ANNO LXV - N. 2 APRILE - GIUGNO 2013 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo DĠAscia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Alessandra Bruni, Antonio Vincenzo Castorina, Enrico De Giovanni, Gianna Maria De Socio, Ettore Figliolia, Fabrizio Gallo, Giuliano Gambardella, Michele Gerardo, Federico Maria Giuliani, Nicol˜ Guasconi, Francesco Mataluni, Adolfo Mutarelli, Glauco Nori, Giustina Noviello, Vincenzo Nunziata, Carmela Pluchino, Diana Ranucci. Valeria Romano, Massimo Salvatorelli, Agnese Soldani, Francesco Spada, Fabio Tortora, Cesare Trecroci, Sabrina Trivelloni, Fabrizio Urbani Neri. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829562 ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................Û 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. Û 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Protocollo dĠintesa tra Avvocatura dello Stato ed Agenzia delle Entrate Gianna Maria De Socio, Gestione del contenzioso relativo a strutture commissariali cessate dopo la chiusura dello stato di emergenza. Art. 3 D.L. n. 59/2012. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Stefano Varone, Corte di Giustizia UE 4 luglio 2013 causa C-100/2012: note minime sui rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale ÒescludenteÓ. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sabrina Trivelloni, Attivitˆ di protezione civile tra contratti di appalto, affidamenti in house, accordi fra pubbliche amministrazioni, e alla luce delle pronunce della Corte di Giustizia dellĠUnione Europea e della giurisprudenza nazionale. Interpretazione della sentenza CGUE 19 dicembre 2012, C-159/11 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Glauco Nori, Una questione di principio sulla sentenza FIOM (C. cost., sent. 23 luglio 2013 n. 213) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marina Russo, Indennizzo di danni da emotrasfusione anche per contagio da emodialisi (Cass. civ., Sez. III, sent. 16 aprile 2013 n. 9148) . . . . . . . Maurizio Borgo, Competenza del giudice ordinario sui respingimenti di- feriti dello straniero (Cass. civ., Sez. Un., sent. 17 giugno 2013 n. 15115) Fabrizio Gallo, La protezione umanitaria nellĠinterpretazione delle corti territoriali calabresi e delle giurisdizioni superiori. . . . . . . . . . . . . . . . . Michele Gerardo, Confermata in appello lĠaccertamento della demanialitˆ ÒsopravvenutaÓ delle acque del lago Lucrino (Trib. sup. acque, sent. 4 dicembre 2012 n. 164). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valeria Romano, Potere amministrativo implicito e atto amministrativo implicito: ammissibilitˆ e condizioni di legittimitˆ dellĠuno e dellĠaltro (Cons. St., Sez. VI, sent. 2 maggio 2012 n. 2521). . . . . . . . . . . . . . . . . . . Antonio Vincenzo Castorina, LĠonere della prova in tema di illegittima aggiudicazione di appalti pubblici e il recente orientamento della Corte di Giustizia (Cons. St., Sez. V, sent. 8 novembre 2012 n. 5686) . . . . . . . Giustina Noviello, Provvedimento disciplinare inflitto a magistrato ordinario (Tar Lazio, Sez. I quater, sent. 23 maggio 2013 n. 4064) . . . . . . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Enrico De Giovanni, Appalto di opere pubbliche: modalitˆ di cessione del credito vantato verso una P.A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 ŬŬ 10 ŬŬ 37 ŬŬ 50 ŬŬ 67 ŬŬ 78 ŬŬ 85 ŬŬ 90 ŬŬ 99 ŬŬ 106 ŬŬ 128 ŬŬ 146 ŬŬ 153 Agnese Soldani, Prevalenza del criterio di specialitˆ per le assunzioni a tempo indeterminato presso lĠAGCM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 155 Ettore Figliolia, Interpretazione art. 1, co. 19 e segg., L. 190/2012 in materia di arbitrato dei lavori pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 157 Carmela Pluchino, Spese di giustizia: oneri del contributo unificato anche in caso di Òsoccombenza virtualeÓ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 161 Fabrizio Urbani Neri, Risarcimento per Òdanno allĠimmagine di una P.A.Ó a seguito di reati perpetrati da pubblico ufficiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 ŬŬ Agnese Soldani, Spese di giustizia: oneri del contributo unificato in caso di soccombenza reciproca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 165 Ettore Figliolia, Sulla giustiziabilitˆ immediata delle riserve iscritte dal contraente generale ante collaudo delle opere in appalto . . . . . . . . . . . . ŬŬ 166 Massimo Santoro, Rimborso spese legali ex art. 32 l. n. 152/1975: procedimenti conclusi con sentenza di prescrizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169 ŬŬ Giuseppe Albenzio, Applicabilitˆ del termine, previsto dallĠart. 2 l. n. 241/1990 e s.m.i. per la conclusione del procedimento amministrativo, allĠautotutela in materia tributaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 174 Marina Russo, SullĠaffidamento della gestione del Fondo per i l sostegno finanziario dellĠinternalizzazione del sistema produttivo (Fondo Pubblico di Venture Capital - FVC). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 180 Fabio Tortora, Accise: sanzioni per la tutela del bene giuridico sostanziale (evasione/tentata evasione di imposta) e sanzioni per la tutela del bene giuridico formale (mancata/non corretta dichiarazione in via telematica) ŬŬ 185 Vincenzo Nunziata, Criteri interpretativi delle ordinanze cautelari in materia di appalti pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 188 ŬŬ Massimo Salvatorelli, Domanda di accesso al Fondo di rotazione per la solidarietˆ alle vittime dei reati di tipo mafioso. Legge 22 dicembre 1999, n. 512 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 192 Diana Ranucci, Utilizzazione del R.D. 14 aprile 1910 n. 639 nelle procedure di rimborso a favore della P.A.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 194 LEGISLAZIONE ED ATTUALITË Alessandra Bruni, Nicol˜ Guasconi, Lo Stato ferito: con la sentenza in commento un contributo sui reati compiuti nel corso delle manifestazioni (nota a Trib. Roma, Sez. VII, sent. 30 novembre 2012 n. 16442) . . . . . . ŬŬ 199 Michele Gerardo, Adolfo Mutarelli, Il pubblico impiego dinanzi alla Riforma Fornero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 219 Federico Maria Giuliani, Finanziameti bancari rogati allĠestero tra regime civilistico e imposta sostitutiva del registro (Nota a Risoluzione n. 20/E in data 28 marzo 2013 della Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 231 Francesco Mataluni, Sulla azione per lĠefficienza amministrativa introdotta con il D. lgs. 198/2009 con riferimento ai primi orientamenti giurisprudenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 239 Francesco Spada, Le disposizioni in materia di inconferibilitˆ e incompatibiulitˆ di incarichi di cui al d.lgs. n. 39/2013 . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 261 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Lorenzo DĠAscia, LĠatto presupposto nel diritto tributario. . . . . . . . . . . ŬŬ 271 Giuliano Gambardella, Osservazioni sul libro III, titolo I del codice del processo amministrativo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 289 Cesare Trecroci, Il risarcimento del danno per equivalente da aggiudicazione illegittima. Alcune osservazioni in materia di decadenza dellĠazione di condanna, prescrizione e quantum risarcibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 334 temi istituzionali TEMI ISTITUZIONALI PROTOCOLLO DĠINTESA TRA AVVOCATURA DELLO STATO ED AGENZIA DELLE ENTRATE Considerato che, ai sensi dellĠart. 72 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, lĠAgenzia delle Entrate (di seguito denominata anche solo Agenzia) pu˜ avvalersi del patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato (di seguito denominata anche solo Avvocatura) ai sensi dellĠart. 43 del testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e che, in base a tale ultima disposizione, lĠAvvocatura  autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa del- lĠAgenzia, salve le ipotesi di conflitto ed i casi speciali ivi previsti; Ritenuta lĠopportunitˆ di disciplinare, sulla base della distinzione dei ruoli e delle competenze e del riconoscimento delle rispettive responsabilitˆ, le modalitˆ di cooperazione tra lĠAgenzia e lĠAvvocatura, al fine di assicurare nel modo migliore la piena tutela degli interessi pubblici coinvolti, prevedendo anche forme snelle e semplificate di relazioni, tali da rafforzare lĠefficienza e lĠefficacia dellĠazione amministrativa e lĠottimale funzionalitˆ delle strutture; Ravvisata, in particolare, lĠopportunitˆ di prevedere modalitˆ operative volte a garantire un efficiente ed incisivo apporto consultivo dellĠAvvocatura, nonchŽ lo svolgimento del patrocinio dellĠAgenzia affidato alla stessa Avvocatura nei giudizi attivi promossi o proseguiti in gradi ulteriori dallĠAgenzia e nei giudizi passivi instaurati o coltivati da terzi nei confronti della medesima; Considerata, per effetto delle disposizioni di cui allĠarticolo 23-quater del de- creto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, la successione dellĠAgenzia delle Entrate nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, dellĠAgenzia del Territorio, in materia di catasto, di registri immobiliari, di servizi geotopocartografici e di servizi di valutazione immobiliare e tecnico-estimativi (di seguito, settore Territorio); Tra il Direttore dellĠAgenzia delle Entrate, Dott. Attilio Befera, come da delibera del Comitato di gestione del 23 luglio 2013, n. 31/2013 (allegato sub A) e lĠAvvocato Generale dello Stato, Avv. Michele Giuseppe Dipace si conviene quanto segue. 1. ATTIVITË CONSULTIVA 1.1 Allo scopo di razionalizzare gli interventi, lĠAgenzia, tramite le competenti Direzioni centrali, provvede a coordinare la proposizione di quesiti e richieste di pareri che involgono questioni interpretative di carattere generale o di particolare rilevanza, evitando lĠinoltro di specifiche richieste tramite proprie strutture periferiche. 1.2 Considerato che lĠefficacia dellĠattivitˆ consultiva  direttamente correlata alla tempestiva acquisizione dei richiesti pareri, lĠAvvocatura provvede a corrispondere con tempestivitˆ alle relative richieste, comunque nei termini imposti dai procedimenti amministrativi o, in mancanza, entro 60 giorni dalla richiesta (eventualmente anticipando il parere per posta elettronica o fax), segnalando i casi in cui ci˜ non sia possibile. 1.3 LĠAgenzia - ove ritenuto necessario - informa lĠAvvocatura generale dei principali orientamenti dalla stessa assunti, in particolare in ordine allĠinterpretazione di normativa di prima applicazione, al fine di acquisire eventuali suggerimenti e/o pareri, particolarmente nella prospettiva dei riflessi sulla gestione del relativo contenzioso, potenziale o in atto. 1.4 LĠAvvocatura, su richiesta dellĠAgenzia, esprime parere sugli atti di transazione redatti dalle strutture centrali o periferiche interessate e, nei limiti della propria disponibilitˆ, assicura lĠassistenza nel luogo ove si svolge lĠattivitˆ transattiva. 2. ASSISTENZA E RAPPRESENTANZA IN GIUDIZIO 2.1 Disposizioni generali 2.1.1 Al fine di consentire allĠAvvocatura il regolare svolgimento delle proprie funzioni, lĠAgenzia, attraverso le proprie strutture centrali o territoriali, provvede ad investire lĠAvvocatura delle richieste di patrocinio con il pi ampio margine rispetto alle scadenze, fornendo tutti gli opportuni elementi istruttori. In sede di richiesta verrˆ precisato il nominativo del funzionario incaricato dellĠistruttoria, con le modalitˆ per la sua immediata reperibilitˆ (telefono, fax, posta elettronica); analogamente lĠAvvocatura provvede a segnalare alla struttura richiedente dellĠAgenzia il nominativo dellĠAvvocato incaricato dellĠaffare e le medesime modalitˆ di immediata reperibilitˆ (telefono, fax, posta elettronica). Ogni eventuale modifica dei predetti recapiti va tempestivamente comunicata. 2.1.2 Al fine di assicurare nel modo pi sollecito ed efficace lo svolgimento delle rispettive attivitˆ istituzionali,  assicurato allĠAvvocatura lĠaccesso ai dati relativi ai fascicoli di causa delle controversie pendenti presso le Commissioni tributarie. 2.1.3 Ove lĠAvvocatura ritenga di non convenire, per singole controversie, sulle richieste avanzate dallĠAgenzia, provvede, se del caso previa acquisizione di elementi istruttori, a darne tempestiva e motivata comunicazione alla struttura richiedente, al fine di pervenire ad una definitiva determinazione. Le divergenze che insorgono tra lĠAvvocatura e lĠAgenzia, circa lĠinstaurazione di un giudizio o la resistenza nel medesimo, sono risolte dal Direttore dellĠAgenzia, ai sensi dellĠart. 12, secondo comma, della legge 3 aprile 1979, n. 103. 2.1.4 Qualora gli atti introduttivi del giudizio o di un grado di giudizio e qualunque altro atto o documento vengano notificati allĠAgenzia presso una sede dellĠAvvocatura, non ancora investita della difesa, sono dalla stessa inviati senza indugio alla competente struttura dellĠAgenzia, utilizzando gli strumenti in concreto pi rapidi. 2.1.5 LĠAvvocatura provvede a tenere informata la competente struttura del- lĠAgenzia dei significativi sviluppi delle controversie dalla stessa curate, assicurando, laddove lĠAgenzia ne faccia motivata richiesta, il tempestivo invio degli atti difensivi propri (in formato editabile onde agevolarne lĠutilizzo in casi analoghi) e delle controparti, dando comunque pronta comunicazione dellĠesito del giudizio con la trasmissione di copia della decisione. Ove si tratti di pronuncia sfavorevole allĠAgenzia suscettibile di gravame, lĠAvvocatura formula il proprio parere in ordine allĠimpugnabilitˆ della decisione, di norma contestualmente allĠinoltro della stessa allĠAgenzia. Le pronunce che investano questioni di carattere generale sono dallĠAvvocatura segnalate alla Direzione centrale competente (ivi compresa la Direzione centrale pubblicitˆ immobiliare e affari legali per i contenziosi che interessano il settore Territorio). 2.1.6. Per le cause che si svolgono davanti ad autoritˆ giudiziaria avente sede diversa da quella della competente Avvocatura, questĠultima si avvale per le funzioni procuratorie di funzionari dellĠAgenzia ai sensi dellĠart. 2 del R.D. n. 1611 del 1933; in tal caso, lĠAvvocatura trasmette lĠatto di delega alla competente struttura territoriale dellĠAgenzia. In casi eccezionali e a seguito di una preventiva intesa con lĠAgenzia, lĠatto di delega pu˜ essere conferito ad avvocato del libero foro. 2.1.7 Per le notificazioni degli atti, lĠAvvocatura si avvale della collaborazione dellĠAgenzia nei casi in cui risulti opportuno (qualora, ad esempio, sia dubbia lĠindividuazione del luogo ove effettuarle). In tali casi, se la notifica va eseguita nel capoluogo di regione, lĠAvvocatura trasmette lĠatto alla Direzione regionale competente, mentre, se la notifica va eseguita fuori del capoluogo di regione, trasmette lĠatto alla Direzione provinciale o alla sua articolazione territoriale del luogo di esecuzione della notifica, sempre che nella cittˆ ove ha sede tale articolazione sia presente lĠUfficio notificazioni esecuzioni e protesti. Ai fini della notifica, lĠAvvocatura fa pervenire lĠatto entro tre giorni lavorativi liberi prima della scadenza del termine di impugnazione; si considera non lavorativo anche il sabato. La struttura dellĠAgenzia invia lĠatto allĠAvvocatura, subito dopo la notifica, tramite modalitˆ che ne assicurino comunque il tempestivo ricevimento da parte dellĠOrgano legale. Per gli atti del settore Territorio le notificazioni sono eseguite sempre a cura dellĠAvvocatura. 2.1.8 A richiesta del Direttore dellĠAgenzia, lĠAvvocatura pu˜ assumere, ai sensi dellĠart. 44 del R.D. n. 1611 del 1933, la rappresentanza e la difesa di dipendenti dellĠAgenzia nei giudizi civili e penali che li interessano per fatti e cause di servizio. 2.1.9 LĠAvvocatura segnala tempestivamente i casi in cui non pu˜ assumere il patrocinio potendosi configurare un conflitto di interessi con altra amministrazione. Con provvedimento motivato del Direttore, lĠAgenzia segnala allĠAvvocatura generale eventuali casi di possibile conflitto con altra amministrazione parimenti assistita dallĠAvvocatura, per le relative determinazioni. 2.2 Controversie in cui lĠAgenzia pu˜ stare in giudizio direttamente 2.2.1 LĠAgenzia sta in giudizio direttamente nei casi in cui la legge lo consente, salvo diverse intese a livello locale. LĠAvvocatura assicura comunque, dĠintesa con lĠAgenzia, il patrocinio nelle controversie in cui vengono in rilievo questioni di massima o particolarmente rilevanti in considerazione del valore economico o dei principi di diritto in discussione. 2.2.2 Le sentenze pronunciate in grado di appello relativamente a controversie di lavoro, notificate presso lĠAvvocatura distrettuale dello Stato, sono da questĠultima trasmesse contemporaneamente, oltre che allĠAvvocatura generale dello Stato, alla struttura dellĠAgenzia parte del giudizio di appello, unitamente agli atti essenziali di cui lĠAgenzia stessa non sia in possesso. 2.3 Giudizi davanti alle Commissioni tributarie Davanti alle Commissioni tributarie regionali, anche a seguito di rinvio della Corte di cassazione, dĠintesa con la competente Direzione regionale, ovvero Direzione regionale-Territorio (di seguito, Direzione regionale competente), lĠAvvocatura assicura il patrocinio nelle controversie particolarmente rilevanti, in particolare nei casi di complessa applicazione del principio di diritto affermato dalla Cassazione ovvero in considerazione del valore economico o dei principi di diritto in discussione. Su richiesta dellĠAgenzia, lĠAvvocatura assicura altres“ un supporto legale per lĠelaborazione di strategie difensive nelle controversie tributarie nei gradi di merito. 2.4 Giudizi penali 2.4.1 LĠAvvocatura, dĠintesa con lĠAgenzia, trasmette gli atti dei procedimenti penali, irritualmente comunicati o notificati presso lĠOrgano legale, esclusivamente: - alla Direzione provinciale, ovvero allĠUfficio provinciale-Territorio (di seguito, Direzione provinciale competente), o alla Direzione regionale competente che ha presentato la denuncia o, se la denuncia non  dellĠAgenzia, alla Direzione provinciale o regionale competente a fornire le valutazioni funzionali alla costituzione di parte civile; -nel caso in cui siano coinvolte pi Direzioni provinciali competenti aventi sede nella stessa regione, alla Direzione regionale competente nel cui ambito hanno sede le predette Direzioni provinciali; -nel caso in cui siano coinvolte pi Direzioni provinciali competenti aventi sede in regioni diverse, a tutte le Direzioni regionali competenti nel cui ambito le Direzioni provinciali competenti hanno sede o, in subordine, qualora tale ricerca possa risultare difficoltosa, alla Direzione regionale competente nel cui ambito si svolge il procedimento/processo penale, la quale provvede al necessario coordinamento con le altre Direzioni regionali competenti interessate. 2.4.2 LĠAvvocatura, a seguito di documentata richiesta della Direzione regionale competente, invia tempestivamente e comunque almeno dieci giorni prima dellĠudienza il proprio parere sullĠopportunitˆ della costituzione di parte civile dellĠAgenzia nel processo penale, semprechŽ la predetta richiesta le sia pervenuta almeno venti giorni prima dellĠudienza stessa. 2.4.3 LĠAvvocatura informa la Direzione regionale competente in ordine agli esiti dei procedimenti penali in cui lĠAgenzia si  costituita parte civile. 2.5 Ricorsi per cassazione 2.5.1 Le richieste di ricorso per cassazione concernenti giudizi tributari devono pervenire allĠAvvocatura generale, integrate con tutta la necessaria documentazione, compresi la copia degli scritti difensivi dellĠAgenzia e della controparte e dei documenti prodotti in giudizio, dalla competente struttura territoriale dellĠAgenzia, entro: a trenta giorni dalla notifica della sentenza allĠAgenzia o allĠAvvocatura. In caso di notifica presso pi sedi, occorre fare riferimento alla prima notifica ricevuta; b quattro mesi dalla data di deposito della sentenza non notificata. Tale termine  aumentato a dieci mesi per i giudizi instaurati fino al 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha ridotto il Òtermine lungoÓ di impugnazione da un anno a sei mesi. Ai predetti termini si aggiungono la sospensione feriale di cui allĠart. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, nonchŽ altre eventuali proroghe o sospensioni dei termini, ove applicabili. In considerazione delle esigenze di organizzazione e pianificazione del lavoro dellĠAvvocatura, lĠAgenzia si impegna ad attivarsi affinchŽ, con effetto dalla data del prossimo protocollo dĠintesa, le richieste di ricorso per cassazione pervengano allĠAvvocatura entro tre mesi (o nove mesi per i giudizi instaurati fino al 4 luglio 2009) dal deposito della sentenza. Le richieste di ricorso per cassazione sono integrate dalla documentazione necessaria per consentire allĠAvvocatura la compiuta delibazione delle stesse anche sotto il profilo della concreta ed effettiva possibilitˆ di recupero del credito erariale. A tale fine la documentazione di supporto relativa al ricorso dovrˆ comprendere, nel caso di societˆ, visure camerali aggiornate, nonchŽ, per le ipotesi di avvenuta estinzione, lĠelenco dei soci e il bilancio di liquidazione con allegato il piano di riparto. Resta inteso che eventuali variazioni successive alla data dei documenti allegati alla richiesta saranno verificate dallĠAvvocatura. 2.5.2 In ogni caso la richiesta di ricorso per cassazione, in formato editabile, con allegati gli atti e i documenti disponibili in formato elettronico oppure agevolmente convertibili,  anticipata allĠindirizzo di posta elettronica della sezione dellĠAvvocatura competente per ciascuna Direzione regionale competente. 2.5.3 LĠAvvocatura dˆ tempestiva informazione alla Direzione regionale competente della avvenuta proposizione del ricorso anche attraverso lĠinvio dellĠistanza di cui allĠart. 369, terzo comma, c.p.c.. 2.5.4 LĠAvvocatura, nei casi in cui non condivida la richiesta di ricorso per cassazione, dˆ tempestiva comunicazione del proprio motivato parere negativo, senza restituire il relativo fascicolo, alla Direzione regionale competente, tramite posta elettronica o fax e, se del caso, dandone anticipazione telefonica ai recapiti indicati nella richiesta di ricorso. In ogni caso, tale parere  inviato alla Direzione regionale competente, salvo obiettive circostanze impedienti, almeno dodici giorni prima della scadenza del termine di impugnazione. 2.5.5 La Direzione regionale competente, qualora non condivida il parere negativo dellĠAvvocatura, entro due giorni lavorativi dalla ricezione dello stesso, invia per posta elettronica la reiterata richiesta di ricorso, con puntuali repliche al predetto parere, alla Direzione centrale competente e, per conoscenza, allĠAvvocatura. 2.5.6 Entro quattro giorni lavorativi dalla reiterata richiesta, la Direzione cen trale competente comunica, preferibilmente per posta elettronica, allĠAvvocatura il proprio parere in ordine alla sussistenza o meno dei presupposti della reiterata richiesta di ricorso. 2.5.7 Qualora lĠAvvocatura non condivida la reiterata richiesta di ricorso cui abbia aderito la Direzione centrale competente, comunica con la necessaria urgenza il proprio definitivo parere alla Direzione centrale e alla Direzione regionale competente mediante posta elettronica o fax. 2.5.8 Nel caso in cui la Direzione centrale competente non condivida questĠultimo parere dellĠAvvocatura, per la risoluzione della divergenza si applica il secondo periodo del punto 2.1.3. 2.5.9 In mancanza di formale e tempestiva conferma del parere negativo espresso dallĠAvvocatura, questĠultima provvede, in modo da evitare decadenze, alla proposizione del ricorso per cassazione, salvo eventuale successiva rinuncia. 2.5.10 LĠAvvocatura si pu˜ avvalere della collaborazione delle strutture del- lĠAgenzia per la richiesta di trasmissione del fascicolo dĠufficio, ai sensi dellĠart. 369, terzo comma, c.p.c.. In tal caso, lĠAvvocatura invia la predetta richiesta alla Direzione regionale competente; se la sentenza impugnata  stata emessa da una sezione staccata della Commissione tributaria regionale, alla Direzione provinciale competente del luogo in cui ha sede la stessa sezione staccata. 2.5.11 La richiesta di cui al punto precedente, dopo gli adempimenti di rito,  immediatamente restituita con modalitˆ che assicurino comunque il tempestivo ricevimento da parte dellĠAvvocatura. 2.5.12 Nel caso di notifica da parte del contribuente di ricorso per cassazione concernente un giudizio tributario, la Direzione provinciale competente fa pervenire entro venti giorni lĠoriginale notificato del ricorso completo di relata di notifica, gli elementi istruttori per il controricorso e per lĠeventuale ricorso incidentale, con tutti gli atti di causa (atto impugnato, ricorso, controdeduzioni e ogni altro atto o documento depositato), allĠAvvocatura generale e, per conoscenza, alla Direzione regionale competente. Per il computo dei termini si tiene conto della sospensione di cui al punto 2.5.1. La richiesta di controricorso e del- lĠeventuale ricorso incidentale, con i relativi allegati,  anticipata con le modalitˆ di cui al punto 2.5.2. 2.5.13 Qualora un ricorso per cassazione sia notificato presso la sede della Direzione centrale competente, questa trasmette direttamente allĠAvvocatura lĠoriginale del ricorso notificato e, contestualmente, ne invia copia alla Direzione provinciale competente, che provvede ad inoltrare allĠOrgano legale gli elementi istruttori per il controricorso e per lĠeventuale ricorso incidentale, con la tempistica e le modalitˆ di cui sopra. 2.5.14 LĠAvvocatura, qualora ritenga che non sia opportuna la proposizione del ricorso incidentale, dˆ tempestiva comunicazione del proprio motivato parere negativo alla Direzione regionale competente, almeno sette giorni prima della scadenza del termine per la notifica del ricorso incidentale, tramite posta elettronica o fax e se del caso dandone anticipazione telefonica ai recapiti indicati nella richiesta. 2.5.15 La Direzione regionale competente, qualora non condivida il parere negativo, formula, entro due giorni lavorativi, le proprie osservazioni alla Direzione centrale competente. Per la risoluzione della eventuale divergenza, si applicano, in quanto compatibili, i punti da 2.5.5 a 2.5.9. 2.5.16 La Direzione centrale competente pu˜ segnalare i giudizi in Cassazione relativi a una questione controversa caratterizzata da ampia diffusione o comunque di particolare rilevanza per il principio di diritto in contestazione, affinchŽ lĠAvvocatura solleciti alla Cassazione la decisione della causa, facendo presente il significativo effetto deflattivo che conseguirebbe dal tempestivo consolidarsi, sul punto, dellĠorientamento della Cassazione. 2.5.17 LĠAvvocatura, qualora ravvisi che in un giudizio pendente la posizione dellĠAgenzia  in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, procede, dĠaccordo con la Direzione regionale competente, allĠabbandono della lite. In questi casi spetta allĠAvvocatura, senza preventiva comunicazione alla Direzione regionale competente, verificare la possibilitˆ di addivenire ad un preventivo accordo con la controparte sulle spese di giudizio. NellĠimpossibilitˆ di tale accordo, la Direzione regionale competente evidenzia allĠAvvocatura gli eventuali elementi da sottoporre al giudice che possano giustificare la compensazione delle spese. 2.6 Recupero spese di giudizio LĠAvvocatura, in quanto distrattaria ex art. 21 del R.D. n. 1611 del 1933, provvede al diretto recupero nei confronti delle controparti delle spese di giudizio, poste a loro carico per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione. In caso di giudizio conclusosi con esito favorevole per lĠAgenzia ma con disposta compensazione, totale o parziale, delle spese di giudizio, cos“ come in caso di transazione dopo sentenza favorevole, trova applicazione il disposto dellĠart. 21, commi terzo, quarto e quinto del R.D. n. 1611 del 1933, avendo riguardo alla complessitˆ e allĠimpegno processuale della controversia, sulla base delle tariffe professionali applicabili. In ogni caso, ai fini suddetti, lĠAgenzia invierˆ allĠAvvocatura copia autentica della sentenza che conclude il giudizio in sede di rinvio con esito favorevole ad essa. 3. NOTIFICA DEGLI ATTI LĠAvvocatura presta la propria collaborazione allĠAgenzia per le noti ficazioni degli atti diversi da quelli processuali, ove questa non possa provvedervi direttamente. 4. INCONTRI PERIODICI Tra lĠAvvocatura generale e ciascuna Direzione centrale competente  fissato un calendario di incontri periodici, di regola a cadenza quadrimestrale, per lĠesame dellĠevoluzione del contenzioso concernente le pi significative e rilevanti problematiche in discussione, al fine di definire congiuntamente e uniformemente le linee di condotta delle controversie in corso e lĠinteresse alla prosecuzione delle stesse. Negli incontri sono esaminate congiuntamente anche le tematiche di particolare rilevanza generale che possono avere un impatto sulla conduzione e sulla soluzione del contenzioso potenziale o in atto. Analoghi incontri, di regola a cadenza annuale, si svolgono tra le Direzioni regionali competenti dellĠAgenzia e le Avvocature distrettuali. Per ciascuna sede distrettuale lĠAvvocatura indica un proprio avvocato con funzioni di referente. 5. COOPERAZIONE APPLICATIVA Al fine di favorire lĠinteroperabilitˆ e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, lĠAvvocatura e lĠAgenzia sĠimpegnano a proseguire ed intensificare le attivitˆ volte alla realizzazione di servizi attraverso i quali potranno procedere allo scambio in via automatica delle informazioni e dei documenti necessari per lo svolgimento delle rispettive attivitˆ. 6. DISPOSIZIONE FINALE LĠAvvocatura e lĠAgenzia si impegnano a segnalare reciprocamente tutte le difficoltˆ operative eventualmente insorte nella gestione dei rapporti oggetto del presente protocollo, allo scopo di provvedere, nello spirito della pi piena collaborazione, al superamento delle stesse ed eventualmente alla modifica delle modalitˆ di cooperazione. Roma, 10 settembre 2013 DIRETTORE DELLĠAGENZIA AVVOCATO GENERALE Dott. Attilio Befera Avv. Michele Giuseppe Dipace Gestione del contenzioso relativo a strutture commissariali cessate dopo la chiusura dello stato di emergenza. Art. 3 D.L. n. 59/2012(*) (Parere prot. 314924 del 20 luglio 2013, AL 2974/13, avv. GIANNA MARIA DE SOCIO) Oggetto del parere. Con la nota indicata a margine codesto Dipartimento chiede il parere della Scrivente in ordine a varie questioni che nascono dalla applicazione della L. 100/2012 (che ha modificato l'ordinamento della protezione civile) e in specie della disciplina transitoria racchiusa nell'art. 3 del D.L. 59/2012, che ha previsto la cessazione al 31 dicembre 2012 di tutte le gestioni commissariali in corso alla data della sua entrata in vigore. In particolare codesto Dipartimento evidenzia che la normativa sopra menzionata pone il problema di stabilire in capo a quale ente, a seguito della cessazione delle gestioni commissariali, e dunque dopo l'estinzione dell'organo straordinario costituto dal Commissario delegato, si trasferiscano i rapporti giuridici pendenti, e quali ripercussioni abbia tale successione in relazione ai processi in corso. Si evidenziano inoltre le implicazioni di carattere processuale di tale problematica, ponendosi il dubbio se il ritrasferimento alle amministrazioni ordinariamente competenti del munus esercitato dal Commissario delegato, dia luogo ad una ipotesi di successione a titolo universale ovvero a titolo particolare, con la conseguente applicabilitˆ dell'art. 110 o dell'art. 111 c.p.c. Premesso quanto sopra si chiede di valutare quale condotta processuale (*) Il presente parere, reso, secondo la tradizionale prassi dellĠAvvocatura, Òsentito lĠavviso del Comitato ConsultivoÓ, presenta importanti aspetti di rilevanza istituzionale che ne consigliano la pubblicazione in questa sezione della Rassegna. Con lĠoccasione la Direzione formula due osservazioni: La prima  che, al fondo, la vecchia dottrina della Òdelegazione intersoggettivaÓ tra enti e soggetti pubblici, ancorchŽ superata dalla successiva giurisprudenza amministrativa e costituzionale, aveva una sua logica e semplicitˆ. Il valore del parere sta tutto nellĠessere giunto alle stesse condivisibili conclusioni di merito per una via un poĠ pi complicataÉ Il secondo aspetto riguarda la prosecuzione dei processi ai sensi dellĠart. 111 c.p.c. e lĠaffermazione un poĠ drastica che non sussiste una norma che legittimi lĠAvvocatura dello Stato a proseguire il giudizio Òanche nellĠinteresse dellĠente subentratoÓ alla gestione commissariale. La tesi, indubbiamente fondata sul dato testuale normativo (o meglio, sullĠassenza di un dato testuale normativo) sembra non tener conto dellĠunitˆ della Repubblica e della circostanza che il modello organizzativo degli ultimi anni, soprattutto dopo le modifiche costituzionali del Titolo V, tende a muoversi dalle regole del- lĠautonomia amministrativa (il cosiddetto doppio binario) a quelle dellĠautogoverno e della sussidiarietˆ. Il ÒpubblicoÓ resta pubblico ovunque sia allocato (si argomenta anche dal vecchio dpr n. 616/77) ed unĠintesa con lĠente subentrante, che eviti conflitti dĠinteressi ed assicuri continuitˆ nella difesa giudiziale, potrebbe essere utile. GF assumere, anche prudenzialmente, per evitare qualunque tipo di pregiudizio per gli interessi erariali, in particolare ponendo in evidenza che per le numerose sentenze, sfavorevoli ai Commissari, emesse recentemente si pone il problema di valutare se, e nell'interesse di quale soggetto, debba essere proposto l'eventuale gravame. Per rispondere alla suddette questioni si ritiene di dover trattare i seguenti profili: 1. Natura dei poteri emergenziali dello Stato; 2. I poteri emergenziali dello Stato nei confronti degli enti competenti in via ordinaria; 3. La figura del Commissario delegato di protezione civile e rapporti con l'autoritˆ Governativa; 4. La struttura commissariale quale eventuale autonomo centro di imputazione di effetti giuridici; 5. Cessazione delle funzioni del Commissario delegato; 6. Funzioni e procedimento amministrativo: riespansione delle attribuzioni degli enti competenti in via ordinaria; 7. La successione nei rapporti privatistici; 8. La successione nei rapporti processuali; 9. Il patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato; 10. Condotta processuale in ordine alle impugnazioni. 1. Natura dei poteri emergenziali dello Stato. Le attribuzioni e i poteri esercitati dallo Stato in sede emergenziale non sono considerati poteri appartenenti agli enti ordinariamente competenti e in qualche modo ÒtrasferitiÓ allo Stato stesso, ma poteri ÒpropriÓ dello Stato. Tale assunto trova avallo in molteplici decisioni della Corte Costituzionale, che ha affrontato la questione in sede di conflitto di attribuzione Stato-Regioni. La Consulta ha chiarito che con la legge n. 225/1992 il legislatore statale Çha rinunciato ad un modello centralizzato per una organizzazione diffusa a carattere policentricoÈ (sentenze n. 129/2006 e n. 327/2003), chiarendo che in tale prospettiva, le competenze e le relative responsabilitˆ sono state ripartite tra i diversi livelli istituzionali di governo in relazione alle seguenti tipologie di eventi che possono venire in rilievo: -eventi da fronteggiare mediante interventi attuabili dagli enti e dalle amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, comma 1, lettera a); -eventi che impongono l'intervento coordinato di pi enti o amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, comma 1, lettera b); -calamitˆ naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensitˆ o estensione, richiedono mezzi e poteri straordinari (art. 2, comma 1, lettera c). Nella decisione n. 284/2006,  stato poi chiarito che Òlo Stato, sulla base di quanto previsto dall'art. 5 della legge n. 225 del 1992, ha una specifica competenza a disciplinare gli eventi di natura straordinaria di cui al citato art. 2, comma 1, lettera c)Ó. La ratio della disciplina  stata chiarita dalla Corte con il richiamo Òalla necessitˆ di evitare il disordine, l'accavallamento e la dispersione degli interventi che spesso hanno ridotto l'efficacia dell'opera di soccorso, pur quando si sia svolta in modo pronto e generoso. L'esperienza ha insegnato - come rilevava giˆ nel 1965 la commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont che nelle improvvise e gravi emergenze  indispensabile una direzione unitaria, che possa agire immediatamente, in un quadro di chiarezza e di certezza per quanto attiene alle competenze e ai poteriÓ, sicch Òtenuto conto della rilevanza nazionale delle attivitˆ di tutela nel loro complesso, e dell'ampio coinvolgimento in esse dell'Amministrazione statale, i poteri di promozione e coordinamento non possono che essere conferiti al GovernoÓ (Corte cost., n. 418/1992). Richiamando l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del d.lgs. n. 112/1998 e il rilievo nazionale delle funzioni di coordinamento e direzione, la Corte ha infine escluso che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione vigente possa avvenire da parte della legge regionale (sentenza n. 82/2006). Alla luce di quanto esposto, per quanto occorre al fine del presente parere, si pu˜ concludere sul punto che: Le attribuzioni e i poteri esercitati dallo Stato in sede emergenziale non sono poteri appartenenti agli enti ordinariamente competenti e in qualche modoÒtrasferitiÓ allo Stato stesso, ma sono poteri ÒpropriÓ dello Stato. 2. I poteri emergenziali dello Stato nei confronti degli enti competenti in via ordinaria. 2.1-L'esercizio dei poteri emergenziali ÒpropriÓ dello Stato deve avvenire d'intesa con le Regioni interessate, sulla base di quanto disposto dall'art. 107 del D.Lgs. n. 112/1998 (ÒConferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59Ó), nonchŽ dall'art. 5, comma 4-bis, del D.L. n. 343/2001 (ÒDisposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attivitˆ di protezione civile (e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile) convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge n. 401/2001Ó). 2.2-Pronunciandosi in vari casi di conflitto Stato-Regioni sorti in relazione allĠesercizio dei rispettivi poteri in presenza di situazioni emergenziali, la Corte Costituzionale si  espressa in termini di ÒcompressioneÓ delle attribuzioni degli enti competenti in via ordinaria, ovvero di ÒsacrificioÓ delle stesse. In particolare  stato precisato che Òsituazioni di emergenza, specialmente connesse a calamitˆ naturali, che reclamano la massima concentrazione di energie umane e di mezzi materiali, possono anche giustificare, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, interventi statali straordinari suscettibili di arrecare compressioni alla sfera di autonomia regionaleÓ (Corte Cost. n. 39/2003). Correlativamente la potestˆ dei predetti enti locali viene ad essere temporaneamente ÒsacrificataÉ quando sussistono ragioni di urgenza che giustificano l'intervento unitario del legislatore statale - gli eventi di natura straordinaria di cui all'art. 2, comma 1, lettera c), della stessa legge n. 225 del 1992...Ó (Corte Cost., n. 286/2006, che richiama le sentenze n. 327/2003 e n. 127/1995). DĠaltra parte, fino a quando dura lo stato di emergenza, le Regioni neppure possono sospendere lĠefficacia dei provvedimenti di necessitˆ ed urgenza disposti dallo Stato, provvedimenti coperti dalla competenza concorrente dello Stato in materia di protezione civile (Corte Cost. n. 284/2006). La Corte ha peraltro anche chiarito che Çl'"emergenza" non legittima il sacrificio illimitato dell'autonomia regionale, e il richiamo a una finalitˆ di interesse generale "pur di precipuo e stringente rilievo" - non dˆ fondamento, di per sŽ, a misure che vulnerino tale sfera di interessi, garantita a livello costituzionale (sent. n. 307 del 1983, considerato in diritto, n. 3)È, il che comporta che deve Çsussistere un nesso di congruitˆ e proporzione fra le misure adottate e la "qualitˆ e natura degli eventi", secondo quanto precisato dall'art. 5, comma 1; ci˜ che questa Corte ha sottolineato, richiedendo che le misure siano proporzionate alla concreta situazione da fronteggiare (v. ancora le sent. n. 201 del 1987, sent. n. 100 del 1987, e sent. n. 4 del 1977)È (Corte Cost., n. 129/2006). 2.3-Il potere statale in materia emergenziale viene comunemente inquadrato nellĠambito del potere sostitutivo c.d. ordinario dello Stato, che trova il suo fondamento implicito negli artt. 117 e 118 Cost. e si colloca accanto al potere sostitutivo c.d. straordinario del Governo ex art. 120 comma 2 Cost. (Corte Cost. n. 43/2004). Secondo la dottrina si verifica ÒsostituzioneÓ quando, in presenza di determinati presupposti, una figura giuridica soggettiva opera in luogo di un'altra, che  titolare di una situazione giuridica di diritto o di obbligo ma che non ha ancora operato per produrre gli effetti connessi a quella situazione, compiendo lĠattivitˆ giuridica necessaria e producendo effetti che ricadono in via diretta o indiretta nella sfera della figura titolare. Con riferimento alle ordinanze emesse dallo Stato in sede emergenziale, la peculiaritˆ del potere sostitutivo  dato dal fatto che il potere di ordinanza non richiede necessariamente un inadempimento o un inesatto adempimento da parte degli enti ordinariamente competenti, ma presuppone invece il verificarsi di una situazione di emergenza che richieda una direzione unitaria e coordinata. 2.4-La giurisprudenza amministrativa conosce ed applica i principi sopra esposti. Si trovano infatti precedenti secondo cui gli atti posti in essere dal Commissario delegato nell'ambito delle funzioni amministrative esercitate in via emergenziale, sono suscettibili di incidere direttamente nella sfera dell'ente locale proprio in forza dei poteri ÒsostitutiviÓ derivanti dalla dichiarazione di emergenza. In una controversia in cui la Regione Calabria rivendicava la propria estraneitˆ agli atti (di gestione di una gara e relativo atto dĠobbligo) emanati dal Commissario, il Consiglio di Stato ha precisato che Òla controversia si inserisce nell'ambito della normativa emergenziale e dei poteri sostitutivi del commissario delegato all'emergenza rifiuti con imputazione dei relativi effetti nella sfera giuridica dell'ente sostituito, sicch non ha alcun pregio rivendicare una posizione di terzietˆ rispetto all'attivitˆ del Commissario Delegato. Il Commissario delegato all'emergenza rifiuti  soggetto investito di pubbliche funzioni, temporalmente investito di una serie di poteri pubblicistici al fine di concentrare le funzioni ripartite in via ordinaria tra pi Uffici per risolvere attraverso detta concentrazione e unicitˆ della funzione con rapiditˆ le questioni legate ad uno stato di emergenza ... Inquadrata la controversia nell'ambito della normativa emergenziale e dei poteri sostitutivi del Commissario delegato,  necessitata l'imputazione all'ente sostituito degli effetti dell'attivitˆ svolta dal Commissario delegatoÓ (C.d.S. sentenza n. 5412/2012). Alla luce di quanto esposto, sul punto si pu˜ concludere che: Le attribuzioni e i poteri esercitati dallo Stato in sede emergenziale operano invia sostitutiva degli enti competenti in via ordinaria, le cui attribuzioni sono dunque ÒcompresseÓ temporaneamente nei limiti di un doveroso nesso di congruitˆ e proporzione: agli enti sostituiti sono comunque necessariamente imputati gli effetti dellĠattivitˆ e degli atti posti in essere dallo Stato e dai suoi organi preposti alla gestione dellĠemergenza. 3. Il Commissario delegato di protezione civile. Rapporto con l'autoritˆ delegante. 3.1-L'art. 5, comma 4, della L. 225/1992 prevede che gli organi centrali possano avvalersi di commissari delegati. La nomina dei commissari delegati  consentita nelle ipotesi indicate dal- l'art. 2, lett. c), cio quando si verifichino eventi calamitosi che, per intensitˆ ed estensione, devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari. In tali casi  lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri che, oltre a deliberare lo stato di emergenza (art. 5, comma 1), direttamente o a mezzo di un suo delegato, pu˜ a sua volta emanare ordinanze dirette ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose. Al proposito la Corte Costituzionale ha precisato che Ònel ricorrere di cos“ gravi emergenze, quando l'ambiente, i beni e la stessa vita delle popolazioni sono in pericolo e si richiede un'attivitˆ di soccorso straordinaria ed urgente, risulta giustificato che si adottino misure eccezionali, quale pu˜ essere la nomina di commissari delegati (per i quali peraltro la norma impugnata prevede che vengano determinati col provvedimento di delega contenuto, tempi e modalitˆ di esercizio dell'incarico)Ó (Corte Cost., n. 418/1992). I Commissari sono nominati con ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri o suo delegato. 3.2-La prassi, com' noto, sovente ha visto cadere la scelta per la nomina dei Commissari sugli organi esponenziali degli enti locali competenti in via ordinaria (ad esempio il Presidente della Regione, ovvero il sindaco del Comune interessato agli eventi emergenziali). I tratti comuni delle gestioni commissariali, come regolamentate dalle varie ordinanze emesse ai sensi dellĠart. 5 L. 225/1992, sono riconducibili ai seguenti: - i commissari (come si  detto, spesso organi esponenziali di enti locali competenti in via ordinaria, ad esempio il Presidente della Regione, ovvero il sindaco del Comune interessato agli eventi emergenziali), sono per lo pi abilitati ad avvalersi di personale proprio dell'ente in cui  incardinato il Commissario delegato (es. personale del Comune), ma anche a conferire incarichi a personale esterno; sicch in alcuni casi si  creata una vera e propria Òstruttura commissarialeÓ; -per quanto riguarda gli oneri di funzionamento della struttura,  spesso previsto che quelli relativi al personale interno ricadano (per lo pi) nel bilancio dell'ente di appartenenza, ivi compreso quanto riguarda il lavoro straordinario, mentre quelli relativi al personale esterno siano a carico del bilancio dello Stato (nelle ultime ordinanze sono stati previsti limiti di impegno per lĠerario statale); - per quanto gli oneri derivanti dalla esecuzione degli interventi di emergenza, essi sono coperti con risorse statali trasferite al Commissario delegato per lo pi prelevate dallo stato di previsione della Presidenza del Consiglio ovvero del Ministero dellĠEconomia e Finanze; -nelle ultime ordinanze si  precisato che il Dipartimento della Protezione civile rimane estraneo ai rapporti comunque nascenti in dipendenza del compimento delle attivitˆ del Commissario delegato. 3.3-In tale contesto si  posto il problema di definire il rapporto tra Stato e organo esponenziale di enti locali nominato quale Commissario delegato. In sede di prima interpretazione della norma, si  ritenuto di poter inquadrare la fattispecie nella figura della delega intersoggettiva, ossia l'istituto in base al quale il soggetto delegante, derogando al principio costituzionale del- lĠimmodificabilitˆ dellĠordine delle competenze (art. 97 Cost.), attribuisce al delegato lĠesercizio di una funzione propria del delegante (Giampaolino, Costa)(1). Tale impostazione ha trovato iniziale sguito nella giurisprudenza ammi (1) Tale soluzione sembrava avallata dalla circostanza che nel progetto di legge definitivo era stato soppresso il riferimento allĠart. 11 della legge n. 400/1988 (che disciplina i Çcommissari straordinari del GovernoÈ) nistrativa soprattutto meno recente (in particolare si ricorda la sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV, n. 52/1999, secondo cui Òper le situazioni di emergenza,  comunque certo che la l. 24 febbraio 1992, n. 225 É considera tale figura É come soggetto delegato, nei cui confronti si opera un trasferimento di poteri gestionali. Nella specie, infatti, si versa in materia di delegaÓ; negli stessi termini anche alcune coeve decisioni di TAR (2)). Detto inquadramento non  stato per˜ confermato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha ormai definitivamente escluso l'inquadrabilitˆ della figura del Commissario di protezione civile nell'istituto della delega intersoggettiva. La Corte ha infatti avuto modo di chiarire che Òi provvedimenti posti in essere dai commissari delegati sono atti dellĠamministrazione centrale dello Stato (in quanto emessi da organi che operano come longa manus del Governo) finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunitˆ locali coinvolte dalle singole situazioni di emergenza, e ci˜ in ragione tanto della rilevanza delle stesse, quanto della straordinarietˆ dei poteri necessari per farvi fronteÓ (Corte Cost. n. 237/2007, v. anche negli stessi termini Corte Cost. ord. n. 92/2008). In definitiva deve ritenersi che la figura del Commissario delegato ai sensi della L. 225/1992 opera su un piano di immedesimazione organica nell'amministrazione centrale. Proprio sulla base della natura ÒgovernativaÓ degli atti posti in essere dal Commissario, la Consulta ha ritenuto giustificata anche la competenza esclusiva del T.A.R. del Lazio su tutte le situazioni di emergenza e sui relativi provvedimenti commissariali (3). Infatti la legittimitˆ costituzionale della norma che prevede la predetta (2) Secondo il T.A.R. Lombardia, ad esempio, Çil Presidente della Regione [Commissario delegato -N.d.A.], pur avendo agito per delega del Presidente del Consiglio, non per questo pu˜ essere considerato organo governativo. Ci˜ considerato  sufficiente richiamare il principio secondo cui la rappresentanza in giudizio dellĠAvvocatura dello Stato va riferita alle sole amministrazioni statali in senso proprio, ossia agli organi dello Stato-apparato da cui promanano gli atti sottoposti al giudizioÈ (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 27 gennaio 1998, n. 96). Nello stesso senso il T.A.R. Calabria ha affermato che Çla delega conferita al Presidente della Regione Calabria per la predisposizione di un piano di interventi di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilabili, integra unĠipotesi di delega intersoggettiva, comportante spostamento di competenze tra soggetti diversi, ossia tra vari centri di competenze entificati (nella specie: Ministro del- lĠinterno, Presidente della Giunta regionale; Stato, Ente Regione), con la conseguenza che gli effetti dei provvedimenti adottati per delega vanno imputati al delegato il quale opera, pur sempre, nellĠambito di una propria sfera di autonomia amministrativa ...È (T.A.R. Calabria, Catanzaro, 17 maggio 1999, n. 701). (3) La competenza esclusiva del TAR Lazio  ora prevista dal combinato disposto degli artt. 135 e 133 lett. p) del D.lgs. 104/2010, con riferimento alle Òcontroversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5 co. 1 della Legge 24 febbraio 1992 n. 225 e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti ...Ó. competenza del T.A.R. Lazio  stata confermata proprio in ragione del fatto che i provvedimenti posti in essere dai commissari delegati Òsono atti del- lĠamministrazione centrale dello StatoÓ (Corte Cost. ord. n. 92/2008). Secondo una parte della dottrina la posizione del Commissario delegato potrebbe essere inquadrata nell'ambito del c.d. avvalimento, figura organizzativa secondo la quale unĠamministrazione pubblica, anzichŽ dotarsi di propri Uffici, si avvale degli uffici (del personale e delle attrezzature) di una diversa figura soggettiva per lo svolgimento dei suoi poteri e delle sue funzioni. Detto modello organizzativo (attualmente codificato dall'art. 3 comma 1 lett. f) della L. 59/1997 - c.d. legge Bassanini - che prevede la regolamentazione delle Òmodalitˆ e delle condizioni con le quali l'Amministrazione dello Stato, pu˜ avvalersi per la cura di interessi nazionali di uffici regionali e locali...Ó), mira ad evitare l'inutile proliferazione di strutture ed assetti organizzativi favorendo l'utilizzazione di quelle esistenti. Il conseguente modello organizzatorio viene definito in dottrina amministrazione indiretta ovvero impropria (in particolare si parla di amministrazione indiretta per alludere agli organi amministrativi e agli atti amministrativi di competenza statale ma posti in essere da soggetti diversi dallo Stato). In ogni caso, a prescindere dalla correttezza dell'inquadramento nella formula organizzatoria dell'avvalimento ovvero in altro modello di amministrazione c.d. indiretta, ci˜ che rileva - ai fini del presente parere -  di affermare che il Commissario non possa essere configurato quale destinatario di una delega intersoggettiva. Ci˜ infatti consente di giungere ad una conclusione certa in ordine alla inapplicabilitˆ dei principi relativi a tale istituto (ivi compreso quello secondo cui, nella delega intersoggettiva, l'ente delegato agisce in nome proprio e sono ad esso imputabili gli effetti giuridici e le responsabilitˆ connessi alla sua attivitˆ (4)), imponendo di applicare invece i principi propri dell'esercizio indiretto di funzioni centrali dello Stato. In definitiva gli atti del Commissario delegato sono Òatti dellĠAmministrazione centrale dello StatoÓ che producono i loro effetti direttamente nella sfera dellĠente competente in via ordinaria in virt del potere sostitutivo connesso alla situazione emergenziale (v. sopra par. 2). Per quanto occorre ai fini del presente parere, sul punto si pu˜ concludere che: (4) Secondo pacifica giurisprudenza della Cassazione, comĠ noto, Òla delega (cd. intersoggettiva) comporta che l'ente delegato agisce, nei rapporti esterni ... in nome proprio e non come rappresentante del delegante; per cui sono ad esso imputabili gli effetti giuridici e le responsabilitˆ connessi alla sua attivitˆ, senza che, in contrario, abbiano rilievo le ripercussioni dell'attivitˆ stessa nei rapporti interni tra ente delegante ed ente delegato ...Ó (Cass. civ. Sez. I, n. 17199/2012 che richiama Cass. 16470/2009; 12345/1992). Il Commissario straordinario di cui all'art. 5 co. 4 L. 225/1992 (ancorchper tale carica possa essere nominato l'organo esponenziale di un ente competente in via ordinaria) non va considerato quale destinatario di una delega intersoggettiva di funzioni, ma quale organo del Governo (Òlonga manusÓ del Governo stesso) del quale esercita le funzioni emergenziali ad esso proprie, sicch i provvedimenti posti in essere dai commissari delegati Òsono atti dellĠamministrazione centrale dello StatoÓ. 4. La struttura commissariale quale eventuale autonomo centro di imputazione di effetti giuridici. Una volta chiarito che il Commissario delegato di protezione civile  longa manus del Governo, e che gli atti del Commissario sono Òatti dellĠAmministrazione centrale dello StatoÓ (ancorch produttivi di effetti nella sfera dellĠente sostituito), per ci˜ che concerne il presente parere si pone il successivo problema di chiarire se l'attivitˆ compiuta debba essere imputata alla medesima struttura commissariale, in virt della autonomia di cui gode, o debba essere imputata allo Stato. In proposito si rinvengono vari precedenti della giurisprudenza amministrativa (soprattutto dei TAR ma anche del Consiglio di Stato) in base ai quali sembra potersi escludere che il Commissario operi quale autonomo centro di imputazione di interessi, affermandosi per converso - in modo pi o meno esplicito - la diretta imputazione allo Stato dell'attivitˆ svolta dal Commissario. Il Consiglio di Stato, rigettando la domanda della Presidenza del Consiglio dei Ministri relativa alla propria estromissione da una causa concernente una gara indetta dal Commissario per l'emergenza rifiuti in Sicilia, ha affermato che Òl'Ufficio del Commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Sicilia  un ufficio che, sebbene autonomo, fa capo appunto alla Presidenza del Consiglio dei ministri, per cui  evidente che gli atti assunti da tale organo sono riferibili alla stessa Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha nei confronti del Commissario delegato suddetto un carattere di supervisione e di indirizzoÓ (C.d.S. Sez. IV n. 2576/2004). Anche la giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi si  conformata a tale indirizzo. Significativa sul punto appare la recente decisione del T.A.R. Lazio di cui di seguito si riporta stralcio: Òil Commissario delegato, benchŽ come sopra costituito nellĠambito del Comune interessato dallĠiniziativa, ha veste di organo straordinario, di cui il competente apparato statale, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della protezione civile, si avvale per lo svolgimento dei compiti di cui alla legge 24 febbraio 1992, n. 225 in materia di protezione civile. Ne consegue che il Sindaco del Comune di Messina, nella qualitˆ di Commissario delegato, e nellĠassunzione degli atti connessi alla funzione, fa capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che, per lĠeffetto, non pu˜ ritenersi estranea alla materia dellĠodierno contendere. E nulla muta considerando che il Commissario delegato  dotato, rispetto al delegante, di indubbia autonomia amministrativa: essa, invero, unitamente alla possibilitˆ di essere destinatario, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, di poteri derogatori ad ogni disposizione vigente (art. 5, comma 2, l. 225/92),  finalizzata strettamente ed esclusivamente al raggiungimento degli obiettivi assegnatigli per il superamento dello stato emergenziale alle condizioni e nei termini, anche temporali, previsti ai sensi dellĠart. 5, commi 1 e 2, della l. 225/92. Gli atti assunti nellĠesercizio delle funzioni delegate sono, pertanto, riferibili alla stessa Presidenza del Consiglio dei ministri, autoritˆ che esercita nei confronti del Commissario delegato attivitˆ di supervisione e di indirizzo (in termini, tra altre, Tar Lazio, I, 9 agosto 2010, n. 30424; C. Stato, sez. IV, 28 aprile 2004 , n. 2576)Ó (T.A.R. Lazio n. 8598/2012). In termini pressoch analoghi, T.A.R. Lazio Sez. I, Sent., n. 1398/2012, T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., n. 1241/2009, T.A.R. Lazio Sez. I, n. 4467/2008 (5). Sul punto si  anche espressa la scrivente nel parere 12 gennaio 2009 prot. 8937 P Cs. 41713/08 di cui alla successiva nota 7. Quindi, per quanto occorre ai fini del presente parere, sul punto si pu˜ concludere che: Il Commissario straordinario di cui all'art. 5 co. 4 L. 225/1992, ancorchdotato di indubbia autonomia amministrativa, non va considerato quale autonomo centro di imputazione degli effetti giuridici dell'attivitˆ svolta quale delegato del Governo; gli atti assunti nellĠesercizio delle funzioni delegatesono infatti sempre riferibili alla stessa Presidenza del Consiglio che esercitaÒattivitˆ di supervisione e di indirizzoÓ. 5. La cessazione delle funzioni del Commissario delegato. ComĠ noto, la cessazione dello stato di emergenza e delle gestioni commissariali  stata ridisciplinata per effetto delle modifiche introdotte nell'art. 5 L. 225/1992 dal citato D.L. n. 59/2012. Per quanto interessa ai fini del presente parere giova ricordare che: A regime con la modifica normativa introdotta nellĠart. 5 L. 225/1992  stato previsto, tra lĠaltro, che ÒLa durata della dichiarazione dello stato di (5) La sentenza da ultimo citata appare significativa in quanto si trova ivi affermato che Òla competenza funzionaleÓ del TAR Lazio, giustificata proprio dal fatto che i provvedimenti commissariali sono atti dell'amministrazione centrale dello Stato, Òsi estende, nel caso oggi in rilievo, anche alla delibera adottata dalla Giunta regionale pugliese dopo "il rientro nell'ordinarietˆ" ... in quanto... essa rappresenta non giˆ una determinazione autonoma bens“ una sorta di appendice della fase emergenziale, in quanto adottata in dichiarata esecuzione delle precedenti statuizioni del Commissario delegatoÓ (T.A.R. Lazio Sez. I, n. 4467/2008). emergenza non pu˜, di regola, superare i novanta giorniÓ, prorogabile ovvero rinnovabile, di regola, per non pi di sessanta giorni (comma 1-bis), e che ÒLe funzioni del Commissario delegato cessano con la scadenza dello stato di emergenzaÓ (comma 4). I commi successivi regolano il subentro dellĠAmministrazione pubblica competente in via ordinaria (comma 4 ter) e lĠeventuale intestazione delle contabilitˆ speciali alla stessa Amministrazione, la quale  tenuta a coordinare gli interventi per un periodo di tempo determinato ai fini del loro completamento (comma 4 quater). In particolare: -comma 4 ter: ÒAlmeno dieci giorni prima della scadenza del termine di cui al comma 1-bis, il Capo del Dipartimento della protezione civile emana, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, apposita ordinanza volta a favorire e regolare il subentro dell'amministrazione pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli interventi, conseguenti all'evento, che si rendono necessari successivamente alla scadenza del termine di durata dello stato di emergenzaÓ. -comma 4 quater: ÒCon l'ordinanza di cui al comma 4-ter pu˜ essere individuato, nell'ambito dell'amministrazione pubblica competente a coordinare gli interventi, il soggetto cui viene intestata la contabilitˆ speciale appositamente aperta per l'emergenza in questione, per la prosecuzione della gestione operativa della stessa, per un periodo di tempo determinato ai fini del completamento degli interventi previsti dalle ordinanze adottate ai sensi dei commi 2 e 4-ter. Per gli ulteriori interventi da realizzare secondo le ordinarie procedure di spesa con le disponibilitˆ che residuano alla chiusura della contabilitˆ speciale, le risorse ivi giacenti sono trasferite alla regione o all'ente locale ordinariamente competente ovvero, ove si tratti di altra amministrazione, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazioneÓ. In via transitoria l'art. 3 del D.L. n. 59/2012 (Disposizioni transitorie e finali), ha invece disposto, al comma 2, la cessazione delle gestioni commissariali in corso, prevedendo che: ÒLe gestioni commissariali che operano, ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non sono suscettibili di proroga o rinnovo, se non una sola volta e comunque non oltre il 31 dicembre 2012; per la prosecuzione dei relativi interventi trova applicazione l'articolo 5, commi 4-ter e 4-quater, della predetta legge n. 225 del 1992, sentite le amministrazioni locali interessateÓ. Per completezza occorre altres“ soggiungere che per effetto del recente D.L. n. 1/2013 (Disposizioni urgenti per il superamento di situazioni di criticitˆ nella gestione dei rifiuti e di taluni fenomeni di inquinamento ambientale) convertito, con modificazioni, dall'art. 1 L. n. 11/2013, alcune specifiche gestioni commissariali sono state prorogate fino al 31 dicembre 2013. Quindi, per quanto occorre ai fini del presente parere, sul punto si pu˜ concludere che: La cessazione dello stato di emergenza comporta la cessazione delle funzionidei Commissari delegati e il ÒsubentroÓ degli enti ordinariamente competentinella posizione dei Commissari cessati. 6. Funzioni amministrative e procedimenti in corso: ÒriespansioneÓ delle attribuzioni degli enti competenti in via ordinaria. Come si  visto al par. 2, lo stato emergenziale comporta la necessitˆ di attribuire allo Stato la direzione unitaria degli interventi necessari nell'interesse della comunitˆ colpita dall'evento calamitoso; ci˜ comporta la ÒcompressioneÓ e il ÒsacrificioÓ temporaneo delle attribuzioni degli enti competenti in via ordinaria. Correlativamente, dunque, la cessazione dell'emergenza comporta la ÒriespansioneÓ dei poteri degli enti competenti in via ordinaria e, conseguentemente, la loro successione nei procedimenti in corso. Dal momento in cui  cessata lĠemergenza le funzioni amministrative non possano pi essere esercitate dai Commissari (infatti in base all'art. 5 co. 4 L. 225/1992 Òle funzioni del Commissario delegato cessano con la scadenza dello stato di emergenzaÓ), ma dovranno essere esercitate dagli enti competenti in via ordinaria, ai quali spetterˆ di avviare i nuovi procedimenti nel rispetto delle proprie competenze e dei principi legislativi ordinari. A tal proposito si ritiene utile puntualizzare quanto segue: a) la ÒsuccessioneÓ nelle funzioni amministrative in favore degli enti competenti in via ordinaria si verifica non giˆ in quanto vi sia un ÒritrasferimentoÓ di funzioni dallĠorgano emergenziale statale ai predetti enti, ma in quanto la cessazione dello stato di emergenza fa ÒriespandereÓ le competenze e potestˆ ordinarie dellĠente locale, in precedenza ÒsacrificateÓ in sede di emergenza; b) allĠamministrazione competente in via ordinaria dovrebbe, dunque, spettare sia l'avvio di nuovi procedimenti amministrativi e sia la prosecuzione dell'iter amministrativo dei procedimenti pendenti; c) a tali compiti pu˜ essere deputato anche un soggetto (competente in via ordinaria) con funzione di coordinamento (ci˜ si deduce dagli artt. 5 comma 4 ter e 4 quater della L. 225/1992 che fa riferimento ad un'amministrazione, competente in via ordinaria, Òper coordinare gli interventiÓ necessari successivamente alla scadenza dello stato di emergenza). Tanto si giustifica in quanto il ritorno alla normalitˆ fa venire meno la necessitˆ dell'intervento sostitutivo statale, ma non la necessitˆ del coordinamento; d) eventuali atti della P.C.M. (e, tanto pi, del Commissario ormai cessato) dopo la chiusura dello stato di emergenza, rischierebbero di essere dichiarati nulli perch emessi in carenza (in astratto) di potere. NŽ, a parere della Scrivente, potrebbe operare nel caso in esame l'istituto della prorogatio (di cui al D.L. 293/1994, conv. in L. 444/1994), da ritenere inapplicabile ad organi (come il Commissario delegato) che solo per un periodo di tempo determinato sono attributari di poteri sostitutivi straordinari, tanto pi in un contesto normativo (come quello previsto dall'art. 5 co. 4 ter L. 225/1992) che prevede Òil subentro dell'amministrazione pubblica competente in via ordinaria ...Ó sicch sul piano astratto non si configura alcuna discontinuitˆ nell'azione amministrativa (6); e) gli effetti dell'attivitˆ fino a quel momento svolta dal Commissario si sono prodotti comunque direttamente nella sfera dell'ente locale, ci˜ in forza dei poteri sostitutivi esercitati (a mezzo del Commissario delegato) in via emergenziale dallo Stato (v. par. 2.4). Pertanto, salvo lĠeventuale esercizio della potestˆ di autotutela da parte del- l'ente locale tornato competente, questi non potrˆ dichiararsi estraneo al procedimento giˆ avviato dal Commissario (C.d.S. n. 5412/2012, richiamata al par. 2.4). Quindi, per quanto occorre ai fini del presente parere, si pu˜ concludere sul punto che: La cessazione dell'emergenza comporta la ÒriespansioneÓ dei poteri degli enti competenti in via ordinaria, ai quali spetterˆ di avviare i nuovi procedimenti nel rispetto delle proprie competenze e dei principi ordinari; -per quanto concerne i procedimenti pendenti, la cessazione dellĠemergenza determina la ÒsuccessioneÓ, nella fase in corso, degli enti ordinariamentecompetenti; - eventuali atti della P.C.M. (e, tanto pi, del Commissario ormai cessato e non procrastinabile neppure in via di prorogatio) dopo la chiusura dellostato di emergenza, rischierebbero di essere dichiarati nulli perch emessiin carenza (in astratto) di potere- difetto di attribuzione ex art. 21-septies l. n. 241/1990. - gli effetti dell'attivitˆ fino a quel momento svolta dal Commissario si sonoprodotti comunque direttamente nella sfera dell'ente locale, che - salvo lĠeventuale esercizio della potestˆ di autotutela - non potrˆ dichiararsi estraneo al procedimento giˆ avviato dal Commissario. 7. La successione degli enti competenti in via ordinaria nei rapporti privatistici. 7.1 LĠattivitˆ privatistica posta in essere dal Commissario delegato. I Commissari delegati, in stretta connessione con l'esercizio del munus pubblico derivante dall'emergenza, hanno posto in essere una serie di rapporti di natura privatistica caratterizzati da elementi comuni: (6) In tal senso risulta si sia espresso anche codesto Dipartimento (es. nota 14 gennaio 2013 prot. CG/0001800 diretta al Commissario Delegato ex ord. 3983/2011 Calabria). -tutti appaiono connessi alle pubbliche funzioni esercitate in via temporanea e straordinaria dai Commissari; -tutti sono funzionali ad una determinata necessitˆ emergenziale, sicch si pu˜ dire che siano caratterizzati da una causa comune rappresentata dalla necessitˆ di gestione di una certa emergenza, la quale si pone come elemento teleologico e finalistico dei rapporti contrattuali instaurati dal Commissario delegato; -tutti sono accomunati dallĠessere riferiti ad una situazione riguardante una parte del territorio nazionale. In un certo senso si pu˜ dunque dire, in via di larga approssimazione, che in relazione ad ogni gestione commissariale si crea un Òfascio di rapporti giuridiciÓ, rispetto ai quali lĠemergenza costituisce titolo di legittimazione e causa accomunante, delimitata territorialmente. La questione che si pone  se, con la cessazione dei poteri commissariali, si realizzi o meno una sorta di successione in universum jus, con conseguente subingresso dellĠente competente in via ordinaria in tutte le posizioni (attive e passive) facenti capo al Commissario ormai cessato. Applicando le categorie giuridiche tradizionali la risposta potrebbe essere negativa in quanto la cessazione del Commissario non pu˜ essere assimilata alla estinzione e/o soppressione di un autonomo soggetto giuridico, trattandosi non di un autonomo centro di imputazione di interessi, ma di organo (straordinario) della Presidenza del Consiglio (v . sopra par. 4) (7). Tuttavia tale conclusione non appare appagante alla luce della evoluzione della normativa in materia di protezione civile e dei pi recenti approfondimenti in tema di successione tra soggetti pubblici. 7.2 LĠattuale modello organizzativo della protezione civile. Per effetto delle modifiche introdotte nell'art. 5 L. 225/1992 dalla novella del 2012, lo Òstato emergenzialeÓ, con il conseguente avvicendamento di competenze tra enti locali e Stato, viene configurato come un fenomeno in cui la ÒsostituzioneÓ statale  destinata ad essere circoscritta ad un tempo rigorosamente determinato dal legislatore. Infatti, come si  visto al par. 5, con la modifica normativa introdotta nellĠart. 5 L. 225/1992  stato previsto, tra lĠaltro, che ÒLa durata della dichiarazione dello stato di emergenza non pu˜, di regola, superare i novanta giorniÓ, prorogabile ovvero rinnovabile, di regola, per non pi di sessanta giorni (comma 1-bis), e che ÒLe funzioni del Commissario delegato cessano (7) In tale senso si  espressa in passato anche la Scrivente affermando la responsabilitˆ della Presidenza del Consiglio con riferimento i danni conseguenti alle attivitˆ compiute dal Commissario delegato (v. parere 12 gennaio 2009 prot. 8937P Cs. 41713/08 ove si  affermato che ÒlĠestraneitˆ formaleÓ della P.C.M. ai rapporti posti in essere dal Commissario Ònon potrebbe comportare una esclusione di responsabilitˆ patrimoniale della stessa P.C.M. per i debiti nascenti dal proprio organo straordinario (il che, tra lĠaltro risulta di tutta evidenza allorch lĠorgano straordinario sia cessato)Ó). con la scadenza dello stato di emergenzaÓ (comma 4). Attraverso la fissazione ÒpresuntivaÓ della fine dellĠemergenza (operata mediante la determinazione rigida della sua durata), con la quale si  inteso anche contrastare il diffuso fenomeno delle gestioni commissariali perpetuate Òsine dieÓ, il legislatore ha inteso ribadire con fermezza la temporaneitˆ dello stato emergenziale e, di conseguenza, della funzione ÒsostitutivaÓ statale rispetto alle competenze ordinarie (8). Analoga ratio appare sottesa anche alla norma transitoria di cui all'art. 3 del D.L. 59/2012 che, con riferimento alle gestioni commissariali in corso, ha stabilito la cessazione dellĠemergenza al 31 dicembre 2012. Questa precisa delimitazione temporale dellĠemergenza, disposta per la prima volta con la novella del 2012 e diversamente dal passato, non  senza peso nella connotazione del ruolo dello Stato (e del Commissario che  sua Òlonga manusÓ). In effetti la gestione commissariale - ormai circoscritta in termini di rigorosa temporaneitˆ - si connota come una ÒparentesiÓ di breve durata (complessivamente non superiore a 5 mesi) nellĠesercizio delle funzioni da parte dei soggetti ordinariamente competenti. In definitiva le richiamate disposizioni normative delineano un vero e proprio modello organizzativo a fasi multiple, in cui  fisiologico che gli interventi necessari a far fronte all'emergenza vengano solo ÒavviatiÓ dal commissario in via straordinaria e, senza soluzione di continuitˆ, ÒproseguitiÓ dagli enti ordinariamente competenti (9). Il ÒsubingressoÓ degli enti ordinariamente competenti appare dunque come un effetto connaturale alla particolare modalitˆ organizzativa prevista dal legislatore in presenza di situazioni emergenziali. D'altra parte il subingresso degli enti ordinariamente competenti viene supportato con il trasferimento in loro favore delle risorse finanziarie necessarie per il completamento degli interventi identificati nellĠordinanza di rientro e degli altri interventi conseguenti allĠevento calamitoso. La definizione di tale modello organizzativo si ritrova nel tenore letterale dell'art. 5 L. 225/1992 (come mod. dal citato D.L. n. 59/2012); detta norma infatti: -espressamente qualifica in termini di ÒsubentroÓ lĠavvicendamento tra (8) Al proposito si sottolinea che, nel disposto normativo, il subentro degli enti ordinariamente competenti appare collegato direttamente alla scadenza dell'emergenza, a prescindere dall'ordinanza Òdi rientroÓ di cui al comma 4 ter dell'art. 5 L. 225/1992; questa ordinanza, infatti, secondo il disposto della norma ha solo la funzione di Òfavorire e regolareÓ il subentro, che appare un effetto prodotto direttamente dalla cessazione dello stato di emergenza. (9) La Corte Costituzionale ha chiarito che con la legge n. 225/1992 il legislatore statale Çha rinunciato ad un modello centralizzato per una organizzazione diffusa a carattere policentricoÈ (sentenze n. 129/2006 e n. 327/2003), v. sul punto par. 1 del presente parere. Commissario e amministrazione pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli interventi (co. 4 ter); -prevede il correlativo trasferimento delle risorse finanziarie, stabilendo che la contabilitˆ speciale aperta per l'emergenza: -in prima battuta, e Òper un periodo di tempo determinatoÓ, possa essere intestata ad un soggetto dellĠAmministrazione competente in via ordinaria a coordinare gli interventi Òai fini del completamento degli interventi previsti dalle ordinanzeÓ di rientro; -poi, che la contabilitˆ speciale venga chiusa e che le Òdisponibilitˆ che residuano alla chiusuraÓ vengano trasferite Òalla regione o all'ente locale ordinariamente competenteÓ (ovvero, ove si tratti di altra amministrazione, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione) Òper gli ulteriori interventi da realizzare secondo le ordinarie procedure di spesaÓ. Tali disposizioni autorizzano a ritenere che per effetto della riespansione delle potestˆ ordinarie si attua una sorta di ÒreinvestituraÓ degli enti ordinariamente competenti nella stessa posizione giˆ facente capo al commissario (ora cessato). Tale ÒreinvestituraÓ (giˆ esaminata con riferimento ai poteri amministrativi che si sono ÒriespansiÓ al termine dellĠemergenza, v. sopra par. 6) non pu˜ non avvenire anche con riferimento al complesso dellĠattivitˆ ÒprivatisticaÓ avviata dal Commissario, naturalmente nella misura in cui tale attivitˆ sia connessa e strumentale allĠesercizio delle pubbliche funzioni ormai tornate nelle competenze ordinarie. Alla riespansione dei poteri ordinari si accompagna la cessazione dei poteri straordinari esercitati dal Commissario (cessazione che appare effetto, e non causa, della riespansione dei poteri ordinari). Il punto essenziale  che, cessando i poteri straordinari del suo organo, lo Stato risulta ormai ÒspogliatoÓ non solo delle funzioni amministrative, ma anche della facoltˆ di gestire i rapporti privatistici sorti per effetto dellĠesercizio di tali poteri. Diversamente ritenendo, infatti, la gestione dei rapporti di natura privatistica verrebbe ad essere svincolata dallĠesercizio della pubblica funzione e ci˜ appare irragionevole in quanto lĠasservimento alla pubblica funzione costituisce proprio lĠelemento teleologico dei rapporti ÒprivatisticiÓ instaurati dal Commissario. In base a tali premesse si arriva alla conclusione che, con la cessazione dell'emergenza, si deve ritenere realizzata una sorta di successione dellĠente ÒordinarioÓ in universum jus della gestione commissariale cessata, con conseguente subingresso del successore in tutte le posizioni (attive e passive) facenti capo al Commissario ormai cessato. 7.3 é ammissibile una successione in universum jus senza estinzione? Occorre valutare se osti a tale conclusione il fatto che la cessazione del Commissario delegato non possa essere qualificata tecnicamente come estinzione in quanto riguarda solo un organo (straordinario) della Presidenza del Consiglio (v . sopra par. 4) e questa non si estingue. Al proposito si deve far presente che la dottrina, studiando i fenomeni di successione tra enti pubblici, giˆ da tempo ha sganciato la nozione di successione ÒuniversaleÓ da quella dellĠestinzione dellĠente ÒpredecessoreÓ (legata ad una concezione antropomorfa degli enti giuridici) (10). Il fondamento caratterizzante della successione universale  stato ravvisato, piuttosto, nella circostanza che il nuovo ente, oltre a subentrare in diritti e rapporti, abbia lĠattitudine a svolgere la ÒstessaÓ attivitˆ dellĠente estinto continuandola giuridicamente (M. Nigro). Con ragionamento affine altra autorevole dottrina (Giannini) ha rilevato che il dato tipico della successione universale consiste nella Òsopravvivenza dello scopoÓ: se il munus dellĠente a quo viene espunto dallĠordinamento, quella che segue sarˆ una mera attivitˆ liquidatoria (quindi la successione non potrˆ che essere a titolo particolare), mentre se il munus permane (attraverso la sua trasmissione ad un diverso soggetto), la successione di altro soggetto pubblico sarˆ a titolo universale, ove ricorrano altri indici rivelatori di tale tipo di successione (es. trapasso, sia pure parziale, delle strutture organizzative; passaggio delle situazioni patrimoniali ecc.). La giurisprudenza della Suprema Corte, pur rimanendo per lo pi ancorata a posizioni tradizionali (collegando la successione universale allĠÒestinzioneÓ),  peraltro pervenuta in qualche caso a riconoscere che il fenomeno successorio si attua diversamente a seconda che dalla legge sia previsto Òil permanere delle finalitˆ dell'ente soppresso ed il loro trasferimento ad altro ente, unitamente al passaggio sia pure parziale delle strutture e del complesso delle posizioni giuridiche giˆ facenti capo al primo ente, ovvero abbia disposto la soppressione; nel primo caso deve ritenersi che la successione si attui in universum ius, con la conseguenza che tutti i rapporti giuridici che facevano capo all'ente soppresso passano all'ente sottentrante, mentre nel secondo caso, difettando la contemplazione del permanere degli scopi dell'ente soppresso, non avrebbe senso una successione a titolo universale nelle strutture organizzatorie che fosse attuata ai soli fini del loro dissolvimento, e deve ritenersi che la successione avvenga a titolo particolare, limitata ai soli beni che residuino alla procedura di liquidazione, con la conseguenza che l'ente liquidatore non solo non si sostituisce nella titolaritˆ della sfera giuridica originaria, ma non assume neppure alcuna diretta responsabilitˆ patrimoniale per le obbligazioni contratte dall'ente (10) Infatti sono state ritenute possibili sia ipotesi di estinzione di enti non segu“ta da successione a titolo universale (tale  stata considerata la soppressione delle Usl cui ha fatto seguito una successione a titolo particolare delle Regioni cui sono state attribuite funzioni liquidatorie), e sia ipotesi di successione universale senza ÒestinzioneÓ (M. Nigro). estinto e che giˆ risultavano all'atto della liquidazioneÓ (Cass. n. 5971/1983, confermata da Cass. n. 535/2002; il perseguimento degli stessi fini quale indice della ÒsuccessioneÓ viene valorizzato anche da Cass. n. 2660/1995). In applicazione di tale principio, pertanto,  stato affermato (a proposito della nazionalizzazione delle imprese elettriche) che si tratterebbe di Òun caso di successione universale senza estinzione delle societˆ cedentiÓ (cos“ Cass. civ. n. 11979/2003 che richiama Cass., sez. un., n. 1173/1970; Cass., n. 1045/1974, n. 599/1978, n. 3527/1979); in particolare il fenomeno  stato spiegato in termini di Òsuccessione in una vastissima serie unificata di rapporti giuridici attivi e passiviÓ - cfr. Cass. S.U. 2988/1968, cui ha fatto sguito la Òconseguente automatica e totale liberazione dei precedenti datori di lavoro da tutte le obbligazioni relative ai rapporti di lavoro del personale trasferito, comprese quelle anteriori al trasferimentoÓ (Cass. 7096/1983). 7.4 Il ÒsubentroÓ degli enti competenti in via ordinaria. Applicando tali principi alla cessazione delle gestioni commissariali, si pu˜ affermare che mentre il fine ÒemergenzialeÓ (che ha occasionato il potere straordinario dei Commissari) deve considerarsi ex lege esaurito con la cessazione dellĠemergenza, non cos“  per le finalitˆ di volta in volta perseguite mediante gli interventi avviati dal Commissario (es. realizzazione di una discarica, ricostruzione dopo una calamitˆ, misure di contenimento del traffico ecc.). Infatti le finalitˆ sottese a tali interventi, avviati dal Commissario, certamente sopravvivono e proseguono in capo agli enti ordinariamente competenti incaricati del relativo completamento (e per tal fine attributari anche delle relative risorse finanziarie). Tale permanenza della finalitˆ pubblicistica, che sopravvive alla cessazione dellĠorgano straordinario,  confermata dalla lettera dellĠart. 5 co. 4 ter e 4 quater L. 225/1992 che, infatti, si esprime in termini di Òsubentro dell'amministrazione pubblica competente in via ordinariaÓ e di ÒprosecuzioneÓ della gestione operativa. Deve altres“ sottolinearsi che tale ÒsubentroÓ non ha affatto valenza liquidatoria (aspetto ritenuto rilevante dalla Cassazione, ad esempio, con riferimento alla soppressione delle USL, cfr. Cass. S.U. n. 1989/1997), ma ha valenza gestionale, rispondendo ad un modello organizzativo a pi fasi, in cui  fisiologico che gli interventi ÒavviatiÓ dai Commissari in via straordinaria vengano poi ÒproseguitiÓ dagli enti ordinariamente competenti (v. par.7.2). DĠaltro canto occorre anche rilevare che nel caso in esame manca una norma che (diversamente da quanto avvenuto ad esempio nel caso delle USL) escluda espressamente il trasferimento delle passivitˆ e che, dunque, valga a manifestare la volontˆ del legislatore di escludere la natura universale del ÒsubentroÓ degli enti ordinariamente competenti. In definitiva, dunque, la ÒreinvestituraÓ degli enti ordinariamente com petenti si caratterizza per i seguenti elementi: -Òsopravvivenza dello scopoÓ attestata dalla lettera della legge che si esprime in termini di ÒsubentroÓ degli enti ordinari; - ricorrenza di vari indici per affermare la successione in universum jus (prosecuzione della gestione operativa, trasferimento delle risorse finanziarie); -assenza di una norma che espressamente escluda la successione nelle passivitˆ. In tale contesto sembra dunque potersi affermare che il ÒsubentroÓ degli enti ordinariamente competenti (ovvero dellĠamministrazione pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli interventi) si verifichi nella totalitˆ dei rapporti giˆ facenti capo al Commissario cessato in base al principio della Òcontinuitˆ economicaÓ. Tale soluzione appare sostenibile -sia con riferimento alle obbligazioni nascenti da contratti la cui controprestazione  stata giˆ eseguita (atteso che dette controprestazioni giˆ eseguite rientrano appunto nel novero di quegli effetti trasferiti al soggetto ordinariamente competente); -e sia con riferimento alle obbligazioni extracontrattuali nascenti da fatto illecito non doloso (vale a dire se le circostanze dell'illecito non abbiano determinato l'interruzione del nesso organico). Infatti tanto le une quanto le altre obbligazioni sono sorte non solo Òin occasioneÓ ma anche Òin funzioneÓ della realizzazione della finalitˆ pubblicistica (es. realizzazione di una discarica, misura di disinquinamento) ora trasferita alla cura dell'ente ordinariamente competente che subentra nelle attivitˆ giˆ compiute e ne persegue il completamento. Ed invero appare coerente anche da un punto di vista sistematico - oltre che rispondente a criteri di giustizia sostanziale: ubi commoda ibi et incommoda - che il soggetto che viene a giovarsi degli effetti ÒfavorevoliÓ dell'attivitˆ svolta dal Commissario, correlativamente si faccia carico anche degli eventuali effetti ÒsfavorevoliÓ. In tale ottica  coerente la conclusione che i ÒcostiÓ ancora da pagare vengano sostenuti dal soggetto al quale, unitamente alle opere e alle attivitˆ fino a quel momento realizzate, sono trasferite anche le risorse finanziarie residue finalizzate - al pari e nel concorso di quelle ordinariamente assegnate allĠente - a consentirne la prosecuzione della gestione (11). (11) Al proposito si pu˜ richiamare la giurisprudenza di merito formatasi nelle controversie risarcitorie per danni da fumo in cui veniva in discussione la ÒsuccessioneÓ dell'Ente Tabacchi Italiani al- lĠAmministrazione autonoma dei monopoli di Stato. La Corte di appello di Roma (Sez. I, sentenze 15 maggio 2006, e 7 marzo 2005) ha condannato al risarcimento dei danni da fumo l'Ente Tabacchi Italiani - divenuto in seguito British American Tobacco B.A.T. Italia s.p.a. - che era succeduto allĠAmministrazione autonoma dei monopoli di Stato. Sulla questione non si  pronunciata la Cassazione in quanto tra ETI e Monopoli intervenne una transazione che determin˜ la cessazione della materia del contendere (Cass. n. 22884/2007). Naturalmente la ÒsuccessioneÓ avviene esclusivamente con riferimento a quei rapporti privatistici posti in essere dal Commissario in diretta connessione con lĠesercizio del munus pubblico e svolto in via emergenziale (e ora tornato nelle competenze ordinarie). Nessuna successione, per converso, si pu˜ ritenere attuata nei rapporti privatistici non strettamente connessi alla pubblica funzione. Sul punto si pu˜ dunque concludere come segue: Il subentro degli enti ordinariamente competenti (ovvero dellĠamministrazione pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli interventi) si verifica nella totalitˆ dei rapporti privatistici posti in essere dal Commissario(ivi comprese le obbligazioni extracontrattuali nascenti da fatto illecito non doloso e a quelle nascenti da contratti la cui controprestazione sia stata giˆeseguita), naturalmente nella misura in cui detti rapporti siano sorti in connessione con lĠesercizio delle pubbliche funzioni ormai tornate nelle competenze ordinarie. 8. La successione degli enti competenti in via ordinaria nei rapporti processuali. Se la successione degli enti ordinariamente competenti  ÒuniversaleÓ (v. sopra par. 7.4), va anche ribadito che la cessazione del Commissario non pu˜ essere assimilata alla estinzione e/o soppressione di un autonomo soggetto giuridico, trattandosi a di organo (straordinario) della Presidenza del Consiglio (v. sopra par. 4). In tale contesto occorre dunque valutare se la regola da applicare nel processo, con riferimento ai giudizi che vedono parte un Commissario ormai cessato, sia quella dell'art. 110 c.p.c. ovvero quella dell'art. 111 c.p.c. Com' noto la dottrina e la giurisprudenza prevalenti sono soliti ancorare la distinzione tra l'una e l'altra ipotesi normativa al Òvenir menoÓ del soggetto titolare della posizione soggettiva trasferita. La scriminante  ravvisata nel fatto che, nel contesto dellĠart. 111 c.p.c., il soggetto continua ad esistere e pertanto il processo pu˜ proseguire tra le parti originarie (si pone solo il problema di estendere l'ambito soggettivo di efficacia della pronuncia nei confronti del successore); invece nel contesto dellĠart. 110 c.p.c. la cessazione dell'esistenza del soggetto giuridico pone il problema di ripristinare la necessaria bilateralitˆ processuale venuta meno a seguito dell'estinzione di una parte (ed  a tale funzione che risponde lĠinterruzione del processo). La giurisprudenza della Cassazione  per lo pi incline ad applicare - come regola generale - quella della perpetuatio del processo, ossia la prosecuzione del giudizio (art. 111 c.p.c.), mentre alla interruzione (art. 110 c.p.c.) fa seguito solo quando il processo non possa proseguire per il Òvenir menoÓ della parte. Quanto poi a tale situazione, essa viene intesa non in senso parziale, ma in senso ÒassolutoÓ, nel senso che la soppressione deve riguardare lĠente stesso e non una sua parte (Cass civ. Sez. n. 11045/2002, che richiama Cass. n. 7258/2001 con riferimento alla costituzione di una nuova provincia attuata mediante distacco di alcuni comuni da una provincia preesistente). D'altra parte la Cassazione tende anche ad affermare che quando la parte non viene meno (e dunque il processo pu˜ proseguire ai sensi dell'art. 111 c.p.c.) la successione  sempre a titolo particolare, ossia limitata a ÒsingoliÓ rapporti: a) ad esempio con riferimento alle Agenzie Fiscali, subentrate al Ministero delle Finanze, la Corte ha giustificato lĠapplicabilitˆ dellĠart. 111 c.p.c. facendo leva, non solo sulla considerazione che Çl'ente "cedente" (il Ministero) non  "venuto meno"È, ma anche con la considerazione che Çle Agenzie sono destinatarie di posizioni attive e passive Òspecificamente determinateÓÈ, e ci˜ anche se il trasferimento riguardava intere "materie" ed "aree funzionali" giˆ esercitate dal Ministero delle Finanze (con esclusione delle sole Òfunzioni statali") (cfr. Corte cass. SS.UU. 14 febbraio 2006 n. 3116 e 3118, nonchŽ Cass. n. 1054/2006); b) anche nel caso del subingresso dell'Ente Poste nei rapporti attivi e passivi giˆ facenti capo alla Amministrazione PP.TT, la successione nel processo  stata ritenuta rientrante nell'art. 111 c.p.c., in quanto il trasferimento "ex lege" era Òsolo di una parte di beni e rapporti ad uno o pi soggetti senza estinzione dell'ente i cui beni e rapporti sono in parte trasferitiÓ (Cass. n. 6521/2007), e ci˜ ancorch il subingresso dell'Ente Poste avesse riguardato tutti i rapporti attivi e passivi, i diritti personali e i beni giˆ facenti capo alla soppressa Amministrazione delle PP.TT. (con eccezione solo di quelli da destinare a sedi ed uffici del - non soppresso - Ministero delle Poste e Telecomunicazioni - D.L. n. 487/1993, art. 6); c) con riferimento al caso della trasformazione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato nell'Ente tabacchi italiani (art. 1.1. D.Lgs. 9 luglio 1998, n. 283), la Corte ha affermato che Òil fenomeno successorio, nei suoi riflessi processuali, si inquadra nell'art. 111 c.p.c.Ó (ci˜ in quanto Òl'Amministrazione dei monopoli non  stata soppressaÓ) (Cass. civ. Sez. Unite, n. 7945/2003), ma anche in tal caso il nuovo ente era Òsubentrato nei rapporti attivi e passivi afferenti a tali attivitˆ (art. 3)Ó, quindi il subentro riguardava senzĠaltro una universitas. Come si vede, dunque, in tali decisioni sembra emergere la preoccupazione della Corte di associare al concetto del Òvenir menoÓ della parte, quello di ÒuniversalitˆÓ della successione. Ci˜ porta ad affermare il postulato che, per converso, tutte le successioni di cui allĠart. 111 c.p.c. (ossia senza ÒestinzioneÓ) sono Òa titolo particolareÓ. Ora, tale postulato tende a forzare la realtˆ dei fenomeni giuridici che si verificano nel caso di successione tra soggetti pubblici; infatti mentre tra persone fisiche  vero che il Òvenir menoÓ della parte tendenzialmente si accom pagna al fenomeno della successione in universum jus (ma non nel caso del legato, disciplinato dal secondo comma dellĠart. 111 c.p.c.), non cos“  nel caso di enti pubblici, ove, come si  visto, la successione pu˜ essere di portata ÒuniversaleÓ anche senza estinzione (12). In tale ordine logico, occorre segnalare alcune (non diffuse ma significative) pronunce giurisprudenziali che, facendosi carico di tali fenomeni, sono pervenute a scindere i due presupposti affermando che per uscire dallĠambito di applicabilitˆ dellĠart. 110 c.p.c. non  necessario che la successione sia ÒparticolareÓ, ma  sufficiente che la parte non sia Òvenuta menoÓ. Tale condizione basterebbe per rientrare nellĠambito dellĠart. 111 c.p.c. anche se la successione  in universum jus. Quindi vi sarebbero ipotesi di successione ÒuniversaleÓ, ma regolate dallĠart. 111 c.p.c. in quanto non vi  estinzione della parte. Infatti  stato affermato che ÒallorchŽ non vi sia estinzione dell'ente cedente, si verifica un'ipotesi particolare di successione nel diritto controverso, ai sensi dell'art. 111 c.p.c.: ci˜, si noti, anche quando si abbia una successione "per universitatem" nel diritto dedotto in giudizio (purchŽ, ripetesi, non sia venuta meno la parte). In tali casi ÉÉ il processo prosegue tra le parti originarieÓ (Cass. civ. Sez. V, n. 11979/2003). La medesima Cassazione segnala il caso della Ònazionalizzazione delle imprese elettriche (ritenuto un caso di successione universale senza estinzione delle societˆ cedenti) per la Òsostanziale applicabilitˆ (in via diretta od analogica od estensiva) dell'art. 111 c.p.cÓ (Cass. n. 11979/2003). La dottrina, d'altra parte, (Dalfino) ha giˆ da tempo chiarito che si ha successione nel processo ai sensi dellĠart. 110 c.p.c. solo nei casi in cui ricorrano entrambe le condizioni di applicabilitˆ di tale istituto (cio sia il Òvenir menoÓ della parte e sia la successione in Òuniversum jusÓ); quando ci˜ non avviene, in quanto una delle due condizioni non si verifica, la regola della successione  quella di cui allĠart. 111 c.p.c. 8.2-In applicazione di tali principi si dovrebbe dunque affermare che a seguito della cessazione dei Commissari delegati di protezione civile di cui alla L. 225/1992, il conseguente subentro degli enti competenti in via ordinaria -non ricorrendo il Òvenir menoÓ dello Stato (di cui il Commissario era longa manus) - integra un'ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso ai sensi dell'art. 111 c.p.c., ancorch la successione degli enti ordinariamente competenti possa essere qualificata come ÒuniversaleÓ. Trattandosi peraltro di successione a titolo particolare nel processo, in applicazione dell'art. 111 co. 1 c.p.c., il giudizio prosegue tra le parti originarie, quindi nei confronti della P.C.M. (giˆ costituita in causa ovvero entrata formal (12) Al proposito in dottrina si  parlato di Òsuccessione parzialeÓ: parziale perchŽ non legata al- lĠestinzione dellĠente predecessore, ma universale per la struttura del trapasso (M. Nigro). mente in causa con comparsa di costituzione in prosecuzione -ex art. 302 cod. proc. civ. - o in riassunzione - ex art. 303 cod. proc. civ. - in seguito alla cessazione del Commissario delegato), che agirebbe di fatto come un sostituto processuale ex art. 81 cod. proc. civ.. 8.3-Adempimenti suggeriti: - si suggerisce, ove possibile nello stato del giudizio, di effettuare la chiamata in causa dell'ente locale competente in via ordinaria ai sensi dell'art. 111 co. 3 c.p.c.; -potrebbe essere richiesta in tal caso lĠestromissione dal giudizio (che, comĠ noto, pu˜ essere disposta solo con lĠadesione delle parti); - in ogni caso, ai sensi del 4Ħ co. dell'art. 111 c.p.c., la sentenza pronunciata nei confronti della P.C.M. spiega i suoi effetti anche contro l'ente competente in via ordinaria (o ente di coordinamento). Concludendo sul punto si pu˜ dire che: La cessazione delle funzioni commissariali comporta che il giudizio prosegue nei confronti della P.C.M. ai sensi dell'art. 111 c.p.c. , ancorch la successione degli enti ordinariamente competenti si possa considerare ÒuniversaleÓ. 9. Il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato. Inquadrando la fattispecie successoria in esame nellĠart. 111 c.p.c. il giudizio, come si  visto, prosegue fisiologicamente nei confronti dellĠAmministrazione statale, che altrettanto fisiologicamente mantiene il patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato. In ogni caso va del tutto escluso che l'Avvocatura dello Stato possa proseguire le proprie attivitˆ processuali anche nell'interesse dell'ente locale competente in via ordinaria in mancanza di una norma che lo consenta. Ci˜ appare particolarmente significativo se si considera che, invece, nel caso della cessazione del Funzionario Delegato del CIPE per il sisma del 1981, fu espressamente disposto dall'art. 22 co. 9-bis del D.L. n. 244/1995 che ÒLe controversie derivanti dai rapporti posti in essere ai sensi del titolo VIII della L. 14 maggio 1981, n. 219 Érestano nella competenza dell'Avvocatura dello Stato che agisce in difesa degli enti proprietari [successori a titolo particolare]Ó. Pertanto il patrocinio dell'Avvocatura continua ad essere esercitato esclusivamente in favore dell'Amministrazione dello Stato (o altri enti giˆ difesi in via ordinaria). In relazione a quanto sopra si pu˜ dunque concludere che: Va del tutto escluso che l'Avvocatura dello Stato possa proseguire le proprieattivitˆ processuali anche nell'interesse dell'ente locale competente in viaordinaria; manca infatti una norma che lo consenta. 10. Condotta processuale in ordine alle impugnazioni. Nella nota indicata a margine codesto Dipartimento chiedeva, tra l'altro, di valutare quale condotta processuale assumere, anche prudenzialmente, per evitare qualunque tipo di pregiudizio per gli interessi erariali, in particolare ponendo in evidenza che per le numerose sentenze, sfavorevoli ai Commissari, emesse recentemente si pone il problema di valutare se, e nell'interesse di quale soggetto, debba essere proposto l'eventuale gravame. La questione va risolta tenendo conto che l'Amministrazione statale (nei cui confronti, come si  visto al par. 8, il giudizio prosegue ai sensi dell'art. 111 c.p.c.), ha sempre l'onere di proporre il gravame avverso la sentenza sfavorevole. Nei soli casi in cui l'ente locale subentrato impugni a sua volta la sentenza che fa stato anche nei suoi confronti ai sensi dell'art. 111 co. 4 c.p.c., tale impugnazione potrˆ, se del caso, essere superflua (al proposito giova ricordare che, con riferimento alle Agenzie fiscali, la Cassazione ha affermato la Òimplicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3 ove costituita in primo gradoÓ nei casi in cui l'Amministrazione statale non aveva assunto la posizione di parte processuale nel giudizio di appello introdotto dallĠAgenzia - cfr. Cass. civ. S.U. n. 3116/2006, ripresa da Cass. n. 9562/2013)(13). Naturalmente, come giˆ rilevato al par. 8, il gravame dovrˆ essere proposto per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In relazione a quanto sopra si pu˜ dunque concludere che: L'Avvocatura dello Stato ha sempre l'onere di proporre gravame avverso lesentenze eventualmente sfavorevoli nell'interesse dell'Amministrazione statale (nei cui confronti il giudizio prosegue ai sensi dell'art. 111 c.p.c.). In singole ipotesi lĠimpugnazione potrˆ non essere indispensabile nei casiin cui l'ente locale competente in via ordinaria (unico interessato alla controversia) impugni a sua volta la sentenza ai sensi dell'art. 111 co. 4 c.p.c. Conclusioni. Tanto considerato si sintetizzano le conclusioni su cui  pervenuta la Scrivente come segue: 1. Le attribuzioni e i poteri esercitati dai Commissari delegati sono poteri ÒpropriÓ dello Stato. (13) Occorre precisare che in tali casi lĠestromissione ÒimplicitaÓ  stata ammessa dalla Cassazione in quanto ÒL'attribuzione al nuovo soggetto, in via esclusiva, della gestione del contenzioso, Écomporta che, pur mantenendo l'Amministrazione finanziaria la qualitˆ d“ parte, la concreta strategia processuale (e quindi il mantenimento di tale qualitˆ) spetta all'Agenzia ... Quindi, la proposizione dell'appello esclusivamente da parte dell'Agenzia, senza esplicita menzione dell'ufficio finanziario periferico che era parte originaria, ha comportato la conseguente estromissione di quest'ultimoÓ (Cass. civ. S.U. n. 3116/2006). 2. Le attribuzioni e i poteri esercitati dallo Stato in sede emergenziale operano in via sostitutiva degli enti competenti in via ordinaria, le cui attribuzioni sono dunque ÒcompresseÓ temporaneamente nei limiti di un doveroso nesso di congruitˆ e proporzione. Gli effetti delle funzioni amministrative svolte dal Commissario delegato si attuano direttamente nella sfera dellĠente competente in via ordinaria (sostituito). 3. Il Commissario straordinario di cui all'art. 5 co. 4 L. 225/1992 non va considerato quale destinatario di una delega intersoggettiva di funzioni, ma quale organo del Governo (Òlonga manusÓ del Governo stesso) del quale esercita le funzioni emergenziali ad esso proprie, sicch i provvedimenti posti in essere dai commissari delegati Òsono atti dellĠamministrazione centrale dello StatoÓ. 4. Il Commissario straordinario di cui all'art. 5 co. 4 L. 225/1992 non va considerato quale autonomo centro di imputazione degli effetti giuridici dell'attivitˆ svolta quale delegato del Governo; 5. La cessazione dello stato di emergenza comporta il ÒsubentroÓ degli enti ordinariamente competenti nella posizione dei Commissari cessati. 6. La cessazione dell'emergenza comporta la ÒriespansioneÓ dei poteri degli enti competenti in via ordinaria, ai quali spetterˆ di avviare i nuovi procedimenti nel rispetto delle proprie competenze e dei principi ordinari; - per quanto concerne i procedimenti pendenti, la cessazione dellĠemergenza determina la ÒsuccessioneÓ, nella fase in corso, degli enti ordinariamente competenti; -eventuali atti della P.C.M. (e, tanto pi, del Commissario ormai cessato e non procrastinabile neppure in via di prorogatio) dopo la chiusura dello stato di emergenza, rischierebbero di essere dichiarati nulli perch emessi in carenza (in astratto) di potere; - gli effetti dell'attivitˆ fino a quel momento svolta dal Commissario si sono prodotti comunque direttamente nella sfera dell'ente competente in via ordinaria, che - salvo lĠeventuale esercizio della potestˆ di autotutela - non potrˆ dichiararsi estraneo al procedimento giˆ avviato dal Commissario. 7. Il subentro degli enti ordinariamente competenti (ovvero dellĠamministrazione pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli interventi) si verifica nella totalitˆ dei rapporti privatistici posti in essere dal Commissario (ivi comprese le obbligazioni extracontrattuali nascenti da fatto illecito colposo e a quelle nascenti da contratti la cui controprestazione sia stata giˆ eseguita), naturalmente nella misura in cui essi siano sorti in connessione con lĠesercizio delle pubbliche funzioni ormai tornate nellĠalveo delle competenze ordinarie. 8. La cessazione delle funzioni commissariali comporta che il giudizio prosegue nei confronti della P.C.M. ai sensi dell'art. 111 c.p.c., ancorch la successione degli enti ordinariamente competenti si possa considerare ÒuniversaleÓ. 9. Va del tutto escluso che l'Avvocatura dello Stato possa proseguire le proprie attivitˆ processuali anche nell'interesse dell'ente locale competente in via ordinaria, mancando, tra lĠaltro, una norma che lo consenta. 10. L'Avvocatura dello Stato ha sempre l'onere di proporre gravame avverso le sentenze eventualmente sfavorevoli nell'interesse dell'Amministrazione statale. *** Si rimane a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti. Sul presente parere  stato sentito il Comitato Consultivo di cui allĠart. 26 della legge 3 aprile 1979 n. 103, che si  espresso in conformitˆ. LĠAVVOCATO INCARICATO LĠAVVOCATO GENERALE Gianna Maria De Socio Michele DIPACE . contenzioso comunitario e internazionale CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Corte di Giustizia UE 4 luglio 2013 causa C-100/2012: note minime sui rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale ÒescludenteÓ Stefano Varone* La Corte di Giustizia si  pronunciata sullĠannosa questione dellĠordine di esame delle questioni in ipotesi di ricorso incidentale volto a contestare la legittimazione del ricorrente principale che abbia partecipato ad una procedura ad evidenza pubblica. LĠincerto panorama giurisprudenziale  stato caratterizzato, sul piano interno, dallĠimportante arresto del Consiglio di Stato il quale, con decisione dellĠAdunanza Plenaria 7 aprile 2011 n. 4, aveva ritenuto che lĠesame del ricorso incidentale diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale attraverso l'impugnazione della sua ammissione alla procedura di gara deve comunque precedere quello del ricorso principale. LĠimportanza della decisione derivava dal fatto che in precedenza la medesima Adunanza Plenaria con sentenza n. 11/2008 aveva affermato la sussistenza di unĠeccezione generale alla regola della precedenza nei confronti del ricorso incidentale, in applicazione della quale il Giudice aveva lĠonere di esaminare anche il merito del ricorso principale qualora fosse fatto valere dal ricorrente principale un interesse strumentale alla ripetizione della procedura di gara. Per contro lĠAdunanza Plenaria n. 4/2011 ha affermato che: a) la paritˆ delle parti e lĠimparzialitˆ del giudice non intaccano le regole sullĠordine di esame di questioni di rito e di merito, che anzi ne sono espressione e applicazione; il codice del processo amministrativo ha fissato lĠordine di esame delle questioni, con portata ricognitiva della disciplina previgente, (*) Avvocato dello Stato. prima le questioni di rito, poi quelle di merito. In particolare, lĠart. 76, IV. co. del c.p.a., nel disciplinare le modalitˆ di votazione delle decisioni nei giudizi amministrativi rinvia al II comma dellĠart. 276 c.p.c., secondo cui il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa (par. 28-30 della sentenza). b) la questione della legittimazione al ricorso principale  prioritaria rispetto al merito: detta questione  rilevabile dĠufficio e va introdotta mediante ricorso incidentale (par. 31-32); c) LĠart. 42, I comma, del c.p.a., nel disciplinare il ricorso incidentale e la domanda riconvenzionale, prevede che Òle parti resistenti e i controinteressati possono proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentaleÓ. Pertanto, il ricorso incidentale nel c.p.a. serve a introdurre non solo eccezioni, ma anche domande, e domande di accertamento pregiudiziale e, perci˜, non necessariamente deve essere esaminato dopo il ricorso principale; va esaminato prima se introduce una questione di legittimazione del ricorrente principale (¤ 33); d) la legittimazione  un prius rispetto allĠÒinteresse strumentaleÓ: la nozione di Òinteresse strumentaleÓ, infatti, non identifica unĠautonoma posizione giuridica soggettiva, ma indica il rapporto di utilitˆ tra lĠaccertata legittimazione al ricorso e la domanda formulata dallĠattore (¤¤ 34-36); e) salve puntuali eccezioni, individuate in coerenza con il diritto comunitario, la legittimazione al ricorso, in materia di affidamento di contratti pubblici, spetta solo al soggetto che ha legittimamente partecipato alla procedura selettiva (¤¤ 36-40). Alla luce delle suesposte argomentazioni, lĠAdunanza Plenaria ha sancito il seguente principio di diritto: Çil ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente, anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi lĠinteresse strumentale alla rinnovazione dellĠintera procedura. Detta prioritˆ logica sussiste indipendentemente dal numero dei partecipanti alla procedura selettiva, dal tipo di censura prospettata dal ricorrente incidentale e dalle richieste formulate dallĠamministrazione resistenteÈ. La netta inversione di tendenza che caratterizzava la pronuncia della plenaria del 2011, oltre a trovare opinioni dissenzienti in alcune decisioni dei TAR, era stata fortemente criticata dalla Cassazione che, con la pronuncia a Sez. Unite, 21 giugno 2012, n. 10294, aveva censurato - sia pure in obiter - la posizione del Consiglio di Stato. Infatti secondo le Sezioni Unite il principio di diritto affermato dalla plenaria Ònon  condivisibile, in quanto, al cospetto di due imprese che sollevano a vicenda la medesima questione, ne sanziona una con l'inammissibilitˆ del ricorso e ne favorisce l'altra con il mantenimento di un'aggiudicazione (in tesi) illegittima, denotando una crisi del sistema che, al contrario, proclama di assicurare a tutti la possibilitˆ di provocare l'intervento del giudice per ripristinare la legalitˆ e dare alla vicenda un assetto conforme a quello voluto dalla normativa di riferimento, tanto pi che l'aggiudicazione pu˜ dare vita ad una posizione preferenziale soltanto se acquisita in modo legittimoÓ. La pronuncia della Suprema Corte non si poneva tuttavia quale precedente effettivamente rilevante in quanto era la stessa decisione a chiarire che la questione dellĠordine di esame delle questioni si configurava come possibile errore di diritto e non giˆ quale ipotesi di diniego di giustizia, escludendo pertanto lĠammissibilitˆ della cassazione per eccesso di potere giurisdizionale. Le perplessitˆ manifestate dalla Cassazione sono state tuttavia di recente condivise da due ordinanze dello stesso Consiglio di Stato che, antecedentemente alla pubblicazione della pronuncia della Corte di Giustizia, hanno nuovamente rimesso la questione allĠadunanza plenaria. In particolare lĠordinanza 15 aprile 2013 n. 2059 ha rilevato che Òanche se per un verso la Sezione condivide lĠorientamento secondo il quale la giustizia amministrativa non ha il compito di ripristinare la legalitˆ in senso assoluto, ma quello di tutelare situazioni giuridiche soggettive qualificate, e pu˜ ricorrere al giudice amministrativo solo chi abbia una posizione giuridica legittimante (sicchŽ qualora il ricorso incidentale abbia lo scopo di promuovere la verifica della legittimazione del ricorrente principale, correttamente  il ricorso incidentale a dover essere esaminato per primo: v. anche C.d.S., Sez. III, 27 settembre 2012, n. 5111), per altro verso questa stessa Sezione osserva che in fattispecie come quella in esame il ricorso incidentale porta preliminarmente in giudizio, con la verifica della legittimazione, una parte cospicua del merito della controversia, nonchŽ il sindacato sui criteri di valutazione delle offerte da parte della stazione appaltante. SicchŽ lĠesame delle sole prospettazioni dellĠaggiudicatario sembrerebbe contrario al principio di paritˆ delle partiÓ. La successiva ordinanza 17 maggio 2013 n. 2681, allĠesito di una accurata ricostruzione degli istituti processuali ha quindi evidenziato le criticitˆ conseguenti allĠapplicazione dei principi enunciati dalla sentenza n. 4 del 2011 ed in particolare ha sottolineato che: a) ÒlĠesito del giudizio (e della gara) dipende da un atto dellĠAmministrazione che - con la prospettiva di risultare insindacabile in sede giurisdizionale - pu˜ risultare la conseguenza di determinazioni arbitrarie e indebitamente sollecitateÓ; b) Òquando risultino viziati gli atti di ammissione alla gara di entrambe le imprese partecipanti, pur a seguito della statuizione di inammissibilitˆ del ricorso principale, conserva rilievo sostanziale il vizio dellĠatto che ha ammesso alla gara lĠaggiudicatario, sicchŽ si  in presenza di un giudicato del tutto ÔcedevoleĠ, poichŽ lĠAmministrazione ispirandosi al principio di legalitˆ - al termine del giudizio pu˜ anche annullare in sede di autotutela lĠatto di ammissione dellĠaggiudicatario e della conse guente aggiudicazione (il che dovrebbe porsi anche in termini di doverositˆ, quando il ricorrente principale ha fondatamente - ma inutilmente - dedotto che lĠaggiudicatario  privo di uno o pi requisiti sostanziali)Ó; c) Òqualora in sede di giustizia amministrativa non sia presa in considerazione la domanda di annullamento della aggiudicazione, in conseguenza della declaratoria di inammissibilitˆ del ricorso principale, vi  la concreta possibilitˆ che il perdurante rilievo della illegittimitˆ (pi o meno evidente) dellĠatto di ammissione alla gara dellĠaggiudicatario sia sottoposto allĠesame di altri ordini giurisdizionali, che constatino un pregiudizio economico per la stessa Amministrazione aggiudicatrice e potrebbero giungere a conclusioni incongruenti con la conseguita inoppugnabilitˆ dellĠaggiudicazioneÓ. Nelle more, come noto, il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte con lĠordinanza n. 208/2012, aveva sollevato questione pregiudiziale rimettendo alla Corte di Giustizia il quesito Òse i principi di paritˆ delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza nei pubblici appalti, di cui alla direttiva n. 89/665/CEE, modificata con la direttiva n. 2007/66/CE, ostino al diritto vivente quale statuito nella decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2011, secondo il quale l'esame del ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale attraverso l'impugnazione della sua ammissione alla procedura di gara, deve necessariamente precedere quello del ricorso principale ed abbia portata pregiudiziale rispetto all'esame del ricorso principale, anche nel caso in cui il ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dell'intera procedura selettiva e indipendentemente dal numero dei concorrenti che vi hanno preso parte, con particolare riferimento all'ipotesi in cui i concorrenti rimasti in gara siano soltanto due (e coincidano con il ricorrente principale e con l'aggiudicatario-ricorrente incidentale), ciascuno mirante ad escludere l'altro per mancanza, nelle rispettive offerte presentate, dei requisiti minimi di idoneitˆ dell'offertaÓ. La Corte di Giustizia, con sentenza 4 luglio 2013 causa C-100/2012, ha quindi ritenuto che la soluzione fornita dallĠAdunanza Plenaria nel 2011 non fosse compatibile con la vigente normativa europea (art. 1, paragrafo 3, della dir. 89/665/CEE come modificata dalla dir. 2007/66/CE) esprimendo il seguente principio di diritto: Òse, in un procedimento di ricorso, l'aggiudicatario che ha ottenuto l'appalto e proposto ricorso incidentale solleva un'eccezione di inammissibilitˆ fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell'offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l'offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall'autoritˆ aggiudicatrice per non conformitˆ alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell'esame preliminare di tale eccezione di inammissibilitˆ senza pronunciarsi sulla conformitˆ con le suddette specifiche tecniche sia dell'offerta dell'ag giudicatario che ha ottenuto l'appalto, sia di quella dell'offerente che ha proposto il ricorso principaleÓ. A tale soluzione giunge sulla base di una sintetica motivazione, ove viene dapprima sostanzialmente richiamato il principio di effettivitˆ della tutela citando il precedente, HackermŸller, (C.249/01) quindi affermato che il ricorso incidentale dellĠaggiudicatario Ònon pu˜ comportare il rigetto del ricorso di un offerente nellĠipotesi in cui la legittimitˆ dellĠofferta di entrambi gli operatori venga contestata nellĠambito del medesimo procedimento e per motivi identici. In una situazione del genere, infatti, ciascuno dei concorrenti pu˜ far valere un analogo interesse legittimo allĠesclusione dellĠofferta degli altri, che pu˜ indurre lĠamministrazione aggiudicatrice a constatare lĠimpossibilitˆ di procedere alla scelta di unĠofferta regolareÓ. Proprio tale passo della sentenza potrebbe essere letto quale indice della peculiaritˆ del caso esaminato: si ha infatti cura di precisare che la legittimitˆ dellĠofferta di entrambi gli operatori era contestata nellĠambito del medesimo procedimento e per motivi identici; una situazione sostanzialmente speculare che potrebbe avere influito in maniera decisiva nella soluzione del caso, soprattutto a mente dellĠottica ÒsostanzialistaÓ che  solita esprimere le decisioni della Corte di Giustizia. Si vuol cio significare che dal tenore letterale della pronuncia si potrebbe ricavare una limitazione del principio allĠipotesi di vizi ÒspeculariÓ ed ÒescludentiÓ, anche se a diverse conclusioni potrebbe condurre la circostanza che la Corte ha implicitamente disatteso uno degli argomenti cardine addotti dal governo italiano a suffragio della legittimitˆ della tesi sostenuta dallĠadunanza plenaria, ovverosia la necessitˆ di rendere recessivo il mero interesse strumentale alla ripetizione della gara rispetto a quello allĠaggiudicazione. Tale tesi era fondata sulla circostanza che i ÒconsiderandoÓ della direttiva e alcune disposizioni della stessa potevano essere lette come indice che la tutela garantita a livello europeo era relativa alla sola la posizione di chi ha interesse a ottenere lĠaffidamento di un determinato appalto pubblico e non giˆ lĠinteresse strumentale allĠintero annullamento della gara e alla ripetizione della stessa da parte di un soggetto privo dei requisiti per lĠaggiudicazione (1) (che a ben vedere  meramente eventuale, potendo lĠamministrazione optare per la non riedizione della gara). In altre parole si era prospettato che ÒlĠinteresse allĠaffidamentoÓ andava inteso come riferito a un Òdeterminato appalto pubblicoÓ, ossia allo specifico appalto alla cui gara ha partecipato il soggetto (1) Si era cio rappresentato che applicando il principio di diritto posto dalla Plenaria n. 4/2011 non si precluderebbe la tutela giurisdizionale ad un concorrente, ma semplicemente non si ammette che il ricorso dallo stesso presentato sia da valutare nel merito in quanto, dallĠesame del ricorso presentato dalla controparte, si evince in modo certo ed inconfutabile che lo stesso non era in possesso dei requisiti per aggiudicarsi la gara. che contesta lĠoperato della stazione appaltante. La carenza di requisiti per lĠaggiudicazione avrebbe determinato il difetto di legittimazione a ricorrere in quanto mai avrebbe potuto conseguire quellĠappalto. Come predetto tale tesi  stata tuttavia smentita dalla Corte di Giustizia, e di tale dato occorre prendere atto. La Corte infatti  addivenuta ad una ricostruzione che garantisce comunque lĠinteresse ÒstrumentaleÓ del partecipante a far cadere la gara per ottenere la riedizione della stessa. Al di lˆ di letture pi o meno restrittive della portata del principio affermato dalla Corte di Giustizia resta il fatto che le peculiaritˆ del caso esaminato rendono di perdurante vitalitˆ la questione oggetto della remissione allĠAdunanza plenaria di cui alle citate ordinanze del 2013. Di certo il punto fermo  che il mero aspetto ÒprocessualeÓ ovverosia la regola di esame delle questioni di cui agli artt. 76, IV comma, del d. lgs. n.104/2010 e 276, II co., del codice di procedura civile non pu˜ assumere rilievo per negare la possibilitˆ di tutela giurisdizionale al partecipante alla gara. In tal senso pare corretto ritenere che quello che dovrˆ essere principalmente oggetto di revisione da parte della Plenaria rispetto alla posizione del 2011  il concetto stesso di legittimazione, che nellĠambito del giudizio amministrativo assume una connotazione peculiare ed in gran parte autonoma rispetto allĠomologa nozione processual-civilsitica. Tale profilo  stato ben messo in luce dallĠordinanza n. 2684/2013 in quanto mentre nel processo civile la questione della legittimazione  principalmente legata alla prospettazione della parte (coincidenza tra il soggetto che propone la domanda e il soggetto che nella domanda si afferma titolare del diritto), nel processo amministrativo quella recepita  una nozione pi marcatamente sostanziale: Ònon basta che il ricorrente si autodichiari titolare dellĠinteresse che fa valere, ma occorre andare a verificare se ne sia effettivamente titolare, se cio egli sia realmente titolare di una posizione giuridica differenziata e normativamente qualificataÓ. Se ci˜  vero, la verifica di merito richiesta per accertare la legittimazione esclude che il semplice ordine delle questioni possa assurgere a discrimine nella garanzia della tutela giurisdizionale effettiva. Corte di Giustizia dellĠUnione Europea, Decima Sezione, sentenza del 4 luglio 2013 nella causa C-100/12 -Pres. A. Rosas, Rel. D. .v‡by, Avv. Gen. J. Kokott - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte - Fastweb SpA contro Azienda Sanitaria Locale di Alessandria. ÇAppalti pubblici Direttiva 89/665/CEE Ricorso in materia di appalti pubblici Ricorso proposto contro la decisione di aggiudicazione di un appalto da un offerente escluso Ricorso fondato sulla motivazione che lĠofferta prescelta non sarebbe conforme alle specifiche tecniche dellĠappalto Ricorso incidentale dellĠaggiudicatario fondato sullĠinosservanza di alcune specifiche tecniche dellĠappalto nellĠofferta presentata dallĠofferente che ha proposto il ri CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INERNAZIONALE 43 corso principale Offerte entrambe non conformi alle specifiche tecniche dellĠappalto Giurisprudenza nazionale che impone di esaminare in via preliminare il ricorso incidentale e, in caso di fondatezza di questĠultimo, di dichiarare inammissibile il ricorso principale senza esaminarlo nel merito Compatibilitˆ con il diritto dellĠUnioneÈ 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sullĠinterpretazione della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative allĠapplicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dellĠ11 dicembre 2007 (GU L 335, pag. 31; in prosieguo: la Çdirettiva 89/665È). 2 Tale domanda  stata presentata nellĠambito di una controversia tra Fastweb SpA (in prosieguo: ÇFastwebÈ), da una parte, e lĠAzienda Sanitaria Locale di Alessandria, nonchŽ Telecom Italia SpA (in prosieguo: ÇTelecom ItaliaÈ) ed una controllata di questĠultima, Path-Net SpA (in prosieguo: ÇPath-NetÈ), dallĠaltra, a proposito dellĠaggiudicazione di un appalto pubblico a tale controllata. Contesto normativo 3 Il secondo ed il terzo considerando della direttiva 89/665 sono formulati come segue: Ç[C]onsiderando che i meccanismi attualmente esistenti, sia sul piano nazionale sia sul piano comunitario, per garantire [lĠ]applicazione [effettiva delle direttive in materia di appalti pubblici] non sempre permettono di garantire il rispetto delle disposizioni comunitarie, in particolare in una fase in cui le violazioni possono ancora essere corrette; considerando che lĠapertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione e che occorre, affinchŽ essa sia seguita da effetti concreti, che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che recepiscano tale dirittoÈ. 4 Il considerando 3 della direttiva 2007/66 cos“ recita: Ç[É] le garanzie di trasparenza e di non discriminazione che costituiscono lĠobiettivo [in particolare della direttiva 89/665] dovrebbero essere rafforzate per garantire che la Comunitˆ nel suo complesso benefici pienamente degli effetti positivi dovuti alla modernizzazione e alla semplificazione delle norme sullĠaggiudicazione degli appalti pubblici, operate [in particolare dalla direttiva 2004/18/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114)] (...)È. 5 Ai sensi dellĠarticolo 1 della direttiva 89/665, rubricato ÇAmbito di applicazione e accessibilitˆ delle procedure di ricorsoÈ: Ç1. La presente direttiva si applica agli appalti di cui alla direttiva [2004/18], a meno che tali appalti siano esclusi a norma degli articoli da 10 a 18 di tale direttiva. Gli appalti di cui alla presente direttiva comprendono gli appalti pubblici, gli accordi quadro, le concessioni di lavori pubblici e i sistemi dinamici di acquisizione. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla direttiva [2004/18], le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto pi rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2 septies della presente direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono. (...) 3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalitˆ dettagliate che gli Stati membri possono determinare, [per lo meno] a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere lĠaggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. (...)È. 6 LĠarticolo 2, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce quanto segue: ÇGli Stati membri provvedono affinchŽ i provvedimenti presi in merito alle procedure di ricorso di cui allĠarticolo 1 prevedano i poteri che consentono di: (...) b) annullare o far annullare le decisioni illegittime (É); (...)È. 7 Il considerando 2 della direttiva 2004/18  formulato come segue: ÇLĠaggiudicazione degli appalti negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri organismi di diritto pubblico  subordinata al rispetto dei principi del trattato [FUE] ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, della libertˆ di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonchŽ ai principi che ne derivano, quali i principi di paritˆ di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalitˆ e di trasparenza. Tuttavia, per gli appalti pubblici con valore superiore ad una certa soglia  opportuno elaborare disposizioni di coordinamento comunitario delle procedure nazionali di aggiudicazione di tali appalti fondate su tali principi, in modo da garantirne gli effetti ed assicurare lĠapertura degli appalti pubblici alla concorrenza. Di conseguenza, tali disposizioni di coordinamento dovrebbero essere interpretate conformemente alle norme ed ai principi citati, nonchŽ alle altre disposizioni del trattatoÈ. 8 Ai sensi dellĠarticolo 2 della direttiva: ÇLe amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di paritˆ, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenzaÈ. 9 LĠarticolo 32 della direttiva in questione cos“ dispone: Ç(...) 2. Ai fini della conclusione di un accordo quadro, le amministrazioni aggiudicatrici seguono le regole di procedura previste dalla presente direttiva in tutte le fasi fino allĠaggiudicazione degli appalti basati su tale accordo quadro. (...) Gli appalti basati su un accordo quadro sono aggiudicati secondo le procedure previste ai paragrafi 3 e 4. (...) (...) 4. (...) Gli apalti basati su accordi quadro conclusi con pi operatori economici possono essere aggiudicati: (...) qualora lĠaccordo quadro non fissi tutte le condizioni, dopo aver rilanciato il confronto competitivo fra le parti in base alle medesime condizioni, se necessario precisandole, e, se del caso, ad altre condizioni indicate nel capitolato dĠoneri dellĠaccordo quadro, secondo la seguente procedura: CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INERNAZIONALE 45 a) per ogni appalto da aggiudicare le amministrazioni aggiudicatrici consultano per iscritto gli operatori economici che sono in grado di realizzare lĠoggetto dellĠappalto; (...) d) le amministrazioni aggiudicatrici aggiudicano ogni appalto allĠofferente che ha presentato lĠofferta migliore sulla base dei criteri di aggiudicazione fissati nel capitolato dĠoneri dellĠaccordo quadroÈ. Procedimento principale e questione pregiudiziale 10 Conformemente al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ÇCodice dellĠamministrazione digitaleÈ (supplemento ordinario alla GURI n. 112 del 16 maggio 2005), il Centro Nazionale per lĠInformatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA)  abilitato a concludere contratti quadro con operatori economici da esso individuati. Le amministrazioni non statali hanno facoltˆ di attribuire appalti fondati su tali contratti quadro, sulla base delle proprie esigenze di servizio. 11 Il CNIPA ha concluso un contratto quadro di questo tipo, in particolare, con Fastweb e Telecom Italia. Il 18 giugno 2010, lĠAzienda Sanitaria Locale di Alessandria ha indirizzato a tali societˆ una richiesta di progetto riguardante Çlinee dati/foniaÈ sulla base di un Çpiano di fabbisogniÈ. Con delibera del 15 settembre 2010, essa ha scelto il progetto presentato da Telecom Italia, concludendo un contratto con una controllata di questĠultima, Path-Net, il 27 dello stesso mese. 12 Fastweb ha proposto ricorso contro la decisione di aggiudicazione dellĠappalto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte. Telecom Italia e Path-Net sono intervenute nel procedimento, proponendo ricorso incidentale. La legittimitˆ dellĠofferta di ciascuno degli operatori viene contestata dal suo unico concorrente a causa del mancato rispetto di alcune specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni. 13 In esito alla verificazione dellĠidoneitˆ delle offerte presentate dalle due societˆ rispetto al piano di fabbisogni, disposta dal giudice del rinvio,  stato constatato che nessuna delle due offerte risultava conforme allĠinsieme delle specifiche tecniche imposte dal piano. Secondo tale giudice, una simile constatazione dovrebbe logicamente condurre allĠaccoglimento dei due ricorsi e, di conseguenza, ad annullare la procedura di aggiudicazione dellĠappalto pubblico in questione, dal momento che nessun offerente ha presentato unĠofferta idonea a dar luogo ad aggiudicazione. Tale soluzione soddisferebbe lĠinteresse del ricorrente principale, in quanto la rinnovazione della procedura di aggiudicazione gli procurerebbe una nuova chance di ottenere lĠappalto. 14 Il giudice del rinvio rileva tuttavia che, con decisione del 7 aprile 2011, resa in adunanza plenaria, il Consiglio di Stato, a proposito dei ricorsi in materia di appalti pubblici, ha enunciato un principio di diritto secondo il quale lĠesame di un ricorso incidentale diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, in quanto illegittimamente ammesso a partecipare alla procedura di aggiudicazione controversa, deve precedere lĠesame del ricorso principale, anche nel caso in cui il ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dellĠintera procedura di aggiudicazione e indipendentemente sia dal numero dei concorrenti che vi hanno preso parte, sia dal tipo di censura prospettata con il ricorso incidentale, sia infine dalle richieste dellĠamministrazione interessata. 15 Il Consiglio di Stato ritiene infatti che la legittimazione a ricorrere contro la decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico spetti soltanto al soggetto che abbia legittimamente partecipato alla procedura di aggiudicazione. Secondo tale giudice, lĠaccertamento dellĠillegittimitˆ dellĠammissione del ricorrente principale alla procedura avrebbe una portata retroattiva e lĠesclusione definitiva di questĠultimo dalla suddetta procedura comporterebbe che esso si trovi in una situazione che non gli permette di contestare lĠesito della procedura stessa. 16 Secondo questa giurisprudenza del Consiglio di Stato, lĠinteresse pratico alla rinnovazione della procedura di aggiudicazione invocato dalla parte che abbia proposto ricorso contro la decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico non attribuisce a questĠultima una posizione giuridica fondante la legittimazione al ricorso. Tale interesse non si distinguerebbe infatti da quello di qualsiasi altro operatore economico del settore che aspiri a partecipare ad una futura procedura di aggiudicazione. Pertanto, il ricorso incidentale diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale dovrebbe essere sempre esaminato per primo, anche quando gli offerenti siano solo due, ossia il ricorrente principale, cio lĠofferente escluso e il ricorrente incidentale, cio lĠaggiudicatario. 17 Il giudice del rinvio esprime dubbi sulla compatibilitˆ di tale giurisprudenza, in particolare nella misura in cui essa afferma incondizionatamente la prevalenza del ricorso incidentale su quello principale, con i principi di paritˆ di trattamento, non discriminazione, libera concorrenza e tutela giurisdizionale effettiva, quali recepiti negli articoli 1, paragrafo 1, e 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 89/665. Secondo tale giudice, infatti, lĠesame in via preliminare ed eventualmente assorbente del ricorso incidentale attribuisce allĠaggiudicatario un vantaggio ingiustificato rispetto a tutti gli altri operatori economici che hanno partecipato alla procedura di aggiudicazione, qualora risulti che lĠappalto gli  stato aggiudicato illegittimamente. 18 Alla luce di quanto sopra, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: ÇSe i principi di paritˆ delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza nei pubblici appalti, di cui alla Direttiva [89/665], ostino al diritto vivente quale statuito nella decisione dellĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2011, secondo il quale lĠesame del ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale attraverso lĠimpugnazione della sua ammissione alla procedura di gara, deve necessariamente precedere quello del ricorso principale ed abbia portata pregiudiziale rispetto allĠesame del ricorso principale, anche nel caso in cui il ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dellĠintera procedura selettiva e indipendentemente dal numero dei concorrenti che vi hanno preso parte, con particolare riferimento allĠipotesi in cui i concorrenti rimasti in gara siano soltanto due (e coincidano con il ricorrente principale e con lĠaggiudicatario-ricorrente incidentale), ciascuno mirante ad escludere lĠaltro per mancanza, nelle rispettive offerte presentate, dei requisiti minimi di idoneitˆ dellĠoffertaÈ. Sulla ricevibilitˆ della domanda di pronuncia pregiudiziale 19 Telecom Italia, Path-Net e il governo italiano contestano la ricevibilitˆ della domanda di pronuncia pregiudiziale per diversi motivi. Tuttavia, le quattro eccezioni di irricevibilitˆ sollevate al riguardo non possono essere accolte. 20 In primo luogo, infatti, il presente rinvio pregiudiziale  avvenuto in un caso che rientra perfettamente nella previsione dellĠarticolo 267 TFUE. Ai sensi del primo e del secondo comma di tale articolo, un giudice di uno Stato membro pu˜ domandare alla Corte di pronunciarsi su qualsiasi questione relativa allĠinterpretazione dei trattati e degli atti di CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INERNAZIONALE 47 diritto derivato, qualora reputi una decisione su questo punto necessaria per emanare la sua sentenza nella controversia di cui  investito. Orbene, nel caso di specie, dalla decisione di rinvio emerge che il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte esprime dei dubbi in merito alle implicazioni della direttiva 89/665 nel contesto fattuale e processuale della controversia di cui al procedimento principale, prospettando due possibili risposte dalle quali discenderebbero soluzioni diverse di tale controversia. 21 In secondo luogo, la decisione del giudice del rinvio contiene una descrizione sufficientemente chiara del contesto giuridico nazionale, in quanto essa descrive e chiarisce la giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale  fondata sullĠinterpretazione, fornita da questĠultimo, dellĠinsieme delle norme e dei principi processuali di diritto nazionale rilevanti in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nonchŽ delle conseguenze che ne derivano, secondo tale giudice, in merito allĠammissibilitˆ del ricorso principale dellĠofferente escluso. 22 In terzo luogo, nonostante il giudice del rinvio non indichi la specifica disposizione di diritto dellĠUnione della quale aspira ad ottenere lĠinterpretazione, esso si riferisce esplicitamente, giˆ nella stessa questione pregiudiziale, alla direttiva 89/665, e la decisione di rinvio contiene un insieme di informazioni sufficientemente completo per permettere alla Corte di individuare gli elementi di tale diritto che richiedono unĠinterpretazione, tenuto conto dellĠoggetto del procedimento principale (v., per analogia, sentenza del 9 novembre 2006, Chateignier, C.346/05, Racc. pag. I.10951, punto 19 e giurisprudenza citata). 23 Infine, in quarto luogo, non risulta che tale controversia riguardi un appalto pubblico rientrante in una delle eccezioni di cui allĠarticolo 1, paragrafo 1, della direttiva 89/665. Pertanto, nella misura in cui lĠimporto di tale appalto raggiunga la soglia per lĠapplicazione della direttiva 2004/18 fissata allĠarticolo 7 di questĠultima, cosa che spetta al giudice del rinvio accertare, ma di cui nulla al momento induce a dubitare, le due citate direttive sono applicabili ad un appalto come quello di cui al procedimento principale. Va ricordato, in proposito, che il fatto che una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico riguardi soltanto imprese nazionali  irrilevante ai fini dellĠapplicazione della direttiva 2004/18 (v., in tal senso, sentenza del 16 dicembre 2008, Michaniki, C.213/07, Racc. pag. I.9999, punto 29 e giurisprudenza citata). Sulla questione pregiudiziale 24 Con la sua questione, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se le disposizioni della direttiva 89/665, e in particolare i suoi articoli 1 e 2, debbano essere interpretate nel senso che se, in un procedimento di ricorso, lĠaggiudicatario solleva unĠeccezione di inammissibilitˆ fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dellĠofferente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che lĠofferta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dallĠautoritˆ aggiudicatrice per non conformitˆ alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, il suddetto articolo 1, paragrafo 3, osta al fatto che tale ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dellĠesame preliminare di tale eccezione di inammissibilitˆ, quando il ricorrente contesta a sua volta la legittimitˆ del- lĠofferta dellĠaggiudicatario con identica motivazione e soltanto questi due operatori economici hanno presentato unĠofferta. 25 Va rilevato che dallĠarticolo 1 della direttiva 89/665 deriva che questĠultima mira a consentire la proposizione di ricorsi efficaci contro le decisioni delle autoritˆ aggiudicatrici contrarie al diritto dellĠUnione. Secondo il paragrafo 3 del suddetto articolo, gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo le modalitˆ che gli Stati membri possono determinare, almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere lĠaggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. 26 A questo proposito, una decisione con cui lĠautoritˆ aggiudicatrice esclude unĠofferta prima ancora di procedere alla selezione costituisce una decisione contro la quale devĠessere possibile ricorrere, ai sensi dellĠarticolo 1, paragrafo 1, della direttiva 89/665, essendo tale disposizione applicabile a tutte le decisioni adottate dalle autoritˆ aggiudicatrici soggette alle norme di diritto dellĠUnione in materia di appalti pubblici e non prevedendo essa alcuna limitazione relativa alla natura e al contenuto di dette decisioni (v., in particolare, sentenza del 19 giugno 2003, HackermŸller, C.249/01, Racc. pag. I.6319, punto 24, e giurisprudenza citata). 27 In tal senso, al punto 26 della citata sentenza HackermŸller, la Corte ha affermato che il fatto che lĠautoritˆ dinanzi alla quale si svolge il procedimento di ricorso neghi la partecipazione a tale procedimento, per mancanza della legittimazione a ricorrere, ad un offerente escluso prima ancora di procedere a una selezione, avrebbe lĠeffetto di privare tale offerente non solo del suo diritto a ricorrere contro la decisione di cui egli afferma lĠillegittimitˆ, ma altres“ del diritto di contestare la fondatezza del motivo di esclusione allegato da detta autoritˆ per negargli la qualitˆ di persona che sia stata o rischi di essere lesa dallĠasserita illegittimitˆ. 28 Certamente, quando, al fine di ovviare a tale situazione, viene riconosciuto allĠofferente il diritto di contestare la fondatezza di detto motivo di esclusione nellĠambito del procedimento instaurato a seguito di un ricorso avviato da questĠultimo per contestare la legittimitˆ della decisione con cui lĠautoritˆ aggiudicatrice non ha ritenuto la sua offerta come la migliore, non si pu˜ escludere che, al termine di tale procedimento, lĠautoritˆ adita pervenga alla conclusione che detta offerta avrebbe dovuto effettivamente essere esclusa in via preliminare e che il ricorso dellĠofferente debba essere respinto in quanto, tenuto conto di tale circostanza, egli non  stato o non rischia di essere leso dalla violazione da lui denunciata (v. sentenza HackermŸller, cit., punto 27). 29 In una situazione del genere, allĠofferente che ha proposto ricorso contro la decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico deve essere riconosciuto il diritto di contestare dinanzi a tale autoritˆ, nellĠambito di tale procedimento, la fondatezza delle ragioni in base alle quali la sua offerta avrebbe dovuto essere esclusa (v., in tal senso, sentenza HackermŸller, cit., punti 28 e 29). 30 Tale insegnamento  applicabile, in linea di principio, anche qualora lĠeccezione di inammissibilitˆ non sia sollevata dĠufficio dallĠautoritˆ investita del ricorso, ma in un ricorso incidentale proposto da una parte nel procedimento di ricorso, come lĠaggiudicatario regolarmente intervenuto nello stesso. 31 Nel procedimento principale, il giudice del rinvio, allĠesito della verifica dellĠidoneitˆ delle offerte presentate dalle due societˆ in questione, ha constatato che lĠofferta presentata da Fastweb non era conforme allĠinsieme delle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni. Esso  giunto peraltro alla stessa conclusione in relazione allĠofferta presentata dallĠaltro offerente, Telecom Italia. 32 Una situazione del genere si distingue da quella oggetto della citata sentenza HackermŸller, in particolare per essere risultato che, erroneamente, lĠofferta prescelta non  stata esclusa al momento della verifica delle offerte, nonostante essa non rispettasse le specifiche tecniche del piano di fabbisogni. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INERNAZIONALE 49 33 Orbene, dinanzi ad una simile constatazione, il ricorso incidentale dellĠaggiudicatario non pu˜ comportare il rigetto del ricorso di un offerente nellĠipotesi in cui la legittimitˆ dellĠofferta di entrambi gli operatori venga contestata nellĠambito del medesimo procedimento e per motivi identici. In una situazione del genere, infatti, ciascuno dei concorrenti pu˜ far valere un analogo interesse legittimo allĠesclusione dellĠofferta degli altri, che pu˜ indurre lĠamministrazione aggiudicatrice a constatare lĠimpossibilitˆ di procedere alla scelta di unĠofferta regolare. 34 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione sollevata dichiarando che lĠarticolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, lĠaggiudicatario che ha ottenuto lĠappalto e proposto ricorso incidentale solleva unĠeccezione di inammissibilitˆ fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dellĠofferente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che lĠofferta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dal- lĠautoritˆ aggiudicatrice per non conformitˆ alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dellĠesame preliminare di tale eccezione di inammissibilitˆ senza pronunciarsi sulla compatibilitˆ con le suddette specifiche tecniche sia dellĠofferta dellĠaggiudicatario che ha ottenuto lĠappalto, sia di quella dellĠofferente che ha proposto il ricorso principale. Sulle spese 35 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (decima sezione) dichiara: LĠarticolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative allĠapplicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dellĠ11 dicembre 2007, deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, lĠaggiudicatario che ha ottenuto lĠappalto e proposto ricorso incidentale solleva unĠeccezione di inammissibilitˆ fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dellĠofferente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che lĠofferta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dallĠautoritˆ aggiudicatrice per non conformitˆ alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dellĠesame preliminare di tale eccezione di inammissibilitˆ senza pronunciarsi sulla conformitˆ con le suddette specifiche tecniche sia dellĠofferta dellĠaggiudicatario che ha ottenuto lĠappalto, sia di quella dellĠofferente che ha proposto il ricorso principale. Attivitˆ di protezione civile tra contratti di appalto, affidamenti in house, accordi fra pubblice amministrazioni E alla luce delle pronunce della Corte di Giustizia dellĠUnione Europea e della giurisprudenza nazionale. Interpretazione della sentenza della CGUEdel 19 dicembre 2012, C-159/11 Sabrina Trivelloni* SOMMARIO: Premessa - 1. Onerositˆ della prestazione di servizi - 2. Nozione di operatore economico - 3. Affidamento in house - 4. Servizi di cui allĠAllegato II della direttiva 2004/18/CE. LĠapplicazione della deroga di cui allĠart. 16, comma 1, lettera f) della direttiva 2004/18/CE (art. 19, comma 1, lettera f) del D. Lgs. 163/2006) - 5. Il diritto esclusivo. La deroga di cui allĠart. 18 della direttiva 2004/18/CE (art. 19, comma 2, D. Lgs. 163/2006) - 6. La cooperazione tra soggetti pubblici. Premessa. Come noto, lĠart. 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 istituisce il Servizio nazionale della Protezione civile, con lo scopo di tutelare ÒlĠintegritˆ della vita, i beni, gli insediamenti e lĠambiente da danni o dal pericolo di danni derivanti da calamitˆ naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosiÓ. Al fine di garantire il perseguimento del predetto scopo, lĠart. 3 della medesima legge - come modificato dalla recente riforma attuata dal D.L. 15 maggio 2012, n. 59 convertito dalla legge 12 luglio 2012, n. 100 - individua le relative attivitˆ di protezione civile, consistenti nella previsione e prevenzione dei rischi, oltre che nel soccorso delle popolazioni sinistrate ed in ogni azione necessaria ed indifferibile diretta al superamento dellĠemergenza ed alla mitigazione del rischio relativa ad eventi e calamitˆ naturali o connessi con lĠattivitˆ dellĠuomo. Ai sensi di quanto previsto dallĠart. 6, comma 1, della legge de qua, al- lĠattuazione dellĠattivitˆ di protezione civile provvedono e vi concorrono, Òsecondo i rispettivi ordinamenti e competenzeÓ, tutte le Componenti del Servizio nazionale della protezione civile, ovvero Òle amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni, le comunitˆ montane, gli enti pubblici, gli istituti ed i centri di ricerca scientifica con finalitˆ di protezione civile, nonchŽ ogni altra istituzione ed organizzazione anche privataÓ. La medesima disposizione conclude prevedendo che Òa tal fine, le strutture nazionali e locali di protezione civile possono stipulare convenzioni con soggetti pubblici e privatiÓ. (*) Dottore in Giurisprudenza, giˆ praticante forense presso lĠAvvocatura dello Stato. Sembrerebbe, pertanto, che il legislatore, attraverso il predetto art. 6, abbia voluto individuare nella convenzione lo strumento ideale per garantire lĠespletamento delle attivitˆ di protezione civile. Tale affermazione, tuttavia, necessita di maggiore approfondimento nei termini di seguito indicati. Il richiamato art. 6, comma 1, della legge 225/92, nella parte in cui prevede la stipula di convenzioni con soggetti pubblici, pu˜ ragionevolmente interpretarsi quale norma speciale, in materia di protezione civile, rispetto allĠart. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che prevede generalmente la possibilitˆ, per le pubbliche amministrazioni, di concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivitˆ di interesse comune. La medesima disposizione, invece, potrebbe presentare profili di illegittimitˆ costituzionale per violazione dellĠart. 117, comma 1, Cost. - con riferimento al parametro interposto di cui alla direttive comunitarie in materia di appalti pubblici - nella parte in cui prevede la possibilitˆ di concludere convenzioni con soggetti privati, benchŽ Componenti del servizio nazionale di protezione civile, nei limiti in cui tali convenzioni abbiano ad oggetto attivitˆ che potrebbero rivestire le caratteristiche dei servizi di cui allĠallegato II della direttiva 2004/18/CE. Le convenzioni stipulate con soggetti privati, infatti, benchŽ formalmente concluse ai sensi dellĠart. 6 della legge 225/92, potrebbero integrare nella sostanza i requisiti di un appalto pubblico di servizi, come tale soggetto alla disciplina della direttiva 2004/18/CE. Il presente studio, pertanto, intende preliminarmente analizzare i requisiti in presenza dei quali una convenzione formalmente stipulata ai sensi dellĠart. 6 della legge 225/92 configuri nella sostanza un appalto pubblico di servizi con conseguente assoggettamento alle procedure ad evidenza pubblica di cui alle direttive comunitarie - per poi verificare in che limiti le convenzioni ex art. 6 legge 225/92 possano integrare, invece, i presupposti di una cooperazione tra pubbliche amministrazioni ex art. 15 della legge 241/90 - secondo le indicazioni fornite da ultimo dalla recente pronuncia della Corte UE del 19 dicembre 2012, C-159/11 - o, invece, possano presentare le caratteristiche di un affidamento in house, ferma restando la verifica circa lĠapplicabilitˆ delle deroghe di cui allĠart. 16, comma 1, lettera f) ed art. 18 della direttiva 2004/18/CE. Nella suddetta indagine, si farˆ riferimento alle convenzioni che il Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri stipula con i Centri di Competenza - ovvero con le componenti del servizio nazionale di protezione civile titolari della funzione di fornire informazioni, dati, elaborazioni, e contributi tecnico scientifici, ognuno per definiti ambiti di specializzazione, in relazione alle diverse tipologie di rischio - individuati dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 settembre 2012, recante ÒDefinizione dei principi per l'individuazione ed il funzionamento dei Centri di CompetenzaÓ, adottato in attuazione dellĠart. 3 bis, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225. La scelta di far riferimento ai Centri di competenza  dettata dalla circostanza che la maggior parte delle convenzioni in materia di protezione civile sono stipulate proprio con tali soggetti; tuttavia le conclusioni a cui il presente studio perviene sono suscettibili di applicazione alla totalitˆ delle convenzioni stipulate con le Componenti del servizio nazionale di protezione civile. Esaurita tale doverosa premessa, al fine di verificare i presupposti in presenza dei quali una convenzione ex art. 6 della legge 225/92 rientri nel campo di applicazione della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, deve analizzarsi lĠart. 1 della direttiva 2004/18/CE che definisce gli appalti pubblici di servizi come contratti a titolo oneroso tra uno o pi operatori economici e una o pi amministrazioni aggiudicatrici, aventi per oggetto la prestazione di servizi di cui allĠallegato II. 1. Onerositˆ della prestazione di servizi. Il primo requisito richiesto dallĠart. 1 della direttiva 2004/18/CE ai fini della qualificazione di un accordo come appalto pubblico, pertanto,  lĠonerositˆ della prestazione di servizi che, secondo lĠinterpretazione fornita dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza del 12 luglio 2001, C-399/98, Ordine degli Architetti; sentenza 18 gennaio 2007, C-220/05, Auroux e.a.; sentenza 29 novembre 2007, C-119/06, Commissione/Italia), consiste in ogni vantaggio economicamente valutabile, ivi compresa lĠipotesi in cui il corrispettivo promesso a fronte del servizio sia limitato al rimborso delle spese sostenute per lĠespletamento dello stesso (sentenza del 19 dicembre 2012, C-159/11, ASL Lecce e Universitˆ del Salento /Ordine degli Ingegneri di Lecce ed altri). La suddetta impostazione della giurisprudenza comunitaria  stata seguita anche dal Consiglio di Stato (Sez. VI, 10 gennaio 2007, n. 30) il quale - con riferimento ad un contratto avente ad oggetto il servizio di erogazione di prestiti personali ai dipendenti di un ente pubblico affidato direttamente dallĠente medesimo a istituti bancari in assenza di procedura ad evidenza pubblica - ha ritenuto il carattere oneroso del richiamato contratto sul presupposto per cui Òpur in assenza di un corrispettivo pecuniario a carico dellĠente pubblico, viene in rilievo unĠutilitˆ contendibile sub specie di vantaggio pubblicitario e di avvicinamento ad una clientela di notevoli dimensioni che danno la stura ad unĠipotesi paradigmatica di rilevanza economica indirettaÓ. Deve segnalarsi, tuttavia, come il Consiglio di Stato, Sez. III, con recente ordinanza n. 1195 del 27 febbraio 2013, sembra discostarsi dal descritto concetto di onerositˆ, rimettendo alla Corte di Giustizia dellĠUnione Europea, ex art. 267 del Trattato sul Funzionamento dellĠUnione Europea, la questione circa lĠonerositˆ o meno di un contratto che preveda, allĠinterno del rimborso delle spese, anche il rimborso dei costi fissi e durevoli (ÒDica la Corte di Giustizia se il diritto dellĠUnione in materia di appalti pubblici osti ad una normativa nazionale che permetta lĠaffidamento diretto del servizio di trasporto sanitario, dovendo qualificarsi come oneroso un accordo quadro, quale quello in contestazione, che preveda il rimborso anche dei costi fissi e durevoli nel tempoÓ). Secondo la tesi seguita dalla sez. III del Consiglio di Stato, il mero rimborso delle spese non  sufficiente al fine di integrare il requisito dellĠonerositˆ della prestazione di servizi, dovendosi richiedere, invece, un ulteriore presupposto, ovvero che il rimborso non si limiti a coprire i soli costi diretti legati al servizio ma abbracci anche i costi indiretti e generali legati allĠattivitˆ stabilmente svolta dal soggetto affidatario (utenze, canoni, spese condominiali, assicurazioni e comunque spese generali e di funzionamento), s“ da far configurare il rimborso quale un vero e proprio corrispettivo per la prestazione svolta. Tale impostazione non appare in linea con il descritto orientamento della giurisprudenza comunitaria, seguita da quella nazionale, secondo cui il mero rimborso spese, a prescindere dalla copertura delle singole voci di costo,  di per sŽ suscettibile di integrare il requisito dellĠonerositˆ del contratto ogniqualvolta il prestatore ottenga dallĠaffidamento del servizio un vantaggio economicamente valutabile che non deve necessariamente consistere in un compenso di natura economica, ben potendo consistere anche in unĠutilitˆ mediata. Ci˜ premesso, ai sensi del richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 settembre 2012, recante ÒDefinizione dei principi per l'individuazione ed il funzionamento dei Centri di CompetenzaÓ, le convenzioni che il Dipartimento della Protezione civile stipula con i Centri di Competenza possono prevedere esclusivamente il riconoscimento delle Òspese sostenute per la realizzazione delle attivitˆ richieste, senza la previsione di alcun utile o ulteriore spesaÓ. Conseguentemente, si ritiene che le suddette convenzioni integrino il requisito dellĠonerositˆ. 2. Nozione di operatore economico. Con riferimento al profilo soggettivo, la Corte di giustizia dellĠUE (sentenza 23 dicembre 2009, C-305/08, CoNISMA) interpreta in maniera estensiva il concetto di operatore economico, includendovi Òqualunque persona fisica o giuridica o un ente pubblico che offra sul mercato la realizzazione di serviziÓ a prescindere dalla struttura imprenditoriale, dallo scopo di lucro e dalla presenza continua sul mercato, cos“ includendovi anche le Universitˆ che, ai sensi della normativa nazionale, sono autorizzate a fornire prestazioni di ricerca e consulenza ad enti pubblici o privati, purchŽ tale attivitˆ non comprometta la loro funzione didattica. Secondo la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia, 29 novembre 2007, C-119/06, Commissione/Italia), anche le associazioni di volontariato devono essere ricomprese nella descritta nozione di operatore economico, in quanto lĠassenza di fini di lucro non esclude di per sŽ che le stesse associazioni di volontariato - le quali, ad esempio, garantiscono servizi di trasporto dĠurgenza e di trasporto malati - esercitino attivitˆ economiche in concorrenza con altri operatori (nello stesso senso, Cons. Stato Sez. VI, 23 gennaio 2013, n. 387; Cons. Stato Sez. III, 20 novembre 2012, n. 5882; Cons. Stato, Sez. III, ordinanza n. 1195 del 27 febbraio 2013). Ci˜ premesso, lĠart. 2, comma 2, del citato DPCM del 14 settembre 2012 individua i centri di competenza: 1) nelle strutture operative di cui allĠart. 11 della legge 225/1992 (Corpo nazionale dei vigili del fuoco, Forze di Polizia, Corpo Forestale dello Stato, Servizi tecnici nazionali, Gruppi nazionali di ricerca scientifica, lĠIstituto nazionale di geofisica, Croce rossa Italiana, Strutture del Servizio sanitario nazionale, organizzazioni di volontariato e Corpo nazionale soccorso alpino); 2) nei soggetti pubblici di cui allĠart. 1, comma 3, della legge 196/2009 deputati a svolgere attivitˆ, ricerche e studi in forza di leggi e provvedimenti per il perseguimento di fini istituzionali; 3) nei soggetti partecipati da componenti del Servizio nazionale di protezione civile, istituiti con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e lĠalta formazione, laddove il medesimo soggetto sia a totale partecipazione pubblica, svolga la propria attivitˆ prioritariamente in favore del Servizio nazionale di protezione civile e sia soggetto a vigilanza da parte del Dipartimento della protezione civile; 4) nelle Universitˆ, Dipartimenti universitari e Centri di ricerca. A prescindere dalle Universitˆ e dalle associazioni di volontariato, che la Corte di Giustizia dellĠUE ha definito espressamente Òoperatori economiciÓ, non pu˜ escludersi, in linea di principio, che anche gli altri soggetti pubblici e privati individuati dal suddetto D.P.C.M. possano essere inclusi nellĠampia nozione delineata dalla giurisprudenza comunitaria, laddove la normativa nazionale gli consenta di prestare servizi sul mercato. In particolare, con riferimento ai soggetti di cui al n. 3, deve verificarsi se sussistano i presupposti richiesti dalla giurisprudenza comunitaria affinchŽ si configuri lĠaffidamento in house che esclude la sussistenza stessa dellĠappalto di servizi, essendo il soggetto affidatario unĠarticolazione di quello affidante e non, invece, un soggetto distinto. 3. Affidamento in house. Secondo lĠinsegnamento della Corte di Giustizia dellĠU.E., i requisiti richiesti affinchŽ si configuri un affidamento in house - che devono essere oggetto di interpretazione rigorosa e restrittiva - consistono nella circostanza che ÒlĠautoritˆ pubblica eserciti sullĠente distinto un controllo analogo a quello che esercita sui propri serviziÓ e che Òil soggetto affidatario realizzi la parte pi importante della propria attivitˆ in favore dellĠente pubblico di appartenenzaÓ (sentenza 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal). 3.1. Il requisito del controllo analogo presuppone la partecipazione pubblica totalitaria del soggetto a cui viene affidato il servizio, mentre deve escludersi in presenza di un soggetto partecipato anche da privati, in quanto in tal caso lĠamministrazione non potrebbe esercitare lo stesso controllo che svolge sui propri servizi (sentenza 19 aprile 2007, C-295/05, Asociaci˜n Nacional de Empresas Forestales c. Transformaci˜n Agraria SA; 21 luglio 2005, C-231/03, Consorzio Coname; 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle). La giurisprudenza ha chiarito che, in astratto,  configurabile un Òcontrollo analogoÓ anche nel caso di partecipazione pubblica indiretta, in cui il pacchetto azionario non sia detenuto direttamente dallĠente pubblico, ma indirettamente mediante una societˆ per azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta al 100% dallĠente medesimo (sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04, Carbotermo). La Corte (sentenza del 13 novembre 2008, C-324/07, Coditel Bradant Sa; sentenza 29 novembre 2012, C-182/11 e C-183/11, Econord s.p.a.) ha ammesso, anche, la possibilitˆ che il soggetto affidatario sia partecipato da una pluralitˆ di enti pubblici, come nel caso di una societˆ cooperativa intercomunale detenuta esclusivamente da autoritˆ pubbliche, quando il controllo sul- lĠente affidatario pu˜ essere esercitato congiuntamente (nello stesso senso, Cons. Stato Sez. V, 8 marzo 2011, n. 1447). In tal caso, il requisito del controllo analogo deve essere verificato secondo un criterio sintetico e non atomistico, con la conseguenza  soddisfatto quando il controllo pubblico sull'ente affidatario, purchŽ effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalitˆ, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente (Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2011, n. 1447; Cons. Stato, sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092; Corte di Giustizia 13 novembre 2008, in causa C-324/07, Coditel Brabant Sa.). Tuttavia, come chiarito dalla giurisprudenza comunitaria, la partecipazione pubblica totalitaria, per quanto necessaria, non  da sola sufficiente ad integrare il requisito in esame, occorrendo anche unĠinfluenza determinante da parte dellĠente pubblico, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti del soggetto affidatario, da valutare caso per caso con riferimento alle disposizioni normative ed alle circostanze concrete (sentenza 11 maggio 2006, C-340/04, Carbotermo; sentenza 13 ottobre 2005, C-458/03, Parking Brixen). Negli stessi termini si esprime la giurisprudenza nazionale che accoglie la descritta nozione di controllo analogo elaborata dalla giurisprudenza comunitaria (da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 20 dicembre 2012, n. 6565), richiedendo Ònon solo che i soci pubblici detengano la totalitˆ delle azioni, ma anche che siano dotati di poteri decisionali (direttivi, ispettivi e di nomina) idonei a determinare unĠinfluenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della societˆÓ. 3.2. In senso particolarmente restrittivo la giurisprudenza comunitaria ha inteso anche il secondo requisito della sentenza Teckal, quello dellĠattivitˆ svolta prevalentemente a favore dellĠente affidante, ritenendo che tale condizione sia soddisfatta quando lĠaffidatario diretto non fornisca i suoi servizi a soggetti diversi dallĠente controllante, anche se pubblici, ovvero li fornisca in misura quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle strategie aziendali (sentenza 17 luglio 2008, C-371/05, Commissione/Italia; sentenza 11 maggio 2006, C-340/04, Carbotermo Spa). La Corte (sentenza 17 luglio 2008, C-371/05, Commissione/Italia) afferma che un soggetto svolge la parte pi importante della sua attivitˆ con lĠente che lo detiene se lĠattivitˆ di impresa  Òdestinata principalmente al- lĠente ed ogni altra attivitˆ risulta avere solo carattere marginaleÓ (nello stesso senso la giurisprudenza nazionale, Cons. Stato, sez. VI, 20 dicembre 2012, n. 6565; Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 2011, n. 2151). NellĠipotesi di enti partecipati da pi soggetti pubblici, la Corte (sentenza 17 luglio 2008, C-371/05, Commissione/Italia) ha affermato che lĠattivitˆ prevalente da prendere in considerazione, al fine di verificare la sussistenza del requisito,  quella realizzata dallĠente in house nei confronti di tutti i soggetti controllanti e non nei confronti di ciascuno di essi. 3.3. Alla luce di queste considerazioni, pertanto, deve valutarsi se i soggetti di cui allĠart. 1, comma 2, lettera b) del D.P.C.M. del 14 settembre 2012 (soggetti partecipati da componenti del Servizio nazionale di protezione civile, istituiti con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e lĠalta formazione, laddove il medesimo soggetto sia a totale partecipazione pubblica, svolga la propria attivitˆ prioritariamente in favore del Servizio nazionale di protezione civile e sia soggetto a vigilanza da parte del Dipartimento della protezione civile) soddisfino i richiamati requisiti in materia di affidamento in house. Dal tenore letterale della disposizione (Òsoggetti partecipati da componenti del Servizio nazionale di protezione civileÓ) non  dato comprendere se essi siano partecipati anche dal Dipartimento della Protezione civile, che stipula con essi le convenzioni o comunque da soggetti a loro volta partecipati al 100% dal Dipartimento. Inoltre, sembra che la Òvigilanza da parte del Dipartimento della protezione civileÓ sui suddetti soggetti non equivalga al concetto di controllo analogo delineato dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale tenuto conto che, come giˆ riferito, tale requisito consiste nel Òpotere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dellĠattivitˆ del soggetto partecipato, e riguarda lĠinsieme dei pi importanti atti di gestione del medesimoÓ (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 11 febbraio 2013, n. 762). 3.3.1. Occorre poi rilevare e sottolineare che il Consiglio di Stato (Cons. stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514; Cons. Stato, sez. VI, 25 novembre 2008, n. 5781), ha escluso la possibilitˆ di utilizzare il modello dellĠin house in assenza di unĠapposita disposizione normativa che lo preveda, sul presupposto che lĠin house non costituisce un principio generale, prevalente sulla normativa interna, ma  un principio derogatorio di carattere eccezionale che consente e non obbliga i legislatori nazionali a prevedere tale forma di affidamento. Nella medesima pronuncia, il Consiglio di Stato ha ricordato come una norma di carattere generale sia stata proposta nel primo schema del codice degli appalti, per poi essere espunta dal testo finale del D. Lgs. n. 163/2006, a conferma della volontˆ del legislatore di non generalizzare il modello dellĠin house a qualsiasi forma di affidamento di lavori, servizi e forniture. Nel caso di specie, occorre dunque verificare se possa configurarsi una disposizione espressa che riconosca la possibilitˆ, anche nellĠambito dellĠattivitˆ statale di protezione civile, di affidamento diretto di un servizio ad un soggetto interamente partecipato dallĠAmministrazione aggiudicante. Tale verifica potrebbe dar luogo a un esito positivo, facendo leva proprio sullĠart. 6, legge n. 225/1992, nella parte in cui prevede che Òle strutture nazionali e locali di protezione civile possono stipulare convenzioni con soggetti pubblici e privatiÓ, cos“ ammettendo anche lĠistituto dellĠin house in detto settore, pur omettendo il riferimento ai requisiti comunitari del controllo analogo ed allĠattivitˆ svolta prevalentemente a favore dellĠente affidante. Potrebbe sostenersi che lĠart. 6 della legge n. 225/1992, nel silenzio del legislatore, debba essere interpretato nel senso che siano ammesse convenzioni concluse senza procedura di evidenza pubblica con soggetti c.d. in house, ma con le limitazioni di una interpretazione ÒcomunitariamenteÓ orientata, ovvero sempre a condizione che sussistano i citati presupposti necessari per il configurarsi della fattispecie dellĠin house. 3.4. Deve, infine, segnalarsi come lĠart. 4, comma 6 del D.L. 95/2012, convertito con modificazioni nella legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135, abbia previsto quanto segue: ÒA decorrere dal 1Ħ gennaio 2013 le pubbliche amministrazioni di cui allĠarticolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformitˆ con la disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dellĠamministra zione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e lĠalta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni ed attivitˆ culturali, dellĠistruzione e della formazione, le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, gli enti di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, le organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le associazioni sportive dilettantistiche di cui allĠarticolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonchŽ le associazioni rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti territoriali e localiÓ. Come confermato dalla lettura della relazione illustrativa (acquisita dagli atti parlamentari), la suddetta norma vieta alle pubbliche amministrazioni, a partire dal 1Ħ gennaio 2013, lĠaffidamento diretto in house agli enti privati di cui agli artt. da 13 a 42, c.c. (associazioni anche non riconosciute, fondazioni e comitati) di servizi a titolo oneroso, imponendo lĠespletamento delle procedure di gara previste dalla normativa nazionale in conformitˆ con quella comunitaria. Fanno eccezione a questo divieto gli affidamenti a soggetti in house rientranti in categorie tassativamente elencate, tra cui le fondazioni di ricerca, ovvero istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e lĠalta formazione tecnologica, e gli enti di volontariato. Con riferimento, pertanto, ai suddetti soggetti, pu˜ ancora prospettarsi la possibilitˆ di un affidamento in house dei servizi a titolo oneroso da parte delle amministrazioni di cui allĠart. 1, comma 2, D.Lgs. 165/2001 - sempre che naturalmente ne ricorrano i descritti presupposti richiesti dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale - mentre, per gli altri enti privati (associazioni anche non riconosciute, fondazioni e comitati), lĠin house  precluso dalla citata disposizione a partire dal 1Ħ gennaio 2013. 4. Servizi di cui allĠAllegato II della direttiva 2004/18/CE. LĠapplicazione della deroga di cui allĠart. 16, comma 1, lettera f) della direttiva 2004/18/CE (art. 19, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 163/2006). Con riferimento al requisito oggettivo, lĠart. 1, comma 1 del D.P.C.M. del 14 settembre 2012 prevede che i centri di competenza Òforniscono informazioni, dati, elaborazioni e contribuiti tecnico - scientifici, ognuno per i definiti ambiti di specializzazione di interesse del Servizio nazionale di protezione civile, in relazione alle diverse tipologie di rischio che interessano il territorioÓ. Tali servizi potrebbero rientrare tra i Òservizi di ricerca e sviluppoÓ o tra i Òservizi attinenti allĠarchitettura e allĠingegneria, anche integrata; servizi affini di consulenza scientifica e tecnica; servizi di sperimentazione tecnica e analisiÓ elencati allĠallegato II della direttiva 2004/18, e quindi soggetti alla relativa disciplina che impone la procedura di evidenza pubblica. Tuttavia, ai sensi dellĠart. 16, comma 1, lettera f) della direttiva 2004/18/CE, la direttiva medesima Ònon si applica ai contratti pubblici concernenti servizi di ricerca e sviluppo diversi da quelli i cui risultati appartengono esclusivamente allĠamministrazione aggiudicatrice perchŽ li usi nellĠesercizio della sua attivitˆ, a condizione che la prestazione del servizio sia interamente retribuita da tale amministrazioneÓ. Secondo il considerando n. 23 della stessa direttiva, Òa norma dellĠarticolo 163 del trattato, la promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico costituisce uno dei mezzi per potenziare le basi scientifiche e tecnologiche dellĠindustria della Comunitˆ e lĠapertura degli appalti pubblici di servizi contribuisce al conseguimento di questo obiettivoÓ. Sulla base del citato art. 16, comma 1, lettera f) della direttiva 2004/18/CE potrebbe sostenersi che ai servizi di ricerca e sviluppo prestati dai centri di competenza non si applichi la disciplina della direttiva 2004/18/CE, qualora tali servizi perseguano finalitˆ tecnico - scientifiche i cui risultati siano diretti a vantaggio dellĠintera collettivitˆ, sempre a condizione che la prestazione degli stessi sia interamente retribuita dal Dipartimento della Protezione civile. Per orientare la verifica della sussistenza di questi requisiti, pu˜ essere utile richiamare le considerazioni che lĠavvocato generale presso la Corte di Giustizia dellĠUE, nelle conclusioni relative alla citata Causa 159/11 (punto 56): questi ha manifestato i propri dubbi sullĠapplicazione di tale norma alla convenzione stipulata dalla Asl con lĠUniversitˆ tenuto conto che Òsebbene, a termini del contratto di consulenza, tutti i risultati derivanti dallĠattivitˆ sperimentale appartenessero alla ASL, questĠultima era comunque tenuta, in caso di pubblicazione dei risultati in ambito tecnico - scientifico, a citare espressamente lĠUniversitˆ. Ci˜ solleva la questione della misura in cui la proprietˆ dei risultati della ricerca spettasse alla USLÓ. é evidente quindi che lĠapplicazione concreta di questa disciplina alla varia casistica che pu˜ offrirsi allĠesame dellĠoperatore  quanto meno problematica. La disposizione di cui allĠart. 16, comma 1, lettera f) della direttiva 2004/18/CE  stata recepita dal legislatore italiano nellĠart. 19, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 163/2006, fra i contratti di servizi esclusi dallĠapplicazione del codice. Peraltro, deve attirarsi lĠattenzione sullĠart. 27 del D.Lgs. 163/2006, che stabilisce che lĠaffidamento dei contratti pubblici aventi per oggetto servizi esclusi dallĠambito di applicazione del codice deve avvenire nel rispetto dei principi di economicitˆ, paritˆ di trattamento, trasparenza, proporzionalitˆ e deve essere preceduto da un invito ad almeno cinque concorrenti (Cons. Stato, Ad. Plen., 3 marzo 2008, n. 1). Secondo lĠAutoritˆ per la vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Deliberazione n. 72 del 9 settembre 2009), i contratti di ricerca e sviluppo esclusi dallĠambito di applicazione del codice sono assoggettati non solo ai principi di cui allĠart. 27, ma anche alla disciplina di cui allĠart. 20, comma 1 dello stesso Codice che prevede, per i servizi elencati nellĠallegato II B, lĠapplicazione dellĠarticolo 68 (specifiche tecniche), dellĠarticolo 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e dellĠarticolo 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati). Alla luce delle suddette considerazioni, deve ritenersi che lĠapplicazione della suddetta disposizione non esclude la necessitˆ di rispettare i principi del Trattato di cui allĠart. 27 che impongono, quantomeno, il previo invito ad almeno cinque concorrenti. 5. Il diritto esclusivo. La deroga di cui allĠart. 18 della direttiva 2004/18/CE (art. 19, comma 2, D.Lgs. 163/2006). Ai sensi dellĠart. 18 della direttiva 2004/18/CE, recepito fedelmente dal- lĠart. 19, comma 2, D.Lgs. 163/2006, Òla presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi aggiudicati da unĠamministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore ad unĠaltra amministrazione aggiudicatrice o ad unĠassociazione o consorzio di amministrazioni aggiudicatrici, in base ad un diritto esclusivo di cui esse beneficiano in virt di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative pubblicate, purchŽ tali disposizioni siano compatibili con il trattatoÓ. Il Consiglio di Stato, in una recente pronuncia (n. 4452 del 25 luglio 2011) ha escluso lĠapplicazione della suddetta disposizione al servizio di elaborazione informatica e di notificazione dei verbali relativi alle sanzioni amministrative affidato dal Comune di Casoria a Societˆ Poste Italiane sul presupposto che se Ònon  contestato che alla Societˆ Poste Italiane sia riservata ex lege la notificazione degli atti a mezzo del servizio postale in quanto concessionaria del servizio postale universale ai sensi dellĠart. 23 del D.Lgs. 261/1999Ó, esorbitano, invece, Òdal raggio di azione di tali diritti esclusivi i servizi, pure oggetto dellĠaffidamento, relativi alla fornitura di software e hardware e le attivitˆ di archiviazioneÓ. In applicazione del richiamato art. 18 della direttiva 2004/18/CE, potrebbe in linea di principio sostenersi lĠesistenza di un diritto esclusivo dei centri di competenza, previsto dallĠart. 6 delle legge 225/92, ad espletare le attivitˆ oggetto di convenzione, ovvero le attivitˆ di protezione civile. Siffatta tesi, tuttavia, pare difficilmente percorribile, tenuto conto che lĠeccesiva genericitˆ dellĠart. 6 della legge 225/1992, che si riferisce ad una vasta platea di soggetti (Òle amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni e le comunitˆ montane, gli enti pubblici, gli istituti ed i gruppi di ricerca scientifica con finalitˆ di protezione civile nonchŽ ogni altra istituzione ed organizzazione anche privataÓ), esclude di per sŽ la possibilitˆ di individuare un soggetto titolare del citato diritto esclusivo allo svolgimento del servizio. 6. La cooperazione tra soggetti pubblici. 6.1. Altra deroga elaborata dalla giurisprudenza allĠapplicazione della disciplina prevista dalla direttiva 2004/18/CE  costituita dagli accordi di cooperazione tra enti pubblici finalizzati a garantire lĠadempimento di una funzione di servizio pubblico comune ad entrambi. Come riconosciuto dalla sentenza C-480/06, unĠautoritˆ pubblica pu˜ adempiere i compiti di interesse pubblico ad essa incombenti in collaborazione con altre autoritˆ pubbliche. 6.2. La Corte di Giustizia UE nella citata sentenza del 19 dicembre 2012, C159/ 11 ha specificato i presupposti necessari affinchŽ si configuri una cooperazione tra enti pubblici: a) il contratto stipulato tra enti pubblici deve perseguire il fine di garantire lĠadempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, b) deve essere retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi dĠinteresse generale, c) deve essere tale da non porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti. 6.3. Deve dunque, in via immediata, rilevarsi che - trattandosi di cooperazione tra pubbliche amministrazioni - la deroga in esame non sembra poter riguardare le convenzioni stipulate dal Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri con soggetti privati (ancorchŽ centri di competenza ai sensi dellĠart. 6, legge 225/92). UnĠestensione delle possibilitˆ di affidamento diretto anche ai casi di accordo pubblico-privato, per il solo fatto che il privato sia un centro di competenza ai sensi dellĠart. 6 cit., parrebbe in aperto contrasto con la menzionata giurisprudenza della Corte di Giustizia. Non si disconosce il fatto che nellĠordinamento nazionale, e in particolare con lĠart. 6 cit., sia prevista la possibilitˆ di stipulare convenzioni anche con soggetti privati che siano inquadrabili tra i centri di competenza. Tale previsione, tuttavia, non pare pi in linea con la recente giurisprudenza comunitaria, che ammette una deroga al principio della necessaria evidenza pubblica nei soli casi di accordi /convenzione tra enti pubblici. 6.4. Le convenzioni stipulate con i centri di competenza che hanno veste di soggetto pubblico potrebbero qualificarsi come accordi tra pubbliche amministrazioni e, quindi, potrebbero essere sottratte alla disciplina della gara. Le suddette convenzioni sono stipulate al solo fine di garantire lĠadempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti stipulanti, e sono rette unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi dĠinteresse generale. Il Dipartimento e gli enti pubblici che siano centri di competenza sono titolari, ai sensi dellĠart. 6, legge n. 225/1992, della funzione pubblica delle attivitˆ di protezione civile, ed  previsto lo strumento delle convenzioni come modulo organizzativo ideale per il coordinamento tra detti soggetti. Gli accordi tra enti pubblici sottoscritti ai sensi dellĠart. 6, pertanto, sembrerebbero del tutto distinti e differenti da quello oggetto della decisione della Corte di Giustizia dellĠUE nella citata sentenza di cui alla causa 159/11. La convenzione sottoposta allĠesame della Corte nella pronuncia de qua aveva, infatti, ad oggetto un servizio di consulenza relativo allo studio ed alla valutazione della vulnerabilitˆ sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce che, pare correttamente,  stato ritenuto estraneo alla funzione di servizio pubblico svolta dallĠUniversitˆ, ovvero alla ricerca scientifica. La Corte di Giustizia ha ritenuto che il contratto di cooperazione non garantiva lĠadempimento di una funzione di servizio pubblico comune allĠASL ed allĠUniversitˆ e, quindi, come tale doveva essere sottoposto alla gara. 6.5. Tanto premesso, considerata invece la peculiaritˆ delle funzioni dei centri di competenza come delineate dallĠart. 6, legge n. 225/1992, e tenendo conto della nozione restrittiva di Òfunzione comuneÓ adottata dalla Corte di Giustizia, deve ritenersi che la stipulazione delle convenzioni tra Pubbliche Amministrazioni ex art. 15, legge n. 241/1990 (e nellĠambito della protezione civile, ex art. 6, legge 225/1992) sia consentita quando il legislatore attribuisca alle amministrazioni che ne siano parte: a) funzioni di servizio pubblico identiche: ossia attribuiscano a detti enti, pur distinti, la medesima funzione, che pu˜ essere svolta individualmente da ciascuno di essi, ma anche, e per ovvie finalitˆ di maggiore efficienza, in coordinamento reciproco tra essi; b) o comunque funzioni che hanno, per espressa previsione normativa, una connotazione lĠuna strumentale rispetto alla funzione dellĠaltra Amministrazione stipulante la convenzione, anche, ma non necessariamente, in via reciproca: pu˜ cio accadere che unĠAmministrazione sia investita, per legge (e nellĠambito dei poteri che la Costituzione attribuisce al legislatore nellĠorganizzazione della Pubblica Amministrazione), di svolgere una funzione strumentale rispetto allĠattivitˆ di unĠaltra Amministrazione, e che sia quindi opportuno regolare con convenzione il coordinamento tra le due (sotto questo profilo pu˜ evocarsi anche quanto sancito in tema di diritto esclusivo dallĠart. 18 della direttiva 2004/18/CE, di cui si  detto nel ¤ 5). Nel caso di specie, la legge n. 225/1992 prevede la stipula di convenzioni attraverso le quali il Dipartimento della Protezione civile e gli enti pubblici di cui allĠart. 6, tra cui le Universitˆ, concorrono, cooperando tra loro, allo svolgimento di una funzione pubblica comune ad entrambe, ovvero allĠattuazione delle attivitˆ di protezione civile. Sembra quindi configurarsi lĠipotesi di Òfunzioni di servizio pubblico comuni e identicheÓ. 6.6. Con riferimento allĠultimo presupposto necessario affinchŽ possa parlarsi di cooperazione fra enti pubblici - lĠaccordo non deve essere tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti deve rilevarsi che la Corte di Giustizia ha ritenuto lĠinsussistenza di tale requisito nel contratto concluso dallĠASL con lĠUniversitˆ in quanto esso consentiva allĠUniversitˆ di ricorrere, per la realizzazione di alcune prestazioni, a collaboratori esterni altamente qualificati tra cui prestatori privati. LĠart. 3, comma 6, del richiamato D.P.C.M. del 14 settembre 2012 consente ai Centri di competenza di avvalersi, per lĠespletamento delle attivitˆ ed essi affidate, di altri soggetti tecnico-scientifici, nel rispetto della normativa vigente in materia di acquisizione di beni e servizi. Deve ritenersi dunque che, ove sia assicurata una procedura di evidenza pubblica Òa valleÓ da parte dei Centri di competenza per il reclutamento dei soggetti tecnico-scientifici di cui avvalersi, e ci˜ avvenga dopo la stipula della convenzione e con specifica finalizzazione alla sua esecuzione, sia scongiurato il rischio di realizzare unĠindebita posizione di privilegio per un prestatore privato. Diversamente, le clausole che consentono ai Centri di competenza di avvalersi, per lĠespletamento di parte delle attivitˆ oggetto della convenzione, di soggetti privati, seppur altamente specializzati, in assenza di una procedura di evidenza pubblica, appaiono evidentemente in contrasto con il citato presupposto richiesto dalla suddetta giurisprudenza comunitaria. 6.7. Deve segnalarsi come lĠAutoritˆ per la vigilanza sui contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture, con la determinazione n. 7 del 21 ottobre 2010, abbia fornito indicazioni in merito ai requisiti richiesti ai fini della configurazione di una cooperazione pubblico - pubblico, affermando che 1. lĠaccordo deve regolare la realizzazione di un interesse pubblico, effettivamente comune ai partecipanti, che le parti hanno lĠobbligo di perseguire come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalitˆ istituzionali degli enti coinvolti; 2. alla base dellĠaccordo deve esserci una reale divisione di compiti e responsabilitˆ; 3. i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono lĠaccordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno; 4. il ricorso allĠaccordo non pu˜ interferire con il perseguimento del- lĠobiettivo principale delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici, ossia la libera circolazione dei servizi e lĠapertura alla concorrenza non falsata negli Stati membri. Pertanto, la collaborazione tra amministrazioni non pu˜ trasformarsi in una costruzione di puro artificio diretta ad eludere le norme menzionate e gli atti che approvano lĠaccordo, nella motivazione, devono dar conto di quanto su esposto. 6.8. Deve rilevarsi, peraltro, come nel 2011, la Commissione dellĠUnione Europea abbia presentato una proposta di nuova direttiva europea sui contratti pubblici che, allĠart. 11, comma 4, disciplina gli accordi tra pubbliche amministrazioni, delineandone i requisiti necessari al fine di sottrarli alla disciplina prevista per gli appalti pubblici. Secondo la richiamata disposizione, gli accordi stipulati tra pubbliche amministrazioni non si qualificano in termini di appalti pubblici quando soddisfano i seguenti requisiti: a) lĠaccordo stabilisce unĠautentica cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, che mira a far s“ che esse svolgano congiuntamente i loro compiti di servizio pubblico e che implica diritti ed obblighi reciproci delle parti; b) lĠaccordo  retto esclusivamente da considerazioni inerenti allĠinteresse pubblico; c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti non svolgono sul mercato aperto pi del 10% - in termini di fatturato - delle attivitˆ pertinenti allĠaccordo; d) lĠaccordo non comporta trasferimenti finanziari tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti diversi da quelli corrispondenti al rimborso dei costi effettivi dei lavori, dei servizi o delle forniture; e) nelle amministrazioni aggiudicatrici non vi  alcuna amministrazione privata. Tale disposizione - benchŽ in linea con i principi espressi dalla citata giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia UE, sentenza 19 dicembre 2012, C-159/11) e con le indicazioni fornite dallĠAutoritˆ per la vigilanza sui contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture, nella richiamata determinazione n. 7 del 21 ottobre 2010 - subordina la sussistenza degli accordi tra pubbliche amministrazioni ad un requisito ulteriore rispetto a quelli richiesti dalla Corte di Giustizia U.E., ovvero la circostanza che le amministrazioni stipulanti non espletino sul mercato aperto pi del 10% - in termini di fatturato - delle attivitˆ pertinenti allĠaccordo. Tal requisito, siccome previsto allo stato da una mera proposta di direttiva ed in assenza di indicazioni contrarie da parte della giurisprudenza comunitaria, non sembra debba vincolare le amministrazioni nellĠelaborazione degli accordi di cooperazione. *** In conclusione, lĠart. 6, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nella parte in cui consente la stipula di convenzioni con le Componenti del servizio nazionale di protezione civile che rivestono natura di soggetti pubblici, deve interpretarsi come norma speciale, applicabile alla sola materia di protezione civile, rispetto alla disciplina generale di cui allĠart. 15 della legge n. 241 del 7 agosto 1990. La parte della norma de qua, invece, che prevede la conclusione delle medesime convenzioni con soggetti privati, necessita di unĠinterpretazione Òcomunitariamente orientataÓ con riferimento allĠapplicazione delle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, pena la sua declaratoria di illegittimitˆ costituzionale ex art. 117, comma 1, Cost.. La medesima disposizione, poi, alla luce del richiamato orientamento della giurisprudenza nazionale (Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1541, confermata da Cons. Stato, sez. VI, 25 novembre 2008, n. 5781, cfr. ¤ 3.3.1.), potrebbe rivestire particolare rilevanza nellĠipotesi in cui la Componente del servizio nazionale di protezione civile presenti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria per il configurarsi della fattispecie dellĠaffidamento in house. Potrebbe sostenersi, infatti, che lĠart. 6, comma 1, della legge 225/92, debba essere interpretato come disposizione espressa che consente, anche nellĠambito dellĠattivitˆ di protezione civile, il ricorso alla fattispecie dellĠin house, ammettendo convenzioni concluse senza procedure ad evidenza pubblica con soggetti c.d. in house, sempre a condizione che sussistano i relativi presupposti del controllo analogo e dellĠattivitˆ prevalentemente svolta a favore dellĠente controllante. contenzioso nazionale CONTENZIOSO NAZIONALE Una questione di principio sulla sentenza FIOM (Corte costituzionale, sentenza 23 luglio 2013 n. 213) Glauco Nori* La sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013, che ha richiamato lĠattenzione per il rilevo dei giudizi di merito che lĠhanno provocata, fa sorgere anche una questione di principio sulla quale la Corte non si  soffermata, almeno formalmente, alla quale  il caso di accennare:  stata dichiarata costituzionalmente illegittima una norma nel testo modificato attraverso un referendum, diventata illegittima proprio per le modifiche referendarie. Nel suo testo originario la disposizione legislativa non avrebbe fatto sorgere la questione di merito perchŽ lĠassociazione sindacale interessata, anche dopo il suo rifiuto di sottoscrivere il contratto aziendale, avrebbe partecipato ugualmente alla rappresentanza sindacale aziendale, in quanto aderente ad una delle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Una volta venuto meno questo titolo di legittimazione a seguito del referendum,  diventata attuale la questione sulla quale la Corte si  pronunciata dichiarando la illegittimitˆ costituzionale dellĠart. 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 Ònella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nellĠambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati allĠunitˆ produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavatori dellĠaziendaÓ. La Corte ha giudicato corretta la premessa formulata dal giudice remittente secondo il quale Òla soluzione di una lettura estensiva della espressione Ôassociazioni firmatarieĠ, nel senso della sua riferibilitˆ anche alle organiz (*) Avvocato dello Stato, Presidente emerito del Comitato scientifico di questa Rassegna. zazioni che abbiano comunque partecipato al processo contrattuale cui, in analoghe circostanze, altri giudici di merito sono pervenuti, in funzione di una Ôinterpretazione adeguatriceĠ al dettato costituzionale della disposizione in esame non , preliminarmente, ritenuta condivisibile dal Tribunale rimettente, per lĠunivocitˆ del dato testuale che inevitabilmente vi si opporrebbeÓ. Il referendum che ha modificato lĠoriginaria disposizione oggi dichiarata illegittima,  stato dichiarato ammissibile dalla Corte con sentenza n. 1 del 1994 dopo aver rilevato che erano state rispettate le esigenze di chiarezza, univocitˆ ed omogeneitˆ del quesito e che la coesistenza di due quesiti referendari per lĠart. 19 non dava luogo a inconvenienti applicativi della normativa di risulta. Di fronte a due sentenze, di cui la prima ha dichiarato ammissibile un referendum abrogativo e la seconda ha dichiarato illegittima costituzionalmente la norma nella formulazione risultante dal referendum, cĠ da domandarsi se e come vadano coordinate. La sentenza n. 213 ha evidentemente presupposto che sulla verifica della legittimitˆ costituzionale della norma non avesse nessun rilievo la sentenza sullĠammissibilitˆ del referendum. In mancanza di indicazioni sulla ragione si pu˜ tentare una ricostruzione. é stato lĠart. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953 che ha attribuito alla Corte costituzionale la competenza a giudicare dellĠammissibilitˆ delle richieste di referendum ai sensi del secondo comma dellĠart. 75 Cost. Per questo la Corte costituzionale nella sua prima giurisprudenza si  limitata a verificare se le richieste riguardavano leggi per le quali appunto il secondo comma dellĠart. 75 Cost. non consentiva il referendum. Quando le richieste di referendum sono diventate pi impegnative e complicate la Corte ha esteso la sua indagine sulla norma di risulta perch non si creassero vuoti normativi o si stravolgesse la disciplina precedente o si incontrassero difficoltˆ applicative. ÒCon la sentenza n. 16 del 1978 la Corte ha affermato che al di lˆ dei casi di ammissibilitˆ del referendum enunciati espressamente dallĠart. 75, secondo comma, sono presenti nella Costituzione riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, valori che debbono essere tutelati escludendo i relativi referendum. Di qui lĠelaborazione e la formale enunciazione, sempre in detta sentenza, di precise ragioni costituzionali di inammissibilitˆ, tra le quali si iscrive la non abrogabilitˆ delle Ôdisposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolatoĠÓ. é questa una delle premesse dalle quali  partita la Corte nella sentenza n. 35 del 1997 nella quale ha concluso per la non ammissibilitˆ del referendum abrogativo di parti della legge sul- lĠaborto perch ÒlĠabrogazione É travolgerebbe ... disposizioni di contenuto normativo costituzionalmente vincolato sotto pi aspetti, in quanto renderebbe nullo il livello minimo di tutela necessaria dei diritti costituzionalmente inviolabili ÉÓ. Oggi lĠart. 19  stato dichiarato illegittimo costituzionalmente perchŽ Òin collisione con i precetti di cui agli art. 2, 3, e 39 Cost.Ó. In linea di principio quindi il referendum non sarebbe stato ammissibile perchŽ eliminava il contenuto normativo costituzionalmente vincolato provocando la Òesclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo, s“ da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattativeÓ. Il coordinamento tra le due sentenze, quella che ha dichiarato ammissibile il referendum e quella che ha dichiarato incostituzionale la norma di risulta, comporta qualche difficoltˆ. I criteri possono essere diversi, ognuno con dei pro e dei contro. Sembra difficile sostenere che, in sede di ammissibilitˆ del referendum, la Corte non debba domandarsi se gli effetti normativi dellĠabrogazione risultino in contrasto con la Costituzione perchŽ sarebbe irragionevole che il Giudice di costituzionalitˆ possa consentire la formazione di norme incostituzionali e perchŽ, come si  visto, la Corte in varie occasioni lo ha fatto. Questa prima ipotesi sembra improbabile. Se nella sentenza non  detto nulla a proposito della legittimitˆ costituzionale della normazione di risulta, il silenzio sarebbe privo di effetti preclusivi e non porterebbe ad un giudicato implicito: significherebbe solo che lĠindagine non  stata fatta e che quindi pu˜ essere fatta successivamente. In favore di questa seconda ipotesi potrebbe operare il principio secondo il quale la dichiarazione di legittimitˆ costituzionale di una norma non impedisce che sia dichiarata illegittima successivamente per motivi diversi. Come noto, la Corte ha chiarito da tempo che giudica solo sulle questioni sollevate con il ricorso o con lĠordinanza di rimessione. Si dovrebbe tenere conto, peraltro, della differenza delle situazioni: nel caso del referendum il giudizio  ufficioso e la Corte non interviene su sollecitazione del ricorrente o del giudice remittente, ma in un procedimento formalizzato. Se anche il silenzio nella sentenza di ammissibilitˆ portasse effetti preclusivi, questi sarebbero superati e il conflitto tra le due sentenze sarebbe solo apparente  questa la terza ipotesi perchŽ nel frattempo si sarebbe modificata la situazione di fatto facendo diventare illegittima una norma che allĠinizio non lo era. In questo senso sembra il richiamo a quanto il Giudice remittente aver rilevato a proposito della sentenza n. 244 del 1996 e dellĠordinanza n. 345 del 1996, vale a dire che Òquelle pronunzie legate ad un diverso contesto, connotato dalla unitarietˆ di azione dei sindacati e dalla unitaria sottoscrizione dei contratti collettivi applicati allĠazienda, nel quale Ôragionevolmente quella sottoscrizione poteva essere assunta a criterio misuratore della forza del sindacato e della sua rappresentativitˆĠ vadano ora Ôripensate alla luce dei mutamenti intercorsi nelle relazioni sindacali degli ultimi anniĠ, caratterizzate dalla rottura della unitˆ di azione delle organiz zazioni maggiormente rappresentative e alla conclusione di contratti collettivi separatiÓ. Prendendo spunto da questa vicenda potrebbe essere utile che la Corte in sede di giudizio di ammissibilitˆ del referendum effettuasse espressamente una verifica della legittimitˆ costituzionale delle norme di risulta. Corte costituzionale, sentenza 23 luglio 2013 n. 231 -Pres. Gallo, Rel. Morelli - Giudizi di legittimitˆ costituzionale dellĠart. 19, primo comma, lett. b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertˆ e dignitˆ dei lavoratori, della libertˆ sindacale e dellĠattivitˆ sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promossi dal Tribunale ordinario di Modena con ordinanza 4 giugno 2012, dal Tribunale ordinario di Vercelli con ordinanza 25 settembre 2012 e dal Tribunale ordinario di Torino con ordinanza 12 dicembre 2012 - (avv.ti V. Angiolini, P. Alleva e F. Focareta) per la FIOM - Federazione Impiegati Operai Metalmeccanici - Federazioni Provinciali di Modena, di Vercelli e Valsesia e di Torino, (avv.ti R. Nania, R. De Luca Tamajo e D. Dirutigliano) per Case New Holland Italia s.p.a., Maserati s.p.a. e Ferrari s.p.a., per Fiat Group Automobiles s.p.a. e per Abarth & C. Italia s.p.a., (avv. Stato Giustina Noviello) per il Presidente del Consiglio dei ministri. (Omissis) Considerato in diritto 1. Il Tribunale ordinario di Modena ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione, questione di legittimitˆ costituzionale dellĠarticolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertˆ e dignitˆ dei lavoratori, della libertˆ sindacale e dellĠattivitˆ sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nel testo risultante dallĠabrogazione parziale disposta in esito al referendum indetto con decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 85 dellĠ11 aprile 1995 dal d.P.R. 28 luglio 1995, n. 312 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare, della lettera a e parzialmente della lettera b dellĠart. 19, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, sulla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, nonchŽ differimento dellĠentrata in vigore dellĠabrogazione medesima), nella parte in cui consente la costituzione di rappresentanze aziendali alle sole Çassociazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi applicati nellĠunitˆ produttivaÈ, e non anche a quelle che abbiano comunque partecipato alla relativa negoziazione, pur non avendoli poi, per propria scelta, sottoscritti. 1.1. La rilevanza della questione  motivata dal rimettente in ragione del fatto che, nei giudizi (riuniti) innanzi a lui pendenti, il sindacato ricorrente (FIOM) aveva denunciato il comportamento antisindacale delle controparti imprenditoriali (varie societˆ del gruppo FIAT), le quali avevano disconosciuto la sua legittimazione a costituire rappresentanze sindacali, nelle rispettive unitˆ produttive, in conseguenza, appunto, della mancata sottoscrizione del contratto collettivo, ivi applicato, da parte di esso sindacato, che pure aveva attivamente partecipato alle trattative che ne avevano preceduto la conclusione. 1.2. In punto di non manifesta infondatezza del cos“ proposto quesito, il Tribunale a quo, muovendo dalla considerazione che la partecipazione al negoziato  un dato che evidenzia lĠeffettiva forza contrattuale e, di riflesso, la capacitˆ rappresentativa del sindacato, ne inferisce la Çintrinseca irragionevolezzaÈ del criterio selettivo della sottoscrizione del contratto, espresso dalla disposizione denunciata, Çnel [lĠattuale] momento in cui, applicato a fattispecie concrete, porta ad un risultato che contraddice il presupposto a dimostrazione del quale il criterio stesso era stato elaboratoÈ. Risultato cui, appunto, si perverrebbe nei processi a quibus, nei quali, alla luce di quel criterio, Çdovrebbe riconoscersi maggior forza rappresentativa alle associazioni firmatarie del contratto [É], anzichŽ alla FIOM [che non lo ha sottoscritto], laddove in fatto  incontestato il contrarioÈ. 1.3. La soluzione di una lettura estensiva della espressione Òassociazioni firmatarieÓ, nel senso della sua riferibilitˆ anche ad organizzazioni che abbiano comunque partecipato al processo contrattuale cui, in analoghe controversie, altri giudici di merito sono pervenuti, in funzione di una Òinterpretazione adeguatriceÓ al dettato costituzionale della disposizione in esame non , preliminarmente, ritenuta condivisibile dal Tribunale rimettente, per lĠunivocitˆ del dato testuale che inevitabilmente vi si opporrebbe. Da qui la conclusione che la reductio ad legitimitatem della norma denunciata, in quella delineata direzione estensiva, non possa altrimenti avvenire che attraverso un intervento (evidentemente additivo) di questa Corte. 1.4. Non ignora, peraltro, il rimettente la sentenza n. 244 del 1996, e la ordinanza n. 345 del 1996, di questa Corte, che hanno, rispettivamente, escluso la fondatezza, e dichiarato poi la manifesta infondatezza, di identiche questioni di legittimitˆ costituzionale dellĠart. 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori, in riferimento ai medesimi parametri (artt. 3 e 39 Cost.) ora nuovamente evocati. Ma ritiene che quelle pronunzie legate ad un diverso contesto, connotato dalla unitarietˆ di azione dei sindacati e dalla unitaria sottoscrizione dei contratti collettivi applicati in azienda, nel quale Çragionevolmente quella sottoscrizione poteva essere assunta a criterio misuratore della forza del sindacato e della sua rappresentativitˆÈ vadano ora Çripensate alla luce dei mutamenti intercorsi nelle relazioni sindacali degli ultimi anniÈ, caratterizzate dalla rottura della unitˆ di azione delle organizzazioni maggiormente rappresentative e dalla conclusione di contratti collettivi ÒseparatiÓ. Lo scenario delle attuali relazioni sindacali risulterebbe, inoltre, ulteriormente, e profondamente, alterato dal nuovo sistema contrattuale, definito Çautoconcluso ed autosufficienteÈ, instaurato dalle societˆ del Gruppo FIAT, le quali, uscite dal sistema confindustriale e recedute dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i metalmeccanici, hanno stipulato, nelle rispettive aziende, un separato contratto collettivo specifico di primo livello, sottoscritto appunto solo da associazioni sindacali diverse dalla ricorrente. Sarebbe mutato anche il quadro normativo di riferimento, in ragione della copiosa legislazione che ha elevato la contrattazione collettiva a fonte integrativa, suppletiva o derogatoria, della propria disciplina, in correlazione, sempre, ad un parametro di effettiva, e comparativamente maggiore, rappresentativitˆ dei sindacati stipulanti. Ed, appunto, alla luce di tali nuovi dati di sistema e di contesto, il criterio selettivo di cui alla lettera b) del primo comma del denunciato art. 19 verrebbe ora a Çtradire la ratio stessa della disposizione dello Statuto, volta ad attribuire una finalitˆ promozionale e incentivante allĠattivitˆ del sindacato quale portatore di interesse del maggior numero di lavoratori, che trova una diretta copertura costituzionale nel principio solidaristico espresso dallĠart. 2 Cost., nonchŽ nello stesso principio di uguaglianza sostanziale, di cui al secondo comma dellĠart. 3 della CostituzioneÈ. Si porrebbe, inoltre, quel criterio, in insanabile contrasto con il precetto dellĠart. 39 Cost., incidendo negativamente sulla libertˆ di azione del sindacato, la cui decisione di sottoscrivere o no un contratto collettivo ne risulterebbe inevitabilmente Çcondizionata non solo dalla fi nalitˆ di tutela degli interessi dei lavoratori, secondo la funzione regolativa propria della contrattazione collettiva, bens“ anche dalla prospettiva di ottenere (firmando) o perdere (non firmando) i diritti del Titolo III, facenti capo direttamente allĠassociazione sindacale, potendo le due esigenze, come nella fattispecie in esame, entrare in conflitto, e dovendosi inoltre valutare la necessitˆ, ai fini della sottoscrizione, del consenso e della collaborazione di parte datoriale È. Con lĠulteriore conseguenza che, Çin ipotesi estrema, ove la parte datoriale decidesse di non firmare alcun contratto collettivo, non vi sarebbe nellĠunitˆ produttiva alcuna rappresentanza sindacaleÈ. 2. Sostanzialmente la stessa questione, con coincidenti argomentazioni,  stata sollevata anche dal Tribunale ordinario di Vercelli e dal Tribunale ordinario di Torino. 3. I giudizi promossi da dette tre ordinanze, avendo il medesimo oggetto, vanno riuniti e decisi con unica sentenza. 4. In via preliminare, deve essere confermata lĠordinanza adottata nel corso dellĠudienza pubblica, ed allegata alla presente sentenza, con la quale sono stati dichiarati inammissibili gli interventi adesivi spiegati dalla CGIL, FILCAMS di Milano e Provincia e dalla Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI) nei giudizi di cui, rispettivamente, allĠordinanza del Tribunale ordinario di Modena ed a quella del Tribunale ordinario di Vercelli, nonchŽ lĠintervento ad opponendum dellĠAssociazione Unione industriale della Provincia di Torino, nel giudizio relativo allĠordinanza del Tribunale di detta cittˆ. 5. é ancora preliminare lĠesame delle eccezioni di inammissibilitˆ della questione formulate da tutte le societˆ resistenti nei giudizi a quibus e dal Presidente del Consiglio. 5.1. Ad avviso delle predette resistenti, lĠodierna questione sarebbe, infatti, inammissibile perchŽ identica a quella giˆ decisa, nel senso della non fondatezza, con la sentenza di questa Corte n. 244 del 1996; ovvero per incertezza e perplessitˆ del petitum che comunque, se additivo, Çomette[rebbe] di indicare in maniera sufficientemente circostanziata il ÒversoÓ della pretesa addizioneÈ e, se demolitorio, renderebbe la questione stessa priva di rilevanza. Argomento, questĠultimo, fatto valere anche dallĠAvvocatura generale dello Stato, secondo la quale ÇlĠeventuale declaratoria di illegittimitˆ costituzionale dellĠart. 19, lettera b), dello Statuto dei lavoratori determinerebbe il venir meno del criterio della sottoscrizione dei contratti quale criterio selettivo per lĠaccesso ai diritti di cui al Titolo III dello Statuto ma, in assenza di un diverso criterio selettivo, non darebbe titolo allĠassociazione sindacale di godere di quei dirittiÈ. Con riguardo, poi, alle sole ordinanze dei Tribunali ordinari di Vercelli e di Torino, le societˆ resistenti nei rispettivi processi promossi ai sensi dellĠart. 28 della citata legge n. 300 del 1970 hanno ulteriormente eccepito il Çdifetto di motivazione in punto di (pretesa) non manifesta infondatezza della questione di legittimitˆ costituzionale sotto i profili enunciatiÈ, per essersi detti giudici limitati a motivare per relationem allĠordinanza del Tribunale ordinario di Modena. 5.2. Nessuna delle prospettate eccezioni pu˜ essere accolta. In primo luogo, non  esatto che lĠesistenza di una precedente pronuncia di non fondatezza (ed anche di manifesta infondatezza) di una questione (ove pur) identica a quella riproposta dal giudice a quo sia, come si eccepisce, ostativa allĠammissibilitˆ di questĠultima, potendo un tal precedente unicamente, invece, rilevare nella successiva fase di esame del merito della questione stessa, alla luce degli eventuali nuovi profili argomentativi a suo supporto offerti dal rimettente. Non  poi sostenibile che il petitum della odierna questione sia incerto o perplesso, poichŽ ci˜ che i giudici a quibus chiedono ora a questa Corte in ragione della prospettata incostituzionalitˆ dellĠart. 19, primo comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970 non  una decisione demolitoria, che effettivamente darebbe luogo ad un vuoto normativo colmabile solo dal legislatore, bens“, inequivocabilmente, una pronuncia additiva che consenta (ci˜ che, appunto, altri giudici di merito hanno ritenuto di poter direttamente desumere in via di interpretazione sistematica, evolutiva o, comunque, costituzionalmente adeguata della norma stessa) di estendere la legittimazione alla costituzione di rappresentanze aziendali anche ai sindacati che abbiano attivamente partecipato alle trattative per la stipula di contratti collettivi applicati nellĠunitˆ produttiva, ancorchŽ non li abbiano poi sottoscritti (per ritenuta loro non idoneitˆ a soddisfare gli interessi dei lavoratori). E, in tal senso, il ÒversoÓ della addictio richiesta e che, in relazione ai parametri evocati, si prospetta come obbligata si sottrae, evidentemente, anche alla eccezione di non sufficientemente circostanziata sua indicazione. LĠinammissibilitˆ non pu˜ essere, infine, riferita neppure alle sole ordinanze dei Tribunali di Vercelli e di Torino. Le quali, lungi dallĠessere motivate solo per relationem alla precedente ordinanza del Tribunale di Modena, nel condividerne il petitum, richiamano puntualmente, e sviluppano anche ulteriormente, le argomentazioni che lo sorreggono. 6. Nel merito, le questioni sono fondate. 6.1. LĠarticolo 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori  stato ripetutamente sottoposto allĠesame di questa Corte. Le prime pronunce hanno riguardato la versione originaria di detto articolo, anteriore al referendum del 1995, ossia quella per la quale ÇRappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unitˆ produttiva, nellĠambito: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nellĠunitˆ produttivaÈ. I dubbi di legittimitˆ costituzionale investivano, in quel contesto, la mancata attribuzione ad ogni associazione sindacale esistente nel luogo di lavoro della possibilitˆ di costituire rappresentanze sindacali aziendali. NellĠaffermare la razionalitˆ del disegno statutario, con i due livelli di protezione accordata alle organizzazioni sindacali (libertˆ di associazione, da un lato, e selezione dei soggetti collettivi fondata sul principio della loro effettiva rappresentativitˆ, dallĠaltro), la Corte si  soffermata anche sul criterio della Òmaggiore rappresentativitˆÓ, che pur conducendo a privilegiare le confederazioni ÒstoricheÓ, non precludeva rappresentanze aziendali nellĠambito delle associazioni sindacali non affiliate alle confederazioni maggiormente rappresentative, purchŽ si dimostrassero capaci di esprimere, attraverso la firma di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nellĠunitˆ produttiva, un grado di rappresentativitˆ idoneo a tradursi in effettivo potere contrattuale a livello extra-aziendale (sentenze n. 334 del 1988 e n. 54 del 1974). 6.2. A partire dalla seconda metˆ degli anni ottanta si  sviluppato, per˜, un dibattito critico in vista di una esigenza di revisione del meccanismo selettivo della Òmaggiore rappresentativitˆÓ previsto ai fini della costituzione delle rappresentanze nei luoghi di lavoro. Ed  stata proprio questa Corte a segnalare, con un monito al legislatore, lĠormai ineludibile esigenza di elaborare nuove regole che conducessero a un ampliamento della cerchia dei soggetti chiamati ad avere accesso al sostegno privilegiato offerto dal Titolo III dello Statuto dei lavoratori, oltre ai sindacati maggiormente rappresentativi (sentenza n. 30 del 1990). LĠinvito al legislatore  stato ribadito nella sentenza n. 1 del 1994, che ha dato ingresso ai due quesiti referendari che in quellĠoccasione la Corte era chiamata ad esaminare: il primo, ÒmassimalistaÓ, volto ad ottenere ÇlĠabrogazione di tutti i criteri di maggiore rappresentativitˆ adottati dallĠart. 19, nelle lettere a e bÈ, e il secondo, ÒminimalistaÓ, mirante allĠabrogazione dellĠindice presuntivo di rappresentativitˆ previsto dalla lettera a) e allĠabbassamento al livello aziendale della soglia minima di verifica della rappresentativitˆ effettiva prevista dalla lettera b). In quella decisione, nella consapevolezza dei profili di criticitˆ che avrebbero potuto anni- darsi nel testo risultante dallĠeventuale conformazione referendaria, nuovamente, questa Corte sottoline˜ che, comunque Çil legislatore potrˆ intervenire dettando una disciplina sostanzialmente diversa da quella abrogata, improntata a modelli di rappresentativitˆ sindacale compatibili con le norme costituzionali e in pari tempo consoni alle trasformazioni sopravvenute nel sistema produttivo e alle nuove spinte aggregative degli interessi collettivi dei lavoratoriÈ. 6.3. Come  noto, in occasione del referendum indetto con decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1995 e tenutosi lĠ11 giugno 1995, ottenne il quorum solo Òil quesito minimalistaÓ, dando luogo allĠattuale art. 19, che attribuisce il potere di costituire rappresentanze aziendali alle sole associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nellĠunitˆ produttiva di qualunque livello essi siano, dunque anche di livello aziendale. Nel commentare la normativa Òdi risultaÓ, non si manc˜ di sottolineare come questa pur coerente con la ratio referendaria di allargare il pi possibile le maglie dellĠagere sindacale anche a soggetti nuovi che fossero realmente presenti ed attivi nel panorama sindacale rischiasse, per˜, nella sua accezione letterale, di prestare il fianco ad una applicazione sbilanciata: per un verso, in eccesso, ove lĠespressione Çassociazioni firmatarieÈ fosse intesa nel senso della sufficienza di una sottoscrizione, anche meramente adesiva, del contratto a fondare la titolaritˆ dei diritti sindacali in azienda (con virtuale apertura a sindacati di comodo); e, per altro verso, in difetto, ove interpretata, quella espressione, come ostativa al riconoscimento dei diritti in questione nei confronti delle associazioni che, pur connotate da una azione sindacale sorretta da ampio consenso dei lavoratori, avessero ritenuto di non sottoscrivere il contratto applicato in azienda. E ci˜ con il risultato, nellĠun caso e nellĠaltro, di una alterazione assiologica e funzionale della norma stessa, quanto al profilo del collegamento, non certamente rescisso dallĠintervento referendario, tra titolaritˆ dei diritti sindacali ed effettiva rappresentativitˆ del soggetto che ne pretende lĠattribuzione. 6.4. Le pronunzie di questa Corte, nel quinquennio successivo al referendum sentenza n. 244 del 1996, ordinanze n. 345 del 1996, n. 148 del 1997 e n. 76 del 1998 hanno fornito indicazioni, per quanto in concreto sottoposto al suo esame, solo con riguardo al primo dei due sottolineati punti critici. E, per questo aspetto, lĠart. 19, Çpur nella versione risultante dalla prova referendariaÈ, ha superato il vaglio di costituzionalitˆ sulla base di una esegesi costituzionalmente orientata, che ha condotto ad una sentenza interpretativa di rigetto. In virt della quale, dalla premessa che Çla rappresentativitˆ del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di lavoro espresso in forma pattiziaÈ, bens“ dalla Çcapacitˆ del sindacato di imporsi al datore di lavoro come controparte contrattualeÈ, la Corte ha inferito che ÇNon  perci˜ sufficiente la mera adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al processo di formazione del contrattoÈ, e che Çnemmeno  sufficiente la stipulazione di un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello aziendale di un contratto nazionale o provinciale giˆ applicato nella stessa unitˆ produttivaÈ (sentenza n. 244 del 1996). In questi termini, la Corte ha ritenuto che lĠindice selettivo di cui alla lettera b), del primo comma, dellĠart. 19 dello Statuto dei lavoratori Çsi giustifica, in linea storico-sociologica e quindi di razionalitˆ pratica, per la corrispondenza di tale criterio allo strumento di misurazione della forza di un sindacato, e, di riflesso, della sua rappresentativitˆ, tipicamente proprio del- lĠordinamento sindacaleÈ. 6.5. NellĠattuale mutato scenario delle relazioni sindacali e delle strategie imprenditoriali, quale diffusamente descritto ed analizzato dai giudici a quibus, lĠaltro (speculare) profilo di contraddizione (per sbilanciamento in difetto) teoricamente, per quanto detto, giˆ presente nel sistema della lettera b) del primo comma, dellĠart. 19, ma di fatto sin qui oscurato dalla esperienza pratica di una perdurante presenza in azienda dei sindacati confederali viene invece ora compiutamente ad emersione. E si riflette nella concretezza di fattispecie in cui, come denunciato dai rimettenti, dalla mancata sottoscrizione del contratto collettivo  derivata la negazione di una rappresentativitˆ che esiste, invece, nei fatti e nel consenso dei lavoratori addetti allĠunitˆ produttiva. In questa nuova prospettiva si richiede, appunto, una rilettura dellĠart. 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori, che ne riallinei il contenuto precettivo alla ratio che lo sottende. 6.6. LĠaporia indotta dalla esclusione dal godimento dei diritti in azienda del sindacato non firmatario di alcun contratto collettivo, ma dotato dellĠeffettivo consenso da parte dei lavoratori, che ne permette e al tempo stesso rende non eludibile lĠaccesso alle trattative, era giˆ stata del resto rilevata; e dalle riflessioni svolte in proposito era scaturita anche la sollecitazione ad una interpretazione adeguatrice della norma in questione, alla stregua della quale, superandosi lo scoglio del suo tenore letterale, che fa espresso riferimento ai sindacati ÒfirmatariÓ, si ritenesse condizione necessaria e sufficiente, per soddisfare il requisito previsto dallĠart. 19, quella di aver effettivamente partecipato alle trattative, indipendentemente dalla sottoscrizione del contratto. Interpretazione di cui si  sostenuta la coerenza con la richiamata giurisprudenza costituzionale in materia di irrilevanza, ai fini dellĠart. 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori, della mera sottoscrizione del contratto collettivo non preceduta dalla effettiva partecipazione alle trattative. I Tribunali rimettenti, a differenza di quanto ritenuto da altri giudici di merito, hanno escluso, per˜, la possibilitˆ della richiamata interpretazione adeguatrice, reputata incompatibile con il testo dellĠart. 19, e perci˜ hanno sollevato le questioni di legittimitˆ costituzionale allĠodierno esame, al fine di conseguire, attraverso una pronuncia additiva, quel medesimo risultato di estensione della titolaritˆ dei diritti sindacali, sulla base della nozione di Òeffettivitˆ dellĠazione sindacaleÓ, alle organizzazioni che abbiano partecipato alle trattative, ancorchŽ non firmatarie del contratto. 7. La Corte giudica corretta questa opzione ermeneutica, risultando effettivamente univoco e non suscettibile di una diversa lettura lĠart. 19, tale, dunque, da non consentire lĠapplicazione di criteri estranei alla sua formulazione letterale. Ma alla luce di una siffatta testuale interpretazione la disposizione in oggetto non sfugge alle censure sollevate dai rimettenti. Infatti, nel momento in cui viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro rappresentativitˆ e, per una sorta di eterogenesi dei fini, si trasforma invece in meccanismo di esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo, s“ da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattative, il criterio della sottoscrizione dellĠaccordo applicato in azienda viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli artt. 2, 3 e 39 Cost. Risulta, in primo luogo, violato lĠart. 3 Cost., sotto il duplice profilo della irragionevolezza intrinseca di quel criterio, e della disparitˆ di trattamento che  suscettibile di ingenerare tra sindacati. Questi ultimi infatti nellĠesercizio della loro funzione di autotutela dellĠinteresse collettivo che, in quanto tale, reclama la garanzia di cui allĠart. 2 Cost. sarebbero privilegiati o discriminati sulla base non giˆ del rapporto con i lavoratori, che rimanda al dato oggettivo (e valoriale) della loro rappresentativitˆ e, quindi, giustifica la stessa partecipazione alla trattativa, bens“ del rapporto con lĠazienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente di avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa. E se, come appena dimostrato, il modello disegnato dallĠart. 19, che prevede la stipulazione del contratto collettivo quale unica premessa per il conseguimento dei diritti sindacali, condiziona il beneficio esclusivamente ad un atteggiamento consonante con lĠimpresa, o quanto meno presupponente il suo assenso alla fruizione della partecipazione sindacale, risulta evidente anche il vulnus allĠart. 39, primo e quarto comma, Cost., per il contrasto che, sul piano negoziale, ne deriva ai valori del pluralismo e della libertˆ di azione della organizzazione sindacale. La quale, se trova, a monte, in ragione di una sua acquisita rappresentativitˆ, la tutela del- lĠart. 28 dello Statuto nellĠipotesi di un eventuale, non giustificato, suo negato accesso al tavolo delle trattative, si scontra poi, a valle, con lĠeffetto legale di estromissione dalle prerogative sindacali che la disposizione denunciata automaticamente collega alla sua decisione di non sottoscrivere il contratto. Ci˜ che si traduce, per un verso, in una forma impropria di sanzione del dissenso, che innegabilmente incide, condizionandola, sulla libertˆ del sindacato in ordine alla scelta delle forme di tutela ritenute pi appropriate per i suoi rappresentati; mentre, per lĠaltro verso, sconta il rischio di raggiungere un punto di equilibrio attraverso un illegittimo accordo ad excludendum. 8. Va, pertanto, dichiarata lĠillegittimitˆ costituzionale dellĠart. 19, primo comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970, nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nellĠambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nellĠunitˆ produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dellĠazienda. 9. LĠintervento additivo cos“ operato dalla Corte, in coerenza con il petitum dei giudici a quibus e nei limiti di rilevanza della questione sollevata, non affronta il pi generale problema della mancata attuazione complessiva dellĠart. 39 Cost., nŽ individua e non potrebbe farlo un criterio selettivo della rappresentativitˆ sindacale ai fini del riconoscimento della tutela privilegiata di cui al Titolo III dello Statuto dei lavoratori in azienda nel caso di mancanza di un contratto collettivo applicato nellĠunitˆ produttiva per carenza di attivitˆ negoziale ovvero per impossibilitˆ di pervenire ad un accordo aziendale. Ad una tale evenienza pu˜ astrattamente darsi risposta attraverso una molteplicitˆ di soluzioni. Queste potrebbero consistere, tra lĠaltro, nella valorizzazione dellĠindice di rappresentativitˆ costituito dal numero degli iscritti, o ancora nella introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento, o nellĠattribuzione al requisito previsto dallĠart. 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nellĠunitˆ produttiva vigente, oppure al riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Compete al legislatore lĠopzione tra queste od altre soluzioni. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara lĠillegittimitˆ costituzionale dellĠarticolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertˆ e dignitˆ dei lavoratori, della libertˆ sindacale e dellĠattivitˆ sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nellĠambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nellĠunitˆ produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dellĠazienda. Cos“ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013. Indennizzo di danni da emotrasfusione anche per contagio da emodialisi (Cassazione civile, Sez. III, sentenza 16 aprile 2013 n. 9148) Marina Russo* Con l'unita sentenza, la Corte di Cassazione ha affermato che sono suscettibili di indennizzo ai sensi della legge 210/1992 i danni da contagio da emodialisi provocato dall'insufficiente pulizia del macchinario da residui ematici di un paziente precedente. La pronuncia si pone dichiaratamente in contrasto con l'opposto orientamento espresso dalla Sezione Lavoro in un precedente in termini, e giustifica il superamento degli argomenti fondanti detto precedente con il richiamo alla successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 28/09: quest'ultima infatti nel dichiarare l'illegittimitˆ costituzionale dell'art. 3 l. 210/92 nella parte in cui non prevede che il diritto ai benefici competa anche ai soggetti che presentino danni irreversibili da epatite contratta a seguito di somministrazione di derivati del sangue - avrebbe, a giudizio della Suprema Corte, aperto la strada ad un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 3, "che prescinde dal concetto stesso di trasfusione" per estenderne la portata a fattispecie (come il contagio da emodialisi) contigue a (ma non perfettamente coincidenti con) quelle direttamente contemplate dalla norma. Cassazione civile, Sez. Terza, sentenza 16 aprile 2013 n. 9148 -Pres. G.M. Berruti, Rel. R. Frasca, P.M. T. Basile (difforme) - Ministero della salute (avv. Stato) c. C.E. (n.c.). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO ¤.1. Il Ministero della Salute ha proposto ricorso per cassazione contro C.E., nella qualitˆ di erede del defunto B.P., avverso la sentenza del 25 luglio 2006, con la quale la Corte d'Appello di Cagliari, in funzione di Giudice del Lavoro, in accoglimento dell'appello della C. ed in riforma della sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Cagliari in funzione di giudice del lavoro il 28 luglio 2004, ha accolto la domanda della medesima intesa ad ottenere nella detta qualitˆ l'assegno una tantum previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 2, comma 3, ed ha condannato il ricorrente alla sua corresponsione con gli interessi legali dal centoventunesimo giorno dalla presentazione dell'istanza in via amministrativa. ¤.2. Detta domanda era stata proposta dalla C. con ricorso al Tribunale del 1 agosto 2001, adducendosi: che il proprio coniuge B.P., affetto da insufficienza renale cronica trattata fin dal 1974 con dialisi, aveva contratto a causa di detta terapia dapprima l'epatite B e, quindi, una epatopatia cronica virale HVC, che ne aveva determinato il decesso il 17 ottobre 1996; (*) Avvocato dello Stato. che il Ministero aveva respinto la domanda amministrativa diretta ad ottenere la corresponsione dell'indennizzo ai sensi della detta normativa. ¤.3. Il Tribunale, sulla base della consulenza esperita, per quanto ancora interessa, aveva rigettato la domanda reputando che le patologie epatitiche contratte dal de cuius fossero state contratte verosimilmente per il tramite del trattamento dialitico, ma che il contagio avvenuto attraverso tale tipologia di trattamento non fosse riconducibile alla fattispecie legale giustificativa dell'indennizzo richiesto, relativa all'emotrasfusione. ¤.4. La Corte territoriale, sulla base delle risultanze dell'espletamento di una nuova consulenza tecnica d'ufficio, ha ribaltato l'esito del giudizio considerando invece il contagio da emodialisi ricompreso nella suddetta fattispecie. ¤.5. L'intimata non ha resistito al ricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE ¤.1. Il Collegio, preliminarmente, rileva che, inerendo ad impugnazione di una sentenza resa dal giudice del lavoro e della previdenza ed assistenza, il ricorso avrebbe dovuto assegnarsi alla Sezione Lavoro di questa Corte. Tuttavia, la congiunta considerazione che una rimessione al Primo Presidente del ricorso perch lo assegni a quella Sezione ritarderebbe, in conflitto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, l'esame del ricorso, nonch dell'assoluta ininfluenza dell'assegnazione alla Sezione Lavoro ai fini del rito processuale da seguirsi in questa sede di legittimitˆ, che non presenta scostamenti da quello da seguire dalle sezioni ordinarie soprattutto ai fini della decisione, induce a dar corso alla decisione. ¤.2. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione di legge in relazione all'art. 7, commi 1 e 2, lett. a), nonch D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, artt. 112 e 114; art. 360 c.p.c., n. 3". Sulla premessa che si tratterebbe di questione formulabile per la prima volta in questa sede di legittimitˆ, perch si tratterebbe "di accertare non giˆ l'effettiva titolaritˆ del rapporto sostanziale per cui  causa (questione, questa, che attiene al merito e sarebbe ormai preclusa dalla mancata tempestiva proposizione nei precedenti gradi di giudizio) bens“ di accertare - ai fini della verifica della ritualitˆ dell'instaurazione del contraddittorio - l'astratta coincidenza fra le parti in causa (attore e convenuto) e coloro che secondo la legge regolatrice del rapporto controverso - sono destinatari della sentenza", vi si sostiene, con corredo di corrispondente quesito di diritto, che il Ministero non sarebbe stato legittimato passivo all'azione, perch tale sarebbe stata la Regione Sardegna. Ci˜, perch in relazione ai giudizi, aventi ad oggetto istanze di riconoscimento dell'indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, presentate in via amministrativa in data precedente il 1 gennaio 2001 ovvero il 21 febbraio 2001 e non ancora definite a quelle date, la legittimazione passiva alla successiva azione giudiziaria sarebbe stata delle Regioni. ¤.2.1. L'assunto  fondato innanzitutto sull'allegazione che nella fattispecie si tratterebbe di "un caso in cui - come si evince dal ricorso introduttivo - l'istanza  stata infruttuosamente presentata dall'interessato in sede amministrativa in epoca anteriore al 1.1.01 (data a decorrere dalla quale l'esercizio delle funzioni in materia transita alla regione), e non definita all'epoca del suddetto transito (pag. 2 del ricorso di primo grado, punti da 5 a 7)". La sua illustrazione prosegue, poi, con una serie di argomentazioni, che si sforzano di dimostrare l'assunto ripercorrendo la vicenda normativa in materia, a partire dalla L. n. 59 del 1997, e dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 114, nonch dall'art. 7 di tale D.Lgs., e, quindi, evocando il D.P.C.M. 26 maggio 2000, quanto all'art. 3, comma 1, e art. 2, n. 4, l'Accordo Governo/ Regioni dell'8 agosto 2001 ed in fine il D.P.C.M. 8 gennaio 2001. ¤2.2. Il Collegio osserva che la questione posta nel motivo  ammissibile, ancorch pro spettata per la prima volta in questa sede di legittimitˆ. Lo  sulla base del principio di diritto secondo cui "Il difetto di legittimazione attiva o passiva, da valutarsi in base allo schema normativo astratto al quale si riconduce il diritto fatto valere in giudizio,  questione che, pur risultando decisiva per l'esistenza della titolaritˆ di tale diritto (e, dunque, afferendo in senso lato al merito),  rilevabile anche in sede di legittimitˆ alla duplice condizione che non si sia formata sulla sua esistenza cosa giudicata interna (per essere stato il punto ad essa relativo oggetto di discussione e poi di decisione rimasta priva di impugnazione) e che la questione emerga sulla base dei fatti legittimamente prospettati davanti alla Corte di cassazione e, dunque, nel rispetto dei limiti entro i quali deve svolgersi l'attivitˆ deduttiva della parti negli atti introduttivi del giudizio di cassazione" (da ultimo cos“ Cass. n. 23568 del 2011, dove si trova ampia analisi dello stato della giurisprudenza della Corte ed anche si rafforza l'argomentazione al lume di Cass. sez. un. n. 26019 del 2008, in punto di limiti del c.d. giudicato implicito dopo l'arresto di cui a Cass. Sez. Un. n. 24483 del 2008). ¤.2.3. Il motivo , tuttavia, inammissibile, perch si fonda su un atto processuale, il ricorso introduttivo della lite, riguardo al quale non si fornisce l'indicazione specifica nei termini di cui alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (inaugurata da Cass. (ord.) n. 22303 del 2008 e subito avallata da Cass. sez. un. n. 28547 del 2008 e di seguito da Cass. sez. un. n. 22726 del 2011 con specifico riferimento all'onere per gli atti processuali): infatti, pur indicando la parte del ricorso introduttivo della lite da cui risulterebbe quanto allegato, non assolve completamente a quanto richiesto dalla norma, in quanto non precisa se e dove sarebbe esaminabile l'atto di cui trattasi ed in particolare non dice se esso sia esaminabile, perch prodotto, agli effetti dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nel fascicolo del ricorrente oppure se si sia inteso fare riferimento (come ammesso da Cass. sez. Un. n. 22726 cit.) alla sua presenza nel fascicolo d'ufficio del giudice d'appello (per il che si sarebbe dovuto fornire anche precisazione di dove in esso l'atto sarebbe stato rinvenibile, tenuto conto che esso sarebbe stato, in ipotesi, presente nel fascicolo d'ufficio di primo grado se acquisito dal giudice d'appello). ¤.2.4. Il motivo sarebbe stato, comunque, ove lo si fosse potuto esaminare, privo di fondamento, al lume del principio di diritto, enunciato a composizione del contrasto anzitempo esistente in seno alla Sezione Lavoro della Corte, da Cass. sez. un. n. 23358 del 2011 nel senso che "In tema di controversie relative all'indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210, in favore di soggetti che hanno riportato danni irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, e da questi ultimi proposte per l'accertamento del diritto al beneficio, sussiste la legittimazione passiva del Ministero della salute, in quanto soggetto pubblico che, analogamente, decide in sede amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la prestazione assistenziale". Alle motivazioni di questa decisione, che si fa ampio carico delle argomentazioni su cui si fonda il motivo - redatto prima di essa -  sufficiente far rinvio. ¤3. Con il secondo motivo si deduce "violazione di legge in relazione alla L. n. 210 del 1992, art. 1, commi 1 e 2", in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Il motivo  concluso dal un quesito di diritto che pone alla Corte la questione del se sia indennizzabile, ai sensi del combinato disposto dell'art. 1, primo e secondo comma della L. n. 210 del 1992, il danno da epatite irreversibile cagionato da trattamento dialitico. ¤.3.1. Il motivo  infondato. Vi si censura la sentenza impugnata perch avrebbe erroneamente ritenuto compresa la fattispecie nell'ambito della tutela di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3, sull'assunto che la previsione in esso contenuta, lˆ dove dispone che "i benefici di cui alla presente legge spettano altres“ a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti postrasfusionali", ancorch nella fattispecie, come sarebbe emerso dalla c.t.u. di appello, il contagio fosse derivato non da una trasfusione eterologa bens“ dal reinserimento nel corpo del de cuius, come  tipico della pratica della emodialisi, del suo stesso sangue, che si sarebbe infettato per contatto con sangue eterologo nel c.d. "rene artificiale", prima della reimmissione. In pratica si sostiene che la norma dell'art. 1, comma 3, sarebbe applicabile solo nel caso di contagio determinato da trasfusioni di sangue eterologo. ¤.3.2. Ora, il Collegio non ignora che il motivo sarebbe fondato sulla base dell'unico precedente che risulta nella giurisprudenza di questa Corte e particolarmente della Sezione Lavoro, che, successivamente alla proposizione del ricorso, ha cos“ statuito: "La L. n. 210 del 1992, art. 1, - che prevede l'erogazione di un indennizzo da parte dello Stato a favore di soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie o da trasfusioni di sangue - mira a tutelare il rischio che il donatore sia affetto da una infezione che venga trasmessa al donatario attraverso una trasfusione, nozione che, pertanto, non ricomprende la cosiddetta autotrasfusione ovvero la circolazione extracorporea del sangue, dovendosi escludere che il soggetto a cui venga iniettato il proprio sangue rischi di contrarre infezioni nuove rispetto a quelle di cui  portatore. N pu˜ ritenersi ammissibile una interpretazione analogica della normativa - che si fonda su specifici presupposti e consente l'attribuzione di benefici economici con onere per le pubbliche risorse - non potendosi invocare, in senso contrario, l'orientamento espresso dalla Conferenza Stato-Regioni, le cui linee guida non costituiscono fonte normativa idonea a modificare la legge formale. (Nella specie, relativa ad un caso di contagio HCV da parte di paziente emodializzato, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha pure rilevato che, ove si ipotizzasse che una patologia fosse stata cagionata in ragione dell'insufficiente "pulizia" della macchina per emodialisi dalle sostanze lasciate da altro paziente, la fonte del risarcimento andrebbe individuata nella responsabilitˆ contrattuale che lega l'azienda ospedaliera al paziente e non nella L. n. 210 del 1992)" (Cass. n. 17975 del 2008). Tale principio di diritto  stato affermato dalla Sezione Lavoro sulla base della seguente motivazione: "La L. n. 210 del 1992, prevede la corresponsione di indennizzi a favore di soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie o da trasfusioni di sangue. Per trasfusione deve intendersi il passaggio di sangue da una ad altra persona, o direttamente o previa raccolta e conservazione del sangue e somministrazione dello stesso o di un suo derivato ad un utilizzatore. Non rientra nel concetto di trasfusione il prelevamento del sangue da un soggetto e l'iniezione dello stesso sangue nella stessa persona (autotrasfusione ovvero circolazione extracorporea). In questo caso, manca a tacer d'altro il rischio che la legge ha inteso tutelare, vale a dire il rischio che il donatore sia affetto da una infezione la quale viene trasmessa al donatario. Un soggetto che riceve il suo sangue non pu˜ essere soggetto a rischio di contrarre nuove infezioni rispetto a quelle di cui  portatore. Ove si ipotizzi che la macchina destinata a ripulire il sangue dell'emodializzato sia sporca per altre sostanze lasciate da altro paziente, la fonte del risarcimento del danno non sarˆ la L. n. 210 del 1992, ma la responsabilitˆ contrattuale per danni che lega l'azienda ospedaliera al paziente. 9. L'accoglimento della domanda attrice comporta una estensione della legge, secondo il tenore delle parole adoperate dal legislatore, oltre il contenuto della stessa e quindi una interpretazione analogica, che  inammissibile in quanto trattasi di normativa che attribuisce benefici a valere su risorse pubbliche e sulla base di determinati presupposti. 10. Le linee guida eventualmente approvate dalla conferenza Stato- Regioni non costituiscono fonte normativa atta a modificare la legge formale e pertanto di esse non pu˜ tenersi conto per estendere la portata della legge oltre il suo tenore letterale e ideologico. Trattasi di linee da utilizzare de iure condendo onde venire incontro ad aspettative, peraltro comprensibili, degli emodializzati. 11. Il ricorso, per i suesposti motivi, deve essere rigettato". Questo Collegio, peraltro, senza necessitˆ di prendere posizione sulla condivisibilitˆ dell'orientamento interpretativo espresso dalla Sezione Lavoro (che, per la veritˆ, sarebbe stata pi che dubbia, atteso che esso omise di considerare le conseguenze sull'esegesi del comma 3, dell'art. 1, della pronuncia di cui a Corte Costituzionale n. 476 del 2002, che aveva dichiarato "l'illegittimitˆ costituzionale della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 3, (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede che i benefici previsti dalla legge stessa spettino anche agli operatori sanitari che, in occasione del servizio e durante il medesimo, abbiano riportato danni permanenti alla integritˆ psico-fisica conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatiti", e la lettura delle cui motivazioni avrebbe dovuto suggerire una diversa esegesi della norma o altrimenti di prospettare questione di costituzionalitˆ della stessa), ritiene, per˜, esso sia stato superato proprio da sopravvenienze normative verificatesi successivamente alla pronuncia le 2008 per effetto di pronunce di incostituzionalitˆ di natura additiva della Corte Costituzionale, le quali hanno fatto assumere alla norma della L. n. 201 del 1992, art. 1, comma 3, un significato che ora, letto alla luce delle addizioni, consente all'interprete di pervenire ad una soluzione opposta a quella della Sezione Lavoro e ci˜ anche mantenendo la struttura motivazionale che Essa us˜ nell'affrontare il problema esegetico in allora. La circostanza che alla diversa interpretazione si pervenga ora sulla base delle sopravvenienze normative che si verranno esponendo esclude, d'altro canto, l'opportunitˆ di una rimessione alle Sezioni Unite, dato che non ci pone in contrasto con il suddetto precedente, ma in continuitˆ con esso. ¤3.3. Ci˜ premesso si osserva che Corte Costituzionale n. 28 del 2009 ha dichiarato "l'illegittimitˆ costituzionale della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 3, (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni), nella parte in cui non prevede che i benefici riconosciuti dalla legge citata spettino anche ai soggetti che presentino danni irreversibili derivanti da epatite contratta a seguito di somministrazione di derivati del sangue". Il Giudice delle Leggi, per pervenire alla declaratoria di illegittimitˆ, della quale era investito sotto il riflesso che l'art. 1, comma 3, contrastava "con l'art. 3 Cost., per l'irragionevole disparitˆ di trattamento che essa determina tra i soggetti che abbiano contratto l'epatite a seguito di somministrazione di emoderivati, ai quali non  riconosciuto alcun indennizzo, e coloro che abbiano contratto l'infezione da HIV per la medesima ragione, ai quali la legge, invece, accorda il beneficio" nonch per "la violazione degli artt. 2, 32 e 38 Cost., dal momento che non vi sarebbero ragioni per cui la tutela della salute e l'assistenza sociale correlata siano escluse per i soggetti che subiscano danni irreversibili derivanti da epatiti contratte a seguito di somministrazione di derivati del sangue", ha osservato quanto segue: "2. - La questione  fondata. La L. n. 210 del 1992, art. 1, commi 2 e 3, riconosce una misura di sostegno economico in favore dei soggetti che abbiano subito danni a seguito di taluni interventi terapeutici. In particolare,  previsto un indennizzo in favore di coloro che siano stati contagiati da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di sangue e suoi derivati, nonch in favore degli operatori sanitari che a causa del contatto con sangue e derivati siano stati contagiati dalla medesima infezione. La L. n. 210 citata, art. 1, comma 3, riconosce, altres“, l'indennizzo in favore di coloro che abbiano subito danni irreversibili da epatite contratta a seguito di trasfusione. Con la sentenza n. 476 del 2002 questa Corte ha riconosciuto analogo beneficio anche in favore degli operatori sanitari che in occasione del servizio e durante il medesimo abbiano riportato danni permanenti conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatite. Dunque, dalla disciplina complessiva del 1992 emerge che, mentre l'indennizzo  sempre riconosciuto nel caso di soggetti che abbiano contratto infezioni da HIV, siano esse derivate dalla somministrazione di sangue ovvero di emoderivati, ai soggetti che abbiano contratto l'epatite il beneficio  concesso solo nel caso in cui la malattia sia conseguita a trasfusione, ovvero, se si tratta di operatori sanitari, nelle ipotesi di contatto con il sangue o suoi derivati. Resta priva di tutela, invece, l'ipotesi, oggetto del giudizio a quo, in cui l'infezione da epatite sia conseguita alla somministrazione di emoderivati. Dunque, con riguardo a tale caso, si interrompe il parallelismo con la disciplina prevista a favore dei soggetti affetti da infezione da HIV (sentenza n. 476 del 2002). Come giˆ riconosciuto da questa Corte, il beneficio previsto della L. n. 210 del 1992, art. 1, commi 2 e 3, consiste in una misura di sostegno economico fondata sulla solidarietˆ collettiva garantita ai cittadini, alla stregua degli artt. 2 e 38 Cost., a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno (sentenze n. 342 del 2006, n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996). Esso trova il proprio fondamento nella insufficienza dei controlli sanitari fino ad allora predisposti in questo specifico settore (sentenza n. 476 del 2002), e come tale si impone anche a favore di coloro che, allo stato dell'attuale legislazione, ne siano irragionevolmente esclusi, nonostante che ricorra la medesima ratio ora indicata. Il mancato riconoscimento dell'indennizzo a favore di coloro che abbiano contratto l'epatite a seguito di somministrazione di emoderivati non trova alcuna ragionevole giustificazione, dal momento che, del tutto immotivatamente, tale fattispecie resta priva di tutela". Ebbene, la pronuncia di incostituzionalitˆ n. 28 del 2009 ha ormai fatto assumere alla norma della L. n. 210 del 1992, art., comma 3, un contenuto che, ammettendo la spettanza del beneficio nel caso di contagio da emoderivati e, quindi, con riguardo ad una fattispecie che prescinde dal concetto stesso di "trasfusione", rende pienamente possibile come interpretazione costituzionalmente orientata ed anzi doverosa sul piano costituzionale, senza bisogno di sollevare una nuova ennesima questione di costituzionalitˆ (tenuto conto che sovente la Consulta sanziona con l'inammissibilitˆ ordinanze di rimessione di questioni incidentali che non praticano l'interpretazione costituzionalmente orientata, se possibile), un'esegesi della norma nel senso di comprendere una fattispecie di contagio da emodialisi, che si presenta con elementi di molto maggiore contiguitˆ rispetto a quella originaria della norma, prima della declaratoria di incostituzionalitˆ e che anzi quella contiguitˆ presentava giˆ con riferimento alla fattispecie introdotta in via additiva da Corte cost. n. 476 del 2002. Si aggiunga che indurrebbe alla stessa conclusione l'ulteriore intervento, sia pure mirato sull'art. 1, comma 1, di cui la Corte costituzionale n. 107 del 2012, che nel dichiarare "l'illegittimitˆ costituzionale della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 1, (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto ad un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, nei confronti di coloro i quali abbiano subito le conseguenze previste dallo stesso art. 1, comma 1, a seguito di vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia", ha ulteriormente evi denziato che l'impianto generale della L. n. 210 del 1992, alla luce dev'essere letto alla luce dei principi costituzionali e, dunque, in modo da assegnare alle fattispecie astratte il massimo significato possibile. In base alle considerazioni svolte, il motivo risulta allora infondato sulla base del seguente principio di diritto: "La L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3, a seguito della declaratoria di incostituzionalitˆ di cui alla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 28 del 2009, dev'essere interpretato, alla luce del complessivo significato che la norma ha assunto, anche per effetto della combinazione della nuova additiva con la precedente di cui a Corte Costituzionale n. 476 del 2002, ed alla stregua del criterio di esegesi che impone di intendere le norme in modo conforme a Costituzione, nel senso che il rischio per cui prevede l'indennizzo comprende anche l'ipotesi in cui il contagio sia derivato dalla contaminazione del sangue proprio del contagiato durante un'operazione di emodialisi, a causa di una insufficiente pulizia della macchina per emodialisi dalle sostanze ematiche lasciate da altro paziente, con la conseguenza che al contagiato compete l'indennizzo di cui alla norma". ¤4. Il ricorso  conclusivamente rigettato. ¤5. Non  luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione. Cos“ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 febbraio 2013. Competenza del giudice ordinario sui respingimenti differiti dello straniero (Cassazione civile, Sez. Un., sentenza 17 giugno 2013 n. 15115) Con la sentenza n.15115 del 17 giugno 2013, la Corte di Cassazione afferma che anche nel caso dei respingimenti ÒdifferitiÓ, disposti dal questore ex art. 10, comma 2, del T.U. 286 in materia di immigrazione, deve pronunciarsi il giudice ordinario e non quello amministrativo. La norma che prevede i respingimenti ÒimmediatiÓ e quelli ÒdifferitiÓ (articolo 10 comma 1 e 2 del Testo Unico sullĠimmigrazione n. 286 del 1998) appare assai lacunosa, e come osserva del resto la Corte di Cassazione, Òla disciplina dei respingimenti risultante dagli articoli 10 e 19 del d.lgs. 286 del 1998 non individua il giudice davanti al quale lo straniero pu˜ invocare la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettiveÓ. Cosa  successo in questi anni ? Fino allĠintervento della Corte di Cassazione rimaneva controverso, sia in dottrina che nella giurisprudenza, il riparto di giurisdizione tra il giudice amministrativo e il giudice ordinario, e la Corte ricorda i termini della questione che poi risolve riconoscendo la giurisdizione del giudice ordinario. Ed infatti, secondo un primo orientamento, le controversie relative ai respingimenti con accompagnamento alla frontiera adottati dal questore ai sensi dellĠart. 10 c. 2 del d.lgs. 286 del 1998 sono devolute al giudice ordinario avendo una omogeneitˆ "contenutistica e funzionale" con i provvedimenti di espulsione, rispetto ai quali si pongono in un rapporto di species a genus s“ che dovrebbero ritenersi applicabili anche ai respingimenti lĠart. 13 del T.U. sullĠimmigrazione (per la giurisprudenza amministrativa v. t.a.r Sicilia, 9 settembre 2010 n. 1036 - che trae argomento anche dal rapporto con la disciplina del diritto di asilo e, in generale, del diritto alla protezione umanitaria - e 17 marzo 2009, n. 510; t.a.r Campania, 3 luglio 2007, n. 6441; t.a.r. Calabria, 23 febbraio 2007, nn. 112 e 113; t.a.r. Sicilia, 7 novembre 2006, n. 2706; t.a.r. Calabria, 26 aprile 2006, n. 432; per la giurisprudenza ordinaria v. giud. pace Agrigento 8 luglio 2011, n. 478 e 26 settembre 2008, n. 555). Altro orientamento radica in capo al giudice amministrativo lĠimpugnazione dellĠatto di respingimento adottato dal questore, in ragione della sua natura di atto autoritativo, che lo ricondurrebbe natura/iter nella giurisdizione generale di legittimitˆ ai sensi dellĠart. 103 c. 1 Cost. (v. per la giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, parere 4 febbraio 2011, n. 571/11; t.a.r. Lombardia, 16 febbraio 2009, n. 1312; t.a.r. Friuli Venezia Giulia 29 gennaio 2007, n. 102; t.r.g.a. Bolzano, 23 settembre 2006, n. 119; t.a.r. Piemonte 19 luglio 2005, n. 2561; t.a.r. Lazio 28 maggio 2003, n. 4830; per la giurisprudenza ordinaria v. trib. Agrigento 26 marzo 2009; trib. Palermo 13 maggio 2005). Con la sentenza n. 11535 del 17 giugno 2013, la Corte di Cassazione detta un punto fermo sulla tutela giurisdizionale dell'immigrato sottoposto alla misura del respingimento ÒdifferitoÓ disposto sulla base dellĠart. 10 comma 2 del T.U. 286 del 1998. Secondo la Corte, ÒDeve dunque, in raccordo con le premesse esigenze di mantenere ferma una coerenza di "sistema", darsi atto che il provvedimento del questore diretto al respingimento incide su situazioni soggettive aventi consistenza di diritto soggettivo: lĠatto  infatti correlato allĠaccertamento positivo di circostanze-presupposti di fatto esaustivamente individuate dalla legge (art. 10, c. 2 lett. a) e b) del d.lgs n. 286 del 1998) ed allĠaccertamento negativo della insussistenza dei presupposti per lĠapplicazione dalle disposizioni vigenti che disciplinano la protezione internazionale nelle sue forme del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ovvero che impongono lĠadozione di misure di protezione solo temporanea per motivi umanitari (art. 10, c. 2 e 19, c. 1 d.lgs. n. 286 del 1998). E pertanto, in mancanza di norma derogatrice che assegni al giudice amministrativo la cognizione della impugnazione dei respingimenti, deve trovare applicazione il criterio generale secondo cui la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi, proprio in ragione della inesistenza di margini di ponderazione di interessi in gioco da parte della Amministrazione, spetta al giudice ordinarioÓ. Secondo la Corte ÒLe ragioni appena illustrate trovano peraltro conferma nella recente sentenza 23 febbraio 2012 della Grande Chambre della Corte europea dei diritti dellĠuomo (Hirsi Jamaa e altri c. Italia), che, nel dichiarare illegittimi i respingimenti, effettuati in mare, verso la Libia, per violazione, tra lĠaltro, dellĠart. 3 CEDU, ha affermato che "Le difficoltˆ nella gestione dei flussi migratori non possono giustificare il ricorso, da parte degli Stati, a pratiche che sarebbero incompatibili con i loro obblighi derivanti da convenzioni". E, in particolare che "lĠItalia non  dispensata dal dovere di rispettare i propri obblighi derivanti dallĠarticolo 3 della Convenzione per il fatto che i ricorrenti avrebbero omesso di chiedere asilo o di esporre i rischi cui andavano incontro". M.B. Corte di Cassazione. Sez. Unite, sentenza 17 giugno 2013 n. 15115 -Primo Pres. ff. Roberto Preden, Rel. Luigi Macione, P.M. Carlo Destro - D.B. (avv. Mario Mangino) c. Questura di Agrigento, Ministro Interno. Svolgimento del processo Il cittadino della (OMISSIS) D.B. giunse in Italia sulle coste dell'isola di (OMISSIS) e, dopo un periodo di accoglienza presso il centro dell'isola, con decreto 6.9.2011 adottato dal Questore di Agrigento D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19, comma 2 venne respinto alla frontiera ed in terinalmente trattenuto presso il CIE Brunelleschi di Torino. D.B. con ricorso 5.11.2011 si oppose innanzi al Giudice di Pace di Agrigento a detto respingimento affermando, in via preliminare, la giurisdizione dell'adito Giudice di Pace e nel merito contestando la legittimitˆ del respingimento adottato dopo tredici giorni dalla identificazione dello straniero. Il Giudice di Pace di Agrigento con decreto 25.11.2011, preliminarmente rilevato che non potevano essere concessi rinvii dell'udienza al fine di proporre regolamento preventivo, richiamati alcuni precedenti del giudice amministrativo che avevano evidenziato la discrezionalitˆ della Amministrazione nell'adottare i decreti di respingimento, ha opinato in tal senso e pertanto declinato la propria giurisdizione. Per la cassazione di tale decreto D.B. ha proposto ricorso notificando l'atto al Ministero del- l'Interno il 23.1.2012; l'Amministrazione non ha svolto difese. Motivi della decisione Ritiene il Collegio che il ricorso contenga condivisibili censure alla declinatoria di giurisdizione adottata dal giudice del merito e che, pertanto, affermata la giurisdizione erroneamente negata, vada cassato il decreto e vada disposto rinvio innanzi allo stesso giudice per l'esame della proposta opposizione. Il ricorso, preso atto della assenza di una esplicita disciplina di impugnativa del decreto di respingimento ma della prevalente giurisprudenza che assegna al giudice ordinario tale cognizione, argomenta dalla lettura del T.U. approvato con D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10, commi 1, 2 e 4, in particolare dalla disciplina del respingimento "differito" e dalla sua incidenza sulla libertˆ personale del respingendo per affermare la piena attrazione della sua contestazione nell'ambito della giurisdizione generale dei diritti soggettivi. Osserva il Collegio che, come rilevato in ricorso, la disciplina dei respingimenti risultante dal D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 10 e 19 non individua il giudice davanti al quale lo straniero pu˜ invocare la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive. Diversamente,  noto,  stato ab origine operato per la individuazione nel Tribunale, poi nel Giudice di Pace, del giudice attributario della cognizione delle opposizioni ad espulsione dal- l'art. 13, comma 8 dello stesso T.U..Ci˜ ha ingenerato una diversitˆ di orientamenti tanto nella giurisprudenza amministrativa quanto in quella ordinaria. Ed infatti, secondo un primo orientamento, le controversie relative ai respingimenti con accompagnamento alla frontiera adottati dal questore ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10, comma 2 sono devolute al giudice ordinario avendo una omogeneitˆ "contenutistica e funzionale" con i provvedimenti di espulsione, rispetto ai quali si pongono in un rapporto di species a genus s“ che dovrebbero ritenersi applicabili anche ai respingimenti l'art. 13 del T.U. sull'immigrazione (per la giurisprudenza amministrativa v. t.a.r Sicilia, 9 settembre 2010 n. 1036 - che trae argomento anche dal rapporto con la disciplina del diritto di asilo e, in generale, del diritto alla protezione umanitaria - e 17 marzo 2009, n. 510; t.a.r Campania, 3 luglio 2007, n. 6441; t.a.r. Calabria, 23 febbraio 2007, nn. 112 e 113; t.a.r. Sicilia, 7 novembre 2006, n. 2706; t.a.r. Calabria, 26 aprile 2006, n. 432; per la giurisprudenza ordinaria v. giud. pace Agrigento 8 luglio 2011, n. 478 e 26 settembre 2008, n. 555). Altro orientamento radica in capo al giudice amministrativo l'impugnazione dell'atto di respingimento adottato dal questore, in ragione della sua natura di atto autoritativo, che lo ricondurrebbe naturaliter nella giurisdizione generale di legittimitˆ ai sensi dell'art. 103 Cost., comma 1 (v. per la giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, parere 4 febbraio 2011, n. 571/11; t.a.r. Lombardia, 16 febbraio 2009, n. 1312; t.a.r. Friuli Venezia Giulia 29 gennaio 2007, n. 102; t.r.g.a. Bolzano, 23 settembre 2006, n. 119; t.a.r. Piemonte 19 luglio 2005, n. 2561; t.a.r. Lazio 28 maggio 2003, n. 4830; per la giurisprudenza ordinaria v. trib. Agrigento 26 marzo 2009; trib. Palermo 13 maggio 2005). Ad avviso del Collegio deve ritenersi pienamente condivisibile l'opinione, fatta propria dal ricorso in disamina, che conduce ad affermare la giurisdizione del giudice ordinario non per effetto dell'applicazione analogica delle cennate disposizioni sull'opposizione alla espulsione bens“ alla stregua di considerazioni desumibili dal sistema. Non pu˜, invero e certamente, farsi applicazione analogica del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8, trattandosi di norma speciale che ha abrogato la previsione contenuta nel D.L. n. 416 del 1989, art. 5, comma 3, conv. in L. n. 39 del 1990: la norma abrogatrice, invero, superava la generale attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione sulle impugnazioni dei provvedimenti prefettizi di espulsione sulla base del rilievo, emergente dai lavori preparatori (in particolare dalla relazione al d.d.l. n. 3240) secondo cui la scelta a favore del giudice ordinario, veniva operata da un canto perch "il giudice ordinario, per struttura ed organizzazione diffuse sul territorio, appare in grado di operare entro i brevi termini previsti dalla legge" e dall'altro canto perch tale scelta non trovava "particolari ostacoli neppure dal punto di vista sistematico": e si faceva significativo riferimento al fatto che l'ordinamento giˆ conosceva altre ipotesi di attribuzione della giurisdizione ordinaria dei ricorsi avverso provvedimenti della pubblica amministrazione, in specie nel caso delle opposizioni ai provvedimenti di irrogazione di sanzioni amministrative. Deve dunque, in raccordo con le premesse esigenze di mantenere ferma una coerenza di "sistema", darsi atto che il provvedimento del questore diretto al respingimento incide su situazioni soggettive aventi consistenza di diritto soggettivo: l'atto  infatti correlato all'accertamento positivo di circostanze-presupposti di fatto esaustivamente individuate dalla legge (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10, comma 2, lett. a) e b)) ed all'accertamento negativo della insussistenza dei presupposti per l'applicazione dalle disposizioni vigenti che disciplinano la protezione internazionale nelle sue forme del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ovvero che impongono l'adozione di misure di protezione solo temporanea per motivi umanitari (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10, comma 2 e art. 19, comma 1). E pertanto, in mancanza di norma derogatrice che assegni al giudice amministrativo la cognizione della impugnazione dei respingimenti, deve trovare applicazione il criterio generale secondo cui la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi, proprio in ragione della inesistenza di margini di ponderazione di interessi in gioco da parte della Amministrazione, spetta al giudice ordinario. Pare poi necessario aggiungere che il predetto accertamento negativo che costituisce requisito di legittimitˆ del provvedimento di respingimento del questore,  diverso e indipendente dal procedimento di accertamento spettante alle commissioni territoriali: esso, perch svolto per la verifica del requisito di legittimitˆ del provvedimento di respingimento del questore, non interferisce con le competenze demandate alle commissioni territoriali, alle quali, a seguito di presentazione dell'istanza dell'interessato spetta di accertare in via definitiva e previa adeguata istruttoria, anche officiosa, la sussistenza dei presupposti per la concessione dello status di rifugiato e delle altre misure di protezione internazionali. L'accertamento in discorso infatti si esprime in valutazioni necessariamente sommarie, stante l'intrinseca urgenza, e del tutto incidentali. La appena formulata statuizione  del resto coerente con quanto questa Corte ha giˆ avuto modo di rilevare, sia con riferimento alla situazione normativa vigente prima del 20 aprile 2005 (Cass. S.U. n. 19393 del 2009) sia con riguardo alla disciplina successiva all'entrata in vigore del D.L. 30 n. 416 del 1989, art. 1 quater (convertito in legge n. 39 del 1990), introdotto dalla L. n. 189 del 2002, art. 32, comma 1, lett. b), (Cass. S.U. n. 11535 del 2009), e cio l'appartenenza alla giurisdizione ordinaria di tutte le controversie in materia di protezione internazionale, che comprendono le domande di tutela del diritto alla protezione umanitaria, del diritto allo status di rifugiato e del diritto costituzionale di asilo, aventi identica natura riconducibile alla categoria dei diritti umani fondamentali, che debbono essere riconosciuti allo straniero "comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato" (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, comma 1). E tali situazioni protette, in quanto coperte dalla garanzia apprestata dall'art. 2 Cost., non possono essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, a tal potere potendo essere rimesso solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione, facendo uso di una mera discrezionalitˆ tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservate al legislatore, fermo il rispetto delle convenzioni vigenti, e in particolare dell'art. 3 CEDU (in tal senso anche Cass. n. 3898 del 2011, 10636 del 2010, 26253 del 2009). Le ragioni appena illustrate trovano peraltro conferma nella recente sentenza 23 febbraio 2012 della Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell'uomo (Hirsi Jamaa e altri c. Italia), che, nel dichiarare illegittimi i respingimenti, effettuati in mare, verso la Libia, per violazione, tra l'altro, dell'art. 3 CEDU, ha affermato che "le difficoltˆ nella gestione dei flussi migratori non possono giustificare il ricorso, da parte degli Stati, a pratiche che sarebbero incompatibili con i loro obblighi derivanti da convenzioni". E, in particolare che "l'Italia non  dispensata dal dovere di rispettare i propri obblighi derivanti dall'art. 3 della Convenzione per il fatto che i ricorrenti avrebbero omesso di chiedere asilo o di esporre i rischi cui andavano incontro...". Da quanto esposto discende, in conclusione, ed in totale coincidenza con il decisum e con gli argomenti della appena pubblicata ordinanza delle S.U n. 14502 del 2013, che debba essere cassato il decreto in accoglimento del ricorso e dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario: le parti dovrebbero essere rimesse davanti al tribunale territorialmente competente, non potendosi, come sopra detto, applicare analogicamente la speciale competenza del giudice di pace prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8 per l'impugnazione dei provvedimenti di espulsione e dovendosi dare corso alla generale e residuale attribuzione di competenza di cui all'art. 9 c.p.c.. Ma a tale conclusione fa ostacolo la preclusione nella specie avveratasi - per la mancata denunzia impugnatoria e per il mancato rilievo officioso - con la conseguenza per la quale devesi rinviare al Giudice di Pace di Agrigento il cui decreto viene in questa sede cassato. La novitˆ della questione consiglia di dichiarare irripetibili le spese. P.Q.M. Accoglie il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, cassa il decreto impugnato contenente la declinatoria e rinvia innanzi al Giudice di Pace di Agrigento in persona di altro magistrato. Spese non ripetibili. Cos“ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 febbraio 2013. La protezione umanitaria nellĠinterpretazione delle corti territoriali calabresi e delle giurisdizioni superiori Fabrizio Gallo* SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Questioni di giurisdizione - 3. Protezione sussidiaria e protezione umanitaria. Elementi per un actio finium regundorum - 4. I requisiti della protezione umanitaria - 5. Conclusioni. 1. Premessa. LĠambito operativo della protezione umanitaria, nel regime previgente allĠentrata in vigore del D.L.vo 251/2007 e 25/2008, era ben definito e non dava luogo a particolari problemi applicativi. In effetti, lĠesistenza, in quel quadro normativo, di due soli istituiti di protezione, lo status di rifugiato ed appunto la protezione umanitaria, consentiva di orientare lĠattivitˆ decisoria in modo uniforme. In tal modo, si riconducevano ai motivi umanitari tutti quei casi di conflitto generalizzato o di particolare condizione di vulnerabilitˆ che, pur essendo apprezzabili, non integravano i precisi e stringenti presupposti di cui allĠart. 1 della Convenzione di Ginevra del 1957. LĠarticolata disciplina recata dai decreti legislativi 251/2007 e 25/2008, in applicazione delle direttive europee 2004/83/CE e 2005/85/CE, ha modificato il sistema normativo pregresso facendo sorgere alcuni nodi problematici relativi alla protezione umanitaria, prima non rilevanti sotto il profilo teorico o di ridotto impatto nella prassi applicativa. In particolare, si  posto, da principio, la questione sulla sopravvivenza della protezione umanitaria dopo lĠintroduzione nel sistema della protezione sussidiaria (istituto che, in qualche modo, assorbe uno degli ambiti operativi in precedenza oggetto dĠazione della misura in esame) anche alla luce dellĠart. 34 del D.L.vo 251/2007 che ha previsto la progressiva trasformazione dei permessi di soggiorno per protezione umanitaria, rilasciati prima dellĠentrata in vigore del suddetto testo normativo, in permessi per protezione sussidiaria. Una volta appurata la persistenza dellĠistituto nel diritto vigente,  stato esaminato il problema dei rapporti tra protezione sussidiaria e protezione umanitaria, al fine di individuare i campi dĠazione reciproci. Infine, emerge il tema pi generale dei presupposti legittimanti lĠadozione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non pi rinviabile ai fini del- lĠorientamento univoco della prassi decisionale, alla luce di un interpretazione costituzionalmente orientata della Corte di Cassazione per la quale lĠattuale sistema in materia di diritto dĠasilo e protezione internazionale  integralmente (*) Viceprefetto, Presidente della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone. esaustivo del campo dĠazione dellĠart.10, comma 3 Cost. (1). Il presente scritto si propone, quindi, di delimitare, per quanto possibile, lĠambito applicativo dellĠistituto in questione, recato dallĠart. 5, comma 6 del D.L.vo 286/1998 (T.U. dellĠimmigrazione), partendo dallĠanalisi della giurisprudenza delle corti territoriali calabresi, che hanno cognizione sullĠattivitˆ decisoria di una delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale quantitativamente pi impegnate sul territorio nazionale (2), e completando lĠesame con le indicazioni della Corte di Cassazione e della Corte Europea dei Diritti dellĠUomo. 2. Questioni di giurisdizione. La questione dellĠesatta qualificazione e della relativa delimitazione della protezione umanitaria nel nuovo sistema normativo  stata oggetto di attenzione a partire dalla proposizione di questioni di giurisdizione sullĠargomento. In effetti, la Corte di Cassazione, investita del tema, ha iniziato ad operare una pi approfondita ricognizione dellĠargomento, allo scopo di determinare il tipo di posizione giuridica soggettiva sottesa allĠistituto esaminato e, per questa via, determinare la giurisdizione competente. In una prima pronunzia (3), la Suprema Corte prende le mosse dalla precedente e non remota giurisprudenza dello stesso Giudice (4) che aveva affermato la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione ai ricorsi avverso il rifiuto del questore a concedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Rispetto a quella decisione, la Cassazione evidenzia che la stessa operava con riguardo ad un quadro ordinamentale delineato dagli artt. 5, co. 6 e 19, co. 1, del D.L.vo 286/1998. DallĠordito normativo in questione, emergeva la competenza della Commissione centrale alla verifica delle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie relative, mentre alcuna funzione si poteva individuare, per il medesimo organo centrale, in materia di protezione umanitaria. Detto ambito di valutazione, in quel sistema connotato da profili di apprezzamento politico- amministrativi, veniva, infatti, riservato al questore. Da tale ricostruzione esegetica e sistematica, si faceva derivare la competenza del giudice amministrativo a conoscere delle controversie relative ai provvedimenti questorili in argomento. Secondo la Corte di Cassazione, nella motivazione della predetta Ord. n. 11535/2009, il precedente orientamento espresso al massimo livello delle Se (1) V. par. 4. (2) A tale riguardo, si veda il ÒQuaderno statistico per gli anni 1999 2011Ó, in www.interno.it. (3) Cass. Ord. n. 11535/2009. (4) Cass., SS.UU., Ord. n. 7933/2008. zioni Unite non pu˜ pi applicarsi, a partire dallĠentrata in vigore delle norme che progressivamente hanno modificato il sistema organizzativo deputato a decidere in materia. In particolare, il punto di svolta viene individuato con lĠentrata in vigore del combinato disposto della L. n. 189/2002 (che aveva introdotto modifiche determinati alla L. 39/1990) e del D.P.R. 303/2004. In tale nuovo contesto, lĠart. 1 quater della L. 39/1990, prevedeva che le commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato (introdotte proprio con quel complesso normativo), nellĠesaminare la domanda di asilo, avrebbero dovuto valutare le conseguenze di un rimpatrio, alla luce degli obblighi internazionali gravanti sullĠItalia, per i provvedimenti di cui allĠart. 5, co. 6 del D.L.vo 286/1998. Il sistema, secondo la Cassazione,  maggiormente chiarito, ma non modificato, nellĠulteriore riassetto della legislazione nazionale in materia di protezione internazionale, come noto costituita ora dal D.L.vo 251/2007 e dal D.L.vo 25/2008, in attuazione delle direttive comunitarie in materia. LĠart. 32 del D.L.vo 25/2008, infatti, espressamente prevede che, nel caso in cui non ravvisi i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione internazionale e ritenga sussistenti gravi motivi di carattere umanitario, la commissione territoriale trasmetta gli atti al questore per lĠeventuale rilascio del permesso di soggiorno di cui allĠart. 5, co. 6 del D.L.vo 286/1998. NellĠinterpretazione della Cassazione, dunque, si viene a delineare, giˆ a partire dalla L.189/2002, un sistema nel quale ogni accertamento valutativo sui presupposti di ogni forma di protezione viene attribuito esclusivamente alla cognizione tecnica della commissione territoriale venendo meno ogni margine di apprezzamento politico sulle condizioni del paese di provenienza e residuando cos“ al questore nulla pi che il compito di Òmera attuazione dei deliberatiÓ assunti dalla commissione stessa e la verifica degli altri requisiti di legge che, per questa ragione, rendono eventuale il rilascio del permesso umanitario. Operata tale ricostruzione, la Cassazione, con lĠordinanza in esame, riconosceva la natura di diritto soggettivo alla posizione giuridica dello straniero che chiedeva il rilascio del permesso di soggiorno per protezione umanitaria e, pertanto, affermava la giurisdizione del giudice ordinario. La predetta conclusione sulla giurisdizione si consolida con una successiva pronunzia a Sezioni Unite (5) che, peraltro, articola la propria motivazione in senso pi ampio della precedente e, in tal modo, promuove una riconsiderazione globale della materia e comincia a porre il problema della determinazione dei requisiti per il riconoscimento dei motivi umanitari. In primo luogo, detta decisione, nel riprendere lĠanalisi esegetica dellĠart. 5, co. 6 del D.L.vo 286/1998, sottolinea come la norma non definisca i Òseri motivi di carattere umanitarioÓ posti a basamento della decisione di rilasciare (5) Cass., SS.UU., n. 19393. il relativo permesso di soggiorno, ma faccia un rinvio, definito generico, alla disciplina del diritto internazionale umanitario ovvero a quel compendio di fonti di diritto internazionale che, in caso di conflitti armati, proteggono le persone ed i beni coinvolti. Il riferimento mediato  dunque alle convenzioni operanti in materia che trovano un riflesso nellĠart. 2 della Costituzione che contribuisce a chiarire e ad integrare le fattispecie di protezione in questione. LĠinquadramento sistematico viene cos“ operato con riguardo alla categoria dei diritti umani fondamentali, nei quali il diritto allo status di rifugiato, il diritto costituzionale allĠasilo ed il diritto alla protezione umanitaria rivelano una medesima natura, sebbene con disciplina giuridica in parte differente. La nuova normativa recata dal compendio D.L.vo 251/2007 - D.Lvo 25/2008, dunque, nel recare le nuove competenze amministrative in materia, non fa altro che prendere atto di ci˜ assumendo, pertanto, pi una funzione ricognitiva e chiarificatrice che innovativa. Conclusivamente e conseguentemente, quindi, le Sezioni Unite confermano la giurisdizione del giudice ordinario in materia rendendo una certezza in termini di inquadramento dogmatico della posizione giuridica soggettiva connessa ai motivi umanitari ma lasciando aperta (anzi, in qualche modo rilevando) la questione dei requisiti legittimanti. 3. Protezione sussidiaria e protezione umanitaria. Elementi per un actio finium regundorum. Venendo agli aspetti di merito della questione affrontata, vale a dire la perimetrazione dellĠistituto della protezione umanitaria nel nuovo quadro ordinamentale,  opportuno partire dal confronto esterno tra tale misura tutoria e la protezione sussidiaria, introdotta nel nostro ordinamento con il D. L.vo 251/2007. Come detto in premessa, la protezione sussidiaria, cos“ come disciplinata nella menzionata fonte normativa, assorbe al suo ambito applicativo numerose fattispecie che, nella precedente prassi operativa, venivano ricomprese nei motivi umanitari. Pare esemplare, al riguardo, il caso di persone potenzialmente coinvolte in conflitti generalizzati che, pur non possedendo i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, rimanevano destinatarie di permesso di soggiorno per motivi umanitari. Tale ipotesi  ora tipizzata nellĠart. 14, lett. C), del D.L.vo 251/2007, come uno dei casi di riconoscimento della protezione sussidiaria. Il problema del rapporto tra protezione sussidiaria e protezione umanitaria viene inquadrato, in un primo tempo, nella logica di un superamento della protezione umanitaria con il nuovo istituto della sussidiaria. Infatti, la Corte di Cassazione (6) ha rilevato che lĠistituto della protezione umanitaria, nel nuovo quadro normativo, verrebbe ad essere configurato come Òistituto ad esaurimentoÓ posto che, da un canto, i rinnovi di pregressi permessi umanitari portano alla loro sostituzione con i permessi per protezione sussidiaria e che, (6) Cass., Ord. n. 11535 del 19 maggio 2009. dallĠaltro canto, nella permanenza interinale dei primi, ai titolari viene riconosciuta unĠentitˆ di diritti pari a quella garantita dalla nuova protezione. Una tale lettura dello sviluppo del sistema normativo doveva, per˜, fare i conti, da un lato, con la persistenza nellĠordinamento dellĠart. 5, comma 6 del D.L.vo 286/1998 e, dallĠaltro, con il contenuto dellĠart. 32, D.L. vo 25/2008. Tale norma, nel determinare i possibili contenuti della decisione della commissione territoriale, prevede, oltre ai casi di rigetto, il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria nonch, al comma 3, la trasmissione degli atti al questore per il rilascio del permesso di soggiorno per gravi motivi di carattere umanitario. Ed infatti, la stessa Suprema Corte, con una successiva pronuncia (7), ha superato la tesi della protezione umanitaria quale istituto ad esaurimento e, comparando la misura tutoria in discorso e la protezione sussidiaria, ha affermato che la pi breve e tenue protezione (la protezione umanitaria) spetta quando le gravi ragioni di protezione accertate, aventi gravitˆ e precisione pari a quelle sottese alla tutela maggiore, siano solo temporalmente limitate (ad esempio per la speranza di una rapida evoluzione della situazione del paese di rimpatrio o per la stessa posizione personale del richiedente, suscettibile di un mutamento che faccia venir meno lĠesigenza di protezione). In tale ottica, dunque, i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria sarebbero gli stessi, fatta salva la dimensione temporale che, nel caso della misura pi tenue, sarebbe temporalmente limitata. Anche questa impostazione, tuttavia, veniva superata e, sempre in sede di legittimitˆ (8), si perveniva allĠaffermazione per la quale i requisiti della protezione sussidiaria non coincidono con quelli che consentono lĠadozione di una misura atipica di protezione umanitaria che trova il suo fondamento nel principio di non refoulement di cui allĠart. 19 del D. L. vo 286/1998. Secondo una ricostruzione logica, dunque, lĠoperatore, sia esso la commissione territoriale sia esso il giudice, deve verificare, in prima istanza, la presenza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato per poi vagliare, in caso di risposta negativa al primo quesito, lĠesistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Solo in caso di esito negativo anche rispetto alla seconda operazione si dovrˆ verificare lĠesistenza dei seri motivi umanitari che danno luogo alla terza misura tutoria, pi tenue ed atipica. Un caso di contatto tra le due misure di protezione, meritevole di approfondimento,  quello relativo allĠaccertamento di una causa di esclusione della protezione sussidiaria. Come  noto, ai sensi dellĠart. 16, D.L.vo 251/2007, lo status di protezione sussidiaria  escluso quando sussistono fondati motivi per ritenere che lo straniero abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un (7) Cass., Ord. n. 24544 del 21 novembre 2011. (8) Cass., Ord. n. 4230/2013, anche per il richiamo di giurisprudenza conforme. crimine contro lĠumanitˆ, un reato grave nel territorio nazionale o allĠestero, si sia reso colpevole di atti contrari alle finalitˆ e ai principi delle Nazioni Unite, costituisca pericolo per la sicurezza dello Stato o per lĠordine e la sicurezza pubblica. Sulle conseguenze di tali previsioni, ha avuto modo di soffermarsi la Corte Europea dei Diritti dellĠUomo. In particolare, assume specifico significato, per lĠanalisi che ci occupa, il caso di Toumi Ali Ben Sassi (9). Il predetto, nel novembre del 2003 era destinatario di ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. distrettuale del Tribunale di Milano, per il reato di cui allĠart. 270 bis c.p. (associazione con finalitˆ terroristiche o di eversione). Successivamente, il Toumi veniva condannato definitivamente alla pena di sei anni di reclusione per il medesimo delitto. Il 7 luglio 2009, il suddetto era destinatario di un provvedimento di diniego della Commissione territoriale per la protezione internazionale di Crotone. In linea con la sua consolidata giurisprudenza, la Corte europea, relativamente alla fattispecie esaminata, ha ribadito che gli stati, allorchŽ esercitano il diritto di espellere una persona devono osservare lĠart. 3 C.E.D.U. che proibisce in termini assoluti la tortura, le pene e i trattamenti inumani o degradanti. In altri termini, la minaccia terroristica che una persona pu˜ rappresentare per lo stato ospitante non pu˜ attenuare la tutela apprestata dallĠart. 3 C.E.D.U. che  pi ampia rispetto a quella di altri strumenti internazionali, come la convenzione O.N.U. sui rifugiati del 1951, che attribuiscono rilevanza anche al- lĠeventuale personalitˆ negativa del richiedente asilo (10). LĠindirizzo giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dellĠuomo pone dunque il problema dellĠapparente conflitto di norme interne e del- lĠUnione Europea con quelle della C.E.D.U. e, per quello che qui interessa, dellĠattuazione concreta nel diritto interno della suddetta decisione. Il Tribunale di Catanzaro (11), chiamato a decidere sulla fattispecie dopo la pronunzia del giudice europeo ha dunque acclarato che il Toumi, se fosse dovuto rientrare nel paese dĠorigine, avrebbe corso il pericolo di essere sottoposto a tortura o trattamenti inumani o degradanti ed ha, pertanto, riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria ai sensi dellĠart. 14, lett. B) del D.L.vo 251/2007, eludendo il problema del conflitto di norme sopra indicato e del- lĠapplicazione delle cause di esclusione. Sembrerebbe, tuttavia, preferibile quella tendenza interpretativa (12) per la quale in presenza dellĠipotesi prima descritta e cio qualora, ricorrendo le cause di inclusione per il riconoscimento della protezione sussidiaria, si rinvengano anche cause di esclusione tipizzate e quindi ineludibili, si debba rigettare (9) Corte europea dei diritti dellĠuomo, Toumi c. Italia, 5 aprile 2011. (10) V. anche Corte europea dei diritti dellĠuomo, Saadi c. Italia, 28 febbraio 2008. (11) Trib. Catanzaro, Seconda Sezione, n. 221/12, 7 febbraio 2011. (12) P. GATTARI, Il giudizio di ÒimpugnazioneÓ davanti al tribunale del provvedimento sulla protezione internazionale dello straniero (art. 35 D. L.vo n. 25 del 2008), pp. 17 ss., www.meltingpot.org. lĠistanza di protezione sussidiaria ma concedere al richiedente una protezione umanitaria qualora lĠespulsione lo esporrebbe al concreto rischio di subire la tortura o un trattamento disumano o degradante nel paese in cui sarebbe espulso. 4. I requisiti della protezione umanitaria. Affrontati alcuni aspetti preliminari, occorre ora confrontarsi con il problema fondamentale: individuare i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. La questione sussiste quasi per ontologica necessitˆ perchŽ, al contrario dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, i cui requisiti sono nominativamente indicati nelle norme di riferimento (13), la stessa cosa non avviene per la protezione umanitaria, di cui a ragione si pu˜ parlare di Òmisura atipicaÓ (14), in qualche modo direttamente ricollegata allĠart. 19, D.Lvo 286/1998, come attuazione del generale principio di Ònon refoulementÓ (15). NellĠoperazione ermeneutica di individuazione degli ambiti della norma, procediamo, dunque, ad esaminare la giurisprudenza delle corti territoriali calabresi (Tribunale e Corte dĠAppello di Catanzaro) che si trovano a dover giudicare i ricorsi avverso la Commissione territoriale di Crotone, come detto fra le pi impegnate in Italia, da un punto di vista quantitativo, per una media di circa 1.000 processi annuali. Il Tribunale di Catanzaro (16), nellĠindividuare quale limite invalicabile lĠambito di operativitˆ proprio della protezione sussidiaria, con formula tralatiziamente riportata nel testo delle motivazioni decisorie, delinea con chiarezza ed originalitˆ i requisiti valutabili ai fini della protezione umanitaria, affermando che: ÒI presupposti per lĠaccesso alla protezione umanitaria possono essere individuati in situazioni soggettive del richiedente (quali gravi condizioni di salute incompatibili con il ritorno nel Paese dĠorigine) ovvero in situazioni generalizzate del Paese dĠorigine non di natura socio politica (che integrano ipotesi di protezione sussidiaria) ma alimentare (quali situazioni di carestia o grave emergenza alimentare che rendano altamente probabile che il richiedente, tornato nel proprio Paese, muoia dĠinedia) e/o sanitaria (quali la diffusione di epidemie non controllabili in un determinato Paese, cosicch la semplice permanenza del richiedente nel suo Paese determinerebbe per lui il rischio di contrarre la malattia) e/o ambientale (ad esempio cataclismi naturali che abbiano sconvolto lĠintero territorio statale e lasciato la popolazione senza abitazione e sostentamento alimentare)Ó. La Corte dĠAppello di Catanzaro, invece, discostandosi dalla netta presa (13) Artt. 2, 7, 8 e 14, D. L.vo 251/2007. (14) Cass. Ord. n. 4230/2013. (15) Ibidem. (16) Giurisprudenza granitica. A solo titolo di esempio, si vedano Trib. Catanzaro, Ord. n. 694/2012, n. 641/2012, Ord. 31 maggio 2013, r.g. 3940/2011, Ord. 3 giugno 2013, r.g. 3772/2012. di posizione del Giudice di primo grado, si riporta nelle sue motivazioni (17) alla giurisprudenza di Cassazione che, in un primo tempo, come abbiamo notato in precedenza (18), ha qualificato lĠistituto della protezione umanitaria ex art. 5, comma 6, D.L.vo 286/1998, come Òistituto ad esaurimentoÓ, salvo poi a precisare che, nel caso in cui vengano accertate gravi ragioni di protezione, astrattamente idonee allĠottenimento della misura tipica richiesta ma limitate nel tempo, deve procedersi al positivo accertamento delle condizioni per il rilascio della misura minima del permesso umanitario. Ci˜ non di meno, lĠattivitˆ concreta delle commissioni territoriali segnala che la questione non pu˜ chiudersi con le categorie dellĠistituto ad esaurimento e della misura temporanea, atteso che la prassi applicativa, prima ancora che ragioni di carattere sistematico o dottrinario, inducono a ritenere necessaria una terza misura di protezione, oltre a quelle tipiche dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, a chiusura del sistema. Nello sforzo di chiarire la problematica e di recepire indicazioni concrete per lĠoperatore, dunque, appare utile menzionare due sentenze della Corte di Cassazione. La prima (19) evidenzia che i presupposti relativi alla misura della protezione umanitaria, unitamente a quelli relativi allo status di rifugiato e di protezione sussidiaria, devono ritenersi ricompresi nellĠampia previsione di cui allĠart. 10, comma 3, della Costituzione, il cui testo recita: ÒLo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertˆ democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla leggeÓ. A completamento di tale impostazione, una successiva decisione (20) ha affermato che il diritto dĠasilo: ҏ oggi interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti di protezione, sicch non si scorge alcun margine di residuale applicazione della norma costituzionaleÓ. In conclusione, la tendenza giurisprudenziale del Giudice di legittimitˆ sembra disegnare lĠambito operativo dellĠart. 10, comma 3, della Costituzione come un grande insieme in cui si collocano i sottoinsiemi dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria arrivando, per sottrazione, allĠarea di attivitˆ residua che coincide con quella della protezione umanitaria. 5. Conclusioni. Sintetizzando le tappe del percorso logico affrontato, possiamo tentare di definire alcune conclusioni, in linea con gli orientamenti che derivano dalla giurisprudenza esaminata. (17) Ex pluribus Corte dĠAppello di Catanzaro, Sent. n. 133/2012, Sent. n. 164/2012. (18) Cass., Ord. n. 11535/2009. (19) Cass., Sez. VI, Sent. n. 20637/2012. (20) Cass., Ord. n. 10686/2012. In primo luogo, la protezione umanitaria  istituto residuale rispetto alle due protezioni maggiori e non pu˜ essere utilizzato per ipotesi che, almeno astrattamente, ricadono nellĠambito di operativitˆ proprio di quelle. Cos“ sembra doversi ritenere che, nel caso di riscontro di presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, sia pure per esigenze che si possono supporre limitate temporalmente, si debba riconoscere la suddetta forma di protezione internazionale. Allo stesso modo, non pare che in casi di conflitti generalizzati si possa fare ricorso alla protezione umanitaria che invece troverˆ applicazione in casi di problematiche situazioni di carattere, ad esempio, alimentare, sanitario od ambientale (21). Ancora, la misura di protezione in discorso  valido strumento di ausilio nel caso di riscontro di cause di esclusione per lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria, qualora intervengano comunque esigenze di protezione coperte dalla generale e prevalente formula di cui allĠart. 3 C.E.D.U. Inoltre, ovviamente, la protezione umanitaria dovrˆ essere riconosciuta ogni qual volta si riscontrino: Òseri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionaliÓ (22). NellĠinterpretazione costituzionalmente orientata della Cassazione (23), la norma fa riferimento alle fattispecie previste dalle convenzioni universali o regionali che autorizzano o impongono al nostro Paese di adottare misure di protezione a garanzia dei diritti umani e fondamentali e che trovano espressione e garanzia anche nella Costituzione. LĠampio catalogo che ne risulta pu˜ essere delimitato attraverso la valorizzazione dellĠaggettivo ÒseriÓ che pare richiedere, pur in assenza di interpretazione giurisprudenziale consolidata sul punto, una contestualizzazione soggettiva ed oggettiva tale da non far ritenere meramente ipotetico il rischio. Secondo lĠinsegnamento della Cassazione (24), infine, il rilascio del permesso di soggiorno per protezione umanitaria richiederˆ il positivo accertamento, da parte del questore, degli ulteriori requisiti previsti dallĠordinamento (25), con specifico riferimento anche allĠinsussistenza delle circostanze menzionate dallĠart. 4, comma 3, del D.L.vo 286/1998 (essere una minaccia per lĠordine pubblico o avere riportato condanna penale per uno dei reati previsti dallĠart. 380, comma 1 e 2, del codice di procedura penale, o per reati inerenti gli stupefacenti, al libertˆ sessuale, il favoreggiamento dellĠimmigrazione, o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione) (26). (21) Si richiama, al riguardo, la giurisprudenza del Tribunale di Catanzaro citata in precedenza. (22) Art. 5, comma 6, D.L.vo 286/1998. (23) Cass. Ord. n. 19394/2009. (24) Cass., Ord. 11535/2009. (25) Ci si riferisce alla previsione di cui allĠart. 28, comma 1, lett. D del D.P.R. 394/1999. (26) Corte dĠAppello di Palermo, Sent. n. 103/2011. Confermata in appello lĠaccertamento della demanialitˆ ÒsopravvenutaÓ delle acque del lago Lucrino (Tribunale Superiore Acque Pubbliche, sentenza 4 dicembre 2012 n. 164) Michele Gerardo* La sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche del 4 dicembre 2012 n.164 che si annota definisce il secondo grado del giudizio instaurato dallĠAmm.ne dello Stato al fine di fare accertare la qualitˆ di demanio idrico delle acque del lago Lucrino in conseguenza della legge 5 gennaio 1994 n. 36 contenente ÒDisposizioni in materia di risorse idricheÓ (cd. legge Galli). LĠart.1 di tale legge - iterato nei contenuti con lĠ art. 1 d.P.R. 18 febbraio 1999 n. 238 e con lĠart.144 del D.L.vo 3 aprile 2006 n.152 - enuncia che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorchŽ non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche. LĠindicato quadro normativo ha superato il pregresso regime delineato dal r.d. 1 dicembre 1933 n. 1775 che ricollegava la qualitˆ di acque pubbliche all'attitudine "ad usi di pubblico generale interesse" (art. 1 comma 1 r.d. n. 1775 cit.), avendo il legislatore operato a monte la scelta di riservare in via esclusiva al demanio dello Stato la proprietˆ di tali risorse. La nuova normativa ha avuto lĠeffetto, nel caso di specie, di rendere irrilevante il pregresso titolo di acquisto delle acque lacuali ad opera di privati. Acquisto valido, per la previgente disciplina, nella evenienza che le acque non avessero i caratteri di pubblico generale interesse. Il primo grado si  definito con la sentenza n. 17 del 10 febbraio 2010 del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Napoli con la quale si Òdichiara la proprietˆ dello Stato con la qualitˆ di demanio idrico del Lago di Lucrino, come riportato al N.C.T. al foglio 77 p.lla 29 del Comune di Pozzuoli e delle sue pertinenzeÓ. Tale sentenza  stata pubblicata su questa Rassegna (Rass. Avv. Stato, 2010, 2, pp. 244 e ss.) con breve nota dello Scrivente con la quale si segnalavano i profili di interesse collegati allĠesame degli effetti giudicato nel tempo e ai requisiti necessari affinchŽ le acque interne possano essere considerate pubbliche. Il giudice di secondo grado ha rigettato lĠappello, confermando lĠimpianto contenuto nella sentenza impugnata. Sulla disposizione dellĠart. 1 della legge Galli - per la quale tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorchŽ non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche -la sentenza in rassegna contiene almeno due importanti enunciazioni. 1. In prima analisi, il giudice dĠappello - rigettando le censure dellĠap (*) Avvocato dello Stato. pellante per il quale la sentenza del giudice delle acque di Napoli nellĠaccertare la qualitˆ demaniale di acque interne in precedenza nella titolaritˆ di privati avrebbe violato il principio di irretroattivitˆ della legge - rileva che la legge Galli, in parte qua, non contiene una disposizione retroattiva, atteso che ÒA prescindere dal rilievo che la retroattivitˆ  proibita solo in materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.), si osserva come l'affermazione generale della qualitˆ demaniale di una categoria di beni - posti, perci˜ stesso, extra commercium - per definizione prescinde dalla considerazione degli atti dispositivi che possano costituirne titolo di acquisto particolareÓ. Quanto sinteticamente rilevato dal giudicante  esatto, in quanto nel caso di specie  improprio parlare di applicazione retroattiva della legge. A voler seguire la prospettazione dellĠappellante, la legge Galli (e le successive) non dovrebbe riguardare le acque appartenenti a privati alla data della sua entrata in vigore. Tuttavia alcun limite del tipo evidenziato  applicabile. Ci˜ per una molteplicitˆ di ragioni. a) alcun limite vi  nella legge. Non viene in rilievo un problema di applicazione retroattiva della legge. La retroattivitˆ implica la applicabilitˆ della legge a condotte, ad atti pregressi. Ma nella vicenda esaminata dal Tribunale Superiore vi  la disciplina di stati e di connotazione di beni che non pu˜ non riferirsi ad essi beni; b) dalla parte motiva delle sentenze della Corte Costituzionale del 19 luglio 1996 n. 259 e 27 dicembre 1996 n. 419 - acclaranti la legittimitˆ della legge Galli - si evince chiaramente che il giudice delle leggi reputa applicabile la legge Galli alle acque cos“ come esistenti alla data di entrata in vigore della L. n. 36/ 94; c) la L. n. 36/94 non pu˜ che applicarsi alle acque esistenti. Implausibile  la applicazione ad acque future. 2. Viene reputata, poi, manifestamente infondata la questione di illegittimitˆ costituzionale degli artt. 1 della legge 36/1994, 144 del d.P.R. 152/2006, ed 1 del d.P.R. 238/1999 per contrasto con lĠart. 42 della Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo sotto il profilo dell'assenza di indennizzo a fronte dell'espropriazione di un bene immobile. Ci˜ sul rilievo che l'affermazione della demanialitˆ idrica di tutti i bacini di acqua con le caratteristiche precisate nella legge non  assimilabile all'espropriazione di un singolo bene, specificamente individuato, in funzione di un'opera pubblica da realizzare. Il giudice delle acque rileva che ҏ ormai jus receptum che le limitazioni normative del diritto di proprietˆ, proprio per il loro carattere generale ed astratto, non integrano una lesione del singolo diritto suscettibile, come tale, di indennitˆ ai sensi dell'art. 42 della CostituzioneÓ e che non sono Òprospettabili nuovi profili di illegittimitˆ da sottoporre alla Corte costituzionale, giˆ espressasi, sulla questione, in senso reiettivo, per la ricordata estraneitˆ della previsione di demanialitˆ delle acque allo schema legale delle espropriazioni per pubblica utilitˆ con obbligo di indennizzo (Corte costituzionale, 27 Dicembre 1996, n.419)Ó. La Corte Costituzionale  intervenuta sulla costituzionalitˆ della cd. Legge Galli (art. 1 comma 1 L. 5 gennaio 1994 n. 36 poi sostituito dall'art. 144 D.L.vo n. 152/06, come sopra evidenziato), oltre che con la sentenza 27 Dicembre 1996, n. 419, anche con la sentenza del 19 luglio 1996 n. 259, con le quali ha rilevato che tale legge si applica a tutte le acque indiscriminatamente. AllĠevidenza il giudice dĠappello ha reputato che la normativa sopravvenuta non contiene vincoli espropriativi, ma la mera conformazione di situazioni giuridiche soggettive che, per i principi esclude qualsivoglia diritto ad indennizzi. Difatti i vincoli espropriativi hanno carattere puntuale, individuano le aree sulle quali ricadono ed impongono un sacrificio particolare e differenziato rispetto al regime di zona. A fronti di tali vincoli il soggetto inciso ha diritto ad un indennizzo. Tali vincoli si distinguono e sono da tenere separati dai vincoli conformativi che sono espressione della potestˆ pubblica - nel caso di specie: con atto legislativo - di conformare il territorio; i vincoli conformativi costituiscono limitazioni che la legge stessa configura come connaturali allĠintera categoria dei beni disciplinati da essa medesima definita a priori, in connessione con caratteri che gli immobili interessati posseggono ex se e non vengono impressi ad essi per scelta amministrativa. Tali vincoli non attribuiscono alcun diritto allĠindennizzo. Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, sentenza 4 dicembre 2012 n.164 -Pres. Antonino Elefante S.C., Rel. Renato Bernabai - S.C. (avv. Paolo Di Martino) c/ Agenzia del Demanio e Ministero per i Beni e le Attivitˆ Culturali (Avv. Stato) nonchŽ Elgea s.r.l. (avv.ti Mario Ciancio e Stanislao Giammarino) e Amministrazione provinciale di Napoli (avv. Aldo Di Falco). (Omissis) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso notificato il 20 novembre 2006 l'Agenzia del Demanio ed il Ministero per i Beni e le Attivitˆ Culturali convenivano dinanzi il Tribunate regionale delle acque pubbliche di Napoli la signora C.S. e la Elgea s.r.l. per lĠaccertamento della proprietˆ demaniale idrica, ai sensi della legge 5 gennaio 1994 n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), del lago di Lucrino, alienato con le sue pertinenze dalla signora S. alla Elgea s.r.l. Costituendosi disgiuntamente, le convenute eccepivano l'incompetenza del tribunate regionale delle acque pubbliche alla luce di precedenti giudicati che avevano statuito trattarsi di acque marittime; ed in subordine, la carenza di legittimazione attiva del Ministero per i Beni e le Attivitˆ Culturali ai cui fini istituzionali era estranea la tutela della demanialitˆ idrica del lago. Nel merito, chiedevano i1 rigetto della domanda per infondatezza, assumendo che lo jus superveniens non si applicava alle acque lacustri di natura marina, quali quelle da cui era formato il lago di Lucrino, tuttora disciplinate dal codice della navigazione. L' Elgea s.r.l, chiedeva, in subordine, di essere garantita dalla S., con ripetizione del prezzo pagato, in caso di accoglimento della domanda. Interveniva in giudizio l'Amministrazione provinciale di Napoli, aderendo alla domanda principale. Con sentenza 10 febbraio 2010 il Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d'appello di Napoli, in accoglimento del ricorso, dichiarava la proprietˆ dello Stato a titolo di demanio idrico del lago di Lucrino; condannava la signora S. alla restituzione all'Elgea s.r.l. del prezzo di vendita di euro 845.000,00, oltre interessi e rivalutazione, e condannava le convenute alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti delle parti attrici. Motivava -che oggetto del giudizio era solo l'accertamento della demanialitˆ idrica del lago di Lucrino, restandone esclusa la demanialitˆ marittima, oggetto di precedenti pronunce; - che nessuna efficacia preclusiva ob rem judicatam era invocabile nella specie, in forza dello jus superveniens costituito dalla legge n. 36/1994, che aveva reso pubbliche tutte le acque superficiali e sotterranee - norma, poi abrogata e sostituita dall'articolo 144, primo comma, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale: cd. codice dell'ambiente) che ne aveva riprodotto il testo senza variazioni sostanziali - con superamento definitivo del regime legale antecedente, che ricollegava, invece, la qualitˆ di acque pubbliche all'attitudine ad un uso di generale interesse (regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 - Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici; art. 822 cod. civ.); -che quindi il lago di Lucrino, pur essendo un bacino interno autonomo e indipendente dal mare limitrofo, doveva considerarsi acquisito al demanio idrico, dal momento che la nuova normativa non si riferiva solo a invasi di acqua dolce; tenuto altresi conto delle esigenze di preservazione della fauna e della flora acquatiche pure tutelate nella legge in vigore; -che nessun rilievo, in senso contrario, rivestiva il vincolo archeologico di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose d'interesse artistico e storico) imposto dal Ministero dei Beni Culturali e Ambientali e trascritto in data 10 marzo 1997, che rispondeva alla diversa esigenza di salvaguardare l'ambiente da interventi edilizi privati con esso incompatibili; - che era pure fondata la domanda di garanzia svolta dall'acquirente Elgea s.r.l. verso la signora S., in forza dell'evizione subita per causa anteriore alla stipulazione del contratto. Avverso la sentenza la signora S. proponeva gravame, articolato in sei motivi e notificato il 18 marzo 2011. Deduceva 1) la violazione degli artt. 140 r. d. n. 1775/1933, 28 cod. della navigazione e 822, primo e secondo comma, cod. civile, nonchŽ del principio di giudicato, e la carenza di motivazione, per omessa pronunzia di incompetenza, in controversia riguardante un bene appartenente, in ipotesi, al demanio marittimo; 2) la violazione del principio di intangibilitˆ del giudicato e del principio di irretroattivitˆ della legge; 3) l'omessa pronunzia sulla carenza di legittimazione attiva del Ministero e dell'Amministrazione provinciale; 4) la carenza di motivazione e la violazione di legge nell'affermazione della demanialitˆ idrica del lago nonostante la sua indiscutibile conformazione di bacino artificiale, in cui con fluivano sia acque marine, sia acque sorgive di carattere termom’nerale; 5) la violazione degli artt. 822, 840, 909 e 953 cod. civ. nonchŽ dell'art. l d. P. R. 238/1999, e in generale dei principi fondamentali in materia di proprietˆ e di espropriazione per pubblica utilitˆ, per la ritenuta demanialitˆ idrica del lago di Lucrino con tutte le sue pertinenze; 6) la violazione degli artt. 823 e 1483 cod. civile, nonchŽ l'illogicitˆ della motivazione in ordine all'accoglimento della domanda di garanzia. In via subordinata, sollevava eccezione di illegittimitˆ costituzionale degli artt. 1 della legge 36/1994, 144 del d.P.R. 152/2006, ed 1 del d.P.R. 238/1999, per contrasto con l'art. 42 della Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo nella parte in cui procedeva all'espropriazione di un bene immobile senza previsione di indennizzo. Resistevano con comparsa l'Agenzia del Demanio, il Ministero per i Beni e le Attivitˆ Culturali e l'Amministrazione provinciale di Napoli, nonchŽ l'Elgea s.r.l. La ricorrente S. e l'Elgea s.r.l depositavano, altres“, memoria conclusionale. La causa passava in decisione all'udienza del 3 ottobre 2012, sulle conclusioni in epigrafe riportate. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo l'appellante deduce, in via pregiudiziale di rito, lĠerroneitˆ del- l'omessa pronunzia di incompetenza in una vertenza in tema di demanio marittimo. Il motivo e infondato. Premessa l'inammissibilita della censura sotto il concorrente profilo dell'omessa motivazione in ordine ad una questione processuale di competenza, si osserva come questa vada risolta sulla base della prospettazione della domanda. Nella specie, le parti attrici hanno chiaramente rivendicato l'appartenenza del bene al demanio idrico; e tale formulazione vale ad integrare la competenza del tribunate delle acque pubbliche, indipendentemente dall'esattezza della qualificazione, attinente invece al merito della causa: con la conseguenza che l'eventuale estraneitˆ del lago in questione al demanio idrico comporterebbe il rigetto della domanda, pronunziato pur sempre dal tribunate adito. In via gradata, la S. denunzia la violazione dei principi di intangibilitˆ del giudicato e di irretroattivitˆ della legge. Anche queste censure sono infondate. Nessuna efficacia preclusiva ob rem judicatam esercita la citata sentenza irrevocabile 9/1960 del T.r.a.p., trattandosi, in questa sede, di accertare la demanialitˆ idrica del lago di Lucrino sulla base dello jus superveniens di cui alla legge 5 gennaio 1994 n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), il cui art.1, primo comma, enuncia solennemente il principio fondamentale: "Tutte le acque superficiall e sotterranee, ancorchŽ non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che  salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietˆÓ. NŽ la successiva abrogazione della norma suddetta ad opera del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Norme in materia ambientale - Codice dell'ambiente) modifica i termini del problema, in considerazione della riproduzione inalterata della disciplina nella norma sostitutiva di cui all'art. 144 (Tutela e uso delle risorse idriche). Ne consegue che ogni riferimento all'utilizzazione pubblica dell'acqua, in funzione discriminante della demanialitˆ - che costituiva il presupposto dei precedenti giurisprudenziali citati dalla ricorrente -  venuto meno; e con esso, l'eccepita preclusione da giudicato del pregresso accertamento giudiziale. Inconferente si palesa, poi, l'invocazione del principio di irretroattivitˆ della legge. A prescindere dal rilievo che la retroattivitˆ  proibita solo in materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.), si osserva come l'affermazione generale della qualitˆ demaniale di una categoria di beni - posti, perci˜ stesso, extra commercium - per definizione prescinde dalla considerazione degli atti dispositivi che possano costituirne titolo di acquisto particolare. Meramente assertiva, e quindi inammissibile, appare la successiva doglianza, non sorretta da alcuna specifica ragione in fatto o in diritto, avverso la ritenuta legittimazione attiva del Ministero e dell'Amministrazione provinciale (art. 342 cod. proc. civ.). Con il quarto motivo l'appellante contesta, nel merito, l'affermazione della demanialitˆ idrica del lago, nonostante la sua conformazione di bacino artificiale. Anche questo motivo  infondato. La qualitˆ non artificiale del lago di Lucrino dipende dalla sua origine naturale; e non  certo esclusa, ex post, da opere artificiali di contenimento, storicamente effettuate per evitarne la comunicazione col mare. Neppure pu˜ escludersi la demanialitˆ in considerazione della natura termominerale dell'acqua, che farebbe rientrare il lago in questione nella riserva di disciplina prevista dallĠart. 1, quarto comma, della legge 36/1994 ("Le acque termali, minerali e per uso geotermico sono disciplinate da leggi speciali"). AffinchŽ tale deroga operi occorre, infatti, che si tratti di acque solo termali o minerali, suscettibili dell'uso specifico ad esse confacente; e non, come nella specie, di acque salmastre, di struttura ed origine composita ed in parte marina. Sul punto, la prospettata distinzione tra il regime legale delle acque e quello del suolo che le contiene, si risolve in un'improponibile equiparazione di opere artificiali e manufatti destinati a contenerle e convogliarle (acquedotti, cisterne e condutture di vario genere) - in cui tale distinzione  giuridicamente possibile (art. 822, secondo comma, cod. civ.) - a bacini naturali, per i quali, invece, la stessa non  concepibile, in forza del vincolo naturale dell'acqua con l'invaso: vincolo, che fa di un lago (come di un fiume o di altro corpo idrico) un bene unitario, comprensivo delle sponde e del fondo. Manifestamente infondata si palesa, in chiusura, la questione di illegittimitˆ costituzionale degli artt. 1 della legge 36/1994, 144 del d.P.R. 152/2006, ed 1 del d.P.R. 238/1999 per contrasto con lĠart. 42 della Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo sotto il profilo dell'assenza di indennizzo a fronte dell'espropriazione di un bene immobile. L'affermazione della demanialitˆ idrica di tutti i bacini di acqua con le caratteristiche precisate nella legge non  in alcun modo assimilabile all'espropriazione di un singolo bene, specificamente individuato, in funzione di un'opera pubblica da realizzare. Al riguardo,  ormai jus receptum che le limitazioni normative del diritto di proprietˆ, proprio per il loro carattere generale ed astratto, non integrano una lesione del singolo diritto suscettibile, come tale, di indennitˆ ai sensi dell'art. 42 della Costituzione. Anche la censura di violazione del principio di uguaglianza, con riferimento ad altri laghi che si assume esenti dalla disciplina normativa in esame, non vale ad integrare il tertium comparationis di un giudizio di legittimitˆ costituzionale, basandosi su mere affermazioni, senza che la denunziata disparitˆ di trattamento risulti dallo stesso testo normativo impugnato o da altre leggi specificamente indicate. Alla luce dei predetti rilievi non sono, dunque, prospettabili nuovi profili di illegittimitˆ da sottoporre alla Corte costituzionale, giˆ espressasi, sulla questione, in senso reiettivo, per la ricordata estraneitˆ della previsione di demanialitˆ delle acque allo schema legale delle espropriazioni per pubblica utilitˆ con obbligo di indennizzo (Corte costituzionale, 27 Dicembre 1996, n. 419). Con l'ultimo motivo la signora S. censura l'accoglimento della domanda di garanzia svolta dall'acquirente Elgea s.r.l. Anche sotto questo profilo l'appello  infondato. La nullitˆ del contratto di compravendita per impossibilitˆ dell'oggetto -extra commercium, in quanto bene demaniale - con la conseguente evizione a seguito dell'esercizio del- l'azione di accertamento della demanialitˆ svolta dall'Agenzia dŽl Demanio e dal Ministero, comporta l'obbligazione restitutoria del prezzo. Priva di pregio si palesa, in senso contrario, la tesi dell'assunzione del rischio da parte dell'acquirente. Seppur ammissibile, l'esonero convenzionale dalla garanzia (art. 1487 cod. civ.) esime dalla risoluzione del contratto ex artt. 1479 e 1480 cod. civ. in caso di ignoranza, in buona fede, da parte del compratore, dell'altruitˆ totale o parziale della cosa; ma non previene anche la ripetizione del prezzo in caso di evizione effettiva, fatta salva espressamente dall' art. 1488, primo comma, cod. civile. AffinchŽ anche questa sia impedita, occorre che le parti abbiano inteso stipulare un contratto aleatorio in senso tecnico - e cioŽ, a rischio e pericolo del compratore (ibidem, secondo comma) - in forza di clausola espressa; inesistente, nella specie. Ne l'aleatorietˆ del contratto stipulato dalla S. e dall'Elgea s.r.l pu˜ essere desunta per fatti concludenti, ravvisati in comportamenti non solo oggettivamente ambigui, ma, per di pi, neppure imputabili alla societˆ acquirente, bensi ad un terzo, avv. D.C., la cui allegata posizione di socio-sovrano, dominus dell'Elgea s.r.l.,  stata ritenuta indimostrata nella sentenza del T.R.A.P. e tale  restata anche in questo grado. Per completezza di analisi, si osserva come la pattuizione della condizione sospensiva della compravendita del lago, consistente nel mancato esercizio del diritto di prelazione da parte della Regione Campania - valorizzata dalla S. per inferirne l'assunzione ex adverso del rischio di demanialitˆ - dimostra, sernmai, che le parti confidavano nella validitˆ del contratto alla data della stipulazione: salvo subordinarne l'efficacia ad una circostanza estrinseca, passibile di avveramento solo sulla presupposizione della commerciabilitˆ del bene. Pure infondata  l'eccezione di improcedibilitˆ dell'azione di garanzia, in quanto svolta prima dell'irrevocabilitˆ ob rem judicatam dell'accertamento di demanialitˆ. Questo non integra, infatti, un presupposto processuale e pu˜ essere quindi svolto contestualmente, nel medesimo giudizio: come, del resto, prefigurato nella fattispecie legale di cui all'art. 1485 cod. civile, in cui la compresenza del venditore vale a prevenire l'eventuale perdita della garanzia per omesso contrasto della pretesa del terzo. Irrilevanti appaiono, da ultimo, ulteriori intese che si assume intercorse tra la signora S. e l'avv. D.C., stante la diversitˆ oggettiva e soggettiva dei rapporti dedotti. L'impugnazione dev'essere dunque rigettata, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessitˆ delle questioni trattate. P.Q.M. ll Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche rigetta l'appello e condanna l'appellante alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti appellate, liquidate, per l'Agenzia del Demanio ed il Ministero per i Beni e le Attivitˆ culturali in complessivi Û 2.000,00, di cui Û 500,00 per la fase di studio, Û 400,00 per la fase introduttiva ed Û 1100,00 per la fase decisoria; e per l'Elgea s.r.l. in complessivi Û 2.000,00, di cui Û 500,00 per la fase di studio, Û 400,00 per la fase introduttiva ed Û 1100,00 per la fase decisoria; oltre gli accessori di legge. Cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del Tribunale superiore delle acque pubbliche del 3 ottobre 2012. Potere amministrativo implicito e atto amministrativo implicito: ammissibilitˆ e condizioni di legittimitˆ dellĠuno e dellĠaltro (Consiglio di Stato., Sez. VI, sentenza 2 maggio 2012, n. 2521) Valeria Romano* Come  noto, il principio di legalitˆ impone non solo la indicazione dello scopo che lĠautoritˆ amministrativa deve perseguire ma anche la predeterminazione, in funzione di garanzia, del contenuto e delle condizioni dellĠesercizio dellĠattivitˆ. Nel caso degli atti regolamentari la legge, per˜, normalmente non indica nei dettagli il loro contenuto. La parziale deroga al principio di legalitˆ sostanziale si giustifica in ragione dellĠesigenza di assicurare il perseguimento di fini che la stessa legge predetermina: il particolare tecnicismo del settore impone, infatti, di assegnare alle Autoritˆ il compito di prevedere e adeguare costantemente il contenuto delle regole tecniche allĠevoluzione del sistema. Una predeterminazione legislativa rigida sarebbe di ostacolo al perseguimento di tali scopi: da qui la conformitˆ a Costituzione, in relazione agli atti regolatori in esame, dei poteri impliciti. La dequotazione del principio di legalitˆ sostanziale giustificata, come detto, dalla valorizzazione degli scopi pubblici da perseguire in particolari settori impone, inoltre, il rafforzamento del principio di legalitˆ procedimentale che si sostanzia, tra lĠaltro, nella previsione di rafforzate forme di partecipazione degli operatori del settore al procedimento di formazione degli atti regolamentari. Con la massima riportata il Consiglio di Stato affronta il problema del rapporto tra principio di legalitˆ amministrativa e poteri impliciti, con particolare riferimento allĠattivitˆ delle Autoritˆ amministrative indipendenti. La sentenza del maggio 2012 fornisce lo spunto per ricostruire la distinzione tra potere amministrativo implicito e atto implicito e per esaminare le questioni relative allĠammissibilitˆ ed alle condizioni di legittimitˆ dellĠuno e dellĠaltro. I poteri amministrativi impliciti possono essere definiti, in via di prima approssimazione, come poteri che, sebbene non attribuiti expressis verbis dalla legge alla P.A., risultino tuttavia necessari per il raggiungimento degli scopi che lĠAmministrazione  chiamata a perseguire. I poteri amministrativi impliciti si connotano, dunque, per due caratteri: la non esplicita attribuzione in capo alla P.A. da parte di una fonte legislativa ed il nesso di strumentalitˆ tra il loro concreto esercizio ed il conseguimento degli obiettivi che lĠAmministrazione  chiamata a realizzare nellĠambito della sua attivitˆ di cura degli interessi pubblici. I poteri impliciti sono, dunque, poteri che, come evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 4 del 1957, si ÒaccompagnanoÓ ai poteri espressamente riconosciuti dalla legge alla Pubblica Amministrazione. La nozione di atto amministrativo implicito si differenzia da quella, appena (*) Dottore in Giurisprudenza, giˆ praticante forense presso lĠAvvocatura dello Stato. tracciata, di potere amministrativo implicito. LĠatto amministrativo implicito si configura come una manifestazione indiretta della volontˆ della P.A. La volontˆ dellĠAmministrazione pu˜, infatti, estrinsecarsi sia in un atto provvedi- mentale formale sia attraverso un provvedimento in forma orale ovvero mediante comportamenti e facta concludentia. LĠatto amministrativo implicito pu˜, altres“, essere definito come un atto logicamente collegato ad un provvedimento presupposto il quale si pone a monte di quello implicito. LĠattitudine dellĠatto implicito a porsi come una manifestazione indiretta della volontˆ della P.A. vale a distinguere la figura dellĠatto amministrativo implicito dalla figura del silenzio dellĠAmministrazione. Detto altrimenti, il silenzio della P.A. si sostanzia in unĠinerzia, unĠastensione dallĠesercizio del potere da parte dellĠAmministrazione; lĠatto amministrativo implicito, viceversa, si configura come un comportamento attivo della P.A. consistente in una manifestazione di volontˆ sebbene implicita. Per meglio chiarire le nozioni di potere implicito ed atto amministrativo implicito pu˜ essere utile fornire alcuni esempi. La giurisprudenza ha riconosciuto ipotesi di atti amministrativi impliciti nei seguenti casi: lĠautorizzazione allĠacquisto ex art. 13 della L. n. 127 del 1997 valeva come implicito riconoscimento dellĠente; lĠutilizzazione consapevole dellĠattivitˆ del privato vale come dichiarazione implicita dellĠutiliter coeptum in relazione allĠazione di arricchimento; la comunicazione del parere negativo reso dalla commissione edilizia sullĠistanza di concessione edilizia vale come implicito diniego dellĠistanza di concessione. é possibile, traendo spunto dalla casistica giurisprudenziale, fornire alcuni esempi anche in relazione ai poteri impliciti. Si  ritenuto che la legge n. 84 del 1992 riconoscendo esplicitamente al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il potere di vigilanza sullĠAutoritˆ portuale (art.12) abbia implicitamente riconosciuto al Ministero stesso il potere di rimuovere gli organi direttivi dellĠAutoritˆ portuale (1). Esaminate le nozioni di poteri amministrativi impliciti e atti amministrativi impliciti e forniti alcuni esempi dellĠuno e dellĠaltro, pu˜ concludersi che lĠaggettivo implicito che accompagna il termine potere sta ad indicare Ònon tipizzato dalla leggeÓ, mentre lĠaggettivo implicito che accompagna la locuzione atto amministrativo qualifica la forma dellĠatto quando questo  assunto tacitamente o emanato in forma orale. Passiamo ora alla questione della legittimitˆ dei poteri amministrativi impliciti e degli atti amministrativi impliciti. Il problema dellĠammissibilitˆ dei poteri amministrativi impliciti riguarda, come emerge dalla sentenza in rassegna, la questione della loro compatibilitˆ con il principio di legalitˆ. Come a tutti noto, il principio di legalitˆ ha referenti costituzionali agli articoli 97, 95, 24, 103 della Carta Fondamentale oltre ad essere sancito allĠart. 1 della legge sul procedimento amministrativo (L. n. (1) T.A.R.Puglia - Bari - Sezione I, 9 luglio 2009 n. 1803, in Foro amm. TAR 2009, 7-8, 2225. 241/1990). LĠart. 97 della Costituzione, in particolare, pone una riserva di legge relativa in materia di Òorganizzazione degli ufficiÓ. Pur avendo ad oggetto immediato lĠorganizzazione della Pubblica Amministrazione, il principio di legalitˆ copre non soltanto lĠorganizzazione dellĠAmministrazione come apparato, ma anche il complessivo espletamento dellĠattivitˆ amministrativa. LĠinterpretazione secondo la quale il principio di legalitˆ non riguarda la sola organizzazione della P.A., ma impone allĠAmministrazione lĠosservanza della legge nellĠesercizio delle sue funzioni trova conferma agli articoli 24 e 103 della Costituzione che, sottoponendo al sindacato giurisdizionale lĠattivitˆ della Pubblica Amministrazione, impongono ad essa lĠosservanza della legge nella sua azione di cura dellĠinteresse pubblico. Ci˜ detto in via generale, bisogna valutare la compatibilitˆ del principio di legalitˆ con lĠesercizio di poteri impliciti da parte della P.A. Il problema pu˜ essere riassunto nei seguenti termini: tanto pi rigorosamente  interpretato il principio di legalitˆ tanto pi ridotti saranno i margini per riconoscere lĠammissibilitˆ dei poteri amministrativi impliciti nel nostro ordinamento. Occorre, dunque, soffermarsi sulle diverse tesi interpretative del principio di legalitˆ. Il principio in parola  stato interpretato in tre diverse accezioni: debolissimo, formale e sostanziale (2). Nella sua accezione debolissima il principio di legalitˆ deve essere inteso come divieto imposto alla P.A. di agire in senso difforme dalle disposizioni di legge che ne regolano lĠagere. In senso formale il principio di legalitˆ esprime la necessitˆ di un fondamento normativo per gli atti e lĠattivitˆ della P.A. In senso sostanziale il principio in parola impone allĠAmministrazione di agire in conformitˆ alla legge. Tale ultima accezione  stata fatta propria dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 115 del 2011 (3). LĠadesione allĠaccezione debolissima, formale o sostanziale del principio di legalitˆ si riflette, come detto, sulla questione dellĠammissibilitˆ dellĠesercizio di poteri amministrativi impliciti da parte della Pubblica Amministrazione. Sulla compatibilitˆ dei poteri impliciti con il principio in parola si sono consolidate due opposte teorie. Secondo un primo orientamento, i poteri amministrativi impliciti sono inammissibili. La tesi in parola muove dalla premessa per cui il principio di legalitˆ implica che la legge non si limiti a stabilire i fini che la P.A. deve perseguire, ma disciplini anche i mezzi con i quali raggiungerli, ossia i poteri che possono essere esercitati per il raggiungimento degli scopi affidati allĠAmministrazione. LĠargomento  tratto dal- lĠart. 1 della legge 241 del 1990 a norma del quale la P.A. non solo persegue i fini stabiliti dalla legge, ma agisce secondo le modalitˆ previste dalla legge (2) ROBERTO GAROFOLI - GIULIA FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Neldiritto editore, ottobre 2012. (3) Corte Costituzionale, 7 aprile 2011, n. 115 in Il civilista 2011, 6, 17. laddove per modalitˆ si intendono gli strumenti e, quindi, i poteri stabiliti dalla legge. Secondo la tesi in esame, dunque, i poteri amministrativi sono tipici tanto nei presupposti quanto negli effetti del loro esercizio. DallĠaffermazione della tipicitˆ dei poteri della Pubblica Amministrativa deriva la logica conseguenza dellĠinammissibilitˆ di poteri impliciti, non tipizzati. A sostegno della tesi della tipicitˆ dei poteri della Pubblica Amministrazione si sostiene, inoltre, che ove si opinasse in senso contrario lĠAmministrazione sarebbe libera di adottare qualunque mezzo idoneo a perseguire i fini legislativi con la conseguente esposizione del privato a rischi di arbitri da parte della P.A. La tipicitˆ dei presupposti e degli effetti dellĠesercizio del potere della Pubblica Amministrazione si traduce, dunque, secondo la teoria in parola, in un rafforzamento delle garanzie del privato nei confronti dellĠAmministrazione. Si nega, pertanto, cittadinanza nel nostro ordinamento ai poteri amministrativi impliciti nellĠesigenza di mettere a riparo il cittadino dai rischi di indebite compressioni della sua sfera giuridica conseguenti allĠesercizio di poteri non direttamente disciplinati dal Legislatore. Secondo un opposto indirizzo interpretativo, adottato dalla massima in rassegna, i poteri amministrativi impliciti devono, invece, essere considerati ammissibili. Secondo lĠinterpretazione del principio di legalitˆ fornita dal- lĠorientamento in parola tale principio impone che lĠattivitˆ amministrativa persegua fini determinati dalla legge. Ci˜ equivale ad affermare che la Pubblica amministrazione non pu˜ stabilire essa stessa i fini da perseguire, ma li riceve dal Legislatore. La tesi in esame finisce, dunque, per riconoscere lĠammissibilitˆ di poteri impliciti allorquando il loro esercizio si qualifichi come necessario per il raggiungimento degli obiettivi il cui perseguimento  affidato allĠAmministrazione dalla legge. La tesi in esame riconosce, inoltre, lĠesercitabilitˆ di poteri impliciti in un ottica di valorizzazione del principio del- lĠefficacia e buon andamento dellĠazione amministrativa. La teoria che ammette lĠesercitabilitˆ di poteri impliciti da parte della P.A. attribuisce prevalenza alle esigenze di efficacia dellĠazione amministrativa rispetto a quella di fornire adeguate garanzie al privato contro lĠesposizione della sua sfera giuridica a poteri amministrativi non previsti dalla legge. La tesi valorizza unĠinterpretazione della P.A. come Amministrazione orientata al risultato o performance-oriented. Oltre alla valorizzazione delle esigenze di assicurare buon andamento ed efficacia dellĠazione della P.A., la tesi che ammette lĠesercitabilitˆ dei poteri impliciti sostiene che negandone la cittadinanza nel nostro ordinamento si determinerebbe un ingessamento dellĠazione amministrativa. Un ulteriore argomento fa leva sullĠimpossibilitˆ per il Legislatore di tipizzare in via preventiva ogni potere e ogni strumento per il perseguimento dei fini della P.A. La tesi favorevole allĠammissibilitˆ dei poteri impliciti  stata fatta propria, giˆ prima della sentenza in commento, dalla giurisprudenza del Consi glio di Stato nella sentenza n. 5827 del 2005, Sez. VI (4). Nel caso risolto con la pronuncia appena citata, i Giudici di palazzo Spada hanno vagliato la legittimitˆ dellĠoperato dellĠAutoritˆ garante per il gas e lĠenergia che aveva imposto ai cittadini utenti finali di assicurarsi contro i rischi legati allĠuso del gas naturale. Nel riconoscere lĠammissibilitˆ dei poteri amministrativi impliciti, il Consiglio di Stato ha spiegato come il loro esercizio rientri nella generale facoltˆ dellĠAmministrazione di autoprogrammarsi. Il riconoscimento dellĠammissibilitˆ dei poteri amministrativi impliciti della P.A. si inquadra, dunque, nellĠinterpretazione dellĠazione della P.A. come teologicamente orientata al conseguimento dei risultati assegnati dalla legge allĠAmministrazione. Un orientamento in linea con quello assunto dalla sentenza n. 5827 del 2005  stato fatto proprio dai giudici amministrativi di merito. Il Tar Puglia ha, infatti, ammesso i poteri amministrativi impliciti sostenendo la loro esercitabilitˆ da parte delle Amministrazioni il cui operato deve essere funzionalizzato al raggiungimento degli scopi istituzionali (sentenza n. 1806 del 2009 giˆ citata). Tanto chiarito in merito allĠammissibilitˆ dei poteri amministrativi impliciti, bisogna affrontare la diversa questione dellĠammissibilitˆ degli atti amministrativi impliciti. Tale questione si pone su un piano diverso che non riguarda la compatibilitˆ della figura con il principio di legalitˆ, ma involge la questione se lĠatto amministrativo implicito rientri tra le possibili forma di estrinsecazione degli atti della P.A. In senso affermativo circa lĠammissibilitˆ degli atti amministrativi impliciti si sono espressi i giudici di palazzo Spada sin dal 1923. Nella sentenza 24.05 del 1923 la V Sez. del Consiglio di Stato ha ammesso la possibilitˆ per la P.A. di esprimere la sua volontˆ attraverso atti amministrativi impliciti o sottintesi argomentando tale possibilitˆ in base al generale principio di libertˆ delle forme degli atti amministrativi. A conferma della non necessaria estrinsecazione della volontˆ della P.A. in un atto amministrativo formale pu˜ essere richiamata la nota sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale (5). Con la pronunzia appena citata e con la successiva n. 191 del 2006 (6), il Giudice delle Leggi, nel vagliare la legittimitˆ degli artt. 33 e 34 del d.lgs 80/1998, ha affermato che lĠesercizio del potere della P.A. pu˜ avvenire mediante lĠemanazione di provvedimenti formali ovvero attraverso Òcomportamenti amministrativiÓ che, sebbene non destinati a sfociare nellĠadozione di un provvedimento formale, sono legati a doppio filo con lĠesercizio del potere della P.A. Dai Òcomportamenti amministrativiÓ la Corte distingue i Òmeri comportamentiÓ della P.A. che, non rappresentando unĠestrinsecazione del potere dellĠAmministrazione, radicano la giurisdizione (4) Consiglio di Stato, sez. VI, 17 ottobre 2005, n. 5827, in Foro amm. CDS 2005, 10, 3022. (5) Corte costituzionale, 6 luglio 2004 n. 204 in Foro amm. CDS 2004, 1895, 2475 (nota di: SATTA; GALLO; SICLARI) (6) Corte costituzionale, 11 maggio 2006, n. 191 in Giur. it. 2006, 8-9, 1729. del G.O. Ai fini della presente trattazione rileva lĠassunto sostenuto dal Giudice delle Leggi della possibilitˆ per lĠAmministrazione di esercitare potere di cui  titolare anche in modo tacito o mediante comportamenti. LĠammissibilitˆ degli atti amministrativi impliciti  stata altres“ posta in discussione in relazione alla loro compatibilitˆ con i principi del giusto procedimento positivizzati nella legge 241 del 1990. In particolare, le norme con le quali  sembrato essere incompatibile la figura dellĠatto amministrativo implicito sono quelle contenute agli articoli. 3, 2, 21 septies e 10 bis della L. 241/1990. Con riguardo allĠart. 3 della legge sul procedimento amministrativo  stato sostenuto dai fautori della tesi dellĠinammissibilitˆ degli atti amministrativi impliciti che tali atti sarebbero privi di motivazione. é stato ribattuto dai sostenitori della tesi dellĠammissibilitˆ degli atti amministrativi impliciti che la motivazione dellĠatto sottinteso  ricavabile dallĠatto presupposto cui lĠatto implicito  collegato da logica consequenzialitˆ. I detrattori dellĠammissibilitˆ degli atti amministrativi impliciti hanno, inoltre, sostenuto lĠincompatibilitˆ di tali atti con il dettato dellĠart. 2 della Legge 241/1990 che prescrive che il procedimento si concluda con un provvedimento espresso. Sul punto  stato obiettato che lĠatto implicito si sostanzia una manifestazione di volontˆ espressa sebbene in forma indiretta, tacita ovvero orale. é stato, poi, argomentato che, in base alla disposizione dellĠart. 21 septies, lĠatto amministrativo implicito dovrebbe essere considerato nullo per difetto di volontˆ e forma. Anche tale argomento  stato criticato. é stato, infatti, rilevato che lĠatto amministrativo implicito  un atto fornito di un contenuto volitivo ricavabile dallĠatto presupposto. Solo quando la legge prescriva un forma ad substantiam potrˆ concludersi per la nullitˆ strutturale dellĠatto implicito. I fautori della tesi dellĠinammissibilitˆ degli atti amministrativi impliciti hanno infine argomentato la loro dubbia conformitˆ allĠistituto della comunicazione dei motivi ostativi allĠaccoglimento dellĠistanza di cui allĠart. 10 bis della legge 241 del 1990. I sostenitori della tesi dellĠammissibilitˆ degli atti amministrativi impliciti hanno fugato il paventato dubbio sostenendo unĠinterpretazione funzionale dellĠart. 10 bis che consente di escludere la rilevanza invalidante dei vizi di forma e procedura ogniqualvolta si dimostri che il contenuto dispositivo dellĠatto amministrativo implicito non avrebbe potuto essere diverso da quello di fatto adottato. Fornita risposta affermativa al quesito dellĠammissibilitˆ dei poteri amministrativi impliciti e degli atti amministrativi impliciti,  possibile indagare la questione delle condizioni di legittimitˆ degli uni e degli altri. Quanto ai poteri amministrativi impliciti la giurisprudenza ha isolato due condizioni affinchŽ il potere implicito possa essere legittimamente esercitato. Il primo requisito  lĠindividuazione nella legge dello scopo-fine che la P.A. deve perseguire ed alla cui realizzazione deve essere funzionalizzato lĠesercizio del potere implicito. Il secondo requisito, in compensazione delle minori garanzie che il privato vanta di fronte allĠesercizio di un potere implicito rispetto a quelle di cui gode nel caso di esercizio di poteri tipici,  rappresentato dal rafforzamento delle garanzie procedimentali e partecipative riconosciute agli interessati ed ai controinteressati rispetto allĠesercizio del potere. Diverse le condizioni di legittimitˆ degli atti amministrativi impliciti. Le condizioni affinchŽ un atto amministrativo implicito possa essere considerato legittimo sono le seguenti: il collegamento di logica consequenzialitˆ implicazione con lĠatto presupposto, inequivocabilitˆ della manifestazione indiretta della volontˆ della P.A., la mancata previsione legislativa di una forma ad substantiam per lĠatto implicito, lĠatto amministrativo implicito deve essere rientrante della sfera di competenza dellĠorgano che ha emendato il provvedimento presupposto. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 2 maggio 2012, n. 2521 -Pres. Giuseppe Severini, Est. Vincenzo Lopilato - Autoritˆ per lĠenergia elettrica ed il gas (Avv. Stato) c. Toscana Energia S.p.A. (avv.ti Giuseppe Caia e Mario Sanino), pi altri. (Omissis) FATTO e DIRITTO 1. Con gli atti di appello, indicati in epigrafe, sono state impugnate quattro sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione terza, con le quali sono stati decisi ricorsi aventi ad oggetto talune deliberazioni dellĠAutoritˆ per lĠenergia elettrica ed il gas (dĠora in avanti Autoritˆ) relative alle modalitˆ di determinazione delle tariffe nel settore della distribuzione del gas naturale. 2. Con sentenza 11 ottobre 2010, n. 6912 sono stati accolti in parte tre ricorsi proposti da: Aspem s.p.a., Aemme Linea distribuzione s.r.l., Dgn, Distribuzione gas naturale s.r.l., Prealpi gas s.r.l. Con sentenza 11 ottobre 2010, n. 6914  stato accolto in parte il ricorso proposto da Gas plus reti s.r.l. Con sentenza 11 ottobre 2010, n 6915 sono stati accolti in parte tre ricorsi proposti da: Assogas Associazione nazionale industriali privati gas e servizi collaterali, Erogasmet s.p.a., Italcogim reti s.p.a., Condotte Nord s.p.a. Con sentenza 11 ottobre 2010, n. 6916  stato accolto il ricorso proposto da Toscana Energia s.p.a. Gli atti impugnati pi rilevanti sono riportati nella parte che precede lĠanalisi delle singole censure (punto 6.3.) 3. Le sentenze sopra indicate sono state impugnate con quattro separati atti di appello re- canti, rispettivamente, i numeri 469, 472, 468, 467 dallĠAutoritˆ per i motivi che verranno indicati nel prosieguo. 3.1. Assogas Associazione nazionale industriali privati gas e servizi collaterali, Erogasmet s.p.a., Italcogim reti s.p.a., Condotte Nord s.p.a. hanno proposto appello avverso la sentenza n. 6915 del 2010. 3.2. Gas plus reti s.r.l. ha proposto appello avverso la sentenza n. 6914 del 2010. 4. I sei atti di appello, sopra indicati, attesa la connessione oggettiva e soggettiva, possono essere riuniti per essere decisi con unĠunica sentenza. 5. In via preliminare, deve rilevarsi che, con atto del 15 febbraio 2012, Toscana Energia s.p.a. ha rinunciato al ricorso di primo grado e agli effetti della sentenza n. 6916 del 2010, con la conseguenza che la stessa deve essere annullata senza rinvio. La decisione in esame ha, pertanto, ad oggetto i rimanenti cinque appelli introdotti con i ricorsi dellĠAutoritˆ, recanti numeri 469, 472 e 468 del 2011, e delle societˆ private, recanti numeri 426 e 468 del 2011. 6. In via preliminare  necessario indicare: i) i principi generali applicabili ai servizi pubblici di rete; ii) il quadro normativo di riferimento nel settore della distribuzione del gas naturale; iii) le deliberazioni, rilevanti in tale settore, adottate dallĠAutoritˆ; vi) gli orientamenti della giurisprudenza amministrativa, con riferimento alle modalitˆ del sindacato giurisdizionale sugli atti delle Autoritˆ amministrative indipendenti. 6.1 I settori dei servizi pubblici di rete, nellĠambito dei quali, come si dirˆ oltre, si inserisce il servizio di distribuzione del gas naturale, sono oggetto, su impulso del diritto europeo, di ampie misure di liberalizzazione. Lo Stato interviene nel settore introducendo norme volte ad eliminare i possibili ostacoli allĠingresso nel mercato di nuovi operatori economici mediante, tra lĠaltro, lĠeliminazione di diritti speciali ed esclusivi alle imprese pubbliche, la semplificazione procedimentale nonchŽ la segmentazione del mercato. In attesa del completamento di tali processi,  necessario, per˜, che lo Stato intervenga anche allo scopo di prevedere misure di regolazione diverse da quelle sopra indicate finalizzate ad assicurare che il sistema sia idoneo a tutelare i consumatori e a garantire la stessa efficienza delle prestazioni. In questa prospettiva si giustificano, anche nellĠottica europea, lĠimposizione di obblighi di servizio in capo alle imprese, pubbliche o private, che possono avere diversa natura ma che hanno lĠobiettivo di evitare che la mancanza del necessario pluralismo di operatori rischi di risolversi in un fallimento del mercato a danno dei consumatori. In tale contesto, assumono un ruolo fondamentale le Autoritˆ amministrative di regolazione alle quali la legge attribuisce non solo compiti di attuazione delle misure di liberalizzazione ma anche funzioni di regolazione del comportamento degli operatori economici allo scopo di limitare la loro libertˆ dĠimpresa nella determinazione, tra lĠaltro, del contenuto dei contratti stipulati. Tali interventi non devono, per˜, risolversi in misure eccessivamente rigide e complesse nŽ in misure che impediscono agli operatori stessi di perseguire gli scopi economici che connotano la loro attivitˆ. Negli ambiti caratterizzati da particolare tecnicismo, quale  quello del gas naturale, le leggi di settore attribuiscono alle Autoritˆ, per assicurare il perseguimento degli obiettivi sopra indicati, non solo poteri amministrativi individuali ma anche poteri regolamentari. Come  noto, il principio di legalitˆ impone non solo la indicazione dello scopo che lĠautoritˆ amministrativa deve perseguire ma anche la predeterminazione, in funzione di garanzia, del contenuto e delle condizioni dellĠesercizio dellĠattivitˆ. Nel caso degli atti regolamentari la legge, per˜, normalmente non indica nei dettagli il loro contenuto. La parziale deroga al principio di legalitˆ sostanziale si giustifica in ragione dellĠesigenza di assicurare il perseguimento di fini che la stessa legge predetermina: il particolare tecnicismo del settore impone, infatti, di assegnare alle Autoritˆ il compito di prevedere e adeguare costantemente il contenuto delle regole tecniche allĠevoluzione del sistema. Una predeterminazione legislativa rigida sarebbe di ostacolo al perseguimento di tali scopi: da qui la conformitˆ a Costituzione, in relazione agli atti regolatori in esame, dei poteri impliciti. La dequotazione del principio di legalitˆ sostanziale giustificata, come detto, dalla valorizzazione degli scopi pubblici da perseguire in particolari settori impone, inoltre, il rafforzamento del principio di legalitˆ procedimentale che si sostanzia, tra lĠaltro, nella previsione di rafforzate forme di partecipazione degli operatori del settore al procedimento di formazione degli atti regolamentari (Cons. Stato, VI, 27 dicembre 2006, n. 7972). 6.2. Questi principi sono stati attuati nel settore del gas naturale mediante lĠadozione della legge 14 novembre 1995, n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilitˆ. Istituzione delle Autoritˆ di regolazione dei servizi di pubblica utilitˆ) e, soprattutto, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dellĠarticolo 41 della L. 17 maggio 1999, n. 144). LĠart. 1 del d.lgs. n. 164 del 2000 la cui rubrica reca ÇLiberalizzazione del mercato interno del gas naturaleÈ ha previsto che, Çnei limiti delle disposizioni del presente decreto, le attivitˆ di importazione, esportazione, trasporto e dispacciamento, distribuzione e vendita di gas naturale, in qualunque sua forma e comunque utilizzato, sono libereÈ. In questa sede viene in rilievo la disciplina della distribuzione del gas naturale che  definita dal citato decreto Çtrasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per la consegna ai clientiÈ (art. 2, comma 1, lettera n). LĠattivitˆ di distribuzione del gas naturale, non destinata direttamente al pubblico ma indirizzata al venditore,  espressamente qualificata quale servizio pubblico (art. 14, primo comma). LĠart. 23 della stessa legge prevede che le tariffe che possono applicare le imprese che operano nel settore della distribuzione del gas vengono definite dallĠAutoritˆ per lĠenergia elettrica e il gas secondo la disciplina giˆ introdotta dalla legge 14 novembre 1995, n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilitˆ. Istituzione delle Autoritˆ di regolazione dei servizi di pubblica utilitˆ). In particolare, tale legge stabilisce, innanzitutto, che per tariffe si intendono Çi prezzi massimi unitari dei servizi al netto delle imposteÈ (art. 2, comma 17) e che lĠAutoritˆ ha il compito di stabilire, Çin relazione allĠandamento del mercato È, la tariffa base, Çi parametri e gli altri elementi di riferimentoÈ in applicazione del metodo del price-cap, Çinteso come limite massimo della variazione di prezzo vincolata per un periodo pluriennaleÈ (art. 2, commi 12, lettera e, e 18, della legge n. 481 del 1995). Nel complesso  necessario dare vita ad Çsistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti È (art. 1, comma 1, della predetta legge). Dalla lettura combinata del complesso delle disposizioni sopra indicate si desume che le finalitˆ normative del sistema di determinazione tariffaria affidato allĠAutoritˆ sono quelle di: i) promuovere la tutela degli interessi di utenti e consumatori (art. 1, comma 1, della legge n. 481 del 1995); ii) assicurare Çla qualitˆ, lĠefficienza del servizio e lĠadeguata diffusione del medesimo sul territorio nazionaleÈ (art. 2, comma 12, lettera e, della legge n. 481 del 1995); iii) garantire Çuna congrua remunerazione del capitale investitoÈ (art. 23, comma 2, ultimo inciso, della legge n. 164 del 2000) e, in particolare, Çremunerare iniziative volte ad innalzare lĠefficienza di utilizzo dellĠenergia e a promuovere lĠuso delle fonti rinnovabili, la qualitˆ, la ricerca e lĠinnovazione finalizzata al miglioramento del servizioÈ (art. 23, comma 4, della legge da ultimo citata). Da quanto esposto risulta, dunque, che il legislatore ha dato attuazione ai principi generali prima esposti prevedendo, con norme imperative, misure che, anche attraverso lĠintervento delle Autoritˆ di regolazione, impongono obblighi di comportamento alle imprese che operano nel settore della distribuzione del gas nella definizione delle tariffe. Tali misure, come detto, si giustificano proprio in quanto il mercato rilevante non  completamente liberalizzato. é necessario, dunque, che lo Stato intervenga per assicurare la tutela dei consumatori e lĠefficienza delle prestazioni. 6.3. LĠAutoritˆ, a sua volta, ha dato attuazione a tali principi e norme mediante lĠadozione di atti regolamentari volti a definire, in relazione a periodi temporali predefiniti, le modalitˆ di regolazione tariffaria. La regola generale seguita, pur nella diversitˆ dei criteri,  stata quella di imporre un vincolo sui ricavi di distribuzione (VRD), che definisce i costi massimi riconosciuti con riferimento alla gestione, agli ammortamenti e ai costi di capitale relativi allĠattivitˆ di distribuzione, per la totalitˆ dei clienti allacciati alla rete distributiva. Il primo periodo di regolazione dal 1Ħ gennaio 2001 al 30 settembre 2004  stato disciplinato dalla deliberazione n. 237 del 2000. La modalitˆ di definizione del vincolo dei ricavi, sia per la parte relativa al costo del capitale investito sia per la parte relativa ai costi di gestione,  avvenuta mediante lĠapplicazione del metodo parametrico. Secondo questo metodo il vincolo sui ricavi  pari alla somma delle componenti rappresentative dei costi riconosciuti di gestione (CGD) e di capitale (CCD). LĠart. 4 della predetta delibera stabiliva, con formule matematiche, tecniche automatiche di definizione di tali costi. Questo metodo, non riconoscendo alle imprese i costi che fossero superiori a quelli risultanti dagli standards predefiniti, impediva alle imprese stesse di definire il costo del capitale investito sulla base dei dati concreti ancorati allĠeffettivo andamento dellĠattivitˆ imprenditoriale. La predetta deliberazione ha anche introdotto il concetto di ambito tariffario costituito dallĠinsieme delle localitˆ servite attraverso pi impianti di distribuzione. Con la deliberazione n. 87 del 2003 lĠAutoritˆ al fine di dare esecuzione a talune decisioni del Consiglio di Stato e del Tribunale amministrativo della Lombardia che avevano rilevato le esposte criticitˆ del metodo parametrico ha introdotto, quale alternativa, il metodo del costo storico rivalutato. QuestĠultimo si fonda su un regime individuale e non presuntivo che consente alle imprese di determinare, qualora dispongano di regolare documentazione contabile, il capitale investito tenendo conto dei costi effettivamente e concretamente sostenuti secondo calcoli definiti nel dettaglio dalla predetta deliberazione. Il secondo periodo di regolazione dal 1Ħ ottobre 2004 al 30 settembre 2008  stato disciplinato dalla deliberazione 29 settembre 2004, n. 170 che ha lasciato invariato il sistema di calcolo alternativo sopra descritto. Il terzo periodo di regolazione comprende gli anni 2009-2012 ed  disciplinato dalla deliberazione dellĠAutoritˆ per lĠenergia elettrica e il gas n. 159 del 2008, ÇTesto unico della regolazione della qualitˆ e delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo di regolazione 2009-2012 (TUDG): approvazione della Parte II ÒRegolazione tariffaria dei servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo di regolazione 2009-2012 (RTDG). Disposizioni transitorie per lĠanno 2009È. Tale delibera, oggetto di impugnazione nel giudizio di primo grado,  stata poi modificata e integrata, per quanto interessa in questa sede, dalle deliberazioni: n. 197 del 2008 (su cui si veda anche punto 6.3.); numeri 22, 164, 197 e 206 (su cui si veda anche punto 6.3.) del 2009. Con tale deliberazione  stato generalizzato il metodo del costo storico escludendosi la possibilitˆ di utilizzare in alternativa il metodo parametrico. La ragione principale di questo nuovo sistema che contempla anche altre innovazioni, alcune delle quali verranno esaminate nel prosieguo  stata quella di eliminare un meccanismo ibrido che, consentendo agli operatori del settore, la scelta tra due diverse modalitˆ di definizione delle tariffe introduceva nel sistema elementi di complessitˆ. La maggiore certezza derivante dal nuovo sistema in ordine alle modalitˆ di definizione dei costi e pi in generale di determinazione delle tariffe consente, inoltre, di semplificare le procedure ed eliminare possibili ostacoli allĠingresso nel mercato della vendita. LĠesistenza, infatti, di un sistema unitario e improntato il pi possibile a criteri non complessi di calcolo dei costi rappresenta un fattore di incentivo per gli operatori ad entrare nel mercato con consequenziale beneficio anche per i clienti finali. Il sistema tariffario per il terzo periodo prevede, inoltre, la determinazione di una tariffa obbligatoria, applicata ai clienti finali, ed una tariffa di riferimento che definisce il ricavo am messo per ciascuna impresa distributrice a copertura del costo riconosciuto. Con riguardo alla delibera n. 159 del 2008 lĠAutoritˆ ha anche emanato la Relazione di analisi della regolazione (dĠora in avanti Relazione AIR). LĠAutoritˆ ha, inoltre, adottato delibere di attuazione, anchĠesse oggetto di impugnazione, delle riportate prescrizioni. In particolare: con le deliberazioni n. 79 e n. 197 del 2009 sono state approvate le tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per lĠanno 2009; con deliberazione n. 206 del 2009 sono state aggiornate le tariffe per lĠanno 2010. 6.4. Gli atti dellĠAutoritˆ, sin qui riportati, sono normalmente espressione di valutazioni tecniche e conseguentemente suscettibili di sindacato giurisdizionale, in applicazione di criteri intrinseci al settore che viene in rilievo, esclusivamente nel caso in cui lĠAutoritˆ abbia effettuato scelte che si pongono in contrasto con quello che pu˜ essere definito principio di ragionevolezza tecnica. Non  sufficiente che la determinazione assunta sia, sul piano del metodo e del procedimento seguito, meramente opinabile. Non  consentito, infatti, al giudice amministrativo in attuazione del principio costituzionale di separazione dei poteri sostituire proprie valutazioni a quelle effettuate dallĠAutoritˆ. In definitiva, , pertanto, necessario che le parti interessate deducano lĠesistenza di specifiche figure sintomatiche dellĠeccesso di potere mediante le quali dimostrare che la determinazione assunta dallĠAutoritˆ si pone in contrasto con il suddetto principio di ragionevolezza tecnica. 7. Chiarito ci˜, si possono esaminare dapprima i motivi posti a base degli atti di appello dellĠAutoritˆ e poi quelli contenuti negli atti di appello delle societˆ private. Si seguirˆ il seguente ordine di esposizione: a) contenuto dellĠatto impugnato; b) indicazione dei motivi di impugnazione nel giudizio di primo grado e motivazione della sentenza del Tar; c) motivi di appello; d) esame dei motivi. 8. La prima questione posta dallĠAutoritˆ appellante, con i tre ricorsi numeri 469, 472 e 468 del 2011, attiene allĠapplicazione di una maggiorazione nel caso di determinazione dĠufficio della tariffa. 8.1. La delibera n. 159 del 2008 prevede, allĠart. 7.5., che lĠAutoritˆ procede alla determinazione dĠufficio della tariffa di riferimento, nel caso in cui: a) non venga presentata la richiesta; b) non sia stato sottoscritto il modulo di richiesta da parte del legale rappresentante; c) non sia stata trasmessa la dichiarazione di cui al precedente comma 7.3, lettera a) (e cio Çuna dichiarazione di veridicitˆ dei dati trasmessi e di corrispondenza con i valori, desumibili dalla documentazione contabile dellĠimpresa, tenuta ai sensi di legge, sottoscritta dal legale rappresentanteÈ); d) non siano forniti, in tutto o in parte, i dati necessari per la determinazione delle componenti tariffarie a copertura dei costi di capitale centralizzato; e) non siano stati forniti, in tutto o in parte, i dati necessari per la determinazione delle componenti a copertura dei costi di capitale di localitˆ. LĠart. 7.6. stabilisce che nei casi sopra indicati si procede alla determinazione dĠufficio della tariffa di riferimento, Çlimitatamente alle componenti per le quali non si dispone della documentazione completa, sulla base del valore della quota parte del vincolo calcolato per lĠanno termico 2007-2008 a copertura dei costi di capitale, corretto per le variazioni relative allĠanno 2007, al netto dei costi di capitale relativi ai cespiti centralizzati ed effettuando una decurtazione a forfait del 10% sul risultato cos“ ottenuto con efficacia fino allĠesercizio in cui saranno resi disponibili i dati relativi ai costi sostenuti per lo svolgimento del servizioÈ. 8.2. Il primo giudice, con le medesime argomentazioni nelle tre sentenze rese sui predetti ricorsi, accogliendo le censure prospettate dalle societˆ ricorrenti, ha ritenuto che Çla circostanza dellĠomessa trasmissione dei dati necessari per la determinazione del valore del capitale investito da parte delle imprese distributrici, non pu˜ intaccare in alcun modo lĠobbligo dellĠAuto ritˆ di pervenire comunque ad un valore di tariffa aderente alla realtˆ economica del contesto operativo in cui lĠimpresa inadempiente svolge la propria attivitˆ, attivando tutti i poteri istruttori di cui essa disponeÈ. Si  conseguentemente affermato che la previsione regolamentare Çsi atteggia a sanzione surrettizia volta a colpire il comportamento inadempiente della ricorrente, senza che la sua comminazione sia assistita dalle apposite garanzie procedimentali (É) e senza, peraltro, alcuna considerazione circa la imputabilitˆ del comportamento sanzionatoÈ. 8.3. Secondo lĠappellante la sentenza  errata in quanto la previsione della decurtazione del 10% sarebbe finalizzata ad evitare Çcomportamenti distortiÈ. é necessario evitare, si afferma, che Çla determinazione dĠufficio, effettuata sulla base del valore ottenuto applicando il metodo parametrico in vigore nel secondo periodo regolatorio e concepita come un rimedio eccezionale ad un inadempimento di parte, da eccezione si tramuti in regolaÈ. Si aggiunge che la decurtazione del 10% intende evitare che Çper le imprese sia economicamente pi conveniente rimanere inerti o formulare una proposta incompleta, cos“ da beneficiare della tariffa dĠufficio determinata in base al metodo parametrico non pi in vigore, piuttosto che presentare una richiesta di tariffa di riferimento alla luce del nuovo quadro regolatorio e dunque dei costi effettivi sostenutiÈ. Infine, si deduce che la decurtazione, contrariamente a quanto affermato dal Tar, non avrebbe carattere sanzionatorio ma sarebbe Çespressione del potere tariffarioÈ. 8.4. Il motivo  fondato. La ragione principale che ha giustificato la revisione, per il terzo periodo regolatorio, delle modalitˆ di determinazione tariffaria , come giˆ rilevato, rappresentata dalla necessitˆ di prevedere un sistema unitario idoneo a superare le incertezze applicative del precedente periodo determinate dal riconoscimento della facoltˆ di scelta del metodo rimessa alla stessa impresa. Inoltre, si  voluto, proprio per venire incontro a talune criticitˆ prospettate dagli stessi operatori, che il sistema unico del costo storico rivalutato si fondasse su criteri di definizione delle tariffe concreti ed aderenti alle specifiche realtˆ aziendali. In questo contesto risulta conforme al principio di ragionevolezza tecnica avere previsto che nei casi in cui non sia possibile, per la mancanza di documentazione completa, determinare la tariffa con il metodo individuale si debba procedere dĠufficio al calcolo dei costi sostenuti dalle imprese applicando ad essi una decurtazione forfettaria del 10%. La previsione di tale modalitˆ di determinazione della tariffa  quella di differenziare, in modo rilevante, i due metodi in esame ed evitare che si possa, sia pure indirettamente, consentire alle imprese, come avveniva nel precedente periodo regolatorio, di scegliere se mettere a disposizione la contabilitˆ consentendo lĠapplicazione del criterio del costo storico rivalutato ovvero tenere un comportamento passivo ed ottenere lĠapplicazione dei criteri presuntivi. LĠesistenza di un meccanismo, quale quello prefigurato dallĠAutoritˆ, consente, pertanto, che rimanga centrale il metodo individuale, con conseguenti vantaggi, come giˆ rilevato, sul piano della semplificazione procedimentale, della tutela della concorrenza e dei benefici per gli stessi consumatori. Per le ragioni sin qui esposte non si tratta, pertanto, di una sanzione ma di una modalitˆ di determinazione officiosa della tariffa che rinviene la sua giustificazione nellĠesigenza di consentire lo stesso funzionamento del nuovo sistema tariffario. NŽ varrebbe obiettare, come hanno fatto le societˆ appellate, che la prescrizione in esame violerebbe il principio di legalitˆ una volta che si ritiene che, per le ragioni esposte, tale principio trovi una applicazione modulata sulla specificitˆ del potere regolatorio. é bene aggiungere che se le imprese dovessero subire dei pregiudizi economici in ragione dellĠapplicazione di tale metodo per comportamenti tenuti da terzi il sistema conosce gli stru menti di tutela che possono essere azionati per rimediare allĠeventuale danno subito. 9. La seconda questione posta dallĠAutoritˆ, con ricorsi n. 468 e n. 469 del 2011, attiene alla modalitˆ di determinazione dĠufficio della tariffa con riguardo agli ambiti tariffari. 9.1. Le deliberazioni n. 197 e n. 206 del 2009 prevedono che la tariffa si determina dĠufficio, secondo le modalitˆ sopra indicate, non solo limitatamente alle localitˆ per le quali la societˆ di distribuzione non dispone della documentazione completa ma anche per tutte le altre localitˆ servite. 9.2. Il primo giudice ha accolto i motivi di censura rilevando Çil carattere del tutto sproporzionato del dispositivo nella misura un cui consente che, a fronte di unĠindagine avente ad oggetto i dati relativi ad alcune soltanto delle localitˆ in cui gli operatori esercitano il pubblico servizio di distribuzione del gas naturale, qualora le risposte fornite anche per una sola localitˆ non vengano ritenute soddisfacenti, lĠAEEG possa approvare in via definitiva la tariffa dĠufficio per tutte le localitˆ servite dallĠesercente. Per tale via, si arriva ad estendere il meccanismo anche a quelle localitˆ per le quali non  stata invece effettuata alcuna verifica e per le quali si adduce, in forza di una presunzione disancorata da parametri concretamente raffrontabili, la sussistenza di errori di rilevazione ed incongruenzeÈ. 9.3. Secondo lĠappellante la scelta dellĠAutoritˆ di prevedere un meccanismo campionario per la determinazione della tariffa dĠufficio  una scelta necessaria Çsenza la quale vi sarebbe la paralisi della regolazione tariffariaÈ. Si aggiunge che Çin assenza di una proposta tariffaria completa, presentata dallĠunico soggetto in grado di procurarsi la molteplicitˆ dei dati contabili relative alle varie localitˆ servite, lĠAutoritˆ non  in grado di acquisire tali dati, che peraltro vanno moltiplicati per le centinaia di localitˆ raggiunte dai vari distributori che possono rilevarsi inadempientiÈ. 9.4. Il motivo non  fondato. La previsione di procedere alla generalizzata determinazione dĠufficio delle tariffe anche in relazione a localitˆ per quali le imprese non hanno posto in essere alcun comportamento contrario alle regole generali di disciplina della loro azione rappresenta una misura regolatoria che contrasta con la stessa scelta di fondo di determinare le tariffe alle luce dei dati concreti forniti dalle imprese stesse. In questo caso, diversamente da quanto esposto in relazione al motivo precedente, si tratta di una modalitˆ di determinazione delle tariffe non supportata da una ragione giustificativa conforme al canone della ragionevolezza tecnica. Infatti, il meccanismo di determinazione officiosa, con applicazione della maggiorazione, rinviene la propria ratio giustificativa nel comportamento del singolo operatore. Non , dunque, possibile, avendo riguardo agli stessi criteri stabiliti dallĠAutoritˆ, estendere tale forma di determinazione a fattispecie in relazione alle quali manca lo stesso presupposto generale che giustifica la deroga allĠapplicazione del metodo generale individuale. 10. La terza questione posta dallĠAutoritˆ appellante, con i ricorsi numeri 468 e 469 del 2011, attiene al previsto meccanismo di gradualitˆ nellĠapplicazione dei nuovi criteri. 10.1. LĠart. 17.1 della delibera n. 159 del 2008 prevede che qualora a seguito della valutazione del capitale investito netto Çrisulti una variazione, positiva o negativa, del valore del medesimo capitale investito netto aggregato a livello nazionale per tutte le imprese distributrici di gas naturale, superiore al 5% del valore riconosciuto alle medesime imprese con riferimento allĠanno termico 2007-2008, corretto applicando la variazione relativa del deflatore per gli investimenti fissi lordi e per tenere conto delle variazioni del capitale investito netto intervenute nellĠanno 2007,  attivato un meccanismo di gradualitˆÈ. LĠart. 17.2. stabilisce le modalitˆ tecniche di correzione del valore del capitale investito netto. 10.2. Il primo giudice, accogliendo i motivi di ricorso, ha dichiarato illegittima tale deliberazione nella parte in cui fa riferimento ad una percentuale calcolata sul valore aggregato e non individuale. Tale meccanismo  stato ritenuto irragionevole in quanto Çpu˜ verificarsi lĠipotesi che una determinata impresa di distribuzione, pur registrando una sensibile diminuzione del capitale investito (ammettiamo di molto superiore al 5%), qualora la variazione, riferita a livello aggregato nazionale a tutte le societˆ fosse inferiore alla soglia del 5%, non possa giovarsi del meccanismo in questione (anche se ci˜ comportasse gravi ripercussioni sullĠammontare dei ricavi attesi)È. 10.2. Secondo lĠAutoritˆ tale motivazione sarebbe erronea. Per dimostrarlo si riporta testualmente la parte della relazione AIR. Si aggiunge poi che lĠAutoritˆ avrebbe accolto le deduzioni delle principali associazioni di categoria volte ad ottenere ÇlĠintroduzione di un meccanismo che recuperi entro il 2012 il mancato ricavo connesso ad meccanismo di gradualitˆ introdotto per il riconoscimento degli ammortamentiÈ, disponendo che Çil minore ammortamento riconosciuto in tariffa si sostanzia in un allungamento della vita utile del cespite ai fini regolatoriÈ. 10.3. La censura  inammissibile per genericitˆ. In via preliminare deve essere esaminato il rilievo dellĠAmministrazione, prospettato nella memoria del 9 febbraio 2012, secondo cui non sussisterebbe pi lĠinteresse delle societˆ a far valere la illegittimitˆ della deliberazione in quanto  Çstata registrata a livello nazionale una variazione del capitale investito superiore al 5%È. La mancata dimostrazione che dallĠavvenuta dichiarazione di illegittimitˆ della delibera non deriva neanche un vantaggio, sia pure indiretto, in capo alle societˆ e soprattutto la circostanza che le difese delle societˆ hanno ribadito la permanenza dellĠinteresse conduce a ritenere non meritevole di condivisione il rilievo dellĠAmministrazione. Chiarito ci˜, la genericitˆ del motivo  conseguenza del fatto che lĠAutoritˆ si  limitata a richiamare il contenuto della relazione AIR la quale, a sua volta, non ha introdotto elementi rilevanti rispetto a quanto giˆ risulta dalla lettura della disposizione regolatoria. Non si comprendono, pertanto, le ragioni per le quali la sentenza impugnata, che indica i motivi del- lĠaccoglimento, sarebbe, sul punto, erronea. 11. La quarta questione posta dallĠAutoritˆ appellante, con i ricorsi numeri 468, 469 e 472 del 2011, attiene al cosiddetto effetto volume. 11.1. Si impugnano le nuove delibere di determinazione delle tariffe n. 79 e n. 197 del 2009 nella parte in cui non contemplano pi il meccanismo che consente di tenere conto del cosiddetto effetto volume relativamente allĠandamento climatico sfavorevole. 11.2. Il primo giudice, accogliendo sul punto le censure prospettate dalle societˆ, ha ritenuto che Çla delibera n. 170/04 prevedeva un meccanismo di bilanciamento per recuperare negli anni successivi la quota parte dei costi operativi che non erano stati interamente coperti in un determinato anno a causa dellĠandamento climatico sfavorevole per le imprese di distribuzione. LĠandamento dei ricavi dellĠattivitˆ di distribuzione aveva come parametro di riferimento il volume di gas distribuito dallĠoperatore due anni prima: se il volume era uguale, lĠammontare dei ricavi della distribuzione rimaneva in linea (fatte salve le altre variabili applicabili); se il volume era maggiore o inferiore, lĠentitˆ dei ricavi variava nella stessa misuraÈ. La mancata previsione di tale recupero lederebbe il legittimo affidamento delle societˆ in ordine a Çsituazioni maturate e concluse nel periodo temporale governato dalla previgente disciplinaÈ. 11.3. Secondo lĠAutoritˆ appellante il giudice di primo grado sarebbe incorso in un errore. In particolare, si assume che le tariffe si determinano ponendo a base di riferimento i dati contabili dei costi relativi ai due anni precedenti. Ne consegue che Çlo stesso anno assume quindi una duplice rilevanza temporale, in quanto anno per il quale calcolare le tariffe e in quanto anno i cui dati di costo costituiscono la base di calcolo per le tariffe di distribuzione di due anni successiviÈ. Nel 2007, utilizzato per calcolare le tariffe del 2009, primo anno del terzo periodo regolatorio, si  registrato un Çinverno anormalmente caldo, con conseguente riduzione dei volumi di gas distribuiti dalle imprese e dei connessi ricaviÈ. Si aggiunge che Çsebbene il 2007 ricada nellĠambito di applicazione della nuova regola tariffaria RTDG le imprese chiedono lĠapplicazione di un istituto previgente, il c.d. effetto volume, che nella RTDG  stato incorporato nel parametro di rischiositˆ betaÈ. In conclusione, secondo lĠAmministrazione, lĠÇAutoritˆ non ha affatto cambiato le regole adottate nel precedente periodo regola- torio ma si  limitata ad applicare le nuove regole tariffarieÈ. 11.4. Il motivo  fondato. LĠAutoritˆ, nel dettare le nuove disposizioni regolatorie, non ha tenuto conto dellĠeffetto volume riferito allĠanno 2007 (recte: 2008) secondo i precedenti meccanismi in quanto ha determinato le tariffe alla luce del nuovo parametro di rischiositˆ elaborato dal regolatore. Nella parte motiva del RTDG si afferma che si intende Çnon accogliere le istanze relative ai mancati ricavi del secondo periodo regolatorio, conseguenti allĠandamento climatico sfavorevole, in quanto tale rischio  implicitamente intercettato nella valutazione dei parametri di rischiositˆ che concorrono alla definizione della remunerazione del capitale investitoÈ. Nella relazione AIR si afferma che il rischio climatico  stato giˆ Çimplicitamente intercettato nella valutazione dei parametri di rischiositˆ che concorrono alla definizione della remunerazione del capitale investitoÈ. Da quanto esposto risulta, pertanto, che lĠAutoritˆ ha inteso disciplinare diversamente, in linea con il nuovo meccanismo di determinazione delle tariffe, le modalitˆ di incidenza degli effetti climatici. La decisione di non prendere in considerazione, applicando le regole previgenti, lĠandamento climatico sfavorevole  conseguenza, pertanto, della esistenza di una diversa modalitˆ di calcolo dei fattori di rischio che possono incidere sullo svolgimento dellĠattivitˆ di impresa. Al fine di evitare incertezze in sede di esecuzione della presente decisione  bene chiarire che lĠAutoritˆ in coerenza, del resto, con quanto dalla stessa affermato dovrˆ riconoscere alle imprese la remunerazione del capitale alla luce del nuovo criterio in sostituzione del vecchio criterio non pi contemplato nelle disposizioni di disciplina del terzo periodo regolatorio. 12. La quinta questione posta dallĠAutoritˆ appellante, con i ricorsi numeri 468, 469 e 472 del 2011, attiene alle modalitˆ di determinazione del tasso di riduzione annuale dei costi unitari. 12.1. LĠart. 41.1 della delibera n. 158 del 2008 prevede che Çnel corso del periodo di regolazione 1Ħ gennaio 2009 31 dicembre 2012 lĠAutoritˆ aggiorna, entro il 15 dicembre del- lĠanno precedente a quello di efficacia, le componenti a copertura dei costi operativi, applicando, tra lĠaltro, Çil tasso di riduzione annuale dei costi unitari riconosciutiÈ. LĠart. 41.2. determina, nel dettaglio, le percentuali del tasso di riduzione parametrato esclusivamente alla luce della classe dimensionale delle imprese distributrici. 12.2. Il primo giudice ha accolto i motivi di ricorso affermando che Çsia dirimente rilevare il profilo di illogicitˆ consistente nel determinare una percentuale di recupero di produttivitˆ costante per lĠintera durata del periodo regolatorio, determinando esso un valore numerico progressivo non conciliabile con il fisiologico contrarsi dei livelli di efficienza man mano che il recupero di produttivitˆ raggiunge un punto di equilibrio in cui non cĠ pi spazio per significativi miglioramentiÈ. 12.3. Secondo lĠAmministrazione, se  innegabile, come affermato dal primo giudice, che la possibilitˆ di procedere a recuperi di produttivitˆ decresce nel tempo, tuttavia Çil carattere decrescente dei recuperi di produttivitˆ si registra soltanto se si adotta un approccio di analisi statico, poichŽ nel tempo, in unĠottica dinamica, subentrano vari fattori, in particolare quelli riconducibili allĠevoluzione tecnologica, ma anche quelli connessi alle evoluzioni normative, regolamentari, di cambiamento del mercato del lavoro, che fanno s“ che anche le imprese sufficientemente efficienti in un determinato periodo possano o debbano procedere allĠefficientamento dei propri costi nel periodo successivoÈ. 12.4. Il motivo non  fondato. Il sistema del price cup costituisce un utile strumento per stimolare il recupero di efficienza degli operatori economici del settore: la riduzione, infatti, dei costi unitari che vengono riconosciuti alle imprese rappresenta per esse uno stimolo ad innescare meccanismi virtuosi di aumento dellĠefficienza. Questo Consiglio di Stato, con sentenza V, 29 maggio 2006, n. 3274, ha giˆ avuto modo di affermare che quello in esame  Çuno strumento essenziale per stimolare il recupero di efficienza, incentivando le imprese ad attivare azioni di riduzione dei costi con obiettivi ed effetti anche superiori al tasso prefissato dallĠAutoritˆ, al fine di trattenere i maggiori recuperi di produttivitˆ allĠinterno dellĠazienda stessa a titolo di profittoÈ. Nella stessa sentenza si rileva, per˜, in linea con quanto ritenuto dal primo giudice e con orientamento che la Sezione condivide, che Çcostituisce fatto notorio la circostanza che i risparmi derivanti dal miglioramento di efficienza vanno diminuendo con gli anni fino addirittura ad esaurirsiÈ, con la conseguenza che il recupero di produttivitˆ deve essere decrescente. Nella fattispecie in esame non risulta che lĠAutoritˆ abbia svolto una istruttoria volta ad accertare quale sia il corretto livello di progressiva diminuzione della produttivitˆ in relazione ai decrescenti margini di recupero di efficienza. In questo caso il difetto di istruttoria rappresenta, alla luce di quanto affermato, un indice sintomatico della violazione del principio di ragionevolezza tecnica della scelta effettuata. NŽ ad una conclusione diversa si pu˜ pervenire prendendo in esame, come sostenuto nellĠatto di appello, fattori riconducibili allĠevoluzione tecnologica o ai cambiamenti del sistema normativo e del mercato del lavoro. Si tratta, infatti, di fattori che, se pure sono in grado di consentire un miglioramento del recupero di efficienza, hanno una valenza ipotetica che in quanto tale da sola non  sufficiente a giustificare, sul piano della razionalitˆ tecnica, la previsione di una riduzione costante dei costi. 13. La prima questione posta dalle Societˆ appellanti, con i ricorsi numeri 302 e 426 del 2011, riguarda le modalitˆ di determinazione dei costi dei cespiti acquisiti nellĠambito di processi di aggregazione societaria. 13.1. LĠart. 13 RTDG la cui rubrica reca Çdisposizione per casi particolari di indisponibilitˆ delle informazioni per la ricostruzione dei dati storici stratificatiÈ prevede, al comma, 2, nel testo modificato dalla delibera n. 29 del 2009, che il costo storico Çper cespiti in esercizio al 31 dicembre 2006, acquisiti fino al 31 dicembre 2003 in occasione di processi di aggregazione societaria, quali acquisizioni di rami dĠimpresa, fusioni o incorporazioniÈ qualora non siano disponibili le informazioni per ricostruire i dati storici stratificati di cui al giˆ citato comma 12.1 Ǐ pari al costo originario di prima iscrizione desumibile dalle fonti contabili obbligatorie del- lĠimpresa distributrice che ha acquisito il ramo o che risulta dalla fusione o dallĠincorporazioneÈ, opportunamente corretto secondo le disposizioni contenute nei successivi commi da 2 a 6. Il comma 1-ter della stessa disposizione regolatoria stabilisce che il costo storico, per cespiti in esercizio al 31 dicembre 2006, conferiti al momento della costituzione di aziende speciali e di societˆ per azioni, qualora non siano disponibili le informazioni per ricostruire i dati storici stratificati come riportati nelle fonti contabili giuridiche dei soggetti che precedentemente gestivano il servizio, Ǐ pari al costo originario di prima iscrizione desumibile dalle fonti contabili obbligatorie dellĠimpresa distributrice che risulta dal medesimo atto di costituzioneÈ. 13.2. Le societˆ ricorrenti in primo grado, con argomentazioni analoghe, hanno sostenuto che sia discriminatorio, con violazione delle regole della concorrenza, consentire soltanto ad alcune imprese di utilizzare i valori di perizia dei cespiti per la costruzione del costo storico rivalutato. NŽ sarebbe ragionevole avere previsto lo sbarramento temporale al 2003 in quanto a quella data il metodo del costo storico rivalutato era soltanto facoltativo permanendo la possibilitˆ per lĠimpresa di ricorrere anche al metodo parametrico. La delibera di modifica del 2009 avrebbe accentuato la valenza discriminatoria della previsione riconoscendo la possibilitˆ di ricorrere a questo metodo, senza alcun limite temporale, alle aziende speciali e alle societˆ derivanti da trasformazioni di aziende speciali. In particolare, Assogas ha poi censurato lĠasserita indeterminatezza e arbitrarietˆ dei criteri introdotti dallĠart. 13 della RTDG. 13.3. Il primo giudice ha rigettato, con entrambe le sentenze, le censure prospettate dalle societˆ ricorrenti. In primo luogo, si sottolinea che anche il valore dei cespiti acquisiti nellĠambito di processi di aggregazione societaria avvenuti fino al 2003  determinato in base ai dati storici stratificati come risultanti dalle fonti contabili obbligatorie dei soggetti che precedentemente gestivano il servizio di distribuzione. Soltanto in via sussidiaria, laddove non siano disponibili le informazioni necessarie a determinare il costo storico rivalutato il valore dei cespiti  quello risultante dalle perizie giurate. Inoltre, la previsione regolatoria, si sottolinea, sarebbe ragionevole in quanto soltanto con la pubblicazione della deliberazione n. 87/03, che ha introdotto lĠapplicazione del criterio del costo storico rivalutato, pu˜ presumersi che fosse a tutti nota lĠesigenza di disporre di dati storici. Con riguardo poi al motivo prospettato nel ricorso n. 426 del 2011 lo stesso  stato dichiarato inammissibile Çnon avendo le ricorrenti esemplificato concretamente i termini di manifesta illogicitˆ dei criteri introdotti; parimenti, pu˜ dirsi con riguardo alla doglianza secondo cui lĠalgoritmo per il calcolo sarebbe illogicoÈ. 13.4. Le appellanti hanno censurato, con gli atti sopra indicati, le sentenze del Tribunale amministrativo ribadendo sostanzialmente le argomentazioni contenute nei ricorsi introduttivi del giudizio di primo grado. NellĠatto di appello n. 426 si aggiunge che qualora non si ritenga di accogliere il motivo prospettato dovrebbe essere dichiarata illegittima la previsione regolamentare nella parte in cui concede soltanto ad alcuni operatori il diritto di potere optare per un sistema pi favorevole di determinazione dei costi. Nello stesso atto si contesta la sentenza nella parte in cui sono stati dichiarati inammissibili i motivi proposti volti a dimostrare che gli algoritmi utilizzati per il calcolo della tariffe sarebbero irragionevoli, atteso che la concretezza delle doglianze sarebbe dimostrata dalla perizia depositata. Infine, le parti chiedono che venga ordinato allĠAutoritˆ di fornire i dati dai quali risultino gli operatori che hanno concretamente usufruito del meccanismo in esame. Le parti ribadiscono la loro richiesta istruttoria volta ad ottenere i dati in possesso dellĠAutoritˆ relativi agli operatori che hanno usufruito del meccanismo di cui allĠart. 13. 13.5. I motivi di appello non sono fondati. In via preliminare,  bene chiarire che, secondo quanto risulta dalle stesse delibere dellĠAutoritˆ, per processo di aggregazione societaria si intende lĠacquisizione di rami di impresa da parte di altra impresa distributrice, la fusione di due o pi imprese distributrici o lĠincorporazione di unĠimpresa distributrice da parte di altra impresa distributrice. Chiarito ci˜, deve rilevarsi che il sistema di calcolo delle tariffe, prima dellĠadozione della deliberazione n. 87 del 2003, si fondava, come giˆ sottolineato, sul solo meccanismo parametrico. Soltanto a seguito di tale deliberazione  stato introdotto, quale modalitˆ alternativa, il sistema di determinazione individuale basato sui costi storici. La ragione che giustifica la possibilitˆ esclusivamente per le aggregazioni societarie avvenute anteriormente al 2003 di potere ricorrere, in assenza dei dati contabili, ad un sistema che di fatto si fonda sul valore industriale risultante da perizie  rappresentata, pertanto, dal fatto che prima del 2003 le imprese che avevano dato luogo a tali aggregazioni non potevano sapere che poi i dati contabili stratificati avrebbero dovuto essere posti a base della nuova determinazione delle tariffe. Ne consegue, come si afferma condivisibilmente, nella relazione AIR, che Çin occasione delle aggregazioni societarie successive alla pubblicazione della deliberazione n. 87/03 le parti ben avrebbero potuto concordare il trasferimento delle fonti contabili necessarie per una puntuale ricostruzione del valore degli asset a costi storici rivalutati, in coerenza con le disposizioni della medesima deliberazione n. 87 del 2003È. La diversitˆ di trattamento, lamentata dalle societˆ appellanti, , pertanto, giustificata dalla differente situazione in cui si trovano le imprese nella fase di passaggio dal vecchio sistema, basato sul solo metodo parametrico, al nuovo sistema, basato sui due metodi posti in una posizione di libera alternativitˆ. NŽ vale obiettare che la previsione di tale facoltˆ di scelta impediva allĠoperatore economico di potere programmare la propria azione considerando quale unica possibilitˆ di calcolo il ricorso al metodo del costo storico rivalutato. Sul punto  sufficiente rilevare che, una volta introdotta la possibilitˆ di una duplice determinazione del capitale da remunerare, risponde ad un criterio di efficienza economica che ispira normalmente lĠattivitˆ imprenditoriale quello di adoperarsi per avere la disponibilitˆ dei dati storici. Ci˜ al fine poi di decidere quale fosse il meccanismo che, in concreto, si potesse risolvere in un maggiore vantaggio per lĠimpresa stessa. In definitiva, risulta non irragionevole la scelta dellĠAutoritˆ di ancorare ad un dato temporale che sancisce il passaggio da un sistema ad un altro la possibilitˆ di valutare in maniera diversa i costi per i cespiti acquisiti in occasione di processi di aggregazione societaria. Si tenga conto, inoltre, che, come correttamente indicato dal primo giudice, la modalitˆ in esame di determinazione della tariffa in caso di aggregazioni societarie ha una valenza suppletiva operante soltanto nel caso in cui le imprese non dispongano degli elementi contabili in grado di consentire un calcolo secondo il metodo ÒordinarioÓ. Per quanto attiene, poi, alla censura con la quale si lamenta il riconoscimento in capo soltanto ad alcune imprese della facoltˆ del calcolo in esame  sufficiente rilevare come, una volta dimostrata la ragionevolezza della scelta tecnica, non assume valenza discriminatoria la previsione che consente esclusivamente agli operatori economici che hanno posto in essere le aggregazioni societarie nel periodo temporale considerato di effettuare il calcolo della tariffa secondo le modalitˆ indicate. Allo stesso modo provata la non illegittimitˆ della previsione regolamentare nella parte in cui non include anche le societˆ appellanti nel proprio campo di applicazione ne consegue che le stesse, anche a volere prescindere dalla natura generica delle censure rilevate dal primo giudice, non hanno interesse a contestare le modalitˆ di calcolo concreto delle tariffe previste dalla disposizione regolatoria in esame. Per quanto attiene, infine, alla richiesta istruttoria la stessa, a prescindere dalla sua rilevanza ai fini della decisione dellĠappello, ha ad oggetto dati che sono stati successivamente consegnati alle ricorrenti dalla stessa Autoritˆ. 14. La seconda questione, posta soltanto con lĠatto di appello n. 426 del 2011, attiene alle modalitˆ di determinazione del valore iniziale delle immobilizzazione centralizzate. 14.1. LĠart. 8 del RTDG, inserito nel capo relativo alla Çdeterminazione del valore iniziale delle immobilizzazioni centralizzateÈ, prevede, con riferimento agli Çimmobili e fabbricati non industrialiÈ, che: Çai fini della fissazione dei livelli iniziali del capitale investito centralizzato per il terzo periodo di regolazione il valore delle immobilizzazioni nette relativo a immobili e fabbricati non industriali dellĠimpresa distributrice c esistenti al 31 dicembre 2006,  determinato secondo la seguente formula (É.)È. Il successivo art. 9, relativo ad Çaltre immobilizzazioni materiali e immobilizzazioni immateriali È, prevede che Çai fini della fissazione dei livelli iniziali del capitale investito centralizzato per il terzo periodo di regolazione, il valore netto relativo alle altre immobilizzazioni materiali e immobilizzazioni immateriali, dellĠimpresa distributrice c esistenti al 31 dicembre 2006,  determinato secondo la seguente formula (É)È. 14.2. LĠappellante riporta, in primo luogo, le seguenti censure prospettate in primo grado, rilevando come le stesse non hanno inteso censurare tout court nŽ la metodologia prescelta dallĠAutoritˆ nŽ tanto meno il valore preso a riferimento quale importo fisso da riconoscere ai distributori, ponendo invece lĠattenzione sullĠillegittimitˆ della delibera nella parte in cui non considera che i valori riconosciuti a copertura di detti costi, ove riferiti a quelle aziende che, collocandosi in una classe dimensionale medio-piccola, beneficiano in misura ridotta del c.d. effetto scala, sono del tutto insufficienti a coprire i costi realmente sostenuti dalle stesse per fornire il servizio di distribuzione. Si sottolinea che il riconoscere in modo fisso la copertura di costi che per loro natura sono soggetti a economie di scala, rappresenta un indebito vantaggio per gli operatori di grandi dimensioni. Per evitare tale effetto discriminatorio lĠunica possibilitˆ sarebbe quella di fare s“ che le imprese di piccole e medie dimensioni (come definite nella tabella 4 dellĠRTDG) abbiano una remunerazione superiore a quella delle imprese di grandi dimensioni. 14.3. Il Tar ha rigettato i motivi di appello mettendo in rilievo come Çi costi di cui agli artt. 8 e 9 non sono costi operativi, ovvero di erogazione del servizio di distribuzione, ma sono costi di investimento che a differenza dei primi non sono soggetti ad un percorso di efficientamento e quindi sono sottratti dallĠambito di applicazione dellĠX-factorÈ. Si , pertanto, concluso rilevando che Çnon  affatto arbitrario assumere per i costi di capitale valori forfettari efficienti (individuati, nella specie, nei costi medi di settore)È. 14.4. La societˆ appellante ha riproposto sostanzialmente i motivi prospettati nel ricorso di primo grado, sottolineando come il criterio adottato non sarebbe idoneo ad assicurare la corretta remunerazione dei beni e delle attivitˆ investite per le imprese di medie e piccole dimensioni. 14.5. I motivi di appello non sono fondati. Nella Relazione AIR viene indicato il percorso motivazionale che ha condotto allĠadozione della misura regolatoria in esame. Il capitale investito delle imprese distributrici  stato distinto in due categorie: capitale investito centralizzato e capitale investito di localitˆ. Sono considerati immobilizzazioni di localitˆ relative al servizio di distribuzione i cespiti appartenenti, tra lĠaltro, alle seguenti tipologie: terreni sui quali insistono; fabbricati industriali; impianti principali e secondari, ecc.. Sono considerate immobilizzazioni centralizzate tutte le seguenti tipologie: immobili e fabbricati non industriali; altre immobilizzazioni materiali e immobilizzazioni immateriali, quali ad esempio sistemi di telegestione e telecontrollo, attrezzature, automezzi, sistemi informatici, mobili e arredi, licenze software. Nel nostro caso vengono in rilievo queste categorie di immobilizzazioni. In relazione ad esse, lĠAutoritˆ, si legge sempre nella Relazione, ha ritenuto, allĠesito di una ampia consultazione con le imprese del settore e la valutazione anche di altri possibili metodi, Çpreferibile uniformare i criteri per la valutazione dei costi unitari di capitale da riconoscere alle imprese e ha disposto lĠadozione del costo medio di bilancio anche per la valutazione di immobili e fabbricati non industrialiÈ. Si aggiunge, ed  questo il dato che rileva in questa sede, che Çi valori di riferimento per lĠanno 2006 sono stati determinati sulla base di unĠanalisi puntuale dei dati relativi a un campione di 82 imprese distributrici. Tale campione rappresenta circa il 27% delle imprese distributrici, a cui corrisponde un grado di copertura, in termini di punti di riconsegna serviti, pari a circa lĠ87%È. Alla luce di quanto esposto risulta che lĠAutoritˆ, stabilendo il valore ÒmedioÓ degli immobili in esame, ha preso in esame nellĠindagine anche le imprese di piccola e media dimensione. Non vendo in rilievo in questa sede, come riconosciuto dalla stessa appellante, il metodo prescelto, la scelta tecnica effettuata fondata su costi standard medi non risulta contraria al principio della ragionevolezza tecnica. 15. La terza questione, posta soltanto con lĠatto di appello n. 426 del 2011, attiene alle modalitˆ di determinazione concreta delle tariffe per lĠanno 2009. 15.1. LĠart. 6 del RTDG prevede quanto segue. ÇAi fini della determinazione delle tariffe di riferimento per lĠanno 2009, i valori delle voci di costo sono: a) determinati sulla base dei dati riscontrati al 31 dicembre 2006; b) aggiornati per tenere conto dei nuovi investimenti effettuati nellĠanno 2007; c) aggiornati per tenere conto dei contributi pubblici (É); d) aggiornati per tenere conto dei recuperi di produttivitˆ; e) aggiornati per tenere conto delle variazioni delle variabili di scala intervenute tra il 31 dicembre 2006 e il 31 dicembre 2008 (É); f) aggiornati per tenere conto delle variazioni del tasso dĠinflazione e del deflattore degli investimenti fissi lordi relative al periodo 31 dicembre 2006 - 31 dicembre 2008, valutate sulla base dei pi recenti dati disponibiliÈ. 15.2. Le societˆ hanno ritenuto lĠillegittimitˆ della disciplina di cui allĠart. 6 il quale, nel recare i criteri per procedere alla determinazione delle tariffe di riferimento per lĠanno 2009, non espliciterebbe le formule e gli algoritmi matematici in applicazione dei quali lĠAutoritˆ procederˆ alla definizione delle voci di costo. La mera elencazione dei criteri, si afferma, sarebbe del tutto inutile mentre la disciplina dettata dallĠart. 6 sarebbe incompleta nella misura in cui, in violazione di quanto prescritto dallĠart. 1, comma 1, della l. 14 novembre 1985, n. 481, non consente agli esercenti il servizio di distribuzione di elaborare, in modo autonomo e diretto, la propria proposta tariffaria. Tale censura, peraltro, non avrebbe perso di significato nemmeno in seguito alla determinazione delle tariffe di riferimento approvate con la delibera n. 197 del 2009 in quanto, ad oggi, lĠAutoritˆ non ha ancora ufficialmente reso pubbliche le formule e gli algoritmi utilizzati per procedere al calcolo delle tariffe. Tali deficienze impediscono agli operatori del settore, sempre secondo lĠappellante, di potere programmare la propria attivitˆ. 15.3. Il primo giudice ha ritenuto la censura inammissibile Çper sopravvenuta carenza di interesse, poichŽ nellĠambito della relazione AIR sono state rese note le formule di determinazione e aggiornamento delle tariffe (v. par. 21.45-21.61 e 28) È. 15.4. Con lĠappello vengono riproposti gli stessi motivi dichiarati inammissibili dal primo giudice. Secondo lĠappellante, ed  questo lĠaspetto che rileva in questa, non si  potuto procedere alla determinazione concreta delle tariffe neanche applicando i criteri contenuti nella relazione AIR in quanto gli stessi sarebbero divergenti rispetto a quelli indicati dallĠAutoritˆ nelle delibere tariffarie. 15.5. Il motivo di appello  inammissibile. Come correttamente messo in rilievo nella sentenza impugnata lĠAutoritˆ ha indicato, nella relazione AIR, le ragioni che hanno condotto alle modalitˆ di determinazione delle tariffe per lĠanno di riferimento. LĠeventuale contestazione di tali ragioni deve, pertanto, essere fatta valere mediante puntuale indicazione delle ragioni della non correttezza di quanto risulta dalla predetta relazione. 16. Con la quarta questione posta, con atto di appello n. 426 del 2011,  stato impugnato il capo II della sentenza n. 6915 del 2010 nella parte in cui non sono state accolte le censure formulate avverso lĠart. 15 della RTDG. Il motivo di appello  stata oggetto di espressa rinuncia con memoria del 22 settembre 2011 a seguito della pubblicazione da parte del primo giudice dellĠordinanza collegiale n. 1112 del 2011 di correzione di errore materiale di un aspetto che aveva costituito oggetto, per fini cautelativi, anche del presente motivo di appello. 17. La quinta questione, posta con il ricorso n. 302 del 2011, attiene alle modalitˆ di determinazione dei costi e in particolare dei costi di esercizio. 17.1. La disciplina generale  contenuta negli articoli 10, 12 e 13 di cui non si riporta, per brevitˆ, il contenuto. 17.2. La societˆ ha impugnato, nel giudizio di primo grado, tali statuizioni ritenendo la loro illegittimitˆ nella parte in cui taluni costi sostenuti per la realizzazione degli impianti (come gli allacciamenti) non sarebbero iscritti a libro cespiti ma quali costi dellĠesercizio. Specularmente i contributi percepiti per i medesimi allacciamenti sarebbero stati contabilizzati come ricavi del medesimo esercizio. Si assume che il principio di ragionevolezza imporrebbe che i costi sostenuti dallĠesercente e relativi contributi da lui percepiti vengano valorizzati in termini omogenei: e quindi, o si considerano, ai fini della determinazione del capitale investito, anche i costi sostenuti e rappresentati nel conto economico (anzichŽ registrati nel libro cespiti); ovvero non resta che computare i contributi entro e non oltre la capienza dei costi capitalizzati. 17.3. Il primo giudice ha rigettato il motivo di ricorso premettendo che, secondo le determinazioni dellĠAutoritˆ, possono concorrere alla determinazione del capitale investito solo i costi capitalizzati e non quelli in Òconto esercizioÓ. A questa stregua, Çnon pare affatto irragionevole ma del tutto conseguente che i contributi siano conteggiati, in ogni caso, ai fini della loro detrazioneÈ. Si rileva, inoltre, come, Çnon si comprende perchŽ la societˆ ricorrente ritenga (invero senza adeguata esemplificazione delle ragioni giuridiche a sostegno) che occorra computare i contributi entro e non oltre la ÒcapienzaÓ dei costi contabilizzatiÈ. 17.4. La societˆ ha impugnato tale sentenza ribadendo le argomentazioni prospettate nel giudizio di primo grado. 17.5. Il motivo non  fondato. La scelta dellĠAutoritˆ di non trattare in maniera omogenea, in alcuni casi, i contributi e lĠattivitˆ cui gli stessi si indirizzano non risulta, considerata la diversitˆ degli ambiti e dei criteri valutativi, contraria al principio di ragionevolezza tecnica. Il trattamento giuridico del contributo come ricavo dellĠimpresa non implica necessariamente che il referente oggettivo del contributo debba essere considerato costo di esercizio. LĠeventuale sindacato su una tale determinazione, in mancanza ancora una volta di elementi dotati di un livello maggiore di concretezza da parte dellĠappellante, si risolverebbe in una non consentita invadenza di sfere di competenza dellĠAutoritˆ. 18. LĠultima questione, posta con il ricorso n. 302 del 2011, riguarda lĠapplicazione del criterio di gradualitˆ anche agli ammortamenti. 18.1. LĠart. 17 del RTDG, il cui contenuto  stato giˆ riportato, disciplina tale meccanismo. La delibera n. 79 del 2009, oggetto di impugnazione, nel determinare la tariffa obbligatoria applicando il meccanismo di gradualitˆ di cui allĠarticolo 17 della RTDG ai costi di capitale, ha espressamente incluso Çgli ammortamentiÈ. 18.2. Tale statuizione  stata ritenuta illegittima in quanto lĠestensione del meccanismo di gradualitˆ alla quota tariffaria destinata a coprire i costi aziendali rappresentati dagli ammortamenti, sarebbe contraria ai principi di legge che sanciscono la necessitˆ che il sistema tariffario garantisca gli equilibri economici e finanziari dei soggetti esercenti il servizio. In particolare, si assume che non  possibile applicare un medesimo meccanismo di gradualitˆ al parametro rappresentato dalla remunerazione dei capitali investiti ed a quello della valorizzazione degli ammortamenti. 18.3. Il primo giudice ha ritenuto non fondato il motivo di ricorso. Si  affermato, infatti, che, con la delibera n. 197 del 2009,  stato disposto, venendo incontro alle richieste avanzate dagli operatori del settore, un allungamento della vita utile del cespite ai fini regolatori. Ne consegue, si sottolinea, che ÇlĠimpresa  in grado di ammortizzare lĠintero valore del bene, senza perdere nulla nel valore del capitale, risultando scongiurato qualunque pregiudizio economicoÈ. 18.4. Con lĠatto di appello si riprendono i motivi indicati nel ricorso di primo grado. 18.5. La censura  infondata. La delibera n. 79 del 2009 ha determinato la tariffa obbligatoria Çapplicando il meccanismo di gradualitˆ ai costi di capitale, inclusi gli ammortamentiÈ. LĠAutoritˆ ha inteso, pertanto, applicare tale meccanismo, nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema, rispondente alla ratio giˆ illustrata, anche agli ammortamenti. LĠinclusione nella valutazione dei costi di capitale anche degli ammortamenti non risulta contraria al principio della ragionevolezza tecnica e soprattutto non impedisce di per sŽ Çuna congrua remunerazione del capitale investitoÈ. NŽ lĠappellante ha indicato specifici motivi volti a dimostrare come, in concreto, la previsione impugnata si risolva in una violazione delle regole che presiedono alle modalitˆ di determinazione delle tariffe. Si tenga conto, inoltre, che le associazioni di categoria hanno chiesto lĠintroduzione di Çun meccanismo che recuperi entro il 2012 il mancato ricavo connesso al meccanismo di gradualitˆ introdotto per il riconoscimento degli ammortamentiÈ. La delibera n. 197 del 2009 ha accolto parzialmente la richiesta prescrivendo che Çil minor ammortamento riconosciuto in tariffa si sostanzi in un allungamento della vita utile ai fini regolatoriÈ. 19. Per tutte le ragioni sin qui esposte sono accolti, in parte, gli appelli proposti dallĠAutoritˆ mentre sono rigettati gli appelli proposti dalle societˆ indicate in epigrafe. 10. La natura della controversia giustifica lĠintegrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, riuniti i giudizi: a) preso atto della rinuncia al ricorso di primo grado e agli effetti della sentenza 11 ottobre 2010, n. 6916 del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, la annulla senza rinvio;. b) accoglie, nei limiti indicati nella motivazione, gli appelli, indicati in epigrafe, proposti dallĠAutoritˆ per lĠenergia elettrica e il gas; c) rigetta lĠappello, indicato in epigrafe, proposto da Assogas Associazione nazionale industriali privati gas e servizi collaterali, Erogasmet s.p.a., Italcogim reti s.p.a., Condotte Nord s.p.a.; d) rigetta allĠappello, indicato in epigrafe, proposto da Gas plus reti s.r.l. definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2012. LĠonere della prova in tema di illegittima aggiudicazione di appalti pubblici e il recente orientamento della Corte di Giustizia (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 8 novembre 2012 n. 5686) Antonio Vincenzo Castorina* SOMMARIO : 1. Premessa - 2. I tentativi della giurisprudenza di invertire lĠonere probatorio tramite il criterio delle presunzioni semplici - 3. LĠimprescindibilitˆ dellĠelemento soggettivo nelle ipotesi di responsabilitˆ amministrativa elaborate dalla dottrina - 4. LĠirrilevanza dellĠaccertamento della colpa in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici - 5. Conclusioni. 1. Premessa. LĠevoluzione giurisprudenziale, la codificazione del diritto processuale amministrativo ed in particolare le spinte comunitarie hanno dato nuovo impulso allo storico dibattito circa la natura della responsabilitˆ da lesione di interessi legittimi. La pronuncia in commento rappresenta lĠennesima indicazione che i tempi sono maturi per nuove considerazioni sulla responsabilitˆ della pubblica amministrazione a seguito di illegittima attivitˆ provvedimentale. Il tema della responsabilitˆ della pubblica amministrazione costituisce certamente un elemento per comprendere il fenomeno di c.d. destatualizzazione (1) che investe il diritto amministrativo nazionale, poichŽ, come  noto, gli ordinamenti amministrativi si aprono, oltre che al diritto comunitario, ai diritti amministrativi degli altri Paesi membri dellĠUnione Europea. Ci˜ comporta che tale fenomeno, da un lato tende a rendere pi completa ed efficace la tutela dei diritti dei singoli lesi da attivitˆ illecite poste in essere dalle istituzioni comunitarie e nazionali, dallĠaltro tende a promuovere lĠarmonizzazione dei regimi vigenti negli ordinamenti nazionali. LĠintento della giurisprudenza comunitaria consistente nel garantire una tutela pi rigorosa ed effettiva in una materia in cui sono in gioco i valori della concorrenza e della trasparenza del mercato, appare in evidente contrasto con il tentativo compiuto dalla giurisprudenza amministrativa nazionale, tramite il ricorso al meccanismo delle presunzioni semplici, di coniugare lĠapproccio comunitario con i tradizionali principi in materia di illecito. In tale solco si colloca la sentenza in commento che riguarda una controversia concernente lĠaggiudicazione di un appalto di servizio di sorveglianza. é necessario premettere che il Tar Lombardia, Milano, sez. I, con sentenza n. 1811 del 14 giugno 2010 aveva in parte respinto il ricorso volto ad (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. (1) M. RENNA-F. SAITTA, Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffr, Milano, 2012, p. 286. ottenere il risarcimento in forma specifica o, in subordine, per equivalente in relazione ai pregiudizi patiti a causa dellĠillegittima mancata aggiudicazione della procedura concorsuale indetta dal comune di Milano avente ad oggetto il servizio di sorveglianza presso il Palazzo di Giustizia, nonchŽ per lĠannullamento degli atti connessi, con i quali lĠamministrazione si era limitata a reintegrare parte ricorrente solo per il periodo residuale di otto mesi. Il Tar, respingendo il ricorso, aveva osservato che dallĠandamento degli avvenimenti succedutisi non poteva rinvenirsi in capo allĠAmministrazione la sussistenza dellĠelemento soggettivo della colpa, indispensabile al fine della configurazione dellĠimputazione di responsabilitˆ civile nei confronti della stessa. Il giudici di Palazzo Spada hanno riformato tale decisione, argomentando proprio in base alle indicazioni contenute nella sentenza della Corte di Giustizia 30 settembre 2010 C-314/09 ove si afferma che la vigente disciplina dellĠaggiudicazione degli appalti di lavori, forniture e servizi non consente che il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da una Amministrazione Pubblica, che abbia violato le norme sulla disciplina degli appalti, sia subordinato al carattere colpevole di tale violazione. Tale fenomeno sembra inquadrabile nel c.d spill over effect, ovvero quel processo di spontanea imitazione che vede i giudici nazionali porre a fondamento delle proprie decisioni le pronunce della giurisprudenza europea (2). Il dibattito  quindi incentrato sullĠammissibilitˆ dellĠinterpretazione che, in materia di illegittima aggiudicazione di una gara di appalto, ascrive la responsabilitˆ alla pubblica amministrazione basandosi sulla mera illegittimitˆ dellĠatto amministrativo e non giˆ sulla prova della colpa o dolo, reintroducendo in via interpretativa il principio della culpa in re ipsa fondato sul rilievo che la mera adozione di un provvedimento illegittimo, da parte di un soggetto dotato di capacitˆ istituzionale e di competenza funzionale ad operare nel settore di riferimento, comporta la consapevole violazione di leggi, regolamenti o norme di condotta non scritte nella quale si risolve la colpa. 2. I tentativi della giurisprudenza di invertire lĠonere probatorio tramite il criterio delle presunzioni semplici. Sin dal momento in cui  stata ammessa anche per lĠattivitˆ di diritto pubblico la responsabilitˆ, il problema che la stessa determina in relazione alla pubblica amministrazione si  sempre rilevato di difficile soluzione (3). Come noto, la giurisprudenza nazionale escludeva che la lesione di interessi legittimi fosse idonea ad originare obbligazioni risarcitorie degli apparati (2) A. FORMICA, LĠonere della prova in materia di colpa della pubblica amministrazione: le ricadute sulla giurisprudenza nazionale degli orientamenti della corte di giustizia delle comunitˆ europee, in www.giustamm.it. (3) E. CASETTA, Manuale di Diritto Amministrativo, Giuffr, Milano, 2010, pag. 637. pubblici anche in ragione della difficoltˆ di applicare alla pubblica amministrazione la disciplina codicistica della responsabilitˆ civile ordinaria, incentrata sul profilo della colpa, intesa quale coefficiente psicologico difficilmente adattabile ad una organizzazione. Per superare tale ostacolo parte della dottrina aveva proposto la costruzione di una autonoma fattispecie di responsabilitˆ, c.d. speciale, svincolata dallĠelemento soggettivo di dolo e della colpa. Si prospettava quindi un ipotesi di responsabilitˆ obbiettiva, fondata sullĠelemento oggettivo della illegittimitˆ della condotta (4). La giurisprudenza non segu“ lĠinterpretazione proposta dalla dottrina ma ribad“ la natura civilistica, sottolineando come la pubblica amministrazione in tema di responsabilitˆ  soggetta alle norme comuni a tutti i soggetti del- lĠordinamento. La tesi della presunzione assoluta di colpa, proposta dalla dottrina, si risolveva quindi nellĠingiusta assegnazione allĠamministrazione di un trattamento deteriore rispetto a quello degli altri soggetti di diritto. é evidente come lĠimpostazione adottata dalla Cassazione si scontri con lĠestrema difficolta , per il ricorrente, di provare la colpa della pubblica amministrazione, in considerazione del fatto che, nella specie, non opera il principio di vicinanza della prova, poichŽ lĠonere probatorio e posto a carico della parte che normalmente non dispone degli elementi di prova sufficienti a soddisfare il principio di cui allĠart. 2697 c.c. Per tale ragione la giurisprudenza (5) ha accolto la regola del cd. principio dispositivo con metodo acquisitivo (6). Le ragioni di una tale impostazione risiedono nella disparitˆ sostanziale e dunque, processuale, tra le ÒpartiÓ del rapporto di diritto pubblico: da un lato lĠamministrazione, dotata di poteri autoritativi e dallĠaltro il ricorrente, in situazione di soggezione che si traduce nella impossibilitˆ di avere a disposizione tutto il materiale probatorio idoneo per la definizione della lite. LĠillegittimitˆ dellĠatto pu˜ emergere dallĠesame degli accertamenti istruttori espletati dalla pubblica amministrazione nella fase procedimentale, le cui risultanze restano nella sua disponibilitˆ, con la conseguenza che elementi probatori, anche essenziali, potrebbero non essere facilmente reperibili dal ricorrente (7). La giurisprudenza prevalente (8), fermo restando il carattere aquiliano della responsabilitˆ amministrativa, facendo ricorso al meccanismo delle presunzioni (4) F. SCOCA, Diritto Amministrativo, Giappichelli, Torino, 2011, pag. 722. (5) T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, Sez. I, 11 luglio 2012 n. 220; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 24 aprile 2012 n. 1942; Cons. St., Sez. IV, 11 febbraio 2011 n. 924, in www.dejure.it. (6) A. CIANFLONE, LĠappalto di opere pubbliche, Tomo II, Giuffr , Milano, 2012, pag. 2061. (7) DéSIRéE ZONNO, I poteri del giudice amministrativo in tema di prove: intervento del giudice nella formazione della prova., in www.giustizia-amministrativa.it. (8) Cons. St., Sez. IV, 31 gennaio 2012 n. 482; Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 2010, n. 8549; Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2384; Cons. Stato, Sez. V, 8 settembre 2008, n. 4242. in www.dejure.it. semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c.,  giunta ad affermare che l'illegittimitˆ del provvedimento amministrativo costituisce un indice presuntivo di colpevolezza, da considerare unitamente ad altri quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicitˆ del fatto, il carattere pacifico della questione esaminata, il carattere vincolato o a bassa discrezionalitˆ dell'azione amministrativa. Seguendo questo orientamento, se non a una vera e propria sua inversione, si  pervenuti a un sostanziale alleggerimento dell'onere probatorio incombente sul privato in forza del quale una volta accertata l'illegittimitˆ dell'azione della pubblica amministrazione,  a quest'ultima che spetta di provare l'assenza di colpa (9) attraverso la deduzione di circostanze integranti gli estremi del c.d. errore scusabile, ovvero l'inesigibilitˆ di una condotta alternativa lecita. La giurisprudenza amministrativa giunge quindi al risultato di semplificare il quadro probatorio della parte ricorrente in punto di elemento soggettivo, consentendo al privato danneggiato di adempiere allĠonere della prova imposto dallĠart. 2697 c.c. mediante elementi da cui presumere la colpa. A sua volta, lĠAmministrazione pu˜ dimostrare la mancanza di colpa fornendo a suo discarico degli elementi riconducibili allo schema dellĠerrore scusabile (10). Trattasi, tuttavia, di una soluzione che tende a parificare elementi della responsabilitˆ contrattuale con quella extracontrattuale. La giurisprudenza (11) infatti, nel tentativo di attenuare lĠonere probatorio gravante sullĠamministrato, ha affermato che lĠillegittimitˆ di un provvedimento produttivo di un danno ingiusto pu˜ essere sufficiente a far sussistere lĠagire colposo della pubblica amministrazione laddove in base al contesto normativo vi sia un vizio di legittimitˆ particolarmente grave, formulando di fatto una nozione quasi oggettiva di colpa (12). 3. LĠimprescindibilitˆ dellĠelemento soggettivo nelle ipotesi di responsabilitˆ amministrativa elaborate dalla dottrina. A seguito della sent. 500/99, la giurisprudenza maggioritaria, pur esaminando la configurazione della colpa e il relativo onere probatorio, non ha mai messo in dubbio la natura giuridica della responsabilitˆ della pubblica amministrazione conseguente allĠillegittima attivitˆ provvedimentale, fondata quindi sulla responsabilitˆ extracontrattuale. é tuttavia opportuno ricordare i differenti orientamenti dottrinali in tema, accolti parzialmente dalla giurisprudenza, poichŽ come  noto il regime del- lĠonere della prova si manifesta in modo diverso a seconda che si discuta di (9) F. CORTESE, LĠaccertamento della colpa della p.a. nella fattispecie di danno da provvedimento illegittimo: il giudice amministrativo in equilibrio tra diritto interno e diritto europeo, in www.dejure.it. (10) S. CIMINI, La colpa nella responsabilitˆ civile delle Amministrazioni pubbliche, Giappichelli, Torino, 2008, pag. 493. (11) Cons. St. Sez. V, 10 gennaio 2005, n. 32, in www.dejure.it. (12) M. DĠALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2012, pag. 288. responsabilitˆ precontrattuale, extracontrattuale o contrattuale. LĠorientamento giurisprudenziale (13) e dottrinale (14) che accoglie la tesi della responsabilitˆ precontrattuale fonda le propria teoria sullĠart. 1337 c.c., ovvero nel rispetto del principio di buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. Pi precisamente la buona fede, intesa in senso oggettivo, e espressione del principio di solidarietˆ contrattuale nella duplice accezione, negativa come dovere di astenersi da qualsiasi condotta lesiva dellĠinteresse altrui, e positiva, come dovere di salvaguardare nei limiti di un apprezzabile sacrificio gli interessi della controparte, sicchŽ si ritiene che dal fatto giuridico dellĠinstaurazione fra le parti delle trattative contrattuali discende ex lege lĠobbligazione di buona fede (oggettiva) dal cui inadempimento deriva il risarcimento del danno ex 1218 c.c.. Differente orientamento (15) basa i propri convincimenti invece sul presupposto che la pubblica amministrazione, rispetto a un privato, non possa considerarsi come il Òc.d. terzo qualunqueÒ poichŽ il provvedimento amministrativo lesivo  preceduto dal rapporto giuridico che si instaura tra cittadino ed amministrazione nel corso del procedimento amministrativo, cosi come regolato dalla l. 241/90. In base a tale interpretazione, c.d. Òda contatto amministrativo qualificatoÓ, la responsabilitˆ andrebbe condotta nellĠambito della c.d. responsabilitˆ contrattuale ex art. 1218 c.c. Questo indirizzo dottrinale afferma che il cittadino di fronte allĠattivitˆ autoritativa dellĠamministrazione vanta, se non un diritto al conseguimento di un bene della vita almeno una pretesa che la pubblica amministrazione agisca nel rispetto delle regole che devono scandire lĠattivitˆ procedimentale; si configura in tal modo una responsabilitˆ per violazione dei c.d. obblighi di protezione, senza obbligo primario di prestazione. La fonte di questi obblighi viene individuata nellĠultima parte dellĠart. 1173 c.c. che che sancisce lĠatipicitˆ delle fonti delle obbligazioni rinviando ad ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformitˆ dellĠordinamento giuridico, in particolare il procedimento amministrativo costituirebbe il fatto generatore di obblighi di protezione in capo alla pubblica amministrazione. Secondo invece una interpretazione pi decisa, lĠillegittimo esercizio del- lĠattivitˆ amministrativa configura lĠinadempimento di un obbligazione avente a oggetto una vera e propria prestazione. Si afferma quindi che oltre a uno specifico obbligo di correttezza, diretta applicazione del principio di imparzialitˆ, sulla pubblica amministrazione gravano specifici obblighi di prestazione coincidenti con le singole fasi scandite dalla legge sul procedimento amministrativo. Entrambe le soluzioni esposte, ovvero sia la responsabilitˆ precontrattuale (13) Cons. St. Sez. V, 30 dicembre 2011, n. 7000. (14) P. FAVA, La responsabilitˆ civile, Giuffr, Milano, 2009, pag. 374. (15) T.A.R. Palermo, Sicilia, Sez. II, 26 giugno 2012, n.1300; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 5 giugno 2012 n. 2646; Cons. St., Sez. IV, 27 novembre 2010, n. 829, in www.dejure.it. che contrattuale, convengono tuttavia, anche se attraverso strade differenti, nel ricondurre la responsabilitˆ allĠart. 1218. c.c. giungendo dunque a una medesima disciplina in tema di onere della prova. Ad ogni modo, qualsiasi sia la natura riconosciuta alla responsabilitˆ della pubblica amministrazione, rimane immutata la circostanza che essa non possa prescindere dalla sussistenza dellĠelemento soggettivo, presente in ciascuna delle esaminate ipotesi di responsabilitˆ. Come precedentemente accennato, lĠorientamento dominante in giurisprudenza e in dottrina (16)  quello che configura la responsabilitˆ della pubblica amministrazione come aquiliana. Nel caso di specie, tale impostazione  stata accolta dal giudice di primo grado il quale aveva affermato che la responsabilitˆ civile della pubblica amministrazione, pur presentando connotazioni di specialitˆ, sia in relazione alla qualificazione pubblica ed autoritativa del soggetto agente che in considerazione della natura pubblica degli interessi sottesi all'esplicazione della funzione amministrativa, deve essere ricompresa nello schema generale della responsabilitˆ civile aquiliana. Il giudicante specificava inoltre che, per poter riconoscere come responsabile della lesione inferta alla posizione del privato e, quindi, obbligata al risarcimento del danno l'amministrazione, devono sussistere, dunque, tutti gli elementi costitutivi dell'illecito extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 c.c.: antigiuridicitˆ del comportamento, identificata con l'illegittimitˆ dell'atto amministrativo, danno provocato al singolo mediante tale comportamento, nesso di causalitˆ tra il comportamento antigiuridico ed il danno, elemento soggettivo. Secondo il costante orientamento che si ricava dalle pi recenti decisioni in tema di responsabilitˆ civile della pubblica amministrazione, il risarcimento del danno non  una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato, richiedendosi la positiva verifica di tutti i requisiti previsti, e cio la lesione della situazione soggettiva tutelata, la colpa dell'amministrazione, l'esistenza di un danno patrimoniale e la sussistenza di un nesso causale tra l'illecito ed il danno subito e, riguardo all'elemento soggettivo,  indispensabile accedere ad una nozione di tipo oggettivo, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento, nonchŽ, della gravitˆ della violazione commessa dall'amministrazione, anche alla luce dell'ampiezza delle valutazioni discrezionali ad essa rimesse e dei precedenti giurisprudenziali. La responsabilitˆ va affermata quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato; viceversa, va negata quando l'indagine conduca al riconoscimento di un errore scusabile, per la sussistenza di (16) S. PUDDU, Colpa dellĠapparato e rapporto procedimentale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2011, pag. 75. contrasti giurisprudenziali, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessitˆ della situazione di fatto. 4. LĠirrilevanza dellĠaccertamento della colpa in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici. In posizione di rottura rispetto allĠorientamento della giurisprudenza nazionale dominante  invece la decisione del Consiglio di Stato sez. V n. 5686/2012 che, recependo la giurisprudenza europea, stravolge lĠimpostazione tipica della responsabilitˆ in tema di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti di pubblici lavori, servizi e forniture. Il giudicante richiama la pronuncia emessa dalla Terza Sezione della Corte di Giustizia dellĠUnione Europea in data 30 settembre 2010, C314/09 secondo cui la vigente normativa che regola le procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti non consente che il diritto ad ottenere il risarcimento danno da una Amministrazione pubblica che abbia violato le norme sulla disciplina degli appalti sia subordinata al carattere colpevole di tale violazione. In particolare la Corte di Giustizia, confermando un indirizzo giˆ manifestato in ambito europeo (17), precisa che il principio di effettivitˆ delle garanzie  soddisfatto soltanto a condizione che la possibilitˆ di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norma sugli appalti pubblici non sia subordinata allĠaccertamento dellĠesistenza di un comportamento colpevole tenuto dallĠamministrazione aggiudicatrice, poichŽ nel momento in cui si consente di vincere la presunzione di colpevolezza su essa gravante, emerge lĠevidente pericolo che il soggetto danneggiato da una decisione illegittima venga comunque privato del diritto di ottenere un risarcimento per il danno causato da tale decisione, nel caso in cui lĠAmministrazione riesca a vincere la suddetta eventuale presunzione di colpevolezza. In altri termini, a parere della Corte di Giustizia, la regola comunitaria, prevista dallĠart. 2. n. 1, lett. c) nonchŽ dal sesto ÒconsiderandoÓ dellĠoriginaria direttiva 89/665/89 CEE, fondata sullĠeffettiva tutela degli interessi delle imprese nel settore degli appalti pubblici, configura una responsabilitˆ non avente natura nŽ extracontrattuale nŽ contrattuale ma oggettiva, quindi fondata sulla mera illegittimitˆ del provvedimento amministrativo. Emerge quindi che nelle norme appena richiamate non viene in alcun modo indicato che la violazione delle norme sugli appalti pubblici rivolta ad ottenere il risarcimento del danno a favore di colui che ha subito un pregiudizio debba presentare caratteristiche particolari, quale  quella di essere connessa ad una colpa, provata o presunta, dellĠamministrazione. Da ci˜ deriva, da un lato, che non pu˜ gravare su colui che ha subito un pregiudizio lĠonere di provare che il danno proveniente dal provvedimento (17) Corte di Giustizia 14 ottobre 2004, C275/03, in www.eur-lex.europa.eu. illegittimo sia conseguenza di una colpa dellĠAmministrazione, dallĠaltro che non possa lĠamministrazione sottrarsi allĠobbligo di risarcire il danno cagionato da un suo provvedimento illegittimo adducendo lĠinesistenza a proprio carico dellĠelemento del dolo o della colpa. Il rispetto dei principi di equivalenza ed effettivitˆ, e in particolare il tentativo di uniformare la disciplina europea in tema di appalti, nel caso in cui tale indirizzo non fosse recepito dal giudice nazionale, rischierebbe di essere svuotato da un inquadramento nazionale che subordina lĠottenimento del risarcimento danni da parte del danneggiato al riscontro dellĠelemento soggettivo della responsabilitˆ della pubblica amministrazione. Orbene, i giudici di Palazzo Spada, accolto lĠorientamento sopra citato, sottolineano che il ricorrente che non ottiene direttamente il bene a cui aspira, ovvero la riedizione della gara di appalto, pu˜ legittimamente avanzare la richiesta di risarcimento per il danno subito. Se, tuttavia, in questĠultima ipotesi si ammettesse la possibilitˆ di provare lĠassenza di colpa della pubblica amministrazione,  facilmente comprensibile come il privato rischierebbe di rimanere privo di qualsiasi tipo di tutela. La decisione in esame, accolta dalla parte minoritaria della giurisprudenza (18) ispirata allĠintento di garantire una tutela effettiva in una materia che investe i valori della concorrenza e della trasparenza del mercato appare inconciliabile con il tentativo compiuto dalla giurisprudenza amministrativa, tramite lo strumento delle presunzioni semplici ritenute idonee a superare le limitazioni poste a livello europeo con la Dir. 89/665/CEE, di collegare lĠapproccio comunitario con i tradizionali principi in materia. Parte della dottrina (19) ha osservato che il modello di responsabilitˆ appena delineato dovrebbe applicarsi esclusivamente al settore disciplinato dalle direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, ovvero le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, come chiarito dal terzo considerando della Dir. 89/665/CEE che specifica come lĠapertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario unĠimplementazione degli strumenti di tutela per il danneggiato, coerentemente con i principi di trasparenza e non discriminazione. LĠobbiettivo che si pone a fondamento di tali disposizioni  quello di garantire lĠeffettivitˆ delle regole comunitarie sulla concorrenza attraverso ricorsi rapidi ed efficaci. Secondo unĠopposta opinione (20), invece, le procedure di affidamento dei contratti pubblici non sono cos“ diverse dalle procedure concorsuali per (18) Cons. St., Sez. V, 24 febbraio 2011 n. 1993; T.A.R Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 5 aprile 2011 n. 98; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 9 settembre 2011 n. 4371; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 19 ottobre 2011 n. 2493, in www.dejure.it. (19) CIMINI, op. cit. in www.giustamm.it. (20) GUIDO VELTRI, La parabola della colpa nella responsabilitˆ da provvedimento illegittimo: riflessioni a seguito del codice del processo e della recente giurisprudenza. in www.studiolegaleriva.it. lĠassunzione del personale a tal punto da giustificare la ragionevole persistenza di un modello differenziato di responsabilitˆ rispetto alla generale azione della pubblica amministrazione ed alla tutela degli interessi legittimi negli altri settori dellĠordinamento. Si sostiene, quindi, che se la tutela deve essere accessibile, rapida ed effettiva, non sussiste motivo per circoscrivere tale garanzia esclusivamente a determinati ambiti. A ben vedere, che la tutela risarcitoria in materia di appalti possa avere corsie preferenziali o differenziate in punto di effettivitˆ e celeritˆ lo ha da subito affermato la giurisprudenza allĠinizio della propria opera di delimitazione dellĠambito di applicazione dei riti speciali ed accelerati, chiarendo che Òil rito accelerato si deve applicare quando la domanda proposta in giudizio, rientrante tra quelli di cui allĠart. 23 bis, c. 1, L. n. 1034/1971, non abbia il mero risarcimento del danno, ma riguardi anche lĠannullamento di atti amministrativiÓ (21). Il Consiglio di Stato inoltre, per corroborare la tesi della natura oggettiva della responsabilitˆ amministrativa, richiama il criterio della Ònatura delle coseÓ(22) come metodo di ricostruzione sistematica tra ordinamento nazionale e comunitario. Tale teoria, sostenuta da autorevole dottrina (23), ponendosi in antitesi con il formalismo e legalismo giuridico, afferma che lĠarmonizzazione del diritto comunitario debba avvenire attraverso la recezione della sfera economica e sociale dello strumento pi idoneo a conseguire la finalitˆ prefissata in rapporto ai criteri di uguaglianza e proporzionalitˆ. Nel caso di specie viene quindi affermato che,  la normativa sulla responsabilitˆ che deve modellarsi sulla natura delle cose nel caso di esistenza del danno, non  la normativa che pu˜ individuare i presupposti per la risarcibilitˆ del danno, poichŽ il danno, come fattore oggettivamente esistente deve legittimare il risarcimento. Ci˜ comporta che ogni danno che sia conseguenza immediata e diretta della violazione di norme in tema di appalti, possa per ci˜ solo definirsi idoneo a legittimare un adeguato ristoro. 5. Conclusioni. Sebbene la tesi della natura oggettiva della responsabilitˆ da attivitˆ provvedimentale della pubblica amministrazione sia accolta dalla dottrina (24)  necessario ricordare che nel nostro ordinamento la regola vigente (art. 2043 c.c.)  fondata imprescindibilmente sul principio della colpa, inteso come cri (21) Cons. giust. amm. Sicilia Sez. giurisd. 14 settembre 2009, n. 788, in www.giustizia-amministrativa. it. (22) M. PROTTO, Il Rapporto Amministrativo, Giuffr, Milano, 2008, pag. 134 in Responsabilitˆ civile e previdenza. (23) F. MERUSI, La natura delle cose come criterio di armonizzazione comunitaria nella disciplina degli appalti pubblici, 1997, pag. 39. in Riv. It. Dir. pubbl.. (24) L. GAROFALO, Verso un modello autonomo di responsabilitˆ dellĠAmministrazione, 2005, 1060 e ss. in Urbanistica e Appalti. terio di imputazione della responsabilitˆ per tutti i danni ingiusti che non trovano una specifica disposizione normativa. Una nuova ipotesi di responsabilitˆ necessiterebbe, quindi, di una espressa previsione legislativa, poichŽ se si escludono i riferimenti alle pronunce della Corte di Giustizia, non esiste nessuna norma che possa giustificare un differente trattamento nei confronti dellĠamministrazione pubblica rispetto ai singoli cittadini, ammesso che anche qualora fosse presente sia compatibile con il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione allĠart. 3. Il testo del Trattato istitutivo della Comunitˆ Europea, attualmente, non colloca le decisioni della Corte di Giustizia tra le fonti del diritto e non conferisce a queste ultime unĠefficacia extraprocessuale sicchŽ tale scelta necessita di una espressa norma, comunitaria o nazionale, e non pu˜ quindi essere affidata allĠinterprete, in particolare nei casi, come quello in esame, in cui lĠorientamento adottato dal giudice di Lussemburgo si colloca in contrasto con lĠindirizzo storicamente accolto dalla giurisprudenza nazionale maggioritaria. La tutela della concorrenza, principio pacificamente riconosciuto in ambito europeo (25), richiamata dalla Corte di Giustizia per fondare il regime di responsabilitˆ oggettiva, benchŽ tutelato dalla nostra Costituzione allĠart. 41, non pu˜ derogare al principio di uguaglianza poichŽ, come affermato dalla Corte Costituzionale (26), l'esercizio dei poteri normativi delegati all'Unione Europea trova un limite nei principi fondamentali dell'assetto costituzionale e nella maggiore tutela dei diritti inalienabili della persona. LĠart. 3 della Costituzione non pu˜ quindi essere derogato in quanto rientrante tra i principi inviolabili presenti nella nostra Costituzione, sicchŽ la tesi che ammette una deroga al suddetto principio, consistente in un regime differenziato di responsabilitˆ per la pubblica amministrazione, in favore della tutela della concorrenza non pu˜, secondo un interpretazione costituzionalmente orientata, essere accolta. Peraltro come notato da tempo da unĠattenta dottrina (27) non sussiste alcuna valida ragione per escludere che i principi generali previsti dal codice civile in materia di obbligo di risarcimento per danno ingiusto si applichino anche alle Amministrazioni pubbliche, neppure quando il danno consegua ad una attivitˆ di diritto pubblico degli enti medesimi. Differente dottrina (28) ritiene, al contrario di quanto sopra esposto, che il regime di responsabilitˆ oggettiva, accolto parzialmente dalla giurisprudenza italiana a seguito dellĠimpulso fornito dal giudice di Lussemburgo, avrebbe (25) Titolo VI, capo I, Trattato Istitutivo della Comunitˆ Europea. (26) Corte Costituzionale, 24 giugno 2010, n.227, in cortecostituzionale.it. (27) E. CASETTA, LĠillecito degli entri pubblici, Giappichelli, Torino, 1953, pag. 106 e ss. (28) R. CAROCCIA, Lo strano caso del legislatore statale in linea con le direttive europee. in www.giustamm.it. dovuto imporsi immediatamente dopo lĠentrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo alla luce delle disposizioni nello stesso presenti. In particolare si sottolinea che in virt dellĠart. 124 c.p.a. o il giudice accoglie la domanda di conseguire la aggiudicazione e il contratto, al verificarsi delle condizioni previste dagli artt. 121 c. 1 e 122, o nel caso di dichiarazione di inefficacia non doverosa, qualora non ritenga di comandare il subentro di questi nel rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione Òdispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provatoÓ. Il codice del processo amministrativo prevede dunque la possibilitˆ di ottenere, da un lato, il conseguimento dellĠaggiudicazione o del contratto, c.d. risarcimento in forma specifica, e dallĠaltro, nel caso in cui il giudice non concede il bene della vita a cui il ricorrente aspira, il risarcimento per equivalente. Si nota immediatamente che, a differenza della disposizione prevista dallĠart. 2043 c.c, la parola ÒdannoÓ non  seguita dallĠaggettivo ÒingiustoÓ, nŽ sono presenti i parametri psicologici di qualsiasi facere antigiuridico, ovvero Òdoloso o colposoÓ. Al contrario lĠart. 2 bis della l. 241/90 che disciplina le conseguenze del ritardo dellĠamministrazione nella conclusione del procedimento specifica esattamente il tipo di danno, ovvero ÒingiustoÓ, rendendo facilmente riconducibile alla responsabilitˆ aquilina la disciplina prevista dalla legge sul procedimento amministrativo. Tale differenza di terminologia che si manifesta con il silenzio del legislatore nella previsione dellĠart. 124 c.p.a, lungi dallĠessere una dimenticanza, conduce a configurare lĠarticolo in questione come una vera e propria deroga allĠordinario principio di responsabilitˆ amministrativa come configurato dalla sent. 500/99, e con ci˜ legittimando la tesi di una responsabilitˆ svincolata dallĠelemento soggettivo del dolo o colpa. Inoltre  opportuno rilevare che la stessa ratio che si pone a fondamento della gara di appalto di forniture e servizi si fonda sullĠindividuazione dellĠimpresa pi efficiente presente sul mercato, se tale intento non pu˜ essere realizzato a causa del cattivo esercizio del potere amministrativo spetta allĠimpresa pretermessa un risarcimento monetario. Il rimedio per equivalente non costituisce perci˜ un rimedio risarcitorio in senso stretto ma una misura sostitutiva della tutela specifica, sostanziandosi nellĠattribuzione del bene della vita in ragione del suo valore economico. In sostanza non si tratta di una domanda risarcitoria tout court ma dellĠaccoglimento della stessa domanda di esatto adempimento proposta dal ricorrente che chieda lĠaggiudicazione del contratto, con la mera sostituzione del bene della vita in senso specifico con il suo surrogato economico (29). Tale teoria non tiene tuttavia conto che numerosi sono gli inconvenienti di una responsabilitˆ oggettiva. Certamente  importante tenere in considera (29) F. CARINGELLA, Manuale di diritto Amministrativo, VI edizione, Dike, Roma, 2012, p. 251. zione lĠinsostenibile esborso economico a cui sarebbe soggetto lo Stato con conseguente paralisi dellĠattivitˆ amministrativa (30). Alla luce delle considerazioni fin qui condotte, pare ragionevole ritenere che nel nostro ordinamento la responsabilitˆ della pubblica amministrazione per i danni cagionati da illegittimo esercizio della funzione non possa che rimanere attratta nellĠorbita civilistica, almeno fino a quando non ci sarˆ una specifica disciplina legislativa che indichi un regime differente. Inoltre sarebbe difficilmente giustificabile, secondo i parametri costituzionali vigenti, una tutela risarcitoria dellĠinteresse legittimo che muta il punto di partenza, ovvero la natura giuridica extracontrattuale o oggettiva, in base alla materia oggetto della controversia. Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 8 novembre 2012 n. 5686 -Pres. ff. Carlo Saltelli, Est.. Paolo Giovanni Nicol˜ Lotti - All System S.p.A. in proprio e quale mandataria R.T.I. (avv. ti Alessandra Sandulli, Massimo Falsanisi e Roberto Invernizzi) c. Comune di Milano, (avv.ti Maria Rita Surano, Raffaele Izzo, Maria Teresa Maffey e Stefania Pagano). FATTO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, sez. I, con la sentenza n. 1811 del 14 giugno 2010, ha in parte respinto, in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto dallĠattuale appellante per il risarcimento in forma specifica, o in subordine per equivalente, anche in applicazione dellĠart. 35 d.lgs. 80/1998, in relazione ai pregiudizi patiti e patiendi dalle ricorrenti a causa di atti e comportamenti impugnati, nonchŽ a causa dellĠillegittima mancata aggiudicazione del servizio di sorveglianza presso il Palazzo di Giustizia e presso altri uffici, da espletare a mezzo di guardie giurate e fornitura/installazione di telecamere, durante il periodo 15 giugno 2007-14 giugno 2010Ó; per lĠaccertamento del diritto delle ricorrenti ex art. 115 d.lgs. 163-06 a praticare per il servizio il prezzo di cui allĠofferta da esse presentata nella gara di cui al servizio predetto, maggiorato con lĠapplicazione degli indici revisionali maturati dal momento della presentazione dellĠofferta medesima; per lĠaccertamento dellĠillegittimitˆ e della nullitˆ della clausola contrattuale che vorrebbe imporre la deroga patrizia allĠentitˆ degli interessi per ritardato pagamento stabilita ex d.lgs. 231-02 e direttiva 2000/35/CE; nonchŽ per lĠannullamento degli atti connessi, con i quali lĠamministrazione si  limitata a reintegrare parte ricorrente solo per il periodo residuale di otto mesi (note comunali e relativi verbali del 21.9.09, 2.10.09, 14.10.09, 22.10.09; atto dirigenziale n. 410 dellĠ1.10.09; schema di contratto sottoposto dal Comune). Il TAR ha fondato la sua decisione rilevando, sinteticamente, che, con bando pubblicato in data 19 aprile 2007, il Comune di Milano aveva indetto una procedura aperta, con il criterio dellĠofferta economicamente pi vantaggiosa, per lĠaffidamento del servizio di sorveglianza mediante guardie particolari giurate, con fornitura e installazione di telecamere, presso il Palazzo di Giustizia e lĠAula Bunker di piazza Filangieri, Milano, (lotto I) e presso altri Uffici Giudiziari (lotto II); la durata prevista dellĠappalto era dal 15 giugno 2007 al 14 giugno 2010. (30) S. CIMINI, op. cit. in www.giustamm.it. Con precedente sentenza n. 3052 del 28 luglio 2008, previa pubblicazione del dispositivo in data 30 aprile 2008, il TAR aveva respinto il ricorso intentato dallĠattuale appellante per lĠannullamento degli atti della gara in contestazione; il Comune aveva conseguentemente stipulato il contratto con lĠoriginario aggiudicatario per i due lotti, avente come termine finale il 14 giugno 2010, nelle date del 27 giugno e 3 luglio 2008. Tale sentenza era stata riformata da questo Consiglio, con sentenza n. 5096 del 27 agosto 2009, previa pubblicazione del dispositivo in data 8 maggio 2009. In seguito alla pubblicazione di tale ultima decisione, il Comune di Milano, nel mese di settembre 2009, aveva rinnovato le operazioni di gara e riformulato la graduatoria, disponendo, in data 24 ottobre 2009, il subentro della ricorrente, risultata al primo posto della graduatoria del lotto in questione, nellĠesecuzione del contratto, per la residua validitˆ di circa otto mesi, fino al 14 giugno 2010. Il contratto veniva, poi, sottoscritto il 12 marzo 2010. Il TAR ha osservato che dallĠandamento degli avvenimenti succedutisi, cos“ come descritti, non poteva rinvenirsi in capo allĠAmministrazione la sussistenza dellĠelemento soggettivo della colpa, indispensabile al fine della possibilitˆ di configurazione dellĠimputazione di responsabilitˆ civile nei confronti della stessa. Il TAR, quindi, ha in parte respinto il ricorso, quanto alla domanda risarcitoria, e, per il resto, lo ha dichiarato inammissibile nella parte in cui era stato rivolto avverso le clausole contrattuale che derogavano alle ordinarie scadenze e alle decorrenze degli interessi legali, sostanzialmente per difetto di giurisdizione. LĠappellante ha contestato la sentenza del TAR chiedendo lĠaccoglimento dellĠappello quanto alla censura avverso lĠassunta omissione della revisione prezzi ai sensi dellĠart. 115 del d.lgs. n. 163-06, poichŽ tale clausola era mutata nel contratto rispetto alla bozza prodotta dalla ricorrente in senso favorevole alla stessa e quanto alla censura concernente la clausola relativa alla deroga pattizia allĠentitˆ degli interessi per ritardato pagamento, afferendo allĠesecuzione contrattuale e, quindi, alla giurisdizione del giudice ordinario. Si  costituito il Comune, chiedendo il rigetto dellĠappello. AllĠudienza pubblica del 3 luglio 2012 la causa  stata trattenuta in decisione. DIRITTO Rileva il Collegio che il primo e centrale motivo di appello  incentrato sullĠindividuazione, in capo allĠAmministrazione, della sussistenza dellĠelemento soggettivo della colpa, ritenuta dal TAR indispensabile al fine della possibilitˆ di configurazione dellĠimputazione di responsabilitˆ nei confronti della stessa. Questa Sezione deve rilevare che, con sentenza in data 30 settembre 2010, C-314/09, la Terza Sezione della Corte di Giustizia dellĠUnione Europea (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. IV, 31 gennaio 2012, n. 482) ha affermato che la vigente normativa europea che regola le procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi non consente che il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da una Amministrazione pubblica che abbia violato le norme sulla disciplina degli appalti sia subordinato al carattere colpevole di tale violazione. Secondo la Corte, il rimedio risarcitorio previsto dall'art. 2, n. 1, lett. c), dellĠoriginaria direttiva 89/665/CEE pu˜ costituire, se del caso, un'alternativa procedurale compatibile con il principio di effettivitˆ delle garanzie offerte soltanto a condizione che la possibilitˆ di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata, cos“ come non lo sono gli altri mezzi di ricorso previsti dal citato art. 2, n. 1, alla constatazione dell'esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall'Amministrazione aggiudicatrice. Poco importa, per il giudice comunitario, che un ordinamento nazionale non faccia gravare sul ricorrente l'onere della prova dell'esistenza di una colpa dell'Amministrazione aggiudicatrice, ma la presuma a carico della stessa; infatti, dal momento in cui si consente a quest'ultima di vincere la presunzione di colpevolezza su di essa gravante, si genera ugualmente il rischio che il ricorrente pregiudicato da una decisione illegittima di un'Amministrazione aggiudicatrice venga comunque privato del diritto di ottenere un risarcimento per il danno causato da tale decisione, nel caso in cui l'Amministrazione riesca a vincere la suddetta eventuale presunzione di colpevolezza. La decisione qui riassunta, pur non introducendo elementi di novitˆ rispetto ad altra precedente decisione della stessa Corte in data 14 ottobre 2004, C-275/03, che aveva sanzionato lo Stato del Portogallo per aver subordinato la condanna al risarcimento dei danni cagionati da violazioni del diritto comunitario in materia di pubblici appalti all'allegazione della prova, da parte dei danneggiati, che gli atti illegittimi dello Stato o degli enti di diritto pubblico fossero stati commessi colposamente o dolosamente, ribadisce in modo chiaro e univoco che, in materia di appalti pubblici, da un lato non possa gravare sul ricorrente danneggiato l'onere di provare che il danno derivante dal provvedimento amministrativo illegittimo sia conseguenza di una colpa dell'Amministrazione; dall'altro lato, che non possa l'Amministrazione sottrarsi all'obbligo di risarcire i danni cagionati da un suo provvedimento illegittimo adducendo l'inesistenza a proprio carico di elementi di dolo o di colpa. In altre parole, la regola comunitaria vigente in materia di risarcimento dei danno per illegittimitˆ accertate in materia di appalti pubblici per avere assunto provvedimenti illegittimi lesivi di interessi legittimi configurerebbe una responsabilitˆ non avente natura nŽ contrattuale nŽ extracontrattuale, ma oggettiva, sottratta ad ogni possibile esimente, poichŽ derivante da principio generale funzionale a garantire la piena ed effettiva tutela degli interessi delle imprese, a protezione della concorrenza, nel settore degli appalti pubblici. Intesa in questo senso,  dunque evidente che tale regola non pu˜ essere circoscritta ai soli appalti comunitari ma deve estendersi, in quanto principio generale di diritto comunitario in materia di effettivitˆ della tutela, a tutto il campo degli appalti pubblici, nei quali i principi di diritto comunitario hanno diretta rilevanza ed incidenza, non fosse altro che per il richiamo che ad essi viene fatto dal nostro legislatore nel Codice appalti (art. 2 d. lgs. 163-06). Per certi versi, in questo settore, viene di nuovo in rilievo il modello, lungamente adottato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, della colpa in re ipsa, che obliterava, infatti, l'elemento soggettivo nell'illecito provvedimentale, ritenendolo implicita nell'illegittimo esercizio della funzione e/o nell'esecuzione di un atto illegittimo. Al riguardo,  noto che, con il revirement della Cassazione nella sentenza n. 22 luglio 1999 n. 500, si  affermato expressis verbis che dall'illegittimitˆ di un atto non pu˜ pi essere evinta l'illiceitˆ. La sistematica della colpa si trova oggi, tuttavia, a dover essere rimeditata non solo in generale alla luce della novella azione di condanna al risarcimento, positivizzata dal Codice del processo amministrativo (ex art. 30), questione che esula dal perimetro del presente giudizio; ma soprattutto, come detto, in relazione alla responsabilitˆ civile della P.A. nel campo degli appalti pubblici, rispetto al quale il giudice comunitario ha mostrato di confermare l'orientamento invalso giˆ a partire dalla pronuncia resa in occasione del caso Brasserie du pŽcheur Factortame (CGE 5 marzo 1996, Cause riunite C-46/93 e C-48/93), secondo cui si deve configurare la responsabilitˆ in senso oggettivo, atteso che il rimedio risarcitorio contemplato dalla diret tiva 89/665/CEE pu˜ effettivamente rivelarsi un efficace mezzo di ristoro soltanto a condizione che la possibilitˆ di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata alla constatazione dell'esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall'Amministrazione aggiudicatrice. In questo modo si conferisce massima importanza ai principi di equivalenza e, soprattutto, di effettivitˆ, garantendo nel contempo in tutto il territorio dell'Unione un'uniforme disciplina degli appalti pubblici. LĠeffettivitˆ del comando normativo non viene perseguita attraverso prescrizioni di regolazione dei procedimenti amministrativi, ma avviene attraverso il versante delle garanzie, giurisdizionali o paragiurisdizionali: la direttiva 89/665, nei suoi considerando (e ancor pi le successive direttive di codificazione attualmente vigenti, nonchŽ la nuova direttiva ricorsi 66/2007/CE), rilevano l'assenza, sia sul piano dei diritti nazionali che su quello del diritto comunitario, di adeguati strumenti di garanzia dell'applicazione effettiva della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici, determinando un freno alla partecipazione delle imprese comunitarie alle gare e, dunque, incidendo sulla libera circolazione dei servizi. Il fatto che manchino rimedi validi ed efficaci avverso le violazioni del diritto comunitario riduce la concorrenza comunitaria e determina un allontanamento dai fini del Trattato, improntata in questo settore ai principi della massima concorrenza e della non discriminazione. La disciplina comunitaria della concorrenza  rivolta, infatti, essenzialmente alla tutela delle posizioni soggettive delle imprese, cui dovrebbe corrispondere in capo alla Pubblica Amministrazione l'obbligo di tenere un corretto comportamento verso i concorrenti alle gare pubbliche; tale intento rischierebbe con ogni probabilitˆ di essere frustato da una disciplina nazionale che subordinasse l'ottenimento del risarcimento dei danni, da parte dell'offerente offeso, al previo positivo riscontro dell'elemento soggettivo della responsabilitˆ della Pubblica Amministrazione. LĠordinamento comunitario dimostra che ci˜ che rileva Ž lĠingiustizia del danno e non lĠelemento della colpevolezza; ci˜ determina ipso facto la creazione di un diritto amministrativo comune a tutti gli Stati membri nel quale i principi che si elaborano a livello comunitario, in applicazione dei Trattati, trovano humus negli ordinamenti interni, e costituiscono una sorta di sussunzione unificante di regole riscontrabili in tali ordinamenti. In questo processo di astrazione  inevitabile che i principi di diritto interno vengano sostituiti da principi caratterizzati da pi larga acquisizione, poichŽ il ravvicinamento e l'armonizzazione normativa premia il principio maggiormente condiviso, come  quello della responsabilitˆ piena della P.A. senza aree di franchigia. Peraltro, l'assenza, nella disciplina comunitaria degli appalti, di qualsivoglia riferimento ad un'indagine in ordine all'elemento soggettivo della responsabilitˆ, lungi dall'essere una dimenticanza, si spiega ponendo mente al fatto che, di norma, la via del risarcimento per equivalente viene percorsa qualora risulti preclusa quella della tutela in forma specifica; la reintegrazione in forma specifica rappresenta, peraltro, in ambito amministrativo l'obiettivo tendenzialmente primario da perseguire e il risarcimento per equivalente costituisce invece una misura residuale, di norma subordinata all'impossibilitˆ parziale o totale di giungere alla correzione del potere amministrativo, come dimostra, dĠaltra parte, anche la vicenda giurisprudenziale e normativa relativa alla dichiarazione di inefficacia del contratto dĠappalto, come da ultimo risolta per effetto del d. lgs. n. 53-2010, le cui previsioni sono confluite nel Codice del processo amministrativo agli artt. 121 e ss. In tal modo, dunque, il ricorrente che non ottiene direttamente il bene della vita a cui aspira, ossia la riedizione della gara o l'aggiudicazione definiva pu˜ aspirare alla monetizzazione del pregiudizio subito; se, tuttavia, anche tale ultima via di ristoro venisse resa impraticabile o assolutamente impervia, il privato rischierebbe di restare sprovvisto di qualsiasi forma di tutela. Quanto prefigurato  esattamente ci˜ che accade qualora una normativa nazionale subordini il risarcimento del danno al positivo riscontro della colpa della stazione appaltante. DĠaltra parte, anche in applicazione del metodo della natura delle cose, proposto da autorevole dottrina come criterio di armonizzazione comunitaria nella disciplina sugli appalti,  la normativa sulla responsabilitˆ che deve modellarsi sulla natura della cosa, nel caso sull'esistenza del danno, non  la normativa che pu˜ individuare i presupposti per la risarcibilitˆ del danno, poichŽ  il danno, come fattore oggettivamente esistente, infatti, che deve legittimare il risarcimento; ci˜ porta a ritenere che ogni danno che sia conseguenza immediata e diretta della violazione di norme in tema di appalti pubblici possa, per ci˜ solo, definirsi ingiusto e, come tale, meritevole di adeguato ristoro. Nel caso di specie, superata in questo modo la questione della colpa da cui si pu˜, dunque, prescindere per configurare la risarcibilitˆ dei danni per equivalente in materia di appalti pubblici, il Collegio ritiene sussistenti anche tutte le altre componenti dellĠillecito e cio: lĠillegittimitˆ dellĠagire comunale, dedotto sulla base della decisione di questo Consiglio n. 5096-09 citata; il nesso di causalitˆ, atteso che, riammesso in gara, lĠappellante lĠha vinta; infine, il danno, consistente nella mancata integrale esecuzione del contratto. In concreto, sotto il profilo della quantificazione del danno, poichŽ lĠoriginario affidamento avrebbe dovuto coprire trentasei mesi, nella parentesi temporale tra il 15 giugno 2007 e il 15 giugno 2010 e poichŽ per circa ventotto mesi, dal giugno 2007 allĠottobre 2009, il servizio  stato svolto in forza dellĠillegittima originaria aggiudicazione, tale ultimo periodo costituisce il parametro per la liquidazione dei danni; danni che sono rappresentati, dunque, dal mancato utile conseguito in questo periodo dallĠappellante che non ha potuto svolgere il servizio per effetto dellĠillegittima aggiudicazione a terzi. A nulla rileva, come invece eccepisce il Comune, che altri ricorrenti non abbiano interposto appello allĠoriginaria sentenza del TAR, poichŽ ci˜ che  centrale nel configurare lĠingiustizia del danno nel caso di specie  rappresentato dallĠannullamento dellĠaggiudicazione conseguente allĠaccertamento dellĠillegittimitˆ degli atti, a prescindere dalle condotte di acquiescenza di soggetti terzi che non incidono sulla posizione dellĠappellante e, quindi, sulla misura del risarcimento del danno ad esso spettante. Tale parametro (giugno 2007 allĠottobre 2009) deve esser ridotto di un mese, poichŽ il primo mese  stato svolto dallĠodierna appellante in regime di proroga. Non rileva, invece, il fatto, eccepito dal Comune, che dal 14 giugno 2010, giorno di prevista scadenza dellĠappalto in questione, All System abbia continuato ad effettuare il servizio di sorveglianza oggetto della sentenza appellata ininterrottamente fino al 30 aprile 2012, atteso che tale periodo non risulta attribuito a fini di ristoro e, comunque, anche se lo fosse stato, rappresenta unĠattribuzione illegittima poichŽ effettuata senza la necessaria procedura di gara, con conseguente configurabilitˆ di unĠillegittimitˆ amministrativa e di un conseguente possibile illecito contabile. Inoltre, in sede di determinazione del quantum risarcitorio, esclusa la pretesa di ottenere l'equivalente del 10% dell'importo a base d'asta, non essendo oggetto di applicazione automatica e indifferenziata,  necessaria la prova, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, prova desumibile in primis dall'esibizione dell'offerta economica presentata al seggio di gara; tale principio trova, in fatti, conferma nell'art. 124 del codice del processo amministrativo che, nel rito degli appalti, prevede il risarcimento del danno (per equivalente) subito e provato. Occorre, quindi, verificare se parte ricorrente ha rispettato il principio basilare sancito dall'art. 2697 c.c., secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda: come noto, il diritto entra nel processo attraverso le prove, che devono avere ad oggetto circostanze di fatto precise, e si debbono disattendere le domande risarcitorie formulate in maniera del tutto generica, senza alcuna allegazione degli elementi presupposti. Il Collegio ritiene di sciogliere positivamente il quesito, poichŽ gli elementi prodotti in giudizio sono sufficienti ad emettere una pronuncia che statuisca sul quantum spettante a titolo di riparazione pecuniaria, ai fini della formulazione della proposta risarcitoria da parte del Comune e lĠeventuale raggiungimento di un accordo con la ricorrente ex art. 34, comma 4, c.p.a. In particolare la stazione appaltante dovrˆ: - attenersi all'offerta economica presentata dallĠappellante in sede di gara; - valorizzare sul punto l'elaborato contenente le giustificazioni delle voci di prezzo che concorrono a formare l'importo complessivo esibito; -tenere in particolare conto di tutte le spese sostenute e sostenibili; - determinare il margine di guadagno che residua dopo l'applicazione del ribasso indicato in sede di gara, anche in relazione allĠutile conseguito in concreto nei mesi in cui lĠappellante ha potuto gestire il servizio. Il suddetto parametro deve, comunque, essere ridotto in considerazione del fatto che, nel caso di annullamento dell'aggiudicazione di appalto pubblico e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, come nella specie, il mancato utile spetta nella misura integrale solo se si dimostra di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione. In difetto di tale dimostrazione, che compete comunque al concorrente fornire,  da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e da qui la decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum, considerato anche che, ai sensi dell'art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno (cfr. Consiglio di Stato, questa Sezione, 20 aprile 2012, n. 2317). Pertanto,  pienamente ragionevole stabilire una detrazione dal risarcimento del mancato utile nella misura del 50%. Quanto alla residua questione relativa alla deroga pattizia allĠentitˆ degli interessi per ritardato pagamento, il Collegio rileva che effettivamente tale deroga, in quanto contrastante con lĠart. 7 del d. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231,  nulla e tale nullitˆ pu˜ essere rilevata dĠufficio incidentalmente ai fini di stabilire lĠentitˆ del risarcimento del danno e, in particolare la sussistenza e lĠentitˆ della mora che, nella responsabilitˆ aquiliana  prevista dallĠart. 1219 c.c. Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, lĠappello deve essere accolto, con conseguente risarcimento del danno ai sensi della motivazione, maggiorato di interessi e rivalutazione. Per liquidare lĠobbligazione di risarcimento del danno da fatto illecito, infatti, il giudice deve effettuare una duplice operazione; innanzitutto va reintegrato il danneggiato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto, dovendosi cos“ provvedere alla rivalutazione del credito, cio alla trasformazione dellĠimporto del credito originario in valori monetari correnti alla data in cui  compiuta la liquidazione giudiziale; normalmente questa operazione viene effettuata avvalendosi del coefficiente di rivalutazione elaborato dallĠIstat, applicando lĠindice dei prezzi al consumo per famiglie di ope rai e impiegati, se non dimostrato un diverso indice di rivalutazione. In secondo luogo, dovrˆ calcolarsi il cd. danno da ritardo, utilizzando il metodo consistente nellĠattribuzione degli interessi (c.d. compensativi), da calcolare secondo i criteri giˆ fissati dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 1712/95), secondo cui gli interessi (ad un tasso non necessariamente corrispondente a quello legale) vanno calcolati dalla data del fatto non sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bens“ sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cio con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria. Le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sullĠappello come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per lĠeffetto, in riforma della sentenza impugnata, condanna il Comune resistente al pagamento delle somme indicate in motivazione a titolo di risarcimento del danno, ai sensi dellĠart. 34, comma 4, c.p.a. Condanna il Comune appellato alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, spese che liquida in euro 8.000,00, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2012. Provvedimento disciplinare inflitto a magistrato ordinario (TAR Lazio, Sez. I quater, sentenza 23 aprile 2013 n. 4064) Giustina Noviello* In materia di impugnazione di atti ministeriali esecutivi di trasferimento disciplinare di magistrato ordinario, sussiste la giurisdizione esclusiva delle Sezioni Unite della Cassazione, ai sensi degli artt. 24 d.lgvo n. 109/2006 e 17, co. 3, l. n. 195/1958. Con la sentenza 23 aprile 2013 n. 4064, il Tar Lazio (Sezione I-Q) prende posizione, in modo chiaro e puntuale, su questione delicata e nuova per il giudice amministrativo: la giurisdizione in tema di esecuzione dei provvedimenti disciplinari adottati nei confronti dei magistrati ordinari e, segnatamente, dei trasferimenti disciplinari (nella specie, si trattava di ricorso proposto da giudice della sezione fallimentare del tribunale di Roma, avverso gli atti ministeriali esecutivi della sanzione accessoria del trasferimento presso il tribunale de l'Aquila, inflitta - unitamente alla sanzione della perdita di anzianitˆ di sei mesi - con sentenza della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, passata in giudicato). Sembra opportuna una breve riflessione preliminare: la materia disciplinare, da sempre punto nodale e di particolare pregnanza nel settore del pubblico impiego, assume connotazioni di estrema rilevanza quando si tratta della magistratura: se la violazione degli obblighi inerenti la prestazione lavorativa, integrante ipotesi di illecito disciplinare, deve sempre essere perseguita con immediatezza e serietˆ dall'Amministrazione datore di lavoro pubblico, tali esigenze (di celeritˆ ed efficacia) sono presenti in maniera assolutamente potenziata quando a commettere un illecito disciplinare sia un magistrato; questa, in sintesi, la "ratio" della peculiare disciplina, prevista sia in relazione alla fase procedurale (di competenza della Sezione disciplinare del CSM ed avente natura giurisdizionale), sia per la relativa tutela giudiziaria (con giurisdizione esclusiva delle Sezioni Unite della Cassazione, ai sensi dell'art. 24 d.lgvo 23 febbraio 2006 n. 109). Ora, il caso di specie attiene al segmento finale - ma non per questo meno rilevante dal punto di vista pratico - della esecuzione della sanzione irrogata: il magistrato ricorrente aveva impugnato dinanzi al Tar Lazio gli atti ministeriali, adottati ai sensi dell'art. 17 1.n. 195 de1 1958, per lĠesecuzione del trasferimento disciplinare. La Difesa erariale ha eccepito il difetto di giurisdizione sotto un doppio aspetto: per essere impugnato, quale atto presupposto, ancora una volta il tra (*) Avvocato dello Stato. sferimento sanzione disciplinare; e perchŽ lo stesso decreto ministeriale attuativo partecipa della natura giurisdizionale dell'atto cui da esecuzione. Infatti, da un lato, pur in presenza di forrnale impugnazione del provvedimento ministeriale di esecuzione del trasferirnento disciplinare, la ricorrente ha contestato (quale atto presupposto del decreto ministeriale) proprio la decisione della sezione disciplinare, ormai in giudicato. Pertanto,  stato eccepito il difetto di giusrisdizione del giudice amministrativo, sussistendo in materia la giurisdizione della Cassazione a Sezioni unite, ai sensi dell'art. 24, D.Lgvo n. 109/2006 (ove si stabilisce, al comma 1, che il magistrato incolpato pu˜ proporre ; e al comma 2 che (1); con conseguente impossibilitˆ per il giudice amministrativo di adottare, nella specie, misure cautelari, giusta l'art. 10, comma 2, C.P.A.(norma che, come noto, impedisce l'adozione di provvedimenti cautelari, se il giudice "non ritiene sussistente la propria giurisdizione"). D'altra parte, quanto considerato per il trasferimento sanzione disciplinare, vale anche per il conseguente provvedimento ministeriale inerente la presa di possesso. In tal senso, si  richiamata la pur risalente pronuncia delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione n. 9751 del 1983, la quale, in un caso di sospensione disciplinare dalle funzioni e dallo stipendio adottata dalla Sezione disciplinare del C.S.M., ha affermato che: "L'esperibilitˆ del ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, avverso i provvedimenti in materia disciplinare riguardanti i magistrati, secondo la previsione dell'art. 17 terzo comma della legge 24 marzo 1958 n. 195, va riconosciuta tanto per le statuizioni della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, quanto per i decreti del Capo dello Stato adottati in conformitˆ di dette statuizioni, vertendosi in tema di atti di natura giurisdizionale, congiuntamente incidenti sulle posizioni soggettive coinvolte dal procedimento disciplinare". Pertanto, ogni questione relativa a provvedimenti meramente attuativi delle statuizioni della Sezione disciplinare spetta alla cognizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in ragione della natura giurisdizionale del provvedimento. La natura meramente attuativa degli eventuali decreti ministeriali successivi alla pronuncia disciplinare  confermata anche da un'altra pronuncia di codeste Sezioni Unite della S.C., la quale afferma che: "In tema di procedi (1) In virt dellĠassetto normativo indicato nel testo devono applicarsi per la fase introduttiva le norme processuali penali e per quella attinente al giudizio quelle processuali civili (sul punto: Cass. Sez. Un. 11 dicembre 2007, n. 25815). mento disciplinare a carico di magistrati, i provvedimenti cautelari provvisori (sospensione dallo stipendio e dalle funzioni), essendo destinati ad operare durante il tempo necessario ad accertare il merito dell'incolpazione e volti a far cessare immediatamente comportamertti lesivi del prestigio della funzione, sono esecutivi anche se impugnati con ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione; lĠindicata natura cautelare dei suddetti provvedimenti esclude altres“ che l'operativita degli stessi possa essere condizionata dalla emanazione del relativo decreto ministeriale di sospensione, decreto che, potendo essere adottato anche a notevole distanza di tempo dalla delibera della sezione disciplinare del C.S.M., ne vanificherebbe le finalitˆ cautelari, essendo, peraltro, inipotizzabile lĠincidenza di un atto dovuto del potere esecutivo (quale l'adozione del provvedimertto di sospensione) sulla immediata efficacia di provvedimenti di natura giurisdizionale quali quelli adottati dalla Sezione disciplinare del C.S.M." (Cass. Sez. Un. 30 luglio 1998 n. 7477). Nella decisione in commento, il Tar Lazio declina la giurisdizione del giudice amministrativo in caso di provvedimenti ministeriali inerenti la fase esecutiva, in base al combinato disposto degli artt. 24 del d.lgs. n. 109 del 2006 e 17, comma 3, della legge n. 195 del 1958: ÒÉ la prima disposizione afferma la giurisdizione delle SS.UU. quanto alle sentenze rese in fase disciplinare, e la seconda quanto a qualsivoglia altro atto conseguente, quando assunto nelle forme del d.P.R. o del D.M.". Sulla questione della natura giuridica degli atti ministeriali impugnati, la sentenza sceglie una via intermedia, argomentando che "... anche senza arrivare ad affermare che i decreti del Capo dello Stato, ovvero del Ministro, condividano tale natura (sul punto, peraltro, Cass. SS.UU. n. 975 del 1983, alla cui statuizione sulla giurisdizione si conforma oggi questo Tribunale), in ogni caso essi si profilano attuativi del comando giurisdizionale, piuttosto che meramente amministrativi. Non  in discussione, infatti, una qualche forma di esercizio della discrezionalitˆ amministrativa, ma la dovuta esecuzione di una sentenza resa dalla Sezione disciplinare, con cui  stato predeterminato il contenuto dell'atto". Tar Lazio, Sezione I quater, sentenza 23 aprile 2013 n. 4064 -Pres. Elia Orciuolo, Est. Marco Bignami - C.S. (avv.to Mario Sanino) c. Ministero della Giustizia (Avv. Stato). FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso notificato il 6 marzo 2013, e depositato il successivo 8 marzo, la ricorrente, magistrato in servizio presso il Tribunale di Roma, impugna e chiede la sospensione cautelare del decreto del Ministro della giustizia del 7 gennaio 2013, con il quale se ne  disposto il trasferimento al Tribunale dellĠAquila, nonchŽ del provvedimento del 27 febbraio seguente, con cui si  assegnato termine per assumere le funzioni presso tale sede. Si contesta, anzitutto, la legittimitˆ del decreto di trasferimento, atteso che esso fa seguito ad una pronuncia disciplinare che non sarebbe definitiva:  stato infatti proposto ricorso innanzi alla Corte di Strasburgo, al fine di far constare violazioni della CEDU verificatesi nella fase del giudizio. In secondo luogo, si impugna per violazione di legge ed eccesso di potere la indicazione, ai fini della presa di possesso, del termine ordinario previsto dallĠart. 10 del R.d. 30 gennaio 1941, n. 12. 2. Alla camera di consiglio del 4 aprile 2013 le parti hanno rinunciato ai termini a difesa, al fine di consentire la trattazione del merito del ricorso alla presente udienza. Parte ricorrente ha contestualmente rinunciato alla domanda cautelare. 3. Il ricorso  inammissibile per carenza di giurisdizione, secondo quanto esattamente eccepito dallĠAvvocatura dello Stato. Il trasferimento della dott. S.  stato disposto in esecuzione della sentenza resa dalla Sezione disciplinare del Consiglio in data 9 marzo 2012, e divenuta definitiva a seguito di infruttuoso ricorso in Cassazione. AllĠesito del giudizio, la ricorrente ha subito le sanzioni della perdita di anzianitˆ per sei mesi e quella del trasferimento al Tribunale dellĠAquila con funzioni di giudice: la sentenza precisa che questĠultima previsione, come del resto ovvio, costituisce sanzione disciplinare accessoria, ai sensi dellĠart. 13 (rectius: art. 13, comma 1) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109. Non  dubitabile che, ai sensi dellĠart. 24 di questĠultimo testo normativo, la giurisdizione a conoscere delle impugnative contro le sentenze pronunciate dalla Sezione disciplinare spetti alle S.U. della Corte di Cassazione. Altra sezione di questo Tribunale, in particolare, ha di recente promosso questione di legittimitˆ costituzionale con riferimento allĠattribuzione della giurisdizione al medesimo supremo giudice, ma esclusivamente nei casi in cui il trasferimento ad altra sede del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare sia stato adottato in via cautelare o comunque provvisoria. Si tratta di ipotesi giˆ a prima vista del tutto diversa da quella per cui pende lĠodierno giudizio. Ci˜ detto, il Tribunale osserva che la giurisdizione non pu˜ certamente radicarsi innanzi al giudice amministrativo, ove venga impugnata non la sentenza disciplinare, ma il decreto ministeriale che  tenuto a recepirne il contenuto, e che costituisce anchĠesso un Òprovvedimento in materia disciplinareÓ: come  noto, lĠart. 17, comma 3, della legge 24 marzo 1958, n. 195 riconosce in tal caso la giurisdizione delle S.U. Ci˜ avviene operando un rinvio, sia pure limitato ai provvedimenti di carattere disciplinare, a tutti gli atti indicati dal comma 1, ovvero non soltanto alle deliberazioni del Consiglio, ma anzitutto ai decreti del Presidente della Repubblica, o del Ministro, che conferiscono loro forma legale. Il coordinamento tra lĠart. 24 del d.lgs. n. 109 del 2006 e lĠart. 17, comma 3, della legge n. 195 del 1958  dunque immediato: la prima disposizione afferma la giurisdizione delle S.U. quanto alle sentenze rese in fase disciplinare, e la seconda quanto a qualsivoglia altro atto conseguente, quando assunto nelle forme del d.P.R. o del D.M. Come  noto, la scelta normativa di rivestire di tale forma le delibere del Consiglio si inserisce in quella forte corrente di ridimensionamento dellĠautonomia costituzionale dellĠorgano di autogoverno, dalla quale mosse il legislatore del 1958, in unĠepoca di ripiegamento rispetto agli ideali del Costituente. Ben si comprende, dunque, che in una prima fase dellĠattivitˆ legislativa di attuazione della Costituzione non si sia preso le distanze dal tradizionale modello di inquadramento degli atti concernenti il personale di magistratura quali atti riconducibili, nella forma, a manifestazioni del potere esecutivo, o presidenziale. In seguito, si  tuttavia definitivamente chiarita la autonoma collocazione del Consiglio nel tessuto dellĠordinamento, quale soggetto titolare di una propria quota di potere costituzionale, tanto che oramai se ne ritengono pacificamente impugnabili le delibere. Tuttavia, la formulazione dellĠart. 17 non  mutata, ed ha continuato ad investire, piuttosto che le delibere del Consiglio, i provvedimenti del Capo dello Stato, o del Ministro, che le recepiscono: alla luce di ci˜, trova conferma la conclusione, secondo cui tale disposizione non solo non  stata tacitamente abrogata (del resto, il primo comma dellĠart. 17  a tuttĠoggi oggetto di richiamo da parte dellĠart.135, comma 1, lett. a c.p.a.), ma continua pienamente ad operare unitamente allĠart. 24 del d.lgs. n. 109 del 2006, che ha invece cura di regolare la giurisdizione con diretto riferimento ad un atto dellĠorgano di autogoverno, quale  la sentenza disciplinare. Del resto, questa soluzione normativa ben si giustifica in ragione dellĠopportunitˆ di concentrare presso un unico giudice ogni controversia attinente alla materia disciplinare, la cui specificitˆ discende dal carattere giurisdizionale delle pronunce della Sezione competente del Consiglio (Cass. S.U., ordinanze nn. 19566 e 19568 del 2011; id., ordinanza n. 21122 del 2012). Anche senza arrivare ad affermare che i decreti del Capo dello Stato, ovvero del Ministro, condividano tale natura (sul punto, peraltro, Cass. S.U. n. 975 del 1983, alla cui statuizione sulla giurisdizione si conforma oggi questo Tribunale), in ogni caso essi si profilano attuativi del comando giurisdizionale, piuttosto che meramente amministrativi. Non  in discussione, infatti, una qualche forma di esercizio della discrezionalitˆ amministrativa, ma la dovuta esecuzione di una sentenza resa dalla Sezione disciplinare, con cui  stato predeterminato il contenuto dellĠatto. I problemi del tutto specifici che la fattispecie disciplinare comporta, quindi, sono propri e della fase decisoria, e della fase esecutiva, alla quale ultima debbono ricondursi sia il decreto ministeriale che dispone il dovuto trasferimento, sia il conseguente decreto che prescrive la presa di possesso, e che solo apparentemente, in questo caso peculiare, conquista una propria autonomia. Esso, infatti,  anello necessario ai fini dellĠesecuzione della sentenza disciplinare, e condivide con il decreto ministeriale di trasferimento la natura di Òprovvedimento in materia disciplinareÓ ai sensi dellĠart. 17, comma 3, della l. n. 195 del 1958 sopra citata: ogni dilazione dei termini per lĠassunzione delle funzioni cui si  stati destinati dalla Sezione disciplinare, infatti, non  in linea astratta estranea agli interessi rilevanti nellĠambito del relativo giudizio, e dei quali conoscono in sede giurisdizionale le S.U. Difatti, lĠart. 10 dellĠordinamento giudiziario consente al Ministro di abbreviare il termine ordinario per la presa di possesso, pari a 30 giorni, ovvero di prorogare per non oltre 6 mesi lĠesercizio delle funzioni nelle quali il magistrato  giˆ immesso. Ma, nellĠipotesi in cui il trasferimento alla nuova sede abbia natura di sanzione disciplinare, un qualsivoglia prolungamento della permanenza del magistrato condannato presso la sede originaria compromette lĠimmediata efficacia della sanzione stessa. Perci˜, appare del tutto congrua la scelta del legislatore di affidare anche le controversie che ne possano nascere alle Sezioni Unite, che hanno giurisdizione sul provvedimenti in materia disciplinare. Non spetta a questo Tribunale dilungarsi su di un profilo attinente al merito della controversia, ma ugualmente non  improprio osservare incidentalmente che, a fronte dellĠobbligo di eseguire la sanzione disciplinare,  persino dubitabile che il Ministro possa concedere il posticipato possesso per Òragioni di servizioÓ, posto che nel caso di specie non si tratta di bilanciare le esigenze contrapposte degli uffici giudiziari coinvolti, ma piuttosto di porre in esecuzione, senza margine di discrezionalitˆ, la sanzione disciplinare. Avanti alla suprema Corte il ricorso potrˆ essere riassunto, nel termine perentorio di tre mesi indicato dallĠart. 11 del c.p.a. 4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in euro 2500,00, di cui 1500,00 per onorari, 750,00, per diritti ed il residuo per spese, oltre accessori di legge. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, Dichiara il proprio difetto di giurisdizione, a favore delle S.U. della Corte di Cassazione. Condanna la ricorrente a rifondere le spese, che liquida in euro 2500,00, oltre accessori di legge, come in motivazione. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2013. pareri comitato consultivo PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Appalto di opere pubbliche: modalitˆ di cessione del credito vantato verso una P.A. (Parere prot. 82016 del 21 febbraio 2013, AL 12228/11, avv. ENRICO DE GIOVANNI) Con riferimento alla richiesta di parere datata 21 dicembre 2012 si osserva quanto segue. La giurisprudenza della Suprema Corte ritiene, costantemente, che il principio generale recato dallĠart. 9 della l. 20 marzo 1865, nr. 2248, All. E, secondo cui la cedibilitˆ del credito vantato verso una P.A.  sottoposta alla previa accettazione da parte di questĠultima, opera solo fino al momento in cui il contratto  in corso e cessa con la conclusione del rapporto contrattuale che, in tema di appalto di opere pubbliche, pu˜ ritenersi realizzata a seguito dellĠespletamento e dellĠapprovazione da collaudo. (cfr., ex multis, C. Cass. sez. 1ğ, sent. 11475 dellĠ8 maggio 2008). Nel caso di specie, quindi, la norma, nella parte in cui richiede lĠassenso alla cessione, non risulta, effettivamente, applicabile. Resta tuttavia applicabile, nella fattispecie, lĠart. 69 del R.D. 18 novembre 1923, nr. 2440 secondo il quale Òle cessioni É relative a somme dovute dallo Stato É debbono essere notificate allĠAmministrazione É cui spetta ordinare il pagamentoÓ. Si rileva peraltro che recentemente la necessitˆ della notifica alle P.A. degli atti di cessione del credito con riferimento al settore dei contratti relativi ai lavori pubblici  stata ribadita dallĠart. 117 del d. lgs. 163 del 2006 (cfr. comma 2: Ò2. Ai fini dellĠopponibilitˆ alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche, le cessioni di crediti devono essere stipulate mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere notificate alle amministrazioni debitriciÓ), disposizione che comunque non ha abrogato il citato art. 9 l. 2248/1865 e che non esclude lĠapplicazione degli artt. 69 e 70 del R.D. 18 novembre 1923, nr. 2440 (cfr. C. Cass. sez. I, sent. n. 19571/07), e ci˜ a prescindere da ogni considerazione, ultronea in questa sede, circa lĠapplicabilitˆ al caso in esame della norma speciale di cui al citato art. 117. Fermo quanto sopra, si osserva che anche la L. s.p.a., che afferma di essere la cessionaria del credito controverso, da quanto emerge dalla nota a cui si dˆ riscontro sembra in sostanza riconoscere la necessitˆ della notifica del- lĠatto di cessione allĠAmministrazione ceduta, ma pretende che essa riguardi non lĠatto di cessione del credito in quanto tale, ma possa validamente esercitarsi per equivalente attraverso Òun atto pubblico ricognitivo della scrittura privata di compravendita del 21 marzo 2012, da redigere a cura di un Notaio, nel quale non verrˆ riportato il prezzo dĠacquistoÓ. La pretesa esposta dalla citata societˆ non  meritevole di accoglimento. Il combinato disposto degli artt. 69 e 70 del citato R.D. 2440/23, infatti, va interpretato, a giudizio della Scrivente, in termini puntuali e rigorosi, trattandosi di norme intese ad apprestare una tutela speciale e peculiare al pubblico interesse. LĠart. 69, infatti, oltre a statuire il ricordato obbligo di notificazione, tratta, in modo strettamente connesso al tema della notifica, della forma dellĠatto di cessione, specificando (comma terzo), che Òle cessioni É devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata, autenticata da notaioÓ ( disposizione che trova sostanziale conferma nel citato art. 117 del d. lgs. 163 del 2006, che si richiama qui sempre nei sensi sopra segnalati); siffatta previsione va interpretata non solo nel senso che lĠatto di cessione va redatto nelle predette modalitˆ, ma anche nel senso che esso debba ÒrisultareÓ da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, notificato alla P.A.. LĠuso del verbo ÒrisultareÓ appare palesemente inteso a far s“ che la P.A. possa direttamente e immediatamente verificare lĠatto di cessione nella sua veste documentale e giuridica originale (ancorchŽ per copia conforme notificata), accertando cos“ che esso sia effettivamente redatto nelle forme e con i contenuti di legge e non presenti vizi o comunque contenuti che possano determinarne la nullitˆ, annullabilitˆ o inefficacia: solo in tal modo la cessione potrˆ ÒrisultareÓ da atto pubblico o scrittura privata autenticata e la norma in esame potrˆ spiegare i propri effetti. Inoltre lĠart. 70 specifica i contenuti necessari dellĠatto di cessione, che evidentemente vanno verificati da parte dellĠAmministrazione allĠatto della notifica. A ci˜ si aggiunga che anche in tutte le altre norme citate appare evidente il nesso tra lĠatto pubblico o la scrittura privata autenticata recante la cessione e la notifica, che deve palesemente riguardare lĠatto stesso e non un suo equivalente. Non si ritiene, quindi, che i contenuti del contratto di cessione possano risultare aliunde, cio attraverso un altro e diverso documento in cui vengono riportati, per di pi in modo parziale, i contenuti del contratto di cessione. Pertanto la societˆ che afferma di essere cessionaria del credito dovrˆ notificare a codesta Amministrazione copia conforme dellĠatto di cessione, a nulla rilevando la pendenza del giudizio. Pertanto allo stato ogni eventuale trattativa volta a soluzione transattiva dovrˆ essere svolta solo con Ò La M. s.c.a.r.l.Ó; qualora in futuro dovesse intervenire la notifica della cessione del credito e tale cessione risulti validamente eseguita, ogni conseguente rapporto dovrˆ aver luogo solo verso la cessionaria. Sul predetto parere si  espresso in senso conforme il Comitato Consultivo in data 13 febbraio 2013. Prevalenza del criterio di specialitˆ per le assunzioni a tempo indeterminato presso lĠAGCM (Parere prot. 108709 del 9 marzo 2013, AL 25031/12, avv. AGNESE SOLDANI) LĠart. 66, comma 7 D.L. 112/2008, convertito in l. 133/2008 e poi modificato dallĠart. 9 comma 5 d.l. 78/2010 convertito con modificazione nella l. 122/2010, ha introdotto per il quadriennio 2010-2013 il c.d. blocco del turn over, facendo divieto alle amministrazioni di procedere ad assunzione di personale a tempo indeterminato oltre il limite del 20% delle unitˆ cessate nel- lĠanno precedente e per una spesa superiore al 20% di quella relativa al personale cessato nellĠanno precedente. Il comma 11 del medesimo art. 66 ha stabilito che tale limite si applica anche al personale elencato nellĠart. 3 D.Lgs 165/2001, elenco nel quale rientrano anche i dipendenti dellĠAutoritˆ. Successivamente il D.L. 1/2012 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivitˆ), convertito in l. 27/2012, ha conferito allĠAutoritˆ garante della Concorrenza e del mercato lĠesercizio di nuove competenze, consistenti nella emanazione di pareri obbligatori sugli schemi dei regolamenti di delegificazione di cui allĠart. 1, comma 3 del medesimo D.L. e sugli schemi di delibera degli enti locali di cui allĠart. 4, comma 2 D.L 138/2011 relative allĠattribuzione dei diritti di esclusiva nella gestione di servizi pubblici locali non liberalizzabili (art. 25), nonchŽ sulla eventuale motivata scelta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di affidare senza gara il servizio di gestione automatizzata dei pagamenti dei corrispettivi dovuti dall'utenza per le pratiche automobilistiche e dei servizi connessi (art. 86). Inoltre ha conferito allĠAutoritˆ nuovi poteri di accertamento e sanziona- tori in ordine alla vessatorietˆ delle clausole inserite nelle condizioni generali di contratto stipulate tra professionisti e consumatori (art. 5); nonchŽ in ordine al rispetto delle nuove prescrizioni in tema di stipulazione dei contratti tra professionisti, con particolare riguardo a quelli che hanno ad oggetto la cessione dei prodotti agricoli e alimentari (art. 62). LĠart. 5 bis, comma 3 del medesimo D.L. n. 1/2012 ha inoltre stabilito: ÇIn ragione delle nuove competenze attribuite all'Autoritˆ garante della concorrenza e del mercato in base agli articoli 1, 5, 25, 62 e 86 del presente decreto, la pianta organica dell'Autoritˆ  incrementata di venti posti. Ai relativi oneri si provvede con le risorse di cui al comma 7-ter dell'articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, introdotto dal comma 1 del presente articoloÈ. Il comma 7 ter dellĠart. 10 l. 287/1990 a sua volta disciplina il nuovo sistema di finanziamento dellĠAutoritˆ, interamente affidato ai contributi obbligatori delle imprese maggiori. In attuazione dellĠart. 5 bis comma 3, che ha disposto lĠaumento di organico dellĠAutoritˆ,  stato emanato, ai sensi dellĠart. 11 comma 1 della legge 287/1990 istitutiva dellĠAutoritˆ medesima (1), il DPCM del 21 dicembre 2012 che ha modificato, in aumento, la pianta organica dellĠAutoritˆ effettuando la ripartizione delle 20 nuove unitˆ in 2 unitˆ dirigenziali, 16 unitˆ di funzionario e 2 unitˆ con qualifica di operativo. Codesta Autoritˆ ha chiesto alla Scrivente se la disposizione relativa al blocco del turn over possa ritenersi derogata, quanto meno limitatamente alle venti nuove unitˆ di cui allĠart. 5 bis D.L. 1/2012, in considerazione del fatto che lĠaumento di organico  intervenuto in epoca successiva rispetto alla previsione del predetto blocco ed in ragione del nesso tra lĠampliamento di organico e lĠattribuzione delle nuove competenze che devono essere da subito esercitate dallĠAutoritˆ. Al quesito posto si ritiene che possa darsi risposta positiva. La ratio giustificatrice del disposto aumento di organico  chiaramente riconnessa alla esigenza di svolgere le nuove, impegnative, competenze previste dal D.L. n. 1/2012 e dunque contiene lĠimplicito riconoscimento della inadeguatezza della struttura preesistente dellĠAutoritˆ - sotto il profilo della dotazione organica - a farvi fronte. Se dunque lĠintento del legislatore era quello di corredare lĠAutoritˆ Garante della Concorrenza e del Mercato della dotazione organica necessaria a far fronte ai nuovi compiti istituzionali affidatile, un simile intento verrebbe evidentemente sacrificato ove quella dellĠaumento dellĠorganico rimanesse una mera previsione astratta, alla quale non fosse possibile dare concretamente corso in virt dellĠapplicazione della disciplina sul blocco del turn over. Deve invece ritenersi che proprio lĠaver riconnesso lĠaumento di organico allĠattribuzione delle nuove competenze comporta che detto aumento  stato visto dal legislatore come strumentale alla concreta realizzabilitˆ dei compiti affidati allĠAutoritˆ e dunque, in ultima analisi, alla esigibilitˆ degli stessi, attesa la loro urgenza ed indifferibilitˆ. (1) ÇCon decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri  istituito un apposito ruolo del personale dipendente dell'AutoritˆÈ. In un simile contesto, lĠart. 5 bis citato, nel disporre lĠaumento dellĠorganico dellĠAutoritˆ di 20 unitˆ, si configura, ad avviso di questĠAvvocatura, come norma speciale rispetto al generale blocco del turn over disposto dallĠart. 66, comma 7 D.L. 112/2008 e, in quanto tale, deve ritenersi sottratta alla sua disciplina. Sulla questione  stato sentito il Comitato Consultivo che si  espresso in conformitˆ. Interpretazione art. 1, co. 19 e segg., L. 190/2012 in materia di arbitrato dei lavori pubblici (Parere prot. 109574 dellĠ11 marzo 2013, AL 1035/13, avv. ETTORE FIGLIOLIA) Con riferimento al quesito di cui alla nota che si riscontra, inerente alla corretta interpretazione da riservarsi allĠart. 1 comma 19 e segg. della Legge n. 190/2012 del 6 novembre 2012, entrata in vigore il 28 novembre 2012, che detta Òuna nuova disciplina in materia di arbitrato dei lavori pubblici, prevedendo in via generale la nullitˆ delle clausole compromissorie non previamente autorizzate, con provvedimento motivato, dallĠorgano di governo dellĠamministrazioneÓ, si ritiene di dover valutare quanto segue. Preliminarmente deve evidenziarsi, in via generale, che la Corte di Cassazione ha giˆ avuto modo di chiarire in materia di clausole compromissorie incise da sopravvenuti divieti legislativi in punto di deferimento ad arbitri di controversie con la Pubblica Amministrazione, che dette clausole non sono da considerarsi retroattivamente nulle ma, similmente alla disciplina concernente i casi analoghi di rapporti di durata, le stesse debbono ritenersi esclusivamente inefficaci dal momento in cui , appunto, legislativamente stabilito il predetto divieto. Ed invero, alla stregua del principio costituzionale di portata generale di cui allĠart. 102 Cost., sulla base del quale lĠesercizio della funzione giurisdizionale  devoluto a magistrati ordinari istituiti ai sensi delle norme sullĠordinamento giudiziario, la facoltˆ per le parti di compromettere ad arbitri la risoluzione di una controversia costituisce espressione dellĠautonomia delle parti stesse, sicchŽ la sopravvenienza legislativa recante la proibizione per le parti medesime del ricorso allĠarbitrato non si risolve in una indebita compressione del diritto di difesa sancito dallĠart. 24, comma 1, Cost., residuando pur sempre in capo alle stesse parti la possibilitˆ di adire gli organi della giurisdizione ordinaria, onde conseguire piena tutela giurisdizionale alle situazioni soggettive di titolaritˆ ex art. 113 Cost. (sez I, 27 aprile 2011, n. 9394). Quindi, ha ritenuto la Corte di Cassazione, e proprio in materia di sopravvenuto divieto legislativo alla compromissione ad arbitri delle controversie con la Pubblica Amministrazione, che, in carenza di specifiche norme di natura transitoria di salvezza delle precedenti pattuizioni convenzionali, non vi  la possibilitˆ sul piano giuridico di opinare la perpetuazione dellĠefficacia delle previste clausole compromissorie, posto che lĠintervento normativo in parola ha proprio lo scopo di sancirne lĠinefficacia per il futuro, e senza che possa porsi alcun problema di retroattivitˆ o di ragionevolezza rispetto ad una ipotizzata deroga allĠart. 11 delle Preleggi. Tali principi, tra lĠaltro, risultano in piena sintonia con la giurisprudenza (Cass. Civ., sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1689) che ha statuito che laddove intervenga nel corso di un rapporto contrattuale una nuova disposizione di legge che regoli il rapporto stesso in maniera difforme rispetto alla pattuizione originaria, questa non potrˆ pi produrre effetti che non siano quelli giˆ prodottisi, in quanto, ai sensi dellĠart. 1339 c.c, lo Òius superveniensÓ prevale sulle previsioni contrattuali espressione dellĠautonomia delle parti. Orbene, alla stregua di quanto testŽ considerato, la sopravvenienza della norma di legge di cui allĠart. 1, co. 19, l. n. 190/2012, che prevede che ÒLe controversie sui diritti soggettivi, derivanti dallĠesecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazioni e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dellĠaccordo bonario previsto dallĠarticolo 240, possono essere deferite ad arbitri, previa autorizzazione motivata da parte dellĠorgano di governo dellĠamministrazione. LĠinclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nellĠavviso con cui  stata indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nel- lĠinvito, o il ricorso allĠarbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulliÓ, deve essere interpretata come diretta a porre, rispetto allĠoriginario contenuto del regolamento contrattuale, una nuova norma imperativa condizionante lĠautonomia contrattuale delle parti nel regolamento del rapporto obbligatorio, essendo appunto assente una norma transitoria che preveda lĠultrattivitˆ della previgente disciplina normativa, sicchŽ la clausola compromissoria contrattualmente prevista risulta sostanzialmente interdetta nella relativa operativitˆ. La condivisibiltˆ di tale interpretazione, trova, ad avviso di questo G.U., conforto nella particolare rilevanza che il legislatore attribuisce agli interessi di titolaritˆ delle committenze pubbliche e dei quali risulta permeata la materia relativa agli appalti di opere pubbliche, anche in ragione dellĠelevato valore delle relative controversie e della conseguente entitˆ dei costi che il ricorso allĠarbitrato comporta per le amministrazioni interessate, e rispetto ai quali stessi interessi lĠautonomia privata legittimamente pu˜ essere compressa posto che, si ripete, in capo alle parti private permane pur sempre la facoltˆ di adire gli organi della giurisdizione ordinaria per conseguire il riconoscimento delle proprie istanze. Quindi, la prescrizione contenuta nel sopracitato comma 19, che impone la previa autorizzazione motivata da parte dellĠÒorgano di governoÓ per il deferimento ad arbitri della risoluzione della vertenza, ovvero per lĠinclusione della clausola compromissoria nel bando o nel contratto, ovvero per il ricorso allĠarbitrato, introducendo un ragionevole limite allĠautonomia privata, interdice lo spettro di efficacia delle disposizioni del regolamento pattizio sul punto, tutte le volte in cui detta autorizzazione dellĠorgano di governo medesimo non intervenga coerentemente con la previsione normativa in rassegna. Ci˜ premesso, va ora osservato che la nuova disciplina di cui al citato comma 19  assistita da una disposizione regolante il regime transitorio laddove, al successivo comma 25,  espressamente previsto che: ÒLe disposizioni di cui ai commi 19 e 24 non si applicano agli arbitrati conferiti o autorizzati prima della entrata in vigore della presente leggeÓ, sicch si pone il problema interpretativo su quale sia il significato da attribuirsi alla proposizione di Òarbitrati conferiti o autorizzatiÓ, onde individuare la corretta condotta che la committenza deve tenere rispetto alle vigenti fattispecie contrattuali in cui  presente la clausola compromissoria ed in cui la parte privata abbia instato per il deferimento ad arbitri della controversia, ma senza che si sia ancora costituito il collegio arbitrale antecedentemente allĠentrata in vigore della presente legge, e cio alla data del 28 novembre 2012. Ebbene, detta previsione, alla luce del dato oggettivo che anteriormente allĠentrata in vigore della legislazione in esame non era consentito individuare alla stregua di alcun specifico dato normativo dette tipologie di arbitrati (conferiti o autorizzati), sembra potersi interpretare nel senso di Òincarichi conferiti o autorizzatiÓ, per cui i primi devono intendersi quelli in cui lĠEnte abbia operato la designazione dellĠarbitro anteriormente alla data di entrata in vigore della legge in rassegna, e non quindi lĠavvenuta costituzione del collegio arbitrale, posto che, da un lato, il legislatore non ha fatto nessun specifico riferimento a tale ulteriore fase della procedura di che trattasi e, dallĠaltro lato, a prescindere dalla costituzione stessa, con detto conferimento dellĠincarico arbitrale si  comunque radicato un interesse giuridicamente rilevante nei confronti del soggetto nominato che il legislatore stesso ha ritenuto evidentemente non suscettibile di compressione. Per converso, per arbitrati ÒautorizzatiÓ, lĠesegesi del comma in rassegna probabilmente consente di prescindere da una lettura in combinato disposto con il precedente comma 19, comma questo che, per la prima volta, qualifica il concetto di Òarbitrato autorizzatoÓ, a ragione del giˆ menzionato dato del precedente silenzio del codice degli appalti, del codice civile e della precedente normativa di settore di tale tipologia arbitrale. Ed allora, alla stregua della esposta superiore esegesi, dovendosi la locuzione Òarbitrati autorizzatiÓ, di cui al citato comma 25, intendersi come Òincarichi arbitrali autorizzatiÓ, pu˜ opinarsi che gli stessi siano quelli per i quali, prima dellĠentrata in vigore della legge n. 190/12, e cio prima del 28 novembre 2012, sia intervenuto il consenso dellĠEnte di appartenenza dellĠarbitro, se del caso da parte dellĠOrgano di autogoverno. Siffatta interpretazione, non solo non eccede il limite di ÒragionevolezzaÓ di cui si  detto, dato che non determina alcuna indebita compressione del diritto di difesa costituzionalmente tutelato dallĠart. 24, ma nemmeno si pone in contrasto con lĠart. 111, comma 2, Cost. (ÒOgni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di paritˆ, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durataÓ) e con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo, ed in particolare, appunto, con il diritto a un tempo ragionevole di durata del processo. In altre parole, lĠintervento del legislatore sugli arbitrati Òconferiti o autorizzatiÓ, e cio degli Òincarichi conferiti o autorizzatiÓ, prima dellĠentrata in vigore della legge in rassegna, parrebbe mirare sostanzialmente ad evitare che il diritto costituzionalmente tutelato a un tempo ragionevole di durata del processo possa venire leso in tutti quei casi in cui lĠesercizio dellĠazione di difesa si sia comunque realizzato mediante il conferimento dellĠincarico di arbitro, ovvero mediante lĠautorizzazione allĠespletamento dellĠincarico de quo da parte dellĠUfficio o dellĠOrgano competente, per cui una diversa interpretazione del contesto che privasse di effetti giuridici tale operato potrebbe risolversi in un grave pregiudizio a carico delle parti private, ed eventualmente per la stessa parte pubblica. Dunque, tutto ci˜ premesso e in ordine alla richiesta di parere inerente alle Òistanze arbitraliÓ che codesta Anas riferisce che Òin data 27 novembre 2012 sono state notificateÓ,  opinione di questo G.U. che le predette istanze siano utilmente declinabili alla stregua delle considerazioni espresse nella presente consultazione, tenuto conto del sopravvenuto quadro normativo, non risultando, dagli atti qui trasmessi, intervenuta, anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 190/2012, alcuna nomina arbitrale nŽ rilasciata alcuna autorizzazione allĠespletamento dellĠincarico di che trattasi. Il quesito poi inerente alla nomina degli arbitri rispetto alla previsione dei commi 23 e 24 del pi volte citato art. 1 della L. 190/2012 rimane evidentemente assorbito dalle precedenti considerazioni test espresse nella presente consultazione. Sulle questioni di cui al presente parere si  espresso in conformitˆ il Comitato Consultivo dellĠAvvocatura dello Stato. Spese di giustizia: oneri del contributo unificato anche in caso di Òsoccombenza virtualeÓ (Parere prot. 112607 del 12 marzo 2013, AL 21332/11, avv. CARMELA PLUCHINO) In riscontro alla nota del 28 novembre 2012, trasmessa a mezzo fax in data 3 gennaio 2013, con cui codesta Amministrazione ha richiesto parere in merito al rimborso del contributo unificato pagato dal ricorrente, si osserva quanto segue. Il ricorso proposto dalla societˆ  stato dichiarato improcedibile, con sentenza TAR Lazio n. 5913/12, per sopravvenuto difetto di interesse, in dipendenza dellĠavvenuto annullamento da parte di codesto Ministero del provvedimento interdittivo 16 marzo 2011; con compensazione delle spese di lite. Controparte ha chiesto la rifusione del contributo unificato corrisposto per il ricorso e per i Òmotivi aggiuntiÓ, ai sensi dellĠart. 13, co. 6 bis, del DPR n. 115/2002, a mente del quale ÒÉLĠonere relativo al pagamento dei suddetti contributi  dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si  costituita in giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza si determina con il passaggio in giudicato della sentenza. Ai fini del presente comma, per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuoveÓ. Il Consiglio di Stato (sez. III, sentenza n. 4596 del 2 agosto 2011) ha chiarito che ÒLĠart. 13, co. 6 bis, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dispone che ÒlĠonere relativo al pagamento dei suddetti contributi (contributo unificato)  dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si  costituita in giudizioÓ. In altre parole, la parte soccombente  tenuta in ogni caso a rimborsare a quella vittoriosa il contributo unificato da essa versato; ed  chiaro dal contesto della norma che si tratta di una obbligazione ex lege sottratta alla potestˆ del giudice di disporne la compensazione ovvero di liquidarne autonomamente lĠammontare (poichŽ questĠultimo non pu˜ che corrispondere allĠimporto versato). Nondimeno, si pu˜ ammettere che, qualora il giudice condanni alle spese la parte soccombente liquidando a tal fine un importo genericamente onnicomprensivo senza nulla precisare riguardo alla sua compensazione ed ai criteri di liquidazione, sia dubbio se quellĠimporto includa o meno il rimborso del contributo unificato comunque dovutoÓ, aggiungendo che ÒLĠinderogabilitˆ e specialitˆ dellĠart. 13, comma 6-bis, tolgono rilievo alla collocazione della disciplina del contributo unificato, contenente la norma in parola, nel titolo primo della parte II del Testo unico rubricata Òvoci di spesaÓ, nel senso che ai fini dellĠimposizione dellĠonere del rimborso a carico della parte soccombente separano nettamente il regime delle spese relative al pagamento del contributo stesso da quello riguardante tutte le altre Òspese di giustiziaÓ, quali ad esempio quelle di notificazione, ricomprese nel concetto delle generiche spese legali sostenute dalla parteÉÓ. Come evidenziato nella Circolare del Segretariato Generale della Giustizia amministrativa del 18 ottobre 2011, contenente ÒIstruzioni sullĠapplicazione della disciplina in materia di contributo unificato nel processo amministrativoÓ, lĠart. 13, comma 6-bis, del T.U. n. 115 del 2002 disciplina, con il carattere dellĠesclusivitˆ, lĠimposizione del contributo unificato nellĠambito del processo amministrativo. Al lume delle considerazioni che precedono si ritiene fondata la domanda di rimborso da parte della ricorrente, pur in presenza della disposta compensazione delle spese. Ed invero, nel caso di specie appare configurabile una ipotesi di Òsoccombenza virtualeÓ, avendo lĠAmministrazione - a seguito del ricorso e delle relative verifiche - riconosciuto, con lĠannullamento in autotutela del provvedimento interdittivo impugnato, lĠerrore in cui era incorsa nella valutazione del requisito temporale previsto per lĠadozione del suddetto provvedimento. DĠaltra parte, la Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 19456 del 15 luglio 2008) ha chiarito che ÒLa soccombenza, costituendo unĠapplicazione del principio di causalitˆ, per il quale non  esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico (per la trasgressione delle norme di diritto sostanziale) abbia provocato la necessitˆ del processo, prescinde dalle ragioni di merito o processuali che lĠabbiano determinata e dal fatto che il rigetto della domanda della parte dichiarata soccombente sia dipeso dal- lĠavere il giudice esercitato i suoi poteri ufficiosiÓ. Pertanto, si ritiene che gravi su codesto Ministero lĠonere relativo al pagamento del contributo in questione, in quanto parte soccombente, in conformitˆ al disposto dellĠart. 13 co. 6-bis succitato. Infine, prima di procedere al relativo rimborso, si invita ad acquisire la documentazione attestante lĠavvenuto versamento degli importi pretesi da controparte (non essendo sufficiente la fattura allegata), osservandosi che in calce ai Òmotivi aggiunti al ricorsoÓ lo stesso ricorrente ha dichiarato quanto segue: ÒNon viene corrisposto il contributo unificato in quanto non trattasi di domanda nuova, ai sensi dellĠart. 13, co. 6 bis, D.P.R. n. 115/2002 e ss.mm.ii.Ó. Pertanto, sembrerebbe dovuto soltanto lĠimporto versato a titolo di contributo per il ricorso introduttivo del giudizio. Sulla questione  stato sentito il Comitato Consultivo che si  espresso in conformitˆ in data 8 marzo 2013. Risarcimento per Òdanno allĠimmagine di una P.AÓ a seguito di reati perpetrati da pubblico ufficiale (Parere prot. 161064 dellĠ11 aprile 2013, AL 31171/12, avv. FABRIZIO URBANI NERI) Con riferimento alla richiesta di cui alle note di codesto Dicastero 22 agosto 2012 n. 55/1/17152/12 e successiva nota, non datata, pervenuta il 29 dicembre 2012, si osserva quanto segue. LĠart. 17, comma 30-ter, del D.L. 78/2009 (convertito in l. n. 102/2009 e successivamente modificato dalla l. 103/2009) prevede lĠesperibilitˆ del- l'azione per il risarcimento del danno all'immagine Ònei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della l. 27 marzo 2001 n. 97Ó. Il richiamato art. 7 cit. stabilisce a sua volta che ÒLa sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale  comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinchŽ promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilitˆ per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penaleÓ. La menzionata normativa si riferisce, pertanto, ai soli Òdelitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale di cui allĠart. 7 L. n. 97/2001Ó, come, ad esempio, ai reati per corruzione o per concussione commessi dal pubblico ufficiale, mentre sembra escludere la configurabilitˆ dĠuna responsabilitˆ contabile del pubblico dipendente per danno allĠimmagine della P.A. a seguito di condanna per altri tipi di reato, quali quelli accertati allĠesito del processo penale di cui in oggetto, come i reati di falso, calunnia e i reati contro la persona. Questo Generale Ufficio non ignora, tuttavia, lĠesistenza di un indirizzo, non consolidato, della giurisprudenza contabile, che tende a far rientrare nel- lĠalveo della risarcibilitˆ del danno allĠimmagine anche i fatti dannosi conseguenza di altri tipi di reato, non espressamente contemplati dalla citata normativa speciale. In particolare, nella sentenza n. 809/2012 della I sezione giurisdizionale dĠAppello della Corte dei Conti, i giudici contabili hanno pronunziato una condanna al risarcimento di un danno allĠimmagine, pur dopo la novella legislativa di cui al ripetuto art. 17, comma 30-ter, anche qualora il danno derivi non da un reato contro la pubblica amministrazione, bens“ da altro tipo di reato. In tale pronuncia la Corte dei Conti afferma che lĠart. 17, comma 30-ter, non indica direttamente i casi in cui pu˜ essere esercitata lĠazione contabile per danno allĠimmagine, ma rinvia ai ÒcasiÓ e ÒmodiÓ previsti dallĠart. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97; e, inoltre, che Òtale riferimento implica, da un lato, la comunicazione al P.M. contabile della sentenza irrevocabile di condanna pronunciata per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I, titolo II del libro II del codice penale (i ÒcasiÓ indicati dalla norma) e, dallĠaltro, lĠobbligo per il P.M. penale di comunicare al P.M. contabile, ex art. 129 delle norme di attuazione del c.p.p., lĠesercizio dellĠazione penale per i reati, di qualsiasi natura, che abbiano cagionato un danno per lĠerario (i ÒmodiÓ indicati dal medesimo Legislatore)Ó. Dello stesso tenore  la sentenza n. 335/2012, Corte conti, Sez. Giurisdizionale per la Toscana, secondo cui lĠart. 7 della legge n. 97 del 2001 andrebbe interpretato nel senso che Òla norma, mentre col primo periodo mira ad introdurre una nuova disciplina per i danni derivanti dai reati contro la pubblica amministrazione, si preoccupa, con il secondo periodo, di mantenere ferma, per gli altri reati, la disciplina di cui allĠart. 129 (comma 3) disp. att. c.p.p.Ó. In sostanza, secondo tale orientamento, il danno allĠimmagine sarebbe ipotizzabile anche nella commissione accertata di altri tipi di reato da parte del pubblico ufficiale. Nondimeno, appare opportuno ricordare come la Corte Costituzionale, intervenuta sul punto, con sentenza n. 355/2012, affermi (sebbene con sentenza di rigetto) che il danno allĠimmagine della p.a.  configurabile solo ove sia stato commesso un reato contro la pubblica amministrazione previsto nel capo I, titolo II del libro II del codice penale. Quanto alla concreta determinazione in sede di accertamento del danno allĠimmagine, beninteso ove ritenuto effettivamente sussistente nel caso di specie, si ricorda che la recente ÒLegge anticorruzioneÓ, L. 6 novembre 2012 n. 190, prevede, allĠart. 1 comma 62, una sorta di determinazione automatica del danno allĠimmagine, stabilendo che ÒNel giudizio di responsabilitˆ, l'entitˆ del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilitˆ illecitamente percepita dal dipendenteÓ, norma che non risulta applicabile al caso di specie, atteso che non si  in presenza di alcuna ipotesi di utilitˆ percepita dal pubblico dipendente; anche detta novella sembra deporre a favore di una non configurabilitˆ di un danno allĠimmagine nella fattispecie in esame. Tuttavia, nella subordinata ipotesi di ravvisata responsabilitˆ per danno allĠimmagine, lĠentitˆ del risarcimento andrebbe determinata in via equitativa ex art. 1226 c.c., con riferimento a spese e costi sopportati dallĠAmministrazione per il ripristino della propria reputazione (ad es. per spese in convegni finalizzati a promuovere una positiva immagine del Corpo nella lotta ai reati comuni e alla criminalitˆ organizzata), ferma, comunque, anche sotto tale profilo, lĠestrema difficoltˆ probatoria di dimostrare un effettivo danno prodotto allĠimmagine di codesta Amministrazione. Sulla questione, nella seduta del 5 aprile 2003,  stato sentito il Comitato Consultivo, che si  espresso in conformitˆ. Spese di giustizia: oneri del contributo unificato in caso di soccombenza reciproca (Parere prot. 203993 del 10 maggio 2013, AL 36520/12, avv. AGNESE SOLDANI) Con nota prot. n. 123-UTGC-3-2011/115-239 del 20 settembre 2012 che si invia per opportuna conoscenza anche allĠAvvocatura Distrettuale in indirizzo - codesta Amministrazione ha chiesto parere alla Scrivente Avvocatura in ordine alla richiesta, avanzata dal difensore dei Sig.ri (...), di integrale rimborso del contributo unificato pagato in relazione a due ricorsi al TAR Salerno proposti nellĠinteresse dei suoi assistiti, parzialmente accolti con le sentenze Nn. 276 e 277/2012, depositate il 18 febbraio 2012 e notificate lĠ8 marzo 2012: dette sentenze, passate in giudicato, hanno accolto uno dei quattro pro- posti motivi dĠimpugnazione e respinto perchŽ infondati gli altri tre, per lĠeffetto annullando Òin parte quaÓ il provvedimento impugnato e compensando le spese di lite. LĠesame del quesito proposto impone la soluzione di una problematica di carattere generale, consistente nello stabilire quale sia il soggetto obbligato a sostenere, allĠesito del giudizio amministrativo, i ÒcostiÓ del pagamento del contributo unificato anticipato dal ricorrente. é noto che lĠart. 21 D.L. 223/2006 ha introdotto lĠonere del pagamento del contributo unificato anche nel processo amministrativo modificando lĠart. 13 del DPR 115/2002. La legge di conversione del predetto D.L. (l. 4 agosto 2006 n. 248) ha aggiunto una disposizione - attualmente trasfusa, per effetto di successive modifiche, nellĠart. 13 comma 6 bis 1, ultima parte - la quale prevede: ÇL'onere relativo al pagamento dei suddetti contributi  dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si  costituita in giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza si determina con il passaggio in giudicato della sentenzaÈ. La norma riguarda evidentemente lĠipotesi della soccombenza totale, stabilendo il principio che il contributo unificato resta a carico della parte soccombente anche quando il giudice abbia ritenuto (nonostante la soccombenza) di compensare le spese processuali. Il Testo Unico delle spese di giustizia nulla invece dispone per il caso di soccombenza parziale o reciproca. Se tuttavia il principio di fondo evincibile dal testo Unico  nel senso che nel processo amministrativo il contributo unificato  a carico della parte soccombente, sembra ragionevole affermare che da tale principio derivi il corollario che il contributo unificato sia posto a carico della o delle parti soccombenti nei limiti della loro soccombenza. SicchŽ, ove il Giudice, a fronte di una situazione di soccombenza reciproca, abbia compensato le spese, cos“ implicitamente ÒquantificandoÓ la soccombenza reciproca nei limiti del 50% per ciascuna delle due parti, nella stessa proporzione deve essere posto il contributo unificato a carico di ciascuna di esse. In altri termini, la regola dello ÒsganciamentoÓ dellĠonere del pagamento del contributo unificato rispetto alla statuizione giudiziale sulle spese vale solo in caso di soccombenza totale (in tale ipotesi, anche se il giudice decide di compensare le spese, il contributo unificato sarˆ per˜ comunque dovuto per intero dalla parte soccombente), mentre per la soccombenza reciproca il contributo va posto a carico di entrambe le parti (in quanto entrambe soccombenti), nei limiti della soccombenza, e dunque utilizzando la stessa proporzione individuata dal giudice per porre a carico delle parti le spese di lite. Sulla sola questione di massima, propedeutica alla soluzione del caso concreto oggetto del quesito (al quale si fornirˆ risposta con separato parere),  stato sentito il Comitato Consultivo che nella seduta dellĠ8 marzo 2013 si  espresso in conformitˆ. Sulla giustiziabilitˆ immediata delle riserve iscritte dal contraente generale ante collaudo delle opere in appalto (Parere prot. 205194 del 10 maggio 2013, AL 28036/09, avv. ETTORE FIGLIOLIA) Con la nota che si riscontra codesta Anas, premesso che in relazione ai lavori di cui allĠoggetto ҏ in fase di definizione un atto aggiuntivo di regolazione dei rapporti per affidare al contraente generale maggiori e/o diversi lavori previsti in periziaÓ, sottopone alla consultazione di questa Avvocatura Generale la tematica della giustiziabilitˆ immediata delle riserve giˆ iscritte da tale appaltatore, anteriormente perci˜ al collaudo delle opere, unitamente alla eventuale possibilitˆ, in linea di diritto, di convenire pattiziamente detta immediata giustiziabilitˆ laddove, secondo la tesi sostenuta dal contraente generale medesimo, dovesse opinarsi che le disposizioni di cui agli artt. 32, 33 del D.M. 145/2000 siano di ostacolo allĠadizione della giurisdizione prima del termine della fase di collaudazione. Per converso, la tesi dellĠAnas espressa nella nota in riferimento  contrap posta a quella dellĠappaltatore ora sinteticamente riportata, ritenendo Òdi non rinvenire nelle disposizioni contrattuali e nella normativa applicabile al contratto, alcuna prescrizione che imponga con certezza tale differimentoÓ, per cui detto Ente non condivide il richiesto Òinserimento nellĠatto aggiuntivo di apposita clausola recante lĠaccordo delle parti che dovrebbe rimuovere la ipotizzata preclusione alla immediata instaurazione del giudizioÓ sulle riserve giˆ iscritte. Ritiene al riguardo questo G.U. di dover preliminarmente, ed in via generale, operare alcune riflessioni sia sul complesso di peculiaritˆ dellĠaffidamento al contraente generale, che in ordine allĠistituto dellĠÒaccordo bonarioÓ ex art. 240 del D.Lgs. n. 163/2006, che, come  noto, per effetto dellĠart. 4 comma 2 lett. gg) n. 01 D.L. n. 70/2011 conv. con modif. dalla L. n. 106/2011, non  pi applicabile a tale tipologia di affidamento. Orbene, alla stregua della vigente normativa  innegabile come il contraente generale goda, rispetto ad un appaltatore tradizionale, di una maggiore autonomia organizzativa in uno con le pi ampie responsabilitˆ e i conseguenti rischi, in termini di sostanziale corrispondenza con la natura obbligatoria di risultato assunta, sicch  parimenti inconfutabile come il contratto cos“ concluso imponga a detta categoria di appaltatore di praticare misure adeguate per superare le possibili criticitˆ insorte nel corso dellĠopera, anche se del caso riorganizzando funzionalmente le proprie attivitˆ di cantiere, s“ da limitare ovvero elidere lĠeventuale pregiudizio connesso alla diseconomica utilizzazione di manodopera e di mezzi. é pertanto conseguente a quanto test considerato che i maggiori oneri da azionare con lĠiscrizione delle riserve da parte del contraente generale dovrebbero derivare esclusivamente da circostanze del tutto imprevedibili, tali, anche per consistenza e gravitˆ, da non consentire unĠidonea riprogrammazione delle attivitˆ di competenza, e, comunque, detti oneri dovrebbero essere identificati in termini quantitativi e qualitativi alla stregua di rigidi parametri correlati ai tempi strettamente necessari a porre in essere utili correttivi nellĠimpiego delle risorse, e non perci˜ calibrati sullĠintera durata dellĠimpedimento. Per quanto precede, dovendosi ricondurre la legittimitˆ delle riserve del contraente generale a fattori di carattere eccezionale, e senza cio che possano imputarsi alla committenza oneri di natura teorica, ovvero causati da deficienze organizzative dello stesso appaltatore, il ricorso allĠistituto della riserva da parte di questĠultimo dovrebbe atteggiarsi in termini piuttosto episodici, di rara frequenza, tanto  vero che il legislatore con la richiamata recente normativa del 2011 ha novellato lĠart. 240 del codice dei contratti interdicendo lĠutilizzo del- lĠistituto dellĠaccordo bonario, evidentemente ritenendone la relativa ÒratioÓ non corrispondente alle peculiaritˆ del contratto del contraente generale rispetto agli incombenti che a questo fanno capo ex art. 176 dello stesso codice. In particolare dovendosi riconoscere al prefato istituto la funzione di strumento deflattivo del contenzioso, il cui esperimento costituisce condizione di ammissibilitˆ dellĠazione giudiziaria, che resta accessibile solo ove il tentativo di conciliazione fallisca ovvero siano decorsi inutilmente i termini di legge, finalizzato come tale a risolvere le situazioni di criticitˆ insorte nel corso del- lĠappalto, e per le quali il rinvio della trattazione delle riserve inerenti potrebbe determinare pregiudizio allĠinteresse pubblico per i seri problemi creatisi per lĠutile prosieguo di lavori, pu˜ inferirsi che il legislatore nel caso del contraente generale, proprio per le test richiamata caratteristiche del relativo contratto, abbia ritenuto che la possibilitˆ della iscrizione di riserve sia di scarsa consistenza, e comunque, inidonea a compromettere lĠulteriore iter realizzativo a fronte della Òcapacitˆ di rispostaÓ di detto appaltatore per lĠautonomia che gli compete rispetto alle sopravvenienze causative degli oneri oggetto delle riserve medesime. Ora sulla base delle superiori riflessioni, cos“ delineato lĠattuale quadro normativo di riferimento con particolare riguardo ai caratteri propri dellĠaffidamento al contraente generale ed allĠistituto dellĠÓaccordo bonarioÓ, ritiene questa Avvocatura Generale che la non attivabilitˆ di questĠultimo per effetto della richiamata novella legislativa alla fattispecie oggetto del presente parere, precluda effettivamente lĠanticipata trattazione delle riserve rispetto alla conclusione del collaudo finale, e senza che possano in merito concludersi convenzioni di tenore derogatorio, anche alla luce del dato oggettivo che lĠart. 33 D.M. 145/2000  stato abrogato. Invero, una volta riconosciuto in via generale allĠistituto ex art. 240 codice dei contratti la funzione di strumento eccezionale ed obbligatorio, il cui mancato esperimento  interdittivo dellĠadizione del giudice, e con il riconoscimento giuridico in capo allĠappaltatore stesso di una specifica posizione giuridica soggettiva ad ottenere che la committenza attivi la procedura de qua, il divieto legislativo prima citato allĠesperimento di questĠultima per il contraente generale, non sembra consentire elusioni di sorta, addirittura attribuendo al contraente generale stesso una posizione di vantaggio di maggiore e pi significativo spessore rispetto allĠappaltatore tradizionale, attraverso il riconoscimento della facoltˆ di conseguire la ricognizione giudiziale delle riserve nel corso dellĠappalto senza che sia concluso il collaudo finale. La correttezza delle suesposte considerazioni si rinviene oltretutto nelle pertinenti disposizioni del d.p.r. n. 207/2010 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del d.lgs. n. 163/20006), con particolare riferimento agli artt. 190, 191 e 200, alla stregua dei quali in via generale le riserve iscritte dallĠesecutore nel corso dellĠappalto, dovendo necessariamente essere confermate sul conto finale, posto che altrimenti si ritengono abbandonate dallĠesecutore medesimo, dimostra chiaramente come non sia anticipabile la giustiziabilitˆ delle riserve stesse se non attraverso lĠistituto dellĠaccordo bonario, peraltro, come  noto, non praticabile nella ipotesi in cui lĠappaltatore sia contraente generale. Conclusivamente, si suggerisce a codesto Ente di evitare lĠinserimento nello stipulando atto aggiuntivo di clausole che possano essere lette in termini non coerenti con i parametri normativi di riferimento, laddove, per converso, parrebbe maggiormente preferibile praticare ogni opportuno approfondimento del contesto sul piano della specificitˆ tecnica ed eventualmente giuridica al fine di valutare la risolvibilitˆ anche solo parziale delle problematiche insorte sul tema progettuale dellĠappalto in discorso nellĠambito della redazione delle perizie di variante tecniche e suppletive citate nella nota che si riscontra. Sulle questioni oggetto del presente parere si  pronunciato in conformitˆ il Comitato Consultivo. Rimborso spese legali ex art. 32 l. n. 152/1975: procedimenti conclusi con sentenza di prescrizione (Parere prot. 209694 del 14 maggio 2013, AL 35242/12, avv. MASSIMO SANTORO) 1. Il quesito. Con la nota emarginata, codesta Amministrazione - avendo riscontrato un contrasto tra posizioni espresse da varie sedi dellĠAvvocatura dello Stato chiede lĠavviso della Scrivente sullĠapplicazione della norma di cui allĠart. 32 della legge n. 152 del 1975 ad ipotesi nelle quali i procedimenti penali siano stati definiti con una pronuncia di prescrizione del reato. 2. Il quadro normativo e giurisprudenziale. LĠart. 32 della legge n. 152 del 1975 dispone che ÒNei procedimenti a carico di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o dei militari in servizio di pubblica sicurezza per fatti compiuti in servizio e relativi all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, la difesa pu˜ essere assunta a richiesta dell'interessato dall'Avvocatura dello Stato o da libero professionista di fiducia dell'interessato medesimo. In questo secondo caso le spese di difesa sono a carico del Ministero del- l'interno salva rivalsa se vi  responsabilitˆ dell'imputato per fatto dolosoÓ. La norma succitata differisce da quella generale in materia di rimborso delle spese legali dellĠamministratore statale di cui allĠart. 18 del d.l. n. 67/1997, che cos“ testualmente dispone: ÒLe spese legali relative a giudizi per responsabilitˆ civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilitˆ, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato [...]Ó. La disposizione di cui allĠart. 18 del d.l. n. 67/1997 e quella di cui allĠarticolo 32 della legge n. 152 del 1975, cos“ come altre norme del settore pubblico recanti disposizioni analoghe (1), costituiscono espressione di un principio generale dellĠordinamento, secondo il quale le conseguenze economiche dei comportamenti adottati da chi cura un interesse altrui devono essere poste a carico del titolare dellĠinteresse medesimo. In applicazione di tale principio,  stato chiarito che affinchŽ lĠAmministrazione possa sostenere le spese legali del dipendente, il fatto oggetto del giudizio deve essere stato compiuto nellĠesercizio delle attribuzioni a questo affidate e deve esservi un nesso di strumentalitˆ tra lĠadempimento del dovere ed il compimento dellĠatto, di talchŽ lĠAmministrazione risponderˆ per le spese sostenute dal dipendente solo a condizione che il comportamento tenuto da questĠultimo non sia stato realizzato per perseguire un suo interesse personale non coincidente con quello dellĠAmministrazione. In applicazione di quanto sopra illustrato, se non si pone alcun dubbio per la spettanza dei rimborsi nelle ipotesi in cui i processi penali siano stati definiti con sentenza di assoluzione ÒperchŽ il fatto non sussisteÓ o ÒperchŽ lĠimputato non lĠha commessoÓ, nei processi conclusi con sentenze di proscioglimento con formule processuali non ampiamente liberatorie, come le pronunce di prescrizione, la giurisprudenza amministrativa, pronunciandosi, in particolare, sullĠart. 18 del d.l. n. 67/1997,  apparsa concorde nel ritenere non dovuto il rimborso delle spese legali. Nella sentenza n. 2242 del 14 aprile 2000, il Consiglio Stato sez. V, ha infatti affermato che ÒLa pretesa al rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori nel corso di liti penali per fatti connessi all'espletamento del- l'incarico va riconosciuta solo quando l'imputato sia prosciolto con la formula pi liberatoria e non anche quando il proscioglimento avvenga con formule meramente processuali, salvo che l'assoluzione non intervenga in fase istruttoriaÓ. Il principio  stato successivamente confermato anche da altre sezioni del Consiglio di Stato; in particolare, con la sentenza n. 7660 del 2 luglio 2004, sez. VI, il Consiglio di Stato ha enucleato dei principi generali applicabili ad ogni ipotesi di assunzione, da parte dellĠAmministrazione, delle spese legali sostenute dai pubblici dipendenti. (1) Cfr., ad esempio, art. 41 del D.P.R. 20 maggio 1987 n. 270, riguardante il personale del Servizio sanitario nazionale, lĠart. 19 del D.P.R. 16 ottobre 1979, n. 509, relativo al personale degli Enti pubblici di cui alla L. 20 marzo 1975 n. 70, lĠart. 20 del D.P.R. 4 agosto 1990 n. 335, concernente il personale del comparto delle aziende delle Amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, lĠart. 67, primo comma, del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, con il quale  stato recepito lĠaccordo sindacale per il triennio 1985-1987 relativo al comparto del personale dipendente degli enti locali. Dopo avere ribadito che il rimborso delle spese legali non spetta nelle ipotesi in cui sia dichiarata la prescrizione del reato, il Consiglio di Stato ha chiarito che la disposizione di cui allĠart.18 cit. costituisce espressione di un principio generale dellĠordinamento, declinato in modo diverso da varie norme di settore, con un minimo comune denominatore rappresentato dalla necessitˆ, affinchŽ possa darsi seguito al rimborso, che non sussista un conflitto di interessi tra Amministrazione e dipendente, il cui accertamento pu˜ avvenire non soltanto in sede penale: ÒVa osservato in proposito che la disposizione legislativa in questione, come pure le norme di varie leggi relative a particolari settori del pubblico impiego (cfr., ad esempio, art. 41 del D.P.R. 20 maggio 1987 n. 270, riguardante il personale del Servizio sanitario nazionale; art. 19 del D.P.R. 16 ottobre 1979, n. 509, relativo al personale degli Enti pubblici di cui alla L. 20 marzo 1975 n. 70; art. 20 del D.P.R. 4 agosto 1990 n. 335, concernente il personale del comparto delle aziende delle Amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo), che consentono con varie modalitˆ lĠassunzione delle spese legali da parte dello Stato e di Enti pubblici, costituisce espressione di un principio generalissimo e fondamentale dellĠordinamento amministrativo, in base al quale  consentito allĠAmministrazione di intervenire a contribuire alla difesa del suo dipendente, imputato in un processo penale, sempre che, naturalmente, sussista un suo diretto interesse in proposito, da riconoscersi in tutti i casi in cui lĠimputazione riguardi una attivitˆ svolta in diretta connessione con i fini dellĠEnte e sia in definitiva imputabile allĠEnte stesso (cfr. C.d.S., Sez.V, 22 dicembre 1993, n. 1993 n. 1392). In coerenza con il suesposto criterio va, peraltro, ribadito che, in ogni caso, lĠammissione al beneficio in questione resta pur sempre condizionata dallĠeffettiva mancanza di un qualsiasi conflitto di interessi tra lĠAmministrazione ed il dipendente, da valutarsi alla stregua della statuizione definitiva di proscioglimento della competente autoritˆ giudiziaria, e ci˜ non solo sotto il profilo della responsabilitˆ penale in ordine ai fatti addebitati al dipendente medesimo (che deve essere comunque espressamente esclusa dalla pronuncia del giudice), ma anche sotto altri profili, che siano riscontrabili in riferimento ai fatti medesimi, in ordine ai quali deve essere ugualmente esclusa pure una eventuale responsabilitˆ di tipo disciplinare od amministrativo, per mancanze attinenti al compimento dei doveri dellĠufficio (cfr. C.d.S., Commissione speciale, 6 maggio 1996, n. 4). Quanto alla tesi dellĠappellante sul carattere necessitato dellĠesito del procedimento penale nel quale  stato coinvolto, la stessa deve essere respinta, perchŽ la sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, applicata nei suoi confronti, presuppone la mancanza di opposizione dellĠimputato e del pubblico ministero, secondo quanto espressamente statuito dallĠart. 226 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51Ó.. I principi sopra illustrati appaiono utili ad orientare lĠinterprete anche ai fini dellĠesegesi della norma di cui allĠart. 32 della legge n. 152 del 1975, qualora il procedimento penale a carico del dipendente si sia concluso con una sentenza che abbia dichiarato lĠestinzione del reato per prescrizione. 3. Differenze normative tra lĠart. 32 della legge n. 152 del 1975 e lĠart. 18 del d.l. n. 67/1997. Si  visto che rispetto al disposto dellĠart. 18 del d.l. n. 67/1997, lĠart. 32 della legge n. 152 del 1975 reca alcuni elementi di sostanziale distinzione, legati sia alla qualifica soggettiva del dipendente e ai fatti oggetto del giudizio, sia alle modalitˆ di accertamento della responsabilitˆ. Quanto ai primi, mentre lĠart. 18  applicabile a tutti i dipendenti statali per qualunque atto compiuto nellĠesercizio delle loro attribuzioni istituzionali, ad esse avvinto da un nesso di strumentalitˆ, lĠart. 32  applicabile, soggettivamente, solo agli Òufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o dei militari in servizio di pubblica sicurezzaÓ e, oggettivamente, solo Òper fatti compiuti in servizio e relativi all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisicaÓ. Con riferimento alle modalitˆ di accertamento della responsabilitˆ del dipendente, ai sensi dellĠart. 18 il rimborso delle spese legali spetterˆ solo quando il procedimento a carico del dipendente si concluda con un provvedimento giurisdizionale che esclude espressamente la sua responsabilitˆ mentre, ai sensi dellĠart. 32, il rimborso spetterˆ in via definitiva solo ove non venga accertata la Òresponsabilitˆ dell'imputato per fatto dolosoÓ, accertamento che il dato letterale della norma non ancora espressamente ad una pronuncia giurisdizionale. Ulteriore elemento di distinzione tra le due disposizioni  rappresentato dal meccanismo di pagamento: mentre nellĠart. 18 - ad eccezione di ipotesi di anticipazioni - il pagamento delle spese legali sarˆ a carico del dipendente salvo rimborso, nei casi in cui si applichi lĠart. 32 le spese saranno sempre sopportate dallĠAmministrazione salvo rivalsa. é evidente che la norma di cui allĠarticolo 32 della legge n. 152 del 1975, nellĠescludere il rimborso solo nei casi in cui venga accertata la responsabilitˆ dellĠimputato per fatto doloso, reca una disciplina maggiormente favorevole al dipendente rispetto a quella contenuta nellĠart. 18 del d.l. n. 67/1997. Le ragioni di tale favor vanno ricercate, oltre che nel maggior rischio cui vanno incontro ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o militari in servizio di pubblica sicurezza che usino le armi o altri mezzi di coazione fisica nellĠesercizio dei propri doveri, anche nella considerazione che tali azioni, per il contesto in cui sono avvenuti i fatti e per gli ordini ricevuti, possono rendere difficoltoso lĠaccertamento del coefficiente di imputazione soggettivo dellĠazione criminosa. 4. Conclusioni: applicazione dellĠart. 32 della legge n. 152 del 1975 ai casi di estinzione del reato per prescrizione. La soluzione del quesito formulato da codesta Amministrazione sulla possibilitˆ di esercitare la rivalsa quando il procedimento penale a carico del dipendente si sia concluso con una sentenza che dichiara lĠestinzione del reato per prescrizione, dovrˆ tenere conto, oltre che della formulazione letterale della norma e della sua particolare ratio, anche dei principi generali in materia di rimborsi e delle connotazioni giuridiche dellĠistituto della prescrizione. Si  giˆ detto degli elementi di differenziazione della norma di cui allĠart. 32 della legge n. 152 del 1975, evidenziando, in particolare, come il suo dato letterale non pone lĠaccento - a differenza dellĠart. 18 del d.l. n. 67/1997 - sulla necessitˆ di un provvedimento giurisdizionale che contenga lĠaccertamento della responsabilitˆ dellĠimputato; si  anche detto della ratio dellĠart. 32 e dei principi generali che regolano la materia dellĠassunzione da parte dellĠAmministrazione delle spese legali sostenute dal dipendente. Quanto allĠistituto della prescrizione del reato, il provvedimento giurisdizionale che la dichiara non equivale ad unĠassoluzione con formula piena, anche se gli effetti per lĠimputato possono sembrare identici. Ai sensi dellĠart. 129 cod. proc. pen., infatti, quando ricorre una causa di estinzione del reato, quale  la prescrizione, ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che lĠimputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, il giudice  tenuto a pronunciare una sentenza di assoluzione piena. Allo stesso modo,  possibile (anche se, in questo caso, non esiste un obbligo giuridico) che il giudice, nel pronunciare la prescrizione, accerti la sussistenza del reato indicandone anche lĠascrivibilitˆ allĠimputato a titolo di dolo o colpa. Inoltre, la prescrizione  sempre espressamente rinunciabile dall'imputato (art. 157, comma 7, cod. pen.) che pu˜ decidere di non eccepirla e far proseguire il procedimento giudiziale che lo riguarda al fine di vedere riconosciuta la propria innocenza. Ad avviso della Scrivente, dunque, nelle ipotesi in cui i processi penali siano stati definiti con una sentenza che accerti lĠestinzione del reato per prescrizione, la norma di cui allĠart. 32 della legge n. 152 del 1975, secondo la quale Òle spese di difesa sono a carico del Ministero dell'interno salva rivalsa se vi  responsabilitˆ dell'imputato per fatto dolosoÓ, dovrˆ essere interpretata nel senso che lĠAmministrazione non potrˆ esercitare la rivalsa solo quando la sentenza che dichiara la prescrizione accerti anche la responsabilitˆ del dipendente a titolo di colpa. Nel caso, invece, in cui la sentenza che pronuncia la prescrizione del reato contenga anche un accertamento della responsabilitˆ dellĠimputato a titolo di dolo, lĠAmministrazione dovrˆ esercitare la rivalsa prevista dallĠart. 32. Infine, ove la sentenza non sia scesa nel merito dellĠaccertamento della responsabilitˆ dellĠimputato, nulla statuendo in proposito, ma si sia limitata a dichiarare lĠestinzione del reato per prescrizione, lĠAmministrazione eserciterˆ il diritto di rivalsa solo qualora risulti in modo evidente che i fatti contestati al dipendente e oggetto del procedimento penale sussistano e siano a questo addebitabili a titolo di dolo. Questa soluzione appare confortata sia dal dato letterale dellĠart. 32 che, a differenza dellĠart. 18, non richiede espressamente che la responsabilitˆ del dipendente venga accertata con un provvedimento avente natura giurisdizionale, sia dalla sua coerenza con il principio generale secondo cui le conseguenze economiche dei comportamenti adottati dal dipendente nellĠesercizio delle sue funzioni istituzionali devono essere poste a carico del titolare di detto interesse, cio dellĠAmministrazione, a condizione che tali comportamenti non siano stati realizzati per perseguire un interesse personale del dipendente non coincidente con quello dellĠAmministrazione. * * * Si rimane a disposizione per ogni eventuale chiarimento si ritenesse utile. Sul presente parere  stato sentito il Comitato Consultivo nella seduta del giorno 10 maggio 2013, che si  espresso in conformitˆ. Applicabilitˆ del termine, previsto dallĠart. 2 l. n. 241/1990 e s.m.i. per la conclusione del procedimento amministrativo, allĠautotutela in materia tributaria (Parere prot. 218899 del 20 maggio 2013, AL 35237/12, avv. GIUSEPPE ALBENZIO) Codesta Agenzia delle Dogane chiede a questa Avvocatura Generale dello Stato di pronunciarsi sul seguente quesito: ÒApplicabilitˆ dellĠart. 2 della legge n. 241 del 1990, modificata da ultimo dallĠart. 1 del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, n. 35 ai procedimenti relativi allĠesercizio del potere di autotutela di competenza di questa Agenzia aventi natura tributariaÓ. In particolare lĠAgenzia delle Dogane domanda se il termine previsto per la conclusione del procedimento amministrativo dallĠart. 2 della legge n. 241 del 1990, modificato dallĠart. 1 del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, sia applicabile ai procedimenti relativi allĠesercizio di autotutela di competenza della medesima aventi natura tributaria, dato che il 2 comma dellĠart.1 del D.l. 5/2012 precisa che Òle disposizioni del presente articolo non si applicano nei procedimenti tributari e in materia di giochi pubblici, per i quali restano ferme le particolari norme che li disciplinanoÓ. *** 1. Va premesso che lĠautotutela in materia tributaria differisce da quella amministrativa ed  disciplinata dal Decreto Ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37, recante le norme relative allĠesercizio del potere di autotutela da parte degli organi dellĠAmministrazione Finanziaria, in attuazione dellĠarticolo 2 quater della legge n. 656 del 30 novembre 1994 [ÒCon decreti del Ministero delle Finanze sono indicati gli organi dellĠamministrazione finanziaria competenti per lĠesercizio del potere di annullamento dĠufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilitˆ, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicitˆ sulla base dei quali sĠinizia o si abbandona lĠattivitˆ dellĠamministrazioneÓ]; il potere discrezionale di cui trattasi era giˆ previsto dallĠarticolo 68 del D.P.R. n. 287 del 27 marzo 1992, concernente il regolamento del personale del Ministero delle Finanze [Òsalvo che sia intervenuto giudicato, gli uffici dellĠamministrazione finanziaria, possono procedere allĠannullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato notificato al contribuenteÓ]. In materia tributaria lĠautotutela presenta peculiaritˆ proprie, in ragione della disciplina legale della prestazione tributaria, dellĠindisponibilitˆ del tributo e della natura vincolata della funzione impositiva. Infatti, in ossequio ai principi dettati dagli art. 53 e 97 Cost., lĠautotutela tributaria tende a realizzare unĠopportuna mediazione degli interessi pubblici in conflitto rappresentati, da un lato, dallĠinteresse alla certezza e stabilitˆ dellĠimposizione tributaria e, dallĠaltro, dallĠinteresse pubblico a fornire unĠimmagine dellĠamministrazione di correttezza e di comportamento giusto e imparziale. Allo stesso tempo, lĠautotutela  strumento anti-lite che consente la contrazione di quel contenzioso che risulterebbe inutile e dispendioso per la Pubblica Amministrazione, nei casi in cui, sulla base di un giudizio prognostico,  destinata a risultare soccombente nella lite, garantendo, altres“, il rispetto dei Òcriteri di economicitˆ, di efficacia, di imparzialitˆ, di pubblicitˆ e di trasparenzaÓ che devono reggere lĠagire amministrativo, in base alla disposizione dellĠart. 1 della legge 241/1990. 2. Ci˜ precisato, occorre verificare se la riforma di cui alla legge n. 5 del 2012, che reca modifiche allĠart. 2 della legge 241/1990 (pi esattamente la legge ha sostituito gli originari commi 8 e 9 con gli attuali commi da 8 a 9 quinquies), sia applicabile o meno ai procedimenti relativi allĠesercizio di autotutela di competenza dellĠAgenzia delle Dogane aventi natura tributaria. LĠart. 2 della legge 241/1990 prevede che, salvo nel caso in Òcui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorniÓ; in via preliminare, si sottolinea che la riforma del 2012 non ha apportato modifiche alla natura e funzione dellĠart. 2 che resta norma di carattere generale (rispetto a quella speciale dellĠart. 21 nonies per lĠautotutela) che concerne i soli procedimenti ad attivazione obbligatoria. Codesta Agenzia, in ossequio a quanto previsto dagli articoli 2 e 4 della medesima legge, ha provveduto ad individuare, per i procedimenti di propria competenza, i termini e i responsabili degli stessi. Il D.M. 37/1997, sempre seguendo lĠart. 2 della legge 241/1990, specifica chi siano i soggetti preposti allĠannullamento dellĠatto e i poteri sostitutivi in caso di grave inerzia, stabilendo allĠart. 1 che ÒIl potere di annullamento e di revoca o di rinuncia allĠimposizione in caso di autoaccertamento spetta allĠufficio che ha emanato lĠatto illegittimo o che  competente per gli accertamenti dĠufficio ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale lĠufficio stesso dipendeÓ, ma nulla prevedendo relativamente al termine. La stessa disciplina prevista dallĠart. 21 nonies della legge sul procedimento amministrativo non prevede limiti temporali allĠesercizio del potere di annullamento in via di autotutela e, infatti, statuisce che ÒIl provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dellĠarticolo 21-octies pu˜ essere annullato dĠufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dallĠorgano che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla leggeÓ. Nel nostro ordinamento, quindi, il decorso del tempo non preclude il potere di ritiro, ma rende solo pi severa la valutazione comparativa in ordine allĠaffidamento del privato e impone che lĠannullamento dĠufficio sia esercitato entro un termine ragionevole e di ci˜ si trova conferma anche nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, ove si statuisce che ÒLĠart. 21 nonies l. 7 agosto 1990 n. 241, non fissa un termine ultimo oltre il quale lĠesercizio dellĠattivitˆ di autotutela  illegittima, riconducendo la valutazione in concreto in ordine alla tempistica della vicenda al parametro di valutazione della ragionevolezza del termineÓ (Consiglio di Stato, sez. VI, 27 febbraio 2012, n. 1081). Il riferimento a tale parametro indeterminato ed elastico fa s“ che sia lasciato allĠinterprete il compito di individuare in concreto il limite temporale, in ragione del grado di complessitˆ degli interessi coinvolti e del relativo consolidamento secondo il principio costituzionale di ragionevolezza di cui allĠart. 3 Cost.: in presenza di posizioni oramai consolidate e a fronte di vizi di legittimitˆ meramente formali, occorre, infatti, procedere ad un apprezzamento del ragionevole affidamento suscitato nellĠamministrato sulla regolaritˆ della sua posizione (Consiglio di Stato, sez. I, 30 gennaio 2013, n. 5279). Tuttavia, allorchŽ vengano in rilievo contrastanti interessi di terzi o superiori interessi pubblici, tali principi devono contemperarsi con quello secondo cui per gli atti che esplicano effetti giuridici ripetuti nel tempo il principio di legalitˆ impone allĠAmministrazione il loro adeguamento in ogni momento al quadro normativo di riferimento, dato che, in tali ipotesi, lĠinteresse pubblico allĠesercizio dellĠautotutela  in re ipsa e si identifica nella cessazione di ulteriori effetti contra legem. Da ci˜ pu˜ desumersi che lĠaspetto temporale  strettamente correlato allĠaffidamento che si genera in capo al privato, inteso quale situazione di fiducia sulla permanenza della situazione determinata dal provvedimento e maturata in capo al destinatario o quale aspettativa del privato che lĠAmministrazione si comporti in ogni caso secondo le regole di correttezza, che impongono di tener conto delle situazioni altrui, da essa create, nel momento in cui volesse ritornare sulle proprie decisioni. Il parametro temporale, invece, assume preminente ed autonomo rilievo in relazione al consolidamento della situazione prodotta dal provvedimento annullato in via di autotutela. La giurisprudenza, infatti, ha osservato che lĠannullamento di un atto in autotutela, dopo un certo lasso di tempo dalla data di adozione dellĠatto medesimo, non pu˜ fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalitˆ ma deve tener conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dellĠatto, dato che lĠesercizio di siffatto potere da parte dellĠAmministrazione incontra un limite nellĠesigenza di salvaguardare le situazioni del privato che, confidando nella legittimitˆ dellĠatto rimosso, ha acquisito il consolidamento di posizioni di vantaggio scaturenti da esso. Il mancato richiamo del Decreto Ministeriale a termini temporali, nonchŽ la lettera espressa dellĠart. 1, 2 comma, del D.l. 5/2012 e dellĠart. 21 nonies della l. 241/1990, oltre che le giˆ richiamate caratteristiche dellĠart. 2, portano a ritenere non applicabili, ai procedimenti aventi natura tributaria connessi allĠesercizio del potere di autotutela, le disposizioni temporali relative alla conclusione del procedimento amministrativo e, quindi, anche a quelli di natura tributaria di competenza dellĠAgenzia delle Dogane; sul punto in maniera conforme si sono espressi anche il Ministero dellĠEconomia e delle Finanze (nota prot. n. 3-3409 del 29 marzo 2013) e lĠAgenzia delle Entrate (nota prot. n. 36384 del 21 marzo 2013). 3. Per quanto attiene pi propriamente la materia tributaria, va ribadito che essa  materia specialis rispetto allĠampio genus del diritto amministrativo. A venire in rilievo non sono situazioni di interesse legittimo, ma diritti soggettivi e, pi esattamente, un diritto soggettivo del contribuente a non essere obbligato a prestazioni patrimoniali allĠinfuori dei casi contemplati dalla legge, diritto che trova manforte nellĠinteresse pubblico che deve essere perseguito dallĠAmministrazione, anche in ordine alla corretta esazione delle imposte dovute in base alla legge. Il contribuente vanta, invece, un interesse legittimo, a fronte del potere discrezionale della Pubblica Amministrazione di esercitare lĠannullamento in autotutela. LĠAmministrazione Finanziaria non , quindi, obbligata a provvedere in sede di autotutela ed  pienamente libera di rivedere o meno i propri atti illegittimi, senza che a ci˜ faccia capo una posizione tutelabile del privato, con la con seguenza che lĠinteresse allĠapplicazione dellĠautotutela  identificato soltanto con quello dellĠosservanza dei principi di giustizia, legalitˆ e buona amministrazione degli uffici finanziari. LĠAmministrazione ha la facoltˆ, non lĠobbligo, di correggersi e di procedere alla rimozione degli atti illegittimi al fine di realizzare lĠinteresse pubblico e ripristinare la legalitˆ, nonchŽ di ricercare una soluzione alle potenziali controversie insorte, evitando il ricorso a mezzi giurisdizionali, in ossequio al principio dellĠeconomia dei mezzi giuridici. Tale facoltˆ dellĠamministrazione viene ricordata anche nella nota del 21 marzo 2013 dellĠAgenzia delle Entrate, nella quale si fa presente che Òil Segretario Generale, con circ. 198 del 1998, ha chiarito che se anche gli uffici tributari non posseggono una Òpotestˆ discrezionale di decidere a proprio piacimento se correggere o no i propri erroriÓ, gli stessi hanno il potere ma non il dovere giuridico di ritirare lĠatto viziato, mentre  certo che il contribuente, a sua volta, non ha un diritto soggettivo a che lĠufficio eserciti tale potereÓ. LĠautotutela, inoltre, non deve essere intesa come un ulteriore mezzo di difesa concesso al contribuente, oltre quelli previsti dal sistema giuridico, nŽ pu˜ essere considerato un metodo sostitutivo dei rimedi giurisdizionali ordinari non esperiti, ma solo come uno strumento che permette agli uffici di attivarsi per assicurare il rispetto dei dettati costituzionali di imparzialitˆ e buon andamento. Del resto, lĠesercizio del potere in questione non richiede alcuna istanza di parte e lĠeventuale istanza del privato costituisce soltanto un atto di mera sollecitazione che non comporta lĠobbligo per lĠAmministrazione di avviare un procedimento di autotutela e assumere provvedimenti al riguardo. La mancata risposta dellĠamministrazione non comporta, infatti, la formazione di un silenzio con valore giuridico, determinante la riapertura delle procedure di tutela giˆ esaurite, ci˜ in quanto  necessario evitare commistioni tra lĠistituto dellĠautotutela e quello della tutela, poichŽ si finirebbe per vanificare il fine a cui lĠautotutela stessa  diretta, ovvero la realizzazione dellĠinteresse pubblico. La Suprema Corte, trattando la questione relativa allĠimpugnabilitˆ o meno del rifiuto di autotutela da parte della P.A., ha sostenuto che ÒIn merito alle azioni giudiziarie inerenti il diniego di autotutela da parte dell'amministrazione finanziaria sussiste la giurisdizione del giudice tributario, il quale dovrˆ valutare, da un lato, l'esistenza dell'obbligazione tributaria e, dall'altro, nei limiti e nei modi in cui ci˜ sia possibile, il corretto esercizio del potere discrezionale della P.A. In relazione a tale ultimo aspetto  bene sottolineare che la valutazione operata in tale contesto dal giudice, comunque, non pu˜, e non deve, sostituirsi a quella operata dall'amministrazione nell'esercizio del potere discrezionale che le compete e, in ogni caso, non pu˜ comportare l'adozione dell'atto di autotutela da parte del giudice tributario. Il sindacato, in altre parole, pu˜ riguardare solo la legittimitˆ del rifiuto e non la fondatezza della pretesa tributaria poichŽ, in tale ipotesi, il Giudice tributario verrebbe a sostituirsi indebitamente nell'attivitˆ amministrativa. In conclusione, quindi, deve essere esclusa l'impugnabilitˆ del diniego di autotutela per ragioni attinenti non alla legittimitˆ ma al meritoÓ (Cass. civ. Sez. V, 30 giugno 2010, n. 15451). Si conviene, pertanto, con il Ministero dellĠEconomia e delle Finanze che, nella nota prot. n. 3-3405 del 29 marzo 2013, richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo la quale Òavverso lĠatto con il quale lĠAmministrazione finanziaria manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non  esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalitˆ propria (in questo caso) dellĠattivitˆ di autotutela, sia perchŽ, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimitˆ di un atto impositivo ormai definitivoÓ (Cassazione civile, Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2870) e prosegue affermando che ÒIl contribuente che richiede all'Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non pu˜ limitarsi a dedurre eventuali vizi dell'atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l'esistenza di un interesse di rilevanza generale dell'Amministrazione alla rimozione dell'atto. Ne consegue che contro il diniego dell'Amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela pu˜ essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimitˆ del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributariaÓ (Cassazione civile, Sez. trib., 12 maggio 2010, n. 11457). 4. Si deve, quindi, ritenere che non possono esservi limiti temporali al potere della P.A. di annullare, in sede di autotutela, un proprio atto illegittimo in seguito ad una diversa valutazione dellĠinteresse pubblico, motivatamente correlato agli eventuali interessi ed alle aspettative del soggetto privato coinvolto, salvo il limite della sentenza di merito passata in giudicato sullĠatto medesimo (anche se in taluni casi neppure lo stesso giudicato  ostativo in assoluto del- lĠesercizio dellĠautotutela, purchŽ il ritiro dellĠatto venga fatto per motivi che non contraddicono il contenuto della sentenza passata in giudicato e che non siano stati oggetto di esame specifico da parte dellĠorgano giudicante). Del resto, allĠart. 1, comma 136, della L. 311/04,  lo stesso Legislatore a prendere una specifica posizione, disponendo che ÒAl fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, pu˜ sempre essere disposto lĠannullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se lĠesecuzione degli stessi sia ancora in corsoÓ. In definitiva, con lĠesercizio del potere di autotutela, lĠufficio, dopo aver ponderato le diverse esigenze in gioco, quali la certezza e stabilitˆ dei rapporti, il profilo della buona fede del contribuente, la gravitˆ del vizio denunciato etc., decide, facendosi carico di una funzione in senso ampio giustiziale ed in ossequio al principio di capacitˆ contributiva oltrechŽ a quelli di buona fede, imparzialitˆ e buon andamento dellĠamministrazione, se procedere o meno al ritiro di una pretesa giˆ formalizzata. In conclusione, deve escludersi lĠapplicazione dellĠart. 2 della legge n. 241/1990 ai procedimenti relativi allĠesercizio del potere di autotutela posti in essere dallĠAmministrazione doganale. Sulla questione  stato sentito il Comitato Consultivo che si  espresso in conformitˆ nella seduta del 10 maggio 2013. SullĠaffidamento della gestione del Fondo per il sostegno finanziario dellĠinternalizzazione del sistema produttivo (Fondo Pubblico di Venture Capital - FVC) (Parere prot. 258903 del 12 giugno 2013, AL 42778/12, avv. MARINA RUSSO) Con la nota in riferimento, lĠAmministrazione in indirizzo richiede il parere della Scrivente sulla questione in oggetto, articolando tre quesiti: 1. Se lĠaffidamento della gestione del FVC debba avvenire attraverso una gara ad evidenza pubblica, ovvero con procedura negoziata ai sensi dellĠart. 57 del Codice dei contratti pubblici approvato con D.lgs. 163/06; 2. Se lĠentrata in vigore del suddetto Codice abbia determinato lĠabrogazione tacita delle previgenti norme che individuano in SIMEST il gestore del Fondo, e se il Codice stesso valga quale chiave interpretativa delle norme riguardanti la medesima materia entrate in vigore successivamente, o se - invece - sia corretto procedere alla disapplicazione delle norme che prevedono lĠaffidamento a SIMEST della gestione del FVC per contrasto con lĠordinamento comunitario; 3. Se - ai fini dellĠaffidamento della gestione con gara - occorra lĠadozione di una norma di rango primario. Tanto premesso, la Scrivente rende il seguente parere. I) Sembra utile premettere alcuni cenni relativi alla finalitˆ ed al funzionamento del FVC, nonchŽ al quadro normativo che lo riguarda. I.1) La finalitˆ del FVC  quella di sostenere lĠinternazionalizzazione delle imprese italiane. Ci˜ avviene attraverso lĠacquisizione, alimentata attraverso il FVC, di quote partecipative nel capitale delle societˆ che intendono svolgere attivitˆ su mercati esteri. Il FVC  e resta di proprietˆ ministeriale, ed  gestito da SIMEST secondo un sistema c.d. ÒrotativoÓ; ci˜ significa che le quote acquisite devono essere nuovamente cedute entro un determinato numero di anni, cos“ che il FVC si autoalimenti attraverso il prezzo comprensivo delle eventuali plusvalenze ricavate dalla vendita delle partecipazioni azionarie alle imprese. Il solo compenso percepito per la gestione del FVC da Simest , dunque, quello pagato dal MISE come previsto nella convenzione. I.2) Sono tuttora formalmente vigenti le norme di legge che prevedono, rispettivamente: -lĠaffidamento a SIMEST della Ògestione degli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo di cui alla legge 24 aprile 1990, n. 100Ó , (art. 25 del D.lgs. 143/1998); -lĠautorizzazione alla costituzione di SIMEST nonchŽ lĠinserimento, fra i suoi compiti, della gestione, in base ad apposite convenzioni, dei fondi Òdi cui al comma 1 dell'articolo 25 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, nonchŽ i fondi rotativi di cui all'articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 21 marzo 2001, n. 84, e quelli istituiti ai sensi dell'articolo 46 della legge 12 dicembre 2002, n. 273Ó (legge 100/90 art. 1 commi 1 e 2 lett. h-quinquies, introdotto dallĠart. 7 comma 2 l. 56 del 31 marzo 2005). I fondi ivi menzionati sono quelli poi confluiti, per effetto dellĠart. 1 comma 932 della legge Finanziaria 2007, nel Fondo Unico oggetto del quesito in esame. La persistente vigenza delle norme sopra richiamate ha altres“ trovato recente conferma nellĠart. 23-bis del D.L. 95/12, conv. in l. 135/12, che - attribuendo a Cassa Depositi e Prestiti il diritto di opzione per lĠacquisto delle partecipazioni statali in SIMEST - ha altres“ previsto (al comma 5) che questĠultima continui a svolgere le attivitˆ giˆ affidatele in base alle norme legislative e regolamentari vigenti, nonchŽ ÒÉ ad osservare le convenzioni con il Ministero dello Sviluppo Economico giˆ sottoscritte o che verranno sotto- scritte con il Ministero in base alla normativa di riferimentoÓ. II) Venendo ai quesiti sottoposti da codesta Amministrazione allĠesame della Scrivente, si osserva quanto segue. II.1) LĠart. 25 D.lgs 143/1998 descrive lĠattivitˆ affidata a SIMEST come la gestione degli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo, mentre la Convenzione recante il disciplinare del rapporto precisa, nelle premesse, che oggetto della stessa  la novazione dei pregressi rapporti convenzionali relativi alla gestione di Òinterventi di venture capital e/o lĠacquisizione di partecipazioni aggiuntiveÓ e, allĠart. 3, che lĠattivitˆ del gestore  finalizzata allĠÒacquisizione e successiva cessione delle partecipazioniÓ, e comprende altres“ tutta una serie di attivitˆ collaterali e strumentali, quali la promozione e cura del contenzioso, lo studio dei mercati di riferimento, lĠoperativitˆ dei fondi e lĠamministrazione della relativa liquiditˆ, la tenuta delle scritture dei Fondi, la stipula di contratti, la valutazione dei piani aziendali ecc.. Le attivitˆ sopra descritte potrebbero, prima facie, sembrare riconducibili alla definizione di Òservizi finanziariÓ contenuta nel Codice dei Contratti. Tuttavia, ad un pi approfondito esame, sembra che il servizio di gestione dei FVC di cui SIMEST  titolare ex lege vada, invece, sottratto allĠambito di applicazione del Codice stesso, trattandosi di un servizio prestato da unĠamministrazione aggiudicatrice in favore di unĠaltra, sulla base di un diritto esclusivo previsto da norme legislative (quelle, tuttora vigenti, richiamate sopra, al punto I.2) che non sembrano presentare profili di possibile contrasto con il trattato (cfr. art. 19 comma 2 del Codice). Ci˜ in ragione degli argomenti che qui di seguito si espongono. II.2) Debbono tenersi nella debita considerazione sia la natura pubblicistica dei soggetti parte del rapporto, quali sono il Ministero e SIMEST (ambedue Òamministrazioni aggiudicatriciÓ ex art. 3 comma 25 del Codice, in quanto amministrazione dello Stato il primo, ed organismo di diritto pubblico il secondo), sia la riserva ex lege dellĠattivitˆ di gestione del FVC, sia - infine - le specifiche peculiaritˆ proprie di detta attivitˆ. II.2.a) Quanto al primo dei summenzionati profili, occorre considerare, quanto alla natura pubblicistica di SIMEST che questĠultima presenta i tratti distintivi propri dellĠÒorganismo di diritto pubblicoÓ tale essendo, ex art. 3 comma 26 del Codice, Òqualsiasi organismo anche in forma societaria istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; dotato di personalitˆ giuridica; la cui attivitˆ sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo dĠamministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali pi della metˆ  designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblicoÓ. SIMEST, infatti,  un soggetto: -dotato di personalitˆ; -il cui capitale azionario  detenuto al 76% da Cassa Depositi e prestiti (la cui natura di organismo di diritto pubblico  stata espressamente riconosciuta dal C.d.S. con sent. 550/2007); -che opera Òper soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commercialeÓ, quale lĠinternazionalizzazione delle imprese. NŽ deve dubitarsi che questĠultima attivitˆ sia priva di carattere industriale o commerciale: invero, benchŽ la stessa si svolga a scopo di lucro ed in regime di concorrenza e benchŽ, secondo la giurisprudenza nazionale e comunitaria, tali circostanze possano rilevare come indizi del carattere commerciale di unĠattivitˆ (si vedano C.d.S. 2764/08 e 1913/08 e C-229/99 e 260/99, che hanno escluso la finalitˆ di interesse pubblico di alcuni enti fieristici, in quanto perseguono essenzialmente fini di sostegno allĠiniziativa economica privata), detti indizi non hanno tuttavia carattere necessariamente decisivo ai fini della connotazione dellĠattivitˆ stessa: il carattere commerciale infatti ben pu˜ essere escluso in presenza di un interesse pubblico prevalente, come ritenuto dal Consiglio di Stato (sent. n. 6835/11) sempre con riferimento ad una s.p.a fieristica, in ragione della prevalenza, nel caso esaminato, dellĠinteresse pubblico perseguito da detta s.p.a., emergente dalla prevalenza del ritorno di immagine di cui il territorio beneficia per effetto dellĠorganizzazione di manifestazioni com merciali. La giurisprudenza comunitaria (C-360/96) ha, a sua volta, escluso il carattere commerciale di unĠattivitˆ in ragione del solo fatto che il soggetto opera in un regime concorrenziale, laddove si versi in una situazione in cui lĠoperatore potrebbe essere indotto a subire perdite economiche per perseguire una determinata politica, condizione - questĠultima - che puntualmente ricorre nel caso oggetto del presente parere (sul che si dirˆ oltre, al punto II.2.b). Ci˜ posto, appare evidente come lĠinternazionalizzazione delle imprese effettivamente corrisponda proprio ad un interesse pubblico, che assume carattere di prevalenza. Essa, infatti - oltre a rilevare come mezzo per lĠattuazione della politica industriale nazionale - soprattutto costituisce diretto strumento di politica estera, tantĠ vero che, secondo lĠart. 2 l. 100/90, ÒIl Ministro del commercio con l'estero, sentiti il direttore generale della Sezione speciale per l'assicurazione del credito all'esportazione (SACE), il direttore generale del Mediocredito centrale e il direttore generale dell'Istituto nazionale per il commercio estero e sulla base degli indirizzi generali stabiliti dal Comitato interministeriale per la politica economica estera (CIPES), all'uopo allargato al Ministro delle partecipazioni statali, anche con riferimento a specifiche iniziative di rilevante interesse nazionale, formula le linee direttrici per gli interventi della SIMEST S.p.a., con particolare riguardo ai settori economici, alle aree geografiche, alle prioritˆ e ai limiti degli interventi, e ne verifica il rispetto. In ogni caso gli interventi della societˆ devono essere basati su rigorosi criteri di validitˆ economica delle iniziative partecipate. 2. Con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica potranno essere individuati Paesi o aree geografiche di interesse prioritario ai fini degli interventi della SIMEST S.p.a. ÉÓ. Si tratta, insomma, di finalitˆ pubbliche che trascendono il mero interesse privato degli imprenditori che accedono ai finanziamenti, e che - in quanto attengono non solo alla politica economica ed industriale del Paese, ma anche a quella estera - rivestono interesse generale e rientrano fra le attribuzioni fondamentali ed esclusive dello Stato. Quanto alla prevalenza del fine pubblico, essa non pu˜ essere negata, sol che si considerino le sostanziali restrizioni che esso impone alla libera iniziativa economica di SIMEST, sul che si dirˆ subito infra, al punto II.2.b). II.2b) Venendo al secondo profilo indicato al punto II.2), cio la riserva ex lege (artt. 25 D.lgs 143/98, 1 l. 100/90) dellĠattivitˆ affidata a SIMEST ed il particolare oggetto della stessa, si osserva che la rilevanza in termini di politica estera di detta attivitˆ, meglio descritta al punto che precede, implica che SIMEST - pur operando in regime di concorrenza (in quanto le attivitˆ elencate allĠart. 1 della legge 100/909 non sono suo esclusivo appannaggio) ed a scopo di lucro -non possa tuttavia essere equiparata agli altri operatori del mercato: non solo, infatti, come giˆ evidenziato, essa subisce un pesante condizionamento da parte dello Stato quanto ad individuazione delle prioritˆ, dei limiti e dei settori degli interventi, tale da poter ridurre anche significativamente il margine di lucro conseguibile rispetto a quello ottenibile da un soggetto che si muova liberamente sul mercato, ma  anche soggetta ad ulteriori, precise condizioni e limitazioni, quali la durata (otto anni) delle partecipazioni assunte nelle imprese finanziate ed il relativo ammontare (art. 5 comma 2 lett. C. l. 84/01), il limite massimo della partecipazione percentuale che essa pu˜ acquisire nelle imprese partecipate (art. 1 comma 2 lett. h-bis l. 100/90). III) Le suesposte considerazioni inducono a ritenere che lĠaffidamento della gestione del FVC operi su di un piano ben distinto rispetto a quello del Codice dei Contratti, ricorrendo nella specie tutti i requisiti cui lĠart. 19 comma 2 del medesimo condiziona lĠesclusione dal proprio campo applicativo dei cosiddetti appalti ÒinterniÓ. Come detto, infatti, la gestione del FVC costituisce oggetto di un diritto esclusivo riservato ex lege da unĠAmministrazione aggiudicatrice ad unĠaltra; nŽ le norme che riservano detta gestione a SIMEST sembrano presentare profili di possibile incompatibilitˆ con il Trattato U.E.: ci˜ proprio in considerazione della diretta funzionalitˆ, meglio descritta in precedenza, dellĠattivitˆ svolta da SIMEST ad una prerogativa esclusiva dello Stato, qual  la gestione della politica estera, oltre che delle forti limitazioni alla libera iniziativa imprenditoriale di SIMEST che tale funzionalitˆ comporta. ¤¤¤ La risposta della Scrivente ai quesiti di cui sopra  pertanto la seguente: Non sussistono i presupposti per dar luogo alla disapplicazione, nŽ per ritenere lĠintervenuta abrogazione, delle norme che riservano a SIMEST la gestione dei FVC; Pertanto - alla scadenza della Convenzione attualmente in essere con SIMEST - non si dovrˆ ricorrere ad una procedura ad evidenza pubblica per lĠaffidamento della gestione del FVC, bens“ dovrˆ procedersi al rinnovo della convenzione stessa, restando tuttora valido e vigente il sistema di affidamento ex lege del servizio in via riservata a SIMEST. ¤¤¤ Il suesposto parere  stato sottoposto allĠapprovazione del Comitato Consultivo della Scrivente che, nelle sedute del 19 aprile 2013 e 31 maggio 2013, si  espresso in conformitˆ. Accise: sanzioni per la tutela del bene giuridico sostanziale (evasione/tentata evasione di imposta) e sanzioni per la tutela del bene giuridico formale (mancata/non corretta dichiarazione in via telematica) (Parere prot. 258941 del 12 giugno 2013, AL 6610/13, avv. FABIO TORTORA) In riferimento alla richiesta di parere allĠoggetto, ritiene la scrivente Avvocatura di condividere, per le ragioni di seguito indicate, la prospettazione di codesta Agenzia in ordine al rispettivo ambito applicativo delle disposizioni di cui allĠart. 59, comma 1, del D.Lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 (Testo Unico in materia di Accise; di seguito, breviter, T.U.A.) ed allĠart. 1, comma 1 bis, del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262 (introdotto dallĠart. 11, comma 6, D.L. 2 marzo 2012 n. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012 n. 44). LĠart. 59, comma 1 del T.U.A. recita: Ò1. Indipendentemente dallĠapplicazione delle pene previste per i fatti costituenti reato, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro dal doppio al decuplo dellĠimposta evasa o che si  tentato di evadere, non inferiore in ogni caso a 258 euro, i soggetti obbligati di cui all'articolo 53 che: É c) omettono o redigono in modo incompleto o inesatto le dichiarazioni di cui agli articoli 53, comma 8, e 55, comma 2, non tengono o tengono in modo irregolare le registrazioni di cui allĠarticolo 55, comma 7, ovvero non presentano i registri, i documenti e le bollette a norma dell'articolo 58, commi 3 e 4; ÉÓ. Viceversa lĠart. 1, comma 1 bis, del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262 recita: Ò1bis. Indipendentemente dallĠapplicazione delle pene previste per le violazioni che costituiscono reato, la omessa, incompleta o tardiva presentazione dei dati, dei documenti e delle dichiarazioni di cui al comma 1, ovvero la dichiarazione di valori difformi da quelli accertati,  punita con la sanzione amministrativa di cui allĠarticolo 50, comma 1, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504Ó. Nonostante il tenore letterale delle citate norme possa, ad una prima lettura, ingenerare lĠapparenza di una possibile loro contestuale applicazione nella disciplina delle conseguenze della mancata, inesatta o incompleta comunicazione allĠAmministrazione della dichiarazione di consumo annuale di cui allĠart. 53, comma 8, T.U.A., la questione del rapporto fra le disposizioni in parola appare potersi dirimere mediante una corretta applicazione del principio di specialitˆ. In particolare, ad avviso della scrivente, fra lĠart. 59 comma 1, T.U.A. e lĠart. 1, comma 1 bis, D.L. 262/2006 intercorrerebbe un rapporto di specialitˆ cd. Òper aggiuntaÓ, lĠelemento ulteriore e specializzante della disposizione di cui allĠart. 59 comma 1, T.U.A. dovendosi individuare - come correttamente evidenziato da codesta Agenzia - nella evasione o nella tentata evasione dĠimposta. Alla differente configurazione ÒstrutturaleÓ pare corrispondere, peraltro, anche una diversa oggettivitˆ giuridica. La disposizione di cui allĠart. 1 comma 1 bis, D.L. 262/2006 sembra, infatti, posta a presidio della specifica modalitˆ (telematica) con la quale deve assolversi allĠobbligo di presentazione annuale delle dichiarazioni di cui al precedente comma 1 lett. c) del medesimo articolo (Òc) É dichiarazioni di consumo per il gas metano e lĠenergia elettrica di cui agli articoli 26 e 55 del testo unico delle accise di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504Ó - come giˆ rilevato, in proposito, da codesta Agenzia il riferimento allĠart. 55 deve intendersi fatto oggi allĠart. 53, comma 8 T.U.A., ex art. 1, comma 1, lett. d, D.Lgs. n. 26/2007), mentre la norma di cui allĠart. 59 comma 1 T.U.A. mira evidentemente al pi ampio obiettivo di garantire il pagamento dellĠaccisa sullĠenergia elettrica prodotta nel corso dellĠannualitˆ, sanzionando le condotte trasgressive in maniera proporzionale rispetto al danno erariale effettivamente arrecato. La funzione della prima disposizione - volta a presidiare il bene di natura ÒformaleÓ rappresentato dallĠinteresse dellĠAmministrazione allĠacquisizione in modalitˆ telematica della summenzionata dichiarazione - appare quindi marcatamente anticipatoria rispetto allĠesigenza di tutela del bene giuridico ÒsostanzialeÓ costituito dalla corretta e completa esazione dellĠaccisa dovuta. La stessa pi ampia portata della norma di cui allĠart. 1 comma 1 bis D.L. 262/2006 - mirante a garantire una serie di obblighi di comunicazione per via telematica alla P.A. di dichiarazioni e informazioni che riguardano anche settori diversi dalla produzione di energia elettrica - conferma lĠassunto interpretativo che si tratti di una norma ispirata a differenti finalitˆ e volta a tutelare un diverso bene giuridico rispetto allĠart. 59 comma 1 T.U.A.. Analogamente, appare confermare tale interpretazione la considerazione che lĠart. 50 comma 1 T.U.A. sarebbe giˆ di per sŽ idoneo a sanzionare Òla omessa o tardiva presentazione delle dichiarazioni e delle denunce prescritteÓ (n.d.r., dal medesimo T.U.A.), potendosi razionalmente spiegare lĠintroduzione della disposizione in questione solo con lĠintento del legislatore di sanzionare la mancata presentazione per via telematica della dichiarazione indicata al comma 1 della medesima disposizione. Inoltre, ulteriori indici rivelatori della mancata coincidenza dellĠambito applicativo delle disposizioni in questione sono da individuarsi nella diversa collocazione sistematica e nel ricorso a una differente tecnica sanzionatoria. Come noto, infatti, lĠart. 1 comma 1 bis D.L. 262/2006, mediante il rinvio allĠart. 50 T.U.A., prevede una sanzione di portata afflittiva piuttosto modesta e compresa entro limiti fissi e predeterminati, mentre lĠart. 59 comma 1 T.U.A. commina una sanzione da determinarsi proporzionalmente rispetto allĠimporto dellĠeffettiva o tentata evasione. Conforta tale ricostruzione anche il raffronto fra il contenuto dispositivo del primo e dellĠultimo comma dellĠart. 59, ultimo comma, peraltro, modificato anchĠesso dal D.L. 2 marzo 2012 n. 16 (art. 11 comma 5 lett. b)), con la previsione di una sanzione identica a quella di cui allĠart. 1 comma 1 bis D.L. 262/2006. Laddove, infatti, le norme qui prese in esame si ritenessero effettivamente concorrere sempre, non si comprenderebbe come lo stesso Legislatore che ha introdotto il comma 1 bis nellĠart. 1 del D.L. 262/2006 non abbia contestualmente modificato il primo comma dellĠart. 59 - in ipotesi, abrogandolo - bens“ lĠultimo comma di tale disposizione. Pertanto, qualora si ritenessero ÒsovrapponibiliÓ le norme in esame, la condotta di chi, omettendo o comunque redigendo in maniera incompleta o inesatta le dichiarazioni di cui allĠart. 53, comma 8 T.U.A. abbia evaso o tentato di evadere lĠaccisa sarebbe sanzionata, del tutto illogicamente, con la medesima sanzione prevista, in via generale e residuale, dallĠart. 59 u.c. T.U.A. per Òogni altra violazione delle disposizioni del presente titolo e delle relative norme di applicazioneÓ. Si realizzerebbe, cos“, una perfetta coincidenza fra la sanzione comminata per il caso, evidentemente pi grave, di evasione o tentata evasione dĠimposta e quella prevista per il novero delle condotte, certamente connotate da una minore offensivitˆ, riconducibili alla disposizione Òdi chiusuraÓ di cui allĠultimo comma dellĠart. 59 T.U.A.. Sembra da escludere, ad avviso della scrivente, che il Legislatore, peraltro con il medesimo intervento novellistico, abbia inteso addivenire a risultati connotati da tale incongruenza sistematica ed irrazionalitˆ applicativa. E ci˜ vale a maggior ragione se si considera la ratio che appare sottesa allĠintervento novellistico realizzato con il decreto legge 2 marzo 2012 n. 16, recante Òdisposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamentoÓ, con lĠart. 11 significativamente inserito nel Titolo II (ÒEfficientamento e potenziamento dellĠazione dellĠamministrazione tributariaÓ), Capo II (ÒPotenziamentoÓ). Sembra, infatti, da escludere che il Legislatore abbia inteso mitigare la risposta sanzionatoria per i pi gravi casi di evasione - o tentata evasione dellĠaccisa con la medesima norma - lĠart. 11 - che ha provveduto a raddoppiare le sanzioni previste per le pi lievi violazioni di cui agli artt. 50 e 59 comma 5 T.U.A.. In conclusione, dal complessivo esame delle modifiche normative introdotte dallĠart. 11 del D.L. 16/2012 emerge un disegno che appare coerente e che, al di lˆ della formulazione letterale del comma 1 bis, in qualche misura equivoca, appalesa la finalitˆ di rafforzare, e non certo di attenuare, la reazione sanzionatoria per i casi di violazione della disciplina dettata in materia di accise. La scrivente Avvocatura ritiene, pertanto, di dover convenire con quanto prospettato da codesta Agenzia con la nota citata in riferimento in merito ai criteri di delimitazione del rispettivo ambito applicativo delle disposizioni di cui allĠart. 59 comma 1 T.U.A. ed allĠart. 1 comma 1 bis D.L. 262/2006, e cio che la sanzione di cui allĠart. 1, comma 1 bis D.L. 262/2006 vada in ogni caso applicata esclusivamente laddove la dichiarazione di consumo annuale non venga presentata o venga presentata in formato diverso da quello telematico o in modo incompleto rispetto alle modalitˆ previste per lĠinvio telematico, o tardivamente, fermo restando che da tali condotte non derivi in ogni caso alcuna evasione o tentativo di evasione dĠimposta, per il quale caso vige, anche in possibile concorso, la diversa sanzione prevista dallĠart. 59 comma 1 T.U.A.. Sul parere, costituente questione di massima,  stato sentito il Comitato Consultivo che, nella seduta del 30 maggio 2013, si  espresso in conformitˆ. Criteri interpretativi delle ordinanze cautelari in materia di appalti pubblici (Parere reso in via ordinaria, AL 47705/12, avv. VINCENZO NUNZIATA) Si fa riferimento allĠoggetto ed in particolare alla richiesta di chiarimenti formulata da codesta Societˆ circa la modalitˆ con cui prestare esecuzione alla ordinanza del Consiglio di Stato n. 1680/2013 che ha accolto lĠistanza cautelare. I dubbi di codesta Societˆ sono evidentemente correlati ai possibili effetti della pronunzia cautelare rispetto alla aggiudicazione o addirittura al contratto, nella specie in corso di esecuzione. Come  noto il Consiglio di Stato ha motivato sia con riferimento al periculum che al fumus, ritenendo sotto questo secondo profilo che Ònon paiono prima facie infondateÓ le censure formulate ex adverso concernenti le offerte dellĠaggiudicataria e della seconda classificata. é dunque plausibile affermare che vi sia una concreta possibilitˆ di soccombenza allĠesito del giudizio di merito. Tanto premesso, e per venire alle concrete modalitˆ di esecuzione, va detto che lĠordinanza non  del tutto perspicua, posto che, nella parte dispositiva, Òaccoglie lĠistanza cautelare in primo gradoÓ, compensa le spese, ed ordina la trasmissione dellĠordinanza al TAR per la urgente fissazione dellĠudienza di merito ex art. 119, comma 3, c.p.a. Va subito premesso che non aiuta il riferimento ai contenuti dellĠistanza di sospensione in primo grado posto che il ricorso introduttivo, proposto come  noto dinanzi al Tar Sardegna, poi dichiaratosi incompetente, genericamente si riferiva agli atti della procedura e ricollegava la sussistenza del fumus proprio alla possibile stipula del contratto, avvenuta come  noto solo a seguito della favorevole pronunzia cautelare di primo grado. LĠart. 119, comma 3, cpa dispone che Òil tribunale amministrativo regio nale chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare, se ritiene, a un primo sommario esame, la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanzaÓ. Prosegue che ÒIn caso di rigetto dell'istanza cautelare da parte del tribunale amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi l'ordinanza di primo grado, la pronuncia di appello  trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la fissazione dell'udienza di meritoÓ. Come si vede, il comma 3 non fa riferimento a misure cautelari specifiche nŽ richiede (o presuppone) la sospensione dei provvedimenti impugnati, sostanziando i concreti effetti della pronunzia cautelare nella ulteriore accelerazione del giudizio, finalizzata evidentemente allĠobiettivo di evitare che i tempi della decisione pregiudichino lĠinteresse della parte che ha ragione. Tale contenuto (o finalitˆ) della tutela cautelare, come prevista al comma 3, trova ulteriore rafforzamento nel disposto del comma 4 dellĠarticolo 119, ai sensi del quale Òcon lĠordinanza di cui al comma 3, in caso di estrema gravositˆ ed urgenza, il Tribunale amministrativo dispone le opportune misure cautelariÓ. In questa ultima ipotesi, dunque, al giudice amministrativo  affidato non solo il compito di accelerare il giudizio, ma anche di dettare concrete misure connesse allĠÒestrema gravitˆ o urgenzaÓ: ci˜ che, evidentemente, nella specie non si  verificato. La disposizione di cui allĠarticolo 119 costituisce la sostanziale riproduzione ai giudizi abbreviati di cui al Titolo V del c.p.a. dellĠarticolo 55 stesso codice, dettato per il rito ordinario (in particolare commi 10 e ss.), con la unica (ma sostanziale) differenza che nel rito abbreviato il giudice amministrativo, in caso di accoglimento della cautela, deve fissare lĠudienza di merito. Non a caso, in sede cautelare, il Consiglio di Stato ha affermato che anche la pronunzia con cui il Tar, ai sensi dellĠarticolo 55, comma 10, cpa, fissa lĠudienza di merito, ha natura di pronunzia cautelare. Tale ricostruzione  sostanzialmente condivisa dalla dottrina che si  occupata della questione. Cos“, ad esempio si  affermato (Codice del Processo Amministrativo a cura di Mario Sanino pag. 252) che ÒLa disposizione di cui al comma 3 del- lĠarticolo in esame non prevede di regola la concessione dellĠistanza cautelare, anche ove ritenuti sussistenti i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, ma stabilisce semplicemente che il TAR fissa con immediatezza lĠudienza di merito. Ci˜ nel presupposto che la ravvicinata definizione del giudizio e dunque il probabile esito favorevole per il ricorrente (almeno secondo quanto emerge in termini di probabilitˆ ad una prima valutazione in sede cautelare) rende non indispensabile per la sospensione dellĠefficacia degli atti impugnati. Si ritiene, in altri termini, che la celere definizione del giudizio, attraverso lĠimmediata fissazione dellĠudienza di merito sia idonea ad impedire il verificarsi di effetti irreversibili. Tuttavia, nel giudizio abbreviato lĠaccoglimento della domanda cautelare non  preclusa in assoluto, ma solo sottoposta a pi severi presupposti per la sua concessione. Il 4 comma, infatti stabilisce la possibilitˆ di accordare le opportune misure cautelari in caso di estrema gravitˆ ed urgenza. Il requisito dellĠestrema gravitˆ ed urgenza sembra presupporre una fattispecie in cui anche la celere fissazione dellĠudienza di merito non consente comunque di lasciare immutato lo stato di fatto, ma rende anzi indispensabile il ricorso a misure cautelari, in assenza delle quali anche lĠaccoglimento del ricorso rischierebbe di rendere vani gli effetti annullatori del provvedimento. Si ritiene generalmente che il Consiglio di Stato, nellĠipotesi di accoglimento dellĠistanza cautelare, in coerenza con la disposizione del 3Ħ comma, non  tenuto ad accordare la tutela cautelare ma pi semplicemente deve limitarsi a ravvisare la sussistenza dei presupposti per la sollecita fissazione dellĠudienza di meritoÓ. Orbene, nella specie il Consiglio di Stato non ha adottato alcuna effettiva misura cautelare che si concreti nella sospensione degli effetti dei provvedimenti impugnati (come avrebbe potuto e normalmente nella pratica avviene quanto il giudice amministrativo, nellĠaccogliere lĠistanza cautelare, indica altres“ i provvedimenti sospesi negli effetti). Non sembra a questo punto possa revocarsi in dubbio, sulla base del tenore letterale delle disposizioni citate, che la pronunzia cautelare adottata rientri dunque nella previsione di cui al comma 3 dellĠarticolo 119, inidonea pertanto a produrre effetti sospensivi del contratto stipulato. Ma in questo senso depongono anche argomenti di carattere sistematico. é noto che il recente c.p.a.  intervenuto in maniera esauriente sulla complessa tematica dei rapporti tra annullamento dellĠaggiudicazione, naturalmente solo allĠesito del giudizio di merito, e conseguente caducazione degli effetti del contratto, risolvendo le precedenti perplessitˆ dottrinali e giurisprudenziali sulla situazione di invaliditˆ in cui venga trovarsi il contratto stesso una volta annullato il provvedimento di aggiudicazione. é noto altres“ che lo stesso c.p.a. non prevede di norma un automatismo tra annullamento dellĠaggiudicazione e dichiarazione di inefficacia del contratto (articolo 122), salvo le ipotesi in cui la declaratoria di inefficacia consegua a determinate fattispecie di particolare gravitˆ (art. 121). Ci˜ che nel complesso emerge dal sistema delineato dal nuovo cpa  una particolare cautela del legislatore rispetto alla soluzione radicale della cessazione degli effetti del contratto, connessa evidentemente al naturale contemperamento della effettiva tutela della parte risultata vittoriosa con lĠinteresse pubblico perseguito con lĠaffidamento contrattuale. é stato cos“ affermato in giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 5 novembre 2012, n. 5591) che Òdopo l'entrata in vigore delle disposizioni attuative della direttiva comunitaria 2007/66/CE, ora trasfuse negli artt. 121 e 122 c.p.a., in caso di annullamento giudiziale dell'aggiudicazione di una pubblica gara spetta al giudice amministrativo il potere di decidere discrezionalmente, anche nei casi di violazioni gravi, se mantenere o no l'efficacia del contratto nel frattempo stipulato; il che significa che l'inefficacia non  conseguenza automatica dell'annullamento dell'aggiudicazione, che determina solo il sorgere del potere in capo al giudice di valutare se il contratto debba continuare o non a produrre effetti, sicchŽ la privazione degli effetti del contratto per effetto del- l'annullamento dell'aggiudicazione deve formare oggetto di una pronuncia giurisdizionale tipicaÓ. Analogamente, si  affermato (Cons. Stato, Sez. V, 21 febbraio 2012, n. 932), che ÒIn materia di appalti pubblici, la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 53 del 2010 e poi trasfusa nell'art. 122 del codice del processo amministrativo, caratterizzata da una maggiore semplificazione, concentrazione in un unico processo ed effettivitˆ della tutela, secondo quanto previsto dalla normativa comunitaria di cui alla direttiva n.66/2007/CEE, comporta il potere del giudice amministrativo di pronunciarsi in ordine all'inefficacia del contratto, con estensione della giurisdizione esclusiva. é del tutto consequenziale che il sindacato sulla sorte del contratto determini, all'esito della decisione di annullamento dell'aggiudicazione, un assetto del rapporto contrattuale - nel senso della sua inefficacia o del suo mantenimento - che le parti sono obbligate ad osservare e di cui devono tenere conto nei successivi comportamentiÓ. Ci˜ che  sicuro,  che la pronunzia di merito che dichiari la inefficacia del contratto deve disporla espressamente e deve essere ancorata dal punto di vista argomentativo ai criteri di valutazione puntualmente indicati dallĠarticolo 122. Tutto ci˜ non  nella specie ed anzi, anche ammesso in ipotesi che il giudice amministrativo disponga nella fase cautelare del potere di sospendere gli effetti del contratto in una con lĠaggiudicazione, in concreto lĠordinanza cautelare assolutamente nulla dice al riguardo. Conseguentemente, una lettura ad opera dellĠinterprete della pronunzia cautelare tale da ricollegare ad essa anche effetti sul contratto, comporterebbe una (inammissibile) attivitˆ di integrazione e/o completamento della pronuncia giudiziale dai confini assolutamente incerti, se non discrezionali. Ed esporrebbe la Stazione appaltante al rischio di azioni risarcitorie da parte dellĠaggiudicataria nellĠipotesi di (in ogni caso possibile) esito ad essa favorevole del giudizio; e ci˜, a tacere dellĠinteresse pubblico che verrebbe sicuramente compromesso dal ritardo nellĠesecuzione delle prestazioni contrattuali, le quali certo non potrebbero in questa fase interinale essere svolte dal ricorrente (come invece pu˜ verificarsi, allĠesito della pronuncia di merito, con il subentro del ricorrente vittorioso nel contratto). Tanto premesso in punto di diritto,  chiaro che in concreto deve raccomandarsi a codesta Societˆ una particolare cautela nella gestione della vicenda contrattuale, sino alla pronunzia di merito del TAR (che questo G.U. ha giˆ provveduto a sollecitare con apposita istanza e che  stata fissata allĠudienza del 17 luglio p.v.). Ci˜ evidentemente in applicazione dei principi di buon andamento e di interpretazione secondo buona fede della pronunzia cautelare, nellĠobiettivo di assicurare il perseguimento dellĠinteresse pubblico, ma anche di non svuotare di contenuto il possibile esito del giudizio favorevole alla parte ricorrente. In concreto, quindi, codesta Societˆ dovrˆ valutare le specifiche attivitˆ che lĠaggiudicatario sta svolgendo, eventualmente evitando di commetterne di nuove ed ulteriori, con il rischio che si producano nuovi e maggiori oneri allĠesito della pronunzia di accoglimento, alla quale come  noto possono conseguire, oltre che la dichiarazione di inefficacia del contratto, effetti sanzionatori e risarcitori anche per equivalente (articoli 123 e 124 c.p.a.). Al fine di pervenire quanto prima ad un chiarimento, ove codesta Societˆ lo ritenga utile, questa Avvocatura potrˆ richiedere in sede di udienza di merito la pubblicazione anticipata del dispositivo (articolo 119, comma 5, cpa). Si segnala inoltre che, in presenza di particolari perplessitˆ interpretative da parte di codesta Societˆ, risulta attivabile la speciale procedura prevista dallĠarticolo 112, comma 5, cpa, volta a richiedere al medesimo Giudice chiarimenti in ordine alle modalitˆ di esecuzione anche della pronunzia cautelare. Si resta a disposizione per quanto possa occorrere. Con lĠoccasione, ai fini della predisposizione di eventuali ulteriori scritti difensivi, vorrˆ codesta Societˆ far conoscere le proprie valutazioni sui punti, relativi al fumus, ritenuti rilevanti dal Consiglio di Stato. Domanda di accesso al Fondo di rotazione per la solidarietˆ alle vittime dei reati di tipo mafioso. Legge 22 dicembre 1999, n. 512 (Parere reso in via ordinaria prot. 249896 del 7 giugno 2013, AL 41396/12, avv. MASSIMO SALVATORELLI) Con la nota indicata in oggetto codesta Amministrazione ha fornito i chiarimenti richiesti dalla Scrivente con il foglio n. 481997 del 6 dicembre 2012 con riferimento alla Delibera n. 92 del 28 febbraio 2012 relativa alla domanda di accesso al Fondo indicato in oggetto presentata dal dottor (...), congiunto del giornalista (...), assassinato dalla camorra in data (...). In particolare, ad integrazione di quanto esposto nella richiesta di parere del 2 novembre 2012, si fornisce documentazione dalla quale emerge che la sentenza della Corte dĠAssise dĠappello di Napoli  stata depositata in data 30 settembre 1999 e che  passata in giudicato (per tutti gli imputati tranne uno) il 13 ottobre 2000. Viene inoltre chiarito che il dottor (...) non ha assunto ad oggi iniziativa alcuna avverso il provvedimento di reiezione della domanda di accesso al Fondo. Tanto premesso, si rammenta che il provvedimento negativo (di rigetto per tardivitˆ)  stato a suo tempo adottato sulla base di una interpretazione letterale del disposto dellĠart. 5, comma 5, della L. 22 dicembre 1999, n. 512 (Òla domanda al fondo per il risarcimento dei danni disposto con sentenze pronunciate prima della data di entrata in vigore della presente legge  proposta, a pena di decadenza, É, entro un anno dalla data di entrata in vigore della leggeÓ). Come visto, per la sentenza in esame non solo la lettura del dispositivo, ma anche il deposito  effettivamente avvenuto in data anteriore allĠentrata in vigore della legge, di tal che alla fattispecie risulterebbe applicabile il regime transitorio regolato dal comma 5. Codesta Amministrazione esprime tuttavia oggi dubbi in ordine alla legittimitˆ del provvedimento (sul quale potrebbe intervenirsi in via di autotutela) alla luce di una lettura coordinata della menzionata norma con la previsione del comma 4 del medesimo articolo (Òla richiesta di pagamento al fondo  accompagnata dalla copia autentica dellĠestratto della sentenza di condanna passata in giudicatoÓ). Tale ultima disposizione lascerebbe intendere che Òsolo dopo la definitivitˆ della sentenza il dottor (...) poteva correttamente chiedere la liquidazione dei danniÓ. Pertanto, lĠespressione Òsentenze pronunciateÓ dovrebbe essere rettamente intesa come riferita alle sentenze Òpassate in giudicatoÓ prima dellĠentrata in vigore della legge. In tal caso, poichŽ il passagio in giudicato della statuizione andrebbe sicuramente collocato in data successiva allĠentrata in vigore della legge, non troverebbe applicazione la previsione (transitoria) di cui al comma 4, e la fattispecie sarebbe assoggettata al regime di prescrizione ordinario (anzichŽ a quello decadenziale), con conseguente tempestivitˆ della domanda di accesso al Fondo. Definitivamente accertati i fatti di causa, la Scrivente ritiene che il provvedimento adottato dal Comitato di solidarietˆ per le vittime dei reati di tipo mafioso vada esente da censure. Per un verso, infatti, la disposizione recata nel comma 5 appare di piana lettura, e non fa riferimento al concetto di Òsentenza passata in giudicatoÓ, bens“ a quello (certamente dotato di specifica e autonoma valenza) di Òsentenza pronunciataÓ. Ci˜ mostra una precisa volontˆ in tal senso, atteso che il Legislatore ha in altre disposizioni espressamente fatto riferimento al passaggio in giudicato della statuizione giurisdizionale. La stessa non appare dĠaltro canto irrazionale, ma perfettamente coerente con le esigenze di certezza dei rapporti giuridici (qui collegate anche alle ovvie necessitˆ contabili di copertura di bilancio, ed al principio per cui le norme che comportano erogazione di fondi pubblici devono essere oggetto di stretta interpretazione), atteso che non pu˜ consentirsi di azionare la domanda di accesso al Fondo per un periodo estremamente lungo (corrispondente alla prescrizione ordinaria decennale), come avrebbe potuto verificarsi per fatti anche remotissimi, in assenza di una disposizione transitoria. DĠaltro canto, lĠinterpretazione che assimila le due espressioni usate dal Legislatore al quarto e al quinto comma dellĠart. 5 non appare del tutto corretta, atteso che, come risulta dallo stesso testo del comma 4, il passaggio in giudicato della sentenza non  condizione necessaria per azionare la richiesta di accesso al Fondo, essendo la stessa espressamente consentita anche nellĠipotesi di Òsentenza di condanna al pagamento di provvisionaleÓ e di Òsentenza civile di liquidazione del dannoÓ che non necessariamente presuppongono una statuizione definitiva. Conclusivamente si ritiene che allo stato, non essendo lo stesso viziato per illegittimitˆ, non sussistano i presupposti per agire in via di autotutela annullando il provvedimento adottato dal Comitato di solidarietˆ per le vittime dei reati di tipo mafioso sulla istanza prodotta dal dottor (...). Si rimane a disposizione per quanto altro possa occorrere. Utilizzazione del R.D. 14 aprile 1910 n. 639 nelle procedure di rimborso a favore della P.A. (Parere reso in via ordinaria prot. 274910 del 24 giugno 2013, AL 25758/13, avv. DIANA RANUCCI) 1) LĠAvvocatura de LĠAquila ha trasmesso alla Scrivente la richiesta, formulata da codesto Comando, di procedere al recupero delle somme indebitamente percepite dal nominato in oggetto, il quale, dalla lettura delle carte allegate a detta richiesta, non risulterebbe pi essere dipendente dellĠAmministrazione Difesa. Per tale motivo lĠAvvocatura aquilana propone di notificare al debitore, il quale non ha ottemperato alle richieste di rimborso avanzate da codesto Comando, ricorso per decreto ingiuntivo da richiedersi al TAR competente per territorio. Esaminata la documentazione trasmessa la Scrivente ritiene che allo stato sia opportuno in via preliminare procedere diversamente, con lo strumento pi rapido, e probabilmente pi efficace quanto a forza persuasiva, della ingiun zione ex R.D. 14 aprile 1910, n. 639, tuttora validamente utilizzabile dallo Stato non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico ma anche per quelle di diritto privato. Tale strumento trova il suo fondamento nel potere di autoaccertamento della Pubblica Amministrazione ed il suo legittimo uso  subordinato alla sola condizione che Ò il credito in base al quale viene emesso l'ordine di pagare la somma dovuta sia certo, liquido ed esigibile, senza alcun potere di determinazione unilaterale dell'Amministrazione, dovendo la sussistenza del credito, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilitˆ derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati, rimanendo all'Amministrazione un mero potere di accertamento dei detti elementiÓ (Cass. Sez. I, n. 13587/1992), condizione questĠultima certamente soddisfatta nella specie, risultando il credito della P.A. dai documenti contabili. 2) NŽ potrebbe obiettrasi che trattasi di istituto abrogato, atteso che, al contrario, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che Òl'ingiunzione emessa ai sensi del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, deve ritenersi "sopravvissuta", nella sua componente di atto di accertamento della pretesa erariale (idoneo a dar vita ad un giudizio sulla legittimitˆ della pretesa stessa), al disposto del- l'art. 130, comma secondo, del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, il quale, nel- l'abrogare tutte le disposizioni che regolavano la riscossione coattiva delle imposte mediante il rinvio al R.D. n. 639 del 1910, ha sancito l'abrogazione delle sole previgenti disposizioni in materia di riscossione e non anche quelle in materia di accertamento. Pertanto, tale ingiunzione, inidonea di per se stessa (quando emessa in epoca successiva all'entrata in vigore del citato D.P.R. n. 43 del 1988) ad attivare un procedimento di riscossione a mezzo ruoli, si sostanzia pur sempre in un invito al pagamento di quanto dovuto, in ordine al quale la notifica a mezzo del servizio postale deve ritenersi strumento idoneo al fine di portare a conoscenza del contribuente la pretesa erariale e di consentirgli la piena tutela del diritto di difesa anche in sede giudiziariaÓ (Cass. Sez. V, n. 10923/2003). Pi di recente, la Cassazione, chiamata a decidere quale giudice fosse dotato di giurisdizione in un giudizio di opposizione ad ingiunzione emessa sulla base del R.D. n. 639/1910, ha avuto modo di chiarire Òche l'ingiunzione che precede l'espropriazione speciale attuata in base al Decreto del 1910, quando dˆ luogo ad una contestazione basata su una norma tributaria, non pu˜ che essere assegnata alla Commissione Tributaria. L'ingiunzione non  sicuramente un atto dell'espropriazione forzata, ma  un atto (normalmente di natura tributaria) riferibile al creditore, che non  preceduto da una notificazione del ruolo o di una cartella. Esso ha la stessa funzione della cartella e deve potere essere impugnato come una cartella. Giova ricordare che nel processo esecutivo ordinario c' il principio contenuto nell'articolo 479 c.p.c. secondo il quale "Se la legge non dispone altrimenti, l'esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto". Questo principio  ribadito anche nell'articolo 50 del D.P.R. n. 602/73 secondo il quale ÒIl concessionario procede a espropriazione forzata quando  inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, salve le disposizioni relative alla dilazione e alla sospensione. Se l'espropriazione non  iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l'espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalitˆ previste dall'articolo 26, di un avviso che contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni. Ma, anche l'articolo 5 del decreto del 1910 presuppone che prima del- l'espropriazione forzata venga notificata l'ingiunzione. Tutto ci˜, allora, conferma che l'ingiunzione svolge la stessa funzione che svolge la cartella in quanto atto prodromico per l'esecuzione forzataÓ (Cass. Sez. Un. n. 10958/2005). In disparte dal notare che, nella fattispecie ivi esaminata, la Suprema Corte ha concluso per la giurisdizione della Commissione tributaria poich la pretesa sottostante lĠingiunzione aveva natura fiscale, quel che occorre sottolineare  il dato fondamentale che la Corte abbia ritenuto pienamente legittimo lĠuso dellĠingiunzione ex TU 1910. 3) é poi pacifico che lo strumento in discorso sia utilizzabile anche per le entrate di natura non tributaria. In questo senso si  espresso il giudice amministrativo (cfr. Cons.di S. sez. V, n. 8156/2010) secondo cui Òle controversie relative ad atti di recupero di ratei di pensione erogati e non dovuti appartengono alla giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti in materia di dipendenti degli enti locali poichŽ, venendo in discussione il quantum (o nella specie l'an) del trattamento pensionistico e, quindi, la sussistenza o l'entitˆ del diritto a pensione, ci˜ che rileva ai fini in questione  il contenuto pubblicistico del rapporto dedotto in giudizio; nŽ tale regola soffre della deroga in favore di altro giudice nell'ipotesi in cui l'Amministrazione si sia avvalsa del procedimento per ingiunzione di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, art. 2 (cfr., tra le tante, Cass., ss.uu., 16 novembre 2007 n. 23731). La Corte regolatrice della giurisdizione tanto ha altres“ ribadito, affermando che spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto l'indebita percezione di ratei di pensione ed il conseguente diritto alla ripetizione fatto valere dall'amministrazione del tesoro, nŽ tale giurisdizione soffre deroga, in favore di altro giudice, nel caso in cui si contesti l'esperibilitˆ ai fini del recupero del procedimento di riscossione adottato (cfr. Cass., ss.uu., 18 giugno 2008 n. 16530)Ó. 4) In altri termini, sia il giudice ordinario che quello amministrativo ritengono che lĠingiunzione in esame sia legittimamente utilizzabile dalle Amministrazioni statali in ogni ipotesi in cui si debba procedere al recupero di somme, certe, liquide ed esigibili, aventi natura tributaria, pubblicistica o anche privatistica (esclusa lĠipotesi di somme di natura risarcitoria), costituendo lĠingiunzione atto idoneo ad attivare la pretesa dellĠamministrazione ed a consentire lĠopposizione del debitore avanti al giudice competente. Alla luce degli esposti principi, non  dubbio che la fattispecie in esame rientri perfettamente nei confini delineati, atteso che le somme da recuperare attengono ad un rapporto di natura pubblica: il rapporto dĠimpiego. Si evidenzia infine che, nella decisione sopra citata, il Consiglio di Stato ha anche ritenuto legittimo Ò il recupero disposto mediante il procedimento di riscossione dell'indebito consistente nella trattenuta di un quinto dello stipendio in godimento nell'ambito della prosecuzione del rapporto di impiego con l'Ente datore di lavoroÓ. Qualora quindi il nominato in oggetto fosse ancora titolare di rapporto di lavoro con codesta Amministrazione ovvero di trattamento pensionistico nulla osta a che si proceda al recupero mediante la suddetta trattenuta. Vorrˆ pertanto codesto Comando procedere nel senso indicato, e provvedere ad emettere e notificare al debitore, con la massima celeritˆ, lĠingiunzione suddetta. legislazione ed attualitˆ LEGISLAZIONE ED ATTUALITË Lo Stato ferito: con la sentenza in commento un contributo sui reati compiuti nel corso delle manifestazioni (Nota a Trib. Roma, Sez. VII Coll., sentenza 30 novembre 2012 n. 16442) Alessandra Bruni* Niccol˜ Guasconi** SOMMARIO: 1. Lo Stato in giudizio: le ragioni di una scelta - 2. Il caso in esame e la resistenza a pubblico ufficiale - 3. Il reato di devastazione e la sua problematica applicabilitˆ alla manifestazione del 15 ottobre 2011. 1. Lo Stato in giudizio: le ragioni di una scelta. La sentenza n. 16442, emessa dal Tribunale Penale di Roma in composizione collegiale, le cui motivazioni sono state depositate in cancelleria il 30 novembre 2012,  una delle tante che riguardano gli eventi verificatisi a Roma durante la manifestazione del 15 ottobre 2011, la c.d. ÒGiornata europea del- lĠindignazioneÓ (1). Il processo si  concluso con la condanna dellĠimputato a 5 anni di reclusione e al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili. La decisione in commento assume particolare rilievo, oltre che per le problematiche giuridiche affrontate, anche per la costituzione dello Stato nel processo come parte civile e per la precisione con cui sono state tratteggiate le ragioni e le modalitˆ che hanno trasformato una manifestazione pacifica in (*) Avvocsto dello Stato. (**) Dottorando in ÒTeoria dello Stato e istituzioni politiche comparateÓ presso lĠUniversitˆ degli Studi di Roma ÒLa SapienzaÓ, giˆ praticante forense presso lĠAvvocatura dello Stato. (1) La denominazione richiama il movimento degli Indignados nato nel 2011 in Spagna per protestare contro la gestione della crisi economica e finanziaria in atto e la subordinazione della politica allĠeconomia scontri dĠinaudita violenza, tali da poter essere definiti i pi gravi accaduti a Roma nellĠultimo ventennio, paragonabili per drammaticitˆ agli eventi del G8 di Genova del 2001. A differenza del giudizio civile, che  spesso una questione di puro diritto, il processo penale si basa essenzialmente sul fatto e, in quanto tale, non pu˜ prescindere dalla ricostruzione non solo delle condotte individuali, ma anche della cornice di eventi in cui esse si collocano. Come si vedrˆ, anche dal contesto possono ricavarsi elementi giuridicamente rilevanti per appurare il disvalore della condotta del singolo, senza che ci˜ vada a menomare il principio di personalitˆ della responsabilitˆ penale sancito dallĠart. 27 Cost. Infatti, quando ci si deve confrontare con fenomeni collettivi di questo tipo, una mancata analisi del contesto in cui i singoli episodi si collocano non consentirebbe di coglierne appieno il significato. In questo senso pu˜ dirsi che, ferma lĠesigenza di appurare tutti gli elementi della fattispecie in ogni singolo caso,  lo stesso ordinamento ad imporre un accertamento ad ampio raggio, perchŽ solo una ricostruzione quanto pi possibile fedele dei fatti e del significato delle azioni nel loro complesso permette di calibrare la risposta sanzionatoria. In questo contesto va dunque spiegata lĠattenzione che la pronuncia in commento dedica alla descrizione del clima, delle strategie e dei comportamenti dei diversi gruppi durante la manifestazione. A tale scopo si  rivelata particolarmente significativa la deposizione del teste Lamberto Giannini, dirigente della Digos di Roma, dalla quale sono emersi elementi utili a ricostruire le dinamiche tipiche in grado di trasformare manifestazioni pacifiche in unĠescalation di violenza (2). Anche in questo caso, come in tanti altri analoghi, il rischio era ampiamente preventivato dallĠintelligence, ma ugualmente inevitabile proprio per le modalitˆ che hanno caratterizzato gli episodi di violenza. Volendo tracciare un quadro sintetico degli elementi che hanno consentito la deflagrazione di una vera e propria guerriglia urbana, bisogna partire dal dato di fatto che vi  stata una sistematica opera di infiltrazione tra i manifestanti pacifici da parte di numerosi gruppi violenti, di varia estrazione politica. Si tratta di formazioni ben organizzate che strumentalizzano il diritto costituzionale di riunione per fini eversivi premeditati, tali da implicare un lavoro di progettazione e di studio dei luoghi che consenta di nascondere lungo il percorso oggetti atti ad offendere (mazze, fionde, biglie, molotov) e di individuare in anticipo quali materiali, anche fra gli arredi urbani, presenti sul posto pos (2) Occorre in proposito ricordare che lĠart. 17, co. 1, Cost. consente solo lo svolgimento di riunioni pacifiche e senzĠarmi, ma, secondo quanto sostenuto da autorevole dottrina, per vietare una manifestazione occorre che vi sia un pericolo immediato e concreto di violazione dellĠordine pubblico o che ad essere armati siano la maggior parte dei manifestanti, sicchŽ risulti impossibile isolare gli intrusi. Sul tema si veda A. PACE, Art. 17, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione italiana, Foro it. Zanichelli, Roma Bologna, 1977, pp. 147 ss. sono prestarsi ad opere di danneggiamento (transenne, cassonetti, sampietrini). Gli episodi di violenza non sono quindi, almeno nel loro momento genetico, figli di un raptus o di un clima di eccitazione collettiva, ma lucidamente preordinati; cos“ la manifestazione diventa strumento incolpevole di mire che nulla hanno a che vedere con questa. Le difficoltˆ nel fronteggiare i facinorosi sono dovute anche alle loro modalitˆ di azione, basate su aggregazioni improvvise di persone, pronte poi a disperdersi, confondendosi nel corteo pacifico, allĠavvicinarsi delle forze dellĠordine. Ulteriore elemento indispensabile per ricostruire il clima venutosi a creare  lĠindividuazione degli obiettivi presi di mira dalle frange violente. Infatti, diversamente da altre occasioni in cui i bersagli erano circoscritti e individuabili ex ante, in questo caso gli episodi di devastazione hanno raggiunto una molteplicitˆ di obiettivi eterogenei: da un supermercato agli istituti bancari, dagli uffici postali alle auto in sosta, da esercizi commerciali di vario genere agli alloggi della Guardia di Finanza, fino a giungere alla profanazione di luoghi di culto, quale la chiesa dei Santi Marcellino e Pietro al Laterano. Non si  trattato dunque di azioni mirate e rivolte contro obiettivi strategici, il che ha reso ulteriormente imprevedibile il comportamento dei facinorosi e difficoltosa lĠopera di monitoraggio e prevenzione, che pure cĠ stata, pur con tutte le difficoltˆ dovute allĠesigenza di non coinvolgere i manifestanti pacifici. Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che le violenze fossero fini a se stesse; lĠevoluzione successiva dei fatti fa pensare che in realtˆ lĠobiettivo finale fosse lĠattacco alle forze dellĠordine, in quanto emblema delle istituzioni. Infatti, polizia e carabinieri, intervenuti per presidiare i siti oggetto di aggressione, sono essi stessi divenuti le vittime dirette degli attacchi. Tutto ci˜, anche alla luce della pre-organizzazione dellĠescalation violenta, fa ritenere che fin dallĠorigine lĠobiettivo fosse far uscire allo scoperto, e rendere cos“ pi vulnerabile, il bersaglio vero: lo Stato, rappresentato dagli uomini e dalle donne istituzionalmente incaricati di difendere lĠordine pubblico. Circa un centinaio di loro sono rimasti feriti, ma il senso di responsabilitˆ delle forze dellĠordine ha impedito che il bilancio fosse ancor pi grave. In questo senso va letta anche la dichiarazione del teste Giannini, laddove ha fatto riferimento al fatto che gli idranti erano stati calibrati a bassa potenza per evitare di Òfare molto male a qualcunoÓ. LĠassalto alla camionetta dei carabinieri avvenuto in piazza San Giovanni rappresenta dunque il momento culminante di una sistematica opera di aggressione ai danni dello Stato che si  protratta per tutta la giornata con modalitˆ da guerriglia urbana. In questo senso  opportuno sottolineare la rilevanza e il significato della presenza nel processo delle parti civili che lĠAvvocatura Generale dello Stato rappresenta. Il Ministero della Difesa e il Ministero dellĠInterno sono espressione dello Stato democratico e agiscono nel processo per la tutela dello Stato medesimo, nella sua forma, nel suo libero funzionamento, nei suoi organi, nella sua dimensione istituzionale volta ad assicurare ai cittadini che lo svolgimento della vita pubblica avvenga pacificamente e nel rispetto della Costituzione e delle leggi, contro chi ha fatto della violenza lĠunico strumento per veicolare una protesta meramente distruttiva e fine a se stessa. La costituzione di parte civile  pertanto la reazione processuale contro un attacco che si  concretizzato nella lesione della funzione statuale di assicurare lĠordine pubblico, come Òordine su cui poggia la convivenza socialeÓ (3), e nellĠaggressione alle persone e ai simboli che di questo ruolo costituiscono espressione e garanzia. Al di lˆ del fatto in sŽ, ci˜ che per qualche ora  venuto meno  proprio il ruolo originario e basilare della statualitˆ: far s“ che lĠesercizio di diritti configgenti non sia regolato, come avviene allo stato naturale, da meri rapporti di forza, ma garantire a ciascun cittadino il massimo di libertˆ possibile senza ledere quella altrui. Il problema non  dunque la contrarietˆ, anche espressa con particolare forza, a certe scelte politiche, che  anzi espressione di democrazia, quanto il disconoscimento dello Stato in sŽ per tornare ad una condizione in cui a prevalere  la legge del pi forte. Ci˜ che viene intaccato in ultima istanza non  lo Stato come ente astratto, ma il resto della collettivitˆ, spogliata del proprio diritto di manifestare pacificamente e di utilizzare il suolo pubblico senza ritrovarsi esposta al pericolo di una guerriglia, con possibile pregiudizio per la propria incolumitˆ personale e patrimoniale. Questa  la prospettiva in cui si coglie il senso profondo della costituzione di parte civile e delle ragioni che lĠAvvocatura dello Stato ha voluto rappresentare in giudizio. Del resto, se  vero che la pubblica accusa  portatrice della pretesa punitiva dello Stato, la pena sanziona il danno criminale assolvendo a finalitˆ rieducative e preventive, ma non risarcisce il soggetto passivo per il danno patito. Il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale viene dedotto con la costituzione di parte civile e riparato mediante il risarcimento, che qui assolve alla duplice funzione di rimedio contro la lesione del prestigio dello Stato e di strumento per evitare che i danni provocati dagli atti di devastazione restino a carico della collettivitˆ. 2. Il caso esaminato e la resistenza a pubblico ufficiale. Il fatto in sŽ  noto, perchŽ, essendo stato ripreso dalle telecamere,  divenuto agli occhi dellĠopinione pubblica uno dei momenti simbolo della protesta: poco prima delle ore 18 un mezzo blindato dei carabinieri viene bloccato in piazza San Giovanni da un gruppo di facinorosi, che dapprima colpiscono, per fortuna senza conseguenze letali, gli occupanti del veicolo e poi riversano tutta la loro rabbia contro la camionetta, danneggiandola e, infine, incendiandola. In questo frangente le riprese aeree consentono di enucleare il ruolo di (3) Cos“ lÔordine pubblico  stato testualmente definito da Corte cost., sent. 16 marzo 1962, n. 19. Per una ricostruzione a pi ampio raggio della nozione di ordine pubblico si veda G. CORSO, voce Ordine Pubblico (diritto pubblico), in Enciclopedia del Diritto, XXX, Giuffr, Milano 1980, pp. 1058 ss. uno dei partecipanti allĠassalto, poi identificato in S.C., che, dopo aver scagliato oggetti contundenti contro il blindato e aver incitato i compagni a fare altrettanto, lancia contro il veicolo del liquido, che lui stesso riconoscerˆ essere infiammabile, in quanto composto da cola e whisky. I reati contestati allĠimputato sono sia la resistenza aggravata a pubblico ufficiale sia la devastazione, ma il processo si  giocato quasi tutto sul secondo capo dĠimputazione e sulle aggravanti da applicarsi al primo capo. Infatti, benchŽ la difesa abbia chiesto lĠassoluzione da entrambe le imputazioni, lĠorientamento giurisprudenziale registratosi in casi analoghi  generalmente sfavorevole allĠimputato per quanto attiene alla resistenza a pubblico ufficiale, mentre risulta pi contrastato riguardo alla devastazione. In questo senso  importante rammentare che il processo che aveva ad oggetto un altro momento simbolo della giornata, il lancio di un estintore contro le forze dellĠordine, si  concluso con la condanna dellĠimputato per resistenza aggravata e lĠassoluzione dal reato di devastazione (4). La prima fattispecie ascritta al S. si colloca nellĠambito dei reati che tutelano il corretto andamento della P.A. tramite la difesa della libertˆ del pubblico ufficiale (5). Il reato, nella forma aggravata ai sensi dellĠart. 339 c.p., ricorre con frequenza nei casi in cui lĠordine pubblico sia messo in pericolo da degenerazioni di manifestazioni. Del resto proprio per ipotesi analoghe il d.l. 8 febbraio 2007, n. 8, ha aggiunto allĠart. 339 c.p. una nuova fattispecie circostanziale, giacchŽ lĠaumento di pena si applica anche in caso di resistenza consumata con il lancio di oggetti contundenti o altri strumenti atti ad offendere in modo da creare un effettivo pericolo alle persone. Nella sostanza il bene giuridico tutelato  sempre lĠordine pubblico nella sua accezione dinamica, di sovversione del normale andamento della vita di una comunitˆ, la cui violazione  la risultante di diverse e concorrenti violazioni normative. Nel caso concreto, ad opinione del Tribunale, assume particolare rilievo lĠindividuazione del momento in cui lĠimputato cessa di esercitare i suoi diritti costituzionalmente tutelati di riunirsi e manifestare il proprio pensiero per entrare nellĠambito del penalmente rilevante. Secondo il Collegio tale momento precede lĠincendio del blindato dei carabinieri e va individuato nel frangente in cui la manifestazione nel suo complesso perde il suo carattere non violento, al punto che i manifestanti pacifici sono costretti a scappare. Giˆ in quel momento la manifestazione non  pi tale, da diritto fondamentale si  trasformata in un pretesto per dar sfogo ad una violenza incontrollabile, per cui la scelta (4) Il riferimento  alla sentenza nei confronti di F.F., emessa dal Tribunale di Roma, 11 giugno 2012, che ha condannato lĠimputato a 3 anni di reclusione. In altri casi di analoga gravitˆ, sempre riferibili ai fatti del 15 ottobre 2011, il reato di devastazione non  stato neanche contestato agli imputati. Si veda in proposito la sentenza emessa in primo grado nei confronti di V.P., Trib. Roma, 14 marzo 2012. (5) R. PASELLA, voce Violenza e resistenza a pubblico ufficiale, in Digesto delle discipline penalistiche, XV, UTET, 1999, p. 251. del S. di permanere in piazza San Giovanni, nonostante le violenze crescenti e sebbene i manifestanti pacifici abbiano giˆ abbandonato il corteo, sarˆ determinante per ascrivergli la responsabilitˆ delle condotte successive sia dal punto della condotta che dellĠelemento soggettivo. Tale ricostruzione assume peculiare valore ai fini della configurabilitˆ delle aggravanti del concorso di pi persone riunite, ex art. 339, secondo comma, c.p., e di aver profittato di una situazione tale da ostacolare la difesa, ex art. 61, quinto comma, c.p., nel reato di resistenza a pubblico ufficiale. Con riferimento alla compresenza di pi persone riunite, il Tribunale ha correttamente rilevato che la fattispecie non richiede il previo concerto, ma la semplice consapevolezza del singolo di inserirsi in un contesto numerico di persone che condividono le stesse finalitˆ. In questo senso il fatto che lĠimputato sia rimasto sul luogo degli scontri, nonostante la manifestazione fosse giˆ palesemente degenerata,  un indicatore pressochŽ univoco. Il disvalore che lĠordinamento intende colpire  infatti quello dellĠaggressione di gruppo ad interessi protetti, in quanto nella modalitˆ  insita di per sŽ una maggior forza intimidatoria ed una minor capacitˆ di reazione. Questi ultimi elementi peraltro caratterizzano lĠaggravante in parola anche rispetto al concorso di persone nel reato. Quanto alla minorata difesa, lĠaggravante ha carattere obiettivo e ricorre anche quando la situazione che ostacola la difesa si sia ingenerata indipendentemente dalla volontˆ dellĠagente, per cui non si  reso necessario accertare se lĠimputato abbia concorso ad innescare la situazione o ne abbia solo tratto giovamento. Il Tribunale ha invece dovuto affrontare il problema della compatibilitˆ tra le due aggravanti in oggetto e lĠha risolto ritenendo non assorbibile la mino- rata difesa nellĠaver agito in numero maggiore di dieci e nellĠaver adoperato oggetti contundenti. Invero, pur essendo unico il fatto, lo stesso assume una portata antigiuridica diversa ed ulteriore, giacchŽ la minorata difesa non sempre pu˜ essere compresa nel solo aver agito in numero elevato: nel caso di specie  integrata dallĠaver commesso il fatto profittando della situazione caotica innescatasi a seguito del degenerare della manifestazione, il che rappresenta un disvalore ulteriore rispetto al numero degli agenti e al lancio di oggetti contundenti. In conclusione, il reato di resistenza a pubblico ufficiale, che rappresenta un modello talmente generico e duttile da essere riconducibile ai fatti pi di- sparati, assume, grazie alla sapiente modulazione delle molteplici aggravanti, tratti sempre pi nitidi, fino a presentarsi in maniera di volta in volta diversa per ciascuna situazione. In tal modo rappresenta una risposta sanzionatoria in grado di attagliarsi con esattezza al disvalore della condotta nelle diverse sfumature che questa pu˜ assumere. 3. Il reato di devastazione e la sua problematica applicabilitˆ alla manifestazione del 15 ottobre 2011. LĠart. 419 c.p. prevede la devastazione e il saccheggio come fattispecie alternative e penalmente equivalenti dettate a tutela dellĠordine pubblico, da intendersi come armonica e pacifica coesistenza di cittadini, che si concretizza nella percezione di tranquillitˆ e sicurezza che lo Stato garantisce ai consociati (6) e che assurge a condizione basilare dellĠesercizio dei diritti individuali. LĠordine pubblico, pur essendo il motivo ispiratore della norma (7), non costituisce esso stesso elemento della fattispecie di devastazione, la quale, dal punto di vista oggettivo,  individuata in maniera a dir poco laconica dal legislatore con le semplici parole Òfatti di devastazioneÓ. Risulta, pertanto, sempre necessaria unĠopera interpretativa da parte del Giudice per determinare a priori quali siano in concreto le condotte che integrano il reato, riconducendo in tal modo la fattispecie allĠinterno dei canoni di tipicitˆ e offensivitˆ. In una prima fase applicativa il delitto in commento veniva ritenuto configurabile solo per casi di guerra civile, ma la giurisprudenza pi recente, sia pur con non poche incertezze dovute proprio alla genericitˆ della formula usata dalla norma incriminatrice, ne ha esteso lĠambito applicativo fino a farvi rientrare ipotesi di gravi disordini commessi nel corso di eventi sportivi o manifestazioni politiche. Quanto allĠelemento oggettivo, la devastazione si caratterizza rispetto ad altre fattispecie analoghe (8), per una capacitˆ distruttiva indiscriminata, vasta e profonda, tale da cagionare non solo un danno patrimoniale ai proprietari, ma anche unĠoffesa concreta allĠordine pubblico (9). A tal fine lĠipotesi delittuosa pu˜ essere integrata sia da una pluralitˆ di fatti che da un singolo atto (10), purchŽ tale da recare in sŽ una grave lesione del- lĠordine pubblico, indipendentemente dalle modalitˆ concrete dellĠazione, trattandosi di reato a condotta libera. Si tratta, in altre parole, di una fattispecie in cui lĠordine pubblico, pur non espressamente menzionato,  una sorta di convitato di pietra, la cui lesione passa attraverso unĠaggressione patrimoniale ma resta indipendente dallĠentitˆ del pregiudizio economico causato (11). Nel caso concreto lĠelemento oggettivo del reato  stato individuato es (6) M. BOUCHARD, Devastazione e saccheggio, in Digesto delle discipline penalistiche, III, UTET, 1989, p. 442. (7) S. MARANI, I delitti contro lĠordine e lĠincolumitˆ pubblica, Giuffr, Milano, 2008, p. 110. (8) Particolarmente problematico  il rapporto con il meno grave reato di danneggiamento di cui allĠart. 635 c.p. Una parte della dottrina ammette il possibile concorso tra devastazione e danneggiamento, v. G. FIANDACA E. MUSCO, Diritto penale: parte speciale, Zanichelli, 2006, p. 479; altra parte della dottrina preferisce inquadrare il rapporto tra i due reati nellĠottica del reato progressivo, v. R. VENDITTI, voce Saccheggio e devastazione, in Enciclopedia del Diritto, XLI, Giuffr, Milano, 1989, p. 187. (9) Cass. Pen., sent. 1 aprile 2010, n. 16553. (10) Cass. Pen., sent. 27 marzo 2009, n. 15543. Detta tesi, ormai ampiamente maggioritaria,  sostenuta da tempo da V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. VI, UTET, 1983, pp. 221-223. (11) Va precisato che a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso la giurisprudenza di legittimitˆ ha abbandonato il criterio quantitativo per distinguere tra devastazione e danneggiamento sostenuto in passato; v. ad es. Cass., S.U., sent. 26 marzo 1960, Niedermajer. LĠorientamento pi recente ritiene invece che la devastazione si caratterizzi rispetto al danneggiamento per la messa in pericolo dellĠordine pubblico; v. ad es. Cass. 16 aprile 2004, n. 25104. senzialmente nellĠaver contribuito al rogo del mezzo blindato dei carabinieri: un comportamento che, pur inserendosi in condotte di distruzione e danneggiamento, assume un disvalore aggravato nella forma della devastazione in virt della sua attitudine a turbare lĠordine pubblico. Sotto questo aspetto, la decisione appare corretta nelle conclusioni ma motivata in maniera fin troppo scarna, senza dare adeguata rilevanza alle modalitˆ dellĠaggressione nŽ al valore simbolico che essa ha avuto nel sottrarre piazza San Giovanni al controllo delle forze dellĠordine nŽ alla potenzialitˆ lesiva del gesto in sŽ; basti considerare al proposito il rischio di esplosione della camionetta. Dal punto di vista psicologico, ai fini della configurabilitˆ del reato, non  richiesto il dolo specifico, ma solo il dolo generico. é quindi sufficiente la coscienza e volontˆ di porre in essere fatti che costituiscono devastazione, mentre resta irrilevante lĠulteriore finalitˆ di attentare allĠordine pubblico (12). Va per˜ considerato che la volontˆ di commettere atti di devastazione implica anche la consapevolezza di contribuire, nellĠambito di condotte antecedenti, concomitanti e susseguenti, a determinare un quadro complessivo di eccezionale gravitˆ. Alla luce di queste considerazioni va vista la sentenza del Tribunale di Roma che ha invece assolto dal reato di cui allĠart. 419 c.p. F.F. per il famoso episodio del lancio dellĠestintore. I due casi sono per molti versi analoghi, perchŽ per entrambi sono stati prospettati i medesimi capi dĠimputazione e perchŽ in tutti e due gli episodi la devastazione sarebbe essenzialmente integrata da un singolo fatto, potenzialmente molto pericoloso e altamente simbolico, tanto da diventare emblema della sovversione dellĠordine pubblico. In entrambi i processi i giudici hanno ritenuto sussistente lĠelemento oggettivo del delitto de quo, mentre per lĠelemento soggettivo hanno reputato necessaria unĠindagine che non si esaurisse nel solo atto incriminato ma considerasse il comportamento degli imputati nel contesto di tutta la manifestazione. AllĠesito di questo accertamento, mentre F.  stato assolto dal capo dĠimputazione per lĠinsussistenza dellĠelemento soggettivo, S.  stato condannato. In realtˆ si tratta in ambo le ipotesi di ragazzi che non si erano presentati travisati alla manifestazione e il cui apporto ai fatti violenti si  concretizzato in un solo atto, non essendo stata segnalata la loro presenza nei teatri delle principali attivitˆ di devastazione. Tutto lascia dunque pensare a condotte non premeditate, ma dovute piuttosto allĠeccitazione creata dal contesto e alla sensazione di trovarsi in una dimensione di sospensione della legalitˆ. In conclusione le differenze tra i due fatti non erano tali da giustificare la diversa qualificazione giuridica dei fatti, che piuttosto va ricondotta a differenti impostazioni seguite dai giudici riguardo alla valutazione dellĠelemento soggettivo. La divergenza dĠimpostazione sta tutta nel fatto che nel caso di F. il Giu (12) Cass. Pen., sent. 29 gennaio 1985, n. 2949. dice ha tenuto conto esclusivamente dei fatti commessi dal singolo agente, insistendo quindi sullĠaspetto psicologico e motivazionale fino ad escludere lĠintenzione di partecipare ad unĠaggressione reiterata ed organizzata tale da compromettere la pace pubblica (13). Non pu˜ sfuggire come una simile lettura tenda ad introdurre surrettiziamente un elemento che la fattispecie non prevede: il dolo specifico, sub specie di finalitˆ ulteriore di sovvertire lĠordine pubblico. Viceversa, la sentenza resa sul caso S., che, come si  evidenziato fin dallĠinizio del presente commento, pone una particolare attenzione alla ricostruzione del contesto in cui si sono svolti i fatti, appare pi aderente al dettato normativo dellĠart. 419 c.p. Infatti il Collegio giudicante, pi che ragionare sulle motivazioni ulteriori che hanno guidato lĠagente, si  concentrato sulla volontˆ di realizzare fatti che, nella loro consistenza oggettiva, costituiscono devastazione. A tal fine non  dunque richiesto alcun accertamento in ordine ad una volontˆ devastatrice o di compromettere lĠordine pubblico, ma  sufficiente la mera consapevolezza delle diverse azioni antecedenti, concomitanti e susseguenti, nonchŽ del pi ampio contesto in cui il proprio comportamento si iscrive. La condotta assume dunque un disvalore maggiore di quello suo proprio non perchŽ sorretta da un particolare scopo, ma in quanto giunge al culmine di una situazione oggettiva di guerriglia, di cui lĠagente si rendeva perfettamente conto e alla quale ha voluto offrire un autonomo apporto causale, contribuendo cos“ in maniera decisiva a sottrarre il luogo pubblico alle pi elementari regole di convivenza. Coerentemente con quanto finora si  detto, seguendo questĠorientamento lĠordine pubblico continua ad essere solo il bene giuridico tutelato e non elemento della fattispecie. Dalla lettura della motivazione della sentenza F. emerge, da parte del giudicante, unĠulteriore profilo di preoccupazione, che spiega lĠinterpretazione erroneamente restrittiva data in relazione allĠelemento soggettivo: il timore che la devastazione altro non sia che una duplicazione dellĠimputazione per resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Il Tribunale in quellĠoccasione aveva ritenuto che lĠelemento distintivo tra i due capi fosse proprio una particolare accentuazione del dolo nella devastazione e per questo vi aveva incentrato la propria statuizione. In effetti il problema del concorso tra devastazione e resistenza aggravata a pubblico ufficiale esiste, ma andava risolto in maniera diversa. Nella sentenza S., coerentemente con lĠinsegnamento della Suprema Corte sul punto (14), si evidenzia infatti che lĠelemento differenziale risiede nella direzione (13) Cos“ testualmente Trib. Roma, 11 giugno 2012: Ònon vi sono elementi univoci ma anzi siamo in presenza di elementi del tutto contraddittori che possano inserire la condotta isolata del F. la cui gravitˆ e disvalore rimangono ampiamente coperti e sanzionati dalla contestazione di cui al capo 1) della richiesta del Pm in una azione pi grave e complessa la cui struttura e finalitˆ si identificavano nella aggressione reiterata ed organizzata della proprietˆ pubblica e privata con conseguente paralisi della cd. Pace PubblicaÓ. (14) Cass. Pen., sent. 5 luglio 2012, n. 26144. della violenza esplicata dallĠagente: la devastazione implica lĠaggressione a beni patrimoniali, di particolare intensitˆ e vastitˆ tali da mettere in pericolo lĠordine pubblico, ma non pu˜ assorbire anche condotte caratterizzate dallĠuso di violenza contro la persona. In conclusione, la decisione in commento sĠinserisce a pieno titolo in quel filone giurisprudenziale che negli ultimi anni ha riscoperto il delitto di devastazione e saccheggio, ritenendolo applicabile a contesti quali manifestazioni sfociate in violenti disordini. Va dĠaltra parte segnalato, ed  evidente giˆ dal- lĠanalisi dei processi aventi ad oggetto i fatti del 15 ottobre 2011, come il surriferito orientamento risulti tuttĠaltro che pacifico, determinando cos“ significative quanto ingiustificate differenze nel trattamento sanzionatorio di vicende analoghe. A ben vedere, il nostro ordinamento sconta lĠinesistenza di figure di reato specificamente preposte a reprimere lĠuso della violenza nel corso delle manifestazioni e cos“  toccato alla giurisprudenza colmare la la- cuna. Tuttavia, nel far ci˜, i giudici hanno utilizzato in maniera ondivaga la fattispecie incriminatrice de qua, con ci˜ menomando la certezza del diritto. NellĠattesa che prima o poi il legislatore metta mano alla materia, magari introducendo circostanze attenuanti ed aggravanti specifiche, cos“ comĠ stato fatto per la resistenza a pubblico ufficiale, lĠauspicio  che la giurisprudenza riesca ad offrire unĠinterpretazione unitaria allĠart. 419 c.p. Come si  giˆ avuto modo di accennare, chi scrive condivide lĠimpostazione seguita dal Tribunale di Roma nel caso S., in quanto pi rispondente al dettato codicistico e alla funzione general-preventiva della norma. Del resto il segreto della sopravvivenza fino ad oggi di un codice che ha pi di ottanta anni risiede proprio in unĠinterpretazione che, scostandosi dalla volontˆ del legislatore storico, ha saputo adattare i modelli astratti previsti dalle norme ad una realtˆ in continua trasformazione. Tribunale di Roma, Sezione Settima Collegiale, sentenza del 30 novembre 2012 n. 16442 -Pres. M. Silvestri, Est. S. Calegari, P.M. F. Minisci. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) L'odierna vicenda processuale trae origine dai drammatici eventi connessi allo svolgimento della manifestazione denominata "Giornata dell'indignazione" che, svoltasi a Roma il 15 ottobre 2011, era stata indetta dal "Coordinamento 15 ottobre" ed aveva raccolto l'adesione di iscritti alla confederazione Cobas, di studenti universitari dell'Universitˆ "La Sapienza", di aderenti ai collettivi universitari della capitale e ai movimenti universitari autonomi di altre cittˆ italiane, di appartenenti al movimento "Roma Bene Comune" nonchŽ dei metalmeccanici di Pomigliano d'Arco e del movimento dei "NO TAV". Dalla deposizione del teste Lamberto GIANNINI, dirigente la Digos della Questura di Roma,  emerso che la predetta manifestazione nazionale ed il relativo corteo, erano stati regolar mente preavvisati per il 15 ottobre 2011 e dovevano svolgersi dalle ore 14.00 alle ore 21.00 circa, su un percorso che, da Piazza della Repubblica, doveva terminare a piazza San Giovanni, attraversando le zone comprese tra via Cavour, via dei Fori Imperiali e viale Manzoni. Sin dai giorni precedenti la manifestazione, le forze di Polizia avevano acquisito informazioni investigative di intelligence in merito alla possibile infiltrazione di gruppi non pacifici di varia natura e di varia estrazione, in particolare di componenti della sinistra antagonista pi estrema, anche di stampo marxista - leninista, di aderenti ai movimenti anarco - insurrezionalisti e di aderenti alle tifoserie ultras di calcio. Conseguentemente la Digos di Roma, unitamente alle altre forze di polizia, aveva deciso di controllare il percorso stabilito dagli organizzatori al fine di evitare uno spostamento in massa, altamente probabile, presso sedi e palazzi istituzionali. Per evitare la messa in pericolo dei bersagli istituzionali, erano stati dislocati, alla testa e alla coda del corteo, contingenti di forze di polizia. Un consistente presidio di militari era stato, inoltre, collocato in piazza San Giovanni e, cio, nel previsto luogo di arrivo della manifestazione. L'attuazione di tale servizio di prevenzione, come narrato dal GIANNINI, si era dimostrato di particolare difficoltˆ a causa dell'eccezionale numero di partecipanti pacifici che, a notevole distanza gli uni dagli altri, erano sparsi lungo l'itinerario stabilito. Il teste ha, altres“, riferito di aver ricevuto, durante lo svolgimento della manifestazione, numerose e particolarmente allarmanti informazioni investigative che segnalavano ripetute e preordinate attivitˆ delittuose che si stavano organizzando in occasione del passaggio del corteo in prossimitˆ di possibili bersagli istituzionali. Conseguentemente la Polizia di Stato, unitamente al personale dell'Arma dei Carabinieri, iniziavano a svolgere attivitˆ coordinate di controllo che portavano al fermo di appartenenti a movimenti anarchici che stavano infiltrandosi nella manifestazione armati di mazze, fionde, biglie ed altri micidiali oggetti atti ad offendere. La situazione si presentava decisamente pericolosa, in quanto, sin dal momento in cui il corteo aveva iniziato a percorrere via Cavour, erano scoppiati i primi tafferugli. In quel frangente, infatti, uno spezzone dei manifestanti, rappresentato dai cost detti "black bloc", da aderenti all' anarco-insurrezionalismo, da appartenenti alle frange antagoniste pi estreme, tutti vestiti in egual modo, si era era mischiato ai manifestanti pacifici e, di fatto, aveva reso, praticamente, impossibile procedere alla loro identificazione, nonostante la preventiva predisposizione di riprese video sia da terra che da mezzi aerei. Il clima si presentava di particolare tensione ed effervescenza. Dietro striscioni di colore arancione, alcuni soggetti avevano iniziato una sistematica opera di devastazione nei confronti di vari obiettivi e, in particolare, del supermercato Elite, di istituti bancari, di uffici postali e di autovetture in sosta. Giˆ in questa fase era risultata particolarmente evidente la programmazione di preordinate azioni delittuose volte, anche in pregiudizio dei pacifici manifestanti, a compromettere l'ordine pubblico ed il regolare, pacifico svolgimento del corteo autorizzato. Veniva tra l'altro rinvenuto, da parte delle forze di polizia, un borsone sospetto che, dopo il suo prelievo, risult˜ contenere otto o nove bottiglie molotov giˆ confezionate e pronte per l'uso. Nel frattempo, un gruppo travisato si era staccato dal corteo e, con cartelli stradali, sampietrini ed altri oggetti contundenti, si era reso responsabile dei danneggiamenti sopra descritti, non astenendosi dal lanciare i medesimi oggetti contro le forze dell'ordine che, all'uopo, avevano creato degli sbarramenti a presidio del centro cittadino e delle sedi istituzionali ivi presenti. Nella fase iniziale della manifestazione, cui stavano partecipando oltre 100 mila persone, il numero dei "devastatori", secondo il dettagliato racconto del teste, poteva essere stimato in appena 400 persone. Sempre piŸ difficoltosa era apparsa l'organizzazione di un intervento calibrato visto che, nei punti c.d. sensibili, i "devastatori", come osservato dall'equipaggio di un elicottero che sorvolava la zona, erano soliti infiltrarsi e farsi scudo dei manifestanti pacifici. I danneggiamenti e le devastazioni erano iniziate, sostanzialmente, a partire dal passaggio presso la stazione metro Colosseo, altezza via dei Fori Imperiali. In questo frangente, per le forze dell'ordine coordinate dal GIANNINI, era risultato impossibile intervenire proprio per la presenza dei manifestanti pacifici nella cui "pancia", come emerso dall' osservazione aerea, si era infiltrato il gruppo dei facinorosi. In via Labicana erano continuati ed avevano preso vigore episodi di estrema gravitˆ e, in particolare, si erano consumati danneggiarnenti e saccheggi di negozi, di autovetture, di un istituto bancario e addirittura di uno stabile eve erano ubicati degli alloggi di servizio della Guardia di Finanza. Le linee di viabilitˆ pubblica urbana nelle zone interessate erano state soppresse ed erano stati constatati numerosi danneggiamenti a telecamere, postazioni dei vigili urbani e cassonetti del- l'immondizia. Qui, a fronte di una prima fuga generale, c'era stato un ricompattamento del manifestanti che avevano posto in essere comportamenti particolamiente aggressivi nei confronti della polizia ed avevano dato inizio a scontri che, senza soluzione di continuitˆ, erano proseguiti per oltre un paio d'ore. Orbene, proprio in concomitanza con tale specifico e drammatico momento della manifestazione, viene a determinarsi una peculiare situazione che, ad avviso del tribunate, offre una precisa chiave di lettura degli eventi successivi e, per ci™ che qui interessa, delle condotte di cui, anche il S., si rese responsabile. Come narrato, nel dettaglio, dal teste Giannini, lĠelevato livello di violenza da parte dei soggetti infiltratisi tra i pacifici manifestanti determin˜ il doveroso intervento del reparti schierati in servizio di ordine pubblico che, con decisione, tentarono di isolare i soggetti violenti. I successivi scontri venutisi a determinate a seguito di quelle azioni indussero i tantissimi manifestanti pacifici a tornare sui propri passi o a cercare via di fuga lungo percorsi altemativi aperti dagli stessi contingenti di polizia. Grazie a tale, opportuna opera di protezione, la gran parte dei partecipanti al corteo fu accompagnata lungo un itinerario alternativo e utile a sottrarla agli scontri di efferata violenza che, nel frattempo, andavano incrementandosi. A questo punto al gruppo degli originari facinorosi, giˆ individuato dalle riprese aeree, si aggiunsero altri soggetti che, senza avere partecipato ai precedenti atti di violenza, si aggregarono ai primi e, anche con la loro attiva presenza, contribuirono ad accentuare il clima di grossa tensione che, giˆ da tempo, era venuto a deterrninarsi. La particolare rilevanza di tale specifico momento della manifestazione rende opportuno riprodurre, testualmente, il racconto del teste GIANNINI che, cos“, si  espresso: ADR GIANNINI; omissis "Gli scontri che io ho rivisto mille volte nei filmati in tutta la loro fase per˜ sulla piazza mi sono solo brevissimamente affacciato proprio per cercare di evitare che anche questĠaltro gruppo venisse coinvolto, c' stato un fortissimo gruppo di soggetti dove ci stavano in parte quelli che avevano disordine prima, altri soggetti che si sono aggiunti anche perchŽ quando si crea una grossa tensione nei confronti delle forze dellĠordine i simpatizzanti sono tanti, si aggregano. Successivamente, nella fase degli arresti, nella fase delle denunce, nella fase delle identificazioni, abbiamo visto quanto fosse composito il mondo dei soggetti che erano stati identificati e arrestati. In questa fase, sostanzialmente, con vari scontri c' un gruppo, parlo di Piazza San Giovanni, sono tre o quattrocento persone, in maniera compatta si inizia ad attaccare le forze di Polizia, forze di Polizia che sono frammentate perchŽ non riescono a ricongiungersi perchŽ c' un fittissimo lancio di oggetti ... tantissimi sampietrini, bottiglie, grossi petardi, fumogeni sono state utilizzate delle transenne che erano state utilizzate delle transenne cheerano state utilizzate per la piazza come arieti e anche per improvvisare delle barricate per cercare di riuscire a bloccare i mezzi perchŽ poi ci sono riusciti, ma il tentativo era proprio di venire a contatto e di riuscire a bloccare i mezzi della Polizia, Guardia di Finanza e Carabinieri che ci stavano che hanno avuto anche difficoltˆ, nei confronti di una aggressione cos“ forte, a fermarsi e fare un 'azione ... io ho parlato con il dirigente che si faceva il servizio, che non riuscivano a disimpegnarsi anche perchŽ c'era grossa difficoltˆ a manovrare con una retromarcia, cose del genere per le persone ... c ' stato quest'attacco violentissiino che  durato per diverso tempo. In questo gruppo, come si vede anche dalle immagini dall'altro, si muoveva sostanzialmente compatto, appena si avvicinava la Polizia si disperdevano, poi si aggregavano e portavano i vari attacchi,  stato piuttosto lungo. C' stato anche l'intervento degli idranti, ma  servito molto poco anche perchŽ ai fini ... insomma, il getto non era tale da poter neutralizzare ... la potenza degli idranti vengono calibrati perchŽ altrimenti si potrebbe fare molto male qualcuno. Vengono fatte anche delle barricate in strada spostando cassonetti, spostando altri mezzi e nel frattempo piccoli scontri e piccoli tafferuigli arrivano anche nelle vie che sono limitrqfe, stiamo parlando di dietro, la parte di Via Sannio, Torquato Tasso, Museo Della Liberazione, questo  quello che accade. Vengono fatti degli arresti in fragranza di reato in questa situazione e, poi, dopo diverso tempo, la situazione in qualche maniera si placa. Affluiscono a sistemare molti altri reparti, i facinorosi non erano pi tantissimi ... alcuni gruppi vengono inseguiti e poi si riescono a defilare arrivando fino a Piazza San Giovanni ... io ritengo che il momento clou per la pericolositˆ  stato l'incendio del mezzo dei Carabinieri perchŽ l“  stata veramente una fortuna che non ci siano state delle conseguenze maggiori sia perchŽ ....  stato colpito con un palo sia perchŽ quello che si  dato alla fuga poi l'abbiamo arrestato, l'abbiamo colpito con una pietra ed  riuscito a rimanere in piedi perchŽ abbiamo tutto questo gruppo intorno. Debbo dire che tutta la fase di questi movimenti e di questi attacchi  stata di estrema drammaticitˆ e violenza. PUBBLICO MINISTERO -lei ha detto che il militare dell'arma  stato colpito con un palo,  stato inseguito, colpito con i sampietrini, sul mezzo che cosa  stato provocato? TESTE -incendiato e distrutto oltre che devastato perchŽ noi abbiamo foto di soggetti travisati che sono andati con i cimeli che poteva essere uno specchietto retrovisore ... PUBBLICO MINISTERO -parliamo di Piazza San Giovanni e dell'incendio del mezzo blindato dei carabinieri. Come si arriva all'identificazione di S.C. TESTE -allora, innanzitutto la collocazione, proprio davanti la scala Santa, Piazza San Giovanni in alto, Piazza del Vicariato era pi tranquilla, leggermente pi in lˆ, l'entrata laterale, l“ questo mezzo viene incendiato, non riesce pi a partire, si incendia e capita quello che poi  nei filmati PUBBLICO MINISTERO -dottor Giannini, volevo capire con riferimento agli scontri che ci sono stati e alle conseguenze che il vostro personale ha avuto, che cosa ci pu˜ dire? TESTE -come Polizia, che ricordi, sono state 64 le persone che hanno fatto ricorso alle cure mediche, le prognosi pi gravi, ho visto le prime e non so poi le evoluzioni, c'erano state deIle fratture, tre o quattro persone con delle fratture quindi erano superiori ai trenta giorni, so che 18 appartenenti alla Guardia di Finanza hanno fatto ricorso alle cure mediche. I Carabinieri hanno fatto la comunicazione diretta, ma penso sicuramente oltre 30. PUBBLICO MINISTERO -senta, lei da quando tempo dirige la Digos di Roma? TESTE -sono alla Digos di Roma sin dal 1992 e la dirigo dal 2004, a mia memoria, non ricordo incidenti cos“ gravi da quando sono alla Digos, non li ricordo. Ho vissuto atti di devastazione sistematica, ma soprattutto di incendi anche a stabili, si  verificata la profanazione di una chiesa, c'era anche un altare collocato in un istituto non li ricordo, devo andare in altre parti d'Italia dove sono stato ad esempio a Genova, ma a Roma no". Alla luce della ricostruzione offerta dal teste GIANNINI, appare, pertanto, conforme alle acquisite risultanze istruttorie affermare che l'incendio del mezzo blindato dei Carabinieri e, dunque, uno degli specifici episodi contestati al S., si  concretizzato proprio al culmine dei gravissimi disordini scoppiati, per ci˜ che qui interessa, all'interno di p.zza San Giovanni. La visione, all'udienza del 19 luglio 2012, di un video contenente anche le immagini relative ai momenti immediatamente antecedenti e successivi a quell'attacco ha permesso di apprezzare, con ancora maggiore perfezione ed attendibilitˆ, lo svilupparsi degli eventi narrati dal teste e, in particolare, il momento in cui il militare a bordo del mezzo venne colpito con un palo e, quindi, dopo essere stato attinto da una grossa pietra scagliatagli durante la fuga, riusc“ a mettersi in salvo. Immediatamente dopo tale tragica sequenza, sempre nel filmato visionato in udienza, si nota l'aggressione del mezzo ad opera di un folto gruppo di violenti che, con ogni tipo di oggetto contundente (bastoni, sampietrini, razzi e bottiglie molotov), prende d'assalto la camionetta ormai abbandonata e, quindi, la danneggia e, infine, la incendia. Proprio in tale specifico frangente si nota, per ci˜ che qui specificamente interessa, una persona che, a volto scoperto e con una maglia tipo baseball di indubbia evidenza, dopo aver incitato altri facinorosi ad avvicinarsi al mezzo dei carabinieri, lancia il contenuto di una bottiglia in direzione del veicolo che appare giˆ in fiamme. Vale, altres“, segnalare, come dalle riprese aeree visionate sempre all'udienza del 19 luglio 2012 sia possibile ricostruire il contesto pi generale in cui viene a registrarsi l'episodio specificamente contestato al S.. Dalle sequenze delle immagini riprodotte in quel video, infatti, emerge come gli atti di ripetuta violenza consumatisi sulla camionetta poi data alla fiamme maturino in un quadro di vera e propria guerriglia urbana che, con tutta evidenza, viene alimentata anche dalle persone che si resero responsabili dell'assalto a quel mezzo blindato. NŽ pu˜, infine, tacersi come, a testimoniare la violenza degli scontri registratisi durante la manifestazione, venivano constatati gli ingenti danni arrecati ad edifici pubblici e privati, ad esercizi commerciali, ad autovetture, alla segnaletica ed alla pavimentazione stradale, ai cassonetti AMA. Analoghi, decisi riscontri alla violenza di quegli scontri emergevano dal numero delle vittime registratesi tra gli appartenenti alle forze di polizia che, alla fine della drammatica giornata, contavano circa un centinaio tra agenti e militari feriti. A questo punto, nonostante la sua, ormai, pacifica identificazione, vale ripercorrere, per completezza di indagini, la pista investigativa che pone alla individuazione del S.. La Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione diram˜ ai vari comandi di pg dislocati sul territorio nazionale alcuni dei fotogrammi che, estrapolati dalle riprese video della manifestazione, ritraevano soggetti particolarmente attivi durante gli scontri avvenuti nella giornata del 15 ottobre 2011 e, tra questi, il fotogramma dell'individuo che gettava oggetti contundenti e il liquido di una bottiglia contro il mezzo blindato dei carabinieri in fiamme. Nella pressochŽ immediatezza delle indagini, il personale della stazione dei CC di Castel Franco di Sotto, sulla base di quella estrapolazione fotografica, riconosceva nell'odiemo imputato uno dei cittadini residenti nella zona di sua competenza. Conseguentemente, come si evince della deposizione del teste 1.gt Quaranta Emanuele, il 27 ottobre 2011, venne effettuata una perquisizione di iniziativa presso l'abitazione del S.. Lo stesso, nel predetto frangente, riconosciuto dai militari come l'individuo rappresentato nel fotogramma divulgato sul sito "IL GIORNALE.IT" quotidiani, confermava di essere ii giovane ritratto nella foto e dichiarava di aver lanciato contro il blindato del CC liquido composto da coca cola e whisky. In tale occasione venivano sequestrati al S.: -gli indumenti indossati il giorno della manifestazione; -un volantino che istigava al boicottaggio degli istituti bancari; -un telefono cellulare con all'intemo immagini del S. con in volto una maschera anti gas, ed un sms con scritte quali: "sbirri assassini" e "picchia duro i celerini", ricevuti immediatamente prima l'inizio della manifestazitme. II S., anche in sede di convalida del fermo, confermava di essere il giovane che, nel fotogramma piŸ volte citato, gettava il contenuto di una bottiglia all'indirizzo del mezzo blindato in fiamme. Quante alle condotte riferibili al S., il racconto dei testi escussi e la visione del DVD contenente le riprese effettuate sia dall'elicottero della Polizia di Stato che da terra, hanno permesso di verificare come l'imputato facesse, sicuramente, parte di un nutrito gruppo di manifestanti che, nella fase degli scontri culminata con l'assalto alla camionetta in questione, si stacc˜ da quest'ultimo e, rivolgendosi all'indietro, invit™ i compaani ad avvicinarsi e, quindi, dopo avere gettato oggetti contundenti contro il mezzo blindato dei CC giˆ in fiamme, svuot˜ il liquido di una bottiglia all' indirizzo di quest' ultimo. Le condotte specificamente contestate all'imputato, pertanto, trovano un preciso ed oggettivo riscontro nel materiale fotografico e video in atti che, per l'appunto, ritrae il S. nell'atto di commettere le azioni a lui specificamente addebitate nel capo di imputazione. Lo stesso imputato, del resto, non potendo contestare la configurabilitˆ a suo carico di quelle condotte, consapevole del grave contesto in cui le stesse furono filmate, rispondendo a specifiche domande rivoltegli nel corso del suo esame, ha giustificato la sua presenza in piazza San Giovanni per avere, senza particolare intenzione di partecipare alla manifestazione, semplicemente accompagnato un'amica di cui, peraltro, non forniva alcun utile elemento di identificazione. Il S., poi, in merito alla richiesta di giustificare le ragioni che lo indussero a rimanere nella piazza nonostante la determinatasi situazione di "guerriglia", chiamato a spiegare il movente che lo spinse a gettare del liquido sul mezzo in fiamme, si  rifugiato nella pi comoda ed in- dimostrata spiegazione, dichiarando di aver agito in stato di ebbrezza e, dunqe, inconsapevole di quanto stesse facendo. Ci˜ posto, appare di tutta evidenza come le dichiarazioni difensive del S. non solo siano smentite dal chiaro contenuto del filmato visionato all'udienza del 19 luglio 2012, ma appaiano contraddette da elementari canoni logici ed altrettanto comuni regole di esperienza. Sotto il primo dei profili prospettati, non pu˜ ignorarsi come la sequenza delle azioni riferibili all'imputato, lungi dal documentarne un suo stato di ebbrezza, testimoni, al contrario, la coerente e consapevole condotta di un soggetto che, totalmente padrone delle sue azioni, intende opporsi, con atti di violenza e in concorso con numerosi, altri manifestanti, al legittimo intervento del personale operante e, quindi, partecipa, attivamente, all'attacco ed all'incendio di un mezzo blindato in specifico e doveroso servizio di ordine pubblico. Sotto il secondo dei profili prospettati, deve, poi, segnalarsi come la presenza del S. nel momento in cui si registr˜ il culmine delle azioni violente in danno delle forze di polizia testimoni, secondo logica e comuni regole di esperienza, non solo, la sua, precisa volontˆ di aderire ad un progetto condiviso con gli altri facinorosi, ma, soprattutto, la sua, altrettanto, evidente intenzione di rafforzarne ed agevolarne le condotte, offrendo un suo, autonomo contributo causale allo, svilupparsi degli scontri che, dopo il lancio di oggetti contundenti, portarono, addirittura, all'attacco ed all'incendio di una camionetta dei carabinieri. NŽ pu˜ tacersi come la valutazione della condotta del S. non possa prescindere dalla doverosa considerazione di una oggettiva circostanza che, emersa dal suo racconto,  stata, con chiarezza, sottolineata dal GIANNINI. Il teste ha riferito, per ci˜ che qui interesa, che l'elevato livello di violenza che ebbe a precedere le azioni registratesi in p.zza San Giovanni aveva determinato la fuga della gran parte dei pacifici manifestanti cui, proprio a causa della drammatica situazione di ordine pubblico venutasi a creare, fu, di fatto, impedito il legittimo esercizio di un diritto costituzionalmente garantito. In tale quadro appare ragionevole ritenere che le documentate, successive condotte del S., lungi dal potersi ricondurre in una occasionale presenza in piazza San Giovanni, sono, piuttosto, da attribuirsi alla sua precisa volontˆ di partecipare, attivamente e a differenza dei tanti, altri manifestanti costretti a fuggire, agli scontri violenti che, come reso evidente dai filmati visionati, trasformarono piazza San Giovanni in un luogo di vera e propria guerriglia in cui risultava impossibile esercitare le pi normali attivitˆ di vita comune. Alla luce delle risultanze istruttorie fin qui esaminate, si , pertanto, dell'avviso che, con tranquilla certezza, possa essere affermata la penale responsabilitˆ del S. con riferimento ad entrambi i reati a lui ascritti. In relazione al capo A), non sembra, infatti, contestabile come le azioni violente di cui si rese consapevolmente responsabile l'imputato fossero destinate a contrastare l'operato dei pubblici ufficiali addetti al servizio di ordine pubblico che, per dovere del loro ufficio e non senza rischi per la loro incolumitˆ personale, furono chiamati ad intervenire per interrompere le gravi azioni di danneggiamento e le altre condotte violente che, di fatto, avevano impedito un pacifico svolgimento di una legittima manifestazione. Parimenti provata deve, poi, ritenersi, ad avviso del tribunale, la sussistenza delle aggravanti ipotizzate con riferimento al delitto di resistenza descritto nel capo di imputazione. Come pacifico in giurisprudenza, per la configurabilitˆ dell'aggravante di cui al comma 2 del- l'art. 339 cp, ҏ necessario e sufficiente che i concorrenti nella esecuzione del delitto siano stati presenti in pi di dieci sul luogo e nel momento in cui la violenza viene perpetrata" ed inoltre "non rileva che alcune di esse siano rimaste non identificate". Orbene, risultando evidente che il S., come emerge dal filmato visionato in udienza, ag“ unitamente ad un nutrito gruppo di altri manifestanti e risultando, altrettanto, evidente che le sue condotte furono agevolaie dalla concomitante presenza di questi ultimi, nessun dubbio sussiste quanto alla configurabilitˆ nel caso di specie dell'aggravante in questione. Ad ulteriore conforto della conclusione cui si  pervenuti vale, altres“, evidenziare come, sempre secondo una consolidata e condivisa giurisprudenza, l'affermazione della effettiva sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 339 II co. c.p. non richieda l'accertamento di un previo concerto degli autori del fatto, essendo sufficiente la consapevolezza, da parte di questi ultimi, che la propria azione si inserisca in un contesto numerico di persone che ne condividono finalitˆ, destinatari e modalitˆ. Ad una conclusione ugualmente sfavorevole all'imputato deve, poi, pervenirsi anche con riferimento alla configurabilitˆ delle ulteriori, due circostanze aggravanti contestate. L'accertato, ripetuto lancio di oggetti e, da ultimo del liquido versato sul mezzo in fiamme, rende, in particolare, evidente come le condotte di resistenza poste in essere dal S. furono consumate con le modalitˆ di cui all'ultimo comma dell'art. 339 cp. NŽ sembra contestabile che le particolari circostanze di tempo e di luogo in cui ebbero a svolgersi i fatti contestati integrino, senz'altro, gli estremi dell'aggravante comune di cui al n. 5 dell'art. 61 cp.. Ove, infatti, si consideri che il S. potŽ agire grazie alla grave situazione di ordine pubblico venutasi a determinare per i ripetuti atti di violenza che portarono la fuga dei pacifici manifestanti; che l'intervento del personale schierato a difesa dell'ordine pubblico fu ostacolato non solo dall'elevato numero di facinorosi, ma dalla loro organizzata azione di resistenza; che, come riferito dal teste GIANNINI, al culmine degli scontri cui partecip˜ l'imputato, la piazza San Giovanni appariva il teatro di atti di vera e propria "guerriglia", appare conforme a logica, oltre che a diritto, ritenere che il S., cos“ come gli viene contestato, abbia, sicuramente, approfittato di una peculiare situazione che, fino al ripristino dell'ordine pubblico, ostacolava la difesa tanto pubblica che privata. Per completezza di indagine, vale, infine, evidenziare come tra le aggravanti ad effetto speciale di cui all'art. 339 c.p. e l'aggravante di cui al n. 5 dell'art. 61 c.p. non sussista, a parere del tribunale, alcuna situazione di incompatibilitˆ nŽ  prospettabile l'assorbimento dell'aggravante comune nell'una o nell'altra delle aggravanti ad effetto speciale. Infatti, la circostanza di aver profittato di condizioni di tempo e di luogo tali da ostacolare la pubblica o privata difesa non costituisce elemento giˆ implicito nelle aggravanti di aver agito in numero di persone superiore a dieci e di aver fatto impiego di oggetti contundenti per potenziare l'azione di contrasto alle forze dell'ordine, ma si configura come elemento diverso ed ulteriore di individuazione della condotta antigiuridica. Quanto ai fatti contestati al capo B) della rubrica, il tribunale  dell'avviso che, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto quello soggettivo, l'accertata condotta del S. debba, per l'appunto, essere ricondotta nel paradigma del delitto di devastazione. Non ignora il tribunale le decisioni di legittimitˆ che, anche di segno opposto, sono intervenute per delimitare l'ambito applicativo della norma incriminatrice di cui all'art. 419 cp. Tuttavia, senza alcuna pretesa di originalitˆ e trascrivendo, testualmente, argomenti sviluppati in una recente decisione adottata dal supremo collegio proprio con riferimento ad un soggetto indagato per gli stessi fatti contestati al S., vale ricordare, in punto di diritto "che la fattispecie di cui all'art. 419 c.p., risulta integrata allorchŽ le condotte di distruzione e danneggiamento, anche aventi ad oggetto uno specifico bene (nel caso di specie, il mezzo blindato dei CC), siano attuate con modalitˆ tali da ledere il bene dell'ordine pubblico, inteso come forma di civile e corretta convivenza" (Cassazione Penale sez. I del 5.07.2012, n. 26144 che richiama sez. I n. 20313 del 29/04/2010). Ritenuta la configurabilitˆ, in astratto, del delitto di devastazione anche con riferimento all'incendio del mezzo blindato cui partecip˜ il S., resta da valutare se, nel caso di specie, possano ritenersi sussistenti le modalitˆ che, secondo la regola di diritto sopra richiamata, valgano ad integrare la ipotizzata violazione delle contestata norma incrimimatrice. La risposta al formulato quesito non pu˜ che essere sfavorevole all'imputato. Nella ricostruzione degli eventi addebitati al S., si , pi volte, evidenziato come le azioni violente di cui questi si rese responsabile si consumarono al culmine degli scontri tra mani- festanti e forze di polizia e, in particolare, quando, la situazione dell'ordine pubblico era gravemente compromessa. Il racconto dei testi escussi e le sequenze del filmato messo a disposizione del tribunale hanno, infatti, testimoniato che, allorchŽ fu attaccato e incendiato il mezzo blindato del carabinieri, la piazza San Giovanni era stata sottratta ai pi elementari usi di civile e corretta convivenza. NŽ pu˜ tacersi, che sempre a causa di quella documentata situazione di "guerriglia" fu, di fatto, inibito ai tantissimi, pacifici partecipanti del corteo di esercitare il loro diritto costituzionale "di manifestare liberamente il proprio pensiero". Deve, pertanto, ritenersi che, in ossequio al principio in diritto richiamato dalla citata sentenza, proprio la ricostruzione dei fatti e delle condone antecedenti, concomitanti e susseguenti alla consumazione delle azioni violente addebitate al S. (creazione di barricate, lancio di oggetti contundenti all'indirizzo di persone e case, utilizzo di armi improprie per l'assalto al veicolo blindato dei carabinieri) rende di tutta evidenza come, nel caso di specie, si sia realizzata una grave lesione al bene giuridico dellĠordine pubblico che, pertanto, vale, senz'altro, ad integrare il contestato delitto di devastazione. Nella stessa decisione, infine, il giudice di legittimitˆ ha avuto modo di precisare, con specifico riferimento al possibile concorso tra i reati contestati al S., che "il reato di resistenza aggravata non pu˜ ritenersi assorbito dal reato di devastazione, stante il fatto che quest'ultimo include condotte di violenza reale che aggrediscono beni patrimoniali (quali danneggiamenti, furti ed altre condotte lesive di interessi patrimoniali) con una vastitˆ tale da generare un pericolo per l'ordine pubblico; la fattispecie non assorbe condotte connotate dall'uso di violenza contro la persona le quali integrano concorrenti fattispecie autonome di reato". Provata la penale responsabilitˆ dell'imputato per entrambi i delitti a lui contestati, appare evidente come la contestualitˆ di tempo e di luogo in cui si sono consumati i fatti, la palese unicitˆ del disegno criminoso che anim˜ il S. consentono di applicargli il trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 81 cp, con conseguente determinazione di una quota di aumento di pena sulla sanzione relativa al pi grave degli accertati reati e, dunque, a quello di devastazione. Sempre con riferimento ai parametri di determinazione della pena, una circostanza merita di essere segnalata in favore dell'imputato. L'analisi delle risultanze istruttorie, evidenzia come da nessuna fonte di prova sia possibile ricavare una partecipazione del S. alla fase organizzativa degli scontri poi registratesi durante, le varie fasi della manifestazione. Parimenti sfornita di prova  una ipotetica partecipazione dell'imputato a fatti avvenuti all'esterno di piazza San Giovanni. In tale quadrq, nella totale assenza di emergenze di segno contrario,  ragionevole affermare che le condotte violente di cui si rese responsabile l'imputato, benchŽ connotate da oggettiva gravitˆ, scaturirono da una, verosimile estemporanea volontˆ dell'imputato che, non diversamente da quanto accaduto per altri manifestanti, matur˜ la decisione di partecipare agli atti di resistenza e di devastazione solo perchŽ animato da un dolo d'impeto e, quindi, senza una sua, qualsiasi, precedente programmazione con appartenenti a gruppi organizzati. Proprio l'assenza di una partecipazione del S. alla pianificazione delle azioni violente, il suo marginale contributo causale alla fase terminale degli scontri consentono, ad avviso del tribunale, di applicare un trattamento di clemenza anche mediante il ricorso all'art. 114 c.p. La condotta del S., infatti, seppur utile a configurare i gravi reati a lui ascritti, non appare comparabile con quella, ben pi aggressiva, degli altri ignoti facinorosi che, durante le varie fasi del corteo, facendosi scudo dei tantissimi, pacifici manifestanti, si resero responsabili di ripetute atti di aggressioni a persone e cose e, con la loro pianificata azione di provocazione, procurarono la ingestibile situazione di ordine pubblico che port˜ allo scatenarsi degli scontri cui prese parte l'imputato. Ove, poi, si consideri che le sequenze del filmato visionato mostrano il S. nell'atto di versare il liquido di una bottiglia su un mezzo blindato giˆ in fiamme, appare conforme a logica ed alle acquisite risultanze istruttorie affermare che quella condotta, seppure apprezzabile quale autonomo contributo alla consumazione degli accertati fatti di devastazione, non fu la causa scatenante dell'incendio che altri avevano giˆ provocato. Anche con riferimento alla fase esecutiva del delitto pu˜, pertanto, stimarsi marginale l'opera che l'imputato ebbe a prestare per la consumazione del delitto di devastazione e, quindi, anche sotto tale profilo, pu˜ trovare applicazione l'attenuante comune di cui all'art. 114 c.p. Avuto, poi, riguardo alla necessitˆ di adeguare la pena al caso concreto e, in buona sostanza, di mitigate la severitˆ delle pene edittali previste per il reato di devastazione, possono essere applicate al S. anche le circostanze attenuanti generiche. In conclusione valutati comparativamente gli elementi tutti di cui all'art. 133 cp, appare conforme a giustizia, in ragione del sistema di calcolo sopra prospettato, condannare lĠimputato alla pena finale e complessiva di anni 5 di reclusione (p.b. anni 8 di reclusione Ñ 1/3 ex art. 114 c.p. Ñ 10 mesi di recl. ex art. 62 bis c.p. + piŸ mesi 6 di recl. ex art. 81 cpv. c.p.). L'affermazione di penale responsabilitˆ dell'imputato e la durata della pena detentiva a lui inflitta comportano la sua condanna al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare nonchŽ l'applicazione nei suoi confronti delle pene accessorie specificate in dispositivo. Ai sensi dell'art. 240 c.p. va disposta la confisca e la distruzione delle cose di cui al verbale di sequestro del 27.10.2011 ad eccezione del computer di marca Acer, di cui al n. 1 , e del telefono cellulare marca Alcatel con relativa scheda Vodafone, di cui al n. 2, delle quali deve essere disposta l'immediata restituzione al S. L'imputato deve poi essere condannato al risarcimento dei danni - da liquidarsi in separata sede, difettando nella presente elementi precisi per la loro determinazione - in favore delle parti civili costituite nonch alla rifusione nei confronti delle medesime delle spese sostenute per il presente giudizio, che vanno determinate nella misura di Û 2.000,00 per ciascuna parte civile. Va respinta la richiesta di provvisionale, difettando la prova degli specifici danni derivanti dalla condotta dell'imputato. II termine per il deposito della presente motivazione, di carattere complesso, viene fissato alla data del 30 novembre 2012. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara S.C. colpevole dei reati a lui ascritti e concesse la circostanza attenuante di cui all'art. 114 c.p. e le circostanze attenuanti generiche, ritenuta la continuazione, lo condanna alla pena finale e complessiva di anni 5 di reclusione (p.b. anni 8 di reclusione Ñ 1/3 ex art. 114 c.p. Ñ 10 mesi di recl. ex art. 62 bis c.p. + mesi 6 di recl. ex art. 81 cpv. c.p.), oltre al pagamento delle spese processuali e di quelle di custodia cautelare. Visti gli artt. 28, 29 e 32 c.p., dichiara S.C. interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale per la durata della pena. Visto l'art. 240 c.p., ordina la confisca e la distruzione delle cose di cui al verbale di seqestro del 27.10.2011 ad eccezione del computer di marca Acer, di cui al n.1; e del telefono cellulare marca Alcatel con relativa scheda Vodafone, di cui al n. 2, delle quali deve essere disposta l'immediata restituzione all'imputato. Visti gli artt. 538 e ss c.p.p., condanna S.C. al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili ATAC s.p.a., Ministero della Difesa, Ministero dell'Interno, AMA s.p.a. e Roma Capitale, da liquidarsi in separata sede e alla rifusione delle spese di costituzione in giudizio che liquida, in favore di ciascuna, in euro 2.000,00. Rigetta la richiesta di provvisionale avanzata dalle predette parti civili. Fissa alla data del 30 novembre 2012 il termine per il deposito della motivazione. Il pubblico impiego dinanzi alla Riforma Fornero Michele Gerardo e Adolfo Mutarelli* SOMMARIO: 1. La problematica esclusione del pubblico impiego dallĠambito applicativo della Riforma Fornero - 2. Le posizioni dottrinati sin qui emerse. La tesi dellĠapplicabilitˆ 3. (Segue) La tesi dellĠinapplicabilitˆ - 4. Le ragioni che militano in favore dellĠinapplicabilitˆ al pubblico impiego delle disposizioni sostanziali della Riforma Fornero - 5. Le ragioni che depongono per lĠapplicabilitˆ al pubblico impiego del nuovo rito speciale previsto dalla Riforma Fornero per i licenziamenti illegittimi. 1. La problematica esclusione del pubblico impiego dallĠambito applicativo della Riforma Fornero. Il legislatore dellĠambiziosa riforma del mercato del lavoro  riuscito a dar vita, si ignora quanto consapevolmente, ad un testo normativo a dir poco sibillino addirittura in ordine al campo di applicazione della riforma. Non  chiaro infatti in che misura la riforma si applichi anche al pubblico impiego e, manco a dirlo, se si applichi il novellato testo dellĠart. 18 della L. 300/1970 sui licenziamenti ed il correlato rito speciale disciplinato agli art. 47-68 del medesimo corpus normativo. I prodromi di tale impiccio erano stati peraltro tempestivamente avvertiti dalla dottrina (1), che giˆ con riferimento al disegno di legge governativo 3249 (divenuto poi riforma del mercato del lavoro) aveva messo in guardia lĠincauto legislatore dal ÒrattoppoÓ dellĠultimo minuto costituito dal compromissorio testo dellĠart. 2 (1Ħ e 2Ħ comma) divenuti poi 7Ħ e 8Ħ commi dellĠart. 1 L. 92/2012 (2). é noto come in occasione della predisposizione del ricordato disegno di legge si sia scatenata una aspra polemica politico-sindacale che ha coinvolto gli stessi Dicasteri del Lavoro e della Funzione Pubblica (3) in ordine allĠap (*) Avvocati dello Stato. Autore dei ¤¤ 1 e 5 Adolfo Mutarelli. Autore dei ¤¤ 2, 3 e 4 Michele Gerardo. (1) F. CARINCI, Complimenti, dottor Frankenstein: il disegno di legge governativo in materia di riforma del mercato del lavoro, in LG, 2012, 6, 529; S. MAGRINI, Quer pasticciaccio brutto (dellĠart.18), in ADL, 2012, 3, 535; M. GERARDO, Contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico e giurisdizione del giudice ordinario, in M. GERARDO, A. MUTARELLI, Il processo nelle controversie di lavoro pubblico, Giuffr, 2012, pag. 29, nota 40. (2) LĠosservazione di L. ZOPPOLI, La riforma del mercato del lavoro vista dal Mezzogiorno: profilo giuridico istituzionali, in http://www.giuslavoristi.it, secondo cui Ǐ troppo evidente in questo caso il rattoppo dellĠultimo minuto realizzato in considerazione delle polemiche suscitate dallĠeventuale applicazione del ÒnuovoÓ art. 18 St. lav. anche ai dipendenti pubbliciÈ. (3) L. OLIVERI, Una controriforma per il pubblico impiego, in www.lavoce.info.it; V. BRANCACCIO, E. CAVALLARO, LĠarticolo 18, pulizie di primavera, in Il Manifesto, 22 aprile 2012. plicabilitˆ al pubblico impiego della disciplina di cui al novellato testo dellĠart. 18 Statuto dei lavoratori. Figli di questa aspra polemica sono appunto i ricordati commi 7 e 8 dellĠart 1 L. 92/2012 secondo cui: Ò7. Le disposizioni della presente legge, per quanto da essa non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui allĠart. 1, comma 2, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, in coerenza con quanto disposto dallĠart. 2 comma 2 del medesimo d. lgs. Restano ferme le previsioni di cui allĠart. 3 del medesimo d. lgs. 8. Ai fini dellĠapplicazione del comma 7 il Ministro per la Pubblica Amministrazione e la semplificazione, sentite le Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalitˆ e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle Amministrazioni PubblicheÓ. Giˆ ad una prima lettura  agevole osservare che le richiamate disposizioni sono state concepite senza tener conto che alcuna delle disposizioni modificate e - per quanto di interesse - tra queste in particolare lĠart. 18, erano giˆ operanti nella disciplina del pubblico impiego in virt dellĠespresso rinvio contenuto nel 2Ħ comma dellĠart. 51 del T.U. 165/2001 Òalla legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni e integrazioniÓ secondo cui Òla legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni e integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendentiÓ. Richiamo reso pi stringente e completo dal 2Ħ comma dellĠart. 2, T.U. 165/2001 alla luce del quale Òi rapporti di lavoro dei dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo 1, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nellĠimpresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativoÓ. SicchŽ rispetto al novellato testo dellĠart. 18 St. lav. risulta quanto mai arduo stabilire se tale disposizione sia nella mens legis destinata a costituire principio cui dovrˆ informare la propria azione il Ministro per la pubblica amministrazione e per la semplificazione per definire modalitˆ e tempi dellĠarmonizzazione della disciplina alle amministrazioni pubbliche o, viceversa, destinata a costituire disciplina di immediata applicazione in virt del rinvio dinamico di cui al ricordato 2Ħ comma dellĠart. 51, T.U. 165/2001 rispetto a cui alcun effettivo argine sarebbe riuscito a porre il comma 7 dellĠart. 1 della riforma Fornero. 2. Le posizioni dottrinali sin qui emerse. La tesi dellĠapplicabilitˆ. LĠillustrato quadro normativo  tale da rendere ragionevolmente plausibile ognuna delle opzioni ermeneutiche astrattamente configurabili (e configurate) dinanzi a tale anodina trama normativa. Pur essendo state infatti formulate in dottrina tutte le opzioni possibili non pu˜ infatti ritenersi che si sia individuata una definitiva chiave di lettura normativa del testo. Secondo una parte della dottrina laddove la riforma interviene su disposizioni giˆ applicabili al pubblico impiego le modifiche apportate non potrebbero non essere applicate al lavoro pubblico. Ci˜ in quanto la previsione di cui al 7Ħ comma dellĠart. 1 della L. 92/2012 non sembra idonea sul piano tecnico/giuridico a modificare lÔambito di applicabilitˆ delle norme oggetto di riforma (4). Ad analoghe conclusioni perviene altro orientamento secondo cui lĠinciso Òper quanto da esse non espressamente previstoÓ andrebbe letto quale Òsalva espressa previsione in senso contrarioÓ (5). In tale prospettiva lĠespressa diversa previsione sarebbe da ricercare non solo nella legge 92/2012 - laddove vi  un espresso riferimento alla Pubblica Amministrazione - ma anche in tutte quelle altre disposizioni che sono destinate a trovare applicazione immediata anche nellĠambito del lavoro pubblico per effetto della Òfunzione di travasoÓ garantita dallĠart. 51, 2Ħ comma nonchŽ dallĠart. 2, 2Ħ comma del T.U. 165/2001 (6). Deve tuttavia segnalarsi come lĠillustrato orientamento dottrinario si diversifichi poi allĠinterno in ordine alla problematica dellĠapplicabilitˆ al pubblico impiego del nuovo rito speciale disciplinato dai commi da 48 a 67 dellĠart. 1 della L. 92/2012 che, per dettato del comma 47 si applica Çalle controversie aventi ad oggetto lĠimpugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dallĠart. 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapportoÈ. Secondo una prima opzione ricostruttiva, lĠesclusione di carattere generale di cui allĠart. 1 comma 7 della riforma del mercato del lavoro sarebbe idonea a giustificare lĠinapplicabilitˆ al pubblico impiego del nuovo rito speciale per i licenziamenti in quanto il legislatore, in questo caso ed a differenza del- lĠart. 18, non  intervenuto su una norma giˆ applicabile per rinvio al pubblico impiego ma  intervenuto predisponendo un rito speciale del tutto nuovo (7). Da tale prospettiva pertanto si osserva che mentre le modifiche della legge 92/2012 concernenti la disciplina sostanziale dei licenziamenti devono trovare (4) L. GALANTINO, Diritto del lavoro pubblico, Torino 2012, pag. 16. (5) é questa la posizione di A. TAMPIERI, La legge 92/2012 e il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in G. PELLACANI (a cura di), La riforma del lavoro, Giuffr, 2013, pag. 29. (6) Per lĠapplicabilitˆ del nuovo testo dellĠart. 18 al pubblico impiego, v. L. CAVALLARO, LĠart.18 St. Lav. e il pubblico impiego: breve (per ora) storia di un equivoco, in LPA, 2012, 1019; A. TAMPIERI, La legge 92/2012 e il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, cit., pag. 29 ss.; G. GENTILE, I dipendenti delle Pubbliche amministrazioni, in M. CINELLI, G. FERRARO, O. MAZZOTTA (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro. Dalla riforma Fornero alla legge di stabilitˆ 2013, Giappichelli, 2013, 227; C. MUSELLA, Il rito speciale in materia di licenziamenti, ivi, 359; E.A. APICELLA, Lineamenti del pubblico impiego privatizzato, Giuffr, 2012, 208 ss.; R. RIVERSO, Indicazioni operative sul rito Fornero (con una divagazione minima finale), in www.altalex.com. (7) Cos“ A. TAMPIERI, La legge n. 92/2012 e il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, cit., 33. applicazione anche nel settore pubblico in quanto relative a disposizioni sostanziali giˆ applicabili, viceversa le ulteriori novitˆ del rito in materia di licenziamenti non dovrebbero trovare applicazione non intervenendo direttamente su norma giˆ applicabile al pubblico impiego (8). Partendo viceversa dal carattere necessario ed esclusivo del nuovo rito previsto dalla legge sul mercato del lavoro si ritiene che lo stesso sia applicabile anche al pubblico impiego in quanto alcuna indicazione contraria  desumibile dal complesso normativo della L. 92/2012. Sicch le impugnative del licenziamento del pubblico impiegato non potrebbero ritenersi sottratte al nuovo rito (9). 3. (Segue) La tesi dellĠinapplicabilitˆ. Sul fronte opposto si osserva che, alla luce dellĠart. 1, comma 1, l. 92/2012, le finalitˆ perseguite dalla riforma del mercato del lavoro appaiono ritagliate a misura del lavoro privato con lĠevidente corollario che il successivo 7Ħ comma dellĠart. 1, seppur di infelice formulazione, non pu˜ che essere letto come presidio dei dichiarati obiettivi normativi apparendo quindi del tutto coerente lĠesclusione del lavoro pubblico dallĠambito del complesso normativo. In tal prospettiva si rileva altres“ come la soluzione di tecnica legislativa di cui ai commi 7 e 8 del ricordato articolo 1 non  cos“ distante da quella utilizzata nel d. lgs. 10 settembre 2003 n. 276, che oltre a prevedere la generale esclusione del pubblico impiego stabiliva allĠart. 86 comma 8 che il Ministro della funzione Pubblica convocasse entro sei mesi le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni per esaminare i profili di armonizzazione conseguenti allĠentrata in vigore della nuova disciplina, e ci˜ anche ai fini dellĠeventuale predisposizione di provvedimenti legislativi in materia (di cui oggi si  tuttora in attesa). LĠesclusione del lavoro pubblico dallĠambito della riforma del mercato del lavoro viene cos“ veicolata in una progressiva scelta politica che se non va in dichiarata contro- tendenza rispetto al processo di privatizzazione del pubblico impiego ne connota tuttavia una lenta erosione su aspetti normativi di particolare rilievo (10). Tale orientamento postula pertanto la coesistenza di un testo ÒstoricoÓ dellĠarticolo 18 applicabile al pubblico impiego e un testo vigente applicabile al lavoro privato. In ordine al fenomeno della sopravvivenza del testo dellĠarticolo 18 ante novella la stessa viene variamente spiegata come effetto implicitamente abrogativo del comma 2 dellĠarticolo 51 del d.lgs. 165/2001 determinato dallĠesclusione del pubblico impiego contenuta nel comma 7 del (8) Cos“ G. GENTILE, I dipendenti delle pubbliche amministrazioni, cit., 229. (9) C. MUSELLA, Il rito speciale in materia di licenziamento, cit., pag. 359; P. CURZIO, Il nuovo procedimento in materia di licenziamenti, in P. CHIECO (a cura di), Flessibilitˆ e tutele del lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, Bari 2012, 8 ss.. (10) F. CARINCI, Articolo 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, in LPA, 2012, pag. 247 ss.. lĠarticolo 1 L. 92/2012 (11) o, viceversa, meramente disapplicativo (12) od ancora, pi radicalmente, dovendosi ritenere come sopravvissuto per rinvio materiale il vecchio testo dellĠart. 18 Stat. lav. (13). Pertanto il testo storico dellĠart. 18 in tale assetto ricostruttivo rimarrebbe operativamente applicabile ai rapporti di pubblico impiego sino allĠeventuale attuazione dellĠarmonizzazione preannunziata dallĠ8Ħ comma, dellĠart. 1 L. 92/2012 (e sin qui neanche avviata). Quanto allĠapplicabilitˆ ai licenziamenti del lavoro pubblico del nuovo rito speciale anche in tale orientamento si registra una difformitˆ di soluzioni. Secondo taluno dovrebbe in ogni caso applicarsi il nuovo rito in quanto il 47Ħ comma dellĠart. 1 l. 92/2012 non individua come discrimen per lĠassoggettamento a nuovo rito lĠapplicabilitˆ alla controversia dellĠart. 18 dello Statuto dei lavoratori nel testo novellato (14). Per altri invece il nuovo rito non potrebbe ritenersi applicabile in virt della pi generale esclusione del pubblico impiego dallĠambito di operativitˆ della legge (15). 4. Le ragioni che militano in favore dellĠinapplicabilitˆ al pubblico impiego delle disposizioni sostanziali della Riforma Fornero. Il richiamo contenuto agli artt. 2, 2 comma e 51, 2 comma d. lgs. 165/2001 alle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nellĠimpresa ed alla l. 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni ed integrazioni opera un rinvio mobile (detto anche formale o non-recettizio) in quanto viene richiamato non uno specifico atto, ma una fonte di esso (16). Con il rinvio mobile vengono recepite tutte le modifiche che si producono nella normativa posta dalla fonte richiamata. In presenza di tale sistema, le leggi sui rapporti di lavoro subordinato nel- l'impresa si applicano al rapporto di lavoro pubblico a prescindere da specifici richiami nelle stesse contenute. Necessaria , invece, lĠespressa previsione della non applicazione al fine di escludere lĠapplicazione delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nel- l'impresa al lavoro pubblico. Un esempio in questĠultimo senso  rinvenibile nellĠart. 1 comma 2 (11) F. CARINCI, Articolo 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, cit., pag. 255. (12) E. PASQUALETTO, La questione del pubblico impiego privatizzato, in C. CESTER, I Licenziamenti dopo la legge 92 del 2012, Cedam, 2013, pag. 58, nota 20. (13) A. VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, Giappichelli 2012, pag. 55. (14) In tal senso F.M. GIORGI, Il nuovo processo per lĠimpugnazione dei licenziamenti. Questioni generali, in ID. (coordinato da), La riforma del mercato del lavoro, Jovene, 2012, pag. 318. (15) C. ROMEO, La Òlegge ForneroÓ e il rapporto di impiego pubblico, in LPA, 2012, pag. 713. In tal senso sembra potersi leggere M. DE CRISTOFARO, G. GIOIA, Il nuovo rito dei licenziamenti: lĠanelito alla celeritˆ per una tutela sostanziale dimidiata, in www.judicium.it, pag. 5, nota 10. (16) Ex plurimis, R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, G.Giappichelli, 2012, pag. 319 ss.. D.L.vo 10 settembre 2003 n. 276 ( cd. Legge Biagi) (17), relativo alla attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30, secondo cui ÒIl presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personaleÓ. Come si  giˆ osservato analoga esclusione  disposta dalla riforma Fornero, in termini generali che coinvolgono anche la novella dellĠart. 18 St. lav. Dispone infatti il pi volte citato comma 7 dellĠart.1, secondo cui: ÒLe disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in coerenza con quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo. Restano ferme le previsioni di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativoÓ. Il menzionato comma stabilisce la generale inapplicabilitˆ delle le disposizioni contenute nella legge Fornero al lavoro pubblico - rimettendosi al meccanismo disciplinato nel successivo comma 8 la possibile estensione - tranne quelle espressamente (Òper quanto da esse non espressamente previstoÓ) dalla stessa dichiarate applicabili al lavoro pubblico. Un esempio in questĠultimo senso  rinvenibile nellĠart. 1 comma 32 (18) della L. n. 92/2012 che, novellando lĠart. 70 del d.lgs. n. 276/2003, amplia la possibilitˆ per il committente pubblico di far ricorso al lavoro accessorio. Orbene, nelle disposizioni della legge Fornero non vi  la espressa previsione dellĠapplicabilitˆ al pubblico impiego della novella allĠart. 18 St. lav. (17) S. MAINARDI, D. lgs. 10 settembre 2003, 276 e riforma del mercato del lavoro: lĠesclusione del pubblico impiego, in LPA, 2003, I, 1069. (18) Per il quale: ÒAl decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modificazioni: a) l'articolo 70  sostituito dal seguente: ÇArt. 70 (Definizione e campo di applicazione). - 1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attivitˆ lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalitˆ dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell'anno precedente. Fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso di un anno solare, nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti, le attivitˆ lavorative di cui al presente comma possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati annualmente ai sensi del presente comma. Per l'anno 2013, prestazioni di lavoro accessorio possono essere altres“ rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, fermo restando quanto previsto dal comma 3 e nel limite massimo di 3.000 euro di corrispettivo per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. L'INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio. 2. [É] 3. Il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico  consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilitˆ interno. 4. [É]È. La peculiare formulazione del comma 7 richiede per lĠimmediata applicazione al lavoro pubblico dei precetti contenuti nella legge n. 92/2012 una espressa previsione nel senso che la specifica disposizione sia destinata ad operare anche per i Òrapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165Ó. Quanto detto implica che si deve escludere la conclusione per cui tutte le volte che la legge Fornero contenga previsioni modificative di disposizioni rese applicabili al rapporto alle dipendenze della Pubblica Amministrazione da altri contesti normativi -rectius: dal rinvio mobile operato dagli artt. 2 comma 2 e 51 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001 - ci˜ equivalga ad una espressa previsione quale quella richiesta dal citato comma 7 (Òper quanto da esse non espressamente previstoÓ) per lĠapplicabilitˆ alla pubblica amministrazione. Non si pu˜ pertanto ritenere che le norme giˆ applicabili alla pubblica amministrazione continuino ad essere applicate alla Pubblica Amministrazione nel nuovo testo Fornero. Ci˜ non appare consentito dal pur atecnico dettato della disposizione di cui al comma 7 in esame di cui non si pu˜ non cogliere lĠintento ad excludendum solo se messa a confronto con gli artt. 51, 2Ħ comma, e 2, 2Ħ comma del D.L.vo n. 165/2001. Da tale raffronto emerge con sufficiente chiarezza che la previsione di cui al comma 7, dellĠart. 1, L. 92/2012 intende porsi come argine al rinvio dinamico contenuto nelle ricordate disposizioni del d. lgs. 165/2001 escludendone lĠoperativitˆ. LĠinterpretazione letterale e sistematica conduce ad una lettura secondo cui sono applicabili alla Pubblica Amministrazione solo ed esclusivamente quelle disposizioni la cui applicabilitˆ  espressamente prevista dalla stessa legge Fornero. Difatti: -il precetto generale della disposizione di cui al settimo comma dellĠart. 1 L. 92/2012  quello della inapplicabilitˆ delle Òdisposizioni della presente leggeÓ ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni; -il precetto Òper quanto da esse [rectius: Òdisposizioni della presente leggeÓ] non espressamente previstoÓ non pu˜ - logicamente - che riferirsi a quelle disposizioni che prevedano lĠapplicabilitˆ delle Òdisposizioni della presente leggeÓ ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. LĠillustrato canone interpretativo appare peraltro sintonico rispetto alla evoluzione della disciplina riservata al pubblico impiego che ha visto nel tempo di fatto annacquato (o forse pi propriamente eluso) il carattere dinamico di ricordati rinvii che avrebbero dovuto per il legislatore della privatizzazione assicurare la costante armonizzazione del regime normativo tra impiego pubblico e privato. Ne consegue che il rapporto tra il d. lgs. 165/2001 e la L. 92/2012 non pu˜ essere scrutinato nei termini di un rapporto di successione tra leggi in quanto tale possibilitˆ appare inibita dalla scelta ad excludendum compiuta dalla legge Fornero. Pu˜ pertanto ritenersi che al rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione continua ad applicarsi il testo ÒstoricizzatoÓ dellĠart. 18 L. 300/70 vigente alla data di entrata in vigore della legge Fornero non in virt di un preteso carattere materiale del rinvio di cui al 2Ħ comma dellĠart. 51 d. lgs. 165/2001, bens“ per volontˆ legislativamente codificata nella riforma Fornero di rimettere proprio il settore ÒcaldoÓ del licenziamento disciplinare alla contrattazione collettiva cui era stato ÒscippatoÓ dalla riforma Brunetta. Ci˜ in evidente sintonia con la pax stipulata con le organizzazioni sindacali per il pubblico impiego con il protocollo 3 maggio 2012 - intesa raggiunta tra il Ministero per la Pubblica Amministrazione e la semplificazione, i sindacati maggiormente rappresentativi dei dipendenti pubblici e le amministrazioni locali (poi approvata in data 10 maggio 2012 dalla conferenza Regioni e Provincie autonome) - il quale giˆ prevedeva lĠindividuazione di forme di stabilitˆ in caso di licenziamento. NŽ pu˜ nascondersi che questo potrebbe rivelarsi come un definitivo disancoramento della disciplina del pubblico impiego dalla stagione (invero breve) della ricerca di armonizzazione con lĠimpiego privato. 5. Le ragioni che depongono per lĠapplicabilitˆ al pubblico impiego del nuovo rito speciale previsto dalla Riforma Fornero per i licenziamenti illegittimi. Altro osso duro della riforma in esame  costituito dalla problematica dellĠapplicabilitˆ al pubblico impiego del nuovo rito speciale (19) disciplinato dai commi da 47 a 68 dellĠart. 1 della riforma sul mercato del lavoro e, in particolare, se la sua applicabilitˆ sia (o meno) condizionata dalla soluzione che si accolga sul pi ampio tema della applicabilitˆ al lavoro pubblico della complessiva riforma in esame. Deve in primo luogo osservarsi come, pur aderendo allĠorientamento secondo cui il pubblico impiego deve ritenersi escluso dallĠambito di operativitˆ della riforma Fornero, non sembra possa conseguirne lĠinapplicabilitˆ del nuovo rito speciale in essa disciplinato. Sul piano sostanziale non appare percepibile alcuna incompatibilitˆ strutturale tra tutela sostanziale e processuale tenuto conto che il nuovo rito  dichiaratamente applicabile Òalle controversie instaurate successivamente alla entrata in vigore della presente leggeÓ (comma 67, art. 1, l. 92/2012) e quindi anche a licenziamenti intimati prima della entrata in vigore della stessa (e cio (19) Rito speciale costruito a m˜ di ÒadattataÓ sintesi del procedimento ex art. 28 Statuto dei lavoratori (per la fase sommaria definita con ordinanza e, in ipotesi di opposizione, per il primo grado di giudizio definito con sentenza) con lĠinnesto del rito divorzile (per la fase di reclamo introdotta con ricorso). Cos“ M. GERARDO, Contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico e giurisdizione del giudice ordinario, cit., pag. 29, nota 40. intimati sulla base del testo dellĠart. 18 ante riforma). Sotto il profilo ermeneutico pu˜ inoltre osservarsi che la congiunzione ÒeÓ con cui il comma 47 dellĠart. 1 della L. 92/2012 circoscrive lĠapplicabilitˆ del nuovo rito alle ipotesi disciplinate Ò dallĠart. 18, L. 20 maggio 1970 n. 300, e successive modificazioniÓ non denota un concetto unitario bens“ due distinti spazi di operativitˆ della disposizione, costituiti dallĠart. 18 nel testo previgente alla L. 92/2012 nonchŽ sempre dallo stesso art. 18 come integrato dalle modifiche apportate dalla legge Fornero. Tale opzione semantica risulta rafforzata dalla circostanza che la locuzione Òe successive modificazioniÓ  collocata tra due virgole. In ogni caso lĠapplicazione del rito non potrebbe ritenersi preclusa dal- lĠinsostenibile leggerezza dello sbarramento costituito dal comma 7 dellĠart. 1, L. 92/2012 anche perchŽ nella lettura proposta il comma 47 dellĠart. 1 l. 92/2012 costituirebbe ex se disciplina direttamente applicabile al pubblico impiego in quanto idonea ad integrare quella Òespressa previsioneÓ normativa salvifica, alla luce dello stesso comma 47 dellĠart. 1 l. 92/2012, della applicabilitˆ delle disposizioni al pubblico impiego. Non appare peraltro in alcun modo ipotizzabile la attribuzione al Ministro per le Pubbliche Amministrazioni e le semplificazioni (art. 1, comma 8, L. 92/2012) dellĠindividuazione e della definizione di una disciplina rigorosamente processuale da applicare al pubblico impiego. A meno che non si auspichi lĠintroduzione di un nuovo rito Òpi speciale degli altri" (20) e sempre che una tale opzione possa ritenersi (a paritˆ di tutela) costituzionalmente ÒragionevoleÓ (21). Del resto in tale senso milita lo stesso comma 7 dellĠart. 1 l. 92/2012, allorchŽ circoscrive la natura programmatica Òdelle disposizioni della presente leggeÓ esclusivamente a quelle concernenti la Òregolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioniÓ . Mentre infatti  comprensibile sul piano della ragionevolezza che il recesso della pubblica amministrazione sia regolato da norme diverse da quelle che disciplinano lĠanalogo potere dei datori di lavoro privati, non altrettanto pu˜ dirsi a proposito della disciplina processuale delle controversie aventi ad oggetto lĠimpugnazione dei licenziamenti (22). Non sembra peraltro condivisibile neanche lĠorientamento (23) secondo cui (pur nel lodevole intento di pervenire ad una soluzione compositiva del ser (20) Sulla semplificazione e riduzione dei riti in chiave di garanzia della celeritˆ del processo sia consentito il rinvio a: M.GERARDO, A.MUTARELLI, Sulla causa della ÒirragionevoleÓ durata del processo civile e possibili misure di reductio a ÒragionevolezzaÓ, in www. judicium.it, pag. 110. (21) La previsione di riti differenziati non  in quanto tale incostituzionale essendo riconosciuto al legislatore disporre apposite discipline differenziate sempre con lĠovvio limite che la adottata differenziazione sia costituzionalmente ÒragionevoleÓ. Su tali profili L.P. COMOGLIO, Tutela differenziata e pari effettivitˆ nella giustizia civile, in Riv. dir. proc., 2008, pag. 1526. (22) In tal senso: Trib. Roma ord. 23 gennaio 2013, inedita. (23) C. MUSELLA, Il rito speciale in materia di licenziamento, cit., 359. rato dibattito oramai aperto in subiecta materia) il nuovo rito si applicherebbe solo in via transitoria e cio fino a quando non saranno adottate le iniziative di cui al comma 8 dellĠart. 1 della riforma in esame. Tale opzione sembra palesare una insanabile contraddizione: se infatti il nuovo rito deve costituire per il pubblico impiego solo un criterio cui informare il (futuribile) processo di armonizzazione ci˜ vuol dire che lo stesso non  applicabile neanche medio tempore. Il comma 7 dellĠart. 1 l. 92/2012 non contiene infatti una mera disciplina di carattere intertemporale delle riforma Fornero bens“ individua il criterio discretivo tra disposizioni immediatamente applicabili e Òcriteri e principiÓ da porre a base delle auspicabili iniziative di armonizzazione: tertium non datur. é a questo punto da chiedersi se valga lĠinverso. Se cio alla ritenuta applicabilitˆ al pubblico impiego della riforma dellĠart. 18 Statuto dei lavoratori consegua (o meno) lĠapplicabilitˆ del nuovo rito speciale sui licenziamenti. Al riguardo non sembrano potersi condividere quegli orientamenti che, seppur sotto vari profili, postulano rispetto al pubblico impiego la divaricazione tra lĠart. 18 St. lav. nel testo post Fornero e il rito speciale sui licenziamenti. é infatti di solare evidenza che ove ritenuto applicabile al pubblico impiego il testo novellato dellĠart. 18 St. lav. non potrebbe poi non riconoscersi al licenziato ÒpubblicoÓ una pari dignitˆ di tutela processuale rispetto al lavoratore privato. Ed indubitabile al riguardo che tra rito e disciplina sostanziale come concepiti nella legge l. 92/2012 vi  uno stretto rapporto tra compressione della tutela reintegratoria a fronte di licenziamenti illegittimi e la costruzione di un processo speciale a tempi serrati. Nella riferita prospettiva appare pertanto inaccettabile una dissociazione tra rito e nuovo testo dellĠart. 18 che peraltro potrebbe dar luogo ad evidenti censure di costituzionalitˆ sia rispetto al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) sia rispetto al diritto di difesa (art. 24 Cost.). Una tale disparitˆ di trattamento non appare infatti costituzionalmente tollerabile e certo cadrebbe sotto la scure dalla Corte Costituzionale cui pure in passato si  addebitata la responsabilitˆ di non aver colto lĠoccasione di astenersi dal differenziare il trattamento tra lavoro pubblico e privato in tema di cumulo di interessi e rivalutazione monetaria (24). Non va per˜ sottaciuto al riguardo che nella ricordata occasione la Corte era stata investita della questione di costituzionalitˆ non in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. (bens“ con riferimento allĠart. 36 Cost.) e che nei giudizi a quibus la questione era stata sollevata solo con riferimento ai datori di lavoro privati per cui la Corte era tenuta ad applicare il vincolo processuale della cor (24) Corte Cost., 2 marzo 2000, n. 459, in Giur. Cost., 2001, pag. 119, con nota di P. PASSALACQUA, Sul cumulo tra rivalutazione e interessi per i crediti di lavoro la Corte Costituzionale reintroduce lĠinstabile regime delle tutele differenziate. rispondenza tra chiesto e pronunciato in conformitˆ del principio desumibile per tali giudizi dallĠart. 27 L. 11 marzo 1953, n. 87 (25). Nel caso di specie infatti, oltre ai ricordati parametri costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.), potrebbe configurarsi altres“ unĠincompatibilitˆ con gli artt. 14 e 26 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici con conseguente interessamento anche del parametro di costituzionalitˆ costituito dal 1Ħ comma dellĠart. 117 Cost. Pertanto, ove si ritenga la nuova disciplina sui licenziamenti legittimi estesa al pubblico impiego, lĠapplicabilitˆ del nuovo rito speciale diviene lĠunica possibile interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni in rassegna. Peraltro, sul piano pi rigorosamente processuale, il nuovo rito speciale disciplinato dalla L. 92/2012 costituisce modalitˆ esclusiva per lĠesercizio dellĠazione giudiziale riconosciuta al lavoratore dinanzi al licenziamento illegittimo (26). SicchŽ anche sotto tale profilo non appare concretamente percorribile una opzione ricostruttiva sostanzialmente ambigua che da un lato non esclude il pubblico impiego dallĠapplicazione dellĠart. 18 St. lav. nuova formula e, dallĠaltro, lo esclude dallĠunica forma processuale di quella tutela (27). In via conclusiva deve ritenersi che il nuovo rito speciale previsto dalla riforma Fornero a fronte di licenziamenti illegittimi si applica al pubblico impiego indipendentemente dallĠorientamento assunto in ordine alla pi generale esclusione (o meno) di tale comparto delle disposizioni sostanziali della l. 92/2012 (28). Rimane in ogni caso irrisolto (e irresolubile) stabilire se il Òcapolavoro di italica furbiziaÓ (29) operato dallĠÒignoto staff tecnico preposto alla stesura di (25) In ordine alle regole cui  sottoposto giudizio della Corte per quanto attiene al thema decidendum, v. G. ZAGREBELSKY, Processo costituzionale, in Enc. Dir., XXXVI, Milano, 1987, pag. 594. (26) P. SORDI, LĠambito di applicazione del nuovo rito per lĠimpugnazione dei licenziamenti e disciplina della fase di tutela urgente, relazione svolta nellĠincontro di studio ÒLa riforma del mercato del lavoro nella legge 28 giugno 2012 n. 92Ó organizzato a Roma il 29-31 ottobre 2012, pag. 5. (27) Per la natura necessaria del nuovo rito F.M. GIORGI, Il nuovo processo per lĠimpugnazione dei licenziamenti. Questioni generali, cit., pag. 306; L. DE ANGELIS, Art. 18 dello Statuto dei lavoratori e processo: prime considerazioni, in WP C.S.D.L.E. ÇMassimo DĠAntonaÈ.it, n. 152/2012, pag. 11; G. PACCHIANA PARRAVICINI, Il nuovo art. 18 St. Lav.: problemi sostanziali e processuali, in Mass. Giur. lav., 2012, pag.755; P. CURZIO, Il nuovo rito per i licenziamenti, WP C.S.D.L.E. ÇMassimo DĠAntonaÈ.it, n. 158/2012, pag. 16; F.P. LUISO, La disciplina processuale speciale della legge n. 92 del 2012 nellĠambito del processo civile: modelli di riferimento ed inquadramento sistematico, in www.juudicium.it, 2012, pag. 6 e ss., il quale osserva che il nuovo rito Çtutela anche la parte che ha tortoÈ; C. CONSOLO, D. RIZZARDO, Vere o presunte novitˆ, sostanziali e processuali, sui licenziamenti individuali, in Corr. Giur., 2012, 6, pag. 735. (28) Ritiene in ogni caso inapplicabile alla fattispecie lĠart. 700 c.p.c. atteso il carattere di resi- dualitˆ di tale forma di tutela: U. ADORNO, Licenziamenti: Legge Fornero e pubblici dipendenti, in Rass. Avv. Stato, 2012, 3, 156. (29) Cos“ F. CARINCI, Complimenti, dottor Frankenstein: il disegno di legge governativo in materia di riforma del mercato del lavoro, cit., 8. quella destinata a passare alla cronaca come la riforma ForneroÓ (30) sia costituito dallĠessere riuscito con gli evanescenti commi 7 e 8 dellĠart. 1, l. 92/2012 ad abrogare di fatto ed in parte qua il 2Ħ comma dellĠart. 11 T.U. 165/2001 o, viceversa, a rendere occultamente applicabile la riforma dellĠart. 18 St. lav. giˆ applicabile al pubblico impiego nel testo storicizzato (o forse il solo rito speciale) o, piuttosto, nellĠaver di fatto maliziosamente affidato alla supplenza della giurisprudenza lĠindividuazione degli incerti confini dellĠaccordo compromissorio politicamente sbandierato da parte sindacale e governativa. (30) Ancora F. CARINCI, Articolo 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, cit. 247. Finanziamenti bancari rogati allĠestero tra regime civilistico e imposta sostitutiva del registro (Nota a Risoluzione n. 20/E - 28 marzo 2013 - della Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa) Federico Maria Giuliani * SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Le questioni - 3. In punto di abuso (rinvio) - 4. Su tempo e luogo di conclusione del contratto: a) il caso della sottoscrizione in Italia degli elementi essenziali 5. (Segue): b) il caso della nullitˆ del contratto italiano per vizio formale e le conseguenze impositive (cio il ÒsottintesoÓ della risoluzione) - 6. SullĠabuso (conclusione). 1. Premessa. Con risoluzione 28 marzo 2013 n. 20/E (1) lĠAgenzia delle Entrate ha risposto a un quesito sui contratti di finanziamento bancari a medio-lungo termine, stipulati allĠestero in forma di scrittura privata autenticata o atto pubblico, da banche italiane con clienti residenti in Italia. In particolare il quesito e la risposta vertono sullĠapplicazione dellĠimposta sostitutiva di cui agli artt. 15 ss., d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601 (agevolazioni). A parere di chi scrive la risoluzione assume rilevanza, non soltanto per ci˜ che a chiare lettere esprime, ma anche per ci˜ che lascia intendere in modo inesplicito ai lettori, alla luce della normativa applicabile. 2. Le questioni. Il quesito posto allĠAgenzia in primo luogo prospettava un possibile esito di abuso del diritto, nella misura in cui, nonostante il contratto sia formato per scrittura privata autenticata o atto pubblico - fuori dal territorio nazionale (e.g. in Svizzera), proprio tale ubicazione territoriale appariva mirata allĠindebito e mero conseguimento del vantaggio fiscale. QuestĠultimo consisterebbe nel fatto che, essendo il tributo sostitutivo, al pari di quelli sostituiti (registro ecc.), improntato sul presupposto della territorialitˆ, e recandosi allĠuopo i paciscenti oltre le Alpi a stipulare, ci˜ farebbero soltanto al fine di evitare la debenza del tributo stesso. Ci˜  tanto pi vero - secondo lĠautore del quesito - se i contratti in parola, come accade sovente, sono Òdi fattoÓ giˆ prima conclusi in Italia quando lĠintera istruttoria e deliberazione, interna alle banche eroganti, si perfeziona su domanda del sovvenuto. Di talchŽ, una volta conchiusa tale procedura, lĠac (*) Avvocato del Libero Foro. LL.M. Independent Researcher, libero scrittore. (1) Infra. cordo si  giˆ perfezionato nel territorio e la trasferta allĠestero, per la formalizzazione dinnanzi al notaio ivi ubicato, si riduce a duplicazione di un quid negoziale che giˆ esiste, se pure in altra forma. Peraltro, in stretta correlazione a ci˜, lĠinterrogante prospettava anche lĠipotesi di una giˆ intervenuta conclusione del contratto in Italia sul piano astrattamente civilistico, a prescindere dal ricorso alla categoria dellĠabuso nel diritto tributario. Si ponevano, dunque, non poche esigenze di chiarimento. E lĠAgenzia non si  sottratta a tale necessitˆ. 3. In punto di abuso (rinvio). Anzitutto lĠente autore della risoluzione non condivide la prospettazione dellĠabuso del diritto tributario. A parere della scrivente, infatti, nella fattispecie allĠesame manca lĠutilizzo distorto di strumenti civilistici, privo di valide ragioni economiche che non siano quelle del risparmio fiscale. Sembra cio che, per lĠAgenzia, la extra-territorialitˆ stipulatoria avanti il notary public estero, pi che lĠimpiego di un istituto civilistico piegato al fine deviato del vantaggio tributario, costituisca il semplice ricorso allĠapplicazione del conflict of rules, cio del diritto internazionale privato, in punto di lex contractus, in presenza di diversi criteri di collegamento. Ci˜  posto al di fuori della sfera di rilevanza dellĠabuso. Ed invero le parti decidono di stipulare allĠestero e, altrettanto concordemente, assoggettano con clausola esplicita il contratto alla legge italiana. Siccome per˜ il cuore dei problemi sollevati dal quesito e svolti nella risoluzione, si dipana nel prosieguo, occorre fare tornare sullĠabuso nella parte finale di questo scritto (2). 4. Su tempo e luogo di conclusione del contratto: a) il caso della sottoscrizione in Italia degli elementi essenziali. Diversa da quella sullĠabuso  la soluzione che lĠAgenzia fornisce in ordine alla seconda questione posta, cio quella relativa allĠesatto momento e luogo di conclusione del contratto di finanziamento. Ora,  ben vero anzitutto che, come osserva la stessa Agenzia, in punto di forma dei contratti bancari, tra cui i finanziamenti in questione, la legge prescrive non giˆ lĠatto pubblico o la scrittura privata autenticata, bens“ semplicemente la forma scritta, ai sensi dellĠart. 117, d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (testo unico bancario, ÒTUBÓ). SicchŽ, a prescindere dalle (posteriori) formalitˆ notarili allĠestero, se nel territorio italiano interviene una scrittura privata avente a oggetto il finanzia (2) Infra, par. 6. mento stesso, essa  soggetta alla citata imposta sostitutiva di cui allĠart. 15 d.p.r. 601/73. Rispetto a tale scrittura, il rogito o la scrittura privata autenticata allĠestero diventano, a quel punto, mera ÒriproposizioneÓ - per dirla con lĠente scrivente (rectius ÒricognizioneÓ) - e in ogni caso quelli non rilevano, siccome posti in essere fuori dal territorio, ai fini del tributo medesimo (3). Resta da mettere a fuoco che cosa occorre esattamente, in concreto, acciocchŽ siano integrati gli estremi di una scrittura privata italiana. é necessario e sufficiente che sia reperito, in sede di verifica fiscale, un Òterm sheetÓ - si scrive -Òo altra documentazione da cui risulti giˆ avvenuta la formazione del consenso in ordine agli elementi essenziali del contratto di finanziamento [poi] riproposti con lĠatto pubblico o la scrittura privata autenticataÓ. Ebbene pu˜ condividersi lĠassunto, per cui sono sufficienti gli Òelementi essenzialiÓ o determinanti, nel testo sottoscritto, acciocchŽ il contratto possa dirsi concluso (4). Cos“ come  condivisibile lĠulteriore assunto dellĠAgenzia secondo cui, ai fini del soddisfacimento della forma scritta, non  necessaria la sottoscrizione delle parti sul medesimo documento, ma sono bastevoli le rispettive sottoscrizioni non contestuali su proposta e accettazione (5). SicchŽ, nel caso allĠesame, tutti gli elementi richiesti ricorrono acciocchŽ il contratto sia civilisticamente esistente e valido e, sul versante tributario, soggetto allĠimposta sostitutiva, sol che vi sia sottoscrizione di proposta e accettazione (essenziali). Quindi  corretto menzionare, fra lĠaltro, i c.d. Òterm sheetsÓ, a condizione che, nel presente contesto, siano firmati sia dalla banca sia dal cliente in Italia, sebbene non di necessitˆ sul medesimo esemplare documentale nŽ contestualmente (6). Invece non sarebbe corretto, allo stato attuale del ragionamento (7) - viceversa generandosi confusione - pensare che siano bastevoli, per la conclusione del contratto in Italia, documenti e/o Òterm sheetsÓ non sottoscritti. Al riguardo lĠAgenzia delle Entrate nulla scrive. E pertanto si deve rite (3) V., supra, par. 1. (4) Cfr. M. FRATINI A. PENSABENE, Compendio di diritto civile, Nel Diritto Ed., Roma, 2012, p. 307. Contra, ma solo attraverso la dimostrazione di una contraria rilevanza attribuita dalle parti agli elementi accidentali, F. CARINGELLA L. BUFFONI, Manuale di diritto civile, Dike, Roma, 2009, p. 687. E infatti adde P. TRIMARCHI, Manuale di diritto privato, XVIII ed., Giuffr, Milano, 2009, par. 210, che ai fini della conclusione sui soli elementi essenziali - propende a che le parti si riservino di trattare poi le clausole accessorie in una successiva ed eventuale pattuizione (richiamando, sul punto, Cass. n. 23949/2008 e Cass. n. 11429/1992). (5) Cos“, proprio in materia di contratti bancari, vedi la recente Cass., 21 agosto 2012, n. 14584. (6) Si pu˜ discutere se siano necessarie, per la conclusione civilistica del contratto bancario, le firme sia della banca sia del cliente, atteso che la forma scritta  prescritta a tutela del solo cliente, cio per sua informativa di protezione. La tesi rigorista sembra per˜ prevalere: Cass., 14 novembre 2012, n. 19934 (nel senso, appunto, della necessaria sottoscrizione di ambedue le parti); Trib. Mantova, 13 marzo 2006, G.U. Laura De Simone, in www.ilcaso.it (conf.). (7) Vedi poi, infra, par. 5. nere che, rettamente, essa non accordi rilevanza a siffatte documentazioni provvisorie, reperibili in Italia e non firmate. 5. (Segue): b) il caso della nullitˆ del contratto italiano per vizio formale e le conseguenze impositive (cio il ÒsottintesoÓ della risoluzione). Se per˜ il lettore del caso e della risoluzione si arrestasse qui, lĠesito interpretativo sarebbe semplicistico. Per lĠimposta sostitutiva sui finanziamenti, infatti, valgono le stesse regole applicative del tributo di registro sostituito, secondo quanto previsto dallĠart. 20, penultimo comma, d.p.r. n. 601/1973. E se  vero che, ex art. 2 d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131 (testo unico leggi registro, ÒTURÓ), di regola sono soggetti al tributo solo gli atti formati per iscritto,  altres“ vero che, ai sensi dellĠart. 38 TUR, la nullitˆ dellĠatto non dispensa dallĠobbligo di registrazione e dal pagamento della relativa imposta, salva la restituzione (al netto della misura fissa) se e quando lĠatto  dichiarato nullo, per causa non imputabile alle parti, con sentenza passata in giudicato. Perci˜ se un contratto  nullo per violazione della forma scritta prescritta dalla legge ad substantiam (8), esso non sfugge a registrazione perchŽ fatto in forma orale, ma tuttĠal contrario  soggetto a registrazione in quanto nullo. E il tributo  dovuto fino alla eventuale restituzione, che potrˆ per˜ esigersi soltanto dopo il passaggio in giudicato di sentenza di nullitˆ dellĠA.G.O (9). Del resto lĠart. 38 TUR trova la sua ratio per un verso proprio nella prospettiva antielusiva e, per altro verso, nellĠassunto per cui comunque anche il contratto nullo, ai fini tributari, non  del tutto improduttivo di effetti giuridici (10). Quindi, anche per lĠimposta sostitutiva sui finanziamenti, vale la stessa regola secondo quanto si  detto. Il che importa che, se il contratto di finanziamento risulta concluso in Italia in forma orale, e poi esso  fatto oggetto di rinnovazione estera con atto pubblico o scrittura autenticata, in Italia esso  da assoggettarsi al tributo sostitutivo; mentre allĠestero la rinnovazione non  soggetta al tributo stesso per carenza del presupposto territoriale. Da questo punto di vista, a differenza della situazione di cui al par. prec., non occorre sottoscrizione di sorta. (8) Sulla nullitˆ come conseguenza del vizio di forma nei contratti bancari, vedansi le sentenze citate supra alla nota 6. (9) La sentenza del Giudice Tributario a nulla rileva, sotto questo profilo, poichŽ in essa la nullitˆ  questione meramente incidentale e su di essa non si forma il giudicato. (10) V. UCKMAR R. DOMINICI, Registro (imposta di), in Nov. Dig. It., Utet, Torino, 1986; G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, VII ed., Cedam, Padova, 2010, p. 818; F. BATISTONI FERRARA, Atti simulati e invalidi nellĠimposta di registro, Jovene, Napoli, 1969, p. 77 ss.; P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Giuffr, Milano, 2002, p. 261; G. ARNAO, Manuale dellĠimposta di registro, V ed., Ipsoa, Milano, 2005, p. 207 ss.. Occorre per˜ allĠuopo dimostrare che, sui testi finali del contratto di finanziamento, si sia effettivamente formato, in Italia, un accordo contrattuale orale. Cio un consenso definitivo in tale forma. Una prova pressochŽ diabolica, certo, ma che nellĠanalisi della risoluzione e delle sue implicazioni non puo essere sottaciuta. Da questo punto di vista, al vaglio delle norme, la risoluzione in commento assume rilevanza pi per ci˜ che non dice, che per ci˜ che apertamente esprime. 6. SullĠabuso (conclusione). A questo punto si deve condividere in modo pieno lĠassunto dellĠAgenzia, secondo cui sarebbe inesatto, nel caso di specie, ravvisare una ipotesi di abuso del diritto. Ed invero, per la situazione considerata al par. 3, di abuso non ha senso parlare poichŽ per ipotesi vi  un contratto sottoscritto in Italia, se pure in modo non contestuale ma mediante separata proposta e accettazione. E siccome, ancora per ipotesi, quel contratto contiene almeno gli elementi essenziali della ricognizione poi fatta allĠestero in forma di scrittura autenticata o atto pubblico, lĠapplicazione dellĠimposta sostitutiva  diretta, senza bisogno alcuno di ricorrere allĠabuso. DĠaltro canto, per la situazione considerata al par 4 abbiamo visto esistere una norma impositiva apposita, che rende del tutto ultronea, di per se stessa, ogni invocazione della categoria dellĠabuso. RISOLUZIONE N. 20/E AGENZIA DELLE ENTRATE Roma, 28 marzo 2013 Direzione Centrale normativa OGGETTO: Contratti di finanziamento bancario a medio e lungo termine stipulati allĠestero - Profili elusivi e ipotesi di applicabilitˆ del regime impositivo di cui agli artt. 15 e seguenti del D.P.R. 601/1973. Nel caso di contratti di finanziamento a medio-lungo termine, formati in Italia ma stipulati allĠestero con atto pubblico o scrittura privata autenticata tra una banca italiana e un cliente residente in Italia, la ÒtrasfertaÓ per la stipula non integra gli estremi dellĠabuso sotto il profilo della imposta sostitutiva, di cui agli artt. 15 ss. del d.p.r. n. 601/1973. Se per˜ dai controlli in Italia emergono Òterm sheetsÓ o altra documentazione, da cui risulti giˆ costituitosi il consenso nel territorio della Repubblica sugli elementi essenziali del contratto di finanziamento riproposti con lĠatto pubblico o la scrittura privata autenticata allĠestero, allora il contratto  soggetto alla predetta imposta sostitutiva. PREMESSA é pervenuto un quesito, con il quale si chiede di conoscere il corretto trattamento da riservare, ai fini dellĠapplicazione dellĠimposta sostitutiva sui finanziamenti, ai contratti relativi ad operazioni di finanziamento a medio e lungo termine stipulati allĠestero e destinati a produrre effetti giuridici principalmente in Italia. In particolare,  stata rappresentata la fattispecie della stipula allĠestero di operazioni di finanziamento nelle quali: -le parti contraenti sono entrambe residenti in Italia; -i finanziamenti sono concessi per finalitˆ operative sul territorio nazionale; -i contratti sono formati per atto pubblico firmato allĠestero e sottoposti alla giurisdizione italiana. é stato richiesto se il comportamento posto in essere dalle parti pu˜ essere censurato alla luce del principio del divieto di abuso del diritto, in quanto la circostanza che la mera sottoscrizione dei contratti avvenga al di fuori dei confini dello Stato pu˜ apparire finalizzata ad ottenere un indebito vantaggio fiscale, anche in considerazione del fatto che detti contratti di finanziamento, sebbene formalmente sottoscritti allĠestero, sono di fatto formati nel territorio dello Stato. é stato rilevato, infatti, che le principali fasi del processo di erogazione del finanziamento sono normalmente effettuate da articolazioni interne di istituti di credito, aventi sede in Italia, e terminano con lĠassunzione da parte del consiglio di amministrazione degli istituti stessi della delibera, per effetto della quale i fidi sono immediatamente erogabili. Generalmente, quindi, tutti gli atti necessari per lĠerogazione del finanziamento sono predisposti in Italia e vengono trasmessi allĠestero solo successivamente, esclusivamente per la stampa e la sottoscrizione dellĠatto. Sulla base di tali elementi, si potrebbe ritenere che la conclusione del contratto, inteso come luogo in cui viene raggiunto il consenso negoziale, avviene sul territorio nazionale, mentre allĠestero viene meramente sottoscritto il contratto di fatto giˆ concluso in Italia. ABUSO DEL DIRITTO Per quanto concerne il richiamo al principio dellĠabuso del diritto, si rappresenta che lo stesso, secondo costante giurisprudenza, si sostanzia nel divieto di Òtrarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscaleÓ (Cassazione, sezioni unite, nn. 30055, 30056 e 30057 del 2008). LĠabuso del diritto sembra, pertanto, essere stato individuato dalla giurisprudenza nel- lĠutilizzo distorto di strumenti giuridici senza alcuna valida ragione economica diversa dal risparmio dĠimposta cui la stessa operazione posta in essere  finalizzata. In linea generale, dunque, il luogo di sottoscrizione del contratto, di per sŽ considerato ed in assenza di ulteriori elementi, non sembra rientrare nella definizione di abuso del diritto finora elaborata dalla giurisprudenza, per la configurazione della quale appare necessario un quid pluris idoneo a realizzare ÒlĠutilizzo distorto di strumenti giuridiciÓ finalizzato allĠottenimento di un risparmio fiscale. FORMAZIONE DELLĠATTO Diversa questione, riguarda, invece, lĠindividuazione del momento di ÔformazioneĠ del- lĠatto, al fine di stabilire se tale momento si realizzi in Italia o allĠ estero. In linea generale, per lĠindividuazione degli atti soggetti allĠimposta sostitutiva si appli cano i criteri dettati per lĠimposta di registro che, in particolare, allĠarticolo 2 del DPR 26 aprile 1986, n. 131 (di seguito TUR) dispone che "Sono soggetti a registrazione, (... ): a) gli atti indicati nella tariffa, se formati per iscritto nel territorio dello Stato; (...);. Ai sensi dellĠarticolo 1326 del codice civile (Conclusione del contratto) ÒIl contratto  concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parteÓ. Pertanto, in linea di principio, il contratto si considera concluso al momento della contestuale sottoscrizione ad opera delle parti oppure quando chi ha fatto la proposta ha conoscenza dellĠaccettazione dellĠaltra parte. é possibile ritenere, quindi, che la ÒformazioneÓ dellĠatto si verifichi alla conclusione del contratto realizzata secondo le modalitˆ appena evidenziate (sottoscrizione contestuale oppure momento di conoscenza dellĠaccettazione da parte del proponente qualora proposta ed accettazione non siano contestuali). Con specifico riferimento al tema in esame, va considerato che la forma pubblica non  prevista ad substantiam per la conclusione del contratto di finanziamento. Infatti, come si rileva dallĠarticolo 117 del Decreto Legislativo 1Ħ settembre 1993, n. 385 (ÔTesto Unico BancarioĠ), secondo cui ÒI contratti sono redatti per iscritto e un esemplare  consegnato ai clientiÓ, per tali contratti  richiesta la forma scritta ma non  necessario lĠatto pubblico o la scrittura privata autenticata. Pertanto, essi possono essere conclusi in forma di scrittura privata semplice. Conseguentemente, qualora con riferimento a fattispecie del tipo rappresentato, il consenso negoziale in ordine agli elementi essenziali del contratto di finanziamento risulti giˆ da scrittura privata semplice, prima che da atto pubblico o da scrittura privata autenticata sottoscritta allĠestero, si pu˜ ritenere che lĠatto  formato per iscritto nel territorio dello Stato e, quindi, ricade nellĠambito applicativo dellĠimposta sostitutiva. In tal caso, infatti, lĠatto pubblico o la scrittura privata autenticata sottoscritta allĠestero concretizza una mera riproposizione dellĠaccordo giˆ raggiunto con la scrittura privata semplice e non assume rilevanza ai fini del presupposto di territorialitˆ di cui al citato articolo 2 del TUR. Tale fattispecie potrebbe ricorrere, ad esempio, laddove venga reperito in sede di controllo un Òterm sheetÓ o altra documentazione da cui risulti giˆ avvenuta la formazione del consenso in ordine agli elementi essenziali del contratto di finanziamento riproposti con lĠatto pubblico o la scrittura privata autenticata sottoscritta allĠestero. ADEMPIMENTI E SANZIONI Si ritiene utile rammentare che gli enti che effettuano le operazioni rilevanti ai fini del- lĠimposta sostitutiva devono dichiarare, ai sensi dellĠarticolo 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, le somme sulle quali si commisura lĠimposta dovuta. In particolare, devono essere presentate due dichiarazioni, di cui la prima relativa alle operazioni effettuate nel primo semestre dellĠesercizio e la seconda relativa alle operazioni effettuate nel secondo periodo dellĠesercizio stesso. Le dichiarazioni devono essere presentate entro tre mesi, rispettivamente, dalla scadenza del primo semestre e dalla chiusura dellĠesercizio (articolo 8, comma 4, decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito dalla legge 26 giugno 1990, n. 165). Inoltre, lĠarticolo 20, quinto comma, del d.P.R. n. 601 del 1973 rinvia alle norme in ma teria di imposta di registro per quanto concerne: -la rettifica dellĠimponibile e lĠaccertamento; -le sanzioni per lĠomissione o lĠinfedeltˆ della dichiarazione; -la riscossione del tributo; -il contenzioso; -e per quanto altro riguarda lĠapplicazione dellĠimposta sostitutiva. Sullo specifico tema delle sanzioni, lĠarticolo 3 del decreto del Ministero delle Finanze del 28 febbraio 1975, n. 2456, richiama le norme dellĠimposta di registro dettate dal DPR 26 ottobre 1972, n. 634 (attualmente sostituito dal TUR). In particolare, in caso di omessa o tardiva presentazione della dichiarazione si applicano le sanzioni di cui allĠarticolo 69 del TUR (articolo 67 del DPR n. 634 del 1972), previste nella misura dal centoventi al duecentoquaranta per cento dellĠimposta dovuta. In tale circostanza, lĠimposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro il termine di cinque anni dalla data entro la quale la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, ai sensi dellĠarticolo 76, comma 1, del TUR. Qualora la dichiarazione sia stata presentata ma risulti infedele, si applicano le sanzioni stabilite per lĠoccultazione di corrispettivo dallĠarticolo 72 del TUR (articolo 70 del DPR n. 634 del 1972), stabilite nella misura dal duecento al quattrocento per cento della differenza tra lĠimposta dovuta e quella giˆ applicata. In tale circostanza, lĠimposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni decorrenti dalla data di presentazione della dichiarazione, ai sensi dellĠarticolo 76, comma 2, lettera b), del TUR. IL DIRETTORE CENTRALE Sulla azione per lĠefficienza amministrativa introdotta con il D. Lgs. 198/2009 con riferimento ai primi orientamenti giurisprudenziali Francesco Mataluni* SOMMARIO: 1. La disciplina generale del d.lgs. 198/2009 - 2. LĠammissibilitˆ dellĠazione per lĠefficienza: TAR Lazio, Roma, sez. III, sentenza 20 gennaio 2011, n. 552 - 3. LĠonere della prova per il ricorrente: TAR Lazio, Roma, sez. I, sentenza 3 settembre 2012, n. 7483 4. Le condizioni dellĠazione per lĠefficienza: TAR Basilicata, Potenza, sez. I, sentenza 23 settembre 2011, n. 478. 1. La disciplina generale del d.lgs. 198/2009. Il d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 (1) contiene la disciplina del ricorso per lĠefficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. é stato adottato in attuazione dellĠart. 4, della l. 4 marzo 2009, n. 15, la quale  una legge di delega al governo finalizzata, fra le altre cose, Òalla ottimizzazione della produttivitˆ del lavoro pubblico e alla efficienza delle pubbliche amministrazioniÓ e che si inserisce allĠinterno delle riforme dellĠallora Ministro per la Pubblica Amministrazione e lĠInnovazione. Come afferma lĠart. 1, comma 1, del d.lgs. 198/2009, lo scopo principale dellĠazione in esso disciplinata  Òripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizioÓ. Tale fine dimostra il perfetto inserimento del ricorso in esame nelle riforme che stanno attraversando la P.A. e che lĠhanno portata a trasformarsi in unĠamministrazione di risultato (2). Infatti, almeno nelle intenzioni del Legislatore, il ricorso per lĠefficienza della P.A.  uno strumento molto innovativo, che dovrebbe ben inserirsi nella moderna concezione di Amministrazione e di attivitˆ amministrativa. Negli ultimi anni, si  affermata lĠidea che lĠAmministrazione non  pi unĠautoritˆ che, in modo im (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. (1) SullĠargomento si vedano: C. DEODATO e M.G. COSENTINO, ÒLĠazione collettiva contro la P.A. per lĠefficienza dellĠAmministrazioneÓ, Nel Diritto Editore, 2010; A. FABRI, ÒLe Azioni Collettive nei confronti della Pubblica Amministrazione nella sistematica delle Azioni Non IndividualiÓ, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011; G. FIDONE, ÒLĠazione per lĠefficienza nel processo amministrativo: dal giudizio sullĠatto a quello sullĠattivitˆÓ, Giappichelli, 2012; D. SICLARI, ÒDecreto Legislativo 20 dicembre 2009, n. 198Ó, in E. PICOZZA (a cura di), ÒCodice del Processo Amministrativo, Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104, Commento articolo per articoloÓ, Giappichelli, 2010; G. SORICELLI, ÒContributo allo studio della Class Action nel sistema amministrativo italianoÓ, Giuffr, 2012. (2) A tal proposito, basti dire che, in coerenza con il principio del buon andamento sancito dallĠart. 97 della nostra Costituzione, lĠamministrazione di risultato  caratterizzata dal fatto che il mero rispetto delle regole a volte non basta a garantire il raggiungimento degli scopi che il Legislatore pone allĠazione amministrativa e che lĠesercizio di un potere, formalmente corretto, potrebbe, nei fatti, risultare lesivo di interessi giuridicamente meritevoli di tutela. perativo, esercita i suoi poteri contro impotenti cittadini al solo fine di soddisfare lĠinteresse pubblico, bens“  divenuta il soggetto che gestisce e si fa portatore anche degli interessi degli individui, quelli meritevoli di tutela si intende, la cui azione, per di pi,  finalizzata al soddisfacimento di tali bisogni e tali esigenze, almeno per quanto compatibile con lĠinteresse pubblico primario. Una simile P.A., che preferisce lĠaccordo, quello previsto dalla Legge sul Procedimento Amministrativo, al tradizionale provvedimento autoritativo, non pu˜ non essere sottoposta a quella forma di controllo che solo la tutela giurisdizionale pu˜ assicurare, cos“ che i cittadini, lesi nei loro interessi, abbiano un effettivo strumento posto alla loro protezione. LĠobiettivo del d.lgs. 198/2009  introdurre un controllo esterno di tipo giudiziale che assicuri, in taluni casi, il buon andamento della pubblica amministrazione. Partendo dalla possibilitˆ del ricorso da parte dei cittadini, il Legislatore vuole migliorare in termini di efficienza e buon andamento la Pubblica Amministrazione. La grande novitˆ del ricorso per lĠefficienza  che con questo non si impugna un provvedimento della P.A. nŽ si vuole contestare il silenzio della stessa. In prima analisi, si pu˜ dire che lĠoggetto dellĠazione  costituito dalla pretesa del cittadino al corretto svolgimento della funzione amministrativa o alla corretta erogazione di un servizio (appunto lĠefficienza di cui sopra). LĠazione per lĠefficienza deve essere volta ad assicurare la tutela del cittadino, inteso come utente della P.A., e al tempo stesso la trasparenza di questĠultima, elemento essenziale per il suo buon andamento. Per proporre lĠazione in questione  necessario che vi siano dei malfunzionamenti dellĠazione amministrativa, dai quali deve derivare quella Òlesione diretta, concreta ed attualeÓ degli interessi che legittima la realizzazione del ricorso. I vizi dellĠattivitˆ amministrativa sanzionabili con il ricorso sono indicati dallo stesso art. 1, comma 1: violazione dei termini; mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato dalla legge o da un regolamento; violazione degli obblighi contenuti nelle carte di sevizi; violazione di standard qualitativi ed economici. Sono tutte ipotesi di lesione dellĠefficienza della P.A. e del principio del buon andamento di cui allĠart. 97 della Costituzione. Rinviando a un secondo momento lĠanalisi dei presupposti soggettivi del ricorso,  importante individuare chi sono i soggetti contro i quali questo pu˜ essere esercitato. LĠart. 1, comma 5 indica quali legittimati passivi Ògli enti i cui organi sono competenti a esercitare le funzioni o a gestire i serviziÓ, cui si riferiscono quei malfunzionamenti appena descritti; si fa riferimento alle P.A. e ai concessionari di servizi pubblici. Per Pubblica Amministrazione, semplificando il grande dibattito sullĠargomento, dobbiamo intendere tutti quei soggetti pubblici che svolgono unĠattivitˆ che si ponga al servizio dei cittadini e allo scopo di soddisfare le loro esigenze (3). Per Òconcessionari di servizi pubbliciÓ, invece, sembra farsi riferimento a quei soggetti di diritto privato che esercitano unĠattivitˆ diretta al soddisfacimento di interessi pubblici e che, per questo, dovrebbe essere prerogativa dei poteri pubblici, ma che viene esercitata, di regola sotto il controllo di questi ultimi, da privati titolari di un apposito provvedimento autorizzatorio. In ogni caso, dal decreto sono esclusi una serie di soggetti contro i quali non  possibile proporre il ricorso: le autoritˆ amministrative indipendenti; gli organi giurisdizionali; le assemblee legislative; gli organi costituzionali e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Secondo quanto stabilito dallĠart. 1, comma 7, il ricorso per lĠefficienza  attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e rientra, cio, in quelle materie in cui questi si occupa delle controversie nelle quali si faccia questione sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi (4). A differenza di quanto era disposto nella legge delega, il decreto non prevede pi la giurisdizione estesa al merito, il che esprime la volontˆ del Legislatore di ricostruire il ricorso non come un sindacato per valutare la P.A. in maniera generalizzata, ma come uno strumento volto a sindacare la legittimitˆ delle sue scelte organizzative e gestionali con riferimento a standard e parametri valutativi prede- terminati e precisi. Infine, nel silenzio del d.lgs. 198/2009, lĠindividuazione del giudice amministrativo competente  realizzata secondo le regole generali contenute nellĠart. 13 del Codice del Processo Amministrativo. LĠart. 3 detta una disciplina sintetica ma al tempo stesso specifica e particolare del procedimento giurisdizionale da seguire nel caso del ricorso per lĠefficienza. LĠelemento centrale di tale disciplina , senza dubbio, la diffida che il ricorrente deve preventivamente notificare alla pubblica amministrazione o al concessionario di pubblico servizio affinchŽ questi realizzino Ògli interventi utili alla soddisfazione degli interessatiÓ (5). In via alternativa alla diffida, il ricorrente pu˜ tentare la risoluzione non giurisdizionale della sua controversia attraverso lo strumento di conciliazione offerto dallĠart. 30, della l. 18 giugno 2009, n. 69, con la possibilitˆ, in caso di fallimento, di proporre il ricorso per lĠefficienza al TAR. Con la sentenza che accoglie il ricorso, il giudice ordina, Ònei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane giˆ assegnate in via ordinaria e (3) In tal modo, nel concetto di P.A. vi rientrano sia i pubblici poteri che gli enti pubblici. (4) La disposizione  conforme allĠart. 103 della Costituzione cos“ come interpretato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 204/2004 perchŽ il ricorso non  volto a contestare un mero comportamento materiale della P.A. o dei concessionari, bens“ un vero e proprio comportamento amministrativo di esercizio di un potere. (5) Art. 3, comma 1, D.Lgs. 198/2009. Le finalitˆ della diffida sono di dare la possibilitˆ alla pubblica amministrazione o al concessionario diffidato di porre autonomamente rimedio al malfunzionamento contestato e di tentare di ridurre il carico di lavoro dei nostri giudici, con lo scopo di velocizzare e, quindi, migliorare dal punto di vista dellĠefficienza, lĠattivitˆ giudiziaria nel nostro ordinamento. senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblicaÓ (6), alla amministrazione o al concessionario soccombente di rimuovere e correggere la disfunzione accertata in giudizio, rimettendo le modalitˆ di esecuzione del comando solo alla discrezionalitˆ del soggetto che deve adempiervi. Nei casi in cui dovesse riscontrarsi una Òperdurante inottemperanza di una pubblica amministrazioneÓ (7), si potrˆ procedere con il relativo giudizio di ottemperanza secondo le regole generali del processo amministrativo. Per evitare di dare la possibilitˆ al giudice amministrativo, che nel caso dellĠottemperanza ha ampli poteri discrezionali, di interferire con lĠattivitˆ di societˆ private, spesso quotate in borsa, quali sono i concessionari, per questi  esclusa lĠottemperanza, cosa che pone non pochi problemi di coerenza con il quadro costituzionale delle tutele giurisdizionali per la disciplina dellĠesecuzione della sentenza che accoglie il ricorso per lĠefficienza (8). Dopo aver inquadrato lĠazione per lĠefficienza, si pu˜ passare allĠanalisi di alcune prime pronunce giurisprudenziali sulla sua disciplina. Si  cercato di individuare quelle pi rilevanti che aiutano a comprendere meglio la portata del d.lgs. 198/2009. 2. LĠammissibilitˆ dellĠazione per lĠefficienza: TAR Lazio, Roma, sez. III, sentenza 20 gennaio 2011, n. 552. ÒLa formula utilizzata dal legislatore con l'art. 7 d.lg. 198/09 descrive una norma incompleta che, avendo individuato in via generale e astratta posizioni giuridiche di nuovo conio, oltre che strumenti azionabili per la relativa tutela, ma non i parametri specifici della condotta lesiva, necessita di una ulteriore previsione normativa, agganciata alla peculiaritˆ e concretezza dell'assetto organizzativo dell'agente e ai limiti della condotta diligente dal medesimo esigibili, ferme restando le risorse assegnate. Ne consegue che, allo stato, nonostante la vigenza della norma primaria, le posizioni giuridiche in via generale individuate e protette dalla stessa non sono ancora in concreto prospettabili davanti ad un giudice difettando la compiuta definizione della fattispecie lesiva o l'esatta individuazione del comportamento esigibile, oltre che la fissazione del Òdies a quoÓ della concreta applicazione. Le medesime considerazioni non possano, per contro, riprodursi per quelle norme del d.lgs. 198/09 che individuano fattispecie completamente definite in ogni loro aspetto, ivi compresa l'esatta perimetrazione del comportamento lesivo; questĠultima ipotesi ricorre, in particolare, nel caso relativo all'obbligo di Òemanazione di atti amministrativi generali obbligatori (6) Art. 4, comma 1, D.Lgs. 198/2009. (7) Art. 5, comma 1, D.Lgs. 198/2009. (8) Si ritiene che il cittadino interessato al rispetto della sentenza debba rivolgersi allĠAmministrazione che vigila sul concessionario per fargli adempiere allĠordine del giudice. e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamentoÓ. La sentenza del TAR Lazio n. 552/2011  stata la pronuncia che ha deciso il primo ricorso per lĠefficienza della pubblica amministrazione proposto ai sensi del d.lgs. 198/2009. Con il giudizio in questione, il Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori (CODACONS) ha agito contro il Ministero dellĠIstruzione per richiedere lĠadozione degli atti amministrativi in materia di formazione delle classi scolastiche e dimensionamento della rete scolastica. In altri termini, ha agito contro le c.d. classi pollaio, dovute alla presenza di un numero eccessivamente elevato di studenti in unĠunica aula. Pi che sulla decisione di merito, con la quale il TAR Lazio ha accolto il ricorso, preme concentrarsi sulle considerazioni riguardanti gli aspetti rituali del ricorso svolte dai giudici romani. Questi ultimi, infatti, sono stati i primi giudici ad aver considerato ammissibile il ricorso per lĠefficienza, superando i dubbi e le perplessitˆ sollevati dalla dottrina sul punto. Le perplessitˆ sullĠammissibilitˆ o meno del ricorso per lĠefficienza erano legate al testo del decreto del 2009. Infatti, lĠart. 7, del d.lgs. 198/2009 rinvia a successivi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (da adottare su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e di concerto, per quanto di competenza, con gli altri Ministri interessati) la determinazione della Òconcreta applicazioneÓ della disciplina in esame. La dottrina, fin dallĠintroduzione del d.lgs. 198/2009, aveva, dunque, sollevato dubbi sulla reale applicazione dello stesso e, di conseguenza, sullĠammissibilitˆ di un eventuale ricorso per lĠefficienza. In particolare, dal dato testuale, emergeva la necessitˆ di una previsione regolamentare, successiva, necessaria per attuare e far applicare il decreto. Tale considerazione era, poi, accompagnata dal timore che, mancando lĠindicazione di un termine per lĠemanazione di tale normativa di attuazione, il d.lgs. 198/2009 rischiasse di restare lettera morta. I dubbi in dottrina erano rimasti nonostante, appena due mesi dopo lĠemanazione del decreto, il Dipartimento della funzione pubblica costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri avesse adottato una direttiva volta a superare i dubbi circa lĠart. 7 in questione. Con tale circolare, intitolata ÒDirettive sullĠattuazione dellĠart. 7 del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198 in materia di ricorso per lĠefficienza delle Amministrazioni e dei concessionari di servizi pubbliciÓ (9), lĠallora Ministro per la pubblica amministra (9) Si tratta della circolare del 25 febbraio 2010, n. 4/2010, emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica. zione e lĠinnovazione sanciva che Òalcune delle azioni introdotte dal decreto legislativo n. 198/2009 sono giˆ esperibili attualmenteÓ. In particolare, nella direttiva, il Ministro fa riferimento allĠipotesi di violazione dei termini e a quella della mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato dalla legge o da un regolamento. Il secondo caso  oggetto della sentenza in commento. Il TAR Lazio, chiamato per primo a pronunciarsi su un ricorso per lĠefficienza, riconosce lĠammissibilitˆ del ricorso per lĠefficienza in forza dellĠapplicabilitˆ del decreto del 2009, dando seguito alla circolare del Ministro. In questo modo, i giudici laziali sgombrano il campo dai residui dubbi in merito allĠazione per lĠefficienza e fanno venire meno i timori sollevati dalla dottrina in materia. Le argomentazioni del TAR si fondano sullĠattenta analisi del testo del- lĠart. 7. Se  vero che tale disposizione ha dato adito a non pochi dubbi sul- lĠapplicabilitˆ del d.lgs. 198/2009,  altrettanto vero, come rilevano i giudici amministrativi, che lĠart. 7  una norma transitoria e che ha a oggetto lĠapplicazione della disciplina del ricorso per lĠefficienza e non il suo vigore o la sua efficacia. In altri termini, il d.lgs. 198/2009  giˆ pienamente in vigore fin dalla sua promulgazione, come le altre norme di legge. Il decreto, pertanto, produce i suoi effetti, anche se la sua concreta attuazione  stata rimessa dallo stesso Legislatore allĠadozione di successive fonti regolamentari. Resta da chiarire, dunque, cosa si intenda per concreta attuazione. I giudici del TAR laziale ritengono che con lĠespressione Òconcreta attuazioneÓ, il Legislatore abbia voluto indicare quel processo nel corso del quale vengono indicati gli elementi (parametri, organizzazione, sostenibilitˆ degli impegni, ecc.) necessari affinchŽ una norma astrattamente applicabile diventi concreta ed effettiva. Il decreto del 2009 ha delineato in astratto i contorni del ricorso per lĠefficienza, ma necessita di un intervento normativo di secondo grado che lo agganci alla realtˆ. Manca un provvedimento di attuazione che individui i parametri della condotta che, posta in essere, possa dare avvio al ricorso in questione. Dopo questa premessa generale, in cui ha dimostrato la vigenza del d.lgs. 198/2009, il TAR del Lazio approfondisce il tema dellĠapplicabilitˆ della disciplina in esso contenuta, precisando che lĠart. 7 deve intendersi come non riferito allĠintero testo normativo. Premesso quanto sopra,  chiaro che le norme del d.lgs. 198/2009 che individuano fattispecie astratte completamente definite in ogni loro aspetto sono giˆ concretamente applicabili. I decreti ministeriali di attuazione non sono necessari per quelle condotte represse dal d.lgs. 198/2009 e la cui disciplina individua in maniera esaustiva perchŽ, in tali ipotesi, la fattispecie astratta che fonda il ricorso per lĠefficienza  adeguatamente individuata dalla fonte legislativa. I giudici romani si riferiscono espressamente allĠipotesi di Òemanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamentoÓ, individuata allĠart. 1. In tal caso, il legislatore ha delineato compiutamente tutti gli aspetti della fattispecie astratta:  definita la posizione giuridica del ricorrente;  individuato lĠatto alla cui emanazione (rectius mancata emanazione)  correlata la posizione tutelata;  regolamentata la procedura per la proposizione del ricorso e il processo dinanzi al giudice amministrativo. In definitiva, l'art. 7 non esclude l'immediata operativitˆ delle disposizioni che individuano fattispecie giˆ completamente definite dal Legislatore in ogni loro aspetto e, in particolare, che individuano esattamente il comportamento lesivo da sanzionare. In questa tipologia di disposizioni rientrano quelle che prevedono l'obbligo di emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo, da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento. In tali casi, pertanto,  ammissibile la proposizione del ricorso per l'efficienza per richiedere e ottenere il rispetto dellĠobbligo di emanazione di atti amministrativi generali. é importante sottolineare che la sentenza in commento  stata confermata dal Consiglio di Stato in sede di appello. Il Supremo Consesso amministrativo, infatti, ha ritenuto di disattendere Òi motivi dell'appello principale con cui si deduce l'erronea applicazione della disciplina dettata d. lgs. 20 dicembre 2009 n. 198, e in particolare dell'art. 1, co. 1Ó poichŽ ha ritenuto sussistenti Ònel caso di specie tutti i presupposti cui la disposizione richiamata subordina l'esperibilitˆ del rimedio previstoÓ (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 9 giugno 2011, n. 3512). Nonostante le pronunce appena esaminate, nel caso concreto permango alcuni dubbi riguardanti lĠapplicabilitˆ del d.lgs. 198/2009 con riferimento ai presupposti fattuali della norma. Per quanto sia fuori discussione che, in astratto, il ricorso per lĠefficienza sia giˆ esperibile, almeno nei casi indicati dal TAR e dal Consiglio di Stato, rimane in ogni caso qualche perplessitˆ sul quando effettivamente tali ipotesi si realizzino nella fattispecie concreta. Basti pensare, per esempio, al caso oggetto delle sentenze appena esaminate. Date le pronunce dei giudici amministrativi, non vi sono dubbi che il ricorso per lĠefficienza sia stato adeguatamente ed esaustivamente disciplinato dal d.lgs. 198/2009 con riferimento al caso della Òmancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamentoÓ (art. 1, comma 1). Ci˜ nondimeno, possono sussistere delle perplessitˆ sulla corretta individuazione dellĠatto generale obbligatorio e non normativo, la cui mancata adozione legittima la proposizione del ricorso per lĠefficienza. Nel giudizio conclusosi con la sentenza del Consiglio di Stato citata, si  discusso, fra le altre cose, proprio dellĠeffettiva natura generale del provvedi mento oggetto della causa, senza giungere a una soluzione che fosse veramente soddisfacente. Si pensi, infatti, che il Supremo Consesso si  limitato ad affermare che la natura generale del piano oggetto del ricorso per lĠefficienza fosse deducibile dalla legge. Nulla ha detto, tuttavia, su quali siano o debbano essere i requisiti che un provvedimento amministrativo deve avere per essere qualificato come atto avente natura generale ai sensi del d.lgs. 198/2009. La questione risulta ancora pi complicata in ipotesi, come quella del caso di specie, in cui la legge  poco chiara sulla definizione della natura del provvedimento in essa disciplinato. Nella fattispecie, la norma di riferimento era il d.P.R. 20 marzo 2009, n. 81. In particolare, lĠart. 3 di tale decreto, dopo aver disposto che il Dirigente scolastico determina il numero delle classi del- lĠistituto in base al numero complessivo degli alunni iscritti e, di conseguenza, assegna gli stessi alle singole classi, al comma 2 prescrive che Òper il solo anno scolastico 2009-2010 restano confermati i limiti massimi di alunni per classe previsti dal decreto del Ministro della pubblica istruzione in data 24 luglio 1998, n. 331, e successive modificazioni, per le istituzioni scolastiche individuate in un apposito piano generale di riqualificazione dell'edilizia scolastica adottato dal Ministro dell'istruzione, dell'universitˆ e della ricerca, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanzeÓ. Si potrebbe a lungo discutere sulla natura generale o meno di questo Òapposito piano generaleÓ contemplato dalla disposizione citata, la cui mancata emanazione  stata oggetto della controversia in esame. Il legislatore, infatti, utilizza il termine ÒappositoÓ che sembra non lasciare dubbi in merito alla natura particolare del provvedimento amministrativo. In tal senso, il ricorso per lĠefficienza non sarebbe utilizzabile nella fattispecie poichŽ riservato ai casi di mancata emanazione di provvedimenti amministrativi generali. Il legislatore, tuttavia, utilizza anche il termine ÒgeneraleÓ, riferendosi allo stesso piano, aprendo la strada alla proposizione del ricorso per lĠefficienza. A bene vedere, tuttavia, leggendo attentamente le disposizioni di legge rilevanti, il carattere generale del piano in questione ben pu˜ essere riqualificato in termini, per cos“ dire, particolari. Il comma 2, infatti, individua e disciplina una deroga alla regola generale in esso contenuta nel momento in cui afferma che il Ministro dellĠistruzione deve adottare un piano di riqualificazione dellĠedilizia scolastica che riguardi gli istituti appositamente individuati nel piano stesso. In altri termini, stando alla lettera del comma 2, il Ministro  chiamato ad adottare un piano che valga solo per gli istituti ai quali non si applica la regola derogatoria per lĠanno scolastico 2009/2010. In tal senso, il piano potrebbe essere considerato generale solo in quanto il legislatore avrebbe richiesto un unico provvedimento per tutti gli interventi di riqualificazione dellĠedilizia scolastica degli istituti oggetto della deroga. Ci˜ non toglie, tuttavia, che un provvedimento amministrativo cos“ individuato, vale a dire con riferimento solo ad alcuni istituti soggetti a una particolare deroga, debba essere considerato come avente natura particolare e non certo generale. Al di lˆ della soluzione del caso specifico, quanto detto  interessante ai fini della disciplina dellĠazione per lĠefficienza. Come detto, infatti, la natura generale o particolare di un provvedimento amministrativo  determinante ai fini dellĠammissibilitˆ o meno del ricorso ex d.lgs. 198/2009. Nel silenzio del decreto sul punto, sarebbe auspicabile un intervento giurisprudenziale chiarificatore che permettesse di superare definitivamente i dubbi in tal senso. Le sentenze esaminate, per quanto siano state di fondamentale importanza ai fini dellĠaffermazione dellĠammissibilitˆ in astratto del ricorso per lĠefficienza, non hanno saputo affrontare nŽ risolvere adeguatamente il problema dellĠindividuazione della natura del provvedimento amministrativo oggetto della causa. La soluzione proposta, pi o meno condivisibile che sia, permette di affrontare solo il caso di specie, mantenendo ferme le problematicitˆ generali sullĠargomento. 3. LĠonere della prova per il ricorrente: TAR Lazio, Roma, sez. I, sentenza 3 settembre 2012, n. 7483. ÒLa Òclass actionÓ ex d.lg. 198/2009 non sfugge ai comuni principi in materia di domanda giudiziale, e, dunque, alla regola che questa debba essere sufficientemente determinata nel suo ÒpetitumÓ, in relazione al contenuto dell'azione ed alla sua finalitˆ. Parte ricorrente, quindi, non pu˜ limitarsi genericamente a chiedere l'emanazione di Òatti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativoÓ: giacchŽ si deve trattare di atti ÒobbligatoriÓ, chi li richiede deve evidentemente dimostrare, quale elemento costitutivo essenziale della sua domanda, che tali essi sono, e ne dovrˆ perci˜ definire il contenuto, indicando la fonte normativa di tale obbligo, in riferimento alla situazione di pregiudizio lamentata: o, comunque, tutto ci˜ dovrˆ essere Òde planoÓ desumibile dal ricorso, per consentire al giudice di pronunciare l'accertamento richiesto e le statuizioni consequenziali. Peraltro, se con un solo ricorso sono individuate una pluralitˆ di situazioni, in cui debba essere ripristinato il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio - e quindi, in pratica, in cui sono cumulate pi domande - per ciascuna di esse dovrˆ essere identificabile l'atto generale da emettereÓ. La seconda sentenza presa in considerazione si lega in maniera stringente con la precedente e, al tempo stesso, segna un ulteriore passo in avanti nella definizione delle regole che disciplinano il ricorso per lĠefficienza. Ancora una volta  il CODACONS ad adire il giudice amministrativo al fine di far accertare la sussistenza dellĠobbligo per le amministrazioni resistenti (nella fattispecie la Protezione Civile in primis e altri enti locali interessati) di adottare gli atti necessari alla rimozione di una serie di situazioni di rischio idrogeologico. Il TAR di Roma, in questo caso, dichiara il ricorso inammissibile perchŽ la domanda presentata dal ricorrente  generica. Correttamente, i giudici ritengono che, salvo che per gli aspetti particolari dettati dalla disciplina speciale di cui al d.lgs. 198/2009, il ricorso per lĠefficienza debba rispettare le regole e i principi generali del processo amministrativo. Fra questi, vi  il principio della determinatezza dellĠazione e, soprattutto, del petitum in essa contenuto: il ricorrente non pu˜ formulare una domanda generica al giudice adito, ma deve specificare la propria richiesta in modo tale da delineare correttamente il thema decidendum. In questo modo, da un lato, si assicura il rispetto della corrispondenza fra chiesto e pronunciato da parte del giudice, che deciderˆ entro i limiti della domanda del ricorrente. DallĠaltro lato, si assicura unĠadeguata garanzia del contraddittorio attraverso il diritto di difesa delle controparti che potranno replicare al ricorso solo se  individuabile il suo oggetto. Applicando questi principi generali al caso del ricorso per lĠefficienza, i giudici del TAR affermano che con tale azione il ricorrente non pu˜ limitarsi a chiedere lĠemanazione di atti amministrativi generali obbligatori senza aggiungere altro. Nel ricorso, il soggetto interessato dovrˆ indicare per quale motivo ritiene che gli atti di cui chiede lĠemanazione sono ÒobbligatoriÓ ai sensi dellĠart. 1, del d.lgs. 198/2009. Di conseguenza, per poter correttamente presentare lĠazione per lĠefficienza, il ricorrente deve indicare quali sono le norme di legge che si presumono violate perchŽ contenenti lĠobbligo disatteso dal- lĠAmministrazione resistente. Inoltre, il ricorrente dovrˆ indicare il contenuto che lĠatto obbligatorio non emanato avrebbe dovuto avere per essere conforme alle disposizioni normative violate e, quindi, per soddisfare il suo interesse. Sul ricorrente incombe, in altri termini, lĠonere della prova della sussistenza del comportamento lesivo sanzionato dal Legislatore. Con la sentenza del 2011, si  dimostrato che il d.lgs. 198/2009  concretamente applicabile con riferimento alle fattispecie che delinea in tutti i loro elementi. Con quella del 2012, in esame, i giudici affermano che il ricorrente deve provare lĠesistenza concreta di tale fattispecie, pena lĠinammissibilitˆ del ricorso. Peraltro, i giudici laziali sembrano rendersi conto delle difficoltˆ che potrebbe incontrare il ricorrente nellĠindividuare il contenuto dellĠatto di cui chiede lĠemanazione. In tal senso, per quanto si debba assicurare il corretto svolgimento del processo, non si deve dimenticare di garantire lĠeffettivitˆ del diritto di azione del ricorrente. Per questo motivo, il TAR afferma che, ai fini dellĠammissibilitˆ del ricorso per lĠefficienza, non  necessario individuare lĠesatto contenuto dellĠatto obbligatorio non emanato, ma basta che ci˜ sia desumibile dal ricorso. Leggendo lĠatto introduttivo del giudizio, il giudice deve avere la possibilitˆ di capire quale sia la richiesta del ricorrente e in quali ter mini deve pronunciarsi ai fini dellĠaccertamento domandato. Ne consegue anche che se con un unico ricorso sono individuate una pluralitˆ di situazioni giuridiche tutelate dal d.lgs. 198/2009, come accade nel caso al giudizio del TAR Lazio, allora il ricorso contiene una pluralitˆ di domande che comportano la necessitˆ di individuare per ciascuna di esse il contenuto del- lĠatto generale da emettere. Nella fattispecie su cui si  pronunciato il TAR, nulla di tutto questo  accaduto perci˜ il ricorso  stato dichiarato inammissibile. 4. Le condizioni dellĠazione per lĠefficienza: TAR Basilicata, Potenza, sez. I, sentenza 23 settembre 2011, n. 478. ÒLa legittimazione delle associazioni alla proposizione dell'azione per l'efficienza delle p.a. va sempre verificata in concreto, caso per caso, in relazione alla natura e alla tipologia dell'interesse leso, al fine di accertare se l'ente ricorrente sia statutariamente deputato alla tutela di quello specifico interesse Òomogeneo per una pluralitˆ di utenti e di consumatoriÓ. Deve ritenersi pertanto preclusa la legittimazione a proporre l'azione per l'efficienza di cui al d.lg. n. 198 del 2009 da parte di partiti e movimenti politici o, in generale, di associazioni e comitati a tutela oggettiva del ripristino della legalitˆ violata: il movimento politico  espressione, per sua stessa definizione, degli interessi politici dei sui associati ed in quanto rappresentativo di una classe generale ed eterogenea non  legittimato ad esprimere gli interessi giuridicamente rilevanti di una classe determinata ed omogenea di Òutenti e consumatoriÓ. La sentenza del TAR lucano  la seconda, in ordine cronologico, sul tema del ricorso per lĠefficienza. é di particolare rilevanza se si intende analizzare lĠazione in esame sotto il profilo delle condizioni processuali necessarie alla sua proposizione. Nella fattispecie, una serie di associazioni hanno proposto ricorso al TAR di Potenza per accertare un disservizio della Regione Basilicata, consistente nella mancata pubblicazione dellĠindirizzo di posta elettronica certificata sulla home page del proprio sito istituzionale. Prima di entrare nel merito della questione, che si conclude con lĠaccoglimento del ricorso, il TAR verifica la sussistenza delle condizioni dellĠazione: la sua ammissibilitˆ, la legittimazione ad agire del ricorrente; il suo interesse a ricorrere. Sul primo punto, vi si  giˆ soffermati analizzando la sentenza del TAR Lazio n. 552/2011 che, infatti, viene richiamata anche dai giudici potentini. Non vi sono dubbi, quindi, sullĠammissibilitˆ del ricorso per lĠefficienza. Pi interessanti considerazioni suscitano la legittimazione ad agire e lĠinteresse a ricorrere. Prima di vedere come il TAR affronta lĠanalisi delle condizioni del- lĠazione,  necessario fare qualche premessa di carattere generale. In un ordinamento giuridico democratico, la tutela apprestata in giudizio ha una rilevanza fondamentale come strumento di effettivitˆ delle libertˆ e dei diritti che lo stesso riconosce. Per questo motivo  importante garantire lĠaccesso a questa tutela a chiunque necessiti del suo intervento; peraltro, si deve assicurare che nessuno abusi della macchina giudiziaria con il rischio di sovraccaricarla di ricorsi ed azioni manifestamente infondate, magari con lĠunico scopo di rallentarla a scapito della tutela degli altri cittadini. Per questo sono centrali le condizioni generali dellĠazione: legittimazione a ricorrere e interesse a ricorrere. Il principio di effettivitˆ della tutela giurisdizionale, dunque,  di fondamentale importanza tanto che lo stesso art. 1 del c.p.a. lo afferma, richiamando le norme costituzionali che la assicurano (10) e anche il diritto europeo che, in un certo senso, lo ha costruito e introdotto nei nostri ordinamenti (11). Nel processo amministrativo, il principio di effettivitˆ funge da criterio di interpretazione delle norme di rito e, al tempo stesso, quale fine ultimo da realizzare. Al fine di avere gli strumenti e le conoscenze necessari a studiare le figure della legittimazione ad agire e dellĠinteresse a ricorrere, bisogna analizzare le posizioni giuridiche soggettive che in giudizio vengono tutelate. Trattandosi di Diritto Amministrativo, non si pu˜ prescindere dallo studio dellĠinteresse legittimo. Dare una definizione di interesse legittimo non  per niente facile, per˜ possiamo accettare lĠidea di considerarlo come Òla situazione giuridica soggettiva della quale  titolare un soggetto privato nei confronti della pubblica amministrazione, che esercita un potere autoritativo attribuitole dalla leggeÓ (12). Tale posizione giuridica va ricollegata, da una parte, al potere della pubblica amministrazione e, dallĠaltra, alla legge che lo regola. Inoltre, poichŽ lĠinteresse legittimo , in ogni caso, una posizione giuridica soggettiva, questo deve avere i caratteri della qualificazione e della differenziazione (13) Il diritto soggettivo, invece,  tradizionalmente definito come il potere che il singolo ha di agire per realizzare un proprio interesse tutelato dallĠordinamento (14). La distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi ha avuto una duplice funzione: da una parte,  stata criterio di riparto fra la giurisdizione (10) Ovviamente, si fa implicito riferimento agli articoli 24, 103 e 113 della Costituzione che esprimono Òi principi sullĠazione del Processo AmministrativoÓ (A. TRAVI, ÒLezioni di Giustizia AmministrativaÓ, Giappichelli, 2010). (11) Anche attraverso il principio del giusto processo che, in recepimento della disposizione dellĠart. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dellĠUomo, ora  riconosciuto anche dallĠart. 111 della Costituzione. (12) M. CLARICH e G. FONDERICO, ÒDizionario di Diritto AmministrativoÓ, Il Sole 24 Ore, 2007, voce ÒLĠInteresse LegittimoÓ. (13) Un interesse  qualificato, e quindi pu˜ essere considerato legittimo, quando  lo stesso ordinamento giuridico, in particolare la norma che attribuisce il potere alla P.A., a riconoscerne la rilevanza allĠinterno dellĠattivitˆ procedimentale amministrativa. La differenziazione rende lĠinteresse legittimo una vera e propria posizione di carattere soggettivo, in quanto  rilevabile solo qualora il singolo  titolare di una situazione giuridica distinta da quella degli altri, pi intensamente tutelata. (14) Cfr. A. TORRENTE e P. SCHLESINGER, ÒManuale di Diritto PrivatoÓ, Giuffr, 2007; gli Autori dicono che Òil diritto soggettivo  la signoria del potereÓ (pag. 72). del giudice amministrativo, posta a tutela degli interessi legittimi, e del giudice ordinario, per la cura dei diritti soggettivi; dallĠaltra, era il confine dellĠambito della responsabilitˆ civile della P.A., in quanto, prima, la lesione degli interessi legittimi non era risarcibile (15). Risulta, dunque, di fondamentale importanza, anche ai fini del nostro tema, riuscire a distinguere tra interesse legittimo e diritto soggettivo. La cosa non  per niente facile tanto che la giurisprudenza nel corso degli anni ha ricostruito una serie di criteri che si sono susseguiti nel tempo per individuare tale distinzione. Cercando di semplificare, diremmo che il cittadino  titolare di una posizione di diritto soggettivo nei casi in cui lĠamministrazione abbia agito cos“ contro le regole da non poter nemmeno configurare il suo comportamento come un vero potere, che, nel caso,  carente; se, invece, la P.A. ha solo mal esercitato il potere attribuitole dalla legge, discostandosi dalle regole poste da questa, allora il privato vanterˆ un interesse legittimo al rispetto di tali regole. A queste due categorie, si affiancano quelle degli interessi diffusi e degli interessi collettivi. I primi sono definiti come interessi senza titolare in quanto fanno riferimento ad una pluralitˆ di soggetti che costituiscono allĠinterno della societˆ una comunitˆ non ancora organizzata stabilmente; i secondi, invece, fanno capo ad una collettivitˆ organizzata in unĠapposita associazione stabile cui fa capo lĠinteresse stesso, come collettore degli interesse omogenei ed analoghi dei singoli componenti lĠorganizzazione stessa. Infine, nello studio del ricorso per lĠefficienza  importante occuparsi anche dellĠinteresse semplice il quale  un interesse che non  qualificato dallĠordinamento come meritevole di tutela e per questo  definito come di mero fatto perchŽ attiene alla sfera fattuale di un soggetto o di pi soggetti e non a quella del giuridicamente rilevante. La caratteristica distintiva degli interessi semplici  che, in quanto tali, non sono tutelabili in giudizio quindi non fanno sorgere nessuna legittimazione ad agire in capo a chi ne  titolare, salvo i casi eccezionali in cui  il Legislatore a garantirne la tutela attraverso le azioni popolari. La legittimazione ad agire si identifica nella titolaritˆ dellĠazione, nel senso che legittimato ad agire  quel soggetto che lĠordinamento giuridico considera essere idoneo a presentare lĠazione dinanzi al giudice. é legittimato ad agire in giudizio chi afferma nella domanda di essere titolare del diritto o del- lĠinteresse del quale chiede la tutela al giudice. Essendo il Processo Amministrativo un processo di parti centrale in esso  il tema della legittimazione ad agire, rectius a ricorrere, la quale Òdeve essere direttamente correlata alla situazione giuridica sostanziale che si assume lesa dal medesimo provvedimentoÓ (16). Per questo motivo possiamo affermare che in generale, nel diritto (15) Sappiamo che le cose oggi sono cambiate dopo la sentenza 500/1999 delle Sezioni Unite della Cassazione. (16) Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 28 agosto 2001, n. 4544. amministrativo, la legittimazione ad agire in giudizio coincide con la titolaritˆ di una posizione giuridica qualificata riconducibile ad un interesse legittimo o ad un diritto soggettivo che con il ricorso si intende tutelare. Di sicuro, questa non potrˆ fondarsi di regola su interessi semplici o di mero fatto (17). LĠaltra condizione dellĠazione  lĠinteresse a ricorrere che potremmo definire come il Òfiltro di efficienza attraverso il quale si vuole evitare il dispendio di attivitˆ giurisdizionale inutileÓ (18). Come si pu˜ evincere, ha lo scopo di evitare che si svolgano attivitˆ processuali superflue perci˜ si pone come obiettivo quello di permettere lĠaccesso alla giustizia solo a chi ne possa effettivamente, se anche in via potenziale, trarne un vantaggio. Di fondamentale importanza  ricordare che Òl'interesse ad agire deve essere concreto ed attuale, e non pu˜ dunque essere rivolto alla soluzione in via di massima di una questione giuridica in vista di situazioni future ed ipoteticheÓ (19). Inoltre, la sua stessa valutazione dipende dalla prospettazione che fa il ricorrente (20), quindi per poterne accertare la sussistenza si deve andare a guardare la domanda, rectius il ricorso che  stato depositato presso il giudice amministrativo adito. Infine,  necessario sottolineare che lĠinteresse a ricorrere va tenuto distinto dallĠinteresse legittimo, per quanto sul punto la dottrina non  unanimemente dĠaccordo. Infatti, da un lato, lĠinteresse sostanziale pu˜ sussistere anche nel caso in cui non dovesse esserci lĠinteresse al ricorso; dallĠaltro lato, se sussiste lĠinteresse a ricorrere non per forza si accerterˆ anche lĠinteresse legittimo, altrimenti si arriverebbe allĠassurda conclusione che ogni volta in cui il giudice accerta anche implicitamente (21) lĠinteresse a ricorrere, dovrebbe accertare lĠinteresse legittimo del ricorrente accogliendone la domanda. La legittimazione ad agire e lĠinteresse a ricorrere formano insieme le condizioni generali dellĠazione, ma sono distinti e separati lĠuno dallĠaltra: chi  titolare della situazione giuridica che gli permette di agire in giudizio, non  detto che possa trarre un vantaggio da detto giudizio, quindi potrebbe non avere il necessario interesse; viceversa, chi agisce in giudizio potrˆ anche essere concretamente interessato a questo, per˜ magari potrebbe risultare non (17) Ci˜ non toglie che vi sono dei casi eccezionali nei quali la legittimazione a ricorrere non presuppone una situazione giuridica sostanziale, ma si basa su elementi meramente formali; non di interessi di mero fatto si tratta, ma semplicemente di una sorta di legittimazione eccezionale che il Legislatore espressamente ma solo in talune ipotesi riconosce a chi non  titolare effettivo dellĠinteresse giuridico tutelato. (18) A. DO PASSO CABRAL, ÒInteresse ad agire e zone di interesseÓ, in www.judicium.it. La disposizione cardine dellĠinteresse ad agire  lĠart. 100 del Codice di Procedura Civile, considerata espressione di un principio generale del nostro ordinamento giuridico e, quindi, applicabile sia nel rito ordinario che in quello amministrativo. (19) Cassazione Civile sentenza 7 dicembre 1985 n. 6177. (20) Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 1 agosto 2001, n. 4206. (21) Il non pronunciare lĠinammissibilitˆ o lĠimprocedibilitˆ del ricorso rispettivamente per originaria o sopravvenuta carenza dellĠinteresse significa riconoscerne implicitamente la sussistenza. essere legittimato allo stesso (22). Acquisiti gli strumenti necessari allo studio delle figure dalla legittimazione ad agire e dellĠinteresse a ricorrere, vediamo come li analizza il TAR Basilicata, premettendo che la sentenza in esame valuta le condizioni per la proposizione del ricorso da parte delle associazioni. Il TAR afferma che la legittimazione ad agire delle associazioni non va valutata in astratto, bens“ con riferimento al caso concreto. Di conseguenza, unĠassociazione non pu˜ proporre ricorso per lĠefficienza per qualsiasi disfunzione amministrativa che riguardi i propri iscritti, ma solo per quelle connesse al suo scopo. LĠassociazione, in altri termini, deve svolgere, in nome del proprio statuto, unĠattivitˆ volta alla tutela di un interesse Òomogeneo per una pluralitˆ di utenti e di consumatoriÓ che sono i suoi iscritti. Sulla base di simili considerazioni, il TAR conclude che le associazioni sono legittimate a proporre il ricorso per lĠefficienza solo quando dimostrano di rappresentare adeguatamente tale interesse cos“ che questĠultimo da diffuso che era si soggettivizza in capo allĠassociazione, trasformandosi in un interesse collettivo. LĠinteresse al ricorso funge, invece, da limite alla legittimazione ad agire. Infatti, come spiega il TAR Basilicata, il ricorso per lĠefficienza non  stato introdotto dal Legislatore come strumento di controllo oggettivo e generalizzato sullĠoperato dellĠAmministrazione. LĠazione di cui al d.lgs. 198/2009  pur sempre uno strumento per ottenere una tutela processuale di interessi sostanziali, rectius di interessi concreti e attuali. Di conseguenza, non basta dimostrare di essere legittimati a proporlo, bisogna avere anche uno specifico interesse da proteggere. In altri termini, non  sufficiente che chi presenta il ricorso in esame lamenti unĠinefficienza della Pubblica Amministrazione nŽ basta dimostrarne lĠesistenza. Se cos“ fosse, infatti, lĠazione per lĠefficienza si trasformerebbe in unĠazione popolare che qualsiasi cittadino potrebbe proporre per correggere i difetti della macchina pubblica. Il ricorso per lĠefficienza andrebbe a sostituire i tradizionali meccanismi di controllo amministrativo e politico, trasformandosi in una potente arma nelle mani di tutti i cittadini. Per evitare che ci˜ accada, il Legislatore, allĠart. 1, richiede la sussistenza dellĠinteresse a ricorrere che  connesso alla lesione diretta, concreta e attuale che il ricorrente ha subito o sta per subire con pregiudizio per il suo interesse tutelato, che  omogeneo alla pluralitˆ di utenti e consumatori di cui fa parte. Tale discorso vale anche nel caso delle associazioni che, per quanto legittimate ad agire, devono essere interessate a farlo, per la tutela dei propri membri. A tal proposito, tuttavia, i giudici lucani affermano che, nel caso di un ente collettivo, lĠinteresse a ricorrere si ricava in via presuntiva sulla base della sua rappresentativitˆ. (22) Lo afferma anche il Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 14 luglio 1972, n. 475. Il ragionamento del TAR prende le mosse dalla considerazione che lĠinteresse al ricorso per lĠefficienza serve per accertare che il singolo proponente sia effettivamente titolare di un interesse omogeneo alla classe di utenti e consumatori di cui afferma di far parte. Se lĠassociazione rappresenta una particolare categoria di utenti e consumatori di cui al d.lgs. 198/2009, allora lĠomogeneitˆ dellĠinteresse dedotto in giudizio  di per sŽ dimostrata. Di conseguenza, secondo i giudici lucani,  dimostrato lĠinteresse a ricorrere che si presume, quindi, in forza della rappresentativitˆ dellĠassociazione ricorrente. Per quanto si possano apprezzare le argomentazioni utilizzate dal TAR Basilicata, non si possono condividere le conclusioni a cui  giunto sugli istituti della legittimazione ad agire e dellĠinteresse a ricorrere nel caso dellĠazione per lĠefficienza. Le condizioni dellĠazione per lĠefficienza pongono non pochi problemi. Al fine di comprendere al meglio queste problematiche,  opportuno concentrare lĠattenzione sullĠattivitˆ amministrativa oggetto del ricorso per lĠefficienza e sulle sue finalitˆ. La trasformazione di tale attivitˆ da funzione autoritativa a servizio Òdeve consentire, in linea di principio, lĠutilizzazione dellĠazione per lĠefficienza a fronte di ogni tipo di attivitˆ amministrativa il cui malfunzionamento arrechi pregiudizio ad un determinato gruppo di individui, qualificabili in relazione a tale attivitˆ come utenti o consumatoriÓ (23). Lo scopo dellĠazione  individuare e correggere (24) i malfunzionamenti nello svolgimento delle funzioni delle amministrazioni pubbliche e nellĠerogazione di servizi da parte dei concessionari, senza dimenticarne per˜ il carattere individuale perchŽ lĠutente ricorrente vuole ottenere con tale azione che il risultato finale dellĠattivitˆ della P.A. sia per lui soddisfacente. Queste particolaritˆ portano la necessitˆ di adattare gli istituti generali della legittimazione ad agire e dellĠinteresse a ricorrere alle specifiche esigenze dello strumento giudiziale in esame. Nella legge 15/2009, il Legislatore delegante si era occupato di definire, in via generale, anche la legittimazione ad agire della nuova azione, per˜ il Legislatore delegato ha apportato una qualche modifica a quanto disposto nella delega. La legge aveva lĠintenzione di introdurre nel nostro ordinamento una forma di azione del tutto particolare posta alla tutela di interessi nuovi, rectius interessi tradizionalmente non tutelabili in giudizio, quali gli interessi diffusi; con il decreto, invece, si  recuperato il carattere individuale dellĠazione. LĠazione  proponibile dal singolo che rientri nella categoria dei Òtitolari (23) G. FIDONE, ÒLĠazione per lĠefficienza nel processo amministrativo: dal giudizio sullĠatto a quello sullĠattivitˆÓ, Giappichelli, 2012. (24) La correzione prima ancora della sanzione, secondo F. PATRONI GRIFFI, ÒClass Action e ricorso per lĠefficienza delle amministrazioni e dei concessionari pubbliciÓ (Relazione al convegno: ÒLe Class Actions: modelli a confrontoÓ, Universitˆ Roma Tre, Facoltˆ di Economia, Roma 9 giugno 2010), in Federalismi.it, 2010. di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralitˆ di utenti e consumatoriÓ (25); in tal modo non viene meno il carattere per cos“ dire diffuso della legittimazione. Con ci˜, tuttavia, non si vuole dire, che lĠazione tutela un interesse diffuso, nŽ che tale  la posizione giuridica fatta valere, bens“ si sostiene che lĠazione per lĠefficienza possa essere presentata da chiunque rientri nella categoria dei titolari dellĠinteresse tutelato in quanto utente o consumatore, intendendo per questi Òil soggetto, individuale o collettivo, che ha diritto di usufruire o che comunque richiede di usufruire del servizio pubblicoÓ (26). Chi vuole proporre il ricorso per lĠefficienza non deve essere un quisque de populo, ma deve dimostrare di essere titolare di un interesse giuridicamente rilevante che sia anche differenziato in capo ad una collettivitˆ di utenti e consumatori che, per quanto ampia possa essere, sarˆ sempre ristretta rispetto alla generalitˆ dei cittadini. Il ricorso per lĠefficienza  una fattispecie di giurisdizione soggettiva. Punto nodale dellĠanalisi sulle condizioni dellĠazione per lĠefficienza e, in particolare, sulla sua legittimazione ad agire,  comprendere la natura giuridica della posizione giuridica sottostante. A tal proposito, sembra necessario negare la creazione di una nuova figura giuridica attraverso lĠazione per lĠefficienza, ma non basta nemmeno assegnare lĠetichetta di interesse legittimo o di diritto soggettivo a tale posizione legittimante:  necessario far evolvere le figure tradizionali per renderle compatibili con le esigenze dellĠazione per lĠefficienza. Non bisogna, per˜, pensare che in dottrina sono tutti dĠaccordo con questa soluzione prospettata. Infatti, da un lato vi  chi identifica lĠinteresse giuridicamente tutelato con lĠazione per lĠefficienza come un interesse semplice perchŽ questa va a correggere i malfunzionamenti delle amministrazioni e dei concessionari, dando ai cittadini uno strumento di tutela proprio in quelle ipotesi in cui, tradizionalmente, non si riconosceva altro che un interesse di mero fatto in capo ai singoli. Il presupposto per poter mantenere questa prospettiva  che non deve ritenersi necessario essere titolari di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo per poter agire in giudizio, dato che talvolta basta anche un quid minus, come appunto un interesse semplice. In realtˆ, affermare che il titolare di un interesse semplice pu˜ agire in giudizio per la sua tutela  un controsenso, senza considerare che aprirebbe la strada ad unĠipotesi di giurisdizione oggettiva tanto osteggiata dalla Corte Costituzionale; potremmo dire che grazie al ricorso per lĠefficienza un interesse semplice si  trasformato in interesse legittimo, ma  cosa ben diversa. Alla base della legittimazione ad agire ex (25) Art. 1, comma 1, D.Lgs. 198/2009. (26) Commissione Indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e lĠIntegritˆ delle Amministrazioni Pubbliche (CiVIT), delibera 24 giugno 2010, n. 88: ÒLinee guida per la definizione degli standard di qualitˆ (articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198)Ó. D.Lgs. 198/2009, non pu˜ esserci un interesse di mero fatto. DallĠaltro lato, parte della dottrina ha cercato di configurare lĠinteresse del ricorso per lĠefficienza come un interesse diffuso, in conformitˆ con quanto detto dal Consiglio di Stato in sede consultiva nel parere 1943/2009. Tale tesi non si condivide perchŽ se il ricorso per lĠefficienza presupponesse interessi diffusi, allora il ricorrente agirebbe non per la cura di un proprio interesse personale, ma con il solo intento di ripristinare la correttezza della funzione amministrativa o dellĠerogazione del servizio reso dal concessionario. Saremmo nuovamente dinanzi ad unĠazione totalmente oggettiva, dove il singolo e il suo interesse vengono messi sullo sfondo. In realtˆ, il ricorso per lĠefficienza  posto a tutela di un interesse legittimo di carattere pretensivo. Si tratta dellĠinteresse al buon funzionamento dei servizi pubblici, quindi quello che una volta era un interesse di mero fatto, privo di tutela giurisdizionale, si trasforma in un interesse legittimo che pu˜ essere portato dinanzi al giudice amministrativo affinchŽ adotti i provvedimenti necessari a garantirne la soddisfazione; inoltre, non si tratta di semplici interessi legittimi perchŽ non fanno capo solo al singolo, ma sono omogenei ad una pluralitˆ di persone, i nostri utenti e consumatori perci˜ presentano un particolare carattere di pluralitˆ e di collettivitˆ, pur rimanendo situazioni giuridiche individuali che connotano una legittimazione ad agire anchĠessa individuale. Questa natura  riconducibile al fatto che il giudizio instaurato con il ricorso per lĠefficienza ha come oggetto, unĠattivitˆ amministrativa rivolta a una pluralitˆ di persone titolari di interessi fra loro omogenei. Il carattere collettivo del ricorso viene individuato sotto due profili: da un parte, con riferimento alla legittimazione ad agire, dove il carattere dellĠomogeneitˆ funge da limite alla legittimazione del ricorso per lĠefficienza in quanto serve ad evitare che chiunque possa proporlo; dallĠaltra, riguardo gli effetti della sentenza che chiude il giudizio perchŽ questa produce sempre effetti ultra partes su tutti gli utenti e consumatori a prescindere dalla loro partecipazione allo stesso processo. Non vi  modo, invece, di configurare come collettivo lĠinteresse giuridico tutelato, come invece sostiene il TAR Basilicata. Dopo aver analizzato la legittimazione ad agire del ricorso per lĠefficienza sotto i suoi molteplici aspetti problematici,  necessario adesso occuparsi del- lĠinteresse a ricorrere. LĠinteresse a ricorrere  collegato al ricorrente e alla posizione giuridica soggettiva che egli vuole tutelare. Essendo il ricorso posto a tutela di interessi legittimi, allora lĠinteresse a ricorrere ha carattere individuale e personale, riferito al singolo. In realtˆ, da pi parti la dottrina sostiene strenuamente, ma anche in maniera diversa, la tesi contraria di un interesse a ricorrere di carattere collettivo. Ancora una volta, si apre la strada della giurisdizione di diritto oggettivo, che non  configurabile nel caso del ricorso per lĠefficienza perchŽ questo nasce comunque con lo scopo di porsi a tutela di un interesse legittimo individuale, tanto che finchŽ non si ottiene una pronuncia che davvero sia finalizzata a garantire il ripristino dellĠattivitˆ amministrativa corretta, lĠinteresse a ricorrere prima e quello alla decisione poi permangono in capo al ricorrente. Per questo lĠinteresse a ricorrere ha una rilevanza collettiva che si esprime nel requisito dellĠomogeneitˆ: lĠinteresse del ricorso per lĠefficienza  collettivo perchŽ rivolto a un bene della vita omogeneo per tutti coloro che appartengono alla categoria degli utenti e consumatori e che consiste nel- lĠefficienza della Pubblica Amministrazione. Ribadendo che non sono diffusi nŽ collettivi, si pu˜ dire che gli interessi tutelati dal ricorso per lĠefficienza sono omogenei in quanto derivano tutti da una pluralitˆ di rapporti analoghi che i singoli utenti e consumatori hanno con la P.A. o con i concessionari e che sono stati lesi dalla stessa funzione amministrativa o dalla stessa attivitˆ di servizio. Per questo motivo, quando afferma che lĠinteresse a ricorrere delle associazioni si pu˜ ricavare dalla loro rappresentativitˆ, il TAR di Potenza coglie nel segno solo in parte. Certamente  importante assicurarsi che lĠinteresse dedotto con il ricorso per lĠefficienza abbia il carattere di omogeneitˆ richiesta dal decreto del 2009. Peraltro, lĠinteresse a ricorrere si fonda sulla lesione di questo interesse omogeneo: se manca la lesione o non la si dimostra, non  possibile proporre lĠazione per lĠefficienza. Anche nel caso delle associazioni, quindi,  necessario dimostrare la lesione diretta, concreta e attuale ai sensi dellĠart. 1, del d.lgs. 198/2009 e non basta la rappresentativitˆ della stessa. In altri termini, rappresentare la classe di utenti e consumatori legittimati ad agire in giudizio pu˜ essere rilevante ai fini della legittimazione, ma non  sufficiente a configurare lĠinteresse a ricorrere. Fra gli interessanti spunti per una riflessione che il ricorso per lĠefficienza pone, vi  quello sul legame che potrebbe unirlo allĠazione di adempimento. Strumento ben noto in altri ordinamenti (27), questa azione ha avuto molte difficoltˆ ad affermarsi nel nostro, anzi non  con assoluta certezza che possiamo riconoscerne la sussistenza allĠinterno del processo amministrativo. Grazie allĠazione di adempimento, il cittadino avrebbe la possibilitˆ di non limitarsi a chiedere lĠannullamento di un provvedimento illegittimo o al massimo una generica condanna della P.A. ad esercitare, rectius ad esercitare di nuovo il potere pubblico in conformitˆ con la legge e la sentenza del giudice; grazie allĠazione di adempimento, il ricorrente pu˜ ottenere in giudizio la realizzazione del bene della vita che sottostˆ allĠinteresse dedotto nel processo, attraverso una sentenza che non si limiterebbe a valutare la legittimitˆ di un provvedimento, bens“ andrebbe ad accertare cosa sarebbe spettato al cittadino se lĠAmministrazione avesse agito correttamente. Il c.p.a. non prevede la disciplina dellĠazione di adempimento, per quanto la commissione istituita presso il Consiglio di Stato per la redazione dello (27) Il tedesco su tutti. stesso Codice aveva inserito nella bozza finale del testo di legge lĠart. 40 dedicato a questa particolare forma di azione. SennonchŽ il lavoro di cesura del Governo  stato poco razionale perchŽ  stato eliminato lĠarticolo sullĠazione di adempimento, ma non la corrispondente disposizione sulla sentenza che ne avrebbe fatto seguito, ancora oggi lĠart. 34, comma 1, lett. c); tra lĠaltro, questa  solo una delle disposizioni che richiamano in qualche modo lĠazione di adempimento e, quindi, aprono la strada al riconoscimento di tale azione nel- lĠordinamento italiano. Infatti, la stessa giurisprudenza sembra riconoscere lĠesistenza dellĠazione di adempimento nel processo amministrativo (28); il che sarebbe un importante passo in avanti verso una pi piena attuazione del principio di effettivitˆ della tutela giurisdizionale. In ogni caso, come ulteriore indice dellĠutilitˆ concreta dellĠazione di adempimento, si deve rilevare che giˆ prima del Codice, nonostante mancasse, come ora, la sua previsione generale, il Legislatore ha introdotto delle azioni che sono riconducibili a questo modello. Si pensi allĠipotesi della tutela che viene apprestata nei casi di silenzio-inadempimento della Pubblica Amministrazione, nel qual caso lĠart. 31, comma 3 del Codice che dˆ al giudice amministrativo la possibilitˆ di pronunciarsi sulla fondatezza della domanda dedotta in giudizio; oppure alla disciplina del rito speciale in materia di accesso ai documenti della Pubblica Amministrazione, nel quale il giudice amministrativo, adito da chi ha fatto richiesta di accessi di un documento della P.A. e in cambio ha ottenuto un suo provvedimento di diniego o il suo silenzio, pu˜ ordinare lĠesibizione dei documenti richiesti. Sotto forma di azione speciale, lĠazione di adempimento  giˆ presente nel c.p.a.; come azione generale, non ha una vera e propria disciplina, ma facendo leva sul principio di atipicitˆ delle azioni si pu˜ trovare la strada per ammetterla come strumento di ricorso al giudice amministrativo. Nel caso dellĠazione di adempimento, il giudice  chiamato a decidere non solo sulla legittimitˆ di un provvedimento ai fini del suo possibile annullamento, ma anche sulla fondatezza della pretesa del ricorrente per questo deve godere di una cognizione piena che gli permetta di conoscere dellĠintera faccenda, in modo tale da poter valutare se e quale provvedimento la P.A. avrebbe dovuto correttamente adottare se avesse agito in maniera legittima, senza pregiudicare lĠinteresse del ricorrente. Resta comunque fermo il limite del merito amministrativo per il giudice anche nel caso dellĠazione di adempimento perchŽ, in nome del principio della separazione dei poteri, il giudice, nemmeno quello amministrativo, non pu˜ sindacare la scelta della P.A. se non con riferimento alla legittimitˆ, intesa come conformitˆ alle norme che la regolano. Non si potrˆ decidere sul merito, quindi il giudice pu˜ pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio con lĠazione di adempimento solo (28) Si veda T.A.R. Lombardia di Milano, sentenza 1428 del 2011. quando si tratta di attivitˆ vincolata, intesa anche solamente nel concreto e cio quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalitˆ amministrativa. Da un certo punto di vista, il risultato che si pu˜ ottenere con una simile azione  simile a quello raggiungibile attraverso altre forme di ricorso, come lĠazione di annullamento, attraverso lĠeffetto conformativo di una sentenza che lĠaccolga, ed il ricorso di ottemperanza. Per lĠazione di annullamento la differenza con lĠazione di adempimento sta nella sentenza: in caso di accoglimento, il giudice non inserisce una generica regola comportamentale che imponga semplicemente la non ripetizione dellĠerrore accertato, come fa in caso di annullamento, perchŽ con lĠadempimento la P.A. sarˆ obbligata ad adottare un provvedimento specifico, quello che puntualmente soddisfi la richiesta del ricorrente vittorioso. La distinzione con il giudizio di ottemperanza  pi difficile da cogliere, ma si basa sul fatto che questo pu˜ essere intrapreso solo dopo che si  giˆ ottenuta una sentenza del giudice amministrativo, come potrebbe essere quella di annullamento, e che la P.A. non vi si sia conformata e che, inoltre, lĠottemperanza  possibile solo nei casi espressamente previsti allĠart. 112 del Codice del Processo Amministrativo. Dopo aver inquadrato in maniera analitica e dettagliata lĠazione di adempimento, averne analizzato i caratteri, gli aspetti critici, lĠimportanza, lĠammissibilitˆ nel nostro ordinamento,  giunto il momento di metterla a confronto con lĠazione per lĠefficienza, cercando di capire se lĠazione introdotta nel 2009 dal decreto Brunetta possa essere considerata o almeno equiparata ad una forma di azione di adempimento. Nel caso del ricorso per lĠefficienza, lĠoggetto  lĠattivitˆ dellĠAmministrazione; anche lĠazione di adempimento ha a oggetto in un certo senso lĠattivitˆ amministrativa in quanto il giudice deve poter conoscere e accertare tutti i profili dellĠazione amministrativa che siano rilevanti da un punto di vista giuridico al fine di poter decidere sulla pretesa del ricorrente. Inoltre, lĠattivitˆ amministrativa si lega in maniera stringente al risultato allĠinterno dellĠazione per lĠefficienza che  volta a controllare se il secondo segua correttamente alla prima: il ricorso per lĠefficienza  finalizzato a realizzare lĠesatto adempimento dellĠattivitˆ amministrativa in relazione al risultato indicato dagli standard. Da notare che questo particolare tipo di azione di adempimento si concluderˆ semplicemente con la condanna da parte del giudice per la P.A. di realizzare un determinato risultato specifico, lasciandole libertˆ di scelta su come raggiungere lĠobiettivo; inoltre, la condanna  possibile, solo nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie e umane giˆ assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, come afferma lĠart. 4, comma 1. In definitiva, gli schemi delle due azioni sembrano essere quanto meno paragonabili, se non addirittura assimilabili. La similitudine si mostra anche attraverso le condizioni dellĠazione. Nel ricorso per lĠefficienza, la legittimazione ad agire si fonda su un interesse legittimo di tipo pretensivo connesso al buon funzionamento della funzione amministrativa che, ormai, viene considerata alla stregua di un servizio pubblico; analogamente, nellĠazione di adempimento, la legittimazione si esprime nella titolaritˆ di un interesse legittimo pretensivo volto a ottenere dalla P.A. un provvedimento specifico che amplia la sfera giuridica del ricorrente. Infine, nel caso del ricorso per lĠefficienza, chi agisce in giudizio ha come obiettivo quello di Òripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizioÓ (29). LĠinteresse a ricorrere dellĠazione di adempimento consiste nel voler ottenere dal giudice una pronuncia con la quale si condanna la P.A. ad adottare uno specifico provvedimento che sia conforme alle pretese del ricorrente cos“ da poterle soddisfare, ricordando che intanto potrˆ sussistere lĠinteresse a ricorrere in quanto la P.A. sia, in un certo senso, tenuta ad adottare quellĠatto: lĠazione di adempimento  possibile abbia esaurito le proprie possibilitˆ di scelta. (29) Art. 1, comma 1, D.Lgs. 198/2009. Le disposizioni in materia di inconferibilitˆ e incompatibilitˆ di incarichi di cui al D. lgs. n. 39/2013 Francesco Spada* Premessa Con decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, sono state adottate le ÒDisposizioni in materia di inconferibilitˆ e incompatibilitˆ di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190Ó. Il decreto si articola in otto capi, riguardanti: principi generali; inconferibilitˆ di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione; inconferibilitˆ di incarichi a soggetti provenienti da enti di diritto privato regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni; inconferibilitˆ di incarichi a componenti di organi di indirizzo politico; incompatibilitˆ tra incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni nonch lo svolgimento di attivitˆ professionale; incompatibilitˆ tra incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche di componenti di organi di indirizzo politico; vigilanza e sanzioni; norme finali e transitorie. Tanto premesso, si esaminerˆ qui di seguito il contenuto del decreto, suddividendo la trattazione in quattro parti. LĠinconferibilitˆ LĠarticolo 3 del decreto disciplina lĠinconferibilitˆ di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione. In particolare, la disposizione prevede: lĠimpossibilitˆ di attribuzione di alcune tipologie di incarichi per coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale; il carattere permanente dellĠinconferibilitˆ di cui al comma 1, laddove la condanna riguardi uno dei reati di cui all'articolo 3, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97, nei casi in cui sia stata inflitta la pena accessoria del- l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero sia intervenuta la cessazione del rapporto di lavoro a seguito di procedimento disciplinare o la cessazione (*) Dirigente di II fascia del Ministero dellĠEconomia e delle Finanze. Ha svolto la pratica forense presso lĠAvvocatura Generale dello Stato. Il presente contributo riflette le opinioni dellĠAutore e non impegna in alcun modo lĠAmministrazione di appartenenza. del rapporto di lavoro autonomo. Ove sia stata inflitta una interdizione temporanea, l'inconferibilitˆ ha la stessa durata dell'interdizione. Negli altri casi l'inconferibilitˆ degli incarichi ha la durata di cinque anni; il carattere permanente dellĠinconferibilitˆ, laddove la condanna riguardi uno degli altri reati previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale, nei casi in cui sia stata inflitta la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero sia intervenuta la cessazione del rapporto di lavoro a seguito di procedimento disciplinare o la cessazione del rapporto di lavoro autonomo. Ove sia stata inflitta una interdizione temporanea, l'inconferibilitˆ ha la stessa durata dell'interdizione. Negli altri casi l'inconferibilitˆ ha una durata pari al doppio della pena inflitta, per un periodo comunque non superiore a cinque anni; la possibilitˆ di conferimento di incarichi diversi da quelli che comportino l'esercizio delle competenze di amministrazione e gestione nei casi di cui all'ultimo periodo dei commi 2 e 3, salve le ipotesi di sospensione o cessazione del rapporto, al dirigente di ruolo, per la durata del periodo di inconferibilitˆ. é in ogni caso escluso il conferimento di incarichi relativi ad uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, nonch alla concessione o all'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati, di incarichi che comportano esercizio di vigilanza o controllo. Nel caso in cui l'amministrazione non sia in grado di conferire incarichi compatibili con le disposizioni in esame, il dirigente viene posto a disposizione del ruolo senza incarico per il periodo di inconferibilitˆ dell'incarico; la cessazione di diritto della situazione di inconferibilitˆ, laddove venga pronunciata, per il medesimo reato, sentenza anche non definitiva, di proscioglimento; la sospensione dell'incarico e dell'efficacia del contratto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, stipulato con l'amministrazione, l'ente pubblico o l'ente di diritto privato in controllo pubblico nel caso di condanna, anche non definitiva, per uno dei reati di cui ai commi 2 e 3 nei confronti di un soggetto esterno all'amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico cui e' stato conferito uno degli incarichi di cui al comma 1. Per tutto il periodo della sospensione non spetta alcun trattamento economico. In entrambi i casi la sospensione ha la stessa durata dell'inconferibilitˆ stabilita nei commi 2 e 3. Fatto salvo il termine finale del contratto, all'esito della sospensione l'amministrazione valuta la persistenza dell'interesse all'esecuzione dell'incarico, anche in relazione al tempo trascorso; lĠequiparazione, agli effetti della disposizione in esame, della sentenza di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. alla sentenza di condanna. I successivi articoli 4 e 5 disciplinano lĠinconferibilitˆ di incarichi nelle amministrazioni statali, regionali e locali, nonchŽ di incarichi di direzione nelle Aziende sanitarie locali a soggetti provenienti da enti di diritto privato regolati o finanziati. In particolare, le disposizioni prevedono: lĠimpossibilitˆ di attribuzione di alcune tipologie di incarichi per coloro che, nei due anni precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato o finanziati dall'amministrazione o dall'ente pubblico che conferisce l'incarico ovvero abbiano svolto in proprio attivitˆ professionali, se queste sono regolate, finanziate o comunque retribuite dall'amministrazione o ente che conferisce l'incarico; lĠimpossibilitˆ di attribuzione di alcune tipologie di incarichi per coloro che, nei due anni precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dal servizio sanitario regionale. LĠarticolo 6 disciplina lĠinconferibilitˆ di incarichi a componenti di organo politico di livello nazionale, prevedendo che per le cariche di Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e di commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, si applicano i divieti di cui alla legge 20 luglio 2004, n. 215. LĠarticolo 7 disciplina lĠinconferibilitˆ di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale, prevedendo: lĠimpossibilitˆ di attribuzione di alcune tipologie di incarichi per coloro che, nei due anni precedenti, siano stati componenti della giunta o del consiglio della regione che conferisce l'incarico, ovvero nell'anno precedente siano stati componenti della giunta o del consiglio di una provincia o di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti della medesima regione o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione, oppure siano stati presidente o amministratore delegato di un ente di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione ovvero da parte di uno degli enti locali di cui al presente comma; lĠimpossibilitˆ di attribuzione di alcune tipologie di incarichi per coloro che, nei due anni precedenti, siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l'incarico, ovvero a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico, nonch a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione; la non applicazione delle inconferibilitˆ di cui al presente articolo ai dipendenti della stessa amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico che, all'atto di assunzione della carica politica, erano titolari di incarichi. LĠarticolo 8 disciplina lĠinconferibilitˆ di incarichi di direzione nelle Aziende sanitarie locali, prevedendo che: lĠinconferibilitˆ di alcune tipologie di incarichi a coloro che nei cinque anni precedenti siano stati candidati in elezioni europee, nazionali, regionali e locali, in collegi elettorali che comprendano il territorio della ASL; lĠinconferibilitˆ di alcune tipologie di incarichi a coloro che nei due anni precedenti abbiano esercitato la funzione di Presidente del Consiglio dei ministri o di Ministro, Viceministro o sottosegretario nel Ministero della salute o in altra amministrazione dello Stato o di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico nazionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario nazionale; lĠinconferibilitˆ di alcune tipologie di incarichi a coloro che nell'anno precedente abbiano esercitato la funzione di parlamentare; lĠinconferibilitˆ di alcune tipologie di incarichi a coloro che nei tre anni precedenti abbiano fatto parte della giunta o del consiglio della regione interessata ovvero abbiano ricoperto la carica di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico regionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario regionale; lĠinconferibilitˆ di alcune tipologie di incarichi a coloro che, nei due anni precedenti, abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, il cui territorio e' compreso nel territorio della ASL. LĠincompatibilitˆ Gli articoli 9 e 10 del decreto disciplinano lĠincompatibilitˆ tra incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni nonch tra i medesimi incarichi e lo svolgimento di attivitˆ professionale. In particolare, le disposizioni prevedono: lĠincompatibilitˆ degli incarichi amministrativi di vertice e degli incarichi dirigenziali, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, che comportano poteri di vigilanza o controllo sulle attivitˆ svolte dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione che conferisce l'incarico, con l'assunzione e il mantenimento, nel corso dell'incarico, di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione o ente pubblico che conferisce l'incarico; lĠincompatibilitˆ degli incarichi amministrativi di vertice e degli incarichi dirigenziali, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, degli incarichi di amministratore negli enti pubblici e di presidente e amministratore delegato negli enti di diritto privato in controllo pubblico con lo svolgimento in proprio, da parte del soggetto incaricato, di un'attivitˆ professionale, se questa e' regolata, finanziata o comunque retribuita dall'amministrazione o ente che conferisce l'incarico; lĠincompatibilitˆ degli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali di una medesima regione: a) con gli incarichi o le cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dal servizio sanitario regionale; b) con lo svolgimento in proprio, da parte del soggetto incaricato, di attivitˆ professionale, se questa e' regolata o finanziata dal servizio sanitario regionale; l'estensione dellĠincompatibilitˆ di cui al presente articolo agli incarichi, alle cariche e alle attivitˆ professionali assunte o mantenute dal coniuge e dal parente o affine entro il secondo grado. Gli articoli 11, 12, 13 e 14 disciplinano lĠincompatibilitˆ tra incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche di componenti di organi di indirizzo politico. In particolare, le disposizioni prevedono: lĠincompatibilitˆ degli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali e degli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello nazionale, regionale e locale, con la carica di Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, o di parlamentare; lĠincompatibilitˆ degli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni regionali e degli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello regionale: a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della regione che ha conferito l'incarico; b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione; c) con la carica di presidente e amministratore delegato di un ente di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione; lĠincompatibilitˆ degli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione nonch gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale: a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che ha conferito l'incarico; b) con la carica di componente della giunta o del consiglio della provincia, del comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, ricompresi nella stessa regione dell'amministrazione locale che ha conferito l'incarico; c) con la carica di componente di organi di indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione, nonche' di province, comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di forme associative tra comuni aventi la medesima popolazione abitanti della stessa regione; lĠincompatibilitˆ degli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico con l'assunzione e il mantenimento, nel corso dell'incarico, della carica di componente dell'organo di indirizzo nella stessa amministrazione o nello stesso ente pubblico che ha conferito l'incarico, ovvero con l'assunzione e il mantenimento, nel corso dell'incarico, della carica di presidente e amministratore delegato nello stesso ente di diritto privato in controllo pubblico che ha conferito l'incarico; lĠincompatibilitˆ degli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale con l'assunzione, nel corso dell'incarico, della carica di Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, o di parlamentare; lĠincompatibilitˆ degli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale: a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della regione interessata; b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione; c) con la carica di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione; lĠincompatibilitˆ degli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello provinciale o comunale: a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della regione; b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, ricompresi nella stessa regione dell'amministrazione locale che ha conferito l'incarico; c) con la carica di componente di organi di indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione, nonchŽ di province, comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di forme associative tra comuni aventi la medesima popolazione della stessa regione; lĠincompatibilitˆ degli incarichi di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale, regionale e locale, con la carica di Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e di commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, o di parlamentare; lĠincompatibilitˆ degli incarichi di presidente e amministratore delegato di ente di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale: a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della regione interessata; b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia o di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione; c) con la carica di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione, nonche' di province, comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di forme associative tra comuni aventi la medesima popolazione della medesima regione; lĠincompatibilitˆ degli incarichi di presidente e amministratore delegato di ente di diritto privato in controllo pubblico di livello locale con l'assunzione, nel corso dell'incarico, della carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia o di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione. lĠincompatibilitˆ degli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali con la carica di Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico nazionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario nazionale o di parlamentare; lĠincompatibilitˆ degli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali di una regione: a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della regione interessata ovvero con la carica di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico regionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario regionale; b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione; c) con la carica di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione, nonche' di province, comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di forme associative tra comuni aventi la medesima popolazione della stessa regione. Vigilanza e sanzioni LĠarticolo 15 del decreto disciplina la vigilanza sul rispetto delle disposizioni in materia di inconferibilitˆ e incompatibilitˆ nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto privato in controllo pubblico. In particolare, la disposizione prevede che: il responsabile del piano anticorruzione di ciascuna amministrazione pubblica, ente pubblico e ente di diritto privato in controllo pubblico, cura, anche attraverso le disposizioni del piano anticorruzione, che nell'amministrazione, ente pubblico e ente di diritto privato in controllo pubblico siano rispettate le disposizioni del decreto sulla inconferibilitˆ e incompatibilitˆ degli incarichi. A tale fine il responsabile contesta all'interessato l'esistenza o l'insorgere delle situazioni di inconferibilitˆ o incompatibilitˆ di cui al decreto; il responsabile segnala i casi di possibile violazione delle disposizioni del decreto all'Autoritˆ nazionale anticorruzione, all'Autoritˆ garante della concorrenza e del mercato ai fini dell'esercizio delle funzioni di cui alla legge 20 luglio 2004, n. 215, nonch alla Corte dei conti, per l'accertamento di eventuali responsabilitˆ amministrative; il provvedimento di revoca dell'incarico amministrativo di vertice o dirigenziale conferito al soggetto cui sono state affidate le funzioni di responsabile, comunque motivato, e' comunicato all'Autoritˆ nazionale anticorruzione che, entro trenta giorni, pu˜ formulare una richiesta di riesame qualora rilevi che la revoca sia correlata alle attivitˆ svolte dal responsabile in materia di prevenzione della corruzione. Decorso tale termine, la revoca diventa efficace. Il successivo articolo 16 disciplina la vigilanza dell'Autoritˆ nazionale anticorruzione. In particolare, la disposizione prevede che: l'Autoritˆ nazionale anticorruzione vigila sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al decreto, anche con l'esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi; l'Autoritˆ nazionale anticorruzione, a seguito di segnalazione o d'ufficio, pu˜ sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull'atto di conferimento dell'incarico, nonch segnalare il caso alla Corte dei conti per l'accertamento di eventuali responsabilitˆ amministrative. L'amministrazione, ente pubblico o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento del- l'incarico deve motivare l'atto tenendo conto delle osservazioni dell'Autoritˆ; l'Autoritˆ nazionale anticorruzione esprime pareri, su richiesta delle amministrazioni e degli enti interessati, sulla interpretazione delle disposizioni del decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilitˆ e incompatibilitˆ degli incarichi. Il successivo articolo 17 commina la sanzione della nullitˆ per gli atti di conferimento di incarichi adottati in violazione delle disposizioni del decreto e per i relativi contratti. Infine, gli articoli 18 e 19 prevedono, in materia di sanzioni: la responsabilitˆ, per le conseguenze economiche degli atti adottati, per i componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli. Sono esenti da responsabilitˆ i componenti che erano assenti al momento della votazione, nonch i dissenzienti e gli astenuti; lĠimpossibilitˆ di conferimento, per i componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli, degli incarichi di loro competenza, per un periodo di tre mesi. Il relativo potere e' esercitato, per i Ministeri dal Presidente del Consiglio dei ministri e per gli enti pubblici dall'amministrazione vigilante; lĠadeguamento, da parte delle regioni, delle province e dei comuni, entro tre mesi dall'entrata in vigore del decreto, dei propri ordinamenti, individuando le procedure interne e gli organi che in via sostitutiva possono procedere al conferimento degli incarichi nel periodo di interdizione degli organi titolari; la pubblicazione dell'atto di accertamento della violazione delle disposizioni del decreto sul sito dell'amministrazione o ente che conferisce l'incarico; la decadenza dall'incarico e la risoluzione del relativo contratto, di lavoro subordinato o autonomo, decorso il termine perentorio di quindici giorni dalla contestazione all'interessato, da parte del responsabile di cui all'articolo 15, dell'insorgere della causa di incompatibilitˆ nei casi di svolgimento degli incarichi di cui al decreto in una delle situazioni di incompatibilitˆ di cui ai capi V e VI; la perdurante vigenza delle disposizioni che prevedono il collocamento in aspettativa dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni in caso di incompatibilitˆ. Norme finali e transitorie LĠarticolo 20 del decreto disciplina la dichiarazione sulla insussistenza di cause di inconferibilitˆ o incompatibilitˆ, prevedendo che: all'atto del conferimento dell'incarico l'interessato presenta una dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di inconferibilitˆ di cui al decreto; nel corso dell'incarico l'interessato presenta annualmente una dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di incompatibilitˆ di cui al decreto; le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 sono pubblicate nel sito della pubblica amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico che ha conferito l'incarico; la dichiarazione di cui al comma 1 e' condizione per l'acquisizione del- l'efficacia dell'incarico; ferma restando ogni altra responsabilitˆ, la dichiarazione mendace, accertata dalla stessa amministrazione, nel rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio dell'interessato, comporta la inconferibilitˆ di qualsivoglia incarico di cui al presente decreto per un periodo di cinque anni. Il successivo articolo 21 prevede che, ai soli fini dell'applicazione dei di vieti di cui al comma 16-ter dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l'amministrazione, l'ente pubblico o l'ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo e che detti divieti si applicano a far data dalla cessazione dell'incarico. Infine, lĠarticolo 22 disciplina la prevalenza su diverse disposizioni in materia di inconferibilitˆ e incompatibilitˆ, prevedendo che: le disposizioni del decreto recano norme di attuazione degli articoli 54 e 97 della Costituzione e prevalgono sulle diverse disposizioni di legge regionale, in materia di inconferibilitˆ e incompatibilitˆ di incarichi presso le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e presso gli enti privati in controllo pubblico; sono in ogni caso fatte salve le disposizioni della legge 20 luglio 2004, n. 215; le disposizioni di cui agli articoli 9 e 12 del decreto non si applicano agli incarichi presso le societˆ che emettono strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e agli incarichi presso le loro controllate. contributi di dottrina CONTRIBUTI DI DOTTRINA LĠatto presupposto nel diritto tributario Lorenzo DĠAscia* SOMMARIO: 1. LĠart. 19, d. lgs. n. 546/1992 nel sistema del processo tributario: la separata impugnazione degli atti solo per vizi propri - 2. Atti presupposti generali - 2.1 La disapplicazione - 2.2 Il doppio binario della disapplicazione del giudice tributario e della tutela del giudice amministrativo - 2.3 LĠillegittimitˆ derivata per vizio dellĠatto presupposto generale - 2.4 Limiti al potere di disapplicazione - 2.5 Configurabilitˆ di un potere di disapplicazione dĠufficio - 2.6 Principio del contraddittorio - 3. Atti presupposti particolari - 3.1 LĠillegittimitˆ derivata dal vizio dellĠatto presupposto particolare - 3.2 La presupposizione impropria o ÒattenuataÓ. I motivi dellĠannullamento dellĠatto presupposto: vizi di forma o vizi sostanziali 3.3 Sanabilitˆ della mancata o irrituale notifica dellĠatto presupposto - 4. Vicende dellĠatto presupposto e riflessi sullĠatto conseguenziale - 4.1 Atto presupposto inoppugnabile - 4.2 Atto presupposto impugnato - 4.3 Atto presupposto ritenuto legittimo con sentenza passata in giudicato - 4.4 Atto presupposto ritenuto illegittimo con sentenza (anche non passata in giudicato) - 5. La sospensione del processo avente ad oggetto lĠatto conseguenziale: problemi sullĠapplicaizone dellĠart. 295, c.p.c. - 5.1 La sospensione nel processo tributario - 5.2 Casi di presupposizione in cui non si pu˜ dar luogo alla sospensione ex art. 295, c.p.c. - 5.3 Ricadute del giudicato pregiudiziale nel giudizio sospeso - 6. Conflitto di giudicati. La revocazione ex art. 395, c.p.c. e lĠeffetto espansivo esterno ex art. 336, c.p.c. - 7. Il potere/dovere di autotutela. 1. LĠart. 19, d. lgs. n. 546/1992 nel sistema del processo tributario: la separata impugnazione degli atti solo per vizi propri. Il tema dei vizi dellĠatto presupposto impone preliminarmente di operare una differenziazione delle diverse ipotesi di presupposizione che possono pre (*) Avvocato dello Stato. Il presente studio costituisce la relazione dellĠAutore al Seminario - tenutosi presso lĠAula Magna della Corte Suprema di Cassazione il giorno 13 novembre 2012 - sul tema ÒI vizi dellĠatto impositivo tra contenuto e procedimentoÓ. sentarsi allĠesame dellĠoperatore, con peculiaritˆ tali da incidere sulla disciplina sostanziale e processuale. Dando alla nozione il significato pi ampio possibile,  possibile distinguere tre tipi di presupposizione: a) atti prodromici che si collocano allĠinterno del procedimento impositivo, e che sono strumentali allĠemanazione dellĠatto finale: hanno natura infraprocedimentale e non sono impugnabili autonomamente. Essi incidono sulla validitˆ dellĠatto impositivo finale, che potrˆ essere impugnato deducendo i vizi di tali atti preparatori. Sono ad esempio gli ordini di servizio, lĠautorizzazione del procuratore della Repubblica a una perquisizione, o altri atti istruttori funzionali allĠacquisizione delle prove. Per alcuni di essi, peraltro, si configura una immediata, autonoma lesivitˆ, suscettibile di tutela dinanzi al giudice ordinario per violazione dei diritti soggettivi del destinatario (ad esempio la lesione della libertˆ dĠimpresa dellĠimprenditore o il diritto alla privacy di un contribuente soggetti a una ispezione o un accesso). Secondo Cass., SS.UU., n. 6315/09 si tratta di atti plurilesivi che, al di lˆ della loro rilevanza fiscale che potrˆ dar luogo a un sindacato giurisdizionale dinanzi al giudice tributario solo quando verrˆ adottato il provvedimento impositivo finale, potrebbero ledere anche diritti soggettivi non tributari del contribuente. Per la tutela di questi ultimi, pi che configurare un interesse legittimo al corretto esercizio della potestˆ pubblica che incide su libertˆ, deve parlarsi di diritti soggettivi, con giurisdizione del giudice ordinario per la verifica della sussistenza dei presupposti di legge per la loro adozione. b) atti presupposti in senso ÒproprioÓ: sono gli atti, con dignitˆ provvedi- mentale autonoma, che costituiscono per˜ il presupposto indefettibile di altri provvedimenti. Gli atti ad essi conseguenziali si caratterizzano per non poter essere emessi se non preceduti dallĠatto presupposto, e dal fatto che lĠesistenza stessa dellĠatto presupposto  condizione della loro esistenza. Possono essere: * atti generali: ad esempio il regolamento sugli studi di settore, il D.P.C.M. sui parametri del 29 gennaio 1996; le delibere comunali sulle tariffe TARSU, i decreti ministeriali contenenti lĠelenco dei Paesi a fiscalitˆ privilegiata (c.d. black list); le delibere comunali sulle aliquote Ici o Imu; * atti particolari: ad esempio quelli che si situano nella sequenza Òaccertamento - cartella - avviso di moraÓ; il provvedimento di diniego o di disconoscimento di unĠagevolazione o di una esenzione rispetto al conseguente provvedimento di diniego del rimborso; il diniego o la revoca dellĠiscrizione di unĠassociazione allĠanagrafe delle Onlus rispetto al conseguente provvedimento di disconoscimento delle relative agevolazioni; lĠavviso di accertamento rispetto al provvedimento di fermo del pagamento di rimborso Iva. Per questi atti presupposti occorre distinguere tra quelli da impugnare separatamente (in ossequio al principio generale sancito dallĠart. 19, d. lgs. n. 546/1992) e atti in cui  possibile la cognizione incidentale dei vizi dellĠatto presupposto da parte del giudice investito del sindacato dellĠatto conseguenziale. LĠart. 19, d. lgs. n. 546/1992 stabilisce che ogni atto pu˜ essere impugnato solo per vizi propri, il che comporta che nessun atto pu˜ essere disapplicato nellĠambito di un giudizio relativo ad un altro atto. Se  vero che, in linea di massima, il giudice tributario dispone di ampi poteri di cognizione incidentale -con le sole eccezioni delle questioni in materia di querela di falso o di stato e capacitˆ delle persone (art. 2, comma 3, d. lgs. n. 546/1992) -, lĠart. 19 esclude per˜ che questo potere di cognizione incidentale si estenda ai vizi e alla illegittimitˆ di provvedimenti diversi, ancorchŽ presupposti. Fanno eccezione i soli atti regolamentari e generali, per i quali lĠart. 7, d. lgs. n. 546/1992 dˆ al giudice tributario un potere di disapplicazione, ferma restando la possibilitˆ di impugnarli in via principale davanti al giudice amministrativo. c) atti con presupposizione in senso improprio o ÒattenuataÓ (v. infra ¤ 3.2). ƒ il caso di: -atti conseguenziali che possono anche non essere preceduti dallĠatto presupposto: sono atti cio che presuppongono lĠaccertamento di una circostanza di fatto che  riportata, di norma, ma non necessariamente, in un atto che li precede. Possono per˜ anche essere emessi del tutto indipendentemente da detti atti (lĠavviso di accertamento del maggior reddito e il separato atto di contestazione; il provvedimento di diniego o disconoscimento di unĠagevolazione o di una esenzione (art. 19, lettera h), d. lgs. n. 546/1992) e il provvedimento di diniego del rimborso (art. 19, lettera g), d. lgs. n. 546/1992). -atti distinti che in realtˆ fanno capo a un rapporto unico (socio - societˆ di persone: Cass., SS.UU., n.14815/2008 parla di pregiudizialitˆ secundum eventum litis) che possono essere impugnati in maniera separata, ancorchŽ con riunione obbligatoria, e in ogni caso garantendo il litisconsorzio necessario. Il litisconsorzio necessario non opera invece per il rapporto di presupposizione tra accertamento nei confronti di societˆ di capitali a ristretta base azionaria e accertamento conseguenziale nei confronti dei soci (per i quali pure si presume la distribuzione degli utili extrabilancio). 2. Atti presupposti generali. 2.1 La disapplicazione. LĠart. 7, d. lgs. n. 546/1992 conferisce al giudice tributario il potere di disapplicazione dei regolamenti e degli atti generali. Nel diritto amministrativo una delle differenze tra regolamenti e atti generali  costituita dalla impossibilitˆ di disapplicazione di questi ultimi da parte del giudice amministrativo (dinanzi al quale  ammessa la disapplicazione dei soli atti regolamentari), ci˜ in quanto uno dei principi del diritto amministrativo  quello dellĠinoppugnabilitˆ. Lo stesso non vale per il giudice tributario che detiene poteri di disapplicazione incidentale anche degli atti generali. Casi pi ricorrenti sono le delibere comunali che regolano lĠapplicazione della tassa sui rifiuti, spesso impugnato, forse anche perchŽ si tratta di un atto generale per il quale, in deroga alla legge n. 241/1990 (art. 3, comma 2),  prescritto lĠobbligo di motivazione (art. 69, d. lgs. n. 507/1993). Ma vi sono anche i decreti ministeriali su parametri e studi di settore, il decreto ministeriale che individua lĠelenco dei Paesi a regime fiscale privilegiato (c.d. black list), le delibere comunali che fissano lĠaliquota Ici o Imu. 2.2 Il doppio binario della disapplicazione del giudice tributario e della tutela del giudice amministrativo. Quella del processo tributario  un tipo di disapplicazione particolare, che desta qualche perplessitˆ nella misura in cui la situazione giuridica soggettiva fatta valere dinanzi sia al giudice amministrativo che al giudice tributario  sempre fiscale,  sempre rivolta allĠatto impositivo. A fronte di ci˜, per il solo fatto che il petitum sia diverso (annullamento totale, mera disapplicazione incidentale) vi  una doppia giurisdizione rimessa alla scelta dellĠinteressato. Normalmente i fenomeni di doppia giurisdizione si accompagnano ad atti o comportamenti plurilesivi, che incidano cio su situazioni giuridiche sog gettive eterogenee e soggette, nella loro diversitˆ, a giurisdizioni diverse. Non pare che questo avvenga nei casi in cui trova applicazione lĠart. 7, d. lgs. n. 546/1992. LĠatto regolamentare o generale  in astratto impugnabile dinanzi al giudice amministrativo, quando sia immediatamente lesivo della sfera giuridica del contribuente. La Corte di Cassazione ritiene che ai fini della disapplicazione non importa se tale impugnazione non sia avvenuta e lĠatto regolamentare o generale sia divenuto inoppugnabile. LĠinoppugnabilitˆ presuppone la impugnabilitˆ, dunque il fatto che lĠatto avesse una immediata portata lesiva della posizione del contribuente. Tale pu˜ essere, ad esempio, la delibera comunale che aumenta le tariffe Tarsu o le aliquote Ici o Imu (non anche, probabilmente, le norme sugli studi di settore, o gli elenchi dei Paesi a fiscalitˆ privilegiata): si  al cospetto di de- libere immediatamente lesive e dunque, per questo, subito impugnabili con ricorso al giudice amministrativo. Se il contribuente non impugna questi atti generali o regolamentari, pu˜ poi chiederne la disapplicazione quando lĠAmministrazione titolare del potere impositivo li applica nei suoi confronti. Ma siamo veramente al cospetto di una cognizione meramente incidentale che non aggira il principio dei termini di decadenza? Tutto sommato la situazione giuridica soggettiva fatta valere  sempre la stessa, ed  volta a evitare una maggiore imposizione. La ripartizione della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice tributario non esclude che comunque ogni atto debba essere impugnato, a pena di decadenza, entro un termine. é, pare, proprio questo il motivo per cui la giurisprudenza amministrativa ha escluso la disapplicazione dellĠatto amministrativo nel giudizio amministrativo, fatta eccezione per i regolamenti, per i quali opera (anche) il principio della gerarchia delle fonti. Viene dunque da pensare che il potere di disapplicazione dovrebbe forse operare solo quando lĠatto generale produca effetti che incidentalmente investano la causa principale, non quando lĠatto generale costituisca il presupposto dellĠatto impositivo e sia esso stesso giˆ lesivo della posizione soggettiva del contribuente. 2.3 LĠillegittimitˆ derivata per vizio dellĠatto presupposto generale. Da un punto di vista sostanziale, il vizio dellĠatto presupposto pu˜ integrare una ipotesi di illegittimitˆ derivata, dal momento che il giudice tributario pu˜ disapplicarlo e rilevare lĠillegittimitˆ dellĠatto conseguenziale. Questo effetto derivato dovrebbe operare, indistintamente, sia per vizi formali (es. decreto ministeriale emesso senza il previo parere del consiglio di stato) sia per vizi sostanziali (cattivo esercizio della discrezionalitˆ). Occorre per˜ verificare, caso per caso, come in concreto lĠillegittimitˆ dellĠatto incida sullĠatto conseguenziale, o meglio, sulla generalitˆ degli atti conseguenziali. In primo luogo, per poter dichiarare la illegittimitˆ derivata dellĠatto conseguenziale occorre che il contribuente abbia dedotto, con ricorso, il vizio dellĠatto presupposto. Resta infatti fermo il principio dispositivo del processo tributario, di tal che, in caso di annullamento da parte del TAR dellĠatto presupposto, non vi  una illegittimitˆ derivata di massa degli atti conseguenziali:  sempre necessario che il contribuente impugni (o abbia impugnato) nei termini lĠatto conseguenziale deducendo quel vizio. Ove il vizio sia stato dedotto occorre verificare come incide lĠillegittimitˆ dellĠatto presupposto. Ad esempio, in caso di decreto illegittimo che preveda uno studio di settore, il suo annullamento (o la sua disapplicazione) dovrebbe determinare il venir meno della presunzione semplice del reddito. Ne deriverebbe, seguendo una impostazione pi formalistica, lĠillegittimitˆ ex se dellĠaccertamento che si  limitato a valutare negativamente le prove contrarie fornite nel contraddittorio dal contribuente senza fornire elementi probatori costitutivi della pretesa tributaria e a monte del maggior reddito. Per altro verso si potrebbe ritenere che, una volta introdotto il giudizio di merito, essendo quello tributario un giudizio sul rapporto, si verificherebbe la semplice inversione dellĠonere della prova a carico dellĠAmministrazione, che per˜ a rigore non potrebbe presentare nuovi elementi probatori non contenuti nella motivazione dellĠaccertamento. Occorre quindi distinguere se lĠaccertamento si basasse esclusivamente sullo scostamento del reddito dichiarato dal reddito desumibile dallo studio di settore, o se tenesse conto comunque di altri elementi indiziari ad abundantiam (in questo secondo caso il giudizio dovrebbe proseguire sul rapporto). Lo stesso dovrebbe dirsi se ad essere annullato o disapplicato  il decreto contenente lĠelenco dei Paesi a fiscalitˆ privilegiata, nel giudizio nel quale si discuta della effettiva residenza del contribuente, ritenuto evasore totale per non aver fornito la prova prescritta. Se invece viene annullata o disapplicata una delibera tariffaria o unĠaliquota, verosimilmente trova applicazione la precedente delibera e dunque le precedenti tariffe, senza possibilitˆ per il giudice tributario di sostituirsi al- lĠamministrazione nella determinazione delle tariffe. Per le delibere tariffarie sui rifiuti v. Cass., n. 16937/2007 ma anche Cass., n. 9415/2005, dove si precisa che, accertata la contrarietˆ di un regolamento comunale a una previsione normativa, il giudice deve limitarsi a disapplicarlo e verificare la legittimitˆ dellĠatto impositivo alla luce della normativa vigente e applicabile. 2.4 Limiti al potere di disapplicazione. La Corte di Cassazione ha affermato che il potere di disapplicazione sia esercitabile anche quando lĠatto  divenuto inoppugnabile, con lĠunico limite del giudicato amministrativo, che sĠimpone al giudice tributario in modo diverso a seconda che sia: a) confermativo della legittimitˆ dellĠatto presupposto: il giudicato vincola il giudice tributario solo se la decisione del giudice amministrativo  stata resa nel contraddittorio tra le stesse parti (Cass., SS.UU. n. 8277/2008); b) di annullamento dellĠatto presupposto: il giudicato vincola sempre il giudice tributario visto che lĠannullamento opera ex tunc ed erga omnes, dunque non  necessario il contraddittorio con il contribuente che se ne avvantaggia. Per il resto, il giudice tributario pu˜ disinteressarsi dellĠesito del giudizio amministrativo, e in particolare: -non  tenuto a sospendere il giudizio tributario ex art. 295, c.p.c.: per costante orientamento della Corte di Cassazione lĠart. 295 non opera in questi casi, dal momento che il giudice tributario ha poteri di disapplicazione e quindi di cognizione incidentale, e considerato poi che la Cassazione non ammette la sospensione per pregiudiziali pendenti dinanzi a giurisdizioni diverse. -non  vincolato dal giudicato confermativo reso con altre parti. Nei casi in cui il giudice tributario debba attenersi al giudicato amministrativo (ossia nelle ipotesi appena descritte sub a) e b), se il giudicato interviene nel corso del giudizio, questo sarˆ effettivamente vincolante per lui. Cosa succede se il giudicato sullĠatto presupposto interviene invece dopo la decisione sullĠatto conseguenziale? Come si risolve lĠeventuale conflitto tra giudicati? Il giudicato amministrativo successivo non dovrebbe poter incidere su situazioni ormai definite con sentenza passata in giudicato (n peraltro divenute inoppugnabili per mancata impugnazione). In particolare, il giudicato di annullamento dellĠatto regolamentare o generale non fa venir meno quello del giudice tributario in cui sia stata dichiarata (incidenter tantum) la legittimitˆ degli stessi: il giudicato di annullamento si comporterebbe insomma come le decisioni della Corte Costituzionale che operano ex tunc ma non incidono sulle situazioni ormai consolidate per essersi il relativo rapporto esaurito. Dunque  possibile avere, teoricamente, soluzioni diverse per cause aventi ad oggetto atti conseguenziali rispetto al medesimo atto presupposto, oggetto di una causa pregiudiziale, ove dette cause siano incardinate in momenti diversi: se lĠatto lesivo  stato emesso prima del giudicato amministrativo sul- lĠatto presupposto (che in teoria pu˜ arrivare anche anni dopo lĠemanazione dellĠatto generale presupposto), il giudice tributario pu˜ decidere e disapplicare liberamente. Se lĠatto  emesso dopo, il giudice tributario deve attenersi al giudicato amministrativo formatosi sullĠatto presupposto. 2.5 Configurabilitˆ di un potere di disapplicazione dĠufficio. La disapplicazione non pu˜ ovviamente essere disposta dĠufficio dal giudice tributario (Cass., n. 15285/2008), ma il contenuto del ricorso va valutato con elasticitˆ, nel senso che non  necessaria una espressa formalizzazione della richiesta di disapplicazione, essendo sufficiente che il ricorrente deduca il vizio dellĠatto presupposto a fondamento della impugnazione dellĠatto conseguenziale. Occorre comunque allegare lĠatto presupposto illegittimo e indicare i suoi vizi. Per i regolamenti, questo principio  mitigato dal fatto che la sua disapplicazione  imposta dal principio di gerarchia delle fonti e dalla regola secondo cui iura novit curia. 2.6 Principio del contraddittorio. Secondo la Corte di Cassazione la disapplicazione non richiede il contraddittorio con lĠautore dellĠatto presupposto (Cass., n. 16937/2007: ÒIl sindacato incidenter tantum di un atto amministrativo presupposto dellĠimposizione, finalizzato alla disapplicazione di tale atto con riflessi sulla legittimitˆ dellĠatto impositivo impugnato, non pu˜, infatti, comportare lĠesi genza di un contraddittorio nei confronti del soggetto autore dellĠatto presupposto. Si consideri, dĠaltra parte, che, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte (sentenze 18541/03; 139, 181, 12598, 17934 del 2004) il processo tributario non consente lĠintervento adesivo dipendente e, in generale, la partecipazione di soggetti che non siano parti del rapporto tributario, essendovi ammessi soltanto i soggetti che hanno partecipato direttamente allĠemissione dellĠatto impositivo o che ne sono diretti destinatariÓ ). 3. Atti presupposti particolari. 3.1 LĠillegittimitˆ derivata dal vizio dellĠatto presupposto particolare. LĠillegittimitˆ derivata opera in modo diverso a seconda che si tratti di: a) illegittimitˆ di atto prodromico: questa comporta lĠillegittimitˆ derivata dellĠatto impositivo finale. Si tratta di una illegittimitˆ viziante, occorre sempre impugnare lĠatto finale; b) atti presupposti: non si pu˜ parlare in questo caso di illegittimitˆ derivata: nel diritto tributario il vizio dellĠatto presupposto particolare non contagia lĠatto finale: anche in presenza di un collegamento funzionale tra gli atti, gli stessi, ai sensi dellĠart. 19, d. lgs. n. 546/1992, sono caratterizzati da una particolare autonomia, che comporta: - il consolidamento degli effetti in caso di mancata tempestiva impugnazione; -la impugnabilitˆ limitata ai soli vizi propri dellĠatto. Fanno eccezione, come visto, gli atti regolamentari e generali che possono essere disapplicati nel giudizio relativo allĠatto particolare. Il riflesso viziante delle vicende dellĠatto presupposto sullĠatto conseguente pu˜ essere duplice: * lĠatto presupposto manchi del tutto (ex art. 19, comma 3): non si  al cospetto di una illegittimitˆ derivata dellĠatto conseguenziale, ma di una sua illegittimitˆ propria. LĠatto conseguenziale  nullo per situarsi nella sequenza procedimentale senza il suo antecedente necessario. é un vizio di illegittimitˆ del solo atto immediatamente successivo e conseguenziale: ai sensi dellĠart. 19 la mancata notifica dellĠatto presupposto deve comunque essere fatta valere censurando, nei termini, lĠatto conseguenziale. Per cui, se non si impugna lĠatto immediatamente successivo nella sequenza, ancorchŽ viziato per la mancanza dellĠatto presupposto, tale vizio non potrˆ pi essere fatto valere impugnando lĠatto ancora successivo, parte della medesima sequenza. La mancanza dellĠatto presupposto inficia di invaliditˆ solo lĠatto immediatamente successivo, e non quello che viene ancora dopo; su questo si veda infra ¤ 4. Dal punto di vista della mediazione, lĠart. 17-bis, d. lgs. n. 546/1992 (introdotto dal d. lgs. n. 28/2010) la limita agli atti emessi dallĠAgenzia delle entrate, sono dunque esclusi gli atti del concessionario, come la cartella di pagamento. Ma se la impugnazione, ad esempio, della cartella di pagamento si fonda sul vizio dellĠatto presupposto emesso dallĠAgenzia delle entrate (come la mancata notifica dellĠavviso di accertamento), a rigore dovrebbe prima procedersi alla mediazione. ** lĠatto presupposto venga a mancare (per annullamento giurisdizionale dello stesso): nella sequenza procedimentale il segmento precedente, che costituisce titolo per il segmento successivo, viene meno. Questa circostanza non pu˜ non influire sullĠatto conseguenziale, sia pure in via sopravvenuta. LĠillegittimitˆ sopravvenuta dellĠatto conseguenziale, ove non impugnato (perchŽ privo di vizi propri), e magari inoppugnabile, deve essere fatta valere con istanza di autotutela, su cui si tornerˆ infra ¤ 7. In particolare nel rapporto tra accertamento e riscossione, se viene impugnato lĠaccertamento e non la riscossione, e lĠaccertamento viene annullato, deve cadere anche la riscossione, anche senza bisogno del passaggio in giudicato di annullamento dellĠaccertamento (arg. ex art. 68, comma 2, d. lgs. 546/1992; v. anche Cass., n. 10436/2003). 3.2 La presupposizione impropria o ÒattenuataÓ. I motivi dellĠannullamento dellĠatto presupposto: vizi di forma o vizi sostanziali. Nella sequenza ordinaria Òaccertamento - cartella - avviso di moraÓ vi  un rapporto di dipendenza assoluta: qualunque sia il motivo (formale o sostanziale) che fa cadere lĠatto presupposto, cadrˆ anche lĠatto conseguenziale. Lo stesso vale in altri casi di presupposizione: mancata iscrizione a onlus / diniego di agevolazioni; attribuzione rendita catastale / avviso di accertamento imposta di registro o ici. Ma non  sempre cos“. Si pensi al rapporto atto di accertamento / atto di contestazione per il medesimo periodo dĠimposta, o ancora il diniego del diritto a una esenzione e il diniego di rimborso: se il primo cade per un vizio di forma, ci˜ non vuol dire che il secondo sia ugualmente illegittimo, avendo comunque una sua autonomia e non avendo bisogno del primo per esistere. Lo stesso, come visto, vale per la presupposizione tra atti relativi alla societˆ di persone e atti che accertano, in via derivata, il maggior reddito da partecipazione del socio. Sono atti con presupposizione attenuata (socio/societˆ): fanno capo a un rapporto plurisoggettivo unitario, ma in realtˆ ogni atto ha una sua autonomia sostanziale (oltre che processuale, ex art. 19 cit.) e investe soggetti diversi. Quindi sĠimpongono il litisconsorzio necessario, la riunione obbligatoria dei giudizi incardinati separatamente, ma non la sospensione necessaria del giudizio sulla posizione del socio, visto che il giudicato sullĠatto presupposto non  opponibile a chi non  stato parte del giudizio sulla societˆ. LĠatto dei soci presuppone quello della societˆ, ma questĠultimo non co stituisce condizione necessaria per lĠemanazione del primo: lĠatto del socio deve comunque contenere una sua autonoma motivazione. Per cui se manca lĠaccertamento nei confronti della societˆ (o se questo viene annullato, o, ancora, se la societˆ si estingue per cancellazione prima della notifica dellĠaccertamento che la riguarda), lĠatto impositivo nei confronti del socio non  di per sŽ illegittimo o caducato. In particolare, se lĠaccertamento nei confronti della societˆ viene dichiarato illegittimo per motivi di forma, questo non vuol dire che la ripresa fiscale non sia sostanzialmente corretta e quindi lĠatto del socio sia illegittimo. Del pari, se il socio contesta la sua percentuale di partecipazione alla societˆ, la conferma della legittimitˆ dellĠaccertamento verso la societˆ non significa necessariamente la legittimitˆ dellĠaccertamento nei confronti del socio (cui lĠaccertamento della societˆ sia opponibile). Per questi atti non vi  quindi un rapporto di presupposizione assoluta. 3.3 Sanabilitˆ della mancata o irrituale notifica dellĠatto presupposto. La Corte di Cassazione ha chiarito, in ordine allĠapplicazione dellĠart. 19, d. lgs. n. 546/1992, che lĠomessa notifica (o anche la nullitˆ della stessa) dellĠatto presupposto determina sempre la nullitˆ dellĠatto conseguenziale, e non rimette semplicemente in termini il contribuente per impugnare lĠatto presupposto. Secondo Cass., SS.UU., n. 16412/2007, in caso di mancata o irrituale notifica dellĠatto presupposto, lĠatto conseguenziale  nullo, e il contribuente pu˜ scegliere: -se impugnare solo lĠatto conseguenziale e ottenerne lĠannullamento; - o impugnare anche lĠatto presupposto: ove voglia far accertare nel merito la illegittimitˆ della pretesa, e sempre che vi abbia interesse (ad esempio quando lĠamministrazione  ancora in termini per reiterare lĠatto, o quando si tratti di atto concernente pi periodi dĠimposta, e puntando a un giudicato esterno). La Suprema Corte precisa che il giudice tributario deve interpretare la domanda e capire quale sia la scelta del contribuente: nel caso di doppia impugnazione si potrebbe anche arrivare a una conferma della legittimitˆ dellĠatto presupposto. La facoltˆ data al contribuente serve a risolvere subito e scongiurare nuovi contenziosi tributari, ma in questo modo, sembra dire la Cassazione, il contribuente rinuncia al motivo di doglianza del mancato rispetto della corretta sequenza procedimentale: la scelta, dice la Corte,  tra Òimpugnare il solo atto successivo (notificatogli) facendo valere il vizio derivante dallĠomessa notifica dellĠatto presupposto - che costituisce vizio procedurale per interruzione della sequenza procedimentale caratterizzante lĠazione impositiva e predisposta dalla legge a garanzia dei diritti del contribuente (e per questo vincolante per lĠamministrazione, ma disponibile da parte del garantito mediante lĠesercizio dellĠimpugnazione cumulativa) -, oppure impugnare con lĠatto conseguenziale anche lĠatto presupposto (non notificato) facendo valere i vizi che inficiano questĠultimo e contestando alla radice il debito tributario reclamato nei suoi confrontiÓ. E ancora Cass., n. 9873/2011 ritiene che lĠimpugnazione congiunta dellĠatto presupposto sani la nullitˆ della notifica dello stesso. La scelta del contribuente, tra limitarsi a chiedere lĠannullamento dellĠatto conseguenziale o sanare questo vizio e chiedere lĠannullamento dellĠatto presupposto, pu˜ essere dettata da varie considerazioni. La soluzione pi cauta, a rigore, dovrebbe essere quella di impugnare la cartella da sola e in subordine anche lĠaccertamento. Pu˜ tuttavia essere pi conveniente per il contribuente impugnare direttamente il solo accertamento (sanando il vizio della mancata notifica): quando lĠaccertamento  mal motivato o presenta vizi di forma, lĠAmministrazione  ancora in termini per emanarlo ed il contribuente spera che il mancato esercizio tempestivo dellĠautotutela sostitutiva porti ad un annullamento dellĠatto di accertamento quando i termini per riemanarlo siano ormai scaduti. In questo senso la mediazione  uno strumento posto anche nellĠinteresse dellĠAmministrazione per verificare tempestivamente se si  ancora in tempo per riadottare il provvedimento emendandolo di eventuali vizi di forma o di motivazione. 4. Vicende dellĠatto presupposto e riflessi sullĠatto conseguenziale. 4.1 Atto presupposto inoppugnabile. In linea generale lĠatto presupposto inoppugnabile mette lĠatto successivo al sicuro sotto il profilo del rispetto della sequenza procedimentale. LĠatto successivo sarˆ impugnabile solo per vizi propri. Non sempre  cos“. Nel caso di presupposizione societˆ/soci, lĠavviso di accertamento societario non impugnato dalla societˆ non giustifica una riscossione diretta nei confronti del socio per redditi da partecipazione: occorre notificare al socio lĠavviso di accertamento che lo riguarda. Cosa diversa  la riscossione della pretesa vantata solidalmente nei confronti della societˆ e illimitatamente dei soci, dove la notifica dellĠaccertamento alla societˆ, non impugnato, giustifica, senza necessitˆ di ulteriori notifiche dello stesso ai soci, lĠiscrizione a ruolo nei loro confronti e lĠemissione della cartella di pagamento; i soci possono per˜ sempre impugnare, insieme con la cartella o lĠavviso di mora, lĠaccertamento presupposto (che quindi per loro non  definitivo, e consente loro di avere sanzioni pi favorevoli in caso di mutamenti normativi, ex art. 3, comma 3, d. lgs. n. 472/1997 v. Cass., n. 29625/2008). 4.2 Atto presupposto impugnato. Se lĠatto presupposto  impugnato, e il contribuente riceve la notifica dellĠatto conseguenziale, due sono le ipotesi: a) lĠatto conseguenziale non ha vizi propri: non viene impugnato e si aspetta lĠesito del giudizio sullĠatto presupposto (v. supra ¤ 3.1, lett. b)**). b) lĠatto conseguenziale presenta vizi propri: allora viene impugnato in separato giudizio che, ove non possa essere riunito al primo, pone il problema della sospensione del processo (v. infra ¤ 5). 4.3 Atto presupposto ritenuto legittimo con sentenza passata in giudicato. Se lĠatto presupposto  legittimo, lĠatto conseguente non pu˜ ovviamente cadere per i vizi dellĠatto presupposto. Nel caso di presupposizione societˆ/socio, nonostante si tratti di un rapporto unitario, il giudicato di conferma relativo alla societˆ  opponibile ai soci solo se sia stato rispettato il litisconsorzio necessario, altrimenti si deve comunque svolgere un nuovo giudizio sui vizi dellĠatto relativo al socio. Occorre ricordare che la motivazione dellĠaccertamento nei confronti dei soci, se richiama lĠaccertamento della societˆ lo deve allegare o riportare nel contenuto essenziale (secondo Cass., n. 14815/2008, lĠaccertamento societario va notificato unitariamente anche a tutti i soci; afferma Cass., n. 8166/2011 che  sufficiente lĠaccertamento dei soci riporti in motivazione gli elementi su cui si fonda lĠaccertamento nei confronti della societˆ). La motivazione della sentenza sul socio pu˜ richiamare la sentenza confermativa dellĠatto presupposto sulla societˆ solo se costituisce un giudicato formatosi tra le stesse parti, o altrimenti (nel caso di violazione della regola sul litisconsorzio necessario) pu˜ riprodurne la motivazione e farla propria (Cass., n. 14815/2008). Per questĠultima ipotesi, peraltro, la Cassazione ha puntualizzato che, violando le regole del contraddittorio, se si conclude il giudizio nei confronti della societˆ o di alcuni soci, il giudicato sfavorevole non  opponibile (per i limiti soggettivi dellĠart. 2909, c.c.) al socio estraneo per quel che riguarda la sua posizione. Tale giudicato non  per˜ tamquam non esset e integra un documento che il giudice deve valutare sia pure senza una mera motivazione per relationem (Cass., n. 11459/2009). 4.4 Atto presupposto ritenuto illegittimo con sentenza (anche non passata in giudicato). La sentenza che annulla lĠatto presupposto, in teoria, fa cadere lĠatto conseguenziale. Non vi  bisogno di un giudicato, anche se, a rigore, il giudice dellĠatto conseguenziale deve sospendere ex art. 295, c.p.c. e aspettare il passaggio in giudicato della sentenza che ha annullato lĠatto presupposto. Ad ogni modo ai fini della (caducazione della) riscossione non  necessario il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dellĠaccertamento, visto lĠart. 68, d. lgs. 546/1992. * Il giudicato di annullamento dellĠatto presupposto  opponibile allĠamministrazione, anche se reso nei confronti di unĠAmministrazioni diversa (quindi anche superando lĠart. 2909, c.c.). Ad esempio, nel rapporto tra gli atti di attribuzione della rendita catastale (impugnati al giudice tributario contro lĠAgenzia del territorio) e i conseguenziali atti impositivi (registro/Agenzia delle entrate; ici-imu/comune), la Cassazione ritiene che il giudicato si estenda anche al terzo comune o allĠAgenzia delle entrate che non siano stati parti del giudizio presupposto, essendo la loro una posizione dipendente, e senza che vi sia un litisconsorzio necessario nel giudizio presupposto. La dottrina al riguardo ha manifestato qualche perplessitˆ, soprattutto per la posizione del comune che in astratto potrebbe essere legittimato a impugnare la insufficiente rendita catastale, visto che influisce sul gettito fiscale a suo favore, e quindi dovrebbe poter prendere parte al giudizio sulla rendita, e non subirlo da estraneo. La possibilitˆ di una interferenza tra giudicati porta a ritenere possibile la sospensione ex art. 295, c.p.c. anche se le parti sono diverse. ** Nei rapporti societˆ/socio la sentenza n. 14815/08 stabilisce che il socio estraneo pu˜ avvantaggiarsi del giudicato favorevole su questioni comuni formatosi nel giudizio con la societˆ o anche con singoli altri soci (e nel caso di giudicato parzialmente favorevole, il socio pretermesso pu˜ avvantaggiarsene, ferma restando la possibilitˆ di chiedere lĠannullamento totale del suo atto, visto che la parte sfavorevole alla societˆ non  a lui opponibile ex art. 2909) (v. anche Cass., n. 14014/2007). *** Vi  per˜ il limite del giudicato sfavorevole o della inoppugnabilitˆ maturati nei confronti del socio estraneo: secondo Cass., n. 14011/2012 (e giˆ Cass., n. 11469/2009) lĠaccoglimento del ricorso proposto da una societˆ di persone, con conseguente annullamento dellĠavviso di accertamento, esplica effetti positivi nei confronti dei soci che insorgano avverso la medesima violazione tributaria, a condizione che non si sia formato un precedente giudicato nei confronti dei soci o sia divenuto definitivo, per mancata impugnazione, lĠaccertamento effettuato nei confronti del socio. QuestĠultimo, infatti, non pu˜ invocare lĠeventuale annullamento dellĠaccertamento emesso a carico della societˆ per rimettere in discussione la definitivitˆ di quello che lo riguarda, poichŽ tale decisione  stata pronunciata in una causa fra parti diverse e, dunque, non  idonea a travolgere il giudicato o la definitivitˆ dellĠaccertamento formatosi nei suoi confronti. 5. La sospensione del processo avente ad oggetto lĠatto conseguenziale: problemi sullĠapplicazione dellĠart. 295, c.p.c. 5.1 La sospensione nel processo tributario. Un tema ampiamente dibattuto nel processo tributario  quello della possibilitˆ di disporre in esso la sospensione ex 295, c.p.c. LĠart. 39 del d. lgs. n. 546/1992 ammette la sospensione in caso di querela di falso e per le questioni di stato e capacitˆ. La Corte di Cassazione ha per˜ chiarito che si pu˜ (e si deve) disporre la sospensione di cui allĠart. 295, c.p.c. anche nel giudizio tributario (per effetto del richiamo operato dallĠart. 1, d. lgs. n. 546/1992 alle norme del processo civile), rispetto ad un altro giudizio tributario pregiudiziale (c.d. pregiudiziale interna), non anche in relazione a pregiudiziali per altre giurisdizioni. Fanno eccezione la querela di falso e le questioni di stato e capacitˆ, per le quali  ammessa la sospensione con pregiudiziale esterna, ai sensi dellĠart. 39, d. lgs. n. 546/1992. Nel processo tributario, il giudice ha in generale poteri di cognizione incidentale (art. 2, comma 3, d. lgs. n. 546/1992), con lĠeccezione dellĠesame dei vizi degli atti presupposti, che sono - come visto - autonomamente impugnabili e dunque non possono essere oggetto di cognizione incidentale da parte del giudice, se non in casi limitati (ossia quelli in cui, ai sensi dellĠart. 7, d. lgs. n. 546/1992,  ammessa la disapplicazione). Fuori dai casi di disapplicazione, quindi, il giudice tributario deve necessariamente sospendere ove sia contestata la legittimitˆ di un atto presupposto, impugnato (comĠ prescritto dal legislatore) in separato giudizio. Nel processo civile, la ratio della sospensione ex art. 295, c.p.c.  quella di ovviare ai casi in cui sulla questione pregiudiziale non sia possibile la riunione con il giudizio principale, ed eccezionalmente, in questĠultimo, non sia possibile la decisione sulla questione pregiudiziale (ossia quando le parti o la legge impongano che questa sia decisa con effetto di cosa giudicata). La Corte di Cassazione non vede favorevolmente lĠistituto della sospensione, perchŽ contrastante con lĠart. 111, Cost., con lĠart. 6, CEDU e il principio della durata ragionevole del processo. Ma nel processo tributario, dove  sempre precluso lĠaccertamento incidentale del vizio dellĠatto presupposto, salva la disapplicazione dellĠart. 7, la sospensione  imprescindibile. Va peraltro rilevato che secondo la Corte di Cassazione, nellĠambito del processo civile, la sospensione deve essere esclusa nei casi in cui sia possibile ricorrere allĠeffetto espansivo esterno del giudicato (art. 336, c.p.c.; v. infra ¤ 6), cio nei casi di pregiudizialitˆ logica e non tecnico-giuridica, che scongiura il rischio di conflitto di giudicati. Sotto altro profilo, se non si sospende, da un lato si scongiura un processo troppo lungo, ma dallĠaltro se ne porta avanti uno inutile. La sospensione pu˜ allora essere opportuna. Non pare tuttavia che possa parlarsi, nel processo tributario, di sospensione facoltativa: la sospensione  un rimedio estremo (che ritarda la conclusione del processo) che va disposto solo quando  strettamente necessario. 5.2 Casi di presupposizione in cui non si pu˜ dar luogo alla sospensione ex art. 295, c.p.c. Come detto, in linea di massima, in caso di presupposizione il giudice tributario deve sospendere. La Corte di Cassazione ha escluso alcune ipotesi di pregiudizialitˆ: a) atto presupposto generale o regolamentare: in questo caso non si pu˜ dar luogo alla sospensione sia perchŽ il giudice tributario dispone di poteri di cognizione incidentale (disapplicazione) sia perchŽ si tratterebbe di pregiudizialitˆ esterna con la giurisdizione del giudice amministrativo. In Cass., n. 9673/2010 si ammette una sospensione facoltativa anche in presenza di pregiudiziale dinanzi al giudice amministrativo. La soluzione lascia per˜ perplessi visto che il giudice tributario ha un potere di disapplicazione, e dunque la sospensione non  indispensabile, come invece negli altri casi di pregiudiziale con un atto soggetto alla giurisdizione tributaria. b) presupposizione impropria societˆ di persone-socio: la Corte di Cassazione (SS.UU. n. 14815/2008) ha escluso lĠapplicazione dellĠart. 295, c.p.c., dal momento che non si tratta di giudizi in cui lĠattivitˆ dellĠamministrazione  realmente frazionata (es. accertamento - contestazione sanzione; rendita catastale - accertamento ici), ma di un unico rapporto plurisoggettivo: il rimedio allora  lĠunitarietˆ necessaria del processo, perseguita con gli strumenti della riunione dei giudizi o comunque del litisconsorzio necessario con il socio nel giudizio societario. Ove patologicamente non si realizzi nŽ la riunione nŽ il litisconsorzio necessario, la sospensione del giudizio del socio estraneo  comunque inutile, ritiene la Corte di Cassazione, perchŽ il giudicato societario non  opponibile ai soci estranei. Per la veritˆ questo orientamento non tiene conto del fatto che il socio potrebbe trarre una utilitˆ dal giudicato favorevole sulla societˆ, e quindi avere un interesse alla sospensione, che non potrebbe che giovargli: se il giudicato  favorevole se ne appropria e ne trae vantaggio, se  sfavorevole non gli  opponibile. Nel caso di societˆ di capitali a ristretta base azionaria, dal momento che non opera il litisconsorzio necessario, deve procedersi alla sospensione ex art. 295, c.p.c. del giudizio avente ad oggetto lĠaccertamento nei confronti del socio. c) giudizi senza identitˆ di parti: la Corte di Cassazione in generale ritiene che per la sospensione, ai sensi dellĠart. 295, c.p.c., sia necessaria una identitˆ di parti tra i due giudizi, visto che poi la sospensione serve a evitare conflitto di giudicati. Fanno eccezione i casi in cui la Corte di Cassazione ammette lĠestensione di giudicato anche a parti estranee al processo pregiudiziale e senza litisconsorzio necessario: ad esempio per gli atti di attribuzione della rendita catastale (impugnati dinanzi al giudice tributario contro lĠAgenzia del Territorio) rispetto agli atti impositivi (imposta di registro/Agenzia entrate; Ici-Imu/comune): la decisione si estende anche al terzo comune o allĠAgenzia delle entrate che non siano stati parti del giudizio presupposto, essendo la loro una posizione dipendente, e senza che vi sia un litisconsorzio necessario nel giudizio presupposto (v. ¤ 4.4). 5.3 Ricadute del giudicato pregiudiziale nel giudizio sospeso. Una volta decisa la causa pregiudiziale, gli effetti sono vincolanti per il giudice dellĠatto conseguenziale: v. Cass., n. 2535/2011. Ma  necessario il giudicato, o  sufficiente una sentenza ancora non definitiva? Laddove vi  obbligo di sospensione, occorre aspettare il giudicato, cio continuare a tenere sospeso il giudizio conseguente. In Cass., n. 1865/2012 si dice che lĠaccertamento pregiudiziale di una societˆ a ristretta compagine sociale pu˜ estendere i suoi effetti solo se passato in giudicato; il giudice non pu˜ quindi prendere per buona la sentenza non definitiva ma deve sospendere ex art. 295, c.p.c. Resta fermo che, in ogni caso, lĠaccertamento conseguenziale nei confronti dei soci non  subordinato alla definitivitˆ dellĠaccertamento nei confronti della societˆ. Sul punto v. anche Cass., n. 11962/2012, dove si dice che per far cadere il fermo non basta lĠannullamento non passato giudicato dellĠaccertamento presupposto. Del resto se non si aspettasse il giudicato, si tratterebbe di una disapplicazione dellĠatto presupposto (non generale o regolamentare) contraria ai limiti della cognizione incidentale del giudice tributario (Cass., n. 9999/2006). Nel caso in cui non vi sia la sospensione, le cose sono diverse. In Cass., n. 18122/2009 si legge che Òuna pronuncia del giudice amministrativo, soprattutto se passata in giudicato, non pu˜ non svolgere effetto vincolante nel processo tributarioÓ. 6. Conflitto di giudicati. La revocazione ex art. 395, c.p.c. e lĠeffetto espansivo esterno ex art. 336, c.p.c. La revocazione di una sentenza, ai sensi dellĠart. 395, n. 5, c.p.c., richiede identitˆ di parti e di oggetto, non essendo sufficiente che uno dei due giudicati riguardi un antecedente logico necessario dellĠaltro (Cass., n. 13870/1999, e poi, in ambito tributario, Cass., n. 14045/11). Va per˜ aggiunto, concentrando lĠattenzione sul processo tributario, che la Suprema Corte afferma lĠoperativitˆ del giudicato esterno, come vincolante per il giudice tributario, anche senza identitˆ di parti o di oggetto: in questi casi dovrebbe allora essere possibile anche la revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. La giurisprudenza con cui, a partire dalla nota sentenza n. 13916/2006 delle Sezioni Unite, la Corte di Cassazione ha affermato lĠestensione del giudicato esterno formatosi sulle qualificazioni giuridiche o sugli altri elementi preliminari destinati a valere per pi anni, dovrebbe valere anche per lĠatto presupposto. Ma in realtˆ occorre distinguere: a) rapporto di presupposizione in senso stretto. é quello in cui lĠatto conseguenziale non si fonda sul contenuto dellĠatto presupposto ma sulla sua esistenza (ad esempio la cartella rispetto allĠavviso di accertamento, il diniego agevolazione rispetto alla revoca della qualifica di Onlus, o il fermo del rimborso rispetto allĠavviso di accertamento). In questo caso il rapporto di presupposizione  dato dalla necessitˆ, nella sequenza procedimentale, dellĠesistenza dellĠatto presupposto su cui il giudice dellĠatto conseguenziale, peraltro, non ha alcun potere di cognizione. Ciascun atto  sindacabile solo per vizi propri. Qui allora non abbiamo un conflitto di giudicati, ma un rapporto di dipendenza dellĠuno rispetto allĠaltro, e, pertanto, il rimedio  quello dellĠoperativitˆ del c.d. effetto espansivo esterno ex art. 336, c.p.c., e non della revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. Nel rapporto tra giudicati ÒdifformiÓ legati da rapporto di presupposizione non prevale il giudicato anteriore (soluzione che deriverebbe dallĠapplicazione dello strumento della revocazione), ma sempre il giudicato (anche successivo) formatosi sullĠatto presupposto, ai sensi dellĠart. 336, c.p.c. Si ha, quindi, sullĠatto conseguenziale un giudicato formale apparente che cade per effetto di una decisione contrastante sullĠatto presupposto. Peraltro, per operare lĠeffetto espansivo esterno, la decisione per cos“ dire pregiudiziale pu˜ anche non essere ancora definitiva: lĠart. 336, c.p.c. non richiede il formarsi del giudicato per lĠeffetto caducatorio sulle pronunce dipendenti (sul rapporto tra artt. 295, 336, comma 2 e pregiudizialitˆ solo logica v. Cass., SS.UU., n. 14060/2004; in ambito tributario, nel rapporto accerta- mento/fermo, v. Cass., n. 11962/2012). b) presupposizione con giudicato amministrativo. Il giudicato amministrativo di annullamento di un atto presupposto regolamentare o generale non travolge il giudicato tributario nel quale il giudice tributario abbia esercitato in modo difforme il potere di disapplicazione, in via solo incidentale. Il giudicato non pu˜ toccare situazioni ormai definitive. Il giudicato di annullamento dellĠatto regolamentare o generale non fa venir meno quello del giudice tributario in cui sia stata dichiarata la legittimitˆ del- lĠatto conseguenziale n la inoppugnabilitˆ di questĠultimo. La situazione  simile a quella delle decisioni della Corte Costituzionale, che operano ex tunc ma non incidono sulle situazioni ormai consolidate per essersi il relativo rapporto esaurito. c) presupposizione impropria tra atti comunque autonomi. é il caso del rapporto tra diniego di agevolazione e diniego di rimborso, su cui v. Cass., n. 14045/2011: la Cassazione esclude lĠapplicazione dellĠart. 336, c.p.c. perchŽ il giudice dellĠatto conseguenziale ha comunque accertato in via incidentale, con efficacia di giudicato, il diritto allĠagevolazione. LĠatto conseguenziale non  dipendente dallĠatto presupposto, perchŽ ha una sua autonoma motivazione (sia pure con un nucleo comune a quello che sostiene il diniego dellĠagevolazione) su cui si formerˆ un autonomo giudicato. In quel caso il rimborso viene negato non perchŽ  stata emesso il provvedimento di diniego dellĠagevolazione con lĠatto presupposto, ma perchŽ il rimborso non  dovuto. Analoga soluzione dovrebbe imporsi nel rapporto accertamento-contestazione sanzioni. Cos“ stando le cose, il giudicato successivo sullĠatto presupposto non travolge il giudicato precedente perchŽ non vi  un vero rapporto di dipendenza procedimentale, e semmai dovrebbe configurarsi una possibile applicazione dellĠart. 395, n. 5, c.p.c. nei confronti del giudicato successivo (ancorchŽ formatosi sullĠatto presupposto). Lo stesso dovrebbe valere nel rapporto societˆ socio. Ma secondo la Corte di Cassazione il socio si avvantaggia del giudicato societario favorevole: -sempre: se era parte del giudizio societario: in teoria per˜ lĠannullamento societario non dovrebbe travolgere lĠaccertamento del socio sfavorevole passato in giudicato ex art. 336, c.p.c. non trattandosi di pregiudizialitˆ in senso stretto ma di atti autonomi; -salvo giudicato o inoppugnabilitˆ a lui sfavorevoli: se non era parte nel giudizio societario. 7. Il potere/dovere di autotutela. Se lĠatto conseguenziale non  impugnato, ma lĠatto presupposto viene poi annullato, si pu˜ chiedere allĠAmministrazione di agire in autotutela. LĠautotutela non dovrebbe operare quando lĠatto conseguenziale era giˆ censurabile per i vizi concernenti lĠatto presupposto: quindi nella ipotesi di presupposizione con atti generali o regolamentari (dovĠ possibile invocare la disapplicazione) e in quella di presupposizione impropria. In questi casi il giudicato di annullamento sullĠatto presupposto non dovrebbe travolgere lĠatto conseguenziale, e non dovrebbe consentire di ottenere lĠautotutela a fronte di un atto conseguenziale ormai inoppugnabile perchŽ non impugnato o perchŽ coperto da giudicato confermativo. LĠautotutela dovrebbe poter operare quando invece il vizio dellĠatto presupposto non poteva essere dedotto impugnando lĠatto conseguenziale. Avverso il diniego di autotutela, si ricorda che si configura un interesse legittimo tutelato dinanzi al giudice tributario, in cui possono farsi valere solo vizi intrinseci del diniego, non anche quelli relativi al rapporto sostanziale sottostante e allĠesistenza dellĠobbligazione tributaria (sul punto, v. Cass., n. 11457/2010; Cass., n. 16097/2009; Cass., SS.UU., n. 3698/2009). La Corte di Cassazione ammette lĠimpugnazione dellĠautotutela con estensione del sindacato giurisdizionale al merito del rapporto tributario, in soli due casi: a) autotutela esercitata dallĠAmministrazione nella quale si riesamini lĠatto e lo si confermi; b) fatti sopravvenuti (Cass., n. 3608/2006). Osservazioni sul libro III, titolo I del codice del processo amministrativo Giuliano Gambardella* SOMMARIO: 1. Una necessaria premessa sul doppio grado di giurisdizione - 2. Le impugnazioni: definizione, collocazione sistematica e principi generali - 3. La disciplina delle impugnazioni nel nuovo codice del processo amministrativo - 4. Il nuovo articolo 98 c.p.a. e la disciplina delle misure cautelari dopo il d.lgs. 160/2012 - 5. Termine per impugnare: le novitˆ introdotte dal codice del processo - 6. Luogo di notificazione delle impugnazioni e deposito -7. Le impugnazioni incidentali ed il principio di concentrazione delle impugnazioni nel codice del processo amministrativo - 8. Il deferimento allĠadunanza plenaria dopo i decreti legislativi 2 luglio n. 104, d. lgs. 195/2011 e d. lgs. 160/2012. 1. Una necessaria premessa sul doppio grado di giurisdizione. Nel processo amministrativo vige il principio del doppio grado di giurisdizione, secondo quanto previsto dagli articoli 100, 103 e 125 Cost. In applicazione di tali principi quindi lĠappellabilitˆ delle sentenze dei T.a.r. trova fondamento nelle norme costituzionali, e precisamente nellĠarticolo 125 comma 2, ma non pu˜ essere ignorato come, abitualmente sia in dottrina che in giurisprudenza amministrativa, si sia dato per scontato il postulato che la Carta non garantisca in maniera assoluta il doppio grado di giurisdizione. Merita, a tal riguardo, fare alcune precisazioni. La prima riguarda la domanda che dovrebbe sorgere spontaneamente, circa le ragioni per le quali il costituente avrebbe voluto garantire il doppio grado di giurisdizione solamente per la giustizia amministrativa e non anche per quella civile e penale, dato che, mentre questi ultimi due tipi di tutela giudiziale vantavano una tradizione legislativa ed applicativa di lungo corso, la giurisdizione amministrativa presentava contorni non ancora definiti, sia perchŽ gli interessi sottesi alla tutela giudiziaria ordinaria (civile e penale) non apparivano di rango deteriore rispetto alla tutela degli interessi legittimi che (a parte i casi di giurisdizione esclusiva) formava il contenuto storicamente essenziale della giustizia amministrativa, sia perchŽ, a parte la conservazione dei tradizionali organi di giustizia amministrativa (Consiglio di Stato e Corte dei Conti), anche per gli altri organi della giustizia amministrativa richiamati dallĠarticolo 103 cost., si era programmata una pronta revisione per bonificare il campo della giustizia amministrativa da ogni residuo di giurisdizioni speciali incompatibili con la Costituzione (VI disp. trans. e fin. Cost.). LĠaltra precisazione va fatta, invece, con riferimento al profilo sistematico, avuto riguardo alla topografia della Carta, dove tutte le disposizioni con (*) Dottorando di ricerca in Diritto ammiinistrativo - Universitˆ degli Studi di Roma Tor Vergata. cernenti la Magistratura trovano collocazione sistematica nel titolo IV di omonima intitolazione, mentre lĠarticolo 125 comma 2 che viene invocato come base costituzionale del doppio grado della giurisdizione amministrativa rientra nel titolo V dedicato alle autonomie locali. Deve essere aggiunto che Òdi organi di giustizia amministrativa di primo gradoÓ, lĠart. 125 Cost. parla solamente nel secondo comma (oramai unico comma dopo la soppressione del primo ad opera della riforma costituzionale del 2001), quasi come se si trattasse di una disposizione di secondaria importanza rispetto alla materia trattata nel comma precedente, dedicato ai controlli sugli atti amministrativi degli enti pubblici regionali. La funzione del T.a.r. originariamente era infatti quella di completare il quadro dei controlli (sia amministrativo che giurisdizionale) sul nuovo tipo di atto amministrativo che di li a poco sarebbe stato emesso dal nuovo apparato amministrativo di secondo livello. Come osservato dalla dottrina pi attenta, dovrebbe apparire inverosimile che una disposizione cosi innovativa in materia giurisdizionale, quale la previsione di un importantissimo ufficio giudiziario e lĠaffermazione sia pure indiretta ma formalmente esplicita di una garanzia costituzionale a tutela del doppio grado di giurisdizione fosse collocata nel titolo V della costituzione anzichŽ in quello precedente assieme a tutte le altre disposizioni costituzionali concernenti la materia giudiziaria. Diversamente, in precedenza (e cio prima dellĠentrata in vigore della legge n. 1034/1971 istitutiva dei T.a.r.), il Consiglio di Stato era visto come il fulcro dellĠintero sistema della giustizia amministrativa, non giˆ come mero organo di revisione di sentenze di altro organo di giustizia amministrativa. Prima dellĠistituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali, la giunta provinciale amministrativa aveva funzioni molto rilevanti, che comprendevano: il controllo di legittimitˆ e di merito (la cosiddetta "tutela") sugli atti della provincia, dei comuni, dei loro consorzi e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB); funzioni di giudice amministrativo per ricorsi contro provvedimenti amministrativi di tali enti nonchŽ per il contenzioso elettorale relativo ai loro organi. Quando la G.P.A. operava come giudice amministrativo sedevano nel collegio solo il prefetto, i due funzionari della carriera prefettizia e due dei membri eletti dal consiglio provinciale, il pi anziano e il pi giovane (era la cosiddetta sezione speciale, in contrapposizione alla sezione ordinaria composta da tutti i membri). Successivamente, le funzioni di giudice amministrativo sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale con sentenza n. 33 del 9-20 aprile 1968, poichŽ la posizione di dipendenza gerarchica dal Governo del prefetto e dei membri da lui designati ne pregiudicava l'indipendenza. Ora queste funzioni spettano al tribunale amministrativo regionale (TAR) istituito con legge n. 1034/1971. Diversi i problemi che sono emersi a seguito dellĠabolizione delle Giunte provinciali amministrative; si citano principalmente i problemi delle decisioni non passate in giudicato e lĠattribuzione della competenza al Consiglio di Stato ed al Consiglio di giustizia amministrativa. Con riferimento al primo si poneva in giurisprudenza il problema delle decisioni emesse dalle G.P.A. e non ancora passate in giudicato al momento della pronuncia della Corte Costituzionale. La giurisprudenza (1) ha chiarito che lĠefficacia di tale pronuncia non poteva incidere sui giudicati. Passavano in giudicato, ad esempio, non solo le decisioni non pi appellabili, o il cui appello fosse giˆ stato definito, ma anche quelle il cui appello era inammissibile per difetto di legittimazione, o irricevibile per tardivitˆ della notifica del gravame; non anche i provvedimenti cautelari, con la conseguenza che gli interessati dovevano rinnovare lĠistanza di sospensione davanti il Consiglio di Stato. Per le decisioni non coperte da giudicato si afferm˜ in molteplici pronunce, che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale, esse divenivano invalide (non esistenti) e che, pendendo davanti il Consiglio di Stato (o al Consiglio di Giustizia Amministrativa), questo doveva, anche dĠufficio annullarle. Ritenendosi consumato il primo grado di giurisdizione, la controversia veniva interamente devoluta a tale giudice, come se fosse stata a lui proposta in prime cure, con il conseguente obbligo di esame di tutti i motivi di ricorso in primo grado e quelli successivamente dedotti (2). Considerare lĠappello pendente davanti al Consiglio di Stato (Consiglio di Giustizia Amministrativa), come giudizio di primo grado presupponeva logicamente una volontˆ persistente di chi aveva originariamente preposto il ricorso alla G.P.A., in assenza della quale nessun giudizio di primo grado poteva mai ipotizzarsi. Dibattuto  stato anche il secondo problema afferente ai limiti dellĠattribuzione al Consiglio di Stato (ed al C.G.A.). In particolare, si pose subito il problema se lĠattribuzione si estendesse a tutta lĠarea prima coperta dai cessati organi e cio se la giurisdizione di questi passasse per intero o con qualche limite. Si escluse anzitutto che passasse la giurisdizione di merito, in quanto il Consiglio di Stato era giudice naturale di legittimitˆ, ma, per il merito, non poteva andare oltre i casi tassativamente attribuitigli dalla legge (3). (1) Consiglio di Stato, Sez. V, 21 maggio 1968 n. 691; Consiglio di Stato, Sez. V, 28 febbraio 1969 n. 123; Consiglio di Stato, Sez. V, 28 marzo 1971 n. 220; Consiglio di Stato, Sez. V, 29 settembre 1972 n. 773; C.G.A., 27 ottobre 1974 n. 470; Consiglio di Stato, 25 ottobre 1975 n. 427; TAR Lombardia, 22 ottobre 1975 n. 323. (2) Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24 novembre 1967 n. 15; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 13 febbraio 1968 n. 5; Consiglio di Stato, Sez. V, 20 febbraio 1968 nn. 96 e 98; Consiglio di Stato, Sez. V, 5 marzo 1968 n. 219. (3) Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 marzo 1969 nn. 5 e 7; Consiglio di Stato, Sez. V, 13 maggio 1969, n. 453; Consiglio di Stato, Sez. V, 10 ottobre 1969 n. 1039; Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 gennaio 1970 n. 18; Consiglio di Stato, Sez. V, 24 marzo 1970, n. 300. Contra Cass. SS.UU. 24 maggio 1975 n. 2099. Pi controversa fu lĠesclusione della giurisdizione esclusiva, relativamente alla tutela dei diritti soggettivi, per i quali si profil˜ il dubbio che, essendo unĠeccezione la loro sottrazione al giudice ordinario, venuta meno lĠeccezione, ossia le norme che li avevano attribuiti ad uno speciale giudice amministrativo, riprendesse vigore la regola. La questione fu affrontata dallĠAdunanza Plenaria (4), che si pronunci˜ per la reviviscenza di suddetta regola, ossia lĠattribuzione al giudice ordinario dei ricorsi in cui si lamentasse la lesione di un diritto. LĠorientamento fu in un primo tempo seguito dalla giurisprudenza amministrativa e successivamente, sotto lĠinflusso del deciso orientamento della Cassazione, la quale ripetute volte aveva dichiarato che lĠintera giurisdizione delle G.P.A., sia per gli interessi legittimi, sia per i diritti, doveva essere assorbita dal Consiglio di Stato, si registrava un mutamento di indirizzo in tal senso. La garanzia del doppio grado di giurisdizione riguarda soltanto lĠimpossibilitˆ di attribuire al t.a.r. competenze giurisdizionali in un unico grado e la conseguente necessaria appellabilitˆ delle sue sentenze, non potendo lĠarticolo 125 secondo comma cost. comportare lĠinverso, perchŽ nessunĠaltra norma indica il Consiglio di Stato come giudice solo di secondo grado (5). Secondo Travi, la norma di cui allĠart. 125 secondo comma cost. era stata pensata per assicurare lĠistituzione di un giudice amministrativo periferico, su base regionale, anche come elemento di garanzia e di equilibrio dei poteri riconosciuti dalla Costituzione alle Regioni ed agli enti locali. Le problematiche afferenti al doppio grado di giurisdizione sono estranee ad una prospettiva del genere ed anche lĠidea appunto di un giudice periferico. Ad avviso di chi scrive la costituzionalizzazione del doppio grado di giurisdizione non  da considerarsi una garanzia assoluta per il sistema della giustizia amministrativa; a tal proposito si citano come esempio a titolo meramente informativo la proposizione dei motivi aggiunti e lĠopposizione di terzo. Con riferimento ai motivi aggiunti (6), la possibilitˆ di formularli in appello rappresenta unĠeccezione sia allĠeffetto devolutivo, sia Òal doppio grado di giudizioÓ, sia al principio di corrispondenza tra oggetto del giudizio di primo grado e oggetto del giudizio in appello. La soluzione per cui ha optato il legislatore favorevole allĠammissibilitˆ ha una ragione e precisamente la seguente: Òil principio di effettivitˆ della tutela giurisdizionale, consentendole di essere pi celere e la riduzione dei tempi processuali avviene a scapito di un unico grado di giudizio. In definitiva la possibilitˆ di presentare motivi aggiunti in appello costituisce non soltanto applicazione del principio di effettivitˆ della (4) Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 marzo 1969 nn. 5 e 7. (5) A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, VIII ed. riv. e agg., Giappichelli, Torino, 2010. (6) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Giuffr editore, pag. 261, anno 2011. tutela giurisdizionale, ma anche e soprattutto del principio di economicitˆ e di concentrazione del giudizioÓ. 2. Le impugnazioni: definizione, collocazione sistematica e principi generali. Le impugnazioni sono ora disciplinate nel codice del processo amministrativo e precisamente nel libro III Titolo I che apre con lĠarticolo 91, ai sensi del quale: Òi mezzi di impugnazione delle sentenze sono lĠappello, la revocazione, lĠopposizione di terzo ed il ricorso per cassazione per i soli motivi attinenti alla giurisdizioneÓ. Il titolo I del libro III, oltre ai mezzi di impugnazione delle sentenze dei giudici amministrativi, contiene anche le disposizioni generali riguardanti i termini, il luogo ed il deposito, le parti del giudizio di impugnazione, le impugnazioni avverso la medesima sentenza (appena modificate dal terzo correttivo al codice del processo amministrativo), lĠintervento nel giudizio di impugnazione, le misure cautelari ed il deferimento allĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato (7) rispettivamente disciplinati dagli articoli 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98 e 99 del c.p.a. Un breve richiamo va fatto al codice del processo amministrativo, e precisamente al decreto legislativo n. 160 del 2012, che da ultimo nella disciplina delle impugnazioni ha modificato gli articoli 96, 98, 99 c.p.a. Pi nel dettaglio, allĠarticolo 96 viene modificato il termine di deposito dellĠappello incidentale ex art. 334 c.p.c.. In luogo del termine di 10 giorni, viene previsto un termine di 30 giorni; allĠarticolo 97 in luogo dellĠapplicazione dei soli artt. 55, 56 e 57 al procedimento finalizzato alla concessione delle misure cautelari appena menzionate, si prevede lĠapplicabilitˆ di tutto il titolo II (procedimento cautelare) del libro II, in quanto applicabile mentre allĠarticolo 99 viene contemplata la possibilitˆ, per la Plenaria, di dissentire in ordine alla importanza della questione e di restituire gli atti alla Sezione che ha disposto il rinvio. Quanto ai principi generali delle impugnazioni,  opportuno segnalare che con il codice del processo amministrativo, essi sono stati finalmente codificati, in quanto prima erano stati riconosciuti solamente dalla giurisprudenza. Trovano applicazione nel processo amministrativo in particolare il prin (7) Il sistema delle impugnazioni prima dellĠentrata in vigore del Codice del processo amministrativo  stato oggetto di specifiche disposizioni da parte dellĠarticolo 44 della legge n. 69/2009 che, tra i principi ed i criteri direttivi del riassetto della disciplina processuale amministrativa, ha ricompreso anche quello relativo al riordino del sistema delle impugnazioni (comma 2 lett. g da attuarsi individuando sia le disposizioni applicabili, mediante rinvio a quelle del processo di primo grado, sia disciplinando la concentrazione delle impugnazioni, lĠeffetto devolutivo dellĠappello, la proposizione di nuove domande, prove ed eccezioni). A tal fine il legislatore delegato, ispirandosi alle previsioni del codice di procedura civile, ha voluto soddisfare lĠesigenza di offrire una disciplina positiva ad istituti frutto della pi autorevole giurisprudenza amministrativa, cercando di creare un sistema organico di disposizioni in grado di colmare le lacune ed i dubbi interpretativi che hanno caratterizzato la precedente disciplina sulle impugnazioni. cipio di tipicitˆ delle impugnazioni, il principio della soccombenza, unitamente alle altre condizioni dellĠazione impugnatoria, il principio di concentrazione delle impugnazioni, lĠeffetto devolutivo ed i limiti dello jus novorum, lĠeffetto traslativo, lĠeffetto conservativo, lĠeffetto espansivo della pronuncia in sede di impugnazione, alcuni di questi giˆ previsti e disciplinati nel codice di procedura civile, come vedremo. Per completezza  opportuno analizzarli singolarmente partendo dal noto principio della soccombenza che  presupposto dellĠinteresse ad impugnare. Merita precisare che la sua configurabilitˆ risulta pacifica solo in alcune ipotesi che in questa sede  il caso di richiamare. Un esempio  quello del ricorrente, rispetto alla sentenza che ha dichiarato infondato il suo ricorso, oppure del controinteressato, rispetto alla sentenza di accoglimento del ricorso avversario. In altre ipotesi invece la configurabilitˆ ed i caratteri della soccombenza appaiono pi opinabili:  il caso del ricorrente che in primo grado abbia visto accolto il proprio ricorso (con conseguente annullamento del provvedimento impugnato) per alcune soltanto delle censure proposte, mentre le altre censure sono state dichiarate infondate. La giurisprudenza pi recente in questo caso considera nella ipotesi pro- spettata ammissibile lĠappello della parte vittoriosa in primo grado, se tale parte pu˜ conseguire dallĠeventuale accoglimento delle censure respinte dal Tar un vantaggio ulteriore (si pensi in proposito ai diversi effetti che derivano per il ricorrente, dallĠaccoglimento del ricorso per vizi di legittimitˆ solo formale). CĠ infine una parte della giurisprudenza che ammette, in deroga al principio della soccombenza anche lĠappello del terzo rimasto estraneo al giudizio (8). Segue a questo principio quello di concentrazione delle impugnazioni, giˆ disciplinato dallĠarticolo 42 del r.d. 642/1907, che dettava una disciplina particolare per la riunione (9) e la giurisprudenza, seppur fra alterne posizioni tendeva ad affermare lĠapplicabilitˆ anche al processo amministrativo dei principi dettati in materia dal codice del processo civile. Oggi la materia  oggetto di una disciplina specifica. Il principio di concentrazione dei giudizi di impugnazione trova applicazione in quattro istituti giuridici, due in via preventiva e due in via successiva. Il primo trova esplicito riconoscimento nellĠarticolo 95 c.p.a., il quale san (8) ALDO TRAVI, Lezioni di Giustizia Amministrativa, Ottava edizione, G. Giappichelli - Torino pag. 312 e ss. (9) LĠarticolo 52 del r.d. 642/1907, abrogato dallĠarticolo 4 primo comma, numero 2, dellĠallegato 3 al c.p.a. prevedeva che Òse alcuna delle parti o la pubblica amministrazione chieda che per ragioni di connessione due ricorsi siano uniti e venga provveduto su di essi con una sola decisione, la sezione, udite le parti interessate, pu˜ ordinarne lĠunione. Il Presidente pu˜, anche quando non sia chiesta lĠunione, ordinare che i due ricorsi siano chiamati di ufficio alla stessa udienza, affinch la sezione possa giudicare della loro connessione e, ove si faccia luogo alla riunione, pronunciare sui due ricorsi con una sola decisioneÓ. cisce che lĠimpugnazione va notificata, nelle cause inscindibili, a tutte le parti in causa e, negli altri casi, a tutte quelle che hanno interesse a contraddire. Sempre in via preventiva, il principio in parola si estrinseca nellĠonere di proporre le impugnazioni, successive alla prima in via incidentale. Tuttavia nel codice del processo amministrativo difetta una norma che imponga analogamente allĠarticolo 333 c.p.c. alla parte destinataria della notifica di una impugnazione, di proporre, a pena di decadenza, le sue impugnazioni in via incidentale nello stesso processo. LĠassenza di una norma siffatta, si traduce semplicemente nel venir meno della sanzione della decadenza per coloro che omettano di proporre impugnazione in forma incidentale nello stesso processo. La scelta di non ricollegare la sanzione della decadenza alla proposizione dellĠimpugnazione in via autonoma e non in forma incidentale, si rivela opportuna nel processo amministrativo, nel quale le posizioni delle parti sono molto variegate. Tuttavia, sarebbe stato preferibile inserire nel codice del processo amministrativo una norma che sancisce la necessitˆ di conferire la forma incidentale allĠimpugnazione successiva alla prima. Invece il potere conferito al giudice di procedere alla riunione dei ricorsi  manifestazione successiva del principio di concentrazione in esame; infatti lĠarticolo 96 primo comma c.p.a., intitolato Òimpugnazioni avverso la medesima sentenzaÓ stabilisce che Òtutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite in un solo processoÓ. LĠarticolo 96 primo comma, riproduce lĠarticolo 335 c.p.c. ad esclusione dellĠespressione Òanche di ufficioÓ. Tale mancanza potrebbe essere interpretata come una consapevole scelta volta ad evitare che la riunione delle impugnazioni venga disposta anche dĠufficio. Potrebbe sostenersi che si sia voluto assoggettare la materia al principio dispositivo, devolvendo solo alle parti il potere di decidere se riunire o meno le impugnazioni. Tuttavia lĠinterpretazione formale non pu˜ essere condivisa. Altri e pi importanti elementi inducono a formulare una diversa conclusione. La mancanza nellĠarticolo 96 primo comma c.p.a. dellĠespressione Òanche dĠufficioÓ, presente invece nellĠarticolo 335 c.p.c. non incide sui poteri del giudice di disporre la riunione delle impugnazioni, che possono essere esercitati anche dĠufficio. Invero la riunione dei processi  sottratta alla disponibilitˆ delle parti e rientra nella tecnica necessaria del processo. La riunione infatti  finalizzata ad assicurare la pi breve durata del processo e soddisfa esigenze di economia processuale. La definizione congiunta dei processi riduce il tempo di definizione delle controversie, in ossequio al principio costituzionale del giusto processo (10). (10) Sul tema G. CARLOTTI. La riunione dei ricorsi e lĠintegrazione del contraddittorio in G. CARLOTTI, M. FRATINI, LĠappello al Consiglio di Stato, Milano, 2008, 612. Oltretutto la riunione dei ricorsi riduce il rischio di giudicati contrastanti (11). La riunione delle impugnazioni deve essere disposta dal Collegio con ordinanza, in conseguenza della natura ordinatoria del provvedimento (12). Nonostante la riunione, ogni impugnazione per˜ conserva la sua autonomia e la riunione darˆ luogo ad una decisione pluristrutturata. Infine il principio di concentrazione dei giudizi di impugnazione trova applicazione in via successiva anche nellĠarticolo 95 terzo comma c.p.a., il quale conferisce al giudice il potere di integrare il contraddittorio quando la sentenza non sia stata impugnata nei confronti di tutte le parti. LĠindagine dovrˆ articolarsi enucleando innanzitutto, gli istituti che assicurano in via preventiva la concentrazione delle impugnazioni e poi, quelli che ne determinano il verificarsi in via successiva. La concentrazione delle impugnazioni in via preventiva  assicurata dalla previsione di specifici oneri in capo alle parti, in via successiva invece  garantita dal conferimento al giudice di una serie di poteri. Pertanto, dovranno essere esaminati innanzitutto lĠonere di notificazione dellĠimpugnazione e lĠonere di proporre le impugnazioni successive alla prima, in via incidentale; poi, dovrˆ essere approfondito il potere del giudice di riunire le diverse impugnazioni proposte autonomamente e quello di disporre lĠintegrazione del contraddittorio (13). Con riferimento alle impugnazioni  opportuno ancora esaminare lĠeffetto devolutivo, lĠoggetto del giudizio e la piena conoscibilitˆ del fatto. A tal proposito va fatta una premessa di carattere generale e cio che ogniqualvolta lĠappello viene proposto per sollecitare un nuovo giudizio di merito della controversia, ci si trovi in presenza di un gravame di tipo rinnovatorio (14) e come tale viene in evidenza lĠeffetto devolutivo (15). Al pari degli altri mezzi di impugnazione, anche lĠappello presuppone la soccombenza di chi lo propone, cio il rigetto parziale o totale delle sue domande in primo grado. LĠeffetto devolutivo si produce nel giudizio di appello in relazione ai capi (11) G. CARLOTTI, La riunione dei ricorsi e lĠintegrazione del contraddittorio in G. CARLOTTI, M. FRATINI, LĠappello al Consiglio di Stato, Milano, 2008, 612. (12) In tal senso S. CASSARINO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Milano, 1990, 491; G. CARLOTTI, La riunione dei ricorsi, 2008, 615. (13) Le impugnazioni nel processo amministrativo di SERGIO PERONGINI, 2011, Il principio di concentrazione delle impugnazioni, pag. 46, 47, 48. (14) Tale lo qualifica anche C.E. GALLO, Appello, cit., 321, rilevando che il rinvio al giudice di primo grado (artt. 34 e 35 della legge n. 1034 del 1971)  del tutto eccezionale. Recentemente lĠappello  stato definito Ògravame rinnovatorio, a natura libera con pienezza della cognitio causaeÓ da IANNOTTA L. - PUGLIESE F., Appello e contraddittorio, in Dir. Proc. Amm., 1997, 10. (15) Sul punto BASSI F., LĠeffetto devolutivo nellĠappello amministrativo (dalla parte del ricorrente) in Dir. Proc. Amm. 1985, 343. Da ultimo sullĠeffetto devolutivo del processo civile: BIANCHI L., I limiti oggettivi dellĠappello civile, Padova 2000, 165 e ss.. di domanda riproposti in secondo grado ed alle eccezioni in rito sulle quali il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare o si sia pronunciato. Non pu˜ non evidenziarsi come dalla proposizione dellĠappello possano nascere delle problematiche, concernenti i profili attinenti allĠesigenza della riproposizione specifica delle varie questioni o alla devoluzione automatica di certe questioni, indipendentemente da apposita riproposizione. Si tratta in particolare di tre aspetti che meritano la dovuta attenzione. Il primo  quello relativo ai poteri di cognizione del giudice di secondo grado in ordine allĠaccertamento del fatto. Il secondo  quello relativo ai poteri di cognizione e di decisione del giudice, in relazione alle domande nuove. Il terzo  quello relativo al limite posto dalla volontˆ delle parti, rispetto allĠoggetto del giudizio. In riferimento al primo di questi aspetti, la dottrina pi autorevole (16) aveva rilevato che la legge istitutiva dei T.a.r., a differenza di quanto disponeva lĠarticolo 22 del T.U. per lĠappello avverso le decisioni del g.p.a. in s.g. non poneva pi alcuna limitazione per quel che concerneva la conoscibilitˆ del fatto. Qualunque sia il vizio denunciato, cio sia che esso riguardi la sentenza di primo grado, sia che esso riguardi un provvedimento amministrativo impugnato, il Consiglio di Stato ha il potere di indagare, liberamente, mediante lĠacquisizione di nuove prove o mediante il compimento di nuove valutazioni sul fatto, avvalendosi degli stessi poteri del giudice di primo grado, senza limitazione alcuna (17). Conseguentemente ai fini della deduzione di nuove prove, nessuna preclusione si verifica nei confronti delle parti, per effetto della mancata allegazione di esse nel giudizio innanzi al T.a.r. LĠeffetto devolutivo nel processo amministrativo si manifesta dunque non devolvendo al giudice di secondo grado il fatto come accertato nel giudizio di primo grado, ma mediante la devoluzione al giudice degli stessi poteri spettanti al giudice di primo grado, ai fini dellĠaccertamento del fatto, trattandosi di un giudizio rinnovatorio (18). LĠappello, infatti, in quanto revisio prioris instantiae e non rimedio eliminatorio, non pu˜ che essere rinnovatorio pieno, salvo i limiti che per ciascun tipo di processo vengano posti nelle discipline legislative particolari, come ad esempio avveniva quanto alla conoscibilitˆ del fatto nellĠappello avverso le decisioni delle g.p.a., per il quale era stabilito che il Consiglio di Sato avrebbe (16) Per tutti si veda V. CAIANIELLO, Manuale di diritto Processuale amministrativo, Utet, anno 2003, pag. 875 e ss.. (17) VACIRCA G., SullĠammissibilitˆ delle nuove prove in appello nel processo amministrativo (nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 ottobre 1986 n. 684) in Foro amm., 1978, 93. (18) Cons. Giust. Amm. Sic., 22 febbraio 1978 n. 5 e Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 ottobre 1979 n. 711. SullĠargomento V. TIMIERI, Considerazioni sullĠistruttoria e sullĠappello, in Nuova Rass., 1981, 836 ss.. dovuto decidere la controversia Òritenuto il fatto stabilito dalla decisione impugnataÓ. Mancando nellĠattuale normativa questa specificazione anche in base ad un criterio interpretativo dĠordine Òstorico sistematicoÓ, deve ritenersi, in disaccordo con alcune recenti tendenze giurisprudenziali, che il Consiglio di Stato quale giudice di appello non incontri limitazioni per quel che concerne le indagini sul fatto, escludendosi, correlativamente, ogni preclusione per le parti nella deduzione dei mezzi di prova, ai fini della rinnovazione dellĠistruttoria, ovviamente nei limiti delle censure proposte nellĠatto di appello o nei limiti in cui il giudice possa rilevare dĠufficio questioni attinenti al giudizio di primo grado (19). Prima dellĠentrata in vigore del codice del processo amministrativo avvenuto con decreto legislativo n. 104/2010, la scarna disciplina prevista in tema di appello taceva completamente sul punto (20). Gli unici punti di riferimento erano desumibili dalla qualificazione del (19) Nel senso della potestˆ istruttoria piena del Consiglio di Stato in sede di appello: Cons. di Stato Sez. V, 27 ottobre 1978 n. 1051 ed in senso adesivo, QUARANTA A., LĠappello nel sistema dei mezzi di impugnazione delle sentenze dei tribunali amministrativi regionali, cit., 1873; SATTA F., Appello, cit., 442. (20) Sul divieto di nuove domande in appello la giurisprudenza, anche prima dellĠistituzione della legge T.a.r.  stata sempre costante: Cons. di Stato, Adunanza Plenaria, 7 novembre 1966 n. 22. Il Consiglio di Stato estende al processo amministrativo il divieto dello jus novorum, sancito dallĠarticolo 345 c.p.c. quale logica conseguenza del principio di specificitˆ dei motivi di impugnazione del provvedimento amministrativo, e pi in generale, dellĠonere di specificazione della domanda da parte di chi agisce in giudizio (Cons. di Stato, Sez. VI, 30 novembre 1995 n. 1356). Il divieto delle nuove prove non  applicabile in tema di questioni pregiudiziali - ricevibilitˆ, ammissibilitˆ, le quali, essendo rilevabili dĠufficio nei giudizi di primo grado, ben possono essere affrontate dal giudice dĠappello se in tale grado fatte valere da una delle parti: Cons. di Stato, Sez. V, 16 aprile 1987 n. 251; 26 maggio 1989 n. 321; ma Sez. IV, 14 marzo 1990 n. 171, esclude la rilevabilitˆ dĠufficio in grado di appello della causa di inammissibilitˆ del ricorso di primo grado allorch il primo giudice ha accolto il ricorso nel merito, con ci˜ implicitamente disattendendola; pertanto  da ritenersi ammissibile in appello il motivo con cui lĠappellante deduce la carenza di interesse dei ricorrenti in primo grado sotto profili nuovi rispetto a quelli denunciati nel giudizio davanti il tribunale amministrativo regionale (Consiglio di Stato, Sez. V, 27 agosto 1976 n. 1126). Inoltre il ricorso in appello  stato ritenuto ammissibile anche se la parte soccombente e ricorrente prospetti una tesi diversa da quella sostenuta in primo grado, ove tale tesi sia in stretta correlazione e dipendenza dalla qualificazione giuridica data dalla decisione impugnata allĠoggetto del provvedimento, ma rimanendo sempre sul tema del decidere (Cons. di Stato, Sez IV, 13 giugno 1978 n. 561). Pi incerto  il discorso sulla estensione del divieto dello jus novorum alle eccezioni nuove, in quanto in passato prevaleva la tesi contraria, cio quella che riteneva possibile sollevare, per la prima volta in secondo grado, delle eccezioni nuove, salvo la loro incidenza sul regime delle spese (Cons. di Stato, Sez. VI, 27 gennaio 1978 n. 99; Sez. VI, 3 marzo 1978 n. 309; Sez. IV, 31 luglio 1987 n. 506; Sez. VI, 4 novembre 1988 n. 1223; Sez. VI, 13 aprile 1991 n. 182; Sez. IV, 6 marzo 1996 n. 292), mentre di recente, da un lato si afferma, in sintonia con il novellato art. 345 comma 2 c.p.c., la loro improponibilitˆ, atteso che anchĠesse allargano lĠoggetto del giudizio (Cons. di Stato, Sez. IV, 2 giugno 1999 n. 963; 28 dicembre 2000 n. 6947); dallĠaltro, si esclude che il novellato art. 345 comma 2 c.p.c. sia compatibile con le nuove esigenze del processo amministrativo (Cons. di Stato, 2 marzo 2000 n. 1086; 31 gennaio 2011 n. 349). Le incertezze non riguardano per˜ quelle eccezioni rilevabili anche dĠufficio, per le quali va escluso il divieto dello jus novorum nel giudizio di appello (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 24 giugno 1998, n. 4). gravame come ÒappelloÓ e dal terzo comma dellĠarticolo 35 della legge n. 1034/1971, che, posto dopo i commi che disciplinano i casi di rinvio al giudice di primo grado, stabiliva che Òin ogni caso il Consiglio di Stato decide sulla controversiaÓ. La qualificazione del gravame come appello imporrebbe il riferimento agli istituti ed ai principi elaborati dalla scienza generale per questo mezzo di gravame, e quindi a quello proprio dei gravami di tipo appellatorio, del divieto di proposizione di domande nuove (21). In secondo luogo, lĠintera formulazione dellĠarticolo 35 della legge n. 1034/1971, aggancia il giudizio di secondo grado a quello di primo grado, ed in particolare al primo comma, ove stabilisce che il Consiglio di Stato quando accoglie il ricorso per difetto di procedura o di forma Òannulla la sentenza e rinvia per la controversia al giudice di primo gradoÓ. Per controversia si intende ovviamente quella di cui il giudice di primo grado era stato in precedenza investito, altrimenti si arriverebbe allĠassurdo di ritenere che in sede di giudizio di rinvio il T.a.r. possa conoscere di una controversia nuova rispetto a quella di cui era stato investito con ricorso introduttivo. Il termine controversia  pure presente nel terzo comma dellĠarticolo 35, dove risulta che: Òin ogni altro caso il Consiglio di Stato decide sulla controversiaÓ. Osserva autorevole dottrina (22), che se in una stessa norma viene usato pi volte lo stesso termine, deve ad esso attribuirsi un significato omogeneo ogni volta che lo si incontra. E se nel primo comma si  visto che per ÒcontroversiaÓ non pu˜ non intendersi se non quella di cui ÒgiˆÓ era stato investito il giudice di primo grado, identico significato deve attribuirsi allo stesso termine usato nel terzo comma, il che porterebbe ad escludere che il giudice di appello possa essere investito, mediante domande nuove, di una controversia diversa da quella della quale era investito il giudice di primo grado. (21) SCIACCA N., LĠappello nella legge sui tribunali amministrativi regionali in Cons. di Stato, 1973, II 1069, il quale sembra orientato per la possibilitˆ dellĠallargamento delle domande in appello. La giurisprudenza  ferma nel negare lĠammissibilitˆ di domande nuove in appello; Cons. di Stato, Sez. V, 26 febbraio 1976 n. 291; 22 aprile 1976 n. 669; 26 ottobre 1976 n. 1319; 25 marzo 1977 n. 220; Sez. VI, 8 novembre 1977 n. 843; Sez. IV, 20 dicembre 1977 n. 1284; Sez. IV, 17 gennaio 1978 n. 17; Sez. VI, 31 luglio 1987 n. 506; 14 novembre 1988 n. 1440; 11 maggio 1991 n. 308 e pi di recente Sez. V, 26 maggio 1992 n. 466; Sez. IV, 3 dicembre 1996 n. 1277; 2 giugno 1999 n. 963. Sono state ritenute anche inammissibili in appello le censure dedotte in primo grado con semplice memoria (Sez. IV, 5 aprile 1977 n. 366; 22 novembre 1977 n. 1045; Ad. Plen., 7 Luglio 1978 n. 22; Sez. IV, dicembre 1995, n. 981). La regola vale anche per il soggetto che nel giudizio dinanzi il tribunale amministrativo regionale sia stato parte resistente, il quale non pu˜ far valere censure dedotte in primo grado solo se, con ricorso incidentale dinanzi al tribunale regionale medesimo, abbia proposto un motivo specifico sulla questione controversa, pu˜, in caso di reiezione da parte del primo giudice, riproporre la censura come motivo di appello (Sez. V, 17 dicembre 1976 n. 1524). Sono inoltre inammissibili i motivi in appello dedotti per la prima volta nella discussione orale (Sez. IV, 4 marzo 1977 n. 207; Sez. IV, 6 dicembre 1977 n. 1121). (22) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Ed. Utet, 2003, pag. 878. Peraltro, con riferimento ai motivi, sono da ritenersi ammissibili, ancorchŽ proposti per la prima volta, non solo quelli riferiti alla sentenza ed al giudizio di primo grado, ma anche i motivi aggiunti. Il divieto di proporre nuovi motivi, poi, vale per il ricorrente originario ma non per i resistenti in primo grado, i quali possono appellare la decisione ad essi sfavorevole adducendo qualsiasi motivo ritenuto utile per dimostrare al giudice di appello lĠinfondatezza della domanda del ricorrente accolta dal T.a.r. (23). Il principio del divieto di nuove prove subisce alcuni temperamenti che  opportuno richiamare in questa sede. In primo luogo per stabilire in che senso debba parlarsi di medesime controversie, ci si deve riferire agli elementi di identificazione dellĠazione che sono i soggetti, il petitum e la causa petendi (24). In riferimento al petitum,  escluso (25) che possa essere chiesto lĠannullamento di atti diversi da quelli impugnati in primo grado, mentre sul punto della rivalutazione monetaria sembra prevalere la tesi della possibilitˆ di richiederla per la prima volta in appello, trattandosi di statuizione che il giudice pu˜ pronunciare anche dĠufficio (26). Diversamente dal petitum, lĠaspetto pi rilevante nello jus novorum riguarda la causa petendi, che, come si sa,  la ragione per cui lĠazione viene proposta e che ha origine dalla lesione che si assume prodotta nella sfera giuridica del soggetto. In relazione a tale elemento, deve escludersi che possa considerarsi domanda nuova una diversa prospettazione in appello di un motivo di censura, quando nella sostanza esso richiami lo stesso vizio dellĠatto impugnato che, sia pure con una diversa formulazione giuridica (ad esempio violazione di legge invece che eccesso di potere, oppure travisamento dei fatti invece che illogicitˆ) era giˆ stato dedotto nel ricorso introduttivo dinanzi al tribunale amministrativo regionale (27); mentre a diversa conclusione perviene la giurisprudenza quando si sia in presenza di una sostanziale modificazione, in appello dei motivi di impugnazione (28). Ci˜ che rileva per lĠindividuazione della causa petendi  la lesione della (23) Cons. di Stato, Sez. VI, 13 aprile 1991 n. 182; Sez. V, 3 gennaio 1992 n. 2; 30 settembre 1998 n. 1363; Sez. VI, 14 maggio 1999 n. 641; 23 settembre 1999 n. 1257; 21 febbraio 2001 n. 906. (24) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Ed. Utet 2003, pag. 126. (25) Cons. di Stato, Sez. IV, 4 marzo 1977 n. 207. (26) Cons. di Stato, Sez. IV, 17 settembre 1984 n. 512 e 31 ottobre 1984 n. 628, salvo i limiti del giudicato formatosi sullĠesplicito rigetto, in primo grado, il che ne precluderebbe la rilevabilitˆ dĠufficio (Cons. di Stato, 1 agosto 1985 n. 18). Pi di recente: Cons. di Stato, Sez. V, 17 gennaio 1994 n. 11. (27) In giurisprudenza Cons. di Stato, Sez. VI, 7 luglio 1982 n. 344; Sez. V, 3 ottobre 1984 n. 684 e 15 ottobre n. 315; Sez. IV, 19 febbraio 1986 n. 108; Sez. V, 1 febbraio 1995 n. 179; in V. CAIANIELLO, Manuale di Diritto Amministrativo, pag. 880. (28) Cons. di Stato, Sez. VI, 20 febbraio 1998 n. 179. sfera giuridica del ricorrente e questa lesione deriva dal vizio dellĠatto in quanto vizio e non secondo la formulazione che di esso venga data dalle parti. Un secondo temperamento al divieto di domande nuove  la possibilitˆ di proposizione di motivi aggiunti in appello, solo ove, in base al deposito per la prima volta, in questa sede, di documenti nuovi, le parti siano in grado di dedurre i vizi dellĠatto. Sulla loro proponibilitˆ possono verificarsi tre diverse ipotesi. La prima  quella dellĠinammissibilitˆ per effetto del divieto di nuove prove in appello; la seconda quella dellĠammissibilitˆ, ma del rinvio al giudice di primo grado per consentire anche sui motivi aggiunti il doppio grado di giurisdizione; la terza  quella dellĠinammissibilitˆ delle nuove prove, ma con lĠesame diretto di essi da parte del giudice di appello. Intanto, la prima soluzione non pu˜ essere condivisa, perchŽ in contrasto con il principio della paritˆ processuale delle parti. LĠamministrazione o le altre parti intimate potrebbero difatti riservarsi di esibire documenti rilevanti ai fini del decidere nel processo di appello, impedendo cosi al ricorrente di far valere eventuali vizi dellĠatto desumibili dalla nuova documentazione esibita e ricavando cos“ un vantaggio, sul terreno processuale, a discapito del diritto di difesa del ricorrente. Non  neppure condivisibile la seconda soluzione in base al diritto positivo, perchŽ il rinvio al giudice di primo grado  previsto dalla legge in ipotesi tassativamente indicate. La soluzione invece che trova piena condivisibilitˆ  la terza, perchŽ appunto confacente al rispetto del diritto di difesa e del principio di paritˆ processuale fra le parti (29). Con lĠentrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo le tre ipotesi del divieto di nuove domande in appello sono state definitivamente codificate e riunite allĠarticolo 104. LĠarticolo consta di tre autonome fattispecie che  opportuno prima citare per poi esaminarle. Stabilisce il primo comma Ònel giudizio di appello non possono essere proposte nuove domande, fermo quanto previsto dallĠarticolo 34 comma 3,nŽ nuove eccezioni non rilevabili dĠufficio. Possono tuttavia essere chiesti gli interessi e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonchŽ il risarcimento del danno dopo la sentenza stessa. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti (29) V. CAIANIELLO, Commento allĠart. 28 della legge n. 1034/1971, nel volume LUCIFREDI - CAIANIELLO, I tribunali, cit., 227, nonchŽ nella prima edizione dei Lineamenti, p. 430, e in giurisprudenza, Cons. di Stato, Sez. IV, 13 maggio 1992 n. 511; Sez. VI, 11 gennaio 1999 n. 8.: Cons. di Stato, Ad. Plen., 28 ottobre 1980 n. 40, che sembrerebbe a prima vista ammettere il motivo aggiunto solo se costituisca esplicazione di un motivo giˆ dedotto in primo grado. Una pi attenta lettura della decisione dovrebbe portare ad escludere che si sia voluta affermare tale limitazione. nuovi documenti, salvo che il Collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o dei provvedimenti amministrativi impugnatiÓ. Si tratta di una mera riproduzione di quanto era giˆ stabilito nel codice del processo civile dato che la disposizione estende ad un altro processo (quello amministrativo) la disciplina dettata per il processo civile allĠarticolo 345 c. p.c. relativo al principio del divieto dei nova in appello, sia per le domande nuove, escluse quelle aventi ad oggetto accessori maturati dopo la sentenza appellata, nonchŽ il risarcimento dei danni subiti dopo la sentenza stessa, sia per le eccezioni non rilevabili dĠufficio. La codificazione di questa disposizione altro non  se non il frutto del recepimento di precedenti orientamenti giurisprudenziali (30) che hanno riconosciuto lĠapplicabilitˆ della regola di cui alĠarticolo 345 c.p.c. allĠeccezione di prescrizione proposta per la prima volta in appello dallĠamministrazione soccombente, cos“ risolvendo i contrasti giurisprudenziali in ordine allĠammissibilitˆ dei nova in appello. Quanto, pi in generale, al regime delle eccezioni e delle nuove domande, sempre previste dal primo comma dellĠarticolo 104 c.p.a. il codice stabilisce che per le parti diverse dallĠappellante sia sufficiente la loro riproposizione nei termini e nei modi previsti per la costituzione in giudizio e quindi con semplice memoria non notificata. Al contrario per le eccezioni espressamente o implicitamente esaminate e non accolte, nel silenzio del codice sembra preferibile lĠinterpretazione analogica, basata anche sulla natura del giudizio come continuazione del giudizio di primo grado, ma si deve segnalare un persistente contrasto nella giurisprudenza amministrativa, parte della quale ritiene necessaria la proposizione di un apposito appello incidentale. La soluzione accolta si fonda a giudizio del Consiglio di Stato sul combinato disposto degli articoli 3 e 24 Cost., che esprimono la pienezza della tutela giurisdizionale e la completa paritˆ delle parti nel processo, come valore di rilevanza costituzionale e sul rilievo dellĠestensione dei casi di giurisdizione esclusiva, in cui le parti si fronteggiano in posizione paritetica. Prima dellĠentrata in vigore del codice del processo amministrativo non vi era una disciplina specifica del divieto dello jus novorum, ma semplicemente giurisprudenza consolidata, sopra menzionata (31) che estendeva i principi generali della procedura civile soltanto ad alcuni aspetti ed istituti non puntualmente disciplinati. (30) Consiglio di Stato, Ad. Plen., 29 dicembre 2004 nn. 14 e 15. (31) Consiglio di Stato, Ad. Plen., 8 aprile 1963 n. 6. Sempre con riferimento al divieto di nuove domande, va osservato che mentre la giurisprudenza (32) aveva concordemente affermato lĠoperativitˆ del divieto di cui allĠarticolo 345 c.p.c., un orientamento minoritario (33) aveva invece escluso lĠapplicabilitˆ del comma 2 dellĠarticolo 345 c.p.c., contenente il divieto di proposizione per la prima volta in appello di eccezioni non rilevabili dĠufficio. Il secondo comma dellĠarticolo 104 del codice del processo amministrativo disciplina invece il divieto dello jus novorum con riferimento, in particolare, al divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti in appello. In base ad una prima lettura sembrerebbe che la disposizione riproduca ÒpedissequamenteÓ quanto giˆ disciplinato nellĠarticolo 345 comma 3 del c.p.c., ribadendo ai fini della loro ammissibilitˆ in sede di appello le condizioni alternative allĠindispensabilitˆ ai fini della decisione della causa ovvero dellĠimpossibilitˆ di produzione in primo grado per causa non imputabile alla parte (34). Prima di passare ad esaminare le problematiche affrontate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, occorre sottolineare che esistono due tipi di prove; quelle costituite, come ad esempio i documenti, e quelle costituende, che cio si formano nel processo, come ad esempio la testimonianza. Giurisprudenza amministrativa recente, per˜ (35), ha cercato di disco- starsi dallĠordinaria regola dello jus novorum come regola generale derivante dalle disposizioni e dalla logica interna del processo civile. In particolare la giurisprudenza (36) era incline a mitigare il divieto previsto dallĠarticolo 345 comma 3 c.p.c., ritenendosi inapplicabile la predetta preclusione ove si trattasse di documentazione preesistente: ÒlĠarticolo 345 c.p.c. non esclude in modo tassativo la produzione di nuove prove in appello, poichŽ ne ammette lĠacquisizione quando le stesse siano indispensabili alla decisione della causa. NŽ va trascurato che, ove la parte interessata, senza produrre il documento che risulti decisivo, ne affermi lĠesistenza, il giudice amministrativo potrebbe esercitare i poteri istruttori tipici di un processo basato sul metodo acquisitivoÓ. Una disposizione che ci aiuta a confermare questo assunto  prevista nel nuovo codice del processo amministrativo e precisamente allĠarticolo 66 che disciplina lĠistituto della verificazione, che altro non rappresenta se non un mezzo istruttorio di competenza collegiale. Diversamente e contrariamente al divieto di ammissione di nuovi mezzi (32) Cons. di Stato, Sez. VI, 30 settembre 2007 n. 356, Cons. di Stato, Sez. IV, 12 agosto 2002 n. 4163; Cons. di Stato, Sez. VI, 21 febbraio 200 n. 906; Cons. di Stato, Sez. V, 2 marzo 1999 n. 222; Cons. di Stato, Sez. IV, 24 giugno 1997 n. 675. (33) Cons. di Stato, Sez. V, 31 gennaio 2001 n. 349; Cons. di Stato, Sez. V, 21 febbraio 2001 n. 906; Cons. di Stato, Sez. IV, 28 dicembre 2000 n. 6947. (34) ROBERTO CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo, Giuffr, Milano 2010. (35) Cons. di Stato, Sez. IV, 19 ottobre 2007 n. 5472. (36) Cons. di Stato, Sez. V, 22 dicembre 2005, che cita come precedenti Sez IV, 15 novembre 2004 n. 7365; Sez. V. 4 novembre 2004 n. 7140. di prova e nuovi documenti disciplinato dal nuovo articolo 104 comma 2 c.p.a., ed in applicazione dei principi di effettivitˆ e di concentrazione della tutela giurisdizionale,  prevista la possibilitˆ di proporre motivi aggiunti in sede di appello nellĠipotesi in cui la parte sia venuta a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel corso del giudizio di primo grado, da cui emergano vizi degli atti e dei provvedimenti amministrativi impugnati. Fatte queste brevi premesse, occorre sottolineare come i motivi aggiunti sono stati interpretati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Una parte della dottrina (37) si era posta la domanda se davvero fosse riferibile alla problematica del divieto in parola la proponibilitˆ di motivi aggiunti in un momento successivo alla scadenza del termine ultimo per appellare ed aveva espresso parere negativo, ritenendo che, al pari del giudizio di primo grado, il motivo aggiunto non va ad ovviare a lacune e dimenticanze in cui sia incorso il difensore nel formulare il ricorso originario, i motivi aggiunti di appello non valgono ad integrare le censure impugnatorie mosse alla sentenza con lĠappello originario, quindi non violano il divieto dei nova in appello e neanche la perentorietˆ dei termini per appellare, essendo la proponibilitˆ dei motivi stessi pur sempre legata a fatti di conoscenza e Ògiustificata per il fatto che essi concernono vizi che emergono per la prima volta in quel grado di giudizioÓ e si atteggiano come strumento integrativo del ricorso, in seguito allĠacquisizione al processo di fatti nuovi, prima non noti al ricorrente. Logica conseguenza di quanto appena affermato  che anche la possibilitˆ di proporre in appello motivi aggiunti segue logiche distinte da quelle proprie dei nova. Altra parte della dottrina (38), ribadendo la precedente tesi, definendolo un Òproblema ulterioreÓ aveva preso in esame quello dellĠapplicabilitˆ al giudizio di appello della novitˆ introdotta dalla legge di riforma del 2000 in ordine alla facoltˆ-onere di impugnare con motivi aggiunti i provvedimenti, connessi a quello impugnato e quindi allĠoggetto del ricorso, intervenuti in pendenza del relativo giudizio. LĠeventuale inapplicabilitˆ del divieto di nuove domande ed eccezioni avrebbe potuto dare adito a manovre dilatorie contrarie allo spirito della stessa innovazione in parola e sarebbe stata contraria al principio di economia processuale per le possibili refluenze dei nuovi provvedimenti sul giudizio originario; perci˜ si concludeva in senso affermativo, con il solo inconveniente della perdita del doppio grado di giurisdizione nella misura in cui questi motivi aggiunti sarebbero stati sottoposti direttamente allĠesame ed alla decisione del giudice di appello (39). (37) ALDO TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, VIII ed. riv. e agg., Giappichelli, Torino, 2010. (38) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto amministrativo, ed. Utet, 2003. (39) Sul punto si veda pure NAZARENO SAITTA, Sistema di Giustizia Amministrativa, terza edizione aggiornata al codice del processo amministrativo, Giuffr Editore, pag. 671. Anche la giurisprudenza (40) che si era formata prima dellĠentrata in vigore del codice del processo amministrativo considerava pacifica lĠammissibilitˆ di motivi aggiunti in appello, ma non anche di quelli diretti avverso provvedimenti adottati in pendenza di ricorso tra le stesse parti, Òconnessi allĠoggetto del ricorso stessoÓ ai sensi delle novitˆ normative introdotte con lĠarticolo 1 della legge n. 205/2000, osservando da un lato che siffatto gravame aggiuntivo avrebbe privato, per la scelta fatta da una parte, le altre parti del primo dei due gradi di giudizio; dallĠaltro che lo scopo della concentrazione perseguito dal novellato articolo 21 della legge T.a.r. avrebbe potuto essere raggiunto attraverso la rituale proposizione di un ulteriore ricorso in primo grado e la richiesta di assunzione di adeguate misure al giudice di appello, in attesa della pronuncia da parte del T.a.r. anche sul secondo ricorso. Secondo giurisprudenza amministrativa (41), una sorta di novum, necessariamente consentito in grado di appello  dato dal caso in cui il T.a.r. abbia deciso con sentenza in forma semplificata emessa in data anteriore a quella della sentenza da cancellare, del termine per la proposizione del ricorso incidentale, dovendosi consentire al controinteressato di far valere quelli che avrebbero rappresentato i motivi del ricorso incidentale sottoforma di motivi di appello contro la sentenza. Il Consiglio di Stato (42) ha, poi, escluso la possibilitˆ di proporre motivi (40) Cons. di Stato, Sez. V, 5 luglio 2006 n. 4252. (41) Cons. di Stato, Sez. IV, 12 giugno 2003 n. 3312. (42) Cons. di Stato, Sez. V, n. 3913/2011, cit., secondo cui a tale conclusione si perviene: a) in base al tenore letterale della norma sancita dallĠarticolo 104 comma 3, cit., che si riferisce a provvedimenti giˆ impugnati in primo grado ed a documenti preesistenti ma non prodotti nel giudizio davanti al t.a.r. b) sul piano logico e sistematico, in considerazione della portata del principio grado di giudizio che non consente ampliamenti del thema decidendum nel passaggio tra il primo ed il secondo grado, non pu˜ incontrare deroghe implicite,  posto nellĠinteresse di tutte le parti in causa,  inderogabile costituendo espressione di ordine pubblico processuale (cfr. da ultimo, sul valore del principio alla luce del nuovo c.p.a., Cons. di Stato, III, 5 maggio 2011, n. 2031). Nello stesso senso, aggiunge il Supremo Consesso, depone anche la relazione illustrativa del c.p.a. in cui si afferma che i motivi aggiunti in appello si rivolgono contro atti giˆ impugnati in primo grado e che resta Òfermo il principio per cui nei confronti degli ulteriori provvedimenti amministrativi emessi o conosciuti nelle more del giudizio di appello va proposto ricorso di primo gradoÓ. In applicazione del principio in esame, ancora il Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2001 n. 2257, in Urbanistica e Appalti, 2011, 737), ha ritenuto ammissibile la proposizione in appello di motivi aggiunti al ricorso incidentale ex art. 104, comma 3 c.p.a. con i quali lĠaggiudicatario appellato deduca un nuovo motivo di censura avverso lĠammissione dellĠoriginario ricorrente, emerso dopo la celebrazione del giudizio di prime cure. A tale conclusione il Supremo Consesso  pervenuto ritenendo che nel caso di specie Òil nuovo motivo non introduce una Òdomanda nuovaÓ, ma costituisce unĠarticolazione della medesima domanda proposta con il ricorso incidentale di primo grado, entrambe volte a sostenere che lĠappellante principale andava escluso dalla garaÓ.Nella suddetta prospettiva, il Consiglio di Stato ha ritenuto superati i dubbi di costituzionalitˆ della disposizione processuale in esame sollevati dallĠappellante principale, ritenendo che la norma, infatti, contemperi il tendenziale principio del doppio grado di giudizio con il diritto di difesa dellĠarticolo 24 Cost. (il quale risulterebbe compresso se non si consentisse di sollevare in appello questioni discendenti dalla natura tardiva scoperta di documenti fondamentali). aggiunti in appello avverso atti diversi da quelli impugnati con sentenza di primo grado, ancorchŽ connessi ovvero impugnati in via meramente derivata. Come prima accennato lĠultimo dei problemi che pone lĠeffetto devolutivo riguarda il limite posto dalla volontˆ delle parti allĠoggetto del giudizio. La rilevabilitˆ delle questioni pregiudiziali relative al giudizio di primo grado. Come ha osservato autorevole dottrina (43), giˆ prima dellĠentrata in vigore del codice del processo amministrativo avvenuta con decreto legislativo n. 104/2010, le questioni pregiudiziali, relative al ricorso introduttivo (inammissibilitˆ, irricevibilitˆ, nullitˆ, estinzione, ecc), possono essere affrontate per la proposizione dei motivi aggiunti, per cui, mancando questa impugnativa, si dovrebbe ritenere che su di esse si formi il giudicato. Mentre prima della legge istitutiva dei T.a.r., prevaleva lĠopinione contraria, ammettendosi cio (nei casi di appello delle sentenze delle g.p.a. in s.g. al Consiglio di Stato, e del Cons. Giust. Amm. per la regione Sicilia allĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato), la rilevabilitˆ dĠufficio di tali questioni in appello, successivamente la giurisprudenza si  orientata in senso diverso (44). Infatti si ritiene ormai che le questioni pregiudiziali, non decise espressa (43) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto amministrativo, ed. Utet, 2003, pag. 881. (44) Per la rilevabilitˆ dĠufficio in appello di tutte le questioni pregiudiziali, prima della legge istitutiva dei t.a.r. Cons. di Stato, Ad. Plen. 24 ottobre 1955 n. 17; Sez. V, 23 ottobre 1948 n. 663; Sez. V, 27 giugno 1975 n. 921 e 18 gennaio 1977 n. 21, aveva precisato che la parte risultata vincitrice in prime cure non possa in sede di appello proposto dalla parte soccombente eccepire profili di inammissibilitˆ del giudizio di primo grado, ove non abbia proposto appello incidentale (Sez. V, 1 ottobre 1976 n. 1213). E ci˜ sia quando il tribunale regionale si fosse su detti profili espressamente pronunciato (Sez. V, 11 marzo 1977 n. 168; Sez. IV, 5 luglio 1977 n. 680; Sez. IV, 11 aprile 1978 n. 289), sia quando non lo avesse fatto, dovendosi in tal caso ritenere che ogni relativa questione, in quanto pregiudiziale al- lĠesame del merito della controversia, fosse stata per implicito risolta positivamente (Sez. V, 1 febbraio 1977 n. 78; Sez. VI, 18 ottobre 1977 n. 880; Sez. V, 20 gennaio 1978 n. 74); in senso contrario in questĠultimo caso, circa la non necessarietˆ dellĠappello incidentale Sez. V, 15 aprile 1977 n. 320. Pi di recente si  andato consolidando lĠorientamento secondo cui le eccezioni in secondo grado debbano essere sollevate mediante appello incidentale, quando siano state esaminate e disattese dalla sentenza appellata: Ad. Plen., 21 ottobre 1980 nn. 41 e 42. In precedenza la giurisprudenza era poco univoca, ritenendosi talvolta che, nel caso in cui tali cause non fossero state esaminate dalla sentenza appellata, occorresse lĠappello incidentale: in tal senso la decisione Sez. VI, 18 ottobre 1977 n. 789, mentre lo si era considerato superfluo dalla Sez. IV, 15 maggio 1979 n. 342. La Sez. V, 20 gennaio 1978 n. 74, aveva affermato per˜ che, se la parte avesse sollevato nel giudizio di primo grado lĠeccezione di inammissibilitˆ del ricorso, ma il tribunale amministrativo regionale lo avesse deciso nel merito, si dovesse ritenere che lĠeccezione fosse stata disattesa implicitamente. In questo stesso senso: Cons. di Stato, Sez. IV, 14 marzo 1990 n. 171, giˆ citato nella precedente nota 20. LĠorientamento che ammette la rilevabilitˆ dĠufficio solo se il giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato sembra oggi prevalente: Cons. di Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 1982 n. 21 (con nota di VACIRCA G., in Foro amm., 1983, I, 623; Sez. V, 1 ottobre 1986 n. 488; Sez. VI, 4 febbraio 1986 n. 78; Sez. V, 25 gennaio 1986 n. 56). In questo ordine di idee si sostiene che la reiezione nel merito del ricorso di primo grado non comporti alcuna statuizione implicita in ordine ai presupposti processuali, sicch il Consiglio di Stato, in sede di appello mancando una precisa pronunzia sul punto nella sentenza appellata, pu˜ verificare dĠufficio la ricevibilitˆ e lĠammissibilitˆ del ricorso originario (Cons. di Stato, Sez. V, 19 febbraio 1996 n. 204). mente in primo grado, possano essere esaminate in secondo grado dĠufficio e cio indipendentemente dalla loro proposizione nellĠappello principale o incidentale, mentre lĠesame dĠufficio di esse non  possibile se esse siano state disattese in primo grado, occorrendo in questo caso apposita impugnazione (45). Nella diversa ipotesi e cio se, in primo grado, le questioni stesse siano state accolte, con la conseguenza che il ricorso sia stato dichiarato inammissibile o irricevibile, lĠunico mezzo che rimane alla parte soccombente  lĠappello principale, contenente la censura rivolta nel confronti della statuizione che ha precluso lĠesame nel merito. La giurisprudenza (46)  nel senso che alla parte appellante non sia preclusa la possibilitˆ di prospettare quale motivo di gravame, la carenza di un requisito di ammissibilitˆ del ricorso, anche se non lĠabbia espressamente eccepito in primo grado. Merita una particolare attenzione nella vita del processo amministrativo lĠeffetto traslativo. QuestĠultimo era giˆ stato affrontato da autorevole dottrina (47), che lo aveva battezzato addirittura come ÇunĠipotesi di scuolaÈ ed aveva escluso che il problema anzidetto potesse essere risolto (in senso negativo) in virt dellĠart. 356, comma 2, c.p.c. (ÇQuando sia stato proposto appello immediato contro una delle sentenze previste dal n. 4 del secondo comma dellĠart. 279, il giudice dĠappello non pu˜ disporre nuove prove riguardo alle domande e alle questioni, rispetto alle quali il giudice di primo grado, non definendo il giudizio, abbia disposto, con separata ordinanza, la prosecuzione dellĠistruzioneÈ), che, oltre a recare un divieto la cui portata  controversa anche con riguardo al processo civile (sembra corretto, tuttavia, ritenere che la norma escluda dal giudizio civile dĠappello tutte le questioni non decise nella sentenza non definitiva impugnata, delle quali rimane perci˜ investito unicamente il giudice a quo) (48), comporta un limite alla funzione rinnovatoria del gravame e non , quindi, applicabile al di fuori dello specifico sistema processuale per il quale  stato concepito (49). Da qui il convincimento che, nel processo amministrativo, con riguardo al quale la legge  muta, sia applicabile soltanto il primo limite del doppio grado di giu (45) Cons. di Stato, Sez. VI, 26 ottobre 1992 n. 815; Cons. di Stato, Sez. IV, 11 dicembre 1997 n. 1378. (46) Cons. di Stato, Sez. IV, 26 ottobre 1985 n. 463, in Foro amm., 1985, 1860. (47) SullĠeffetto traslativo dellĠappello si vedano V. CAIANIELLO, Lineamenti del processo amministrativo, Torino, 1972, 534. G. LEONE, Le impugnazioni nel processo amministrativo. Profili generali, Napoli, 1988, 327 e ss.. V. CAIANIELLO, Manuale, 2003, 893 ss., il quale formula su di esso un giudizio di disvalore. G. LEONE, Il sistema, 2006, 432 ss.. G. GARLOTTI, LĠappello incidentale, lĠappello parziale, la riserva di appello e lĠappello contro il dispositivo in G. CARLOTTI. M. FRATINI, LĠappello al Consiglio di Stato, in F. CARINGELLA, R. GAROFOLI (a cura di) Trattato di giustizia amministrativa, Milano 2008, 556, 557. (48) N. RASCIO, LĠoggetto dellĠappello civile, Napoli, 1996. (49) M. NIGRO, LĠappello nel processo amministrativo, Milano, 1960. risdizione desumibile dal succitato art. 356, comma 2 cio, lĠinammissibilitˆ del sindacato delle scelte istruttorie compiute dal primo giudice e non il secondo cio, il divieto, per il giudice dĠappello, di interloquire anche sulla scelta base riguardo la necessitˆ di istruttoria. In conclusione, secondo questa tesi, confermata anche alla luce della legge istitutiva dei T.a.r., il Consiglio di Stato, confermi o meno la sentenza non definitiva immediatamente appellata, non pu˜ ritenere la causa e provvedere alla sua istruzione, ma, qualora ritenga la causa stessa matura per la decisione conclusiva (a prescindere dal fatto che concordi con il primo giudice sulla soluzione data alla questione giˆ decisa), ben pu˜ sindacare la scelta base compiuta dal T.a.r., correggere lĠerrore da questo commesso nel non decidere completamente la causa, pur avendo gli elementi per farlo e decidere lui lĠintera controversia (50). Pi recentemente, in parziale dissenso rispetto a tale impostazione, secondo la quale Çsembra ovvio che lĠeffetto si produce solo se vi sia domanda espressa di una delle parti, nella forma dellĠappello (principale o incidentale)È,  stato affermato che, alla luce dellĠart. 35, comma 3, l. T.a.r., deve ritenersi che, affinchŽ il Consiglio di Stato possa decidere sulla controversia, anzichŽ disporre il rinvio della causa al T.a.r., non occorra unĠapposita domanda delle parti, essendo la stessa Çinsita nella stessa richiesta di voler considerare erronea la parzialitˆ o la interlocutorietˆ della pronunciaÈ; richiesta la quale investe il giudice dĠappello della potestˆ di decidere la controversia in luogo del primo giudice, il cui potere si  consumato con la prima pronuncia, la quale stabilisce che, in caso di rigetto dellĠappello proposto avverso la sentenza non definitiva, il giudizio prosegue inevitabilmente innanzi al t .a. r., che non pu˜ essere spogliato dalla controversia (51). Nelle more dellĠimpugnazione della sentenza non definitiva e, soprattutto, in assenza di sospensione della stessa da parte del Consiglio di Stato, sarebbe opportuno che, per evitare contrasto di pronunce, questĠultimo soprassedesse in via di fatto (se non addirittura sospendendo il processo di secondo grado) dal pronunciarsi sullĠappello, cos“ da riunirlo a quello che verrˆ proposto avverso la sentenza definitiva: suggerimento pragmatico avversato da unĠaltra parte della dottrina (52) che mira ad evitare, in radice, che si verifichino le condizioni cui  subordinata lĠoperativitˆ dellĠeffetto traslativo. PoichŽ il differimento dellĠappello avverso le sentenze non definitive (appellabili), adesso espressamente contemplato dallĠart. 103 del Codice, costituisce una mera facoltˆ della parte legittimata, le anzidette sentenze possono comunque essere impugnate immediatamente, nel qual caso si pone il pro (50) M. NIGRO, Giustizia amministrativa, 6 ed., a cura di E. CARDI e A. NIGRO, Bologna 2002. (51) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, 3ğ ed., Torino, 2003. Ed anche C. CONSOLO, Impugnazione immediata di una sentenza non definitiva e proseguimento del giudizio in primo grado, RDC, 1979, II, 600 ss.. (52) G. LEONE, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Napoli, 1988. blema attinente alla facoltˆ del giudice dĠappello, adito per lĠimpugnazione della sentenza non definitiva, di superare i confini dalla stessa tracciati, spaziando sullĠintero ambito della controversia (53). Rimangono ancora da esaminare nel processo amministrativo lĠeffetto conservativo e lĠeffetto estensivo. Il primo acquista importanza nel processo amministrativo, specie in quello di legittimitˆ, nellĠipotesi di appello di una sentenza che si riferisca ad un atto amministrativo che riguardi pi di un soggetto. In particolare il problema consiste nello stabilire se lĠimpugnazione proposta da uno dei soggetti soccombenti giovi agli altri, nel senso cio di abilitare questi, ancorchŽ rimasti estranei allĠatto di appello, ad esplicare nel processo di appello una qualunque attivitˆ difensiva, semmai con la forma dellĠintervento adesivo (54). La risposta  certamente negativa. Il presupposto o condizione per lĠesercizio dellĠazione di impugnazione  la soccombenza; ci˜ comporta che se alcuni dei soggetti soccombenti non propongano nei termini lĠappello che, in virt della soccombenza erano legittimati a proporre, essi rimangono estranei allĠappello proposto da altri e quindi, non essendo parti nel processo di secondo grado, non possono ivi esplicarvi attivitˆ difensiva. é preclusa ad essi anche la possibilitˆ di acquistare la qualitˆ di parte esplicando un atto di intervento adesivo in parte actoris, cio adiuvativo del- lĠappellante, perchŽ, nei loro confronti, si verifica la stessa situazione che nel processo di primo grado riguarda coloro che, avendo una lesione diretta del- lĠatto amministrativo, abbiano omesso di impugnarlo nei termini di decadenza. Per essi la giurisprudenza ha sempre escluso che possa essere ammesso lĠintervento quando, essendo titolari di un interesse identico a quello del ricorrente, avrebbero potuto tutelarlo con ricorso principale nei modi e nei termini di legge. LĠeffetto estensivo pu˜ avvenire anche in situazioni analoghe a quella appena menzionata, come ad esempio nel caso di un gruppo di soggetti che sia rimasto inerte, mostrando cos“ acquiescenza alla sentenza favorevole (55). Analogamente, il discorso che precede vale per coloro che, di fronte ad un appello principale, possano avere un interesse alla proposizione di un appello incidentale: quello proposto da alcuni non si estende a chi si trovi nel- lĠidentica situazione. Ma, se a coloro che avrebbero potuto proporre appello principale venga notificato ricorso incidentale provocato dallĠappello principale proposto da altri, dovrebbe ritenersi che, per i primi, si riaprano i termini per proporre se mai un Òcontroappello incidentaleÓ. (53) F. SAITTA, Commento allĠarticolo 100 del codice del processo amministrativo pubblicato il 29 luglio 2010 sul sito della giustizia amministrativa. (54) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, 2003, ed. Utet, pag. 889. (55) In questo senso Cons. di Stato, Sez. VI, 8 febbraio 1977 n. 84; 15 novembre 1982 n. 570. UnĠultima precisazione va fatta con riferimento allĠeffetto estensivo prendendo come punto di riferimento lĠesito della sentenza di primo grado. In particolare se la sentenza di primo grado  sfavorevole e cio abbia respinto il ricorso, i soccombenti che non abbiano appellato, si troveranno nella stessa situazione di coloro che abbiano omesso di impugnare lĠatto amministrativo: nei loro confronti questo atto diventa inoppugnabile e quindi anchĠessi, rispetto alla eventuale decisione di secondo grado, che in riforma della sentenza appellata, annulli lĠatto amministrativo, sono da considerarsi terzi, per cui ad essi si applicheranno le regole che reggono lĠefficacia soggettiva del giudicato amministrativo. Diversamente, se la sentenza di primo grado abbia accolto il ricorso annullando lĠatto amministrativo, sono soccombenti e quindi legittimati ad appellare le parti intimate e cio lĠamministrazione che aveva emesso lĠatto amministrativo impugnato ed i controinteressati. In questo caso, se il Consiglio di Stato accolga lĠappello e, quindi, annullando la sentenza di primo grado, faccia rivivere lĠatto amministrativo impugnato, questa riviviscenza in via normale dovrebbe valere nei confronti di tutti coloro che siano rimasti soccombenti in primo grado, ancorchŽ abbiano omesso di impugnare la prima sentenza, e ci˜ per lĠevidente considerazione che, annullata la sentenza che annullava lĠatto amministrativo, questo riacquista integralmente il suo valore e la sua efficacia. Fa eccezione lĠipotesi in cui la sentenza di secondo grado annulli quella di primo grado per motivi che concernono solo i soggetti appellanti, ipotesi questa in cui la sentenza sullĠimpugnazione non pu˜ certo giovare agli altri soggetti, estranei al motivo di accoglimento dellĠappello, dato che questa non estensione si sarebbe verificata anche se questi ultimi soggetti avessero anchĠessi appellato. In questo ordine di idee lĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato (56) ha escluso che in caso di mancata riunione di pi atti di appello separatamente proposti contro la stessa sentenza di primo grado e quindi nel caso di non completa identitˆ dei soggetti del giudizio, la sentenza pronunciata solo su alcune impugnazioni estenda i propri effetti nei confronti delle altre impugnazioni non ancora decise. Rimane ancora da esaminare, ma soltanto nel paragrafo della disciplina delle notificazioni lĠeffetto conservativo, secondo cui lĠappello proposto da uno solo dei soccombenti impedisce la formazione del giudicato nei confronti degli altri litisconsorti necessari; in tal caso, tuttavia, lĠinerzia di uno dei soccombenti rimasto estraneo al processo di appello instaurato da un altro soccombente, non consente al primo di esplicare alcuna attivitˆ difensiva, neppure con lĠintervento ad adiuvandum poichŽ ci˜ comporterebbe lĠelusione dei termini di decadenza per proporre lĠimpugnazione (Cons. di Stato Sez. IV, sent. 3895/01) (57). (56) Cons. di Stato, Ad. Plen., 21 giugno 1996 n. 9. 3. La disciplina delle impugnazioni nel codice del processo amministrativo. Con lĠentrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, la disciplina delle impugnazioni nel processo amministrativo trova collocazione sistematica nel libro terzo, titolo I, Impugnazioni in generale. Osserva autorevole dottrina (58) che Òera comunque da aspettarsi un intervento del legislatore, anche e soprattutto nella materia delle impugnazioni, dove, prima dellĠentrata in vigore del codice del processo amministrativo, le disposizioni della legge processuale amministrativa dedicate ai giudizi dĠimpugnazione erano infatti disorganiche e incomplete: disorganiche, perchŽ limitate allĠappello al Consiglio di Stato e alla revocazione (59) mentre mancano del tutto disposizioni di carattere generale; incomplete perchŽ la disciplina dei singoli mezzi dĠimpugnazione espressamente presi in considerazione dal legislatore era circoscritta a poche previsioni normative, tuttĠaltro che esaustive: gli artt. 28 2Ħ, 4Ħ e 5Ħ comma, 29 1Ħ e 4Ħ comma; 34 e 35 l. 6 dicembre 1971, n. 1034 per lĠappello al Consiglio di Stato e gli artt. 46 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, 28 1Ħ comma e 36 l. n. 1034/1971 per la revocazione (in questĠultimo caso attraverso un rinvio impreciso alle disposizioni degli artt. 395 e 396 c.p.c.), cui si aggiungono gli artt. 81-86 r.d. 17 agosto 1907, n. 642. Bisogna considerare la disciplina delle impugnazioni nel codice del processo amministrativo come una sintesi tra le poche disposizioni espresse, le disposizioni del r.d. n. 1054/1924 e del r.d. n. 642/1907 applicabili in quanto richiamate dallĠart. 29 1Ħ comma l. n. 1034/1971, ma in realtˆ strutturate rispetto a un giudizio nel quale il Consiglio di Stato era giudice in grado unico (con tutta una serie di problemi di coordinamento), le disposizioni del codice di procedura civile sulle impugnazioni in generale (Libro II, Titolo III, Capo I, artt. 323-338 c.p.c.) e alcune disposizioni specifiche del codice di procedura civile, la cui applicabilitˆ al processo amministrativo  stata ritenuta necessaria per colmare evidenti lacune nella disciplina dei singoli mezzi di impugnazioneÓ. Il quadro nel quale si  trovato ad operare il legislatore delegato , come (57) Codice del processo amministrativo di LEONE GIOVANNI, MARUOTTI LUIGI, SALTELLI CARLO, ed. Cedam 2010, pagg. 249, 250. (58) GIANFRANCO SIGISMONDI, Osservazione alle disposizioni sulle impugnazioni, nello schema del decreto legislativo con Òun codice del processo amministrativoÓ pubblicato sul sito giustamm.it rivista di diritto pubblico il 31 maggio 2010. (59) Come  noto lĠopposizione di terzo ordinaria nei confronti delle decisioni del Consiglio di Stato e delle sentenze dei Tribunali amministrativi regionali passate in giudicato  stata introdotta dalla sentenza della Corte costituzionale 17 maggio 1995 n. 177, Foro it., 1996, I, 3318: di conseguenza nessuna disposizione della legge processuale amministrativa disciplina in alcun modo lĠistituto; lĠopposizione di terzo ordinaria nei confronti delle sentenze dei Tribunali amministrativi regionali non passate in giudicato  invece ammessa in via interpretativa, ma con una configurazione del tutto particolare, dal momento che se ne consente la proposizione al giudice di secondo grado: in questo senso, da ultimo, Cons. Stato, Ad. Plen., 11 gennaio 2007 n. 2, id., 2007, III, 113, con nota di TRAVI; lĠopposizione di terzo c.d. revocatoria, infine,  tuttora estranea al processo amministrativo. anticipato, la lacunositˆ della normativa positiva che lasciava ampie possibilitˆ dĠintervento. Pertanto, era necessario confrontarsi con i risultati del lavoro interpretativo della giurisprudenza, e quindi con quelle peculiaritˆ che le impugnazioni nel processo amministrativo avevano assunto nel corso del tempo, per stabilire quali di questi orientamenti avrebbero dovuto trovare conferma nel diritto positivo e quali, invece, sarebbero stati destinati a essere abbandonati. A questo si aggiungeva lĠesigenza di dettare disposizioni che non risultassero appiattite sul modello del giudizio impugnatorio o strettamente funzionali a esso, ma che fossero adeguate allĠintenzione di delineare un giudizio amministrativo nellĠambito del quale il tradizionale schema di tutela fosse solo una delle declinazioni possibili. Infine, restava il problema relativo ai rapporti con la disciplina del codice di procedura civile, che costituisce un modello di riferimento completo e collaudato, le cui disposizioni (e in particolar modo quelle dedicate alle impugnazioni in generale), fino a oggi, hanno tendenzialmente trovato applicazione anche nel processo amministrativo. La preferenza del legislatore delegato si  indirizzata nel senso di predisporre una disciplina il pi possibile completa: non solo, quindi, sono stati compiutamente disciplinati i singoli mezzi di impugnazione previsti (appello, revocazione, opposizione di terzo e ricorso per cassazione secondo lĠelencazione dellĠart. 91 del progetto), ma sono stati anche predisposti una serie di articoli dedicati alle impugnazioni in generale. é opportuno, dopo queste considerazioni, affrontare nello specifico la norma cardine che disciplina le impugnazioni. Si tratta dellĠarticolo 91 del c.p.a. secondo cui Òi mezzi di impugnazione delle sentenze sono lĠappello, la revocazione, lĠopposizione di terzo ed il ricorso per Cassazione per i soli motivi attinenti alla giurisdizioneÓ. In base ad una prima lettura, si evince come lĠarticolo in analisi, si limiti ad indicare i mezzi di impugnazione delle sentenze dei giudici amministrativi. La norma pone una disciplina soltanto di alcuni profili comuni alle impugnazioni, dal momento che operano il rinvio interno ed esterno contenuti nel libro I, rispettivamente agli articoli 38 e 39 del codice, che rendono applicabili anche in tale sede le norme dettate per il giudizio di primo grado e le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili. Non si riscontra nella norma dellĠarticolo 91 c.p.a la distinzione classica tra mezzi di impugnazione ordinaria e mezzi di impugnazione straordinaria, classificazione che era giˆ nota al diritto processuale civile. A prescindere dalla classificazione o meno effettuata dal codice, sono mezzi di impugnazione ordinaria quelli che possono essere esperiti dalla parte soccombente prima del giudicato formale della sentenza, secondo la disciplina giˆ contenuta nellĠarticolo 324 c.p.c. e sono: lĠappello, la revocazione ordinaria ed il ricorso per Cassazione; sono invece mezzi di impugnazione straordinari la revocazione straordinaria e lĠopposizione di terzo. LĠelencazione contenuta nellĠarticolo 91  tassativa ed espressione del noto principio di tipicitˆ dei mezzi di impugnazione, giˆ noto negli altri processi, civile e penale (Consiglio di Stato Sez. V, 9 dicembre 2008, n. 6121), ed esclude che possano essere considerati tali nel processo amministrativo altri istituti attraverso i quali la parte possa presentare doglianze avverso la decisione dellĠautoritˆ giurisdizionale. Un breve richiamo, sempre con riferimento alla tematica delle impugnazioni, va fatto anche al regolamento di giurisdizione, il quale, al pari del processo civile non pu˜ definirsi come mezzo di impugnazione, in quanto la sua proposizione  preventiva rispetto alla definizione della controversia realizzata con la sentenza e diversamente da quanto accade nel processo civile con il regolamento di competenza. A seguito di alcune modifiche apportate al testo che si commenta, anche il regolamento di competenza  diventato un mezzo di impugnazione delle ordinanze sulla competenza e trova collocazione sistematica nel codice del processo amministrativo e precisamente allĠarticolo 16 comma 3 c.p.a., ma non assurge a mezzo di impugnazione delle sentenze come nel caso del processo civile. La risposta a tale affermazione dĠaltronde la si rinviene nellĠarticolo 47 c.p.c., e cio nella circostanza che competente a pronunciarsi sul regolamento di competenza  il Consiglio di Stato, vale a dire lo stesso giudice di secondo grado e non anche la Corte di Cassazione. Per comprendere poi appieno il significato della norma, bisogna far riferimento allĠinciso ÒsentenzaÓ, concetto alquanto diverso, che  atto del giudice e che ha contenuto decisorio ed attitudine a comporre in modo tendenzialmente stabile lĠassetto degli interessi coinvolti nella controversia. Sono pertanto esclusi dallĠambito di applicazione della norma gli atti di natura sostanziale, quali negozi e provvedimenti amministrativi, nŽ possono essere esperiti in linea di principio, contro qualsiasi altro atto del giudice, quali ordinanze e decreti, avverso i quali il reclamo deve essere fatto nei limiti, nelle forme e nei tempi indicati dalle disposizioni ad esse indicate. Possono essere impugnate in appello le sentenze non definitive e contro di essere pu˜ essere fatta riserva di appello secondo la disciplina contenuta nellĠarticolo 103 c.p.a. I casi di esclusione delle impugnazioni riguardano anche le ordinanze istruttorie e quelle meramente ordinatorie ovvero interlocutorie perchŽ pacificamente ritenute prive di contenuto decisorio. Tuttavia giurisprudenza recente (60) ritiene impugnabili i provvedimenti (60) Consiglio di Stato, Sez. V, 9 dicembre 2008 n. 6121. del giudice amministrativo di primo grado, che pur privi della forma e del nomen juris di sentenza abbiano in modo concreto contenuto decisorio, poichŽ in tutto o in parte, in modo esplicito o implicito, risolvono la questione che oppone le parti, ovvero un punto pregiudiziale di essa. UnĠultima distinzione, sempre in tema di impugnazione, merita essere fatta con riferimento alla natura giuridica dellĠordinanza che decide sul ricorso in materia di accesso in corso di causa. La giurisprudenza (61) distingue tra ordinanze che si pronunciano in ordine ai presupposti dellĠaccesso in quanto tale e quelle che respingono il ricorso in ragione dellĠinutilitˆ dei documenti ai fini del giudizio; alle prime riconosce natura decisoria e quindi scatta lĠappellabilitˆ della stessa, mentre le seconde, che hanno natura meramente istruttoria, non sono ritenute appellabili (62). 4. Il nuovo articolo 98 c.p.a. e la disciplina delle misure cautelari dopo il d.lgs. 160/2012. Successivamente allĠentrata in vigore del codice del processo amministrativo, avvenuta con il decreto legislativo n. 104 del 2010 sono intervenuti a distanza di poco tempo due importanti correttivi, opportunamente previsti dopo un primo periodo di rodaggio che hanno apportato alcune modifiche allĠoriginaria disciplina, compreso lĠart. 98 c.p.a.. Prima di passare ad esaminare lĠarticolo per intero, occorre soffermarsi sulla modifica apportata dal d. lgs. 160 del 2012 (secondo correttivo) allĠarticolo 98 comma 2 c.p.a., ai sensi del quale: Òil procedimento si svolge secondo le disposizioni del libro II, titolo II, in quanto compatibiliÓ. Stabilisce il suddetto articolo che Òsalvo quanto previsto dallĠarticolo 111, il giudice dellĠimpugnazione pu˜, su istanza di parte, valutati i motivi proposti e qualora dallĠesecuzione possa derivare un danno grave ed irreparabile, disporre la sospensione della sentenza impugnata, nonchŽ le altre opportune misure cautelari, con ordinanza pronunciata in camera di consiglio. Al procedimento si applicano gli articolo 55, commi 2 a 10, 56 e 57Ó. La novella proposta dalla Commissione speciale richiama tutta la disciplina del giudizio cautelare di primo grado nel giudizio di compatibilitˆ. Come autorevolmente osservato dalla dottrina (63), il risultato pratico pi immediato  che in caso di accoglimento della domanda cautelare avverso la sentenza, il Consiglio di Stato dovrˆ fissare lĠudienza di merito. Sinora si riteneva insussistente tale obbligo, perchŽ lĠarticolo 55 comma 11 (61) Cons. Stato, Sez. VI, 25 marzo 2004 n. 1629; Cons. Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2002 n. 5450; Cons. di Stato, Sez. VI, 22 gennaio 2002 n. 397. (62) Per tutto si veda il commento di S. OGGIANU, Artt. 91-95 al codice del processo amministrativo, d. lgs 2 luglio 2010, n. 104 commento articolo per articolo, a cura di E. PICOZZA, Giappichelli, 151-152. (63) R. DE NICTOLIS, Il secondo correttivo del codice del processo amministrativo in Federalismi. it n. 20/2012 e precisamente sul giudizio cautelare di appello. c.p.a. non era espressamente richiamato dallĠarticolo 98 comma 2 c.p.a. Da una prima lettura, basta notare come il precedente testo richiamava gli articoli 55 da comma 2 a comma 10, e gli articoli 56, 57. é da ritenere che tali disposizioni siano senzĠaltro compatibili con il giudizio di appello. Dopo lĠentrata in vigore del decreto in esame, rimane da verificare la compatibitˆ del giudizio di appello con le disposizioni concernenti il giudizio cautelare di primo grado. Sono senzĠaltro applicabili, perchŽ giˆ richiamate dalla precedente disciplina del c.p.a. le norme in tema di cauzione (art. 55 comma 2 c.p.a.), il comma 3, immediatamente successivo, secondo il quale la domanda cautelare pu˜ essere proposta con il ricorso di merito o con distinto ricorso notificato alle controparti, lĠarticolo 55 comma 4, che disciplina la regola della temporanea improcedibilitˆ della domanda cautelare finchŽ non  presentata domanda di fissazione dellĠudienza di merito, lĠarticolo 55 comma 5 concernente le regole in ordine alla data di udienza cautelare e ai termini per memorie e documenti, lĠarticolo 55 comma 6, che riguarda le regole in tema di prova della notificazione a mezzo posta, lĠarticolo 55 comma 7 sullo svolgimento della camera di consiglio, lĠarticolo 55 comma 8 sullĠautorizzazione alla produzione di documenti in camera di consiglio, ancora lĠarticolo 55 comma 9 che disciplina la motivazione dellĠordinanza cautelare, lĠarticolo 55 comma 10 che stabilisce la regola secondo cui lĠesigenza cautelare pu˜ anche essere soddisfatta mediante sollecita fissazione dellĠudienza nel merito ed ancora lĠarticolo 56 che disciplina le misure cautelari monocratiche ed infine lĠarticolo 57 (Regole in tema di spese del procedimento cautelare). Da valutare  poi la compatibilitˆ delle disposizioni che residuano sul giudizio cautelare di primo grado con quello di appello. Il riferimento , in particolare ai commi 11, 12 e 13 dellĠarticolo 55 c.p.a. LĠarticolo 55 comma 11 prescrive che lĠordinanza con cui viene disposta una misura cautelare fissa la data di discussione del ricorso nel merito e che in sede di appello cautelare il Consiglio di Stato, se conferma la misura cautelare, dispone, ove non lĠabbia fatto il giudice di primo grado, che il T.a r. fissi lĠudienza con prioritˆ, rafforzando la vecchia previsione che stabiliva che lĠordinanza di accoglimento della richiesta cautelare comporterˆ prioritˆ nella fissazione della data di trattazione del ricorso di merito. Tale previsione appare compatibile con il giudizio di appello. Pertanto se nel giudizio di impugnazione viene accolta la domanda di sospensione della sentenza, il giudice del- lĠimpugnazione, a differenza che nel vigore della versione originaria del c.p.a.,  ora tenuto a fissare contestualmente la data di udienza del merito. Osserva autorevole dottrina (64) che sfuggiva la razionalitˆ della previ (64) R. DE NICTOLIS, Il secondo correttivo del codice del processo amministrativo in federalismi. it n. 20/2012 e precisamente sul giudizio cautelare di appello. gente disciplina, che non richiamava lĠart. 55 comma 11 c.p.a., se poteva ipotizzarsi che la fissazione della data dellĠudienza del merito in sede di udienza cautelare potesse creare disagi organizzativi, non conoscendo il collegio i carichi di lavoro giˆ assegnati alle varie udienze, era comunque insopprimibile lĠesigenza, che costituisce la filosofia ispiratrice della tutela cautelare nel c.p.a. che il lasso temporale tra la fase cautelare e quella di merito sia minimo. Non si comprendeva perchŽ nei giudizi di impugnazione lo sforzo fatto dal c.p.a. per avvicinare la cautela al merito venisse vanificato. LĠarticolo 55, comma 12 c.p.a. assicura che ai fini dellĠadozione della misura cautelare siano garantiti il pieno contraddittorio, nonchŽ la completezza dellĠistruttoria, e, a tal fine, il collegio su istanza di parte adotta i provvedimenti necessari. Anche questa disposizione  compatibile con il giudizio cautelare di appello ed  applicabile dopo il secondo correttivo. Nella versione originaria lĠarticolo 55 comma 12 non era richiamato per lĠappello e tale mancato richiamo appariva irrazionale, in quanto anche nel giudizio di impugnazione pu˜ ben dirsi esservi unĠesigenza di integrare lĠistruttoria o il contraddittorio e non di rado il giudice dellĠimpugnazione, in sede cautelare, dispone incombenti istruttori o provvede ad ordinare lĠintegrazione del contraddittorio. Rimane da esaminare poi lĠultimo comma dellĠart. 55 del c.p.a. per poi valutarne la compatibilitˆ con il giudizio di appello. Tale disposizione subordina alla soluzione del problema della competenza solo il potere di disporre misure cautelari e non anche quello di decidere nel merito destando perplessitˆ; infatti subordinare alla positiva valutazione della propria competenza solo il potere di disporre misure cautelari, pu˜ far ritenere che la questione di competenza non sia rilevante se il giudice intenda negare le misure cautelari richieste. In ogni caso resta ferma la previsione di cui allĠarticolo 15 comma 5, secondo cui il Tribunale adito non provvede sulla domanda se non ritiene la propria competenza. In definitiva la questione della competenza il giudice deve porsela dĠufficio in caso di decisioni cautelari e non anche per la decisione nel merito e ci˜ comporta che il giudice presso cui  proposto ricorso, se si ritiene incompetente, non pu˜ pronunciarsi sulla domanda cautelare, ma occorre chiedersi cosa accada se la parte rinunciasse alla domanda cautelare. Una soluzione condivisibile sarebbe quella di trattenere la causa e deciderla nel merito. UnĠaltra domanda da chiedersi  se il giudice possa in sede cautelare, pur non essendo competente, valutare la sussistenza dei presupposti per la decisione nel merito allĠesito dellĠudienza cautelare e decidere la causa con sentenza in forma semplificata o fissare lĠudienza sollecita per il giudizio di merito. Si tratta di problemi dovuti alla previsione di due diversi regimi di competenza per due momenti diversi del medesimo giudizio, quello cautelare e del merito. In conclusione la disposizione in esame  incompatibile con il giudizio di appello. Pienamente compatibili con il giudizio di appello e quindi applicabili dopo il secondo correttivo sono poi le altre disposizioni del c.p.a., con particolare riferimento alla revoca o modifica delle misure cautelari collegiali e riproposizione della domanda cautelare respinta, allĠesecuzione di misure cautelari, alla definizione del giudizio in esito allĠudienza cautelare, istituti rispettivamente disciplinati dagli articoli 58, 59, 60, del c.p.a. Non  invece compatibile con il giudizio di appello lĠarticolo 61 che disciplina le misure cautelari anteriori alla causa. 5. Termine per impugnare: le novitˆ introdotte dal Codice del processo. Con lĠentrata in vigore del codice del processo amministrativo viene unificata la disciplina dei termini per la proposizione delle impugnazioni fatta eccezione per i riti abbreviati (65). Si tratta dellĠarticolo 92 c.p.a. che consta di cinque commi che  opportuno, ai fini di una completezza espositiva, riportare per intero. 1. Salvo quanto diversamente previsto da speciali disposizioni di legge, le impugnazioni si propongono con ricorso e devono essere notificate entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza. 2. Per i casi di revocazione previsti nei numeri 1, 2, 3 e 6 del primo comma dell'articolo 395 del codice di procedura civile e di opposizione di terzo di cui all'articolo 108, comma 2, il termine di cui al comma 1 decorre dal giorno in cui  stato scoperto il dolo o la falsitˆ o la collusione o  stato recuperato il documento o  passata in giudicato la sentenza di cui al numero 6 del medesimo articolo 395. (65) A questo punto della trattazione vale la pena fare una breve ma necessaria considerazione sulla nozione del ÒtermineÓ e sulle accezioni ad essa riferite.Tradizionalmente la disciplina generale sui termini  stata impostata su due ordini di distinzione di cui lĠuno riguarda lĠorigine e lĠaltro attiene invece alle tradizionali ripartizioni dei termini. Con riferimento allĠorigine, si  soliti compiere una distinzione tra termini legali e giudiziali, dove legali sono quelli stabiliti dalla legge e giudiziali sono quelli stabiliti dal giudice. I termini possono poi essere suddivisi in perentori ed ordinatori. Sono perentori quelli entro i quali deve compiersi un determinato atto, la cui inosservanza produce la decadenza da un diritto o la preclusione a compiere un atto processuale. Essi non possono essere abbreviati o prorogati nemmeno su accordo delle parti (cfr. in giurisprudenza Cons. di Stato, Sez. V, 17 novembre 2009 n. 7166; Cons. di Stato, 24 settembre 2009 n. 5733; Tar Piemonte, Torino, Sez. I, 26 marzo 2010 n. 1609; Cons. giust. Sic., 5 febbraio 2010 n. 149, tutte in www.giustizia-amministrativa.it); sono invece ordinatori i termini che hanno lo scopo di regolare le attivitˆ processuali secondo le necessitˆ del normale andamento del processo. LĠinosservanza dei descritti termini non produce la decadenza dalla facoltˆ di compiere lĠatto in ritardo, nŽ lĠinefficacia dellĠatto compiuto dopo la scadenza del termine (cfr. in giurisprudenza sul punto ex multis Cons. di Stato, Sez. IV, 1 marzo 2010 n. 1178, in www.giustizia-amministrativa.it). Una terza categoria di termini  rappresentata in ultimo da quelli dilatori. In questo senso si fa riferimento a quei termini che devono trascorrere prima che possa compiersi un determinato atto. In dottrina sul punto, per ulteriori approfondimenti si rinvia a CARINGELLA F., PROTTO M., Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2011. 3. In difetto della notificazione della sentenza, l'appello, la revocazione di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395 del codice di procedura civile e il ricorso per cassazione devono essere notificati entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. 4. La disposizione di cui al comma 3 non si applica quando la parte che non si  costituita in giudizio dimostri di non aver avuto conoscenza del processo a causa della nullitˆ del ricorso o della sua notificazione. 5. Fermo quanto previsto dall'articolo 16, comma 3, l'ordinanza cautelare che, in modo implicito o esplicito, ha deciso anche sulla competenza  appellabile ai sensi dell'articolo 62. Non costituiscono decisione implicita sulla competenza le ordinanze istruttorie o interlocutorie di cui all'articolo 36, comma 1, n quelle che disattendono l'istanza cautelare senza riferimento espresso alla questione di competenza. La sentenza che, in modo implicito o esplicito, ha pronunciato sulla competenza insieme col merito  appellabile nei modi ordinari e nei termini di cui ai commi 1, 3 e 4. I primi due commi della disposizione dettano una disciplina unitaria del breve termine di impugnazione, risolvendo dubbi interpretativi sorti con riferimento alla revocazione ed allĠopposizione del terzo, mentre il terzo comma contiene la previsione generale del termine lungo, attualmente ridotto a sei mesi a seguito della modifica dellĠarticolo 327 c.p.c. ad opera della legge n. 69 del 18 giugno 2009. La norma prevede che per la proposizione delle impugnazioni  previsto un termine breve di sessanta giorni in luogo del termine di trenta giorni previsto dal codice di procedura civile per appello, revocazione ed opposizione di terzo. In tal modo si estende a tutte le impugnazioni il termine previsto nel codice di procedura civile per il ricorso per Cassazione (art. 325 c.p.c.). Analogamente a quanto previsto nel codice di procedura civile, si distingue tra impugnazione ordinaria ed impugnazione straordinaria per lĠidentificazione del dies a quo della decorrenza del termine suddetto. Per lĠappello e la revocazione ordinaria, rispettivamente disciplinati dal- lĠarticolo 395 commi 4 e 5 c.p.c. e ricorso per Cassazione, rileva la notificazione della sentenza; nel caso di revocazione straordinaria prevista sempre dallĠarticolo 395 commi 1, 2, 3 e 6 c.p.c., e opposizione di terzo (art. 108 comma 2), poichŽ la legittimazione allĠimpugnazione si fonda su un evento sopravvenuto e soprattutto non rilevabile dal contenuto testuale della sentenza, il termine inizia a decorrere dal giorno in cui  stato scoperto il dolo o la falsitˆ o la collusione o  stato recuperato il documento o  passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice che ha adottato la decisione. Rispetto allĠelencazione contenuta negli articoli 28 e 36 della legge n. 1034 del 1971, lĠarticolo 92 c.p.a., introduce lĠopposizione di terzo, recependo le indicazioni della giurisprudenza della Corte Costituzionale (66), ed ha disposto il termine per lĠimpugnativa di sessanta giorni. Per quanto concerne invece lĠarticolo 92 comma 3 del codice, sempre concernente i termini per impugnare, le sole modificazioni rispetto alla disciplina previgente sono costituite dalla riduzione del termine lungo per lĠappello, della revocazione di cui ai nn. 4 e 5 dellĠarticolo 295 c.p.c. e del ricorso per Cassazione da un anno a sei mesi dalla pubblicazione della sentenza in totale armonia con quanto stabilito per il giudizio dinanzi allĠA.G.O. dalla legge n. 69/2009 (art. 92 comma 3 c.p.a.), nonchŽ la previsione totalmente nuova nel codice del processo amministrativo, che detto termine lungo non trovi applicazione Òquando la parte che non si  costituita in giudizio dimostri di non aver avuto conoscenza del processo a causa della nullitˆ del ricorso o della sua notificazioneÓ (articolo 92 comma 4 c.p.a.). Come noto, anteriormente alla riforma del 2009, del processo civile, il termine per lĠimpugnazione era di un anno dalla pubblicazione della sentenza ai sensi dellĠarticolo 327 c.p.c.; tale termine  stato applicato in via analogica ed in virt dellĠevoluzione giurisprudenziale (67) alle impugnazioni delle sentenze amministrative. In particolare, la nuova disciplina, ai sensi dellĠarticolo 58 della legge n. 69/2009, si applica ai giudizi civili instaurati dopo lĠentrata in vigore della legge n. 69/2009 e tale norma  stata ritenuta applicabile anche al processo amministrativo ancor prima che il codice, con lĠart. 92, la recepisse formalmente. Una novitˆ  anche contenuta nellĠarticolo 92 comma 5 del c.p.a., ai sensi del quale lĠordinanza cautelare che abbia deciso in modo esplicito o implicito anche sulla competenza  appellabile nei modi dellĠappello cautelare, mentre lĠordinanza che abbia disposto solo sulla competenza  impugnabile con regolamento di competenza ai sensi dellĠarticolo 16 comma 3 c.p.a. Per contro, la sentenza che, in modo esplicito o implicito abbia pronunciato sulla competenza insieme col merito  appellabile nei modi ordinari. 6. Luogo di notificazione e deposito dellĠimpugnazione. La norma di cui allĠarticolo 93 c.p.a  la seguente: ÒL'impugnazione deve essere notificata nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto dalla parte nell'atto di notificazione della sentenza o, in difetto, presso il difensore o nella (66) C. Cost. sent. n. 177/1995. (67) Con la sentenza del Cons. di Stato, Ad. Plen., 23 marzo 1979 n. 17, in Giust. civ., 1979, II, 290, si stabil“ che per lĠappello avverso le sentenze dei T.a.r., il termine lungo dovesse essere di un anno decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza, mutuato dal processo civile. Si ritenne infatti, che nel processo amministrativo trovava applicazione il termine annuale di decadenza stabilito dallĠart. 327 c.p.c., con la proroga di 45 giorni per il periodo feriale. In particolare si ritiene applicabile lĠarticolo 327 c.p.c. in considerazione della sua piena compatibilitˆ con il sistema della giustizia amministrativa. Infatti la disciplina del giudizio amministrativo, ispirata alla pi radicale e veloce definizione dello stesso, si concilia con la ratio dellĠart. 327 c.p.c., volta a circoscrivere nel tempo la facoltˆ di impugnazione delle sentenze, indipendentemente dalla loro notificazione per garantirne lĠimmutabilitˆ e dare cosi certezza e stabilitˆ ai rapporti giuridici definiti in via contenziosa. Per ulteriori approfondimenti sul punto si rinvia a DE NICTOLIS R., I termini nel processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it. residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio e risultante dalla sentenza. Qualora la notificazione abbia avuto esito negativo perchŽ il domiciliatario si  trasferito senza notificare una formale comunicazione alle altre parti, la parte che intende proporre l'impugnazione pu˜ presentare al presidente del tribunale amministrativo regionale o al presidente del Consiglio di Stato, secondo il giudice adito con l'impugnazione, un'istanza, corredata dall'attestazione dell'omessa notificazione, per la fissazione di un termine perentorio per il completamento della notificazione o per la rinnovazione dell'impugnazioneÓ. La disciplina del luogo di notificazione dellĠimpugnazione corrisponde a quanto previsto per il giudizio di impugnazione allĠarticolo 330 c.p.c. LĠarticolo 93 c.p.a. affronta anche il caso della notificazione non andata a buon fine. Bisogna distinguere quindi tra lĠipotesi fisiologica e lĠipotesi patologica. Con riferimento alla prima, si dispone che, se nellĠatto di notificazione della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio, lĠimpugnazione deve essere notificata nel luogo indicato. In mancanza di indicazione, la notificazione deve essere fatta presso il difensore o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio e risultante dalla sentenza. Il secondo comma dellĠarticolo 93 c.p.a.  norma del tutto innovativa e dispone che: Òqualora la notificazione abbia avuto esito negativo perchŽ il domiciliatario si  trasferito senza notificare una formale comunicazione alle altre parti, la parte che intende proporre lĠimpugnazione pu˜ presentare al Presidente del Tribunale Amministrativo Regionale o al Presidente del Consiglio di Stato, secondo il giudice adito con lĠimpugnazione unĠistanza corredata dallĠattestazione della omessa notificazione, per la fissazione di un termine perentorio per il completamento della notificazione o per la rinnovazione dellĠimpugnazioneÓ. Vengono recepiti i principi enunciati dalla Corte di Cassazione (68) e dal Consiglio di Stato (69) allo scopo di sollevare la parte che diligentemente ha effettuato la notificazione nel luogo risultante dalla formale indicazione della controparte dalle conseguenze del mancato buon esito della notificazione dovuto a fatto del domiciliatario; infatti la norma prevede un nesso di causalitˆ tra il trasferimento di questĠultimo non formalmente comunicato alle altre parti e lĠesito negativo della notificazione. Al ricorrere di questo presupposto, la parte che intende proporre lĠimpugnazione pu˜ ottenere, previa proposizione di apposita istanza al Presidente del T.a.r. o del Consiglio di Stato, la fissazione di un termine perentorio per il suo completamento o per la sua rinnovazione. SullĠimpugnante grava ovviamente lĠonere di corredare lĠistanza con lĠattestazione dellĠomessa notificazione. Quanto al deposito delle impugnazioni disciplinato dallĠart. 94 del c.p.a., (68) Cass. Civ., sent. 20 maggio 1993 n. 5752; Cass Civ., Sez III, 7 dicembre 1989 n. 5417. (69) Cons. di Stato, Ad. Plen., 27 maggio 1999 n. 13. merita precisare che questĠultimo, con riferimento ai giudizi di appello, revocazione e di opposizione di terzo, poichŽ per il ricorso per Cassazione trovano applicazione le disposizioni del codice di procedura civile, costituisce una novitˆ che semplifica gli adempimenti a carico dellĠimpugnante. LĠaver ritenuto sufficiente che unitamente al ricorso sia depositata la copia anche non autentica della sentenza impugnata, sembra derivare dallĠagevole reperibilitˆ della stessa nel sito ufficiale. Il che peraltro fa presumere con ragionevole certezza che il testo cos“ ottenuto sia conforme allĠoriginale. 7. Le impugnazioni incidentali ed il principio di concentrazione delle impugnazioni nel codice del processo amministrativo. Anche per quanto concerne le impugnazioni incidentali, merita fare un raffronto tra la vecchia e la nuova disciplina. Ante codice del processo amministrativo, le impugnazioni incidentali non erano oggetto di una disciplina espressa e le uniche disposizioni sulle impugnazioni incidentali nel processo amministrativo erano quelle previste dallĠart. 22 t.u. 1058/1924 e dallĠart. 37 t.u. 1054/1024 per il ricorso incidentale innanzi al Consiglio di Stato, quale Giudice di primo ed unico grado e che in virt dellĠart. 29 legge n. 1034 del 1971 venivano considerate come volte a disciplinare lĠappello incidentale. Pertanto, in un primo e non breve periodo, lĠunica figura di impugnazione prevista e disciplinata per il processo amministrativo era lĠappello incidentale (70) in primo grado. SennonchŽ, lĠart. 37, sesto comma del t.u. 1054/1924 stabiliva che Òil ricorso incidentale non  efficace, se venga prodotto dopo che si sia rinunziato al ricorso principale, o se questo venga dichiarato inammissibile, per essere stato proposto fuori termineÓ. Sulla scorta di detta norma, lĠappello incidentale, analogamente a quanto avveniva per il ricorso incidentale in primo grado, era legato da un nesso di accessorietˆ e subordinazione allĠatto introduttivo del processo, vale a dire allĠappello principale. LĠesigenza di assicurare in maniera pi ampia possibile la concentrazione delle impugnazioni condusse dottrina e giurisprudenza, dopo non pochi tentennamenti, a ritenere applicabile anche al processo amministrativo le disposizioni dettate dal codice del processo civile per le impugnazioni incidentali. Nel vigente sistema processuale civile, lĠimpugnazione proposta per prima assume la denominazione di impugnazione principale, mentre le impu (70) SullĠappello incidentale si vedano Cons. di Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 1982 n. 21, con nota di F. LUBRANO, Osservazioni in tema di appello incidentale, in Dir. Proc. Amm., 1984, 237 ss.; Cons. di Stato, Sez. VI, 25 febbraio 1989 n. 173, con nota di D. ARDINI, Ancora un tentativo di unificazione delle opposte tesi in materia di appello incidentale, in Dir. Proc. Amm., 1989, 453 ss.. gnazioni successive assumono quella di impugnazioni incidentali. Purtroppo per˜, nonostante la presenza delle norme del codice di procedura civile nel sistema processuale amministrativo sulle impugnazioni incidentali, ben presto la giurisprudenza rilev˜ lĠiniquitˆ dellĠapplicazione del rapporto di accessorietˆ e subordinazione contemplato nellĠart. 37, sesto comma t.u. 1054/1924 a tutte le impugnazioni incidentali. Infatti la rinunzia o la declaratoria di inammissibilitˆ dellĠimpugnazione principale travolgeva tutte le impugnazioni proposte in via incidentale, anche se supportate da un autonomo interesse ad impugnare. Tutto ci˜ port˜ alla distinzione tra appello incidentale proprio ed appello incidentale improprio (71). LĠappello incidentale proprio era quello proponibile solo dal soccombente formale, vale a dire dalla parte processuale che, pur vedendo respinte anche le sue eccezioni, era risultata vincitrice nel processo. QuestĠultima circostanza precludeva al soccombente la possibilitˆ di impugnare la sentenza, che pur aveva respinto alcune sue eccezioni, perchŽ priva dellĠinteresse ad impugnare. La proposizione dellĠimpugnazione da parte del soccombente sostanziale determinava il sorgere dellĠinteresse ad impugnare del soccombente formale e gli consentiva la proposizione dellĠimpugnazione incidentale. LĠesistenza di un rapporto di accessorietˆ e di subordinazione fra appello incidentale proprio ed appello principale giustificava lĠapplicazione dellĠarticolo 37, sesto comma, t.u. 1054/1924. LĠappello incidentale improprio invece era proposto da un soggetto in posizione di soccombenza sostanziale e ricorreva ogni qual volta una impugnazione sostanzialmente autonoma veniva esperita in via incidentale solo perchŽ formulata successivamente alla notifica di altra impugnazione, che assumeva la denominazione di appello principale. In questi casi lĠappellante incidentale improprio era sollecitato da un autonomo interesse ad impugnare, non accessorio, nŽ subordinato a quello dellĠappellante principale. In questi casi non trovava applicazione lĠart. 37 sesto comma t.u. 1054/1024. In conclusione, prima dellĠemanazione del codice, le impugnazioni incidentali erano pacificamente ammesse nel processo amministrativo, anche se la carenza di una specifica normativa rendeva problematico lĠassetto dei vari profili (72). In particolare si discuteva se lĠomessa proposizione dellĠimpugnazione in via incidentale ne determinasse la decadenza, se lĠimpugnazione in via incidentale fosse proponibile solo avverso lo stesso capo di sentenza, se la rigorosa disciplina pre (71) Sulla distinzione tra appello incidentale proprio e quello improprio, cfr. V. CAIANIELLO, Manuale, 2003, 923 ss.; G. LEONE, Il sistema, 2006, 282. (72) Sottolinea le diverse posizioni della giurisprudenza R. VILLATA, Incertezza in tema di appello incidentale nel processo amministrativo, in Dir. Proc. amm., 1984, 159 ss.; R. VILLATA, Ancora in tema di appello incidentale, in Dir. Proc. amm., 1985, 316 ss.; R. VILLATA, LĠappello incidentale innanzi lĠadunanza plenaria, in Dir. Proc. amm.; R. VILLATA, LĠAdunanza Plenaria perde unĠoccasione per chiarire i problemi dellĠappello incidentale ma poi (forse) ripara, in Dir. Proc. amm., 1989, 747 ss.. vista dallĠart. 37, sesto comma, t.u. 1054/1024, trovasse applicazione anche nei confronti di impugnazioni sostenute da un autonomo interesse a impugnare (73). Con lĠentrata in vigore del codice, vengono codificate tutte le relative regole con alcune novitˆ che  il caso di esaminare. LĠart. 96 c.p.a. consta di cinque autonome fattispecie che  opportuno menzionare. 1. Tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite in un solo processo. 2. Possono essere proposte impugnazioni incidentali, ai sensi degli articoli 333 e 334 del codice di procedura civile. 3. L'impugnazione incidentale di cui all'articolo 333 del codice di procedura civile pu˜ essere rivolta contro qualsiasi capo di sentenza e deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla notificazione della sentenza o, se anteriore, entro sessanta giorni dalla prima notificazione nei suoi confronti di altra impugnazione. 4. Con l'impugnazione incidentale proposta ai sensi dell'articolo 334 del codice di procedura civile possono essere impugnati anche capi autonomi della sentenza; tuttavia, se l'impugnazione principale  dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia. 5. L'impugnazione incidentale di cui all'articolo 334 del codice di procedura civile deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla data in cui si  perfezionata nei suoi confronti la notificazione dell'impugnazione principale e depositata, unitamente alla prova dell'avvenuta notificazione, nel termine di cui all'articolo 45. 6. In caso di mancata riunione di pi impugnazioni ritualmente proposte contro la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina l'improcedibilitˆ delle altre. LĠart. 96 c.p.a. come  evidente, disciplina le impugnazioni incidentali con una norma che innova notevolmente la materia (74). Alla norma va attribuito il merito di aver definitivamente risolto precedenti contrasti interpretativi (75), che hanno dilaniato a lungo dottrina (76) e giurisprudenza (77); pertanto essa consente di parlare di impugnazione incidentale (73) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel codice del processo amministrativo. LĠonere di proporre lĠimpugnazione successiva alla prima in via incidentale, pagg. 80, 81, Giuffr editore, 2011. (74) Sulle impugnazioni incidentali secondo il codice del processo amministrativo, si vedano E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, XII, Milano 2010, 908 ss.; A.TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, IX, Torino, 2010, 307 ss.. (75) Secondo V. Caianiello la fonte normativa va individuata nellĠarticolo 37 t.u. n. 1054/1924, in forza del rinvio operato dallĠart. 29, primo comma, l. n. 1034/1971. (76) G. LEONE, Il sistema, 2006, 284, sostiene che la fonte dellĠimpugnazione incidentale vada individuata nellĠart. 333 c.p.c. e nei principi desumibili dallĠordinamento processuale civile. In termini si veda Cons. Stato, VI, 15 marzo 1989 n. 173. (77) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, 2011, Giuffr, pag. 81. e non solo di appello incidentale, come invece era nel precedente ordinamento. LĠart. 96, secondo comma, c.p.a. stabilisce che possono essere proposte impugnazioni incidentali, ai sensi degli articoli 333 e 334 c.p.c. LĠart. 333 stabilisce che Òle parti alle quali sono state fatte le notificazioni previste dagli articoli precedenti debbono proporre, a pena di decadenza, le loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processoÓ. LĠart. 334 c.p.c. prevede che ÒLe parti contro le quali  stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dellĠart. 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse  decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza. In tal caso, se lĠimpugnazione principale  dichiarata inammissibile, la impugnazione incidentale perde ogni efficacia. Queste disposizioni trovano collocazione anche nel codice del processo amministrativo che per˜ presenta significative novitˆ rispetto alle disposizioni previgenti e rilevanti differenze rispetto alle stesse disposizioni dettate dal codice del processo civile. Come ha osservato autorevole dottrina (78) nel codice del processo amministrativo scompare la disciplina specifica prevista per il ricorso incidentale (alias appello incidentale) e viene sostituita da disciplina generale, valida per tutte le impugnazioni incidentali. Inoltre, il codice del processo amministrativo, determina un vero e proprio capovolgimento del rapporto tra impugnazione incidentale propria ed impugnazione incidentale impropria. Prima dellĠemanazione del codice lĠart. 22 t.u. 1058/1924, lĠart. 37 t.u. 105471924 e lĠart. 29 legge n. 1034/1971 disciplinavano lĠappello incidentale improprio; solo a partire dagli anni 80, la giurisprudenza ha cominciato a configurare lĠappello incidentale improprio come ipotesi ordinaria. Invece lĠart. 96 c.p.a. disciplina lĠappello incidentale improprio e lĠappello incidentale tardivo, omettendo ogni espresso riferimento allĠappello incidentale proprio. LĠarticolo 96 comma secondo c.p.a. consente poi la possibilitˆ di proporre impugnazioni incidentali ai sensi degli artt. 333 e 334 c.p.c. In virt della succitata disposizione, tutte le parti destinatarie della notifica dellĠimpugnazione, devono proporre, a pena di decadenza, le loro impugnazioni in via incidentale; inoltre nel processo amministrativo, lĠarea delle parti tenute a proporre le proprie impugnazioni in via incidentale  pi ristretta rispetto a quella stessa area individuabile nel processo civile perchŽ il codice di procedura civile assicura la concentrazione delle impugnazioni in maniera pi intensa di quanto non faccia il codice del processo amministrativo. Infatti, poichŽ lĠart. 332 c.p.c. stabilisce che in sede di integrazione del contraddittorio la notifica dellĠimpugnazione va fatta a tutte le parti nei cui (78) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, 2011, Giuffr, pag. 82. confronti lĠimpugnazione non sia preclusa o esclusa, lĠarea dei soggetti tenuti a proporre impugnazione in via incidentale  ampia ed  tanto estesa quante sono le parti del processo che non siano giˆ decadute dal potere di proporre impugnazione, che non abbiano fatto acquiescenza o non abbiano rinunciato alla impugnazione. Infatti, lĠart. 333 c.p.c. prevede che i soggetti che devono proporre impugnazione incidentale sono tutte le parti destinatarie della notifica, sia nelle ipotesi di cause inscindibili, che nei casi di cause scindibili, in virt dellĠespresso richiamo, contenuto nel primo comma, ai precedenti articoli 331 e 332 c.p.c.; invece il nuovo codice del processo amministrativo restringe lĠarea dei soggetti tenuti alla proposizione dellĠimpugnazione in via incidentale. E ci˜ lo si desume dalla lettura dellĠart. 95 primo comma, c.p.a., dallĠinciso Ònegli altri casiÓ, vale a dire nelle cause diverse da quelle inscindibili. LĠintegrazione deve investire non tutte le parti del processo, ma solo quelle Òinteressate a contraddireÓ; ci˜ comporta che lĠarea dei soggetti tenuti a proporre la propria impugnazione in via incidentale comprende non solo tutti coloro che sono titolari di una situazione contrastante con lĠimpugnante principale, ma anche coloro che, pur avendo una posizione autonoma, si collochino in una posizione di cointeresse con lĠimpugnante principale. Per concludere, nel processo amministrativo  pi elevato, rispetto al processo civile, il rischio che nei confronti della medesima sentenza siano proposte impugnazioni separate (79). Inoltre, il codice, allĠarticolo 96, afferma espressamente che lĠimpugnazione incidentale giˆ prevista dellĠart. 333 c.p.c. pu˜ essere rivolta contro qualsiasi capo della sentenza. Infine, troverˆ applicazione la sanzione della decadenza e non potrˆ trovare applicazione il precedente orientamento giurisprudenziale secondo il quale la riunione delle impugnazioni  idonea ad evitare la decadenza delle stesse. La decadenza si verifica nel momento della proposizione della impugnazione, indipendentemente dal momento in cui viene dichiarata. 8. Il deferimento allĠAdunanza Plenaria dopo i decreti legislativi 2 luglio 2010 n. 104, d. lgs. 195/2011 e d. lgs. 160/2012. LĠart. 99 c.p.a. disciplina il deferimento allĠadunanza plenaria del Consiglio di Stato e consta di cinque autonome fattispecie che  opportuno richiamare. 1. La sezione cui  assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o d'ufficio pu˜ rimettere il ricorso all'esame dell'adunanza plenaria. L'adunanza plenaria, (79) A .TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, IX, 2010, 309. qualora ne ravvisi l'opportunitˆ, pu˜ restituire gli atti alla sezione. 2. Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d'ufficio, pu˜ deferire all'adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali. 3. Se la sezione cui  assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall'adunanza plenaria, rimette a quest'ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. 4. L'adunanza plenaria decide l'intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente. 5. Se ritiene che la questione  di particolare importanza, l'adunanza plenaria pu˜ comunque enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l'estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell'adunanza plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato. Con lĠentrata in vigore del codice del processo amministrativo viene riprodotto nel libro terzo, titolo primo, quasi pedissequamente nellĠarticolo 99, quanto giˆ previsto e disciplinato dallĠarticolo 45 commi 2 e 3 del r.d. n. 1054/1924, sul deferimento allĠadunanza plenaria. Da una prima lettura, si desume che lĠintenzione del legislatore di collocare il deferimento allĠAdunanza Plenaria nel libro riservato alle impugnazioni, fa intendere come questo istituto sia proprio non soltanto dellĠappello, bens“ esperibile per tutti i mezzi di impugnazione. Osserva autorevole dottrina (80), che dalla collocazione sistematica accolta dal Codice si desume che la rimessione allĠAdunanza Plenaria sia possibile in tutte le ipotesi in cui un ricorso venga esaminato dalla sezione del Consiglio di Stato, indipendentemente dal mezzo di impugnazione esperito per investire del ricorso il Consiglio di Stato. Prima di passare ad analizzare le ultimissime novitˆ apportate allĠarticolo 99 c.p.a. dal secondo correttivo (d. lgs. 160/2012), bisogna contemplare le singole ipotesi di deferimento previste dalla norma. La prima  contenuta nellĠarticolo 99 comma 1 c.p.a. ed attribuisce ad ogni sezione del Consiglio di Stato il potere di rimettere il ricorso allĠesame dellĠAdunanza Plenaria, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo (contrasto attuale) o possa dar luogo (contrasto potenziale) a contrasti giurisprudenziali. Il deferimento pu˜ essere sollecitato dalle parti, con richiesta, o pu˜ essere disposto anche dĠufficio; nel primo caso per˜ la sezione non  tenuta a disporre il deferimento ma pu˜ provvedere discrezionalmente. (80) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Giuffr Editore, 2011, pag. 123. Soltanto con lĠentrata in vigore del decreto legislativo 160 /2012 (secondo correttivo al codice del processo amministrativo), allĠarticolo 99 primo comma  stato introdotto un nuovo comma. In particolare, all'articolo 99, comma 1 c.p.a.,  stato aggiunto il seguente periodo: "L'adunanza plenaria, qualora ne ravvisi l'opportunitˆ, pu˜ restituire gli atti alla sezione". Viene attribuito allĠAdunanza Plenaria, investita da una sezione semplice per risolvere un contrasto (sia esso attuale o potenziale) di giurisprudenza, il potere di restituire gli atti qualora ne ravvisi lĠopportunitˆ. Una prima osservazione va fatta con riferimento allĠambito applicativo; infatti, da una prima lettura, non vi  dubbio che la previsione  di stretta interpretazione, perchŽ  stato previsto che a rimettere lĠaffare allĠadunanza plenaria  soltanto la sezione semplice in caso di contrasto di giurisprudenza, rimanendo esclusi gli altri casi di rimessione sempre previsti dallĠarticolo 99 c.p.a. (la rimessione da parte del Presidente del Consiglio di Stato o da parte di una sezione che intenda discostarsi da un precedente della Plenaria). Una seconda osservazione va fatta con riferimento al potere di restituzione degli atti, lasciando la norma un potere discrezionale in bianco che, come  stato autorevolmente osservato, non si confˆ ad un organo giurisdizionale, bens“ ad un organo amministrativo (81). Successivamente, non sono mancate voci autorevolissime (82), che hanno considerato come tale norma possa portare lĠadunanza plenaria a realizzare un abuso, qualora, per ragioni di opportunitˆ, faccia un uso distorto di tale potere che comunque spetta per legge. Ad avviso di chi scrive, questo abuso potrˆ essere evitato soltanto se lĠadunanza plenaria limiterˆ il potere di restituzione degli atti a determinate ipotesi ed al ricorrere di determinati presupposti giˆ contemplati dalla norma (contrasti attuali o potenziali di giurisprudenza), escludendolo quindi nel caso in cui essi manchino ed ancora quando ci siano evidenti ragioni di opportunitˆ processuale. Si citano come esempio le questioni nuove, dove lĠintervento della Plenaria pu˜ apparire prematuro, essendo preferibile aspettare prima gli orientamenti espressi dalle sezioni semplici. Il potere della Plenaria di restituire gli atti alla sezione segue un procedimento diverso rispetto a quello previsto per il rito civile e disciplinato dallĠarticolo 374 c.p.c., il quale stabilisce che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione investite del potere nomofilattico, non hanno il potere di restituire gli atti alla sezione rimettente. (81) R. DE NICTOLIS, Il secondo correttivo del codice del processo amministrativo. (82) Relazione di PASQUALE DE LISE del 19 novembre 2012 sulle impugnazioni nel codice del processo amministrativo, in occasione della presentazione del libro ÒLe impugnazioni nel processo amministrativoÓ di MARIO SANINO. Una novitˆ  stata introdotta nellĠarticolo 99 comma 2 c.p.a., dal decreto legislativo 104/2010 e non oggetto di modifica da parte del primo e del secondo correttivo al codice del processo. In particolare, si tratta del potere conferito, al Presidente del Consiglio di Stato, prima della decisione, anche se la formula utilizzata dalla norma induce a ritenere che il deferimento possa intervenire anche dopo che la sezione abbia trattenuto la causa per la decisione, purchŽ questa non sia depositata, di risolvere questioni di massima di particolare importanza e rispetto al passato risulta pi accentuato il suo ruolo, dal momento che il deferimento da parte sua pu˜ aversi non solamente come prevedeva lĠart. 45 del r.d. 1054/1924, ove si renda necessaria la risoluzione di questioni di massima, ma anche in caso di contrasti giurisprudenziali. La ratio della riforma  quella di realizzare lĠunitˆ del diritto nazionale prevista per la Cassazione allĠart. 65 della legge sullĠordinamento giudiziario. La norma trova un fondamento normativo nellĠart. 376 secondo e terzo comma e nellĠart. 374 secondo comma c.p.c. Una parte della dottrina (83) ha molto criticato il potenziamento del ruolo del Presidente del Consiglio di Stato sul potere di deferimento della questioni controversie allĠAdunanza Plenaria, perchŽ eccessivo; infatti da quanto si desume dalla previsione della norma, il Presidente del Consiglio di Stato pu˜ deferire, non solo su richiesta delle parti (circostanza che potrebbe essere significativa: in caso appunto di mancato accoglimento di unĠistanza di questo genere davanti alla sezione presso la quale la causa si discute, la parte potrˆ domandare al Presidente che venga deferita allĠAdunanza Plenaria), ma lo pu˜ fare addirittura dĠufficio, senza che la parte lo abbia domandato. La norma non precisa neppure quando possa farlo, se in ogni tempo, o fino alla decisione, lasciando lacune che devono essere assolutamente colmate. Si tratta di una critica di carattere sostanziale, non processuale. Il Presidente, esercitando il potere di rimettere la causa allĠAdunanza Plenaria, genera un vulnus al principio del giudice naturale precostituito per legge, che  principio troppo importante per essere sacrificato per esigenze di nomofilachia e dellĠuniformitˆ dellĠordinamento giudiziario su tutte le questioni, anche su quelle pi importanti. Con lĠentrata in vigore dei primi due commi dellĠart. 99 del codice del processo amministrativo, infatti, il legislatore ha cercato di colmare la laconicitˆ dellĠarticolo 45 del t.u. sul Consiglio di Stato. Il deferimento della ÒquestioneÓ al massimo organo della giustizia amministrativa, ne  testimonianza con lĠaumento delle decisioni del Consiglio di Stato rese in Adunanza Plenaria, che  stato congruente con lĠampliamento delle ipotesi di remissione allĠAdu (83) A. POLICE, Relazione sulla riforma del codice del processo amministrativo tenutasi presso lĠUniversitˆ degli studi di Roma Tor Vergata il 30 aprile 2010, pag. 19. nanza Plenaria, sia sotto il profilo soggettivo (deferimento allĠadunanza plenaria da parte del Presidente del Consiglio di Stato su richiesta delle parti, ma, con la riforma anche dĠufficio), sia sotto quello oggettivo (per dirimere contrasti giurisprudenziali, attuali o potenziali). LĠintento del legislatore di attribuire al Presidente del Consiglio di Stato maggiori poteri rispetto alla precedente disciplina trova un riscontro pratico essenzialmente nelle Ònotevoli competenze tecniche del Presidente del Consiglio di StatoÓ, ed in particolare nella valutazione delle singole fattispecie sottoposte alla sua attenzione. La norma  innovativa soprattutto con riferimento al novero dei soggetti perchŽ attribuendo al Presidente del massimo organo della giustizia amministrativa, il deferimento della questione allĠAdunanza Plenaria, colma la lacuna della precedente disciplina che evidentemente Òaveva mancato di estendere questa attribuzione che soltanto in un momento successivo  stato avvertito dalla giustizia amministrativa e poi codificata dal legislatore della riformaÓ (84). La terza ipotesi, prevista e disciplinata dallĠart. 99 comma 3, ricorre quando la sezione cui  assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dallĠAdunanza Plenaria. In tal caso rimette a questĠultima con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. Dalla lettura della norma  palese lĠintenzione del legislatore di rafforzare il dovere di motivare, e rivolgendosi soprattutto ai giudici che devono indicare in modo pi preciso i punti di dissenso e le ragioni che supportano tale opinione. La norma precisa che al Consiglio di Stato spetta unĠulteriore funzione e cio quella di decidere anche il ricorso nel merito. La previsione contenuta nel terzo comma dellĠart. 99 c.p.a. ha portata innovativa e ci˜  stato avallato anche dalla giurisprudenza costituzionale (85) che riconosce la funzione nomofilattica della Plenaria, in conformitˆ con le pi recenti trasformazioni del processo civile riguardanti le Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Con lĠintroduzione dellĠart. 99 comma 4 c.p.a. invece, il legislatore ha conferito allĠAdunanza Plenaria il potere di decidere sia lĠintera controversia, sia quello di limitarsi ad enunciare il principio di diritto, sciogliendo il punto (84) M. SANINO, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Edizioni Giappichelli, pag. 113, anno 2012. (85) Con la sentenza n. 30 del 24 gennaio 2011, la Corte Costituzionale  stata chiamata a pronunciarsi sulla possibilitˆ che le Sezioni riunite della Corte dei Conti si pronuncino sui giudizi che presentano una questione di diritto decisa in senso difforme dalle sezioni centrali o regionali e ha dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondata la questione di legittimitˆ costituzionale dellĠart. 1 comma 7, terzo periodo del d. l. 15 novembre 1993, n. 453 convertito, con modificazioni, nella legge n. 19 del 14 gennaio 1994, come integrato dallĠart. 42, comma 2 della legge n. 69/2009 con riferimento agli artt. 24, 25 e 11 cost., nella parte in cui  stato attribuito al Presidente della Corte dei Conti il potere di deferimento di questioni di massima in relazione ai giudizi pendenti innanzi alle sezioni giurisdizionali di primo grado e di appello. controverso o di particolare importanza, restituendo per il resto il giudizio alla sezione remittente. Autorevole dottrina (86) ha osservato che lĠintroduzione dellĠart. 99 comma 4, rappresenta soltanto in parte unĠinnovazione perchŽ giˆ nel 1907 si stabil“ che lĠAdunanza Plenaria potesse decidere lĠintera controversia, confermando cosi le proprie funzioni nomofilattiche. Per capire la ratio della riforma bisogna fare un breve richiamo alla precedente normativa; il riferimento  allĠart. 73 del Regolamento di Procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, r.d. 17 agosto 1907, n. 642, secondo il quale ÒlĠAdunanza, quando si pronuncia a termini e per gli effetti dellĠart. 37 (oggi 45) della legge, terzo capoverso, decide in tutte le altre questioni della controversiaÓ. Dal contenuto della norma  palese la regola della Plenaria che decideva Òin tutte le altre questioni della controversiaÓ e che una volta rimessa la causa al- lĠesame dellĠAdunanza Plenaria, questa avrebbe deciso sia del fatto che del diritto. LĠopinione di chi scrive  che rispetto alla precedente disciplina il legislatore abbia finalmente codificato il pensiero della dottrina ma soprattutto quanto giˆ affermato in giurisprudenza (87), circa il potere dellĠAdunanza Plenaria di decidere lĠintera controversia, oppure limitarsi ad enunciare il principio di diritto per poi rimettere a sua discrezione la questione sottopostale alla sezione remittente, attribuendole perci˜ maggiore potere decisorio in merito alla prosecuzione o meno della controversia e ci˜ si desume dallĠinciso Òsalvo che ritengaÓ, formula che appare contemplare ipotesi eccezionale e condizionata da una specifica valutazione del Collegio. Rimane da esaminare lĠultimo comma dellĠart. 99 c.p.a.; questĠultimo in conformitˆ a quanto previsto dallĠart. 363 c.p.c. (che disciplina il ricorso nel- lĠinteresse della legge), consente allĠAdunanza Plenaria di enunciare Òil punto di dirittoÓ nellĠinteresse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero in caso di estinzione del giudizio. Si tratta senzĠaltro di unĠaltra novitˆ nel codice del processo amministrativo, ipotesi assente nella precedente disciplina e precisamente nellĠart. 45 del t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato 1054/1024. Con tale norma viene scissa la soluzione della questione di diritto dalla definizione del giudizio realizzata dalla sentenza di rito e ci˜ si evince dalla lettura dellĠultimo periodo dellĠart. 99 e precisamente dallĠinciso Òla Pronuncia dellĠAdunanza Plenaria non ha effetto sulla sentenza impugnataÓ. (86) M. SANINO, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Edizioni Giappichelli, 2012, 114. (87) Il riferimento  ovviamente alle decisioni nn. 4, 5, 7, 8, 9 del 30 luglio 2008 rese in Adunanza Plenaria dal Consiglio di Stato, e prevedevano che lĠAdunanza Plenaria possa limitarsi a pronunciare il principio di diritto, restituendo per il resto il giudizio alla sezione remittente, senza condizionare tale scelta ad alcun presupposto di fatto o di diritto e quindi sulla base dellĠinsindacabile scelta del Supremo Consesso. Il primo correttivo del codice del processo amministrativo e precisamente il d. lgs. 195/2011 ha modificato lĠultimo periodo dellĠart. 99 comma 5 c.p.a.; le parole Òsulla sentenza impugnataÓ sono state sostituite dalle seguenti Òsul provvedimento impugnatoÓ. Secondo autorevole dottrina, rispetto alla precedente disciplina quindi gli effetti della pronuncia dellĠadunanza plenaria non si ripercuotono sulla sentenza impugnata, bens“ sul provvedimento impugnato e genera anche risvolti processuali, perchŽ lĠappello non viene pi considerato un vero e proprio giudizio di impugnazione avente ad oggetto la sentenza del T.a.r. avverso la quale vanno rimosse specifiche censure, non bastando la generica riproduzione dei motivi di ricorso mossi contro il provvedimento impugnato in primo grado, bens“ come gravame, avente come riferimento il rapporto oggetto della controversia di primo grado incentrato appunto sul provvedimento amministrativo. Tesi, questĠultima, ritenuta condivisibile anche secondo lĠopinione di chi scrive (88). é opportuno precisare che lĠenunciazione del principio di diritto in caso di chiusura in rito del giudizio non costituisce un obbligo per lĠAdunanza Plenaria, bens“ una facoltˆ da esercitare e ci˜ lo si desume dallĠinciso ÒlĠAdunanza Plenaria pu˜ comunque enunciare il principio di dirittoÓ. Questa disposizione, al pari delle altre,  da considerarsi innovativa perchŽ comunque conferma e rafforza il ruolo dellĠAdunanza Plenaria anche quando il giudizio si conclude con una decisione di rito e riservando quindi allĠAdunanza Plenaria almeno teoricamente di giungere ad un diverso avviso rispetto a quanto rilevato dallĠorgano remittente. UnĠultima considerazione va fatta, infine, con riferimento alla previsione o meno di un filtro sullĠammissibilitˆ sulla rimessione allĠadunanza plenaria, per poi tracciare una distinzione rispetto al giudizio di Cassazione. La questione era stata giˆ studiata dalla pi autorevole dottrina (89), che si era posto il problema dellĠopportunitˆ di creare un filtro preliminare omogeneo allĠAdunanza Plenaria. Secondo lĠautore appena citato, la norma non prevede alcun filtro sullĠammissibilitˆ della questione allĠAdunanza Plenaria come invece  previsto per il giudizio civile, ai sensi dellĠart. 47 della legge n. 69 del 2009, che ha introdotto lĠart. 360 bis, concernente lĠinammissibilitˆ del ricorso: Ò1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa; 2) quando  manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processoÓ. Si tratta, infatti, di una previsione che nel caso del Consiglio di Stato par (88) M.G. ANTONUCCI, Elementi di diritto processuale amministrativo, Giuffr Milano, 2012. (89) S. OGGIANU, Resoconto del seminario sul libro III (le Impugnazioni) del progetto di codice del processo amministrativo svoltosi il 30 aprile 2010 presso lĠUniversitˆ degli studi di Roma Tor Vergata. rebbe opportuno limitare ai casi in cui si prevede il deferimento del caso controverso allĠAdunanza Plenaria e non rispetto alla sezione semplice, stante la commistione di funzioni di giudice dĠappello e di funzioni nomofilattiche dellĠorgano di vertice della giurisdizione amministrativa. Infatti, senza questo adattamento si priverebbe il processo amministrativo del secondo grado, in contrasto peraltro con la previsione di cui allĠart. 125 della Costituzione. é inoltre necessario precisare che mentre lĠarticolo 360 bis c.p.c. si riferisce ad un mezzo di impugnazione, il ricorso in Cassazione appunto, il ricorso allĠAdunanza Plenaria non costituisce un mezzo di impugnazione, ma si inserisce nel processo prima che la controversia sia definita con sentenza ed anzi la soluzione del caso  adottata direttamente dal supremo consesso amministrativo; correlativamente, mentre il ricorso in cassazione  ad istanza di parte, lĠAdunanza plenaria pu˜ essere adita dalla sezione o dal Presidente del Consiglio di Stato. Anche sotto questo profilo, dunque, lĠistituto, che pu˜ essere suscettibile di estensione quanto allĠidea di fondo, necessita un adattamento alle dinamiche proprie del processo amministrativo. Del resto si tratta di una soluzione presente anche in altri ordinamenti di civil law, in cui la giustizia amministrativa  distinta dalla giustizia civile (90). Si cita come esempio l'ordinamento francese dove il Conseil d'Etat , in materia di contenzioso amministrativo, al tempo stesso organo di vertice del- l'ordine giurisdizionale amministrativo e giudice di Cassazione. Tuttavia il profilo organizzativo (Cour Suprme) e quello funzionale (jurisdiction de cassation) non sempre coincidono, dal momento che il codice di giustizia amministrativa (CJA) ha previsto una diversa procedura per il ricorso al Consiglio di Stato quale giudice di una nomofilachia ÒpreventivaÓ, rispetto a quella esercitata in forza del rinvio allo stesso giudice come corte di ultima istanza. LĠaccesso al Conseil dĠtat quale giudice di cassazione  caratterizzato, infatti, dal punto di vista procedurale, da una fase preliminare in cui viene sindacata lĠammissibilitˆ dellĠistanza, che precede la trattazione del ricorso. La procedura  imperniata sul principio inquisitorio e si svolge in assenza di contraddittorio tra le parti. In particolare, dispone lĠart. 11 della l. 1127/1987: Òil ricorso per cassazione davanti al Consiglio di Stato  oggetto di una procedura preliminare di ammissione. LĠammissione  rifiutata con decisione giurisdizionale, se il ricorso  irricevibile o non  fondato Òsu alcun motivo serioÓ. Dal punto di vista delle ipotesi di inammissibilitˆ, posti in disparte i casi di irricevibilitˆ che presentano scarso interesse rispetto al discorso che si va svolgendo, appare interessante rilevare lĠelasticitˆ della previsione normativa che fa riferimento alla condizione che il ricorso non sia fondato su Òalcun motivo (90) S. OGGIANU, Commento allĠistituto del ruolo dellĠAdunanza Plenaria, 30 aprile 2010 presso lĠUniversitˆ degli Studi di Roma Tor Vergata. serioÓ. La formulazione al negativo, infatti, da un lato estende i confini del- lĠammissibilitˆ, poichŽ sembra escludere i soli ricorsi che si presentino manifestamente non seri, cio non imperniati su fondate questioni di diritto; dallĠaltro, proprio lĠulteriore attitudine allĠadattamento  data dal riferimento al Òmotivo serioÓ non meglio specificato. Un altro esempio lo si pu˜ fare con riferimento allĠordinamento tedesco, dove la giurisdizione amministrativa si articola in tre gradi di giudizio: tribunali di prima istanza (Tribunali amministrativi, Verwaltungsgerichte), tribunali di appello (Tribunali amministrativi superiori, Oberverwaltungsgerichte, OVG) ed un Tribunale amministrativo federale (Bundesverwaltungsgerichte, BverwG). A quest'ultimo, in prima battuta,  affidato l'esercizio della funzione nomofilattica, in seno al ricorso di revisione, disciplinato dalla XIII sezione (revisione) della legge sul processo amministrativo (Verwaltungsgerichtsordnung, VwGO) del 21 gennaio 1960. In particolare, ai sensi del par. 132 Òcontro la sentenza definitiva di un tribunale amministrativo superiore (...) alle parti spetta la revisione solo se il tribunale amministrativo superiore l'ha ammessa o se l'ha ammessa il tribunale federale amministrativo su ricorso contro la non ammissioneÓ (co.1). Anche la legge tedesca, quindi, condiziona il ricorso in revisione ad una previo giudizio di ammissibilitˆ rimesso al giudice di seconda istanza e, in sede di impugnazione della decisione di questo, al Tribunale amministrativo federale. Le condizioni di ammissibilitˆ della revisione sono enunciate al co. 2 del citato par. 132: Òla revisione  da ammettere se: 1) la causa ha un'importanza fondamentale; 2) la sentenza diverge da una decisione del Tribunale di revisione o del Senato comune delle supreme corti del Bund e si basa su questa divergenza; 3) viene fatto valere ed  presente un vizio processuale sul quale pu˜ basarsi la decisioneÓ. Conclude il par. 3 che Òil tribunale federale amministrativo  vincolato all'ammissioneÓ. Il risarcimento del danno per equivalente da aggiudicazione illegittima. Osservazioni in materia di decadenza dellĠazione di condanna, prescrizione e quantum risarcibile Cesare Trecroci* SOMMARIO: 1. Premesse - 2. Art. 30, co. 5, c.p.a. Azione di condanna proposta in via autonoma. Dies a quo di decorrenza del termine decadenziale in relazione al pricipio del giudicato interno ed implicito sulla giurisdizione e, in definitiva, in relazione al principio di acquiescenza di cui allĠart. 329 c.p.c. - 3. Aggiudicazione provvisoria e aggiudicazione definitiva. Dies a quo di decorrenza della prescrizione - 4. Determinazione del quantum risarcibile: spese per la partecipazione alla gara; mancato utile e perdita di chances; danno allĠimmagine a carico dellĠimpresa non aggiudicataria della gara di appalto; danno curriculare. Orientamenti giurisprudenziali a confronto. 1. Premesse. Il risarcimento del danno da aggiudicazione illegittima ha rappresentato ed ancora rappresenta una tematica di grande interesse per la giurisprudenza e la dottrina amministrativiste. Ci˜ non dipende soltanto dalla prassi giudiziaria, dove sono frequenti le domande risarcitorie, in forma specifica o per equivalente. Per converso, la problematica in esame svolge un importante ruolo nellĠenucleazione delle modalitˆ con cui il giudice amministrativo pu˜ condannare lĠamministrazione a risarcire i danni derivanti dalla lesione di interessi legittimi. Tutto ci˜ premesso, nella presente trattazione, ci si concentrerˆ su alcuni dubbi in merito: a) al dies a quo di decorrenza del termine di decadenza per la proposizione dellĠazione di condanna, ai sensi e per gli effetti dellĠart. 30, comma 5, c.p.a., in relazione al principio del giudicato interno ed implicito sulla giurisdizione e, in definitiva, in relazione al principio di acquiescenza di cui allĠart. 329 c.p.c.; b) al dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione per il risarcimento del danno da aggiudicazione illegittima, sia essa lĠaggiudicazione provvisoria o lĠaggiudicazione definitiva; c) alla determinazione del quantum risarcibile per equivalente, con particolare riferimento al danno emergente (spese per la partecipazione alla gara), al lucro cessante (mancato utile ovvero perdita di chances), al danno allĠimmagine, al danno curriculare. 2. Art. 30, co. 5, c.p.a. Azione di condanna proposta in via autonoma. Dies a quo di decorrenza del termine decadenziale in relazione al principio del giu (*) Dottore in Giurisprudenza, giˆ praticante forense presso lĠAvvocatura dello Stato. dicato interno ed implicito sulla giurisdizione e, in definitiva, in relazione al principio di acquiescenza di cui allĠart. 329 c.p.c. Il combinato disposto degli articoli 30 e 34, comma 3, c.p.a., ammette espressamente lĠesperibilitˆ di unĠazione di condanna dinanzi al giudice amministrativo (1). In particolare, come giˆ prevedeva lĠart. 7, l. n. 205/2000, di modifica dellĠart. 7, l. TAR (2),  ammessa la proposizione dellĠazione di condanna dinanzi al G.A., contestualmente a quella di annullamento (3), ovvero nel corso del giudizio di primo grado (4). Inoltre, superato lĠacceso contrasto giurisprudenziale in tema di Òpregiudiziale amministrativaÓ (5), il nuovo codice del processo amministrativo consente la proposizione di unĠazione di condanna in via autonoma, anche se non (1) LĠart. 30 c.p.a. prescrive quanto segue. Ò1. LĠazione di condanna pu˜ essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma. 2. Pu˜ essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dallĠillegittimo esercizio del- l'attivitˆ amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva pu˜ altres“ essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dallĠarticolo 2058 del codice civile, pu˜ essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica. 3. La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi  proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si  verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando lĠordinaria diligenza, anche attraverso lĠesperimento degli strumenti di tutela previsti. 4. Per il risarcimento dellĠeventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dellĠinosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura lĠinadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. 5. Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria pu˜ essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza. 6. Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativoÓ. Specularmente, lĠart. 34, comma 3, c.p.a. sancisce che: ÒQuando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta pi utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimitˆ del- l'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitoriÓ. (2) LĠart. 7, comma 3, l. TAR n. 1034/1971, stabiliva che: ÒIl tribunale amministrativo regionale, nellĠambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative allĠeventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali. Restano riservate all'autoritˆ giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacitˆ dei privati individui, salvo che si tratti della capacitˆ di stare in giudizio, e la risoluzione dell'incidente di falsoÓ. (3) Art. 30, comma 1, cpv., c.p.a. (4) Art. 30, comma 5, cpv., c.p.a. (5) Per pregiudiziale amministrativa si intende la necessitˆ di esercitare una previa o contestuale azione di annullamento prima di potere formulare una domanda risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo ovvero al giudice ordinario. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 26 marzo 2003, n. 4; Ad. Plen., 22 ottobre 2007, n. 12. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Tomo I, Milano, 2011, pp. 596 e ss.. vi  pi interesse allĠannullamento del provvedimento (6), quando si versi nellĠipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e negli altri casi previsti dallĠart. 30 c.p.a. (7), nonchŽ quando non siano ancora trascorsi centoventi giorni dalla verificazione del fatto o del provvedimento lesivi (8), ovvero quando non siano ancora trascorsi centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza demolitoria (9). Ci˜ detto, nellĠipotesi di unĠazione di condanna esperita in via autonoma, ai sensi dellĠart. 30, comma 5, c.p.a., ci si chiede quale sia il dies a quo di decorrenza del termine decadenziale. Infatti, non sembrerebbe poi cos“ pacifico che il dies a quo e, quindi, il passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento vada individuato nel- lĠinutile decorso del termine per la revocazione ordinaria, ovvero nel decorso del termine per la proposizione del ricorso per cassazione per i motivi attinenti alla giurisdizione, ovvero nella declaratoria di inammissibilitˆ dei due mezzi di impugnazione, ai sensi e per gli effetti dellĠart. 324 c.p.c. (10). Per converso, il principio generale in tema di passaggio in giudicato formale delle sentenze di appello trova una palese deroga nel principio di acquiescenza ex art. 329 c.p.c. (11) e nel principio del giudicato interno ed implicito sulla giurisdizione, che del principio di acquiescenza costituisce una specificazione. DĠaltra parte, per la costante letteratura, lĠacquiescenza, espressa o tacita, rende inammissibile lĠimpugnazione per difetto di interesse. In aggiunta, nel- lĠipotesi di acquiescenza impropria o parziale (art. 329, comma 2, c.p.c.), il difetto di interesse rende inammissibile lĠimpugnazione in parte qua (12), sia che si acceda a quella tesi per cui il capo di sentenza non impugnato deve aver definito una domanda nel merito (13), sia che si acceda a quellĠaltro indirizzo interpretativo per cui il capo di sentenza non impugnato pu˜ aver definito anche una mera questione pregiudiziale di rito ovvero una questione preliminare di merito (14). (6) Art. 34, comma 3, c.p.a. (7) Art. 30, comma 1, c.p.a. (8) Art. 30, comma 3, c.p.a. (9) Art. 30, comma 5, c.p.a. (10) LĠart. 324 c.p.c. stabilisce che: ÒSi intende passata in giudi