronti dei soci che insorgano avverso la medesima violazione tributaria, 
a condizione che non si sia formato un precedente giudicato nei confronti 
dei soci o sia divenuto definitivo, per mancata impugnazione, l�accertamento 
effettuato nei confronti del socio. Quest�ultimo, infatti, non pu� invocare l�eventuale 
annullamento dell�accertamento emesso a carico della societ� per rimettere 
in discussione la definitivit� di quello che lo riguarda, poich� tale decisione � 
stata pronunciata in una causa fra parti diverse e, dunque, non � idonea a travolgere 
il giudicato o la definitivit� dell�accertamento formatosi nei suoi confronti. 

5. La sospensione del processo avente ad oggetto l�atto conseguenziale: problemi 
sull�applicazione dell�art. 295, c.p.c. 

5.1 La sospensione nel processo tributario. 

Un tema ampiamente dibattuto nel processo tributario � quello della possibilit� 
di disporre in esso la sospensione ex 295, c.p.c. 

L�art. 39 del d. lgs. n. 546/1992 ammette la sospensione in caso di querela 
di falso e per le questioni di stato e capacit�. 

La Corte di Cassazione ha per� chiarito che si pu� (e si deve) disporre la 
sospensione di cui all�art. 295, c.p.c. anche nel giudizio tributario (per effetto 


del richiamo operato dall�art. 1, d. lgs. n. 546/1992 alle norme del processo 
civile), rispetto ad un altro giudizio tributario pregiudiziale (c.d. pregiudiziale 
interna), non anche in relazione a pregiudiziali per altre giurisdizioni. 

Fanno eccezione la querela di falso e le questioni di stato e capacit�, per 
le quali � ammessa la sospensione con pregiudiziale esterna, ai sensi dell�art. 
39, d. lgs. n. 546/1992. 

Nel processo tributario, il giudice ha in generale poteri di cognizione incidentale 
(art. 2, comma 3, d. lgs. n. 546/1992), con l�eccezione dell�esame 
dei vizi degli atti presupposti, che sono - come visto - autonomamente impugnabili 
e dunque non possono essere oggetto di cognizione incidentale da parte 
del giudice, se non in casi limitati (ossia quelli in cui, ai sensi dell�art. 7, d. 
lgs. n. 546/1992, � ammessa la disapplicazione). 

Fuori dai casi di disapplicazione, quindi, il giudice tributario deve necessariamente 
sospendere ove sia contestata la legittimit� di un atto presupposto, 
impugnato (comՏ prescritto dal legislatore) in separato giudizio. 

Nel processo civile, la ratio della sospensione ex art. 295, c.p.c. � quella 
di ovviare ai casi in cui sulla questione pregiudiziale non sia possibile la riunione 
con il giudizio principale, ed eccezionalmente, in quest�ultimo, non sia 
possibile la decisione sulla questione pregiudiziale (ossia quando le parti o la 
legge impongano che questa sia decisa con effetto di cosa giudicata). 

La Corte di Cassazione non vede favorevolmente l�istituto della sospensione, 
perch� contrastante con l�art. 111, Cost., con l�art. 6, CEDU e il principio 
della durata ragionevole del processo. 

Ma nel processo tributario, dove � sempre precluso l�accertamento incidentale 
del vizio dell�atto presupposto, salva la disapplicazione dell�art. 7, la 
sospensione � imprescindibile. 

Va peraltro rilevato che secondo la Corte di Cassazione, nell�ambito del 
processo civile, la sospensione deve essere esclusa nei casi in cui sia possibile 
ricorrere all�effetto espansivo esterno del giudicato (art. 336, c.p.c.; v. infra � 
6), cio� nei casi di pregiudizialit� logica e non tecnico-giuridica, che scongiura 
il rischio di conflitto di giudicati. 

Sotto altro profilo, se non si sospende, da un lato si scongiura un processo 
troppo lungo, ma dall�altro se ne porta avanti uno inutile. La sospensione pu� allora 
essere opportuna. Non pare tuttavia che possa parlarsi, nel processo tributario, 
di sospensione facoltativa: la sospensione � un rimedio estremo (che ritarda la 
conclusione del processo) che va disposto solo quando � strettamente necessario. 

5.2 Casi di presupposizione in cui non si pu� dar luogo alla sospensione ex 
art. 295, c.p.c. 

Come detto, in linea di massima, in caso di presupposizione il giudice tributario 
deve sospendere. 

La Corte di Cassazione ha escluso alcune ipotesi di pregiudizialit�: 


a) atto presupposto generale o regolamentare: in questo caso non si pu� 
dar luogo alla sospensione sia perch� il giudice tributario dispone di poteri di 
cognizione incidentale (disapplicazione) sia perch� si tratterebbe di pregiudizialit� 
esterna con la giurisdizione del giudice amministrativo. In Cass., n. 
9673/2010 si ammette una sospensione facoltativa anche in presenza di pregiudiziale 
dinanzi al giudice amministrativo. La soluzione lascia per� perplessi 
visto che il giudice tributario ha un potere di disapplicazione, e dunque la sospensione 
non � indispensabile, come invece negli altri casi di pregiudiziale 
con un atto soggetto alla giurisdizione tributaria. 

b) presupposizione impropria societ� di persone-socio: la Corte di Cassazione 
(SS.UU. n. 14815/2008) ha escluso l�applicazione dell�art. 295, c.p.c., 
dal momento che non si tratta di giudizi in cui l�attivit� dell�amministrazione 
� realmente frazionata (es. accertamento - contestazione sanzione; rendita catastale 
- accertamento ici), ma di un unico rapporto plurisoggettivo: il rimedio 
allora � l�unitariet� necessaria del processo, perseguita con gli strumenti della 
riunione dei giudizi o comunque del litisconsorzio necessario con il socio nel 
giudizio societario. Ove patologicamente non si realizzi n� la riunione n� il 
litisconsorzio necessario, la sospensione del giudizio del socio estraneo � comunque 
inutile, ritiene la Corte di Cassazione, perch� il giudicato societario 
non � opponibile ai soci estranei. 

Per la verit� questo orientamento non tiene conto del fatto che il socio potrebbe 
trarre una utilit� dal giudicato favorevole sulla societ�, e quindi avere un 
interesse alla sospensione, che non potrebbe che giovargli: se il giudicato � favorevole 
se ne appropria e ne trae vantaggio, se � sfavorevole non gli � opponibile. 

Nel caso di societ� di capitali a ristretta base azionaria, dal momento che 
non opera il litisconsorzio necessario, deve procedersi alla sospensione ex art. 
295, c.p.c. del giudizio avente ad oggetto l�accertamento nei confronti del socio. 

c) giudizi senza identit� di parti: la Corte di Cassazione in generale ritiene 
che per la sospensione, ai sensi dell�art. 295, c.p.c., sia necessaria una identit� 
di parti tra i due giudizi, visto che poi la sospensione serve a evitare conflitto 
di giudicati. Fanno eccezione i casi in cui la Corte di Cassazione ammette 
l�estensione di giudicato anche a parti estranee al processo pregiudiziale e 
senza litisconsorzio necessario: ad esempio per gli atti di attribuzione della 
rendita catastale (impugnati dinanzi al giudice tributario contro l�Agenzia del 
Territorio) rispetto agli atti impositivi (imposta di registro/Agenzia entrate; 
Ici-Imu/comune): la decisione si estende anche al terzo comune o all�Agenzia 
delle entrate che non siano stati parti del giudizio presupposto, essendo la loro 
una posizione dipendente, e senza che vi sia un litisconsorzio necessario nel 
giudizio presupposto (v. � 4.4). 

5.3 Ricadute del giudicato pregiudiziale nel giudizio sospeso. 

Una volta decisa la causa pregiudiziale, gli effetti sono vincolanti per il 


giudice dell�atto conseguenziale: v. Cass., n. 2535/2011. 

Ma � necessario il giudicato, o � sufficiente una sentenza ancora non definitiva? 


Laddove vi � obbligo di sospensione, occorre aspettare il giudicato, cio� 
continuare a tenere sospeso il giudizio conseguente. In Cass., n. 1865/2012 si 
dice che l�accertamento pregiudiziale di una societ� a ristretta compagine sociale 
pu� estendere i suoi effetti solo se passato in giudicato; il giudice non 
pu� quindi prendere per buona la sentenza non definitiva ma deve sospendere 
ex art. 295, c.p.c. Resta fermo che, in ogni caso, l�accertamento conseguenziale 
nei confronti dei soci non � subordinato alla definitivit� dell�accertamento nei 
confronti della societ�. 

Sul punto v. anche Cass., n. 11962/2012, dove si dice che per far cadere 
il fermo non basta l�annullamento non passato giudicato dell�accertamento 
presupposto. 

Del resto se non si aspettasse il giudicato, si tratterebbe di una disapplicazione 
dell�atto presupposto (non generale o regolamentare) contraria ai limiti 
della cognizione incidentale del giudice tributario (Cass., n. 9999/2006). 

Nel caso in cui non vi sia la sospensione, le cose sono diverse. 

In Cass., n. 18122/2009 si legge che �una pronuncia del giudice amministrativo, 
soprattutto se passata in giudicato, non pu� non svolgere effetto vincolante 
nel processo tributario�. 

6. Conflitto di giudicati. La revocazione ex art. 395, c.p.c. e l�effetto espansivo 
esterno ex art. 336, c.p.c. 

La revocazione di una sentenza, ai sensi dell�art. 395, n. 5, c.p.c., richiede 
identit� di parti e di oggetto, non essendo sufficiente che uno dei due giudicati 
riguardi un antecedente logico necessario dell�altro (Cass., n. 13870/1999, e 
poi, in ambito tributario, Cass., n. 14045/11). 

Va per� aggiunto, concentrando l�attenzione sul processo tributario, che 
la Suprema Corte afferma l�operativit� del giudicato esterno, come vincolante 
per il giudice tributario, anche senza identit� di parti o di oggetto: in questi casi 
dovrebbe allora essere possibile anche la revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. 

La giurisprudenza con cui, a partire dalla nota sentenza n. 13916/2006 delle 
Sezioni Unite, la Corte di Cassazione ha affermato l�estensione del giudicato 
esterno formatosi sulle qualificazioni giuridiche o sugli altri elementi preliminari 
destinati a valere per pi� anni, dovrebbe valere anche per l�atto presupposto. 

Ma in realt� occorre distinguere: 

a) rapporto di presupposizione in senso stretto. 

� quello in cui l�atto conseguenziale non si fonda sul contenuto dell�atto 
presupposto ma sulla sua esistenza (ad esempio la cartella rispetto all�avviso 
di accertamento, il diniego agevolazione rispetto alla revoca della qualifica di 
Onlus, o il fermo del rimborso rispetto all�avviso di accertamento). 


In questo caso il rapporto di presupposizione � dato dalla necessit�, nella 
sequenza procedimentale, dell�esistenza dell�atto presupposto su cui il giudice 
dell�atto conseguenziale, peraltro, non ha alcun potere di cognizione. Ciascun 
atto � sindacabile solo per vizi propri. Qui allora non abbiamo un conflitto di 
giudicati, ma un rapporto di dipendenza dell�uno rispetto all�altro, e, pertanto, 
il rimedio � quello dell�operativit� del c.d. effetto espansivo esterno ex art. 
336, c.p.c., e non della revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. 

Nel rapporto tra giudicati �difformi� legati da rapporto di presupposizione 
non prevale il giudicato anteriore (soluzione che deriverebbe dall�applicazione 
dello strumento della revocazione), ma sempre il giudicato (anche successivo) 
formatosi sull�atto presupposto, ai sensi dell�art. 336, c.p.c. 

Si ha, quindi, sull�atto conseguenziale un giudicato formale apparente 
che cade per effetto di una decisione contrastante sull�atto presupposto. 

Peraltro, per operare l�effetto espansivo esterno, la decisione per cos� dire 
pregiudiziale pu� anche non essere ancora definitiva: l�art. 336, c.p.c. non richiede 
il formarsi del giudicato per l�effetto caducatorio sulle pronunce dipendenti 
(sul rapporto tra artt. 295, 336, comma 2 e pregiudizialit� solo logica v. 
Cass., SS.UU., n. 14060/2004; in ambito tributario, nel rapporto accerta-
mento/fermo, v. Cass., n. 11962/2012). 

b) presupposizione con giudicato amministrativo. 

Il giudicato amministrativo di annullamento di un atto presupposto regolamentare 
o generale non travolge il giudicato tributario nel quale il giudice 
tributario abbia esercitato in modo difforme il potere di disapplicazione, in via 
solo incidentale. Il giudicato non pu� toccare situazioni ormai definitive. Il 
giudicato di annullamento dell�atto regolamentare o generale non fa venir 
meno quello del giudice tributario in cui sia stata dichiarata la legittimit� del-
l�atto conseguenziale n� la inoppugnabilit� di quest�ultimo. 

La situazione � simile a quella delle decisioni della Corte Costituzionale, 
che operano ex tunc ma non incidono sulle situazioni ormai consolidate per 
essersi il relativo rapporto esaurito. 

c) presupposizione impropria tra atti comunque autonomi. 

� il caso del rapporto tra diniego di agevolazione e diniego di rimborso, 
su cui v. Cass., n. 14045/2011: la Cassazione esclude l�applicazione dell�art. 
336, c.p.c. perch� il giudice dell�atto conseguenziale ha comunque accertato 
in via incidentale, con efficacia di giudicato, il diritto all�agevolazione. L�atto 
conseguenziale non � dipendente dall�atto presupposto, perch� ha una sua autonoma 
motivazione (sia pure con un nucleo comune a quello che sostiene il 
diniego dell�agevolazione) su cui si former� un autonomo giudicato. In quel 
caso il rimborso viene negato non perch� � stata emesso il provvedimento di 
diniego dell�agevolazione con l�atto presupposto, ma perch� il rimborso non 
� dovuto. Analoga soluzione dovrebbe imporsi nel rapporto accertamento-contestazione 
sanzioni. 


Cos� stando le cose, il giudicato successivo sull�atto presupposto non travolge 
il giudicato precedente perch� non vi � un vero rapporto di dipendenza 
procedimentale, e semmai dovrebbe configurarsi una possibile applicazione 
dell�art. 395, n. 5, c.p.c. nei confronti del giudicato successivo (ancorch� formatosi 
sull�atto presupposto). 

Lo stesso dovrebbe valere nel rapporto societ� socio. 

Ma secondo la Corte di Cassazione il socio si avvantaggia del giudicato 
societario favorevole: 

-sempre: se era parte del giudizio societario: in teoria per� l�annullamento 
societario non dovrebbe travolgere l�accertamento del socio sfavorevole passato 
in giudicato ex art. 336, c.p.c. non trattandosi di pregiudizialit� in senso 
stretto ma di atti autonomi; 

-salvo giudicato o inoppugnabilit� a lui sfavorevoli: se non era parte nel 
giudizio societario. 

7. Il potere/dovere di autotutela. 

Se l�atto conseguenziale non � impugnato, ma l�atto presupposto viene 
poi annullato, si pu� chiedere all�Amministrazione di agire in autotutela. 

L�autotutela non dovrebbe operare quando l�atto conseguenziale era gi� 
censurabile per i vizi concernenti l�atto presupposto: quindi nella ipotesi di 
presupposizione con atti generali o regolamentari (dovՏ possibile invocare la 
disapplicazione) e in quella di presupposizione impropria. In questi casi il giudicato 
di annullamento sull�atto presupposto non dovrebbe travolgere l�atto 
conseguenziale, e non dovrebbe consentire di ottenere l�autotutela a fronte di 
un atto conseguenziale ormai inoppugnabile perch� non impugnato o perch� 
coperto da giudicato confermativo. 

L�autotutela dovrebbe poter operare quando invece il vizio dell�atto presupposto 
non poteva essere dedotto impugnando l�atto conseguenziale. 

Avverso il diniego di autotutela, si ricorda che si configura un interesse 
legittimo tutelato dinanzi al giudice tributario, in cui possono farsi valere solo 
vizi intrinseci del diniego, non anche quelli relativi al rapporto sostanziale sottostante 
e all�esistenza dell�obbligazione tributaria (sul punto, v. Cass., n. 
11457/2010; Cass., n. 16097/2009; Cass., SS.UU., n. 3698/2009). 

La Corte di Cassazione ammette l�impugnazione dell�autotutela con 
estensione del sindacato giurisdizionale al merito del rapporto tributario, in 
soli due casi: 

a) autotutela esercitata dall�Amministrazione nella quale si riesamini 
l�atto e lo si confermi; 

b) fatti sopravvenuti (Cass., n. 3608/2006). 


Osservazioni sul libro III, titolo I del codice del processo 
amministrativo 

Giuliano Gambardella* 

SOMMARIO: 1. Una necessaria premessa sul doppio grado di giurisdizione - 2. Le impugnazioni: 
definizione, collocazione sistematica e principi generali - 3. La disciplina delle impugnazioni 
nel nuovo codice del processo amministrativo - 4. Il nuovo articolo 98 c.p.a. e la 
disciplina delle misure cautelari dopo il d.lgs. 160/2012 - 5. Termine per impugnare: le novit� 
introdotte dal codice del processo - 6. Luogo di notificazione delle impugnazioni e deposito 

-7. Le impugnazioni incidentali ed il principio di concentrazione delle impugnazioni nel codice 
del processo amministrativo - 8. Il deferimento all�adunanza plenaria dopo i decreti legislativi 
2 luglio n. 104, d. lgs. 195/2011 e d. lgs. 160/2012. 

1. Una necessaria premessa sul doppio grado di giurisdizione. 

Nel processo amministrativo vige il principio del doppio grado di giurisdizione, 
secondo quanto previsto dagli articoli 100, 103 e 125 Cost. In applicazione 
di tali principi quindi l�appellabilit� delle sentenze dei T.a.r. trova 
fondamento nelle norme costituzionali, e precisamente nell�articolo 125 
comma 2, ma non pu� essere ignorato come, abitualmente sia in dottrina che 
in giurisprudenza amministrativa, si sia dato per scontato il postulato che la 
Carta non garantisca in maniera assoluta il doppio grado di giurisdizione. 

Merita, a tal riguardo, fare alcune precisazioni. 

La prima riguarda la domanda che dovrebbe sorgere spontaneamente, 
circa le ragioni per le quali il costituente avrebbe voluto garantire il doppio 
grado di giurisdizione solamente per la giustizia amministrativa e non anche 
per quella civile e penale, dato che, mentre questi ultimi due tipi di tutela giudiziale 
vantavano una tradizione legislativa ed applicativa di lungo corso, la 
giurisdizione amministrativa presentava contorni non ancora definiti, sia perch� 
gli interessi sottesi alla tutela giudiziaria ordinaria (civile e penale) non 
apparivano di rango deteriore rispetto alla tutela degli interessi legittimi che 
(a parte i casi di giurisdizione esclusiva) formava il contenuto storicamente 
essenziale della giustizia amministrativa, sia perch�, a parte la conservazione 
dei tradizionali organi di giustizia amministrativa (Consiglio di Stato e Corte 
dei Conti), anche per gli altri organi della giustizia amministrativa richiamati 
dall�articolo 103 cost., si era programmata una pronta revisione per bonificare 
il campo della giustizia amministrativa da ogni residuo di giurisdizioni speciali 
incompatibili con la Costituzione (VI disp. trans. e fin. Cost.). 

L�altra precisazione va fatta, invece, con riferimento al profilo sistematico, 
avuto riguardo alla topografia della Carta, dove tutte le disposizioni con


(*) Dottorando di ricerca in Diritto ammiinistrativo - Universit� degli Studi di Roma Tor Vergata. 


cernenti la Magistratura trovano collocazione sistematica nel titolo IV di omonima 
intitolazione, mentre l�articolo 125 comma 2 che viene invocato come 
base costituzionale del doppio grado della giurisdizione amministrativa rientra 
nel titolo V dedicato alle autonomie locali. Deve essere aggiunto che �di organi 
di giustizia amministrativa di primo grado�, l�art. 125 Cost. parla solamente 
nel secondo comma (oramai unico comma dopo la soppressione del primo ad 
opera della riforma costituzionale del 2001), quasi come se si trattasse di una 
disposizione di secondaria importanza rispetto alla materia trattata nel comma 
precedente, dedicato ai controlli sugli atti amministrativi degli enti pubblici 
regionali. 

La funzione del T.a.r. originariamente era infatti quella di completare il 
quadro dei controlli (sia amministrativo che giurisdizionale) sul nuovo tipo di 
atto amministrativo che di li a poco sarebbe stato emesso dal nuovo apparato 
amministrativo di secondo livello. 

Come osservato dalla dottrina pi� attenta, dovrebbe apparire inverosimile 
che una disposizione cosi innovativa in materia giurisdizionale, quale la previsione 
di un importantissimo ufficio giudiziario e l�affermazione sia pure indiretta 
ma formalmente esplicita di una garanzia costituzionale a tutela del 
doppio grado di giurisdizione fosse collocata nel titolo V della costituzione 
anzich� in quello precedente assieme a tutte le altre disposizioni costituzionali 
concernenti la materia giudiziaria. 

Diversamente, in precedenza (e cio� prima dell�entrata in vigore della 
legge n. 1034/1971 istitutiva dei T.a.r.), il Consiglio di Stato era visto come il 
fulcro dell�intero sistema della giustizia amministrativa, non gi� come mero 
organo di revisione di sentenze di altro organo di giustizia amministrativa. 

Prima dell�istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali, la giunta 
provinciale amministrativa aveva funzioni molto rilevanti, che comprendevano: 
il controllo di legittimit� e di merito (la cosiddetta "tutela") sugli atti 
della provincia, dei comuni, dei loro consorzi e delle istituzioni pubbliche di 
assistenza e beneficenza (IPAB); funzioni di giudice amministrativo per ricorsi 
contro provvedimenti amministrativi di tali enti nonch� per il contenzioso elettorale 
relativo ai loro organi. Quando la G.P.A. operava come giudice amministrativo 
sedevano nel collegio solo il prefetto, i due funzionari della carriera 
prefettizia e due dei membri eletti dal consiglio provinciale, il pi� anziano e il 
pi� giovane (era la cosiddetta sezione speciale, in contrapposizione alla sezione 
ordinaria composta da tutti i membri). Successivamente, le funzioni di giudice 
amministrativo sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale 
con sentenza n. 33 del 9-20 aprile 1968, poich� la posizione di dipendenza gerarchica 
dal Governo del prefetto e dei membri da lui designati ne pregiudicava 
l'indipendenza. Ora queste funzioni spettano al tribunale amministrativo regionale 
(TAR) istituito con legge n. 1034/1971. 

Diversi i problemi che sono emersi a seguito dell�abolizione delle Giunte 


provinciali amministrative; si citano principalmente i problemi delle decisioni 
non passate in giudicato e l�attribuzione della competenza al Consiglio di Stato 
ed al Consiglio di giustizia amministrativa. 

Con riferimento al primo si poneva in giurisprudenza il problema delle 
decisioni emesse dalle G.P.A. e non ancora passate in giudicato al momento 
della pronuncia della Corte Costituzionale. La giurisprudenza (1) ha chiarito 
che l�efficacia di tale pronuncia non poteva incidere sui giudicati. 

Passavano in giudicato, ad esempio, non solo le decisioni non pi� appellabili, 
o il cui appello fosse gi� stato definito, ma anche quelle il cui appello 
era inammissibile per difetto di legittimazione, o irricevibile per tardivit� della 
notifica del gravame; non anche i provvedimenti cautelari, con la conseguenza 
che gli interessati dovevano rinnovare l�istanza di sospensione davanti il Consiglio 
di Stato. 

Per le decisioni non coperte da giudicato si afferm� in molteplici pronunce, 
che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale, esse divenivano 
invalide (non esistenti) e che, pendendo davanti il Consiglio di Stato (o 
al Consiglio di Giustizia Amministrativa), questo doveva, anche d�ufficio annullarle. 
Ritenendosi consumato il primo grado di giurisdizione, la controversia 
veniva interamente devoluta a tale giudice, come se fosse stata a lui 
proposta in prime cure, con il conseguente obbligo di esame di tutti i motivi 
di ricorso in primo grado e quelli successivamente dedotti (2). 

Considerare l�appello pendente davanti al Consiglio di Stato (Consiglio 
di Giustizia Amministrativa), come giudizio di primo grado presupponeva logicamente 
una volont� persistente di chi aveva originariamente preposto il ricorso 
alla G.P.A., in assenza della quale nessun giudizio di primo grado poteva 
mai ipotizzarsi. 

Dibattuto � stato anche il secondo problema afferente ai limiti dell�attribuzione 
al Consiglio di Stato (ed al C.G.A.). In particolare, si pose subito il problema 
se l�attribuzione si estendesse a tutta l�area prima coperta dai cessati organi 
e cio� se la giurisdizione di questi passasse per intero o con qualche limite. 

Si escluse anzitutto che passasse la giurisdizione di merito, in quanto il 
Consiglio di Stato era giudice naturale di legittimit�, ma, per il merito, non 
poteva andare oltre i casi tassativamente attribuitigli dalla legge (3). 

(1) Consiglio di Stato, Sez. V, 21 maggio 1968 n. 691; Consiglio di Stato, Sez. V, 28 febbraio 1969 n. 
123; Consiglio di Stato, Sez. V, 28 marzo 1971 n. 220; Consiglio di Stato, Sez. V, 29 settembre 1972 n. 773; 
C.G.A., 27 ottobre 1974 n. 470; Consiglio di Stato, 25 ottobre 1975 n. 427; TAR Lombardia, 22 ottobre 1975 
n. 323. 
(2) Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24 novembre 1967 n. 15; Consiglio di Stato, Adunanza 
Plenaria, 13 febbraio 1968 n. 5; Consiglio di Stato, Sez. V, 20 febbraio 1968 nn. 96 e 98; Consiglio di 
Stato, Sez. V, 5 marzo 1968 n. 219. 
(3) Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 marzo 1969 nn. 5 e 7; Consiglio di Stato, Sez. V, 13 maggio 1969, 
n. 453; Consiglio di Stato, Sez. V, 10 ottobre 1969 n. 1039; Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 gennaio 1970 n. 
18; Consiglio di Stato, Sez. V, 24 marzo 1970, n. 300. Contra Cass. SS.UU. 24 maggio 1975 n. 2099. 



Pi� controversa fu l�esclusione della giurisdizione esclusiva, relativamente 
alla tutela dei diritti soggettivi, per i quali si profil� il dubbio che, essendo 
un�eccezione la loro sottrazione al giudice ordinario, venuta meno 
l�eccezione, ossia le norme che li avevano attribuiti ad uno speciale giudice 
amministrativo, riprendesse vigore la regola. 

La questione fu affrontata dall�Adunanza Plenaria (4), che si pronunci� 
per la reviviscenza di suddetta regola, ossia l�attribuzione al giudice ordinario 
dei ricorsi in cui si lamentasse la lesione di un diritto. 

L�orientamento fu in un primo tempo seguito dalla giurisprudenza amministrativa 
e successivamente, sotto l�influsso del deciso orientamento della Cassazione, 
la quale ripetute volte aveva dichiarato che l�intera giurisdizione delle 
G.P.A., sia per gli interessi legittimi, sia per i diritti, doveva essere assorbita 
dal Consiglio di Stato, si registrava un mutamento di indirizzo in tal senso. 

La garanzia del doppio grado di giurisdizione riguarda soltanto l�impossibilit� 
di attribuire al t.a.r. competenze giurisdizionali in un unico grado e la 
conseguente necessaria appellabilit� delle sue sentenze, non potendo l�articolo 
125 secondo comma cost. comportare l�inverso, perch� nessun�altra norma 
indica il Consiglio di Stato come giudice solo di secondo grado (5). 

Secondo Travi, la norma di cui all�art. 125 secondo comma cost. era stata 
pensata per assicurare l�istituzione di un giudice amministrativo periferico, su 
base regionale, anche come elemento di garanzia e di equilibrio dei poteri riconosciuti 
dalla Costituzione alle Regioni ed agli enti locali. Le problematiche 
afferenti al doppio grado di giurisdizione sono estranee ad una prospettiva del 
genere ed anche l�idea appunto di un giudice periferico. 

Ad avviso di chi scrive la costituzionalizzazione del doppio grado di giurisdizione 
non � da considerarsi una garanzia assoluta per il sistema della giustizia 
amministrativa; a tal proposito si citano come esempio a titolo meramente 
informativo la proposizione dei motivi aggiunti e l�opposizione di terzo. 

Con riferimento ai motivi aggiunti (6), la possibilit� di formularli in appello 
rappresenta un�eccezione sia all�effetto devolutivo, sia �al doppio grado 
di giudizio�, sia al principio di corrispondenza tra oggetto del giudizio di primo 
grado e oggetto del giudizio in appello. La soluzione per cui ha optato il legislatore 
favorevole all�ammissibilit� ha una ragione e precisamente la seguente: 
�il principio di effettivit� della tutela giurisdizionale, consentendole di essere 
pi� celere e la riduzione dei tempi processuali avviene a scapito di un unico 
grado di giudizio. In definitiva la possibilit� di presentare motivi aggiunti in 
appello costituisce non soltanto applicazione del principio di effettivit� della 

(4) Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 marzo 1969 nn. 5 e 7. 
(5) A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, VIII ed. riv. e agg., Giappichelli, Torino, 2010. 
(6) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Giuffr� editore, pag. 261, anno 
2011. 



tutela giurisdizionale, ma anche e soprattutto del principio di economicit� e 
di concentrazione del giudizio�. 

2. Le impugnazioni: definizione, collocazione sistematica e principi generali. 

Le impugnazioni sono ora disciplinate nel codice del processo amministrativo 
e precisamente nel libro III Titolo I che apre con l�articolo 91, ai sensi 
del quale: �i mezzi di impugnazione delle sentenze sono l�appello, la revocazione, 
l�opposizione di terzo ed il ricorso per cassazione per i soli motivi attinenti 
alla giurisdizione�. 

Il titolo I del libro III, oltre ai mezzi di impugnazione delle sentenze dei 
giudici amministrativi, contiene anche le disposizioni generali riguardanti i 
termini, il luogo ed il deposito, le parti del giudizio di impugnazione, le impugnazioni 
avverso la medesima sentenza (appena modificate dal terzo correttivo 
al codice del processo amministrativo), l�intervento nel giudizio di 
impugnazione, le misure cautelari ed il deferimento all�Adunanza Plenaria del 
Consiglio di Stato (7) rispettivamente disciplinati dagli articoli 92, 93, 94, 95, 
96, 97, 98 e 99 del c.p.a. 

Un breve richiamo va fatto al codice del processo amministrativo, e precisamente 
al decreto legislativo n. 160 del 2012, che da ultimo nella disciplina 
delle impugnazioni ha modificato gli articoli 96, 98, 99 c.p.a. 

Pi� nel dettaglio, all�articolo 96 viene modificato il termine di deposito 
dell�appello incidentale ex art. 334 c.p.c.. In luogo del termine di 10 giorni, 
viene previsto un termine di 30 giorni; all�articolo 97 in luogo dell�applicazione 
dei soli artt. 55, 56 e 57 al procedimento finalizzato alla concessione 
delle misure cautelari appena menzionate, si prevede l�applicabilit� di tutto il 
titolo II (procedimento cautelare) del libro II, in quanto applicabile mentre all�articolo 
99 viene contemplata la possibilit�, per la Plenaria, di dissentire in 
ordine alla importanza della questione e di restituire gli atti alla Sezione che 
ha disposto il rinvio. 

Quanto ai principi generali delle impugnazioni, � opportuno segnalare 
che con il codice del processo amministrativo, essi sono stati finalmente codificati, 
in quanto prima erano stati riconosciuti solamente dalla giurisprudenza. 

Trovano applicazione nel processo amministrativo in particolare il prin


(7) Il sistema delle impugnazioni prima dell�entrata in vigore del Codice del processo amministrativo 
� stato oggetto di specifiche disposizioni da parte dell�articolo 44 della legge n. 69/2009 che, tra i 
principi ed i criteri direttivi del riassetto della disciplina processuale amministrativa, ha ricompreso anche 
quello relativo al riordino del sistema delle impugnazioni (comma 2 lett. g da attuarsi individuando sia le 
disposizioni applicabili, mediante rinvio a quelle del processo di primo grado, sia disciplinando la concentrazione 
delle impugnazioni, l�effetto devolutivo dell�appello, la proposizione di nuove domande, 
prove ed eccezioni). A tal fine il legislatore delegato, ispirandosi alle previsioni del codice di procedura 
civile, ha voluto soddisfare l�esigenza di offrire una disciplina positiva ad istituti frutto della pi� autorevole 
giurisprudenza amministrativa, cercando di creare un sistema organico di disposizioni in grado di colmare 
le lacune ed i dubbi interpretativi che hanno caratterizzato la precedente disciplina sulle impugnazioni. 


cipio di tipicit� delle impugnazioni, il principio della soccombenza, unitamente 
alle altre condizioni dell�azione impugnatoria, il principio di concentrazione 
delle impugnazioni, l�effetto devolutivo ed i limiti dello jus novorum, l�effetto 
traslativo, l�effetto conservativo, l�effetto espansivo della pronuncia in sede 
di impugnazione, alcuni di questi gi� previsti e disciplinati nel codice di procedura 
civile, come vedremo. 

Per completezza � opportuno analizzarli singolarmente partendo dal noto 
principio della soccombenza che � presupposto dell�interesse ad impugnare. 
Merita precisare che la sua configurabilit� risulta pacifica solo in alcune ipotesi 
che in questa sede � il caso di richiamare. 

Un esempio � quello del ricorrente, rispetto alla sentenza che ha dichiarato 
infondato il suo ricorso, oppure del controinteressato, rispetto alla sentenza di 
accoglimento del ricorso avversario. In altre ipotesi invece la configurabilit� 
ed i caratteri della soccombenza appaiono pi� opinabili: � il caso del ricorrente 
che in primo grado abbia visto accolto il proprio ricorso (con conseguente annullamento 
del provvedimento impugnato) per alcune soltanto delle censure 
proposte, mentre le altre censure sono state dichiarate infondate. 

La giurisprudenza pi� recente in questo caso considera nella ipotesi pro-
spettata ammissibile l�appello della parte vittoriosa in primo grado, se tale parte 
pu� conseguire dall�eventuale accoglimento delle censure respinte dal Tar un 
vantaggio ulteriore (si pensi in proposito ai diversi effetti che derivano per il 
ricorrente, dall�accoglimento del ricorso per vizi di legittimit� solo formale). 
CՏ infine una parte della giurisprudenza che ammette, in deroga al principio 
della soccombenza anche l�appello del terzo rimasto estraneo al giudizio (8). 

Segue a questo principio quello di concentrazione delle impugnazioni, 
gi� disciplinato dall�articolo 42 del r.d. 642/1907, che dettava una disciplina 
particolare per la riunione (9) e la giurisprudenza, seppur fra alterne posizioni 
tendeva ad affermare l�applicabilit� anche al processo amministrativo dei principi 
dettati in materia dal codice del processo civile. 

Oggi la materia � oggetto di una disciplina specifica. Il principio di concentrazione 
dei giudizi di impugnazione trova applicazione in quattro istituti 
giuridici, due in via preventiva e due in via successiva. 

Il primo trova esplicito riconoscimento nell�articolo 95 c.p.a., il quale san


(8) ALDO TRAVI, Lezioni di Giustizia Amministrativa, Ottava edizione, G. Giappichelli - Torino 
pag. 312 e ss. 
(9) L�articolo 52 del r.d. 642/1907, abrogato dall�articolo 4 primo comma, numero 2, dell�allegato 
3 al c.p.a. prevedeva che �se alcuna delle parti o la pubblica amministrazione chieda che per ragioni di 
connessione due ricorsi siano uniti e venga provveduto su di essi con una sola decisione, la sezione, 
udite le parti interessate, pu� ordinarne l�unione. Il Presidente pu�, anche quando non sia chiesta 
l�unione, ordinare che i due ricorsi siano chiamati di ufficio alla stessa udienza, affinch� la sezione possa 
giudicare della loro connessione e, ove si faccia luogo alla riunione, pronunciare sui due ricorsi con una 
sola decisione�. 



cisce che l�impugnazione va notificata, nelle cause inscindibili, a tutte le parti 
in causa e, negli altri casi, a tutte quelle che hanno interesse a contraddire. 

Sempre in via preventiva, il principio in parola si estrinseca nell�onere di 
proporre le impugnazioni, successive alla prima in via incidentale. 

Tuttavia nel codice del processo amministrativo difetta una norma che imponga 
analogamente all�articolo 333 c.p.c. alla parte destinataria della notifica 
di una impugnazione, di proporre, a pena di decadenza, le sue impugnazioni in 
via incidentale nello stesso processo. L�assenza di una norma siffatta, si traduce 
semplicemente nel venir meno della sanzione della decadenza per coloro che 
omettano di proporre impugnazione in forma incidentale nello stesso processo. 

La scelta di non ricollegare la sanzione della decadenza alla proposizione 
dell�impugnazione in via autonoma e non in forma incidentale, si rivela opportuna 
nel processo amministrativo, nel quale le posizioni delle parti sono 
molto variegate. Tuttavia, sarebbe stato preferibile inserire nel codice del processo 
amministrativo una norma che sancisce la necessit� di conferire la forma 
incidentale all�impugnazione successiva alla prima. 

Invece il potere conferito al giudice di procedere alla riunione dei ricorsi 
� manifestazione successiva del principio di concentrazione in esame; infatti 
l�articolo 96 primo comma c.p.a., intitolato �impugnazioni avverso la medesima 
sentenza� stabilisce che �tutte le impugnazioni proposte separatamente 
contro la stessa sentenza devono essere riunite in un solo processo�. 

L�articolo 96 primo comma, riproduce l�articolo 335 c.p.c. ad esclusione 
dell�espressione �anche di ufficio�. Tale mancanza potrebbe essere interpretata 
come una consapevole scelta volta ad evitare che la riunione delle impugnazioni 
venga disposta anche d�ufficio. Potrebbe sostenersi che si sia voluto assoggettare 
la materia al principio dispositivo, devolvendo solo alle parti il 
potere di decidere se riunire o meno le impugnazioni. Tuttavia l�interpretazione 
formale non pu� essere condivisa. Altri e pi� importanti elementi inducono a 
formulare una diversa conclusione. 

La mancanza nell�articolo 96 primo comma c.p.a. dell�espressione �anche 
d�ufficio�, presente invece nell�articolo 335 c.p.c. non incide sui poteri del 
giudice di disporre la riunione delle impugnazioni, che possono essere esercitati 
anche d�ufficio. 

Invero la riunione dei processi � sottratta alla disponibilit� delle parti e 
rientra nella tecnica necessaria del processo. 

La riunione infatti � finalizzata ad assicurare la pi� breve durata del processo 
e soddisfa esigenze di economia processuale. La definizione congiunta 
dei processi riduce il tempo di definizione delle controversie, in ossequio al 
principio costituzionale del giusto processo (10). 

(10) Sul tema G. CARLOTTI. La riunione dei ricorsi e l�integrazione del contraddittorio in G. CARLOTTI, 
M. FRATINI, L�appello al Consiglio di Stato, Milano, 2008, 612. 


Oltretutto la riunione dei ricorsi riduce il rischio di giudicati contrastanti (11). 

La riunione delle impugnazioni deve essere disposta dal Collegio con ordinanza, 
in conseguenza della natura ordinatoria del provvedimento (12). 

Nonostante la riunione, ogni impugnazione per� conserva la sua autonomia 
e la riunione dar� luogo ad una decisione pluristrutturata. 

Infine il principio di concentrazione dei giudizi di impugnazione trova 
applicazione in via successiva anche nell�articolo 95 terzo comma c.p.a., il 
quale conferisce al giudice il potere di integrare il contraddittorio quando la 
sentenza non sia stata impugnata nei confronti di tutte le parti. 

L�indagine dovr� articolarsi enucleando innanzitutto, gli istituti che assicurano 
in via preventiva la concentrazione delle impugnazioni e poi, quelli 
che ne determinano il verificarsi in via successiva. 

La concentrazione delle impugnazioni in via preventiva � assicurata dalla 
previsione di specifici oneri in capo alle parti, in via successiva invece � garantita 
dal conferimento al giudice di una serie di poteri. 

Pertanto, dovranno essere esaminati innanzitutto l�onere di notificazione 
dell�impugnazione e l�onere di proporre le impugnazioni successive alla prima, 
in via incidentale; poi, dovr� essere approfondito il potere del giudice di riunire 
le diverse impugnazioni proposte autonomamente e quello di disporre l�integrazione 
del contraddittorio (13). 

Con riferimento alle impugnazioni � opportuno ancora esaminare l�effetto 
devolutivo, l�oggetto del giudizio e la piena conoscibilit� del fatto. 

A tal proposito va fatta una premessa di carattere generale e cio� che ogniqualvolta 
l�appello viene proposto per sollecitare un nuovo giudizio di merito 
della controversia, ci si trovi in presenza di un gravame di tipo rinnovatorio 

(14) e come tale viene in evidenza l�effetto devolutivo (15). 

Al pari degli altri mezzi di impugnazione, anche l�appello presuppone la 
soccombenza di chi lo propone, cio� il rigetto parziale o totale delle sue domande 
in primo grado. 

L�effetto devolutivo si produce nel giudizio di appello in relazione ai capi 

(11) G. CARLOTTI, La riunione dei ricorsi e l�integrazione del contraddittorio in G. CARLOTTI, M. 
FRATINI, L�appello al Consiglio di Stato, Milano, 2008, 612. 
(12) In tal senso S. CASSARINO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Milano, 1990, 
491; G. CARLOTTI, La riunione dei ricorsi, 2008, 615. 
(13) Le impugnazioni nel processo amministrativo di SERGIO PERONGINI, 2011, Il principio di concentrazione 
delle impugnazioni, pag. 46, 47, 48. 
(14) Tale lo qualifica anche C.E. GALLO, Appello, cit., 321, rilevando che il rinvio al giudice di 
primo grado (artt. 34 e 35 della legge n. 1034 del 1971) � del tutto eccezionale. Recentemente l�appello 
� stato definito �gravame rinnovatorio, a natura libera con pienezza della cognitio causae� da IANNOTTA 
L. - PUGLIESE F., Appello e contraddittorio, in Dir. Proc. Amm., 1997, 10. 
(15) Sul punto BASSI F., L�effetto devolutivo nell�appello amministrativo (dalla parte del ricorrente) 
in Dir. Proc. Amm. 1985, 343. Da ultimo sull�effetto devolutivo del processo civile: BIANCHI L., 
I limiti oggettivi dell�appello civile, Padova 2000, 165 e ss.. 



di domanda riproposti in secondo grado ed alle eccezioni in rito sulle quali il 
giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare o si sia pronunciato. 

Non pu� non evidenziarsi come dalla proposizione dell�appello possano 
nascere delle problematiche, concernenti i profili attinenti all�esigenza della 
riproposizione specifica delle varie questioni o alla devoluzione automatica 
di certe questioni, indipendentemente da apposita riproposizione. 

Si tratta in particolare di tre aspetti che meritano la dovuta attenzione. 

Il primo � quello relativo ai poteri di cognizione del giudice di secondo 
grado in ordine all�accertamento del fatto. 

Il secondo � quello relativo ai poteri di cognizione e di decisione del giudice, 
in relazione alle domande nuove. 

Il terzo � quello relativo al limite posto dalla volont� delle parti, rispetto 
all�oggetto del giudizio. 

In riferimento al primo di questi aspetti, la dottrina pi� autorevole (16) 
aveva rilevato che la legge istitutiva dei T.a.r., a differenza di quanto disponeva 
l�articolo 22 del T.U. per l�appello avverso le decisioni del g.p.a. in s.g. non 
poneva pi� alcuna limitazione per quel che concerneva la conoscibilit� del 
fatto. Qualunque sia il vizio denunciato, cio� sia che esso riguardi la sentenza 
di primo grado, sia che esso riguardi un provvedimento amministrativo impugnato, 
il Consiglio di Stato ha il potere di indagare, liberamente, mediante 
l�acquisizione di nuove prove o mediante il compimento di nuove valutazioni 
sul fatto, avvalendosi degli stessi poteri del giudice di primo grado, senza limitazione 
alcuna (17). Conseguentemente ai fini della deduzione di nuove 
prove, nessuna preclusione si verifica nei confronti delle parti, per effetto della 
mancata allegazione di esse nel giudizio innanzi al T.a.r. 

L�effetto devolutivo nel processo amministrativo si manifesta dunque non 
devolvendo al giudice di secondo grado il fatto come accertato nel giudizio di 
primo grado, ma mediante la devoluzione al giudice degli stessi poteri spettanti 
al giudice di primo grado, ai fini dell�accertamento del fatto, trattandosi di un 
giudizio rinnovatorio (18). 

L�appello, infatti, in quanto revisio prioris instantiae e non rimedio eliminatorio, 
non pu� che essere rinnovatorio pieno, salvo i limiti che per ciascun 
tipo di processo vengano posti nelle discipline legislative particolari, come ad 
esempio avveniva quanto alla conoscibilit� del fatto nell�appello avverso le 
decisioni delle g.p.a., per il quale era stabilito che il Consiglio di Sato avrebbe 

(16) Per tutti si veda V. CAIANIELLO, Manuale di diritto Processuale amministrativo, Utet, anno 
2003, pag. 875 e ss.. 
(17) VACIRCA G., Sull�ammissibilit� delle nuove prove in appello nel processo amministrativo 
(nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 ottobre 1986 n. 684) in Foro amm., 1978, 93. 
(18) Cons. Giust. Amm. Sic., 22 febbraio 1978 n. 5 e Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 ottobre 1979 
n. 711. Sull�argomento V. TIMIERI, Considerazioni sull�istruttoria e sull�appello, in Nuova Rass., 1981, 
836 ss.. 



dovuto decidere la controversia �ritenuto il fatto stabilito dalla decisione impugnata�. 
Mancando nell�attuale normativa questa specificazione anche in 
base ad un criterio interpretativo d�ordine �storico sistematico�, deve ritenersi, 
in disaccordo con alcune recenti tendenze giurisprudenziali, che il Consiglio 
di Stato quale giudice di appello non incontri limitazioni per quel che concerne 
le indagini sul fatto, escludendosi, correlativamente, ogni preclusione per le 
parti nella deduzione dei mezzi di prova, ai fini della rinnovazione dell�istruttoria, 
ovviamente nei limiti delle censure proposte nell�atto di appello o nei 
limiti in cui il giudice possa rilevare d�ufficio questioni attinenti al giudizio di 
primo grado (19). 

Prima dell�entrata in vigore del codice del processo amministrativo avvenuto 
con decreto legislativo n. 104/2010, la scarna disciplina prevista in 
tema di appello taceva completamente sul punto (20). 

Gli unici punti di riferimento erano desumibili dalla qualificazione del 

(19) Nel senso della potest� istruttoria piena del Consiglio di Stato in sede di appello: Cons. di 
Stato Sez. V, 27 ottobre 1978 n. 1051 ed in senso adesivo, QUARANTA A., L�appello nel sistema dei 
mezzi di impugnazione delle sentenze dei tribunali amministrativi regionali, cit., 1873; SATTA F., Appello, 
cit., 442. 
(20) Sul divieto di nuove domande in appello la giurisprudenza, anche prima dell�istituzione della 
legge T.a.r. � stata sempre costante: Cons. di Stato, Adunanza Plenaria, 7 novembre 1966 n. 22. Il Consiglio 
di Stato estende al processo amministrativo il divieto dello jus novorum, sancito dall�articolo 345 


c.p.c. quale logica conseguenza del principio di specificit� dei motivi di impugnazione del provvedimento 
amministrativo, e pi� in generale, dell�onere di specificazione della domanda da parte di chi agisce in 
giudizio (Cons. di Stato, Sez. VI, 30 novembre 1995 n. 1356). Il divieto delle nuove prove non � applicabile 
in tema di questioni pregiudiziali - ricevibilit�, ammissibilit�, le quali, essendo rilevabili d�ufficio 
nei giudizi di primo grado, ben possono essere affrontate dal giudice d�appello se in tale grado fatte 
valere da una delle parti: Cons. di Stato, Sez. V, 16 aprile 1987 n. 251; 26 maggio 1989 n. 321; ma Sez. 
IV, 14 marzo 1990 n. 171, esclude la rilevabilit� d�ufficio in grado di appello della causa di inammissibilit� 
del ricorso di primo grado allorch� il primo giudice ha accolto il ricorso nel merito, con ci� implicitamente 
disattendendola; pertanto � da ritenersi ammissibile in appello il motivo con cui l�appellante 
deduce la carenza di interesse dei ricorrenti in primo grado sotto profili nuovi rispetto a quelli denunciati 
nel giudizio davanti il tribunale amministrativo regionale (Consiglio di Stato, Sez. V, 27 agosto 1976 n. 
1126). Inoltre il ricorso in appello � stato ritenuto ammissibile anche se la parte soccombente e ricorrente 
prospetti una tesi diversa da quella sostenuta in primo grado, ove tale tesi sia in stretta correlazione e dipendenza 
dalla qualificazione giuridica data dalla decisione impugnata all�oggetto del provvedimento, 
ma rimanendo sempre sul tema del decidere (Cons. di Stato, Sez IV, 13 giugno 1978 n. 561). 
Pi� incerto � il discorso sulla estensione del divieto dello jus novorum alle eccezioni nuove, in quanto 
in passato prevaleva la tesi contraria, cio� quella che riteneva possibile sollevare, per la prima volta in 
secondo grado, delle eccezioni nuove, salvo la loro incidenza sul regime delle spese (Cons. di Stato, 
Sez. VI, 27 gennaio 1978 n. 99; Sez. VI, 3 marzo 1978 n. 309; Sez. IV, 31 luglio 1987 n. 506; Sez. VI, 
4 novembre 1988 n. 1223; Sez. VI, 13 aprile 1991 n. 182; Sez. IV, 6 marzo 1996 n. 292), mentre di recente, 
da un lato si afferma, in sintonia con il novellato art. 345 comma 2 c.p.c., la loro improponibilit�, 
atteso che anch�esse allargano l�oggetto del giudizio (Cons. di Stato, Sez. IV, 2 giugno 1999 n. 963; 28 
dicembre 2000 n. 6947); dall�altro, si esclude che il novellato art. 345 comma 2 c.p.c. sia compatibile 
con le nuove esigenze del processo amministrativo (Cons. di Stato, 2 marzo 2000 n. 1086; 31 gennaio 
2011 n. 349). Le incertezze non riguardano per� quelle eccezioni rilevabili anche d�ufficio, per le quali 
va escluso il divieto dello jus novorum nel giudizio di appello (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 24 
giugno 1998, n. 4). 


gravame come �appello� e dal terzo comma dell�articolo 35 della legge n. 
1034/1971, che, posto dopo i commi che disciplinano i casi di rinvio al giudice 
di primo grado, stabiliva che �in ogni caso il Consiglio di Stato decide sulla 
controversia�. 

La qualificazione del gravame come appello imporrebbe il riferimento 
agli istituti ed ai principi elaborati dalla scienza generale per questo mezzo di 
gravame, e quindi a quello proprio dei gravami di tipo appellatorio, del divieto 
di proposizione di domande nuove (21). 

In secondo luogo, l�intera formulazione dell�articolo 35 della legge n. 
1034/1971, aggancia il giudizio di secondo grado a quello di primo grado, ed 
in particolare al primo comma, ove stabilisce che il Consiglio di Stato quando 
accoglie il ricorso per difetto di procedura o di forma �annulla la sentenza e 
rinvia per la controversia al giudice di primo grado�. 

Per controversia si intende ovviamente quella di cui il giudice di primo 
grado era stato in precedenza investito, altrimenti si arriverebbe all�assurdo di 
ritenere che in sede di giudizio di rinvio il T.a.r. possa conoscere di una controversia 
nuova rispetto a quella di cui era stato investito con ricorso introduttivo. 

Il termine controversia � pure presente nel terzo comma dell�articolo 35, dove 
risulta che: �in ogni altro caso il Consiglio di Stato decide sulla controversia�. 

Osserva autorevole dottrina (22), che se in una stessa norma viene usato 
pi� volte lo stesso termine, deve ad esso attribuirsi un significato omogeneo 
ogni volta che lo si incontra. 

E se nel primo comma si � visto che per �controversia� non pu� non intendersi 
se non quella di cui �gi�� era stato investito il giudice di primo grado, 
identico significato deve attribuirsi allo stesso termine usato nel terzo comma, 
il che porterebbe ad escludere che il giudice di appello possa essere investito, 
mediante domande nuove, di una controversia diversa da quella della quale 
era investito il giudice di primo grado. 

(21) SCIACCA N., L�appello nella legge sui tribunali amministrativi regionali in Cons. di Stato, 
1973, II 1069, il quale sembra orientato per la possibilit� dell�allargamento delle domande in appello. La 
giurisprudenza � ferma nel negare l�ammissibilit� di domande nuove in appello; Cons. di Stato, Sez. V, 
26 febbraio 1976 n. 291; 22 aprile 1976 n. 669; 26 ottobre 1976 n. 1319; 25 marzo 1977 n. 220; Sez. VI, 
8 novembre 1977 n. 843; Sez. IV, 20 dicembre 1977 n. 1284; Sez. IV, 17 gennaio 1978 n. 17; Sez. VI, 31 
luglio 1987 n. 506; 14 novembre 1988 n. 1440; 11 maggio 1991 n. 308 e pi� di recente Sez. V, 26 maggio 
1992 n. 466; Sez. IV, 3 dicembre 1996 n. 1277; 2 giugno 1999 n. 963. Sono state ritenute anche inammissibili 
in appello le censure dedotte in primo grado con semplice memoria (Sez. IV, 5 aprile 1977 n. 
366; 22 novembre 1977 n. 1045; Ad. Plen., 7 Luglio 1978 n. 22; Sez. IV, dicembre 1995, n. 981). La regola 
vale anche per il soggetto che nel giudizio dinanzi il tribunale amministrativo regionale sia stato 
parte resistente, il quale non pu� far valere censure dedotte in primo grado solo se, con ricorso incidentale 
dinanzi al tribunale regionale medesimo, abbia proposto un motivo specifico sulla questione controversa, 
pu�, in caso di reiezione da parte del primo giudice, riproporre la censura come motivo di appello (Sez. 
V, 17 dicembre 1976 n. 1524). Sono inoltre inammissibili i motivi in appello dedotti per la prima volta 
nella discussione orale (Sez. IV, 4 marzo 1977 n. 207; Sez. IV, 6 dicembre 1977 n. 1121). 
(22) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Ed. Utet, 2003, pag. 878. 



Peraltro, con riferimento ai motivi, sono da ritenersi ammissibili, ancorch� 
proposti per la prima volta, non solo quelli riferiti alla sentenza ed al giudizio 
di primo grado, ma anche i motivi aggiunti. 

Il divieto di proporre nuovi motivi, poi, vale per il ricorrente originario 
ma non per i resistenti in primo grado, i quali possono appellare la decisione 
ad essi sfavorevole adducendo qualsiasi motivo ritenuto utile per dimostrare 
al giudice di appello l�infondatezza della domanda del ricorrente accolta dal 

T.a.r. (23). 
Il principio del divieto di nuove prove subisce alcuni temperamenti che 
� opportuno richiamare in questa sede. 

In primo luogo per stabilire in che senso debba parlarsi di medesime controversie, 
ci si deve riferire agli elementi di identificazione dell�azione che 
sono i soggetti, il petitum e la causa petendi (24). 

In riferimento al petitum, � escluso (25) che possa essere chiesto l�annullamento 
di atti diversi da quelli impugnati in primo grado, mentre sul punto 
della rivalutazione monetaria sembra prevalere la tesi della possibilit� di richiederla 
per la prima volta in appello, trattandosi di statuizione che il giudice 
pu� pronunciare anche d�ufficio (26). 

Diversamente dal petitum, l�aspetto pi� rilevante nello jus novorum riguarda 
la causa petendi, che, come si sa, � la ragione per cui l�azione viene 
proposta e che ha origine dalla lesione che si assume prodotta nella sfera giuridica 
del soggetto. 

In relazione a tale elemento, deve escludersi che possa considerarsi domanda 
nuova una diversa prospettazione in appello di un motivo di censura, 
quando nella sostanza esso richiami lo stesso vizio dell�atto impugnato che, 
sia pure con una diversa formulazione giuridica (ad esempio violazione di 
legge invece che eccesso di potere, oppure travisamento dei fatti invece che 
illogicit�) era gi� stato dedotto nel ricorso introduttivo dinanzi al tribunale amministrativo 
regionale (27); mentre a diversa conclusione perviene la giurisprudenza 
quando si sia in presenza di una sostanziale modificazione, in 
appello dei motivi di impugnazione (28). 

Ci� che rileva per l�individuazione della causa petendi � la lesione della 

(23) Cons. di Stato, Sez. VI, 13 aprile 1991 n. 182; Sez. V, 3 gennaio 1992 n. 2; 30 settembre 
1998 n. 1363; Sez. VI, 14 maggio 1999 n. 641; 23 settembre 1999 n. 1257; 21 febbraio 2001 n. 906. 
(24) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Ed. Utet 2003, pag. 126. 
(25) Cons. di Stato, Sez. IV, 4 marzo 1977 n. 207. 
(26) Cons. di Stato, Sez. IV, 17 settembre 1984 n. 512 e 31 ottobre 1984 n. 628, salvo i limiti del 
giudicato formatosi sull�esplicito rigetto, in primo grado, il che ne precluderebbe la rilevabilit� d�ufficio 
(Cons. di Stato, 1 agosto 1985 n. 18). Pi� di recente: Cons. di Stato, Sez. V, 17 gennaio 1994 n. 11. 
(27) In giurisprudenza Cons. di Stato, Sez. VI, 7 luglio 1982 n. 344; Sez. V, 3 ottobre 1984 n. 
684 e 15 ottobre n. 315; Sez. IV, 19 febbraio 1986 n. 108; Sez. V, 1 febbraio 1995 n. 179; in V. CAIANIELLO, 
Manuale di Diritto Amministrativo, pag. 880. 
(28) Cons. di Stato, Sez. VI, 20 febbraio 1998 n. 179. 



sfera giuridica del ricorrente e questa lesione deriva dal vizio dell�atto in 
quanto vizio e non secondo la formulazione che di esso venga data dalle parti. 

Un secondo temperamento al divieto di domande nuove � la possibilit� 
di proposizione di motivi aggiunti in appello, solo ove, in base al deposito per 
la prima volta, in questa sede, di documenti nuovi, le parti siano in grado di 
dedurre i vizi dell�atto. 

Sulla loro proponibilit� possono verificarsi tre diverse ipotesi. 

La prima � quella dell�inammissibilit� per effetto del divieto di nuove 
prove in appello; la seconda quella dell�ammissibilit�, ma del rinvio al giudice 
di primo grado per consentire anche sui motivi aggiunti il doppio grado di giurisdizione; 
la terza � quella dell�inammissibilit� delle nuove prove, ma con 
l�esame diretto di essi da parte del giudice di appello. 

Intanto, la prima soluzione non pu� essere condivisa, perch� in contrasto 
con il principio della parit� processuale delle parti. L�amministrazione o le 
altre parti intimate potrebbero difatti riservarsi di esibire documenti rilevanti 
ai fini del decidere nel processo di appello, impedendo cosi al ricorrente di far 
valere eventuali vizi dell�atto desumibili dalla nuova documentazione esibita 
e ricavando cos� un vantaggio, sul terreno processuale, a discapito del diritto 
di difesa del ricorrente. 

Non � neppure condivisibile la seconda soluzione in base al diritto positivo, 
perch� il rinvio al giudice di primo grado � previsto dalla legge in ipotesi 
tassativamente indicate. 

La soluzione invece che trova piena condivisibilit� � la terza, perch� appunto 
confacente al rispetto del diritto di difesa e del principio di parit� processuale 
fra le parti (29). 

Con l�entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo le 
tre ipotesi del divieto di nuove domande in appello sono state definitivamente 
codificate e riunite all�articolo 104. 

L�articolo consta di tre autonome fattispecie che � opportuno prima citare 
per poi esaminarle. 

Stabilisce il primo comma �nel giudizio di appello non possono essere 
proposte nuove domande, fermo quanto previsto dall�articolo 34 comma 3,n� 
nuove eccezioni non rilevabili d�ufficio. Possono tuttavia essere chiesti gli interessi 
e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonch� il risarcimento 
del danno dopo la sentenza stessa. 

Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti 

(29) V. CAIANIELLO, Commento all�art. 28 della legge n. 1034/1971, nel volume LUCIFREDI - CAIANIELLO, 
I tribunali, cit., 227, nonch� nella prima edizione dei Lineamenti, p. 430, e in giurisprudenza, 
Cons. di Stato, Sez. IV, 13 maggio 1992 n. 511; Sez. VI, 11 gennaio 1999 n. 8.: Cons. di Stato, Ad. Plen., 
28 ottobre 1980 n. 40, che sembrerebbe a prima vista ammettere il motivo aggiunto solo se costituisca 
esplicazione di un motivo gi� dedotto in primo grado. Una pi� attenta lettura della decisione dovrebbe 
portare ad escludere che si sia voluta affermare tale limitazione. 


nuovi documenti, salvo che il Collegio non li ritenga indispensabili ai fini 
della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto 
proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. 

Possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza 
di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado 
da cui emergano vizi degli atti o dei provvedimenti amministrativi impugnati�. 

Si tratta di una mera riproduzione di quanto era gi� stabilito nel codice 
del processo civile dato che la disposizione estende ad un altro processo 
(quello amministrativo) la disciplina dettata per il processo civile all�articolo 
345 c. p.c. relativo al principio del divieto dei nova in appello, sia per le domande 
nuove, escluse quelle aventi ad oggetto accessori maturati dopo la sentenza 
appellata, nonch� il risarcimento dei danni subiti dopo la sentenza stessa, 
sia per le eccezioni non rilevabili d�ufficio. 

La codificazione di questa disposizione altro non � se non il frutto del recepimento 
di precedenti orientamenti giurisprudenziali (30) che hanno riconosciuto 
l�applicabilit� della regola di cui al�articolo 345 c.p.c. all�eccezione 
di prescrizione proposta per la prima volta in appello dall�amministrazione 
soccombente, cos� risolvendo i contrasti giurisprudenziali in ordine all�ammissibilit� 
dei nova in appello. Quanto, pi� in generale, al regime delle eccezioni 
e delle nuove domande, sempre previste dal primo comma dell�articolo 
104 c.p.a. il codice stabilisce che per le parti diverse dall�appellante sia sufficiente 
la loro riproposizione nei termini e nei modi previsti per la costituzione 
in giudizio e quindi con semplice memoria non notificata. 

Al contrario per le eccezioni espressamente o implicitamente esaminate 
e non accolte, nel silenzio del codice sembra preferibile l�interpretazione analogica, 
basata anche sulla natura del giudizio come continuazione del giudizio 
di primo grado, ma si deve segnalare un persistente contrasto nella giurisprudenza 
amministrativa, parte della quale ritiene necessaria la proposizione di 
un apposito appello incidentale. 

La soluzione accolta si fonda a giudizio del Consiglio di Stato sul combinato 
disposto degli articoli 3 e 24 Cost., che esprimono la pienezza della tutela 
giurisdizionale e la completa parit� delle parti nel processo, come valore 
di rilevanza costituzionale e sul rilievo dell�estensione dei casi di giurisdizione 
esclusiva, in cui le parti si fronteggiano in posizione paritetica. 

Prima dell�entrata in vigore del codice del processo amministrativo non 
vi era una disciplina specifica del divieto dello jus novorum, ma semplicemente 
giurisprudenza consolidata, sopra menzionata (31) che estendeva i principi 
generali della procedura civile soltanto ad alcuni aspetti ed istituti non 
puntualmente disciplinati. 

(30) Consiglio di Stato, Ad. Plen., 29 dicembre 2004 nn. 14 e 15. 
(31) Consiglio di Stato, Ad. Plen., 8 aprile 1963 n. 6. 



Sempre con riferimento al divieto di nuove domande, va osservato che mentre 
la giurisprudenza (32) aveva concordemente affermato l�operativit� del divieto 
di cui all�articolo 345 c.p.c., un orientamento minoritario (33) aveva invece 
escluso l�applicabilit� del comma 2 dell�articolo 345 c.p.c., contenente il divieto 
di proposizione per la prima volta in appello di eccezioni non rilevabili d�ufficio. 

Il secondo comma dell�articolo 104 del codice del processo amministrativo 
disciplina invece il divieto dello jus novorum con riferimento, in particolare, al 
divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti in appello. 

In base ad una prima lettura sembrerebbe che la disposizione riproduca 
�pedissequamente� quanto gi� disciplinato nell�articolo 345 comma 3 del c.p.c., 
ribadendo ai fini della loro ammissibilit� in sede di appello le condizioni alternative 
all�indispensabilit� ai fini della decisione della causa ovvero dell�impossibilit� 
di produzione in primo grado per causa non imputabile alla parte (34). 

Prima di passare ad esaminare le problematiche affrontate dalla dottrina 
e dalla giurisprudenza, occorre sottolineare che esistono due tipi di prove; 
quelle costituite, come ad esempio i documenti, e quelle costituende, che cio� 
si formano nel processo, come ad esempio la testimonianza. 

Giurisprudenza amministrativa recente, per� (35), ha cercato di disco-
starsi dall�ordinaria regola dello jus novorum come regola generale derivante 
dalle disposizioni e dalla logica interna del processo civile. 

In particolare la giurisprudenza (36) era incline a mitigare il divieto previsto 
dall�articolo 345 comma 3 c.p.c., ritenendosi inapplicabile la predetta 
preclusione ove si trattasse di documentazione preesistente: �l�articolo 345 

c.p.c. non esclude in modo tassativo la produzione di nuove prove in appello, 
poich� ne ammette l�acquisizione quando le stesse siano indispensabili alla 
decisione della causa. N� va trascurato che, ove la parte interessata, senza produrre 
il documento che risulti decisivo, ne affermi l�esistenza, il giudice amministrativo 
potrebbe esercitare i poteri istruttori tipici di un processo basato 
sul metodo acquisitivo�. Una disposizione che ci aiuta a confermare questo 
assunto � prevista nel nuovo codice del processo amministrativo e precisamente 
all�articolo 66 che disciplina l�istituto della verificazione, che altro non 
rappresenta se non un mezzo istruttorio di competenza collegiale. 

Diversamente e contrariamente al divieto di ammissione di nuovi mezzi 

(32) Cons. di Stato, Sez. VI, 30 settembre 2007 n. 356, Cons. di Stato, Sez. IV, 12 agosto 2002 n. 
4163; Cons. di Stato, Sez. VI, 21 febbraio 200 n. 906; Cons. di Stato, Sez. V, 2 marzo 1999 n. 222; Cons. 
di Stato, Sez. IV, 24 giugno 1997 n. 675. 
(33) Cons. di Stato, Sez. V, 31 gennaio 2001 n. 349; Cons. di Stato, Sez. V, 21 febbraio 2001 n. 
906; Cons. di Stato, Sez. IV, 28 dicembre 2000 n. 6947. 
(34) ROBERTO CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo, Giuffr�, Milano 2010. 
(35) Cons. di Stato, Sez. IV, 19 ottobre 2007 n. 5472. 
(36) Cons. di Stato, Sez. V, 22 dicembre 2005, che cita come precedenti Sez IV, 15 novembre 
2004 n. 7365; Sez. V. 4 novembre 2004 n. 7140. 



di prova e nuovi documenti disciplinato dal nuovo articolo 104 comma 2 c.p.a., 
ed in applicazione dei principi di effettivit� e di concentrazione della tutela 
giurisdizionale, � prevista la possibilit� di proporre motivi aggiunti in sede di 
appello nell�ipotesi in cui la parte sia venuta a conoscenza di documenti non 
prodotti dalle altre parti nel corso del giudizio di primo grado, da cui emergano 
vizi degli atti e dei provvedimenti amministrativi impugnati. 

Fatte queste brevi premesse, occorre sottolineare come i motivi aggiunti 
sono stati interpretati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. 

Una parte della dottrina (37) si era posta la domanda se davvero fosse riferibile 
alla problematica del divieto in parola la proponibilit� di motivi aggiunti 
in un momento successivo alla scadenza del termine ultimo per appellare ed 
aveva espresso parere negativo, ritenendo che, al pari del giudizio di primo 
grado, il motivo aggiunto non va ad ovviare a lacune e dimenticanze in cui sia 
incorso il difensore nel formulare il ricorso originario, i motivi aggiunti di appello 
non valgono ad integrare le censure impugnatorie mosse alla sentenza 
con l�appello originario, quindi non violano il divieto dei nova in appello e neanche 
la perentoriet� dei termini per appellare, essendo la proponibilit� dei motivi 
stessi pur sempre legata a fatti di conoscenza e �giustificata per il fatto che 
essi concernono vizi che emergono per la prima volta in quel grado di giudizio� 
e si atteggiano come strumento integrativo del ricorso, in seguito all�acquisizione 
al processo di fatti nuovi, prima non noti al ricorrente. Logica conseguenza 
di quanto appena affermato � che anche la possibilit� di proporre in 
appello motivi aggiunti segue logiche distinte da quelle proprie dei nova. 

Altra parte della dottrina (38), ribadendo la precedente tesi, definendolo 
un �problema ulteriore� aveva preso in esame quello dell�applicabilit� al giudizio 
di appello della novit� introdotta dalla legge di riforma del 2000 in ordine 
alla facolt�-onere di impugnare con motivi aggiunti i provvedimenti, connessi 
a quello impugnato e quindi all�oggetto del ricorso, intervenuti in pendenza 
del relativo giudizio. 

L�eventuale inapplicabilit� del divieto di nuove domande ed eccezioni 
avrebbe potuto dare adito a manovre dilatorie contrarie allo spirito della stessa 
innovazione in parola e sarebbe stata contraria al principio di economia processuale 
per le possibili refluenze dei nuovi provvedimenti sul giudizio originario; 
perci� si concludeva in senso affermativo, con il solo inconveniente 
della perdita del doppio grado di giurisdizione nella misura in cui questi motivi 
aggiunti sarebbero stati sottoposti direttamente all�esame ed alla decisione del 
giudice di appello (39). 

(37) ALDO TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, VIII ed. riv. e agg., Giappichelli, Torino, 2010. 
(38) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto amministrativo, ed. Utet, 2003. 
(39) Sul punto si veda pure NAZARENO SAITTA, Sistema di Giustizia Amministrativa, terza edizione 
aggiornata al codice del processo amministrativo, Giuffr� Editore, pag. 671. 



Anche la giurisprudenza (40) che si era formata prima dell�entrata in vigore 
del codice del processo amministrativo considerava pacifica l�ammissibilit� 
di motivi aggiunti in appello, ma non anche di quelli diretti avverso 
provvedimenti adottati in pendenza di ricorso tra le stesse parti, �connessi all�oggetto 
del ricorso stesso� ai sensi delle novit� normative introdotte con l�articolo 
1 della legge n. 205/2000, osservando da un lato che siffatto gravame 
aggiuntivo avrebbe privato, per la scelta fatta da una parte, le altre parti del 
primo dei due gradi di giudizio; dall�altro che lo scopo della concentrazione 
perseguito dal novellato articolo 21 della legge T.a.r. avrebbe potuto essere 
raggiunto attraverso la rituale proposizione di un ulteriore ricorso in primo 
grado e la richiesta di assunzione di adeguate misure al giudice di appello, in 
attesa della pronuncia da parte del T.a.r. anche sul secondo ricorso. 

Secondo giurisprudenza amministrativa (41), una sorta di novum, necessariamente 
consentito in grado di appello � dato dal caso in cui il T.a.r. abbia 
deciso con sentenza in forma semplificata emessa in data anteriore a quella 
della sentenza da cancellare, del termine per la proposizione del ricorso incidentale, 
dovendosi consentire al controinteressato di far valere quelli che 
avrebbero rappresentato i motivi del ricorso incidentale sottoforma di motivi 
di appello contro la sentenza. 

Il Consiglio di Stato (42) ha, poi, escluso la possibilit� di proporre motivi 

(40) Cons. di Stato, Sez. V, 5 luglio 2006 n. 4252. 
(41) Cons. di Stato, Sez. IV, 12 giugno 2003 n. 3312. 


(42) Cons. di Stato, Sez. V, n. 3913/2011, cit., secondo cui a tale conclusione si perviene: 
a) in base al tenore letterale della norma sancita dall�articolo 104 comma 3, cit., che si riferisce a provvedimenti 
gi� impugnati in primo grado ed a documenti preesistenti ma non prodotti nel giudizio davanti 
al t.a.r. 
b) sul piano logico e sistematico, in considerazione della portata del principio grado di giudizio che 
non consente ampliamenti del thema decidendum nel passaggio tra il primo ed il secondo grado, non 
pu� incontrare deroghe implicite, � posto nell�interesse di tutte le parti in causa, � inderogabile costituendo 
espressione di ordine pubblico processuale (cfr. da ultimo, sul valore del principio alla luce del 
nuovo c.p.a., Cons. di Stato, III, 5 maggio 2011, n. 2031). 
Nello stesso senso, aggiunge il Supremo Consesso, depone anche la relazione illustrativa del c.p.a. in 
cui si afferma che i motivi aggiunti in appello si rivolgono contro atti gi� impugnati in primo grado e 
che resta �fermo il principio per cui nei confronti degli ulteriori provvedimenti amministrativi emessi o 
conosciuti nelle more del giudizio di appello va proposto ricorso di primo grado�. 
In applicazione del principio in esame, ancora il Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2001 

n. 2257, in Urbanistica e Appalti, 2011, 737), ha ritenuto ammissibile la proposizione in appello di motivi 
aggiunti al ricorso incidentale ex art. 104, comma 3 c.p.a. con i quali l�aggiudicatario appellato deduca 
un nuovo motivo di censura avverso l�ammissione dell�originario ricorrente, emerso dopo la celebrazione 
del giudizio di prime cure. A tale conclusione il Supremo Consesso � pervenuto ritenendo che nel caso 
di specie �il nuovo motivo non introduce una �domanda nuova�, ma costituisce un�articolazione della 
medesima domanda proposta con il ricorso incidentale di primo grado, entrambe volte a sostenere che 
l�appellante principale andava escluso dalla gara�.Nella suddetta prospettiva, il Consiglio di Stato ha 
ritenuto superati i dubbi di costituzionalit� della disposizione processuale in esame sollevati dall�appellante 
principale, ritenendo che la norma, infatti, contemperi il tendenziale principio del doppio grado di 
giudizio con il diritto di difesa dell�articolo 24 Cost. (il quale risulterebbe compresso se non si consentisse 
di sollevare in appello questioni discendenti dalla natura tardiva scoperta di documenti fondamentali). 


aggiunti in appello avverso atti diversi da quelli impugnati con sentenza di 
primo grado, ancorch� connessi ovvero impugnati in via meramente derivata. 

Come prima accennato l�ultimo dei problemi che pone l�effetto devolutivo 
riguarda il limite posto dalla volont� delle parti all�oggetto del giudizio. 
La rilevabilit� delle questioni pregiudiziali relative al giudizio di primo grado. 

Come ha osservato autorevole dottrina (43), gi� prima dell�entrata in vigore 
del codice del processo amministrativo avvenuta con decreto legislativo 

n. 104/2010, le questioni pregiudiziali, relative al ricorso introduttivo (inammissibilit�, 
irricevibilit�, nullit�, estinzione, ecc), possono essere affrontate 
per la proposizione dei motivi aggiunti, per cui, mancando questa impugnativa, 
si dovrebbe ritenere che su di esse si formi il giudicato. 

Mentre prima della legge istitutiva dei T.a.r., prevaleva l�opinione contraria, 
ammettendosi cio� (nei casi di appello delle sentenze delle g.p.a. in s.g. al 
Consiglio di Stato, e del Cons. Giust. Amm. per la regione Sicilia all�Adunanza 
Plenaria del Consiglio di Stato), la rilevabilit� d�ufficio di tali questioni in appello, 
successivamente la giurisprudenza si � orientata in senso diverso (44). 

Infatti si ritiene ormai che le questioni pregiudiziali, non decise espressa


(43) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto amministrativo, ed. Utet, 2003, pag. 881. 
(44) Per la rilevabilit� d�ufficio in appello di tutte le questioni pregiudiziali, prima della legge 
istitutiva dei t.a.r. Cons. di Stato, Ad. Plen. 24 ottobre 1955 n. 17; Sez. V, 23 ottobre 1948 n. 663; Sez. 
V, 27 giugno 1975 n. 921 e 18 gennaio 1977 n. 21, aveva precisato che la parte risultata vincitrice in 
prime cure non possa in sede di appello proposto dalla parte soccombente eccepire profili di inammissibilit� 
del giudizio di primo grado, ove non abbia proposto appello incidentale (Sez. V, 1 ottobre 1976 
n. 1213). E ci� sia quando il tribunale regionale si fosse su detti profili espressamente pronunciato (Sez. 
V, 11 marzo 1977 n. 168; Sez. IV, 5 luglio 1977 n. 680; Sez. IV, 11 aprile 1978 n. 289), sia quando non 
lo avesse fatto, dovendosi in tal caso ritenere che ogni relativa questione, in quanto pregiudiziale al-
l�esame del merito della controversia, fosse stata per implicito risolta positivamente (Sez. V, 1 febbraio 
1977 n. 78; Sez. VI, 18 ottobre 1977 n. 880; Sez. V, 20 gennaio 1978 n. 74); in senso contrario in quest�ultimo 
caso, circa la non necessariet� dell�appello incidentale Sez. V, 15 aprile 1977 n. 320. 
Pi� di recente si � andato consolidando l�orientamento secondo cui le eccezioni in secondo grado debbano 
essere sollevate mediante appello incidentale, quando siano state esaminate e disattese dalla sentenza 
appellata: Ad. Plen., 21 ottobre 1980 nn. 41 e 42. In precedenza la giurisprudenza era poco univoca, 
ritenendosi talvolta che, nel caso in cui tali cause non fossero state esaminate dalla sentenza appellata, 
occorresse l�appello incidentale: in tal senso la decisione Sez. VI, 18 ottobre 1977 n. 789, mentre lo si 
era considerato superfluo dalla Sez. IV, 15 maggio 1979 n. 342. La Sez. V, 20 gennaio 1978 n. 74, aveva 
affermato per� che, se la parte avesse sollevato nel giudizio di primo grado l�eccezione di inammissibilit� 
del ricorso, ma il tribunale amministrativo regionale lo avesse deciso nel merito, si dovesse ritenere che 
l�eccezione fosse stata disattesa implicitamente. In questo stesso senso: Cons. di Stato, Sez. IV, 14 marzo 
1990 n. 171, gi� citato nella precedente nota 20. 
L�orientamento che ammette la rilevabilit� d�ufficio solo se il giudice di primo grado non si sia espressamente 
pronunciato sembra oggi prevalente: Cons. di Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 1982 n. 21 (con 
nota di VACIRCA G., in Foro amm., 1983, I, 623; Sez. V, 1 ottobre 1986 n. 488; Sez. VI, 4 febbraio 1986 
n. 78; Sez. V, 25 gennaio 1986 n. 56). In questo ordine di idee si sostiene che la reiezione nel merito del 
ricorso di primo grado non comporti alcuna statuizione implicita in ordine ai presupposti processuali, 
sicch� il Consiglio di Stato, in sede di appello mancando una precisa pronunzia sul punto nella sentenza 
appellata, pu� verificare d�ufficio la ricevibilit� e l�ammissibilit� del ricorso originario (Cons. di Stato, 
Sez. V, 19 febbraio 1996 n. 204). 



mente in primo grado, possano essere esaminate in secondo grado d�ufficio e 
cio� indipendentemente dalla loro proposizione nell�appello principale o incidentale, 
mentre l�esame d�ufficio di esse non � possibile se esse siano state disattese 
in primo grado, occorrendo in questo caso apposita impugnazione (45). 

Nella diversa ipotesi e cio� se, in primo grado, le questioni stesse siano 
state accolte, con la conseguenza che il ricorso sia stato dichiarato inammissibile 
o irricevibile, l�unico mezzo che rimane alla parte soccombente � l�appello 
principale, contenente la censura rivolta nel confronti della statuizione 
che ha precluso l�esame nel merito. 

La giurisprudenza (46) � nel senso che alla parte appellante non sia preclusa 
la possibilit� di prospettare quale motivo di gravame, la carenza di un 
requisito di ammissibilit� del ricorso, anche se non l�abbia espressamente eccepito 
in primo grado. 

Merita una particolare attenzione nella vita del processo amministrativo 
l�effetto traslativo. 

Quest�ultimo era gi� stato affrontato da autorevole dottrina (47), che lo 
aveva battezzato addirittura come �un�ipotesi di scuola� ed aveva escluso che 
il problema anzidetto potesse essere risolto (in senso negativo) in virt� dell�art. 
356, comma 2, c.p.c. (�Quando sia stato proposto appello immediato contro 
una delle sentenze previste dal n. 4 del secondo comma dell�art. 279, il giudice 
d�appello non pu� disporre nuove prove riguardo alle domande e alle questioni, 
rispetto alle quali il giudice di primo grado, non definendo il giudizio, abbia 
disposto, con separata ordinanza, la prosecuzione dell�istruzione�), che, oltre 
a recare un divieto la cui portata � controversa anche con riguardo al processo 
civile (sembra corretto, tuttavia, ritenere che la norma escluda dal giudizio civile 
d�appello tutte le questioni non decise nella sentenza non definitiva impugnata, 
delle quali rimane perci� investito unicamente il giudice a quo) (48), comporta 
un limite alla funzione rinnovatoria del gravame e non �, quindi, applicabile al 
di fuori dello specifico sistema processuale per il quale � stato concepito (49). 
Da qui il convincimento che, nel processo amministrativo, con riguardo al quale 
la legge � muta, sia applicabile soltanto il primo limite del doppio grado di giu


(45) Cons. di Stato, Sez. VI, 26 ottobre 1992 n. 815; Cons. di Stato, Sez. IV, 11 dicembre 1997 n. 
1378. 
(46) Cons. di Stato, Sez. IV, 26 ottobre 1985 n. 463, in Foro amm., 1985, 1860. 
(47) Sull�effetto traslativo dell�appello si vedano V. CAIANIELLO, Lineamenti del processo amministrativo, 
Torino, 1972, 534. G. LEONE, Le impugnazioni nel processo amministrativo. Profili generali, 
Napoli, 1988, 327 e ss.. V. CAIANIELLO, Manuale, 2003, 893 ss., il quale formula su di esso un giudizio 
di disvalore. G. LEONE, Il sistema, 2006, 432 ss.. G. GARLOTTI, L�appello incidentale, l�appello parziale, 
la riserva di appello e l�appello contro il dispositivo in G. CARLOTTI. M. FRATINI, L�appello al Consiglio 
di Stato, in F. CARINGELLA, R. GAROFOLI (a cura di) Trattato di giustizia amministrativa, Milano 2008, 
556, 557. 
(48) N. RASCIO, L�oggetto dell�appello civile, Napoli, 1996. 
(49) M. NIGRO, L�appello nel processo amministrativo, Milano, 1960. 



risdizione desumibile dal succitato art. 356, comma 2 � cio�, l�inammissibilit� 
del sindacato delle scelte istruttorie compiute dal primo giudice � e non il secondo 
� cio�, il divieto, per il giudice d�appello, di interloquire anche sulla 
scelta base riguardo la necessit� di istruttoria. In conclusione, secondo questa 
tesi, confermata anche alla luce della legge istitutiva dei T.a.r., il Consiglio di 
Stato, confermi o meno la sentenza non definitiva immediatamente appellata, 
non pu� ritenere la causa e provvedere alla sua istruzione, ma, qualora ritenga 
la causa stessa matura per la decisione conclusiva (a prescindere dal fatto che 
concordi con il primo giudice sulla soluzione data alla questione gi� decisa), 
ben pu� sindacare la scelta base compiuta dal T.a.r., correggere l�errore da questo 
commesso nel non decidere completamente la causa, pur avendo gli elementi 
per farlo e decidere lui l�intera controversia (50). 

Pi� recentemente, in parziale dissenso rispetto a tale impostazione, secondo 
la quale �sembra ovvio che l�effetto si produce solo se vi sia domanda 
espressa di una delle parti, nella forma dell�appello (principale o incidentale)�, 
� stato affermato che, alla luce dell�art. 35, comma 3, l. T.a.r., deve ritenersi 
che, affinch� il Consiglio di Stato possa decidere sulla controversia, anzich� 
disporre il rinvio della causa al T.a.r., non occorra un�apposita domanda delle 
parti, essendo la stessa �insita nella stessa richiesta di voler considerare erronea 
la parzialit� o la interlocutoriet� della pronuncia�; richiesta la quale investe il 
giudice d�appello della potest� di decidere la controversia in luogo del primo 
giudice, il cui potere si � consumato con la prima pronuncia, la quale stabilisce 
che, in caso di rigetto dell�appello proposto avverso la sentenza non definitiva, 
il giudizio prosegue inevitabilmente innanzi al t .a. r., che non pu� essere spogliato 
dalla controversia (51). 

Nelle more dell�impugnazione della sentenza non definitiva e, soprattutto, 
in assenza di sospensione della stessa da parte del Consiglio di Stato, sarebbe 
opportuno che, per evitare contrasto di pronunce, quest�ultimo soprassedesse 
in via di fatto (se non addirittura sospendendo il processo di secondo grado) 
dal pronunciarsi sull�appello, cos� da riunirlo a quello che verr� proposto avverso 
la sentenza definitiva: suggerimento pragmatico avversato da un�altra 
parte della dottrina (52) che mira ad evitare, in radice, che si verifichino le 
condizioni cui � subordinata l�operativit� dell�effetto traslativo. 

Poich� il differimento dell�appello avverso le sentenze non definitive (appellabili), 
adesso espressamente contemplato dall�art. 103 del Codice, costituisce 
una mera facolt� della parte legittimata, le anzidette sentenze possono 
comunque essere impugnate immediatamente, nel qual caso si pone il pro


(50) M. NIGRO, Giustizia amministrativa, 6 ed., a cura di E. CARDI e A. NIGRO, Bologna 2002. 
(51) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, 3� ed., Torino, 2003. Ed anche 
C. CONSOLO, Impugnazione immediata di una sentenza non definitiva e proseguimento del giudizio in 
primo grado, RDC, 1979, II, 600 ss.. 
(52) G. LEONE, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Napoli, 1988. 



blema attinente alla facolt� del giudice d�appello, adito per l�impugnazione 
della sentenza non definitiva, di superare i confini dalla stessa tracciati, spaziando 
sull�intero ambito della controversia (53). 

Rimangono ancora da esaminare nel processo amministrativo l�effetto 
conservativo e l�effetto estensivo. 

Il primo acquista importanza nel processo amministrativo, specie in 
quello di legittimit�, nell�ipotesi di appello di una sentenza che si riferisca ad 
un atto amministrativo che riguardi pi� di un soggetto. 

In particolare il problema consiste nello stabilire se l�impugnazione proposta 
da uno dei soggetti soccombenti giovi agli altri, nel senso cio� di abilitare 
questi, ancorch� rimasti estranei all�atto di appello, ad esplicare nel processo 
di appello una qualunque attivit� difensiva, semmai con la forma dell�intervento 
adesivo (54). 

La risposta � certamente negativa. Il presupposto o condizione per l�esercizio 
dell�azione di impugnazione � la soccombenza; ci� comporta che se alcuni 
dei soggetti soccombenti non propongano nei termini l�appello che, in 
virt� della soccombenza erano legittimati a proporre, essi rimangono estranei 
all�appello proposto da altri e quindi, non essendo parti nel processo di secondo 
grado, non possono ivi esplicarvi attivit� difensiva. 

� preclusa ad essi anche la possibilit� di acquistare la qualit� di parte 
esplicando un atto di intervento adesivo in parte actoris, cio� adiuvativo del-
l�appellante, perch�, nei loro confronti, si verifica la stessa situazione che nel 
processo di primo grado riguarda coloro che, avendo una lesione diretta del-
l�atto amministrativo, abbiano omesso di impugnarlo nei termini di decadenza. 

Per essi la giurisprudenza ha sempre escluso che possa essere ammesso l�intervento 
quando, essendo titolari di un interesse identico a quello del ricorrente, 
avrebbero potuto tutelarlo con ricorso principale nei modi e nei termini di legge. 

L�effetto estensivo pu� avvenire anche in situazioni analoghe a quella appena 
menzionata, come ad esempio nel caso di un gruppo di soggetti che sia 
rimasto inerte, mostrando cos� acquiescenza alla sentenza favorevole (55). 

Analogamente, il discorso che precede vale per coloro che, di fronte ad 
un appello principale, possano avere un interesse alla proposizione di un appello 
incidentale: quello proposto da alcuni non si estende a chi si trovi nel-
l�identica situazione. Ma, se a coloro che avrebbero potuto proporre appello 
principale venga notificato ricorso incidentale provocato dall�appello principale 
proposto da altri, dovrebbe ritenersi che, per i primi, si riaprano i termini 
per proporre se mai un �controappello incidentale�. 

(53) F. SAITTA, Commento all�articolo 100 del codice del processo amministrativo pubblicato il 
29 luglio 2010 sul sito della giustizia amministrativa. 
(54) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, 2003, ed. Utet, pag. 889. 
(55) In questo senso Cons. di Stato, Sez. VI, 8 febbraio 1977 n. 84; 15 novembre 1982 n. 570. 



Un�ultima precisazione va fatta con riferimento all�effetto estensivo prendendo 
come punto di riferimento l�esito della sentenza di primo grado. 

In particolare se la sentenza di primo grado � sfavorevole e cio� abbia respinto 
il ricorso, i soccombenti che non abbiano appellato, si troveranno nella 
stessa situazione di coloro che abbiano omesso di impugnare l�atto amministrativo: 
nei loro confronti questo atto diventa inoppugnabile e quindi anch�essi, 
rispetto alla eventuale decisione di secondo grado, che in riforma della 
sentenza appellata, annulli l�atto amministrativo, sono da considerarsi terzi, 
per cui ad essi si applicheranno le regole che reggono l�efficacia soggettiva 
del giudicato amministrativo. 

Diversamente, se la sentenza di primo grado abbia accolto il ricorso annullando 
l�atto amministrativo, sono soccombenti e quindi legittimati ad appellare 
le parti intimate e cio� l�amministrazione che aveva emesso l�atto 
amministrativo impugnato ed i controinteressati. In questo caso, se il Consiglio 
di Stato accolga l�appello e, quindi, annullando la sentenza di primo grado, faccia 
rivivere l�atto amministrativo impugnato, questa riviviscenza in via normale 
dovrebbe valere nei confronti di tutti coloro che siano rimasti soccombenti in 
primo grado, ancorch� abbiano omesso di impugnare la prima sentenza, e ci� 
per l�evidente considerazione che, annullata la sentenza che annullava l�atto 
amministrativo, questo riacquista integralmente il suo valore e la sua efficacia. 

Fa eccezione l�ipotesi in cui la sentenza di secondo grado annulli quella di 
primo grado per motivi che concernono solo i soggetti appellanti, ipotesi questa 
in cui la sentenza sull�impugnazione non pu� certo giovare agli altri soggetti, 
estranei al motivo di accoglimento dell�appello, dato che questa non estensione 
si sarebbe verificata anche se questi ultimi soggetti avessero anch�essi appellato. 

In questo ordine di idee l�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (56) 
ha escluso che in caso di mancata riunione di pi� atti di appello separatamente 
proposti contro la stessa sentenza di primo grado e quindi nel caso di non completa 
identit� dei soggetti del giudizio, la sentenza pronunciata solo su alcune 
impugnazioni estenda i propri effetti nei confronti delle altre impugnazioni 
non ancora decise. 

Rimane ancora da esaminare, ma soltanto nel paragrafo della disciplina 
delle notificazioni l�effetto conservativo, secondo cui l�appello proposto da uno 
solo dei soccombenti impedisce la formazione del giudicato nei confronti degli 
altri litisconsorti necessari; in tal caso, tuttavia, l�inerzia di uno dei soccombenti 
rimasto estraneo al processo di appello instaurato da un altro soccombente, non 
consente al primo di esplicare alcuna attivit� difensiva, neppure con l�intervento 
ad adiuvandum poich� ci� comporterebbe l�elusione dei termini di decadenza 
per proporre l�impugnazione (Cons. di Stato Sez. IV, sent. 3895/01) (57). 

(56) Cons. di Stato, Ad. Plen., 21 giugno 1996 n. 9. 


3. La disciplina delle impugnazioni nel codice del processo amministrativo. 

Con l�entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, la 
disciplina delle impugnazioni nel processo amministrativo trova collocazione 
sistematica nel libro terzo, titolo I, Impugnazioni in generale. 

Osserva autorevole dottrina (58) che �era comunque da aspettarsi un intervento 
del legislatore, anche e soprattutto nella materia delle impugnazioni, 
dove, prima dell�entrata in vigore del codice del processo amministrativo, le 
disposizioni della legge processuale amministrativa dedicate ai giudizi d�impugnazione 
erano infatti disorganiche e incomplete: disorganiche, perch� limitate 
all�appello al Consiglio di Stato e alla revocazione (59) mentre mancano 
del tutto disposizioni di carattere generale; incomplete perch� la disciplina dei 
singoli mezzi d�impugnazione espressamente presi in considerazione dal legislatore 
era circoscritta a poche previsioni normative, tutt�altro che esaustive: 
gli artt. 28 2�, 4� e 5� comma, 29 1� e 4� comma; 34 e 35 l. 6 dicembre 1971, 

n. 1034 per l�appello al Consiglio di Stato e gli artt. 46 r.d. 26 giugno 1924, n. 
1054, 28 1� comma e 36 l. n. 1034/1971 per la revocazione (in quest�ultimo 
caso attraverso un rinvio impreciso alle disposizioni degli artt. 395 e 396 
c.p.c.), cui si aggiungono gli artt. 81-86 r.d. 17 agosto 1907, n. 642. 

Bisogna considerare la disciplina delle impugnazioni nel codice del processo 
amministrativo come una sintesi tra le poche disposizioni espresse, le disposizioni 
del r.d. n. 1054/1924 e del r.d. n. 642/1907 applicabili in quanto 
richiamate dall�art. 29 1� comma l. n. 1034/1971, ma in realt� strutturate rispetto 
a un giudizio nel quale il Consiglio di Stato era giudice in grado unico 
(con tutta una serie di problemi di coordinamento), le disposizioni del codice 
di procedura civile sulle impugnazioni in generale (Libro II, Titolo III, Capo I, 
artt. 323-338 c.p.c.) e alcune disposizioni specifiche del codice di procedura 
civile, la cui applicabilit� al processo amministrativo � stata ritenuta necessaria 
per colmare evidenti lacune nella disciplina dei singoli mezzi di impugnazione�. 

Il quadro nel quale si � trovato ad operare il legislatore delegato �, come 

(57) Codice del processo amministrativo di LEONE GIOVANNI, MARUOTTI LUIGI, SALTELLI CARLO, 
ed. Cedam 2010, pagg. 249, 250. 
(58) GIANFRANCO SIGISMONDI, Osservazione alle disposizioni sulle impugnazioni, nello schema 
del decreto legislativo con �un codice del processo amministrativo� pubblicato sul sito giustamm.it rivista 
di diritto pubblico il 31 maggio 2010. 
(59) Come � noto l�opposizione di terzo ordinaria nei confronti delle decisioni del Consiglio di 
Stato e delle sentenze dei Tribunali amministrativi regionali passate in giudicato � stata introdotta dalla 
sentenza della Corte costituzionale 17 maggio 1995 n. 177, Foro it., 1996, I, 3318: di conseguenza nessuna 
disposizione della legge processuale amministrativa disciplina in alcun modo l�istituto; l�opposizione 
di terzo ordinaria nei confronti delle sentenze dei Tribunali amministrativi regionali non passate 
in giudicato � invece ammessa in via interpretativa, ma con una configurazione del tutto particolare, dal 
momento che se ne consente la proposizione al giudice di secondo grado: in questo senso, da ultimo, 
Cons. Stato, Ad. Plen., 11 gennaio 2007 n. 2, id., 2007, III, 113, con nota di TRAVI; l�opposizione di 
terzo c.d. revocatoria, infine, � tuttora estranea al processo amministrativo. 



anticipato, la lacunosit� della normativa positiva che lasciava ampie possibilit� 
d�intervento. 

Pertanto, era necessario confrontarsi con i risultati del lavoro interpretativo 
della giurisprudenza, e quindi con quelle peculiarit� che le impugnazioni 
nel processo amministrativo avevano assunto nel corso del tempo, per stabilire 
quali di questi orientamenti avrebbero dovuto trovare conferma nel diritto positivo 
e quali, invece, sarebbero stati destinati a essere abbandonati. 

A questo si aggiungeva l�esigenza di dettare disposizioni che non risultassero 
appiattite sul modello del giudizio impugnatorio o strettamente funzionali 
a esso, ma che fossero adeguate all�intenzione di delineare un giudizio 
amministrativo nell�ambito del quale il tradizionale schema di tutela fosse solo 
una delle declinazioni possibili. 

Infine, restava il problema relativo ai rapporti con la disciplina del codice 
di procedura civile, che costituisce un modello di riferimento completo e collaudato, 
le cui disposizioni (e in particolar modo quelle dedicate alle impugnazioni 
in generale), fino a oggi, hanno tendenzialmente trovato applicazione 
anche nel processo amministrativo. 

La preferenza del legislatore delegato si � indirizzata nel senso di predisporre 
una disciplina il pi� possibile completa: non solo, quindi, sono stati 
compiutamente disciplinati i singoli mezzi di impugnazione previsti (appello, 
revocazione, opposizione di terzo e ricorso per cassazione secondo l�elencazione 
dell�art. 91 del progetto), ma sono stati anche predisposti una serie di 
articoli dedicati alle impugnazioni in generale. 

� opportuno, dopo queste considerazioni, affrontare nello specifico la 
norma cardine che disciplina le impugnazioni. 

Si tratta dell�articolo 91 del c.p.a. secondo cui �i mezzi di impugnazione 
delle sentenze sono l�appello, la revocazione, l�opposizione di terzo ed il ricorso 
per Cassazione per i soli motivi attinenti alla giurisdizione�. 

In base ad una prima lettura, si evince come l�articolo in analisi, si limiti 
ad indicare i mezzi di impugnazione delle sentenze dei giudici amministrativi. 

La norma pone una disciplina soltanto di alcuni profili comuni alle impugnazioni, 
dal momento che operano il rinvio interno ed esterno contenuti 
nel libro I, rispettivamente agli articoli 38 e 39 del codice, che rendono applicabili 
anche in tale sede le norme dettate per il giudizio di primo grado e le 
disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili. 

Non si riscontra nella norma dell�articolo 91 c.p.a la distinzione classica 
tra mezzi di impugnazione ordinaria e mezzi di impugnazione straordinaria, 
classificazione che era gi� nota al diritto processuale civile. 

A prescindere dalla classificazione o meno effettuata dal codice, sono 
mezzi di impugnazione ordinaria quelli che possono essere esperiti dalla parte 
soccombente prima del giudicato formale della sentenza, secondo la disciplina 
gi� contenuta nell�articolo 324 c.p.c. e sono: l�appello, la revocazione ordinaria 


ed il ricorso per Cassazione; sono invece mezzi di impugnazione straordinari 
la revocazione straordinaria e l�opposizione di terzo. 

L�elencazione contenuta nell�articolo 91 � tassativa ed espressione del 
noto principio di tipicit� dei mezzi di impugnazione, gi� noto negli altri processi, 
civile e penale (Consiglio di Stato Sez. V, 9 dicembre 2008, n. 6121), 
ed esclude che possano essere considerati tali nel processo amministrativo altri 
istituti attraverso i quali la parte possa presentare doglianze avverso la decisione 
dell�autorit� giurisdizionale. 

Un breve richiamo, sempre con riferimento alla tematica delle impugnazioni, 
va fatto anche al regolamento di giurisdizione, il quale, al pari del processo 
civile non pu� definirsi come mezzo di impugnazione, in quanto la sua 
proposizione � preventiva rispetto alla definizione della controversia realizzata 
con la sentenza e diversamente da quanto accade nel processo civile con il regolamento 
di competenza. 

A seguito di alcune modifiche apportate al testo che si commenta, anche il 
regolamento di competenza � diventato un mezzo di impugnazione delle ordinanze 
sulla competenza e trova collocazione sistematica nel codice del processo 
amministrativo e precisamente all�articolo 16 comma 3 c.p.a., ma non assurge 
a mezzo di impugnazione delle sentenze come nel caso del processo civile. 

La risposta a tale affermazione d�altronde la si rinviene nell�articolo 47 
c.p.c., e cio� nella circostanza che competente a pronunciarsi sul regolamento 
di competenza � il Consiglio di Stato, vale a dire lo stesso giudice di secondo 
grado e non anche la Corte di Cassazione. 

Per comprendere poi appieno il significato della norma, bisogna far riferimento 
all�inciso �sentenza�, concetto alquanto diverso, che � atto del giudice 
e che ha contenuto decisorio ed attitudine a comporre in modo tendenzialmente 
stabile l�assetto degli interessi coinvolti nella controversia. Sono pertanto 
esclusi dall�ambito di applicazione della norma gli atti di natura sostanziale, 
quali negozi e provvedimenti amministrativi, n� possono essere esperiti in 
linea di principio, contro qualsiasi altro atto del giudice, quali ordinanze e decreti, 
avverso i quali il reclamo deve essere fatto nei limiti, nelle forme e nei 
tempi indicati dalle disposizioni ad esse indicate. 

Possono essere impugnate in appello le sentenze non definitive e contro 
di essere pu� essere fatta riserva di appello secondo la disciplina contenuta 
nell�articolo 103 c.p.a. 

I casi di esclusione delle impugnazioni riguardano anche le ordinanze 
istruttorie e quelle meramente ordinatorie ovvero interlocutorie perch� pacificamente 
ritenute prive di contenuto decisorio. 

Tuttavia giurisprudenza recente (60) ritiene impugnabili i provvedimenti 

(60) Consiglio di Stato, Sez. V, 9 dicembre 2008 n. 6121. 


del giudice amministrativo di primo grado, che pur privi della forma e del 
nomen juris di sentenza abbiano in modo concreto contenuto decisorio, poich� 
in tutto o in parte, in modo esplicito o implicito, risolvono la questione che 
oppone le parti, ovvero un punto pregiudiziale di essa. 

Un�ultima distinzione, sempre in tema di impugnazione, merita essere 
fatta con riferimento alla natura giuridica dell�ordinanza che decide sul ricorso 
in materia di accesso in corso di causa. La giurisprudenza (61) distingue tra 
ordinanze che si pronunciano in ordine ai presupposti dell�accesso in quanto 
tale e quelle che respingono il ricorso in ragione dell�inutilit� dei documenti 
ai fini del giudizio; alle prime riconosce natura decisoria e quindi scatta l�appellabilit� 
della stessa, mentre le seconde, che hanno natura meramente istruttoria, 
non sono ritenute appellabili (62). 

4. Il nuovo articolo 98 c.p.a. e la disciplina delle misure cautelari dopo il d.lgs. 
160/2012. 

Successivamente all�entrata in vigore del codice del processo amministrativo, 
avvenuta con il decreto legislativo n. 104 del 2010 sono intervenuti 
a distanza di poco tempo due importanti correttivi, opportunamente previsti 
dopo un primo periodo di rodaggio che hanno apportato alcune modifiche all�originaria 
disciplina, compreso l�art. 98 c.p.a.. Prima di passare ad esaminare 
l�articolo per intero, occorre soffermarsi sulla modifica apportata dal d. lgs. 
160 del 2012 (secondo correttivo) all�articolo 98 comma 2 c.p.a., ai sensi del 
quale: �il procedimento si svolge secondo le disposizioni del libro II, titolo II, 
in quanto compatibili�. 

Stabilisce il suddetto articolo che �salvo quanto previsto dall�articolo 
111, il giudice dell�impugnazione pu�, su istanza di parte, valutati i motivi 
proposti e qualora dall�esecuzione possa derivare un danno grave ed irreparabile, 
disporre la sospensione della sentenza impugnata, nonch� le altre opportune 
misure cautelari, con ordinanza pronunciata in camera di consiglio. 

Al procedimento si applicano gli articolo 55, commi 2 a 10, 56 e 57�. 

La novella proposta dalla Commissione speciale richiama tutta la disciplina 
del giudizio cautelare di primo grado nel giudizio di compatibilit�. 

Come autorevolmente osservato dalla dottrina (63), il risultato pratico 
pi� immediato � che in caso di accoglimento della domanda cautelare avverso 
la sentenza, il Consiglio di Stato dovr� fissare l�udienza di merito. Sinora 
si riteneva insussistente tale obbligo, perch� l�articolo 55 comma 11 

(61) Cons. Stato, Sez. VI, 25 marzo 2004 n. 1629; Cons. Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2002 n. 5450; 
Cons. di Stato, Sez. VI, 22 gennaio 2002 n. 397. 
(62) Per tutto si veda il commento di S. OGGIANU, Artt. 91-95 al codice del processo amministrativo, 
d. lgs 2 luglio 2010, n. 104 commento articolo per articolo, a cura di E. PICOZZA, Giappichelli, 151-152. 
(63) R. DE NICTOLIS, Il secondo correttivo del codice del processo amministrativo in Federalismi. 
it n. 20/2012 e precisamente sul giudizio cautelare di appello. 



c.p.a. non era espressamente richiamato dall�articolo 98 comma 2 c.p.a. 

Da una prima lettura, basta notare come il precedente testo richiamava 
gli articoli 55 da comma 2 a comma 10, e gli articoli 56, 57. � da ritenere che 
tali disposizioni siano senz�altro compatibili con il giudizio di appello. 

Dopo l�entrata in vigore del decreto in esame, rimane da verificare la 
compatibit� del giudizio di appello con le disposizioni concernenti il giudizio 
cautelare di primo grado. 

Sono senz�altro applicabili, perch� gi� richiamate dalla precedente disciplina 
del c.p.a. le norme in tema di cauzione (art. 55 comma 2 c.p.a.), il comma 
3, immediatamente successivo, secondo il quale la domanda cautelare pu� essere 
proposta con il ricorso di merito o con distinto ricorso notificato alle controparti, 
l�articolo 55 comma 4, che disciplina la regola della temporanea 
improcedibilit� della domanda cautelare finch� non � presentata domanda di 
fissazione dell�udienza di merito, l�articolo 55 comma 5 concernente le regole 
in ordine alla data di udienza cautelare e ai termini per memorie e documenti, 
l�articolo 55 comma 6, che riguarda le regole in tema di prova della notificazione 
a mezzo posta, l�articolo 55 comma 7 sullo svolgimento della camera 
di consiglio, l�articolo 55 comma 8 sull�autorizzazione alla produzione di documenti 
in camera di consiglio, ancora l�articolo 55 comma 9 che disciplina 
la motivazione dell�ordinanza cautelare, l�articolo 55 comma 10 che stabilisce 
la regola secondo cui l�esigenza cautelare pu� anche essere soddisfatta mediante 
sollecita fissazione dell�udienza nel merito ed ancora l�articolo 56 che 
disciplina le misure cautelari monocratiche ed infine l�articolo 57 (Regole in 
tema di spese del procedimento cautelare). 

Da valutare � poi la compatibilit� delle disposizioni che residuano sul 
giudizio cautelare di primo grado con quello di appello. 

Il riferimento �, in particolare ai commi 11, 12 e 13 dell�articolo 55 c.p.a. 

L�articolo 55 comma 11 prescrive che l�ordinanza con cui viene disposta 
una misura cautelare fissa la data di discussione del ricorso nel merito e che 
in sede di appello cautelare il Consiglio di Stato, se conferma la misura cautelare, 
dispone, ove non l�abbia fatto il giudice di primo grado, che il T.a r. 
fissi l�udienza con priorit�, rafforzando la vecchia previsione che stabiliva che 
l�ordinanza di accoglimento della richiesta cautelare comporter� priorit� nella 
fissazione della data di trattazione del ricorso di merito. Tale previsione appare 
compatibile con il giudizio di appello. Pertanto se nel giudizio di impugnazione 
viene accolta la domanda di sospensione della sentenza, il giudice del-
l�impugnazione, a differenza che nel vigore della versione originaria del c.p.a., 
� ora tenuto a fissare contestualmente la data di udienza del merito. 

Osserva autorevole dottrina (64) che sfuggiva la razionalit� della previ


(64) R. DE NICTOLIS, Il secondo correttivo del codice del processo amministrativo in federalismi. 
it n. 20/2012 e precisamente sul giudizio cautelare di appello. 


gente disciplina, che non richiamava l�art. 55 comma 11 c.p.a., se poteva ipotizzarsi 
che la fissazione della data dell�udienza del merito in sede di udienza 
cautelare potesse creare disagi organizzativi, non conoscendo il collegio i carichi 
di lavoro gi� assegnati alle varie udienze, era comunque insopprimibile 
l�esigenza, che costituisce la filosofia ispiratrice della tutela cautelare nel c.p.a. 
che il lasso temporale tra la fase cautelare e quella di merito sia minimo. Non 
si comprendeva perch� nei giudizi di impugnazione lo sforzo fatto dal c.p.a. 
per avvicinare la cautela al merito venisse vanificato. 

L�articolo 55, comma 12 c.p.a. assicura che ai fini dell�adozione della misura 
cautelare siano garantiti il pieno contraddittorio, nonch� la completezza 
dell�istruttoria, e, a tal fine, il collegio su istanza di parte adotta i provvedimenti 
necessari. 

Anche questa disposizione � compatibile con il giudizio cautelare di appello 
ed � applicabile dopo il secondo correttivo. Nella versione originaria 
l�articolo 55 comma 12 non era richiamato per l�appello e tale mancato richiamo 
appariva irrazionale, in quanto anche nel giudizio di impugnazione 
pu� ben dirsi esservi un�esigenza di integrare l�istruttoria o il contraddittorio 
e non di rado il giudice dell�impugnazione, in sede cautelare, dispone incombenti 
istruttori o provvede ad ordinare l�integrazione del contraddittorio. 

Rimane da esaminare poi l�ultimo comma dell�art. 55 del c.p.a. per poi 
valutarne la compatibilit� con il giudizio di appello. 

Tale disposizione subordina alla soluzione del problema della competenza 
solo il potere di disporre misure cautelari e non anche quello di decidere nel 
merito destando perplessit�; infatti subordinare alla positiva valutazione della 
propria competenza solo il potere di disporre misure cautelari, pu� far ritenere 
che la questione di competenza non sia rilevante se il giudice intenda negare 
le misure cautelari richieste. In ogni caso resta ferma la previsione di cui all�articolo 
15 comma 5, secondo cui il Tribunale adito non provvede sulla domanda 
se non ritiene la propria competenza. 

In definitiva la questione della competenza il giudice deve porsela d�ufficio 
in caso di decisioni cautelari e non anche per la decisione nel merito e 
ci� comporta che il giudice presso cui � proposto ricorso, se si ritiene incompetente, 
non pu� pronunciarsi sulla domanda cautelare, ma occorre chiedersi 
cosa accada se la parte rinunciasse alla domanda cautelare. Una soluzione condivisibile 
sarebbe quella di trattenere la causa e deciderla nel merito. 

Un�altra domanda da chiedersi � se il giudice possa in sede cautelare, pur 
non essendo competente, valutare la sussistenza dei presupposti per la decisione 
nel merito all�esito dell�udienza cautelare e decidere la causa con sentenza 
in forma semplificata o fissare l�udienza sollecita per il giudizio di 
merito. Si tratta di problemi dovuti alla previsione di due diversi regimi di 
competenza per due momenti diversi del medesimo giudizio, quello cautelare 
e del merito. 


In conclusione la disposizione in esame � incompatibile con il giudizio 
di appello. 

Pienamente compatibili con il giudizio di appello e quindi applicabili 
dopo il secondo correttivo sono poi le altre disposizioni del c.p.a., con particolare 
riferimento alla revoca o modifica delle misure cautelari collegiali e riproposizione 
della domanda cautelare respinta, all�esecuzione di misure 
cautelari, alla definizione del giudizio in esito all�udienza cautelare, istituti rispettivamente 
disciplinati dagli articoli 58, 59, 60, del c.p.a. 

Non � invece compatibile con il giudizio di appello l�articolo 61 che disciplina 
le misure cautelari anteriori alla causa. 

5. Termine per impugnare: le novit� introdotte dal Codice del processo. 

Con l�entrata in vigore del codice del processo amministrativo viene unificata 
la disciplina dei termini per la proposizione delle impugnazioni fatta eccezione 
per i riti abbreviati (65). 

Si tratta dell�articolo 92 c.p.a. che consta di cinque commi che � opportuno, 
ai fini di una completezza espositiva, riportare per intero. 

1. Salvo quanto diversamente previsto da speciali disposizioni di legge, le 
impugnazioni si propongono con ricorso e devono essere notificate entro il termine 
perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza. 
2. Per i casi di revocazione previsti nei numeri 1, 2, 3 e 6 del primo 
comma dell'articolo 395 del codice di procedura civile e di opposizione di 
terzo di cui all'articolo 108, comma 2, il termine di cui al comma 1 decorre 
dal giorno in cui � stato scoperto il dolo o la falsit� o la collusione o � stato 
recuperato il documento o � passata in giudicato la sentenza di cui al numero 
6 del medesimo articolo 395. 


(65) A questo punto della trattazione vale la pena fare una breve ma necessaria considerazione sulla 
nozione del �termine� e sulle accezioni ad essa riferite.Tradizionalmente la disciplina generale sui termini 
� stata impostata su due ordini di distinzione di cui l�uno riguarda l�origine e l�altro attiene invece alle 
tradizionali ripartizioni dei termini. Con riferimento all�origine, si � soliti compiere una distinzione tra 
termini legali e giudiziali, dove legali sono quelli stabiliti dalla legge e giudiziali sono quelli stabiliti dal 
giudice. I termini possono poi essere suddivisi in perentori ed ordinatori. Sono perentori quelli entro i 
quali deve compiersi un determinato atto, la cui inosservanza produce la decadenza da un diritto o la preclusione 
a compiere un atto processuale. Essi non possono essere abbreviati o prorogati nemmeno su accordo 
delle parti (cfr. in giurisprudenza Cons. di Stato, Sez. V, 17 novembre 2009 n. 7166; Cons. di Stato, 
24 settembre 2009 n. 5733; Tar Piemonte, Torino, Sez. I, 26 marzo 2010 n. 1609; Cons. giust. Sic., 5 febbraio 
2010 n. 149, tutte in www.giustizia-amministrativa.it); sono invece ordinatori i termini che hanno 
lo scopo di regolare le attivit� processuali secondo le necessit� del normale andamento del processo. 
L�inosservanza dei descritti termini non produce la decadenza dalla facolt� di compiere l�atto in ritardo, 
n� l�inefficacia dell�atto compiuto dopo la scadenza del termine (cfr. in giurisprudenza sul punto ex multis 
Cons. di Stato, Sez. IV, 1 marzo 2010 n. 1178, in www.giustizia-amministrativa.it). 
Una terza categoria di termini � rappresentata in ultimo da quelli dilatori. In questo senso si fa riferimento 
a quei termini che devono trascorrere prima che possa compiersi un determinato atto. In dottrina sul 
punto, per ulteriori approfondimenti si rinvia a CARINGELLA F., PROTTO M., Manuale di diritto amministrativo, 
Roma, 2011. 


3. In difetto della notificazione della sentenza, l'appello, la revocazione 
di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395 del codice di procedura civile e il ricorso 
per cassazione devono essere notificati entro sei mesi dalla pubblicazione 
della sentenza. 
4. La disposizione di cui al comma 3 non si applica quando la parte che 
non si � costituita in giudizio dimostri di non aver avuto conoscenza del processo 
a causa della nullit� del ricorso o della sua notificazione. 
5. Fermo quanto previsto dall'articolo 16, comma 3, l'ordinanza cautelare 
che, in modo implicito o esplicito, ha deciso anche sulla competenza � 
appellabile ai sensi dell'articolo 62. Non costituiscono decisione implicita 
sulla competenza le ordinanze istruttorie o interlocutorie di cui all'articolo 
36, comma 1, n� quelle che disattendono l'istanza cautelare senza riferimento 
espresso alla questione di competenza. La sentenza che, in modo implicito o 
esplicito, ha pronunciato sulla competenza insieme col merito � appellabile 
nei modi ordinari e nei termini di cui ai commi 1, 3 e 4. 


I primi due commi della disposizione dettano una disciplina unitaria del breve 
termine di impugnazione, risolvendo dubbi interpretativi sorti con riferimento alla 
revocazione ed all�opposizione del terzo, mentre il terzo comma contiene la previsione 
generale del termine lungo, attualmente ridotto a sei mesi a seguito della 
modifica dell�articolo 327 c.p.c. ad opera della legge n. 69 del 18 giugno 2009. 

La norma prevede che per la proposizione delle impugnazioni � previsto 
un termine breve di sessanta giorni in luogo del termine di trenta giorni previsto 
dal codice di procedura civile per appello, revocazione ed opposizione 
di terzo. In tal modo si estende a tutte le impugnazioni il termine previsto nel 
codice di procedura civile per il ricorso per Cassazione (art. 325 c.p.c.). 

Analogamente a quanto previsto nel codice di procedura civile, si distingue 
tra impugnazione ordinaria ed impugnazione straordinaria per l�identificazione 
del dies a quo della decorrenza del termine suddetto. 

Per l�appello e la revocazione ordinaria, rispettivamente disciplinati dal-
l�articolo 395 commi 4 e 5 c.p.c. e ricorso per Cassazione, rileva la notificazione 
della sentenza; nel caso di revocazione straordinaria prevista sempre 
dall�articolo 395 commi 1, 2, 3 e 6 c.p.c., e opposizione di terzo (art. 108 
comma 2), poich� la legittimazione all�impugnazione si fonda su un evento 
sopravvenuto e soprattutto non rilevabile dal contenuto testuale della sentenza, 
il termine inizia a decorrere dal giorno in cui � stato scoperto il dolo o la falsit� 

o la collusione o � stato recuperato il documento o � passata in giudicato la 
sentenza che accerta il dolo del giudice che ha adottato la decisione. 

Rispetto all�elencazione contenuta negli articoli 28 e 36 della legge n. 
1034 del 1971, l�articolo 92 c.p.a., introduce l�opposizione di terzo, recependo 
le indicazioni della giurisprudenza della Corte Costituzionale (66), ed ha disposto 
il termine per l�impugnativa di sessanta giorni. 

Per quanto concerne invece l�articolo 92 comma 3 del codice, sempre 


concernente i termini per impugnare, le sole modificazioni rispetto alla disciplina 
previgente sono costituite dalla riduzione del termine lungo per l�appello, 
della revocazione di cui ai nn. 4 e 5 dell�articolo 295 c.p.c. e del ricorso 
per Cassazione da un anno a sei mesi dalla pubblicazione della sentenza in 
totale armonia con quanto stabilito per il giudizio dinanzi all�A.G.O. dalla 
legge n. 69/2009 (art. 92 comma 3 c.p.a.), nonch� la previsione totalmente 
nuova nel codice del processo amministrativo, che detto termine lungo non 
trovi applicazione �quando la parte che non si � costituita in giudizio dimostri 
di non aver avuto conoscenza del processo a causa della nullit� del ricorso o 
della sua notificazione� (articolo 92 comma 4 c.p.a.). Come noto, anteriormente 
alla riforma del 2009, del processo civile, il termine per l�impugnazione 
era di un anno dalla pubblicazione della sentenza ai sensi dell�articolo 327 
c.p.c.; tale termine � stato applicato in via analogica ed in virt� dell�evoluzione 
giurisprudenziale (67) alle impugnazioni delle sentenze amministrative. 

In particolare, la nuova disciplina, ai sensi dell�articolo 58 della legge n. 
69/2009, si applica ai giudizi civili instaurati dopo l�entrata in vigore della legge 

n. 69/2009 e tale norma � stata ritenuta applicabile anche al processo amministrativo 
ancor prima che il codice, con l�art. 92, la recepisse formalmente. 

Una novit� � anche contenuta nell�articolo 92 comma 5 del c.p.a., ai sensi 
del quale l�ordinanza cautelare che abbia deciso in modo esplicito o implicito 
anche sulla competenza � appellabile nei modi dell�appello cautelare, mentre 
l�ordinanza che abbia disposto solo sulla competenza � impugnabile con regolamento 
di competenza ai sensi dell�articolo 16 comma 3 c.p.a. 

Per contro, la sentenza che, in modo esplicito o implicito abbia pronunciato 
sulla competenza insieme col merito � appellabile nei modi ordinari. 

6. Luogo di notificazione e deposito dell�impugnazione. 

La norma di cui all�articolo 93 c.p.a � la seguente: �L'impugnazione deve 
essere notificata nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto dalla parte 
nell'atto di notificazione della sentenza o, in difetto, presso il difensore o nella 

(66) C. Cost. sent. n. 177/1995. 
(67) Con la sentenza del Cons. di Stato, Ad. Plen., 23 marzo 1979 n. 17, in Giust. civ., 1979, II, 
290, si stabil� che per l�appello avverso le sentenze dei T.a.r., il termine lungo dovesse essere di un anno 
decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza, mutuato dal processo civile. Si ritenne infatti, che 
nel processo amministrativo trovava applicazione il termine annuale di decadenza stabilito dall�art. 327 
c.p.c., con la proroga di 45 giorni per il periodo feriale. In particolare si ritiene applicabile l�articolo 
327 c.p.c. in considerazione della sua piena compatibilit� con il sistema della giustizia amministrativa. 
Infatti la disciplina del giudizio amministrativo, ispirata alla pi� radicale e veloce definizione dello 
stesso, si concilia con la ratio dell�art. 327 c.p.c., volta a circoscrivere nel tempo la facolt� di impugnazione 
delle sentenze, indipendentemente dalla loro notificazione per garantirne l�immutabilit� e dare 
cosi certezza e stabilit� ai rapporti giuridici definiti in via contenziosa. 
Per ulteriori approfondimenti sul punto si rinvia a DE NICTOLIS R., I termini nel processo amministrativo, 
in www.giustizia-amministrativa.it. 



residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio e risultante dalla sentenza. 
Qualora la notificazione abbia avuto esito negativo perch� il domiciliatario 
si � trasferito senza notificare una formale comunicazione alle altre parti, 
la parte che intende proporre l'impugnazione pu� presentare al presidente del 
tribunale amministrativo regionale o al presidente del Consiglio di Stato, secondo 
il giudice adito con l'impugnazione, un'istanza, corredata dall'attestazione 
dell'omessa notificazione, per la fissazione di un termine perentorio per 
il completamento della notificazione o per la rinnovazione dell'impugnazione�. 

La disciplina del luogo di notificazione dell�impugnazione corrisponde a 
quanto previsto per il giudizio di impugnazione all�articolo 330 c.p.c. 

L�articolo 93 c.p.a. affronta anche il caso della notificazione non andata 
a buon fine. 

Bisogna distinguere quindi tra l�ipotesi fisiologica e l�ipotesi patologica. 

Con riferimento alla prima, si dispone che, se nell�atto di notificazione 
della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio, l�impugnazione 
deve essere notificata nel luogo indicato. In mancanza di indicazione, 
la notificazione deve essere fatta presso il difensore o nella residenza 
dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio e risultante dalla sentenza. 

Il secondo comma dell�articolo 93 c.p.a. � norma del tutto innovativa e dispone 
che: �qualora la notificazione abbia avuto esito negativo perch� il domiciliatario 
si � trasferito senza notificare una formale comunicazione alle altre 
parti, la parte che intende proporre l�impugnazione pu� presentare al Presidente 
del Tribunale Amministrativo Regionale o al Presidente del Consiglio di Stato, 
secondo il giudice adito con l�impugnazione un�istanza corredata dall�attestazione 
della omessa notificazione, per la fissazione di un termine perentorio per 
il completamento della notificazione o per la rinnovazione dell�impugnazione�. 

Vengono recepiti i principi enunciati dalla Corte di Cassazione (68) e dal 
Consiglio di Stato (69) allo scopo di sollevare la parte che diligentemente ha 
effettuato la notificazione nel luogo risultante dalla formale indicazione della 
controparte dalle conseguenze del mancato buon esito della notificazione dovuto 
a fatto del domiciliatario; infatti la norma prevede un nesso di causalit� 
tra il trasferimento di quest�ultimo non formalmente comunicato alle altre parti 
e l�esito negativo della notificazione. 

Al ricorrere di questo presupposto, la parte che intende proporre l�impugnazione 
pu� ottenere, previa proposizione di apposita istanza al Presidente del 

T.a.r. o del Consiglio di Stato, la fissazione di un termine perentorio per il suo 
completamento o per la sua rinnovazione. Sull�impugnante grava ovviamente 
l�onere di corredare l�istanza con l�attestazione dell�omessa notificazione. 

Quanto al deposito delle impugnazioni disciplinato dall�art. 94 del c.p.a., 

(68) Cass. Civ., sent. 20 maggio 1993 n. 5752; Cass Civ., Sez III, 7 dicembre 1989 n. 5417. 
(69) Cons. di Stato, Ad. Plen., 27 maggio 1999 n. 13. 



merita precisare che quest�ultimo, con riferimento ai giudizi di appello, revocazione 
e di opposizione di terzo, poich� per il ricorso per Cassazione trovano 
applicazione le disposizioni del codice di procedura civile, costituisce una novit� 
che semplifica gli adempimenti a carico dell�impugnante. L�aver ritenuto 
sufficiente che unitamente al ricorso sia depositata la copia anche non autentica 
della sentenza impugnata, sembra derivare dall�agevole reperibilit� della stessa 
nel sito ufficiale. Il che peraltro fa presumere con ragionevole certezza che il 
testo cos� ottenuto sia conforme all�originale. 

7. Le impugnazioni incidentali ed il principio di concentrazione delle impugnazioni 
nel codice del processo amministrativo. 

Anche per quanto concerne le impugnazioni incidentali, merita fare un 
raffronto tra la vecchia e la nuova disciplina. 

Ante codice del processo amministrativo, le impugnazioni incidentali non 
erano oggetto di una disciplina espressa e le uniche disposizioni sulle impugnazioni 
incidentali nel processo amministrativo erano quelle previste dall�art. 
22 t.u. 1058/1924 e dall�art. 37 t.u. 1054/1024 per il ricorso incidentale innanzi 
al Consiglio di Stato, quale Giudice di primo ed unico grado e che in virt� 
dell�art. 29 legge n. 1034 del 1971 venivano considerate come volte a disciplinare 
l�appello incidentale. 

Pertanto, in un primo e non breve periodo, l�unica figura di impugnazione 
prevista e disciplinata per il processo amministrativo era l�appello incidentale 

(70) in primo grado. 

Sennonch�, l�art. 37, sesto comma del t.u. 1054/1924 stabiliva che �il ricorso 
incidentale non � efficace, se venga prodotto dopo che si sia rinunziato 
al ricorso principale, o se questo venga dichiarato inammissibile, per essere 
stato proposto fuori termine�. 

Sulla scorta di detta norma, l�appello incidentale, analogamente a quanto 
avveniva per il ricorso incidentale in primo grado, era legato da un nesso di 
accessoriet� e subordinazione all�atto introduttivo del processo, vale a dire 
all�appello principale. 

L�esigenza di assicurare in maniera pi� ampia possibile la concentrazione 
delle impugnazioni condusse dottrina e giurisprudenza, dopo non pochi tentennamenti, 
a ritenere applicabile anche al processo amministrativo le disposizioni 
dettate dal codice del processo civile per le impugnazioni incidentali. 

Nel vigente sistema processuale civile, l�impugnazione proposta per 
prima assume la denominazione di impugnazione principale, mentre le impu


(70) Sull�appello incidentale si vedano Cons. di Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 1982 n. 21, con 
nota di F. LUBRANO, Osservazioni in tema di appello incidentale, in Dir. Proc. Amm., 1984, 237 ss.; 
Cons. di Stato, Sez. VI, 25 febbraio 1989 n. 173, con nota di D. ARDINI, Ancora un tentativo di unificazione 
delle opposte tesi in materia di appello incidentale, in Dir. Proc. Amm., 1989, 453 ss.. 


gnazioni successive assumono quella di impugnazioni incidentali. 

Purtroppo per�, nonostante la presenza delle norme del codice di procedura 
civile nel sistema processuale amministrativo sulle impugnazioni incidentali, 
ben presto la giurisprudenza rilev� l�iniquit� dell�applicazione del 
rapporto di accessoriet� e subordinazione contemplato nell�art. 37, sesto 
comma t.u. 1054/1924 a tutte le impugnazioni incidentali. Infatti la rinunzia 

o la declaratoria di inammissibilit� dell�impugnazione principale travolgeva 
tutte le impugnazioni proposte in via incidentale, anche se supportate da un 
autonomo interesse ad impugnare. 

Tutto ci� port� alla distinzione tra appello incidentale proprio ed appello 
incidentale improprio (71). 

L�appello incidentale proprio era quello proponibile solo dal soccombente 
formale, vale a dire dalla parte processuale che, pur vedendo respinte anche le 
sue eccezioni, era risultata vincitrice nel processo. Quest�ultima circostanza precludeva 
al soccombente la possibilit� di impugnare la sentenza, che pur aveva 
respinto alcune sue eccezioni, perch� priva dell�interesse ad impugnare. La proposizione 
dell�impugnazione da parte del soccombente sostanziale determinava 
il sorgere dell�interesse ad impugnare del soccombente formale e gli consentiva 
la proposizione dell�impugnazione incidentale. L�esistenza di un rapporto di accessoriet� 
e di subordinazione fra appello incidentale proprio ed appello principale 
giustificava l�applicazione dell�articolo 37, sesto comma, t.u. 1054/1924. 

L�appello incidentale improprio invece era proposto da un soggetto in posizione 
di soccombenza sostanziale e ricorreva ogni qual volta una impugnazione 
sostanzialmente autonoma veniva esperita in via incidentale solo perch� 
formulata successivamente alla notifica di altra impugnazione, che assumeva 
la denominazione di appello principale. In questi casi l�appellante incidentale 
improprio era sollecitato da un autonomo interesse ad impugnare, non accessorio, 
n� subordinato a quello dell�appellante principale. In questi casi non 
trovava applicazione l�art. 37 sesto comma t.u. 1054/1024. 

In conclusione, prima dell�emanazione del codice, le impugnazioni incidentali 
erano pacificamente ammesse nel processo amministrativo, anche se la carenza 
di una specifica normativa rendeva problematico l�assetto dei vari profili (72). In 
particolare si discuteva se l�omessa proposizione dell�impugnazione in via incidentale 
ne determinasse la decadenza, se l�impugnazione in via incidentale fosse 
proponibile solo avverso lo stesso capo di sentenza, se la rigorosa disciplina pre


(71) Sulla distinzione tra appello incidentale proprio e quello improprio, cfr. V. CAIANIELLO, Manuale, 
2003, 923 ss.; G. LEONE, Il sistema, 2006, 282. 
(72) Sottolinea le diverse posizioni della giurisprudenza R. VILLATA, Incertezza in tema di appello 
incidentale nel processo amministrativo, in Dir. Proc. amm., 1984, 159 ss.; R. VILLATA, Ancora in tema 
di appello incidentale, in Dir. Proc. amm., 1985, 316 ss.; R. VILLATA, L�appello incidentale innanzi 
l�adunanza plenaria, in Dir. Proc. amm.; R. VILLATA, L�Adunanza Plenaria perde un�occasione per 
chiarire i problemi dell�appello incidentale ma poi (forse) ripara, in Dir. Proc. amm., 1989, 747 ss.. 



vista dall�art. 37, sesto comma, t.u. 1054/1024, trovasse applicazione anche nei 
confronti di impugnazioni sostenute da un autonomo interesse a impugnare (73). 

Con l�entrata in vigore del codice, vengono codificate tutte le relative regole 
con alcune novit� che � il caso di esaminare. 

L�art. 96 c.p.a. consta di cinque autonome fattispecie che � opportuno 
menzionare. 

1. Tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza 
devono essere riunite in un solo processo. 
2. Possono essere proposte impugnazioni incidentali, ai sensi degli articoli 
333 e 334 del codice di procedura civile. 
3. L'impugnazione incidentale di cui all'articolo 333 del codice di procedura 
civile pu� essere rivolta contro qualsiasi capo di sentenza e deve essere 
proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla notificazione della sentenza 
o, se anteriore, entro sessanta giorni dalla prima notificazione nei suoi confronti 
di altra impugnazione. 
4. Con l'impugnazione incidentale proposta ai sensi dell'articolo 334 del 
codice di procedura civile possono essere impugnati anche capi autonomi 
della sentenza; tuttavia, se l'impugnazione principale � dichiarata inammissibile, 
l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia. 
5. L'impugnazione incidentale di cui all'articolo 334 del codice di procedura 
civile deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla data 
in cui si � perfezionata nei suoi confronti la notificazione dell'impugnazione 
principale e depositata, unitamente alla prova dell'avvenuta notificazione, nel 
termine di cui all'articolo 45. 
6. In caso di mancata riunione di pi� impugnazioni ritualmente proposte 
contro la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina 
l'improcedibilit� delle altre. 


L�art. 96 c.p.a. come � evidente, disciplina le impugnazioni incidentali 
con una norma che innova notevolmente la materia (74). 

Alla norma va attribuito il merito di aver definitivamente risolto precedenti 
contrasti interpretativi (75), che hanno dilaniato a lungo dottrina (76) e giurisprudenza 
(77); pertanto essa consente di parlare di impugnazione incidentale 

(73) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel codice del processo amministrativo. L�onere di proporre 
l�impugnazione successiva alla prima in via incidentale, pagg. 80, 81, Giuffr� editore, 2011. 
(74) Sulle impugnazioni incidentali secondo il codice del processo amministrativo, si vedano E. 
CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, XII, Milano 2010, 908 ss.; A.TRAVI, Lezioni di giustizia 
amministrativa, IX, Torino, 2010, 307 ss.. 
(75) Secondo V. Caianiello la fonte normativa va individuata nell�articolo 37 t.u. n. 1054/1924, 
in forza del rinvio operato dall�art. 29, primo comma, l. n. 1034/1971. 
(76) G. LEONE, Il sistema, 2006, 284, sostiene che la fonte dell�impugnazione incidentale vada 
individuata nell�art. 333 c.p.c. e nei principi desumibili dall�ordinamento processuale civile. In termini 
si veda Cons. Stato, VI, 15 marzo 1989 n. 173. 
(77) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, 2011, Giuffr�, pag. 81. 



e non solo di appello incidentale, come invece era nel precedente ordinamento. 

L�art. 96, secondo comma, c.p.a. stabilisce che possono essere proposte 
impugnazioni incidentali, ai sensi degli articoli 333 e 334 c.p.c. 

L�art. 333 stabilisce che �le parti alle quali sono state fatte le notificazioni 
previste dagli articoli precedenti debbono proporre, a pena di decadenza, le 
loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processo�. L�art. 334 c.p.c. 
prevede che �Le parti contro le quali � stata proposta impugnazione e quelle 
chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell�art. 331, possono proporre 
impugnazione incidentale anche quando per esse � decorso il termine o hanno 
fatto acquiescenza alla sentenza. In tal caso, se l�impugnazione principale � 
dichiarata inammissibile, la impugnazione incidentale perde ogni efficacia. 

Queste disposizioni trovano collocazione anche nel codice del processo 
amministrativo che per� presenta significative novit� rispetto alle disposizioni 
previgenti e rilevanti differenze rispetto alle stesse disposizioni dettate dal codice 
del processo civile. 

Come ha osservato autorevole dottrina (78) nel codice del processo amministrativo 
scompare la disciplina specifica prevista per il ricorso incidentale 
(alias appello incidentale) e viene sostituita da disciplina generale, valida per 
tutte le impugnazioni incidentali. 

Inoltre, il codice del processo amministrativo, determina un vero e proprio 
capovolgimento del rapporto tra impugnazione incidentale propria ed impugnazione 
incidentale impropria. Prima dell�emanazione del codice l�art. 22 

t.u. 1058/1924, l�art. 37 t.u. 105471924 e l�art. 29 legge n. 1034/1971 disciplinavano 
l�appello incidentale improprio; solo a partire dagli anni 80, la giurisprudenza 
ha cominciato a configurare l�appello incidentale improprio come 
ipotesi ordinaria. 

Invece l�art. 96 c.p.a. disciplina l�appello incidentale improprio e l�appello 
incidentale tardivo, omettendo ogni espresso riferimento all�appello incidentale 
proprio. 

L�articolo 96 comma secondo c.p.a. consente poi la possibilit� di proporre 
impugnazioni incidentali ai sensi degli artt. 333 e 334 c.p.c. 

In virt� della succitata disposizione, tutte le parti destinatarie della notifica 
dell�impugnazione, devono proporre, a pena di decadenza, le loro impugnazioni 
in via incidentale; inoltre nel processo amministrativo, l�area delle parti 
tenute a proporre le proprie impugnazioni in via incidentale � pi� ristretta rispetto 
a quella stessa area individuabile nel processo civile perch� il codice di 
procedura civile assicura la concentrazione delle impugnazioni in maniera pi� 
intensa di quanto non faccia il codice del processo amministrativo. 

Infatti, poich� l�art. 332 c.p.c. stabilisce che in sede di integrazione del 
contraddittorio la notifica dell�impugnazione va fatta a tutte le parti nei cui 

(78) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, 2011, Giuffr�, pag. 82. 


confronti l�impugnazione non sia preclusa o esclusa, l�area dei soggetti tenuti 
a proporre impugnazione in via incidentale � ampia ed � tanto estesa quante 
sono le parti del processo che non siano gi� decadute dal potere di proporre 
impugnazione, che non abbiano fatto acquiescenza o non abbiano rinunciato 
alla impugnazione. 

Infatti, l�art. 333 c.p.c. prevede che i soggetti che devono proporre impugnazione 
incidentale sono tutte le parti destinatarie della notifica, sia nelle ipotesi 
di cause inscindibili, che nei casi di cause scindibili, in virt� dell�espresso 
richiamo, contenuto nel primo comma, ai precedenti articoli 331 e 332 c.p.c.; 
invece il nuovo codice del processo amministrativo restringe l�area dei soggetti 
tenuti alla proposizione dell�impugnazione in via incidentale. E ci� lo si desume 
dalla lettura dell�art. 95 primo comma, c.p.a., dall�inciso �negli altri 
casi�, vale a dire nelle cause diverse da quelle inscindibili. L�integrazione 
deve investire non tutte le parti del processo, ma solo quelle �interessate a contraddire�; 
ci� comporta che l�area dei soggetti tenuti a proporre la propria impugnazione 
in via incidentale comprende non solo tutti coloro che sono titolari 
di una situazione contrastante con l�impugnante principale, ma anche coloro 
che, pur avendo una posizione autonoma, si collochino in una posizione di 
cointeresse con l�impugnante principale. 

Per concludere, nel processo amministrativo � pi� elevato, rispetto al processo 
civile, il rischio che nei confronti della medesima sentenza siano proposte 
impugnazioni separate (79). 

Inoltre, il codice, all�articolo 96, afferma espressamente che l�impugnazione 
incidentale gi� prevista dell�art. 333 c.p.c. pu� essere rivolta contro qualsiasi 
capo della sentenza. 

Infine, trover� applicazione la sanzione della decadenza e non potr� trovare 
applicazione il precedente orientamento giurisprudenziale secondo il 
quale la riunione delle impugnazioni � idonea ad evitare la decadenza delle 
stesse. La decadenza si verifica nel momento della proposizione della impugnazione, 
indipendentemente dal momento in cui viene dichiarata. 

8. Il deferimento all�Adunanza Plenaria dopo i decreti legislativi 2 luglio 2010 

n. 104, d. lgs. 195/2011 e d. lgs. 160/2012. 

L�art. 99 c.p.a. disciplina il deferimento all�adunanza plenaria del Consiglio 
di Stato e consta di cinque autonome fattispecie che � opportuno richiamare. 

1. La sezione cui � assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto 
sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, 
con ordinanza emanata su richiesta delle parti o d'ufficio pu� 
rimettere il ricorso all'esame dell'adunanza plenaria. L'adunanza plenaria, 

(79) A .TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, IX, 2010, 309. 


qualora ne ravvisi l'opportunit�, pu� restituire gli atti alla sezione. 

2. Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta 
delle parti o d'ufficio, pu� deferire all'adunanza plenaria qualunque ricorso, 
per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere 
contrasti giurisprudenziali. 
3. Se la sezione cui � assegnato il ricorso ritiene di non condividere un 
principio di diritto enunciato dall'adunanza plenaria, rimette a quest'ultima, 
con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. 
4. L'adunanza plenaria decide l'intera controversia, salvo che ritenga di 
enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione 
remittente. 
5. Se ritiene che la questione � di particolare importanza, l'adunanza plenaria 
pu� comunque enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge 
anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, 
ovvero l'estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell'adunanza plenaria 
non ha effetto sul provvedimento impugnato. 


Con l�entrata in vigore del codice del processo amministrativo viene riprodotto 
nel libro terzo, titolo primo, quasi pedissequamente nell�articolo 99, 
quanto gi� previsto e disciplinato dall�articolo 45 commi 2 e 3 del r.d. n. 
1054/1924, sul deferimento all�adunanza plenaria. 

Da una prima lettura, si desume che l�intenzione del legislatore di collocare 
il deferimento all�Adunanza Plenaria nel libro riservato alle impugnazioni, 
fa intendere come questo istituto sia proprio non soltanto dell�appello, 
bens� esperibile per tutti i mezzi di impugnazione. 

Osserva autorevole dottrina (80), che dalla collocazione sistematica accolta 
dal Codice si desume che la rimessione all�Adunanza Plenaria sia possibile 
in tutte le ipotesi in cui un ricorso venga esaminato dalla sezione del 
Consiglio di Stato, indipendentemente dal mezzo di impugnazione esperito 
per investire del ricorso il Consiglio di Stato. 

Prima di passare ad analizzare le ultimissime novit� apportate all�articolo 
99 c.p.a. dal secondo correttivo (d. lgs. 160/2012), bisogna contemplare le singole 
ipotesi di deferimento previste dalla norma. 

La prima � contenuta nell�articolo 99 comma 1 c.p.a. ed attribuisce ad 
ogni sezione del Consiglio di Stato il potere di rimettere il ricorso all�esame 
dell�Adunanza Plenaria, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame 
ha dato luogo (contrasto attuale) o possa dar luogo (contrasto potenziale) a 
contrasti giurisprudenziali. 

Il deferimento pu� essere sollecitato dalle parti, con richiesta, o pu� essere 
disposto anche d�ufficio; nel primo caso per� la sezione non � tenuta a disporre 
il deferimento ma pu� provvedere discrezionalmente. 

(80) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Giuffr� Editore, 2011, pag. 123. 


Soltanto con l�entrata in vigore del decreto legislativo 160 /2012 (secondo 
correttivo al codice del processo amministrativo), all�articolo 99 primo comma 
� stato introdotto un nuovo comma. 

In particolare, all'articolo 99, comma 1 c.p.a., � stato aggiunto il seguente 
periodo: "L'adunanza plenaria, qualora ne ravvisi l'opportunit�, pu� restituire 
gli atti alla sezione". 

Viene attribuito all�Adunanza Plenaria, investita da una sezione semplice 
per risolvere un contrasto (sia esso attuale o potenziale) di giurisprudenza, il 
potere di restituire gli atti qualora ne ravvisi l�opportunit�. 

Una prima osservazione va fatta con riferimento all�ambito applicativo; 
infatti, da una prima lettura, non vi � dubbio che la previsione � di stretta interpretazione, 
perch� � stato previsto che a rimettere l�affare all�adunanza plenaria 
� soltanto la sezione semplice in caso di contrasto di giurisprudenza, 
rimanendo esclusi gli altri casi di rimessione sempre previsti dall�articolo 99 

c.p.a. (la rimessione da parte del Presidente del Consiglio di Stato o da parte 
di una sezione che intenda discostarsi da un precedente della Plenaria). 

Una seconda osservazione va fatta con riferimento al potere di restituzione 
degli atti, lasciando la norma un potere discrezionale in bianco che, come 
� stato autorevolmente osservato, non si conf� ad un organo giurisdizionale, 
bens� ad un organo amministrativo (81). 

Successivamente, non sono mancate voci autorevolissime (82), che hanno 
considerato come tale norma possa portare l�adunanza plenaria a realizzare 
un abuso, qualora, per ragioni di opportunit�, faccia un uso distorto di tale potere 
che comunque spetta per legge. 

Ad avviso di chi scrive, questo abuso potr� essere evitato soltanto se l�adunanza 
plenaria limiter� il potere di restituzione degli atti a determinate ipotesi 
ed al ricorrere di determinati presupposti gi� contemplati dalla norma (contrasti 
attuali o potenziali di giurisprudenza), escludendolo quindi nel caso in cui essi 
manchino ed ancora quando ci siano evidenti ragioni di opportunit� processuale. 

Si citano come esempio le questioni nuove, dove l�intervento della Plenaria 
pu� apparire prematuro, essendo preferibile aspettare prima gli orientamenti 
espressi dalle sezioni semplici. 

Il potere della Plenaria di restituire gli atti alla sezione segue un procedimento 
diverso rispetto a quello previsto per il rito civile e disciplinato dall�articolo 
374 c.p.c., il quale stabilisce che le Sezioni Unite della Corte di 
Cassazione investite del potere nomofilattico, non hanno il potere di restituire 
gli atti alla sezione rimettente. 

(81) R. DE NICTOLIS, Il secondo correttivo del codice del processo amministrativo. 
(82) Relazione di PASQUALE DE LISE del 19 novembre 2012 sulle impugnazioni nel codice del 
processo amministrativo, in occasione della presentazione del libro �Le impugnazioni nel processo amministrativo� 
di MARIO SANINO. 



Una novit� � stata introdotta nell�articolo 99 comma 2 c.p.a., dal decreto 
legislativo 104/2010 e non oggetto di modifica da parte del primo e del secondo 
correttivo al codice del processo. 

In particolare, si tratta del potere conferito, al Presidente del Consiglio di 
Stato, prima della decisione, anche se la formula utilizzata dalla norma induce 
a ritenere che il deferimento possa intervenire anche dopo che la sezione abbia 
trattenuto la causa per la decisione, purch� questa non sia depositata, di risolvere 
questioni di massima di particolare importanza e rispetto al passato risulta 
pi� accentuato il suo ruolo, dal momento che il deferimento da parte sua pu� 
aversi non solamente come prevedeva l�art. 45 del r.d. 1054/1924, ove si renda 
necessaria la risoluzione di questioni di massima, ma anche in caso di contrasti 
giurisprudenziali. 

La ratio della riforma � quella di realizzare l�unit� del diritto nazionale 
prevista per la Cassazione all�art. 65 della legge sull�ordinamento giudiziario. 

La norma trova un fondamento normativo nell�art. 376 secondo e terzo 
comma e nell�art. 374 secondo comma c.p.c. 

Una parte della dottrina (83) ha molto criticato il potenziamento del ruolo 
del Presidente del Consiglio di Stato sul potere di deferimento della questioni 
controversie all�Adunanza Plenaria, perch� eccessivo; infatti da quanto si desume 
dalla previsione della norma, il Presidente del Consiglio di Stato pu� 
deferire, non solo su richiesta delle parti (circostanza che potrebbe essere significativa: 
in caso appunto di mancato accoglimento di un�istanza di questo 
genere davanti alla sezione presso la quale la causa si discute, la parte potr� 
domandare al Presidente che venga deferita all�Adunanza Plenaria), ma lo pu� 
fare addirittura d�ufficio, senza che la parte lo abbia domandato. La norma 
non precisa neppure quando possa farlo, se in ogni tempo, o fino alla decisione, 
lasciando lacune che devono essere assolutamente colmate. 

Si tratta di una critica di carattere sostanziale, non processuale. Il Presidente, 
esercitando il potere di rimettere la causa all�Adunanza Plenaria, genera 
un vulnus al principio del giudice naturale precostituito per legge, che � principio 
troppo importante per essere sacrificato per esigenze di nomofilachia e 
dell�uniformit� dell�ordinamento giudiziario su tutte le questioni, anche su 
quelle pi� importanti. 

Con l�entrata in vigore dei primi due commi dell�art. 99 del codice del 
processo amministrativo, infatti, il legislatore ha cercato di colmare la laconicit� 
dell�articolo 45 del t.u. sul Consiglio di Stato. Il deferimento della �questione� 
al massimo organo della giustizia amministrativa, ne � testimonianza 
con l�aumento delle decisioni del Consiglio di Stato rese in Adunanza Plenaria, 
che � stato congruente con l�ampliamento delle ipotesi di remissione all�Adu


(83) A. POLICE, Relazione sulla riforma del codice del processo amministrativo tenutasi presso 
l�Universit� degli studi di Roma Tor Vergata il 30 aprile 2010, pag. 19. 


nanza Plenaria, sia sotto il profilo soggettivo (deferimento all�adunanza plenaria 
da parte del Presidente del Consiglio di Stato su richiesta delle parti, ma, 
con la riforma anche d�ufficio), sia sotto quello oggettivo (per dirimere contrasti 
giurisprudenziali, attuali o potenziali). 

L�intento del legislatore di attribuire al Presidente del Consiglio di Stato 
maggiori poteri rispetto alla precedente disciplina trova un riscontro pratico 
essenzialmente nelle �notevoli competenze tecniche del Presidente del Consiglio 
di Stato�, ed in particolare nella valutazione delle singole fattispecie 
sottoposte alla sua attenzione. 

La norma � innovativa soprattutto con riferimento al novero dei soggetti 
perch� attribuendo al Presidente del massimo organo della giustizia amministrativa, 
il deferimento della questione all�Adunanza Plenaria, colma la lacuna 
della precedente disciplina che evidentemente �aveva mancato di estendere questa 
attribuzione che soltanto in un momento successivo � stato avvertito dalla 
giustizia amministrativa e poi codificata dal legislatore della riforma� (84). 

La terza ipotesi, prevista e disciplinata dall�art. 99 comma 3, ricorre 
quando la sezione cui � assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio 
di diritto enunciato dall�Adunanza Plenaria. In tal caso rimette a quest�ultima 
con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. 

Dalla lettura della norma � palese l�intenzione del legislatore di rafforzare 
il dovere di motivare, e rivolgendosi soprattutto ai giudici che devono indicare 
in modo pi� preciso i punti di dissenso e le ragioni che supportano tale opinione. 
La norma precisa che al Consiglio di Stato spetta un�ulteriore funzione 
e cio� quella di decidere anche il ricorso nel merito. 

La previsione contenuta nel terzo comma dell�art. 99 c.p.a. ha portata innovativa 
e ci� � stato avallato anche dalla giurisprudenza costituzionale (85) 
che riconosce la funzione nomofilattica della Plenaria, in conformit� con le 
pi� recenti trasformazioni del processo civile riguardanti le Sezioni Unite della 
Corte di Cassazione. 

Con l�introduzione dell�art. 99 comma 4 c.p.a. invece, il legislatore ha 
conferito all�Adunanza Plenaria il potere di decidere sia l�intera controversia, 
sia quello di limitarsi ad enunciare il principio di diritto, sciogliendo il punto 

(84) M. SANINO, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Edizioni Giappichelli, pag. 113, 
anno 2012. 
(85) Con la sentenza n. 30 del 24 gennaio 2011, la Corte Costituzionale � stata chiamata a pronunciarsi 
sulla possibilit� che le Sezioni riunite della Corte dei Conti si pronuncino sui giudizi che presentano 
una questione di diritto decisa in senso difforme dalle sezioni centrali o regionali e ha dichiarato 
in parte inammissibile ed in parte infondata la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 1 comma 
7, terzo periodo del d. l. 15 novembre 1993, n. 453 convertito, con modificazioni, nella legge n. 19 del 
14 gennaio 1994, come integrato dall�art. 42, comma 2 della legge n. 69/2009 con riferimento agli artt. 
24, 25 e 11 cost., nella parte in cui � stato attribuito al Presidente della Corte dei Conti il potere di deferimento 
di questioni di massima in relazione ai giudizi pendenti innanzi alle sezioni giurisdizionali di 
primo grado e di appello. 



controverso o di particolare importanza, restituendo per il resto il giudizio alla 
sezione remittente. 

Autorevole dottrina (86) ha osservato che l�introduzione dell�art. 99 
comma 4, rappresenta soltanto in parte un�innovazione perch� gi� nel 1907 si 
stabil� che l�Adunanza Plenaria potesse decidere l�intera controversia, confermando 
cosi le proprie funzioni nomofilattiche. 

Per capire la ratio della riforma bisogna fare un breve richiamo alla precedente 
normativa; il riferimento � all�art. 73 del Regolamento di Procedura 
dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, r.d. 17 agosto 1907, 

n. 642, secondo il quale �l�Adunanza, quando si pronuncia a termini e per 
gli effetti dell�art. 37 (oggi 45) della legge, terzo capoverso, decide in tutte le 
altre questioni della controversia�. 

Dal contenuto della norma � palese la regola della Plenaria che decideva �in 
tutte le altre questioni della controversia� e che una volta rimessa la causa al-
l�esame dell�Adunanza Plenaria, questa avrebbe deciso sia del fatto che del diritto. 

L�opinione di chi scrive � che rispetto alla precedente disciplina il legislatore 
abbia finalmente codificato il pensiero della dottrina ma soprattutto 
quanto gi� affermato in giurisprudenza (87), circa il potere dell�Adunanza Plenaria 
di decidere l�intera controversia, oppure limitarsi ad enunciare il principio 
di diritto per poi rimettere a sua discrezione la questione sottopostale alla 
sezione remittente, attribuendole perci� maggiore potere decisorio in merito 
alla prosecuzione o meno della controversia e ci� si desume dall�inciso �salvo 
che ritenga�, formula che appare contemplare ipotesi eccezionale e condizionata 
da una specifica valutazione del Collegio. 

Rimane da esaminare l�ultimo comma dell�art. 99 c.p.a.; quest�ultimo in 
conformit� a quanto previsto dall�art. 363 c.p.c. (che disciplina il ricorso nel-
l�interesse della legge), consente all�Adunanza Plenaria di enunciare �il punto 
di diritto� nell�interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, 
inammissibile o improcedibile, ovvero in caso di estinzione del giudizio. 

Si tratta senz�altro di un�altra novit� nel codice del processo amministrativo, 
ipotesi assente nella precedente disciplina e precisamente nell�art. 45 del 

t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato 1054/1024. 

Con tale norma viene scissa la soluzione della questione di diritto dalla 
definizione del giudizio realizzata dalla sentenza di rito e ci� si evince dalla 
lettura dell�ultimo periodo dell�art. 99 e precisamente dall�inciso �la Pronuncia 
dell�Adunanza Plenaria non ha effetto sulla sentenza impugnata�. 

(86) M. SANINO, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Edizioni Giappichelli, 2012, 114. 
(87) Il riferimento � ovviamente alle decisioni nn. 4, 5, 7, 8, 9 del 30 luglio 2008 rese in Adunanza 
Plenaria dal Consiglio di Stato, e prevedevano che l�Adunanza Plenaria possa limitarsi a pronunciare il 
principio di diritto, restituendo per il resto il giudizio alla sezione remittente, senza condizionare tale 
scelta ad alcun presupposto di fatto o di diritto e quindi sulla base dell�insindacabile scelta del Supremo 
Consesso. 



Il primo correttivo del codice del processo amministrativo e precisamente 
il d. lgs. 195/2011 ha modificato l�ultimo periodo dell�art. 99 comma 5 c.p.a.; 
le parole �sulla sentenza impugnata� sono state sostituite dalle seguenti �sul 
provvedimento impugnato�. 

Secondo autorevole dottrina, rispetto alla precedente disciplina quindi gli 
effetti della pronuncia dell�adunanza plenaria non si ripercuotono sulla sentenza 
impugnata, bens� sul provvedimento impugnato e genera anche risvolti processuali, 
perch� l�appello non viene pi� considerato un vero e proprio giudizio di 
impugnazione avente ad oggetto la sentenza del T.a.r. avverso la quale vanno 
rimosse specifiche censure, non bastando la generica riproduzione dei motivi 
di ricorso mossi contro il provvedimento impugnato in primo grado, bens� come 
gravame, avente come riferimento il rapporto oggetto della controversia di 
primo grado incentrato appunto sul provvedimento amministrativo. Tesi, 
quest�ultima, ritenuta condivisibile anche secondo l�opinione di chi scrive (88). 

� opportuno precisare che l�enunciazione del principio di diritto in caso 
di chiusura in rito del giudizio non costituisce un obbligo per l�Adunanza Plenaria, 
bens� una facolt� da esercitare e ci� lo si desume dall�inciso �l�Adunanza 
Plenaria pu� comunque enunciare il principio di diritto�. 

Questa disposizione, al pari delle altre, � da considerarsi innovativa perch� 
comunque conferma e rafforza il ruolo dell�Adunanza Plenaria anche 
quando il giudizio si conclude con una decisione di rito e riservando quindi 
all�Adunanza Plenaria almeno teoricamente di giungere ad un diverso avviso 
rispetto a quanto rilevato dall�organo remittente. 

Un�ultima considerazione va fatta, infine, con riferimento alla previsione 

o meno di un filtro sull�ammissibilit� sulla rimessione all�adunanza plenaria, 
per poi tracciare una distinzione rispetto al giudizio di Cassazione. 

La questione era stata gi� studiata dalla pi� autorevole dottrina (89), che 
si era posto il problema dell�opportunit� di creare un filtro preliminare omogeneo 
all�Adunanza Plenaria. 

Secondo l�autore appena citato, la norma non prevede alcun filtro sull�ammissibilit� 
della questione all�Adunanza Plenaria come invece � previsto per il 
giudizio civile, ai sensi dell�art. 47 della legge n. 69 del 2009, che ha introdotto 
l�art. 360 bis, concernente l�inammissibilit� del ricorso: �1) quando il provvedimento 
impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza 
della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare 

o mutare l'orientamento della stessa; 2) quando � manifestamente infondata la 

censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo�. 
Si tratta, infatti, di una previsione che nel caso del Consiglio di Stato par


(88) M.G. ANTONUCCI, Elementi di diritto processuale amministrativo, Giuffr� Milano, 2012. 
(89) S. OGGIANU, Resoconto del seminario sul libro III (le Impugnazioni) del progetto di codice del 
processo amministrativo svoltosi il 30 aprile 2010 presso l�Universit� degli studi di Roma Tor Vergata. 



rebbe opportuno limitare ai casi in cui si prevede il deferimento del caso controverso 
all�Adunanza Plenaria e non rispetto alla sezione semplice, stante la 
commistione di funzioni di giudice d�appello e di funzioni nomofilattiche 
dell�organo di vertice della giurisdizione amministrativa. Infatti, senza questo 
adattamento si priverebbe il processo amministrativo del secondo grado, in 
contrasto peraltro con la previsione di cui all�art. 125 della Costituzione. 

� inoltre necessario precisare che mentre l�articolo 360 bis c.p.c. si riferisce 
ad un mezzo di impugnazione, il ricorso in Cassazione appunto, il ricorso 
all�Adunanza Plenaria non costituisce un mezzo di impugnazione, ma si inserisce 
nel processo prima che la controversia sia definita con sentenza ed anzi 
la soluzione del caso � adottata direttamente dal supremo consesso amministrativo; 
correlativamente, mentre il ricorso in cassazione � ad istanza di parte, 
l�Adunanza plenaria pu� essere adita dalla sezione o dal Presidente del Consiglio 
di Stato. Anche sotto questo profilo, dunque, l�istituto, che pu� essere 
suscettibile di estensione quanto all�idea di fondo, necessita un adattamento 
alle dinamiche proprie del processo amministrativo. Del resto si tratta di una 
soluzione presente anche in altri ordinamenti di civil law, in cui la giustizia 
amministrativa � distinta dalla giustizia civile (90). 

Si cita come esempio l'ordinamento francese dove il Conseil d'Etat �, in 
materia di contenzioso amministrativo, al tempo stesso organo di vertice del-
l'ordine giurisdizionale amministrativo e giudice di Cassazione. 

Tuttavia il profilo organizzativo (Cour Supr�me) e quello funzionale (jurisdiction 
de cassation) non sempre coincidono, dal momento che il codice di 
giustizia amministrativa (CJA) ha previsto una diversa procedura per il ricorso 
al Consiglio di Stato quale giudice di una nomofilachia �preventiva�, rispetto 
a quella esercitata in forza del rinvio allo stesso giudice come corte di ultima 
istanza. 

L�accesso al Conseil dՏtat quale giudice di cassazione � caratterizzato, 
infatti, dal punto di vista procedurale, da una fase preliminare in cui viene sindacata 
l�ammissibilit� dell�istanza, che precede la trattazione del ricorso. La 
procedura � imperniata sul principio inquisitorio e si svolge in assenza di contraddittorio 
tra le parti. In particolare, dispone l�art. 11 della l. 1127/1987: �il 
ricorso per cassazione davanti al Consiglio di Stato � oggetto di una procedura 
preliminare di ammissione. L�ammissione � rifiutata con decisione giurisdizionale, 
se il ricorso � irricevibile o non � fondato �su alcun motivo serio�. 
Dal punto di vista delle ipotesi di inammissibilit�, posti in disparte i casi di irricevibilit� 
che presentano scarso interesse rispetto al discorso che si va svolgendo, 
appare interessante rilevare l�elasticit� della previsione normativa che 
fa riferimento alla condizione che il ricorso non sia fondato su �alcun motivo 

(90) S. OGGIANU, Commento all�istituto del ruolo dell�Adunanza Plenaria, 30 aprile 2010 presso 
l�Universit� degli Studi di Roma Tor Vergata. 


serio�. La formulazione al negativo, infatti, da un lato estende i confini del-
l�ammissibilit�, poich� sembra escludere i soli ricorsi che si presentino manifestamente 
non seri, cio� non imperniati su fondate questioni di diritto; 
dall�altro, proprio l�ulteriore attitudine all�adattamento � data dal riferimento 
al �motivo serio� non meglio specificato. 

Un altro esempio lo si pu� fare con riferimento all�ordinamento tedesco, 
dove la giurisdizione amministrativa si articola in tre gradi di giudizio: tribunali 
di prima istanza (Tribunali amministrativi, Verwaltungsgerichte), tribunali 
di appello (Tribunali amministrativi superiori, Oberverwaltungsgerichte, 
OVG) ed un Tribunale amministrativo federale (Bundesverwaltungsgerichte, 
BverwG). 

A quest'ultimo, in prima battuta, � affidato l'esercizio della funzione nomofilattica, 
in seno al ricorso di revisione, disciplinato dalla XIII sezione (revisione) 
della legge sul processo amministrativo (Verwaltungsgerichtsordnung, 
VwGO) del 21 gennaio 1960. In particolare, ai sensi del par. 132 �contro la 
sentenza definitiva di un tribunale amministrativo superiore (...) alle parti 
spetta la revisione solo se il tribunale amministrativo superiore l'ha ammessa 

o se l'ha ammessa il tribunale federale amministrativo su ricorso contro la non 
ammissione� (co.1). 

Anche la legge tedesca, quindi, condiziona il ricorso in revisione ad una 
previo giudizio di ammissibilit� rimesso al giudice di seconda istanza e, in 
sede di impugnazione della decisione di questo, al Tribunale amministrativo 
federale. Le condizioni di ammissibilit� della revisione sono enunciate al co. 
2 del citato par. 132: �la revisione � da ammettere se: 1) la causa ha un'importanza 
fondamentale; 2) la sentenza diverge da una decisione del Tribunale di 
revisione o del Senato comune delle supreme corti del Bund e si basa su questa 
divergenza; 3) viene fatto valere ed � presente un vizio processuale sul quale 
pu� basarsi la decisione�. Conclude il par. 3 che �il tribunale federale amministrativo 
� vincolato all'ammissione�. 


Il risarcimento del danno per equivalente da aggiudicazione 
illegittima. Osservazioni in materia di decadenza dell�azione di 
condanna, prescrizione e quantum risarcibile 

Cesare Trecroci* 

SOMMARIO: 1. Premesse - 2. Art. 30, co. 5, c.p.a. Azione di condanna proposta in via autonoma. 
Dies a quo di decorrenza del termine decadenziale in relazione al pricipio del giudicato 
interno ed implicito sulla giurisdizione e, in definitiva, in relazione al principio di 
acquiescenza di cui all�art. 329 c.p.c. - 3. Aggiudicazione provvisoria e aggiudicazione definitiva. 
Dies a quo di decorrenza della prescrizione - 4. Determinazione del quantum risarcibile: 
spese per la partecipazione alla gara; mancato utile e perdita di chances; danno 
all�immagine a carico dell�impresa non aggiudicataria della gara di appalto; danno curriculare. 
Orientamenti giurisprudenziali a confronto. 

1. Premesse. 

Il risarcimento del danno da aggiudicazione illegittima ha rappresentato 
ed ancora rappresenta una tematica di grande interesse per la giurisprudenza 
e la dottrina amministrativiste. Ci� non dipende soltanto dalla prassi giudiziaria, 
dove sono frequenti le domande risarcitorie, in forma specifica o per equivalente. 
Per converso, la problematica in esame svolge un importante ruolo 
nell�enucleazione delle modalit� con cui il giudice amministrativo pu� condannare 
l�amministrazione a risarcire i danni derivanti dalla lesione di interessi 
legittimi. 

Tutto ci� premesso, nella presente trattazione, ci si concentrer� su alcuni 
dubbi in merito: 

a) al dies a quo di decorrenza del termine di decadenza per la proposizione 
dell�azione di condanna, ai sensi e per gli effetti dell�art. 30, comma 5, c.p.a., 
in relazione al principio del giudicato interno ed implicito sulla giurisdizione 
e, in definitiva, in relazione al principio di acquiescenza di cui all�art. 329 c.p.c.; 

b) al dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione per il risarcimento 
del danno da aggiudicazione illegittima, sia essa l�aggiudicazione provvisoria 
o l�aggiudicazione definitiva; 

c) alla determinazione del quantum risarcibile per equivalente, con particolare 
riferimento al danno emergente (spese per la partecipazione alla gara), 
al lucro cessante (mancato utile ovvero perdita di chances), al danno all�immagine, 
al danno curriculare. 

2. Art. 30, co. 5, c.p.a. Azione di condanna proposta in via autonoma. Dies a 
quo di decorrenza del termine decadenziale in relazione al principio del giu


(*) Dottore in Giurisprudenza, gi� praticante forense presso l�Avvocatura dello Stato. 


dicato interno ed implicito sulla giurisdizione e, in definitiva, in relazione al 
principio di acquiescenza di cui all�art. 329 c.p.c. 

Il combinato disposto degli articoli 30 e 34, comma 3, c.p.a., ammette 
espressamente l�esperibilit� di un�azione di condanna dinanzi al giudice amministrativo 
(1). 

In particolare, come gi� prevedeva l�art. 7, l. n. 205/2000, di modifica 
dell�art. 7, l. TAR (2), � ammessa la proposizione dell�azione di condanna dinanzi 
al G.A., contestualmente a quella di annullamento (3), ovvero nel corso 
del giudizio di primo grado (4). 

Inoltre, superato l�acceso contrasto giurisprudenziale in tema di �pregiudiziale 
amministrativa� (5), il nuovo codice del processo amministrativo consente 
la proposizione di un�azione di condanna in via autonoma, anche se non 

(1) L�art. 30 c.p.a. prescrive quanto segue. 
�1. L�azione di condanna pu� essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione 
esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma. 

2. Pu� essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall�illegittimo esercizio del-
l'attivit� amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva 
pu� altres� essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti 
previsti dall�articolo 2058 del codice civile, pu� essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica. 
3. La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi � proposta entro il termine di decadenza 
di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si � verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento 
se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta 
tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento 
dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l�ordinaria diligenza, anche attraverso l�esperimento 
degli strumenti di tutela previsti. 
4. Per il risarcimento dell�eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza 
dell�inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al 
comma 3 non decorre fintanto che perdura l�inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque 
a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. 
5. Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria pu� essere formulata 
nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza. 
6. Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie 
di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo�. 
Specularmente, l�art. 34, comma 3, c.p.a. sancisce che: �Quando, nel corso del giudizio, l'annullamento 
del provvedimento impugnato non risulta pi� utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimit� del-
l'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori�. 


(2) L�art. 7, comma 3, l. TAR n. 1034/1971, stabiliva che: �Il tribunale amministrativo regionale, 
nell�ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all�eventuale risarcimento 
del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali. 
Restano riservate all'autorit� giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo 
stato e la capacit� dei privati individui, salvo che si tratti della capacit� di stare in giudizio, e la risoluzione 
dell'incidente di falso�. 
(3) Art. 30, comma 1, cpv., c.p.a. 
(4) Art. 30, comma 5, cpv., c.p.a. 
(5) Per pregiudiziale amministrativa si intende la necessit� di esercitare una previa o contestuale 
azione di annullamento prima di potere formulare una domanda risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo 
ovvero al giudice ordinario. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 26 marzo 2003, n. 4; Ad. Plen., 22 ottobre 
2007, n. 12. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Tomo I, Milano, 2011, pp. 596 e ss.. 



vi � pi� interesse all�annullamento del provvedimento (6), quando si versi 
nell�ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e negli altri 
casi previsti dall�art. 30 c.p.a. (7), nonch� quando non siano ancora trascorsi 
centoventi giorni dalla verificazione del fatto o del provvedimento lesivi (8), 
ovvero quando non siano ancora trascorsi centoventi giorni dal passaggio in 
giudicato della sentenza demolitoria (9). 

Ci� detto, nell�ipotesi di un�azione di condanna esperita in via autonoma, 
ai sensi dell�art. 30, comma 5, c.p.a., ci si chiede quale sia il dies a quo di decorrenza 
del termine decadenziale. 

Infatti, non sembrerebbe poi cos� pacifico che il dies a quo e, quindi, il 
passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento vada individuato nel-
l�inutile decorso del termine per la revocazione ordinaria, ovvero nel decorso 
del termine per la proposizione del ricorso per cassazione per i motivi attinenti 
alla giurisdizione, ovvero nella declaratoria di inammissibilit� dei due mezzi 
di impugnazione, ai sensi e per gli effetti dell�art. 324 c.p.c. (10). 

Per converso, il principio generale in tema di passaggio in giudicato formale 
delle sentenze di appello trova una palese deroga nel principio di acquiescenza 
ex art. 329 c.p.c. (11) e nel principio del giudicato interno ed implicito sulla giurisdizione, 
che del principio di acquiescenza costituisce una specificazione. 

D�altra parte, per la costante letteratura, l�acquiescenza, espressa o tacita, 
rende inammissibile l�impugnazione per difetto di interesse. In aggiunta, nel-
l�ipotesi di acquiescenza impropria o parziale (art. 329, comma 2, c.p.c.), il difetto 
di interesse rende inammissibile l�impugnazione in parte qua (12), sia che si acceda 
a quella tesi per cui il capo di sentenza non impugnato deve aver definito 
una domanda nel merito (13), sia che si acceda a quell�altro indirizzo interpretativo 
per cui il capo di sentenza non impugnato pu� aver definito anche una mera 
questione pregiudiziale di rito ovvero una questione preliminare di merito (14). 

(6) Art. 34, comma 3, c.p.a. 
(7) Art. 30, comma 1, c.p.a. 
(8) Art. 30, comma 3, c.p.a. 
(9) Art. 30, comma 5, c.p.a. 
(10) L�art. 324 c.p.c. stabilisce che: �Si intende passata in giudicato la sentenza che non � pi� 
soggetta n� a regolamento di competenza, n� ad appello, n� a ricorso per cassazione, n� a revocazione 
per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell�articolo 395�. In base a quanto stabilisce l�art. 324 c.p.c., il Consiglio 
di Stato ha pi� volte affermato che la sentenza di appello passerebbe in giudicato laddove siano 
trascorsi il termine di proposizione del ricorso per revocazione ordinaria e del ricorso per cassazione 
per i motivi attinenti alla giurisdizione. Cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 19 maggio 1997, n. 9. Cfr. 
anche F. CARINGELLA, Manuale di diritto processuale amministrativo, Roma, 2011. Tuttavia, come si 
osserva in questo scritto, tali affermazioni appaiono semplicistiche e poco attente rispetto ad una ricostruzione 
sistematica della normativa in tema di impugnazioni. 
(11) L�art. 329 c.p.c. stabilisce che: �1. Salvi i casi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell�art. 395, l'acquiescenza 
risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volont� di avvalersi delle 
impugnazioni ammesse dalla legge ne esclude la proponibilit�. L�impugnazione parziale importa acquiescenza 
alle parti della sentenza non impugnate�. 



Tale avviso della dottrina � stato fatto proprio dalla giurisprudenza del 
Consiglio di Stato, il quale ha di sovente affermato che: �Nel giudizio amministrativo 
qualora la decisione impugnata si sorregga su una pluralit� di motivi, 
ciascuno dei quali sia da solo in grado di sostenerla perch� fondato su 
specifici presupposti logico - giuridici, spetta all�appellante contrastarli tutti, 
sicch� l�omessa contestazione di uno di tali motivi implica, in applicazione 
dell�art. 329, secondo comma, c.p.c., l�acquiescenza a detto capo il formarsi 
del giudicato su di esso e, per l'effetto, l�inammissibilit� del gravame proposto 
avverso gli altri capi� (15). 

Peraltro, secondo la pi� recente giurisprudenza di legittimit�, il principio 
di acquiescenza non opera soltanto con riferimento alle statuizioni espresse 
od assorbite contenute nella sentenza soggetta a gravame. Per converso, esso 
opera anche con riguardo alle decisioni implicite in tema di riparto di giurisdizione 
ovvero di condizioni dell�azione, come ad esempio l�interesse ad 
agire di cui all�art. 100 c.p.c. (16). 

Cos�, per la giurisprudenza delle Sezioni Unite, il giudicato interno ed 
implicito sulla giurisdizione costituisce una specificazione del principio di tacita 
acquiescenza rispetto ai capi di sentenza non tempestivamente impugnati, 
ai sensi e per gli effetti dell�art. 329, comma 2, c.p.c. (17). 

Per di pi�, con la pronuncia n. 23306/2011, le Sezioni Unite esaminavano 
i rapporti tra l�acquiescenza (il giudicato interno ed implicito sulla giurisdizione) 
ed il definitivo passaggio in giudicato formale della sentenza di appello soggetta 
a gravame. Dunque, la Suprema Corte affermava che: �Nel processo davanti al 

(12) LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, vol. II, 4a ed., Milano, 1984, pp. 269 e ss.. 
MANDRIOLI, Diritto processuale civile, vol. II, 20a ed., Torino, 2009, pp. 436 e ss.. COMOGLIO, FERRI, 
TARUFFO, Lezioni sul processo civile, 2a ed., Bologna, 1998, pp. 787 e ss.. TARZIA, Lineamenti del nuovo 
processo di cognizione, 2a ed., Milano, 2002, pp. 280 e ss.. BONSIGNORI, Impugnazioni civili in generale, 
in Digesto civ., IX, Torino, 1993, pp. 345 e ss.. RONCO, Note sull'acquiescenza cosiddetta tacita o implicita, 
nota a Cass. 11 agosto 2000, n. 10706, in GI, 2001, pp. 700 e ss.. PROTO PISANI, Lezioni di diritto 
processuale civile, 3a ed., Napoli, 1999, pp. 493 e ss.. 
(13) Questa era l�opinione della dottrina un tempo dominante. LIEBMAN, �Parte� o �capo� di sentenza, 
in RDPr, 1964, pp. 47, 57. BIANCHI, L'oggetto dell'appello civile, Milano, 2000, p. 134. SATTA, 
Commentario al codice di procedura civile, vol. II, 2, Milano, 1962, p. 53. ANDRIOLI, Commento al codice 
di procedura civile, II, 3a ed., Napoli, 1956, p. 384. 
(14) Questa era l�opinione della dottrina minoritaria, oggi dominante, fortemente criticata e, ci� nondimeno, 
fatta oggi propria dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite: cfr. Cassazione, Sez. Un., n. 24883/2008, 
in tema di giudicato interno ed implicito sulla giurisdizione; Sez. I, 5 ottobre 2012, n. 17060, in materia di 
giudicato interno ed implicito sul difetto di interesse ad agire e di legittimazione attiva; 29 marzo 2013, n. 
7941, in tema di giudicato interno ed implicito sulla nullit� della clausola compromissoria e sull�incompetenza 
del collegio arbitrale, Sez. II, 22 gennaio 2013, n. 1493, in tema di giudicato interno ed implicito sulla 
possibilit� giuridica (condizione dell�azione) di una domanda possessoria, in luogo di una domanda petitoria. 
POLI, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002, p. 131; Giusto processo e oggetto del 
giudizio di appello, in RDPr, 2010, p. 57. COMOGLIO, FERRI, TARUFFO, op. cit., p. 788. 
(15) Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 dicembre 2012, n. 6370. 
(16) Cfr. nota 13. 
(17) Cassazione, Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883. 



giudice amministrativo, come disciplinato dalla l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e 
dal suo art. 30, la decisione sulla questione di giurisdizione, implicita nella decisione 
di rigetto del ricorso rivolto al tribunale amministrativo regionale passa 
in giudicato se, impugnata dal ricorrente la decisione sul merito, non � a sua 
volta impugnata dagli interessati con appello incidentale condizionato� (18). 

In altri termini, per la giurisprudenza, ai sensi e per gli effetti dell�art. 
329, comma 2, c.p.c., l�acquiescenza determina: 

a) la mancata devoluzione del capo di sentenza non impugnato presso il 
giudice dell�impugnazione; 

b) come risvolto negativo dell�inammissibilit� originaria (o forse dell�irricevibilit�) 
del gravame, il passaggio in giudicato del capo in analisi. 

In termini conformi si � espressa la Corte Costituzionale, in un obiter dictum 
contenuto nella sentenza n. 155 del 1990. In quella sede, la Consulta afferm� 
che addirittura l�inammissibilit� sopravvenuta (rectius: improcedibilit�) 
dell�appello, per difetto di legittimazione attiva e difetto di interesse ad impugnare, 
determina automaticamente il passaggio in giudicato formale della sentenza 
appellata fin dalla data di deposito (19). 

Ne deriva che, se acquiescenza � stata prestata, sarebbe irrilevante la notifica 
della pronuncia di annullamento ai fini del passaggio in giudicato della 
stessa, cos� come sarebbe irrilevante il termine di sessanta giorni per avanzare 
ricorso per cassazione ovvero il termine di sessanta giorni per la proposizione 
della revocazione ordinaria (20). 

In effetti, se l�inammissibilit� originaria del gravame si risolve nell�im


(18) Cassazione, Sez. Unite, 9 novembre 2011, n. 23306. 
(19) Corte Costituzionale, 19 marzo-4 aprile 1990, n. 155. 
(20) Articoli 325 e 326 c.p.c. Inoltre, ai sensi dell�art. 327 c.p.c., modificato dalla l. n. 69/2009, 
il termine lungo per la proposizione del ricorso per cassazione o della revocazione ordinaria � di sei 
mesi. Ci� nondimeno, l�acquiescenza rende irrilevante anche il termine lungo, posto che l�inammissibilit� 
originaria dell�impugnazione (irricevibilit�) ha, come contraltare, il passaggio in giudicato della 
sentenza di appello sin dalla data di deposito. 
Ci si chiede se, nelle controversie aventi ad oggetto il risarcimento per equivalente del danno derivante 
da aggiudicazione illegittima, trovi applicazione, quanto meno per il termine di proposizione della revocazione 
ordinaria, la dimidiazione dei termini ex art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a. Tale questione produce 
conseguenze anche sulla disciplina del contributo unificato. In effetti, ai sensi dell�art. 13, comma 6-bis, 
lett. d), D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il contributo unificato per le controversie in tema di affidamento 
di lavori, servizi e forniture (art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a.) � di � 6.000,00. Altrimenti, il contributo 
unificato sarebbe di � 650,00, ai sensi e per gli effetti dell�art. 13, comma 6-bis, lett. e), D.P.R. n. 115/2002. 
Il Consiglio di Stato ha escluso l�applicabilit� della dimidiazione dei termini (e quindi del contributo 
unificato maggiore) alle controversie in cui l�azione di condanna � esercitata in via autonoma. Non cos� 
se l�azione di condanna � esercitata contestualmente a quella di annullamento. Nel primo caso, infatti, 
il petitum sostanziale � direttamente estraneo, ancorch� sia poi collegato, alla legittimit� delle procedure 
di affidamento di lavori, servizi, forniture. Nel secondo caso, invece, il petitum sostanziale riguarda 
esplicitamente siffatte procedure. Cfr. Circolare del 18 ottobre 2011 del Segretario Generale della Giustizia 
amministrativa, recante Istruzioni sull�applicazione della disciplina in materia di contributo unificato 
nel processo amministrativo (con aggiornamento al 1� marzo 2012). Contra, cfr. TAR Lazio, 
Roma, Sez. III, 29 marzo 2013, n. 3228. 



mediato passaggio in giudicato formale della sentenza di annullamento fin 
dalla data di deposito, sembrerebbe chiaro come la successiva notifica della 
pronuncia in esame sia irrilevante ai fini del decorso del termine breve per 
proporre impugnazione, ai sensi dell�art. 326 c.p.c.. Senza dimenticare come, 
anche nel processo civile, la notifica della sentenza o di un mezzo di gravame 
(la revocazione ordinaria, ad esempio) � idonea a far decorrere il termine breve 
per tutte le impugnazioni proponibili contro la medesima pronuncia (il ricorso 
per cassazione, ad esempio) (21). 

Per di pi�, per quanto attiene alla giurisdizione, in virt� del principio di 
acquiescenza (e della sua specificazione, ovverosia il giudicato interno ed implicito 
sulla giurisdizione), il capo di sentenza da impugnare passerebbe in 
giudicato gi� con l�utile decorso del termine per proporre appello avverso la 
sentenza del TAR (22). 

In relazione alle specifiche fattispecie, tali conclusioni potrebbero valere 
anche per il ricorso per cassazione per eccesso di potere giurisdizionale (23) 
ovvero per il ricorso per revocazione ordinaria (24), stante il carattere univer


(21) Cassazione, Sez. I, 20 gennaio 2006, n. 1196: �La notificazione della citazione per la revocazione 
di una sentenza di appello equivale (sia per la parte notificante che per la parte destinataria) alla 
notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, 
onde la tempestivit� del successivo ricorso per cassazione va accertata non soltanto con riguardo 
al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta 
giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, 
a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell�art. 398, 
4� comma, c.p.c. (nel testo novellato dall�art. 68 l. n. 353 del 1990); tale effetto sospensivo si produce soltanto 
a seguito del provvedimento del giudice, e non della semplice richiesta della parte (che peraltro pu� 
essere contenuta anche in atto distinto dalla citazione per revocazione), e ci� non contrasta, manifestamente, 
con il diritto di difesa, la cui garanzia costituzionale si attua nelle forme e nei limiti stabiliti dal-
l�ordinamento processuale, salva l�esigenza della effettivit� della tutela del medesimo diritto, che nella 
specie appare pienamente rispettata, atteso che la parte dispone comunque per intero del termine di sessanta 
giorni dalla prima notifica per ricorrere per cassazione, qualunque sia l�esito dell�istanza di sospensione, 
mentre gli effetti della scelta di attendere il provvedimento del giudice sull�istanza di sospensione 
non possono che imputarsi alla stessa parte che tale scelta processuale ha ritenuto di compiere". 
(22) Art. 9 c.p.a.: �Il difetto di giurisdizione � rilevato in primo grado anche d'ufficio. Nei giudizi 
di impugnazione � rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata 
che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione�. Il presente articolo codifica, per il 
solo processo amministrativo, il principio del giudicato interno ed implicito sulla giurisdizione, sancito 
dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 24883/2008. 
(23) In particolare, viene in rilievo il difetto assoluto di giurisdizione nei confronti della pubblica 
amministrazione. Il ricorso per cassazione per eccesso di potere giurisdizionale � pur sempre un ricorso 
ex art. 111, comma 8, Cost., per i soli motivi attinenti alla giurisdizione. In particolare, con il ricorso per 
cassazione per eccesso di potere giurisdizionale non si censura l�attribuzione di una determinata materia 
alla cognizione del giudice speciale piuttosto che al giudice ordinario (limiti esterni della giurisdizione). 
Per contro, si censurano le modalit� di esercizio del potere giurisdizionale, le quali possono sconfinare, 
ad esempio, in prerogative riservate alla pubblica amministrazione. Cos�, Cassazione, Sez. Un., 17 febbraio 
2012, n. 2312, ha rilevato l�eccesso di potere giurisdizionale, da parte del Consiglio di Stato, laddove 
lo stesso aveva accertato, a sua volta, un eccesso di potere amministrativo, per disparit� di 
trattamento e contraddittoriet� del comportamento, in base a risultanze non emerse in sede istruttoria. 
(24) Art. 395, comma 1, nn. 4) e 5), c.p.c., cui l�art. 106 c.p.a. rinvia. 



sale del principio di acquiescenza ex art. 329 c.p.c., valevole per tutti i mezzi 
di impugnazione, per qualsivoglia motivo. 

In altre parole, potrebbero risultare originariamente inammissibili sia il 
ricorso per cassazione per eccesso di potere giurisdizionale, sia la revocazione 
ordinaria per errore di fatto o per contrasto con il giudicato, giusta la formazione 
del giudicato interno ed implicito sulla giurisdizione, anche su un eventuale 
eccesso di potere giurisdizionale, nonch� giusta la formazione di 
acquiescenza tacita, ai sensi dell�art. 329 c.p.c., sul contrasto con res iudicata 

o su eventuali errori di fatto, con contestuale passaggio in giudicato della sentenza 
di appello sin dalla data di deposito, secondo gli insegnamenti delle Sezioni 
Unite n. 23306/2011. 

D�altra parte, in astratto, soltanto la parte soccombente in seconde cure � 
legittimata (e ha interesse) ad impugnare la decisione del Consiglio di Stato con 
revocazione o con ricorso per cassazione per eccesso di potere giurisdizionale. 

Tuttavia, in concreto, il ricorso per eccesso di potere giurisdizionale potrebbe 
risultare inammissibile quando il Consiglio di Stato si limiti a confermare 
una precedente sentenza del TAR. In questo caso, infatti, l�eccesso di 
potere giurisdizionale per sconfinamento nei poteri della pubblica amministrazione 
dovrebbe essere tempestivamente denunciato con i motivi di ricorso 
in appello, a pena di acquiescenza e di formazione del giudicato interno ed 
implicito sul punto. 

Al riguardo, trattasi di vero e proprio giudicato interno ed implicito sulla 
giurisdizione, posto che il ricorso per cassazione per eccesso di potere giurisdizionale, 
al pari di ogni ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, 
� pur sempre riconducibile nell�ambito applicativo dell�art. 111, 
comma 8, Cost., nonch� dell�art. 110 c.p.a. (25). 

Similmente, se gli appellanti (soccombenti in prime cure e vittoriosi in 
secondo grado) si limitassero a riproporre i motivi e le eccezioni esaminati e 
respinti dal TAR, in ossequio al divieto di jus novorum di cui all�art. 104 c.p.a., 
sarebbe comunque evidente un�identit� di petitum e causa petendi tra i giudizi 
di primo e di secondo grado. Di conseguenza, laddove gli appellanti non eccepiscano 
alcunch� in ordine ad un possibile eccesso di potere giurisdizionale 
del TAR, dovrebbe essersi formato il giudicato interno ed implicito sulla sindacabilit� 
giurisdizionale della materia devoluta alla cognizione del giudice 
amministrativo, giudicato facente stato tra tutte le parti (art. 2909 c.c.), anche 
la parte vittoriosa in primo grado e soccombente dinanzi al Consiglio di Stato. 

Cos�, con sentenza n. 28812/2011, le Sezioni Unite rilevavano l�eccesso 
di potere giurisdizionale in relazione ad una pronuncia del Consiglio di Stato, 
adottata in sede di ottemperanza, la quale aveva innovato la portata del giudicato, 
e quindi della precedente fase processuale, adducendo sopravvenienze 

(25) Cassazione, Sez. Un., 27 dicembre 2011, n. 28812. 


in fatto che giustificavano una diversa domanda di inquadramento lavorativo 
(26). Laddove, invece, nell�ambito delle proprie tipiche attribuzioni (27), il 
Consiglio di Stato si fosse limitato ad eseguire il giudicato, non innovando 
nulla rispetto alla precedente fase processuale (cristallizzata nel giudicato), 
non vi sarebbe stato eccesso di potere giurisdizionale, suscettibile di ricorso 
ex art. 111, comma 8, Cost. 

Peraltro, con una successiva pronuncia, le Sezioni Unite hanno riscontrato 
l�incompatibilit� tra il giudicato interno ed implicito e l�eccesso di potere giurisdizionale 
quando, in concreto, si sia lamentato lo sconfinamento del potere 
giurisdizionale in quello amministrativo, da parte del solo Consiglio di Stato 
(28). Se, tuttavia, il Consiglio di Stato si limita a confermare o riformare le 
statuizioni del TAR, relativamente ai soli motivi gi� respinti dal giudice di 
prime cure e successivamente riproposti, ebbene, tale sconfinamento avrebbe 
gi� dovuto essere dedotto tra i motivi di appello, a pena di acquiescenza e di 
formazione del giudicato interno ed implicito sulla giurisdizione (29). 

L�acquiescenza potrebbe anche determinare l�inammissibilit� originaria 
della revocazione ordinaria per contrasto con il giudicato (30) ovvero l�inammissibilit� 
della revocazione ordinaria per errore di fatto o per infra-petizione 
(31), con ovvio passaggio in giudicato della sentenza di appello dalla data del 
suo deposito. Per esempio, ci� potrebbe verificarsi se, accolte tutte le sue eccezioni 
in prime cure, la parte successivamente soccombente in appello si limitasse 
a supportare la validit� e correttezza delle determinazioni del TAR, 
non opponendo mai, con appello incidentale condizionato, una sentenza passata 
in giudicato, n� contestando la corrispondenza dei motivi delle imprese 
odierne appellanti rispetto agli atti allegati, ecc. 

Ad ogni buon conto, nel processo amministrativo le norme del codice di 
procedura civile trovano applicazione in quanto compatibili (32), mentre il 
codice del processo amministrativo non rinvia espressamente all�art. 324 
c.p.c.. Nondimeno, � da dubitare che quest�ultima previsione normativa sia 
pienamente compatibile con il processo amministrativo, cos� come � da dubitare 
che il termine per la proposizione della revocazione ordinaria impedisca 
il passaggio in giudicato della sentenza di appello sin dalla data di deposito. 

D�altrocanto, prima della modifica legislativa intervenuta con l�art. 107, 
comma 2, c.p.a., il Consiglio di Stato, con sentenza n. 219/1996, sanciva che: 

(26) Cassazione, Sez. Un., 27 dicembre 2011, n. 28812. 
(27) Cassazione, Sez. Un., 18 ottobre 2012, n. 17842. 
(28) Cassazione, Sez. Un., 18 ottobre 2012, n. 17842. 
(29) Sulla ragionevole durata del processo, l�abuso del diritto ed il ricorso per cassazione per motivi 
attinenti alla giurisdizione, cfr. Cassazione, Sez. Un., n. 23726/2007. 
(30) Art. 395, comma 1, n. 5), c.p.c. 
(31) Art. 395, comma 1, n. 4), c.p.c. 
(32) Art. 39 c.p.a. 



�Pu� essere legittimamente esperito, non ostandovi le preclusioni di cui all�art. 
403 comma 1, c.p.c. e all�art. 86 r.d. 17 agosto 1907 n. 642, il ricorso 
per revocazione di una decisione del Consiglio di Stato che ha dichiarato 
inammissibile un precedente ricorso per revocazione proposto avverso altra 
decisione con cui fu dichiarato inammissibile l�appello della p.a. soccombente 
in prime cure, atteso che le norme citate precludono, senza che ci� determini 
qualsivoglia vuoto di tutela, l�impugnazione per revocazione di una sentenza 
pronunciata nel giudizio di revocazione e di cui si lamenta l�erroneit� per un 
errore di fatto ai sensi dell'art. 395 n. 4, c.p.c., soltanto nel caso in cui questa 
sentenza sia stata resa da un giudice le cui decisioni siano suscettibili di appello 
o di ricorso per cassazione ex art. 360 ss., c.p.c., mentre, comՏ noto, 
contro le decisioni del Consiglio di Stato il ricorso per cassazione � ammesso 
per i soli motivi inerenti alla giurisdizione ex art. 111 cost. Diversamente argomentando, 
sussisterebbero dubbi di legittimit� costituzionale sull�art. 403, 
comma 1, c.p.c., se non si ammettesse il generale principio, basato sulla giurisprudenza 
costituzionale - per cui l�art. 24 cost. non tollera limitazioni di 
giustizia per errore di fatto commesso dalla Corte di cassazione - in virt� del 
quale il soggetto di diritto non pu� restare senza un rimedio giurisdizionale 
nel caso in cui una delle supreme magistrature, ordinaria o amministrativa, 
sia incorsa in un errore di fatto ex art. 395 c.p.c. e conferma di ci� � rinvenibile 
nel testo del ripetuto art. 403 comma 1 e dell'art. 509 c.p.c. del 1865, rispetto 
alle pi� rigorose prescrizioni normative che storicamente li hanno preceduti 
ed ispirati (ossia, l�art. 616, c.p.c. del 1854 e l�art. 579 c.p.c. del 1859, vigenti 
nel Regno di Sardegna e conformi all�art. 503 c.p.c. francese tutti intesi ad 
escludere la proposizione successiva di due domande di revocazione per la 
stessa sentenza ed ogni rimedio revocatorio avverso il rigetto della predetta 
domanda, indipendentemente dal relativo motivo)� (33). 

Tale orientamento giurisprudenziale, ovviamente, � stato superato dall�art. 
107, comma 2, c.p.a., per cui, anche nel processo amministrativo, �la sentenza 
emessa nel giudizio di revocazione non pu� essere impugnata per revocazione�. 

Ci� nondimeno, non pu� dirsi interamente superato il contrasto giurisprudenziale 
gi� esistente prima dell�entrata in vigore del Cod. Proc. Amm.vo., stante 
il tenore letterale degli articoli 403 c.p.c. e 117, comma 2, c.p.a., i quali non si 
riferiscono espressamente alla declaratoria di inammissibilit� della revocazione. 

Cos�, a fronte dell�irrevocabilit� della sentenza che ha deciso nel merito 
sulla revocazione, si collocano ancora: 

a) una prima tesi giurisprudenziale che, in virt� delle esigenze di tutela 
del diritto di difesa, gi� ravvisate nella sentenza del Consiglio di Stato n. 
216/1996, � favorevole all�inapplicabilit� relativa dell�art. 403 c.p.c. (oggi tra


(33) Consiglio di Stato, Sez. V, 19 febbraio 1996, n. 219. 


sposto nell�art. 107, comma 2, c.p.a.): �Ai sensi dell�art. 403 c.p.c., applicabile 
anche al giudizio amministrativo, in mancanza di circostanze eccezionali quali 
la declaratoria di inammissibilit�, per un mero errore di fatto, dell�originaria 
domanda di revocazione, non � ammessa domanda di revocazione contro una 
decisione emessa in sede di revocazione� (34); 

b) una seconda tesi giurisprudenziale per cui: �Ai sensi dell�art. 403 
c.p.c., � inammissibile il ricorso per revocazione proposto contro sentenza gi� 
pronunciata in un precedente giudizio di revocazione, contro la quale sono 
invece ammessi i mezzi d�impugnazione ai quali era originariamente soggetta 
la sentenza impugnata per revocazione� (35). 

Ad ogni modo, almeno con riferimento alla tesi dell�inapplicabilit� relativa 
dell�art. 403 c.p.c., avviene che, se nel processo amministrativo � ammessa la 
revocazione ordinaria della pronuncia che ha dichiarato inammissibile la revocazione 
ordinaria di una precedente sentenza di appello, l�art. 324 c.p.c. non 
dovrebbe essere applicato tout court al processo amministrativo, subordinando 
il passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato alla scadenza del 
termine per la proposizione della revocazione ordinaria e, quindi, se la revocazione 
ordinaria � stata proposta, alla scadenza del termine per la proposizione 
della revocazione ordinaria dell�eventuale pronuncia di inammissibilit� della 
revocazione ordinaria, e cos� via, in un circolo vizioso di revocazioni ordinarie 
che pregiudicano la ragionevole formazione del giudicato formale, in violazione 
dei principi del favor iudicati e dell�esaurimento dei mezzi di impugnazione. 

Per non dire come l�art. 107, comma 1, c.p.a. ammette l�appellabilit� e la 
ricorribilit� ex art. 111, comma 8, Cost. della sentenza che ha pronunciato sulla 
revocazione. 

Siffatta serie di gravami ulteriori potrebbe impedire il tempestivo passaggio 
in giudicato formale della sentenza soggetta a revocazione. Tanto avverrebbe 
in spregio del principio del ragionevole esaurimento dei mezzi di 
gravame, codificato dall�art. 324 c.p.c., nonch� in violazione della lettera di 
quest�ultima disposizione, da sottoporre ad interpretazione abrogante, nella 
parte in cui l�eventuale impugnabilit� della sentenza che ha deciso sulla revocazione, 
con appello o con ricorso per cassazione, procrastina necessariamente 
il passaggio in giudicato della sentenza stessa e, de relato, della sentenza soggetta 
a revocazione, specie se, in silentio legis, potrebbero essere revocabili 
le sentenze che decidono sull�impugnazione (ulteriormente proposta avverso 
la pronuncia che ha deciso sulla revocazione). 

Inoltre, lungi dall�esservi un orientamento giurisprudenziale uniforme, due 
indirizzi ermeneutici si contendono l�esatta interpretazione dell�art. 324 c.p.c.. 

Un primo indirizzo ermeneutico, letterale, lega la formazione della res 

(34) Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4080. 
(35) Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 marzo 2000, n. 1476. 



iudicata al decorso inutile del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, 
nonch� della citazione/del ricorso per revocazione ordinaria (36). 

Per contro, un secondo e recentissimo indirizzo interpretativo, emerso in 
tema di domanda per equa riparazione derivante da irragionevole durata del 
processo (37), in base ad una lettura di sistema, ritiene irrilevante il termine 
per la notifica della domanda di revocazione ai fini del passaggio in giudicato 
della sentenza da revocare; e ci� in base alla �natura straordinaria� dei �casi 
ordinari� di revocazione (38). 

Ci� detto, a livello sistematico, molti elementi militerebbero a favore di 
questa seconda tesi giurisprudenziale. 

In primo luogo, con riferimento al processo amministrativo, l�art. 106, 
comma 3, c.p.a., rafforza il carattere straordinario ed eccezionale della revocazione, 
la quale deve essere ritenuta ininfluente ai fini della formazione del 
giudicato formale. 

Infatti, a differenza dell�art. 396 c.p.c. (39), il quale evoca i soli casi di 
revocazione straordinaria avverso le sentenze rese in primo grado, l�art. 106 

c.p.a. ammette il ricorso per revocazione ordinaria indifferentemente avverso 
le sentenze dei TAR e del Consiglio di Stato, le prime impugnabili in via concorrente 
rispetto all�appello, sempre che si deducano motivi non altrimenti 
proponibili con il mezzo di impugnazione di cui all�art. 101 c.p.a. 

In secondo luogo, nel processo civile, non � sempre vero che il termine 
per la proposizione del ricorso per cassazione, della domanda di revocazione 
ordinaria, o di altro mezzo di impugnazione, � comunque rilevante ai fini della 
determinazione della data di passaggio in giudicato formale della sentenza. 
Ci� non si verifica, ad esempio, laddove vi sia stata acquiescenza rispetto alla 
proposizione dell�impugnazione stessa, nonch� nel caso si sia formato il giudicato 
interno ed implicito sulla giurisdizione. 

In terzo luogo, nell�ordinamento italiano, come permeato dalla giurisprudenza 
della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo (40), il giudicato si forma 

(36) Cassazione, Sez. Un., 30 aprile 2008, n. 10867. Prima dell�entrata in vigore del Cod. Proc. 
Amm., cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 aprile 2007, n. 1522; Sez. IV, 10 ottobre 2005, n. 5474, Ad. 
Plen., 19 maggio 1997, n. 9. 
(37) Legge n. 89/2001. 
(38) Cassazione, Sez. VI-1, 6 settembre 2012, n. 14970; Sez. I, 15 giugno 2012, n. 9843, con riferimento 
alla revocazione ordinaria di cui all�art. 68, lett. a), del R.D. 12 luglio 1933, n. 1214, ma gli argomenti 
possono essere utilizzati, mutatis mutandis, con riferimento all�art. 395, comma 1, nn. 4) e 5), c.p.c.. 
(39) Art. 396 c.p.c.: �Le sentenze per le quali � scaduto il termine per l'appello possono essere 
impugnate per revocazione nei casi dei nn. 1, 2, 3 e 6 dell'articolo precedente, purch� la scoperta del 
dolo o della falsit� o il recupero dei documenti o la pronuncia della sentenza di cui al n. 6 siano avvenuti 
dopo la scadenza del termine suddetto. 
Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il corso del termine per l'appello, il termine 
stesso � prorogato dal giorno dell'avvenimento in modo da raggiungere i trenta giorni da esso�. 
(40) Secondo gli insegnamenti delle sentenze gemelle della Corte Costituzionale n. 348 e 349 del 
2007. 



esclusivamente all�esito dell�esperimento di diversi gradi di giudizio, dinanzi 
a giudici diversi. 

Cos�, anche se in materia penale, ai sensi dell�art. 2, Prot. VII, CEDU, la 
Corte di Strasburgo ha affermato che il giudicato - suscettibile di esecuzione 

-pu� scaturire soltanto a seguito dell�esperimento di minimo due gradi di giurisdizione, 
dovendosi definire tali quei mezzi di impugnazione che assicurano 
la cognizione di una data causa dinanzi a giudici diversi, posti in serie o successione 
gerarchica (41). 

Ci� nondimeno, � pacifico che il giudizio di revocazione ordinaria non 
costituisce - n� pu� costituire - un �terzo grado� di giurisdizione, nei termini 
di cui all�art. 360 c.p.c., 1� cpv., c.p.c., ovvero nei termini di cui all�art. 2, Prot. 
VII, CEDU. 

D�altra parte, a pronunciarsi sulla revocazione � lo stesso giudice che ha 
pronunciato la sentenza da revocare, il che si contrappone a quanto richiesto 
dalla Corte di Strasburgo in termini di alterit� del giudice dell�impugnazione 
od, in genere, del diverso grado di giudizio. 

Peraltro, a testimonianza della straordinariet� ed estraneit� del procedimento 
di revocazione rispetto al procedimento da cui � scaturita la sentenza 
da revocare, sta il fatto che, sebbene il ricorso per cassazione sia ammissibile 
avverso le statuizioni sulla revocazione medesima, �resta [�] esclusa la possibilit� 
di mettere in discussione [�] la precedente decisione di merito� (42). 
In quarto luogo, ai sensi dell�art. 398, comma 4, c.p.c., �la proposizione della 
revocazione non sospende il termine per proporre ricorso per cassazione�. 
Dunque, � chiaro come il ricorso per cassazione sia un mezzo di impugnazione 
concorrente rispetto alla revocazione, specialmente se ordinaria; e ci� avviene 
perch� ammettere la ricorribilit� per cassazione della sentenza di revocazione 
ordinaria, deducendo vizi che non attengono al giudizio di revocazione, significherebbe 
ignorare quanto disposto dall�art. 398, 4� cpv., c.p.c., determinando 
cos� un�inammissibile proroga dei termini perentori di proponibilit� del ricorso 
per cassazione, ai sensi degli articoli 325, comma 2, 326, cpv., e 327, comma 
1, c.p.c. 

Da siffatta situazione di concorrenza tra mezzi di impugnazione discende 
che: 

a) la sentenza da impugnare con ricorso per cassazione � quella resa in 
grado di appello, anche in virt� di un�interpretazione sistematica degli articoli 
360, 1� cpv., e 398, comma 4, c.p.c. (43); 

(41) Corte Europea dei Diritti dell�Uomo, 5 maggio 2009, Ricorso n. 12584/08, Sellem c. Italia. 
Sulla diversit� dei giudici chiamati a pronunciarsi nei diversi gradi di giudizio, cfr., altres�, Corte Costituzionale, 
ord., 6 novembre 1998, n. 363. 
(42) Cfr. Cassazione, Sez. Un., 30 luglio 2008, n. 20600; Sez. Un., 24 novembre 1986, n. 6891. 
(43) Cassazione, Sez. II, 19 luglio 2012, n. 12495. 



b) la notifica del ricorso per revocazione ordinaria vale come notifica 
della sentenza al fine del decorso del termine breve per la proposizione del ricorso 
per cassazione (44); 

c) anche nei casi ordinari di cui ai nn. 4) e 5) dell�art. 395, comma 1, c.p.c., 
la revocazione rappresenta comunque un mezzo di impugnazione �straordinario� 
(45), da proporsi dinanzi allo stesso (e non ad un diverso) giudice che ha 
emesso la sentenza gravata, nelle specifiche ipotesi di cui all�art. 395 c.p.c. 

In quinto luogo, in nome dell�unit� dell�ordinamento giuridico, nel processo 
penale, dove non � previsto il rimedio della revocazione ordinaria per 
errore di fatto, con l. n. 128/2001, � stato introdotto l�art. 625-bis c.p.p., recante 
il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, il quale non impedisce 
il passaggio in giudicato della sentenza. 

Da ultimo, per completezza, occorre valutare se, con specifico riferimento 
alla decadenza ex art. 30, comma 5, c.p.a., la giurisprudenza in tema di giudicato 
interno ed implicito sulla giurisdizione ed, in generale, in tema di acquiescenza 
in sede di impugnazione, sia rilevante ed applicabile ai giudizi pendenti 
fino al 15 settembre 2010 (46). 

Infatti, in virt� del principio di irretroattivit� delle norme processuali rispetto 
ai giudizi pendenti, fatto proprio dalla Plenaria n. 3/2011 (47), si potrebbe 
per assurdo escludere la rilevanza del giudicato interno ed implicito 
sulla giurisdizione in tema di passaggio in giudicato formale della sentenza di 
appello. 

Tuttavia, il principio di irretroattivit� delle norme processuali non pu� 
spingersi fino al punto da concretizzare un abuso del diritto, menzionato 
anch�esso dalla Plenaria n. 3/2011. 

In altre parole, non sarebbe configurabile alcun legittimo affidamento 
circa la disciplina processuale previgente, posto che i principi di acquiescenza 
e del giudicato interno ed implicito sulla giurisdizione hanno fatto parte del-
l�acquis giurisprudenziale per lo meno tra il 2003 e l�entrata in vigore del c.p.a. 
D�altra parte, sebbene le Adunanze Plenarie n. 4 del 30 agosto 2005 e n. 6 del 
15 settembre 2005 avessero superato in senso negativo la questione del giudicato 
interno ed implicito sulla giurisdizione, la giurisprudenza di legittimit� 
continuava comunque ad esprimersi a favore dello stesso, applicandolo ai giudizi 
pendenti (48). 

Per di pi�, secondo gli insegnamenti della Plenaria n. 3/2011, � possibile 
l�applicazione ai rapporti processuali pendenti delle discipline, delle deca


(44) Cassazione, Sez. I, 20 gennaio 2006, n. 1196. 
(45) Cassazione n. 14970/2012 cit. 
(46) Ai sensi dell�art. 2, all. III al c.p.a., le decadenze previste dal nuovo codice non si applicano 
ai soli termini processuali pendenti alla data del 16 settembre 2010. 
(47) Consiglio di Stato, Ad. Plen. 23 marzo 2011, n. 3. 
(48) Inter alia, cfr. Cassazione, Sez. Unite, 9 ottobre 2008, n. 24883. 



denze, delle preclusioni processuali che, codificate in seno al Codice del Processo 
Amministrativo, appartenevano gi�, anche in modo controverso, all�ordinamento 
previgente. Ci� accade con il concorso del danneggiato nell�illecito 
in difetto di tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo. Ci� non pu� 
non avvenire anche con riferimento al giudicato implicito sulla giurisdizione, 
il quale: 

a) si fonda sull�interpretazione sistematica degli articoli 183, 276, comma 
2, 329, comma 2, 350, c.p.c.; 

b) non � un principio avulso dall�ordinamento previgente al c.p.a. ed � 
quindi stato applicato ai giudizi pendenti, ad esempio, ad opera della nota pronuncia 
delle Sezioni Unite n. 24883/2008. 

3. Aggiudicazione provvisoria ed aggiudicazione definitiva. Dies a quo di decorrenza 
della prescrizione. 

La pi� recente giurisprudenza amministrativaha affermato che �il definitivo 
superamento della c.d. pregiudizialit� amministrativa ha comportato, 
come conseguenza, la generale applicazione del principio, gi� affermato da 
questo Consesso anteriormente all�entrata in vigore dell�attuale codice del 
processo amministrativo, per cui il dies a quo della prescrizione quinquennale 
del diritto al risarcimento del danno coincide con la data del provvedimento 
lesivo, e non pi� con quella del passaggio in giudicato della sentenza che lo 
ha annullato� (49). 

Tale orientamento, oltre a sugellare l�opinione della giurisprudenza dominante 
in tema di natura aquiliana della responsabilit� della PA, supera definitivamente 
la pregiudizialit� amministrativa, anche con riferimento alla 
decorrenza del termine quinquennale di prescrizione, ai sensi dell'art. 2947, 
comma 1, c.c.. Per converso, in vigenza della pregiudiziale, il Consiglio di 
Stato soleva dichiarare che: �In caso di risarcimento del danno conseguente 
all'annullamento di un atto amministrativo, la prescrizione inizia a decorrere 
solo dal passaggio in giudicato del provvedimento giurisdizionale� (50). 

In aggiunta, il recente orientamento del Consiglio di Stato valorizza la 
funzione di mero accertamento, e non pure costitutiva, della sentenza che accoglie 
la domanda di risarcimento del danno (51). Infatti, con l�entrata in vigore 
del codice del processo amministrativo e sotto l�influenza della 

(49) Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 dicembre 2010, n. 8533; Sez. V, 13 luglio 2010, n. 4513; Sez. 
IV, 15 settembre 2009, n. 5523; Sez. V, 9 giugno 2009, n. 3531; Cassazione, Sez. Unite, 8 aprile 2008, n. 
9040; TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, 14 settembre 2011, n. 7276. Cfr. altres� Cassazione, Sez. Un., nn. 
13659, 13660 e 13911 del 2006: con tali pronunce la Suprema Corte afferm� incidentalmente che la pregiudiziale 
amministrativa aggiungeva un termine di decadenza non previsto dalla legge, oltre al termine 
quinquennale di prescrizione a decorrere dalla conoscenza dell�atto amministrativo reputato lesivo. 
(50) Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 maggio 2006, n. 3157. 
(51) Ex multis, cfr. Cassazione, Sez. III, 13 marzo 2012, n. 3968. 



giurisprudenza comunitaria e costituzionale, il danno non va pi� riferito al 
provvedimento dichiarato illegittimo, bens� al complessivo comportamento 
tenuto dall�amministrazione, prima della proposizione del ricorso dinanzi al 
giudice amministrativo (52). 

Tutto ci� premesso, sempre nell�ipotesi di un�azione di condanna esercitata 
in via autonoma, bisogna anzitutto valutare se l�orientamento giurisprudenziale 
pi� recente trovi applicazione anche ai rapporti dedotti in giudizio 
(sub specie di domanda di annullamento) prima dell�entrata in vigore del 
nuovo Codice del Processo Amministrativo, il quale, come � noto, ha definitivamente 
superato la pregiudiziale amministrativa. 

Il TAR Lazio si � espresso a favore dell�applicazione retroattiva del-
l�orientamento giurisprudenziale in esame (53). 

Ad ogni buon conto, l�art. 2, all. III al c.p.a., prevede che: �Per i termini 
che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare 
applicazione le norme previgenti�. 

Questo disposto sembrerebbe riferirsi ai soli termini di diritto processuale, 
e non anche a quelli di diritto �sostanziale�, tra i quali si annovera il termine 
di decorrenza della prescrizione. Costituisce infatti un principio invalso in giurisprudenza 
la separazione tra il diritto sostanziale e quello processuale, come 
contenuti nei rispettivi codici (54). 

Tuttavia, � indubbio come l�orientamento, inaugurato dal Consiglio di 
Stato nel 2009, abbia avuto un notevole impatto sull�individuazione dell�esatto 
dies a quo di decorrenza della prescrizione, e ci� sebbene lo stesso indirizzo, 
che precede l�entrata in vigore del codice del processo amministrativo (il 16 
settembre 2010), abbia riguardato, di per s�, le conseguenze derivanti dalla 
scomparsa della pregiudiziale amministrativa. 

In altri termini, l�orientamento ermeneutico in questione potrebbe astrattamente 
a qualificarsi come overruling in merito alla determinazione del termine 
a quo di decorrenza della prescrizione, anche con riferimento ai giudizi 
pendenti. Cosicch�, si potrebbe argomentare circa la necessit� di tutelare il legittimo 
affidamento delle imprese ricorrenti, secondo i principi della nota sentenza 
delle Sezioni Unite n. 15144/2011 (55), ovvero secondo il principio 
dell�errore scusabile (56). 

Con la pronuncia in questione, le Sezioni Unite concedevano la rimessione 
in termini a favore di quelle parti processuali che fossero incorse in un 

(52) Consiglio di Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3; riff. articoli 30, commi 3 e 5, nonch� 34, 
comma 3, c.p.a. 
(53) TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, 14 settembre 2011, n. 7276, par. 14 della decisione. 
(54) Cassazione, Sez. Un., 14 aprile 2011, n. 8491 
(55) Cassazione, Sez. Un., 11 luglio 2011, n. 15144. 
(56) Ex multis, cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1767 (cfr., altres�, Consiglio di 
Stato, Sez. VI, 22 maggio 2007, n. 2596. 



improvviso revirement della giurisprudenza, in pendenza di un termine previsto 
a pena di decadenza, laddove il precedente indirizzo pretorio fosse sufficientemente 
preciso ed univoco da ingenerare un legittimo affidamento in capo 
alle parti medesime. Similmente � accaduto con la dottrina dell�errore scusabile, 
applicata dal Consiglio di Stato ad oscillazioni giurisprudenziali su tematiche 
di diritto processuale. 

Ci� nondimeno, nella fattispecie in analisi, non si versa nell�ipotesi di termini 
processuali, ma si tratta del termine di prescrizione, che ha natura sostanziale (57). 

In aggiunta, � noto come la rimessione in termini, gi� prevista dall�art. 
34, T.U. leggi sul C.d.S., nonch� dall�art. 34, l. TAR, non possa operare con 
riferimento al termine di prescrizione. N� � previsto uno strumento analogo 
in diritto civile. 

N� risulterebbe opponibile al presente orientamento il decisum dell�Adunanza 
Plenaria n. 3/2011. 

Con la sentenza in questione, il Supremo Consesso stabiliva che: 

(57) � indubbio come l�eccezione di decadenza ex art. 30, comma 5, c.p.a. sia eccezione pregiudiziale 
di rito, connessa all�esercizio di poteri processuali come disciplinati dal c.p.a., nonch� rilevabile 
ex officio in ogni stato e grado del processo. Per converso, l�eccezione di prescrizione � eccezione preliminare 
di merito, rilevabile su istanza di parte e quindi, con riferimento al caso di specie, su istanza 
della parte resistente in prime cure, sino al deposito delle memorie ex art. 73 c.p.a. D�altro canto, l�art. 
46 c.p.a., a differenza del comb. disp. degli articoli 166 e 167 c.p.c., non prevede la proponibilit� delle 
eccezioni preliminari di merito a pena di decadenza entro il termine di costituzione delle parti intimate: 
�Nel giudizio amministrativo la violazione dei termini sanciti dall�art. 73, co. 1, c.p.a. (d.lgs. n. 
104/2010) conduce all�inutilizzabilit� processuale degli atti di costituzione in giudizio e delle memorie, 
con la conseguente inammissibilit� delle domande, eccezioni in senso stretto e prove col� introdotte (o 
allegate), con la decadenza delle facolt� processuali previste dal codice sotto comminatoria di un termine 
e, qualora la parte appellata costituitasi tardivamente risulti vincitrice, con la possibilit� di configurare 
le eccezionali ragioni per la compensazione delle spese di giudizio� (Consiglio di Stato, Sez. 
V, 23 febbraio 2012, n. 1058). Peraltro, con riferimento al primo grado di giudizio, � pacifico in giurisprudenza 
come, �nel giudizio amministrativo, il termine di sessanta giorni previsto dall�art. 46, co. 1, 

c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) non ha carattere decadenziale (fatta salva, per il giudizio di appello, l�eccezione 
recata dall'art. 101, co. 2, c.p.a.), essendo posto a tutela della parte intimata; in ogni caso la costituzione 
in giudizio non pu� intervenire oltre il termine di trenta giorni (computato a ritroso dalla data 
di celebrazione dell�udienza di discussione), individuato dall�art. 73, co. 1, c.p.a. per il deposito delle 
memorie difensive illustrative, avente carattere perentorio in quanto espressivo di un precetto di ordine 
pubblico processuale posto a presidio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice� (Consiglio 
di Stato, Sez. V, 23 febbraio 2012, n. 1058; Sez. IV, 28 febbraio 2012, n. 1120; Sez. III, 2 agosto 2011, 
n. 4601). Per non dire come, quand�anche la decadenza ex art. 30, comma 5, c.p.a. fosse per assurdo 
equiparata alle decadenze di tipo sostanziale, come quelle in tema di denuncia dei vizi nei contratti del 
consumatore, la differenza con la prescrizione rimarrebbe intatta. La prescrizione, infatti, rappresenta 
la sanzione riconnessa al mancato esercizio di una situazione giuridica soggettiva attiva nel tempo e, in 
definitiva, essa coincide con l�estinzione della situazione giuridica soggettiva stessa (art. 2934, comma 
1, c.c.). La decadenza sostanziale, invece, � la sanzione riconnessa al mancato esercizio di un potere, a 
sua volta connesso al diritto soggettivo, come ad esempio accade con la garanzia per vizi o per l�evizione, 
e in definitiva essa determina la perdita del rimedio medesimo, ma non l�estinzione del diritto (art. 2964 
c.c.). Ad ogni buon conto, � pacifico in giurisprudenza che una norma processuale si distingue da una 
norma sostanziale a seconda che essa sia contenuta in un codice/una legge speciale di rito ovvero nella 
legislazione sostanziale (Cassazione, Sez. Unite, 14 aprile 2011, n. 8491). 



a) in generale, le norme del codice del processo amministrativo non si 
applicano alle fattispecie ed ai giudizi anteriori al 16 settembre 2010; 

b) deroghe a questo principio sono ammesse in presenza di �situazioni 
anteriori [all�entrata in vigore del c.p.a.] in quanto [tali deroghe siano ricognitive] 
di principi evincibili dal sistema normativo antecedente all�entrata 
in vigore del codice�. 

Ebbene, si potrebbe contestare che la diversa individuazione del dies di 
decorrenza della prescrizione sia conseguenza immediata e diretta dell�abolizione 
codicistica della pregiudiziale amministrativa. Cosicch�, le innovazioni 
del codice del processo amministrativo non potrebbero non pregiudicare i giudizi 
e le �fattispecie� che essi hanno ad oggetto, ivi compreso il diritto al risarcimento 
dei danni in dipendenza dell�annullamento dell�aggiudicazione di 
una gara di appalto. 

Tali considerazioni non appaiono fondate. 

In primo luogo, la pregiudiziale amministrativa non avrebbe mai potuto 
ingenerare un legittimo affidamento secondo i canoni delle Sezioni Unite n. 
15144/2011, posto che la pregiudiziale era oggetto di forti contestazioni prima 
dell�entrata in vigore del D. Lgs. n. 104/2010 (58), sia in seno al giudice amministrativo, 
sia nel confronto tra giudice amministrativo e giudice ordinario. 

Per di pi�, ad individuare un diverso dies a quo di decorrenza della prescrizione 
era quella stessa giurisprudenza amministrativa che, gi� prima del-
l�entrata in vigore del c.p.a., ripudiava la pregiudizialit�, uniformandosi con 
ci� all�orientamento del giudice di legittimit� (59). 

In secondo luogo, invece, l�Adunanza Plenaria n. 3/2011 non colora il 
termine �fattispecie� con un attributo processuale o sostanziale. Nondimeno, 
l�esistenza di un disposto, quale l�art. 2, all. III al c.p.a., imporrebbe di considerare 
il carattere squisitamente processuale dei rapporti ad oggetto della decisione 
della Plenaria. In breve, se la giurisprudenza non pu� importare 
deroghe alle norme di legge, la necessaria armonia tra ordinamento e decisioni 
pretorie richiede di interpretare queste ultime alla luce della disciplina vigente. 
D�altro canto, l�art. 2, all. III c.p.a., fa testualmente riferimento ai �giudizi� 
ed alle �fattispecie�, legati in inscindibile endiadi, mentre � incontestato il 
principio di separazione tra diritto processuale e diritto sostanziale, per cui 
una legge processuale transitoria pu� avere effetto sulle sole regole processuali, 
e giammai su quelle sostanziali, tra le quali si annovera la prescrizione. 

Ne deriva che il termine quinquennale di prescrizione sembrerebbe decorrere 
dalla data del provvedimento di aggiudicazione, anche con riferimento 
ai giudizi demolitori iniziati prima del superamento definitivo della pregiudiziale 
amministrativa. 

(58) Recante il codice del processo amministrativo. 
(59) Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 settembre 2009, n. 5523; Sez. V, 9 giugno 2009, n. 3531. 



Ci� detto, ci si chiede inoltre: 

a) se la notifica di un eventuale atto stragiudiziale di costituzione in mora 
sia idoneo ad interrompere il termine di prescrizione, prima che il TAR si pronunci 
su un�azione di condanna esercitata in via autonoma, si sensi dell�art. 
30, comma 5, c.p.a.; 

b) se anche l�aggiudicazione provvisoria possegga il predicato di lesivit� ai 
fini dell�individuazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale. 

In particolare, non risulterebbero giuridicamente configurabili, n� efficaciai 
fini dell�interruzione della prescrizione, atti stragiudiziali di costituzione 
in mora, laddove l�art. 1219, comma 2, n. 1), c.c. esclude la costituzione in 
mora del presunto debitore per le obbligazioni derivanti da illecito, soprattutto 
prima che il giudice di prime cure si sia espresso su un�eventuale azione di 
condanna esercitata in via autonoma. 

La disciplina di cui all�art. 1219, comma 2, n. 1), c.c., detta della mora 
automatica, � anzitutto espressione dell�esigenza di un�immediata ed integrale 
eliminazione delle conseguenze dell�ingiusta lesione provocata dall�illecito. 
Il tempo che intercorre tra il momento della commissione dell�illecito e quello 
della liquidazione del danno non deve pregiudicare il creditore ed il danneggiante 
� costretto a pagare gli interessi moratori sulla somma che sar� liquidata 
anche per il tempo in questione in modo da assicurare al danneggiato il risarcimento 
integrale. Detta regola poggia, inoltre, sullo sfavore sociale che colpisce 
il fatto illecito, con la conseguente inammissibilit� di una presunzione 
legislativa di tolleranza del ritardo da parte del creditore. 

Infine, in base al principio di tassativit� delle cause interruttive della prescrizione 
ex art. 2943 c.c. ed ex art. 2944 c.c. (60), la disciplina della mora automatica 
trova il proprio fondamento nel necessario accertamento giudiziale e 
nella necessaria prova del fatto illecito, del nesso causale, del danno (nell�an 
e nel quantum), del dolo o della colpa (61). Viene peraltro fatta salva la possibilit� 
di un riconoscimento stragiudiziale di responsabilit� aquiliana da parte 
dell�eventuale danneggiante (62), ovvero vengono fatti salvi i meccanismi interruttivi 
in presenza di obbligazioni civili nascenti da reato (63), ovvero vengono 
fatti salvi gli effetti interruttivi derivanti dalla proposizione della domanda 
giudiziale (64). In nessun caso, per�, sarebbe ammissibile un atto stragiudiziale 

(60) Ex multis, cfr. Cassazione, Sez. II, 29 maggio 1998, n. 5302 
(61) La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza del 30 settembre 2010, causa C314/
09, ha escluso la necessit� della prova della colpa in capo alla PA, laddove il risarcimento per equivalente 
sia strumento necessariamente sostitutivo della tutela in forma specifica. Cfr. altres� Consiglio di Stato, Sez. 
V, 20 giugno 2011, n. 3670. Tuttavia, occorre che il danneggiato adempia all'onere di allegazione e prova 
del nesso causale, laddove i costi di partecipazione alla gara, il danno curriculare, il lucro cessante, devono 
essere individuati quali conseguenze immediate e dirette dell'aggiudicazione illegittima (art. 1223 c.c.). 
(62) Cassazione, Sez. III, 10 luglio 1979, n. 3850. 
(63) Cassazione, Sez. I, 12 novembre 1987, n. 8337. 
(64) Cassazione, Sez. III, 10 febbraio 1995, n. 1490. 



di costituzione in mora per obbligazioni derivanti da fatto illecito. 

Anche il Consiglio di Stato, con una pronuncia del 2010, dopo aver ricordato 
che il termine breve di prescrizione ex art. 2947 c.c. decorre dalla data 
del provvedimento/evento lesivo, ha osservato che l�interruzione della prescrizione 
costituisce un onere probatorio a carico del danneggiato, nei modi 
�espressamente previsti dagli artt. 2943 e 2944 c.c.� (65), tra i quali, per�, 
non si annovera una forma atipica di costituzione in mora dell�eventuale amministrazione 
danneggiante. 

In definitiva, il diritto al risarcimento del danno o, comunque, la tutela 
per equivalente del bene della vita danneggiato (66) sorgerebbero gi� con la 
manifestazione del comportamento illecito della pubblica amministrazione. 
Tanto legittimerebbe all�esercizio immediato del diritto o della tecnica risarcitoria 
di tutela, senza l�onere di previa costituzione in mora, contestualmente 
alla proposizione del ricorso demolitorio (67) od anche in via autonoma, entro 
il termine di centoventi giorni dalla conoscenza del provvedimento ritenuto 
lesivo (68). La prescrizione, da parte sua, decorrerebbe dal giorno in cui il diritto 
� esercitabile (art. 2934 c.c.), con la proposizione di una specifica azione 
di condanna, anche in via autonoma, dinanzi al giudice amministrativo. 

In aggiunta, potrebbero sorgere dei dubbi in ordine alla configurabilit� di 
un atto utile di costituzione in mora, dal momento che, secondo le sentenze della 
Corte Costituzionale n. 204/2004 e 191/2006, il risarcimento del danno da lesione 
di interessi legittimi (il caso di specie) non corrisponde n� ad una materia, 
n� ad un vero e proprio diritto di credito, ma ad un�ulteriore tecnica di tutela 
accordata dall�ordinamento. Sotto questo profilo, la prescrizione ex art. 2934 

c.c. decorrerebbe sempre dal giorno in cui � esercitabile la pretesa risarcitoria 
(69), ovverosia dalla data di conoscenza del provvedimento illegittimo (70). 

Per di pi�, l�utile decorso del termine quinquennale di prescrizione estingue 
la pretesa stessa, posto che, secondo la prospettiva rimediale, il diritto 
viene inteso come pretesa, come domanda di attivazione di una tecnica di tutela, 
ovviamente insuscettibile di fungere da �presupposto� per la costituzione 
in mora nei termini di cui all�art. 1219 c.c. 

Senza dimenticare come, prima che la sentenza in materia risarcitoria sia 
adottata, un presunto atto stragiudiziale non potrebbe mai costituire in mora il 

(65) Consiglio di Stato, Sez. V, 13 luglio 2010, n. 4513. 
(66) A seconda che si opti per la natura sostanziale o rimediale del risarcimento del danno extracontrattuale. 
(67) Art. 30, comma 1, c.p.a.; art. 7, l. n. 205/2000, di mod. art. 7, l. TAR. 
(68) Art. 30, comma 3, c.p.c.; TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, 14 settembre 2011, n. 7276. 
(69) Il giorno in cui si � conosciuto il provvedimento ritenuto lesivo, ai sensi dell�art. 30, comma 
3, c.p.a.; TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, 14 settembre 2011, n. 7276. 
(70) Il quale costituisce illecito in re ipsa. Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 20 giugno 2011, n. 3670. 
Vi � comunque differenza tra il fatto illecito in re ipsa, il quale esonera dalla prova dell�evento lesivo, 
ed il danno in re ipsa, il quale esonera dalla prova dell�an debeatur. 



danneggiante ed interrompere utilmente la prescrizione ex art. 2943 c.c., dato 
il mancato accertamento del diritto al risarcimento del danno come credito di 
valore (71). 

D�altro canto, prima di una sua ricognizione giudiziale, il diritto al risarcimento 
del danno, gi� sorto in conseguenza del fatto illecito dell�amministrazione 
(e, dunque, della conoscibilit�, secondo l�ordinaria diligenza, del 
provvedimento/fatto lesivo) (72) non sarebbe configurabile neanche alla stregua 
di un credito di valore (73). Da qui, l�inefficacia interruttiva dell�eventuale 
atto di intimazione e costituzione in mora, quando: 

a) non sia avvenuta alcuna forma di riconoscimento stragiudiziale di responsabilit� 
da parte del danneggiante, ai sensi dell�art. 2944 c.c.; 

b) l�illecito facente capo all�amministrazione, il nesso causale e il danno 
(nell�an e nel quantum) non siano stati ancora accertati da parte del giudice amministrativo, 
prima della proposizione del ricorso per il risarcimento dei danni; 

c) non sia stata esperita alcuna azione di condanna generica contestualmente 
alla domanda di annullamento. 

Parimenti, si deve segnalare che la notifica del previo ricorso demolitorio 
non potrebbe avere effetto interruttivo della prescrizione con riferimento al 
diverso diritto al risarcimento del danno, anche perch� la giurisprudenza di 
legittimit� suole affermare che le domande di annullamento, risoluzione, ecc., 
del contratto, in quanto tendenti ad una pronuncia costitutiva avulsa da una 
pregressa pretesa creditoria, non sono idonee ad interrompere la prescrizione, 
ai sensi e per gli effetti dell�art. 2943 c.c. (74). 

Per contro, se da un lato la pronuncia demolitoria del giudice amministrativo 
ha efficacia costitutiva dell�illegittimit� del provvedimento amministrativo, 
dall�altro, la pronuncia di condanna � ricognitiva del fatto illecito 
dell�amministrazione (75). In effetti, l�azione di condanna pu� essere esercitata 
indipendentemente da quella di annullamento (76), dovendosi badare all�illegittimit� 
del provvedimento come dato di fatto, rilevabile incidenter tantum 
nell�ipotesi di domanda risarcitoria formulata in via autonoma. 

In definitiva, l�azione di annullamento non sarebbe in grado di produrre 
effetti interruttivi della prescrizione con riferimento al �diverso� ed �autonomo� 
�diritto� al risarcimento del danno (77), posto che la domanda demolitoria 
tutela l�interesse legittimo alla correttezza della procedura di gara, 

(71) TAR Lazio, Roma, Sez. III, 29 marzo 2013, n. 3228. 
(72) Consiglio di Stato, Sez. V, 13 luglio 2010, n. 4513; Cassazione, Sez. III, 25 maggio 2010, n. 
12699. 
(73) TAR Lazio, Roma, Sez. III, 29 marzo 2013, n. 3228. 
(74) Cassazione, Sez. I, n. 25468/2010; Sez. I, n. 20332/2007. 
(75) Consiglio di Stato, Ad. Plen., 22 ottobre 2007, n. 12; Ad. Plen., n. 3/2011. 
(76) Art. 34, comma 3, c.p.a., 
(77) Consiglio di Stato, Ad. Plen., n. 3/2011. 



mentre la domanda risarcitoria tutela l�interesse a non essere leso nelle proprie 
situazioni giuridiche soggettive, nel possesso e nella detenzione qualificata 
nella vita di relazione. 

Queste considerazioni non sono smentite ed, anzi, troverebbero rispondenza 
nella decisione della Cassazione, Sez. Unite, 8 aprile 2008, n. 9040. 

In quella sede, infatti, la Suprema Corte ha straordinariamente riconosciuto 
l�efficacia interruttiva della prescrizione in capo alla domanda di annullamento 
dinanzi al GA, senza nulla precisare, tra le altre cose, in ordine 
alla diversit� delle situazioni giuridiche soggettive protette dall�azione demolitoria 
e da quella di condanna. Tuttavia, per la Cassazione, �prima che l�art. 
35 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall�art. 7 della legge 21 
luglio 2000, n. 205, concentrasse nella cognizione del giudice amministrativo 
la tutela demolitoria e quella risarcitoria�, si rendeva necessario assicurare 
una qualche tutela effettiva (art. 24 Cost.) a favore del privato, facendo in 
modo che la pregiudiziale amministrativa ed i tempi processuali non avessero 
impatto sull�utile decorso del termine di prescrizione quinquennale, a decorrere 
dal provvedimento/evento lesivo. 

Ovviamente, tali considerazioni devono ritenersi superate fin dall�entrata 
in vigore del d.lgs. n. 80/1998 e della l. n. 205/2000, la quale ha previsto la 
possibilit� di proporre l�azione di condanna dinanzi al GA, contestualmente a 
quella di annullamento (78). 

Ci� � ancor pi� vero in relazione alle azioni demolitorie, esercitate nel 
2006 e preordinate al successivo esercizio di azioni di condanna. In effetti, fin 
dal 2006, la giurisprudenza di legittimit� si era orientata ad ammettere 
un�azione di risarcimento del danno in via autonoma (79), senza che a ci� 
ostasse il termine decadenziale per proporre il ricorso di annullamento (80). 

Dunque, a decorrere dall�entrata in vigore del D. Lgs. n. 80/1998 e maggiormente 
dal 2006, nessuna difficolt� di accesso ad un�effettiva tutela giurisdizionale 
potrebbe derogare all�ordinaria irrilevanza della domanda 
costitutiva di annullamento ai fini dell�interruzione della prescrizione quinquennale 
per il risarcimento del danno. 

Tanto premesso, in un�ottica di giudizio sul rapporto, bisogna altres� ritenere 
che l�aggiudicazione provvisoria abbia assunto le vesti di un vero e proprio 
provvedimento/evento lesivo, individuabile quale dies a quo di decorrenza 
del termine di prescrizione, ai sensi dell�art. 2947 c.c. 

D�altro canto, l�orientamento fatto proprio dalla sentenza del Consiglio di 
Stato n. 8533/2010, in tema di prescrizione, si pone nel solco di quell�indirizzo 
giurisprudenziale, inaugurato nel 2009, il quale ha senza dubbio avuto portata 

(78) Art. 7, l. TAR, mod. dall�art. 7, l. 205/2000; cfr. art. 30, comma 1, c.p.a. 
(79) Art. 30, commi 3 e 5, c.p.a. 
(80) Cassazione, Sez. Un., nn. 13659, 13660 e 13911 del 2006. 



innovativa rispetto al precedente indirizzo del Consiglio di Stato, fondato invece 
sulla pregiudizialit� amministrativa e sulla decorrenza del termine di prescrizione 
a far data dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento. 

In altri termini, in un�ottica di giudizio sul rapporto, piuttosto che sul-
l�atto, l�indirizzo giurisprudenziale pi� recente in materia di prescrizione valorizza 
la funzione di mero accertamento, e non pure costitutiva, della sentenza 
che accoglie la domanda stessa, con riferimento del danno al complessivo 
comportamento tenuto dall�amministrazione. 

� per questo motivo che il TAR Lazio ha sancito che il dies a quo di decorrenza 
del termine ex art. 2947 c.c. va individuato �nella conoscenza del-
l�evento lesivo� in capo al danneggiato, e non pure nella semplice conoscenza 
dell�atto lesivo o dotato di efficacia esterna ai fini della proposizione del-
l�azione di annullamento (81). 

Pi� precisamente, secondo l�assunto del TAR Lazio e della recente giurisprudenza 
amministrativa, divergono i presupposti dell�azione demolitoria 
rispetto ai presupposti dell�azione di condanna. 

Da un lato, l�azione demolitoria � azione di legittimit�, e cio� azione sul-
l�atto, la quale viene proposta in dipendenza delle lesione dell�interesse legittimo 
alla correttezza della gara, avverso il solo provvedimento avente portata 
eso-procedimentale, ad esempio l�aggiudicazione definitiva (82). 

Per contro, l�azione di condanna � azione sul rapporto, sul complessivo 
comportamento illecito dell�amministrazione, sul danno ingiusto arrecato all�amministrato 
(83), in dipendenza del �diritto� dell�amministrato a non essere 
leso nei suoi interessi giuridicamente tutelati nella vita di relazione (84), con 
conseguente rilevanza esterna dell�intera attivit� lesiva dell�amministrazione, 
a prescindere dalla portata eso-procedimentale del singolo atto, purch� questo 
sia conoscibile o sia stato addirittura impugnato (85). 

Dunque, se nelle azioni di condanna il fondamento dell�obbligo o del dovere 
risarcitorio risiede nel comportamento illecito dell�amministrazione, sembrerebbe 
avvenire che, ai fini della determinazione del dies a quo di decorrenza 
della prescrizione, non possa essere rilevante il solo provvedimento avente efficacia 
eso-procedimentale in ordine alla proposizione dell�azione demolitoria, 
come l�aggiudicazione definitiva. 

Per converso, sebbene sia normalmente irrilevante in sede di azione di 
annullamento, l�aggiudicazione provvisoria, sugellata dall�aggiudicazione definitiva 
ed in quanto testimonianza iniziale del comportamento contra jus 

(81) TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, 14 settembre 2011, n. 7276, 
(82) Consiglio di Stato, Sez. V, 6 agosto 2012, n. 4518. 
(83) Cassazione, Sez. Un., n. 500/1999; Consiglio di Stato, Ad. Plen., n. 3/2011. 
(84) Art. 2043 c.c. 
(85) TAR Lazio, Roma, n. 7276/2011. 



dell�amministrazione, potrebbe svolgere un importante ruolo quale momento 
di manifestazione primordiale dell�illecito. Ci� dovrebbe verificarsi specialmente 
se l�aggiudicazione provvisoria sia stata conosciuta dalle imprese che 
reclamano il danno ed ancor di pi� se le stesse imprese l�abbiano impugnata 
in via principale dinanzi al giudice amministrativo, ravvisandone ovviamente 
la natura lesiva. 

Cos�, rimanendo in tema di azione di condanna e di giudizio sul rapporto 
(86), l�aggiudicazione provvisoria � stata ritenuta un provvedimento rilevante, 
e cio� con efficacia esterna ai fini risarcitori (87), al fine di instaurare la responsabilit� 
precontrattuale (aquiliana) dell�amministrazione, nel caso in cui 
quest�ultima dovesse revocare od annullare ex officio l�aggiudicazione provvisoria 
stessa (88). 

Di conseguenza, all�interno di un giudizio sul rapporto, laddove l�aggiudicazione 
definitiva abbia confermato quella provvisoria e laddove il ricorrente 
abbia impugnato in via principale l�aggiudicazione provvisoria (riservandosi 
di impugnare con motivi aggiunti l�aggiudicazione definitiva), sembrerebbe 
che la lesione si sia consolidata con l�aggiudicazione provvisoria, la quale sarebbe 
comunque provvista di efficacia esterna ai fini risarcitori, diversa dalla 
portata eso-procedimentale ai fini demolitori. 

In definitiva, secondo una prospettiva di giudizio sul rapporto, se l�aggiudicazione 
provvisoria - oggetto di revoca - rileva ai fini della responsabilit� 
precontrattuale, non si vede perch�, in tema di danno da aggiudicazione illegittima, 
la medesima aggiudicazione provvisoria non debba rilevare, laddove 
il danno iniziale sia conosciuto dalle imprese e derivi dall�aggiudicazione 
provvisoria medesima. 

A ci� si aggiunge che, se l�aggiudicazione provvisoria dovesse eventualmente 
essere impugnata, anche per mero scrupolo, l�impugnazione principale 
dovrebbe essere dichiarata inammissibile, ancorch� non si verificher� poi la 
contestuale inammissibilit� dell�atto per motivi aggiunti con cui si impugnava 
l�aggiudicazione definitiva (89). 

Senza dimenticare come l�impugnazione dell�aggiudicazione provvisoria 
non � senza effetto processuale e sostanziale. Siffatta impugnazione, infatti, 
rende irricevibile qualsiasi ricorso in via principale avverso l�aggiudicazione 

(86) Nei termini fatti propri dalla Plenaria n. 3/2011. 
(87) Al di l� della successiva aggiudicazione definitiva. 
(88) Consiglio di Stato, Ad Plen., 5 settembre 2005, n. 6; Sez. VI, 1 febbraio 2013, n. 633; Sez. 
IV, 14 gennaio 2013, n. 156; Sez. IV, 7 marzo 2005, n. 920; Sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1457; T.A.R. 
Campania, Napoli, Sez. VIII, 25 settembre 2012, n. 3923; Sez. VIII, 3 maggio 2010, n. 2263; T.A.R. 
Lazio, Roma, Sez. II, 28 ottobre 2009, n. 10477; Sez. II ter, 11 dicembre 2008, n. 11265; Sez. III, 10 
settembre 2007, n. 8761; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 8 luglio 2004, n. 4921; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 
6 luglio 2001, n. 609; App. Napoli, Sez. III, 30 marzo 2006, S. s.a.s. di C.B. c. I.A.C.P. di Salerno. 
(89) Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 giugno 2004, n. 4448. TAR Marche Ancona, Sez. I, 26 luglio 
2010, n. 3178. 



definitiva (da impugnare con motivi aggiunti) (90), con consolidamento del-
l�aggiudicazione definitiva stessa e con conseguente improcedibilit� del ricorso 
avverso l�aggiudicazione provvisoria per sopravvenuta carenza di 
interesse a ricorrere (91). 

Peraltro, non � affatto vero che la proponibilit� contestuale delle domande 
di annullamento e di condanna (92) manifesti una simbiosi tra l�azione demolitoria 
e quella risarcitoria, la prima presupposto per l�esercizio dell�altra, con 
presunti riflessi in tema di decorrenza del termine di prescrizione dal giorno 
in cui � possibile chiedere contestualmente il risarcimento del danno e l�annullamento 
dell�unico atto avente portata eso-procedimentale, e cio� l�aggiudicazione 
definitiva. 

D�altro canto, in un�ottica di giudizio sull�atto, se la piena conoscenza 
dei motivi dell�illegittimit� dell�aggiudicazione definitiva non osta rispetto 
alla decorrenza del termine di impugnazione a decorrere dalla comunicazione 
ex art. 79, D.Lgs. n. 163/2006 (93), a maggior ragione, secondo una prospettiva 
di giudizio sul rapporto, la conoscenza dell�aggiudicazione provvisoria, 
testimoniata da una sua tempestiva impugnazione, equivarrebbe gi� a coscienza 
della �rapportabilit� causale� di un danno al comportamento lesivo 
dell�amministrazione (94), con conseguente individuazione in tale momento 
del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale (95). 

Ad ogni modo, nel caso in cui l�aggiudicazione provvisoria venga concretamente 
alla stregua di un provvedimento lesivo e, pertanto, venga impugnata, 
i privati non potrebbero contestualmente invocare il carattere 
endo-procedimentale del succitato provvedimento, a meno di non incorrere 
nella violazione del principio generale �nemo potest venire contra factum proprium�. 
In effetti, tale violazione pu� essere utilmente eccepita, dalla parte 
odierna appellante, mediante l�exceptio doli generalis seu presentis, secondo 
l�insegnamento della Cassazione civile, Sez. I, 7 marzo 2007, n. 5273, valevole 
in tema di diritto sostanziale ed anche in tema di diritto processuale (96). 

(90) Art. 120, comma 7, c.p.a. 
(91) Ex multis, cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 6 marzo 2012, n. 1118; T.A.R. Sicilia, 
Catania, Sez. I, 28 febbraio 2012, n. 539; T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, 6 marzo 2010, n. 175; T.A.R. 
Toscana, Firenze, Sez. II, 24 agosto 2009, n. 1400. 
(92) Art. 30, comma 1, c.p.a. 
(93) Consiglio di Stato, Ad. Plen., 31 luglio 2012, n. 31. Contra, cfr. TAR Puglia, Bari, Sez. I, 
ord., 25 marzo 2013, n. 427, di rimessione di una pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Contra, cfr. altres� 
Consiglio di Stato, ord., 11 febbraio 2013, n. 790, di rimessione della questione all�Adunanza Plenaria. 
(94) Cassazione, Sez. III, 25 maggio 2010, n. 12699. 
(95) Vale a dire del giorno dal quale � possibile chiedere il risarcimento del danno contestualmente 
all�annullamento e soprattutto in via autonoma, al di l� di ogni specifica domanda demolitoria, ai sensi 
degli articoli 30, commi 3 e 5, c.p.a. e 34, comma 3, c.p.a. Ibid. 
(96) Consiglio di Stato, Sez. V, 7 febbraio 2012, n. 656. 



4. Determinazione del quantum risarcibile: spese per la partecipazione alla 
gara; mancato utile e perdita di chances; danno all�immagine a carico del-
l�impresa non aggiudicataria della gara di appalto; danno curriculare. Orientamenti 
giurisprudenziali a confronto. 

Per quanto attiene al quantum risarcibile per equivalente, in dipendenza 
di aggiudicazione illegittima, vengono in rilievo diverse voci di danno, tra cui: 

a) il danno emergente, consistente nelle spese per la partecipazione alla gara; 

b) il lucro cessante, quale mancato utile derivante dall�illegittima aggiudicazione 
della gara ad altro concorrente; 

c) il lucro cessante, quale perdita di chances imprenditoriali, in conseguenza 
dell�illegittima aggiudicazione della gara ad altro concorrente; 

d) il danno all�immagine a carico dell�impresa non aggiudicataria della 
gara di appalto; 

e) il danno curriculare, quale mancata inserzione dell�appalto non aggiudicato 
nel curriculum dell�impresa, utile ai fini della partecipazione ad ulteriori 
procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture. 

Con riferimento al danno emergente, la giurisprudenza amministrativa � 
granitica nell�affermare come: �I costi sostenuti per la partecipazione ad una 
gara di appalto non sono risarcibili dall�impresa che lamenti la mancata aggiudicazione 
dell�appalto, in quanto la partecipazione a dette gare comporta 
per le imprese costi che ordinariamente restano a carico delle stesse, sia in 
caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione; i costi di partecipazione 
si configurano infatti come danno emergente (e sono quindi risarcibili) 
solo nel caso in cui l�impresa sia stata illegittimamente esclusa dalla 
gara, atteso che in questo caso viene in rilievo la pretesa del partecipante a 
non essere coinvolto in trattative inutili� (97). 

Per contro, con riferimento al lucro cessante, la giurisprudenza dominante 
pone in evidenza tre condizioni per l�ottenimento del risarcimento: 

1) che l�entit� del mancato utile sia provata, anche mediante il riferimento 
agli utili percepiti in appalti similari, posto che il criterio dell�utile, pari al 
10% dell�offerta oggetto di ribasso, ha valore meramente presuntivo (98); 

2) che le imprese ricorrenti dimostrino, in base alle specifiche caratteristiche 
della procedura di gara, l�esistenza di un indice probabilistico pari al 
100% in ordine al conseguimento dell�aggiudicazione in assenza del provvedimento 
illegittimo adottato dalla stazione appaltante (99); altrimenti, si pu� 
chiedere soltanto il risarcimento della perdita di chances (100); 

(97) Consiglio di Stato, Sez. V, 3 luglio 2012, n. 3888; cfr. altres�, Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 
settembre 2011, n. 5168; Sez. V, 12 ottobre 2011, n. 5528; Sez. V, 20 giugno 2011, n. 3670; Sez. V, 18 
gennaio 2011, n. 329. TAR Lazio, Roma, Sez. III, 27 giugno 2012, n. 5920; Sez. III, 22 febbraio 2011, 
n. 1680; Sez. III, 29 marzo 2013, n. 3228. 
(98) Consiglio di Stato, Sez. V, 20 giugno 2011, n. 3670. 



3) che venga specificatamente addotta prova negativa, da parte dell'impresa 
ricorrente, circa l�aliunde perceptum vel percipiendum, a pena di presunzione 
in ordine alla naturale produttivit� dei mezzi di produzione: in 
particolare, le imprese ricorrenti devono provare, in modo preciso, il fermo 
dei macchinari, la mancata utilizzazione di personale regolarmente retribuito, 
le spese per materiali non utilizzati, ecc., in poche parole, di non essere state 
beneficiarie di utili a seguito dell�esecuzione di altre commesse nel periodo 
in cui avrebbero dovuto realizzare l�opera ad oggetto del bando di gara (101). 

In aggiunta, si segnala che vi � divergenza, in sede giurisprudenziale, in 
ordine alla definizione del contenuto, alla qualificazione ed alla quantificazione 
del lucro cessante ovvero della perdita di chances. 

In breve, risulta pacifico che il lucro cessante sia risarcibile laddove vi sia 
la certezza in ordine alla conseguibilit� dell�appalto a favore del ricorrente (102). 

Per converso, la perdita di chances sarebbe risarcibile: 

a) per certa giurisprudenza, in presenza di un indice probabilistico almeno 
pari al 50% delle possibilit� di ottenimento dell�appalto (103); 

b) per altra giurisprudenza, in presenza di un indice probabilistico anche 
inferiore al 50 % (104). 

Ugualmente, � principio accettato che, laddove non sia risarcibile il lucro 
cessante, potrebbe esservi comunque spazio per il risarcimento della perdita 
di chances, se la relativa domanda � stata ritualmente formulata (105). 

Ci� nondimeno, avviene di sovente che la giurisprudenza amministrativa 

(99) Consiglio di Stato, Sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5100. Per dimostrare la certezza nel conseguimento 
dell�appalto, occorre dimostrare gli �indici significativi di successo� nel conseguimento dell�appalto, in assenza 
del provvedimento illegittimo di aggiudicazione della gara, con particolare riferimento, per esempio, 
al numero dei concorrenti, alla configurazione della graduatoria eventualmente stilata ed al contenuto del-
l�offerta presentata dall�impresa danneggiata, come suggerito dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 
pubblicata in data 28 gennaio 2009, n. 491. Critico � TAR Lazio, Roma, Sez. III, 29 marzo 2013, n. 3228, 
per cui: �Nelle gare di appalto, l�impresa non aggiudicataria, ancorch� proponga ricorso e possa ragionevolmente 
confidare che riuscir� vittoriosa, non pu� mai - come detto - nutrire la matematica certezza 
che le verr� aggiudicato il contratto, atteso che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative�. 

(100) TAR Puglia, Bari, Sez. II, 18 luglio 2002, n. 3399, la domanda per perdita di chances, per�, 
in quanto fondata su un diverso tipo di danno, rappresenta una domanda nuova e diversa rispetto alla 
domanda di risarcimento del lucro cessante, formulata dalle imprese odierne resistenti, con automatica 
soggezione al divieto di mutatio libelli e di jus novorum in appello. 

(101) Questa prova negativa, oltre ad evitare i rischi di un�indebita locupletazione dei danni, � 
fondamentale ai fini della dimostrazione del danno da inattivit�, ma anche ai fini della quantificazione, 
in senso riduttivo ed in via equitativa, del lucro cessante (Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 aprile 2011, n. 
2427) ovvero della perdita di chances (Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2012, n. 115). Contra, 
cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Siciliana, 21 settembre 2010, n. 1226. 

(102) Consiglio di Stato, Sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5100. 

(103) Consiglio di Stato, Sez. V, 10 ottobre 2011, n. 5527; Sez. IV, 4 luglio 2008, n. 3340. 

(104) Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144; TAR Sicilia, Catania, Sez. II, 4 giugno 
2010, n. 2069. 

(105) Consiglio di Stato, Sez. V, 12 ottobre 2011, n. 5527; TAR Puglia, Bari, Sez. II, 18 luglio 
2002, n. 3399. 


risarcisca il lucro cessante indifferentemente sotto la fattispecie della perdita 
di chances ovvero sotto quella del mancato utile, facendo riferimento al criterio 
presuntivo dell�utile pari al 10 % dell�offerta oggetto di ribasso (106). 

Vi sono anche dei casi in cui, pi� correttamente, la perdita di chances viene 
risarcita in misura minore rispetto al mancato utile, in una percentuale che va 
dall�1 % al 5 % dell�offerta ribassata, cui deve aggiungersi la riduzione equitativa 
del danno per mancata prova dell�aliunde perceptum vel percipiendum (107). 

Ci� detto, occorre valutare il rapporto esistente tra il risarcimento del 
mancato utile ed il criterio dell�offerta economicamente pi� vantaggiosa, ai 
sensi del comb. disp. degli articoli 53, comma 2, ed 83, D. Lgs. n. 163/2006. 

Sul punto sono emersi due distinti orientamenti. 

Da un lato, vi � chi ha sostenuto: 

a) che il criterio dell�offerta economicamente pi� vantaggiosa, a differenza 
del criterio del prezzo pi� basso, non � di automatica applicazione, presupponendo 
invece valutazioni discrezionali da parte della stazione appaltante; 

b) che sono necessari criteri di aggiudicazione automatici per integrare la 
certezza nell�affidamento dell�appalto a favore del ricorrente secondo classificato; 

c) che, in ossequio al riparto di giurisdizione tra G.A. e P.A., il giudice 
amministrativo pu� risarcire il mancato utile soltanto in presenza di criteri di 
aggiudicazione automatici. 

In presenza del criterio dell�offerta economicamente pi� vantaggiosa, 
quindi, il mancato utile non sarebbe risarcibile in via integrale. Sarebbe, invece, 
risarcibile la perdita di chances (108). 

Dall�altro lato, vi � chi ha sostenuto che, nonostante il criterio dell�offerta 
economicamente pi� vantaggiosa non possegga caratteri di automaticit�, 
�negli appalti da aggiudicare con il criterio dell�offerta economicamente pi� 
vantaggiosa, la misura presunta del lucro cessante (pari al 10% dell'importo 
del contratto), qualora si debba risarcire l�impresa illegittimamente esclusa 
dalla gara, va decurtata in ragione degli indici significativi delle potenzialit� 
di successo (quali, ad esempio, il numero dei concorrenti, la configurazione 
della graduatoria eventualmente stilata ed il contenuto dell�offerta presentata 
dall'impresa danneggiata); conseguentemente la relativa determinazione giurisdizionale 
dei criteri sfugge a canoni valutativi rigidi, cosicch� ai fini della 
liquidazione del danno pu� essere utilizzato lo strumento previsto dall'art. 35, 
comma 2, D.Lgs. n. 80/1998, come sostituito dall'art. 7 L. n. 205/2000� (109). 

Ne deriva che il lucro cessante o mancato utile non sarebbe integralmente 

(106) Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2012, n. 115; Sez. V, 28 gennaio 2009, n. 491. 

(107) Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144; Sez. V, 20 ottobre 2011, n. 5527; 
TAR Sicilia, Catania, Sez. II, 4 giugno 2010, n. 2069. 

(108) TAR Puglia, Bari, Sez. II, 18 luglio 2002, n. 3399. CARINGELLA, Corso di Diritto Amministrativo, 
Vol. I, 2011, pp. 581 e 582. 

(109) Consiglio di Stato, Sez. V, 28 gennaio 2009, n. 491. 


risarcibile, nell�ipotesi in cui la mancata prova della certezza nell�affidamento 
dovesse condurre ad una riduzione equitativa dell�importo risarcito, ulteriore 
rispetto alla riduzione equitativa per la mancata prova dell�aliunde perceptum 
vel percipiendum. 

A maggior ragione, il mancato utile non sarebbe risarcibile se si dovesse 
accedere a quell�altro orientamento giurisprudenziale, per cui la mancata prova 
della certezza nell�affidamento dell�appalto, in presenza del criterio dell�offerta 
economicamente pi� vantaggiosa, pregiudica, in modo assoluto, la risarcibilit� 
del mancato utile. 

Ci� detto, il danno all�immagine non � risarcibile se sfornito di prova (110), 
mentre il danno curriculare � risarcibile (111), giusta prova dell�an e del quantum, 
in una misura che va dal 2% al 5% dell�offerta oggetto di ribasso (112). 

In particolare, nonostante il provvedimento illegittimo dell�amministrazione 
rappresenti un�ipotesi di fatto illecito in re ipsa, i danni risarcibili appartengono 
sempre alla specie dei danni conseguenza, secondo gli insegnamenti della Corte 
Costituzionale (113). Anche il danno curriculare non sfugge alla specie dei danni 
conseguenza (diversi dai pretesi danni in re ipsa), i quali non sfuggono alla dimostrazione 
dell�an debeatur, soprattutto, del quantum debeatur (114). 

(110) Consiglio di Stato, Sez. V, 12 ottobre 2011, n. 5527: �In materia di appalti pubblici, per il 
diritto al risarcimento del danno derivante alla seconda classificata dalla illegittima aggiudicazione 
ad altra impresa concorrente, non possono essere presi in considerazione, ai fini della quantificazione 
del danno, n� l�utilit� derivante dallo svolgimento di prestazioni ulteriori ed aggiuntive rispetto a quelle 
previste in gara (evidentemente non attinenti all�appalto, da considerarsi solo eventuali al momento 
dello svolgimento della selezione), n� le mancate economie di scala per effetto dell�innalzamento del 
fatturato, in quanto non direttamente ricollegabili alla mancata esecuzione dell�appalto, n�, infine, il 
danno da immagine, del tutto sfornito di prova. Va, invece, riconosciuto il diritto al risarcimento del 
danno curriculare, derivante dalla maggiore qualificazione professionale che sarebbe derivata alla interessata 
dalla esecuzione dell'appalto�. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 febbraio 2012, n. 661, confonde 
il danno curriculare con il danno all�immagine sociale dell�impresa non aggiudicataria: �Il cd. danno 
curriculare, derivante all�impresa nei cui confronti non sia stata disposta l�aggiudicazione (nella specie 
a causa dell'illegittimit� dell�azione amministrativa) deve identificarsi nel ristoro del pregiudizio economico 
connesso alla impossibilit� di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico collegato 
alla esecuzione del lavoro o del servizio. Tale danno, in particolare, si concretizza nel nocumento 
alla immagine sociale della impresa, con riferimento all�aspetto del radicamento nel territorio, per cui 
risulta evidente la contiguit� con il danno alla immagine derivante dalla perdita di prestigio nell�ambito 
del mercato legata alla mancata esecuzione dei lavori�. 

(111) Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751; Sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1180; Sez. VI, 21 
maggio 2009, n. 3144; Sez. V, 23 luglio 2009, n. 4594. TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 7 gennaio 2010, n. 3. 

(112) Su una percentuale del 2% si � assestata la recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 
12 ottobre 2011, n. 5527. Per contro, su un coefficiente tra l'1% ed il 5% si � assestato il TAR Sicilia, 
Catania, Sez. II, 4 giugno 2010, n. 2069. 

(113) Corte Costituzionale, 14 luglio 1986, n. 184; 27 ottobre 1994, n. 372. Sul danno in re ipsa, si 
erano implicitamente assestate le precedenti pronunce della Corte Costituzionale nn. 87 e 88 del 1979. 
Contra il danno in re ipsa, cfr. altres� Cassazione, Sez. I, 25 settembre 2012, n. 16294, in tema di configurabilit� 
del danno in re ipsa da concorrenza sleale. Il danno in re ipsa esonera dalla prova del danno nell�an. 

(114) Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 settembre 2010, n. 7004; Sez. V, 22 febbraio 2010, n. 1038. 
Cassazione, Sez. I, 15 febbraio 2008, n. 3794. TAR Lazio, Roma, Sez. III, 29 marzo 2013, n. 3228. 


Finito di stampare nel mese di settembre 2013 
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