ANNO LXIV - N. 4 OTTOBRE - DICEMBRE 2012 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - 
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 
DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 
COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria 
Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Antonio Palatiello - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo 
Sica - Stefano Varone. 
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Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni 
- Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola 
Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 
HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Fiorenza Barazzoni, 
Federico Basilica, Stefano Bini, Alessandra Bruni, Alessandro De Stefano, Sergio Di Amato, 
Wally Ferrante, Paolo Francalacci, Cristina Gerardis, Livia Giuliani, Stefano Grassi, Palmira 
Graziano, Antonio Grumetto, Giulia Guccione, Ilia Massarelli, Lionello Orcali, Sibilla Ottoni, 
Vincenzo Rago, Diana Ranucci, Francesco Spada, Marco Stigliano Messuti, Barbara Tidore, 
Roberta Tortora. 
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INDICE - SOMMARIO 
TEMI ISTITUZIONALI 
Discorso di insediamento dell�Avvocato Generale dello Stato, avv. Michele 
Giuseppe Dipace - Sala Vanvitelli, 8 febbraio 2013 . . . . . . . . . . . . 
Intervento dell�Avvocato Generale dello Stato, avv. Michele Giuseppe Dipace, 
in occasione della cerimonia di inaugurazione dell�anno giudiziario 
2013 - Roma, Palazzo di Giustizia, Aula Magna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. Legge 31 dicembre 2012, 
n. 247 recante �Nuova disciplina dell�ordinamento della professione forense�, 
Circolare AGS prot. 89336 del 26 febbraio 2013, n. 6 . . . . . . . . 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 
1.- Le decisioni della Corte di giustizia dell�Unione europea 
Giuseppe Fiengo, Le regole europee in materia di appalti pubblici: 
nulla di nuovo dalla Corte (...?) (C. giustizia, Grande Sezione, sent. 
19 dicembre 2012, causa C-159/11) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Alessandro De Stefano, Il lavoro a tempo determinato e quello a tempo 
indeterminato sono la stessa cosa? (C. giustizia, Sesta Sez, sent. 18 
ottobre 2012, cause riunite da C-302/11 a C-305/11) . . . . . . . . . . . . . . 
2.- I giudizi in corso della Corte di giustizia Ue 
Stefano Varone, Libert� di stabilimento e libera prestazione dei servizi; 
Diritto di stabilimento; Libera circolazione dei servizi, Causa C-234/12 
Giuseppe Albenzio, Libera circolazione delle merci; Unione doganale; 
Fiscalit�; Imposta sul valore aggiunto, Causa C-273/12 . . . . . . . . . . 
Stefano Varone, Ravvicinamento delle legislazioni; Tutela dei consumatori, 
Causa C-281/12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marina Russo, Ravvicinamento delle legislazioni, Causa C-342/12. . . 
Barbara Tidore, Ravvicinamento delle legislazioni, Causa C-352/12 
Cristina Gerardis, Disposizioni sociali, Ravvicinamento delle legislazioni, 
Causa C-361/12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Massimo Santoro, Ravvicinamento delle legislazioni; Libert� di stabilimento 
e libera prestazione dei servizi; Libera circolazione dei servizi, 
Causa C-371/12. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Stefano Varone, Ravvicinamento delle legislazioni, Causa C-409/12 . 
Wally Ferrante, Libert� di stabilimento e libera prestazione dei servizi, 
Diritto di stabilimento, Libera circolazione dei servizi, Causa C-442/12 
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CONTENZIOSO NAZIONALE 
Lionello Orcali, Osservazioni sull�indennit� di occupazione, a seguito 
della sentenza 181/2011 della Corte Costituzionale . . . . . . . . . . . . . . . . 
Palmira Graziano, La normativa speciale sul reclutamento e sul trattamento 
economico del personale scolastico all�analisi della Cassazione. 
Dalla chiara enunciazione del divieto di conversione dei contratti a termine 
in contratti a tempo indeterminato al pericoloso obiter dictum sugli 
scatti biennali da riconoscersi nel periodo �lavorato� (Cass. civ., Sez. 
Lavoro, sent. 20 giugno 2012 n. 10127). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marina Russo, La regolarit� causale nel contenzioso emotrasfusionale 
(Cass. civ., Sez. Terza, sent. 31 gennaio 2013 n. 2520) . . . . . . . . . . . . . . 
Marina Russo, Sul termine breve di impugnazione nel caso di �notifica�, 
da parte del cancelliere, di ordinanza di correzione (C. Conti, Sez. Terza 
Giurisd. Centr. d�App., sent. 18 gennaio 2013 n. 43). . . . . . . . . . . . . . . . 
Sibilla Ottoni, Silenzio assenso ed ipotesi non regolate di nulla osta paesaggistico: 
l�interpretazione teleologica del Consiglio di Stato (Cons. St. 
Sez. VI, sent. 21 giugno 2011 n. 3723) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Roberta Tortora, Parametri europei (e nazionali) per l�identificazione di 
�una unit� istituzionale pubblica� (Cons. St., Sez. Sesta, sent. 28 novembre 
2012 n. 6014) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Vincenzo Rago, Rimborso spese legali a pubblico dipendente ex art. 18 
D.L. 67/1997. Nel caso di specie: imputazione di concussione per fatti 
che esulano da fini istituzionali e assoluzione con formula parzialmente 
liberatoria (Cons. St., Sez. Quarta, sent. 26 febbraio 2013 n. 1190) . . . 
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Ilia Massarelli, Recupero dei crediti alimentari ai sensi della Convenzione 
di New York del 20 giugno 1956. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Alessandra Bruni, Competenze dell�Agenzia del Demanio in materia di 
gestione dei beni confiscati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Antonio Grumetto, Materia doganale: natura della violazione prevista 
dall�art. 302 co. 1 del d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43 . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Gianni De Bellis, Pagamento del tributo in pendenza del processo: compatibilit� 
dell�art. 68 co. 2, D.Lgs. n. 546/92 al Codice Doganale Comunitario 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marco Stigliano Messuti, In materia di contributi pubblici alle imprese 
editoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Stefano Varone, Collegi arbitrali. Legge 6 novembre 2012 n. 190, art. 1 
co. 18: regime intertemporale sul divieto di partecipazione di magistrati 
e di avvocati/procuratori dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Diana Ranucci, Esecuzione all�estero delle sentenze emesse dalla Corte 
dei Conti. Convenzioni di Bruxelles del 27 settembre 1968. . . . . . . . . . . 
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LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Paolo Francalacci, �Ecosistemi�, �biodiversit�� e �servizi naturali�: definizioni 
e caratteristiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Francesco Spada, Le disposizioni in materia di �parit� di genere� negli 
organi di amministrazione e controllo delle societ� . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Stefano Grassi, Tutela e fruizione del patrimonio culturale . . . . . . . . . . 
Stefano Bini, Per un bilanciamento di valori tra persona e impresa. . . . 
Giulia Guccione, L�Astreinte amministrativa. Problematiche applicative 
dell�art. 114, comma 4, lettera e) c.p.a. e prime applicazioni giurisprudenziali 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Maria Vittoria Lumetti, Il procedimento cautelare davanti al Giudice amministrativo. 
I) La graduazione dell�urgenza, la prognosi sommaria e i 
casi di fumus qualificato nel codice processuale amministrativo. II) Il 
procedimento minicautelare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
RECENSIONI 
Federico Basilica, Fiorenza Barazzoni, Verso la Smart Regulation in Europa 
- Towards Smart Regulation in Europe, Ed. Maggioli, 2013. . . . . . 
Sergio Di Amato, La responsabilit� disciplinare dei magistrati. Gli illeciti 
- Le sanzioni - Il procedimento, Giuffr� Editore, 2013. Presentazione di 
Ernesto Lupo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Livia Giuliani, Autodifesa e difesa tecnica nei procedimenti de libertate, 
Pubblicazioni della Universit� di Pavia, Facolt� di Giurisprudenza, Studi 
nelle scienze giuridiche e sociali, CEDAM 2012. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
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TEMI ISTITUZIONALI 
Cerimonia di insediamento dell�Avvocato Generale dello Stato 
Discorso dell�Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Michele Giuseppe Dipace 
SOMMARIO: 1. Saluti e ringraziamenti 
2. Cenni storici e funzioni dell�Avvocatura dello Stato 
3. Margini di miglioramento 
4. Uno sguardo al futuro. Prospettive di riforma 
5. Conclusioni 
1. Saluti e ringraziamenti. 
Signor Presidente della Repubblica, 
a nome di tutta l'Avvocatura dello Stato, desidero esprimerLe i sensi della 
pi� viva gratitudine per aver voluto, con la Sua partecipazione, conferire particolare 
solennit� a questa cerimonia di insediamento. 
Ella si � sempre dimostrato attento e sensibile ai problemi del diritto e della 
difesa dello Stato e delle sue Istituzioni democratiche, nel corso della Sua prestigiosa 
esperienza di parlamentare, di uomo di Stato e di Presidente della Repubblica. 
Mi sia anche consentito rivolgere un sentito ringraziamento al Vice Presidente 
del Senato della Repubblica, al Vice Presidente della Camera dei Deputati, 
al Presidente della Corte Costituzionale, al Sottosegretario alla Presidenza del 
Consiglio dei Ministri, ai Presidenti emeriti della Corte Costituzionale, ai Ministri, 
ai Giudici costituzionali, al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, 
al Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, ai Sottosegretari 
di Stato e ai Presidenti delle commissioni parlamentari presenti in questa sala. 
Un ringraziamento ed un saluto particolarmente affettuoso ai Presidenti 
del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti e al Procuratore Generale della 
Corte di Cassazione, ai quali mi legano tanti ricordi della mia vita professionale 
oltre che una sincera amicizia.
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Un sentito grazie anche agli illustri rappresentanti delle Autorit� indipendenti 
ed al Capo di Stato Maggiore della Difesa. 
Un grato saluto a tutti i magistrati presenti, a tutte le altre Autorit� civili 
e militari, al Presidente del Consiglio Nazionale Forense ed a tutti i colleghi 
del libero foro, cui ci lega la comune esperienza forense, a tutti i colleghi dell'Avvocatura 
dello Stato con sentimenti di stima ed amicizia. 
Saluto, inoltre, le organizzazioni sindacali del personale togato e non togato 
e, con affetto, tutto il personale amministrativo dell�Avvocatura dello Stato. 
Un grato saluto, infine, a tutti coloro che hanno voluto, con la loro presenza, 
onorare questo Istituto. 
Un sentimento di sincera e particolare gratitudine, desidero esprimere al 
Governo per la fiducia accordatami con la nomina a questa carica e a Lei, signor 
Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per le lusinghiere 
parole che ha voluto rivolgere all�Istituto, ed a me personalmente, che 
costituiscono un riconoscimento del nostro impegno professionale ed uno stimolo 
per la nostra attivit� futura. 
Un omaggio di stima e di amicizia vorrei indirizzare agli Avvocati Generali 
che mi hanno preceduto nella carica, e che con saggezza e prestigio hanno 
in questi anni guidato l'Istituto: Luigi Mazzella, Oscar Fiumara e Ignazio Francesco 
Caramazza che da ultimo ha retto il nostro Istituto. 
L�insediamento dell�Avvocato Generale costituisce l�occasione per una 
relazione sull�attivit� dell�Avvocatura, sulla evoluzione dell�organizzazione e 
sopratutto su ci� che si ritiene necessario nel futuro per rendere il servizio legale 
sempre pi� efficiente e tempestivo a tutela dell�interesse pubblico. 
2. Cenni storici e funzioni dell�Avvocatura dello Stato. 
L�Avvocatura dello Stato � una delle pi� antiche istituzioni dello Stato unitario. 
La conformazione dell�Istituto ha la sua matrice storica nel sistema del 
granducato di Toscana, dove Leopoldo di Lorena aveva istituito l�avvocato 
regio per la rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio, che port� nel 1876 
alla costituzione della Regia avvocatura erariale sul modello dell�avvocato 
regio di Toscana. Essa trova i suoi antecedenti logici ed ideologici nella concezione 
illuministica dell'amministrazione pubblica, attenta ad un'ordinata e 
corretta gestione del settore finanziario nell�interesse degli stessi amministrati. 
La riforma consistette, in apparente semplicit�, nell�affidamento della 
rappresentanza e difesa tecnica e delle consultazioni legali ad un corpo di avvocati 
costituito ad hoc. 
Questa vocazione spiccatamente legalitaria e giustiziale fu mantenuta dall�Avvocatura 
dello Stato anche quando si trov� ad esercitare i propri compiti 
negli anni difficili in cui lo spirito autoritario dei tempi tendeva a privilegiare 
gli interessi contingenti dello Stato-apparato. 
L�Istituto trova, tuttora, la sua disciplina essenziale nel R.D. n. 1611 del
TEMI ISTITUZIONALI 3 
1933, cui la legge n. 103 del 1979 ha apportato modifiche, introducendo importanti 
garanzie nella gestione dell'Istituto, nonch� la disciplina della possibile 
estensione delle funzioni alle regioni a statuto ordinario. 
Sotto il profilo organizzativo, la riforma del 1979 ha opportunamente accentuato 
l'affrancamento da riflessi burocratici della composita figura dell'avvocato 
dello Stato, che non � pi� ordinata in un complesso gerarchico di 
qualifiche, ma unitariamente concepita in ragione dell'identit� della funzione. 
Le due fondamentali funzioni dell�Avvocatura dello Stato sono la rappresentanza 
e difesa in giudizio e l�attivit� consultiva. 
L'attivit� dell'Avvocatura dello Stato si svolge senza possibilit� di fratture 
tra funzione contenziosa e funzione consultiva. 
L'una e l'altra devono concorrere a garantire la tutela degli interessi di 
cui sono portatori gli organi della pubblica amministrazione nel rispetto della 
ragione, immanente e primaria, della giustizia. 
Gli avvocati dello Stato esercitano la funzione difensiva di fronte �a tutte le 
giurisdizioni�: quelle nazionali, sia esse ordinarie (dalla Corte Costituzionale ai 
Giudici di pace) che amministrative, quelle comunitarie (quali la Corte di Giustizia 
e il Tribunale dell�Unione Europea) e quelle internazionali (quali la Corte di 
Giustizia internazionale dell�Aja e spesso la Corte Europea dei Diritti dell�Uomo). 
Il patrocinio dell�Avvocatura si articola nelle forme del patrocinio obbligatorio 
e autorizzato. 
Il primo � assicurato a tutte le amministrazioni statali che se ne devono obbligatoriamente 
avvalere ed � connotato da un particolare regime processuale. 
Quanto al patrocinio autorizzato, per gli organismi pubblici tra cui anche 
le autorit� indipendenti, la giurisprudenza ha ormai chiarito che la natura autorizzata 
dello stesso non ne muta il carattere organico ed esclusivo. 
Quanto, invece, alla funzione consultiva, va evidenziato che essa caratterizza 
il ruolo professionale dell�Avvocato dello Stato che �, appunto, quello 
di essere vicino alle amministrazioni patrocinate, consigliandole sotto l�aspetto 
legale nella loro attivit� amministrativa con una valutazione delle questioni 
neutra e imparziale, tenendo sempre presente la tutela dell�interesse pubblico 
generale cui deve armonizzarsi l�interesse pubblico di competenza delle singole 
amministrazioni da esercitarsi nel rispetto del principio di legalit� e di 
economicit� dell�azione amministrativa. 
Proprio in tale ottica sono state costituite presso l�Avvocatura Generale le 
sezioni (per materia e per amministrazioni), che rendono efficace e continuo il 
rapporto tra la dirigenza dei ministeri ed enti patrocinati e l�Avvocatura dello Stato. 
La funzione consultiva rimane, comunque, estranea al concreto esercizio 
del potere pubblico. E non � per caso che questa si sia andata estendendo dall�originario 
ambito dell�apparato amministrativo statale e di numerosi enti pubblici 
fino agli organi costituzionali e ad organismi internazionali e sovranazionali. 
La funzione consultiva - che ha carattere di �generalit�� - rende evidente
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
che l�Avvocatura dello Stato non svolge solo un�attivit� di assistenza legale per 
le controversie in atto, ma assolve un insostituibile ruolo di prevenzione delle 
liti potenziali, che ha particolare importanza di fronte alle pressanti esigenze 
di contenimento della spesa pubblica e dei costi delle Amministrazioni statali. 
L�attivit� consultiva �, dunque, espressione di una funzione pubblica che 
pu� riguardare ogni tipo di rapporto: dall�ammissibilit� di un referendum popolare 
alla conflittualit� tra Stato e Regioni, tra Regioni e tra poteri dello Stato; 
dalla conformit� delle leggi alla Costituzione ai limiti di attribuzione dei soggetti 
istituzionali pubblici statali e non statali; dalla legittimit� dell�azione amministrativa 
nei settori pi� disparati all�opportunit� delle scelte discrezionali 
spesso in delicate materie che coinvolgono ingenti risorse finanziarie (come 
nel caso degli appalti pubblici) e talvolta la stessa immagine dello Stato, come 
accade nel contenzioso internazionale e comunitario. 
Il connotato peculiare dell'Istituto, che non tutela soltanto l'interesse di 
una singola amministrazione, bens� - direttamente o indirettamente - l'interesse 
generale dello Stato nella sua unitariet�, spiega la sua posizione di autonomia 
e indipendenza funzionale di fronte ad ogni singola amministrazione, cui si 
correla l�elevata qualificazione professionale degli avvocati e procuratori dello 
Stato, assicurata da rigorosi criteri di selezione e di accesso. 
Sono queste le funzioni e l�organizzazione interna come delineate dalla 
legislazione del 1933, con i ritocchi operati dalla riforma del 1979, che hanno 
consentito all�Istituto di adeguarsi, con tempestivit� ed efficacia, alla profonda 
evoluzione che ha interessato l�ordinamento. 
L�Istituto, infatti, ha saputo attraversare mutamenti ed evoluzioni, che 
hanno via via consegnato all�Avvocato dello Stato un ruolo sempre pi� complesso 
e composito. 
A livello sopranazionale, vanno ricordati il processo di integrazione europea 
ed il consolidamento di nuovi settori di contenzioso avanti la Corte di 
Giustizia ed il Tribunale dell�Unione Europea, nonch� la Corte Europea dei 
Diritti dell'Uomo. 
A livello nazionale, va ricordata la riforma costituzionale che ha portato 
alla modifica del titolo V della parte II della Costituzione, definendo un nuovo 
riparto di poteri tra Stato e Regioni, e che, capovolgendo il precedente sistema, 
lascia allo Stato i poteri per esso specificamente previsti e devolve alle Regioni 
ogni competenza nelle materie non espressamente considerate. 
Non poche sono state poi le innovazioni successive che hanno inciso 
sull�attivit� dell'Avvocatura dello Stato. 
Innanzitutto, va segnalato il profondo cambiamento dell�organizzazione 
dell�esecutivo e in particolare: 
a) la creazione di autorit� indipendenti e/o di garanzia in una prospettiva 
di effettivit� di affermazione e di tutela di determinati valori costituzionali e 
di nuovi diritti sociali o di cittadinanza;
TEMI ISTITUZIONALI 5 
b) il mutamento del modello organizzativo delle funzioni statali che ha 
portato alla creazione del sistema delle agenzie ed alla trasformazione di enti 
o aziende pubbliche in societ� per azioni, con progressiva destatalizzazione 
di funzioni o, a seconda dei casi, all�esercizio da parte dei nuovi soggetti di 
funzioni di cui rimane titolare lo Stato. 
Del pari significativa � l�evoluzione del diritto amministrativo, sia sostanziale 
che processuale, che ha avuto il suo recente epilogo con l�adozione 
del Codice del processo amministrativo. 
Il riferimento obbligato � alle riforme, che hanno modificato il volto della 
Pubblica Amministrazione per renderla pi� veloce e pi� vicina ai bisogni dei 
cittadini, con l�introduzione di forme pi� celeri, aperte e partecipate di esercizio 
dell�azione amministrativa e una pi� estesa tutela giustiziale, precipitato 
logico di un controllo sempre pi� stringente sui pubblici poteri. 
Si pensi a: 
a) il notevole ampliamento della sfera di giurisdizione esclusiva che ha 
trasformato il giudice amministrativo in giudice dell'amministrazione in materia 
economica; 
b) l�estensione e, potremmo dire, il vero e proprio mutamento dei poteri 
del giudice amministrativo, con l'introduzione di una vasta gamma di azioni 
esperibili contro la Pubblica Amministrazione (da quella di accertamento fino 
a quella di adempimento); l�introduzione del procedimento cautelare atipico; 
l'attribuzione di pi� ampi poteri istruttori, oltre che dello strumento della tutela 
risarcitoria, nonch� - in definitiva - la tendenziale evoluzione del processo amministrativo 
verso un giudizio sempre pi� penetrante sul rapporto e non pi� 
solo sull�atto amministrativo. 
In quest�ottica � del tutto evidente che l�Avvocatura dello Stato � chiamata 
a svolgere un ruolo di sempre maggiore �presenza�, nella tutela dell�interesse 
pubblico e del corretto esercizio dell�azione amministrativa. Ci�, sia nella fase 
precontenziosa, dove assiste l�Amministrazione nella ricerca della migliore 
soluzione di contemperamento e soddisfazione degli interessi; sia nella fase 
contenziosa, ove � chiamata a rappresentare e difendere a tutto campo la posizione 
dell�Amministrazione, anche con poteri �integrativi� della motivazione 
del provvedimento anche nell�ambito del giudizio. 
Ugualmente hanno inciso sull�attivit� dell�Avvocatura le profonde revisioni 
della giustizia civile. 
In particolare, la radicale modifica del sistema processuale civile con: 
a) la riforma del giudizio per Cassazione (che ne costituisce il culmine), 
suscettibile di determinare, nella pratica, una selezione di avvocati cassazionisti 
per il rigore della tecnica richiesta; 
b) il rigoroso regime generalizzato delle decadenze nel giudizio di merito 
e l�esecutivit� delle sentenze di primo grado, che aumentano le difficolt� e la 
complessit� della difesa delle Amministrazioni in relazione ai tempi tecnici
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
delle relazioni tra Avvocatura ed Amministrazioni assistite; 
c) la stabilit� dei provvedimenti cautelari e d'urgenza che impone assoluta 
tempestivit� e snellezza operativa nella trattazione dei rispettivi procedimenti; 
d) l�estensione delle posizioni giuridiche sostanziali tutelabili della quale 
� espressione la previsione delle garanzie riparatorie correlate al novellato art. 
111 Cost.. 
e) la recente introduzione di riti speciali a definizione immediata, che impone 
- a pena di preclusione - l�elaborazione, in tempi rapidi, di una difesa 
completa, anche dal punto di vista della produzione documentale. 
La delineata evoluzione dell�ordinamento - in sintonia con la sempre 
maggiore complessit� dei problemi e delle soluzioni che coinvolgono lo Stato 
nell�ambito delle sue competenze - comporta, di riflesso, che all�Avvocatura 
dello Stato vengano attribuite funzioni sempre pi� composite, cui l�Istituto fa 
quotidianamente fronte. 
3. Margini di miglioramento. 
Queste trasformazioni hanno prodotto una notevole crescita del contenzioso 
ed un maggiore aggravio della funzione consultiva e questa considerazione 
apre il campo alla riflessione sui margini di miglioramento dell�Istituto. 
Una prima constatazione � quella dell�inadeguatezza numerica del ruolo 
degli avvocati e procuratori dello Stato per la perdurante sproporzione fra 
quantit� degli affari e risorse disponibili. 
Se nel 1976, quando l�Avvocatura dello Stato ha compiuto cento anni della 
sua prestigiosa storia, gli affari nuovi erano circa 41.000, nel 2012 sono stati 
ben 155.000, con una media negli ultimi dieci anni di circa 175.000 affari. 
Ebbene, a fronte di tale smisurata crescita, il ruolo degli avvocati e procuratori 
dello Stato, che nel 1976 constava di complessive 276 unit�, oggi 
comprende solo 370 unit� di cui soltanto 334 in servizio. 
A ci� deve aggiungersi che il ricambio nel ruolo degli avvocati e procuratori 
� da qualche anno assoggettato a vincoli normativi che impongono l�autorizzazione 
preventiva a bandire i concorsi e l�autorizzazione ad assumere 
vincitori ed idonei dei concorsi stessi entro determinati limiti di legge. 
Per effetto dei vigenti limiti si sar� ben lontani dalla completa copertura 
dell�organico. 
All�inadeguatezza dei ruoli del personale togato si accompagna anche 
quella del personale amministrativo. 
Gli impiegati amministrativi, che erano 951 nel 1986, sono, infatti, oggi 
soltanto 878, pur a fronte della mole di lavoro enormemente cresciuta. 
Alla carenza di personale amministrativo va aggiunto che non si sono pi� 
potuti assumere impiegati amministrativi per concorso pubblico sin dallo 
stesso anno 1986, per le limitazioni al turn over che si sono susseguite nel 
tempo e l�imposizione del preventivo esperimento della mobilit� per coprire
TEMI ISTITUZIONALI 7 
i posti disponibili. Il che ha comportato che il personale assunto per concorso 
rappresenta oggi meno della met� della forza lavoro non togata, perch� i ricambi 
dei pensionamenti sono di necessit� avvenuti mediante comandi, distacchi 
o mobilit�, e cio� attraverso strumenti che, pur rivelatisi in concreto 
preziosissimi, non possono in astratto essere considerati quelli meglio rispondenti 
alla peculiarit� delle complesse funzioni di assistenza agli avvocati e 
procuratori, che richiede una selezione ed una formazione professionale appositamente 
mirate. 
Dall�assenza di nuovi concorsi �, inoltre, derivato un progressivo invecchiamento 
del personale amministrativo, oggi di media intorno ai 53 anni, per 
l�assenza del naturale ricambio generazionale, che pur sarebbe indispensabile 
per garantire al meglio efficiente supporto ad un�attivit� professionale, qual � 
quella difensiva, connotata per sua natura da dinamismo e versatilit�. 
Tra le amministrazioni dello Stato, l�Avvocatura �, poi, l�unica a non disporre 
di un ruolo dirigenziale amministrativo, tantՏ che le funzioni dirigenziali 
sono assolte, in aggiunta a quella professionale, dagli avvocati dello Stato 
che ricoprono gli incarichi di Segretario generale ed Avvocato distrettuale. 
L�assenza del ruolo dirigenziale � del tutto anacronistica alla luce dell�affermarsi 
nell�ordinamento dei principi gestionali a cui le amministrazioni devono 
ispirare il proprio operato, nonch� delle nuove responsabilit� che le norme attribuiscono 
ai dirigenti sotto diversi profili e, in particolare, con riguardo al 
conseguimento dei risultati e alla valutazione della performance del personale, 
alle quali, peraltro, anche l�Avvocatura dello Stato - nei limiti individuati in 
sede consultiva dal Consiglio di Stato - scrupolosamente intende attenersi. 
�, allora, evidente che questa esigenza di adeguamento dei ruoli all�attuale 
carico di lavoro si � fatta oggi ancora pi� pressante, se non inevitabile, al cospetto 
di un carico complessivo di affari pendenti, tra vecchi e nuovi, che si attesta in 
circa 1.200.000, a causa anche della notoria eccessiva durata dei processi. 
Il numero dei nuovi affari trattati dall�Avvocatura dello Stato pari a livello 
nazionale - come si � detto - ad oltre 150.000 nell�anno 2012, che si aggiungono 
alle diverse centinaia di migliaia di affari degli anni scorsi ancora pendenti, 
implica una mole di lavoro imponente per ogni avvocato con una media 
di ben 488 nuovi affari annui pro capite. 
Ebbene, pur a fronte di questa significativa carenza di organico posso, 
tuttavia, affermare - con una punta di orgoglio - che i risultati dell�attivit� 
svolta dall�Avvocatura dello Stato sono altamente positivi. 
Lo spettro delle materie trattate � molto vario e non pu� in questa sede 
essere esaustivamente rappresentato. 
Sul piano sovranazionale, mi limito a ricordare, fra i 346 affari trattati nel 
2012 dinanzi ai giudici comunitari, solo alcune delle cause pi� rilevanti. Nel 
delicato settore della tutela del multilinguismo dell'Unione Europea, la Corte 
di Giustizia, nel mese di novembre del 2012, ha accolto il ricorso proposto
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
dall'Avvocatura dello Stato per evitare, come discriminazione, l�imposizione 
di un regime linguistico (inglese, francese, tedesco) nei concorsi di ammissione 
alle carriere dell'Unione europea e dinanzi alla CEDU (Corte europea dei diritti 
dell�Uomo) la controversa questione dell�esposizione del crocifisso nelle aule 
scolastiche. 
In merito all�impegnativa, ma nello stesso tempo particolarmente stimolante, 
attivit� defensionale svolta dall�Avvocatura davanti alla Corte di Giustizia 
dell�Unione Europea, devo ricordare, che la recentissima legge 24 
dicembre 2012, n. 234 ha previsto, all�art. 42, comma 3, che �Il Presidente 
del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei e il Ministro degli 
affari esteri nominano, quale agente del Governo italiano previsto dall'articolo 
19 dello Statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea, un avvocato 
dello Stato, sentito l'Avvocato generale dello Stato�. Si tratta del coronamento 
di una lunga esperienza professionale che ha visto impegnate generazioni di 
avvocati dello Stato nella tutela degli interessi nazionali in sede comunitaria. 
A livello nazionale, sono stati trattati 624 giudizi in Corte Costituzionale 
nel 2012. Tra questi ricordo solo le impugnazioni delle Regioni di numerose 
norme della legge di stabilit� del 2010, d.l. n. 78/2010 conv. in L. 112/2010; la 
questione incidentale di costituzionalit� avente ad oggetto la fecondazione assistita 
eterologa, e di recente il conflitto di attribuzione proposto nell�interesse 
del Presidente della Repubblica nei confronti della procura della Repubblica 
presso il Tribunale di Palermo ed accolto dalla Corte con la sentenza n. 1/2013. 
Quanto all�attivit� consultiva svolta al di fuori della tradizionale consulenza 
di tipo giudiziario, limitandomi alle fattispecie pi� recenti, ricordo come 
l�Avvocatura dello Stato abbia fornito il proprio avviso su alcune questioni 
che hanno avuto anche notevole risonanza mediatica: la predisposizione del 
decreto-legge c.d. �salva ILVA�, ora contestato dinanzi alla Corte Costituzionale, 
l�assetto dei rapporti contrattuali aventi ad oggetto la realizzazione del 
Ponte sullo Stretto di Messina, la tempistica dell�indizione delle elezioni per 
il rinnovo degli organi nella Regione Lazio. 
Quanto ai processi penali nei quali l�Avvocatura dello Stato risulta, a vario 
titolo, coinvolta, vanno segnalati i procedimenti penali aventi ad oggetto l�incidente 
ferroviario di Viareggio, il disastro della nave da crociera Concordia, 
ed il recente processo per l�attentato all�Istituto Falcone-Morvillo di Brindisi 
nonch� il processo sulla c.d. �trattativa Stato-mafia�, nei quali lo Stato si � costituito 
parte civile. 
Dinanzi alla Corte Suprema, il contenzioso dello Stato ha rappresentato 
oltre un terzo di tutto quello all�esame della Suprema Corte e, di questo terzo, 
circa il 90% (9.606 affari) � costituito dal contenzioso tributario. 
Dalle statistiche del 2012, si conferma l�elevata entit� del contenzioso di pertinenza 
dell�Agenzia delle Entrate, con circa 6.000 richieste di ricorso per cassazione 
formulate all�Avvocatura dello Stato di cui sono stati proposti circa 3.500 ricorsi.
TEMI ISTITUZIONALI 9 
L�esito dei giudizi suddetti si conferma sicuramente favorevole all�Erario. 
Gli ultimi dati disponibili indicano una percentuale di vittoria di oltre il 70%, 
che si avvicina all�80% se si considera il valore economico delle controversie. 
Ci� significa che, su un valore annuo di 1,7 miliardi di euro contestato, il 
valore delle cause con esito favorevole all�amministrazione tributaria � pari a 
1,3 miliardi di euro. 
In generale e con riferimento all�intero contenzioso, depurato solo dei 
dati relativi alle controversie in materia di c.d. �legge Pinto�, le cause vinte 
sono pressoch� i due terzi del totale. 
A fronte di questo impegno e - mi sia consentito - di apprezzabili risultati, 
il costo che lo Stato sopporta per l�esistenza e la gestione dell�Avvocatura � 
di circa 160 milioni di euro annui, comprensivi di ogni voce, ivi compresi i 
redditi figurativi degli immobili utilizzati e gli onorari riscossi nelle cause 
vinte. Ogni causa - quale che sia la sua durata ed il numero di gradi di giudizio 
- costa allo Stato, secondo quanto accertato in un approfondito studio della 
Scuola superiore della pubblica Amministrazione, in media negli ultimi anni 
meno di 900 euro. 
Un ultimo cenno merita il contributo dato dall�Avvocatura dello Stato 
alla realizzazione del c.d. processo telematico che � pienamente operativo per 
il processo comunitario. Lo sviluppo delle nuove tecnologie costituisce un elemento 
di modernizzazione della Pubblica Amministrazione e una leva fondamentale 
per la riduzione dei tempi della giustizia. 
L�Avvocatura dello Stato non far� mancare il suo contributo nella realizzazione 
di tali obiettivi, pur nella descritta carenza di risorse umane e materiali, 
dalla straordinaria dedizione e professionalit� di tutto il personale dell�Avvocatura, 
togato e amministrativo, al quale va il mio pi� vivo ringraziamento. 
4. Uno sguardo al futuro. Prospettive di riforma. 
� opinione unanime che la riforma della giustizia nel senso di renderla pi� efficiente 
e tempestiva rappresenta uno dei fattori di crescita della nostra economia. 
La riforma della giustizia ha bisogno di investimenti nel campo delle risorse 
umane e materiali. 
Investire sull�Avvocatura dello Stato, che del sistema giustizia � parte integrante, 
comporterebbe che i risultati prima indicati potrebbero certamente migliorare 
e tale miglioramento, in termini di risparmio di spesa pubblica, ripagherebbe 
in misura esponenziale il costo dell�investimento che, considerate le dimensioni 
globali dell�Istituto e le sue caratteristiche, sarebbe comunque contenuto. 
Sarebbe necessario: 
a) un adeguato, anche se contenuto, aumento dell�organico togato; 
b) un deciso aumento del personale amministrativo anche attraverso procedure 
di mobilit� selettive di personale proveniente da altre amministrazioni 
e senza oneri a carico del bilancio statale.
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
La richiesta di tali misure � giustificata anche nell�attuale contesto in cui 
la situazione economica del Paese rende doverose politiche di contenimento 
della spesa pubblica. 
� evidente, infatti, che l�Avvocatura dello Stato per le funzioni dalla stessa 
svolte, non pu� essere considerata e trattata, quanto al blocco del turn over e 
ai tagli di spesa, alla stregua delle amministrazioni di gestione, ma deve essere 
posta in condizioni di poter svolgere i propri compiti con efficienza, e sopratutto 
con serenit� dato il carico di lavoro prima indicato. 
Va detto che la misura di un adeguato aumento dell�organico, assolutamente 
necessaria per le ragioni sin qui rappresentate, consentirebbe di raggiungere 
indirettamente un altro importante risultato interno: quello di 
risolvere il problema dei procuratori idonei alla promozione ad avvocato che 
non possono assumere quest�ultima qualifica per la carenza del posto in ruolo. 
Va tenuto presente che un investimento sull�Avvocatura dello Stato � reso 
necessario anche dal nuovo contesto ordinamentale, prima richiamato, nel 
quale lo Stato � chiamato sempre pi� spesso a rispondere delle proprie azioni 
in sede sovranazionale. 
La richiamata disposizione, che prevede la nomina quale agente del Governo 
italiano di un avvocato dello Stato, costituisce un�ulteriore conferma di 
quella linea di tendenza, ricordata dai miei predecessori nelle loro relazioni, 
che vede l�Avvocatura dello Stato svolgere il proprio mandato, in via ordinaria, 
a livello europeo. 
In questa prospettiva � auspicabile che il disegno possa arricchirsi con 
l�attribuzione di analoghe funzioni all�avvocato dello Stato di Agente di Governo 
davanti alla Corte europea dei diritti dell�Uomo, attesa la rilevanza delle 
questioni trattate e i riflessi immediati sull�ordinamento interno. 
A livello sovranazionale, recenti esperienze hanno impegnato l�Istituto 
avanti a Corti ed Organismi internazionali (si pensi al caso Mar� e a quello 
del recupero dei beni culturali trafugati illecitamente all�estero). 
Per altro verso, abbiamo ben presente il naturale incremento e la sempre 
pi� incisiva operativit� di ordinamenti di settore a livello globale (es. OMC, 
OIL, Tribunale internazionale del diritto del mare) spesso dotati anche di poteri 
giurisdizionali, volti non solo a regolare specifiche attivit� economiche ma 
anche a condizionare l�esercizio di pubbliche funzioni. 
Sono contesti in cui il Paese � sempre pi� spesso chiamato a rappresentare 
le proprie esigenze e che richiedono che competenze settoriali, squisitamente 
tecniche, siano integrate da adeguato sostegno giuridico. 
Il rilievo che ha assunto la dimensione sovranazionale impone di darvi 
tempestiva risposta innanzitutto sul piano dell�organizzazione interna dell�Istituto 
mediante la creazione di una sezione dell�Avvocatura Generale e, in ogni 
caso, la costituzione di un nucleo di avvocati dello Stato, per il contenzioso 
sovranazionale ed internazionale.
TEMI ISTITUZIONALI 11 
Un investimento sull�Avvocatura dello Stato � reso necessario dal nuovo 
contesto ordinamentale anche sul piano interno nel quale lo Stato deve esercitare, 
nel caso di inerzia degli organi regionali e locali, funzioni sostitutive e 
deve comunque mantenere una funzione di controllo sull�effettivo rispetto da 
parte di tutti gli enti pubblici dei margini di autonomia fissati dalla legge. 
In tale situazione l�Avvocatura dello Stato deve certamente mantenere la 
propria funzione di assistenza, supporto e difesa in giudizio degli organi statali 
presenti sul territorio chiamati ad esercitare funzioni sostitutive di organi regionali 
e locali inadempienti. 
Il mutato contesto ordinamentale impone, ormai, un�approfondita riflessione 
in ordine all�attribuzione all�Avvocatura dello Stato del patrocinio degli 
organi straordinari, come strumento messo a disposizione dallo Stato a titolo 
di misura complementare e strumentale al ripristino della legalit� (es. patrocinio 
dell�Agenzia nazionale per l�amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati 
e confiscati alla criminalit� organizzata e degli amministratori di tali beni). 
Un maggior contributo potrebbe dare l�Avvocatura dello Stato anche sul 
piano della lotta all�evasione fiscale attraverso l�ampliamento mirato della difesa 
nelle controversie in materia tributaria, nonch� degli interessi erariali in 
sede penale. 
Per alcuni tributi, particolarmente �sensibili� o al di sopra di certe soglie 
di valore, un intervento normativo potrebbe reintrodurre il patrocinio obbligatorio 
dell�Avvocatura dello Stato anche nelle fasi di merito del giudizio tributario, 
fasi le cui concrete modalit� di svolgimento sono spesso determinanti 
sull�esito finale della lite. 
Inoltre, in materie sensibili nelle quali occorre una visione unitaria - es. 
ambiente, servizio idrico integrato, grandi opere - l'Avvocatura dello Stato potrebbe 
svolgere un ruolo di coordinamento e di consulenza giuridica. 
Allo scopo di potenziare l'efficacia della fase consultiva, si potrebbe istituzionalizzare 
un rapporto Avvocatura-Amministrazione nella fase antecedente 
all'adozione degli atti amministrativi, al fine di ridurre al minimo i vizi di attivit� 
e il conseguente contenzioso. Prassi di tal genere sono gi� operative nella 
sede Generale (per esempio, nei rapporti con il Ministero dell'Interno) e in 
molte Sedi distrettuali (con le Prefetture nonch� con strutture commissariali 
statali operanti sul territorio). 
In questa prospettiva, ho recentemente istituito l�Osservatorio giuridico-legislativo 
con il compito di monitorare le iniziative legislative ovvero regolamentari 
relative ai settori del diritto di interesse dell�Istituto e di segnalare 
all�Avvocato Generale le eventuali criticit�; si intende, in sostanza, fornire al Governo 
gli elementi necessari per formulare, anche nel corso dell�iter parlamentare 
di approvazione dei nuovi disegni di legge, elementi di valutazione sugli effetti 
che le nuove norme potrebbero avere sull�andamento del contenzioso. 
�, infatti, generalmente riconosciuta, sia in ambito internazionale che na-
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
zionale, l�importanza delle politiche di semplificazione al fine di migliorare 
l�efficienza e l�economicit� della pubblica amministrazione, sostenere la competitivit� 
del Paese ed alleggerire gli oneri per cittadini ed imprese. Attraverso 
l�Osservatorio Legislativo, l�Avvocatura dello Stato potr� svolgere un ruolo 
attivo nel processo di riforma della regolazione, fornendo un fattivo supporto 
al Governo nella fase di utilizzo degli strumenti della consultazione degli interessati 
e dell�analisi di impatto della regolamentazione. 
Nel contempo, il predetto Ufficio dovrebbe acquisire presso tutte le sedi 
il materiale necessario per la predisposizione di una relazione annuale di chiaro 
valore scientifico sull�andamento del contenzioso, al fine di riattivare l�istituto 
gi� normativamente previsto della relazione annuale al Presidente del Consiglio 
dei Ministri che deve diventare lo strumento per lo stabile esercizio della 
funzione di proporre norme con funzione deflattiva del contenzioso. 
5. Conclusioni. 
Prima di concludere, mi preme evidenziare che il principale obiettivo che 
mi sono proposto, nello svolgimento della funzione di Avvocato Generale, � 
quello di rendere pi� efficiente, efficace e di qualit� il servizio contenzioso e 
consultivo che l�Avvocatura dello Stato svolge per gli Organi costituzionali, 
le amministrazioni statali e per gli altri organismi pubblici patrocinati, senza 
perdere di vista la natura legalitaria insita nella figura dell�avvocato dello 
Stato, confermando il prestigio che l�Istituto ha sempre avuto. 
Desidero, infine, rivolgere un pensiero affettuoso ed un saluto cordiale a tutti 
i colleghi che operano nel nostro Istituto ed in particolare ai giovani che hanno 
intrapreso la nostra professione e che rappresentano il futuro dell�Avvocatura. 
Un caldo saluto desidero anche rivolgere al personale amministrativo dell'Avvocatura, 
del quale, nell'esercizio della mia attivit� professionale, ho avuto 
modo di apprezzare le qualit� professionali e lo spirito di dedizione. 
Grazie Signor Presidente della Repubblica, grazie Signor Sottosegretario 
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri della disponibilit� e della fiducia accordatami 
e grazie a tutte le Autorit� e a tutti i presenti per la cortese attenzione. 
Roma, li 8 febbraio 2013 
Ex Convento di Sant�Agostino, 
Sala Vanvitelli
TEMI ISTITUZIONALI 13 
Cerimonia di inaugurazione dell�Anno Giudiziario 2013 
Intervento dell�Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Michele Giuseppe Dipace 
Signor Presidente della Repubblica, Autorit�, Signor Presidente della 
Corte di Cassazione, Signore e Signori 
Prendo, con grande piacere, la parola in questa solenne Cerimonia di inaugurazione 
per dare conto delle attivit� svolte nel 2012 dall�Istituto che ho 
l�onore di dirigere dal mese di ottobre dell�anno appena trascorso. 
La ristrettezza del tempo a disposizione mi impone di procedere, come si 
suole dire, per flash facendo, peraltro, grande utilizzo dei dati statistici, sempre 
particolarmente significativi quando si parla del carico di lavoro dell�Avvocatura 
dello Stato. 
I nuovi affari trattati nell�anno 2012 dall�Avvocatura dello Stato ammontano, 
a livello nazionale, ad oltre 150.000 che si aggiungono alle diverse centinaia 
di migliaia di affari degli anni scorsi ancora pendenti. Si tratta di una 
mole di lavoro imponente che grava su un organico complessivo di 370 unit� 
togate solo in parte coperto (sono oggi in servizio soltanto 332 unit� tra Avvocati 
e Procuratori dello Stato), con una media di ben 488 nuovi affari annui 
pro capite (nel complesso, ogni Avvocato e Procuratore dello Stato ha mediamente 
in carico ben 4.000 affari). 
Un terzo del lavoro grava, peraltro, sull�Avvocatura Generale che ha contato 
nel 2012 ben 48.000 affari. 
1 - Lo spettro delle materie trattate � molto vario. L�Avvocatura rappresenta 
e difende, infatti, lo Stato nelle sue principali articolazioni dinanzi a tutti 
gli organi giudiziari sopranazionali e nazionali (*). 
1.1 - Sul piano sovranazionale ricordo, fra i 346 affari trattati dinanzi ai 
giudici comunitari, le cause concernenti il blocco dei beni dei soggetti sospettati 
di collegamenti con reti terroristiche internazionali, il ricorso promosso 
contro la decisione di taluni Stati dell'Unione Europea di costituire una cooperazione 
rafforzata in materia di brevetti industriali e di imporre, tra l'altro, 
(*) Legenda: 
Il punto 1.1 - relaziona sulle cause comunitarie 
Il punto 1.1.1 - sulle cause in Corte costituzionale 
Il punto 1.1.2 - sulle rilevanti cause civili e penali 
Il punto 1.1.3 - sui contenziosi dinanzi al Giudice ammnistrativo 
Il punto 1.1.4 - sugli affari consultivi 
Il punto 2. - sui giudizi dinanzi alla Suprema Corte di cassazione.
14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
il regime linguistico (inglese, francese, tedesco) di tali brevetti. Sempre nel 
delicato settore della tutela del multilinguismo dell'Unione Europea, la Corte 
di Giustizia, nel mese di novembre del 2012, ha accolto il ricorso proposto 
dall'Avvocatura dello Stato per far affermare che imporre il regime linguistico 
(inglese, francese, tedesco) nei concorsi di ammissione alle carriere dell'Unione 
europea costituisce una discriminazione vietata dai trattati e dalla 
Carta europea dei diritti fondamentali. Di rilievo � stata, poi, la causa concernente 
il divieto generale di immissione in commercio di organismi geneticamente 
modificati, nell'ambito della quale la Corte di giustizia ha precisato i 
presupposti e le modalit� procedurali attraverso le quali � possibile attuare in 
un dato Stato membro il principio di precauzione. 
L�attivit� defensionale svolta dall�Avvocatura davanti alla Corte di Giustizia 
delle Comunit� europee ha ricevuto, di recente, un tangibile riconoscimento 
con la disposizione contenuta all�art. 42, comma 3, della legge 24 
dicembre 2012, n. 234 con la quale � stato previsto che agente del Governo 
italiano ai sensi dell'articolo 19 dello Statuto della Corte di giustizia dell'Unione 
europea debba essere un avvocato dello Stato. 
Non minore � stato il rilievo delle questioni trattate dall�Avvocatura davanti 
alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Nel 2012, l'Avvocatura dello 
Stato ha rappresentato il governo italiano, tra l'altro, nel ricorso, poi accolto, 
concernente la controversa questione dell'esposizione del crocifisso nelle aule 
scolastiche; degna di nota � anche la trattazione del ricorso concernente il regime 
di assegnazione delle frequenze radiotelevisive e la compatibilit� di esso 
con il diritto alla libera manifestazione del pensiero. Altra questione di grande 
peso, trattata in sede di CEDU nel 2012, � stata quella vertente sulla compatibilit� 
con il diritto di asilo degli accordi con gli Stati costieri del Mediterraneo 
in materia di respingimento alla frontiera dei migranti imbarcati illegalmente 
in tali Stati e diretti verso l'Italia. 
1.1.1 - A livello nazionale, degni di particolare menzione, fra i 624 giudizi 
trattati in Corte Costituzionale, sono i ricorsi delle Regioni di impugnazione 
della legge di stabilit� del 2010 (d.l. n. 78/2010 conv. in L. 112/10), la questione 
incidentale di costituzionalit� avente ad oggetto la fecondazione assistita 
eterologa; a questo ultimo proposito, la Corte Costituzionale, con l�ordinanza 
n. 150/12, ha, come noto, restituito gli atti ai giudici a quibus �alla luce della 
sopravvenuta sentenza della Grande Camera del 3 novembre 2011, S.H. e altri 
c. Austria, � affinch� i rimettenti procedano ad un rinnovato esame dei termini 
delle questioni�, confermando la validit� delle tesi sostenute nell�atto di 
intervento e nella memoria dell�Avvocatura a proposito della valenza nel nostro 
ordinamento delle norme della CEDU. I conflitti di attribuzione tra poteri 
dello Stato, tra cui quello conclusosi con la sentenza molto importante n. 1 del 
2013 e le numerose impugnazioni di leggi regionali che hanno prodotto rile-
TEMI ISTITUZIONALI 15 
vanti sentenze riguardo all�assetto di competenze tra Stato e Regioni. 
1.1.2 - Dinanzi ai giudici ordinari, va, anche quest�anno, citato il vasto 
contenzioso relativo alla irragionevole durata del processo, pari a complessivi 
21.683 affari. Al proposito, si spera che le nuove disposizioni introdotte in 
materia, che dettano una pi� chiara e stringente regolamentazione di tali procedimenti, 
comportino una contrazione di tale contenzioso. 
Merita, altres�, un doveroso cenno il contenzioso in materia di incandidabilit� 
degli amministratori degli enti locali i cui organi elettivi siano stati sciolti 
per infiltrazione della criminalit� organizzata; trattasi di contenzioso che, anche 
in ragione della non perspicua formulazione della disposizione di cui all�art. 
143, comma 11, del TUEL, ha posto delicate problematiche, anche di ordine 
processuale, delle quali � stata investita, da ultimo, codesta Corte di Cassazione. 
Innanzi al giudice del lavoro, � doveroso fare menzione delle numerosissime 
cause (solo formalmente di carattere seriale) promosse dal personale precario 
della scuola per conseguire, oltre al risarcimento del danno, la 
stabilizzazione del rapporto di lavoro e l�integrazione delle retribuzioni percepite 
durante l�operativit� dei contratti a tempo determinato susseguitisi negli anni. 
Quanto ai processi penali nei quali l�Avvocatura dello Stato risulta, a vario 
titolo, coinvolta, vanno segnalati i procedimenti penali aventi ad oggetto l�incidente 
ferroviario di Viareggio, il disastro della nave da crociera Concordia, 
ed il recente processo per l�attentato all�Istituto Falcone-Morvillo di Brindisi 
nonch� il processo sulla c.d. �trattativa Stato-mafia�, nei quali lo Stato si � costituito 
parte civile. 
Permettetemi, infine, di sottolineare l�importanza dell�assistenza difensiva 
assicurata dall�Avvocatura all�Amministrazione della Difesa con riferimento 
alla nota vicenda dei due Mar� sottoposti a procedimento penale in India; 
come � noto, la Suprema Corte indiana, con decisione del 17 gennaio 2013, 
ha escluso la giurisdizione dello Stato del Kerala, accogliendo in parte la nostra 
tesi e dichiarando inutilizzabili tutti gli atti di indagine effettuati. La Corte speciale 
che sar� costituita a Nuova Delhi dovr� decidere se la giurisdizione appartiene 
ai giudici italiani, come da noi sostenuto. 
Nel settore del recupero dei beni culturali illecitamente sottratti al patrimonio 
nazionale, si segnala l'intervento dell'Avvocatura dello Stato in un procedimento 
penale relativo alla illecita esportazione di una statua attribuita allo 
scultore greco Lisippo, attualmente nelle collezioni del J. Paul Getty Museum 
di Malib�. 
1.1.3 - Altrettanto corposo il contenzioso dinanzi ai giudici amministrativi; 
una particolare menzione merita, per la delicatezza del tema, la trattazione 
dei ricorsi proposti avverso i sempre pi� numerosi provvedimenti di scioglimento 
di consigli comunali per infiltrazione della criminalit� organizzata;
16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
provvedimenti che, come noto, hanno riguardato anche diversi enti locali del 
settentrione del nostro Paese nonch�, per la prima volta, un comune capoluogo 
di provincia ovvero Reggio Calabria. 
Ritengo anche opportuno fare cenno al contenzioso in materia elettorale 
in ordine al quale si sono registrati, molto di recente, alcuni pronunciamenti 
della magistratura amministrativa, sia di primo grado che di appello, sui quali 
mi permetto di esprimere perplessit� circa i limiti della competenza giurisdizionale 
nei confronti della P.A.. 
Sempre folto � il contenzioso attinente agli esami di idoneit� alla professione 
forense ed ai concorsi per la copertura dei posti di notaio e di magistrato. 
Particolarmente delicati sono, poi, i ricorsi proposti da magistrati ordinari contro 
i provvedimenti del C.S.M. in tema di incarichi direttivi e semidirettivi; 
molto impegnativo, per la complessit� delle questioni giuridiche sottese e la 
rilevanza economica che lo caratterizza, � inoltre il contenzioso riguardante i 
provvedimenti delle Autorit� indipendenti. 
Un particolare cenno merita, infine, il contenzioso in materia di �Quote 
latte� (in ordine al quale la Commissione europea ha avviato una indagine conoscitiva) 
che, nel solo 2012, ha visto la trattazione e la decisione favorevole 
all�amministrazione di qualche centinaio di ricorsi. 
1.1.4 - In sede consultiva, l�Avvocatura dello Stato, oltre alla consueta 
attivit� di consulenza nelle transazioni e nelle composizioni bonarie, ha fornito 
il proprio avviso sulle pi� svariate questioni; ricordo solo quelle pi� importanti: 
la predisposizione del decreto-legge c.d. �salva ILVA�, ora contestato dai giudici 
di Taranto dinanzi alla Corte Costituzionale, l�assetto dei rapporti contrattuali 
aventi ad oggetto il Ponte sullo Stretto di Messina, la tempistica 
dell�indizione delle elezioni per il rinnovo degli organi nella Regione Lazio. 
2. - Da ultimo, ma solo per evidenziarne la particolare importanza, il nostro 
impegno dinanzi alla Corte di Cassazione, che oggi ci ospita e con la quale 
siamo onorati di poter lavorare in piena armonia. Dinanzi alla Corte Suprema 
il contenzioso � particolarmente nutrito: nel 2012 sono stati impiantati dall�Avvocatura 
Generale circa 10.000 affari, che rappresentano il 22% di tutti 
gli affari contenziosi e consultivi impiantati nell�anno dall�Avvocatura Generale. 
Limitando l�esame agli affari contenziosi iniziati nell�anno in Cassazione 
e trattati dall�Avvocatura, si constata che il contenzioso dello Stato rappresenta 
oltre un terzo di tutto quello all�esame della Suprema Corte e che, di questo 
terzo, circa il 90% (9.606 affari) � costituito dal contenzioso tributario. 
Anche nel 2012 � proseguita la stretta collaborazione tra la Corte di Cassazione 
e l�Avvocatura dello Stato, finalizzata alla fissazione in tempi brevi 
dell�udienza di discussione in cause �pilota�, su questioni che hanno dato 
luogo a numerose controversie nei gradi di merito nonch� alla fissazione di
TEMI ISTITUZIONALI 17 
udienze tematiche, che consentono un maggiore approfondimento di questioni 
giuridiche complesse. 
La collaborazione ha ovviamente interessato la materia tributaria, che 
comՏ noto occupa gran parte dell�attivit� sia della Cassazione Civile che 
dell�Avvocatura dello Stato. 
Basti pensare al nutrito contenzioso dell�Agenzia del Territorio in tema di 
classamento degli immobili, alla definizione ormai in tempi brevi di tutte le controversie 
doganali, di diretta rilevanza comunitaria, essendo, la materia, ormai disciplinata 
in modo uniforme a livello europeo dal Codice Doganale Comunitario. 
Dalle statistiche del 2012, si conferma l�elevata entit� del contenzioso di 
pertinenza dell�Agenzia delle Entrate, con circa 6.000 richieste di ricorso per 
cassazione formulate all�Avvocatura dello Stato. 
Su tali richieste, gi� filtrate dall�Agenzia a livello regionale rispetto alle 
ben pi� numerose decisioni delle commissioni tributarie regionali, l�Avvocatura 
opera una ulteriore selezione coltivandone solo il 75%, cos� avvicinandosi 
al numero dei ricorsi in cassazione proposti dai contribuenti, pari a circa 3.500. 
L�esito dei giudizi suddetti si conferma ancora nel complesso favorevole 
all�Erario. Gli ultimi dati disponibili indicano una percentuale di vittoria di 
oltre il 70%, che si avvicina all�80% se si considera il valore economico delle 
controversie. 
Nell�intervento dello scorso anno, vennero salutate con favore due importanti 
decisioni delle Sezioni Unite in materia processuale, che costituivano l�accoglimento 
di tesi difensive sostenute da tempo dall�Avvocatura dello Stato. 
Si trattava delle sentenze n. 22726/2011 in tema dei requisiti di ammissibilit� 
del ricorso in Cassazione (con cui si � chiarita la non necessit� di depositare 
in giudizio copia degli atti gi� presenti nei fascicoli di causa), e n. 
15144/2011 in tema di overruling. 
Quelle importanti decisioni, emesse in applicazione dei principi costituzionali 
e comunitari in tema di diritto di difesa ed effettivit� della tutela, si 
spera possano portare a soluzione alcuni problemi ancora aperti. 
Intendo riferirmi, in primo luogo, alla questione dei c.d. ricorsi �farciti�, 
cio� di quei ricorsi in cui i ricorrenti hanno inserito, nel corpo del ricorso, atti 
e documenti dei gradi precedenti, e che vengono spesso dichiarati inammissibili 
per violazione dell�art. 366 c.p.c.. 
A tale riguardo, si ritiene che, in applicazione dei principi di tutela dell�affidamento, 
la Corte debba attribuire rilievo alla circostanza che l�inserimento 
dei suddetti atti nel ricorso era diretto ad evitare proprio di incorrere nella inammissibilit� 
per l�opposto motivo di mancanza di autosufficienza (come prevede 
da alcuni anni la rigorosa giurisprudenza della Corte al riguardo). 
Se certamente non pu� ritenersi ammissibile un ricorso-collage, occorre 
per� evitare il rischio di considerare inammissibili i ricorsi per c.d. �ipersufficienza�, 
cio� quei casi in cui alcuni atti e documenti riprodotti siano superflui
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
ma i motivi di ricorso siano comunque correttamente redatti. 
Un doveroso cenno merita, poi, il problema degli effetti processuali della 
cancellazione delle societ� dal registro delle imprese. ComՏ noto, la questione, 
emersa in modo rilevante dopo le decisioni delle Sezioni Unite n. 4060, 
4061 e 4062/2010, � stata, nel 2012, nuovamente rimessa all�esame delle Sezioni 
Unite, dopo che, con alcune decisioni (ad esempio con la sentenza n. 
7679/2012), si � affermata un�interpretazione dell�art. 2495 c.c. nel senso che 
in caso di cancellazione di una societ� di capitali senza riparto alcuno di 
somme tra i soci, non esisterebbe alcun soggetto in grado di succedere nei rapporti 
pendenti, per cui l�impugnazione di una sentenza non potrebbe pi� essere 
proposta nei confronti di alcuno per mancanza di un successore. 
3. - Passando ai risultati del nostro lavoro, fornisco alcuni dati statistici relativi 
alla sede romana. Dinanzi al Tribunale civile le cause vinte sono il 60%, 
dinanzi al giudice amministrativo, il 70% dinanzi alla Corte d�appello il 53% e 
dinanzi alla Cassazione il 58%. La percentuale pi� bassa di esiti favorevoli innanzi 
alla Corte d�Appello � attribuibile al fatto che nel numero sono comprese 
le cause della c.d. �legge Pinto�, che rappresentano la maggioranza degli affari 
trattati in Corte d�Appello (come unico grado di merito) e che sono, nella stragrande 
maggioranza dei casi, cause perse per lo Stato. Depurati i dati falsati dai 
fattori alteranti, pu� concludersi su una percentuale media di vittoria vicina ai 
2/3 delle cause. 
Il che porta a concludere che � del tutto evidente il buon rapporto costi-benefici 
dell�attivit� svolta dall�Avvocatura. 
Purtroppo, la funzionalit� dell�Istituto � minacciata da una grave limitazione 
nel turn-over del personale togato e da una grave insufficienza di risorse economiche. 
Sotto il primo profilo, evidenzio come il carattere emergenziale della situazione 
potr� essere solo lievemente attenuato dalla previsione, contenuta nella 
recente legge di stabilit�, che autorizza l�Avvocatura dello Stato ad assumere 
alcuni Avvocati dello Stato, nei limiti dello stanziamento ivi previsto; ringrazio, 
comunque, personalmente ed a nome dei colleghi, il Governo per l�attenzione 
mostrata nei confronti dell�Istituto; sotto il secondo profilo devo 
segnalare che l�Istituto avr� gravissime difficolt� ad assolvere ai suoi doveri 
con l�attuale importo stanziato in bilancio per le spese correnti, che sono incomprimibili 
ed indispensabili per garantire l�assolvimento dei compiti istituzionali, 
quali ad esempio le spese di funzionamento degli uffici tra cui quelle 
per l�acquisto di carta per le fotocopie necessarie a depositare gli atti defensionali 
nel numero di esemplari richiesto. 
Con riguardo al processo telematico, preciso che l�informatizzazione si � 
mossa, nel corso del 2012, in tre direzioni: 
1) un aggiornamento del sistema informatico che ha consentito, nella sede di
TEMI ISTITUZIONALI 19 
Roma, di associare ai dati presenti nel sistema il fascicolo elettronico e la relativa 
gestione documentale (vengono attualmente scansionati ben 15 mila 
fogli al giorno, pari ad un quarto del totale della documentazione in ingresso); 
2) la possibilit� di colloqui telematici con gli uffici giudiziari, sia civili che 
amministrativi (per la ricezione tramite posta elettronica certificata di biglietti 
di cancelleria e sentenze) nonch� con le pubbliche amministrazioni patrocinate 
che hanno la facolt� di consultare i nostri fascicoli attraverso il sito; 
3) il capillare raggiungimento e coinvolgimento delle sedi distrettuali e l�estensione 
ad esse, attraverso il portale, dei servizi informatici gi� esistenti per l�Avvocatura 
Generale. 
Per ridurre i tempi e i costi dei processi di lavoro, l�iter di dematerializzazione 
della carta e l�ausilio dell�informatica appaiono ormai un percorso inevitabile 
per gestire l�enorme mole di contenzioso ed essere al passo con i tempi. 
La sua piena realizzazione richiede per� ancora tempi non brevi. 
Ed � proprio anche alla luce dei dati sopra ricordati che esprimo l�auspicio 
che possa essere riconsiderata, nel prossimo futuro, l�applicazione nei confronti 
dell�Avvocatura dello Stato delle disposizioni in tema di limitazione del 
turn-over del personale, sia togato che amministrativo, nonch� in tema di riduzione 
della spesa; ci� in considerazione del fatto che l�Avvocatura dello 
Stato, proprio per le funzioni dalla stessa svolte, non pu� essere paragonata e 
trattata alla stregua di una amministrazione di gestione. 
Il personale togato e amministrativo dell�Avvocatura deve essere posto in grado 
di svolgere con serenit� ed efficienza il notevole lavoro che ho prima indicato. 
4. - Concludo osservando che il difficilissimo momento che il Paese sta 
attraversando richiede a tutte le Istituzioni ed a tutti noi il massimo impegno 
nell�esercizio dei compiti affidati. Sono certo di poterLe assicurare, Signor 
Presidente della Repubblica, che l�Avvocatura dello Stato e i suoi componenti 
faranno ogni possibile sforzo per essere all�altezza delle rilevanti funzioni assegnate, 
confermando il prestigio che ha sempre avuto. 
Grazie, Signor Presidente della Repubblica, grazie a tutti per avermi 
ascoltato. 
Roma, li 25 gennaio 2013 
Palazzo di Giustizia, Aula Magna
20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Avvocatura Generale dello Stato 
CIRCOLARE N. 6/2013 
Oggetto: Pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato - legge 31 dicembre 
2012, n. 247 recante "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione 
forense". 
Si fa seguito alla Circolare n. 62/12 (*) - le cui conclusioni sono state avallate 
dal parere reso dalla Commissione consultiva del Consiglio Nazionale Forense, 
pervenuto in data 18 febbraio 2013 - e, a scioglimento della riserva nella 
stessa contenuta, si rappresenta quanto segue. 
In data 18 gennaio 2013, � stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della 
Repubblica italiana la legge 31 dicembre 2012, n. 247 recante "Nuova disciplina 
dell'ordinamento della professione forense"; l'atto, dopo l'ordinaria vacatio 
legis, � entrato in vigore il giorno 2 febbraio 2013. 
Al proposito, si segnala che il Consiglio Nazionale Forense ha recentemente 
pubblicato il Dossier 1/13 dell'Ufficio Studi nel quale viene evidenziato 
che "l'approvazione della legge 31 dicembre 2012, n. 247 ha determinato la 
sopravvenuta inapplicabilit� alla professione forense delle norme contenute 
nell'art. 3, comma 5, del decreto-legge 138/2011, convertito in legge n. 
148/2011 e s.m.i. e, conseguentemente, delle norme contenute nel D.P.R. n. 
137/2012. Questo, tanto in considerazione del criterio cronologico (lex posterior 
derogat legi priori) quanto del criterio di specialit� (lex specialis derogat 
legi generali) e gerarchico (con riferimento specifico alla sorte delle 
disposizioni di cui al D.P.R. n. 137/2012)". 
(*) CIRCOLARE N. 62/2012 
Oggetto: Pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato - Inapplicabilit� del termine 
di dodici mesi, di cui all'art. 10, comma 1, del D.P.R. n. 137/12, ai tirocini gi� in corso 
alla data del 16 agosto 2012. Modifica della Circolare n. 51/2012. 
Con la circolare n. 51 del 12 settembre 2012, sono stati affrontati i problemi posti dalla 
norma contenuta nell'art. 10, comma 1, del D.P.R. 7 agosto 2012 n. 137, la quale dispone 
che "il tirocinio pu� essere svolto presso l'Avvocatura dello Stato o presso l'ufficio legale 
di un ente pubblico o di ente privato autorizzato dal ministro della giustizia o presso un 
ufficio giudiziario per non pi� di dodici mesi". Con la predetta circolare - oltre a manifestare 
le riserve dell'Istituto sulla legittimit� della norma, comunicate alla Presidenza 
del Consiglio ed alle Amministrazioni interessate - � stato ritenuto, in via cautelativa, 
che, in assenza di una disciplina transitoria, la nuova disposizione dovesse essere applicata 
immediatamente anche ai tirocini iniziati prima della sua entrata in vigore; ci� anche 
per evitare il rischio che il periodo di pratica, eccedente i dodici mesi, svolto presso 
l'Avvocatura non fosse riconosciuto utile ai fini dell'ammissione all'esame di abilitazione, 
con evidente pregiudizio per i praticanti.
TEMI ISTITUZIONALI 21 
Con riferimento, in particolare, alla disciplina dell'accesso e del tirocinio, 
il Consiglio Nazionale Forense ha rilevato come gli artt. 48 e 49 dettino una disciplina 
transitoria in relazione alle modalit� del suo svolgimento e dell'esame. 
In particolare, 1'art. 48 dispone che il tirocinio per l�accesso rimane disciplinato 
dalle disposizioni vigenti fino al secondo anno successivo all'entrata in 
vigore della legge, salva la riduzione a diciotto mesi del periodo di tirocinio. 
Alla luce degli ulteriori approfondimenti svolti sul tema e dei contributi trasmessi, anche 
in via informale, dalle Sedi distrettuali, si ritiene di dovere modificare le superiori conclusioni, 
nel senso che la disposizione - che limita a soli dodici mesi, il periodo di pratica 
forense che pu� essere svolto presso l'Avvocatura dello Stato - trova applicazione con 
riferimento ai soli tirocini che hanno avuto inizio successivamente all'entrata in vigore 
del D.P.R. n. 137/12 (16 agosto 2012). 
Ed invero, l'applicazione immediata della riduzione a dodici mesi del tirocinio presso 
l'Avvocatura dello Stato (che, peraltro, suscita perplessit� sotto il profilo del rispetto del 
principio di cui all'art. 11 delle c.d. preleggi) potrebbe, da un lato, creare situazioni paradossali 
per i singoli praticanti (si pensi all'ipotesi di giovani che abbiano svolto presso 
l'Istituto diciassette mesi, e che troverebbero estremamente difficile essere accolti in 
uno studio professionale per un solo mese, con la grave conseguenza di non poter completare 
il periodo di pratica prescritto); dall'altro stravolgerebbe l'impostazione "didattica" 
del tirocinio e la pianificazione delle esperienze che lo costituiscono. 
La predetta conclusione ha trovato, peraltro, conferma in un recente parere, reso dal 
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma nella seduta del 4 ottobre u.s., a fronte di 
uno specifico quesito dell'Avvocatura di Roma Capitale. 
Da ultimo, si segnala che il Consiglio Nazionale Forense, nel Dossier n. 11/2012 predisposto 
dall'Ufficio Studi, ha espressamente evidenziato che "Il comma 14 prevede che le 
disposizioni dell'art. 6 del D.P.R. n. 137/2012 si applichino ai tirocini iniziati dal giorno 
successivo alla data di entrata in vigore del decreto in parola (fermo quanto gia previsto 
dall'articolo 9, comma 6, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 24 marzo 2012, n. 27). Ne consegue che la riduzione del periodo 
di tirocinio a 18 mesi � immediatamente operativa anche per i tirocini in corso, trovando 
la propria fonte in una disposizione del decreto legge �Cresci Italia� qui espressamente 
richiamata, ed oggetto dell�interpretazione fornita dal Ministero della giustizia con circolare 
in data 4 luglio 2012. Le altre prescrizioni ... che trovano la propria fonte nel DPR 
137/2012 si applicano invece ai tirocini iniziati a partire dal 16 agosto 2012�. 
Si coglie, infine, l'occasione per evidenziare che - attesa la particolare qualificazione 
professionale dei Procuratori dello Stato ed in considerazione della variet� delle pratiche 
agli stessi affidate - non appare opportuno escludere l'assegnazione di praticanti ai medesimi 
Procuratori; assegnazione, quest�ultima, che costituisce, peraltro, prassi consolidata 
presso quasi tutte le Sedi dell'Istituto. 
Le Sedi distrettuali sono invitate a prendere atto di quanto sopra. 
Si fa riserva di fornire ulteriori indicazioni in ordine allo svolgimento della pratica forense 
presso l'Avvocatura dello Stato, all�esito delle interlocuzioni in corso con le Amministrazioni 
competenti ed in particolare con il Ministero della Giustizia.
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Come noto, l'art. 10 del D.P.R. n. 137/12 poneva una disciplina speciale 
per il tirocinio forense che, a partire dalla sua entrata in vigore, ha prodotto 
l'�ffetto abrogativo disposto dall'art. 3, comma 5 bis, del decreto-legge n. 
138/11 convertito in legge n. 148/11 e s.m.i. e l'immediata modifica del regime 
del tirocinio forense. 
Sulla base di quanto pi� sopra rappresentato circa la sottrazione dell'ordinamento 
forense all'ambito di materie oggetto della delegificazione, deve 
ritenersi che le norme del D.P.R. n. 137/12 in materia di tirocinio forense non 
siano pi� applicabili, a far data dall'entrata in vigore della legge n. 247/12 (2 
febbraio 2013). 
Restano, dunque, applicabili al tirocinio per l'accesso alla professione forense 
le disposizioni vigenti, ad eccezione degli artt. 6 e 10 del D.P.R. n. 
137/12, ed in particolare: l'art. 9 del decreto-legge n. 1/12, convertito in legge 
n. 27/12 (durata di diciotto mesi del tirocinio), il D.P.R. n. 101/1990 (Regolamento 
relativo alla pratica forense) e l'art. 16 del D.Lgs. n. 398/1997 (in tema 
di Scuole di specializzazione per le professioni legali). 
Per completezza, si evidenzia che la disciplina, a regime, dettata in tema 
di svolgimento del tirocinio dall'art. 41 della legge n. 247/12, sembra potersi 
interpretare nel senso che la pratica forense possa essere svolta, per l'intero 
periodo dello stesso (ovvero per diciotto mesi), presso l'Avvocatura dello Stato. 
In tale senso, milita il combinato disposto delle previsioni contenute ai 
commi 6, lett. b) e 7 dell'art. 41 cit.; il comma 6, lett. b) prevede che il tirocinio 
pu� essere svolto "presso l'Avvocatura dello Stato o presso l'ufficio legale di 
un ente pubblico o presso un ufficio giudiziario per non pi� di dodici mesi"; il 
comma 7 precisa che "In ogni caso il tirocinio deve essere svolto per almeno 
sei mesi presso un avvocato iscritto all'ordine o presso l'Avvocatura dello Stato". 
Orbene il combinato disposto delle predette norme, in uno all'equiparazione 
dell'Avvocatura dello Stato all'avvocato del libero foro (presso il quale 
il tirocinio pu� essere svolto per diciotto mesi), contenuta al comma 7, sembra, 
appunto, deporre nel senso che la pratica forense possa essere svolta, a regime, 
presso l'Avvocatura dello Stato per l'intero periodo del tirocinio. 
Lo Scrivente si riserva, comunque, di valutare l�opportunit� di chiedere, 
nella prossima legislatura, l�introduzione, nel corpo dell'art. 41 della legge n. 
274/12, di una disposizione finalizzata a fugare qualsivoglia dubbio interpretativo 
in merito; cosa che si era tentato di fare durante l�iter parlamentare di 
approvazione della legge n. 247/12 ma senza successo atteso l�accelerazione 
del predetto iter dovuta all'anticipata chiusura della legislatura. 
Le Sedi distrettuali sono invitate a prendere atto di quanto sopra e a dare 
ampia diffusione alla presente Circolare. 
L�AVVOCATO GENERALE DELLO STATO 
Michele Dipace
LE DECISIONI DELLA 
CORTE DI GIUSTIZA UE 
Le regole europee in materia di appalti pubblici: nulla di nuovo 
dalla Corte con la sentenza 19 dicembre 2012, C-159/11 ( ... ?) 
Si segnala una nuova decisione della Grande Sezione della Corte di Giustizia 
(sentenza 19 dicembre 2012 in causa C-159/11) sulla conformit� o meno 
al diritto comunitario di quei rapporti diretti tra amministrazioni pubbliche 
nelle quali le stesse, rinunciando ad avvalersi del mercato, �si scambiano prestazioni 
di beni e servizi�. 
La questione aveva trovato un convincente assetto nella decisione (anch�essa 
della Grande Sezione) del 9 giugno 2009 Commissione /Germania in 
causa C-480/06 nella quale il conferimento diretto dello smaltimento dei rifiuti 
tra le varie autorit� locali, previo rimborso dei relativi costi, non era stato considerato 
un appalto ai sensi della direttiva 92/50. Il principio di diritto affermato 
era che �un�autorit� pubblica pu� adempiere ai compiti d�interesse 
pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti o in collaborazione 
con altre autorit� pubbliche, senza essere obbligata a far ricorso ad entit� 
esterne non appartenenti ai propri servizi�. In altri termini - proseguiva la 
massima - se non si coinvolgono direttamente o indirettamente imprese private 
la collaborazione tra soggetti pubblici pu� legittimamente restringere l�area 
del ricorso delle pubbliche amministrazioni al mercato. 
Nella causa C-159/11 la prospettiva sembra cambiare; il giudice europeo, 
sulla base di una questione pregiudiziale posta dal Consiglio di Stato Italiano, 
statuisce che �il diritto dell�Unione Europea in materia di appalti pubblici 
osta a che una normativa nazionale autorizzi la stipulazione, senza previa 
gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra 
loro una cooperazione, nel caso in cui - e ci� spetta al giudice del rinvio di 
verificare - tale contratto non abbia il fine di garantire l�adempimento di una 
funzione di un pubblico servizio comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente 
da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi
24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
d�interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione 
privilegiata rispetto ai suoi concorrenti�. 
La normativa italiana in questione, specificatamente indicata dalla Corte 
di Giustizia, � la norma generale dell�art. 15 della legge 241 del 1990 (�le amministrazioni 
pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare 
lo svolgimento in collaborazione di attivit� d�interesse comune� ) e 
l�art. 66 del DPR 382 dell�11 luglio 1980 che, nel disciplinare la docenza universitaria, 
dichiara che �Le Universit�, purch� non vi osti lo svolgimento della 
loro funzione scientifica didattica, possono eseguire attivit� di ricerca e di consulenza 
stabilite mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati�. 
Il caso di specie, che sembra aver giustificato l�intervento �repressivo� 
della Corte di Giustizia riguardava una controversia sorta tra, da un lato 
l�Azienda Sanitaria Locale di Lecce e l�Universit� del Salento, e dall�altro diversi 
ordini professionali ed alcune imprese, vertente su un contratto di consulenza 
stipulato tra l�ASL di Lecce e l�Universit� del Salento, avente ad 
oggetto lo studio e la valutazione della vulnerabilit� sismica delle strutture 
ospedaliere della Provincia di Lecce. Caratteristiche di tale contratto sono: a) 
che i costi da rimborsare a carico della ASL venivano analiticamente e preventivamente 
fissati; b) che l�universit� in caso di risoluzione anticipata del 
rapporto avrebbe avuto diritto ad importi corrispondenti al lavoro svolto, alle 
spese sostenute e a quelle derivanti da obbligazioni assunte (con terzi) nell�ambito 
dell�esecuzione dell�attivit� di studio; c) che la ASL si appropriava 
integralmente dell�attivit� prodotta dall�Universit�. 
Alcune notazioni a margine: 
� la prima � che � improbabile che la Corte di Giustizia abbia inteso censurare 
in rapporto all�ordinamento comunitario la norma generale dell�art 15 
della legge n. 241 del 1990 che legittima la collaborazione istituzionale attraverso 
accordi tra pubbliche amministrazioni; 
� la seconda � che � improbabile - ed infatti la norma non � stata neppure 
citata nella sentenza - che sia ritenuta in contrasto con le direttive appalti l�articolo 
19 comma 1, lettera f) del codice degli appalti vigente in Italia proprio 
in attuazione di dette direttive secondo cui �Il presente codice non si applica 
ai contratti pubblici � f) concernenti servizi di ricerca e sviluppo diversi da 
quelli i cui risultati appartengono esclusivamente alla stazione appaltante, 
perch� li usi nell�esercizio della sua attivit�, a condizione che la prestazione 
del servizio sia interamente retribuita da tale amministrazione�; 
� la terza notazione � che la Corte di Giustizia sente il bisogno di ribadire 
in termini sostanzialmente analoghi i principi stabiliti nella citata sentenza 9 
giugno 2009 (in causa C-480/06), rimettendo in ogni caso la questione concreta 
al prudente accertamento del giudice nazionale. 
L�ultima e decisiva notazione � che forse questa decisione della Grande 
Chambre � meno importante del clamore che sta suscitando tra i siti italiani:
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 25 
si tratta solo di un caso di specie nel quale le amministrazioni leccesi hanno 
fatto un uso non corretto della possibilit� di ricorrere, per quanto occorreva 
per realizzare in via diretta i loro obiettivi, all�aiuto istituzionale di altri soggetti 
pubblici, in un�ottica evidentemente del tutto diversa ed alternativa dalle 
regole che disciplinano il mercato degli appalti � 
G.F. 
Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 19 dicembre 2012 nella causa C-159/11 
- Pres. V. Skouris, Rel. D. .v�by, Avv. Gen. V. Trstenjak - Domanda di pronuncia pregiudiziale 
proposta dal Consiglio di Stato - Azienda Sanitaria Locale di Lecce, Universit� del Salento / 
Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce ed altri. 
�Appalti pubblici � Direttiva 2004/18/CE � Articolo 1, paragrafo 2, lettere a) e d) � Servizi � 
Studio e valutazione della vulnerabilit� sismica di strutture ospedaliere � Contratto concluso 
tra due enti pubblici, uno dei quali � un�universit� � Ente pubblico qualificabile come operatore 
economico � Contratto a titolo oneroso � Corrispettivo non superiore ai costi sostenuti� 
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione degli articoli 1, paragrafo 
2, lettere a) e d), 2 e 28, nonch� dell�allegato II A, categorie 8 e 12, della direttiva 
2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento 
delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture 
e di servizi (GU L 134, pag. 114), come modificata dal regolamento (CE) n. 
1422/2007 della Commissione, del 4 dicembre 2007 (GU L 317, pag. 34; in prosieguo: 
la �direttiva 2004/18�). 
2 Tale domanda � stata proposta nell�ambito di una controversia tra, da un lato, l�Azienda 
Sanitaria Locale di Lecce (in prosieguo: l��ASL�) e l�Universit� del Salento (in prosieguo: 
l��Universit��) e, dall�altro, l�Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e 
altri, vertente su un contratto di consulenza stipulato tra l�ASL e l�Universit� (in prosieguo: 
il �contratto di consulenza�), avente ad oggetto lo studio e la valutazione della vulnerabilit� 
sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce. 
Contesto normativo 
Il diritto dell�Unione 
3 Ai sensi del secondo considerando della direttiva 2004/18: 
�L�aggiudicazione degli appalti negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici 
territoriali e di altri organismi di diritto pubblico � subordinata al rispetto dei principi 
del trattato [CE] ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, 
della libert� di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonch� ai principi che 
ne derivano, quali i principi di parit� di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento 
reciproco, di proporzionalit� e di trasparenza. Tuttavia, per gli appalti pubblici 
con valore superiore ad una certa soglia � opportuno elaborare disposizioni di coordinamento 
comunitario delle procedure nazionali di aggiudicazione di tali appalti fondate 
su tali principi, in modo da garantirne gli effetti ed assicurare l�apertura degli appalti 
pubblici alla concorrenza. (...)�. 
4 L�articolo 1 di tale direttiva dispone quanto segue:
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
� (...) 
2. a) Gli �appalti pubblici� sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o 
pi� operatori economici e una o pi� amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto 
l�esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della 
presente direttiva. 
(...) 
d) Gli �appalti pubblici di servizi� sono appalti pubblici diversi dagli appalti pubblici 
di lavori o di forniture aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui all�allegato II. 
(...) 
8. I termini �imprenditore�, �fornitore� e �prestatore di servizi� designano una persona 
fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che 
offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi. 
Il termine �operatore economico� comprende l�imprenditore, il fornitore e il prestatore 
di servizi. � utilizzato unicamente per semplificare il testo. 
(...) 
9. Si considerano �amministrazioni aggiudicatrici�: lo Stato, gli enti pubblici territoriali, 
gli organismi di diritto pubblico e le associazioni costituite da uno o pi� di tali enti pubblici 
territoriali o da uno o pi� di tali organismi di diritto pubblico. 
(...)�. 
5 Ai sensi dell�articolo 2 di detta direttiva, �[l]e amministrazioni aggiudicatrici trattano 
gli operatori economici su un piano di parit�, in modo non discriminatorio e agiscono 
con trasparenza�. 
6 Ai sensi dell�articolo 7, lettera b), della direttiva 2004/18, quest�ultima si applica in particolare 
agli appalti pubblici di servizi aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici diverse 
dalle autorit� governative centrali menzionate nell�allegato IV di tale direttiva, 
purch� si tratti di appalti non esclusi in forza delle eccezioni indicate nell�articolo suddetto 
e il loro valore stimato al netto dell�imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: 
l��IVA�) sia pari o superiore a EUR 206 000. 
7 In conformit� all�articolo 9, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva, il calcolo del valore stimato 
di un appalto pubblico � basato sull�importo totale pagabile al netto dell�IVA, valutato 
dall�amministrazione aggiudicatrice al momento dell�invio del bando di gara o, se del 
caso, al momento in cui la procedura di aggiudicazione dell�appalto � avviata. 
8 L�articolo 20 della direttiva 2004/18 prevede che gli appalti aventi per oggetto servizi 
elencati nell�allegato II A di tale direttiva siano aggiudicati secondo gli articoli 23.55 di 
quest�ultima, nell�ambito dei quali l�articolo 28 stabilisce che, �[p]er aggiudicare gli 
appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici applicano le procedure nazionali adattate 
ai fini d[i] [detta] direttiva�. 
9 L�allegato II A della direttiva 2004/18 indica in particolare le seguenti categorie di servizi: 
� categoria 8, relativa ai servizi di ricerca e sviluppo, ad esclusione dei servizi di ricerca 
e sviluppo diversi da quelli di cui beneficiano esclusivamente le amministrazioni aggiudicatrici 
e/o gli enti aggiudicatori per loro uso nell�esercizio della propria attivit�, 
nella misura in cui la prestazione di servizi sia interamente retribuita da dette amministrazioni 
e/o detti enti, e 
� categoria 12, relativa ai servizi attinenti all�architettura e all�ingegneria, anche integrata, 
ai servizi attinenti all�urbanistica e alla paesaggistica, ai servizi affini di consulenza 
scientifica e tecnica, nonch� ai servizi di sperimentazione tecnica e analisi.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 27 
Il diritto italiano 
10 Ai sensi dell�articolo 15, primo comma, della legge n. 241 del 7 agosto 1990, recante 
nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti 
amministrativi (GURI n. 192, del 18 agosto 1990, pag. 7), �le amministrazioni 
pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento 
in collaborazione di attivit� di interesse comune�. 
11 L�articolo 66 del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 dell�11 luglio 1980, recante 
riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonch� 
sperimentazione organizzativa e didattica (Supplemento ordinario alla GURI n. 209, del 
31 luglio 1980), dispone quanto segue: 
�Le Universit�, purch� non vi osti lo svolgimento della loro funzione scientifica didattica, 
possono eseguire attivit� di ricerca e consulenza stabilite mediante contratti e convenzioni 
con enti pubblici e privati. L�esecuzione di tali contratti e convenzioni sar� 
affidata, di norma, ai dipartimenti [universitari] o, qualora questi non siano costituiti, 
agli istituti o alle cliniche universitarie o a singoli docenti a tempo pieno. 
I proventi delle prestazioni dei contratti e convenzioni di cui al comma precedente sono 
ripartiti secondo un regolamento approvato dal consiglio di amministrazione dell�Universit�, 
sulla base di uno schema predisposto (...) dal Ministro della pubblica istruzione. 
Il personale docente e non docente che collabora a tali prestazioni pu� essere ricompensato 
fino a una somma annua totale non superiore al 30 per cento della retribuzione complessiva. 
In ogni caso la somma cos� erogata al personale non pu� superare il 50 per 
cento dei proventi globali [di dette] prestazioni. 
Il regolamento di cui al secondo comma determina la somma da destinare per spese di 
carattere generale sostenute dall�Universit� e i criteri per l�assegnazione al personale 
della somma di cui al terzo comma. Gli introiti rimanenti sono destinati ad acquisto di 
materiale didattico e scientifico e a spese di funzionamento dei dipartimenti, istituti o 
cliniche che hanno eseguito i contratti e le convenzioni. 
Dai proventi globali derivanti dalle singole prestazioni e da ripartire con le modalit� di 
cui al precedente secondo comma vanno in ogni caso previamente detratte le spese sostenute 
dall�Universit� per l�espletamento delle prestazioni medesime. 
I proventi derivati dall�attivit� di cui al comma precedente costituiscono entrate del bilancio 
dell�Universit��. 
Procedimento principale e questione pregiudiziale 
12 Con deliberazione del 7 ottobre 2009 il Direttore generale dell�ASL ha approvato il disciplinare 
relativo all�esecuzione, da parte dell�Universit�, di un�attivit� di studio e di 
valutazione della vulnerabilit� sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di 
Lecce alla luce delle recenti normative nazionali emanate in materia di sicurezza delle 
strutture e, in particolare, degli edifici cosiddetti �strategici� (in prosieguo, rispettivamente: 
il �disciplinare� e l��attivit� di studio�). 
13 Conformemente al disciplinare, tale attivit� di studio si articola, per ogni singolo edificio 
interessato, nelle tre seguenti fasi: 
� individuazione della tipologia strutturale, dei materiali impiegati per la costruzione e 
dei metodi di calcolo adottati; verifica sommaria dello stato di fatto rispetto alla documentazione 
progettuale resa disponibile; 
� verifiche della regolarit� strutturale, analisi sommaria della risposta sismica globale 
dell�edificio, eventuali analisi locali su elementi o sottosistemi strutturali significativi
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
per l�individuazione della risposta sismica globale; 
� elaborazione dei risultati delle attivit� di cui alla fase precedente e stesura di schede 
tecniche di diagnosi strutturale; in particolare � previsto che vengano fornite: relazioni 
sulla tipologia strutturale osservata, sui materiali e sullo stato di conservazione della 
struttura, con particolare riferimento agli aspetti che incidono maggiormente sulla risposta 
strutturale in relazione alla pericolosit� sismica del sito di ubicazione dell�opera; 
schede tecniche di classificazione della vulnerabilit� sismica degli ospedali; 
relazioni tecniche sugli elementi o sottosistemi strutturali rilevati come critici in relazione 
alla verifica di vulnerabilit� sismica; suggerimenti preliminari e sommaria 
descrizione delle opere di adeguamento o miglioramento sismico adottabili, con particolare 
riferimento ai vantaggi e limiti delle diverse tecnologie possibili, in termini 
tecnico.economici. 
14 Il contratto di consulenza concluso il 22 ottobre 2009 relativo all�attivit� di studio prevede 
in particolare quanto segue: 
� la durata massima di tale contratto � stabilita in sedici mesi; 
� l�attivit� di studio � affidata al Gruppo di Tecnica delle costruzioni, con facolt� di ricorrere 
alla collaborazione di personale esterno altamente qualificato; 
� tale attivit� � svolta in stretta collaborazione tra il gruppo di lavoro individuato dall�ASL 
ed il gruppo di lavoro dell�Universit� al fine di raggiungere gli obiettivi comuni 
di cui alla terza fase di detta attivit�; 
� la responsabilit� scientifica � assunta da due persone rispettivamente designate dalle 
due parti; 
� all�ASL spetta la propriet� di qualunque risultato derivante dall�attivit� sperimentale, 
ma nel caso di pubblicazione dei risultati in ambito tecnico.scientifico l�ASL si impegna 
a citare espressamente l�Universit�; quest�ultima pu� utilizzare detti risultati 
per pubblicazioni o comunicazioni scientifiche previa autorizzazione dell�ASL, e 
� per l�intera prestazione l�ASL corrisponde all�Universit� la somma di EUR 200 000 
al netto dell�IVA, pagabile in quattro rate. Tuttavia, nel caso di risoluzione anticipata 
del contratto, l�Universit� ha diritto ad un importo dipendente dalla quantit� di lavoro 
svolto e corrispondente alle spese sostenute e a quelle relative a obbligazioni giuridiche 
assunte nell�ambito dell�esecuzione dell�attivit� di studio. 
15 Dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che detto importo di EUR 200 000 si compone 
delle seguenti somme: 
� acquisto e uso di attrezzature: EUR 20 000; 
� costi di missione del personale: EUR 10 000; 
� costo del personale: EUR 144 000, e 
� spese generali: EUR 26 000. 
16 Risulta inoltre che il costo del personale pari a EUR 143 999,58, arrotondati a EUR 144 
000, corrisponde alle seguenti voci: 
� attivazione di tre assegni di ricerca della durata di un anno: EUR 57 037,98; 
� costo per un professore associato, per 180 ore nel 2009 (costo orario pari a EUR 
45,81) e per 641 ore nel 2010 (costo orario pari a EUR 48,93): EUR 39 609,93; 
� costo per un ricercatore confermato, per 170 ore nel 2009 (costo orario pari a EUR 
25,91) e per 573 ore nel 2010 (costo orario pari a EUR 32,23): EUR 22 936,95; 
� costo per un ricercatore non confermato, per 170 ore nel 2009 (costo orario pari a EUR 
20,50) e per 584 ore nel 2010 (costo orario pari a EUR 26,48): EUR 18 949,32, e
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 29 
� costo per un tecnico di laboratorio, per 70 ore nel 2009 (costo orario pari a EUR 
20,48) e per 190 ore nel 2010 (costo orario pari a EUR 21,22): EUR 5 465,40. 
17 Diversi ordini e associazioni professionali ed alcune imprese hanno proposto vari ricorsi 
avverso la deliberazione di approvazione del disciplinare e ogni atto presupposto, consequenziale 
e connesso a quest�ultima dinanzi al Tribunale amministrativo regionale 
per la Puglia, lamentando in particolare la violazione della normativa nazionale e dell�Unione 
in materia di appalti pubblici. Nelle sentenze con cui accoglieva detti ricorsi, 
tale giudice considerava che l�affidamento dell�incarico relativo all�attivit� di studio costituiva 
un appalto di servizi d�ingegneria, ai sensi della normativa italiana. 
18 Nell�ambito dei ricorsi in appello proposti avverso tali sentenze, l�ASL e l�Universit� 
rilevano essenzialmente che, in conformit� al diritto italiano, il contratto di consulenza 
costituisce un accordo di cooperazione tra amministrazioni pubbliche per lo svolgimento 
di attivit� di interesse generale. La partecipazione a titolo oneroso � ma per una remunerazione 
limitata ai costi sostenuti � dell�Universit� a un siffatto contratto rientrerebbe 
nell�ambito delle attivit� istituzionali di quest�ultima. Viene inoltre invocato il fatto che 
l�attivit� di studio � affidata a enti di ricerca e che essa riguarda ricerche da condurre 
mediante sperimentazioni e analisi da realizzare al di fuori di ogni metodologia standardizzata 
e di procedure codificate o individuate nella letteratura scientifica. La legittimit� 
di tali accordi di cooperazione tra pubbliche amministrazioni sotto il profilo del 
diritto dell�Unione risulterebbe dalla giurisprudenza della Corte. 
19 Il giudice del rinvio espone che gli accordi tra pubbliche amministrazioni previsti all�articolo 
15 della legge n. 241 del 7 agosto 1990 sono preordinati al coordinamento 
dell�azione di diversi apparati amministrativi, ciascuno portatore di uno specifico interesse 
pubblico, e costituiscono una forma di cooperazione volta a consentire la pi� efficiente 
ed economica gestione di servizi pubblici. Un siffatto accordo pu� essere concluso 
quando una pubblica amministrazione intenda affidare a titolo oneroso ad altra pubblica 
amministrazione la prestazione di un servizio e tale servizio ricada tra i compiti dell�amministrazione, 
conformemente agli obiettivi istituzionali degli enti parti dell�accordo. 
20 Il Consiglio di Stato si chiede tuttavia se la conclusione di un accordo tra pubbliche amministrazioni 
non sia contraria al principio della libera concorrenza qualora una delle 
amministrazioni interessate possa essere considerata un operatore economico, qualit� 
riconosciuta ad ogni ente pubblico che offra servizi sul mercato, indipendentemente dal 
perseguimento di uno scopo di lucro, dalla dotazione di una organizzazione di impresa 
o dalla presenza continua sul mercato. Il giudice del rinvio si riferisce, al riguardo, alla 
sentenza della Corte del 23 dicembre 2009, CoNISMa (C.305/08, Racc. pag. I.12129). 
In tale ottica, dal momento che l�Universit� pu� partecipare a una gara d�appalto, i contratti 
con essa stipulati da amministrazioni aggiudicatrici rientrerebbero nell�ambito di 
applicazione della normativa dell�Unione in materia di appalti pubblici quando abbiano 
ad oggetto, come nel procedimento principale, prestazioni di ricerca che non appaiono 
incompatibili con i servizi menzionati nelle categorie 8 e 12 dell�allegato II A della direttiva 
2004/18. 
2I In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di 
sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se la [direttiva 2004/18], ed in particolare l�articolo 1, paragrafo 2, lettere a) e d), l�articolo 
2, l�articolo 28 e l�allegato II [A], categorie 8 e 12, ostino ad una disciplina nazionale 
che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
aggiudicatrici per lo studio e la valutazione della vulnerabilit� sismica di strutture ospedaliere 
da eseguirsi alla luce delle normative nazionali in materia di sicurezza delle strutture 
ed in particolare degli edifici strategici, verso un corrispettivo non superiore ai costi 
sostenuti per l�esecuzione della prestazione, ove l�amministrazione esecutrice possa rivestire 
la qualit� di operatore economico�. 
Sulla questione pregiudiziale 
22 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2004/18 
debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che autorizzi 
la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale due amministrazioni 
pubbliche istituiscono tra loro una cooperazione come quella di cui al procedimento 
principale. 
23 Preliminarmente, occorre osservare che l�applicazione della direttiva 2004/18 a un appalto 
pubblico � subordinata alla condizione che il valore stimato di quest�ultimo raggiunga 
la soglia stabilita all�articolo 7, lettera b), della direttiva medesima, tenendo conto 
del valore normale sul mercato dei lavori, delle forniture o dei servizi oggetto di tale 
appalto pubblico. In caso contrario, si applicano le norme fondamentali e i principi generali 
del Trattato FUE, segnatamente i principi della parit� di trattamento e di non discriminazione 
a motivo della nazionalit�, nonch� l�obbligo di trasparenza che ne deriva, 
purch� l�appalto in questione presenti un interesse transfrontaliero certo, tenuto conto, 
in particolare, della sua importanza e del luogo della sua esecuzione (v. in tal senso, in 
particolare, sentenza del 15 maggio 2008, SECAP e Santorso, C.147/06 e C.148/06, 
Racc. pag. I.3565, punti 20, 21 e 31 nonch� la giurisprudenza citata). 
24 Tuttavia, la circostanza che il contratto controverso nel procedimento principale possa 
rientrare, eventualmente, o nell�ambito di applicazione della direttiva 2004/18, o in 
quello delle norme fondamentali e dei principi generali del Trattato FUE non influisce 
sulla risposta da fornire alla questione sollevata. Infatti, i criteri enunciati nella giurisprudenza 
della Corte per valutare se il previo svolgimento di una gara sia o no obbligatorio 
rilevano sia per l�interpretazione di tale direttiva, sia per l�interpretazione di 
dette norme e principi del Trattato FUE (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, 
Sea, C.573/07, Racc. pag. I.8127, punti 35.37). 
25 Ci� precisato, si deve rilevare che, in conformit� all�articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 
2004/18, un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto tra un operatore economico 
e un�amministrazione aggiudicatrice, ed avente per oggetto la prestazione di servizi 
di cui all�allegato II A di tale direttiva, costituisce un appalto pubblico. 
26 Al riguardo, in primo luogo, � ininfluente la circostanza che tale operatore sia esso stesso 
un�amministrazione aggiudicatrice (v., in tal senso, sentenza del 18 novembre 1999, 
Teckal, C.107/98, Racc. pag. I.8121, punto 51). � inoltre indifferente che l�ente in questione 
non persegua un preminente scopo di lucro, che non abbia una struttura imprenditoriale, 
od anche che non assicuri una presenza continua sul mercato (v., in tal senso, 
sentenza CoNISMa, cit., punti 30 e 45). 
27 In tal senso, riguardo a soggetti quali le universit� pubbliche, la Corte ha dichiarato che 
a siffatti enti � in linea di principio consentito partecipare ad un procedimento di aggiudicazione 
di un appalto pubblico di servizi. Tuttavia, gli Stati membri possono disciplinare 
le attivit� di tali soggetti e, in particolare, autorizzarli o non autorizzarli ad operare 
sul mercato, tenuto conto dei loro fini istituzionali e statutari. Comunque, se e nei limiti 
in cui i suddetti soggetti siano autorizzati a offrire taluni servizi sul mercato, non pu�
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 31 
essere loro vietato di partecipare a una gara d�appalto avente ad oggetto i servizi in questione 
(v., in tal senso, sentenza CoNISMa, cit., punti 45, 48, 49 e 51). Orbene, nel caso 
di specie, il giudice del rinvio ha indicato che l�articolo 66, primo comma, del decreto 
del Presidente della Repubblica n. 382 dell�11 luglio 1980 autorizza espressamente le 
universit� pubbliche a fornire prestazioni di ricerca e consulenza a enti pubblici o privati, 
purch� tale attivit� non comprometta la loro funzione didattica. 
28 In secondo luogo, attivit� quali quelle costituenti l�oggetto del contratto in esame nel 
giudizio principale, pur potendo rientrare � come menzionato dal giudice del rinvio � 
nel campo della ricerca scientifica, ricadono, secondo la loro natura effettiva, nell�ambito 
dei servizi di ricerca e sviluppo di cui all�allegato II A, categoria 8, della direttiva 
2004/18, oppure nell�ambito dei servizi d�ingegneria e dei servizi affini di consulenza 
scientifica e tecnica indicati nella categoria 12 di tale allegato. 
29 In terzo luogo, come chiarito dall�avvocato generale ai paragrafi 32.34 delle sue conclusioni, 
e come risulta dal senso normalmente e abitualmente attribuito all�espressione 
�a titolo oneroso�, un contratto non pu� esulare dalla nozione di appalto pubblico per 
il solo fatto che la remunerazione in esso prevista sia limitata al rimborso delle spese 
sostenute per fornire il servizio convenuto. 
30 Salve le verifiche di competenza del giudice del rinvio, risulta che il contratto controverso 
nel procedimento principale presenta tutte le caratteristiche enunciate ai punti 
26.29 della presente sentenza. 
31 Emerge tuttavia dalla giurisprudenza della Corte che due tipi di appalti conclusi da enti 
pubblici non rientrano nell�ambito di applicazione del diritto dell�Unione in materia di 
appalti pubblici. 
32 Si tratta, in primo luogo, dei contratti di appalto stipulati da un ente pubblico con un 
soggetto giuridicamente distinto da esso, quando detto ente eserciti su tale soggetto un 
controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e, al contempo, il soggetto 
in questione realizzi la parte pi� importante della propria attivit� con l�ente o con gli 
enti che lo controllano (v., in tal senso, sentenza Teckal, cit., punto 50). 
33 � comunque assodato che tale eccezione non � applicabile in un contesto come quello 
di cui al procedimento principale, dal momento che dalla decisione di rinvio risulta che 
l�ASL non esercita alcun controllo sull�Universit�. 
34 In secondo luogo, si tratta dei contratti che istituiscono una cooperazione tra enti pubblici 
finalizzata a garantire l�adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a 
questi ultimi (v., in tal senso, sentenza del 9 giugno 2009, Commissione/Germania, 
C.480/06, Racc. pag. I.4747, punto 37). 
35 In tale ipotesi, le norme del diritto dell�Unione in materia di appalti pubblici non sono 
applicabili, a condizione che � inoltre � tali contratti siano stipulati esclusivamente tra 
enti pubblici, senza la partecipazione di una parte privata, che nessun prestatore privato 
sia posto in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti, e che la cooperazione 
da essi istituita sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento 
di obiettivi d�interesse pubblico (v., in tal senso, sentenza Commissione/Germania, 
cit., punti 44 e 47). 
36 Se � pur vero che, come rilevato dal giudice del rinvio, un contratto come quello controverso 
nel procedimento principale sembra soddisfare taluni dei criteri menzionati nei 
due precedenti punti della presente sentenza, un contratto siffatto pu� tuttavia esulare 
dall�ambito di applicazione del diritto dell�Unione in materia di appalti pubblici soltanto
32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
qualora soddisfi tutti i suddetti criteri. 
37 Al riguardo, dalle indicazioni contenute nella decisione di rinvio sembra risultare, in 
primo luogo, che tale contratto presenti un insieme di aspetti materiali corrispondenti 
in misura estesa, se non preponderante, ad attivit� che vengono generalmente svolte da 
ingegneri o architetti e che, se pur basate su un fondamento scientifico, non assomigliano 
ad attivit� di ricerca scientifica. Di conseguenza, contrariamente a quanto la Corte ha 
potuto constatare al punto 37 della citata sentenza Commissione/Germania, la funzione 
di servizio pubblico costituente l�oggetto della cooperazione tra enti pubblici istituita 
da detto contratto non sembra garantire l�adempimento di una funzione di servizio pubblico 
comune all�ASL e all�Universit�. 
38 In secondo luogo, il contratto controverso nel procedimento principale potrebbe condurre 
a favorire imprese private qualora tra i collaboratori esterni altamente qualificati cui, in 
base a detto contratto, l�Universit� � autorizzata a ricorrere per la realizzazione di talune 
prestazioni, fossero inclusi dei prestatori privati. 
39 Spetta tuttavia al giudice del rinvio provvedere a tutti gli accertamenti necessari a questo 
proposito. 
40 Alla questione sollevata occorre quindi rispondere dichiarando che il diritto dell�Unione 
in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, 
senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono 
tra loro una cooperazione, nel caso in cui � ci� che spetta al giudice del rinvio verificare 
� tale contratto non abbia il fine di garantire l�adempimento di una funzione di servizio 
pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze 
connesse al perseguimento di obiettivi d�interesse pubblico, oppure sia tale da 
porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti. 
Sulle spese 
41 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un 
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. 
Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono 
dar luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 
Il diritto dell�Unione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che 
autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti 
pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui � ci� che spetta al giudice 
del rinvio verificare � tale contratto non abbia il fine di garantire l�adempimento di una 
funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da 
considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d�interesse pubblico, 
oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai 
suoi concorrenti.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 33 
Una email per una breve riflessione: Il lavoro a tempo 
determinato e quello a tempo indeterminato sono la stessa cosa? 
(Corte di Giustizia, Sesta Sezione, sentenza 18 ottobre 2012, 
nelle cause riunite da C-302/11 a C-305/11) 
Da: Alessandro De Stefano [mailto:alessandro.destefano@avvocaturastato.it] 
Inviato: lun 29/10/2012 9.15 
A: Avvocati_tutti 
Oggetto: Il lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato sono la stessa 
cosa? 
Cari Colleghi, 
la lettura di alcuni recenti messaggi mediatici, riguardanti l�asserita debolezza 
delle nostre difese alla luce della sentenza della Corte di Giustizia 
U.E. del 18 ottobre u.s. in causa C-302/11, mi induce ad una breve riflessione, 
per l�ipotesi che la fragilit� sia insita piuttosto in certe soluzioni 
della giurisprudenza comunitaria. 
La questione controversa riguarda il riconoscimento dell�anzianit� maturata 
nel corso del rapporto a tempo determinato a favore del personale che - per 
un insperato beneficio di legge - � stato �stabilizzato� nei ruoli della p.A.. 
Con lunghe argomentazioni apparentemente logiche (ma forse paradossali), 
la Corte di Giustizia U.E. (in contrasto con precedenti sentenze del 
Consiglio di Stato e dei giudici ordinari), ha ritenuto che tale personale 
abbia diritto al riconoscimento dell�anzianit� pregressa perch�, altrimenti, 
si registrerebbe una discriminazione tra personale a tempo determinato e 
personale a tempo indeterminato, in contrasto con le direttive comunitarie 
emanate in materia. 
Secondo la Corte di Giustizia U.E., non avrebbe nessun rilievo il fatto 
che il personale a tempo indeterminato (a differenza di quello a tempo 
determinato) fosse stato assunto con regolare concorso, perch� la legge 
di stabilizzazione ha comunque equiparato il personale appartenente alle 
due categorie; inoltre, la diversit� di trattamento non potrebbe essere giustificata 
in base al diverso status delle due categorie di personale, ma solo 
dall�analisi oggettiva delle mansioni di fatto esercitate dai dipendenti che 
ad esse afferiscono; infine, la Corte non ritiene necessaria nessuna indagine 
sui profili inerenti alla legittimit� del termine apposto ai singoli contratti 
a tempo determinato. 
Mi sembra che l�iter argomentativo contenga queste premesse implicite 
e conduca alle seguenti conseguenze: 
a) il rapporto di lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato 
sono sostanzialmente la stessa cosa; 
b) le regole del concorso pubblico possono essere ordinariamente alterate
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
da una scelta legislativa che trasformi i rapporti precari in rapporti di ruolo; 
c) nel caso di trasformazione di un rapporto a tempo determinato in rapporto 
a tempo indeterminato, la ricongiunzione dei servizi prestati ed il 
riconoscimento dell�anzianit� pregressa spettano in ogni caso, a prescindere 
dalla legittimit� o dall�illegittimit� dell�apposizione del termine; 
d) i dipendenti a tempo determinato �stabilizzati� non ricevono un gratuito 
beneficio, ma sono piuttosto discriminati, nel caso in cui non conseguano 
anche il riconoscimento dell�anzianit� pregressa. 
Si tratta di verit� alle quali bisogna adeguarsi; ma personalmente continuo 
a nutrire qualche dubbio sulla loro fondatezza. 
Cari saluti. 
Alessandro De Stefano 
Corte di Giustizia, Sesta Sezione, sentenza 18 ottobre 2012 nelle cause riunite da C- 
302/11 a C-305/11 - Pres. ff. U. L�hmus, Rel. C.G. Fernlund, Avv. Gen. E. Sharpston - Domande 
di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell�articolo 267 TFUE, dal 
Consiglio di Stato, con decisioni del 29 aprile 2011. 
�Politica sociale � Direttiva 1999/70/CE . Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro 
a tempo determinato � Clausola 4 . Contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico 
� Autorit� nazionale della concorrenza � Procedura di stabilizzazione � Assunzione in 
ruolo, senza concorso pubblico, di lavoratori gi� in servizio a tempo determinato � Determinazione 
dell�anzianit� � Difetto assoluto di considerazione dei periodi di servizio compiuti 
nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato � Principio di non discriminazione� 
Sentenza 
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull�interpretazione delle clausole 4 e 
5 dell�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in 
prosieguo: l��accordo quadro�) e figurante quale allegato della direttiva 1999/70/CE 
del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all�accordo quadro CES, UNICE e CEEP 
sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43). 
2 Tali domande sono state presentate nell�ambito di controversie rispettivamente instaurate 
dalle sig.re Valenza, Altavista, Marsella, Schettini e Tomassini contro l�Autorit� Garante 
della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo: l��AGCM�), e aventi ad oggetto il rifiuto 
di quest�ultima di prendere in considerazione, ai fini della determinazione dell�anzianit� 
delle predette al momento della loro assunzione a tempo indeterminato, nell�ambito di 
una specifica procedura di stabilizzazione del loro rapporto di lavoro come dipendenti 
di ruolo, i periodi di servizio da esse precedentemente compiuti presso l�autorit� medesima 
nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato. 
Contesto normativo 
La normativa dell�Unione 
3 Risulta dal considerando 14 della direttiva 1999/70 � la quale si fonda sull�articolo 139, 
paragrafo 2, CE � che le parti contraenti dell�accordo quadro hanno inteso, mediante la
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 35 
conclusione dello stesso, migliorare la qualit� del lavoro a tempo determinato garantendo 
l�applicazione del principio di non discriminazione, e creare un quadro per la prevenzione 
degli abusi derivanti dall�utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di 
lavoro a tempo determinato. 
4 Ai sensi dell�articolo 1 della direttiva 1999/70, quest�ultima mira ad �attuare l�accordo 
quadro (...), che figura nell�allegato, concluso (...) fra le organizzazioni intercategoriali 
a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)�. 
5 L�articolo 2, primo e terzo comma, di detta direttiva cos� dispone: 
�Gli Stati membri mettono in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative 
necessarie per conformarsi alla presente direttiva al pi� tardi entro il 10 luglio 
2001 o si assicurano che, entro tale data, le parti sociali introducano le disposizioni necessarie 
mediante accordi. Gli Stati membri devono prendere tutte le disposizioni necessarie 
per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente 
direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione. 
(...) 
Quando gli Stati membri adottano le disposizioni di cui al primo [comma], queste contengono 
un riferimento alla presente direttiva o sono corredate da tale riferimento all�atto 
della loro pubblicazione ufficiale. Le modalit� di tale riferimento sono stabilite dagli 
Stati membri�. 
6 Ai sensi del suo articolo 3, la direttiva 1999/70 � entrata in vigore il 10 luglio 1999, 
data della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunit� europee. 
7 Ai sensi della clausola 1 dell�accordo quadro, l�obiettivo di quest�ultimo �: 
�a) migliorare la qualit� del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio 
di non discriminazione; 
b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall�utilizzo di 
una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato�. 
8 La clausola 2, punto 1, dell�accordo quadro � formulata come segue: 
�Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione 
o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla 
prassi in vigore di ciascuno Stato membro�. 
9 La clausola 3 dell�accordo quadro cos� recita: 
�1. Ai fini del presente accordo, il termine �lavoratore a tempo determinato� indica una 
persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro 
e il lavoratore e il cui termine � determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento 
di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi 
di un evento specifico. 
2. Ai fini del presente accordo, il termine �lavoratore a tempo indeterminato comparabile� 
indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata 
appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o 
simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze. 
In assenza di un lavoratore a tempo indeterminato comparabile nello stesso stabilimento, 
il raffronto si dovr� fare in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza 
di quest�ultimo, in conformit� con la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionali�. 
10 La clausola 4 dell�accordo quadro, intitolata �Principio di non discriminazione�, prescrive 
quanto segue: 
�1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non
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possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato 
comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, 
a meno che non sussistano ragioni oggettive. 
(...) 
4. I criteri del periodo di anzianit� di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro 
dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo 
indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianit� siano 
giustificati da motivazioni oggettive�. 
11 La clausola 5 dell�accordo quadro, intitolata �Misure di prevenzione degli abusi�, recita: 
�1. Per prevenire gli abusi derivanti dall�utilizzo di una successione di contratti o rapporti 
di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti 
sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti 
sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione 
degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici 
di lavoratori, una o pi� misure relative a: 
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; 
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; 
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. 
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse 
dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo 
determinato: 
a) devono essere considerati �successivi�; 
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato�. 
La normativa italiana 
12 L�articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana sancisce il principio della parit� 
di trattamento. 
13 Ai sensi dell�articolo 97 della suddetta Costituzione: 
�Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i 
casi stabiliti dalla legge�. 
14 L�articolo 1, comma 519, della legge del 27 dicembre 2006, n. 296, recante disposizioni 
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) 
(Supplemento ordinario alla GURI n. 299, del 27 dicembre 2006; in prosieguo: la �legge 
n. 296/2006�), cos� dispone: 
�Per l�anno 2007 una quota pari al 20 per cento del fondo di cui al comma 513 � destinata 
alla stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale in servizio a tempo 
determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito 
in virt� di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato 
in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla 
data di entrata in vigore della presente legge, che ne faccia istanza, purch� sia stato assunto 
mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. 
Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante 
procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive (�)�. 
15 Dalle informazioni fornite alla Corte dal governo italiano risulta che tale stabilizzazione, 
essendo realizzata tramite un provvedimento amministrativo adottato al termine di un 
procedimento previsto dalla legge, conferisce al suo beneficiario lo status di impiegato 
pubblico, che lo distingue cos� dal �lavoratore dipendente da una pubblica amministra-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 37 
zione� sulla base di un contratto di diritto privato. 
16 L�articolo 75, comma 2, del decreto.legge del 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni 
urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione 
della finanza pubblica e la perequazione tributaria (Supplemento ordinario 
alla GURI n. 147, del 25 giugno 2008), � cos� formulato: 
�Presso le (...) Autorit� [indipendenti] il trattamento economico del personale gi� interessato 
dalle procedure di cui all�articolo 1, comma 519 della legge [n. 296/2006] � determinato 
al livello iniziale e senza riconoscimento dell�anzianit� di servizio maturata 
nei contratti a termine o di specializzazione, senza maggiori spese e con l�attribuzione di 
un assegno �ad personam�, riassorbibile e non rivalutabile pari all�eventuale differenza 
tra il trattamento economico conseguito e quello spettante all�atto del passaggio in ruolo�. 
17 L�articolo 36 del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali 
sull�ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (Supplemento 
ordinario alla GURI n. 106, del 9 maggio 2001), dispone quanto segue: 
�1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni 
assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato 
seguendo le procedure di reclutamento previste dall�articolo 35. 
2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche 
possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale 
previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell�impresa, 
nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza 
delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessit� organizzative in coerenza 
con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali 
provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato (...). (...) 
(...) 
5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l�assunzione o l�impiego 
di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non pu� comportare la 
costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, 
ferma restando ogni responsabilit� e sanzione. Il lavoratore interessato 
ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione 
di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l�obbligo di recuperare le somme 
pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta 
a dolo o colpa grave. (...) 
(...) �. 
Procedimenti principali e questioni pregiudiziali 
18 A seguito di loro istanza di stabilizzazione presentata il 27 gennaio 2007 a norma della 
legge n. 296/2006, le ricorrenti nei procedimenti principali, che erano tutte alle dipendenze 
dell�AGCM nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in 
successione, sono state assunte dalla suddetta autorit� con contratto di lavoro a tempo 
indeterminato con collocamento in ruolo a partire dal 17 maggio 2007. 
19 Con deliberazione in data 17 luglio 2008, l�AGCM ha inquadrato le ricorrenti nei procedimenti 
principali, con effetto retroattivo dal 17 maggio 2007, nel livello iniziale della 
categoria retributiva che esse avevano conseguito al momento dell�instaurazione del 
pregresso rapporto a tempo determinato, senza riconoscere l�anzianit� acquisita in forza 
dei suddetti contratti a termine, e ha attribuito loro un assegno �ad personam� pari alla 
differenza tra il trattamento economico di cui godevano alla data del 17 maggio 2007 e
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
quello derivante dalla loro stabilizzazione. 
20 Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio � Sede di Roma ha respinto i ricorsi 
proposti dalle ricorrenti nei procedimenti principali avverso la suddetta deliberazione, 
segnatamente a motivo del fatto che la procedura di stabilizzazione consente una deroga 
alla regola del concorso pubblico, ma non anche il riconoscimento dell�anzianit� maturata 
durante l�attivit� a tempo determinato. 
21 Le ricorrenti nei procedimenti principali hanno interposto appello contro tale pronuncia 
dinanzi al Consiglio di Stato. A questo proposito, esse deducono una violazione della 
clausola 4 dell�accordo quadro, in ragione del fatto che il regime di stabilizzazione istituito 
dalla legge n. 296/2006 azzera l�anzianit� pregressa maturata durante l�attivit� a 
tempo determinato, malgrado che le mansioni svolte continuino ad essere le stesse e che 
vi sia stata un�abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato. 
22 Il Consiglio di Stato osserva che la normativa nazionale in questione nei procedimenti 
principali ha consentito l�assunzione diretta di lavoratori precari in deroga alla regola 
del pubblico concorso per l�accesso al pubblico impiego, ma con inquadramento in ruolo 
nel livello iniziale della categoria retributiva, senza conservazione dell�anzianit� maturata 
durante il rapporto a termine. 
23 Secondo il giudice remittente, il legislatore nazionale non ha inteso, con tale normativa, 
procedere alla regolarizzazione di assunzioni a tempo determinato a carattere illegittimo 
e abusivo mediante la conversione di contratti di lavoro a tempo determinato in rapporti 
di lavoro a tempo indeterminato, in ragione di un ricorso abusivo a tale tipo di contratti 
in violazione della clausola 5 dell�accordo quadro. Al contrario, il legislatore avrebbe 
ritenuto che l�anzianit� maturata nel periodo di lavoro a tempo determinato costituisse 
un titolo legittimante la creazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in deroga 
alla regola del concorso pubblico per l�accesso ai ruoli della pubblica amministrazione. 
In tale contesto, l�azzeramento dell�anzianit� sarebbe giustificato dalla necessit� 
di evitare una discriminazione alla rovescia in danno dei lavoratori gi� di ruolo, assunti 
a tempo indeterminato a seguito di un concorso pubblico. Infatti, se i beneficiari della 
stabilizzazione potessero mantenere la loro anzianit�, scavalcherebbero i lavoratori gi� 
di ruolo con minore anzianit�. 
24 Il Consiglio di Stato ricorda, inoltre, che nel pubblico impiego vige la regola del divieto 
di conversione di un contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto di lavoro a 
tempo indeterminato. Orbene, nell�ordinanza del 1� ottobre 2010, Affatato (C.3/10), la 
Corte avrebbe riconosciuto la legittimit� di tale divieto. 
25 Infine, il Consiglio di Stato sottolinea che, nella propria sentenza del 23 febbraio 2011, 
n. 1138, esso ha altres� escluso l�incompatibilit� della normativa controversa nei procedimenti 
principali con l�accordo quadro, a motivo del fatto che quest�ultimo vieta un 
trattamento deteriore del lavoratore a termine rispetto al lavoratore a tempo indeterminato 
soltanto in costanza del rapporto di lavoro a termine. Per contro, detto accordo quadro 
non impedirebbe di troncare il rapporto a termine alla scadenza stabilita e di 
costituire, in prosieguo, un nuovo rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza tener 
conto della pregressa anzianit�, in quanto si tratterebbe appunto di un nuovo rapporto. 
Pertanto, l�accordo quadro non sarebbe applicabile. Per giunta, il divieto di discriminazione 
del lavoratore a termine non potrebbe spingersi fino a imporre una discriminazione 
alla rovescia in danno del lavoratore a tempo indeterminato. Pertanto, si dovrebbe riconoscere 
che l�applicazione di criteri differenti ai lavoratori a tempo determinato e a quelli
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 
a tempo indeterminato � giustificata da motivazioni oggettive ai sensi della clausola 4, 
punto 4, dell�accordo quadro. 
26 Tuttavia, il Consiglio di Stato rileva che il Tribunale del lavoro di Torino, nella sua sentenza 
del 9 novembre 2009, n. 4148, ha ritenuto che il rispetto della clausola 4, punto 4, dell�accordo 
quadro esiga il mantenimento dell�anzianit� pregressa in caso di conversione di un 
rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 
Malgrado che tale pronuncia riguardasse circostanze differenti da quelle del caso di specie, 
ne risulterebbe, ad avviso del Consiglio di Stato, un contrasto interpretativo in ordine alla 
disposizione suddetta. Si delineerebbe dunque un dubbio quanto alla compatibilit� delle 
norme nazionali in questione nei procedimenti principali con il diritto dell�Unione. 
27 Sulla scorta di tali premesse, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento 
e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
�1) Se la previsione [della] clausola 4, [punto] 4, [dell�accordo quadro], secondo cui �[i] 
criteri del periodo di anzianit� di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro 
dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a 
tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianit� 
siano giustificati da motivazioni oggettive�, in combinato disposto con la clausola 5 
[del suddetto accordo], come gi� interpretata dalla Corte di giustizia, secondo cui � 
legittima la disciplina italiana che, nel pubblico impiego, vieta la conversione del contratto 
di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, osti alla disciplina 
nazionale della stabilizzazione dei precari (articolo 1, comma 519, della legge 
n. 296/2006) che ha consentito l�assunzione diretta a tempo indeterminato dei lavoratori 
gi� assunti a tempo determinato, in deroga alla regola del concorso pubblico, 
ma con azzeramento dell�anzianit� maturata durante il periodo di lavoro a tempo determinato, 
o se invece la perdita dall�anzianit�, prevista dal legislatore nazionale, rientri 
nella deroga per �motivazioni oggettive� da ravvisarsi nell�esigenza di evitare che 
l�immissione in ruolo dei precari avvenga a detrimento dei lavoratori gi� di ruolo, il 
che si determinerebbe se ai precari fosse conservata l�anzianit� pregressa. 
2) Se la citata previsione [della] clausola 4, [punto] 4, [dell�accordo quadro], secondo 
cui �[i] criteri del periodo di anzianit� di servizio relativi a particolari condizioni di 
lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli 
a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianit� 
siano giustificati da motivazioni oggettive�, in combinato disposto con la clausola 5 
[del suddetto accordo], come gi� interpretata dalla Corte di giustizia, secondo cui � 
legittima la disciplina italiana che, nel pubblico impiego, vieta la conversione del 
contratto di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, osti alla 
disciplina nazionale che, ferma restando la maturazione dell�anzianit� in costanza di 
rapporto di lavoro a termine, stabilisca di chiudere il contratto a termine e instaurare 
un nuovo contratto a tempo indeterminato, diverso dal precedente e senza conservazione 
della pregressa anzianit� (articolo 1, comma 519, della legge n. 296/2006)�. 
28 Con ordinanza del presidente della Corte del 20 luglio 2011, le cause da C.302/11 a 
C.305/11 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonch� 
della sentenza. 
Sulle questioni pregiudiziali 
29 Con le sue questioni, che occorre trattare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, 
in sostanza, se la clausola 4 dell�accordo quadro, letta in combinato disposto con la clau-
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
sola 5 del medesimo, debba essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, 
quale quella controversa nei procedimenti principali, la quale escluda totalmente 
che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze 
di un�autorit� pubblica siano presi in considerazione per determinare l�anzianit� del lavoratore 
stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa 
medesima autorit�, come dipendente di ruolo nell�ambito di una specifica procedura 
di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro. 
Sull�applicabilit� della clausola 4 dell�accordo quadro 
30 Il governo italiano sostiene che la clausola 4 dell�accordo quadro non � applicabile ai 
procedimenti principali. Infatti, tale disposizione si limiterebbe a vietare qualsiasi differenza 
di trattamento tra i lavoratori a tempo indeterminato e i lavoratori precari in costanza 
del rapporto di lavoro a termine. Orbene, i procedimenti principali non 
solleverebbero problemi attinenti alla comparazione tra queste due categorie di lavoratori, 
in quanto il precedente contratto di lavoro a tempo determinato sarebbe concepito 
dalla normativa nazionale controversa nei giudizi a quibus come un titolo legittimante 
per l�ottenimento di un contratto di lavoro a tempo indeterminato in deroga alla regola 
del concorso pubblico per l�accesso ai ruoli della pubblica amministrazione. Tale contratto 
di lavoro a tempo determinato costituirebbe dunque solo un presupposto per accedere 
alla speciale procedura finalizzata ad un�autonoma assunzione nell�ambito di un 
rapporto a tempo indeterminato del tutto sganciato dal precedente. La procedura di stabilizzazione 
avrebbe dunque come effetto non gi� la trasformazione o la conversione di 
contratti di lavoro a tempo determinato conclusi abusivamente in violazione della clausola 
5 dell�accordo quadro in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, bens� la creazione 
di un nuovo rapporto di lavoro comportante l�obbligo di sostenere un periodo di prova. 
Parallelamente, tale stabilizzazione porrebbe fine al rapporto di lavoro a tempo determinato, 
con conseguente obbligo di definire tutte le situazioni pendenti e di procedere, 
in particolare, alla liquidazione del trattamento di fine rapporto nonch� alla monetizzazione 
dei giorni di ferie non goduti. 
31 Mediante tale argomentazione, che ricalca per l�essenziale la valutazione compiuta dal 
Consiglio di Stato nelle odierne ordinanze di rinvio nonch� nella sua sentenza del 23 
febbraio 2011, n. 1138, il governo italiano fa dunque valere, in sostanza, che la clausola 
4 dell�accordo quadro � inapplicabile in situazioni quali quelle oggetto dei procedimenti 
principali, in quanto la differenza di trattamento lamentata dalle ricorrenti nei giudizi a 
quibus, che dal 17 maggio 2007 sono legate all�AGCM da un contratto di lavoro a tempo 
indeterminato, sussiste rispetto ad altri lavoratori a tempo indeterminato. 
32 A tale proposito occorre rammentare che, ai sensi della clausola 2, punto 1, dell�accordo 
quadro, quest�ultimo si applica ai lavoratori a tempo determinato aventi un contratto o 
un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore 
di ciascuno Stato membro (sentenza dell�8 settembre 2011, Rosado Santana, 
C.177/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 39). 
33 La Corte ha gi� statuito che la direttiva 1999/70 e l�accordo quadro trovano applicazione 
nei confronti di tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell�ambito di un 
rapporto di lavoro a tempo determinato che li lega al loro datore di lavoro (sentenze del 
13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, C.307/05, Racc. pag. I.7109, punto 28, e Rosado 
Santana, cit., punto 40). 
34 Il semplice fatto che le ricorrenti nei procedimenti principali abbiano acquisito la qualit�
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 
di lavoratrici a tempo indeterminato non esclude la possibilit� per loro di avvalersi, in determinate 
circostanze, del principio di non discriminazione enunciato nella clausola 4 dell�accordo 
quadro (v. sentenza Rosado Santana, cit., punto 41, nonch�, in tal senso, sentenza 
dell�8 marzo 2012, Huet, C.251/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 37). 
35 Infatti, nei procedimenti principali, le ricorrenti mirano essenzialmente, nella loro qualit� 
di lavoratrici a tempo indeterminato, a mettere in discussione una differenza di trattamento 
applicata nel valutare l�anzianit� e l�esperienza professionale pregresse ai fini 
di una procedura di assunzione al termine della quale esse sono divenute dipendenti di 
ruolo. Mentre i periodi di servizio compiuti in qualit� di lavoratori a tempo indeterminato 
verrebbero presi in considerazione ai fini della determinazione dell�anzianit� e dunque 
per la fissazione del livello della retribuzione, quelli effettuati in qualit� di lavoratori a 
tempo determinato non lo sarebbero, senza che, a loro avviso, vengano esaminate la natura 
delle mansioni svolte e le caratteristiche inerenti a queste ultime. Poich� la discriminazione 
contraria alla clausola 4 dell�accordo quadro, di cui le ricorrenti nei 
procedimenti principali si asseriscono vittime, riguarda i periodi di servizio compiuti in 
qualit� di lavoratrici a tempo determinato, nessun rilievo presenta la circostanza che 
esse nel frattempo siano divenute lavoratrici a tempo indeterminato (v., in tal senso, sentenza 
Rosado Santana, cit., punto 42). 
36 Inoltre, occorre rilevare che la clausola 4 dell�accordo quadro prevede, al punto 4, che i 
criteri del periodo di anzianit� di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro debbano 
essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato che per i lavoratori a tempo indeterminato, 
salvo quando criteri differenti siano giustificati da ragioni oggettive. Non risulta 
n� dal testo di detta disposizione, n� dal contesto in cui questa si colloca, che essa cessi di 
essere applicabile una volta che il lavoratore interessato abbia acquisito lo status di lavoratore 
a tempo indeterminato. Infatti, gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 1999/70 e dall�accordo 
quadro, diretti sia a vietare le discriminazioni, sia a prevenire gli abusi risultanti 
dal ricorso a contratti o a rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, 
depongono in senso contrario (sentenza Rosado Santana, cit., punto 43). 
37 Escludere a priori l�applicazione dell�accordo quadro in situazioni come quelle di cui 
ai procedimenti principali significherebbe limitare � in spregio all�obiettivo assegnato 
a detta clausola 4 � l�ambito della protezione concessa ai lavoratori interessati contro le 
discriminazioni e porterebbe ad un�interpretazione indebitamente restrittiva di tale clausola, 
contraria alla giurisprudenza della Corte (sentenza Rosado Santana, cit., punto 44 
e la giurisprudenza ivi citata). 
38 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rilevare che, contrariamente all�interpretazione 
sostenuta dal governo italiano, nulla osta all�applicabilit� della clausola 
4 dell�accordo quadro alle controversie oggetto dei procedimenti principali. 
Sull�interpretazione della clausola 4 dell�accordo quadro 
39 Occorre ricordare che la clausola 4, punto 1, dell�accordo quadro vieta che, per quanto 
riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato siano trattati in modo 
meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di 
avere un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che un diverso 
trattamento non sia giustificato da ragioni oggettive. Il punto 4 di tale clausola enuncia 
il medesimo divieto per quanto riguarda i criteri del periodo di anzianit� di servizio relativi 
a particolari condizioni di lavoro (sentenza Rosado Santana, cit., punto 64). 
40 Secondo una costante giurisprudenza, il principio di non discriminazione impone che
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
situazioni comparabili non siano trattate in modo differente e che situazioni differenti 
non siano trattate in modo identico, a meno che un tale trattamento non sia oggettivamente 
giustificato (sentenza Rosado Santana, cit., punto 65 e la giurisprudenza ivi citata). 
41 Occorre dunque, anzitutto, esaminare la comparabilit� delle situazioni in esame e poi, 
in un secondo momento, verificare l�esistenza di un eventuale giustificazione oggettiva. 
Sulla comparabilit� delle situazioni in esame 
42 Per stabilire se le persone interessate esercitino un lavoro identico o simile ai sensi dell�accordo 
quadro, occorre, in conformit� alle clausole 3, punto 2, e 4, punto 1, di quest�ultimo, 
verificare se, tenuto conto di un insieme di fattori, quali la natura del lavoro, 
le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, sia possibile ritenere che tali 
persone si trovino in situazioni comparabili (ordinanza del 18 marzo 2011, Montoya 
Medina, C.273/10, punto 37; sentenza Rosado Santana, cit., punto 66, e ordinanza del 
9 febbraio 2012, Lorenzo Mart�nez, C.556/11, punto 43). 
43 Spetta, in linea di principio, al giudice del rinvio verificare se le ricorrenti nei procedimenti 
principali, allorch� esercitavano le loro funzioni presso l�AGCM nell�ambito di un contratto 
di lavoro a tempo determinato, si trovassero in una situazione comparabile a quella 
dei dipendenti di ruolo assunti a tempo indeterminato da questa stessa autorit� (v. sentenza 
Rosado Santana, cit., punto 67, e ordinanza Lorenzo Mart�nez, cit., punto 44). 
44 Infatti, la natura delle funzioni espletate dalle ricorrenti nei procedimenti principali durante 
gli anni nei quali hanno lavorato presso gli uffici dell�AGCM nell�ambito di contratti 
di lavoro a tempo determinato, nonch� la qualit� dell�esperienza da esse acquisita 
a tale titolo, non costituiscono soltanto uno dei fattori atti a giustificare oggettivamente 
una differenza di trattamento rispetto ai dipendenti di ruolo. Esse rientrano altres� nel 
novero dei criteri che permettono di verificare se le interessate si trovino in una situazione 
comparabile a quella di detti dipendenti di ruolo (v., in tal senso, sentenza Rosado 
Santana, cit., punto 69). 
45 Nella specie, consta che le ricorrenti nei procedimenti principali, beneficiarie della procedura 
di stabilizzazione, non hanno superato � a differenza dei dipendenti di ruolo � il 
concorso pubblico per l�accesso ai ruoli della pubblica amministrazione. Tuttavia, come 
giustamente sostenuto dalla Commissione, tale circostanza non pu� implicare che dette 
ricorrenti si trovino in una situazione differente, dal momento che le condizioni per la 
stabilizzazione fissate dal legislatore nazionale nella normativa controversa nei procedimenti 
principali, le quali concernono rispettivamente la durata del rapporto di lavoro 
a tempo determinato e il requisito dell�essere stati assunti a tale scopo mediante una 
procedura di selezione concorsuale o comunque prevista dalla legge, mirano appunto a 
consentire la stabilizzazione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione 
pu� essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo. 
46 Quanto alla natura delle funzioni esercitate nelle fattispecie all�esame del giudice nazionale, 
non risulta chiaramente dai fascicoli a disposizione della Corte quali fossero le 
funzioni svolte dalle ricorrenti nei procedimenti principali durante gli anni nei quali 
hanno lavorato presso l�AGCM nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, 
n� quale fosse la relazione intercorrente tra tali funzioni e quelle affidate alle medesime 
ricorrenti in veste di dipendenti di ruolo. 
47 Tuttavia, nelle loro osservazioni scritte presentate alla Corte, le ricorrenti nei procedimenti 
principali fanno valere � come rilevato anche dalla Commissione � che le funzioni 
da esse esercitate in veste di dipendenti di ruolo all�esito della procedura di stabilizza-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 
zione sono identiche a quelle precedentemente esercitate nell�ambito di contratti di lavoro 
a tempo determinato. Inoltre, risulta dai chiarimenti dello stesso governo italiano 
in merito alla ragion d�essere della normativa nazionale controversa nei procedimenti 
principali che quest�ultima, assicurando l�assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori 
impiegati in precedenza a tempo determinato, mira a valorizzare l�esperienza acquisita 
da questi ultimi in seno all�AGCM. Tuttavia, spetta al giudice del rinvio effettuare 
le necessarie verifiche al riguardo. 
48 Nell�ipotesi in cui le funzioni esercitate dalle ricorrenti nei procedimenti principali 
presso l�AGCM nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato non corrispondessero 
a quelle svolte da un dipendente di ruolo inquadrato nella pertinente categoria 
retributiva di tale autorit�, la lamentata differenza di trattamento riguardante la presa in 
considerazione dei periodi di servizio al momento dell�assunzione delle ricorrenti nei 
procedimenti principali quali dipendenti di ruolo non sarebbe contraria alla clausola 4 
dell�accordo quadro, dal momento che tale differenza di trattamento sarebbe correlata 
a situazioni differenti (v., per analogia, sentenza Rosado Santana, punto 68). 
49 Per contro, nell�ipotesi in cui le funzioni esercitate dalle ricorrenti nei procedimenti 
principali presso l�AGCM nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato corrispondessero 
a quelle svolte da un dipendente di ruolo rientrante nella pertinente categoria 
retributiva di detta autorit�, sarebbe necessario verificare se esista una ragione 
oggettiva che giustifichi la totale mancanza di presa in considerazione dei periodi di 
servizio maturati nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato al momento 
dell�assunzione di dette ricorrenti quali dipendenti di ruolo e, dunque, del loro collocamento 
in ruolo (v., in tal senso, sentenza Rosado Santana, cit., punto 71). 
Sull�esistenza di una giustificazione oggettiva 
50 Secondo una costante giurisprudenza della Corte, la nozione di �ragioni oggettive� ai 
sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell�accordo quadro dev�essere intesa nel senso che 
essa non consente di giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo 
determinato e i lavoratori a tempo indeterminato con il fatto che tale differenza � prevista 
da una norma nazionale generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo 
(sentenze Del Cerro Alonso, cit., punto 57, e del 22 dicembre 2010, Gavieiro Gavieiro 
e Iglesias Torres, C.444/09 e C.456/09, Racc. pag. I.14031, punto 54; ordinanza Montoya 
Medina, cit., punto 40; sentenza Rosado Santana, cit., punto 72, nonch� ordinanza 
Lorenzo Mart�nez, cit., punto 47). 
51 La nozione suddetta esige che la disparit� di trattamento constatata sia giustificata dall�esistenza 
di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono la condizione di lavoro 
in questione, nel particolare contesto in cui essa si colloca e in base a criteri oggettivi e 
trasparenti, al fine di verificare se detta disparit� risponda ad un reale bisogno, sia idonea 
a conseguire l�obiettivo perseguito e sia necessaria a tal fine. I suddetti elementi possono 
risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle mansioni per l�espletamento delle 
quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti 
alle mansioni stesse o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalit� di politica 
sociale di uno Stato membro (v., in particolare, citate sentenze Del Cerro Alonso, 
punti 53 e 58, e Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, punto 55; ordinanza Montoya Medina, 
cit., punto 41; sentenza Rosado Santana, cit., punto 73, nonch� ordinanza Lorenzo 
Mart�nez, cit., punto 48). 
52 Il richiamo alla mera natura temporanea del lavoro del personale della pubblica ammi-
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
nistrazione non � conforme ai suddetti requisiti e non pu� dunque configurare una �ragione 
oggettiva� ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell�accordo quadro. Infatti, 
ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti a giustificare 
una differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato 
svuoterebbe di ogni sostanza gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell�accordo 
quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione 
svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato (sentenza Gavieiro Gavieiro e Iglesias 
Torres, cit., punti 56 e 57; ordinanza Montoya Medina, cit., punti 42 e 43; sentenza Rosado 
Santana, cit., punto 74, nonch� ordinanza Lorenzo Mart�nez, cit., punti 49 e 50). 
53 Nel caso di specie, per giustificare la differenza di trattamento lamentata nei procedimenti 
principali, il governo italiano fa valere l�esistenza di svariate differenze oggettive 
tra i dipendenti di ruolo e i lavoratori a tempo determinato successivamente assunti come 
dipendenti di ruolo. 
54 Detto governo sottolinea, anzitutto, che tale assunzione nell�ambito della disciplina cosiddetta 
�di stabilizzazione� si realizza attraverso un procedimento che non presenta gli 
elementi caratteristici della procedura di concorso e che pertanto, in quanto deroga alle 
normali procedure di assunzione, non pu� costituire una valida ragione per la concessione 
di un trattamento superiore a quello previsto per il livello iniziale della categoria 
retributiva applicabile ai dipendenti di ruolo. 
55 Poi, il governo italiano fa valere che la disciplina suddetta, concependo l�anzianit� acquisita 
nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato come un presupposto per 
beneficiare della stabilizzazione e non come un elemento valutabile nell�ambito del 
nuovo rapporto di lavoro a tempo indeterminato, trova la propria giustificazione nella 
necessit� di evitare una discriminazione alla rovescia in danno dei dipendenti di ruolo 
gi� collocati nel ruolo stesso. Infatti, se i lavoratori stabilizzati potessero conservare 
detta anzianit�, la loro immissione in ruolo avverrebbe a discapito dei lavoratori gi� in 
ruolo, assunti a tempo indeterminato a seguito di pubblico concorso, ma con minore anzianit� 
di servizio. Questi ultimi si troverebbero infatti inquadrati in ruolo ad un livello 
inferiore a quello dei beneficiari della stabilizzazione. 
56 Infine, il governo italiano sottolinea che la presa in considerazione dell�anzianit� acquisita 
in virt� di contratti di lavoro a tempo determinato si porrebbe in contrasto, da un 
lato, con l�articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana, letto nel senso di vietare 
che a situazioni maggiormente meritevoli sia applicato un trattamento deteriore, e, 
dall�altro, con l�articolo 97 della medesima Costituzione, il quale prevede che il concorso 
pubblico � quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei pi� capaci 
sulla base del criterio del merito � costituisca la forma generale e ordinaria di reclutamento 
per le pubbliche amministrazioni allo scopo di soddisfare le esigenze di imparzialit� 
e di efficienza dell�azione amministrativa. 
57 A questo proposito, occorre ricordare che gli Stati membri, in considerazione del margine 
di discrezionalit� di cui dispongono per quanto riguarda l�organizzazione delle loro amministrazioni 
pubbliche, possono, in linea di principio, senza violare la direttiva 1999/70 
o l�accordo quadro, stabilire le condizioni per l�accesso alla qualifica di dipendente di 
ruolo nonch� le condizioni di impiego di tali dipendenti di ruolo, in particolare qualora 
costoro fossero in precedenza impiegati da dette amministrazioni nell�ambito di contratti 
di lavoro a tempo determinato (v., in tal senso, sentenza Rosado Santana, cit., punto 76). 
58 Pertanto, come sottolineato dalla Commissione in udienza, l�esperienza professionale
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 45 
dei lavoratori a tempo determinato, rispecchiata dai periodi di servizio da essi compiuti 
presso l�amministrazione pubblica nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, 
pu� costituire � cos� come previsto dalla normativa oggetto dei procedimenti principali, 
che subordina la stabilizzazione, segnatamente, al compimento di un periodo di 
servizio di tre anni nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato � un criterio 
di selezione ai fini di una procedura di assunzione come dipendente di ruolo. 
59 Tuttavia, nonostante tale margine di discrezionalit�, l�applicazione dei criteri che gli 
Stati membri stabiliscono deve essere effettuata in modo trasparente e deve poter essere 
controllata al fine di impedire qualsiasi trattamento deteriore dei lavoratori a tempo determinato 
sulla sola base della durata dei contratti o dei rapporti di lavoro che giustificano 
la loro anzianit� e la loro esperienza professionale (v. sentenza Rosado Santana, 
cit., punto 77). 
60 A questo proposito, occorre riconoscere che talune differenze invocate dal governo italiano 
riguardanti l�assunzione dei lavoratori impiegati a tempo determinato nell�ambito di procedure 
di stabilizzazione quali quelle oggetto dei procedimenti principali rispetto ai dipendenti 
di ruolo assunti al termine di un concorso pubblico, nonch� concernenti le 
qualifiche richieste e la natura delle mansioni di cui i predetti devono assumere la responsabilit�, 
potrebbero, in linea di principio, giustificare una diversit� di trattamento quanto 
alle loro condizioni di impiego (v., in tal senso, sentenza Rosado Santana, cit., punto 78). 
61 Qualora tale trattamento differenziato derivi dalla necessit� di tener conto di esigenze 
oggettive attinenti all�impiego che deve essere ricoperto mediante la procedura di assunzione 
e che sono estranee alla durata determinata del rapporto di lavoro che intercorre 
tra il lavoratore e il suo datore di lavoro, detto trattamento pu� essere giustificato ai 
sensi della clausola 4, punto 1 e/o 4, dell�accordo quadro (v., in tal senso, sentenza Rosado 
Santana, cit., punto 79). 
62 Nella specie, per quanto riguarda l�asserito obiettivo consistente nell�evitare il prodursi 
di discriminazioni alla rovescia in danno dei dipendenti di ruolo assunti a seguito del 
superamento di un concorso pubblico, occorre osservare che tale obiettivo, pur potendo 
costituire una �ragione oggettiva� ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell�accordo 
quadro, non pu� comunque giustificare una normativa nazionale sproporzionata quale 
quella in questione nei procedimenti principali, la quale esclude totalmente e in ogni 
circostanza la presa in considerazione di tutti i periodi di servizio compiuti da lavoratori 
nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato ai fini della determinazione della 
loro anzianit� in sede di assunzione a tempo indeterminato e, dunque, del loro livello di 
retribuzione. Infatti, una siffatta esclusione totale e assoluta � intrinsecamente fondata 
sulla premessa generale secondo cui la durata indeterminata del rapporto di lavoro di 
alcuni dipendenti pubblici giustifica di per s� stessa una diversit� di trattamento rispetto 
ai dipendenti pubblici assunti a tempo determinato, svuotando cos� di sostanza gli obiettivi 
della direttiva 1999/70 e dell�accordo quadro. 
63 Quanto alla circostanza ribadita in udienza dal governo italiano, secondo cui, nell�ordinamento 
nazionale, la procedura di stabilizzazione instaura un nuovo rapporto di lavoro, 
occorre ricordare che, indubbiamente, l�accordo quadro non fissa le condizioni alle quali 
� consentito fare ricorso ai contratti di lavoro a tempo indeterminato e non � finalizzato 
ad armonizzare l�insieme delle norme nazionali relative ai contratti di lavoro a tempo 
determinato. Infatti, detto accordo quadro mira unicamente, mediante la fissazione di 
principi generali e di prescrizioni minime, a istituire un quadro generale per garantire la
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
parit� di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, 
e a prevenire gli abusi derivanti dall�utilizzo di una successione di rapporti di lavoro 
o di contratti di lavoro a tempo determinato (v. sentenza Huet, cit., punti 40 e 41 
nonch� la giurisprudenza ivi citata). 
64 Tuttavia, il potere riconosciuto agli Stati membri per definire il contenuto delle loro 
norme nazionali riguardanti i contratti di lavoro non pu� spingersi fino a consentire loro 
di rimettere in discussione l�obiettivo o l�effetto utile dell�accordo quadro (v., in tal 
senso, sentenza Huet, cit., punto 43 e la giurisprudenza ivi citata). 
65 Orbene, il principio di non discriminazione enunciato nella clausola 4 dell�accordo quadro 
sarebbe privato di qualsiasi contenuto se il semplice fatto che un rapporto di lavoro 
sia nuovo in base al diritto nazionale fosse idoneo a configurare una �ragione oggettiva� 
ai sensi della clausola suddetta, atta a giustificare una diversit� di trattamento, quale 
quella lamentata nei procedimenti principali, riguardante la presa in considerazione � 
al momento dell�assunzione a tempo indeterminato, da parte di un�autorit� pubblica, di 
lavoratori a tempo determinato � dell�anzianit� acquisita da questi ultimi presso tale autorit� 
nell�ambito dei loro contratti di lavoro a termine. 
66 Per contro, occorre prendere in considerazione la natura particolare delle mansioni svolte 
dalle ricorrenti nei procedimenti principali. 
67 A questo proposito bisogna riconoscere che, se nell�ambito della presente causa fosse 
dimostrato � conformemente alle deduzioni in tal senso svolte dalle ricorrenti nei procedimenti 
principali, rammentate al punto 47 della presente sentenza � che le funzioni 
svolte da queste ultime in veste di dipendenti di ruolo sono identiche a quelle che esse 
esercitavano in precedenza nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, e se 
fosse vero che, come sostenuto dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, la 
normativa nazionale in questione mira a valorizzare l�esperienza acquisita dai dipendenti 
con contratto a termine in seno all�AGCM, simili elementi potrebbero suggerire che la 
mancata presa in considerazione dei periodi di servizio compiuti dai lavoratori a tempo 
determinato � in realt� giustificata soltanto dalla durata dei loro contratti di lavoro e, di 
conseguenza, che la diversit� di trattamento in esame nei procedimenti principali non � 
basata su giustificazioni correlate alle esigenze oggettive degli impieghi interessati dalla 
procedura di stabilizzazione che possano essere qualificate come �ragioni oggettive� ai 
sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell�accordo quadro. 
68 Spetta per� al giudice del rinvio, nei procedimenti a quibus, da un lato, verificare se la 
situazione delle ricorrenti di tali procedimenti fosse, con riguardo ai periodi di servizio 
da esse compiuti nell�ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, comparabile a 
quella di un altro dipendente dell�AGCM che avesse svolto i propri periodi di servizio 
in qualit� di dipendente di ruolo nelle pertinenti categorie di funzioni, e, dall�altro, valutare, 
alla luce della giurisprudenza richiamata ai punti 50.52 della presente sentenza, 
se taluni degli argomenti presentati dall�AGCM dinanzi a esso giudice di rinvio costituiscano 
�ragioni oggettive� ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell�accordo quadro 
(sentenza Rosado Santana, cit., punto 83). 
69 Dato che la clausola 5 dell�accordo quadro � priva di rilevanza al riguardo, e che inoltre 
le ordinanze di rinvio non forniscono alcuna informazione concreta e precisa in merito 
ad un eventuale utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, 
non vi � luogo � cos� come sostenuto dalle ricorrenti nei procedimenti principali 
� per pronunciarsi in merito all�interpretazione della clausola suddetta. 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 47 
70 Occorre infine ricordare che la clausola 4 dell�accordo quadro � incondizionata e sufficientemente 
precisa per poter essere invocata dai singoli nei confronti dello Stato dinanzi 
ad un giudice nazionale a partire dalla data di scadenza del termine concesso agli 
Stati membri per realizzare la trasposizione della direttiva 1999/70 (v., in tal senso, sentenza 
Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, cit., punti 78.83, 97 e 98; ordinanza Montoya 
Medina, cit., punto 46, nonch� sentenza Rosado Santana, cit., punto 56). 
71 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate 
dichiarando che la clausola 4 dell�accordo quadro, figurante quale allegato della direttiva 
1999/70, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, 
quale quella controversa nei procedimenti principali, la quale escluda totalmente che i 
periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di 
un�autorit� pubblica siano presi in considerazione per determinare l�anzianit� del lavoratore 
stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa 
medesima autorit�, come dipendente di ruolo nell�ambito di una specifica procedura di 
stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata 
da �ragioni oggettive� ai sensi dei punti 1 e/o 4 della clausola di cui sopra. Il semplice 
fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio 
sulla base di un contratto o di un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura 
una ragione oggettiva di tal genere. 
Sulle spese 
72 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un 
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. 
Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono 
dar luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara: 
La clausola 4 dell�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 
marzo 1999 e figurante quale allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 
28 giugno 1999, relativa all�accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a 
tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa 
nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, la quale 
escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato 
alle dipendenze di un�autorit� pubblica siano presi in considerazione 
per determinare l�anzianit� del lavoratore stesso al momento della sua assunzione 
a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorit�, come dipendente di 
ruolo nell�ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di 
lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da �ragioni oggettive� ai sensi 
dei punti 1 e/o 4 della clausola di cui sopra. Il semplice fatto che il lavoratore a 
tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un 
contratto o di un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione 
oggettiva di tal genere.
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/ 2012 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Stefano 
Varone, AL 25896/12) in relazione alla causa C-234/12 avente ad oggetto 
domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell�art. 267 TFUE, dal 
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II, con l�ordinanza n. 
3639/12. 
Materia: Libert� di stabilimento e libera prestazione dei servizi 
Diritto di stabilimento 
Libera circolazione dei servizi 
INDICE 
1. Le questioni pregiudiziali proposte 
2. Contesto fattuale 
3. Normativa comunitaria 
4. Normativa nazionale 
5. Sulla questione n. 1. Infondatezza 
6. Sulla questione n. 2. Infondatezza 
7. Conclusioni 
LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI PROPOSTE 
1) �Se l'art. 4 della direttiva 2010/13/UE, il principio generale di eguaglianza 
e le regole del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea 
in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento, e 
di libera circolazione dei capitali, debbano essere interpretati nel senso 
che ostano alla disciplina contenuta nell'art. 38, comma 5, d.lgs. n. 
177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi� 
bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti 
in chiaro�; 
2) �Se l'art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, 
interpretato alla luce dell'art. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia 
dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali, e della giurisprudenza 
della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ed in particolare 
il principio del pluralismo dell'informazione, ostino alla disciplina contenuta 
nell'art. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005 la quale prescrive limiti 
orari di affollamento pubblicitario pi� bassi per le emittenti a pagamento 
rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro introducendo una distorsione 
concorrenziale e favorendo la creazione, ovvero il potenzia- 
I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 49 
mento, di posizioni dominanti nel mercato della pubblicit� televisiva�. 
CONTESTO FATTUALE 
Nel giudizio a quo, SKY Italia s.r.l. ha adito il Tar per il Lazio al fine di 
ottenere l�annullamento della delibera n. 233/11/CSP dell�Autorit� per le 
Garanzie nelle Comunicazioni, recante �Ordinanza - ingiunzione alla Societ� 
SKY Italia s.r.l. (emittente satellitare a pagamento Sky Sport 1) per 
la violazione dell'art. 38, comma 5, del decreto legislativo 31 luglio 2005, 
n. 177�, pubblicata sul sito web dell'Autorit� in data 26 settembre 2011 
e notificata alla medesima Sky Italia s.r.l. in pari data. 
Con il suddetto provvedimento, l�Autorit� per le Garanzie nelle comunicazioni 
ha accertato la violazione da parte di Sky dell�art. 38, comma 5, 
del d.lgs. n. 177/2005, in relazione al superamento dei limiti di affollamento 
pubblicitario avvenuto in data 5 marzo 2011, nella fascia oraria 21 - 22. 
In particolare, Sky Sport 1, nelle suddette date e fascia oraria, ha trasmesso 
24 spot pubblicitari, per una durata di 10 minuti e 4 secondi, pari 
ad una percentuale oraria del 16,78% (ridotta al 16,44% mediante la detrazione 
dei c.d. frames neri). 
La norma summenzionata, come modificata dal d.lgs. 10 marzo 2010, n. 
44 prevede, infatti, che la trasmissione di spot pubblicitari televisivi da 
parte di emittenti a pagamento (come la ricorrente), non pu� eccedere 
�per l�anno 2010 il 16%, per l�anno 2011 il 14%, e, a decorrere dall�anno 
2012, il 12% di una determinata e distinta ora d�orologio; una eventuale 
eccedenza, comunque non superiore al 2% nel corso dell�ora, deve essere 
recuperata nell�ora antecedente o successiva�. 
A riguardo, Sky ha contestato la legittimit� del suddetto provvedimento 
sia sul piano della conformit� al diritto dell�Unione Europea che per violazione 
dei limiti della delega conferita dalla l. n. 88 del 2009 (legge comunitaria), 
con conseguente contrasto del nuovo testo dell�art. 38, comma 
5, rispetto all�art. 76 della Costituzione. 
Il giudice adito, a pag. 18 dell�ordinanza de qua, ha rilevato come l�art. 
38, comma 5, del d.lgs. 10 marzo 2010, n. 44, �sia norma introdotta in 
attuazione della delega conferita al Governo dall�art. 1 della legge comunitaria 
2008 (l. 7 luglio 2009, n. 88), ai fini, per quanto qui interessa, 
dell�attuazione della direttiva 2007/65/CE del Parlamento europeo e del 
Consiglio, dell�11 dicembre 2007, recante modifiche alla direttiva 
89/552/CEE del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri 
concernenti l�esercizio delle attivit� televisive�. 
Dunque, prosegue il TAR, �la delega contenuta nella legge comunitaria 
2009, come d�uso ai fini del recepimento di direttive comunitarie, si limita 
a richiamare i principi contenuti nelle direttive stesse, ulteriormente sog-
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
giungendo che �all�attuazione di direttive che modificano precedenti direttive 
gi� attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione 
non comporta ampliamento della materia regolata, apportando 
le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione 
della direttiva modificata� e che �nella predisposizione dei decreti 
legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunitarie 
comunque intervenute fino al momento dell�esercizio della delega� 
(art. 2, comma 1, e lett. e) ed f) dello stesso comma, l. n. 88/2009, cit.�)�. 
Pertanto, il Collegio ha ritenuto che: �al fine di stabilire se la disciplina 
di cui si verte rientri nel �fuoco� della delega legislativa, sia necessario 
rimettere alla Corte di Giustizia dell�Unione Europea, ai sensi dell�art. 
267 del Trattato sul Funzionamento dell�Unione Europea, le questioni interpretative 
oggetto del presente giudizio. 
NORMATIVA COMUNITARIA 
In relazione al quesito n.1: 
- L�art. 4 della direttiva 2010/13/UE del Parlamento e del Consiglio Europeo 
sui servizi media audiovisivi, dispone che: �Gli Stati membri conservano 
la facolt� di richiedere ai fornitori di servizi di media soggetti 
alla loro giurisdizione di rispettare norme pi� particolareggiate o pi� rigorose 
nei settori coordinati dalla presente direttiva, purch� tali norme 
siano conformi al diritto dell�Unione�. 
- L�art. 20 della Carta dei Diritti Fondamentali dell�Unione Europea dispone 
che: �Tutte le persone sono uguali davanti alla legge�. 
- L�articolo 49 del Trattato sul Funzionamento dell�Unione Europea (da 
ora: TFUE) disciplina il diritto di stabilimento prevedendo che: 
�1. Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libert� 
di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro 
Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altres� alle restrizioni 
relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini 
di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. 
2. La libert� di stabilimento importa l'accesso alle attivit� autonome e al 
loro esercizio, nonch� la costituzione e la gestione di imprese e in particolare 
di societ� ai sensi dell'articolo 54, secondo comma, alle condizioni 
definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri 
cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali�. 
- L�articolo 56 del TFUE disciplina il principio della libera circolazione 
dei servizi prevedendo che: 
�1. Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione 
dei servizi all'interno dell'Unione sono vietate nei confronti dei 
cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia 
quello del destinatario della prestazione. 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 51 
2. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura 
legislativa ordinaria, possono estendere il beneficio delle disposizioni 
del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo 
e stabiliti all'interno dell'Unione�. 
- L�articolo 63 del TFUE disciplina il principio di libera circolazione dei 
capitali prevedendo che: 
�1. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate 
tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonch� tra 
Stati membri e paesi terzi. 
2. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate 
tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonch� tra Stati membri 
e paesi terzi�. 
In relazione al quesito n. 2: 
- L� articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell�UE, rubricato 
�Libert� di espressione e d'informazione� prevede che: 
�1. Ogni individuo ha diritto alla libert� di espressione. Tale diritto include 
la libert� di opinione e la libert� di ricevere o di comunicare informazioni 
o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorit� 
pubbliche e senza limiti di frontiera. 2. La libert� dei media e il loro pluralismo 
sono rispettati�. 
NORMATIVA NAZIONALE 
Nell�ordinamento giuridico italiano, la disciplina di riferimento relativa 
ai limiti di affollamento pubblicitario nelle trasmissioni radiotelevisive � 
contenuta nell�art. 38 del d.lgs. 177/2005 (cd. Testo unico dei servizi di 
media audiovisivi e radiofonici) come sostituito dall�art. 12 del d. lgs. del 
15 marzo 2010, n. 44, il quale ha stabilito che: 
�1. La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria 
del servizio pubblico generale radiotelevisivo non pu� eccedere il 4 per 
cento dell'orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni 
ora; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel 
corso di un'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva. 
2. La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte delle emittenti 
in chiaro, anche analogiche, in ambito nazionale, diverse dalla concessionaria 
del servizio pubblico generale radiotelevisivo, non pu� eccedere 
il 15 per cento dell'orario giornaliero di programmazione ed il 18 per 
cento di una determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, 
comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve 
essere recuperata nell'ora antecedente o successiva [...]; 
5. La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a 
pagamento, anche analogiche, non pu� eccedere per l'anno 2010 il 16 
per cento, per l'anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012,
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
il 12 per cento di una determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale 
eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, 
deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva [...]�. 
SULLA QUESTIONE N. 1. INFONDATEZZA 
Con il primo quesito oggetto del presente giudizio, il giudice a quo chiede 
a codesta ecc.ma Corte �Se l�art. 4 della direttiva 2010/13/UE, il principio 
generale di eguaglianza e le regole del Trattato sul funzionamento 
dell�Unione Europea in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto 
di stabilimento, e di libera circolazione dei capitali, debbano essere 
interpretati nel senso che ostano alla disciplina contenuta nell�art. 38, 
comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento 
pubblicitario pi� bassi per le emittenti a pagamento rispetto a 
quelli stabiliti per le emittenti in chiaro�. 
Dunque, il giudice a quo solleva questione di compatibilit� dell�art. 38, 
co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 con l�ordinamento comunitario sotto tre distinti 
profili: 
a) rispetto alla disciplina dettata dall�art. 4 della direttiva n. 2010/13 UE; 
b) rispetto al principio di eguaglianza; 
c) rispetto alle regole del Trattato sul funzionamento dell�Unione Europea 
in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento, e di 
libera circolazione dei capitali. 
A riguardo, si rileva l�infondatezza delle suesposte questioni. 
a) Con riferimento alla presunta incompatibilit� tra quanto disposto dall�art. 
38, co. 5, del d.lgs. n.177/2005 e la disciplina dettata dall�art. 4 della 
direttiva n. 2010/13 UE. 
� in primis opportuno ricostruire la disciplina comunitaria circa i limiti 
di affollamento pubblicitario dettata dalla direttiva n.2010/13 UE sulla 
fornitura di servizi audiovisivi. 
L�art. 23 della direttiva 2010/13 prevede, in particolare, che: �La percentuale 
di spot televisivi pubblicitari e di spot di televendita in una determinata 
ora d�orologio non deve superare il 20 %�. 
La suddetta direttiva si limita, dunque, a prevedere un unico limite di affollamento 
pubblicitario orario, applicabile a tutti i fornitori di servizi cd. �lineari�. 
A riguardo, come si evince dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia 
UE, la direttiva in questione non ha come obiettivo un�armonizzazione 
completa, ma stabilisce solo una serie di prescrizioni minime (cfr. sentenza 
del 22 settembre 2011 Mesopotamia Broadcast, C-244/10 e sentenza 
del 5 marzo 2009, UTECA, causa C-222/07) che debbono essere rispettate, 
lasciando liberi gli Stati membri di adottare misure pi� particolareggiate 
e restrittive, purch� compatibili col diritto dell�Unione Europea. 
Pertanto, l�art. 4 della direttiva 2010/13/UE dispone che: �Gli Stati mem-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 53 
bri conservano la facolt� di richiedere ai fornitori di servizi di media soggetti 
alla loro giurisdizione di rispettare norme pi� particolareggiate o 
pi� rigorose nei settori coordinati dalla presente direttiva, purch� tali 
norme siano conformi al diritto dell�Unione�. 
Ebbene, con particolare riferimento alla disciplina in materia di pubblicit� 
televisiva, il considerando n. 83 della direttiva n. 2010/13 UE precisa, 
che: �Per garantire un�integrale ed adeguata protezione degli interessi 
della categoria di consumatori costituita dai telespettatori, � essenziale 
che la pubblicit� televisiva sia sottoposta ad un certo numero di norme 
minime e di criteri e che gli Stati membri abbiano la facolt� di stabilire 
norme pi� rigorose o pi� particolareggiate e, in alcuni casi, condizioni 
differenti per le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione�. 
Sul punto, come sostenuto da codesta ecc.ma Corte, la ratio sottesa alla 
disciplina in materia di limiti di affollamento pubblicitario mira ad instaurare 
una tutela equilibrata degli interessi finanziari delle emittenti televisive 
e degli inserzionisti, da un lato, e degli interessi degli aventi diritto, 
ossia gli autori e i realizzatori, e della categoria di consumatori rappresentata 
dai telespettatori, dall�altro (v., causa C-281/09, causa C-245/01, 
RTL Television, Racc. pag. I 12489, punto 62). 
A tale ultimo proposito, codesta Corte ha avuto modo di sottolineare che 
la tutela della categoria di consumatori rappresentata dai telespettatori 
contro la pubblicit� eccessiva costituisce un aspetto essenziale dell�obiettivo 
di detta direttiva (sentenza in tal senso, causa C-195/06, �sterreichischer 
Rundfunk, punto 27). 
� proprio in considerazione di tale obiettivo che il legislatore dell�Unione 
ha voluto garantire adeguata protezione degli interessi della categoria di 
consumatori costituita dai telespettatori, assoggettando le diverse forme di 
promozione, quali la pubblicit� televisiva, la televendita e la sponsorizzazione, 
ad un certo numero di norme minime e di criteri generali, lasciando 
poi agli Stati membri la facolt� di prevedere forme di tutela pi� incisive (v., 
in tal senso, causa C-195/06, �sterreichischer Rundfunk, punto 26). 
Ebbene, l�art. 38, co. 5, del d.lgs. n 177/2005 risulta ispirato alla suesposta ratio. 
L�articolo 38 del d.lgs. n. 177/2005 prevede, infatti, che: �La trasmissione 
di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche 
analogiche, non pu� eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 
2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per cento di una 
determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque 
non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata 
nell'ora antecedente o successiva [...]�. 
Come sostenuto dal Ministero delle Comunicazioni (ora, Ministero dello 
Sviluppo Economico), con la nota prot. n. 0012195 del 7 giugno 2011, 
tale disposizione persegue �la finalit� di tutelare l�utenza delle emittenti
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
a pagamento la quale ha gi� versato un corrispettivo per la fruizione del 
servizio e ne versa uno ulteriore, e non esplicitato, consistente nell�esposizione 
al messaggio pubblicitario�. 
Dunque, appare evidente come l�art. 38, comma 5, risulti pienamente rispettoso 
e in linea con le finalit� perseguite dalla disciplina comunitaria 
in materia di limiti di affollamento pubblicitario, cos� come stigmatizzate 
da codesta ecc.ma Corte. 
Va ribadito che le disposizioni europee si limitano infatti a fissare limiti minimi 
che, a loro volta, possono formare oggetto di disposizioni nazionali 
pi� particolareggiate e rigorose. Si tratta di principi che sono sanciti dal legislatore 
europeo (cfr. considerando 83 e art. 4, par 1, della direttiva 
2010/13/UE) e sono stati a pi� riprese ribaditi da codesta Corte di giustizia. 
Sul punto ci si limita a richiamare quanto ancora di recente sancito dai giudici 
del Lussemburgo nella sentenza 9 giugno 2011, causa C-52/10, Alter 
Channel, laddove � stato sottolineato che �ai sensi del ventisettesimo �considerando� 
della direttiva 89/552 [ora confluito nell�ottantatreesimo considerando 
della direttiva 2010/13/UE], per garantire la protezione integrale 
ed adeguata degli interessi di quella categoria di consumatori costituita dai 
telespettatori, � essenziale che gli Stati membri abbiano la facolt� di fissare 
norme pi� rigorose o pi� particolareggiate e, in taluni casi, condizioni diverse 
per le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione. 
Pertanto, voglia codesta ecc.ma Corte di Giustizia UE rilevare l�infondatezza 
del suesposto quesito e conseguentemente dichiarare che l�art. 4 
della direttiva 2010/13/UE non osta alla disciplina contenuta nell�art. 38, 
comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento 
pubblicitario pi� bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti 
per le emittenti in chiaro. 
b) Con riferimento alla presunta incompatibilit� tra quanto disposto dall�art. 
38, co. 5, d.lgs. n.177/2005 e il principio di uguaglianza. 
L�articolo 38 del d.lgs. n. 177/2005 prevede che: �La trasmissione di spot 
pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, 
non pu� eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 2011 il 
14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per cento di una determinata 
e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque non 
superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora 
antecedente o successiva [...]�. 
Il suesposto art. 38, co. 5, del d.lgs. n.177/2005 prevedendo una disciplina 
dei limiti di affollamento pubblicitario ad hoc per le emittenti di pay TV 
e differenziata da quella per le emittente in chiaro, risulta compatibile con 
il principio di eguaglianza. 
Il principio di eguaglianza di matrice comunitaria � espresso dall�art. 20 
della Carta fondamentale dei diritti UE, secondo cui: �Tutte le persone
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 55 
sono uguali davanti alla legge�. 
Codesta Corte, ha da sempre sostenuto che il �[�] principio generale di 
uguaglianza che fa parte dei principi fondamentali del diritto comunitario 
[�] impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo 
che una differenza di trattamento sia obiettivamente giustificata� (vd. 
sentenza 17 aprile 1997, C-15/1995, EARL de Kerlast c. Union r�gionale 
de coop�ratives agricoles (Unicopa) e Coop�rative du Trieux; sentenza 
20 settembre 1988, C- 203/86, Spagna c. Consiglio). 
Tale principio richiede, in altre parole, da un lato, l�eguaglianza di trattamento 
a parit� di condizioni e, dall�altro, una regolamentazione differenziata 
ma non arbitraria per diversit� di situazioni. 
Ebbene, le TV in chiaro e le Pay TV risultano soggetti diversi, operanti in 
mercati diversi e in situazioni diverse. Diversa � la relazione tra operatori 
e consumatori (diretta nella pay-tv, indiretta nella televisione in chiaro); 
diverse le modalit� di finanziamento, e quindi funzione obiettivo degli 
operatori (ricavi pubblicitari vs. ricavi dagli abbonamenti); diversa � altres� 
l�offerta qualitativa e quantitativa di contenuti televisivi ai telespettatori. 
Va poi precisato che la disposizione normativa italiana si applica a tutti i 
soggetti che offrono un servizio di televisione a pagamento indipendentemente 
dalla loro propriet� o nazionalit�: ai nuovi vincoli � infatti assoggetta 
l�offerta di televisione a pagamento di Sky al pari di quella di 
ogni altra emittente a pagamento, quale ad esempio R.T.I. Il legislatore 
italiano - anche sulla scia di esperienze di altri Paesi - ha quindi introdotto 
un regime s� �differenziato� ma unicamente funzione della �diversa� tipologia 
di attivit� (pay vs. free) che, come detto, si applica in modo indistinto 
ad ogni emittente a pagamento con la conseguenza che � 
pienamente rispettosa del principio di eguaglianza. 
Pertanto, voglia codesta ecc.ma Corte di Giustizia UE rilevare l�infondatezza 
del suesposto quesito e conseguentemente dichiarare che il principio 
di uguaglianza non osta alla disciplina contenuta nell�art. 38, comma 5, 
d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario 
pi� bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per 
le emittenti in chiaro, stante la diversit� di contesti e situazioni in cui le 
medesime operano sul mercato pubblicitario. 
c) Con riferimento alla presunta incompatibilit� tra l�art. 38, co. 5, d.lgs. 
n. 177/2005 e le regole del Trattato sul funzionamento dell�Unione Europea 
in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento 
e di libera circolazione dei capitali. 
1) L�articolo 38 del d.lgs. n. 177/2005 prevede che: �La trasmissione di 
spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, 
non pu� eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 
2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per cento di una
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque 
non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata 
nell'ora antecedente o successiva [...]�. 
Il suesposto art. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 prevedendo dei limiti di 
affollamento pubblicitario maggiori per le emittenti di pay TV rispetto 
alle emittente in chiaro, risulta compatibile con le regole del Trattato sul 
funzionamento dell�Unione Europea in materia di libera circolazione dei 
servizi, di diritto di stabilimento e di libera circolazione dei capitali. 
I capi II, III e IV del Titolo IV della parte I del Trattato sul Funzionamento 
dell�Unione Europea dettano i principi fondamentali in materia di diritto 
di stabilimento e di libera circolazione di servizi e capitali. 
La giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha interpretato, in varie pronunce, 
la disciplina comunitaria in tema di restrizioni alla libert� di stabilimento 
e alla libert� di circolazione di servizi e capitali nel senso che questa 
�osta a qualsiasi provvedimento nazionale che, anche se si applica senza 
discriminazioni in base alla cittadinanza, possa ostacolare o scoraggiare 
l�esercizio, da parte dei cittadini comunitari, delle libert� di stabilimento 
e circolazione garantite dal Trattato� (v., in particolare, sentenze 31 marzo 
1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punto 32, e 14 ottobre 2004, 
causa C-299/02, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-9761, punto 15). 
In realt� l�art. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 prevedendo una disciplina 
dei limiti di affollamento pubblicitario pi� restrittiva per le emittenti di 
pay TV rispetto a quella dettata per le emittente in chiaro non contrasta 
n� scoraggia in alcun modo le emittenti pay tv all�esercizio del diritto di 
stabilirsi sul mercato delle emittenti a pagamento e, conseguentemente, 
sul relativo mercato pubblicitario. 
Peraltro, la suesposta normativa di cui all�art. 38, co. 5, del d.lgs. n. 
177/2005 non risulta contrastante con i principi in tema di libera circolazione 
dei capitali. 
Del tutto apodittico ed indimostrato � quanto sostenuto dal giudice a quo 
secondo cui con la normativa italiana in questione �viene disincentivato 
l�investimento di capitali da parte di operatori esteri nelle attivit� di Sky, 
e, pi� in generale, nel settore delle trasmissioni televisive a pagamento�. 
Pertanto, voglia codesta ecc.ma Corte di Giustizia UE rilevare l�infondatezza 
del suesposto quesito e conseguentemente dichiarare che le regole del Trattato 
sul funzionamento dell�Unione Europea in materia di libera circolazione 
dei servizi, di diritto di stabilimento, e di libera circolazione dei capitali non 
ostano alla disciplina contenuta nell�art. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la 
quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi� bassi per le emittenti 
a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro. 
2) Nella denegata ipotesi in cui codesta ecc.ma Corte ritenesse la disciplina 
di cui all�art. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 lesiva delle libert� di
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 57 
stabilimento e della libera circolazione dei servizi e dei capitali, tali limitazioni 
sarebbero giustificate da motivi di interesse pubblico. 
A riguardo, codesta ecc.ma Corte ha sostenuto in varie pronunce che �Le 
restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi 
e capitali, che siano applicabili senza discriminazioni basate sulla nazionalit�, 
possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse 
pubblico, a condizione che siano atte a garantire la realizzazione dello 
scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al raggiungimento 
di tale scopo� (v. sentenze 25 gennaio 2007, causa C-370/05, Festersen, 
Racc. pag. I-1129, punto 26, e Hartlauer, cit., punto 44). 
Ebbene, l�art. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 mira ad assicurare l�interesse 
pubblico alla tutela del consumatore. 
Secondo un orientamento consolidato della Corte di Giustizia UE la tutela 
dei consumatori � assurta a ragione imperativa di interesse pubblico idonea 
a giustificare limitazioni delle libert� di stabilimento e circolazione 
di capitali e servizi). 
Pertanto, voglia codesta ecc.ma Corte di Giustizia UE rilevare l�infondatezza 
del suesposto quesito e conseguentemente dichiarare che le regole del Trattato 
sul funzionamento dell�Unione Europea in materia di libera circolazione 
dei servizi, di diritto di stabilimento, e di libera circolazione dei capitali non 
ostano alla disciplina contenuta nell�art. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la 
quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi� bassi per le emittenti 
a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro. 
SULLA QUESTIONE N. 2. INFONDATEZZA 
Con l�ordinanza de qua il giudice remittente ha sottoposto a codesta Corte 
di Giustizia UE il quesito su: �Se l�art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali 
dell�Unione Europea, interpretata alla luce dell�art. 10 della 
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� 
fondamentali, e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti 
dell�Uomo, ed in particolare il principio del pluralismo dell�informazione, 
ostano alla disciplina contenuta nell�art. 38, comma 5, d.lgs. n. 
177/2005 la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi� 
bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti 
in chiaro introducendo una distorsione concorrenziale e favorendo 
la creazione, ovvero il potenziamento, di posizioni dominanti nel mercato 
della pubblicit� televisiva�. 
Ex adverso, si rileva che l�art. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 risulta pienamente 
compatibile con il principio del pluralismo dell�informazione di 
cui all�art. 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell�UE. 
L�articolo 38 del d.lgs. n. 177/2005 prevede che: �La trasmissione di spot 
pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogi-
58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
che, non pu� eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 2011 il 
14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per cento di una determinata 
e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque non 
superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora 
antecedente o successiva [...]�. 
Il suesposto art. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 prevedendo dei limiti di 
affollamento pubblicitario maggiori per le emittenti di pay TV rispetto 
alle emittente in chiaro, risulta compatibile con il principio del pluralismo 
dell�informazione, non introducendo alcuna distorsione concorrenziale e 
non favorendo la creazione o il potenziamento di posizioni dominanti 
delle emittenti in chiaro nel mercato della pubblicit� televisiva. 
A riguardo, si rileva come codesta Corte di Giustizia, nella sentenza United 
Brands Company, C-27/65, definisce la posizione dominante "la posizione 
di potenza economica detenuta da un�impresa, che conferisce alla 
stessa il potere di ostacolare il mantenimento di una concorrenza effettiva 
sul mercato di cui trattasi, fornendole la possibilit� di comportamenti indipendenti 
in misura apprezzabile rispetto ai propri concorrenti, ai clienti 
ed ai consumatori, senza per questo subire conseguenze". 
Nel sentenza Hoffaman-Laroche, C-85/76, al punto n. 48, codesta ecc.ma 
Corte rileva, in particolare, che: �costituiscono indizi validi per l�individuazione 
di posizioni dominanti: il rapporto tra le quote di mercato detenute 
dall�impresa interessata e quelle detenute dai suoi concorrenti, 
specie quelli pi� importanti, il vantaggio tecnologico che un�impresa possiede 
rispetto ai suoi concorrenti, l�esistenza di una rete commerciale 
estremamente perfezionata, l�assenza di concorrenza potenziale; il primo 
fattore, in quanto consente di valutare la competitivit� dei concorrenti 
dell�impresa, il secondo e il terzo in quanto rappresentano, di per s�, vantaggi 
tecnici e commerciali, il quarto poich� � il risultato dell�esistenza 
di ostacoli per l�entrata sul mercato di nuovi concorrenti�. 
� evidente che quanto disposto dall�art. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 
non introduca in alcun modo meccanismi distorsivi della concorrenza nel 
suesposto mercato tali da creare posizioni dominanti in capo alle emittenti 
in chiaro nei termini suesposti. 
Conseguentemente, l�articolo 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 risulta pienamente 
compatibile con il principio del pluralismo dell�informazione di 
cui all�art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell�UE. 
Pertanto, voglia codesta ecc.ma Corte ritenere infondata la suesposta questione 
e dichiarare che l�art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell�Unione 
Europea, interpretata alla luce dell�art. 10 della Convenzione 
Europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, 
e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo, 
ed in particolare il principio del pluralismo dell�informazione, non ostino
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 
alla disciplina contenuta nell�art. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005. 
IN CONCLUSIONE 
il Governo Italiano suggerisce alla Corte di rispondere alle domande pregiudiziali 
proposte nel senso che: 
1) l'art. 4 della direttiva 2010/13/UE, il principio generale di eguaglianza 
e le regole del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea in materia 
di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento, e di libera circolazione 
dei capitali non ostano alla disciplina contenuta nell'art. 38, 
comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento 
pubblicitario pi� bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti 
per le emittenti in chiaro; 
2) l'art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, interpretato 
alla luce dell'art. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia 
dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali, e della 
giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ed in particolare 
il principio del pluralismo dell'informazione, non ostano alla disciplina 
contenuta nell'art. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005 la quale prescrive limiti 
orari di affollamento pubblicitario pi� bassi per le emittenti a pagamento 
rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro, non introducendo 
una distorsione concorrenziale e favorendo la creazione, ovvero il potenziamento, 
di posizioni dominanti nel mercato della pubblicit� televisiva. 
Roma, 29 agosto 2012 
Avv. Stefano Varone 
Avvocato dello Stato 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Giuseppe 
Albenzio, AL 30370/12) nella causa C-273/12, Administration des douanes 
et droit indirects c. Harry Winston SARL, promossa ai sensi dell'art. 267 TFUE 
da Cour de Cassation (Francia), con ordinanza 30 maggio - 4 giugno 2012. 
Materia: Libera circolazione delle merci 
Unione doganale 
Fiscalit� 
Imposta sul valore aggiunto 
1. Con l�ordinanza 30 maggio - 4 giugno 2012, l�Autorit� Giudiziaria in epigrafe 
indicata ha sollevato davanti alla Corte una questione pregiudiziale 
ai sensi dell�art. 267 TFUE nell�ambito di un procedimento per il paga-
60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
mento di dazi doganali relativi a merce che era stata sottratta con una rapina 
dal deposito fiscale. 
2. Dal contenuto dell�ordinanza risulta che il contenzioso in esame ha origine 
dal diniego dell�Amministrazione doganale francese di riconoscere alla 
Soci�t� HarrY Winston la non debenza dei dazi e dell�iva sulla merce oggetto 
del furto, non potendosi considerare questa circostanza come di �forza 
maggiore�, ai sensi - rispettivamente - dell�art. 206 Reg. CE del Consiglio 
n. 2913/92 - Codice Doganale Comunitario e dell�art. 71 della sesta direttiva 
n. 77/388/CEE del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni 
degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d�affari. 
3. Il giudice rimettente, al fine di poter decidere sulla questione, ha ritenuto 
di dover sottoporre all�esame della Corte i seguenti quesiti: 
�1) Se l�articolo 206 del regolamento n. 2913/92 del Consiglio, del 12 
ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, debba essere 
interpretato nel senso che il furto di una merce sottoposta al regime di 
deposito doganale, verificatosi nel caso di specie, costituisce una perdita 
irrimediabile della merce ed una causa di forza maggiore, con la conseguenza 
che, in siffatta ipotesi, si reputa che non sia sorto alcun debito 
doganale all�importazione;. 
2) Se il furto di merci detenute in regime di deposito doganale possa far 
sorgere il fatto generatore e l�esigibilit� dell�imposta sul valore aggiunto 
ai sensi dell�articolo 71 della Direttiva�. 
4. Il Governo italiano, quanto al quesito posto ed ai principi generali richiamati 
dal Giudice remittente, ritiene di dover intervenire nel presente giudizio 
perch� l�emananda decisione pu� avere riflessi sulle disposizioni 
interne in materia e sui contenziosi fra le Autorit� Doganali Nazionali e 
gli operatori commerciali aventi ad oggetto la esatta determinazione della 
causa di forza maggiore come esimente dall�obbligo di pagamento dei 
dazi e delle accise, oltre che dell�iva. 
5. Nel merito, si osserva che la societ� francese invoca l�applicazione dell�articolo 
206 del codice doganale comunitario il quale prevede, al paragrafo 
1, che: �In deroga agli articoli 202 e 204, paragrafo 1, lettera a), 
si ritiene che non sorga alcuna obbligazione doganale nei confronti di 
una data merce quando l�interessato fornisca la prova che l�inadempienza 
degli obblighi risultanti: (...) dall�utilizzazione del regime doganale 
cui la merce � stata vincolata, � dovuta alla distruzione totale o alla 
perdita irrimediabile della merce per una causa inerente alla sua stessa 
natura o per un caso fortuito o di forza maggiore ovvero con l�autorizzazione 
dell�autorit� doganale�; lo stesso articolo prevede, al secondo capoverso 
del par. 1, che: �Ai sensi del presente paragrafo, una merce � 
irrimediabilmente persa quando sia inutilizzabile per chiunque�; anche 
dall�art. 862 del Regolamento di attuazione n. 2454/93 emerge una no-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 
zione di caso fortuito e forza maggiore direttamente discendente dalla 
natura della merce e dall�assenza di ogni responsabilit� o negligenza 
ascrivibile al titolare del deposito e responsabile dei sistemi di trasporto 
della merce stessa, cio� limitata alla sola perdita per cause naturali. 
6. La norma in esame, chiaramente, ammette l�abbuono esclusivamente ove 
si verifichi una distruzione totale o la perdita irrimediabile della merce 
soggetta al pagamento dell�imposta per dispersione, distruzione, sopravvenuta 
inutilizzabilit� totale ed altres� ove ci� sia avvenuto in una situazione 
di assenza assoluta di colpa dell�obbligato, per l�incisione 
determinante del caso fortuito o della forza maggiore [si veda anche l�articolo 
14, n. 1 (primo periodo), della direttiva 92/12/CEE del Consiglio]. 
7. �, quindi, condivisibile la motivazione addotta dall�Amministrazione doganale 
francese a sostegno delle proprie ragioni nel punto in cui viene affermato 
che, ai sensi dell�art. 206 del Codice doganale comunitario, una 
merce � irrimediabilmente perduta solo quando vi � la certezza che essa 
non sia stata utilizzata immettendola nel mercato dell�Unione; al contrario, 
specificamente nel caso di furto, � lecito presumere che la merce 
venga comunque reinserita nel circuito economico dell�Unione. 
8. Con riferimento alle norme nazionali, si rileva che l�art. 37, comma 1, 
primo periodo, del DPR n. 43/73, recante il T.U. delle Leggi Doganali, 
prevede che: �Si considera non avverato il presupposto dell'obbligazione 
tributaria quando il soggetto passivo dimostri che l'inosservanza dei vincoli 
doganali ovvero la mancanza in tutto o in parte delle merci all'atto 
della presentazione, della verifica o dei controlli doganali, anche successivi 
all'accettazione della dichiarazione di destinazione al consumo, dipenda 
dalla perdita o distruzione della merce per caso fortuito o forza 
maggiore o per fatti imputabili a titolo di colpa non grave a terzi o allo 
stesso soggetto passivo�. 
9. Ai sensi dell�interpretazione autentica di tale norma, fornita dal legislatore 
nazionale con l�art. 22-ter del D.L. n. 693/80, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 22 dicembre 1980, n. 891, �la parola �perdita� va intesa nel significato 
di dispersione e non di sottrazione della disponibilit� del prodotto�. 
10. Pertanto, in punto di diritto, il contenuto delle norme nazionali risulta in 
linea con le disposizioni comunitarie. 
11. La Corte di Giustizia ha giudicato conformi all�ordinamento comunitario 
i menzionati artt. 37 TULD e 22-ter L. n. 891/1980; con la sentenza 5 ottobre 
1982 in cause riunite 186 e 187/82, la Corte ha infatti espressamente 
affermato il principio che �secondo le norme comunitarie vigenti in materia 
doganale, la sottrazione, ad opera di terzi, anche senza colpa del 
debitore, di merce soggetta a dazio doganale non estingue la relativa obbligazione�; 
secondo la Corte, l�obbligazione doganale permane in capo 
al debitore anche qualora la sottrazione della merce avvenga ad opera di
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
terzi e persino qualora il debitore medesimo non abbia colpa. 
12. Con sentenza 12 febbraio 2004 in causa T-282/01, Aslantrans AG, il Tribunale 
di prima istanza, decidendo su domanda di sgravio proposta da 
uno speditore vittima del furto del mezzo di trasporto e del relativo carico, 
ha escluso che, pur non essendovi alcun coinvolgimento soggettivo del 
debitore in tali fatti illeciti, possa ricorrere un�ipotesi nella quale sia invocabile 
il rimborso o lo sgravio dell�imposta doganale, sottolineando (v. 
punto 55) come lo sgravio costituisca sempre una eccezione al regime 
delle esportazioni e delle importazioni, per cui le disposizioni che li prevedono 
vanno interpretate strictu sensu, e che il furto di merci � uno dei 
rischi pi� frequenti cui vanno incontro gli operatori economici i quali ne 
devono sopportare l�onere (punto 65). 
13. Risulta dunque evidente, dalla lettura della normativa comunitaria e dall�interpretazione 
giurisprudenziale intervenuta, la previsione della duplice 
condizione dell�accadimento del caso fortuito, quale evento del tutto imprevedibile 
ed inevitabile, associato alla necessaria attivit� di accertamento 
della soggettiva esclusione di responsabilit� del depositario 
autorizzato nel medesimo fatto dato che, in tale evenienza, non sarebbe 
pi� fortuito perch� non estraneo alla sfera di controllo del custode. 
14. In sintonia si � espressa anche la nostra giurisprudenza di legittimit�: la 
Corte di Cassazione Civile, con sentenza n. 2943 del 15 maggio 1984 ha 
affermato che �il furto non determina il venir meno dell�obbligazione doganale�; 
la statuizione � stata di recente ribadita dalla Corte di Cassazione 
Civile con sentenze 28 maggio 2007 n. 12428, 23 luglio 2009 n. 17195 e 
19 giugno 2009 n. 14307, ove viene ribadito che: �la sottrazione della 
disponibilit� della merce importata che non si sia risolta nella dispersione 
del prodotto e/o nella sua inutilizzabilit� per chiunque non fa venir 
meno l'obbligo di pagamento dei dazi doganali e della corrispondente 
iva all'importazione�. 
15. Ancora, con sentenza 31 marzo 1988 n. 373, la Corte Costituzionale ha 
dichiarato l�infondatezza delle questioni di legittimit� costituzionale 
dell�articolo 37 TULD siccome autenticamente interpretato dal citato art. 
22-ter L. n. 891/1980; in particolare il giudice costituzionale ha ritenuto, 
con riferimento all�articolo 3 Cost., che �l�obbligazione tributaria doganale 
per le merci � indissolubilmente collegata all�ingresso delle medesime 
nel mercato nazionale, e proprio in ci� trova il suo fondamento e la 
sua ragion d�essere. La distruzione od il completo deterioramento dei 
beni rendono impossibile tale ingresso e perci� impediscono il sorgere 
dell�obbligazione tributaria. Per converso, la perdita della soggettiva disponibilit� 
non rende il bene inutilizzabile, trasferendosi soltanto ad altra 
persona la concreta possibilit� di disporne e di effettuarne cos� l�immissione 
nel circuito commerciale: dal che consegue l�esclusione di una im-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 63 
mutazione oggettiva della situazione da cui nasce l�obbligazione tributaria, 
conformemente a quanto disposto dalla normativa in esame�. 
16. Tale orientamento interpretativo identifica correttamente la ratio legis, 
atteso che il Legislatore europeo, seguito da quello nazionale, ha inteso 
sgravare dal dazio il prodotto che, in seguito a dispersione, non avrebbe 
potuto pi� essere immesso sul mercato, non certo quello che, pur sottratto 
da terzi, � sempre suscettibile di commercializzazione; in coerenza, del 
resto, con i principi generali della imposizione in materia di diritti doganali, 
secondo i quali l�imposizione daziaria si fonda sul presupposto della 
mera �immissione in consumo� della merce, come si evince dall�art. 4 n. 
10 del Regolamento Cee n. 2913/92 (per dazi all�importazione si intendono 
i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente dovute all�importazione 
delle merci, compresa l�Iva all�importazione) e dall�art. 202 
(l�obbligazione doganale all�importazione sorge in seguito all�irregolare 
introduzione nel territorio doganale della Comunit� di una merce soggetta 
a dazi all�importazione). 
17. Sulle nozioni di caso fortuito e forza maggiore, comuni agli ordinamenti 
interni degli Stati membri, ricordiamo la approfondita elaborazione giurisprudenziale, 
nazionale e comunitaria, che ne ha specificato l�originaria 
genericit� ricollegandola sempre alla non prevedibilit� e non prevenibilit� 
di un evento con l�uso della normale diligenza; la Corte di Giustizia, nella 
sentenza 8 marzo 1988, in causa C-296/86, si � espressa nei termini sopra 
enunziati facendo riferimento a �circostanze indipendenti da chi le fa valere, 
straordinarie e imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto 
essere evitate malgrado tutta la diligenza impiegata�. 
18. Occorre osservare ulteriormente che, in relazione alla compatibilit� dell�art. 
4 comma 1 del Testo unico delle accise - d.legs. 4504/95 con l�art. 
14 paragrafo 1 della Direttiva n. 92/12/CEE, la Corte di Giustizia con la 
sentenza del 18 dicembre 2007, causa C-314/06, ha escluso che la facolt� 
concessa agli stati membri dall�art. 14 par. 1 della Direttiva di fissare le 
condizioni per la concessione degli abbuoni consenta di applicare nei diritti 
nazionali autonome definizioni della nozione di forza maggiore (cfr. 
punti 21 e 22) ed ha precisato che la norma comunitaria dispone che l�abbuono 
pu� essere concesso �solo se dimostra l�esistenza di circostanze 
che sono a lui estranee, anormali e imprevedibili, e le cui conseguenze 
non avrebbero potuto essere evitate malgrado l�adozione di tutte le precauzioni 
del caso� (punto 31). 
19. Quindi, secondo la Corte di Giustizia (cfr. punti 24, 31 e 37), la nozione 
di forza maggiore prevista dalla norma comunitaria richiede che sussistano 
cumulativamente l�elemento oggettivo (circostanze �estranee, 
anormali e imprevedibili�) e l�elemento soggettivo (inteso come obbligo 
di adottare tutte le precauzioni possibili per evitare il danno).
64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
20. Anche l�Avvocato Generale Kokott nelle Conclusioni per la predetta 
Causa C 314/06 evidenziava che �la semplice assenza di colpa non �, 
tuttavia, sufficiente. L�evento causale deve inoltre essere straordinario, 
imprevedibile ed indipendente dal soggetto che afferma l�esistenza della 
forza maggiore. Occorre, pertanto, che sia altres� soddisfatto il criterio 
oggettivo indicato dalla Corte: le circostanze devono essere straordinarie 
ed estranee all�operatore� (punto 35). 
21. La prima questione posta dalla Cassazione francese va, quindi, risolta nel 
senso che non pu� essere invocata dalla societ� H.W. l�esimente della 
forza maggiore perch� risulta dagli atti di causa che la merce in deposito 
� stata sottratta per furto e, quindi, non vi � stata una perdita irrimediabile 
in quanto la merce pu� essere immessa nel mercato dell�UE. 
22. Per quanto riguarda la seconda questione posta dalla Cour de Cassation 
francese si osserva che, se pure � vero che il furto di merci non costituisce 
una �cessione di beni a titolo oneroso�, ai sensi dell�art. 2 della VI Direttiva 
del Consiglio n. 77/388/CEE, e quindi non pu� ritenersi dovuta 
l�iva (come statuito da Corte Giustizia 14 luglio 2005, C-435/03), tuttavia 
nella specie non si tratta di iva interna (cui si riferisce la sesta direttiva e 
la sentenza della Corte di Giustizia) ma di iva all�importazione che, come 
� pacifico, � assimilata ai diritti di confine. 
23. Pertanto, nella specie, l�iva sulla merce sottratta dal deposito della societ� 
viene legittimamente pretesa dalla Dogana francese, stante l�assoggettamento 
del relativo regime a quello dei diritti di confine, secondo le deduzioni 
e conclusioni sopra riportate nei punti da 5 a 21. 
24. Per l�iva all�importazione trovano applicazione, quindi, le disposizioni generali 
del Codice doganale comunitario (art. 202-204), come statuito, fra 
l�altro dalla citata sentenza della Corte di Cassazione n. 14307 del 2009: 
�La sottrazione della disponibilit� della merce importata, che non si sia 
risolta nella dispersione del prodotto e/o nella sua inutilizzabilit� per chiunque, 
non fa venir meno l�obbligo di pagamento dell�iva all�importazione, 
stante la sua configurazione quale diritto doganale, ai sensi dell�art. 70 
d.p.r. n. 633 del 1987, come sostituito dall�art. 25 d.p.r. n. 897 del 1980, e 
considerato che la relativa obbligazione tributaria sorge al momento dell�ingresso 
della merce nel territorio nazionale e non si estingue con la sottrazione 
della merce ad opera di terzi, neppure se il debitore � incolpevole�. 
25. Sulla corretta interpretazione della sesta direttiva invocata dalla Cassazione 
francese, pu� essere utile quanto deciso dalla Corte di Giustizia 
nella sentenza 9 febbraio 2006, C-305/03. 
26. Al secondo quesito posto dalla Cassazione francese va, quindi, data risposta 
positiva, nel senso che il furto non fa venir meno l�obbligazione 
di pagamento dell�iva all�importazione, ai sensi del codice doganale comunitario.

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 
In conclusione 
il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti 
al suo esame affermando che, con riferimento al caso in esame: a) 
non spetta l�esimente da caso fortuito o forza maggiore, ai sensi dell�art. 
206 del Codice doganale comunitario, per il furto di merce dal deposito 
doganale, in quanto non si configura nella specie la �perdita irrimediabile� 
cui la norma connette l�eventuale esenzione dall�obbligo di pagamento 
dei dazi; b) l�iva all�importazione dovuta sulle merci oggetto di 
furto in un deposito doganale � assimilata ai diritti di confine e, quindi, 
� dovuta ai sensi della normativa generale del Codice doganale comunitario 
(in particolare, art. 202-204), non trovando applicazione nella specie 
la diversa disciplina dell�iva interna, come invocata dal Giudice 
remittente con riferimento alla VI Direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio 
in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative 
alle imposte sulla cifra d�affari. 
Roma, 18 settembre 2012 
Giuseppe Albenzio 
Avvocato dello Stato 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Stefano Varone, 
AL 27577/12) in relazione alla causa C-281/12. Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia) il 6 giugno 2012 - Trento 
Sviluppo Srl e Centrale Adriatica Soc. coop. / AGCOM. Direttiva 2005/29/CE 
del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche 
commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno. 
Materia: Ravvicinamento delle legislazioni 
Tutela dei consumatori 
1. I FATTI DI CAUSA E LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE PROPOSTA 
La domanda pregiudiziale concerne la nozione di pratica commerciale 
ingannevole contenuta nell�articolo 6 della direttiva 2005/29 CE. Pi� precisamente, 
il giudice del rinvio pone alla Corte di Giustizia la seguente 
questione pregiudiziale: �Se il paragrafo 1 dell'articolo 6 della direttiva 
2005/29/CE, in riferimento alla parte in cui nel testo in italiano usa le 
parole "e in ogni caso" debba essere inteso nel senso che, per affermare 
l'esistenza di una pratica commerciale ingannevole, sia sufficiente che 
sussista anche uno solo degli elementi di cui alla prima parte del mede-
66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
simo paragrafo, ovvero se, per affermare l'esistenza di una siffatta pratica 
commerciale sia necessario anche che sussista l'ulteriore elemento rappresentato 
dall'idoneit� della pratica commerciale a sviare la decisione 
di natura commerciale adottata dal consumatore�. 
La questione trae origine da una decisione dell�AGCOM (Autorit� Garante 
della Concorrenza e del Mercato) del 22 gennaio 2009 (caso 
PS1434) con la quale si contestava alle societ� Centrale Adriatica Societ� 
Cooperativa e Trento Sviluppo S.r.l. di avere posto in essere un pratica 
commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20 e 21, co. 1, lett. b) e d), e 23, 
lett. e), del Codice del Consumo. Segnatamente, la pratica riguardava lo 
svolgimento di una promozione commerciale presso alcuni punti vendita 
a marchio COOP per l�offerta di alcuni prodotti a prezzi scontati, tra cui 
un computer portatile, il quale risultava poi - da segnalazioni ricevute 
dall�Autorit� - nella realt� non disponibile. 
La suddetta decisione � stata impugnata dinanzi al Tar Lazio dalle menzionate 
societ� autrici della pratica commerciale scorretta, i cui ricorsi 
sono stati respinti con sentenze n. 8670/2009 e n. 2303/2010. 
Le due societ� hanno poi proposto appello avverso dette sentenze innanzi 
al Consiglio di Stato, il quale, con ordinanza n. 2779 del 15 maggio 2012, 
ha ritenuto di disporre rinvio alla Corte di Giustizia per la risoluzione del 
quesito pregiudiziale. 
Il giudice d�appello, nel presupposto che la pratica all�origine dei fatti di 
causa non rientri nel novero di quelle che sono considerate �in ogni caso� 
ingannevoli ai sensi dell�art. 23 del Codice del Consumo (c.d. lista nera), 
si chiede se in relazione ad essa sia applicabile la previsione generale di 
cui all�art. 21 del Codice (�Azioni ingannevoli�), testualmente riproduttivo 
dell�art. 6 della direttiva 2005/29 CE. 
A detta del Consiglio di Stato si rende necessario anzitutto verificare il 
contenuto di tale ultima disposizione comunitaria, in ragione delle discordanze 
del testo italiano della direttiva rispetto alle sue versioni nelle altre 
lingue ufficiali dell�Unione Europea (Nel testo inglese si legge �and in either 
case�; in quello francese �dans un cas cornme dans l�autre�; in quello 
spagnolo �y que en cualquiera de estos dos casos�). Pertanto, il giudice 
d�appello, �chiamato a pronunciarsi su una questione che comport(a) 
dubbi applicativi in ordine al diritto comunitario primario e derivato�, ritiene 
- d�ufficio - di doverne rimettere la soluzione alla Corte di Giustizia. 
Nel cercare di cogliere il senso della norma di cui all�art. 6, paragrafo 1 
(�Azioni ingannevoli�) della direttiva, il Consiglio di Stato rileva anzitutto 
come essa, nella sua prima parte, contempli due ipotesi che appaiono 
fra loro in alternativa, in base alle quali la pratica commerciale � ingannevole: 
i) se �contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera�, 
ovvero ii) se �in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione comples-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 
siva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l�informazione 
� di fatto corretta, riguardo a [taluni] elementi�. 
Se tale prima parte della norma non appare al giudice problematica, oggetto 
del quesito pregiudiziale � invece l�interpretazione della sua seconda 
parte, ai sensi della quale � previsto: �e in ogni caso lo induca (ndr: il 
consumatore) o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura 
commerciale che non avrebbe altrimenti preso�. Non sarebbe chiaro, infatti, 
se con la locuzione �e in ogni caso� si intenda che: 
A) la capacit� della pratica commerciale di indurre una decisione commerciale 
che altrimenti non si sarebbe presa costituisca un ulteriore elemento 
rispetto a quelli sub i) e ii) sopra menzionati, all�interno di una 
fattispecie unitaria: nel qual caso la pratica sar� ingannevole ove tale capacit� 
induttiva si sia verificata cumulativamente agli elementi sub i) e ii); 
ovvero: 
B) la capacit� induttiva della pratica ad assumere una decisione commerciale 
che altrimenti non sarebbe stata presa dia luogo ad una fattispecie di 
azione ingannevole autonoma e ulteriore rispetto alle ipotesi sub i) e/o ii). 
Secondo il Consiglio di Stato il testo italiano della direttiva (unitamente 
a quello tedesco) e il corrispondente testo dell�art. 21 del Codice del Consumo 
indurrebbero a sostenere tale seconda interpretazione (sub B), secondo 
cui un�azione ingannevole sussiste se essa ha capacit� induttiva 
anche indipendentemente dalla ricorrenza dei requisiti sub i) e/o ii). I diversi 
testi inglese, francese e spagnolo, invece, nel fare espresso riferimento, 
nella seconda parte della norma, alle due ipotesi di cui alla prima 
parte, appaiono deporre nel senso che per la sussistenza di un�azione ingannevole 
sia necessaria la cumulativa ricorrenza dell�ingannevolezza, 
da un lato (sub i) o ii)), e dell�idoneit� a indurre una decisione commerciale 
alternativa, dall�altro, e dunque, per converso, che la mera idoneit� 
della pratica a sviare il comportamento commerciale del consumatore, 
non accompagnata dalle caratterizzazioni sub i) o ii), sia di per s� insufficiente 
a configurare l�illecito (interpretazione sub A). 
A detta del giudice d�appello la questione sollevata assumerebbe diretto 
rilievo nell�ambito della causa relativa al caso PS 1434, e ci� in quanto 
se da un lato appare dimostrato il carattere non veritiero dell�informazione 
pubblicizzata, d�altro lato, avendo questa ad oggetto la disponibilit� del 
prodotto, non risulterebbe dimostrato che essa abbia indotto il consumatore 
ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe 
altrimenti preso (secondo il Consiglio di Stato infatti �pu� essere ben 
probabile che, in assenza del prodotto ricercato, il consumatore si sia limitato 
a non effettuare alcun acquisto, senza ulteriori influenze sulle sue 
decisioni commerciali�). 
Pertanto, il Consiglio di Stato conclude l�ordinanza rilevando che:
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
- se si aderisce alla tesi del carattere cumulativo degli elementi (sub A), 
i professionisti nel caso di specie possono andare esenti da sanzione; 
- se si aderisce alla tesi del carattere alternativo degli elementi (sub B), 
il carattere non veritiero dell�informazione relativa alla disponibilit� del 
prodotto determiner� gi� di per s� l�esistenza dell�illecito sanzionabile. 
2. LA NORMATIVA COMUNITARIA E LA NORMATIVA ITALIANA DI RECEPIMENTO 
- L�Art. 6 della direttiva 2005/29 CE 
Secondo l�articolo 6 della richiamata direttiva comunitaria �� considerata 
ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e 
sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione 
complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, 
anche se l�informazione � di fatto corretta, riguardo a uno o pi� dei seguenti 
elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere 
una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti 
preso: a) l�esistenza o la natura del prodotto; b) le caratteristiche principali 
del prodotto, quali la sua disponibilit�, i vantaggi, i rischi, l�esecuzione, 
la composizione, gli accessori, l�assistenza post-vendita al 
consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione 
o della prestazione, la consegna, l�idoneit� allo scopo, gli usi, la 
quantit�, la descrizione, l�origine geografica o commerciale o i risultati 
che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali 
di prove e controlli effettuati sul prodotto; c) la portata degli 
impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura 
del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla 
sponsorizzazione o all�approvazione dirette o indirette del professionista 
o del prodotto; d) il prezzo o il modo in cui questo � calcolato o l�esistenza 
di uno specifico vantaggio quanto al prezzo; e) la necessit� di una manutenzione, 
ricambio, sostituzione o riparazione; f) la natura, le qualifiche 
e i diritti del professionista o del suo agente, quali l�identit�, il 
patrimonio, le capacit�, lo status, il riconoscimento, l�affiliazione o i collegamenti 
e i diritti di propriet� industriale, commerciale o intellettuale 
o i premi e i riconoscimenti; g) i diritti del consumatore, incluso il diritto 
di sostituzione o di rimborso ai sensi della direttiva 1999/44/CE del Parlamento 
europeo e del Consiglio del 25 maggio 1999 su taluni aspetti 
della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, o i rischi ai quali pu� 
essere esposto. 2. � altres� considerata ingannevole una pratica commerciale 
che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche 
e circostanze del caso, induca o sia idonea ad indurre il consumatore 
medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe 
altrimenti preso e comporti: a) una qualsivoglia attivit� di marketing del 
prodotto, compresa la pubblicit� comparativa, che ingeneri confusione
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 
con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi 
di un concorrente; b) il mancato rispetto da parte del professionista degli 
impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si � impegnato 
a rispettare, ove: i) non si tratti di una semplice aspirazione ma di un impegno 
fermo e verificabile; e ii) il professionista indichi in una pratica 
commerciale che � vincolato dal codice. 
- L�Art. 21 codice consumo: 
Riproduttiva della disposizione comunitaria � la normativa interna di recepimento, 
val a dire l�art. 21 codice consumo: 
1. � considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni 
non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi 
modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o � idonea ad 
indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o pi� dei seguenti 
elementi e, in ogni caso, lo induce o � idonea a indurlo ad assumere una 
decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: 
a) l'esistenza o la natura del prodotto; 
b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilit�, i 
vantaggi, i rischi, l'esecuzione, la composizione, gli accessori, l'assistenza 
post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la 
data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l'idoneit� allo 
scopo, gli usi, la quantit�, la descrizione, l'origine geografica o commerciale 
o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le 
caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto; 
c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale 
e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o 
simbolo relativi alla sponsorizzazione o all'approvazione dirette o indirette 
del professionista o del prodotto; 
d) il prezzo o il modo in cui questo � calcolato o l'esistenza di uno specifico 
vantaggio quanto al prezzo; 
e) la necessit� di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione; 
f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, 
quali l'identit�, il patrimonio, le capacit�, lo status, il riconoscimento, 
l'affiliazione o i collegamenti e i diritti di propriet� industriale, commerciale 
o intellettuale o i premi e i riconoscimenti; 
g) i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso 
ai sensi dell'articolo 130 del presente Codice. 
2. � altres� considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella 
fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze 
del caso, induce o � idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere 
una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e 
comporti: 
a) una qualsivoglia attivit� di commercializzazione del prodotto che in-
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
genera confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e 
altri segni distintivi di un concorrente, ivi compresa la pubblicit� comparativa 
illecita; 
b) il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti 
nei codici di condotta che il medesimo si � impegnato a rispettare, ove si 
tratti di un impegno fermo e verificabile, e il professionista indichi in una 
pratica commerciale che � vincolato dal codice. 
3. � considerata scorretta la pratica commerciale che, riguardando prodotti 
suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, 
omette di darne notizia in modo da indurre i consumatori a 
trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza. 
4. � considerata, altres�, scorretta la pratica commerciale che, in quanto 
suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, pu�, anche indirettamente, 
minacciare la loro sicurezza�. 
3. L�INTERPRETAZIONE DELLA NORMATIVA COMUNITARIA E DI QUELLA INTERNA 
DI RECEPIMENTO 
Il ragionamento da cui muove il Consiglio di Stato muove dalla ricostruzione 
della nozione di induzione ad una decisione commerciale che non 
si sarebbe altrimenti assunto, che il giudice di appello sembra ricondurre 
ad una restrittiva idea di �azione� del consumatore, indotta dalla pratica 
ingannevole, ed economicamente pregiudizievole, il cui verificarsi sarebbe 
per definizione escluso laddove l�effettiva indisponibilit� di un prodotto 
ne impedisca in concreto l�acquisto. 
Tuttavia una diversa interpretazione del suddetto requisito (adottata costantemente 
dall�AGCOM) � quella che prescinde dall�idoneit� della pratica 
a provocare un acquisto a condizioni meno vantaggiose di prodotti 
di qualit� inferiore alle attese suscitate, con conseguente danno patrimoniale 
del consumatore. La nozione fatta propria nella prassi dell�Autorit�, 
e che si ritiene corrisponda alla ratio della normativa comunitaria di riferimento, 
� quindi una nozione neutra, secondo cui affinch� l�inganno rilevi 
� sufficiente l�idoneit� dello stesso ad alterare pi� genericamente la 
formazione di volont� del consumatore, facendogli assumere decisioni 
diverse da quelle che, presumibilmente, sarebbero state assunte senza l�influenza 
del messaggio. 
Tale nozione di �induzione a una decisione commerciale che altrimenti 
non sarebbe stata presa�, assunta nella prassi applicativa, � peraltro in 
linea con la definizione di �decisione commerciale� contenuta nell�articolo 
2, lettera k), della direttiva (nonch� parallelamente nell�art. 18, lett. 
m, del Codice del Consumo), secondo cui �... tale decisione pu� portare 
il consumatore a compiere una azione o all�astenersi dal compierla�. 
Ebbene, se cos� viene intesa la nozione di �decisione commerciale�, �
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 
chiaro che anche una falsa informazione circa la disponibilit� di un prodotto 
� in grado di provocarne un�alterazione, al pari di una falsa informazione 
sul prezzo o sulla qualit� del prodotto che ne induca l�acquisto. 
La diffusione della falsa informazione circa la disponibilit� di un prodotto 
induce comunque il consumatore ad attivarsi per l�acquisto di esso, a prendere 
contatto con gli autori della promozione ed a rinunciare d�altro canto 
a ricercare altrove prodotti alternativi: ci� � comunemente considerato gi� 
un effetto pregiudizievole per il consumatore, dinanzi al quale devono essere 
attivati i meccanismi di tutela previsti dal Codice del Consumo. 
In tal senso rileva, a livello nazionale, la consolidata giurisprudenza amministrativa 
secondo cui la disciplina in materia di pratiche commerciali 
scorrette � preordinata ad intervenire �anche in una fase precedente a 
quella negoziale e a prescindere da un concreto pregiudizio economico 
non essendo necessario, ai fini dell�applicazione della specifica normativa, 
che vi sia stato un rapporto o un contatto diretto tra l�operatore ed il 
consumatore� (Tar Lazio, I, 3 marzo 2010, n. 3287; idem, 11 febbraio 
2010, n. 1947; idem, 23 febbraio 2010, n. 2828). 
Parallelamente, a livello comunitario, l�ampia nozione di (alterazione di) 
�decisione commerciale� sopra illustrata ha trovato conferma in quanto 
indicato dalla Commissione nello Staff Working Document annesso alle 
Linee Guida sulla implementazione/applicazione della direttiva 2005/29 
CE sulle pratiche commerciali scorrette, punto 2.1, secondo cui �la formulazione 
dell�art. 2, lett. k, della direttiva lascia supporre che la definizione 
debba essere interpretata in senso generale e che il concetto di 
decisione di natura commerciale comprenda una grande variet� di decisioni 
prese dal consumatore in relazione a un prodotto o servizio�. 
Segnatamente, al punto 2.1.2. delle medesime Linee Guida, la Commissione 
formula un esempio di pratica ingannevole del tutto assimilabile al 
caso PS 1434 da cui origina il rinvio, rilevando come nel novero delle 
�decisioni commerciali� ai sensi della direttiva rientrino anche le decisioni 
che non conducono alla o non sono seguite dalla conclusione di un 
contratto valido. 
Alla luce della prassi e della giurisprudenza in materia, si ritiene dunque 
che, poich� il requisito della (anche potenziale) induzione a una decisione 
commerciale che il consumatore non avrebbe altrimenti assunto deve essere 
interpretato nell�ampio senso sopra indicato, la necessit� della sua 
ricorrenza cumulativamente ai requisiti di ingannevolezza (sub i) o ii)), 
lungi dal rendere pi� difficoltoso l�intervento e ridurre l�efficacia della 
tutela, risponde alla ratio stessa della disciplina sulle pratiche scorrette. 
Ne deriva pertanto la necessit� che la pratica commerciale, per essere ingannevole, 
presenti contemporaneamente sia l�idoneit� a incidere sulla 
sfera conoscitiva del consumatore, inducendolo in errore (nelle due tipiz-
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
zazioni sub i) o ii) di cui sopra), sia l�idoneit� a incidere sulla sua sfera 
decisionale, inducendolo ad assumere una decisione commerciale che altrimenti 
non avrebbe preso. 
A tutto ci� si aggiunga che il requisito della induzione a una decisione 
commerciale che il consumatore non avrebbe altrimenti assunto, previsto 
nella norma sulle azioni ingannevoli (art. 6 della direttiva e art. 21 del 
Codice del Consumo), non � altro che la declinazione, per tale tipologia 
di pratiche commerciali - simmetricamente a quanto avviene per le pratiche 
aggressive nell�art. 8 della direttiva e nell�art. 24 del Codice del 
Consumo, in termini di �limitazione della libert� di scelta o di comportamento� 
- del pi� generale requisito della �idoneit� a falsare il comportamento 
economico�, indicato nel divieto generale di pratiche scorrette 
(di cui all�art. 5 della direttiva e art. 20 del Codice del Consumo) 
La stessa clausola generale da ultimo citata, cio�, rende centrale nella valutazione 
di scorrettezza l�elemento dell�effetto (anche solo potenziale) cagionato 
dalla pratica commerciale, salvo poi declinare diversamente 
quell�effetto a seconda che si tratti di pratiche ingannevoli o aggressive: 
ci� conferma ulteriormente che dalla sua verifica non si possa prescindere. 
4. CONCLUSIONI 
Per le motivazioni sopra esposte si ritiene che alla questione sollevata 
debba rispondersi nel senso che �che la pratica commerciale, per essere 
ingannevole, presenti contemporaneamente sia l�idoneit� a incidere sulla 
sfera conoscitiva del consumatore, inducendolo in errore (nelle due tipizzazioni 
sub i) o ii) di cui sopra), sia l�idoneit� a incidere sulla sua 
sfera decisionale, inducendolo ad assumere una decisione commerciale 
che altrimenti non avrebbe preso�. Inoltre il significato dell�allocuzione 
�induzione a una decisione commerciale che il consumatore non avrebbe 
altrimenti assunto� si ritiene che debba essere interpretato nel senso che 
anche una falsa informazione circa la disponibilit� di un prodotto � in 
grado di provocarne un�alterazione, al pari di una falsa informazione sul 
prezzo o sulla qualit� del prodotto che ne induca l�acquisto. 
Roma 15 settembre 2012 
Stefano Varone 
Avvocato dello Stat
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Marina 
Russo, AL 31364/12) nella causa C-342/12, promossa ai sensi dell�art. 267 
TFUE dal Tribunal do Trabalho de Viseu (Portogallo) con ordinanza in data 
18 luglio 2012. 
Materia: Ravvicinamento delle legislazioni 
I) IL GIUDIZIO A QUO 
I.a) Il giudizio a quo pende innanzi al Tribunal do Trabalho de Viseu. 
Quest�ultimo � stato investito di un ricorso avente ad oggetto l'annullamento 
della decisione con cui l'autorit� amministrativa competente in materia 
ha ritenuto un datore di lavoro responsabile per non aver 
immediatamente messo a disposizione di un suo ispettore la registrazione 
dei dati relativi ai tempi di lavoro dei dipendenti. 
I.b) Con ordinanza in data 18 luglio 2012, il giudice a quo ha sottoposto 
alla Corte di Giustizia dell�Unione Europea i seguenti quesiti, utili ai fini 
del decidere: 
1. Se l'articolo 2 della direttiva 95/46/CE debba essere interpretato nel 
senso che la registrazione dei tempi di lavoro, ossia l'indicazione dell'ora 
in cui ciascun lavoratore inizia e termina la propria giornata nonch� 
le pause o i periodi non compresi in essa, rientra nella nozione di 
dati personali. 
2. Nel caso di risposta affermativa alla questione precedente, se lo Stato 
portoghese sia tenuto, ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 
95/46/CE, a prevedere misure tecniche ed organizzative appropriate 
al fine di garantire la protezione dei dati personali dalla distruzione accidentale 
o illecita, dalla perdita accidentale o dall'alterazione, dalla 
diffusione o dall'accesso non autorizzati, segnatamente quando il trattamento 
comporta trasmissioni di dati all'interno di una rete. 
3. Del pari, in caso di risposta affermativa alla questione precedente, 
qualora lo Stato membro non adotti alcuna misura per dare attuazione 
all'articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 95/46/CE e qualora il datore 
di lavoro, responsabile del trattamento di questi dati, appronti un 
sistema di accesso ristretto a tali dati che non consenta l'accesso automatico 
dell'autorit� nazionale competente per la vigilanza sulle condizioni 
di lavoro, se il principio del primato del diritto dell'Unione 
europea debba essere interpretato nel senso che lo Stato membro non 
pu� sanzionare il datore di lavoro per il suddetto comportamento. 
II) LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO 
II.a) Relativamente al quesito n. 1; 
Ai sensi dell�art. 2 lett. a) della Direttiva n. 95/46/CE (d�ora in poi, �la
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Direttiva�) si intende per �dati personali� �qualsiasi informazione concernente 
una persona fisica identificata o identificabile (persona interessata); 
Ai sensi della successiva lett. b), si intende per �trattamento di dati 
personali� � qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con 
o senza l'ausilio di processi automatizzati, e applicate a dati personali, 
come la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, 
l'elaborazione o la modifica, l'estrazione, la consultazione, l'impiego, la 
comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma 
di messa a disposizione, il raffronto o l�interconnessione, nonch� il congelamento, 
la cancellazione o la distruzione�. 
Alla luce delle citate definizioni, anche la presenza e l'orario di lavoro all'interno 
di un'azienda attengono alla nozione di dato personale in quanto, 
indiscutibilmente, hanno ad oggetto un��informazione� riferita ad una 
persona fisica ben individuata. Del pari, la relativa registrazione ne costituisce 
trattamento, in quanto l�attivit� di registrazione � annoverata 
espressamente alla lett. b dell�art. 2 cit. 
��� 
Il Governo italiano pertanto propone di rispondere al quesito n. 1 come segue: 
�L'articolo 2 della direttiva 95/46/CE deve essere interpretato nel senso che 
la registrazione dei tempi di lavoro, ossia l'indicazione dell'ora in cui ciascun 
lavoratore inizia e termina la propria giornata nonch� le pause o i periodi 
non compresi in essa, rientra nella nozione di dati personali�. 
II.b) Relativamente al quesito n. 2; 
Il presente quesito ha ad oggetto l�obbligo degli Stati membri di prevedere 
misure tecniche ed organizzative per la protezione dei dati personali. 
Al riguardo, si osserva che l'articolo 17 della direttiva stabilisce �Gli Stati 
membri dispongono che il responsabile del trattamento deve attuare misure 
tecniche ed organizzative appropriate al fine di garantire la protezione 
dei dati personali dalla distruzione accidentale o illecita, dalla 
perdita accidenta1e o dall'alterazione, dalla diffusione o dall'accesso non 
autorizzati, segnatamente quando il trattamento comporta trasmissioni 
di dati all'interno di una rete, o da qualsiasi altra forma illecita di trattamento 
di dati personali�. 
Il chiaro tenore letterale della norma indica che lo Stato membro � tenuto 
a prevedere misure a tutela della sicurezza dei dati, e che ci� deve fare 
attraverso l�adozione di disposizioni di massima indirizzate al responsabile 
del procedimento. 
��� 
Il Governo italiano propone pertanto di rispondere al secondo quesito 
come segue: �Ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 
95/46/CE, ciascuno Stato membro � tenuto a prevedere misure tecniche
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 
ed organizzative appropriate al fine di garantire la protezione dei dati 
personali dalla distruzione accidentale o illecita, dalla perdita accidentale 
o dall'alterazione, dalla diffusione o dall'accesso non autorizzati, segnatamente 
quando il trattamento comporta trasmissioni di dati 
all'interno di una rete. Tale obbligo � assolto attraverso l�adozione di disposizioni 
di massima indirizzate al responsabile del trattamento dei dati 
personali�. 
II.c) Relativamente al quesito n. 3; 
Il giudice remittente chiede infine se - in base al diritto comunitario - sia 
sanzionabile, o meno, il comportamento del responsabile dei dati personali 
che, sia pure in mancanza di una disposizione nazionale in tal senso, 
ometta di rendere tali dati immediatamente disponibili all'autorit� nazionale 
competente per la vigilanza sulle condizioni di lavoro. 
A tale riguardo si osserva che la Direttiva si limita a stabilire: �� per essere 
lecito, il trattamento di dati personali deve essere inoltre basato sul 
consenso della persona interessata oppure � deve essere previsto dalla 
legge, per l'esecuzione di un compito nell'interesse pubblico o per l'esercizio 
dell'autorit� pubblica �� (30^ �Considerando�); �Il trattamento 
dei dati personali pu� essere effettuato soltanto quando � c) � necessario 
per adempiere un obbligo legale� e) � necessario per l�esecuzione di un 
compito di interesse pubblico o connesso all�esercizio di pubblici poteri 
di cui � investito � il terzo a cui vengono comunicati i dati� (art. 7). 
Dalle norme richiamate si evince che il trattamento dei dati personali, 
nella forma della comunicazione a terzi, � previsto (tra l�altro, anche) per 
la specifica finalit� dell�adempimento di obblighi di legge e l�esercizio 
di poteri pubblici ovvero la tutela di interessi pubblici, quali sono quelli 
di cui � titolare - nel caso di specie - l�autorit� portoghese per la vigilanza 
sulle condizioni di lavoro. 
La Direttiva, tuttavia, nulla dispone con riferimento alle modalit� di tale 
messa a disposizione che pertanto - in mancanza di una specifica previsione 
normativa nazionale che sanzioni la mancata messa a disposizione 
immediata dei dati - deve intendersi correttamente attuata dal responsabile 
anche tramite la semplice trasmissione successiva dei dati stessi ai terzi 
che vi abbiano titolo o in base alla legge, oppure in quanto investiti di 
pubblici poteri ovvero della tutela di interessi pubblici. 
Quando, perci�, il responsabile dei dati abbia a ci� provveduto, egli non 
pu� essere sanzionato per il solo fatto che la disponibilit� dei dati a favore 
dell�autorit� non sia stata garantita in maniera immediata. 
��� 
Il Governo italiano propone pertanto di rispondere al terzo quesito come 
segue: �Qualora il datore di lavoro, responsabile del trattamento dei dati
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
personali, appronti un sistema di accesso ristretto a tali dati che non consenta 
l'accesso automatico dell'autorit� nazionale competente per la vigilanza 
sulle condizioni di lavoro, ma permetta comunque l�accesso 
mediante comunicazione successiva, lo Stato membro non pu� sanzionare 
il datore di lavoro per il suddetto comportamento�. 
Marina Russo 
Avvocato dello Stato 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Barbara Tidore, 
AL 32223/12) nella causa C-352/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta alla Corte ai sensi dell�art. 267 TFUE dal Tribunale Amministrativo 
Regionale (TAR) per l�Abruzzo (Italia), nelle cause: A) Consiglio Nazionale 
degli Ingegneri c. Comune di Castelvecchio Subequo, Universit� degli Studi 
Chieti Pescara; B) Consiglio Nazionale degli Ingegneri c. Comune di Barisciano, 
Scuola di Architettura e Design (SAD) dell�Univerist� degli Studi di Camerino. 
Materia: Ravvicinamento delle legislazioni 
LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 
1. Con ordinanza n. 476/2012 del 9 maggio 2012, depositata presso la Cancelleria 
della Corte il 26 luglio 2012, il TAR Abruzzo, nell�ambito di due 
procedimenti che vedono contrapposte le parti indicate in epigrafe, ha 
sottoposto alla Corte le seguenti questioni: 
a) �se la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 31 marzo 2004 
n. 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione 
degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi ed in particolare 
l�articolo 1, n. 2 lettere a) e d), l�art. 2, l�articolo 28 e l�allegato II 
categorie n. 8 e n. 12 ostino ad una disciplina nazionale che consente la 
stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni aggiudicatrici 
per l�attivit� di supporto ai Comuni relative allo studio, all�analisi 
e al progetto per la ricostruzione dei centri storici del comune di Barisciano 
e Castelvecchio Subequo, come meglio specificate nel capitolato 
tecnico allegato alla convenzione e come individuati dalla normativa nazionale 
e regionale di settore, verso un corrispettivo la cui non rimunerativit� 
non � manifesta, ove l�amministrazione esecutrice possa rivestire la 
qualit� di operatore economico�; 
b) �se in particolare la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 
31 marzo 2004 n. 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 
di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi 
ed in particolare l�articolo 1, n. 2 lettere a) e d), l�art. 2, l�articolo 28 e l�allegato 
II categorie n. 8 e n. 12 ostino ad una disciplina nazionale che consente 
la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni 
aggiudicatrici per l�attivit� di supporto ai Comuni relative allo studio, all�analisi 
e al progetto per la ricostruzione dei centri storici del comune di 
Barisciano e Castelvecchio Subequo, come meglio specificate nel capitolato 
tecnico allegato alla convenzione e come individuati dalla normativa nazionale 
e regionale di settore, verso un corrispettivo la cui non rimunerativit� 
non � manifesta, ove il ricorso all�affidamento diretto sia espressamente 
motivato alla stregua di normative primarie e secondarie post-emergenziali 
e tenuto conto degli esplicitati specifici interessi pubblici�. 
I FATTI E LA CONTROVERSIA NELLE CAUSE PRINCIPALI 
2. Il Comune di Castelvecchio, con delibera n. 13 del 14 aprile 2011, approvava 
la bozza di convenzione con il Dipartimento di scienze, storia 
dell�architettura, restauro e rappresentazione della facolt� di Architettura 
dell�Universit� di Pescara, inerente la redazione del piano di ricostruzione 
dei centri urbanistici distrutti o danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009, 
dando mandato al sindaco per la stipula della convenzione. 
3. Il Comune di Barisciano, con delibera n. 12 del 25 febbraio 2011, approvava 
lo schema di convenzione per la realizzazione delle attivit� relative alla ricostruzione 
post-sisma del 6 aprile 2009, da affidarsi alla Scuola di Architettura 
e Design �Eduardo Vittoria� dell�Universit� degli Studi di Camerino, 
dando mandato al sindaco per la sottoscrizione del contratto di convenzione. 
4. Con due distinti ricorsi il Consiglio Nazionale degli Ingegneri impugnava 
le delibere di approvazione delle bozze di convenzione, sostenendone l�illegittimit� 
per violazione delle norme nazionali e comunitarie in materia 
di affidamento di incarichi di servizi, nonch� dei principi di trasparenza, 
concorrenza e parit� di trattamento e pubblicit�. 
5. I Comuni di Castelvecchio Subequo e di Barisciano (di seguito, �i resistenti 
nel giudizio principale�) deducevano che nella fattispecie trovava 
applicazione l�art. 15 della legge 241/1990, ai sensi del quale �le pubbliche 
amministrazioni possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare 
lo svolgimento in collaborazione di attivit� di interesse comune�. 
6. Il TAR Abruzzo, con ordinanza n. 476/12, ha disposto il rinvio pregiudiziale 
di cui alla presente causa. 
LA NORMATIVA COMUNITARIA ED INTERNA RILEVANTE E LE MOTIVAZIONI 
DELLA GIURISDIZIONE DI RINVIO 
7. Il quesito posto nell�ordinanza di rinvio verte sull�interpretazione di alcune 
disposizioni della direttiva 2004/18/CEE del Parlamento Europeo e
78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
del Consiglio del 31 marzo 2004 (in prosieguo: la �direttiva�), relativa 
al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici 
di lavori, di forniture e di servizi. 
8. L�art. 1, n. 2, lett. a) e d), n. 8 e n. 9, della direttiva stabilisce che 
�2. a) Gli �appalti pubblici� sono contratti a titolo oneroso stipulati per 
iscritto tra uno o pi� operatori economici e una o pi� amministrazioni 
aggiudicatrici aventi per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di 
prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva. 
(...) 
d) Gli �appalti pubblici di servizi� sono appalti pubblici diversi dagli appalti 
pubblici di lavori o di forniture aventi per oggetto la prestazione dei 
servizi di cui all'allegato II. 
(...) 
8. I termini �imprenditore�, �fornitore� e �prestatore di servizi� designano 
una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento 
di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, 
la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi. ... 
9. Si considerano �amministrazioni aggiudicatrici�: lo Stato, gli enti pubblici 
territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le associazioni costituite 
da uno o pi� di tali enti pubblici territoriali o da uno o pi� di tali 
organismi di diritto pubblico�. 
9. L'art. 2 della direttiva stabilisce che 
�Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un 
piano di parit�, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza�. 
10. Secondo l'art. 4, n. 1, della direttiva, 
� I candidati o gli offerenti che, in base alla normativa dello Stato membro 
nel quale sono stabiliti, sono autorizzati a fornire la prestazione di 
cui trattasi non possono essere respinti soltanto per il fatto che, secondo 
la normativa dello Stato membro nel quale � aggiudicato l'appalto, essi 
avrebbero dovuto essere persone fisiche o persone giuridiche ...�. 
11. L�art. 28 n. 1 della direttiva dispone che 
�Per aggiudicare gli appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici 
applicano le procedure nazionali adattate ai fini della presente direttiva�. 
12. L'allegato II, che elenca i servizi di cui all�art. 1, n. 2, lett. d), alle categorie 
8 e 12 individua i seguenti servizi: 
�8. Servizi di ricerca e sviluppo. 
12. Servizi attinenti all�architettura e all�ingegneria, anche integrata; servizi 
attinenti all�urbanistica e alla paesaggistica; servizi affini di consulenza 
scientifica e tecnica; servizi di sperimentazione tecnica e analisi�. 
13. Quanto alla normativa interna, rilevano, in primo luogo, le disposizioni 
di cui al D.lgs. 163/2006, con il quale � stata recepita nell�ordinamento 
italiano la direttiva 2004/18/CE. In particolare: 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 
14. L�art. 2, comma 1, stabilisce che: 
�1. L�affidamento e l�esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, 
ai sensi del presente codice, deve garantire la qualit� delle prestazioni 
e svolgersi nel rispetto dei principi di economicit�, efficacia, 
tempestivit� e correttezza; l�affidamento deve altres� rispettare i principi 
di libera concorrenza, parit� di trattamento, non discriminazione, trasparenza, 
proporzionalit�, nonch� quello di pubblicit� con le modalit� 
indicate nel presente codice�. 
15. L�art. 3, commi 6 e 10, stabilisce che: 
�6. Gli �appalti pubblici� sono i contratti a titolo oneroso, stipulati per 
iscritto tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o pi� 
operatori economici, aventi per oggetto l�esecuzione di lavori, la fornitura 
di prodotti, la prestazione di servizi come definiti dal presente codice� 
(...) 
10. Gli �appalti pubblici di servizi� sono appalti pubblici diversi dagli 
appalti pubblici di lavori o di forniture, aventi per oggetto la prestazione 
dei servizi di cui all'allegato II�. 
16. L�art. 3, comma 22, recita: 
�Il termine <operatore economico> comprende l�imprenditore, il fornitore 
e il prestatore di servizi ...�. 
17. L�art. 20, comma 2, stabilisce che: 
�Gli appalti di servizi elencati nell�allegato II A sono soggetti alle disposizioni 
del presente codice�. 
18. L�allegato II A, che elenca i servizi di cui all�art. 20, alle categorie 8 e 12 
individua i seguenti servizi: 
�8. Servizi di ricerca e sviluppo. 
12. Servizi attinenti all�architettura e all�ingegneria, anche integrata; servizi 
attinenti all�urbanistica e alla paesaggistica; servizi affini di consulenza 
scientifica e tecnica; servizi di sperimentazione tecnica e analisi�. 
19. Rilevano poi alcune norme che disciplinano le Universit�; in particolare: 
l�art. 6, comma 4, della legge n. 168/1989 stabilisce che 
�Le Universit� sono sedi primarie della ricerca scientifica ...�. 
20. L�art. 66 del D.P.R. 382/1980 stabilisce che: 
�Le Universit�, purch� non vi osti lo svolgimento della loro funzione 
scientifica didattica, possono eseguire attivit� di ricerca e consulenza 
stabilite mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati. 
L'esecuzione di tali contratti e convenzioni sar� affidata, di norma, ai dipartimenti 
o, qualora questi non siano costituiti, agli istituti o alle cliniche 
universitarie o a singoli docenti a tempo pieno�. 
21. Ai sensi dell�art. 2 comma 12 bis del Decreto Legge n. 39 del 28 aprile 
2009, convertito in Legge, �I comuni di cui all� articolo 1, comma 2 [trattasi 
dei Comuni interessati dagli eventi sismici del 6 aprile 2009], predi-
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
spongono, d�intesa con il presidente della regione Abruzzo - Commissario 
delegato ai sensi dell� articolo 4, comma 2, sentito il presidente della provincia, 
e d�intesa con quest�ultimo nelle materie di sua competenza, la 
ripianificazione del territorio comunale definendo le linee di indirizzo 
strategico per assicurarne la ripresa socio-economica, la riqualificazione 
dell�abitato e garantendo un�armonica ricostituzione del tessuto urbano 
abitativo e produttivo, tenendo anche conto degli insediamenti abitativi 
realizzati ai sensi del comma 1�. 
22. Rileva, infine, l�art. 15 della legge 241/1990, ai sensi del quale: 
�1. ... le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro 
accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivit� di 
interesse comune�. 
23. Il TAR Abruzzo, dopo aver ripercorso la normativa nazionale rilevante, 
ha rammentato che il tema della cooperazione pubblico - pubblico ha costituito 
oggetto della Risoluzione del Parlamento Europeo 18 maggio 2010 
sui nuovi sviluppi in materia di appalti pubblici, nella quale � stato posto 
l�accento sulla possibilit� accordata alle autorit� pubbliche dalla pi� recente 
giurisprudenza comunitaria di ricorrere ai propri strumenti per 
adempiere alle proprie missioni di diritto pubblico, anche in collaborazione 
con altre autorit� pubbliche, e nella quale � stato sottolineato, sulla 
scorta in particolare della sentenza della Corte del 9 giugno 2009 nella 
causa C-480/06, Commissione c. Germania, come i partenariati pubblico 
- pubblico (cos� come gli accordi di collaborazione tra autorit� locali) non 
rientrino nel campo di applicazione delle direttive sugli appalti pubblici 
purch� siano soddisfatti i seguenti criteri: - lo scopo dell�accordo deve essere 
l�esecuzione di un compito di servizio pubblico spettante a tutte le 
autorit� coinvolte; - il compito deve essere svolto esclusivamente dalle 
autorit� pubbliche, senza la partecipazione di soggetti privati; - l�attivit� 
deve essere espletata essenzialmente per le autorit� pubbliche coinvolte. 
24. Ritiene, quindi, il TAR Abruzzo che l�accordo tra i Comuni e le Universit�, 
di cui al giudizio principale, soddisfi i suddetti criteri in quanto: 1) 
l�accordo soddisfa un interesse comune alle parti, secondo la normativa 
nazionale ed i compiti istituzionalmente attribuiti alle Universit�, considerata 
anche la possibilit� di diffusione dei risultati conseguiti nel mondo 
scientifico; 2) non � prevista alcuna partecipazione di soggetti privati; 3) 
l�Universit� non ha carattere commerciale e l�attivit� di studio e ricerca, 
anche applicata, rientrante nell�oggetto della convenzione, � tra quelle 
che possono essere svolte in base alla disciplina nazionale. 
25. Il giudice di rinvio, tuttavia, considerate le disposizioni di cui agli artt. 1, 
n. 2, lett. a), 2, 28 e allegato II, categorie 8 e 12 della direttiva 2004/18/CE, 
dubita che il ricorso al partenariato pubblico - pubblico possa violare i principi 
della concorrenza quando l�Amministrazione con cui sia concluso
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 
l�accordo possa rivestire al tempo stesso la qualit� di operatore economico, 
come nel caso delle Universit�, alla luce della sentenza di codesta Corte 
di Giustizia 23 dicembre 2009, causa C-305/08, CoNISMa. 
26. Non vale a fugare il suddetto dubbio, secondo il giudice di rinvio, la fissazione 
di un corrispettivo che non consenta di realizzare un sostanziale 
profitto in capo all�aggiudicatario, posto che ci� non comporta la gratuit� 
dell�accordo, che rimane a titolo oneroso. 
27. Le prestazioni di rilevazione e ricerca tecniche e scientifiche, sebbene 
possono rientrare tra quelle eseguibili istituzionalmente dalle Universit�, 
a prescindere dalla propriet� dei risultati, quando ne sia regolata la diffusione 
in sede scientifica da parte dell�amministrazione committente, non 
sarebbero da considerarsi con certezza estranee all�ambito dei servizi indicati 
nelle categorie nn. 8 e 12 dell�allegato II alla Direttiva 2004/18/CE. 
28. Infine, il giudice remittente ha ricordato che analoga questione � stata rimessa 
alla Corte di Giustizia dal Consiglio di Stato italiano, il quale ha 
ritenuto che �il ricorso al partenariato pubblico-privato possa profilare 
il pericolo di contrasto con i principi di concorrenza quando l�amministrazione 
con cui sia deciso un accordo di collaborazione rivesta la qualit� 
di operatore economico� (causa C-159/11, Azienda Sanitaria Locale 
di Lecce (*)). 
OSSERVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO 
29. Ad avviso del Governo italiano la risposta al quesito posto dal giudice di 
rinvio pu� agevolmente essere fornita alla luce della giurisprudenza di 
codesta Corte. 
30. Ripercorrendone brevemente i passaggi fondamentali si rammenta che, 
nella sentenza Coditel Brabant, � stato riconosciuto che un�autorit� pubblica 
pu� adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa affidati mediante 
i propri strumenti, senza essere costretta a far ricorso ad entit� 
esterne non appartenenti ai propri servizi; detta possibilit� pu� essere utilizzata 
anche in collaborazione con altre autorit� pubbliche (punti 48 e 49). 
31. Le condizioni in presenza delle quali tali accordi tra autorit� pubbliche 
non contrastano con i principi comunitari a tutela della concorrenza, come 
individuate nella sentenza 9 giugno 2009, Commissione c. Germania e 
richiamate nella Risoluzione del Parlamento Europeo 18 maggio 2010, 
sono le seguenti: 
a) lo scopo dell�accordo � esclusivamente il perseguimento di obiettivi 
di interesse pubblico comuni alle autorit� interessate; 
b) il compito � svolto esclusivamente dalle autorit� pubbliche, senza la 
(*) Sul punto, in questa Rass., GIUSEPPE FIENGO, Le regole europee in materia di appalti pubblici: 
nulla di nuovo dalla Corte con la sentenza 19 dicembre 2012, C-159/11 ( ... ?), p. 23 ss.
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
partecipazione di soggetti privati; 
c) l�attivit� � espletata essenzialmente per le autorit� pubbliche coinvolte; 
d) la collaborazione tra le amministrazioni non � una costruzione di puro 
artificio diretta ad eludere le norme in materia di appalti pubblici; 
e) tutte le strutture pubbliche partecipano attivamente allo svolgimento 
dei compiti, con conseguente suddivisione anche delle responsabilit�; 
f) gli unici movimenti finanziari ammessi sono quelli corrispondenti al 
rimborso delle spese effettivamente sostenute. 
31. Il giudice di rinvio esamina, poi la peculiarit� dell�oggetto delle due convenzioni, 
affermando che le prestazioni in esame sono oggettivamente 
connesse all�esigenza, corrispondente a uno specifico interesse pubblico, 
di ridefinire il contesto urbanistico ed edilizio compromesso dal sisma del 
2009, con modalit�, in buona parte, innovative, tenuto conto dell�ampiezza 
e complessit� degli interventi da realizzare (pag. 20 dell�ordinanza). 
32. Il primo dubbio che solleva la giurisdizione di rinvio attiene alla possibile 
contrariet� ai principi comunitari in materia di concorrenza di un accordo 
concluso tra due amministrazioni pubbliche, qualora una delle amministrazioni 
coinvolte possa rivestire in astratto la qualifica di �operatore 
economico�; e ci� nonostante l�accordo in parola abbia le caratteristiche 
di legittimit� comunitaria individuate da codesta Corte. 
33. Il dubbio sollevato dal TAR Abruzzo si fonda sulla decisione assunta da 
codesta Corte nella sentenza CoNISMa, nella quale � stato riconosciuto 
espressamente che le Universit� possano rivestire la qualifica di operatore 
economico e, come tali, rientrare nel campo di applicazione della direttiva 
2004/18/CE. 
34. Ritiene il giudice remittente che equiparando le Universit� tout court ad operatori 
economici si dovrebbe ammettere che le stesse, quando offrano servizi 
sul mercato, debbano concorrere con tutti gli altri operatori economici interessati 
in un procedimento concorsuale, pena l�elusione della normativa comunitaria 
in tema di evidenza pubblica, nonostante il perseguimento di 
interessi pubblici comuni (cfr. pag. 19, punto V.3) dell�ordinanza). 
35. Ad avviso del Governo Italiano � proprio alla luce dei principi affermati 
nella sentenza da ultimo citata che occorre dare al quesito proposto dal 
giudice di rinvio risposta negativa. 
36. Richiamandone i passaggi fondamentali, va rammentato che codesta 
Corte ha, in quella sede, rammentato che l�art. 1, n. 8, primo e secondo 
comma della Direttiva, riconoscono la qualit� di �operatore economico� 
non solo ad ogni persona fisica o giuridica, ma anche, in modo esplicito, 
ad ogni �ente pubblico� che offra servizi sul mercato; la nozione di �ente 
pubblico� pu� includere anche organismi che non perseguono un preminente 
scopo di lucro, che non hanno una struttura d�impresa e che non 
assicurano una presenza continua sul mercato (punto 30).
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 
37. � stato, poi, richiamato l�art. 4 della medesima direttiva, che vieta agli 
Stati membri di fare alcuna distinzione tra i candidati alle gare pubbliche 
d�appalto a seconda che siano persone fisiche o giuridiche e che abbiano 
uno status di diritto pubblico o privato (punto 31). 
38. Codesta Corte ha poi richiamato la propria giurisprudenza ed in particolare 
le pronunce nelle quali, nell�ottica della apertura degli appalti pubblici 
alla concorrenza nella misura pi� ampia possibile, � stato affermato 
che la normativa comunitaria in materia di appalti si applica anche qualora 
il soggetto con cui un�amministrazione aggiudicatrice intenda concludere 
un contratto a titolo oneroso sia, a sua volta, un�altra amministrazione aggiudicatrice, 
che, ai sensi dell�art. 1, n. 9, della Direttiva � un ente che 
soddisfa una funzione di interesse generale, avente carattere non industriale 
e non commerciale e che, quindi, non esercita a titolo principale 
un�attivit� lucrativa sul mercato (punto 38). 
39. Da tali principi codesta Corte ha desunto la conclusione secondo cui pu� 
partecipare alle gare d�appalto, rivestendo quindi la qualifica di �operatore 
economico�, qualsiasi soggetto che, secondo i requisiti indicati nel bando 
di gara, si reputi idoneo a garantirne l�esecuzione, in modo diretto o ricorrendo 
al subappalto e ci� indipendentemente dal fatto di essere un soggetto 
pubblico o privato e di essere attivo sul mercato in modo sistematico o occasionale 
e di essere o meno sovvenzionato con fondi pubblici (punto 42). 
40. La conclusione cui � pervenuta codesta Corte nella citata pronuncia costituisce 
espressione ed applicazione del principio dell�indifferenza delle 
forme giuridiche, in virt� del quale, al fine di stabilire se un soggetto rientri 
o meno nel campo di applicazione di una certa disciplina, non rileva 
la forma giuridica dallo stesso rivestita, ma solo la verifica delle modalit� 
con le quali la sua attivit� si atteggia in quel contesto. 
41. Di qui l�ulteriore conseguenza che esistono dei soggetti giuridici, in particolare 
gli �enti pubblici�, che possono, di volta in volta, rivestire diverse 
qualifiche. 
42. Gli stessi, infatti, ai sensi dell�art. 1, n. 9, della direttiva, in quanto deputati al 
perseguimento di un interesse generale, avente carattere non industriale o 
commerciale, rientrano nella definizione di �amministrazioni aggiudicatrici�. 
43. Tuttavia, quando occasionalmente offrono servizi sul mercato, indipendentemente 
dal fatto che non possiedono un�organizzazione imprenditoriale, 
non perseguono uno scopo di lucro e sono sovvenzionati con fondi 
pubblici, possono rivestire anche la qualifica di �operatore economico� 
ai sensi dell�art. 1, n. 8, della Direttiva. 
44. E ci� evidentemente vale per tutti gli �enti pubblici�- essendo i riportati 
principi stati affermati con carattere di generalit� - e non solo per le Universit�; 
quindi ogni �ente pubblico� che sia in grado di fornire servizi sul 
mercato pu� rivestire la qualifica di �operatore economico�.
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
45. Ma gli �enti pubblici� sono, evidentemente, anche soggetti che, in quanto 
istituzionalmente deputati al perseguimento di un interesse di carattere 
generale, possono, secondo i principi affermato nelle sentenze Coditel 
Brabant e Commissione c. Germania citate, stipulare accordi di partenariato 
pubblico - pubblico per l�adempimento in collaborazione delle loro 
funzioni, appunto, di interesse pubblico. 
46. � allora chiaro che, se l�astratta possibilit� di rivestire la qualifica di �operatore 
economico� precludesse la possibilit� di partecipare ad un accordo 
quale quelli di cui si discute (e di cui alla causa principale), il campo operativo 
del partenariato pubblico - pubblico sostanzialmente si azzererebbe. 
47. Ed infatti, se cos� fosse, il dubbio sollevato dal giudice di rinvio riguardo 
alle Universit� potrebbe sorgere il relazione a qualunque �ente pubblico� 
tra le cui funzioni istituzionali rientri lo svolgimento di servizi che, occasionalmente, 
possano essere offerti sul mercato. 
48. � evidente, al contrario, che un �ente pubblico� non cessa di essere tale 
per il solo fatto di potere rivestire anche la qualifica di �operatore economico� 
e non pu�, di conseguenza, perdere la possibilit� di stipulare accordi 
con un'altra pubblica amministrazione per lo svolgimento 
coordinato di un�attivit� di interesse comune. 
49. Il medesimo soggetto pu�, infatti, avere distinti campi di attivit�, agendo 
in ognuno di essi nel rispetto delle regole proprie di quel settore. 
50. � da ritenere, pertanto, che la legittimit� di un accordo quale quello di 
cui alla causa principale dipenda esclusivamente dalla ricorrenza dei requisiti 
individuati dalla giurisprudenza di codesta Corte, tra i quali non 
rientra quello, soggettivo, di non poter rivestire, in astratto, la qualifica 
di �operatore economico�. 
51. Una diversa soluzione sarebbe, evidentemente, contraria al principio di 
indifferenza delle forme giuridiche, che non pu� ovviamente valere in 
senso unidirezionale: se la natura di �ente pubblico� non esclude che, occasionalmente, 
il medesimo soggetto possa rivestire la qualifica di �operatore 
economico�, tale ultima possibilit� non pu� privare un �ente 
pubblico� delle prerogative che gli sono proprie. 
52. Tale conclusione non � inficiata dagli ulteriori profili sollevati dal giudice 
di rinvio. 
53. Rileva lo stesso che, nel caso di specie, era stato previsto, a favore dell�Universit�, 
un corrispettivo idoneo a costituire per l�Universit� un sostanziale 
profitto, osservando, tuttavia, che l�assenza di profitto non vale 
a conferire all�accordo carattere di gratuit�. 
54. Ma, come ricordato al punto 31 del presente intervento, codesta Corte 
non richiede, quale requisito di legittimit� degli accordi in esame, che gli 
stessi rivestano carattere di gratuit�, bens� che non vi siano tra le parti 
movimenti finanziari diversi da quelli corrispondenti al rimborso degli
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 
oneri (sentenza Commissione c. Germania, punto 43). 
55. Dunque, anche il requisito di cui alla lettera f) del punto 31 risulta rispettato. 
56. L�ultimo profilo problematico sollevato dal giudice di rinvio riguarda il 
fatto che le prestazioni di rilevazioni e di ricerca tecniche e scientifiche 
oggetto dell�accordo rispondono a finalit� dettate da una normativa speciale 
post-emergenziale, espressamente richiamate nelle convenzioni e 
poste a fondamento della scelta del soggetto pubblico affidatario dell�incarico, 
a fronte di un interesse scientifico di quest�ultimo, avente ad oggetto 
l�approfondimento delle problematiche sottese alla pianificazione 
e ricostruzione post-sisma. 
57. In altre parole, il giudice di rinvio pare porsi il problema della legittimit� di 
un accordo, quale quello di cui alla causa principale, che realizzi un sostanziale 
affidamento diretto, in deroga alla normativa sugli appalti pubblici, 
in quanto giustificato dalle peculiarit� dell�oggetto dell�accordo stesso. 
58. La seconda circostanza che il giudice di rinvio considera rilevante � la previsione 
normativa di cui all�art. 2 co.12 bis del D.L. 39/2009 (cfr. sopra, 
al punto) che obbliga i Comuni delle zone danneggiate dal sisma a provvedere 
alla ri-pianificazione urbanistica, prevedendo che le relative attivit� 
sono svolte in collaborazione con i diversi soggetti pubblici e privati che 
sono coinvolti nei processi propri della ricostruzione (ordinanza, pag. 22). 
59. Osserva il giudice remittente che la convenzione �istituisce una cooperazione 
scientifica tra enti pubblici finalizzata a garantire l�adempimento di 
una funzione di servizio pubblico di interesse comune� e che la scelta 
dell�Universit� quale soggetto affidatario � giustificata nell�atto deliberativo 
precisando che �la pianificazione di interventi sul territorio, soprattutto 
di scala sovracomunale, sia finalizzata ad uno sviluppo sostenibile, coeso 
ed intelligente di tutto il comprensorio e che la visione globale di una Universit� 
qualificata pu� offrire opportunit� tecniche e specialistiche esclusivamente 
nell�interesse collettivo�(pag. 24 dell�ordinanza). 
60. Le finalit� perseguite dall�Universit� comprendono inoltre l�interesse per 
la � straordinaria unicit� delle attivit� da svolgere, impregnate tra l�altro 
di ricerca scientifica applicata�, ovvero, ad avviso del giudice del rinvio, 
uno � specifico interesse scientifico che [con] la messa a gara delle attivit� 
in questione potrebbe risultare insoddisfatto�. 
61. Tuttavia, una volta ritenuto che la qualit� soggettiva dell�affidatario � 
compatibile con la nozione di partenariato pubblico-pubblico secondo i 
requisiti individuati dalla giurisprudenza di codesta Corte (v. al punto 50 
del presente atto), le peculiarit� dell�oggetto della prestazione acquistano 
un rilievo secondario e assorbito nella prima questione. 
62. Ai punti 59 e 60 si � comunque dato conto di come, nella fattispecie concreta, 
il perseguimento di un interesse pubblico comune alle parti debba 
dirsi sussistente. 
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
63. Rispetto ai requisiti di legittimit� comunitaria di un accordo pubblicopubblico, 
infine, il requisito della peculiarit� dell�oggetto non pu� considerarsi 
rilevante in via autonoma, ma esclusivamente qualora si tratti di 
verificare se lo stesso caratterizzi o meno un obiettivo di interesse pubblico 
comune alle parti (cfr. al punto 31 lett. a) del presente atto). 
CONCLUSIONI 
64. In conclusione, il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere ai 
quesiti sottoposti al suo esame nel seguente modo: 
a) Le disposizioni della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 
31 marzo 2004 n. 2004/18/Ce relativa al coordinamento delle procedure 
di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi 
ed in particolare l�articolo 1, n. 2 lettere a) e d), l�art. 2, l�articolo 28 e 
l�allegato II categorie n. 8 e n. 12 non ostano ad una disciplina nazionale 
che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni 
aggiudicatrici per l�attivit� di supporto ai Comuni relative allo 
studio, all�analisi e al progetto per la ricostruzione dei centri storici del 
comune di Barisciano e Castelvecchio Subequo,come meglio specificate 
nel capitolato tecnico allegato alla convenzione e come individuati dalla 
normativa nazionale e regionale di settore, verso un corrispettivo la cui 
non rimunerativit� non � manifesta, ove l�amministrazione esecutrice 
possa rivestire la qualit� di operatore economico�; 
b) �Le disposizioni della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 
31 marzo 2004 n. 2004/18/Ce relativa al coordinamento delle procedure 
di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi 
ed in particolare l�articolo 1, n. 2 lettere a) e d), l�art. 2, l�articolo 28 e 
l�allegato II categorie n. 8 e n. 12 non ostano ad una disciplina nazionale 
che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni 
aggiudicatrici per l�attivit� di supporto ai Comuni relative allo 
studio,all�analisi e al progetto per la ricostruzione dei centri storici del 
comune di Barisciano e Castelvecchio Subequo, come meglio specificate 
nel capitolato tecnico allegato alla convenzione e come individuati dalla 
normativa nazionale e regionale di settore, verso un corrispettivo la cui 
non rimunerativit� non � manifesta, ove l�affidamento sia espressamente 
motivato alla stregua di normative primarie e secondarie post-emergenziali 
e tenuto conto degli esplicitati specifici interessi pubblici� . 
Roma, 5 novembre 2012 
Barbara Tidore 
Avvocato dello Stato
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Cristina 
Gerardis, AL 35843/12) nella causa C-361/12 promossa, ai sensi dell'art. 
267 TFUE dal Tribunale di Napoli - Sezione Lavoro con ordinanza depositata 
il 18 giugno 2012. 
Materia: Disposizioni sociali 
Ravvicinamento delle legislazioni 
LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 
1. Con ordinanza del 18 giugno 2012, il Tribunale di Napoli, Sezione Lavoro 
ha sollevato una questione pregiudiziale ai sensi dell'art. 267, TFUE. 
2. La questione sottoposta all'esame della Corte si conclude con i seguenti 
quesiti: 
1) Se sia contraria al principio di equivalenza una disposizione di diritto 
interno che, nella applicazione della direttiva 1999/70/Ce preveda 
conseguenze economiche, in ipotesi di illegittima sospensione nella esecuzione 
del contratto di lavoro, con clausola appositiva del termine nulla, 
diverse e sensibilmente inferiori rispetto [alle] ipotesi di illegittima sospensione 
nella esecuzione del contratto di diritto civile, comune, con 
clausola appositiva del termine nulla; 
2) Se sia conforme all'Ordinamento europeo che, nell'ambito di sua 
applicazione, la effettivit� di una sanzione avvantaggi il datore di lavoro 
abusante, a danno del lavoratore abusato, di modo che la durata temporale, 
anche fisiologica, del processo danneggi direttamente il lavoratore 
a vantaggio del datore di lavoro e che l'efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente 
ridotta all'aumentare della durata del processo, sin quasi 
ad annullarsi; 
3) Se, nell'ambito di applicazione dell'Ordinamento europeo ai sensi 
dell'art. 51 della Carta di Nizza, sia conforme all'art. 47 della Carta ed 
all'art. 6 CEDU che la durata temporale, anche fisiologica, del processo 
danneggi direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e 
che l'efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all'ammontare 
della durata del processo, sin quasi ad annullarsi; 
4) Se, tenuto conto delle esplicazioni di cui all'art. 3, comma 1, lett. c, 
della direttiva 2000/78/Ce ed all�art. 14, comma 1, lett. c, della Direttiva 
2006/54/Ce nella nozione di condizioni di impiego di cui alla Clausola 4 
della direttiva 1999/70/Ce siano comprese anche le conseguenze della illegittima 
interruzione del rapporto di lavoro; 
5) In ipotesi di risposta positiva al quesito che precede, se la diversit� 
tra le conseguenze ordinariamente previste nell'Ordinamento interno per 
la illegittima interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato 
ed a tempo determinato siano giustificabili ai sensi della clausola 4;
88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
6) Se i principi generali del vigente diritto comunitario della certezza 
del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle 
armi del processo, dell'effettiva tutela giurisdizionale, [del diritto] a un 
tribunale indipendente e, pi� in generale, a un equo processo, garantiti 
dall'art. 6, n. 2, del Trattato sull'Unione europea (cos� come modificato 
dall'art. 1.8 del Trattato di Lisbona e al quale fa rinvio l'art. 46 del Trattato 
sull'Unione) - in combinato disposto con l'art. 6 della Convenzione 
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali, 
firmata a Roma il 4 novembre 1950, e con gli artt. 46, 47 e 52, 
n. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea, proclamata 
a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti dal Trattato di Lisbona - debbano 
essere interpretati nel senso di ostare all'emanazione da parte dello 
Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile (9 anni) di una disposizione 
normativa, quale il comma dell'art. 32 della legge n. 183/10 
alteri le conseguenze dei processi in corso danneggiando direttamente il 
lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che l'efficacia ripristinatoria 
sia proporzionalmente ridotta all'aumentare della durata del processo, 
sin quasi ad annullarsi; 
7) E, ove la Corte di Giustizia non dovesse riconoscere ai principi 
esposti la valenza di principi fondamentali dell'Ordinamento dell'Unione 
europea ai fini di una loro applicazione orizzontale e generalizzata e 
quindi la sola una contrariet� di una disposizione, quale l�art. 32, commi 
da 5 a 7, della legge n. 183/10 agli obblighi di cui alla direttiva 
1999/70/Ce e della Carta di Nizza se una societ�, quale la convenuta, 
avente le caratteristiche di cui ai punti da 55 a 61 debba ritenersi organismo 
statale, al fini della diretta applicazione verticale ascendente del 
diritto europeo ed in particolare della clausola 4 della direttiva 
1999/70/Ce e della Carta di Nizza. 
I FATTI E LA CONTROVERSIA NELLA CAUSA PRINCIPALE 
3. Tale domanda di pronuncia pregiudiziale � stata presentata nell'ambito di 
una causa promossa dalla ricorrente C.C. nei confronti della societ� Poste 
Italiane S.p.a.. In particolare la stessa ha esposto: 
- di essere stata assunta dalla convenuta con contratto a tempo determinato 
per il periodo dal 4 giugno 2004 al 15 settembre 2004 presso il 
Polo Corrispondenza Campania CMP di Napoli, con mansioni di "addetta 
CMP Junior"; 
- che il contratto, firmato dalla sola istante, le era stato restituito con la 
sottoscrizione della convenuta solo il 15 giugno 2004; 
- che la apposizione del termine era stata giustificata ai sensi dell'art. 1 
del D.Lgs. n. 368/2001 per ragioni di carattere sostitutivo correlate 
alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 89 
addetto al C.M.P. Napoli, del Polo Corrispondenza Campania assente 
nel periodo dal 1� giugno 2004 al 15 settembre 2004. Resta inteso che 
il rapporto di lavoro si estinguer�, anche anticipatamente rispetto al 
termine del 15 settembre 2004, ove le esigenze di sostituzione dovessero 
venir meno per il rientro in servizio del personale assente; 
- che le esigenze di personale erano permanenti e durevoli perch� dirette 
a sopperire a croniche carenze di organico, per come comprovato dalle 
ulteriori costanti assunzioni a termine; 
- che solo nel mese di agosto, quando iniziava il periodo feriale, l'attivit� 
produttiva registrava una sensibile diminuzione; 
- che aveva goduto di ferie proprio mentre gli altri dipendenti erano assenti 
per ferie; 
- che il 21 settembre 2004, con raccomandata, aveva offerto le proprie 
energie lavorative; 
- che l'approvazione del termine era priva di effetto perch� il contratto 
era stato consegnato solo il 15 giugno 2004 e firmato dalla convenuta 
solo in tale data; 
- che la clausola relativa al termine era stata illegittimamente apposta, 
perch� al di fuori dalle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 368/01 ed, in particolare, 
non era indicato il tipo specifico di ragioni sostitutive, i lavoratori 
da sostiuire, la durata della assenza; 
- che le ragioni erano insussistenti, perch� aveva lavorato in aggiunta ai 
lavoratori a tempo indeterminato; 
- che quindi l'allontanamento del ricorrente dal posto di lavoro era ingiustificato, 
con diritto del ricorrente al pagamento delle retribuzioni 
infratemporalmente maturate, con regolarizzazione della sua posizione 
contributiva e previdenziale. 
4. Tanto premesso ha chiesto la dichiarazione di illegittimit� della apposizione 
del termine al contratto a tempo determinato e della natura a tempo 
indeterminato del rapporto, con condanna della convenuta alla sua reintegrazione 
nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni medio 
tempore maturate. 
LA NORMATIVA NAZIONALE OGGETTO DELLA QUESTIONE 
5. Il Giudice remittente osserva che - essendo il diritto del lavoro un �settore
� del diritto civile, alla fattispecie di illegittima apposizione del termine 
al contratto di lavoro ed alle sue conseguenze in relazione agli 
obblighi del datore "abusante" a favore del lavoratore "abusato" era applicabile 
la normativa civilistica di cui agli artt. 1206 e 1207 c.c.: era cio� 
obbligato a versare al lavoratore a titolo di risarcimento del danno per 
avere illegittimamente apposto il termine al contratto l'equivalente delle 
retribuzioni che sarebbero state corrisposte al lavoratore dal momento in
90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
cui questi ha messo a disposizione del datore la propria forza lavoro, 
senza che questi ne abbia usufruito (mora credendi). 
6. Era obbligato in quanto l'attuale disciplina della fattispecie de qua non � 
pi� quella del diritto comune, bens� quella reperibile nell'art. 32 commi 
5, 6 e 7 del cd. Collegato Lavoro (Legge 183/2010) che stabiliscono: 5 - 
Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna 
il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennit� 
onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed 
un massimo di 12 mensilita dell�ultima retribuzione globale di fatto, avuto 
riguardo ai criteri indicati nell' articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 
604. 6 - In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali 
o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente 
pi� rappresentative sul piano nazionale, che prevedano 
l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori gi� occupati con 
contratto a termine nell'ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo 
dell'indennit� fissata dal comma 5 � ridotto alla met�. 7 - Le disposizioni 
di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi 
compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente 
legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini 
della determinazione della indennit� di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa 
alle parti il termine per l'eventuale integrazione della domanda e delle 
relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell'articolo 42 
del codice di procedura civile. 
7. Inoltre, ii medesimo art. 32 prevede per l'impugnazione del contratto a 
termine lo stesso termine decadenziale di 60 giorni previsto per il licenziamento 
(combinato disposto dei commi 1 e 4a). 
OSSERVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO 
Sul primo quesito 
8. La direttiva n. 1999/70/CE, invocata dal giudice rimettente e di cui il 
D.Lgs. n. 368/01 costituisce attuazione, recepisce l'accordo quadro CES, 
UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. 
9. L'obiettivo di tale accordo (clausola 1) � �a) migliorare la qualit� del lavoro 
a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; 
b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli 
abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di 
lavoro a tempo determinato�. 
10. II Giudice remittente si pone il problema di compatibilit� con il diritto 
dell'Unione di una disposizione come quella citata (art. 32 commi 5 e 6 
del Collegato Lavoro) che prevede una sorta di penale "ex lege" a carico 
del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l'importo 
dell'indennita � liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 91 
novella, a prescindere dall'intervenuta costituzione in mora del datore di 
lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore 
(senza riguardo, quindi, per l'eventuale �aliunde perceptum�), trattandosi 
di indennit� �forfetizzata" e "onnicomprensiva" per i danni causati 
dalla nullit� del termine nel periodo cosiddetto "intermedio" (dalla scadenza 
del termine alla sentenza di conversione) (cos� Cass. Sez. lavoro, 
sent. n. 3056 del 29 febbraio 2012). 
11. In altri termini, secondo il Tribunale di Napoli, potrebbe prefigurarsi una 
violazione del principio di non discriminazione del lavoratore a tempo 
determinato (in caso di illegittima apposizione del termine) poich� la 
nuova disciplina succitata, anzich� prevedere l'applicabilit� del diritto comune 
(cui sopra s'� fatto cenno) stabilisce in via automatica e forfetizzata 
l'indennizzo a cui ha diritto il lavoratore, da aggiungersi - ovviamente - 
alla conversione del contratto (per nullit� dell'apposizione del termine). 
12. L'ordinanza del giudice remittente - per sostenere la propria tesi di incompatibilit� 
- si dilunga in una critica alla interpretazione adeguatrice 
offerta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011. Deve infatti 
rammentarsi che la Consulta era stata investita della questione (sostanzialmente 
identica a quella oggetto del presente giudizio, con la sola 
differenza che il parametro era norme costituzionali interne) della illegittimit� 
dei citati commi del ripetuto art. 32, essendo il nuovo sistema ritenuto 
irragionevolmente riduttivo del risarcimento del danno integrale gi� 
conseguibile dal lavoratore sotto il regime previgente. 
13. Questa Difesa non pu� esimersi dal citare testualmente l'autorevole arresto 
della Corte Costituzionale, alla cui opzione ermeneutica certamente 
deve farsi riferimento per contestare decisamente il dubbio di compatibilit� 
con l'ordinamento comunitario sollevato dal Tribunale di Napoli. 
14. La Corte Costituzionale, nel ritenere infondate le questioni sollevate, ha 
- tra l'altro - cosi argomentato: il dubbio posto dai giudici rimettenti s'incentra 
sulla violazione dell'art. 3, secondo comma, Cost., sotto il profilo 
dell'irragionevolezza del trattamento indennitario forfetizzato, introdotto 
della riforma in oggetto, rispetto al pi� sostanzioso risarcimento che sarebbe 
stato assicurato dal "diritto vivente" ricavato dalla normative generate 
di diritto comune. La disciplina dettata dall'art. 32, commi 5, 6 e 
7, della legge n.183 del 2010 prende spunto dalle obiettive incertezze verificatesi 
nell'esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del 
danno secondo la legislazione previgente, con l'esito di risarcimenti ingiustificatamente 
differenziati in misura eccessiva. Tre le variabili pi� 
evideni registratesi nella prassi, tutte pienamente consentite dal regime 
pregresso, basta citare l'identificazione del dies a quo del diritto al risarcimento 
del danno, a volte desunto da elementi formali od espliciti, ma 
pi� spesso ricavato da comportamenti concludenti, e la determinazione
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
dell'aliunde perceptum da porre in detrazione dal pregiudizio concretamente 
risarcibile, talora esteso al percipiendum, ossia al guadagno che 
sarebbe lecito attendersi dal lavoratore diligentemente attivatosi nella 
ricerca di un nuovo posto di lavoro, con diversificate forme di utilizzazione, 
al riguardo, del ragionamento presuntivo. � in tale contesto, 
quindi, che deve inserirsi la novella in esame, diretta ad introdurre un 
criterio di liquidazione del danno di pi� agevole, certa ed omogenea applicazione. 
Cos� ricostruita la ratio legis, la normativa di riforma sfugge 
alle proposte censure di non ragionevolezza. In termini generali, la norma 
scrutinata non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al 
lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura 
a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 
Difatti, l'indennit� prevista dall'art. 22, commi a e 6, della legge 
n. 183 del 2010 va chiaramente ad integrare la garanzia della conversione 
del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo 
indeterminato. E la stabilizzazione del rapporto � la protezione pi� intensa 
che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario. Non a 
caso, dall'esame dei lavori preparatori si desume che la disposizione di 
cui all�art. 32, comma 5, dell'anzidetta legge dev'essere correttamente 
letta come riferita alla conversione del contratto a tempo determinato in 
contratto a tempo indeterminato e che, conseguentemente, la previsione 
della condanna al risarcimento del danno in favore del lavoratore dev'essere 
intesa �come aggiuntiva e non sostitutiva della suddetta conversione
� (ordine del giorno G/1167-B/7/1-11 accolto al Senato della 
Repubblica innanzi alle commissioni I e XI riunite nella seduta del 2 
marzo 2010). D'altro canto, ancorch� nell'ipotesi di licenziamento ingiustificatamente 
intimato in regime di tutela obbligatoria, il rimedio indennitario 
apprestato dall'art. 8 della Legge n. 604 del 1966, anche in 
mancanza della riassunzione, ha pi� volte passato indenne il vaglio di 
questa Corte (sentenze n. 46 del 2000, n. 44 del 1996 e n. 194 del 1970). 
Quanto poi alla denunziata insufficienza del trattamento forfettario previsto 
dalle disposizioni censurate, la Corte di cassazione rimettente ritiene 
che l'indennit� onnicomprensiva prevista dall'art. 32, commi 5 e 6, 
della legge citata, non ipotizzabile come aggiuntiva al risarcimento dovuto 
secondo le regole di diritto comune, assorba l�intero pregiudizio sub�to 
dal lavoratore a causa dell'illegittima apposizione del termine al 
contratto di lavoro, dal giorno dell'interruzione del rapporto fino al momento 
dell'effettiva riammissione in servizio. Donde l'effetto a suo avviso 
perverso di indurre il datore a persistere nell'inadempimento, anche sottraendosi 
all'esecuzione della condanna, non suscettibile di esecuzione 
in forma specifica, con indefinita dilatazione del danno ed abnorme sproporzione 
dell'indennit� rispetto ad esso. Un'interpretazione costituzio-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 93 
nalmente orientata della novella, per�, induce a ritenere che il danno 
forfettizzato dall'indennit� in esame copre soltanto il periodo cosiddetto 
"intermedio", quello, cio�, che corre dalla scadenza del termine fino 
alla sentenza che accerta la nullit� di esso e dichiara la conversione del 
rapporto. A partire dalla sentenza con cui il giudice, rilevato il vizio della 
pattuizione del termine, converte il contratto di lavoro che prevedeva una 
scadenza in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, � da ritenere 
che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in 
servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, 
anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva. Diversamente 
opinando, la tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro 
a tempo indeterminato sarebbe completamente svuotata. Se, infatti, il datore 
di lavoro, anche dopo l'accertamento giudiziale del rapporto a tempo 
indeterminato, potesse limitarsi al versamento di una somma compresa 
tra 2,5 e 12 mensilita di retribuzione, non subirebbe alcun deterrente idoneo 
ad indurlo a riprendere il prestatore a lavorare con s�. E lo stesso 
riconoscimento della durata indeterminata del rapporto da parte del giudice 
sarebbe posto nel nulla. Cos� intesa la norma censurata, cade l'ipotesi 
di paventata sproporzione dell'indennita di cui all'art. 32, commi 5 e 
6, della legge citata, rispetto alla denunziata esigenza di ristoro di in 
danno destinato a crescere con il decorso del tempo, sino ad attingere 
valori non esattamente prevedibili. E ci�, in primo luogo, perch� il legislatore 
ha pure introdotto sub art. 32, commi 1 e 3, della legge n. 183 del 
2010 un termine di complessivi trecentotrenta giorni per l'esercizio, a 
pena di decadenza, dell'azione di accertamento della nullit� della clausola 
appositiva del termine al contratto di lavoro, fissandone la decorrenza 
dalla data di scadenza del medesimo. Con l'effetto di approssimare 
l'indennita in discorso al danno potenzialmente sofferto a decorrere dalla 
messa in mora del datore di lavoro sino alla sentenza, avuto, altres�, riguardo 
ai principi informatori del processo del lavoro intesi ad accelerarne 
la definizione. In secondo luogo, perch� il nuovo regime risarcitorio 
non ammette la detrazione dell'aliunde perceptum. Sicch�, l'indennit� 
onnicomprensiva assume una chiara valenza sanzionatoria. Essa � dovuta 
in ogni caso, al limite anche in mancanza di danno, per avere il 
lavoratore prontamente reperito un'altra occupazione. Con la conseguenza 
che la disciplina in esame, confrontata con quella previgente, risulta, 
sotto tale profilo, certamente pi� favorevole al lavoratore. Peraltro, 
questa Corte ha affermato a pi� riprese che �la regola generale di integralit� 
della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato 
al danneggiato non ha copertura costituzionale� (sentenza n. 148 
del 1999), purch� sia garantita l'adeguatezza del risarcimento (sentenze 
n. 199 del 2005 e n. 420 del 1991). Tale condizione nella specie ricorre,
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
tanto pi� ove si consideri che, nella specie, non v'� stata medio tempore 
alcuna prestazione lavorativa. In definitiva, la normativa impugnata risulta, 
nell'insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento 
dei contrapposti interessi. Al lavoratore garantisce la conversione del 
contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, 
unitamente ad un'indennit� che gli � dovuta sempre e comunque, 
senza necessit� n� dell'offerta della prestazione, n� di oneri probatori di 
sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, assicura la predeterminazione 
del risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data 
d'interruzione del rapporto fino a guella dell'accertamento giudiziale del 
diritto del lavoratore al riconoscimento della durata indeterminata di 
esso. Ma non oltre, pena la vanificazione della statuizione giudiziale impositiva 
di un rapporto di lavoro sine die. Con specifico riferimento alla 
riduzione della met� del limite superiore dell'indennita ai sensi dell'art. 
32, comma 6, la ragionevolezza della previsione trae alimento dal favor 
del legislatore per i percorsi di assorbimento del personale precario disciplinati 
dall'autonomia collettiva. 
15. Le autorevoli affermazioni della Corte Costituzionale evidenziano come 
nemmeno possa sorgere un dubbio sulla contrariet� al principio di equivalenza 
paventato con il primo quesito dal Giudice remittente: in primis, 
poich� non v'� alcun elemento - desumibile dalla direttiva e dagli obiettivi 
che la stessa si propone - che possa portare ad affermare la necessaria 
omogeneita della disciplina del diritto comune (in tema di nullita del termine 
e delle sue conseguenze) con quella del diritto del lavoro. In second'ordine, 
poich�, come sottolineato nella succitata sentenza, l'art. 32 cit. 
stabilisce un complesso meccanismo di tutela del lavoratore che non solo 
gli garantisce la tutela pi� importante e cio� la trasformazione del rapporto 
in rapporto stabile ed indeterminato, ma fissa un risarcimento forfettariamente 
stabilito che addirittura prescinde dalla prova o dall'allegazione del 
danno, nonch� dall'ipotesi (normalmente impeditiva o riduttiva) dell'aliunde 
receptum. 
16. In conclusione, pu� affermarsi che la disciplina introdotta dal legislatore 
del 2010, anzich� essere punitiva per il lavoratore, ha un intento di razionalizzazione 
e velocizzazione la definizione delle posizioni controverse 
e allevia di molto la posizione processuale del lavoratore medesimo che 
- solch� si accerti l'illegittimit� dell'apposizione del termine - si trova nella 
certezza di ottenere un congruo ristoro economico del danno subito (seppure 
non dimostrato) nonch� la trasformazione del rapporto di lavoro (in 
tal senso si � da ultimo pronunciata anche la Corte di Cassazione, con 
sentenza 29 febbraio 2012, n. 3056: cos� intesa, infatti, in sostanza, come 
una sorta di penale stabilita dalla legge - in stretta connessione funzionale 
con la declaratoria di conversione del rapporto di lavoro - a carico
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 95 
del datore di lavoro per la nullit� del termine apposto al contratto di lavoro 
e determinata dal giudice nei limiti e con i criteri dettati dalla legge, 
a prescindere sia dall'esistenza del danno effettivamente subito dal lavoratore 
(e da ogni onere probatorio al riguardo) sia dalla messa in mora 
del datore di lavoro, con carattere "forfetizzato", "onnicomprensivo" di 
ogni danno subito per effetto della nullit� del termine, nel periodo che 
va dalla scadenza dello stesso fino alla sentenza che ne accerta la nullit� 
e dichiara la conversione del rapporto, la indennit� in esame appare non 
solo conforme alla Costituzione (ai sensi di C. Cost. 303/2011), bens� 
anche pienamente rispondente alla lettera e alto spirito della legge. 
Altre interpretazioni, del resto, come quella ipotizzata dalla difesa della 
lavoratrice in sede di discussione, che in quache modo riducano o eliminino 
il carattere "onnicomprensivo" dell'indennit�, ovvero ne delimitino 
ulteriormente il periodo di "copertura", in ragione di elementi (come la 
messa in mora o l'epoca della domanda) estranei alla fattispecie legale 
(al pari di quelle, opposte, estensive del periodo medesimo), risulterebbero 
travalicare i detti fondamentali criteri ermeneutici). 
Sul secondo quesito 
17. II Giudice remittente dubita poi della conformit� all'Ordinamento europeo 
della disposizione de qua ove essa venga interpretata - come ha fatto la 
Corte di Cassazione successivamente alla presa di posizione della Corte 
Costituzionale ed adeguandosi alla soluzione interpretativa da questa autorevolmente 
fornita - nel senso che il dies ad quem della "copertura indennitaria" 
prevista dal ripetuto art. 32 sia la prima pronuncia 
giurisdizionale che dichiari la nullit� del termine. 
18. Propone come soluzione alternativa ed a suo dire compatibile con l'Ordin�mento 
comunitario quella di ritenere che l'indennit� in discorso copra 
il periodo fino al deposito del ricorso di primo grado, altrimenti addossandosi 
al lavoratore le conseguenze dell'inadempimento ed i tempi processuali, 
in contrasto con la Direttiva 1999/70/CE. In altri termini, 
secondo il Tribunale di Napoli una diversa opzione interpretativa farebbe 
ricadere la durata del processo sul lavoratore �essendo limitato il danno 
a carico del datore di lavoro nel massimo a 12 mensilit�� (pag. 11 punto 
15 dell'ordinanza). 
19. Coerentemente a quanto fatto con il primo quesito, si ritiene di dovere richiamare 
testualmente, anche per il secondo, la citata sentenza della Corte 
Costituzionale, che pure su questo punto si � pronunciata (per disattendere 
il dubbio di illegittimit� costituzionale) cos� argomentando: non � condivisibile 
neppure il rilievo della indebita omologazione, da parte del modello 
indennitario delineato dalla normativa in esame, di situazioni 
diverse. Come, ad esempio, la situazione del lavoratore il quale ottenga
96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
una sentenza favorevole in tempi brevi, possibilmente in primo grado, 
rispetto a quella di chi risulti vittorioso solo a notevole distanza di tempo 
(magari nei gradi successivi di giudizio). [in tale situazione sta il dubbio 
del Giudice remittente: nel rischio che la durata del processo vada a danno 
del lavoratore: n.d.r.] Ovvero del datore di lavoro il quale spontaneamente 
riammetta in servizio il prestatore nelle more del processo, pagandogli, 
intanto, il corrispettivo, rispetto ad altro datore che abbia invece "resistito" 
ad oltranza, evitando di riprendere con se il lavoratore. � evidente 
che si tratta di inconvenienti solo eventuali e di mero fatto, che non dipendono 
da una sperequazione voluta dalla legge, ma da situazioni occasionali 
e talora patologiche (come l'eccessiva durata dei processi in 
alcuni uffici giudiziari). Siffatti inconvenienti - secondo la consolidata 
giurisprudenza di questa Corte - non rilevano ai fini del giudizio di legittimit� 
costituzionale (sentenze n. 298 del 2009, n. 86 del 2008, n. 282 
del 2007 e n. 354 del 2006; ordinanze n. 102 del 2011, n. 109 del 2010 e 
n. 125 del 2008). Sicch�, non � certo dalle disposizioni legislative censurate 
che possono farsi discendere, in via diretta ed immediata, le discriminazioni 
ipotizzate. Peraltro, presunte disparit� di trattamento 
ricollegabili al momento del riconoscimento in giudizio del diritto del lavoratore 
illegittimamente assunto a termine devono essere escluse anche 
per la ragione che il processo � neutro rispetto alla tutela offerta, mentre 
l'ordinamento predispone particolari rimedi, come quello cautelare, intesi 
ad evitare che il protrarsi del giudizio vada a scapito delle ragioni del 
lavoratore (sentenza n. 144 del 1998), nonch� gli specifici meccanismi 
riparatori contro la durata irragionevole delle controversie di cui alla 
legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di 
violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'art. 375 
del codice di procedura civile). 
20. Osta alla soluzione interpretativa voluta dal Giudice remittente la lettera 
della legge nella parte in cui prevede che "[..] il giudice condanna il datore 
di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennit� onnicomprensiva 
[...]", che deve essere correttamente letta in combinazione 
col rimedio forte della conversione (non a caso rammentato nei lavori 
preparatori in cui viene previsto come aggiuntivo a quello meramente indennitario: 
ordine del giorno G/1167-B/7/1-11 accolto al Senato della Repubblica 
innanzi le commissioni I e XI nella seduta del 2 marzo 2010); 
tale sottolineatura, invero, sarebbe stata assolutamente inutile se l'indennizzo 
avesse coperto il limitato periodo dalla cessazione del termine 
alla proposizione del ricorso, giacch� l'effetto, voluto dai Tribunale 
di Napoli, per il periodo successivo e sino alla riammissione in servizio, 
non si sarebbe discostato sostanzialmente da quello gia previsto 
nel regime previgente.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 97 
D'altronde, la norma, che "non si limita a forfetizzare risarcimento del 
danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, 
assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro 
a tempo indeterminato", in base ad una "interpretazione 
costituzionalmente orientata" va intesa nel senso che "il danno forfetizzato 
dall'indennit� in esame copre soltanto il periodo cosiddetto "intermedio", 
quello, cio�, che corre dalla scadenza del termine fino alla 
sentenza che accerta la nullit� di esso e dichiara la conversione del rapporto", 
con la conseguenza che a partire da tale sentenza "� da ritenere 
che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in 
servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, 
anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva" (altrimenti risultando 
"completamente svuotata" la "tutela fondamentale della 
conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato") (Cass. sent. 
3056/2012 cit.). 
21. Giova rammentare, con una notazione valida anche per il primo quesito, 
the il sistema predisposto dal legislatore nazionale dell'indennit� forfetizzata 
ed onnicomprensiva � gia proprio del diritto del lavoro nazionale 
in un caso in cui - a differenza di quanto accade a fronte dell'accertamento 
della nullit� del termine e della conversione del rapporto in rapporto a 
tempo indeterminato - al lavoratore non � riconosciuto il diritto di riprendere 
servizio presso il datore di lavoro che lo ha illegittimamente licenziato, 
e cio� nel caso previsto dall'art. 8 della legge 604/66 sul 
licenziamento (quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del 
licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro 
� tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni 
b, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennit� di importo 
compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilit� dell'ultima 
retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, 
alle dimensioni dell'impresa, all'anzianit� di servizio del prestatore 
di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura 
massima della predetta indennit� pu� essere maggiorata fino a 10 mensilit� 
per il prestatore di lavoro con anzianit� superiore ai dieci anni e 
fino a 14 mensilit� per il prestatore di lavoro con anzianit� superiore ai 
venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa pi� di quindici 
prestatori di lavoro). 
22. In sostanza, mentre nella legge 604/1966 l'indennit� si sostituisce al posto 
di lavoro, nella legge 183/2010 si accompagna alla riammissione in 
servizio (dunque con un quid pluris di tutela, a soddisfazione dell'essenziale 
interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro). Peraltro, 
all'art. 32 cit. � previsto che l'indennit� possa essere quantificata 
tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilit�, cosi consentendo di
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
adeguare il risarcimento al differente grado di danno medio tempore patito 
dal lavoratore illegittimamente estromesso. 
23. In conclusione, deve escludersi che i lavoratori possano accedere a una 
differente tutela in conseguenza della durata del processo: da un lato, la 
durata del processo non � circostanza rimessa alla disponibilit� del datore 
di lavoro; dall'altro, la disciplina di cui all�art. 32, co. 5, trova il suo corrispondente 
processuale nella previsione di cui all'art. 32, co. 1 e 3, lett. 
d, nella parte in cui introduce uno specifico termine di decadenziale per 
l'azione di nullit� del termine. Una previsione, questa, che va a integrarsi 
con il sistema processuale lavoristico, delineato dall'ordinamento in modo 
da garantire una celere definizione delle controversie. 
24. Si osserva che anche la commisurazione dell'indennit� di cui all'art. 8 
legge 604/1966 prescinde dalla durata del processo, e ci� non in quanto 
il Legislatore ritenga meno meritevole di tutela il lavoratore illegittimamente 
licenziato che non possa aspirare alla reintegrazione nel posto di 
lavoro, ma in quanto i tempi del giudizio sono estranei al rapporto e alla 
patologia che ne abbia provocato l'interruzione, e sono sottratti al controllo 
e alle determinazioni delle parti, dipendendo dai poteri di direzione 
e di gestione del Giudice. 
25. Al contrario, prima dell'intervento legislativo de quo, ben poteva essere 
interesse del lavoratore, una volta messo in mora il datore di lavoro, ritardare 
l'avvio del giudizio al fine di incrementare progressivamente l'ammontare 
del risarcimento: sotto questo profilo, la scelta del Legislatore 
mostra tutta la propria ragionevolezza nell'aver determinato un riequilibrio 
delle posizioni delle parti. 
Sul terzo quesito 
26.Valgono le osservazioni svolte per il secondo quesito, essendo il dubbio 
avanzato dal Giudice remittente sempre incentrato sul timore che la durata 
del processo possa pregiudicare il lavoratore, ove si individui - come deve 
ritenersi coretto - il dies ad quem della copertura del risarcimento forfetizzato 
nella prima sentenza del giudizio instaurato. 
Sul quarto e sul quinto quesito 
27. Il Giudice remittente dubita poi della conformit� dell'ordinamento nazionale 
alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato 
poich� il lavoratore a tempo determinato in caso di illegittima interruzione 
del rapporto avrebbe un trattamento deteriore rispetto al lavoratore a 
tempo indeterminato. 
28. Partendo dal presupposto che deve darsi risposta positiva al quarto quesito, 
avendo la clausola 4 una valenza omnicomprensiva della disciplina 
del rapporto di lavoro, il dubbio di compatibilita sollevato dal Tribunale
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 99 
di Napoli � destituito di fondamento: mentre nella legge 604/1966 (sul 
Iicenziamento nell'ambito del rapporto di lavoro ab origine a tempo indeterminato) 
l'indennit� si sostituisce al posto di lavoro ove il lavoratore 
non abbia diritto alla riassunzione, nella legge 183/2010 - e cio� in caso 
di illegittima apposizione del termine - si accompagna alla riammissione 
in servizio. 
29. Peraltro, all'art. 32 � previsto che l'indennit� possa essere quantificata tra 
un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilit�, cos� consentendo di adeguare 
il risarcimento al differente grado di danno medio tempore patito 
dal lavoratore illegittimamente estromesso. 
30. Nessun contrasto pu� ravvisarsi con riferimento alla citata dausola 4: da 
un lato, la posizione del lavoratore a termine illegittimamente estromesso 
non � in alcun modo equiparabile a quella del lavoratore a tempo indeterminato 
che sia illegittimamente licenziato dal datore di lavoro. Basti 
al riguardo evidenziare che, nella prima ipotesi, il lavoratore, avendo sottoscritto 
un contratto di lavoro a tempo determinato, non ha in origine alcuna 
aspettativa in ordine alla prosecuzione del rapporto, a differenza del 
lavoratore a tempo indeterminato che ha la legittima aspettativa della fisiologica 
prosecuzione del proprio rapporto di lavoro. 
31. Ad ogni modo, non si rinviene nell'ordinanza alcun elemento concreto 
per potere affermare che la condizione del lavoratore a tempo determinato 
sia deteriore rispetto a quella del lavoratore a tempo indeterminato, prevedendo 
entrambe le discipline la "tutela reale" data dalla riassunzione 
nell'un caso e dalla trasformazione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato 
nell'altro, nonch� un ristoro forfetizzato "elastico" che tenga 
conto dei criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 
(il rinvio � operato dal comma 5 del ripetuto art. 32 cos� rendendo uniforme 
la disciplina per i due tipi di rapporto di lavoro in coerenza con il 
principio di non discriminazione di cui alla clausola 4). 
Sul sesto e settimo quesito 
32. In primis va disattesa l'impostazione di partenza del giudice remittente - 
che condiziona ab imis il dubbio di compatibilit� del comma 7 dell'art. 
32 con l'ordinamento comunitario - secondo cui la disciplina contenuta 
nel Collegato Lavoro sarebbe in astratto pregiudizievole per le ragioni 
del lavoratore: nell'esaminare il primo quesito si � chiarito come non sia 
rispondente ad una piena analisi della disposizione in discorso, la quale 
prevede un sistema di tutele complesso del lavoratore. Oltre alla stabilizzazione 
del rapporto - che rappresenta la tutela pi� intensa che il legislatore 
pu� assicurare ad un lavoratore precario - un'indennit� che 
gli � sempre dovuta, a prescindere dall'offerta della prestazione, svincolandola 
da oneri probatori e senza alcuna detrazione dell'aliunde
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
perceptum. Di conseguenza la discinlina in esame presenta aspetti favorevoli 
per il lavoratore rispetto a quella precedente. 
33.Va precisato come il risarcimento del danno cos� come disciplinato dal 
legislatore della riforma, ossia "forfetizzato" entro un limite minimo e 
massimo e secondo parametri predeterminati, copre soltanto il periodo 
"intermedio", quello cio� compreso tra la scadenza del termine e la sentenza 
del giudice che ne accerta la nullit�. Per il periodo successivo alla 
sentenza il datore di lavoro � tenuto comunque a corrispondere al lavoratore 
la retribuzione, anche in ipotesi di mancata riammissione. 
34. Tali considerazioni - attinenti alla sostanza delle disposizioni in discorso 
che affatto possono essere considerate pregiudizialmente pregiudizievoli 
per il lavoratore (si pensi al caso in cui sia difficile provare in giudizio 
d'avere subito un danno economicamente valutabile, nel quale il lavoratore 
sarebbe esposto al rischio di non vedersi riconosciuto nulla giudizialmente) 
- eliminano qualsiasi dubbio sulla sua compatibilit� con i 
principi generali del diritto comunitario. Legittimamente il Collegato Lavoro 
si deve applicare ai giudizi in corso poich�, come ha correttamente 
osservato la Corte Costituzionale nella succitata sentenza, non vi � ragione 
di differenziare il regime risarcitorio di situazioni lavorative 
sostanziali tutte egualmente sub indice. 
35. Deve poi osservarsi - in relazione all'ultimo quesito - che l'applicazione 
retroattiva delle disposizioni in discorso, avendo portata generalizzata 
a tutte le controversie aventi ad oggetto i contratti a termine, non favorisce 
selettivamente lo Stato o altro ente pubblico, poich� le controversie sulle 
quali va ad incidere non hanno specificamente ad oggetto i rapporti di lavoro 
a termine alle dipendenze di soggetti pubblici, ma tutti indistintamente 
i rapporti a termine (a tal proposito � del tutto superfluo dare 
risposta al settimo quesito, inerente la natura di organismo statale della 
societ� datrice di lavoro nel caso di specie). 
36.A giustificazione della retroattivit� delle disposizioni di cui si tratta, deve 
osservarsi, si pongono rilevanti ragioni di utilit� generale, riconducibili 
all'esigenza di offrire una tutela economica dei rapporti a termine pi� adeguata 
al bisogno di certezza dei rapporti giuridici di tutte le parti coinvolte 
nei processi produttivi, di talch� ricorrono tutte le condizioni previste 
dalla norma di cui all'art. 6 CEDU per l'applicazione retroattiva di norme 
in suddetta materia. 
37. Per completezza deve rammentarsi che la Corte di Cassazione, con una 
specificazione condivisibile dal punto di vista processuale (riguardante 
la natura dell'impugnazione in sede di legittimit�) ha affermato il principio 
di diritto in base al quale, in tema di risarcimento del danno derivante 
dall'illegittimit� della clausola del termine apposta al contratto di lavoro, 
l'art. 32, commi 5, 6 e 7 della L. n. 183/2010 non pu� trovare applicazione
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 101 
nei giudizi di legittimit� in corso, a meno che nei motivi di impugnazione 
non sia stato formulato uno specifico ed espresso quesito di diritto sulle 
conseguenze patrimoniali dell'accertata nullit� del termine. Con l'ulteriore 
precisazione che lo jus superveniens, in ragione della natura del controllo 
di legittimit� - il cui perimetro � limitato dagli specifici motivi di ricorso 
- � applicabile nei giudizi in Cassazione soltanto se pertinente rispetto 
alle ragioni oggetto di ricorso (Cass. 8 maggio 2006, n. 10547; Cass. 3 
gennaio 2011, n. 65 e Cass. 4 gennaio 2011, n. 8o; n. 23 marzo 2011, n. 
6663, la Corte di Cassazione). Tanto a pena di inesistenza ed inammissibilith 
dello stesso motivo di ricorso (Cass. SS.UU. 5 gennaio 2007, n. 
36). In estrema sintesi, al fine di proporre, positivamente, un ricorso in 
Cassazione per la questione delle conseguenze patrimoniali dell'accertata 
nullit� del termine apposto al contratto di lavoro, occorre che i motivi addotti 
investano direttamente la questione del risarcimento e che gli stessi 
non siano tardivi o generici. 
La legge 28 luglio 2012, n. 92. 
38. Da ultimo, si evidenzia che l�art. 1 comma 13 della legge 92/2012, successiva 
all'ordinanza di remissione, stabilisce che la disposizione di cui 
al comma 5 dell'articolo 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta 
nel senso che l'indennit� ivi prevista ristora per intero il pregiudizio 
subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e 
contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e 
la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la 
ricostituzione del rapporto di lavoro. 
CONCLUSIONI 
39. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo Italiano suggerisce 
alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame nel seguente 
modo: 
- sul primo quesito 
Non contrariet� dell'art. 32 comma 5 della legge 183/2010 alla Direttiva 
1999/70/CE, poich� non prevedente disposizioni abusive o pregiudizievoli 
per il lavoratore a tempo determinato n� in assoluto n� in relazione 
al diritto civile comune, fermo restando che non sussiste alcuna norma di 
rango superiore che impedisca una disciplina speciale degli istituti nell'ambito 
del diritto del lavoro rispetto al diritto civile comune; 
- sul secondo e sul terzo quesito 
Conformit� all'Ordinamento comunitario dell'interpretazione dell'art. 32 
nel senso che il periodo di "copertura" dell'indennizzo previsto dalla legge 
183/2010 abbia come dies ad quem la prima decisione giurisdizionale sul 
ricorso del lavoratore;
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
- sul quarto quesito 
La risposta deve essere positiva; 
- sul quinto quesito 
Non pu� ravvisarsi alcuna violazione della clausola 4 della direttiva 
1999/70/CE in relazione all'ipotesi di illegittima interruzione del rapporto 
di lavoro a tempo determinato rispetto all'ipotesi di lavoro a tempo indeterminato; 
- sul sesto quesito 
Va radicalmente disattesa l'impostazione del Giudice remittente in ordine 
alla assunta natura in s� pregiudizievole del lavoratore della normativa 
contenuta nel Collegato Lavoro del 2010 e dunque, seppure la risposta 
corretta al quesito sarebbe positiva nel caso di specie - stante l'erroneit� 
del presupposto - la risposta deve essere articolata come supra. 
- sul settimo quesito 
La risposta � del tutto irrilevante, data la portata generalizzata della normativa 
del 2010 che coinvolge sia il lavoro pubblico che quello privato. 
Roma, 6 novembre 2012 
Cristina Gerardis 
Avvocato dello Stato 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Massimo 
Santoro, AL 35842/12) nella causa C-371/12 in relazione alla domanda di 
pronuncia pregiudiziale proposta ai sensi dell�art. 267 del TFUE sollevata dal 
Tribunale di Tivoli (Italia) con decisione di rinvio del 20 giugno 2012 depositata 
il 21 giugno 2012. 
Materia: Ravvicinamento delle legislazioni 
Libert� di stabilimento e libera prestazione dei servizi 
Libera circolazione dei servizi 
LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 
1. Il giudice del rinvio ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se, alla luce delle direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 90/232/CEE e 
2009/103/CE che regolano l'assicurazione obbligatoria in materia di responsabilit� 
civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, sia consentito 
alla legislazione interna di uno Stato membro di prevedere - attraverso la
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 103 
quantificazione obbligatoria ex lege dei soli danni derivanti da sinistri stradali 
- una limitazione di fatto (sotto il profilo della quantificazione) della 
responsabilit� per danni non patrimoniali posti a carico dei soggetti (le 
compagnie assicuratrici) obbligati, ai sensi delle medesime direttive, a garantire 
l'assicurazione obbligatoria per i danni da circolazione dei veicoli�. 
LA CONTROVERISA NELLA CAUSA PRINCIPALE 
2. La questione pregiudiziale trae origine dalla domanda di condanna al risarcimento 
dei danni proposta da un soggetto, assicurato per la responsabilit� 
civile, danneggiato in un incidente stradale, nei confronti della 
compagnia assicuratrice. Il giudizio verte sulla quantificazione dei danni 
patrimoniali e non patrimoniali subiti dal danneggiato. 
3. Il Giudice remittente afferma di non rinvenire alcun profilo problematico 
di natura comunitaria sulla quantificazione del danno patrimoniale; nutre, 
invece, dei dubbi sulla compatibilit� del sistema nazionale in ordine alla 
quantificazione del danno non patrimoniale. 
4. A tal proposito, espone che il danneggiato ha subito un danno alla salute 
(biologico) pari al 4% ed un�invalidit� temporanea assoluta di 10 giorni, 
un�invalidit� temporanea parziale del 50 % per 20 giorni e del 25 % per 
10 giorni e che pertanto, nella fattispecie, ai fini della liquidazione del 
danno non patrimoniale, � applicabile il disposto di cui all�art. 139 del 
Decreto Legislativo n. 209 del 2005 (di seguito �Codice delle Assicurazioni�) 
integrandosi un�ipotesi di �danno biologico di lieve entit��. 
5. Osserva il remittente che l�applicazione delle tabelle previste dal Codice 
delle Assicurazioni ai sensi del succitato art. 139 determina una liquidazione 
del danno non patrimoniale diversa rispetto a quella cui condurrebbe, 
a parit� di lesioni, l�applicazione dei criteri generali dell�ordinamento italiano 
utili ai fini della liquidazione di ogni altro tipo di sinistro. 
6. Dopo avere compiuto una breve disamina del sistema del risarcimento 
dei danni non patrimoniali nell�ordinamento italiano, il remittente afferma 
che in caso di sinistro stradale che abbia determinato un danno biologico 
di lieve entit�, in applicazione dell�art. 139 cit., il Giudice, nella liquidazione 
del danno non patrimoniale risarcibile, incontra due limitazioni: 
a. la prima consisterebbe nell�obbligo di osservare dei parametri legislativi 
di liquidazione del danno che postulano un mero calcolo matematico, 
con esclusione di ogni possibilit� di personalizzare il danno risarcibile; 
b. la seconda consisterebbe nella impossibilit� di risarcire - nonostante 
l�esistenza di un appena accennato orientamento giurisprudenziale di 
segno opposto - il cosiddetto �danno morale�, in quanto non previsto 
dall�art. 139 cit. 
7. Afferma il Giudice remittente che tali limiti al potere del giudice in materia 
di risarcimento dei danni derivanti da sinistri stradali potrebbero in-
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
tegrare una discriminazione rispetto alla risarcibilit� di danni determinati 
da altre cause, suscettibile di violare le direttive comunitarie in materia 
di assicurazione per la responsabilit� civile da circolazione stradale (richiama, 
a tale proposito, le direttive72/166/CEE, 84/5/CEE, 90/232/CEE 
e 2009/103/CE). 
8. A supporto di tale dubbio, con particolare riferimento al cd. danno morale, 
richiama un precedente reso dalla Corte EFTA nella causa E-8/07, nel 
quale si dichiara incompatibile con le direttive comunitarie succitate una 
legislazione nazionale che esclude dalla copertura assicurativa obbligatoria 
il risarcimento del danno non patrimoniale. 
9. In conclusione, i dubbi che portano il remittente a richiedere l�interpretazione 
pregiudiziale della Corte risiedono �nel mancato rispetto del principio 
di integrale risarcimento del danno alla salute� (v. p. 19 riga 12), 
atteso che nel caso in cui si controverte di lesioni di lieve entit� alla salute 
determinate da circolazione stradale, l�art. 139 del Codice delle Assicurazioni 
impone al giudice nazionale dei parametri fissi che limitano il suo 
potere equitativo e che escludono, inoltre, la risarcibilit� del cd. danno 
morale, mentre in ogni altro caso di danno alla salute, anche di lieve entit�, 
non causato dalla circolazione stradale, il Giudice pu� fare pieno ricorso 
ad un potere equitativo, che consentirebbe una liquidazione 
integrale del danno sofferto. 
IL CONTESTO NORMATIVO INTERNO E COMUNITARIO 
A) SUL RISARCIMENTO DEI DANNI NON PATRIMONIALI NEL DIRITTO INTERNO. 
10. La risarcibilit� del danno non patrimoniale ha subito, in Italia, una lunga 
e complessa evoluzione normativa e giurisprudenziale. 
11. Il risarcimento del danno non patrimoniale � previsto dall'art. 2059 del 
codice civile (rubricato "Danni non patrimoniali"), secondo cui: "il danno 
non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla 
legge". All'epoca dell'emanazione del codice civile (1942) l'unica previsione 
espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa 
nell'art. 185 del codice penale del 1930. 
12. La tradizionale restrittiva lettura dell'art. 2059, in relazione all'art. 185 
c.p., assicurava tutela risarcitoria soltanto al cd. danno morale soggettivo, 
alla sofferenza contingente, al turbamento dell'animo transeunte determinati 
da fatto illecito costituente reato (interpretazione fondata sui lavori 
preparatori del codice del 1942 e largamente seguita dalla 
giurisprudenza). 
13. La tutela risarcitoria del �danno biologico�, formula con la quale si identifica 
l'ipotesi della lesione dell'interesse costituzionalmente garantito (art. 
32 Cost.) alla integrit� psichica e fisica della persona, veniva invece somministrata 
in virt� del collegamento tra l'art. 2043 codice civile (�Risar-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 105 
cimento per fatto illecito�: �Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona 
ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto 
a risarcire il danno�) e l'art. 32 Cost. (�La repubblica tutela la salute 
come fondamentale diritto dell�individuo ...�). Tale costruzione trovava 
le sue radici (v. Corte cost., sent. n. 184/1986) nella esigenza di sottrarre 
il risarcimento del danno biologico (che � danno non patrimoniale) dal 
limite tradizionalmente posto dall'art. 2059 c.c., norma nel cui ambito 
avrebbe dovuto trovare collocazione, che lo confinava alle sole ipotesi di 
fatti costituenti reato. 
14. Con le sentenze della Sezione III civile n. 8827 e n. 8828 del 31 maggio 
2003 (cui ha fatto seguito, in senso conforme, la decisione della Corte 
Costituzionale n. 233/2003), la Corte di Cassazione ha profondamente rivisitato 
la materia, muovendo dall�assunto secondo il quale nell�ordinamento 
assume posizione preminente la Costituzione che, all'art. 2, 
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo; di talch� il danno non 
patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di 
ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona. 
15. Tale conclusione trova sostegno nella progressiva evoluzione verificatasi 
nella disciplina di settore sia da un punto di vista legislativo che giurisprudenziale. 
16. In particolare, nella legislazione successiva al codice civile, si rinviene 
un cospicuo ampliamento dei casi di espresso riconoscimento del risarcimento 
del danno non patrimoniale anche al di fuori dell'ipotesi di reato, 
in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 della legge 13 
aprile 1988 n. 117: risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti 
dalla privazione della libert� personale cagionati dall'esercizio di 
funzioni giudiziarie; art. 29, comma 9, della legge 31 dicembre 1996 n. 
675: impiego di modalit� illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, 
comma 7, del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286: adozione di atti discriminatori 
per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 
89: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo). 
17. Il sistema risarcitorio italiano � stato, quindi, definitivamente riordinato 
in termini bipolari, ripartito cio� tra danno patrimoniale (risarcibile ex 
art. 2043 del codice civile e normative di settore) e danno non patrimoniale 
(risarcibile ex art. 2059 del codice civile e normative di settore). In 
particolare, le succitate decisioni hanno posto le basi per una liquidazione 
unitaria del danno non patrimoniale, senza distinzione tra specifiche figure 
di danno all'interno di tale generale categoria. 
18. I suesposti orientamenti hanno poi trovato un assetto definitivo a seguito 
della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite dell�11 novembre 2008 
n. 26972, confermati anche nelle pi� recenti decisioni (v. Corte di Cassazione 
Civile n. 6930/2012, sez. III del 8 maggio 2012), con la quale la
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Suprema Corte ha definitivamente superato la prassi dei giudici di merito 
di scomporre il danno non patrimoniale in danno biologico, danno morale 
e danno esistenziale (inteso quale pregiudizio alle attivit� non remunerative 
della persona), ed ha chiarito che: 
a. non � ammissibile nell�ordinamento italiano l'autonoma categoria di 
"danno esistenziale", atteso che ove in essa si ricomprendano i pregiudizi 
scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, 
ovvero derivanti da fatti di reato, essi sono gi� risarcibili ai 
sensi dell�art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, 
con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore voce di danno 
comporterebbe una duplicazione risarcitoria; 
b. il riferimento alle varie voci di danno, comunque denominate, (danno 
morale, danno biologico, danno esistenziale, danno da perdita del rapporto 
parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento 
di distinte categorie di danno; 
c. � compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio 
allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, provvedendo alla integrale 
riparazione dei pregiudizi risarcibili; 
d. non sono meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, 
i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed 
in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti pi� disparati 
della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale: al di 
fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria solo la lesione di un diritto 
inviolabile della persona concretamente individuato � fonte di responsabilit� 
risarcitoria non patrimoniale; 
e. il pregiudizio della vita di relazione, allorch� dipenda da una lesione 
dell'integrit� psicofisica della persona, costituisce uno dei possibili riflessi 
negativi della lesione dell'integrit� fisica del quale il giudice deve 
tenere conto nella liquidazione del danno biologico, e non pu� essere 
fatta valere come distinta voce di danno. Al danno biologico va, infatti, 
riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva, confermata 
dalla definizione normativa adottata dal D. Lgs. 209/2005 (artt. 138 e 
139 del Codice delle Assicurazioni), suscettibile di essere adottata in 
via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materiae 
in cui � stata dettata. In esso sono quindi ricompresi i pregiudizi 
attinenti agli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato; 
f. il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria 
ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere 
conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza 
duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi 
identici. Ne consegue che � inammissibile, perch� costituisce una 
duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 107 
personali del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, 
inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente 
una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute 
implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la 
liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, 
da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale. 
B) L�ART. 139 DEL CODICE DELLE ASSICURAZIONI. 
19. Posta questa sintetica ricostruzione del sistema generale del danno non 
patrimoniale risarcibile nell�ordinamento italiano, assume particolare rilevanza, 
nella fattispecie, la norma di cui all�art. 139 del Codice delle Assicurazioni, 
rubricata, come si � detto, �Danno biologico per lesioni di 
lieve entit��, la quale dispone testualmente: 
�1. Il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entit�, derivanti 
da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei 
natanti, � effettuato secondo i criteri e le misure seguenti: 
a) a titolo di danno biologico permanente, � liquidato per i postumi da 
lesioni pari o inferiori al nove per cento un importo crescente in misura 
pi� che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidit�; 
tale importo � calcolato in base all'applicazione a ciascun punto 
percentuale di invalidit� del relativo coefficiente secondo la correlazione 
esposta nel comma 6. L'importo cos� determinato si riduce con il crescere 
dell'et� del soggetto in ragione dello zero virgola cinque per cento per 
ogni anno di et� a partire dall'undicesimo anno di et�. Il valore del primo 
punto � pari ad euro settecentocinquantanove virgola quattro (1); 
b) a titolo di danno biologico temporaneo, � liquidato un importo di euro 
quarantaquattro virgola ventotto (2) per ogni giorno di inabilit� assoluta; 
in caso di inabilit� temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione 
avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilit� riconosciuta 
per ciascun giorno. 
2. Agli effetti di cui al comma 1 per danno biologico si intende la lesione 
temporanea o permanente all'integrit� psico-fisica della persona suscettibile 
di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa 
sulle attivit� quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del 
danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacit� 
di produrre reddito. In ogni caso, le lesioni di lieve entit�, che non 
siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno 
dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente. 
3. L'ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 1 pu� es- 
(1) Importo cos� determinato, all�attualit�, dl DM 15 giugno 2012. 
(2) Importo cos� determinato, all�attualit�, dl DM 15 giugno 2012.
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
sere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo 
e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato. 
4. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del 
Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto 
con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro della 
giustizia e con il Ministro delle attivit� produttive, si provvede alla predisposizione 
di una specifica tabella delle menomazioni alla integrit� psicofisica 
comprese tra uno e nove punti di invalidit�. 
5. Gli importi indicati nel comma 1 sono aggiornati annualmente con decreto 
del Ministro delle attivit� produttive, in misura corrispondente alla 
variazione dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di 
operai ed impiegati accertata dall'ISTAT. 
6. Ai fini del calcolo dell'importo di cui al comma 1, lettera a), per un punto 
percentuale di invalidit� pari a 1 si applica un coefficiente moltiplicatore 
pari a 1,0, per un punto percentuale di invalidit� pari a 2 si applica un coefficiente 
moltiplicatore pari a 1,1, per un punto percentuale di invalidit� 
pari a 3 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,2, per un punto 
percentuale di invalidit� pari a 4 si applica un coefficiente moltiplicatore 
pari a 1,3, per un punto percentuale di invalidit� pari a 5 si applica un coefficiente 
moltiplicatore pari a 1,5, per un punto percentuale di invalidit� 
pari a 6 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,7, per un punto 
percentuale di invalidit� pari a 7 si applica un coefficiente moltiplicatore 
pari a 1,9, per un punto percentuale di invalidit� pari a 8 si applica un coefficiente 
moltiplicatore pari a 2,1, per un punto percentuale di invalidit� 
pari a 9 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 2,3.� 
20. Tale norma, tenendo conto delle indicazioni pervenute dalla giurisprudenza 
della Corte Costituzionale successivamente confermata dalla Corte di Cassazione, 
ha sostanzialmente inglobato il danno esistenziale nel danno biologico 
quale sua componente soggettiva e variabile, stabilendo che �per 
danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrit� 
psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale 
che esplica un'incidenza negativa sulle attivit� quotidiane e sugli aspetti 
dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da 
eventuali ripercussioni sulla sua capacit� di produrre reddito�. 
21. Come affermato dalla Suprema Corte in pi� occasioni, il ricorso alla tabelle 
risponde anche ad esigenze di equit�, rivolte ad evitare differenze 
sostanziali tra liquidazioni di danni simili nello stesso Tribunale o in Tribunali 
di diverse parti del Paese. 
22. Inoltre, il terzo comma della disposizione in esame stabilisce che l�ammontare 
del danno pu� essere aumentato dal giudice in misura non superiore 
a un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni 
soggettive del danneggiato.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 109 
C) LE DIRETTIVE EUROPEE IN MATERIA DI RISARCIMENTO DEL DANNO DERIVANTE DA CIRCOLAZIONE 
STRADALE DA PARTE DELLE IMPRESE DI ASSICURAZIONE. 
23. L�Unione europea si � occupata, in vari interventi, della materia del risarcimento 
del danno derivante da circolazione stradale da parte delle imprese 
di assicurazione. Il Giudice remittente richiama, in particolare, le direttive 
72/166/CEE, 84/5/CEE, 90/232/CEE e 2009/103/CE. Appare utile, ai fini 
dell�esame della questione pregiudiziale, illustrare brevemente quale sia 
stata la ratio degli interventi comunitari ed il loro contenuto. 
24. Con la prima direttiva (72/166/CEE), il Consiglio delle Comunit� Europee, 
al fine di garantire la libera circolazione delle merci e delle persone 
in vista della costruzione di un mercato comune, impone agli Stati membri 
di prevedere l�obbligo di assicurazione della responsabilit� civile derivante 
dalla circolazione di autoveicoli con una copertura valida per il 
complesso del territorio comunitario. 
25. Con la seconda direttiva (84/5/CEE), il Consiglio amplia l�obbligo di copertura, 
imponendo l�estensione dell�assicurazione obbligatoria anche per 
i danni alle cose, oltre che alle persone, e prescrivendo che gli importi pagati 
dalle assicurazioni siano idonei a garantire alle vittime un indennizzo 
sufficiente (considerando 5 - Art. 1). Stabilisce, inoltre, l�inefficacia di clausole 
che escludano dall�assicurazione veicoli guidati da soggetti non autorizzati, 
non in possesso di una patente di guida o che non si fossero 
conformati a norme tecniche concernenti le condizioni o l�utilizzo del veicolo 
(considerando 6 - Art. 2). Impone, altres�, l�istituzione di un organismo 
che garantisca alle vittime un indennizzo anche se il veicolo che ha provocato 
il sinistro non sia assicurato o identificato (considerando 6 - Art. 1). 
26. La terza direttiva (90/232/CEE), nell�ottica di garantire una maggiore tutela 
delle vittime da infortunio stradale, impone l�obbligo di prevedere 
che le vittime di sinistri da circolazione stradale ricevano un trattamento 
comparabile indipendentemente dal luogo della comunit� ove il sinistro 
� avvenuto, e preclude la possibilit� che gli organismi che garantiscono 
alle vittime un indennizzo anche se il veicolo ha provocato il sinistro non 
� assicurato o identificato, intervengano solo in via sussidiaria. 
27. Al panorama rappresentato dalle prime tre direttive, va aggiunto un cenno 
anche alla direttiva 2000/26/CE, non richiamata dal Giudice remittente, la 
quale, al fine di accordare una effettiva tutela agli assicurati, impone allo 
Stato membro nel quale l�impresa di assicurazione � autorizzata di esigere 
che la medesima impresa designi, per la liquidazione dei sinistri, dei mandatari 
residenti o stabiliti negli altri Stati membri, in modo da garantire la 
presenza di un interlocutore che rappresenti l�impresa di assicurazione nel 
paese di residenza della persona lesa. Nella stessa prospettiva, questa direttiva 
prevede l�istituzione di centri d�informazione in grado di garantire 
una pronta disponibilit� d�informazioni concernenti l�identit� dell�impresa
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
di assicurazione che copre la responsabilit� civile derivante dalla circolazione 
degli autoveicoli coinvolti in un incidente e i suoi mandatari, nonch� 
l�identit� del proprietario dell�autoveicolo, del suo conducente abituale o 
dei soggetti che normalmente lo detengono. Inoltre, questa direttiva impone 
di istituire un organismo d�indennizzo al quale la persona lesa possa 
rivolgersi nel caso in cui l�impresa di assicurazione non abbia designato 
un mandatario o frapponga ostacoli dilatori alla liquidazione del sinistro. 
28.Viene, infine, in rilievo la direttiva 2009/103/CE, che � una direttiva di 
codificazione delle precedenti. Essa prevede, oltre ad una razionalizzazione 
delle disposizioni gi� adottate, ulteriori norme tese a garantire l�effettivit� 
della tutela su tutto il territorio dell�Unione. Questa direttiva 
impone agli Stati membri di garantire la copertura assicurativa almeno 
per determinati importi minimi (art. 9), che dovrebbero essere calcolati 
in modo �da indennizzare totalmente ed equamente tutte le vittime che 
hanno riportato danni molto gravi� (considerando 12), specificando che 
i danni alle persone sono qualificati come gravi conformemente alla legislazione 
dello Stato membro in cui � avvenuto l�incidente (considerando 
17) (enfasi aggiunta). 
29. Ancora, questa direttiva chiarisce, al considerando 22, che �I danni alle 
persone e alle cose subiti da pedoni, ciclisti e altri utenti non motorizzati 
della strada che costituiscono di solito la parte pi� debole in un sinistro 
dovrebbero essere coperti dall'assicurazione obbligatoria del veicolo coinvolto 
nel sinistro, se hanno diritto al risarcimento conformemente alla legislazione 
civile nazionale. Tale disposizione fa salva la responsabilit� 
civile o il livello del risarcimento per danni in uno specifico incidente secondo 
la legislazione nazionale�. Questo considerando viene attuato con 
l�art. 12, rubricato �Categorie specifiche di vittime� a norma del quale 
�... l'assicurazione di cui all'articolo 3 copre la responsabilit� per i danni 
alla persona di qualsiasi passeggero, diverso dal conducente, derivanti 
dall'uso del veicolo. I membri della famiglia dell'assicurato, del conducente 
o di qualsiasi altra persona la cui responsabilit� civile sia sorta a 
causa di un sinistro e sia coperta dall'assicurazione di cui all'articolo 3 
non possono essere esclusi, a motivo del legame di parentela, dal beneficio 
dell'assicurazione per quanto riguarda i danni alle persone. L'assicurazione 
di cui all'articolo 3 copre i danni alle persone e i danni alle 
cose subiti da pedoni, ciclisti e altri utenti non motorizzati della strada 
che, in conseguenza di un incidente nel quale sia stato coinvolto un veicolo, 
hanno diritto al risarcimento del danno conformemente alla legislazione 
civile nazionale. Il presente articolo lascia impregiudicata sia 
la responsabilit� civile sia l'importo dei danni� (enfasi aggiunta).
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 111 
OSSERVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO 
PREMESSA 
30. Con le presenti osservazioni il Governo italiano intende porre in rilievo 
che: 
a. la questione pregiudiziale sottoposta all�attenzione della Corte � irricevibile 
perch� generica; 
b. il legislatore comunitario si � occupato della materia del risarcimento 
dei danni derivanti dalla circolazione stradale da parte delle imprese di 
assicurazione nell�ottica di garantire la libera circolazione delle merci 
e delle persone in un mercato comune, con particolare attenzione ai 
danni molto gravi, con la conseguenza che la materia della responsabilit� 
civile tout court e quella per i danni derivanti da lesioni di lieve 
entit� causati dalla circolazione stradale non � armonizzata ed �, quindi, 
rimessa alla discrezionalit� del legislatore nazionale; 
c. la disciplina interna garantisce il raggiungimento dell�effetto utile delle 
direttive comunitarie in materia di assicurazione della responsabilit� 
civile derivante da circolazione stradale. 
A) IRRICEVIBILIT� DELLA QUESTIONE PREGIUDIZIALE. 
31. La questione pregiudiziale sollevata dal Giudice remittente � irricevibile, 
prima che infondata. Il Giudice remittente, infatti, non chiarisce perch� 
la richiesta interpretazione delle norme dell�Unione, che peraltro individua 
in maniera del tutto generica, sarebbe utile per valutare la conformit� 
dell�art. 139 del Codice delle Assicurazioni al diritto comunitario. 
32. Il remittente richiama taluni considerando e taluni articoli delle direttive 
sopra analizzate; si tratta in particolare, delle seguenti disposizioni: 
a. In relazione alla direttiva 84/5/CEE: 
i. considerando 5 e 9, i quali danno rilievo, rispettivamente, al fatto che 
�gli importi a concorrenza dei quali l�assicurazione � obbligatoria 
devono consentire comunque di garantire alle vittime un indennizzo 
sufficiente, a prescindere dallo Stato membro nel quale il sinistro � 
avvenuto� e stabiliscono il principio secondo cui ҏ necessario accordare 
ai membri della famiglia dell�assicurato, del conducente o di 
qualsiasi altro responsabile una protezione analoga a quella degli altri 
terzi vittime, comunque per quanto riguarda i danni alle persone�. 
ii. art. 1, a mente del quale �L�assicurazione di cui all�art. 3, paragrafo 
1, della direttiva 72/166/CEE copre obbligatoriamente i danni alle 
cose e alle persone�. 
b. In relazione alla direttiva 90/232/CEE: 
i. considerando 5, secondo la quale �in alcuni Stati membri esistono 
lacune nella copertura fornita dall�assicurazione obbligatoria dei 
passeggeri di autoveicoli; che, per proteggere tale categoria parti-
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
colarmente vulnerabile di vittime potenziali, � necessario colmare 
tali lacune�. 
c. In relazione alla direttiva 2009/103/CEE: 
i. considerando 2, secondo il quale �Allo scopo di assicurare la dovuta 
protezione alle vittime di incidenti automobilistici, gli Stati membri 
non dovrebbero permettere alle imprese assicurative di opporre franchigie 
alla parte lesa�. 
ii. art. 2, secondo il quale �L�assicurazione di cui al primo comma 
copre obbligatoriamente i danni alle cose e i danni alle persone�. 
iii. art. 5, che dispone che �Ogni Stato membro pu� derogare alle disposizioni 
dell'articolo 3 per quanto concerne talune persone fisiche 
o giuridiche, pubbliche o private, il cui elenco � determinato da tale 
Stato e notificato agli altri Stati membri e alla Commissione�. 
iv. art. 12 che testualmente recita: �1. Fatto salvo l'articolo 13, paragrafo 
1, secondo comma, l'assicurazione di cui all'articolo 3 copre 
la responsabilit� per i danni alla persona di qualsiasi passeggero, 
diverso dal conducente, derivanti dall'uso del veicolo. 2. I membri 
della famiglia dell'assicurato, del conducente o di qualsiasi altra 
persona la cui responsabilit� civile sia sorta a causa di un sinistro 
e sia coperta dall'assicurazione di cui all'articolo 3 non possono essere 
esclusi, a motivo del legame di parentela, dal beneficio dell'assicurazione 
per quanto riguarda i danni alle persone. 3. 
L'assicurazione di cui all'articolo 3 copre i danni alle persone e i 
danni alle cose subiti da pedoni, ciclisti e altri utenti non motorizzati 
della strada che, in conseguenza di un incidente nel quale sia stato 
coinvolto un veicolo, hanno diritto al risarcimento del danno conformemente 
alla legislazione civile nazionale. Il presente articolo 
lascia impregiudicata sia la responsabilit� civile sia l'importo dei 
danni�. 
33. Afferma il Giudice remittente, che �da tali disposizioni emerge il dubbio 
relativo alla possibilit� per le legislazioni nazionali di prevedere o meno 
un risarcimento del danno (ove derivi da sinistro stradale) inferiore a 
quello previsto nel medesimo ordinamento per ipotesi in cui la lesione 
derivi da causa diversa dal sinistro stradale�. 
34. Tuttavia, il Giudice remittente non illustra le ragioni per le quali le disposizioni 
sopra richiamate possono comportare il dubbio che il legislatore 
nazionale possa o meno disciplinare in modo specifico il risarcimento 
dei danni di lieve entit� derivanti da sinistro stradale. 
35. Afferma ancora, in particolare: �In sostanza la frase di chiusura dell�art. 
12 della direttiva 2009/103/CE (�Il presente articolo lascia impregiudicata 
sia la responsabilit� civile sia l�importo dei danni�) si presta a dubbi 
ermeneutici. Da un lato potrebbe essere interpretato nel senso che lo Stato
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 113 
ha assoluta libert� di prevedere le regole della responsabilit� civile e della 
quantificazione dei danni. Dall�altro potrebbe essere interpretato, specie 
se letto alla luce delle disposizioni comunitarie citate in precedenza, come 
una clausola di carattere generale ma vincolata, comunque, al principio 
di eguaglianza e non discriminazione, posto che le norme comunitarie mirano 
ad assicurare l�effettivo ristoro del danno cagionato a cose e persone, 
addirittura garantendo dei minimi in caso di sinistri gravi (problema diverso 
e che esula dalla presente controversia, trattandosi di limiti di assicurabilit�, 
e quindi dell�oggetto del contratto, e non di limiti di 
risarcibilit�, come nel caso di specie) e prevedendo delle deroghe solo in 
casi esplicitamente previsti. Invero, pur non intervenendo direttamente 
sull�oggetto del contratto (ad esempio attraverso franchigie o limitazioni 
dell�oggetto assicurato), di fatto la legislazione interna italiana (art. 139 
d.lgs. 209 del 2005) pone un limite di liquidazione in favore delle compagnie 
assicuratrici (che sono i soggetti obbligati ex lege a stipulare contratti 
per RC auto), prevedendo dei criteri quantificatori del danno non patrimoniale 
diversi e pi� favorevoli rispetto a quelli generali vigenti nell�ordinamento 
nazionale, con esclusione di una parte di essi (danno morale) 
e con parametri di quantificazione vincolanti e personalizzabili entro strettissimi 
limiti (il 20% di quanto previsto dai predetti vincoli). 
36. Anche questa argomentazione appare del tutto generica. Non appare affatto 
chiaro, difatti, secondo quale canone logico la disposizione richiamata 
dal giudice remittente, secondo cui �Il presente articolo lascia 
impregiudicata sia la responsabilit� civile sia l�importo dei danni�, possa 
prestarsi a dubbi ermeneutici di sorta. 
37. In particolare, appare sfornita di ogni corredo argomentativo la supposizione 
che tale disposizione possa violare canoni di non discriminazione 
o di uguaglianza (di rilievo comunitario, evidentemente) alla luce delle 
altre disposizioni comunitarie richiamate dal Giudice remittente, che assolvono 
a funzione di regolamentazione di uno specifico settore dell�ordinamento, 
ovvero l�assicurazione per la responsabilit� civile derivante 
da sinistro stradale. 
38. Non ignora questa difesa che, nell�ambito della cooperazione tra la Corte 
ed i giudici nazionali stabilita dall�art. 234 CE, spetta esclusivamente al 
giudice nazionale, cui � stata sottoposta la controversia e che deve assumersi 
la responsabilit� dell�emananda decisione giurisdizionale, valutare, 
alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessit� 
di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria 
sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. 
39. � pacifico, inoltre, che la Corte sia competente a fornire al giudice nazionale 
tutti gli elementi d�interpretazione che possano consentirgli di valutare 
la compatibilit� di una normativa nazionale con il diritto
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
comunitario ai fini della soluzione della causa della quale � investito. 
40. Nella giurisprudenza di codesta Corte si trova, tuttavia, costantemente affermato 
che � indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo 
di spiegazioni sulle ragioni della scelta delle norme comunitarie di cui 
chiede l�interpretazione e sul rapporto che egli ritiene esista fra tali disposizioni 
e il diritto nazionale applicabile alla controversia (v., tra le innumerevoli, 
le sentenze 19 aprile 2007, causa C-295/05, Asociaci�n Nacional 
de Empresas Forestales, punto 33; 9 novembre 2006, causa C-205/05, 
Nemec, punto 26 e le ordinanze 19 ottobre 2004, causa C-425/03, Regio, 
punto 9; 8 ottobre 2002, causa C-190/02, Viacom Outdoor, punto 16). 
41. � necessario, inoltre, che questi elementi risultino gi� dal provvedimento 
di rinvio perch�, diversamente, non si consentirebbe ai governi degli Stati 
membri e alle altre parti interessate di presentare, con cognizione di causa, 
osservazioni ai sensi dell�art. 20 dello Statuto della Corte (v. ordinanze 
14 giugno 2005, causa C-358/04, Caseificio Valdagnese, punto 9; 22 febbraio 
2005, causa C-480/04, D�Antonio, punto 6; 21 aprile 1999, cause 
riunite C-28/98 e C-29/98, Charreire, punto 9). 
42. Ora, l�ordinanza di rinvio che ha incardinato la presente fase del procedimento 
non contiene, manifestamente, indicazioni che soddisfino i requisiti 
sopra ricordati. 
43. All�interno di una cornice cos� confusa, s�inserisce la formulazione di un 
quesito privo della necessaria specificit� e che impone a codesta Corte, 
oltre che alle parti, una ricognizione a tutto campo non solo d�interi settori 
del diritto comunitario, ma anche della normativa interna. 
44. Ci� appare in contrasto con il principio costantemente affermato nella giurisprudenza 
di codesta Corte, secondo cui lo spirito di collaborazione che 
deve caratterizzare il funzionamento del rinvio pregiudiziale implica che 
il giudice nazionale tenga presente la funzione assegnata alla Corte, che � 
quella di contribuire all�amministrazione della giustizia negli Stati membri, 
e non di esprimere pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche. In 
tali ipotesi, spetta alla Corte, sia pure in via di eccezione alla regola richiamata 
al precedente punto 38, esaminare le condizioni in presenza delle 
quali � adita dal giudice nazionale, al fine di verificare la propria competenza 
(v. inter alia sentenze 23 novembre 2006, causa C-238/05, Asnef- 
Equifax, punti 16 e 17; 14 settembre 2006, causa C-228/05, Stradasfalti, 
punti 46 e 47; 22 novembre 2005, causa C-144/04, Mangold, punto 36). 
B) SUL MERITO DELLA QUESTIONE PREGIUDIZIALE. 
45. Le seguenti considerazioni sono formulate per la denegata ipotesi in cui 
codesta Corte, disattendendo le osservazione del Governo italiano formulate 
nei precedenti punti, ritenga non improcedibile la questione pregiudiziale 
sottoposta alla sua attenzione.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 115 
B.1) SULL�ASSENZA DI ARMONIZZAZIONE DEI REGIMI DI RESPONSABILIT� CIVILE DEGLI 
STATI MEMBRI. 
46. Si � visto che la questione pregiudiziale posta dal giudice remittente � cos� 
formulata: �Se, alla luce delle direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 90/232/CEE 
e 2009/103/CE che regolano l'assicurazione obbligatoria in materia di responsabilit� 
civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, sia consentito 
alla legislazione interna di uno Stato membro di prevedere - attraverso la 
quantificazione obbligatoria ex lege dei soli danni derivanti da sinistri stradali 
- una limitazione di fatto (sotto il profilo della quantificazione) della 
responsabilit� per danni non patrimoniali posti a carico dei soggetti (le 
compagnie assicuratrici) obbligati, ai sensi delle medesime direttive, a garantire 
l'assicurazione obbligatoria per i danni da circolazione dei veicoli�. 
47. Tale �limitazione di fatto� rileverebbe, secondo il Giudice remittente, sotto 
due diversi profili che emergono dall�art. 139 del Codice delle Assicurazioni: 
il primo consisterebbe nell�obbligo di osservare dei parametri legislativi 
di liquidazione del danno che postulano un mero calcolo matematico, 
con esclusione di ogni possibilit� di personalizzare il danno risarcibile; il 
secondo nella impossibilit� di risarcire il cosiddetto �danno morale�. 
48. Infra si dimostrer� l�infondatezza di tali assunti sulla base del diritto interno. 
49. Prima ancora, occorre rilevare che il Giudice remittente, nel porre la questione 
pregiudiziale relativa all�asserita disparit� nella quantificazione del 
danno derivante da lesioni di lieve entit� causate dalla circolazione stradale 
rispetto a quello derivante da altre cause, sembra confondere 
l�aspetto relativo alla conformit� della disciplina dettata dall�art. 139 del 
Codice delle Assicurazioni al diritto comunitario, con una pi� generale 
questione di equit� e parit� di trattamento che attiene solo al diritto interno 
ed esula dal diritto europeo armonizzato. 
50. Ci� emerge con assoluta evidenza analizzando le disposizioni contenute 
nelle direttive che si occupano della materia, sopra brevemente descritte. 
51. Nei vari interventi realizzati, l�Unione europea si � occupata della materia 
del risarcimento del danno derivante da circolazione stradale da parte 
delle imprese di assicurazione nell�ottica di garantire la libera circolazione 
delle merci e delle persone in un mercato comune: per questa ragione 
l�obiettivo principale � stato quello di far s� che ogni legislazione nazionale 
degli Stati membri prevedesse l�obbligo di assicurazione della responsabilit� 
civile derivante dalla circolazione di autoveicoli con una 
copertura valida ed efficace per il complesso del territorio comunitario. 
52. Il legislatore comunitario ha, in quest�ottica, progressivamente introdotto 
una serie di norme rivolte a raggiungere tale obiettivo. Tra queste, le principali 
consistono nell�estensione dell�assicurazione obbligatoria anche 
per i danni alle cose, nella previsione che gli importi pagati dalle assicurazioni 
siano idonei a garantire alle vittime un indennizzo sufficiente e
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
corrispondano a degli importi minimi di copertura da calcolarsi in modo 
�da indennizzare totalmente ed equamente tutte le vittime che hanno riportato 
danni molto gravi�, specificando, peraltro, che i danni alle persone 
sono qualificati come gravi conformemente alla legislazione dello 
Stato membro in cui � avvenuto l�incidente. 
53. La legislazione nazionale, in ogni caso, � lasciata libera di determinare il 
livello del risarcimento per i danni risarcibili. 
54. Obiettivo principale del legislatore comunitario � stato, in sostanza, quello 
di garantire che le vittime di sinistri da circolazione stradale su tutto il territorio 
dell�Unione potessero ricevere un trattamento comparabile ed effettivo, 
indipendentemente dal luogo della comunit� ove il sinistro fosse avvenuto. 
55. Una conferma del fatto che le direttive in esame non mirano ad armonizzare 
i regimi di responsabilit� civile degli Stati membri si rinviene in specifiche 
disposizioni delle direttive stesse, tra le quali l�art. 1 bis della terza 
direttiva, riprese nell�art. 12, n. 3, della direttiva 2009/103, che con riferimento 
ai danni subiti dagli utenti non motorizzati della strada, lascia gli 
Stati membri liberi di stabilire il regime di responsabilit� civile applicabile 
ai sinistri derivanti dalla circolazione dei veicoli. 
56. La tesi qui sostenuta trova un�esplicita conferma anche nel consolidato 
orientamento in materia di codesta Corte di Giustizia, cristallizzato anche 
con la sentenza resa nella causa C-409/09, nella quale si legge: �occorre 
anzitutto rammentare che dal preambolo della prima e della seconda direttiva 
emerge che queste ultime sono dirette, da un lato, a garantire la libera 
circolazione tanto dei veicoli stazionanti abitualmente nel territorio 
dell�Unione europea quanto delle persone che vi si trovano a bordo e, dall�altro, 
a garantire che le vittime degli incidenti causati da tali veicoli beneficeranno 
di un trattamento paragonabile, indipendentemente dal luogo 
dell�Unione in cui il sinistro � avvenuto (sentenze 28 marzo 1996, causa 
C.129/94, Ruiz Bern�ldez, Racc. pag. I.1829, punto 13; 14 settembre 2000, 
causa C.348/98, Mendes Ferreira e Delgado Correia Ferreira, Racc. pag. 
I.6711, punto 24, nonch� 17 marzo 2011, causa C.484/09, Carvalho Ferreira 
Santos, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 24). La prima 
direttiva, come precisata e integrata dalla seconda e dalla terza direttiva, 
impone quindi agli Stati membri di garantire che la responsabilit� civile 
relativa alla circolazione dei veicoli che stazionano abitualmente nel loro 
territorio sia coperta da un�assicurazione, e precisa in particolare i tipi di 
danni e i terzi danneggiati che tale assicurazione deve coprire (v. citate sentenze 
Mendes Ferreira e Delgado Correia Ferreira, punto 27, nonch� Carvalho 
Ferreira Santos, punto 27). Occorre tuttavia ricordare che l�obbligo 
di copertura, da parte dell�assicurazione della responsabilit� civile, dei 
danni causati da autoveicoli a soggetti terzi costituisce un aspetto distinto 
rispetto a quello dell�ampiezza del risarcimento a favore di tali terzi a titolo
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 117 
della responsabilit� civile dell�assicurato. Infatti, mentre il primo � definito 
e garantito dalla normativa dell�Unione, la seconda � sostanzialmente disciplinata 
dal diritto nazionale (sentenza Carvalho Ferreira Santos, cit., 
punto 31 e la giurisprudenza ivi citata). Infatti, la Corte ha gi� statuito che 
dall�oggetto della prima, della seconda e della terza direttiva, nonch� dal 
loro tenore letterale, risulta che esse non mirano ad armonizzare i regimi 
di responsabilit� civile degli Stati membri e che, allo stato attuale del diritto 
dell�Unione, questi ultimi restano liberi di stabilire il regime di responsabilit� 
civile applicabile ai sinistri derivanti dalla circolazione dei 
veicoli (sentenza Carvalho Ferreira Santos, cit., punto 32 e la giurisprudenza 
ivi citata). Tale analisi � corroborata, per quanto riguarda i danni 
subiti dagli utenti non motorizzati della strada, dalle prescrizioni dell�art. 
1 bis della terza direttiva, riprese nell�art. 12, n. 3, della direttiva 2009/103. 
Tuttavia, gli Stati membri sono obbligati a garantire che la responsabilit� 
civile applicabile secondo il loro diritto nazionale sia coperta da un�assicurazione 
conforme alle disposizioni delle tre direttive summenzionate (sentenze 
Mendes Ferreira e Delgado Correia Ferreira, cit., punto 29; 19 aprile 
2007, causa C.356/05, Farrell, Racc. pag. I.3067, punto 33, nonch� Carvalho 
Ferreira Santos, cit., punto 34)� (enfasi aggiunta). 
57. Dalla succitata giurisprudenza di codesta Corte di Giustizia, emerge chiaramente 
che le disposizioni italiane recate dall�art. 139 del Codice delle 
Assicurazioni, nel disciplinare in modo specifico il tema della responsabilit� 
civile per danni derivanti da lesioni di lieve entit� causati dalla circolazione 
stradale, non violano alcuna disposizione della legislazione 
comunitaria, atteso che quest�ultima, nell�imporre una copertura assicurativa 
obbligatoria alle persone e alle cose, importi minimi di copertura, 
estensione della copertura alle cose e ai terzi trasportati, non armonizza 
le modalit� di quantificazione del danno che essa deve coprire. 
58. Non solo: la direttiva 2009/103/CE, pure richiamata dal Giudice remittente, 
espressamente impone agli Stati membri di garantire la copertura 
assicurativa almeno per determinati importi minimi (art. 9), che dovrebbero 
essere calcolati in modo �da indennizzare totalmente ed equamente 
tutte le vittime che hanno riportato danni molto gravi� (considerando 12), 
specificando che i danni alle persone sono qualificati come gravi conformemente 
alla legislazione dello Stato membro in cui � avvenuto l�incidente 
(considerando 17). 
59. Nella fattispecie, le lesioni che vengono in rilievo, lungi dall�essere 
�gravi�, sono proprio quelle di lieve entit�. 
60. In questo contesto, il legislatore nazionale avrebbe addirittura potuto, 
senza per questo violare il diritto comunitario, non prevedere alcun obbligo 
assicurativo per danni �non molto gravi�, quali sicuramente sono 
quelli che derivano da lesioni personali di lieve entit�.
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
B.2) SULLA DISCIPLINA INTERNA DEL DANNO RISARCIBILE. 
61. Questa difesa � ovviamente consapevole che le modalit� scelte dal legislatore 
nazionale sul risarcimento dei sinistri risultanti dalla circolazione stradale 
dei veicoli non possono privare le direttive in esame del loro effetto utile. 
62. Per quanto riguarda la norma in esame, si pu� affermare con certezza che 
l�art. 139 del Codice delle Assicurazioni non priva le direttive esaminate 
del loro effetto utile. Dall�esegesi della norma, appare, al contrario, evidente, 
che essa assicura un ristoro effettivo anche ai danni causati dalla 
circolazione stradale derivati da lesioni di lieve entit�. 
63. Il Giudice remittente afferma che nel diritto vivente italiano il danno non 
patrimoniale si comporrebbe di tre distinte categorie: (i) �danno alla salute�, 
che intende come lesione all�integrit� psico-fisica, (ii) �danno morale�, 
che intende come sofferenza morale patita a causa della lesione e 
(iii) danni residuali, che intende come, nell�esempio che lo stesso porta, 
la lesione alle attivit� realizzatrici esulanti dallo standard dell�uomo medio. 
64. In realt�, come si � visto sopra (punti 10 e ss.), la materia del risarcimento 
del danno non patrimoniale ha trovato un definitivo inquadramento sistematico 
- in linea con le sentenze della Suprema Corte di Cassazione, Sezione 
III civile, n. 8827 e n. 8828 del 31 maggio 2003, a cui ha fatto 
seguito, in senso conforme, la decisione della Corte Costituzionale n. 
233/2003 - con la sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni 
Unite dell�11 novembre 2008 n. 26972. 
65. Con questa importante decisione, che in virt� della funzione nomofilattica 
della Suprema Corte assurge, nel diritto vivente italiano, a paradigma di 
future interpretazioni dei giudici di diritto interno, la Corte di Cassazione 
ha definitivamente superato la prassi dei giudici di merito di scomporre 
il danno non patrimoniale in danno biologico, danno morale e danno esistenziale, 
chiarendo che il riferimento a varie voci di danno, comunque 
denominate, (danno morale, danno biologico, danno esistenziale, danno 
da perdita del rapporto parentale), pu� rispondere solo ad esigenze descrittive, 
che non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. 
66. Conseguenza di questo importante principio, � che il pregiudizio della 
vita di relazione comunemente denominato �danno esistenziale� cos� 
come i turbamenti d�animo o sofferenze soggettive, comunemente denominati 
�danno morale�, allorch� dipendano da una lesione dell'integrit� 
psicofisica della persona, costituiscono solo alcuni dei possibili riflessi 
negativi della lesione dell'integrit� fisica dei quale il giudice deve tenere 
conto nella liquidazione del danno biologico, e non possono essere fatti 
valere come distinte voci di danno. 
67. Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce, quindi, una 
categoria ampia, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti 
i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il ri-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 119 
sarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. 
68. Al danno biologico va, pertanto, riconosciuta una portata tendenzialmente 
omnicomprensiva, confermata dalla definizione normativa adottata dal 
D. Lgs. 209/2005 (artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni). 
69. Ne consegue che � inammissibile, perch� costituisce una duplicazione risarcitoria, 
la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali del 
risarcimento sia per il danno biologico, sia per danno esistenziale, sia per 
il danno morale, i quali costituiscono necessariamente - come si � detto - 
meri componenti del primo. 
70. Da questi importanti e consolidati principi discende che il Giudice remittente 
erra nel ritenere che la liquidazione dei danni effettuata in applicazione 
dei criteri previsti dall�art. 139 del Codice delle Assicurazioni non 
garantisca un integrale ristoro di tutte le sfaccettature (segnatamente, del 
danno morale) di cui si compone il danno non patrimoniale subito dalla 
vittima di un incidente stradale. 
71. N� appare esatta l�affermazione dello stesso remittente, secondo cui il risarcimento 
dei danni liquidato ex art. 139 cit. non consente un�efficace personalizzazione 
dei danni non patrimoniali conseguenza di una lesione di 
lieve entit� subita in occasione di un incidente stradale, diversamente da 
quanto accadrebbe per i danni scaturiti da altra causa, atteso che la stessa 
norma, al comma 3, consente al giudice di aumentare l'ammontare del danno 
biologico liquidato, in una misura non superiore ad un quinto, con equo e 
motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato. 
72. Un�ultima considerazione va spesa, per completezza di trattazione, sull�assunto 
del Giudice remittente secondo il quale le �tabelle� previste 
dall�art. 139, ai fini del calcolo del risarcimento dei danni da circolazione 
stradale procurati da lesioni di lieve entit�, garantirebbero un risarcimento 
inferiore rispetto a quello calcolabile secondo le tabelle ordinariamente 
in uso per lesioni derivanti da cause diverse dalla circolazione stradale. 
73. L�assunto in questione, oltre che generico, non sembra tenere conto del 
fatto che le tabelle in uso presso i vari tribunali - che non hanno valore 
normativo ma di mera prassi non avente valore vincolante - recano valori 
tra loro difformi, tanto che la Suprema Corte di Cassazione ha sottolineato 
come tali differenze possano comportare una violazione del principio di 
equit�, principio che, invece, sarebbe garantito dall�adozione di una tabella 
unica, che potrebbe essere proprio quella di cui all�art. 139 del Codice 
delle Assicurazioni (Corte di Cassazione a Sezioni Unite dell�11 
novembre 2008 n. 26972). Da questo punto di vista, non vi � dubbio che 
i parametri normativi di cui all�art. 139 cit., essendo uniformemente applicabili 
in virt� del loro valore normativo, garantiscono un trattamento 
risarcitorio equo alle vittime di incidenti stradali.
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
CONCLUSIONI 
74. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce 
alla Corte di dichiarare irricevibile il quesito pregiudiziale. 
75. In subordine, il Governo italiano suggerisce di rispondere come segue al 
quesito sottoposto al suo esame �alla luce delle direttive 72/166/CEE, 
84/5/CEE, 90/232/CEE e 2009/103/CE che regolano l'assicurazione obbligatoria 
in materia di responsabilit� civile derivante dalla circolazione 
di autoveicoli, � consentito alla legislazione interna di uno Stato membro 
di prevedere - attraverso la quantificazione obbligatoria ex lege dei danni 
derivanti da lesioni di lieve entit� causati da sinistri stradali - una disciplina 
puntuale (sotto il profilo della quantificazione) della responsabilit� 
per danni non patrimoniali posti a carico dei soggetti (le compagnie assicuratrici) 
obbligati, ai sensi delle medesime direttive, a garantire l'assicurazione 
obbligatoria per i danni da circolazione dei veicoli�. 
Roma, 22 novembre 2012 
Massimo Santoro 
Avvocato dello Stato 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Stefano 
Varone, AL 38165/12) in relazione alla causa C-409/12 avente ad oggetto 
domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell�art. 267 TFUE, dal 
�Oberster Patent � und Markensenat� (Austria) e notificata all�avvocatura in 
data 5 ottobre 2012. 
Materia: Ravvicinamento delle legislazioni 
SOMMARIO: 
1.Le questioni pregiudiziali proposte 
2.La normativa europea 
3.La normativa austriaca oggetto dei quesiti pregiudiziali 
4. Sulla prima questione pregiudiziale 
5. Sulla seconda questione pregiudiziale 
6. Sulla terza questione pregiudiziale 
7. Conclusioni 
1. LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI PROPOSTE 
L�Oberster Patent � und Markensenat in data 6 settembre 2012 depositava
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 121 
ordinanza contenente domanda di pronuncia pregiudiziale, chiedendo a 
codesta Corte di rispondere ai seguenti quesiti: 
1) �Se un marchio sia divenuto una �generica denominazione commerciale 
di un prodotto o servizio� ai sensi dell�articolo 12, paragrafo 2, lettera 
a), della direttiva 2008/95/CE (direttiva sui marchi) quando: 
a. i commercianti sono consapevoli che si tratta di un�indicazione di origine, 
ma di norma non lo rivelano ai consumatori finali e 
b. i consumatori finali (anche) per tale motivo non percepiscono pi� il 
marchio come indicazione di origine, bens� come generica denominazione 
commerciale di prodotti o servizi per i quali il marchio � registrato. 
2) Se una inattivit� ai sensi dell�articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della 
direttiva 2009/95/CE possa essere riscontrata gi� per il fatto che il titolare 
del marchio non interviene bench� i commercianti non indichino alla 
clientela che si tratta di un marchio registrato. 
3) Se un marchio che, per il fatto dell�attivit� o inattivit� del suo titolare, 
� divenuto per i consumatori finali, ma non nel settore commerciale, una 
generica denominazione commerciale, debba essere dichiarato decaduto 
quando, e anche soltanto quando, i consumatori finali, in mancanza di 
alternative equivalenti, devono servirsi di tale denominazione�. 
Il Giudice del rinvio ha chiesto dunque a codesta Corte di pronunciarsi 
in merito alla corretta interpretazione e all�individuazione dell�ambito applicativo 
dell�art. 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE, 
contenente la disciplina uniforme in materia di marchi. 
Nello specifico, l�Oberster Patent solleva il problema dei requisiti per la 
configurabilit� in concreto del fenomeno della �volgarizzazione del marchio� 
nella condizione in cui un determinato prodotto arrivi al consumatore 
finale passando attraverso un processo di lavorazione ad opera di 
soggetti che si pongono come intermediari tra il produttore del bene identificabile 
con il marchio e, appunto, gli utilizzatori finali. 
In particolare, il primo quesito, riguarda l�applicabilit� dell�art. 12, paragrafo 
2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE (e dunque il verificarsi della 
�trasformazione� di un marchio in �generica denominazione commerciale 
di un prodotto o servizio�) all�ipotesi in cui nel processo di commercializzazione 
di un prodotto i) solo i commercianti-intermediari, i quali acquistano 
dal titolare del marchio il prodotto del quale si servono e sottopongono 
a lavorazione prima di distribuirlo tra i consumatori finali, siano consapevoli 
che il �nome� dello stesso costituisca un�indicazione di origine e dunque 
un marchio del quale � titolare il produttore dal quale si sono forniti; e ii) 
al contempo, gli utilizzatori finali, anche a causa del comportamento reticente 
dei commercianti (i quali nella normalit� dei casi preferiscono tacere 
di aver acquistato presso terzi il prodotto da essi lavorato e dunque non rivelano 
che il �nome� del prodotto si identifica con un marchio identificativo
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
dell�origine dello stesso), sono in larghissima parte all�oscuro della circostanza 
che la denominazione del prodotto acquistato tragga ragione dall�esistenza 
di un marchio, ritenendo piuttosto che il medesimo nomen 
costituisca una denominazione volgare del bene consumato. 
Il secondo quesito riguarda la corretta interpretazione del termine �inattivit�� 
ai sensi dell�art. 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE, 
e dunque, in particolare, la possibilit� di ritenere che il comportamento del 
titolare di un marchio consistente nel non intervenire in alcun modo nonostante 
i commercianti (intermediari nel processo di commercializzazione) 
non indichino alla clientela che si tratta di un marchio registrato, configuri 
quel tipo di inattivit� che la direttiva considera idonea a determinare il fenomeno 
della volgarizzazione del marchio, e dunque la decadenza dello stesso. 
Il terzo quesito ha ad oggetto la comprensione del ruolo che debba essere 
attribuito alla circostanza in cui manchino denominazioni alternative equivalenti 
a quella del marchio registrato, e, dunque, la riconducibilit� di tale 
mancanza all�articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE. 
2. LA NORMATIVA EUROPEA 
La materia oggetto delle presenti questioni pregiudiziali � disciplinata 
dalla direttiva 2009/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 
22 ottobre 2008. Tale normativa � diretta ad armonizzare le legislazioni 
nazionali sui marchi d�impresa e sostituisce, senza apportarvi sostanziali 
modifiche, la direttiva del Consiglio 89/104/CEE del 21 dicembre 1988, 
come modificata da una decisione del Consiglio del 1992. 
In particolare, codesta Corte � stata chiamata a risolvere tre questioni relative 
ad uno dei �Motivi di decadenza� previsti dall�art. 12 della predetta direttiva. 
Tale disposizione, al paragrafo 1, stabilisce che �il marchio di impresa � 
suscettibile di decadenza se entro un periodo ininterrotto di cinque anni 
esso non ha formato oggetto di uso effettivo nello Stato membro interessato 
per i prodotti o servizi per i quali � stato registrato e se non sussistono 
motivi legittimi per il suo mancato uso (�)�. Al paragrafo 2, che 
�fatto salvo il paragrafo 1, il marchio d�impresa � suscettibile inoltre di 
decadenza qualora, dopo la data di registrazione: a) sia divenuto, per il 
fatto dell�attivit� o inattivit� del suo titolare, la generica denominazione 
commerciale di un prodotto o servizio per il quale � registrato; b) sia idoneo 
a indurre in errore il pubblico, in particolare circa la natura, la qualit� 
o la provenienza geografica dei suddetti prodotti o servizi, a causa 
dell�uso che ne viene fatto dal titolare del marchio di impresa o con il 
suo consenso per i prodotti o servizi per i quali � registrato�. 
Dunque, l�articolo 12 prevede tre motivi di decadenza del marchio. In 
primo luogo, al paragrafo 1, per mancato uso dello stesso nei cinque anni 
successivi alla registrazione, in secondo luogo, al paragrafo 2, lettera a),
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 123 
per �volgarizzazione�, in terzo luogo, al paragrafo 2, lettera b), qualora a 
causa del cattivo uso che ne viene fatto dal titolare, o comunque con il 
consenso di quest�ultimo, sia idoneo a ingenerare nel pubblico seri dubbi 
circa la natura, la qualit� o la provenienza dei prodotti. 
La presente domanda pregiudiziale riguarda il secondo motivo di decadenza, 
ovvero la �volgarizzazione� del marchio, che si verifica proprio 
quando il marchio non sia pi� percepito dall�ambiente di destinazione del 
prodotto come un elemento indicativo della provenienza del prodotto 
stesso da una determinata impresa, bens� come �generica denominazione 
commerciale di un prodotto o servizio per il quale � registrato�. 
Dunque, in sostanza, quando il marchio perde la propria capacit� tipica, 
ovvero quella di indicare la �provenienza� del prodotto, divenendo il 
nomen volgare che identifica sotto il profilo commerciale un tipo di prodotto 
o servizio, il legislatore considera il marchio stesso decaduto. 
Inoltre, la lettera della norma attribuisce esplicitamente rilevanza alla condotta 
(tanto attiva quanto omissiva) del titolare alla quale � ricondotto 
causalmente l�evento �volgarizzazione� del marchio (�per il fatto dell�attivit� 
o inattivit� del suo titolare�). 
3. LA NORMATIVA AUSTRIACA 
Il gi� analizzato art. 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE, 
� stato attuato in Austria con l�articolo 33b della legge in materia di marchi 
(MSchG). 
Ai sensi di tale norma, come specificato dal Giudice remittente, �(1) 
Chiunque pu� chiedere la cancellazione di un marchio, qualora, dopo la 
data di registrazione, sia divenuto, per il fatto dell�attivit� o inattivit� del 
suo titolare, la generica denominazione commerciale, di un prodotto o 
servizio per il quale � registrato. 
�(2) La dichiarazione di decadenza opera retroattivamente sino al momento 
in cui � stato dimostrato il compimento della trasformazione del 
marchio in denominazione generica (segno comune)�. 
Dal confronto tra l�articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 
2008/95/CE e l�articolo 33b, paragrafo 1, della legge austriaca in materia 
di marchi (MSchG), emerge che la disposizione di attuazione ricalca sostanzialmente 
il contenuto di quella comunitaria (1). 
(1) Alla medesima conclusione si pu� giungere all�esito della comparazione tra la disposizione 
comunitaria in esame e la corrispondente (di attuazione) nell�ordinamento italiano. Infatti, ai sensi dell�art. 
13, ultimo comma, del Codice della propriet� industriale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30): �Il marchio 
decade se, per il fatto dell�attivit� o dell�inattivit� del suo titolare, sia divenuto nel commercio 
denominazione generica del prodotto o servizio o abbia comunque perduto la sua capacit� distintiva�. 
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
4. SULLA PRIMA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 
�Se un marchio sia divenuto una �generica denominazione commerciale 
di un prodotto o servizio� ai sensi dell�articolo 12, paragrafo 2, lettera 
a), della direttiva 2008/95/CE (direttiva sui marchi) quando 
a. i commercianti sono consapevoli che si tratta di un�indicazione di origine, 
ma di norma non lo rilevano ai consumatori finali e 
b. i consumatori finali (anche) per tale motivo non percepiscono pi� il 
marchio come indicazione di origine, bens� come generica denominazione 
commerciale di prodotti o servizi per i quali il marchio � registrato�. 
Come evidenziato, il primo quesito, ha ad oggetto l�applicabilit� dell�art. 
12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE (e dunque il verificarsi 
della �trasformazione� di un marchio in �generica denominazione 
commerciale di un prodotto o servizio� ) all�ipotesi in cui nel processo di 
commercializzazione di un prodotto i) solo i commercianti-intermediari, 
i quali acquistano dal titolare del marchio il prodotto del quale si servono 
e sottopongono a lavorazione prima di diffonderlo tra i consumatori finali, 
siano consapevoli che il �nome� dello stesso costituisca un�indicazione di 
origine e dunque un marchio del quale � titolare il produttore dal quale si 
sono forniti; e ii) al contempo, gli utilizzatori finali, anche a causa del comportamento 
reticente dei commercianti (i quali nella normalit� dei casi preferiscono 
tacere di aver acquistato presso terzi il prodotto da essi lavorato 
e dunque non rivelano che il �nome� del prodotto si identifica con un marchio 
identificativo dell�origine dello stesso), sono in larghissima parte all�oscuro 
della circostanza che la denominazione del prodotto acquistato 
tragga ragione dall�esistenza di un marchio, ritenendo piuttosto che il medesimo 
nomen costituisca una denominazione volgare del bene consumato. 
Ritiene il Governo Italiano che la risposta al quesito debba essere affermativa. 
Preliminarmente � utile considerare le circostanze di fatto alla base della 
controversia sottoposta alla cognizione del giudice remittente, in quanto 
tali elementi fattuali sono essenziali ai fini di una corretta interpretazione 
e delimitazione dell�ambito applicativo della norma oggetto della presente 
domanda pregiudiziale. 
Il Tribunale rimettente, prima di entrare nel merito dei quesiti, effettua 
una precisazione essenziale, rilevando che nel caso di specie il marchio 
� stato registrato per prodotti che vengono commercializzati o comunque 
possono essere commercializzati in mercati diversi. 
Da un lato, si tratta di prodotti grezzi e intermedi, i cui utilizzatori sono 
prevalentemente fornai e commercianti di generi alimentari, i quali (tanto 
i fornai quanto i commercianti) sono ancora ben consapevoli del fatto che 
la denominazione in questione rappresenta un�indicazione della provenienza 
da una determinata impresa. 
Dall�altro, si tratta di prodotti finiti, i cui utilizzatori sono i consumatori finali,
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 125 
i quali (dall�istruttoria compiuta durante il procedimento) sono in larga parte 
ignari del fatto che la denominazione in questione rappresenta un marchio, 
ritenendo invece che sia la denominazione generica del prodotto acquistato. 
Tali fatti sono rilevanti nel presente giudizio in quanto fanno emergere 
che in concreto vi � la possibilit� che uno stesso marchio sia registrato 
per prodotti diversi e (come nel caso in esame) destinati a mercati tra loro 
ben distinti, in quanto le categorie di soggetti che determinano la domanda 
dei rispettivi prodotti sono diverse. In un primo caso, per i prodotti 
�grezzi� o �intermedi�, il titolare del marchio intraprende rapporti commerciali 
con fornai e commercianti; nell�altro, per i prodotti �finiti�, gli 
utilizzatori vanno identificati con i consumatori finali. 
Nel primo caso, il titolare del marchio vende �direttamente� i propri prodotti 
grezzi o intermedi a fornai e commercianti, i quali, in ragione di tale 
rapporto diretto con il produttore, sono a perfetta conoscenza del fatto 
che la denominazione del prodotto acquistato rappresenta l�indicazione 
della provenienza degli stessi da una specifica impresa. Al contrario, nel 
secondo caso, i consumatori finali non hanno alcun rapporto diretto con 
il titolare del marchio, in quanto acquistano il prodotto finito da fornai o 
commercianti, ovvero coloro i quali costituiscono la domanda nell�ambito 
del diverso mercato dei prodotti grezzi o intermedi. 
Dunque, si pu� affermare che in relazione al mercato nel quale si collocano 
i prodotti finiti, il rapporto tra il produttore e i consumatori finali � 
solo �indiretto�, ovvero mediato dall�intervento di quei soggetti che nel 
�mercato a monte� sono, al contrario, direttamente coinvolti in rapporti 
commerciali con il produttore. 
Orbene, correttamente, il giudice remittente tiene separate le due questioni. 
I) Quella inerente ai prodotti grezzi o intermedi in relazione alla quale non 
vi � motivo di ritenere che si sia configurato il fenomeno della volgarizzazione, 
in quanto nel mercato si verifica un rapporto diretto e costante tra il 
titolare del marchio e i soggetti acquirenti dei prodotti grezzi e intermedi i 
quali non possono che essere consapevoli che il nome del prodotto sia un 
marchio e dunque rappresenti la provenienza degli stessi; II) quella, oggetto 
della presente domanda pregiudiziale, relativa alla presunta avvenuta volgarizzazione 
del marchio con riferimento ai prodotti finiti, i quali si inseriscono 
in un mercato diverso rispetto a quello dei prodotti intermedi. 
Una volta rilevata la possibilit� che un marchio si riferisca a prodotti tra 
loro differenti e destinati a mercati altrettanto separati, � opportuno considerare 
il tenore letterale della normativa comunitaria, alla luce dell�orientamento 
espresso in passato da codesta Corte relativamente a 
fattispecie essenzialmente analoghe, in modo tale da accertare quale sia 
la ratio della stessa e di conseguenza individuare la disciplina applicabile 
all�ipotesi in questione.
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Codesta Corte, nella sentenza C-371/02, ha d�altronde gi� analizzato la 
tematica. La domanda pregiudiziale allora proposta dal giudice remittente 
era la seguente: �Nel caso in cui un prodotto passi attraverso varie fasi 
di commercializzazione prima di raggiungere il consumatore, quali siano, 
ai fini dell�applicazione dell�art. 12, n. 2, let. a), della direttiva sui marchi, 
gli ambienti rilevanti per valutare se un marchio sia diventato la generica 
denominazione commerciale di un prodotto per il quale � registrato�. 
I passaggi rilevanti ai fini della presente questione sono quelli dal punto 
20 al punto 24 che di seguito si riportano: �20. La funzione essenziale del 
marchio consiste nel garantire al consumatore o all�utilizzatore finale 
l�identit� di origine del prodotto o del servizio contrassegnato, consentendogli 
di distinguere senza confusione possibile tale prodotto o servizio 
da quelli di provenienza diversa. Per poter svolgere la sua funzione di elemento 
essenziale del sistema di concorrenza leale che il Trattato CE intende 
istituire, esso deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi 
che ne siano contrassegnati sono stati fabbricati sotto il controllo di 
un�unica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilit� della loro 
qualit�. 21. Il legislatore comunitario ha consacrato tale funzione essenziale 
del marchio disponendo, all�art. 2 della direttiva, che i segni riproducibili 
graficamente possono costituire un marchio a condizione ch�essi 
siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un�impresa da quelli di 
altre imprese. 22. Da tale condizione vengono poi tratte talune conclusioni, 
in particolare agli artt. 3 e 12 della direttiva. Mentre l�art. 3 elenca 
i casi in cui il marchio non � idoneo, ab initio, a svolgere la funzione di 
indicazione di origine, l�art. 12, n. 2, let. a), indica il caso in cui il marchio 
non � pi� atto ad adempiere tale funzione. 23. Orbene, se la funzione di 
indicazione di origine propria del marchio � essenziale, innanzi tutto, per 
il consumatore o l�utilizzatore finale, essa � parimenti importante per gli 
intermediari che intervengono nella commercializzazione del prodotto. Infatti, 
cos� come per i consumatori, o gli utilizzatori finali, essa contribuir� 
a determinare il loro comportamento sul mercato. 24. In generale, la percezione 
dell�ambiente dei consumatori o degli utilizzatori finali ha un 
ruolo determinante. Infatti, l�intero processo di commercializzazione ha 
come obiettivo l�acquisto del prodotto da parte di tale ambiente ed il ruolo 
degli intermediari consiste tanto nell�individuare e nell�anticipare la domanda 
di tale prodotto quanto nell�amplificarla o nell�orientarla. 25. Cos�, 
negli ambienti di riferimento rientrano innanzi tutto i consumatori e gli 
utilizzatori finali. Tuttavia, a seconda delle caratteristiche del mercato del 
prodotto interessato, occorre anche tenere conto dell�influenza degli intermediari 
sulle decisioni di acquisto e, quindi, della loro percezione del 
marchio. 26. Occorre pertanto rispondere alla questione pregiudiziale sottoposta 
alla Corte dichiarando che l�art. 12, n. 2, lett. a), della direttiva
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 127 
deve essere interpretato nel senso che, nel caso in cui intervengano intermediari 
nella distribuzione al consumatore o all�utilizzatore finale di un 
prodotto coperto da una marchio registrato, gli ambienti rilevanti per valutare 
se il detto marchio sia diventato la comune denominazione commerciale 
del prodotto in questione sono costituiti dall�insieme dei 
consumatori o degli utilizzatori finali e, a seconda delle caratteristiche 
del mercato del prodotto interessato, dall�insieme degli operatori professionali 
che intervengono nella commercializzazione di quest�ultimo�. 
Orbene, il principio dettato da codesta Corte nella decisione C-371/02 
pu� essere riassunto nel modo seguente: poich� l�intero processo di commercializzazione 
ha come obiettivo l�acquisto del prodotto da parte dei 
consumatori-utilizzatori finali, la percezione di tale ambiente assume un 
ruolo preminente. Tuttavia, a seconda delle caratteristiche del mercato 
del prodotto interessato, occorre in talune circostanze tenere altres� conto 
dell�influenza degli intermediari sulle decisioni di acquisto effettuate dai 
consumatori finali, nella misura in cui il ruolo dei primi sia tale da individuare 
e anticipare la domanda di tale prodotto, ovvero da amplificarla 
o orientarla e dunque, in sostanza, tale da incidere sulla percezione e decisione 
di acquisto dei consumatori finali. 
Tale conclusione risulta assolutamente coerente con la volont� del legislatore 
comunitario, il quale, nel dettare la disciplina del fenomeno della 
volgarizzazione del marchio come una delle cause che determinano la decadenza 
dello stesso, stabilisce �un nesso di causalit�� tra il risultato che 
configura la volgarizzazione (�il marchio di impresa � suscettibile inoltre 
di decadenza qualora (�) sia divenuto (�) la generica denominazione 
commerciale di un prodotto o servizio per il quale � registrato� ) e il comportamento 
attivo o l�inerzia del titolare del marchio stesso (�per il fatto 
dell�attivit� o inattivit� del suo titolare�). Non vi � ragione di negare che 
la norma sia applicabile anche alle ipotesi in cui tra il titolare del marchio 
e il consumatore finale non vi sia un rapporto diretto, bens�, come nel 
caso di specie, mediato dall�intervento di soggetti intermediari, a loro 
volta utilizzatori del prodotto grezzo o intermedio nel �mercato di livello 
superiore�. Infatti, il legislatore comunitario, attribuendo rilevanza giuridica 
all�inerzia del titolare ai fini della decadenza del marchio, riconosce 
al medesimo la possibilit� di attivarsi e dunque evitare che si verifichi la 
volgarizzazione del marchio, anche qualora vi sia l�interposizione di un 
mercato intermedio tra di esso e il consumatore finale, agendo direttamente 
o indirettamente sulla percezione dell�ambiente che assume rilevanza 
determinante ai fini della norma in esame. Il produttore, infatti, 
avrebbe potuto imporre ai commercianti o ai fornai di comunicare ai consumatori 
che il nome del prodotto costituiva un marchio e non una generica 
denominazione del prodotto, e cos� facendo avrebbe posto in essere
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
un�attivit� giuridicamente rilevante e tale da impedire la decadenza del 
marchio del quale � titolare. 
Dunque, nell�ipotesi in esame, il titolare del marchio non risulta privo di 
tutela, in quanto egli � messo nelle condizioni di porre rimedio in modo 
diretto al processo di volgarizzazione in atto. Anche per tale motivo � ragionevole 
attribuire rilevanza (quasi) esclusiva alla percezione dei consumatori-
utilizzatori finali. 
Pertanto, nell�applicare il principio (cos� interpretato) espresso da codesta 
Corte alla fattispecie in esame (precisando nuovamente che il marchio � 
stato registrato per prodotti diversi, destinati a mercati distinti), e dunque 
in relazione al marchio registrato per il prodotto finale (oggetto della presente 
questione) bisogna dunque indirizzare l�analisi verso due quesiti: 
i) preliminarmente e in via principale, se nell�ambiente dei consumatoriutilizzatori 
finali vi sia la percezione che il marchio sia divenuto la generica 
denominazione commerciale del prodotto; ii) in via subordinata, se 
il mercato del prodotto interessato abbia delle caratteristiche tali da rendere 
altres� rilevante la percezione dell�insieme degli operatori professionali 
che intervengono nella commercializzazione del prodotto. 
Nel caso di specie, i) � stato accertato che i consumatori finali non percepiscono 
pi� il marchio come indicazione di origine, bens� come generica 
denominazione commerciale dei prodotti per i quali � registrato; ii) 
la diversa percezione dei fornai e dei commercianti non assume rilevanza 
rispetto al marchio registrato per i prodotti finali in quanto la consapevolezza 
degli stessi che il termine �Kornspritz� non identifichi il nome del 
prodotto finito, ma indichi il marchio, non incide sulla percezione e decisione 
di acquisto dei consumatori finali, la quale �, secondo codesta 
Corte, fattore dirimente. 
Pertanto, il marchio �Kornspritz� dovrebbe essere dichiarato decaduto 
dal giudice remittente in relazione ai prodotti finiti. 
5. SULLA SECONDA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 
�Se una inattivit� ai sensi dell�articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della 
direttiva 2008/95/CE possa essere riscontrata gi� per il fatto che il titolare 
del marchio non interviene bench� i commercianti non indichino alla 
clientela che si tratta di un marchio registrato�. 
Come sopra rilevato, il secondo quesito riguarda la corretta interpretazione 
del termine �inattivit�� ai sensi dell�art. 12, paragrafo 2, lettera a), 
della direttiva 2008/95/CE, e dunque, in particolare, la possibilit� di ritenere 
che il comportamento del titolare di un marchio consistente nel non 
intervenire in alcun modo nonostante i commercianti (intermediari nel 
processo di commercializzazione) non indichino alla clientela che si tratta 
di un marchio registrato, configuri quel tipo di inattivit� che la direttiva
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 129 
considera idonea a determinare il fenomeno della volgarizzazione del 
marchio, e dunque la decadenza dello stesso. 
Ritiene il Governo italiano che la risposta a tale secondo quesito pregiudiziale 
debba essere affermativa. 
Nel caso di specie, la questione ha ad oggetto un comportamento inerte del 
produttore. Tuttavia, tale inerzia non rientra in quelle inattivit� consistenti 
nella non opposizione da parte del titolare del marchio alle ingerenze da parte 
di terzi sul suo diritto al marchio, alle quali codesta Corte ha gi� attribuito rilevanza, 
(v. C-145/05, Levi Strauss & Co / Casucci S.p.A., punto 34 (2)). 
Le argomentazioni a fondamento della risposta affermativa a tale seconda 
domanda sono le seguenti. 
In prima battuta, il tenore letterale della norma. Infatti, come gi� rilevato, il 
legislatore comunitario attribuisce rilevanza, in modo esplicito, alla condotta 
del titolare del marchio, evidenziando la sussistenza di un rapporto di causalit� 
(necessario) tra l�attivit� o l�inattivit� del produttore e la percezione 
che l�ambiente di destinazione del prodotto ha di quest�ultimo (se un marchio 
�per il fatto dell�attivit� o inattivit� del suo titolare, la generica denominazione 
commerciale di un prodotto o servizio per il quale � registrato� ). 
Da tale impostazione di causalit� �necessaria�, si pu� evincere a contrario 
che l�art. 12 della direttiva 2008/95/CE attribuisce un potere di intervento 
al titolare del marchio, il quale � messo nelle condizioni di causare in 
modo attivo o �tollerare� in modo passivo la trasformazione del marchio 
in designazione generica. In ogni caso, dunque, al produttore � riconosciuto 
un ruolo determinante nel processo causale che porta all�evento 
volgarizzazione. Egli pu� causarlo da solo, ovvero pu� contribuire attivamente, 
ovvero determinarsi a non agire, nella consapevolezza che si � 
avviato un processo che potrebbe comportare la decadenza del marchio, 
e nell�ambito del quale egli ha (quantomeno in linea teorica) sempre il 
potere di incidere in modo determinante. 
Sulla base dello stesso tenore della norma, la quale non tipizza i comportamenti 
attivi o passivi rilevanti, � lecito concludere che il legislatore non abbia 
ritenuto che solo alcuni comportamenti siano da considerarsi rilevanti. Al 
contrario, il carattere generico della disposizione suggerisce che qualunque 
comportamento inattivo del titolare del marchio sia da considerarsi rilevante 
nella misura in cui abbia causato o contribuito a causare in maniera pi� o 
meno rilevante la trasformazione del marchio in designazione generica. 
(2) Di seguito il punto 34 della sentenza relativa alla causa C-145/05: �Un�inattivit� siffatta pu� 
anche corrispondere all�omesso ricorso in tempo utile, da parte del titolare di un marchio (�) al fine 
di chiedere all�autorit� competente di vietare ai terzi interessati di usare il segno per cui sussiste un rischio 
di confusione con codesto marchio, poich� una siffatta domanda ha precisamente l�oggetto di preservare 
la capacit� distintiva del suddetto marchio�.
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
In secondo luogo, tali conclusioni sono coerenti con l�orientamento 
espresso da codesta Corte nella sentenza sopra citata (C-145/05), e, in particolare, 
con quanto da quest�ultima affermato al punto 34 della pronuncia. 
Il punto 34 stabilisce che �Un�inattivit� siffatta pu� anche corrispondere 
all�omesso ricorso in tempo utile, da parte del titolare di un marchio (...) 
al fine di chiedere all�autorit� competente di vietare ai terzi interessati 
di usare il segno per cui sussiste un rischio di confusione con codesto 
marchio, poich� una siffatta domanda ha precisamente l�oggetto di preservare 
la capacit� distintiva del suddetto marchio�. Dunque, al di l� 
della circostanza meramente fattuale per cui codesta Corte nel caso di 
specie ha riconosciuto rilevanza alla mancata opposizione del titolare alla 
fruizione da parte di terzi del proprio marchio, ci� che � stato in realt� 
sancito da codesta pronuncia e che � suscettibile di espansione oltre l�ipotesi 
di fatto in quella occasione analizzata, � che l�inattivit� del produttore 
� rilevante nella misura in cui esso avrebbe potuto, attivandosi, preservare 
la capacit� distintiva del marchio (nel caso della sentenza C-145/05 ricorrendo 
agli idonei strumenti di tutela giurisdizionale). 
Pertanto, poich� nel caso in questione il titolare del marchio avrebbe ben 
potuto intraprendere una serie di attivit� ragionevolmente idonee ad evitare 
la trasformazione in denominazione generica (ad esempio pretendendo dai 
fornai e dai commercianti che in occasione della vendita dei prodotti finiti 
realizzati con il proprio preparato per la panificazione facessero in modo 
che i consumatori finali continuassero a percepire la denominazione come 
marchio, ovvero presentando nella pubblicit� in modo chiaro il marchio 
come indicazione di origine), l�inattivit� dello stesso deve essere ritenuta 
rilevante ai fini dell�articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 
2008/95/CE, e tale dunque da causare o contribuire in maniera determinante 
alla trasformazione del marchio in denominazione generica. 
6. SULLA TERZA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 
�Se un marchio che, per il fatto dell�attivit� o inattivit� del suo titolare, 
� divenuto per i consumatori finali, ma non nel settore commerciale, una 
generica denominazione commerciale, debba essere dichiarato decaduto 
quando, e anche soltanto quando, i consumatori finali, in mancanza di 
alternative equivalenti, devono servirsi di tale denominazione�. 
Il terzo quesito ha ad oggetto la comprensione del ruolo che debba essere 
attribuito alla circostanza in cui manchino denominazioni alternative equivalenti 
a quella del marchio registrato, e, dunque, la riconducibilit� di tale 
mancanza all�articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE. 
A parere del Governo italiano la risposta a tale terzo quesito pregiudiziale 
deve essere negativa. 
� infatti difficile concepire la mancanza di denominazioni alternative
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 131 
come un fatto a s� stante, il quale, anche da solo, possa essere legittimamente 
ritenuto in grado di provocare la decadenza del marchio, senza che 
risulti aggirata la portata della disposizione comunitaria. 
Sul piano teorico la mancanza di denominazioni alternative pu� essere 
considerato i) uno dei fattori che potrebbero causare la perdita della capacit� 
distintiva del marchio, ovvero ii) il �risultato� stesso del processo 
di trasformazione del marchio in denominazione generica. 
Ai fini della presente domanda, ci si deve riferire alla prima accezione 
delle due sopra enucleate, in quanto, altrimenti, la domanda si risolverebbe 
in una affermazione tautologica e priva di alcun significato pratico 
(in sostanza: pu� da sola la trasformazione del marchio in denominazione 
generica determinare decadenza dello stesso?). 
Dall�analisi fin qui svolta, risulta che il legislatore comunitario ha riconosciuto 
al titolare del segno distintivo il potere di contrastare la volgarizzazione 
di quest�ultimo. Pertanto, anche in mancanza di denominazioni 
alternative, il produttore � sempre messo nelle condizioni di fare opposizione 
al processo di volgarizzazione, e, dunque, nel caso di specie, di compiere 
quelle attivit� in grado di mantenere viva la capacit� distintiva del marchio. 
Dunque, la mancanza di denominazioni alternative non pu� che essere 
considerata come uno degli eventuali �fattori di rischio� in grado di contribuire 
al processo causale che porta alla volgarizzazione del segno distintivo, 
la quale, ai fini e nei limiti della ratio della normativa comunitaria, 
non � in grado di determinare, da sola, la decadenza del marchio. 
7. CONCLUSIONI 
Per le motivazioni sopra esposte il Governo Italiano suggerisce di dare 
risposta positiva ai primi due quesiti e negativa al terzo. 
Roma 26 novembre 2012 
Stefano Varone 
Avvocato dello Stato
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Wally Ferrante, 
AL 42465/12) nella causa C-442/12, promossa ai sensi dell�art. 267 
TFUE con l�ordinanza del 28 settembre 2012, depositata in data 3 ottobre 2012 
dal Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi). 
Materia: Libert� di stabilimento e libera prestazione dei servizi 
Diritto di stabilimento 
Libera circolazione dei servizi 
QUESTIONI PREGIUDIZIALI 
1. Con l�ordinanza in epigrafe, � stato chiesto alla Corte di Giustizia dell�Unione 
europea di pronunciarsi, ai sensi dell�art. 267 TFUE, sulle seguenti 
questioni pregiudiziali: 
�1. Se l�art. 4, paragrafo 1 della Direttiva 87/344/CEE, consente che 
un assicuratore di tutela giudiziaria, che nelle sue polizze prevede che la 
tutela giudiziaria in procedimenti giurisdizionali o amministrativi in linea 
di principio verr� fornita da dipendenti dell�assicuratore, stipuli anche 
che le spese di tutela giudiziaria di un avvocato o consulente giuridico 
liberamente scelto dall�assicurato rientrano nella copertura assicurativa 
solo se l�assicuratore ritiene che il procedimento debba essere gestito da 
un consulente giuridico esterno. 
2. Se, ai fini della risposta alla prima questione, rilevi la circostanza 
che per il procedimento giurisdizionale o amministrativo di cui trattasi 
sia obbligatoria o meno la rappresentanza tecnica in giudizio�. 
ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA 
2. La questione pregiudiziale trae origine da una controversia tra un assicurato 
(di seguito ricorrente) e la societ� assicuratrice DAS Nederlandse 
Rechtsbijstand Verzekeringsmaatschappij N. V. (di seguito resistente) 
concernente il contenuto di un�assicurazione di tutela giudiziaria. 
3. In particolare, il ricorrente pretende un risarcimento dal suo ex datore di 
lavoro, lamentando di essere stato licenziato senza motivo e intende intentare 
un�azione giudiziaria nei confronti dello stesso, con l�assistenza 
di un avvocato di sua scelta e spese a carico del suo assicuratore. 
4. La resistente sostiene invece che il contratto di assicurazione stipulato 
dal ricorrente non offrirebbe copertura per i costi di assistenza legale da 
parte di un avvocato scelto dall�assicurato ed � pertanto disposta a fornire 
essa stessa tutela giudiziaria allo stesso per mezzo di un proprio dipendente, 
da essa indicato, che non � avvocato. 
5. Ci�, anche tenuto conto del fatto che, nel procedimento che il ricorrente 
intende instaurare nei confronti del suo ex datore di lavoro, non � obbligatoria 
la rappresentanza tecnica in giudizio.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 133 
6. La domanda del ricorrente � stata rigettata in primo ed in secondo grado 
e la Corte di cassazione Olandese ha sollevato le suddette questioni pregiudiziali, 
sostenendo che molti argomenti depongono a sostegno della 
tesi secondo la quale all�assicurato deve essere sempre garantito il diritto 
di libera scelta del proprio rappresentante legale. 
NORMATIVA COMUNITARIA 
7. La direttiva n. 87/344/CEE del 22 giugno 1987, recante coordinamento 
delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative 
all�assicurazione tutela giudiziaria, stabilisce che quest�ultima consiste 
nell�impegnarsi, dietro pagamento di un premio, a farsi carico delle spese 
legali e ad offrire altri servizi derivanti dalla copertura assicurativa, promuovendo 
o resistendo ad un�azione civile, penale o amministrativa. 
8. La suddetta direttiva individua espressamente, all�art. 1 e nei considerando 
quarto e undicesimo, fra i propri scopi, quello di facilitare l�esercizio 
effettivo della libert� di stabilimento e di evitare il pi� possibile il 
conflitto di interessi fra un assicurato coperto con la tutela giudiziaria e 
il suo assicuratore ove questi copra altro assicurato o l�assicurato medesimo 
anche per un altro ramo, accordando all�assicurato la libert� di scegliere 
il proprio rappresentante legale. 
9. In particolare, il considerando 11 afferma che �l�interesse dell�assicurato 
coperto dalla tutela giudiziaria implica che quest�ultimo deve avere la 
possibilit� di scegliere egli stesso l�avvocato o qualsiasi altra persona in 
possesso delle qualifiche ammesse dalla legislazione nazionale nell�ambito 
di qualunque procedimento giudiziario o amministrativo e ogni qualvolta 
sorga un conflitto di interessi�. 
10. Gli artt. 3 e 4 della predetta direttiva sono preordinati al raggiungimento 
di tale obiettivo: tali disposizioni, sono fra loro complementari nel dettare 
sia misure organizzative dell�impresa, sia regole conformative del contratto, 
attraverso la previsione di garanzie specifiche a favore degli assicurati 
(cfr. Corte di Giustizia, 10 settembre 2009, causa C-199/08, Eschig, 
punti 40 e 41). 
11. Per quanto concerne le misure organizzative, l�art. 3 comma 2, lettere a) 
e b) della direttiva impone agli assicuratori di gestire i sinistri mediante 
personale diverso rispetto a quello dedicato alla gestione dei sinistri di 
altri rami in seno alla medesima impresa o di affidarne la gestione ad 
un�impresa giuridicamente distinta. 
12. Inoltre, l�art. 3, comma 2, lett. c), per evitare i conflitti di interesse, riconosce 
all�assicurato la libert� di scegliere il proprio rappresentante sin dal momento 
della denuncia di sinistro, stabilendo che: �l�impresa deve prevedere 
nel contratto il diritto per l�assicurato di affidare la tutela dei suoi interessi, 
non appena abbia il diritto di esigere l�intervento dell�assicuratore in virt�
134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
della polizza, ad un avvocato di sua scelta o, se � consentito dalla legislazione 
nazionale, ad altra persona in possesso delle qualifiche necessarie�. 
13. Per quanto concerne le garanzie specifiche, l�art. 4 della direttiva 
87/344/CEE attribuisce agli assicurati il diritto di scegliere liberamente 
un rappresentante nei procedimenti giudiziari o amministrativi oppure 
quando sorge un conflitto di interessi. 
14. Tale norma dispone espressamente che ogni contratto di tutela giudiziaria 
debba riconoscere in modo esplicito che: a) �ove un avvocato o qualsiasi 
altra persona in possesso delle qualifiche ammesse dalla legislazione nazionale 
sia chiamato a difendere, rappresentare o tutelare gli interessi 
dell�assicurato in qualunque procedimento giudiziario o amministrativo, 
l�assicurato � libero di scegliere�, b) l�assicurato � libero di scegliere un 
avvocato o, se preferisce e se � consentito dalla legislazione nazionale, 
altra persona in possesso delle qualifiche necessarie, per tutelare i suoi 
interessi qualora insorga un conflitto di interessi�. 
RISPOSTA AL PRIMO QUESITO 
15. Con il primo quesito, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte 
di giustizia se l�art. 4, paragrafo 1 della direttiva 87/344/CEE legittimi 
un�interpretazione restrittiva secondo la quale il rimborso delle spese sostenute 
per la tutela giudiziaria mediante un avvocato liberamente scelto 
dall�assicurato sarebbe limitato al solo caso in cui l�assicuratore ritenga 
di far gestire il procedimento da un legale esterno e non da un proprio dipendente 
a ci� abilitato. 
16. Il Governo italiano ritiene che al quesito debba darsi risposta negativa. 
17. Innanzitutto, va ricordato che la direttiva 87/344/CEE mira, da un lato, 
ad agevolare la libert� di stabilimento delle imprese di assicurazioni mediante 
la soppressione delle barriere che derivano dalle normative nazionali 
che vietano il cumulo dell�assicurazione tutela giudiziaria con altri 
rami assicurativi e, dall�altro, a tutelare gli interessi degli assicurati, in 
particolare eliminando nel modo pi� ampio possibile gli eventuali conflitti 
di interesse e consentendo la soluzione delle controversie tra assicuratori 
e assicurati (Corte di giustizia, sentenza Eschig cit., punto 39). 
18. In sintesi, la normativa comunitaria prevede tre modalit� alternative di 
gestione dei sinistri: a) gestione diretta dell�assicuratore; b) gestione indiretta 
su decisione dell�assicuratore; c) libera scelta del legale esterno 
da parte dell�assicurato. 
19. La terza possibile modalit� di esercizio del ramo tutela giudiziaria consiste, 
dunque, nell�attribuire all�assicurato il diritto di affidare la tutela dei 
suoi interessi, in caso di sinistro, �ad un avvocato o ad altro professionista 
abilitato� non appena abbia, a termini di contratto, il diritto di esigere 
l�intervento dell�impresa di assicurazione.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 135 
20. Al riguardo, sussiste una differenza tra l�art. 3 e l�art. 4 della direttiva, 
nella parte in cui si fa riferimento alla libera electio del professionista. 
21. Infatti, l�art. 3 della direttiva configura un�ipotesi di contratto che riconosce 
all�assicurato diritti pi� ampi di quelli di cui all�art. 4, attribuendogli 
la facolt� di scegliere il proprio avvocato sin dal momento in cui ha la facolt� 
di attivare la garanzia prestata dal contratto, ossia sin da quando denuncia 
il sinistro richiedendo l�intervento del proprio assicuratore, (cfr. 
Corte di Giustizia, sentenza Eschig cit., punto 50). 
22. In tale ipotesi, il diritto di scegliere l�avvocato opera sia nella fase stragiudiziale 
che in quella giudiziale; l�assicuratore � privo fin dall�inizio 
della facolt� di ingerenza nella gestione della vertenza, dovendosi limitare 
a verificare esclusivamente la regolarit� tecnica e amministrativa della 
denuncia di sinistro (ovvero che l�evento rientra in garanzia e che vi sia 
stato il pagamento del premio), prendendo atto dell�avvenuta designazione 
del professionista abilitato. 
23. L�art. 4, invece, attribuisce all�assicurato la facolt� di scegliere il legale 
unicamente in occasione di un procedimento giudiziario o amministrativo 
mentre tale facolt� di scelta, per la fase stragiudiziale, sembra limitata 
alla sola ipotesi di insorgenza di un conflitto di interesse. 
24. Tuttavia, la chiave interpretativa non pu� non essere ricercata nell�11� 
considerando della direttiva che sancisce il principio secondo cui l�interesse 
dell�assicurato �implica che quest�ultimo deve avere la possibilit� 
di scegliere egli stesso l�avvocato�. 
25. Se ci� � vero, non sembra accettabile un�interpretazione della normativa 
comunitaria che lasci all�assicuratore o a terzi la possibilit� di impedire 
la libera elezione del legale, in relazione alla natura della controversia o 
al fatto che per la stessa non � richiesto il patrocinio di un avvocato. 
26. Ne consegue che le norme sopra esaminate vanno lette nel senso che l�assicurato 
abbia il diritto all�intervento del legale di sua scelta ogni volta 
che insorga il diritto alla prestazione assicurativa. 
27. Pertanto sembra fondato il dubbio espresso dalla Cassazione olandese 
circa l�interpretazione contraria avallata dai giudici di merito, non potendo 
rilevare a sostegno della tesi da questi ultimi propugnata la preoccupazione 
espressa dalla resistente circa l�inevitabile aumento dei premi assicurativi 
che conseguirebbe al ricorso a legali esterni scelti dagli assicurati. 
28. Del resto, l�art. 5 della direttiva individua tassativamente le eccezioni al 
principio della libera scelta del legale da parte dell�assicurato, sancito dall�art. 
4, paragrafo 1 della medesima direttiva, tra le quali non rientra la 
fattispecie oggetto del procedimento principale. 
RISPOSTA AL SECONDO QUESITO 
29. N� pu� assumere alcun rilievo il fatto che, per lo specifico giudizio, non
136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
sia necessario il patrocinio di un avvocato, dovendosi garantire la libert� 
di scelta di un legale esterno anche in tale eventualit�. 
30. Secondo la giurisprudenza, infatti, l�art. 4, paragrafo 1, che tale diritto 
prevede, ha portata generale e valore obbligatorio (Corte di giustizia, sentenza 
26 maggio 2011, causa C-293/10, punto 29). 
CONCLUSIONI 
31. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito 
nel senso che l�art. 4, paragrafo 1 della Direttiva 87/344/CEE, non consente 
che un assicuratore di tutela giudiziaria, che nelle sue polizze preveda 
che la tutela giudiziaria in procedimenti giurisdizionali o 
amministrativi in linea di principio venga fornita da dipendenti dell�assicuratore, 
stipuli anche che le spese di tutela giudiziaria di un avvocato o 
consulente giuridico liberamente scelto dall�assicuratore rientrino nella 
copertura assicurativa solo se l�assicuratore ritenga che il procedimento 
debba essere gestito da un consulente giuridico esterno. 
32. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo quesito 
nel senso che, ai fini della risposta alla prima questione, non rilevi la 
circostanza che per il procedimento giurisdizionale o amministrativo di 
cui trattasi sia obbligatoria o meno la rappresentanza tecnica in giudizio. 
Roma, 14 gennaio 2013 
Wally Ferrante 
Avvocato dello Stato 
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Osservazioni sull�indennit� di occupazione, a seguito della 
sentenza 181/2011 della Corte Costituzionale 
Lionello Orcali* 
1. Come noto, la Corte Costituzionale, con sentenza 5/80, dichiar� l�incostituzionalit� 
delle norme contenute nell�articolo 16, commi 5, 6 e 7, della legge 
865/1971, nella parte in cui prevedevano, ai fini della determinazione dell�indennit� 
di esproprio per le aree edificabili, il riferimento al valore agricolo medio. 
La dichiarazione di incostituzionalit� fu estesa all�articolo 20 3� comma della 
medesima legge (che prevedeva, per la determinazione dell�indennit� di occupazione, 
l�applicazione di una quota - 1/12 annuo -, riferita all�indennit� di 
espropriazione, determinata secondo i criteri dell�articolo 16) in quanto, dichiarato 
incostituzionale il riferimento, la Corte aveva evidentemente ritenuto 
che la quota ne dovesse seguire il destino. 
2. La dichiarazione di incostituzionalit� di cui sopra non prevedeva distinzioni 
o limiti; peraltro, essa fu interpretata limitativamente, dapprima dalla Corte di 
Cassazione, e quindi dalla Corte Costituzionale stessa (si veda Cass. S.U. 
12008/1991, anche per richiami della giurisprudenza costituzionale), essendosi 
ritenuto che essa fosse riferibile soltanto alle aree edificabili, con esclusione 
delle determinazioni relative alle aree agricole; pertanto, le suddette norme 
hanno continuato ad avere applicazione anche dopo la sentenza 5/80, con riferimento 
ai terreni agricoli e non edificabili, in relazione ai quali l�indennit� 
di occupazione � stata determinata sulla base di 1/12 annuo dell�indennit� di 
espropriazione, quantificata in base al valore agricolo medio; per gli altri terreni, 
quelli edificabili, si fece invece applicazione dei criteri seguiti relativa- 
(*) Avvocato dello Stato.
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
mente alla legge 2359 del 1865 (in concreto: il tasso di interesse applicato all�indennit� 
di esproprio, determinata secondo il criterio del valore venale; si 
veda la recente Cass. 2100/2011, con richiami, ove viene anche evidenziata la 
natura elastica del criterio). 
3. Successivamente il legislatore, con l�articolo 5 bis del DL 333/1992 (oltre 
a modificare i criteri di determinazione dell�indennit� di espropriazione per i 
terreni edificabili), ha previsto, al comma 4, l�applicabilit�, per la determinazione 
dell�indennit� relativa alle aree agricole e non edificabili, della normativa 
di cui alla legge 865/1971; cos� confermando, in via definitiva, la parziale sopravvivenza 
di tali norme alla dichiarazione di incostituzionalit� di cui alla 
sentenza 5/1980. 
4. � quindi intervenuta la recente sentenza 181/2011 della Corte Costituzionale, 
che ha del tutto espunto dall�ordinamento il criterio del valore agricolo 
medio, provvedendo a nuovamente dichiarare l�illegittimit� costituzionale dell�articolo 
16, commi 5 e 6, nonch� dell�articolo 15, 1� comma, secondo periodo, 
della legge 865/71. 
Tale sentenza non ha peraltro esteso la dichiarazione di incostituzionalit� all�articolo 
20 3� comma di tale legge; anch�esso, gi� dichiarato incostituzionale, 
ma sopravvissuto, alla stregua di quanto si � sopra accennato. 
5. Si pone quindi il problema di individuare quale sia, all�attualit�, il criterio 
da utilizzare per determinare l�indennit� di occupazione per le aree non edificabili; 
e si tratta di tema di non scarsa rilevanza, posto che altro � remunerare 
l�occupazione, (spesso solo dichiarata, ma non effettiva, in attesa dell�inizio 
o del completamento delle opere), con una somma pari al tasso dell�8,33% 
annuo (=1/12), ai sensi dell�art. 20 della L. 865 (nonch� ai sensi del successivo 
articolo 50 del d.p.r. 327/2001), altro remunerarla con il tasso d�interesse legale, 
attualmente pari al 2,5 %, o comunque secondo tassi di redditivit� pari a 
quelli di mercato (3% - 4%, per ci� che consta), ai sensi degli articoli 64 e seguenti 
della legge 2359/1865. 
6. Al riguardo, sembra doversi anzitutto evidenziare che l�operato del legislatore 
in materia, con la legge del 1971 e il d.p.r. del 2001, � stato volto ad uniformare 
il trattamento dei terreni assoggettati ad espropriazione, essendosi 
previsti, per l�indennit� di espropriazione, criteri in linea di massima astratti, 
e, per l�indennit� di occupazione, un tasso unico, da applicarsi all�indennit� 
di esproprio, determinata secondo tali criteri. 
Si � trattato di linea presumibilmente seguita, oltre che per finalit� di contenimento 
della spesa relativa all�indennit� di espropriazione (non, in relativo, 
quella di occupazione), anche al fine di semplificare le operazioni di stima, e 
di concedere il minimo di discrezionalit� ai soggetti chiamati alle relative va-
CONTENZIOSO NAZIONALE 139 
lutazioni. Non sembra peraltro potersi ritenere che tale impostazione abbia 
consentito di operare con le necessarie differenziazioni, in relazione ai singoli 
casi, sia con riferimento all�indennit� di espropriazione che a quella di occupazione. 
Ora, con riferimento all�indennit� di espropriazione, la Corte Costituzionale 
ha riportato i termini della vicenda al valore venale cui faceva 
riferimento il legislatore del 1865; la questione sembra invece - attualmente - 
pi� complessa per ci� che riguarda l�indennit� di occupazione. 
7. In relazione ai criteri di determinazione dell�indennit� di occupazione, sembra 
anzitutto opportuno evidenziare che le indicazioni in materia contenute 
negli articoli 64 e ss. della legge 2359/1865, fanno generico riferimento alla 
necessit� di tenere conto del pregiudizio derivato al proprietario dalla perdita 
del godimento e dei frutti del terreno, della diminuzione del valore del fondo 
e della durata dell�occupazione, oltre che delle altre eventuali variabili. 
Da tali indicazioni la prassi giurisprudenziale ha ricavato una pressoch� costante 
applicazione del concreto criterio consistente nell�applicazione del tasso d�interesse 
legale all�indennit� di espropriazione. Si tratta, peraltro, di criterio di 
non rigida applicazione, essendo ipotizzabili scostamenti, come ricorda Cass. 
S.U. 12088/91 (sia al ribasso, che al rialzo, ritengo), nonch�, pi� di recente, 
Cass. 2100/2011, dovendosi tenere conto dell�effettiva natura del terreno sottoposto 
a procedimento espropriativo, che potrebbe essere concretamente tale da 
non produrre alcun reddito, o da produrne in maniera pi� o meno significativa. 
A fronte dell�elasticit� del criterio fissato dal legislatore del 1865, tale da corrispondere 
alla variet� delle situazioni che possono in concreto presentarsi, si 
pone, come detto, la rigidit� del criterio adottato dal legislatore del 1971 e del 
2001, tale da porre sullo stesso piano situazioni inevitabilmente diverse, e da 
portare quindi ad indennit� ingiustificatamente elevate, oppure (certo non all�attualit�, 
ma in ben diverse condizioni economico finanziarie: si pensi a possibili 
situazioni di elevatissimi livelli di inflazione) ingiustificatamente basse. 
Per contestualizzare la disposizione del 1971, va osservato che, all�entrata in 
vigore della legge 865, il tasso di interesse legale era pari al 5%. Le successive 
evoluzioni del tasso, sono state tali da allargare la forbice sussistente tra la 
percentuale fissata dall�articolo 20 della legge, ed il tasso di interesse, fatto 
salvo il periodo (1990/1996) durante il quale il tasso � stato pari al 10%; risulta 
quindi una situazione in cui il tasso fissato dalla norma in questione, che poteva 
originariamente essere moderatamente premiante rispetto al tasso di interesse, 
� risultato effettivamente tale per un certo periodo, salvo poi risultare 
svantaggioso durante il limitato periodo 90/96, per poi ritornare premiante, in 
misura palesemente eccessiva, dal 1997 fino all�attualit�. 
Sfugge invece la logica seguita dal legislatore del d.p.r. 327/2001, che, nel 
prevedere all�articolo 50 il tasso di 1/12, in un periodo storico in cui i rendimenti 
ed i tassi erano notevolmente inferiori, sembrerebbe essersi limitato a
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recepire l�indicazione gi� contenuta nell�articolo 20 della 865, senza porsi problemi 
di congruit� di tale rendimento. 
Le osservazioni appena svolte inducono a ritenere che la fissazione di uno specifico 
tasso, di carattere rigido, da applicare per la determinazione dell�indennit� 
di occupazione, per quanto abbia un evidente effetto di semplificazione, 
risulti strumento decisamente inadeguato rispetto alla realt� in essere, inevitabilmente 
differenziata di periodo in periodo, parendo ben pi� congruo il riferimento 
al tasso di interesse legale (eventualmente maggiorato di una 
percentuale del medesimo), per la maggiore aderenza alla situazione economico 
finanziaria del momento; salvo pensare a strumenti specifici per la procedura 
di espropriazione, quale ad esempio l�individuazione di tassi di 
redditivit� degli immobili, da determinarsi periodicamente, e da utilizzare per 
la finalit� in questione. 
In linea con tali ultime osservazioni, va considerato che la Corte Costituzionale, 
con la recente sentenza 181 del 2011, pur non essendosi occupata degli 
aspetti relativi all�indennit� di occupazione, ha preso atto, nell�esaminare la 
situazione sottopostale, della sussistenza di una norma, il primo comma dell�articolo 
40 del decreto legislativo 327/2001, tale da consentire una valutazione 
sufficientemente specifica del bene, ed ha quindi ritenuto di non 
dichiararne l�incostituzionalit�; analogamente, con la sentenza 5/80, essa aveva 
evidenziato l�adeguatezza del criterio fissato dall�articolo 15 1� comma della 
legge 865 del 71, in quanto tale da consentire valutazioni caratterizzate da sufficienti 
criteri di specificit� e di effettivit�, valorizzando la differenza tra tale 
criterio e quello del valore agricolo medio. 
Non sembra particolarmente rilevante, in questa sede, soffermarsi sul fatto che 
le concrete valutazioni della Corte relativamente all�articolo 15 primo comma 
sono state, tra una sentenza e l�altra, notevolmente diverse; il punto essenziale 
sembra consistere nel fatto che i criteri di cui essa ha fatto applicazione sono, 
in entrambe le pronunce, i medesimi, volti alla concretezza ed alla specificit� 
delle valutazioni. 
Tali criteri, applicati all�indennit� di occupazione, risultano in contrasto con 
le indicazioni di carattere rigido fissati nelle normative del 71 e del 2001, ed 
in linea invece con gli elastici criteri fissati dal legislatore del 1865. 
8. Va poi ribadito come, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 
5/80, la giurisprudenza si fosse orientata nel senso di ritenere che, per l�indennit� 
di occupazione relativa alle aree edificabili, una volta venute meno le 
norme che consentivano di determinare la base cui fare riferimento, ed il criterio 
da utilizzare per la sua determinazione, si dovesse fare riferimento, tanto 
per l�una quanto per l�altro, alla normativa contenuta nella legge 2359/1865 
(si veda tra le tante Cass. 19938/2011, con richiami). 
Era quindi avvenuto che, se la base, e cio� l�indennit� di espropriazione, aveva
CONTENZIOSO NAZIONALE 141 
subito un notevole incremento, il criterio di determinazione, dato dall�uso del tasso 
d�interesse anzich� della percentuale di 1/12, per ciascun anno di occupazione, 
aveva poi provveduto, in qualche misura, a compensare la crescita della base. 
In altre parole, il criterio, eccessivamente oneroso, dato dall�applicazione di 
1/12 annuo sull�indennit� di espropriazione, risult� di fatto applicato, per le 
aree edificabili, soltanto nel periodo in cui la base veniva determinata in modo 
ugualmente, ma in senso contrario, irrealistico, rispetto ai valori di mercato. 
Una volta che il criterio limitativo di determinazione della base venne meno, 
non vi era ragione, n� logico-giuridica n� sostanziale, di applicare per la determinazione 
dell�indennit� di occupazione il tasso dell�8,33% (= 1/12), palesemente 
eccessivo, se applicato ad una base realistica; ed in effetti, come detto 
sopra, la giurisprudenza cess� l�applicazione di tale criterio per le aree edificabili, 
per tornare a quello previsto dalla legge del 1865; mentre esso rimase in 
vigore relativamente alle aree agricole, essendo l�articolo 20 3� comma sopravvissuto, 
come sopra detto, alla sentenza 5/1980 della Corte Costituzionale. 
9. Va quindi osservato come la recente pronuncia 181/2011 della Corte Costituzionale, 
ometta qualsiasi indicazione relativamente all�articolo 20 3� comma 
della legge 865/1971; (in linea, peraltro, con la precedente sentenza 348/2007 
della stessa Corte, che, nell�affrontare il tema dell�indennit� di espropriazione 
relativa alle aree edificabili, si astiene ugualmente dall�occuparsi delle norme 
relative all�indennit� di occupazione); ma differenziandosi, in ci�, dalla precedente 
sentenza 5/80. 
Si tratta, quindi, di verificare se, a tale omissione, sia possibile attribuire un 
significato. 
Al riguardo, va considerato: 
A) Nel 1980, la Corte Costituzionale, nel fare applicazione dell�articolo 27 della 
legge costituzionale 87/1953 in relazione all�articolo 20 (il giudizio a quo non 
verteva direttamente su tale norma), sembrerebbe essersi basata sullo stretto collegamento 
ritenuto sussistere tra la quota di 1/12 prevista dal legislatore ai fini 
della determinazione dell�indennit� di occupazione, e le modalit� di determinazione 
dell�indennit� di esproprio; dichiarando l�incostituzionalit� dell�art. 20 3� 
comma, sarebbe risultato evidentemente pi� chiaro che, per determinare l�indennit� 
di occupazione, non vi sarebbe stata la possibilit� di applicare la quota 
di 1/12 all�indennit� di espropriazione determinata in base alla legge 2359. Nella 
mancanza di pi� specifiche indicazioni nell�ambito della sentenza in questione, 
si tratta di ipotesi che non sembra contrastare con il riferimento testuale contenuto 
in tale sentenza �all�articolo 20�� che prevede l�applicazione delle stesse 
norme per la determinazione dell�indennit� di occupazione di urgenza �. 
B) Quanto alla successiva sentenza del 2011, pu� ipotizzarsi che la Corte abbia 
ritenuto che la previsione della quota di 1/12, una volta venuta meno la base 
su cui essa poteva essere determinata, non poteva essere ritenuta ex se illegit-
142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
tima, in quanto essa diveniva, pi� propriamente, inapplicabile; restava infatti 
ferma la possibilit� che il legislatore intervenisse in relazione alla norma dichiarata 
incostituzionale, relativa alle modalit� di determinazione dell�indennit� 
di espropriazione, nel qual caso la norma relativa all�indennit� di 
occupazione sarebbe tornata ad essere applicabile; dovendosi sottolineare che 
tale sentenza interviene in un periodo in cui la giurisprudenza aveva chiarito 
(si veda Cass. Sezioni Unite 4241/2004) la natura generale della previsione 
degli artt. 64 e ss. della legge 2359/1865, quale criterio cui fare riferimento in 
tutti i casi in cui non vi fossero disposizioni che indicassero differenti criteri; 
in assenza, quindi, della situazione di incertezza cui la sentenza 5/1980 potrebbe 
avere inteso ovviare. 
Alla luce di quanto sopra, non sembrano comunque sussistere significative differenze, 
dal punto di vista operativo, tra le conseguenze determinate, rispetto 
all�articolo 20 3� comma, da tali sentenze, posto che la 5/80 espunge dall�ordinamento 
tale comma con riferimento alla determinazione delle indennit� di 
occupazione per le aree edificabili, mentre la sentenza 181/2011, se sono esatte 
le osservazioni di cui al punto B), ne determina l�inapplicabilit�, con riferimento 
alle aree agricole (si veda, al riguardo la gi� citata Cass. 19938/2011, secondo 
la quale l�applicabilit� della quota di 1/12 sussiste soltanto laddove si tratti di 
indennit� di espropriazione determinata secondo il criterio del valore agricolo 
medio); sicch�, pur nella differenza delle rispettive valutazioni, gli effetti che 
esse determinano appaiono, allo stato, sostanzialmente analoghi. 
10. Sviluppando quanto esposto al punto precedente, anche al fine di valutare 
quali siano gli effetti della sentenza 181 sull�indennit� di occupazione ai sensi 
del successivo d.p.r. 327, va poi considerato: 
A) tornando all�art. 20 3� comma: 
- a ben vedere, la parziale permanenza in vigore dell�articolo 20 terzo comma 
della legge 865/1971, sembra spiegabile, come gi� detto, in considerazione della 
pur sempre sussistente possibilit� che il legislatore ritenga di intervenire sulla 
suddetta normativa, introducendo, in ipotesi, nuovi criteri di determinazione dei 
valori dei terreni agricoli (valevoli nei limiti temporali di applicabilit� di tale 
normativa) in relazione ai quali potrebbe essere applicabile il parametro di determinazione 
dell�indennit� di occupazione fissato dall�articolo 20 terzo comma; 
- peraltro, in assenza di nuovi interventi legislativi, l�articolo 20 terzo comma 
resterebbe, pur se non caducato, in concreto inapplicabile, per essere venuta 
meno la base di necessario riferimento; 
- l�ipotesi di un�applicazione coerente della normativa sulle indennit� di esproprio 
e di occupazione (tale che, ove si faccia riferimento all�indennit� di esproprio 
prevista in un certo testo legislativo, � a quel medesimo testo che deve farsi 
riferimento per la determinazione dell�indennit� di occupazione), ove non sussistano 
specifiche norme tali da condurre a diverse conclusioni, sembra in linea
CONTENZIOSO NAZIONALE 143 
generale pi� convincente di un�eventuale applicazione combinata delle due indennit�, 
con l�applicazione di spezzoni di disciplina dell�una e dell�altra legge, 
trattandosi di operazione da cui conseguirebbero risultati di inevitabile disorganicit�, 
tali da dare luogo a concrete determinazioni prive del necessario equilibrio; 
si tratta poi, soprattutto, della sola soluzione che appare pienamente 
compatibile con il disposto dell�articolo 20, che rinvia, per la determinazione 
dell�indennit� di occupazione, non ad una generica indennit� di espropriazione, 
ma a quella specificamente individuata dall�articolo 15 della legge 865. 
Quindi, ritengo che, per le situazioni gi� disciplinate dall�articolo 20 terzo 
comma, della legge 865/1971, debba farsi riferimento agli articoli 64 e seguenti 
della legge 2359/1865; con conseguente applicazione del criterio del tasso di 
interesse, quale strumento per la determinazione dell�indennit� di occupazione. 
B) Quanto all�art. 50 del dpr. 327, va osservato anzitutto che esso non rinvia 
espressamente al parametro dato dal disposto del medesimo testo legislativo 
(l�articolo 40), relativo alla determinazione di indennit� di espropriazione; 
viene ivi svolto infatti un pi� generico rinvio �a quanto sarebbe dovuto nel 
caso di esproprio dell�area�. 
Pertanto, con il venir meno dell�articolo 40, si pongono questioni diverse da 
quelle sopra indicate. Va quindi considerato: 
- la mancanza di un espresso rinvio dell�articolo 50 al precedente articolo 40, 
non sembra consentire di giungere, dal punto di vista dell�interpretazione letterale, 
alle conclusioni cui si � giunti in precedenza, con riferimento alla situazione 
postasi quanto alla legge 865/71; sembrerebbe infatti, dalla lettera 
dell�articolo 50, che il legislatore (in materia gi� oggetto di interventi da parte 
della Corte Costituzionale), abbia inteso limitare al minimo l�applicabilit� 
delle normative precedenti, e tenere fermo il quadro normativo da ultimo delineato, 
anche per il caso di possibile mutazione di alcuno degli elementi che 
lo caratterizzano; 
- sembra quindi dover essere considerata la possibilit� che, con riferimento 
alle situazioni disciplinate dal d.p.r. 327, si debba fare applicazione combinata 
della normativa relativa alla determinazione dell�indennit� di esproprio in base 
al valore venale, ai sensi della 2359, e di quella relativa alla determinazione 
dell�indennit� di occupazione in base al parametro di 1/12 annuo; ci�, in virt� 
della specifica formulazione contenuta nell�articolo 50; salvo che prevalgano 
interpretazioni volte a svalutare il significato letterale del generico rinvio contenuto 
nell�articolo 50, a favore di altre opzioni interpretative, volte a valorizzare 
gli aspetti finalistici e sistematici, supportati dalle considerazioni di 
carattere sostanziale sopra evidenziati. 
11. All�attualit�, sembra quindi sussistere una situazione di apprezzabile unitariet� 
per ci� che riguarda la determinazione dell�indennit� di espropriazione; 
unitariet� che potrebbe non sussistere, se sono esatte le osservazioni di cui
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
sopra, relativamente all�indennit� di occupazione, che dovrebbe essere determinata, 
per tutte le situazioni (relative sia ad aree edificabili che agricole) precedenti 
l�applicabilit� del d.p.r. 327/2001, in base al criterio del tasso di 
interesse; mentre invece potrebbe essere determinata, con riferimento alle situazioni 
disciplinate da tale ultimo d.p.r., mediante l�attribuzione della quota 
di 1/12 (=8,33%) annuo, che appare di manifesta eccessivit�. 
Nell�assenza, per quanto consta, di iniziative volte a modificare la norma di 
cui all�articolo 50 del d.p.r. 327, si potrebbe pensare che la questione sia sfuggita, 
durante le recenti operazioni relative alla revisione della spesa pubblica; 
sembra quindi, sia per ragioni relative all�armonia del sistema, che per ragioni 
relative all�evidente spreco di pubblico denaro che comporterebbe l�applicazione 
letterale di tale norma, che si tratti di questione che potrebbe essere utilmente 
oggetto di interventi normativi, idonei a prevenire eventuali incertezze 
interpretative, o comunque ad evitare un incongruo impiego delle pubbliche 
risorse. 
Corte costituzionale, sentenza del 10 giugno 2011 n. 181 - Pres. Maddalena, Red. Criscuolo. 
- Avv.ti Giorgio Stella Richter per F. L., Edilberto Ricciardi per il Comune di Salerno e l�avv. 
Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
(...) 
Considerato in diritto 
1. � La Corte di appello di Napoli (sezione prima civile, in diversa composizione), con 
le due ordinanze indicate in epigrafe, ha sollevato � in riferimento agli articoli 3, 42, terzo 
comma, e 117, primo comma, della Costituzione � questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 
5-bis, comma 4, decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento 
della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, nonch� 
dell�art. 16, commi quarto e quinto (recte: commi quinto e sesto), legge 22 ottobre 1971, 
n. 865 (Programmi e coordinamento dell�edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione 
per pubblica utilit�; modifiche e integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 
aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n.847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari 
nel settore dell�edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come sostituiti dall�art. 
14 legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilit� dei suoli). 
A sua volta la Corte di appello di Lecce, con l�ordinanza del pari indicata in epigrafe, 
ha sollevato questione di legittimit� costituzionale del citato art. 5-bis, commi 3 e 4, del d.l. 
n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, nonch� dell�art. 
40, commi 1 e 2, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari 
in materia di espropriazione per pubblica utilit� � Testo A), in riferimento agli 
artt. 3 e 117 Cost. 
Ad avviso delle rimettenti, la normativa censurata, prevedendo un criterio di determinazione 
dell�indennit� di esproprio, per i suoli agricoli e per quelli non edificabili, astratto e predeterminato 
(qual � quello del valore agricolo medio della coltura in atto o di quella pi� 
redditizia nella regione agraria di appartenenza dell�area da espropriare), del tutto svincolato 
dalla considerazione dell�effettivo valore di mercato dei suoli medesimi e tale da non assicurare
CONTENZIOSO NAZIONALE 145 
all�avente diritto il versamento di un indennizzo integrale o, quanto meno, �ragionevole�, si 
porrebbe in contrasto con l�art. 1, primo protocollo, allegato alla Convenzione per la salvaguardia 
dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali (CEDU), cui � stata data esecuzione 
con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia 
dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e Protocollo 
addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), nella interpretazione 
datane dalla Corte europea dei diritti dell�uomo, cos� violando l�art. 117, primo comma, 
Cost., rispetto al quale la disposizione convenzionale opererebbe come norma interposta. 
Inoltre, sarebbe violato l�art. 42, terzo comma, Cost., in quanto, bench� il legislatore non 
sia tenuto ad individuare un unico criterio di determinazione dell�indennit� di esproprio, valido 
in ogni fattispecie espropriativa, o ad assicurare l�integrale riparazione della perdita subita dal 
proprietario, l�indennit� non pu� mai essere simbolica o irrisoria, ma deve rappresentare un 
�serio ristoro�. Per realizzare tale risultato si dovrebbe fare riferimento �al valore del bene in 
relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica 
di esso�, secondo il principio affermato da questa Corte con la sentenza n. 5 del 1980 e ribadito 
con la sentenza n. 348 del 2007, in relazione ai terreni edificabili, ma applicabile, ad avviso 
delle rimettenti, anche con riguardo ai terreni agricoli e a quelli non edificabili. 
Infine, sarebbe configurabile anche violazione dell�art. 3 Cost., perch� il criterio dettato 
per i suoli agricoli e per quelli non edificabili creerebbe una ingiustificata disparit� di trattamento 
tra i proprietari di questi ultimi e i proprietari di suoli edificabili, per i quali l�indennizzo 
va commisurato al valore di mercato (o venale) dell�area oggetto dell�ablazione. 
2. � I tre giudizi di legittimit� costituzionale, per l�identit� dell�oggetto e dei parametri 
evocati, vanno riuniti e decisi con la medesima sentenza. 
3. � L�ordinanza della Corte di appello di Lecce censura (tra l�altro) l�art. 5-bis, comma 
3, del d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992. 
Detta norma dispone che �Per la valutazione della edificabilit� delle aree, si devono 
considerare le possibilit� legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell�apposizione 
del vincolo preordinato all�esproprio�. 
Come il dettato normativo rivela, si tratta di disposizione diretta ad individuare i criteri 
per la valutazione di edificabilit� delle aree. Nel caso di specie, � pacifico, ed emerge dall�ordinanza 
di rimessione, che il suolo de quo, oggetto di cessione volontaria con acconto e riserva 
di conguaglio, � stato dichiarato non edificatorio dalla Corte di appello di Lecce con sentenza 
non definitiva n. 611 del 2010. Pertanto la Corte rimettente non deve fare applicazione della 
norma suddetta, in ordine alla quale, del resto, non si rinviene nell�ordinanza una specifica 
motivazione diretta a spiegare le ragioni della sua evocazione. 
Ne deriva che la questione, sollevata con riferimento al citato art. 5-bis, comma 3, deve 
essere dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza. 
4. � Ai fini dell�identificazione del thema decidendum, con riguardo alle norme censurate 
e ai parametri invocati, si deve osservare che le due ordinanze della Corte di appello di 
Napoli, nei rispettivi dispositivi, censurano (tra l�altro) l�art. 16, commi quarto e quinto, della 
legge n. 865 del 1971, come sostituiti dall�art. 14 della legge n. 10 del 1977. Peraltro, come 
emerge in modo chiaro dalle motivazioni delle ordinanze, le disposizioni impugnate sono 
quelle dettate dall�art. 16, commi quinto e sesto, il cui tenore � anche trascritto nelle ordinanze 
medesime, sicch� nessun dubbio pu� nutrirsi circa l�oggetto delle questioni, in forza del noto 
criterio secondo cui il dispositivo va interpretato in riferimento alla motivazione (sentenza n. 
236 del 2009). 
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
A sua volta, l�ordinanza della Corte di appello di Lecce nel dispositivo solleva la questione 
di legittimit� costituzionale con riferimento al citato art. 5-bis, comma 4, e all�art. 40, 
commi 1 e 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, senza menzionare la legge n. 865 del 1971, al cui 
titolo II il medesimo art. 5-bis rinvia. Nella motivazione, per�, sono richiamati gli artt. 15 e 
16 della legge n. 865 del 1971 e successive modificazioni, �che devolvono alla Commissione 
provinciale l�individuazione del valore agricolo medio�, mentre le argomentazioni svolte rendono 
palese che oggetto delle censure �, per l�appunto, il criterio del valore agricolo medio, 
o �valore agrario�, �previsto di fatto in via automatica e, come tale, non influenzabile da 
quello venale�. Anche in tal caso, dunque, in base allo stesso principio dianzi indicato, l�oggetto 
della questione � agevolmente identificabile. 
5. � Le ordinanze di rimessione (a parte l�accenno contenuto in quella della Corte di 
appello di Lecce) non coinvolgono nello scrutinio di legittimit� costituzionale l�art. 15 legge 
n. 865 del 1971, nel testo sostituito dall�art. 14 della legge n. 10 del 1977, concernente la determinazione 
dell�indennit� di espropriazione non accettata nel termine di cui all�art. 12, primo 
comma, della medesima legge n. 865 del 1971. Ai sensi di tale disposizione, su richiesta del 
presidente della giunta regionale, la commissione competente per territorio di cui al successivo 
art. 16 determina l�indennit�, sulla base del valore agricolo con riferimento alle colture effettivamente 
praticate sul fondo espropriato, anche in relazione all�esercizio dell�azienda agricola. 
Il dettato letterale della norma, dunque, non richiama il valore agricolo medio. Tuttavia 
la giurisprudenza della Corte di cassazione, con indirizzo ormai configurabile come diritto 
vivente, ha ripetutamente affermato che gli artt. 15 e 16 della legge n. 865 del 1971 (nel testo 
sostituito dall�art. 14 della legge n. 10 del 1977) vanno letti in collegamento l�uno con l�altro, 
sicch� il valore agricolo menzionato nell�art. 15, primo comma, secondo periodo, � per l�appunto 
il valore agricolo medio contemplato dal combinato disposto delle due norme (ex multis: 
Cass., sentenza n. 17679 del 2010; Cass., Sezioni Unite Civili, sent. n. 22753 del 2009; Cass., 
sent. n. 17394 del 2009; Cass., sent. n. 8243 del 2006). 
Del resto, anche le ordinanze di rimessione trattano unitariamente i suoli agricoli e quelli 
non edificabili, sicch� lo scrutinio di legittimit� costituzionale deve essere esteso anche al citato 
art. 15, primo comma, secondo periodo, unico essendo per i detti suoli il criterio di determinazione 
dell�indennit� di espropriazione. 
6. � Nel merito, le questioni sono fondate. 
6.1. � In premessa, si deve ricordare che, ai sensi dell�art. 57 del d.P.R. n. 327 del 2001 
�Le disposizioni del presente testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di 
entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilit�, indifferibilit� 
ed urgenza. In tal caso continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale 
data� (fissata al 30 giugno 2003: art. 59 del citato d.P.R.). Nelle controversie a quibus, come 
si evince dalle date dei decreti di esproprio e (quanto all�ordinanza della Corte di appello di 
Lecce) dalla data di stipula dell�atto di cessione volontaria con riserva di conguaglio, le suddette 
dichiarazioni erano intervenute in epoca molto risalente, sicch� trova applicazione la 
normativa censurata, non gi� l�art. 40, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, evocato dalla 
Corte di appello di Lecce, norma della quale detta Corte non deve fare applicazione. 
6.2. � La normativa censurata � dettata dall�art. 5-bis, comma 4, del d.l. n. 333 del 
1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992 che, per la determinazione 
dell�indennit� di espropriazione relativa alle aree agricole ed a quelle non suscettibili di classificazione 
edificatoria, rinvia alle norme di cui al titolo secondo della legge n. 865 del 1971, 
successive modificazioni e integrazioni. In particolare, il rinvio � all�art. 16, commi quinto e
CONTENZIOSO NAZIONALE 147 
sesto, di detta legge, come sostituiti dall�art. 14 della legge n. 10 del 1977. 
La norma, per la parte oggetto di censura, stabilisce che l�indennit� di espropriazione, 
per le aree esterne ai centri edificati di cui all�art. 18, � commisurata al valore agricolo medio 
annualmente calcolato da apposite commissioni provinciali, valore corrispondente al tipo di 
coltura in atto nell�area da espropriare (comma quinto); ed aggiunge che, nelle aree comprese 
nei centri edificati, l�indennit� � commisurata al valore agricolo medio della coltura pi� redditizia 
tra quelle che, nella regione agraria in cui ricade l�area da espropriare, coprono una superficie 
superiore al 5 per cento di quella coltivata della regione agraria stessa (comma sesto). 
Tale disciplina, ad avviso delle rimettenti, si porrebbe in contrasto con l�art. 1 del primo 
protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� 
fondamentali (d�ora in avanti, CEDU), nell�interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti 
dell�uomo, e quindi violerebbe l�art. 117, primo comma, Cost., nel testo introdotto dalla legge 
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). 
6.3. � In via preliminare, si deve ricordare che questa Corte, con le sentenze n. 348 e 
349 del 2007, ha chiarito i rapporti tra il citato art. 117, primo comma, Cost. e le norme della 
CEDU, come interpretate dalla Corte europea. I principi metodologici illustrati nelle menzionate 
sentenze devono ritenersi in questa sede richiamati. Alla luce di essi, si deve, dunque, 
verificare: a) se vi sia contrasto, non suscettibile di essere risolto in via interpretativa, tra la 
disciplina censurata e le norme della CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo ed 
assunte quali fonti integratrici dell�indicato parametro costituzionale; b) se le norme della 
CEDU, invocate come integrazione del parametro (cosiddette norme interposte), nell�interpretazione 
ad esse data dalla medesima Corte, siano compatibili con l�ordinamento costituzionale 
italiano (sentenza n. 348 del 2007 citate). 
Orbene, la Corte europea, con decisione della Grande Camera in data 29 marzo 2006, 
ha preso le mosse dal dettato dell�art. 1 del protocollo n. 1, secondo cui: �Ogni persona fisica 
o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno pu� essere privato della sua propriet� 
se non per causa di utilit� pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali 
di diritto internazionale. Le precedenti disposizioni non portano pregiudizio al diritto degli 
Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l�uso dei beni in 
modo conforme all�interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri 
contributi oppure di ammende� 
Ha poi stabilito (tra gli altri) i seguenti principi: a) le tre norme di cui si compone l�art. 
1 del protocollo n. 1 sono tra loro collegate, sicch� la seconda e la terza, relative a particolari 
casi di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni, devono essere interpretate alla luce del principio 
contenuto nella prima norma (punto 75); b) l�ingerenza nel diritto al rispetto dei beni 
deve contemperare un �giusto equilibrio� tra le esigenze dell�interesse generale della comunit� 
e il requisito della salvaguardia dei diritti fondamentali dell�individuo (punto 93); c) nello 
stabilire se sia soddisfatto tale requisito, la Corte riconosce che lo Stato gode di un ampio 
margine di discrezionalit�, sia nello scegliere i mezzi di attuazione sia nell�accertare se le conseguenze 
derivanti dall�attuazione siano giustificate, nell�interesse generale, per il conseguimento 
delle finalit� della legge che sta alla base dell�espropriazione (punto 94); d) la Corte, 
comunque, non pu� rinunciare al suo potere di riesame e deve determinare se sia stato mantenuto 
il necessario equilibrio in modo conforme al diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro 
beni (punto 94); e) come la Corte ha gi� dichiarato, il prendere dei beni senza il pagamento 
di una somma in ragionevole rapporto con il loro valore, di norma costituisce un�ingerenza 
sproporzionata e la totale mancanza d�indennizzo pu� essere considerata giustificabile, ai
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
sensi dell�art. 1 del protocollo n. 1, soltanto in circostanze eccezionali, ancorch� non sempre 
sia garantita dalla CEDU una riparazione integrale (punto 95); f) in caso di �espropriazione 
isolata�, pur se a fini di pubblica utilit�, soltanto una riparazione integrale pu� essere considerata 
in rapporto ragionevole con il bene (punto 96); g) obiettivi legittimi di pubblica utilit�, 
come quelli perseguiti da misure di riforma economica o da misure tendenti a conseguire una 
maggiore giustizia sociale, potrebbero giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato 
(punto 97). I principi, stabiliti dalla Corte di Strasburgo con la menzionata decisione, hanno 
poi trovato conferma nella giurisprudenza successiva di detta Corte, che ad essa si � richiamata 
(tra le pi� recenti: sentenza del 19 gennaio 2010, in causa Zuccal� contro Italia; sentenza 
dell�8 dicembre 2009, in causa Vacca contro Italia; sentenza della Grande Camera del 1�aprile 
2008, in causa Gigli Costruzioni s.r.l. contro Italia). 
6.4. � Nella giurisprudenza di questa Corte � costante l�affermazione che l�indennizzo 
assicurato all�espropriato dall�art. 42, terzo comma, Cost., se non deve costituire una integrale 
riparazione per la perdita subita � in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l�interesse 
generale che l�espropriazione mira a realizzare � non pu� essere, tuttavia, fissato in 
una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro (ex multis: 
sentenze n. 173 del 1991; sentenza n. 1022 del 1988; sentenza n. 355 del 1985; sentenza n. 
223 del 1983; sentenza n. 5 del 1980). Quest�ultima pronuncia ha chiarito che, per raggiungere 
tale finalit�, �occorre fare riferimento, per la determinazione dell�indennizzo, al valore del 
bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione 
economica di esso, secondo legge. Solo in tal modo pu� assicurarsi la congruit� del ristoro 
spettante all�espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al 
valore del bene�. 
Ad analoghe conclusioni � giunta la gi� citata sentenza n. 348 del 2007, la quale ha ribadito 
che �deve essere esclusa una valutazione del tutto astratta, in quanto sganciata dalle caratteristiche 
essenziali del bene ablato� (principio gi� affermato dalla sentenza n. 355 del 1985). 
Si deve rilevare, a questo punto, che le suddette statuizioni riguardano suoli edificabili. 
Ci� non significa, tuttavia, che esse non siano applicabili anche ai suoli agricoli ed a quelli 
non suscettibili di classificazione edificatoria. 
Invero, l�art. 1 del primo protocollo della CEDU, nelle sue proposizioni, si riferisce con 
previsione chiaramente generale ai beni, senza operare distinzioni in ragione della qualitas rei. 
E non a caso la Corte europea ha posto in risalto proprio tale previsione generale, stabilendo 
che alla luce di essa (prima proposizione) vanno interpretati i disposti della seconda e della 
terza (sentenza Scordino contro Italia, punto 78). Del resto, non � ravvisabile alcun motivo 
idoneo a giustificare, sotto il profilo qui in esame, un trattamento differenziato, in presenza di 
un evento espropriativo, tra i suoli di cui si tratta (edificabili, da un lato, agricoli o non suscettibili 
di classificazione edificatoria, dall�altro). Come la sentenza n. 348 del 2007 ha posto in 
luce, �sia la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana sia quella della Corte europea 
concordano nel ritenere che il punto di riferimento per determinare l�indennit� di espropriazione 
deve essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato�. E tale punto di riferimento non 
pu� variare secondo la natura del bene, perch� in tal modo verrebbe meno l�ancoraggio al dato 
della realt� postulato come necessario per pervenire alla determinazione di una giusta indennit�. 
Con ci� non si vuol negare che le aree edificabili e quelle agricole o non edificabili abbiano 
carattere non omogeneo. Si vuole dire che, pure in presenza di tale carattere, anche per 
i suoli agricoli o non edificabili sussiste l�esigenza che l�indennit� si ponga �in rapporto ragionevole 
con il valore del bene�. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 149 
In senso contrario non varrebbe richiamare la sentenza di questa Corte n. 261 del 1997, 
con la quale fu dichiarata non fondata la questione di legittimit� costituzionale della normativa 
censurata, in riferimento agli artt. 3 e 24 e 42, terzo comma, Cost. 
Infatti, quella pronuncia � anteriore alla riforma attuata dalla legge costituzionale 18 ottobre 
2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), sicch� nella 
fattispecie in essa trattata non poteva essere evocato come parametro costituzionale il nuovo 
testo dell�art. 117, primo comma Cost., attualmente vigente. 
7. � Alla luce di detto parametro, in relazione all�art. 1 del primo protocollo addizionale 
della CEDU nell�interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dell�uomo, nonch� 
dell�art. 42, terzo comma, Cost., si deve ora verificare il criterio di calcolo dell�indennit� di 
espropriazione contemplato dalla normativa censurata, la quale prevede che, per i suoli agricoli 
e per quelli non edificabili, la detta indennit� sia commisurata al valore agricolo medio del 
terreno, secondo la disciplina dettata dall�art. 16 della legge n. 865 del 1971 e successive modificazioni. 
Tale valore � determinato ogni anno, entro il 31 gennaio, nell�ambito delle singole 
regioni agrarie, dalle apposite commissioni provinciali, con le modalit� di cui alla norma da 
ultimo citata (dianzi richiamate). 
Orbene, il valore tabellare cos� calcolato prescinde dall�area oggetto del procedimento 
espropriativo, ignorando ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene. Restano 
cos� trascurate le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno (che 
non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche alla presenza di elementi come 
l�acqua, l�energia elettrica, l�esposizione), la maggiore o minore perizia nella conduzione del 
fondo e quant�altro pu� incidere sul valore venale di esso. Il criterio, dunque, ha un carattere 
inevitabilmente astratto che elude il �ragionevole legame� con il valore di mercato, �prescritto 
dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il �serio ristoro� richiesto 
dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte� (sentenza n. 348 del 2007, citata, 
punto 5.7 del Considerato in diritto). 
� vero che il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l�indennit� di 
espropriazione al valore di mercato del bene ablato e che non sempre � garantita dalla CEDU 
una riparazione integrale, come la stessa Corte di Strasburgo ha affermato, sia pure aggiungendo 
che in caso di �espropriazione isolata�, pur se a fini di pubblica utilit�, soltanto una riparazione 
integrale pu� essere considerata in rapporto ragionevole con il valore del bene. 
Tuttavia, proprio l�esigenza di effettuare una valutazione di congruit� dell�indennizzo espropriativo, 
determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, 
impone che quest�ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore (sentenza n. 
1165 del 1988), in guisa da garantire il �giusto equilibrio�tra l�interesse generale e gli imperativi 
della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui. 
Sulla base delle esposte considerazioni deve essere dichiarata l�illegittimit� costituzionale 
della normativa censurata, perch� in contrasto con l�art. 117, primo comma, Cost., in relazione 
all�art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei 
diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, nell�interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, 
e con l�art. 42, terzo comma, Cost. 
Gli ulteriori profili dedotti in riferimento all�art. 3 Cost. restano assorbiti. 
8. � Ai sensi dell�art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e 
sul funzionamento della Corte costituzionale), deve essere dichiarata l�illegittimit� costituzionale, 
in via consequenziale, dell�art. 40, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 327 del 2001, recante 
la nuova normativa in materia di espropriazione. Detta norma, che apre la sezione dedicata
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
alla determinazione dell�indennit� nel caso di esproprio di un�area non edificabile, adotta per 
tale determinazione, con riguardo ai commi indicati, il criterio del valore agricolo medio corrispondente 
al tipo di coltura prevalente nella zona o in atto nell�area da espropriare e, quindi, 
contiene una disciplina che riproduce quella dichiarata in contrasto con la Costituzione dalla 
presente sentenza. 
La Corte non ritiene di estendere tale declaratoria anche al comma 1 del citato art. 40. 
Detto comma concerne l�esproprio di un�area non edificabile ma coltivata (il caso di area non 
coltivata � previsto dal comma 2), e stabilisce che l�indennit� definitiva � determinata in base 
al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo 
e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all�esercizio 
dell�azienda agricola. 
La mancata previsione del valore agricolo medio e il riferimento alle colture effettivamente 
praticate sul fondo consentono una interpretazione della norma costituzionalmente 
orientata, peraltro demandata ai giudici ordinari. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
riuniti i giudizi, 
dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 
1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, 
dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con gli articoli 15, primo 
comma, secondo periodo, e 16, commi quinto e sesto,della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi 
e coordinamento dell�edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per 
pubblica utilit�; modifiche e integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, 
n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel 
settore dell�edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come sostituiti dall�art. 14 della 
legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilit� dei suoli); 
dichiara, ai sensi dell�art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione 
e sul funzionamento della Corte costituzionale), l�illegittimit� costituzionale, in via consequenziale, 
dell�articolo 40, commi 2 e 3, decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 
2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione 
per pubblica utilit�); 
dichiara inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 5-bis, comma 
3, del d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, sollevata, 
in riferimento agli artt. 3 e 117 della Costituzione, dalla Corte di appello di Lecce con l�ordinanza 
indicata in epigrafe. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 
giugno 2011. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 151 
La normativa speciale sul reclutamento e sul trattamento 
economico del personale scolastico all�analisi della Cassazione 
Dalla chiara enunciazione del divieto di conversione dei contratti a termine 
in contratti a tempo indeterminato al pericoloso obiter dictum sugli scatti 
biennali da riconoscersi nel periodo �lavorato� 
(Nota a Cass. civ., Sez. Lav., sentenza 20 giugno 2012, n. 10127) 
Palmira Graziano* 
Non � ontologicamente configurabile alcun abusivo ricorso alla contrattazione 
a termine nella normativa italiana sul reclutamento del personale docente ed 
A.T.A. del Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca, in quanto 
tale normativa, prevalente rispetto alle norme di cui al d.lgs. n. 165/2001 ed al 
d.lgs. n.368/2001, � conforme non solo alla Costituzione italiana, ma anche alla 
Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 ed all�allegato accordo 
quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. 
La specifica disciplina del reclutamento del personale scolastico, ai fini della 
prevenzione degli abusi derivanti dal ricorso ai contratti a termine, costituisce 
una �norma equivalente� ai sensi della clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro, 
in quanto � legittimata dalla sussistenza di �ragioni obiettive�, in particolare, 
della necessit� di assicurare la continuit� del servizio scolastico - obiettivo di 
rilevanza costituzionale - a fronte di eventi contingenti, variabili ed in definitiva 
imprevedibili, non solo nelle loro concrete ricadute a livello territoriale per la 
popolazione scolastica interessata, ma anche nella collocazione temporale. 
In ossequio al principio di cui all�art. 97 Cost., secondo cui si accede all�impiego 
presso una P.A. mediante procedura concorsuale, e dovendosi ritenere 
la normativa speciale sul reclutamento a termine del personale scolastico conforme 
alle norme comunitarie, non sussiste il diritto del personale precario 
alla stabilizzazione del proprio rapporto di lavoro a termine mediante conversione 
del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. 
N�, consequenzialmente, sussiste il diritto al risarcimento dei danni lamentati 
in ragione della conclusione di pi� contratti a termine seguenti l�uno all�altro. 
(*) L�articolo � stato redatto dalla dott.ssa Graziano, gi� praticante forense presso l�Avvocatura Distrettuale 
dello Stato di Napoli. Alla base della stesura cՏ stato uno studio di tutta la giurisprudenza 
di merito sulla materia in argomento, tutte le sentenze pro e contro precari sono state 
massimate e schematizzate per domande e per punti essenziali dall�avv. Giuseppe Arpaia, che ne 
ha previamente curato la raccolta anche grazie all�ormai consolidato scambio/informativo di emal 
tra Avvocature. Per contingenti motivi di spazio questo studio sar� pubblicato unitamente all�articolo 
sul sito internet della Rassegna nella parte dedicata all��anteprima di stampa� - in corso di 
predisposizione.
152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
SOMMARIO: Premessa - 1. Il carattere speciale della disciplina sul reclutamento del personale 
scolastico e sua prevalenza rispetto al D.Lgs. 165/2001 e 138/2001 - 2. La conformit� 
della normativa speciale relativa al reclutamento del personale scolastico alla Costituzione 
italiana nella ricostruzione operata dalla S.C. - 2.1. Sulla conformit� agli artt. 3 e 97 Cost. - 
2.2. Sulla conformit� all�art. 4 Cost. - 2.3. Sulla conformit� all�art. 81 Cost. - 2.4. Sulla conformit� 
all�art. 34 Cost. - 3. La conformit� della normativa speciale relativa al reclutameto 
del personale scolastico alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 ed all�allegato 
accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavaro a tempo determinato - 3.1. Insussistenza 
di un abuso dello Stato-Legislatore - 3.2. Il problema probatorio sotteso al giudizio 
di accertamento �in concreto� dell�abuso dello Stato-Amministrazione - 4. Riconoscimento 
nel sistema di reclutamento a termine del personale scolastico di un fenomeno di �successione�: 
la S.C. rinuncia ad uno degli argomenti pi� signficativi adoperato dalle Corti di merito 
a sostegno dell�inapplicabilit� dell�art. 5, comma 1�, del D.Lgs. n. 368/2001 ai precari 
della scuola - 5. Il problema probatorio sotteso al giudizio di accertamento �in concreto� 
dell�abuso dello Stato-Amministrazione: le soluzioni offerte dalla giurisprudenza di merito 
favorevole alla parte pubblica - 5.1. Il riparto dell�onere probatorio quanto alla lamentata 
illegittima condotta datoriale del Miur: gli oneri gravanti sulla parte ricorrente ed il carattere 
presuntivo delle prove eventualmente poste a carico della P.A. - 5.2. Anche nel caso del personale 
scolastico la prova dell�abusivo ricorso alla contrattazione a termine deve tradursi 
nella rigorosa prova della sussistenza degli elementi strutturali oggettivi e soggettivi del fatto 
illecito fonte della deunciata responsabilit� - 6. Il superabile equivo ingenerato dall�infelice 
obiter dictm sugli scatti biennali spettanti ai supplenti per il periodo lavorato - 7. L�inconfigurabilit� 
di una disparit� di trattamento stipendiale tra personale precario e personale di 
ruolo quale corollario della legittimit� del termine apposto al contratto: corollario enucleabile 
in ragione della inconfigurabilit� di una tutela risarcitoria che riproduca per equivalente 
gli effetti di una mancata, perch� vietata, conversione del contratto in contratto a tempo indeterminato 
- Conclusioni. 
Premessa 
In data 5 giugno 2012 la Sez. Lavoro della Corte di Cassazione con la 
sentenza n. 10127, depositata il 20 giugno 2012, ha dichiarato l�inapplicabilit� 
del principio di conversione in contratto a tempo indeterminato dei contratti a 
termine stipulati dal personale docente ed A.T.A. del Ministero dell�Istruzione, 
dell�Universit� e della Ricerca, negando il riconoscimento al predetto personale 
del diritto alla stabilizzazione del rapporto ed al risarcimento del danno 
in caso di reiterazione delle supplenze. 
La S.C. ha qualificato la normativa speciale sul reclutamento del personale 
docente ed A.T.A. come prevalente rispetto alle norme di cui al d.lgs. n. 
165/2001 ed al d.lgs. n. 368/2001, nonch� conforme tanto alla Costituzione italiana 
quanto alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 ed 
all�allegato accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato: 
ad avviso della S.C. sussistono, infatti, le ragioni obiettive idonee a legittimare 
una diversit� di trattamento tra personale di ruolo e personale precario. 
Ci� ritenuto, la S.C. ha affermato l�ontologica inconfigurabilit� del carattere
CONTENZIOSO NAZIONALE 153 
abusivo della condotta del MIUR consistente nella conclusione di contratti a termine 
secondo la normativa nazionale sul reclutamento del personale scolastico. 
Tuttavia - richiamando la sentenza della Corte di Cass. n. 8060/2011 relativa 
al diverso caso dei docenti precari (non di ruolo) a tempo indeterminato 
- la parte conclusiva della sentenza (1) in commento ha dichiarato che �non 
spettano, con riferimento al periodo non lavorato, gli scatti biennali�: questa 
sibillina affermazione � foriera di un�interpretazione, per cos� dire, pericolosa 
per lo Stato italiano, in quanto potrebbe essere intesa nel senso che tutti i precari 
della scuola avrebbero diritto agli scatti biennali sia pur limitatamente ai 
periodi c.d. �lavorati� e non anche per i periodi intercorrenti tra la fine di un 
contratto e l�inizio del contratto successivo. 
Quindi, basterebbe valorizzare nel senso predetto quest�obiter dictum per 
salutare questa sentenza come una vittoria di Pirro per lo Stato italiano, che, 
a fronte del sia pur positivo riconoscimento del principio del divieto di conversione, 
dovrebbe fare, poi, i conti, � proprio il caso di dirlo, con il vero cuore 
delle istanze precarie, vale a dire l�equiparazione quanto al trattamento economico 
tra personale scolastico precario e non. 
Eppure, esaminando ogni aspetto saliente della sentenza, � possibile fornirne 
una lettura equidistante tra quella entusiastica pro-parte pubblica espressa 
dai primi commentatori e quella pro-precari in cui l�obiter dictum servirebbe 
da trampolino per rilanciare la fondatezza delle istanze retributive dei lavoratori 
a termine della scuola pubblica. 
Per giungere ad una conclusione pi� equilibrata nella valutazione del futuro 
peso di questa sentenza occorre compierne l�analisi alla luce dei pi� significati 
arresti della precedente giurisprudenza di merito pro-precari, in modo da poter 
poi, a ragion veduta, meglio constatare, in positivo ed in negativo, l�apporto fornito 
da questa sentenza della S.C. nel dare una risposta netta e chiara sulla fondatezza 
o meno delle domande di giustizia del personale scolastico precario. 
1. Il carattere speciale della disciplina sul reclutamento del personale scolastico 
e sua prevalenza rispetto al D.Lgs. nn. 165 e 138 del 2001. 
In primis, la S.C. ha accolto la tesi della specialit� della normativa sul reclutamento 
del personale scolastico (2), con la conseguenza che detta norma- 
(1) Cfr. par. 7.1. 
(2) La disciplina speciale sul reclutamento del personale scolastico � articolata come segue: 
� T.U. della Scuola (d.lgs. n. 297/1994, �testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione�) 
e successive modificazioni ed integrazioni, fra le quali quelle introdotte, in particolare, dall�art. 
4 della l. n. 124/1999 (�Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico�), 
� leggi finanziarie vigenti ratione temporis che hanno sempre previsto per il comparto scuola una disciplina 
separata rispetto alla generalit� delle altre amministrazioni quanto al programma delle assunzioni 
ed ai relativi eventuali �blocchi�, 
� dai regolamenti ministeriali per le supplenze, 
� e dai contratti collettivi nazionali di lavoro.
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
tiva, proprio in quanto speciale, non pu� ritenersi abrogata dai sopravvenuti 
dd.lgs. nn. 165 e 368 del 2001, in virt� dell�immanenza della regola lex posterior 
generalis non derogat legi priori speciali (3) (4). 
La specialit� della normativa � confermata, ad avviso della S.C., dall�esplicito 
dato normativo offerto dall�art. 70, comma 8�, d.lgs. n.165/2001, 
ove � disposto che �sono fatte salve le procedure di reclutamento del personale 
della scuola di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 e successive 
modificazioni ed integrazioni�: tale disposizione, ad avviso della S.C., 
�vale a conferire, altres�, alla normativa relativa al reclutamento in parola il 
connotato di specialit� rispetto alla legge in generale, s� da escluderne ogni 
incidenza da parte di successivi interventi legislativi di tal genere� (5) e, 
quindi, anche dal d.lgs. n. 368 del 2001, che �costituisce una �successiva� 
modificazione o integrazione della disciplina sul contratto a termine in generale 
rispetto alla quale vi � la specifica e generale previsione di esclusione, 
ex comma ottavo dell�art. 70 del D.Lgs n. 165 del 2001� (6). 
Inoltre, la S.C. ha confermato la tesi della specialit� della normativa di 
settore sul reclutamento nella scuola pubblica e della sua prevalenza sui citati 
decreti legislativi nn. 165 e 368 del 2001 anche in virt� dell�art. 9 del D.L. n. 
70 del 2011, convertito in L. n. 106 del 2011, che, con il comma 18, ha aggiunto, 
all�art. 10 del D.Lgs. n. 368 del 2001, il comma 4 bis, secondo il quale: 
(3) In senso conforme Cass. n. 392 del 31 gennaio 2012. 
(4) Cfr. par. 21, primo periodo. In senso conforme si era espressa la sentenza della Corte di Appello 
di Perugia oggetto di ricorso, nonch� le precedenti sentenze della stessa Corte di Appello di Perugia, la 
n. 524/2010 e la n. 448 del 3/2011: �Questo complesso di norme (in particolare, il D.Lgs. n. 297/94 e 
la legge n. 124/99), avente indubbiamente carattere speciale rispetto alla disciplina contenuta nei decreti 
legislativi n. 165/01 (norme generali sull�ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni) 
e 368/01 (disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), non � stato n� abrogato 
n� modificato dall�art. 36, comma 11 del testo unico del pubblico impiego, che ha esteso ai dipendenti 
delle pubbliche amministrazioni l�applicazione della normativa generale in materia di contratti di lavoro 
a termine, all�epoca costituita da una serie di fonti, nel quadro generale dettato dalla legge 18 aprile 
1962, n. 230� (Corte di Appello di Perugia, sent. n. 524/2010, pag. 6, ult. cpv. fino a pag. 7). 
(5) Cfr. par. 28. In senso conforme, Cass. civ., sez. Lav., sent. n. 392 del 13 gennaio 2012, par. 3, 
Corte di Appello di Genova, sent. n. 464 del 22 maggio 2012, pag. 8, 2� e 3� cpv., Tribunale di Civitavecchia, 
Sez. Lav. e Prev. (dott. Francesco Colella), sent. dell�8 aprile 2010, fine pag. 8 - inizio pag. 9, 
Trib. di Fermo, Sez. lav., dott. Camillo Cozzolino, sent. n. 154 del 16 agosto 2011, pag. 7, 1� cpv., Trib. 
di Genova, Sez. Lav. (dott.sa Maria Ida Scotto), sent. del 19 marzo 2012 (r.g. 2010/10), pag. 8, 5� cpv.. 
Analogamente, il Trib. di Foggia, Sez. lav. (dr.ssa Angela Quitadamo), nella sent. n. 593/2012 del 30 
gennaio 2012, giunge alle medesime conclusioni, indicando un parametro che consente di valutare la 
sussistenza o meno del carattere di specialit� di una certa disciplina: �la relazione di specialit� tra norme 
- idonea ad escluderne ab origine il conflitto e ad impedire l'invocazione del canone lex posterior derogat 
!egi anteriori - va verificata in base a criteri oggettivi, e pu� evincersi implicitamente dalla diversa tipologia 
e natura delle situazioni rispettivamente contemplate, che richiedono una diversa disciplina 
alla stregua dei criteri di ragionevolezza e di logica giuridica, in ossequio al principio di uguaglianza 
sancito dall�art. 3 Cost.. Tale norma, infatti, postula l�omogeneit� delle posizioni assoggettate ad un 
regime giuridico uniforme, ed impone, viceversa, l�adeguata diversificazione delle posizioni eterogenee� 
(cfr. sent., pag. 9, 2� cpv.). 
(6) Cfr. par. 28. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 155 
�Stante quanto stabilito dalle disposizioni di cui all�articolo 40, comma 1, 
della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, all�articolo 
4, comma 14-bis, della legge 3 maggio 1999, n. 124, e all�articolo 6, comma 
5, del decreto legislative 30 marzo 2001, n. 165, sono altres� esclusi dall�applicazione 
del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il 
conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la 
necessit� di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo 
anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con 
rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso 
non si applica l�articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto� (7). 
La Corte di Cass. destituisce di ogni fondamento l�orientamento interpretativo 
secondo il quale la norma di cui al comma 4 bis citata avrebbe portata 
innovativa: �Trattasi, invero, di esplicitazione di un principio che, in quanto 
gi� enucleabile, alla stregua di quanto in precedenza rimarcato, dal precedente 
sistema, non ha comportato alcuna innovazione e risponde, piuttosto, 
all�esigenza, avvertita dal legislatore, di ribadire, a fronte del proliferare di 
controversie sulla illegittimit� delle assunzioni a termine nel settore in parola, 
di una regula iuris gi� insita nella legislazione concernente la c.d. privatizzazione 
del pubblico impiego� (8). 
La critica della Corte di Cassazione alla portata innovativa della norma 
in commento � supportata dalla considerazione che il riconoscimento di tale 
efficacia innovativa condurrebbe a tre risultati ermeneutici abnormi sul piano 
logico-giuridico. 
In primis, ad avviso della S.C., la certezza del carattere di norma di interpretazione 
autentica dell�art. 9 discende dal fatto che, ove si riconoscesse a 
tale disposizione un�efficacia innovativa �si finirebbe per legittimare una totale 
disapplicazione del D.Lgs n. 165 del 2001 con riferimento al personale 
della scuola� (9) . 
In secondo luogo, �si determinerebbe una violazione dei criteri di efficienza 
per incidere sugli organici del personale della scuola e sulla complessa 
amministrazione del settore e, conseguentemente, penalizzando il merito e gli 
altri principi posti a fondamento del rapporto di pubblico impiego, nel cui ambito 
va collocato (con riferimento alle finalit� perseguite dalle disposizioni di 
cui agli artt. 4, 5 e 10 del citato D.Lgs n. 165 del 2001) il detto personale� (10). 
Infine, �si finirebbe per attribuire illogicamente alla suddetta norma una 
portata priva di razionalit� ed al di fuori di una logica di sistema. Nel momento 
in cui attraverso il collegato lavoro (di cui alla legge 4 novembre 2010 
(7) Cfr. par. 31. 
(8) Cfr. par. 32. 
(9) Cfr. par. 33. 
(10) Cfr. par. 34. 
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
n. 183), si andava ad incidere in senso riduttivo sul risarcimento del danno 
nello stesso tempo si sarebbe, infatti, esposta la pubblica amministrazione ad 
uno sforamento di bilancio, assicurando al personale della scuola un trattamento 
diverso e, sotto pi� versanti, maggiormente favorevole rispetto agli altri 
dipendenti pubblici, sia sul piano delle condizioni della trasformazione in contratto 
a tempo indeterminato, sia su quello risarcitorio (cfr. Cass. 29 febbraio 
2012 n. 3056, sulla interpretazione dello ius superveniens ex art. 32, commi, 
5, 6, 7 della legge n. 183 del 2010, sebbene la stessa riconosca che il risarcimento 
configuri una sorta di penale ex lege da assicurarsi in ogni caso e senza 
necessit� di prova del lavoratore)� (11). 
2. La conformit� della normativa speciale relativa al reclutamento del perso.
nale scolastico alla Costituzione italiana nella ricostruzione operata dalla S.C. 
Nel recente arresto in commento, la S.C. ha anche ampiamente argomentato 
la conformit� della disciplina speciale sul reclutamento del personale scolastico 
a pi� di una norma costituzionale. 
2.1. Sulla conformit� agli artt. 3 e 97 Cost. 
In primis, la S.C., richiamando l�orientamento consolidato espresso dalla 
sent. n. 89/2003 della Corte Cost., ha sostenuto la predetta rispondenza sia all�art. 
3 che all�art. 97 Cost., in quanto non sussiste alcun principio di equivalenza 
tra settore privato e settore del pubblico impiego quanto alle modalit� 
dell�assunzione dei rispettivi lavoratori. 
Risponde ai canoni di ragionevolezza, nonch� di imparzialit� e buon andamento 
della P.A. la scelta del legislatore (art. 36, comma 2, d.lgs. n. 
165/2001) di ricollegare alla violazione di norme imperative sull�assunzione 
o l�impiego dei lavoratori da parte della P.A. esclusivamente sanzioni di tipo 
risarcitorio, anzich� quella della conversione del rapporto di lavoro in rapporto 
a tempo indeterminato: lo strumento del concorso, al fine di garantire l�imparzialit� 
e l�efficienza della P.A., �tutela i vincitori� in modo diverso dal personale 
assunto attingendo dalle graduatorie permanenti ad esaurimento, poich� 
tale personale, pur non essendo privo dei requisiti attitudinali e professionali 
necessari, non ha dimostrato, come i vincitori di concorso, di possedere 
un�uguale preparazione (12). 
Il sistema delle supplenze in esame, dunque, � considerato dalla S.C. 
come un �sistema alternativo a quello del concorso per titoli ed esami� e che 
�vale a connotare di una sua intrinseca �specialit� e completezza� il corpus 
normativo relativo al reclutamento del personale scolastico� (13). 
(11) Cfr. par. 34. 
(12) Cfr. par. 23. 
(13) Cfr. par. 45. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 157 
Alla luce di questo esplicito recente assunto della S.C., sar� pi� agevole 
contestare la legittimit� dell�equiparazione sul piano �sostanziale� tra titoli di 
accesso del personale precario e quelli del personale stabile: il requisito selettivo 
del concorso non pu� considerarsi soddisfatto mediante il superamento delle 
sole prove di accesso alle SSIS, in quanto trattasi di procedura di accesso ad un 
corso abilitante che non pu� considerarsi superamento di una prova concorsuale. 
Inoltre, il c.d. sistema del doppio canale, in virt� del quale l�accesso ai 
ruoli della pubblica amministrazione scolastica avviene per il 50 per cento dei 
posti mediante concorso per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo 
dalle graduatorie permanenti risponde al principio di cui all�art. 97 
Cost. anche in quanto, �come rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 
n. 41 del 2011, individua ... i docenti cui attribuire le cattedre e le supplenze 
secondo il criterio di merito al fine di assicurare la migliore formazione 
scolastica� (14). 
2.2. Sulla conformit� all�art. 4 Cost. 
La Corte, inoltre, implicitamente afferma anche la conformit� all�art. 4 
Cost. della disciplina speciale sul reclutamento del personale scolastico, ravvisando 
nel caso in esame una �tipologia di flessibilit� atipica destinata a trasformarsi 
in una attivit� lavorativa stabile� (15). 
Nel sistema di reclutamento del personale scolastico a termine, infatti, la 
S.C. ritiene che la situazione di precariet� sia bilanciata �ampiamente� da una 
sostanziale e garantita (sia pur futura) immissione in ruolo che, per altri dipendenti 
del pubblico impiego � ottenibile solo attraverso il concorso e per 
quelli privati �pu� risultare di fatto un approdo irraggiungibile� (16). 
In altre parole, a giudizio della S.C., le norme speciali sul reclutamento 
del personale scolastico tutelano il lavoratore precario, da un lato, consentendo, 
anche senza superamento di un concorso, l�immissione in ruolo, a differenza 
di quanto � consentito ad altre categorie di pubblici dipendenti, e, 
dall�altro, favorendone l�immissione in ruolo, mediante avanzamento nella 
graduatoria ad esaurimento in funzione del servizio svolto in virt� dei contratti 
a termine conclusi anno dopo anno. 
2.3. Sulla conformit� all�art. 81 Cost. 
Anche la conformit� all�art. 81 Cost. � stata valutata, con esito positivo, 
dalla S.C., ritenendo che la normativa sul reclutamento del personale scolastico 
risponderebbe ad �indifferibili� esigenze di carattere economico (17) di �con- 
(14) Cfr. par. 34. 
(15) Cfr. par. 46. 
(16) Cfr. par. 46. 
(17) Cfr. par. 47.
158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
tenimento della spesa pubblica� (18). Peraltro, la S.C. non manca di sottolineare 
�che, come � noto, la giurisprudenza comunitariaha pi� volte evidenziato 
che nella determinazione della portata applicativa delle direttive un 
accentuato rilievo va dato alle esigenze di bilancio degli stati membri� (19). 
In realt�, gi� prima di questo autorevole arresto della S.C., la conformit� 
all�art. 81 Cost. era stata ampiamente e fondatamente sostenuta e, addirittura, 
si � perfino ritenuto che il divieto di cui all�art. 36 TUPI radicasse la propria 
ratio, pi� ancora che nell�art. 97 Cost., nel precedente art. 81: �A sostegno del 
divieto di conversione, oltre al principio della necessit� del pubblico concorso, 
militano ragioni ulteriori, rappresentate dei principi di predeterminazione 
delle esigenze di lavoro stabili espresse attraverso la pianta organica, di tutela 
della programmazione finanziaria e di razionalizzazione e controllo della 
spesa pubblica (Cass. nn. 6099 e 8229 del 2003: Cass. 10605/04: Cass., n. 
11161/2008)� (20). 
2.4. Sulla conformit� all�art. 34 Cost. 
Infine, la S.C. ha sostenuto la conformit� della normativa sul reclutamento 
del personale scolastico anche all�art. 34 Cost., ritenendola �funzionalizzata 
a ragioni [�] di natura obiettiva, come quelle di assicurare la continuit� nel 
servizio scolastico - obiettivo di rilevanza costituzionale - a fronte di eventi 
contingenti, variabili ed in definitiva imprevedibili, non solo nelle loro concrete 
ricaduta a livello territoriale per la popolazione scolastica interessata, 
ma anche nella collocazione temporale preordinata ad assicurare la continuit� 
del servizio scolastico� (21). 
(18) Cfr. par. 48, in cui la S.C. richiama il conforme precedente della Corte Cost., sent. del 17 dicembre 
2004 n. 300. 
(19) Cfr. par. 48. 
(20) Cos� si esprime il Trib. di Torre Annunziata, Sez. lav. (dr.ssa Matilde Dell�Erario) nella sent. 
n. 358 del 24 gennaio 2012 (cfr. pag. 12, rispett. 6� cpv.). In senso conforme si � espressa pure altra pronuncia, 
pur favorevole alle istanze dei precari: la sent. del 27 settembre 2010 (rgl 699/2009) del Trib. di 
Siena, Sez. lav. (dr. Delio Cammarosano). In essa il Tribunale di Siena, considerato che �l�art. 97 della 
Costituzione prevede espressamente la possibilit� per il legislatore ordinario di derogare al principio 
della concorsualit��, sostiene che �il principio di non convertibilit�, certamente di favore datoriale, 
tuttora diffusamente persistente nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, non si alimenta 
soltanto, come appena detto, insufficientemente, della imprescindibilit� della regola della assunzione 
mediante pubblico concorso, sottolineandosi in dottrina come �scopo del divieto � di scongiurare 
il rischio che attraverso la conversione di rapporti precari si possano incardinare rapporti a tempo indeterminato 
senza una programmazione del fabbisogno del personale e con il rischio di assumere un 
numero di persone maggiore di quanto possano consentire gli stanziamenti in bilancio� (cfr. anche C. 
Cost. 1997/n. 59)� (cfr. sent, pag. 9, 5� cpv.). 
(21) Cfr. par. 68.
CONTENZIOSO NAZIONALE 159 
3. La conformit� della normativa speciale relativa al recutamento del personale 
scolastico alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 
ed all�allegato accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. 
3.1. Insussistenza di un abuso dello Stato-Legislatore. 
La S.C., dopo aver ampiamente argomentato in merito alla rispondenza, 
sotto vari profili della disciplina speciale operante in materia di reclutamento 
del personale scolastico alle norme costituzionali e dopo aver ribadito che a 
tale reclutamento non � applicabile il d.lgs. n. 368/2001 (attuativo della direttiva 
1999/70/CE), ha verificato, con esito positivo, se la detta normativa speciale 
di reclutamento sia conforme direttamente alla direttiva 1999/70/CE. 
Pi� precisamente, ad avviso della S.C. nella normativa sul reclutamento 
del personale nel settore della scuola �non � ontologicamente configurabile 
quell�abuso di diritto ritenuto sanzionabile dalla direttiva e dalla giurisprudenza 
comunitaria� (22). 
Per escludere la configurabilit� di un abuso della contrattazione a termine 
nella legislazione sul reclutamento del personale scolastico, la S.C. parte dalle 
seguenti importanti premesse: 
� che tale normativa consente la stipula di contratti a tempo determinato 
�in relazione alla oggettiva necessit� di far fronte, con riferimento al singolo 
istituto scolastico - e, quindi, al caso specifico -, alla copertura dei posti di 
insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data 
del 31 dicembre, ovvero alla copertura dei posti di insegnamento non vacanti 
che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre, ovvero ancora 
ad altre necessit� quale quella di sostituire personale assente con diritto alla 
conservazione del posto di lavoro� (23); 
� che tutti questi casi in cui � consentito il ricorso alla contrattazione a 
termine si riferiscono a �circostanze precise e concrete caratterizzanti la particolare 
attivit� scolastica� (24) (ad es., con riferimento alle fattispecie regolate 
dall�art. 41,2 della l. n. 124/1999, rileva lo stretto collegamento tra la 
necessit� di ricorrere alla supplenza e la ciclica variazione in aumento ed in 
diminuzione della popolazione scolastica e la sua collocazione geografica); 
� che gli Stati membri sono tenuti, in generale, nell�ambito della libert� 
che viene loro riservata dall�art. 249, terzo comma, Trattato CEE, a scegliere le 
forme e i mezzi idonei al fine di garantire l�efficacia pratica delle direttive (25); 
(22) Cfr. par. 67. 
(23) Cfr. par. 59. 
(24) Cfr. par. 59. 
(25) Cfr. par. 55, in cui la S.C. richiama le seguenti sentenze della Corte di Giustizia del 4 luglio 
2006 C-212/04, Adeneler cit. (punto 65) e del 26 gennaio 2012 C-586/10 K�c�k (punto 26), nonch� la 
propria sentenza del 21 maggio 2008 n. 12985.
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
� che tale principio generale resta fermo nel presente contenzioso, in 
quanto l�accordo quadro non stabilisce le condizioni precise in base alle quali 
si pu� far ricorso al contratto a tempo determinato, ma sancisce unicamente 
l�adozione, qualora il diritto nazionale non preveda norme equivalenti, di almeno 
una delle misure in essa enunciate, che attengono, rispettivamente, a ragioni 
obiettive giustificative del rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, 
alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi 
ed al numero dei rinnovi di questi ultimi (26) ; 
� che secondo conforme giurisprudenza comunitaria �la nozione di �ragioni 
obiettive�, ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a), dell�accordo quadro, 
deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e 
concrete caratterizzanti una determinata attivit� e, pertanto, tali da giustificare 
in questo particolare contesto l�utilizzazione di contratti di lavoro a tempo 
determinato successivi� (27); 
� che �Tali circostanze possono risultare segnatamente dalla particolare 
natura delle mansioni per l�espletamento delle quali siffatti contratti sono stati 
conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal 
perseguimento di una 1egittima finalit� di politica sociale di uno Stato membro
� (28). 
Ebbene, cos� ricostruita sia la normativa italiana che quella comunitaria, 
la S.C. conclude sostenendo che la prima costituisca �norma equivalente� alle 
misure di cui alla clausola 5 , n. 1, lett. da a) a c) dell�accordo quadro secondo 
quanto indicato dalla sentenza 28 aprile 2009 C-370/07 Angelidaki cit.� (29). 
3.2. Il problema probatorio sotteso al giudizio di accertamento �in concreto� 
dell�abuso dello Stato-Amministrazione. 
Peraltro, sempre a sostegno della riconosciuta conformit� alla normativa 
comunitaria del sistema di reclutamento del personale scolastico, la S.C. richiama 
in pi� passaggi della motivazione (30) quanto affermato dalla rilevante 
sentenza della C.G.U.E, pronunciata nel procedimento Bianca K�c�k c/Land 
Nordrhein-Westfalen (causa C-586/10). 
La S.C. ha affermato che: �spetta al giudice nazionale di valutare se in 
concreto l�impiego di un dipendente per un lungo periodo di tempo in forza di 
ripetuti e numerosi contratti sia rispettosa della clausola 5, punto 1, dell�accordo 
quadro (sentenza 26 gennaio 2012 C-586/10 K�c�k cit. punto 55), che 
deve ritenersi, nel caso di specie, rispettata perch� il reiterarsi degli incarichi, 
(26) Cfr. par. 55. 
(27) Cfr. par. 56. 
(28) Cfr. par. 57. 
(29) Cfr. par. 59. 
(30) Cfr. La sentenza della S.C. richiama i punti 28 (cfr. par. 62, pag. 24, ult. cpv.), 52 (cfr. par. 
62, inizio pag. 25) e 55 (cfr., par. 63).
CONTENZIOSO NAZIONALE 161 
come rilevato - ma � opportuno ribadirlo - risponde ad oggettive, specifiche 
esigenze, a fronte delle quali non fa riscontro alcun potere discrezionale della 
pubblica amministrazione, per essere la stessa tenuta al puntuale rispetto della 
articolata normativa che ne regola l�assegnazione� (31). 
La ratio del principio di cui al punto 55 della sentenza K�c�k, applicato 
al par. 63 della sentenza della S.C., � espressa con chiarezza dalla CGUE ed � 
la seguente: �la sola circostanza che si concludano contratti di lavoro a tempo 
determinato al fine di soddisfare un�esigenza permanente o ricorrente, del datore 
di lavoro, di personale sostitutivo non pu� essere sufficiente, in quanto 
tale, ad escludere che ognuno di questi contratti, considerati singolarmente, 
sia stato concluso per garantire una sostituzione avente carattere temporaneo, 
sebbene la sostituzione soddisfi un�esigenza permanente, dato che il lavoratore 
assunto in forza di un contratto a tempo determinato svolge compiti ben 
definiti facenti parte delle attivit� abituali del datore di lavoro o dell�impresa, 
resta il fatto che l�esigenza di personale sostitutivo rimane temporanea poich� 
si presume che il lavoratore sostituito riprenda la sua attivit� al termine del 
congedo, che costituisce la ragione per la quale il lavoratore sostituito non 
pu� temporaneamente svolgere egli stesso tali compiti� (32) . 
La sig.ra K�c�k aveva lavorato come assistente di cancelleria presso il 
segretariato della Sezione delle cause civili del Tribunale distrettuale di Colonia, 
in forza di tredici contratti di lavoro a tempo determinato conclusi a fronte 
di congedi temporanei, compresi i congedi parentali di educazione, ed i congedi 
speciali fruiti da assistenti assunti a tempo indeterminato e diretti a garantire 
la sostituzione di questi ultimi. 
Essendo questa la particolare fattispecie decisa dalla CGUE, pu� comprendersi 
perch�, secondo taluno dei primi commentatori della sentenza della 
Cass., il richiamo alla sentenza K�c�k �pu� essere considerato un autogol 
clamoroso� (33) . 
Tuttavia, nonostante la diversit� tra le fattispecie giudicate nelle due sentenze 
non si pu� ritenere errato il richiamo alla sentenza comunitaria, purch� 
si apporti la seguente precisazione: pur potendosi reputare corretta l�estensione 
del principio della sentenza K�c�k all�intero contenzioso italiano del precariato 
scolastico, si deve del pari reputare non corretto il modo in cui tale estensione 
� stata compiuta, vale a dire non tenendo conto delle peculiarit� del 
contenzioso dei precari della scuola. 
(31) Cfr. par. 63. 
(32) Cfr. punto 38 della sentenza K�c�k. 
(33) S. GALLEANO, W. MICELI, �La Cass. condanna i docenti italiani al precariato a vita ma la 
Commissione europea apre due procedimenti d�infrazione nei confronti dello Stato Italiano. Come uscire 
dal corto circuito?�, Diritto Scolastico, 3 luglio 2012, http://www.dirittoscolastico.it/la-cassazionecondanna-
i-docenti-italiani-al-precariato-a-vita-ma-la-commissione-europea-apre-due-procedimentidinfrazione-
nei-confronti-dello-stato-italiano-come-uscire-dal-corto-circuito/ (20/03/2013).
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Nel caso K�c�k l�assenza di un abuso datoriale, pur dopo anni di contratti 
a termine, era evidente, perch�, sul piano probatorio, non era stato necessario 
dimostrare dal datore di lavoro che la lavoratrice avesse sopperito con ogni 
singolo contratto ad un�esigenza temporanea di ricorso al precariato, essendo 
incontestato e, quindi, pacifico, che ciascuno dei contratti era stato concluso 
per sostituire durante il periodo di legittimo congedo lavoratori a tempo indeterminato 
con diritto alla conservazione del posto. 
Nel caso del contenzioso italiano, invece, il problema probatorio rimane 
cruciale, in quanto, pur condividendosi l�astratta conformit� comunitaria della 
disciplina sul reclutamento del personale scolastico, da tale conformit� della 
norma nazionale a quelle comunitaria non pu� farsi discendere che, sempre e 
comunque, non si possa essere verificata in concreto una violazione della 
norma nazionale e per tale via di quella comunitaria. 
Uno stato membro, infatti, � parimenti inadempiente agli obblighi comunitari 
sia quando li viola in qualit� di legislatore, che quando li viola in qualit� 
di amministratore e l�aver dimostrato l�assenza di un abuso dello Stato-Legislatore 
non consente di escludere anche l�abuso dello Stato-Amministrazione 
in relazione alla medesima normativa comunitaria. 
A fronte dell�estensione del principio K�c�k ai precari della scuola pubblica 
italiana (che, seppure corretta, deve ritenersi sia stata motivata in modo 
debole e fumoso), non sono mancate le prime critiche delle corti di merito, 
che hanno colto il punto di debolezza della motivazione della S.C. (pur non 
richiamandola espressamente). 
In particolare, ci si pu� richiamare ad una delle pi� recenti sentenze del 
Tribunale di Trapani, che riconoscendo risarcimenti consistenti ai precari, sono 
balzate (al contrario della sentenza della S.C.) agli onori della cronaca. 
Tale sentenza, la n. 89/2013 del 15 febbraio 2013, sembra, come detto, 
cogliere nel segno quando rimarca che, per poter applicare il principio K�c�k, 
non si pu� prescindere dalla necessit� di risolvere un giudizio in concreto sull�abuso 
lamentato e, dunque, non pu� non porsi una questione probatoria: 
�Tale pronuncia [nds.: ci si riferisce a quella del caso K�c�k] non legittima 
affatto la generalizzata reiterazione del rapporto a termine nel pubblico impiego 
(in particolare nel settore scolastico) � Piuttosto, con la sentenza K�c�k 
la Corte di Giustizia afferma la necessit� di procedere ad una valutazione 
caso per caso per appurare se vi siano circostanze precise e concrete che 
esprimano, di fatto, la necessit� di procedere a plurime assunzioni a termine 
in successione� (34). 
Si potrebbe obiettare che pure la S.C. pretende questo accertamento concreto, 
poich� afferma, come si � gi� ricordato, che �spetta al giudice nazionale 
di valutare se in concreto l�impiego di un dipendente per un lungo periodo di 
(34) Cfr. sent., fine pag. 8 - pag. 9.
CONTENZIOSO NAZIONALE 163 
tempo in forza di ripetuti e numerosi contratti sia rispettosa della clausola 5, 
punto1, dell�accordo quadro� (35). 
Eppure, nel momento in cui la S.C. afferma che �spetta� al giudice accertare 
�in concreto� l�abuso, nella stessa frase svuota il principio appena affermato, 
riducendolo ad un guscio vuoto: �[�] la clausola 5, punto 1, 
dell�accordo quadro [...] deve ritenersi, nel caso di specie, rispettata perch� il 
reiterarsi degli incarichi, come rilevato ma � opportuno ribadirlo - risponde 
ad oggettive, specifiche esigenze, a fronte delle quali non fa riscontro alcun 
potere discrezionale della pubblica amministrazione, per essere la stessa tenuta 
al puntuale rispetto della articolata normativa che ne regola l�assegnazione�. 
In altre parole, la S.C. afferma, da un lato, che l�accertamento se sia stato 
o meno violato in un dato caso la clausola 5, punto 1, dell�AQ. va compiuto 
dal giudice �in concreto�, dall�altro, subito dopo, precisa che quell�accertamento 
non pu� che avere esito positivo, in quanto, l�Amministrazione ricorre 
alla contrattazione a termine essendo �tenuta al puntuale rispetto della articolata 
normativa che ne regola l�assegnazione�: pu� ancora parlarsi, dunque, 
di un accertamento �in concreto� ? 
La S.C., in sintesi, non ha errato quando ha ritenuto applicabile ai precari 
della scuola il principio enucleato dalla CGUE per il caso K�c�k, ma avrebbe 
dovuto: 
� in primis, sottolineare la diversit� del contenzioso in esame rispetto al 
particolarissimo caso K�c�k, ove, per le ragioni ampiamente esposte, il problema 
probatorio non si poneva, poich� l�esistenza di una carenza provvisoria 
di organico era incontroversa, 
� in secondo luogo, indicare il modo nel quale il principio K�c�k pu� 
applicarsi ai precari della scuola, ponendo l�accento, in particolare, sull�esigenza 
che anche per questi ultimi si pone la necessit� imprescindibile di accertare 
di volta in volta, caso per caso, �in concreto�, l�abusivit� del ricorso 
per un lungo periodo di tempo a contratti a termine e che tale accertamento, 
per essere, davvero, �in concreto�, non potr� risolversi in un mero scrutinio 
della compatibilit� della normativa italiana a quella comunitaria, bens� dovr� 
comprendere anche quello della conformit� dell�azione del MIUR alla normativa 
italiana/accertata come comunitariamente legittima. 
Purtroppo, il problema probatorio sotteso a tali accertamenti in concreto 
non � stato affrontato dalla S.C., che, consequenzialmente, non ha indicato ai 
giudici di merito gli indici probatori dell�abuso e non ha prospettato, ai fini 
dell�esito positivo o negativo di quel giudizio, quale debba essere il pi� corretto 
riparto dell�onere probatorio tra le parti, pubblica e privata. 
(35) Cfr. par. 63.
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
4. Riconoscimento nel sistema di reclutamento a termine del personale scolastico 
di un fenomeno di �successione�: la S.C. rinuncia ad uno degli argomenti 
pi� signficativi adoperato dalle corti di merito a sostengo 
dell�inapplicabilit� dell�art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001 ai precari 
della scuola. 
Purtroppo, la S.C. non � solo nell�invocare fumosamente il principio 
K�c�k che ha mostrato di sottovalutare i problemi probatori che si pongono 
nel presente contenzioso. 
Pi� volte nel corso della sentenza in commento la S.C., ogniqualvolta si 
� riferita al sistema di reclutamento del personale scolastico precario, ha parlato 
di un fenomeno di �successione� di contratti (36). Si potrebbe, da subito, 
privare di sostanziale rilievo il richiamo che la S.C. ha compiuto alla �successione� 
dei contratti, sostenendo che tale espressione nella sentenza in commento 
abbia semplicemente indicato il dato naturalistico/temporale del 
susseguirsi dei contratti gli uni agli altri. 
Al riguardo, va considerato che, come la clausola n. 5 dell�Accordo quadro 
si riferisce a contratti �successivi�, cos� la norma attuativa di cui all�art. 5, 
comma 1�, del d.lgs. n. 368/2001 disciplina l�ipotesi in cui un rapporto di lavoro 
o �continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato� o sia 
�successivamente prorogato ai sensi dell�articolo 4�. 
Ebbene, ad avviso di larga parte della giurisprudenza di merito pro-parte 
pubblica, nel caso dei precari della scuola non si pu� parlare di una �successione 
di contratti� dei quali l�uno sarebbe continuazione del precedente. 
La successione si verifica, infatti, ad avviso di questa giurisprudenza, nel 
lavoro privato o pubblico, solo quando, stipulato un contratto, si procede, sic 
et simpliciter, al suo rinnovo o alla sua proroga con lo stesso lavoratore: tale 
comportamento palesa la volont� elusiva della disciplina del rapporto a tempo 
determinato, elusione che la direttiva comunitaria intende sanzionare. In queste 
ipotesi il nuovo contratto � legato al precedente logicamente e teleologicamente. 
Questa posizione � stata espressa compiutamente in pi� pronunce dalla 
Corte di Appello di Perugia: �nel conferimento delle supplenze da parte del- 
(36) Il riferimento al fenomeno della �successione� contrattuale si ritrova nei seguenti punti della 
motivazione: par. 20 (inizio pag. 7), par. 47 (inizio pag. 19), par. 68 (pag. 27 ed inizio pag. 28), par. 70 
(pag. 28). q.s. 3). Del pari non nega l�esistenza di un fenomeno successorio il Trib. di Fermo, Sez. lav. 
(dott. Camillo Cozzolino), nella sent. n. 154/2011 del 16 agosto 2011: �� vero che nell'ambito della 
scuola vi � una successione di contratti a termine, anche nel lungo periodo � ci� non di meno deve tenersi 
conto che in tutto questo non vi � niente che provenga dal datore di lavoro, ossia dall'Amministrazione 
Scolastica. Una volta divisato dagli organi politici l�assunzione di detto personale, vagliate 
le esigenze sottese alla procedura di cui agli artt. 4 e 4 bis del d.lgs. 165/2001, tra cui valore primario 
assume la necessit� del valore costituzionale della continuazione didattica con l�esigenza di pari valore 
costituzionale della razionale utilizzazione delle risorse finanziarie disponibili per l'erogazione dei servizi 
pubblici cui � preposto lo Stato, si procede ad attivare la procedura di reclutamento� (cfr. sent. pag. 
8, ult. cpv. fino a pag. 9, 1�cpv.).
CONTENZIOSO NAZIONALE 165 
l�amministrazione scolastica non sembra potersi ravvisare alcun abuso. Occorre 
tener presente, anzitutto, che ciascun incarico � svincolato dai precedenti, 
di cui non costituisce n� prosecuzione n� proroga, e spesso attiene alla 
copertura di posti situati in sedi diverse. In secondo luogo, l�amministrazione 
scolastica - a differenza del datore privato, che pu� scegliete liberamente il 
lavoratore con cui stipulare il contratto - ha l�obbligo di attenersi alle graduatorie 
permanenti provinciali, per gli incarichi su organico di diritto, o, per 
le supplenze su organico di fatto o temporanee, alle graduatorie interne d�istituto 
o di circolo. Il supplente chiamato a ricoprire l�incarico, poi, non � �nominato�, 
bens� � �individuato� secondo criteri predeterminati che 
l�Amministrazione � tenuta a rispettate. In sostanza, una volta individuato 
nella graduatoria il lavoratore da assumere, l�attribuzione dell�incarico costituisce 
un vero e proprio obbligo per l�Ammistrazione� (37). 
Dunque, questa pronuncia, come altre di segno conforme, se hanno 
escluso una condotta datoriale abusiva, lo hanno fatto anche perch� non hanno 
configurato nel caso di specie un fenomeno di successione dei contratti, reputando 
che la successione debba escludersi laddove, come nel caso in esame, 
l�individuazione del lavoratore avvenga secondo criteri predeterminati dalla 
legge, cui datore e lavoratore sono sottoposti, e che non hanno alcun collegamento 
con il precedente rapporto. 
Si pensi al fatto che il lavoratore precario (docente o ATA) non pu� pretendere 
di essere confermato nella precedente sede di servizio (collegando 
funzionalmente i contratti), ma deve scegliere secondo l�ordine di graduatoria; 
per cui il ritorno alla precedente sede di servizio dipende dalla mancata scelta 
di altri aspiranti con migliore posizione in graduatoria e non dall�esistenza di 
un precedente rapporto di lavoro. 
Ebbene, nel momento in cui la Cassazione conferma che nel settore scolastico 
non � configurabile alcun abuso del datore di lavoro/P.A. anche in ragione 
del fatto che �la formazione della graduatoria permanente [�] � 
ancorata a rigidi criteri oggettivi [...] che costituiscono attuazione [...] del 
principio generale secondo il quale l�assunzione dei dipendenti pubblici, 
anche non di ruolo, deve avvenire secondo procedure sottratte alla discrezionalit� 
dell�amministrazione (art. 97 Cost.)� (38), sarebbe stato pi� opportuno 
che la stessa S.C. non avesse parlato con riguardo ai precari della scuola pubblica 
di �successione� di contratti: infatti, alla luce della legislazione nazionale 
di recepimento del 2001, l�espressione � usata per indicare, quali fenomeni 
elusivi del divieto di abuso della contrattazione a termine, tutte le ipotesi di 
successione contrattuale in cui ciascun contratto non � solo successivo al precedente, 
ma ne rappresenta la continuazione. 
(37) Cfr. Corte di Appello di Perugia, sent. n. 524/2010. 
(38) Cfr. par. 44.
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
�, dunque, criticabile che la S.C., parlando di �successione� di contratti nel 
caso del reclutamento del personale scolastico precario, abbia mostrato di sottovalutare 
il rilievo probatorio attribuibile alla successione contrattuale, quale 
fatto di per se stesso indicativo della sussistenza del lamentato illecito datoriale. 
Due sono gli abusi che spetta al giudice valutare, come si � detto: quello 
dello Stato-Legislatore e quello dello Stato-Amministrazione. 
Il primo � stato escluso in maniera netta e chiara dalla S.C., che, per negare 
l�abuso dello Stato legislatore, ha affermato che pu� �ricavarsi al di l� 
di ogni dubbio, [...] sia dalla normativa statale che da quella comunitaria, la 
piena legittimit� del reclutamento del personale scolastico articolato sulla 
successione di pur numerosi contratti a termine� (39). 
Dunque, l�espressione �successione� adoperata dalla S.C. si pu� ritenere 
che costituisca, s�, un�espressione impropria, ma che, tutto sommato, non comporti, 
ai fini della responsabilit� del legislatore, conseguenze pratiche di grande 
rilievo: anche ove si ritenesse che la Corte, parlando di �successione�, abbia 
voluto riferirsi proprio ad un fenomeno di consecuzione contrattuale in cui ogni 
contratto � continuazione del precedente, ci� non avrebbe alcun riflesso sulla 
responsabilit� dello Stato-Legislatore (la disciplina esaminata, infatti, � considerata 
�norma equivalente� alle misure di contrasto all�abuso pretese dall�UE). 
In altre parole, il problema probatorio dell�accertamento del fatto 
illecito/abuso lamentato scolorisce quando si tratti di accertare l�abuso dello 
Stato-legislatore, poich� esso va indagato tramite una valutazione una tantum 
ed in astratto della conformit� o meno della normativa interna con quella comunitaria. 
Tuttavia, una volta negato l�illecito dello Stato-Legislatore, non pu� escludersi 
con analogo giudizio una tantum ed in astratto anche quello dello Stato- 
Amministrazione (MIUR), potendosi ben dare il caso che quest�ultima, nelle 
proprie condotte concrete, violi la norma interna e contestualmente la direttiva 
comunitaria. 
Di ci� la S.C. � ben consapevole e, infatti, chiarisce che di abuso potr� 
parlarsi solo ove �si sia in presenza di supplenze annuali o temporanee al di 
fuori delle condizioni legislativamente previste� (40): tra queste condizioni 
non vi � solo quella ricordata dalla corte, vale a dire il �rispetto delle graduatorie 
nella assegnazione delle supplenze� (41), ma anche la sussistenza di una 
provvisoriet�, reale, non solo sulla carta, della carenza di organico. Si avr�, 
ad es., abuso quando l�Amministrazione/MIUR assegni con contratto di supplenza 
annuale, con scadenza al 31 agosto, una cattedra che corrisponda ad 
un vuoto stabile nell�organico ossia quando la norma interna (reclutamento 
(39) Cfr. par. 70. 
(40) Cfr. par. 70. 
(41) Cfr. par. 70.
CONTENZIOSO NAZIONALE 167 
compiuto per scorrimento della graduatoria provinciale) sia formalmente applicata 
per tradirne lo spirito. 
Ebbene, per questo tipo di abuso, il problema probatorio ritorna cruciale 
per il giudice, perch� non potr�, per escludere l�abuso, limitarsi a dichiarare la 
conformit� del diritto nazionale a quello comunitario: dovr� valutare anche se, 
in concreto, la condotta dell�Amministrazione integri un abuso della contrattazione 
a termine, se abbia concluso contratti a termine nei soli casi in cui � legittimata 
a farlo in virt� della normativa nazionale/comunitariamente conforme. 
Il giudice, dunque, considerando il caso di ogni singolo ricorrente, dovr� 
compiere un giudizio in concreto, appurare se il contratto a termine � stato 
concluso nei casi ammessi dalla legge, verificando, cio�, se i vuoti di organico 
coperti da quelle supplenze fossero realmente provvisori oppure no. 
Ma per far ci�, dovr� a monte avere ben chiaro come vada compiuto tra 
le parti il riparto dell�onere probatorio: chi, tra lavoratore e datore, deve provare 
cosa ai fini della dimostrazione dell�abuso? E ancora, quali sono i fenomeni 
indicativi di una elusione della normativa nazionale, vale a dire del 
carattere non stabile, bens� provvisorio, di una carenza di organico? 
Queste domande non hanno trovato risposta nella sentenza della S.C., n�, 
pi� in generale, la stessa ha indicato, per cos� dire, delle linee guida alle corti 
di merito da seguire per condurre in modo uniforme e con esiti prevedibili gli 
innumerevoli giudizi sui lamentati abusi in concreto che saranno in futuro ancora 
proposti dal personale precario nei confronti dello Stato-Amministrazione. 
Vi � di pi�: ma questo sar� un problema, non gi� del giudice di merito, 
bens�, purtroppo, della sola pubblica difesa. 
L�espressione �successione� contrattuale usata dalla S.C. si potr� rivelare, 
se fraintesa, pericolosa ove, come sar� doveroso fare, la pubblica difesa continuer� 
a sostenere la non sussistenza di abusi da parte del MIUR: questo obiettivo 
sar� pi� difficile da raggiungere se, da parte avversa (i precari) si far� leva 
sull�affermata (dalla S.C.) esistenza di successione di contratti, intesa come 
�continuazione� dei precedenti, invocata, ovviamente, dai precari come indice 
probatorio dell�esistenza di un abuso datoriale. 
5. Il problema probatorio sotteso al giudizio di accertamento �in concreto� 
dell�abuso dello Stato-Amministrazione. Le soluzioni offerte dalla giurispurdenza 
di merito favorevole alla parte pubblica. 
Va preliminarmente evidenziato che gi� prima della sentenza della S.C. 
non sono mancate sentenze delle corti di merito le quali, in coerenza con essa, 
hanno, di fatto, ancorato il giudizio sulla sussistenza dell�abuso datoriale ad 
una valutazione da compiersi in astratto e non in concreto, vale a dire in virt� 
della mera dimostrazione della conformit� della legislazione nazionale sul reclutamento 
del personale scolastico alla direttiva comunitaria: �Datore di lavoro, 
infatti, non � la singola struttura didattica di turno, nell�ambito della
168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
quale potrebbe in astratto discutersi della obiettiva temporaneit� della esigenza 
lavorativa soddisfatta con l�instaurazione del singolo rapporto di lavoro 
a termine, ma il Ministero, l�Amministrazione scolastica, nel cui ambito quel 
rapporto soddisfa una esigenza lavorativa istituzionale ordinaria, corrente, 
nel tempo immutata, tutt�altro che eccezionale o temporanea, ma destinata a 
soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro� (42). 
5.1. Il riparto dell�onere probatorio quanto alla lamentata illegittima condotta 
datoriale del MIUR: gli oneri gravanti sulla parte ricorrente ed il carattere 
presuntivo delle prove eventualmente poste a carico della P.A. 
Tuttavia, i precari della scuola continueranno a sostenere la fondatezza 
delle proprie istanze, anche contestando quelli che si sono prima indicati come 
i punti (se non deboli, certamente) discutibili dell�arresto della S.C.. 
Peraltro, si sono gi� registrate pronunce di merito in senso contrario all�orientamento 
della S.C. ed � prevedibile che altre ne seguiranno, ove i giudici 
di merito riterranno che il giudizio sull�inesistenza dell�abuso non si debba risolvere 
nella sola valutazione in astratto della conformit� tra legislazione interna 
e norme comunitarie, bens� richieda anche un giudizio in concreto sulla 
coerenza tra l�azione della P.A./MIUR ed i presupposti fissati dalla legge nazionale 
per la legittimit� del ricorso, nei singoli casi controversi, alla contrattazione 
a termine. 
Come, si � ampiamente rilevato, sono varie le problematiche probatorie 
connesse ad un accertamento in fatto del lamentato abuso e che non sono state 
affrontate dalla S.C.: tuttavia, a fronte del silenzio della S.C., l�avvocatura 
dello Stato potr� rintracciare nella pregressa giurisprudenza di merito pi� di 
una decisione nella quale, avvertita la necessit� di un accertamento in concreto 
del lamentato carattere abusivo della condotta del MIUR, il relativo onere probatorio 
� stato posto a carico dei dipendenti ricorrenti. 
In primo luogo, � interessante richiamare quanto affermato dal Trib. di Napoli, 
Sez. Lav. (Dr.ssa Milena d�Oriano), in una sentenza del 16 marzo 2010. 
Ad avviso del Tribunale di Napoli, infatti, sul piano probatorio, �per sostenere 
l�uso illegittimo dell�istituto� della contrattazione a termine, da un lato, spetta 
al ricorrente �indicare quali e quante supplenze annuali [nds: gli] sono state 
attribuite�, dall�altro, �non � sufficiente affermare che gli incarichi si sono ripetuti, 
ma � necessario dedurre e provare per quale motivo la nomina a tempo 
determinato � stata utilizzata abusivamente in luogo di quella a tempo indeterminato
� (43). Infatti, �in assenza di qualsiasi dato concreto di valutazione, 
e quindi nell�impossibilit� di verificare l�illegittimo utilizzo della supplenza an- 
(42) Cfr. Trib. di Siena, Sez. lav. (dr. Delio Cammarosano), sent. del 27 settembre 2010 (rgl 
699/2009), pag. 4, punto 2, 2� cpv.. 
(43) Cfr. sent., pag. 7, penultimo cpv..
CONTENZIOSO NAZIONALE 169 
nuale, anche le domande subordinate non possono essere accolte� (44). 
In particolare, il ricorrente dovr� fornire al giudice precisi dati fattuali indicativi 
del lamentato abuso: �Sul piano generale [nds: facendo] riferimento 
alle scelte programmatiche del Ministero convenuto in ordine al numero insufficiente 
di immissioni in ruolo rispetto alla quantit� di posti prevedibilmente 
da coprire, mentre su quello particolare [nds: alla] ripetitivit� dell�incarico 
nello stesso Istituto per il medesimo numero di ore o per la stessa materia di 
insegnamento� (45). 
In senso conforme si pone anche il Trib. di Torre Annunziata, Sez. lav., 
(dr. Umberto Lauro), che, nella sent. n. 1846 del 23 marzo 2010, delimita esattamente 
l�onere probatorio gravante sui dipendenti ricorrenti: affinch� possa 
valutarsi la sussistenza di un abuso della contrattazione a termine, i dipendenti/
ricorrenti hanno, s�, l�onere di �indicare quali e quante supplenze annuali 
sono state attribuite a ciascuno, ma � per sostenere l'uso illegittimo dell�istituto, 
non � sufficiente affermare che gli incarichi si sono ripetuti, occorrendo 
dedurre e provare per quale motivo la nomina a tempo determinato � stata 
utilizzata abusivamente in luogo di quella a tempo indeterminato� (46). 
Al fine dell�assolvimento dell�onere probatorio posto a carico di parte ricorrente, 
si precisa che �Sul piano generale�, � �utile fare riferimento alle 
scelte programmatiche del Ministero convenuto in ordine al numero insufficiente 
di immissioni in ruolo rispetto alla quantit� di posti prevedibilmente 
da coprire, mentre su quello particolare descrivere la ripetitivit� dell�incarico 
nello stesso istituto, per il medesimo numero di ore o per la stessa materia di 
insegnamento�; per cui, �In assenza di qualsiasi dato concreto di valutazione, 
e, quindi, nell�impossibilit� di verificare l�illegittimo utilizzo da parte dell�amministrazione 
convenuta dell�istituto della supplenza annuale, al pari di quella 
principale, anche le domande subordinate devono essere rigettate� (47) . 
Non solo. Il Tribunale di Torre Annunziata ritiene anche che �L�accertamento 
del lamentato abuso risulta precluso dalla mancata allegazione, in ricorso, 
delle circostanze di fatto e di diritto che hanno caratterizzato la stipula 
dei singoli contratti di lavoro� (48) . 
Nel caso esaminato, infatti, precisa il Tribunale, �per ciascuno dei ricorrenti 
andavano, invero, riportati quanto meno il numero di contratti stipulati, 
la durata, la materia di insegnamento, l�istituto scolastico in cui avevano lavorato
� (49) e ��ai fini di una tale verifica, non pu� in alcun modo farsi riferimento 
alla documentazione versata in atti con il deposito del ricorso, per 
(44) Cfr., sent., ult. pag. 1� cpv.. 
(45) Cfr. sent., da pag. 7, ultimo cpv., ad inizio pag. succ.. 
(46) Cfr. sent., pag. 7, 3� cpv.. 
(47) Cfr. sent., pag. 7, 4-5� cpv.. 
(48) Cfr. sent., pag. 6, 3� e 4� cpv.. 
(49) Cfr. sent., pag. 6, 3� e 4� cpv..
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
l�evidente ragione che uno � il piano delle allegazioni, altro � il piano delle 
produzioni documentali, destinato a venire in rilievo in una fase processuale 
logicamente e cronologicamente distinta ed in funzione esclusivamente probatoria 
di quanto gi� oggetto di precedente allegazione� (50). 
Ci� premesso, il tribunale di Torre Annunziata, dunque, rigetta la domanda 
risarcitoria, dal momento che, �nell�atto introduttivo, si fa derivare il 
diritto al risarcimento dal fatto che i ricorrenti hanno lavorato per pi� anni, 
con assoluta continuit�, in virt� di contratti a tempo determinato sistematicamente 
rinnovati; senza, tuttavia, allegare l�elenco di tali contratti, cos� precludendo 
ogni accertamento sulla legittimit� o meno degli stessi� (51). 
Ove quindi, la pubblica difesa preveda che, in ragione delle prospettazioni 
di parte ricorrente, il giudice potrebbe essere indotto a compiere un giudizio 
in concreto sull�effettiva esistenza del carattere realmente precario della carenza 
di organico (che non si risolva, dunque, nella mera valutazione in astratto 
della conformit� della legislazione nazionale sul reclutamento del personale 
scolastico a quella comunitaria), potr� fondatamente argomentare come il relativo 
onere probatorio gravi sulla parte ricorrente, per le ragioni sostenute 
nelle richiamate pronunce. 
Ci� premesso, anche ove si volesse sostenere, in senso contrario, che sulla 
parte pubblica gravi l�onere di provare la precariet� della carenza di organico 
(in virt�, ad es., del principio c.d. di vicinanza della prova), cionondimeno ancora 
una volta la giurisprudenza di merito precedente alla sentenza della S.C., 
nel silenzio di quest�ultima, varrebbe a corroborare le tesi difensive dell�Amministrazione 
resistente. 
� noto che dall�assoggettamento al diritto privato degli atti di gestione 
del rapporto di lavoro pubblico derivi, come suo naturale corollario, che agli 
atti della P.A. consistenti nella gestione del rapporto di lavoro sia inapplicabile 
la legge 7 agosto 1990/n.241, vale a dire i principi che regolano l�azione amministrativa, 
compreso quello di motivazione dell�atto. Ci� non toglie, tuttavia, 
che ove si contesti la legittimit� dell�atto di gestione, il giudice, lungi dal poter 
stigmatizzare la mancanza di motivazione, sar� chiamato ad accertare, in ossequio 
al canone di buona fede cui deve essere sempre improntata anche 
l�azione amministrativa, se essa sia stata in concreto rispondente a ragionevolezza 
e conforme alle norme di legge. In tal caso, la P.A. pu� essere chiamata 
ad esporre in sede contenziosa i motivi che, pur supportanti validamente l�atto, 
non vi erano stati esplicitati, non essendovene l�obbligo. 
Ebbene, anche laddove, seguendo tale argomentazione, si ritenesse gravante 
sulla P.A. l�onere di provare che la conclusione di uno o pi� contratti 
con un dato ricorrente abbia risposto all�esigenza di sopperire ad una carenza 
(50) Cfr. sent., pag. 6, 5� cpv.. 
(51) Cfr. sent., pag. 6, 6� cpv..
CONTENZIOSO NAZIONALE 171 
provvisoria di organico, l�assolvimento di tale onere potr� avvenire anche in 
via presuntiva. 
In tal senso si pone la sentenza n. 207 del 3 maggio 2012 del Trib. di Teramo, 
Sez. lav. e previdenza (dr. Luigi Santini): ��in un�organizzazione tanto 
complessa, come quella scolastica, � verosimile il fatto che, ad ogni anno scolastico, 
si verifichino innumerevoli eventi che rendano temporaneamente scoperti 
molti posti dell�organico� e, di conseguenza, Ǐ ragionevole ritenere che 
essi siano eventi forse prevedibili nel numero complessivo, sulla base di un�indagine 
compiuta su campioni statisticamente attendibili relativi alle annualit� 
precedenti, ma non sotto altri profili (la sede, la data, la ragione specifica)�, 
per cui �parlare, in astratto, di abusivo ricorso al contratto a tempo determinato 
per il sol fatto della reiterazione delle supplenze, senza ulteriori allegazioni 
concrete, non � sufficiente� (52). 
In altre parole, le stesse ragioni che, ad avviso della S.C., giustificano la 
conformit� della legge nazionale alle norme comunitarie possono valere, secondo 
la citata sentenza di merito, a provare, in via presuntiva, l�inesistenza 
in concreto di un abuso della condotta datoriale. 
Si tratterebbe di una presunzione superabile dalla prova contraria di parte 
resistente. 
Come si � detto, si sta ipotizzando un iter argomentativo certamente sfavorevole 
alla pubblica difesa e che, come pure si � ricordato, si � gi� manifestato 
in pronunce di merito sfavorevoli alla P.A. e successive alla sentenza 
della S.C. in commento: secondo queste pronunce il giudizio sull�abuso dello 
Stato-Legislatore non preclude quello sull�abuso dello Stato-Amministratore. 
Ebbene, l�esito del primo giudizio pu� oggi pi� che mai ritenersi favorevole 
allo Stato, avendo la S.C. offerto molte e valide argomentazioni a sostegno 
della conformit� del regime italiano di reclutamento del personale 
scolastico alle norme comunitarie. 
Anche dopo il favorevole orientamento espresso dalla S.C., difficolt� per 
la pubblica difesa potrebbero esservi, invece, ancora, ogni qual volta un giudice 
di merito intendesse porre ad oggetto di un autonoma e distinta indagine 
l�altra conformit�, vale a dire quella della condotta datoriale del MIUR (ricorso 
alla contrattazione a termine) ai precisi presupposti indicati dalla legislazione 
nazionale. Difficolt�, poi, destinate ad acuirsi ove si ponesse a carico della 
P.A. la prova della provvisoriet�, nel singolo caso controverso, della carenza 
di organico coperta con contratti a termine. 
In realt�, come si � detto, si tratta di difficolt� tutt�altro che insuperabili, 
potendosi ben ammettere la P.A. (come nelle pronunce richiamate) a ricorrere 
alla prova per presunzioni. Inoltre, non potrebbe sostenersi, al fine di delegit- 
(52) Cfr. sent., pag. 24, 1� e 2� cpv.
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
timarne il ricorso, che la prova presuntiva risolverebbe il giudizio sulla conformit� 
della condotta del MIUR alle norme nazionali/comunitariamente conformi 
in una mera duplicazione mascherata del giudizio astratto sulla 
conformit� della legge nazionale alle norme comunitarie. Un tale pericolo sarebbe 
escluso in radice dal carattere non assoluto della presunzione, essendo 
la stessa superabile mediante prova contraria a carico del personale ricorrente. 
In sintesi, nella stragrande maggioranza dei casi si giungerebbe ugualmente 
ad un rigetto delle istanze del personale precario, perfino ove si pretendesse 
un rigoroso giudizio in concreto sulla sussistenza del lamentato abuso 
datoriale ed anche ove si ponesse a carico della PA l�onere della prova della 
provvisoriet� della carenza di organico coperta mediante ricorso alla contrattazione 
a termine. 
5.2. Anche nel caso del personale scolatico la prova dell�abusivo ricorso alla 
contrattazione a termine deve tradursi nella rigorosa prova della sussistenza 
degli elementi stutturali oggettivi e soggettivi del fatto illecito fonte della denunciata 
responsabilit�. 
Ove, poi, non si consentisse alla P.A. di assolvere l�onere probatorio in 
via presuntiva, diverrebbe indispensabile, pi� di quanto non sia gi�, l�attivit� 
informativa che i singoli competenti Uffici Scolastici Provinciali del MIUR 
svolgono in relazione ai contratti oggetto delle varie controversie. 
Solo un�esatta ricostruzione del caso concreto nel quale si inseriscono i 
singoli contratti controversi stipulati da un dato dipendente/ricorrente pu�, infatti, 
consentire alla pubblica difesa di fornire in giudizio la prova della insussistenza 
di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi costitutivi della supposta 
attivit� illecita ed abusiva in questione. 
� stato gi� prima richiamato il condivisibile orientamento della giurisprudenza 
di merito secondo cui non pu� imputarsi al MIUR alcuna condotta di 
abuso della contrattazione a tempo determinato senza che ne sia fornita una 
prova sul piano oggettivo. Infatti, il ricorso della P.A. alla contrattazione a 
tempo determinato per scopo diverso dall�esigenza di sopperire a carenze transitorie 
di personale costituirebbe un fatto illecito, che, sia esso contrattuale o 
aquiliano, spetterebbe provare a chi lamenta di averne subito un pregiudizio. 
Ebbene, spesso il personale scolastico ricorrente d� per provata l�illiceit� 
della condotta datoriale del MIUR sulla base della conclusione di pi� contratti 
a termine, anno dopo anno, da parte di uno stesso ricorrente, o, peggio, in virt� 
del semplice dato statistico del numero complessivo di tal genere di contratti 
conclusi in tutto il territorio nazionale per il reclutamento del personale docente 
ed ATA. Di conseguenza, al fine della prova degli elementi strutturali 
oggettivi della fattispecie abusiva, i ricorrenti allegano fatti che, lungi dal provarne 
la sussistenza, semmai, ne escludono la configurabilit� in modo evidente: 
dagli attestati di servizio e dai contratti individuali di lavoro a tempo
CONTENZIOSO NAZIONALE 173 
determinato allegati agli atti introduttivi del giudizio risulta spesso che detti 
contratti sono stati conclusi dai ricorrenti con vari, diversi, Istituti scolastici. 
Il che rafforza la tesi della pubblica difesa: se il MIUR ha concluso i suddetti 
contratti nei singoli casi di specie lo ho fatto per soddisfare esigenze manifestatesi, 
transitoriamente, nei diversi Istituti Scolastici presso i quali � stata 
espletata l�attivit� di supplenza da parte del singolo ricorrente. 
Per escludere o ritenere sussistente una responsabilit� datoriale del MIUR 
sono necessari elementi fattuali peculiari del caso di specie, indicativi del fatto 
che gli specifici Istituti scolastici presso i quali il ricorrente abbia prestato la 
propria attivit� lavorativa presentassero carenze stabili di organico e che a dette 
carenze si sia dolosamente o colposamente sopperito ricorrendo alle docenze 
di supplenti, abusando, dunque, della contrattazione a tempo determinato. 
La mancata allegazione da parte del dipendente/ricorrente dei fatti che 
avrebbero provato la sussistenza degli elementi oggettivi della lamentata condotta 
illecita del MIUR, consequenzialmente, rende superflua ogni necessit� 
di valutazione dell�eventuale dolosit� o colposit� della stessa (53). � la stessa 
sent. n. 10127/2012 della Corte di Cass. a rigettare la domanda risarcitoria, 
considerando che �la sua infondatezza � corollario della mancanza di un 
abuso del diritto nel succedersi di detti contratti� (54). 
Si �, tuttavia, prima anticipato che si sono gi� registrate pronunce che 
hanno contraddetto l�orientamento espresso dalla S.C. e che hanno condannato 
le Amministrazioni resistenti al risarcimento danni richiesto dai ricorrenti. Tuttavia, 
tali pronunce sono fortemente criticabili, in quanto esse dichiarano la 
responsabilit� delle Amministrazioni resistenti senza che le condotte ed i danni 
lamentati siano stati provati in concreto: in relazione a tali sentenze pu�, infatti, 
ritenersi che sia stata enucleata accanto alla gi� nota figura (peraltro superata) 
del danno in re ipsa, quella della condotta illecita � pure in re ipsa. 
� questo il caso della recentissima sentenza di Trapani n. 89/2013 del 15 
febbraio 2013 che 
� distinguendo �nell�ambito del settore scolastico � fra la posizione del 
docente assunto come supplente per coprire posti non vacanti, ma di fatto disponibili, 
da quella del docente assunto per coprire posti vacanti e disponibili� 
� ha ritenuto che mentre �nel primo caso, effettivamente, si pu� ritenere 
(53) Infatti, nella sentenza del 16 ottobre 2007, n. 21619, la Corte di Cassazione, ricostruendo 
nelle sue linee generali il plesso delle norme regolanti il nesso di causalit� nella responsabilit� civile, ha 
espresso un orientamento, successivamente cristallizzatosi nel diritto vivente, secondo cui �nell�individuazione 
di tale relazione primaria tra condotta ed evento si prescinde in prima istanza da ogni valutazione 
di prevedibilit�, tanto soggettiva quanto �oggettivata�, da parte dell�autore del fatto, essendo 
il concetto di prevedibilit�/previsione insito nella fattispecie della colpa (elemento qualificativo del momento 
soggettivo dell�illecito, momento di analisi collocato in un ideale posterius rispetto alla ricostruzione 
della fattispecie)�. 
(54) Cfr. par. 70.
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
che la situazione di fatto sia di per s� espressiva della temporaneit� dell�esigenza 
datoriale e, quindi, si pu� affermare che la reiterazione di rapporti a termine 
(senza indicazione di alcuna giustificazione) sia legittima, come implicitamente 
affermato dalla sent. Kucuk�, tale reiterazione sarebbe, invece, illegittima �nel 
caso di supplenze volte a coprire posti vacanti e disponibili� (55). 
Cos� argomenta il Tribunale la diversit� tra le due ipotesi della copertura 
di posto disponibile �vacante� e della copertura di posto disponibile �non vacante� 
�[�] le peculiarit� del settore scolastico sono state ben evidenziate 
dalla Corte d�appello di Perugia, nella sent. n. 143/2011�, secondo cui si devono 
distinguere le supplenze annuali su �organico di diritto� da quelle su 
�organico di fatto� (56). 
Ad avviso di tale sentenza della Corte di Appello di Perugia 
� per supplenze annuali su �organico di diritto� si intendono quelle riguardanti 
posti �disponibili e vacanti, con scadenza al termine dell�anno scolastico 
(31 agosto)�: �I posti in questione sono quelli che risultano 
effettivamente vacanti entro la data del 31 dicembre e che rimarranno prevedibilmente 
scoperti per l�intero anno. Per essi, in attesa dell�espletamento 
delle procedure concorsuali, si procede al conferimento di supplenze annuali, 
con la stipulazione di contratti a termine in scadenza al 31 agosto [...] Si 
tratta, di regola, di posti in sedi disagiate o comunque di scarso gradimento, 
per i quali non vi sono domande di assegnazione da parte del personale di 
ruolo. La scopertura di questi posti non � prevedibile, e si manifesta solo dopo 
l�esaurimento delle procedure di trasferimento, assegnazione provvisoria, utilizzazione 
di personale soprannumerario e immissione in ruolo; solo allora 
verificato che sono rimasti privi di titolare, quei posti possono essere coperti 
- in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di 
personale di ruolo - mediante l'assegnazione delle supplenze su organico di 
diritto, dette anche annuali�; 
� al contrario, si intendono per �supplenze annuali, cosiddette su "organico 
di fatto"�, quelle �con scadenza al 30 giugno, cio�, al termine dell�attivit� 
didattica. I posti con esse coperti non sono tecnicamente vacanti, ma si rendono 
di fatto disponibili. Ci� pu� avvenire, ad esempio, per un aumento imprevisto 
della popolazione scolastica nel singolo istituto, la cui pianta 
organica resti tuttavia immutata, oppure per l�aumento del numero di classi, 
dovuto a motivi contingenti, ad esempio di carattere logistico�. 
Ci� premesso, il Tribunale di Trapani, richiamato questo distinguo della 
Corte di Appello di Perugia tra supplenze su posti vacanti �non disponibili� e 
su posti vacanti �disponibili�, conclude che: �Se il posto � vacante significa 
che l�Amministrazione � tenuta a coprirlo, ossia, ad assumere personale �ido- 
(55) Cfr. sent., pag. 9, 4,5,6 cpv.. 
(56) Cfr. sent., pag., ult. cpv..
CONTENZIOSO NAZIONALE 175 
neo� attinto dalle graduatorie (i c.d. idonei non vincitori). In questo caso, 
pertanto, non si pu� affermare che la situazione concreta esprima una temporaneit� 
del fabbisogno, al contrario, � chiaro che l�assunzione dovrebbe 
essere effettuata a tempo indeterminato e, se l�Amministrazione intende procedere 
ad assumere un docente a termine (specie se lo fa reiterando un rapporto 
gi� instaurato anch�esso a termine), ha l�onere di indicare quali siano 
le ragioni obiettive� (57). 
Ebbene, non si vede per quale ragione l�ipotesi delle supplenze annuali 
su organico di diritto debba considerarsi, per cos� dire, in re ipsa, indicativa 
di un abuso nel ricorso alla contrattazione a termine. 
Innanzi tutto, pu� contestarsi in assoluto la Corte d�Appello di Perugia, 
quando sostiene che, alla stregua del dato normativo (art. 4 legge 124/1999), 
si debba considerare - sempre - come supplenza �su organico di fatto� quella 
volta a coprire una carenza di organico dovuta ad �un aumento imprevisto 
della popolazione scolastica nel singolo istituto�. 
Basti a contestarla un semplice esempio. 
Ipotizziamo che in un liceo scientifico, nell�anno 0 vi sono tre sezioni 
(articolate ciascuna in cinque classi, di circa trenta studenti l�una) e che l�anno 
seguente, l�anno 1, vi siano anzich� le consuete nuove 90 immatricolazioni, 
ben 120 immatricolazioni. 
In tal caso, a fronte di 3 sezioni (A, B, C), articolate ciascuna in 5 classi, 
vi sar� una nuova sezione (la D) composta solo da una classe di primo liceo. 
Ebbene, nell�anno 1, in cui si verificano le immatricolazioni in pi� rispetto 
a quelle consuete fino all�anno 0, � evidente che i trenta alunni in pi� determinino 
un incremento di organico solo in via di fatto. 
Solo a partire dall�anno 2, i trenta alunni immatricolatisi nell�anno 1, 
avranno provocato un aumento dell��organico di diritto�, definito dalla sent. 
n. 10127/2012 della S.C. quale quello �costituito dall�insieme del corpo docente 
e/o del personale ATA che il Ministero assegna ad un determinato Istituto 
scolastico in base alla popolazione scolastica che istituzionalmente dovrebbe 
essere iscritta presso quell�istituto� (58): se, infatti, nell�anno 1, si � formata 
una nuova sezione, la D, essa fisiologicamente, permarr� nei successivi anni 
2, 3, 4 e 5, vale a dire fino al completamento dell�ultimo anno di liceo degli 
studenti che ne fanno parte, ove questi ultimi non vengano bocciati o non si 
trasferiscano presso altro Istituto. 
Dunque, ci troviamo proprio nell�ipotesi contemplata dall�art. 4 cit. quale 
supplenza su posti disponibili e vacanti: non vi � infatti dubbio che le classi 2aD 
dell�anno 2, 3aD dell�anno 3, 4aD dell�anno 4 e 5aD dell�anno 5 sono classi per 
le quali non esiste un insegnante di ruolo (posto vacante), n� potr� esistere (re- 
(57) Cfr. sent., pag. 9, ult. cpv.. 
(58) Cfr. sent., par. 50.
176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
stando dunque disponibili le cattedre), fintantoch� non si possa dire prevedibile 
che quell�incremento di immatricolazioni avvenuto al primo liceo nell�anno 1 e 
che ha consentito in tale anno la creazione di una quarta nuova sezione, si ripeta 
anche negli anni seguenti, ripopolando la quarta sezione negli anni 2, 3 etc.. 
Si ipotizzi, infatti, che nell�anno 2, le immatricolazioni ritornino ad essere 
fisiologicamente 90 o comunque non crescano in modo tale da imporre la formazione 
di una quarta sezione. In tal caso la quarta sezione tender� fisiologicamente 
ad esaurirsi mano a mano che gli studenti immatricolativisi nell�anno 
1 giungeranno al 5� anno. 
Ove il MIUR, e per esso, il locale Ufficio Scolastico Provinciale, procedesse 
ad assumere a tempo indeterminato i docenti occorrenti all�espletamento 
delle funzioni didattiche relative ai 5 anni di liceo degli studenti inseriti nell�anno 
1 nella Sezione D, e nell�anno 2 le immatricolazioni tornassero nuovamente 
a contrarsi consentendo la formazione di sole tre sezioni, tutti quei 
docenti rimarrebbero nell�anno 6 senza cattedra, e si sarebbe determinato un 
esubero di personale docente, con correlativo aggravio economico per la P.A.. 
L�ipotesi, come si vede, non � diversa da quella in cui una cattedra si 
renda disponibile per effetto di una indisponibilit� temporanea di chi la occupa 
a tempo indeterminato a svolgere regolarmente la propria attivit� di docenza 
(posto disponibile non vacante): si pensi ad un docente, che, avendo vinto un 
dottorato triennale, chieda di essere sospeso per la durata del corso di dottorato 
dall�attivit� di docenza, con diritto alla conservazione del posto. 
In entrambi i casi, la carenza di organico � provvisoria, in entrambi i casi 
non pu� che essere colmata con supplenze, in pieno ossequio al principio 
espresso dalla sentenza K�c�k. 
Eppure, apoditticamente, la sentenza del Tribunale di Trapani, solo perch� 
una cattedra non � coperta da un dipendente a tempo indeterminato, da tale 
�vacanza� fa discendere presuntivamente, sic et simpliciter, che il MIUR abbia 
fatto ricorso abusivamente alle supplenze ed impone allo stesso di fornire la 
prova contraria, vale a dire quella della temporaneit� della carenza di organico: 
in sostanza, il Tribunale afferma, quanto alla condotta del MIUR, un�illegittimit� 
che altro non �, se non in re ipsa. La presunzione, infatti, si fonda su una 
premessa illogica (posto vacante = carenza stabile di organico) e, dunque, mal 
cela un pregiudizio apodittico di illegittimit� della condotta dell�Amministrazione 
resistente. 
A ben vedere, questa sentenza s�inserisce in un panorama abbastanza 
ampio di pronunce che, prima dell�arresto della S.C. del 2012, condannavano, 
nel contenzioso in commento, le Amministrazioni resistenti affermando l�esistenza 
di una condotta datoriale illegittima o di danni senza verificare se ve 
ne fossero prove concrete: condotta e danno lamentati erano dati per sussistenti 
in re ipsa. Talora, la pregiudiziale convinzione dell�esistenza dell�una o dell�altro 
� stata palesata expressis verbis.
CONTENZIOSO NAZIONALE 177 
Si � cos� giunti perfino a �interpretare la statuizione di cui al comma 5 
dell�art. 36 [nds: del d.lgs.165/2001] come una forma di risarcimento in re 
ipsa ed equitativa, non comune e di carattere eccezionale nel nostro ordinamento 
per il quale normalmente vige la regola generale per cui sono in capo 
a chi voglia chiedere un risarcimento gli obblighi di deduzione e di prova dei 
danni concretamente riportati�, e si � sostenuto che, nel caso dei precari della 
scuola, �il lavoratore sia esentato dall�onere di allegare e provare quale sia 
il �danno concreto� che abbia subito, potendosi questo identificare comunque 
nella perdita del posto di lavoro� (59). 
Tuttavia, tali arresti possono dirsi adeguatamente confutabili alla stregua non 
solo della recente favorevole sentenza della S.C. (che ha disconosciuto molti dei 
presupposti sui quali essi erano fondati), ma anche da altri orientamenti espliciti 
di segno opposto e stratificatisi nella giurisprudenza di merito nel corso degli anni. 
Ad avviso, ad esempio, del Trib. di Teramo, Sez. lav. e previdenza (dr. 
Luigi Santini), sent. n. 207 del 3 maggio 2012, nessun diritto al risarcimento 
pu� essere riconosciuto al ricorrente se �nessun danno � stato concretamente 
dedotto ed allegato (prima ancora che provato) dalla parte ricorrente, quale 
conseguenza della successione contrattuale oggetto di censura�: ci� poich� 
�il danno risarcibile non compensa in re ipsa la precarizzazione di un rapporto, 
ma � necessario che il/la ricorrente alleghi e fornisca la prova dei danni 
derivati dalla prestazione resa in virt� di un contratto con termine illegittimamente 
apposto. I danni risarcibili non sono infatti automatici, ma eventuali, 
e vanno in concreto allegati e provati mediante i vari mezzi di prova messi a 
disposizione dell�ordinamento. Il meccanismo riparatorio previsto dall�art. 
36 non pu� dunque essere disconnesso dalla sua funzione tipica di rimediare 
a specifici, concreti pregiudizi, allegati e provati� (60). 
In senso conforme, si pone anche la sent. del 19 marzo 2012 (rg:2010/10) 
del Trib. di Genova, Sez. Lav. (dott.sa Maria Ida Scotto), secondo cui, ritenutosi 
che nel caso del personale scolastico precario non sussistono n� i presupposti 
per l�insorgere del diritto al risarcimento dal danno da mancata o inesatta 
trasposizione di una direttiva, n� alcun danno risarcibile, si � negata la configurabilit� 
di un danno c.d. �da perdita di chance�: non esiste, si afferma dal 
(59) Cos� il Trib. di Ariano Irpino, Sez. lav., dr. Mariella Ianniciello, sent. n. 379 del 17 aprile 
2012, pag. 13, rispett. 2� e 1� cpv.. La sentenza, inoltre, pone a carico del MIUR l�onere di provare le 
ragioni oggettive legittimanti il ricorso alla contrattazione a termine: �Si osservi, poi, ad abundantiam, 
come anche a voler prescindere da detto rilievo formale non sia controverso che sia onere della resistente 
dimostrare la corrispondenza alla legge di ciascuno di detti negozi ed �, cos�, possibile evidenziare 
come la convenuta nella propria memoria non abbia allegato alcun dato concreto per confermare come 
i singoli accordi pattizi corrispondessero alle esigenze di carattere temporaneo richiamate dalla normativa 
del settore scuola� (cfr., sent., da pag. 9, ult. cpv., fino ad inizio pag. 10). 
(60) Cfr. sent., pag. 20, 4, 5, 6� cpv.. In tal senso, si pone anche la sentenza gemella dello stesso 
Trib. di Teramo, Sez. lav. e previdenza, dr. Luigi Santini, la n. 213 del 3 maggio 2012, depositata il 9 
maggio 2012 (cfr. sent., pag. 20, 2, 3, 4� cpv.).
178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Tribunale, alcuna apprezzabile chance che una diversa attuazione della direttiva 
avrebbe arrecato un concreto vantaggio a chi lavora da anni per il MIUR 
con contratti di lavoro a tempo determinato (61). 
Quanto ai presupposti per l�insorgere del diritto al risarcimento del danno 
da mancata o inesatta trasposizione di una direttiva, il Trib. di Genova, Sez. 
Lav., ritiene che non sussista: 
� n� il primo presupposto, vale a dire l�idoneit� della norma giuridica violata 
a conferire a favore di singoli diritti il cui contenuto sia gi� determinato in 
modo incondizionato e sufficientemente preciso dalla direttiva stessa, in quanto 
la direttiva non ha individuato una protezione minima inderogabile che gli Stati 
membri siano tenuti ad assicurare, ai sensi della clausola 5, n. 1, dell�accordo 
quadro, n� ha stabilito l�obbligo per gli Stati, in caso di accertati abusi, di adottare 
specifiche sanzioni (quale la conversione del rapporto in stabile o altre), 
� n� il secondo presupposto, dato dalla violazione sufficientemente grave 
e manifesta della norma comunitaria (62). 
Quanto, poi, al danno, inoltre, il Trib. di Genova, Sez. Lav., precisa che 
non sussiste alcun danno �da perdita di chance�, in quanto 
� alcun concreto vantaggio sarebbe venuto ai lavoratori precari �ove il 
legislatore italiano avesse previsto una durata massima totale dei contratti di 
lavori a tempo determinato successivi oppure un numero massimo di rinnovi 
dei suddetti contratti, perch� i ricorrenti avrebbero ottenuto in tal caso un numero 
inferiore di supplenze� (63) , 
� �Non sussistono neppure elementi che consentano di ritenere che, ove 
il legislatore italiano avesse deciso di coprire il maggior numero possibile di 
posti in organico tramite concorso, anzich� fare ricorso, all�occorrenza, alle 
supplenze, parte attrice sarebbe risultata vincitrice degli eventuali concorsi e 
che comunque le chance dei ricorrenti di vincere gli eventuali concorsi sarebbero 
state maggiori delle loro attuali chance di essere immessi in ruolo a 
seguito del progressivo avanzamento nelle graduatorie (graduatorie che, lo 
si ricorda, ai sensi dell�art. 1 co. 605 legge n. 296/2006 sono state trasformate 
da graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento, con evidente posizione 
di privilegio [...] degli [...] iscritti, rispetto alla generalit� degli aspiranti 
all�assunzione nel settore scolastico)� (64). 
L�inconfigurabilit� del danno lamentato dal lavoratore precario in termini 
di �danno da perdita di chance� � stata sostenuta in modo pi� che convincente 
anche dal Trib. di Lecce, Sez. lav. (dott. Lorenzo H. Bellanova), nella sent. n. 
10696/2012 del 5 novembre 2012: 
(61) Cfr. sent. da pag. 22 a pag. 25, penultimo cpv.. 
(62) Cfr. sent. da pag. 22 a pag. 25, penultimo cpv.. 
(63) Cfr. sent. pag. 25, 3� cpv.. 
(64) Cfr. sent. pag. 25, 4� cpv..
CONTENZIOSO NAZIONALE 179 
Il tribunale di Lecce, infatti, ha ritenuto quanto segue. 
� �Occorre distinguere tra danno per mancata assunzione configurabile 
allorch� una corretta procedura di avviamento avrebbe necessariamente determinato 
l�assunzione del soggetto leso e danno da perdita di chance di assunzione, 
ipotesi questa che sottintende la mera possibilit� di un�assunzione 
all�esito di una regolare procedura selettiva� (65). 
� Il danno lamentato dal lavoratore precario in termini di �danno da perdita 
di chance� si configura come danno emergente e non come lucro cessante: 
�il concetto di chance va ad individuare una entit� patrimoniale suscettibile 
di autonoma valutazione non solo giuridica ma anche economica, sicch� la 
sua perdita si pu� tradurre in un danno attuale e risarcibile in misura non del 
lucro cessante, ma del danno emergente conseguente alla perdita di una possibilit� 
attuale� (66). 
� ��L�accoglimento della domanda di risarcimento del danno [�] da 
perdita di chance esige la prova, anche presuntiva, dell�esistenza di elementi 
oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilit� 
non di mera potenzialit�, l�esistenza di un pregiudizio economicamente 
valutabile� (Cass. Civile, Sez. III, 11 maggio 2010, n.11353)� (67). 
� �La reiterazione dei contratti a tempo determinato per un verso evita 
una condizione di disoccupazione e per l�altro arricchisce il curriculum lavorativo 
del soggetto, assegnando punteggio utile da spendere in un eventuale 
concorso� (68). 
6. Il superabile equivoco ingenerato dall�infelice obiter dictum sugli scatti 
biennali spettanti ai suppllenti per il peridodo lavorato. 
La sentenza n. 10127/2012, nella sua parte conclusiva, contiene un obiter 
dictum, suscettibile di ingenerare dei dubbi in merito alla riconoscibilit� ai docenti 
precari non di ruolo dei c.d. scatti biennali: �disconoscendo ogni rilevanza 
giuridica ai periodi d�inattivit� lavorativa nel caso di succedersi delle 
supplenze, questa Corte di Cassazione - seppure in una fattispecie diversa ma 
con qualche analogia con quella in esame - ha affermato che la categoria del 
personale supplente si caratterizza per un rapporto di servizio che, fondato 
su incarichi attribuiti di volta in volta, si interrompe nell�intervallo da un in- 
(65) Cfr. sent., penultima pag., 2� cpv.. In senso letteralmente conforme si � posta anche la sentenza, 
sul punto, per cos� dire, �gemella�, del Trib. di Siena, Sez. lav. (dr. Delio Cammarosano), del 27 
settembre 2010 (rgl 699/2009): cfr. penultima pag., 2� cpv.. 
(66) Cfr. sent., penultima pag., 1� cpv.. In senso conforme v. Trib. di Siena, Sez. lav. Sent. ult. 
cit., penultima pag., 1� cpv.. 
(67) Cfr. sent., penultima pag., 3� cpv.. In senso conforme v. Trib. di Siena, Sez. lav. Sent. ult. 
cit., penultima pag., 3� cpv.. 
(68) Cfr. sent., penultima pag., in senso conforme v. Trib. di Siena, Sez. lav. Sent. ult. cit., penultima 
pag., 6� cpv..
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
carico ad un altro per cui non spettano, con riferimento al periodo non lavorato, 
gli scatti biennali (cfr. in tal senso Cass. aprile 2011 n. 8060, che invece 
ha riconosciuto detti scatti ai docenti di educazione musicale per avere visto 
costoro con apposita e specifica normativa novato il loro rapporto non di 
ruolo a tempo indeterminato sino alla successiva immissione in ruolo)� (69). 
L�affermazione cos� enucleata � suscettibile di due possibili interpretazioni. 
Seguendo una prima interpretazione ai docenti precari dovrebbero essere 
riconosciuti gli scatti biennali tranne che per il periodo c.d. non lavorato, vale 
a dire tranne che quanto all�intervallo temporale intercorrente tra un contratto 
e quello successivo. Ci� significherebbe che la sentenza in commento, lungi 
dall�essere una trionfale vittoria della pubblica difesa, si tradurrebbe in una 
vittoria di Pirro, dal momento che l�affermazione del divieto di conversione 
del rapporto in stabile, dell�insussistenza di un abuso nel ricorso alla contrattazione 
a termine sarebbe ampiamente compensata, ai danni dello Stato, dalla 
fondatezza implicitamente asserita delle istanze retributive dei precari. 
Tuttavia questa interpretazione deve ritenersi non corretta, ove solo si 
consideri che le fattispecie contemplate dalle due sentenze, la richiamante (n. 
10127/2012) e la richiamata (n. 8060/2011), riguardano fattispecie �diverse� 
(sent. 2011: docenti di educazione musicale, vale a dire non di ruolo ed a 
tempo indeterminato; sent. 2012: docenti non di ruolo ed a tempo determinato), 
seppur �con qualche analogia�, in quanto relative entrambe a docenti 
non di ruolo. 
Occorre quindi richiamare per intero il passaggio motivazionale della sent. 
del 2011 per comprendere, poi, meglio il senso delle affermazioni dalla stessa 
estrapolate e fatte proprie dalla sentenza del 2012: �La qualit� che individua 
tale categoria [ndr: il docente di educazione musicale: docente non di ruolo, 
ma a tempo indeterminato] � evidentemente del tutto diversa da quella del docente 
supplente [ndr: pure �non di ruolo�, ma], il cui rapporto di servizio trova 
fondamento in incarichi attributi di volta in volta, e conseguentemente si interrompe 
nell�intervallo fra un incarico e l�altro [ndr: a tempo determinato]. 
Esattamente dunque la Corte di merito, richiamandosi a talune decisioni del 
giudice amministrativo, ha messo in rilievo che il mantenimento in servizio 
sulla base delle norme richiamate trasforma radicalmente il rapporto, novandolo. 
Il rapporto diventa peraltro, sulla base delle norme di riferimento, rapporto 
non di ruolo a tempo indeterminato e d� quindi diritto all�attribuzione 
degli aumenti biennali� (cfr. Cass., Sez. Lav., sent. 8060 dell�8 aprile 2011). 
In altre parole, la Corte di Cassazione, Sez. Lav., nella sent. n. 8060/2011, 
aveva chiarito che: 
1) ai sensi dell� art. 53, comma 3�, Legge n. 312/1980 (70), tra tutti i do- 
(69) Cfr. par. 71.
CONTENZIOSO NAZIONALE 181 
centi �non di ruolo�, gli unici ad avere diritto agli scatti biennali sono solo 
quelli c.d. �mantenuti in servizio�, perch� connotati da un rapporto lavorativo 
�a tempo indeterminato� (seppur �non di ruolo�), vale a dire da un rapporto 
che non si interrompe mai; 
2) al contrario, i docenti non di ruolo quando sono anche a tempo determinato 
non hanno diritto agli scatti biennali, perch� il loro rapporto lavorativo, 
essendo fondato sui singoli contratti, si interrompe tra un contratto e l�altro. 
Dopo aver attentamente esaminato il dictum della sent. n.8060/2011 ed 
averlo rettamente riferito al caso dalla stessa esaminato, possiamo meglio comprendere 
come la sent. del 2012, nel riferirsi alla sentenza n. 8060, non intendesse 
estendere la portata dei principi ivi espressi, limitandosi a richiamarli 
nella loro formulazione originaria. 
S�impone un�interpretazione del principio nel senso voluto dalla sentenza 
del 2011 che l�ha formulato: quando la sent. n. 10127/2012 ricorda che la sent. 
n. 8060/2011 �ha affermato � che non spettano, con riferimento al periodo non 
lavorato, gli scatti biennali� voleva aver riguardo tra i docenti non di ruolo 
� unicamente a quelli ammessi agli scatti biennali (vale a dire quelli a 
tempo indeterminato) 
� e non certo ai docenti esclusi dagli scatti biennali (vale a dire quelli a 
tempo determinato). 
Per questi ultimi, infatti, la sent. 8060/2011, come si � ampiamente dimostrato, 
mai �ha affermato� che avrebbero potuto fruire degli scatti, sostenendo 
piuttosto l�esatto contrario. 
Cos� ridimensionato l�obiter dictum della sentenza del 2012, mediante 
l�appena esposta lettura sistematica, rimane in ogni caso il fatto che non sia 
stata affrontata la questione della riconoscibilit� ai precari del trattamento economico 
previsto per il personale di ruolo. 
In particolare, quanto agli scatti biennali la S.C. avrebbe potuto incisivamente 
escluderli usando, in particolare, le argomentazioni analiticamente sviluppate 
dalla sentenza n. 138/2012 della Corte d�Appello di Perugia, Sez. 
Lavoro, a sostegno dell�infondatezza delle domande di riconoscimento della 
progressione stipendiale derivante dai cd. scatti biennali di cui all�art. 53, 
comma 3�, legge n. 312/1980. 
Secondo quanto chiarito dalla Corte di Appello di Perugia, non pu� esistere 
alcuna discriminazione tra personale a tempo indeterminato e personale 
precario quanto alla corresponsione degli scatti biennali, dal momento che i 
CCNL succedutisi dal 1995 in poi, nel fissare il sistema di progressione per 
(70) Art. 53, comma 3�: �Al personale di cui al presente articolo, con nomina da parte del Provveditore 
agli studi od altro organo in base a disposizioni speciali, ESCLUSE IN OGNI CASO LE SUPPLENZE, 
sono attribuiti aumenti periodici per ogni biennio di servizio prestato a partire dal 1 giugno 1977 in ragione 
del 2,50 per cento calcolati sulla base dello stipendio iniziale�.
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
scaglioni, non hanno pi� previsto il precedente sistema degli scatti, e dunque 
non esiste, oggi, alcuna categoria di personale a tempo indeterminato cui essi 
siano corrisposti: �Se, dunque, non esiste alcuna categoria di personale a 
tempo indeterminato, cui siano corrisposti gli scatti di anzianit�, non pu� esistere, 
evidentemente, alcuna discriminazione a danno del personale assunto 
a tempo determinato� (71). 
�Non corrisponde al vero, quindi, che al personale della scuola con contratto 
a tempo determinato, come le odierne appellate, sia riconosciuto un 
trattamento economico deteriore e discriminatorio rispetto a quello riservato 
al personale di ruolo, per la mancata attribuzione degli scatti biennali di cui 
all�art. 53 della legge n. 312/1980. In realt� ... la progressione economica del 
2.5 % per biennio non si applica al personale a tempo indeterminato, ma solo 
a una particolare e specifica categoria di personale, anch�esso a tempo determinato: 
gli insegnanti di religione non di ruolo� (72). 
Per giungere alla negazione di ogni discriminazione quanto agli scatti 
biennali tra il personale di ruolo a tempo indeterminato ed il personale non di 
ruolo a tempo determinato, la Corte di Appello di Perugia ha ricostruito l�evoluzione 
� della disciplina giuridica delle classi stipendiali del personale scolastico 
� delle ripartizioni normative delle categorie del personale scolastico docente 
(dall�originaria tripartizione alla sua odierna bipartizione). 
All�epoca della legge n. 312/1980 (il cui art. 53 regola il trattamento economico 
del �personale non di ruolo�) il personale scolastico, infatti, era ripartito 
in tre categorie di lavoratori: 
� a tempo indeterminato di ruolo 
� a tempo indeterminato non di ruolo 
� a tempo determinato non di ruolo. 
La legge n. 312/1980 aveva innovato il rapporto di lavoro alle dipendenze 
delle P.A. (all�epoca non ancora contrattualizzato, bens� disciplinato dalla normativa 
di diritto pubblico), passando dal sistema delle �carriere formali� al 
sistema delle �qualifiche funzionali�. 
Pi� precisamente, il legislatore intendeva svincolare i miglioramenti retributivi 
dalle progressioni di carriera, consentendo il conseguimento di miglioramenti 
economici anche ove restasse fermo l�inquadramento nella 
qualifica professionale. 
Al fine di completare la riforma del passaggio dal sistema delle c.d. �carriere 
formali�, il legislatore italiano, con la legge n. 270/1982 (�revisione della 
disciplina del reclutamento del personale docente della scuola materna, ele- 
(71) Cfr. Corte d�Appello di Perugia, Sez. Lavoro, sent. n. 138 del 4 aprile 2012, depositata il 12 
luglio 2012, pag. 10, 3� cpv.. 
(72) Cfr. ult. sent. cit, pag. 14, 3� cpv..
CONTENZIOSO NAZIONALE 183 
mentare, secondaria e artistica�), ha classificato il personale scolastico in due 
sole categorie (sistema bipartito): 
1. �di ruolo� a tempo indeterminato (art. 14), 
2. �non di ruolo� a tempo determinato (art. 15) 
abrogando (art. 77) la terza categoria intermedia (docenti non di ruolo a 
tempo indeterminato). 
Quindi, a partire da tale legge i rapporti non di ruolo a tempo determinato 
(identificati con il termine �supplenze�) costituiranno l�unica tipologia possibile 
di rapporto di impiego non di ruolo con l�amministrazione scolastica. 
Come evidenziato dalla sent. 138/2012 della Corte di Appello di Perugia: 
�L�identificazione tra �supplenza� e �rapporto di impiego non di ruolo e a 
tempo determinato� (prevista ex lege n. 270/1982) � stata confermata dalla 
legge n. 124/1999 (attualmente vigente)� (73) . 
�Oltre a questi tre tipi di docenti [la corte si riferisce ai docenti di religione, 
di ed. fisica, di ed. musicale], nessun�altra eccezione � stata pi� individuata 
dal legislatore alla rigida bipartizione del personale (a tempo 
indeterminato/di ruolo e a tempo determinato/non di ruolo). Tale bipartizione, 
infatti, � stata sempre rispettata e confermata, tanto dalla contrattazione collettiva, 
quanto dalla legge n. 124/1999� (74). 
Facendo un passo indietro alla legge n. 312/1980 (tenuto conto della ripartizione 
dei docenti in tre categorie esistente all�epoca) si distinguevano i 
seguenti casi: 
� i docenti a tempo indeterminato di ruolo, ai sensi dell�art. 50, comma 
3�, si vedevano riconosciuta, per il periodo di permanenza in ciascuna classe 
di stipendio, compresa l�ultima, la corresponsione, per ogni biennio di servizio, 
di aumenti di stipendio (scatti biennali), pari al 2.50 per cento dello stipendio 
previsto per quella classe, 
� i docenti a tempo determinato non di ruolo, ai sensi dell�art. 53, comma 
1�, si vedevano attribuire un trattamento economico determinato con riguardo 
allo stipendio iniziale del personale di ruolo di corrispondente qualifica e, ai 
sensi dell�art. 53, comma 3�, venivano esclusi dagli scatti biennali, 
� i docenti a tempo indeterminato non di ruolo, ai sensi dell�art. 53, 
comma 3�, godevano del diritto ad �aumenti periodici per ogni biennio di servizio... 
in ragione del 2,50 per cento calcolati sulla base dello stipendio iniziale� 
(c.d. scatti biennali). 
Come ricordato dalla sent. n. 138/2012 della Corte di Appello di Perugia, 
il sistema di progressione economica basato sugli scatti biennali previsto dalla 
legge n. 312/1980 
� �venne ancora riaffermato, per il personale della scuola, dai contratti 
(73) Cfr. ult. sent. cit, pag. 11, 2�- 3� cpv.. 
(74) Cfr. ult. sent. cit, pag. 12, 1� cpv..
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
di lavoro di diritto pubblico susseguitisi nel tempo (D.P.R. n. 345/1983, art. 2 
n. 209/1987, art. 2, n. 399/1988, tabella A, etc), 
� ci� fino alla privatizzazione del rapporto di lavoro scolastico ed al 
primo CCNL del 1995 per il quadriennio 1994/1997, il cui art. 66,per il personale 
di ruolo, ha abbandonato il sistema degli scatti biennali e introdotto 
gli incrementi per �scaglioni�, in numero di sette, sulla base delle anzianit� 
ivi indicate (0, 3, 9, 15, 21, 28 e 35 anni, cfr. Tabella B del CCNL), cui corrispondevano 
(e corrispondono) retribuzione annue diverse� (75). 
Al termine di tale ricostruzione storica della disciplina degli scatti biennali, 
la Corte di Appello di Perugia osserva che �I CCNL succedutisi dal 1995 
in poi, nel fissare il sistema di progressione per scaglioni, non hanno pi� previsto 
il precedente sistema degli scatti, e dunque non esiste alcuna categoria 
di personale a tempo indeterminato cui essi siano corrisposti� (76). 
In virt� di quanto fin qui esposto, la Corte conclude delineando, come 
segue, l�odierno residuo margine di vigenza dell�art. 53 cit.: �l�art. 53 � norma 
attualmente in vigore [�], tuttavia, � applicato 
� non gi� al personale della scuola con contratto a tempo indeterminato 
(il quale invece fruisce della progressione stipendiale per scaglioni prevista 
dal CCNL, e dal 1995 non ha pi� diritto agli scatti biennali), 
� bens� a una particolare categoria di personale a tempo indeterminato: 
gli insegnanti di religione cattolica non di ruolo, la cui assunzione a tempo 
indeterminato non pu� mai conseguire a una progressiva acquisizione di diritti, 
come per il personale scolastico, bens� � sempre subordinata all�indizione 
e al superamento di appositi concorsi, come previsto dall�art. 3 della legge 
186/2003� (77). 
(75) Cfr. ult. sent. cit, pag. 9, penult. e ult. cpv.. 
(76) Cfr. ult. sent. cit, pag. 10, 2� cpv.. 
(77) Cfr. ult. sent. cit, pag. 14, 2� cpv. La Corte di Appello di Perugia, Sez. Lavoro, nella sent. n. 
138/2012, descrive puntualmente il percorso normativo di progressivo restringimento della categoria 
dei docenti non di ruolo, ma a tempo indeterminato, contemplata dall�art. 53, comma 3�, l. 312/1980 
come unica beneficiaria degli scatti biennali [come si � detto i supplenti (= Docenti non di ruolo/a tempo 
determinato) ne erano esclusi]. 
In particolare, il cit. comma 3� cos� dispone: �Al personale di cui al presente articolo, con nomina da 
parte del Provveditore agli studi od altro organo in base a disposizioni speciali, ESCLUSE IN OGNI CASO 
LE SUPPLENZE, sono attribuiti aumenti periodici per ogni biennio di servizio prestato a partire dal 1 giugno 
1977 in ragione del 2,50 per cento calcolati sulla base dello stipendio iniziale�. 
Il comma 3� dell�art. 53, legge n. 312/1980, quindi, ha inteso riconoscere gli SCATTI BIENNALI 
� non a tutti i docenti non di ruolo, 
� ma solo ai docenti non di ruolo a tempo indeterminato. 
Rientravano in questa categoria (docenti non di ruolo stabili) tre sottocategorie di docenti: due introdotte 
dalla legge n. 270/1982 (docenti di educazione fisica e di educazione musicale) e una terza, prevista dal 
D.P.R. n. 751/1985. docenti di religione. 
�Le indicate tre categorie di soggetti erano le uniche titolari di un rapporto �stabile�, ancorch� annualmente 
conferito, ma erano tali da non poter essere considerate di ruolo, perch� ancora carenti dei
CONTENZIOSO NAZIONALE 185 
7. L�inconfigurabilit� di una disparit� di trattamento stipendiale tra personale 
precario e personale di ruolo quale corollario della legittimit� del termine apposto 
al contratto: corollario enucleabile in ragione della inconfigurabilit� di 
una tutela risarcitoria che riproduca per equivalente gli effetti di una mancata, 
perch� vietata, conversione del contratto in contratto a tempo indeterminato. 
La sentenza n. 10127/2012 nulla dice in merito alla sussistenza o meno 
di una disparit� di trattamento tra personale precario e di ruolo quanto al diverso 
trattamento economico loro spettante in virt� della normativa nazionale. 
In verit�, la pronuncia offre validi argomenti in senso contrario, poich� 
una volta che si ritenga legittimo il ricorso del MIUR alla contrattazione a termine 
per sopperire ad esigenze peculiari di quel particolare settore di impiego, 
ne discende come corollario la fondatezza del diverso trattamento economico 
riconosciuto al personale a termine rispetto a quello a tempo indeterminato. 
Infatti, parte pi� avveduta della giurisprudenza di merito favorevole ai precari, 
ove, fermo il divieto di conversione, ne ha accolto le istanze risarcitorie, 
ha, s�, quantificato il danno da ristorare in rapporto alla mancata corresponsione 
delle differenze retributive che sarebbero spettate in caso di assunzione a tempo 
indeterminato, ma non ha liquidato dette differenze in toto: ci� in quanto corrispondere 
ai precari esattamente quanto avrebbero avuto diritto ad ottenere in 
caso di conversione del rapporto in stabile avrebbe significato operare una sostanziale 
conversione, con surrettizia violazione degli art. 97 ed 81 Cost.. 
requisiti per l�accesso (insegnanti di educazione fisica e di educazione musicale) o per la mancanza 
dei ruoli organici nella qualifica (insegnanti di religione)� (cfr. pag. 12, 2 � cpv.). 
Con il tempo, delle tre categorie di docenti non di ruolo a tempo indeterminato � sopravvissuta solo 
quella dei docenti di religione non di ruolo: �per le prime due categorie di personale (insegnanti di musica 
e di educazione fisica) l�aspettativa alla nomina in ruolo era destinata a essere fisiologicamente 
soddisfatta con il primo concorso utile successivo� (cfr. pag. 13, 1 � cpv.). 
Quanto agli insegnanti di religione (che rimanevano non di ruolo per mancanza dei ruoli organici nella 
qualifica), la particolarit� del loro inquadramento consisteva nel fatto: di essere nominati dalle competenti 
autorit� scolastiche se �in possesso di idoneit� riconosciuta dall�ordinario diocesano e da esso non revocata� 
(punto 2.5 del D.P.R. n. 751/1985 - Intesa Stato/Santa Sede), e che tale idoneit� all�insegnamento 
della religione cattolica ha effetto permanente salvo revoca da parte dell�Ordinamento diocesano (punto 
2.6 bis). �Una volta assorbiti nei ruoli organici i docenti delle prime due categorie, rimaneva, quale 
tertium genus, solo la categoria degli insegnanti di religione, assunti sempre e solo con contratti a termine 
di durata corrispondente a ciascun anno scolastico, ma con diritto al rinnovo fino a quando non 
fosse stato revocato il gradimento dell�ordinario diocesano� (cfr. pag. 13, 2� cpv.). 
�Con la legge 18 luglio 2003, n. 186 sono stati creati i ruoli degli insegnanti di religione (art. 1, primo 
comma). Sono state stabilite le modalit� di accesso a quei ruoli, speciali e diverse rispetto a quelle del 
restante personale della scuola, previo superamento di concorso per titoli ed esami. In seguito all�emanazione 
di questa normativa, anche all�interno della categoria degli insegnanti di religione sono state 
create le due categorie degli insegnanti di ruolo, con contratto a tempo indeterminato, e dei supplenti, 
con contratto a tempo determinato. I primi sono retribuiti allo stesso modo di tutto il resto del personale 
docente della scuola (art. 1, secondo comma), con applicazione del CCNL. I supplenti, invece, sono assoggettati 
a una disciplina particolare, poich� non rientrano nel sistema delle graduatorie permanenti 
(ad oggi �a esaurimento�), e sono ancora sottoposti alla revocabilit� del gradimento dell�ordinario 
diocesano� (cfr. pag. 13, ult. cpv., fino a pag. 14). 
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Si � gi�, al riguardo, evidenziato che il principio di non convertibilit� �non 
si alimenta soltanto [...] della imprescindibilit� della regola della assunzione 
mediante pubblico concorso� (art. 97 Cost), avendo come suo �scopo� quello 
di �scongiurare il rischio che attraverso la conversione di rapporti precari si 
possano incardinare rapporti a tempo indeterminato senza una programmazione 
del fabbisogno del personale e con il rischio di assumere un numero di persone 
maggiore di quanto possano consentire gli stanziamenti in bilancio� (78). 
A cosa varrebbe, vietare la conversione, per poi riconoscerne in fatto tutti 
gli effetti consequenziali? 
Di recente, la gi� criticata sentenza del Tribunale di Trapani n. 89/2013 
ha deciso in tal senso, con esiti, come si vedr� a breve, paradossali, condannando 
le Amministrazioni resistenti ad un risarcimento danni che dissimula 
una (vietata) conversione del rapporto in stabile. 
Il Tribunale, infatti, ha ritenuto che, nel contenzioso in esame: 
� �Vanno risarcite le diminuzioni patrimoniali scaturite �immediatamente 
e direttamente� dalla condotta (art. 1223 cc.), purch� siano �prevedibili� 
[art. 1225 c.c.] e non riconducibili a fatto colposo del danneggiato (art. 
1227 cc.)� (79), 
� �tutto il decremento patrimoniale subito dal danneggiato va risarcito, 
sia che la deminutio assuma la forma di un danno emergente sia che si tratti 
di lucro cessante� (80), 
� il ricorrente avrebbe dovuto essere stato assunto a tempo indeterminato, 
�dal momento che il posto occupato era vacante e disponibile� (81). 
Da tali premesse ha fatto discendere che �Il danno risarcibile collegato 
alla condotta illecita delle Amministrazioni resistenti, prevedibile e non riconducibile 
ad alcuna colpa del soggetto danneggiato, in definitiva, consiste 
in un lucro cessante di importo pari alle retribuzioni future [!], per il periodo 
compreso fra la cessazione del rapporto per effetto del termine illegittimo e 
la cessazione che lo stesso avrebbe avuto col raggiungimento dell�et� pensionabile 
da parte della ricorrente� (82). 
Il Tribunale, in sostanza, ha tramutato la condotta datoriale del MIUR, 
considerata illecita, in una fonte di ingiustificato arricchimento per il dipendente 
precario. 
Questi, da un lato, non ha diritto alla assunzione in ruolo (non avendo superato 
alcun pubblico concorso) e, tuttavia, viene ammesso a godere di tutti gli 
effetti di quello status; dall�altro, al contempo, � titolare, ove rimanga utilmente 
(78) Cfr. Trib. di Siena, Sez. lav. (dr. Delio Cammarosano), sent. del 27 settembre 2010 (rgl 
699/2009), pag. 9, 5� cpv.. 
(79) Cfr. sent., pag. 14, 1� cpv.. 
(80) Cfr. sent., pag. 14, 3� cpv.. 
(81) Cfr. sent., pag. 14, 4� cpv.. 
(82) Cfr. sent., pag. 15, punto B5, ult. cpv..
CONTENZIOSO NAZIONALE 187 
collocato in graduatoria, del diritto ad essere assunto a tempo determinato anno 
dopo anno, diritto che non spetta a tutti i laureati che, per ragioni di et�, non 
abbiano potuto frequentare, data la loro chiusura, le c.d. SSIS, e, pi� in generale 
non spetta a tutti coloro i quali non sono riusciti ad inserirsi nelle graduatorie 
provinciali prima che venissero chiuse e divenissero �ad esaurimento�. 
� dovere del giudice, nel momento in cui quantifica il danno, ipotizzare 
quale sarebbe stata la situazione in cui sarebbe versato il danneggiato ove non 
si fosse verificata la condotta illecita. 
Nel caso di specie, invece, il giudice ha, s�, ipotizzato quale sarebbe stata 
la migliore situazione del danneggiato, ma non qualora la condotta illegittima 
non si fosse verificata, bens� laddove si fosse applicata al posto dell�unica sanzione 
ammessa dalla legge (risarcimento) un�altra sanzione (la conversione), 
peraltro contraria a Costituzione e non pretesa dalle norme comunitarie! (83) 
Se la conversione non � sanzione comunitariamente imposta, richiedendosi 
piuttosto dalla CGUE solo che la sanzione, quale che sia, si presenti come efficace 
e dissuasiva, prevedere un risarcimento danno che conduca ad un�equiparazione 
totale, sul piano economico, tra il dipendente precario ed il dipendente 
di ruolo significa applicare una sanzione abnorme, in quanto contraria, nel senso 
predetto, alla Costituzione come al diritto comunitario in materia. 
La stessa sentenza del Trib. di Siena, Sez. lav., dr. Delio Cammarosano, 
poc�anzi citata, pur sfavorevole alla parte pubblica, sostiene che �Se l�ordinamento 
non contempla la trasformazione del rapporto a termine abusivamente 
utilizzato, invalido, la tutela risarcitoria stessa ragionevolmente non 
potr� ricalcare sia pure per equivalente la trasformazione vietata (comprendendo, 
in altre parole, le retribuzioni maturate dalla cessazione del rapporto 
fino alla domanda, o alla decisione, o alla ricostituzione del rapporto ad opera 
dell�Amministrazione)� (84). 
(83) Pi� ragionevole appare, allora, il criterio quantificativo del danno risarcibile indicato, ove si 
ravvisi in un caso concreto un abuso dei contratti a termine, dal Trib. di Teramo, Sez. lav. e previdenza, 
dr. Luigi Santini, nella cit. sent. n. 207 del 3 maggio 2012, depositata il 4 maggio 2012: �in ordine alla 
quantificazione di tale danno � il meccanismo pi� appropriato parrebbe quello riprodotto nei commi 
quarto e quinto dell'art. 18 Legge 20 Maggio 1970 n. 300, che prevede comunque delle obbligazioni 
collegate ad eventi specifici (il recesso illegittimo e l'esercizio dell'opzione per un'indennit� in vece 
della reintegrazione nel posto di lavoro), ma forfettizzare in modo da esplicare un'efficacia anche deterrente. 
Si tratta del resto dell�unico istituto attraverso il quale il legislatore ha inteso monetizzare il 
�valore del posto di lavoro� assistito dalla cosiddetta stabilit� reale, qual � quello alle dipendenze della 
pubblica amministrazione. Per le ragioni esposte, dovrebbe ritenersi che - commisurando il risarcimento 
al valore minimo (cinque mensilit� - art. 18 comma quarto) del danno provocato dall'intimazione del 
licenziamento invalido pi� la misura sostitutiva della reintegra (quindici mensilit� - art. 18 comma 
quinto) - si ottenga l'unica misura, contemplata dal nostro ordinamento, �che presenti garanzie effettive 
ed equivalenti di tutela del lavoratore� e che possa �essere applicata al fine di sanzionare debitamente 
tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto comunitario� (Corte giust. 4 luglio 
2006, C-212/04, Adeneler, par. 102)� (cfr. sent., pag. 22, 3� cpv.). 
(84) Cfr. Trib. di Siena, Sez. lav. (dr. Delio Cammarosano), sent. del 27 settembre 2010 (rgl 
699/2009), pag. 11, ult. cpv., a pag. 12, inizio.
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Peraltro, la liquidazione quale risarcimento danni dell�importo equivalente 
a tutte le somme che si sarebbero ricevute ove assunti a tempo indeterminato 
non � ammissibile non solo con riguardo agli artt. 81 e 97 Cost., ma, 
anche ed in primis, in relazione all�art. 3 Cost.. 
Infatti, come rilevato dalla giurisprudenza di merito: �il pi� favorevole 
trattamento stipendiale del personale scolastico a tempo indeterminato trova 
giustificazione proprio in talune indefettibili specificit� di sistema � e dei 
conseguenti doveri professionali, nonostante l�apparente uniformit� del contenuto 
delle prestazioni� (85). �Il peculiare sistema retributivo del personale 
assunto con contratto a tempo indeterminato [�] presuppone che il lavoratore 
risulti immesso nel ruolo organico dell�Amministrazione scolastica, all�esito 
non solo di un�apposita procedura concorsuale ma anche del positivo superamento 
di un congruo periodo di prova, cui s�accompagnano ulteriori, specifici, 
doveri, quali - ad esempio - quelli del trasferimento ne casi di eccedenza 
del personale e della disponibilit� in taluni periodi estivi per attivit� formative 
e altro; inoltre, l�Amministrazione scolastica ha il dovere di attenersi comunque 
all�ordine della graduatoria sulla base della quale il lavoratore a termine 
viene individuato, in applicazione di criteri predeterminati e automatici e in 
assenza di alcun margine di discrezionalit�, mentre questi non � sottoposto 
ad alcuna prova n� � tenuto a trasferirsi per eccedenza di personale o a rendersi 
disponibile nel periodo estivo, a differenza del docente o del collaboratore 
scolastico assunto a tempo indeterminato� (86). 
Conclusioni 
La sentenza ha, quindi, prestato ampia adesione all�orientamento giurisprudenziale 
favorevole al riconoscimento della conformit� sia alla Costituzione 
che alle norme comunitarie della disciplina sul reclutamento del 
personale scolastico. 
Tuttavia, ove si tengano presenti tutte le pregresse numerosissime pronunce 
favorevoli al personale scolastico, nel leggere questa sentenza della 
Corte di Cass. si avr� pi� di un motivo per ritenere che essa non abbia risolto 
in modo chiaro e definitivo tutte le questioni poste dal contenzioso in esame. 
Se � vero, infatti, che sono numerosi i principi e le affermazioni favorevoli 
alla pubblica difesa, tuttavia, essi non sono stati tutti supportati da una motivazione 
idonea a contestare con l�efficacia desiderabile alcuni tra i pi� suggestivi 
argomenti pro precari posti a sostegno delle precedenti pronunce 
sfavorevoli delle corti di merito. 
(85) Cfr. Trib. di Campobasso, Sez. lav., dott.sa Laura Scarlatelli, sent. n. 698/2012 del 6 novembre 
2012, pag. 21, 2� periodo. 
(86) Cfr. Trib. di Campobasso, Sez. lav., dott.sa Laura Scarlatelli, sent. n. 698/2012 del 6 novembre 
2012, pag. 20, ult. periodo, fino a pag. 21.
CONTENZIOSO NAZIONALE 189 
Non solo. In cauda venenum. 
La sentenza, nella sua parte conclusiva lascia intendere che sussisterebbe 
un diritto dei precari a percepire gli scatti retributivi per i �periodi lavorati�, 
cos� gettando nuova benzina sul fuoco di un contenzioso che non accenna ad 
esaurirsi e favorendone un�evoluzione in senso sostanzialmente peggiorativo 
per la pubblica difesa. 
La sentenza, infatti, si � pronunciata davvero in modo chiaro e netto solo 
su un profilo del contenzioso in esame che, tuttavia, gi� prima di essa, non risultava 
particolarmente problematico o preoccupante per la pubblica difesa, 
vale a dire quello della convertibilit� di un rapporto di lavoro presso la P.A. 
da precario in stabile. 
Infatti, gi� prima della sentenza solo un numero limitato delle pronunce 
di merito favorevoli alle istanze del personale precario ammetteva la stabilizzazione 
del rapporto quale sanzione per la lamentata reiterazione dei contratti 
a termine, mentre la gran parte delle altre pronunce favorevoli ai precari si dividevano 
in due macro gruppi: un primo, premesso l�abuso della contrattazione 
a termine, accoglieva le domande risarcitorie, un secondo, pur negando 
l�abuso, riteneva, tuttavia, che il precario sotto il profilo economico non dovesse 
subire una disparit� di trattamento rispetto al personale stabile incaricato 
di mansioni oggettivamente identiche. 
Ebbene, l�incauto e fraintendibile obiter dictum, la quasi totale sottovalutazione 
del profilo pi� insidioso della lamentata condotta statuale (il supposto 
abuso dello Stato/P.A.), nonch� la sottovalutazione altrettanto significativa del 
correlativo insopprimibile problema probatorio fanno s� che questa sentenza 
della S.C. non mancher� di deludere chi abbia creduto in essa sciolti tutti i 
nodi di questo complicato ed annoso contenzioso. 
In ogni caso, come si � in precedenza dimostrato, alle domande lasciate 
aperte dalla S.C. ha risposto la giurisprudenza di merito, con maggior senso 
di realismo: i criteri dalla stessa tracciati quanto alla soluzione del problema 
di riparto probatorio e le ragioni poste a fondamento della legittimit� di una 
diversit� di trattamento economico tra personale precario e stabile potranno 
essere adoperate dalla pubblica difesa per contrastare i possibili attacchi che, 
� prevedibile, saranno avanzati alla commentata sentenza della S.C., facendo 
leva sui relativi esposti punti deboli. 
Tuttavia, in questo contenzioso, valgono pi� che mai, con riferimento 
anche al ruolo dell�Avvocato e non solo a quello del giudice, le seguenti osservazioni 
del Trib. di Fermo, Sez. lav. (dott. Camillo Cozzolino) formulate nella 
sent. n. 154/2011 del 16 agosto 2011: �� ove si volesse accedere alla tesi dell�abuso� 
conseguenza inevitabile sarebbe la sopportazione di un sovradimensionamento 
delle risorse finanziarie da destinare al fine di adeguare le risorse 
di personale docente, amministrativo, tecnico ed ausiliario, alle mutevoli, ed 
anche contingenti, esigenze della funzione scolastica ed educativa mediante
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
continue immissioni in ruolo e continue assunzioni con concorso pubblico, con 
evidenti pesanti conseguenze, tra cui rileva in particolare, una sicura condizione 
di �eccedentariet��, foriere di disfunzioni di non poco conto, sicch� 
spetta, non al giudice, il quale, come si sa, non fa leggi, ma applica la legge 
(art. 101 Cost.), bens� al legislatore trovare, superati gli intuibili ostacoli contro 
cui si infrange ogni iniziativa che rispetti l�esigenza di una sana e responsabile 
attivit� di governo del paese, la soluzione pi� idonea che assimili il rapporto 
di lavoro alle dipendenze della scuola con la generalit� dei rapporti di lavoro 
alle dipendenze delle altre pubbliche amministrazioni� (87). 
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 20 giugno 2012 n. 10127 - Pres. Guido Vidiri, 
Rel. Giuseppe Napoletano, P.M. Costantino Fucci (difforme) - A.L. (avv. Massimo Pistilli) 
c. Min. Istruzione, Universit� e Ricerca (avv. gen. Stato). 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
1. La Corte di Appello di Perugia, riformando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda 
di A.L., proposta nei confronti del Ministero dell'Istruzione, dell'Universit� e della Ricerca, avente 
ad oggetto la conversione in contratto a tempo indeterminato della successione dei contratti a 
tempo determinato in precedenza stipulati con il detto Ministero per lo svolgimento di mansioni 
inerenti il settore scolastico ovvero, in via subordinata, la condanna del prefato Ministero al risarcimento 
del danno subito da quantificarsi in Euro 5000,00 per ogni anno di lavoro svolto. 
2. La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, premesso che il complesso 
della normativa regolante i contratti a termine del comparto scolastico - costituita in particolare 
dal D.Lgs. n. 297 del 1994 e dalla L. n. 124 del 1999 e da tutte le successive fonti regolamentari 
e collettive - non era stato abrogato o modificato, stante la sua specialit�, dal D.Lgs. n. 
165 del 2001 (norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche 
amministrazioni) e dal D.Lgs. n. 368 del 2001 (disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), 
riteneva che il divieto di conversione del contratto a tempo determinato stabilito 
- D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 36, comma 2, - in via generale per il pubblico impiego operava 
anche per lo specifico settore della scuola. 
Tale divieto, secondo la Corte territoriale, trovava giustificazione nella riserva sancita, dall'art. 
97 Cost., comma 2, dell'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazione mediante concorso 
che non contrastava con la disciplina comunitaria contenuta nella direttiva del Consiglio 
dell'Unione Europea del 28 giugno 1999 n. 70 - emanata in attuazione dell'accordo quadro 
sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 - non prevedendo tale accordo, 
quale unica sanzione dell'illegittima successione di contratti a termine, la conversione del rapporto 
a tempo indeterminato. 
3. Tanto premesso la Corte di Appello rilevava che, stante la ritenuta inapplicabilit� della disciplina 
di cui al citato D.Lgs. n. 368 del 2001, oggetto dell'indagine era quello di accertare 
se la Pubblica Amministrazione, nella stipulazione di una serie di contratti di lavoro, aveva 
(87) Cfr. sent. cit., pag. 11, ultimo periodo, fino a pag. 12.
CONTENZIOSO NAZIONALE 191 
dato luogo ad un abuso dello strumento delle assunzioni a termine con conseguente diritto 
del lavoratore, alla stregua della richiamata direttiva, al risarcimento del danno. 
4. L'indagine, secondo la Corte territoriale, portava ad escludere un tale abuso. Infatti, osservava 
la predetta Corte, da un punto di vista generale era indubitabile che le assunzioni a tempo determinato 
nel settore scolastico, tenuto conto delle ragioni del contenimento della spesa pubblica, 
erano finalizzate ad assicurare, a fronte di una certa variabilit� del numero degli utenti, la costante 
erogazione del servizio scolastico. Ma anche avuto riguardo alla disciplina del settore, per la 
Corte del merito, doveva escludersi un abuso del ricorso ai contratti a termine. Invero, precisava 
la Corte distrettuale, il ricorrente aveva avuto supplenze annuali su organico di fatto - ossia posti 
non vacanti ma di fatto disponibili -, seguite, con intervallo di due mesi, da supplenze temporanee 
in sostituzione di personale assente, cui erano succedute, infine, supplenze su organico di diritto 
- cio� posti disponibili e vacanti - espletate presso molteplici scuole. 
5. Per inciso, annotava la Corte di appello, si trattava, comunque, di contratti stipulati ai sensi 
di specifica disciplina che conteneva in s� l'enunciazione, sia pure con una valutazione compiuta 
ex ante, delle ragioni organizzative poste a fondamento dell'assunzione. 
Pertanto, anche in ipotesi di applicabilit� del D.Lgs. n. 368 del 2001 non poteva ritenersi l'illegittimit� 
delle assunzioni per l'omessa indicazione delle ragioni organizzative, tecniche e 
produttive che erano destinate a soddisfare. 
6. Nessun abuso, in particolare, secondo la Corte del merito, era configurabile rispetto alle 
assunzioni per la sostituzione di personale assente per malattia o altra causa, con diritto alla 
conservazione del posto di lavoro, e con riguardo alle supplenze su organico di fatto, giacch� 
le esigenze da soddisfare erano effettivamente contingenti ed imprevedibili e tali di per s� da 
far escludere una condotta abusiva. 
7. Analogamente la Corte territoriale escludeva la configurabilit� di qualsivoglia abuso con 
riferimento alle assunzioni per supplenze su organico di diritto e tanto in considerazione, e 
delle ragioni obiettive sottese a tali assunzioni, e della circostanza che ciascun incarico era 
svincolato dai precedenti, di cui non costituiva n� proroga n� prosecuzione, non senza tener 
conto che l'amministrazione non poteva scegliere liberamente il lavoratore con cui stipulare 
il contratto dovendosi attenere alle graduatorie permanenti provinciali per gli incarichi su organico 
di diritto, o, per le supplenze su organico di fatto o temporaneo, alle graduatorie interne 
o d'istituto. 
8. Avverso questa sentenza A.L. ricorre in cassazione sulla base di due censure, specificate 
da memoria. 
9. Resiste con controricorso il Ministero intimato che deposita, altres�, memoria illustrativa. 
MOTIVI DELLA DECISIONE 
10. Con la prima censura il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del considerando 
n. 16, dell'art. 2, della Direttiva del Consiglio Ce 1999/70/CE del 28 giugno 1999; nonch� 
del preambolo (commi 2, 3 e 4, dei punti 6,7,10 delle considerazioni generali, della 
clausola 1, letta B), della clausola 2, punto 1), della clausola 5, punto 1), dell'Accordo Quadro 
CES-UNICE- CEEP sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, recepito ed allegato 
alla Direttiva Comunitaria 1999/70/CE; ed, infine, del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 4,5 
(commi 4 e 4 bis), 10, 11, anche in combinato disposto con la L. 4 giugno 1999 n. 124, art. 4. 
11. Sostiene il ricorrente che la L. n. 124 del 1999 sui contratti a termine del comparto scuola 
� stata, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, abrogata dal D.Lgs. n. 368 
del 2001 sui contratti a termine essendo la prima disciplina incompatibile con la seconda e
192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
non rientrando la L. n. 124 tra quelle menzionate nel D.Lgs. n. 368, art. 10. 
12. Argomenta, poi, il ricorrente che, comunque, la menzionata L. n. 124 del 1999 non � conforme 
al diritto comunitario e tanto, tra l'altro, in considerazione del rilievo che l'Amministrazione 
� perfettamente a conoscenza delle proprie esigenze di organico, sicch� non vi sono 
ragioni obiettive per la giustificazione dei rinnovi dei contratti a termine, n� limitazioni alle 
ripetizioni atteso che i posti sono dichiaratamente vacanti. 
13. Richiama, inoltre, il ricorrente le sentenze M. e V. relative ai contratti a termine del comparto 
sanit� nonch� A.. 
14. Sottolinea che nel comparto scuola sono possibili reiterazioni ventennali e addirittura trentennali. 
15. Contesta, infine, il ricorrente la ritenuta imprevedibilit� delle esigenze e chiede porsi questione 
pregiudiziale alla Corte di Giustizia in punto di compatibilit� tra la disciplina nazionale 
di cui alla L. n. 124 del 1999 e la Direttiva Comunitaria denunciata. 
16. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 
30 marzo 2001, n. 165, art. 36, anche in relazione al considerando n. 16, dell'art. 2, della Direttiva 
del Consiglio Ce 1999/70/CE del 28 giugno 1999; nonch� del preambolo (commi 2, 3 e 4, dei 
punti 6,7,10 delle considerazioni generali, della clausola 1, letta B), della clausola 2, punto 1), 
della clausola 5, punto 1), dell'Accordo Quadro CES-UNICE- CEEP sul lavoro a tempo determinato 
del 18 marzo 1999, recepito ed allegato alla Direttiva Comunitaria 1999/70/CE; nonch� 
ancora del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 4, art. 5, commi 4 e 4 bis), artt. 10, 11. 
17. Deduce, in sintesi, il ricorrente a supporto del motivo in esame - ed a confutazione della 
tesi espressa dalla Corte del merito circa l'inapplicabilit� nel settore pubblico della conversione 
del contratto a tempo indeterminato in caso di abuso del ricorso ad assunzioni a termine - che 
questa Corte di cassazione con sentenza n. 9555 del 2010 ha applicato - nel caso di dipendenti 
INAIL addetti alla custodia di stabili - la sanzione della conversione. 
18. I due motivi, in quanto strettamente connessi dal punto di vista logico-giuridico, vanno 
trattai unitariamente. 
19. Rileva, preliminarmente, la Corte che deve ritenersi oramai, principio di diritto vivente, 
nella giurisprudenza di legittimit�, l'affermazione secondo la quale il D.Lgs. n. 165 del 2001 
riconosce la praticabilit� del contratto a termine e di altre forme negoziali flessibili nel rapporto 
di lavoro pubblico valorizzando il ruolo della contrattazione collettiva con l'attribuire alla 
stessa di una pi� accentuata rilevanza rispetto al passato e prevede, in caso di violazione di 
norme imperative in materia, un proprio e specifico regime sanzionatorio costituito dal diritto 
del lavoratore al risarcimento del danno (Cass. 20 marzo 2012 n. 4417, Cass. 31 gennaio 2012 
n. 392, Cass. 15 giugno 2010 n. 14350 e Cass. 7 maggio 2008 n. 11161). 
20. Principio quest'ultimo non contrastante con la direttiva 1999/70/CE, in quanto idoneo a 
prevenire e sanzionare l'utilizzo abusivo dei contratti a termine da parte della pubblica amministrazione 
e che � consequenziale alla configurazione come regolamentazione speciale ed 
alternativa a quella prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001 relativa alla disciplina generale del 
contratto a termine (per tutte V. ordinanza 1 ottobre 2010, causa C-3/10, Affatato, punto 40, 
e giurisprudenza comunitaria conforme ivi richiamata, secondo cui la clausola 5 dell'accordo 
quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso 
abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda 
che tali contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o 
con un datore di lavoro del settore pubblico). 
21. Nella materia di cui trattasi, invero, tale speciale regolamentazione propria del settore
CONTENZIOSO NAZIONALE 193 
pubblico non pu� ritenersi abrogata da quella stabilita in via generale dal richiamato D.Lgs. 
n. 368 del 2001 stante l'immanenza della regola lex posterior generalis non derogat legi priori 
speciali (Cass. 31 gennaio 2012 n. 392 cit.). 
22. N� contrasta con siffatto principio il precedente di questa Corte, di cui alla sentenza del 
22 aprile 2010 n. 9555, secondo il quale la deroga alla sanzione della conversione del contratto 
a termine in rapporto a tempo indeterminato, prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, trova applicazione 
per i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni diversi da quelli di vigilanza 
e custodia. 
23. Tale asserzione, infatti, si basa fondamentalmente sulla considerazione che, come gi� sancito 
da questa Corte (sent. 3 agosto 1990 n. 7774), il rapporto fra l'INAIL ed i portieri addetti 
alla vigilanza e custodia di edifici di propriet� del primo, pur essendo di pubblico impiego, � 
disciplinato, nel suo contenuto, da un contratto collettivo di natura privatistica che lo sottrae 
all'operativit� della legge sul parastato (n. 70 del 1975), per effetto del successivo D.P.R. n. 
411 del 1976, che disciplina il rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici e non sul 
presupposto secondo cui la relativa instaurazione non avviene mediante pubblico concorso e 
neppure tramite particolari procedure selettive. Quest' ultimo rilevo, invero � utilizzato, nella 
struttura argomentativa della Corte, al solo fine di rafforzare la rilevata regolamentazione sostanzialmente 
"privatistica", del rapporto in parola. 
23. D'altro canto il giudice delle leggi, nella sentenza 27 marzo 2003 n. 89, nel giudicare la 
norma di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 cit., art. 36, comma 2, conforme ai parametri costituzionali, 
sanciti dagli artt. 3 e 97 Cost., ha sottolineato che il principio dell'assunzione dei pubblici 
dipendenti mediante concorso, posto a presidio delle esigenze di imparzialit� e buon 
andamento dell'amministrazione, rende di per s� palese la non omogeneit� delle situazioni 
poste a confronto e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme 
imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego dei lavoratori da parte della P.A. conseguenze 
di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione in rapporto a tempo indeterminato 
prevista per i lavoratori privati. N� la scelta operata dal legislatore, ha sottolineato 
il predetto giudice, contrasta con il canone della ragionevolezza, in quanto la stessa norma 
costituzionale individua appunto nel concorso lo strumento di selezione del personale, in linea 
di principio, pi� idoneo a garantire l'imparzialit� e l'efficienza della P.A. Del resto, mirando 
il concorso a selezionare tra i concorrenti quelli che possiedono in misura maggiore i requisiti 
attitudinali e professionali richiesti, non � irragionevole la norma che tuteli i vincitori in modo 
diverso dai concorrenti che, pur non essendone privi, tuttavia non hanno dimostrato di possedere 
un uguale grado di preparazione. 
24. Tanto precisato osserva il Collegio che, per quanto attiene il comparto della scuola, il 
citato D.Lgs. n. 165 del 2001 sancisce, all'art. 70, comma ottavo, che "Sono fatte salve le procedure 
di reclutamento del personale della scuola di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 e 
successive modificazioni ed integrazioni". 
25. Da ci� consegue, sulla base coordinamento delle previsioni di cui al richiamato D.Lgs. n. 
165 del 2001, che il sistema del reclutamento del personale della scuola, di cui al D.Lgs. n. 
297 del 1994 e successive modificazioni ed integrazioni, � escluso dall'ambito di applicazione 
della normativa dei contratti a termine prevista per i lavoratori privati. 
26. Rilevano, in particolare, ai fini di cui trattasi, la prima parte dell'art. 2, comma 2 - il quale 
stabilisce che "I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati 
dalle disposizioni del capo 1, titolo 2, del libro 5 del codice civile e dalle leggi sui rapporti 
di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel
194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
presente decreto" -, e l'art. 36 - il quale, come detto, riconosce la praticabilit� del contratto a 
termine e di altre forme negoziali flessibili nel rapporto di lavoro pubblico rimettendo ai contratti 
collettivi nazionali la previsione della relativa disciplina "in applicazione di quanto previsto 
dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dal D.L. 30 
ottobre 1984. n. 726, art. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 1984, n. 863, 
dal D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 16, convertito con modificazioni, dalla L. 19 luglio 
1994, n. 451, dalla L. 24 giugno 1997, n. 196, nonch� da ogni successiva modificazione o integrazione 
della relativa disciplina"-. 
27.Tanto determina che la disciplina sul reclutamento del personale assunto a termine del cd. settore 
scolastico, ex D.Lgs. n. 297 del 1994, non pu� ritenersi abrogata dal D.Lgs. n. 368 del 2001. 
28. Quest'ultimo provvedimento legislativo, infatti, costituisce una "successiva" modificazione 
o integrazione della disciplina sul contratto a termine in generale rispetto alla quale vi � la 
specifica e generale previsione di esclusione, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 70, ex comma 
8, che vale a conferire, altres�, alla normativa relativa al reclutamento in parola il connotato 
di specialit� rispetto alla legge in generale, s� da escluderne ogni incidenza da parte di successivi 
interventi legislativi di tal genere. 
29. Ci�, tra l'altro, corrisponde al principio, immanente del nostro ordinamento giuridico secondo 
il quale lex posterior generalis non derogat legi priori speciali (V. per tutte Cass. 31 
gennaio 2012 n. 392 cit.). 
30. N� pu� sottacersi al riguardo che la gi� evidenziata specialit� della normativa sul reclutamento 
del personale nel settore della scuola che giustifica - come rilevato - la sua assoluta 
"impermeabilit�" alla disciplina del D.Lgs. n. 368 del 2001, si manifesta anche con riferimento 
a tutti i restanti settori della pubblica amminis trazione, nei quali i contratti di lavoro a termine 
assumono caratteri differenziati da quelli riscontrabili nell'ambito del personale scolastico, 
in cui le peculiari finalit� ad essi sottese - oltre ad escludere la conversione a tempo 
indeterminato - portano ad escludere la stessa configurabilit� di un abuso del diritto nei termini 
patrocinati dal ricorrente. 
31. A diverse conclusioni non pu� indurre neanche il D.L. n. 70 del 2011, art. 9 convertito in 
L. n. 106 del 2011, il quale, con il comma 18, ha aggiunto, al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, 
il comma 4 bis secondo il quale: "Stante quanto stabilito dalle disposizioni di cui alla L. 27 
dicembre 1997, n. 449, art. 40, comma 1, e successive modificazioni, alla L. 3 maggio 1999, 
n. 124, art. 4, comma 14 bis, e al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 6, comma 5, sono altres� 
esclusi dall'applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il 
conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessit� di garantire 
la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza 
temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed 
anche determinato. In ogni caso non si applica l'art. 5, comma 4 bis, del presente decreto". 
32. Trattasi, invero, di esplicitazione di un principio che, in quanto gi� enucleabile, alla stregua 
di quanto in precedenza rimarcato, dal precedente sistema, non ha comportato alcuna innovazione 
e risponde, piuttosto, all'esigenza, avvertita dal legislatore, di ribadire, a fronte del proliferare 
di controversie sulla illegittimit� delle assunzioni a termine nel settore in parola, di una 
regula iuris gi� insita nella legislazione concernente la cd. privatizzazione del pubblico impiego. 
33. E che il suddetto art. 9 non pu� che aver valore d'interpretazione autentica, per rendere 
chiaro ed espresso quello che s� evinceva dal precedente sistema normativo, deve ritenersi 
certo perch� se si dovesse diversamente interpretare, nel senso di consentire la conversione 
del contratto a termine in contratto a tempo determinato con il conseguente riconoscimento
CONTENZIOSO NAZIONALE 195 
del risarcimento dei danni, si finirebbe per legittimare una totale disapplicazione del D.Lgs. 
n. 165 del 2001 con riferimento al personale della scuola. 
34. Per di pi� si determinerebbe una violazione dei criteri di efficienza per incidere sugli organici 
del personale della scuola e sulla complessa amministrazione del settore e, conseguentemente, 
penalizzando il merito e gli altri principi posti a fondamento del rapporto di pubblico 
impiego, nel cui ambito va collocato (con riferimento alle finalit� perseguite dalle disposizioni 
di cui al citato D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 4, 5 e 10) il detto personale. 
Ed, infine, si finirebbe per attribuire illogicamente alla suddetta norma una portata priva di razionalit� 
ed al di fuori di una logica di sistema. Nel momento in cui attraverso il collegato lavoro 
(di cui alla L. 4 novembre 2010 n. 183), si andava ad incidere in senso riduttivo sul risarcimento 
del danno nello stesso tempo si sarebbe, infatti, esposta la pubblica amministrazione ad uno sforamento 
di bilancio, assicurando al personale della scuola un trattamento diverso e, sotto pi� 
versanti, maggiormente favorevole rispetto agli altri dipendenti pubblici, sia sul piano delle condizioni 
della trasformazione in contratto a tempo indeterminato, sia su quello risarcitorio (cfr. 
Cass. 29 febbraio 2012 n. 3056, sulla interpretazione dello ius supervenines L. n. 183 del 2010, 
ex art. 32, commi, 5, 6, 7 sebbene la stessa riconosca che il risarcimento configuri una sorta di 
penale ex lege da assicurarsi in ogni caso e senza necessit� di prova del lavoratore). 
35. Tanto precisato mette conto di rilevare che lo speciale regime del reclutamento del personale 
scolastico cd. precario si articola in un sistema di supplenze regolato dalla L. n. 124 del 
1999 cit., art. 4, che ai primi tre commi, testualmente, dispone: "1. Alla copertura delle cattedre 
e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 
31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, qualora non 
sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali 
o mediante l'utilizzazione del personale in soprannumero, e semprech� ai posti medesimi non 
sia stato gi� assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento 
di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione 
di personale docente di ruolo. 2. Alla copertura delle cattedre e dei posti di 
insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e 
fino al termine dell'anno scolastico si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee 
fino al termine delle attivit� didattiche. Si provvede parimenti al conferimento di supplenze 
temporanee fino al termine delle attivit� didattiche per la copertura delle ore di 
insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario. 3. Nei casi diversi da 
quelli previsti ai commi 1 e 2 si provvede con supplenze temporanee". 
36. I criteri in base ai quali sono conferite le supplenze annuali sono precisati dai successivi 
commi 6 e 7 i quali stabiliscono, ai fini dei successivi regolamenti da adottarsi con D.M.- poi 
emanati con i D.M. n. 201 del 2000, D.M. n. 131 del 2007 e D.M. n. 430 del 2000 -, rispettivamente, 
che: "per il conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze temporanee sino 
al termine delle attivit� didattiche si utilizzano le graduatorie permanenti di cui all'art. 401 
del testo unico,come sostituito dall'art. 1, comma 6 della presente legge" (comma 6); "per il 
conferimento delle supplenze temporanee di cui al comma 3 si utilizzano le graduatorie di 
circolo o di istituto. I criteri, le modalit� e i termini per la formazione di tali graduatorie sono 
improntati a principi di semplificazione e snellimento delle procedure con riguardo anche all'onere 
di documentazione a carico degli aspiranti" (comma 7). 
37. L'art. 399 del T.U., di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, cos� come modificato dalla L. n. 124 
del 1999, rubricato "Accesso ai ruoli", poi, testualmente dispone, ai primi due commi, che: 
"1. L'accesso ai ruoli del personale docente della scuola materna,elementare e secondaria, ivi
196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, ha luogo, per il 50 per cento dei posti a tal fine annualmente 
assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, 
attingendo alle graduatorie permanenti di cui all'art. 401. 2. Nel caso in cui la graduatoria di 
un concorso per titoli ed esami sia esaurita e rimangano posti ad esso assegnati, questi vanno 
ad aggiungersi a quelli assegnati alla corrispondente graduatoria permanente. Detti posti vanno 
reintegrati in occasione della procedura concorsuale successiva". 
38. Ed ancora l'art. 401 - rubricato "graduatorie permanenti" stabilisce ai primi due commi che: 
"1. Le graduatorie relative ai concorsi per soli titoli del personale docente della scuola materna, 
elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, sono trasformate in graduatorie 
permanenti, da utilizzare per le assunzioni in ruolo di cui all'art. 399, comma 1. 
2. Le graduatorie permanenti di cui al comma 1 sono periodicamente integrate con l'inserimento 
dei docenti che hanno superato le prove dell'ultimo concorso regionale per titoli ed 
esami, per la medesima classe di concorso e il medesimo posto, e dei docenti che hanno chiesto 
il trasferimento dalla corrispondente graduatoria permanente di altra provincia. Contemporaneamente 
all'inserimento dei nuovi aspiranti � effettuato l'aggiornamento delle posizioni di 
graduatoria di coloro che sono gi� compresi nella graduatoria permanente". La L. n. 296 del 
2006, art. 1, comma 605, lett. e), ha, infine, trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie 
ad esaurimento. 
39. Da questo articolato normativo emerge, innanzitutto, che il legislatore ha mantenuto, per 
quanto attiene il reclutamento del personale, il ed sistema del doppio canale (V. per la disciplina 
previgente il D.L. n. 357 del 1989, convertito in L. n. 417 del 1989, nonch� la L. n. 1074 
del 1971, L. n. 477 del 1973, L. n. 463 del 1978, L. n. 270 del 1982, L. n. 326 del 1984, e L. 
n. 246 del 1988) in virt� del quale l'accesso ai ruoli avviene per il 50 per cento de posti mediante 
concorso per titoli ed esami (D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 399) e, per il restante 50 per 
cento, attingendo dalle graduatorie permanenti (D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 400 cit.). 
40. Scopo di tali graduatorie permanenti � quello precipuo, come rilevato dalla Corte Costituzionale 
nella sentenza n. 41 del 2011, d'individuare i docenti cui attribuire le cattedre e le 
supplenze secondo il criterio di merito al fine di assicurare la migliore formazione scolastica. 
41. N� il sistema di reclutamento in parola si pone in contrasto con l'art. 97 Cost., disponendo 
questo, al comma 3 che "Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante 
concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge" (V. Corte cost. n. 89 del 2003 cit.). 
42. Emerge, altres�, dal contesto normativo in esame, che il sistema delle graduatorie permanenti 
- ora ad esaurimento - � funzionalizzato non solo alla garanzia della migliore formazione 
scolastica, ma anche al rispetto della posizione acquisita in graduatoria la quale, progredendo 
anche in relazione all'assegnazione delle supplenze (V. D.M. citati in particolare il n. 201 del 
2000), garantisce l'immissione in ruolo. 
43. In altri termini il conferimento dell'incarico di supplenza, specie quello annuale, � il veicolo 
attraverso il quale l'incaricato si assicura l'assunzione a tempo indeterminato in quanto, man 
mano che gli vengono assegnati detti incarichi, la sua collocazione in graduatoria avanza e, 
quindi, gli permette l'incremento del punteggio cui � correlata l'immissione in ruolo ex art. 
399 del T.U. di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994 cit.. 
44. Inoltre, ed � bene sottolinearlo, la formazione della graduatoria permanente ovvero di circolo 
o istituto � ancorata a rigidi criteri oggettivi (D.M. citati in precedenza ed in particolare 
il D.M. n. 201 del 2000) che costituiscono attuazione, come sottolineato da questa Corte (sent. 
22 marzo 2010 n. 6851), del principio generale secondo il quale l'assunzione dei dipendenti 
pubblici, anche non di ruolo, deve avvenire secondo procedure sottratte alla discrezionalit�
CONTENZIOSO NAZIONALE 197 
dell'amministrazione (art. 97 Cost., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, la cui violazione � sanzionata 
con la nullit� del contratto di lavoro (Cfr.: Cass. 7 maggio 2008, n. 11161). 
45. Il sistema delle supplenze in parola rappresenta, pertanto, sotto il profilo in esame, un percorso 
formativo-selettivo, volto a garantire la migliore formazione scolastica, attraverso il 
quale il personale della scuola viene immesso in ruolo in virt� di un sistema alternativo a 
quello del concorso per titoli ed esami e vale a connotare di una sua intrinseca "specialit� e 
completezza" il corpus normativo relativo al reclutamento del personale scolastico. 
46. N� pu� sottacersi come il sistema in esame risponda anche all'esigenza di parametrare 
nella scuola una flessibilit� in entrata che comporta una situazione di precariet�, bilanciata, 
per�, ampiamente da una sostanziale e garantita (anche se in futuro) immissione in ruolo che, 
per altri dipendenti del pubblico impiego � ottenibile solo attraverso il concorso e per quelli 
privati pu� risultare di fatto un approdo irraggiungibile. Ci� ha portato autorevole dottrina a 
parlare nella materia scrutinata di una tipologia di flessibilit� atipica destinata a trasformarsi 
in una attivit� lavorativa stabile. 
47. Per di pi� a tale sistema di reclutamento non sono certo estranee indifferibili esigenze di 
carattere economico che impongono - in una situazione di generale crisi economica e di deficit 
di bilancio facenti parte del notorio - risparmi doverosi per riscontrarsi nel sistema di reclutamento 
in esame, come detto, una seria prospettiva del riconoscimento di un lavoro a tempo 
indeterminato pur in assenza di alcuna legge di carattere costituzionale o comunitario capace 
di garantire, anche in presenza di un effettivo abuso di successione di contratti a termine, un 
rapporto a tempo indeterminato e pur avendo la Corte Costituzionale reiteratamente affermato 
che "resta affidata alla discrezionalit� del legislatore la scelta dei tempi e dei modi di attuazione 
della garanzia del diritto al lavoro" (tra le altre, sentenza 13 ottobre 2000 n. 419 e pi� di recente 
Corte Cost. 9 novembre 2011 n. 303). 
48. E nella stessa direzione � opportuno da un lato rimarcare che - come ha osservato il giudice 
delle leggi - la politica del reclutamento del personale presso le amministrazioni dello Stato 
� dettata in conformit� del contenimento della spesa pubblica perch� l'assunzione di nuovo 
personale e le disponibilit� economiche dello Stato devono adeguarsi al "principio di coordinamento 
della finanza pubblica" Cfr. Corte Cost. 17 dicembre 2004 n. 300), e dall'altro ricordare 
che, come � noto, la giurisprudenza comunitaria ha pi� volte evidenziato che nella 
determinazione della portata applicativa delle direttive un accentuato rilievo va dato alle esigenze 
di bilancio degli stati membri. 
49. Sotto diverso profilo mette conto, poi, di annotare che il sistema in esame �, altres�, oggettivamente 
funzionalizzato alla esigenza di sopperire alla necessit� della copertura dei posti di 
insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre 
(L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 1 cit.), ovvero alla copertura dei posti di insegnamento non 
vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre (L. n. 124 del 1999, 
art. 4, comma 2 cit.), ovvero ancora ad altre necessit� quale quella di sostituire personale assente 
con diritto alla conservazione del posto di lavoro (L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 3 cit.). 
50. Tanto in ragione, fatte salve le "altre necessit�", della discrasia tra l'organico di fatto - ossia 
quello che si forma all'interno dell'Istituto scolastico all'inizio dell'anno scolastico e a seguito della 
popolazione scolastica che risulta iscritta - e l'organico di diritto -costituito dall'insieme del corpo 
docente e/o del personale ATA che il Ministero assegna ad un determinato Istituto scolastico in 
base alla popolazione scolastica che istituzionalmente dovrebbe essere iscritta presso quell'istituto. 
51. Risulta confermato, pertanto, che il descritto quadro normativo rappresenta un insieme di 
fonti che valgono, per la loro completezza, organicit� e funzionalizzazione, a costituire un corpus
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
speciale autonomo disciplinante la materia del reclutamento del personale in ordine al quale, 
non trovando applicazione, come innanzi rilevato, il D.Lgs. n. 368 del 2001 - emanato in attuazione 
della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso 
dall'UNICE, dal CEEP e dal CES - va verificata la conformit� alla detta direttiva. 
52.A tal fine va tenuto conto che, secondo giurisprudenza comunitaria, nell'applicare il diritto 
interno, i giudici nazionali devono interpretarlo, per quanto possibile, alla luce del testo e 
dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest'ultima e conformarsi, 
pertanto, all'art. 249, comma 3, CE (V., sentenza 5 ottobre 2004, cause riunite da C 
397/01 a C 403/01, Pfeiffer e a., punto 113, e giurisprudenza ivi citata, nonch� sentenza 4 luglio 
2006 C-212/04, Adeneler, punto 108). 
53. Non senza considerare che tale obbligo di interpretazione conforme riguarda l'insieme 
delle disposizioni del diritto nazionale, sia anteriori sia posteriori alla direttiva di cui trattasi 
(V., �n particolare, sentenze 13 novembre 1990, causa C 106/89, Marleasing, punto 8, e Pfeiffer 
e a., cit., punto 115). 
54. Tanto precisato deve ribadirsi, in primo luogo, che l'accordo quadro - di cui alla Direttiva 
del Consiglio Ce 1999/70/CE del 28 giugno 1999 non stabilisce le condizioni precise in base 
alle quali si pu� far ricorso al contratto a tempo determinato. 
55. �, infatti, sancita soltanto l'adozione, qualora il diritto nazionale non preveda norme equivalenti, 
di almeno una delle misure in essa enunciate, che attengono, rispettivamente, a ragioni 
obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima 
totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi 
ultimi, pur restando fermo che gli Stati membri sono tenuti, in generale, nell'ambito della libert� 
che viene loro riservata dall'art. 249, comma 3, Trattato CEE, a scegliere le forme e i 
mezzi idonei al fine di garantire l'efficacia pratica delle direttive (V. sentenza 4 luglio 2006 
C-212/04, Adeneler cit. punto 65 e sentenza 26 gennaio 2012 C-586/10 Kucuk punto 26 e 
giurisprudenza ivi citata, nonch�: Cass. 21 maggio 2008 n. 12985). 
56. Secondo conforme giurisprudenza comunitaria la nozione di "ragioni obiettive", ai sensi 
della clausola 5, punto 1, lett. a), dell'accordo quadro, deve essere intesa nel senso che si riferisce 
a circostanze precise e concrete caratterizzanti una determinata attivit� e, pertanto, tali 
da giustificare in questo particolare contesto l'utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato 
successivi. 
57. Tali circostanze possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni 
per l'espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti 
a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalit� di politica sociale 
di uno Stato membro. 
58. Per contro, una disposizione nazionale che si limiti ad autorizzare, in modo generale e 
astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a 
tempo determinato successivi non soddisfarebbe i requisiti precisati nei due punti precedenti. 
Infatti, una siffatta disposizione, di natura meramente formale e che non giustifica in modo 
specifico l'utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi con l'esistenza 
di fattori oggettivi relativi alle caratteristiche dell'attivit� interessata e alle condizioni del suo 
esercizio, comporta un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti 
e non � pertanto compatibile con lo scopo e l'effettivit� dell'accordo quadro (sentenza 4 
luglio 2006 C-212/04, Adeneler cit. punti da 69 a 72 nonch� sentenza 28 aprile 2009 C- 370/07 
Angelidaki punti 101 e segg.). 
59. Alla luce della richiamata giurisprudenza comunitaria ritiene questa Corte che il corpus
CONTENZIOSO NAZIONALE 199 
normativo disciplinate il reclutamento del personale, nel consentire la stipula di contratti a 
tempo determinato in relazione alla oggettiva necessit� di far fronte, con riferimento al singolo 
istituto scolastico - e, quindi, al caso specifico -, alla copertura dei posti di insegnamento che 
risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre, ovvero alla copertura 
dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data 
del 31 dicembre, ovvero ancora ad altre necessit� quale quella di sostituire personale assente 
con diritto alla conservazione del posto di lavoro, riferendosi a circostanze precise e concrete 
caratterizzanti la particolare attivit� scolastica costituisce "norma equivalente" alle misure di 
cui alla clausola 5 n. 1, lett. da A) a C) dell'accordo quadro secondo quanto indicato dalla sentenza 
28 aprile 2009 C-370/07 Angelidaki cit.. 
60. Rileva, altres�, ai fini di cui trattasi, - e con riferimento alle fattispecie regolate dal primo e 
dalla L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 2 cit. - quale fattore oggettivo, relativo all'attivit� scolastica, 
lo stretto collegamento tra la necessit� di ricorrere alla supplenza e la ciclica variazione 
in aumento ed in diminuzione della popolazione scolastica e la sua collocazione geografica. 
61. N� pu� non considerarsi che, come in precedenza rimarcato, il sistema delle graduatorie 
per garantire l'oggettivit� della scelta dell'incaricato, la migliore formazione scolastica (Corte 
cost. n. 41 del 2011 cit.) e la stessa immissione in ruolo dell'incaricato - la cui posizione in 
graduatoria progredisce, in ragione dell'assicurato diritto di precedenza, in funzione del numero 
delle supplenze - comporta necessariamente la reiterazione degli incarichi che, pur tuttavia, 
come osservato, rimangono temporanei e collegati ciascuno alla specifica e precisa 
esigenza del singolo istituto scolastico. 
62. Al riguardo va ricordato che la direttiva n. 70 del 1999 guarda alla successione di pi� contratti 
di rapporti di lavoro a tempo determinato come potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori 
dipendenti s� da richiedere apposite disposizioni di tutela minima (dirette ad evitare la 
"precarizzazione" della situazione dei lavoratori suddetti), identificabili non di certo in norme 
legali o regolamentari limitate ad autorizzare - in modo generale ed astratto il ricorso a ripetuti 
contratti di lavoro a tempo determinato (sentenza 26 gennaio 2012 C-586/10 Kucuk, punto 28, 
e sentenza 28 aprile 2009 C-370/07, Angelidaki cit., punto 97). Il fatto che i contratti di lavoro 
a tempo indeterminato costituiscano la forma comune dei rapporti di lavoro, non esclude per� 
che i contratti di lavoro a tempo determinato possano rappresentare una caratteristica dell'impiego 
in alcuni settori e per determinate occupazioni e attivit�, sicch� viene lasciato agli Stati 
membri una certa discrezionalit� nello stabilire le condizioni precise alle quali si pu� fare uso 
di questi contratti (sentenza 26 gennaio 2012 C-586/10 Kucuk, cit. punto 52; sentenza 4 luglio 
2006 C-212/04, Adeneler, cit. punto 91; sentenza 7 settembre 2006, causa C-53/04, M. e S., 
punto 47; sentenza 28 aprile 2009 C-370/07, Angelidaki cit. punti 145 e 183). 
63. � corollario di quanto ora detto che spetta al giudice nazionale di valutare se in concreto 
l'impiego di un dipendente per un lungo periodo di tempo in forza di ripetuti e numerosi contratti 
sia rispettosa della clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro (sentenza 26 gennaio 2012 
C-586/10 Kucuk, cit. punto 55), che deve ritenersi, nel caso di specie, rispettata perch� il reiterarsi 
degli incarichi, come rilevato - ma � opportuno ribadirlo - risponde ad oggettive, specifiche 
esigenze, a fronte delle quali non fa riscontro alcun potere discrezionale della pubblica 
amministrazione, per essere la stessa tenuta al puntuale rispetto della articolata normativa che 
ne regola l'assegnazione. 
64. Alla stregua delle esposte considerazioni ritiene questa Corte che la specifica disciplina 
del reclutamento del personale scolastico, ed in particolare quella relativa al conferimento 
delle supplenze, � conforme alla clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro di cui alla Direttiva
200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
del Consiglio Ce 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e costituisce, quindi, " norma equivalente". 
65. Premesso che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia � ammesso soltanto ove al giudice 
nazionale si ponga un dubbio relativo alla interpretazione e all'applicazione delle norme 
comunitarie, ma non nel caso in cui a questi si ponga l'opposto problema di interpretare la 
norma interna al fine di verificarne la compatibilita con la normativa comunitaria (V. sentenza 
17.6.1999 C. 295/97 Piaggio Spa, nonch�: Cass. 22 settembre 2006 n. 20708 e Cass. 15 maggio 
2007 n. 11125), osserva il Collegio che la rilevata esistenza di molteplici conformi pronunce 
della Corte di giustizia delle Comunit� Europee sull'interpretazione della norma 
comunitaria di cui trattasi (V. tutta la uniforme giurisprudenza comunitaria citata nei precedenti 
punti da 54 a 59 e da 62 a 63) induce a ritenere che si � in presenza di un acte claire. Questo 
come tale, quindi, - non lasciando spazio ad alcun ragionevole dubbio sulla esegesi della direttiva 
1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, 
dal CEEP e dal CES - non impone al presente giudice di ultima istanza l'obbligo di 
rinviare, in via pregiudiziale, alla predetta Corte di Giustizia la questione d'interpretazione 
della richiamata norma comunitaria (Cfr. sentenza 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfit nonch� 
Corte EDU sentenza 20 settembre 2011, ric. nn. 3989/07 e 38353/07, Ullens de Schooten e 
Rezabek nonch�, per tutte e da ultimo, Cass. 26 marzo 2012 n. 4776). 
66. Del resto che il rinvio pregiudiziale non debba essere disposto allorquando la lettura delle 
direttive comunitarie consenta al giudice nazionale di accertare - attraverso una documentata, 
ragionata e poi motivata attivit� ermeneutica - la loro piena compatibilita con le norme interne, 
risponde al principio ora costituzionalizzato del processo "giusto" e di "ragionevole durata" 
(art. 111 Cost., commi 1 e 2) dal momento che un ricorso "disinvolto" alla pregiudizale - perch� 
non sorretto da una congrua e doverosa riflessione ed attenzione - potrebbe, in assenza di un 
ragionevole dubbio sulla esegesi delle suddette direttive, finire per determinare, oltre che pregiudizievoli 
ricadute sul versante socio-economico, anche alti costi privi di giustificazione. 
67. Dei principi sopra enunciati la sentenza impugnata ha fatto, dunque, corretta applicazione 
per avere osservato che, nel caso di specie, non � ontologicamente configurabile quell'abuso 
di diritto ritenuto sanzionabile dalla direttiva e dalla giurisprudenza comunitaria in quanto le 
ragioni che stanno alla base dei contratti a termine assumono una "oggettiva portata" per riguardare 
situazioni fattuali rispetto alla quali non � lasciata alcuna discrezionalit� alle autorit� 
scolastiche le quali non possono esimersi dall'individuare i soggetti destinatari di tali contratti 
nel rigoroso rispetto della normativa regolante la materia. 
68. La Corte territoriale ponendosi infatti - come espressamente rimarca in continuit� con un 
indirizzo della giurisprudenza di merito - ha sostanzialmente messo in rilievo che la successione 
di una pluralit� di contratti a tempo determinato, attraverso la quale si succedono le supplenze 
annuali e quelle temporanee - sia per la copertura di posti non vacanti e di fatto 
disponibili sia per la sostituzione del personale assente per congedo, aspettativa, congedo ecc 
-, non concretizza di certo in alcun modo l'abuso ai danni dei lavoratori contemplato dalla direttiva 
comunitaria perch� una siffatta successione � funzionalizzata a ragioni - � bene ripeterlo 
- di natura obiettiva, come quelle di assicurare la continuit� nel servizio scolastico - obiettivo 
di rilevanza costituzionale - a fronte di eventi contingenti, variabili ed in definitiva imprevedibili, 
non solo nelle loro concrete ricadute a livello territoriale per la popolazione scolastica 
interessata, ma anche nella collocazione temporale. 
69. Per concludere, quindi, la sentenza impugnata - essendo pervenuta, sia pure con motivazione 
parzialmente diversa, ad analogo risultato - va confermata previo l'esercizio dei poteri 
correttivi di cui all'art. 384 c.p.c., u.c..
CONTENZIOSO NAZIONALE 201 
70. Con riferimento, poi, alla domanda del ricorrente a vedersi riconoscere il diritto al risarcimento 
del danno subito, va affermato che la sua infondatezza � corollario della mancanza 
di un abuso del diritto nel succedersi di detti contratti. Tale conclusione, infatti, si presenta 
obbligata per ricavarsi al di l� di ogni dubbio, come in precedenza evidenziato, sia dalla normativa 
statale che da quella comunitaria la piena legittimit� del reclutamento del personale 
scolastico articolato sulla successione di pur numerosi contratti a termine, ravvisandosi un 
abuso del diritto nel caso - non ricorrente di certo nella controversia in esame - in cui si sia in 
presenza di supplenze annuali o temporanee al di fuori delle condizioni legislativamente previste 
(come, ad esempio, nel mancato rispetto delle graduatorie nella assegnazione delle supplenze), 
che rende azionabile un sistema capace - in ragione di una accentuata 
responsabilizzazione dei dirigenti pubblici e del riconoscimento del diritto al risarcimento dei 
danni subiti dal dipendente - di prevenire, prima, ed eventualmente di sanzionare, poi, in forma 
adeguata, l'utilizzo abusivo da parte dei suddetti dirigenti dei contratti o dei rapporti di lavoro 
a tempo determinato (cfr. di recente sul punto: Cass. 13 gennaio 2012 n. 392 cit.). 
71. A sostegno di quanto ora detto si � puntualmente osservato in dottrina che se l'ordinamento 
ha disconosciuto, come detto, con una disposizione di rango costituzionale il diritto alla costituzione 
di un rapporto a tempo indeterminato, appare arduo poi concepire la risarcibilit� di 
un mancato diritto - quale quello richiesto volto a parametrare il risarcimento ad Euro 5.000,00 
per ogni contratto - perch� manca il presupposto stesso della tecnica risarcitoria, che � quello 
di ripristinare, attraverso la restaurazione dell'ordine giuridico violato, la situazione soggettiva 
che, garantita da una norma giuridica, venga in concreto a subire una lesione. E proprio disconoscendo 
ogni rilevanza giuridica ai periodi d'inattivit� lavorativa nel caso di succedersi 
delle supplenze questa Corte di Cassazione - seppure in una fattispecie diversa ma con qualche 
analogia con quella in esame - ha affermato che la categoria del personale supplente si caratterizza 
per un rapporto di servizio che, fondato su incarichi attribuiti di volta in volta, si interrompe 
nell'intervallo da un incarico ed un altro per cui non spettano, con riferimento al 
periodo non lavorato, gli scatti biennali (cfr. in tali sensi Cass. 8 aprile 2011 n. 8060, che 
invece ha riconosciuto detti scatti ai docenti di educazione musicale per avere visto costoro 
con apposita e specifica normativa novato il loro rapporto non di ruolo a tempo indeterminato 
sino alla successiva immissione in ruolo). 
72. All'esito delle considerazioni, sinora svolte, nelle quali rimangono assorbite tutte le ulteriori 
argomentazioni poste a base delle esaminate censure, il ricorso va, pertanto, rigettato. 
73. La novit� della questione trattata e la complessit� della materia giustificano la compensazione 
delle spese del giudizio di legittimit�. 
P.Q.M. 
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimit�. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 giugno 2012.
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
La regolarit� causale nel contenzioso emotrasfusionale 
�Nesso causale da comportamento omissivo� e �criterio per la 
delimitazione temporale della responsabilit� del Ministero� 
(Annotazione a Cassazione civ., Sez. III, sentenza 31 gennaio 2013 n. 2250) 
La sentenza n. 2250/13 - facendo concreta applicazione del principio dell�unicit� 
dell�evento lesivo in caso di contagio da virus HCV (epatite C), HBV 
(epatite B) o HIV (AIDS) affermato dalle SS.UU (sentenze da 576/08 a 
581/08) - esclude la regolarit� causale, sotto il profilo dell�assoluta imprevedibilit� 
ed eccezionalit� dell�evento, fra l�omesso controllo da parte del Ministero 
sui prodotti emoderivati ed il contagio da virus HCV in un caso risalente 
ad epoca precedente la scoperta del virus dell�epatite B. 
Marina Russo* 
Cassazione civile, Sez. Terza, sentenza del 31 gennaio 2013 n. 2250 - Pres. Segreto, Rel. 
Ambrosio, P.M. Velardi (in parte difforme) - Min. salute (avv. gen. Stato) c. M.R., M.V (avv. 
Andriani), T.M., T.G. quali procuratori generali di TA.SA.(avv. Mele). 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
Con sentenza in data 18 maggio 2003 il Tribunale di Roma - decidendo sulla domanda di 
risarcimento danni proposta da G.M., quale erede della moglie C.G. nei confronti del Ministero 
della Salute (di seguito brevemente il Ministero) per il risarcimento dei danni da epatite 
C, subiti dalla moglie a seguito di una trasfusione di sangue effettuata in data 2 dicembre 1970 
- accertava la responsabilit� del suddetto Ministero e lo condannava al pagamento della somma 
di Euro 336.733,00 oltre accessori in favore di M.R. e M.V. (succeduti, nelle more del giudizio, 
al padre, originario attore), nonch� in favore di Ta.Sa., figlia ed erede di C.G., intervenuta in 
corso di causa; condannava il medesimo Ministero al pagamento in favore di Ta.Sa. dell'ulteriore 
somma di Euro 41.008,00 oltre accessori; condannava, infine, il Ministero al pagamento 
delle spese processuali e di c.t.u.. 
La decisione, gravata da impugnazione del Ministero, era confermata dalla Corte di appello 
di Roma, la quale con sentenza in data 6 novembre 2006 condannava l'appellante al pagamento 
delle ulteriori spese. 
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero, svolgendo quattro 
articolati motivi. 
Hanno resistito R. e M.V., nonch� Ta.S., rappresentata dai procuratori generali G. e T.M., 
depositando distinti controricorsi. 
� stata depositata memoria da parte dei controricorrenti R. e M.V.. 
MOTIVI DELLA DECISIONE 
(...) 3. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 2043 cod. 
(*) Avvocato dello Stato.
CONTENZIOSO NAZIONALE 203 
civ. (art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di appello ritenuto la responsabilit� del Ministero, 
nonostante all'epoca della trasfusione di cui si tratta fosse impossibile la stessa individuazione 
della malattia (che era ignota), incerte le modalit� di trasmissione, non noti metodi efficaci 
per combatterla. 
4. (...) 
5. Va esaminato, sulla base del principio della c.d. ragione pi� liquida il terzo motivo di ricorso, 
che si rivela assorbente rispetto agli altri motivi. 
5.1. In particolare il ricorrente Ministero - premesso che fino alla scoperta nell'anno 1978 
del virus HBV, nel 1986 del virus HIV e nel 1988 del virus HCV il relativo evento infettivo 
non era astrattamente verosimile - osserva che, nella fattispecie, al momento del contagio era 
impossibile la stessa individuazione della malattia che era ignota, incerte le modalit� di trasmissione 
della stessa e non noti metodi efficaci per prevenirla; con la conseguenza che non 
era possibile ravvisare qualsivoglia responsabilit� in capo all'Amministrazione per trasfusioni 
eseguite pacificamente in epoca anteriore alla piena conoscenza medica della patologia per 
difetto dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa e dello stesso nesso causale. 
5.2. Il motivo � fondato alla luce di principi consolidati nella giurisprudenza di questa 
Corte, che - con riguardo allo specifico tema della responsabilit� omissiva per contagio - ha 
evidenziato come il problema della conoscenza del virus debba essere inquadrato anzitutto 
nell'ambito della regolarit� causale e quindi del nesso causale e solo in via residuale nell'ambito 
dell'elemento soggettivo: ci� in quanto ciascuno � responsabile soltanto delle conseguenze 
della sua condotta, attiva o omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento 
nel quale ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilit�, per tutte le conseguenze assolutamente 
atipiche o imprevedibili. 
In particolare le Sezioni Unite - muovendo dalla considerazione che i principi generali che 
regolano la causalit� materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli 
artt. 40 e 41 cod. pen. e dalla regolarit� causale, salva la differente regola probatoria che in 
sede penale � quella dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", mentre in sede civile vale il principio 
della preponderanza dell'evidenza o "del pi� probabile che non" - hanno precisato che la regola 
della "certezza probabilistica" non pu� essere ancorata esclusivamente alla determinazione 
quantitativa-statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilit� quantitativa), ma va 
verificata riconducendo il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili 
nel caso concreto (c.d. probabilit� logica) (cfr. Sez. Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 581). 
Da tale premessa concettuale � derivato con specifico riferimento all'azione - come quella 
in oggetto - per contagio da somministrazione di sangue ed emoderivati infetti, il seguente 
principio: premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza 
in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di 
emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia 
sanitaria, affinch� fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli 
standars di esclusione di rischi, il giudice, accertata l'omissione di tali attivit�, accertata, altres�, 
con riferimento all'epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai pi� 
alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata 
- infine - l'esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o 
assuntore di emoderivati, pu� ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione 
sia stata causa dell'insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del 
Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la versificazione dell'evento. 
5.3. Dal principio sopra esposto in tema di nesso causale da comportamento omissivo,
204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
emerge anche il criterio per la delimitazione temporale della responsabilit� del Ministero: in 
altri termini si tratta di verificare se, ai fini della regolarit� causale, il virus dell'epatite C nel 
dicembre del 1970 - epoca in cui intervenne l'emotrasfusione individuata come causa della 
stessa malattia - fosse un evento assolutamente eccezionale ed imprevedibile e quindi estraneo 
alla regolarit� causale. Ci� in quanto in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus 
HBV (epatite B) , HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni 
o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bens� un unico 
evento lesivo, cio� la lesione dell'integrit� fisica (essenzialmente del fegato) in conseguenza 
dell'assunzione di sangue infetto; ne consegue che gi� a partire dalla data di conoscenza dell'epatite 
B - la cui individuazione spetta all'esclusiva competenza del giudice di merito, costituendo 
un accertamento di fatto - sussiste la responsabilit� del Ministero della salute, sia pure 
col limite dei danni prevedibili, anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono 
eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento 
lesivo. (Cass. civ., Sez. Unite, 11 gennaio 2008, n. 576). 
5.4. Orbene dagli atti emerge che il virus dell'epatite B fu conosciuto solo alla met� degli 
anni 1970 (l'organizzazione mondiale della sanit� l'ha ufficialmente riconosciuto solo nel 
1978) e che in precedenza si conosceva solo che il sangue poteva veicolare virus. Ci� comporta 
che va esclusa la regolarit� causale tra il mancato controllo del Ministero e l'infezione 
da epatite C per l'emotrasfusione subita dalla C. nel dicembre 1970. 
Il motivo all'esame va, dunque, accolto, risultando assorbiti gli altri. 
6. La causa pu� essere decisa nel merito in quanto non occorrono ulteriori accertamenti 
per rigettare la domanda. 
Le spese dell'intero giudizio vanno compensate. Invero la procedura transattiva prevista 
dalla L. 29 novembre 2007, n. 222, di conversione del D.L. n. 159 del 2007 e dalla L. 24 dicembre 
2007, n. 2444 per il componimento dei giudizi risarcitori per effetto di trasfusioni con 
sangue infetto (pur lasciando libera la P.A se pervenire alla transazione) denota un sostanziale 
trend legislativo di favor della definizione stragiudiziale del contenzioso e tanto integra giusto 
motivo di compensazione delle spese processuali, a norma dell'art. 92 c.p.c., nella formulazione 
- applicabile alla fattispecie - anteriore alla modifica apportata dalla L. n. 263 del 2005, 
art. 2, comma 1. 
P.Q.M. 
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata 
e decidendo nel merito, rigetta la domanda degli attori e dell'intervenuta; compensa tra le parti 
le spese dell'intero giudizio.
CONTENZIOSO NAZIONALE 205 
Sul termine breve di impugnazione nel caso di �notifica�, da 
parte del cancelliere, di ordinanza di correzione 
(Annotazione a Corte dei Conti, Sez. Terza Giurisdizionale Centrale d�Appello, sentenza del 
18 gennaio 2013 n. 43) 
La Corte dei Conti conclude una lunga ed intricata vicenda processuale affermando 
il principio - particolarmente interessante in considerazione dell�assenza 
di precedenti giurisprudenziali - che la notifica dell�ordinanza di 
correzione dell�errore materiale eseguita ad iniziativa del cancelliere a mente 
dell�art.121 disp. att. c.p.c., non � idonea a far decorrere il termine �breve� di 
cui all�art. 285 c.p.c. 
Ci� in quanto - come sostenuto dalla difesa del Ministero - la funzione acceleratoria 
del giudizio di cognizione, cui di regola assolve la notifica della sentenza, 
corrisponde ad un interesse, proprio solo della parte vittoriosa in primo 
grado, a conseguire un�abbreviazione dei termini per la formazione del giudicato; 
non si pu�, dunque, ricondurre un analogo risultato alla notifica eseguita 
da un soggetto - quale la cancelleria - diverso dalla parte processuale. 
Secondo la Corte quindi, ai fini dell�applicabilit� del �termine breve�, la notifica 
dell�ordinanza di correzione dell�errore materiale equivale ad una mera 
comunicazione di cancelleria. 
Marina Russo* 
Corte dei Conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d�Appello, sentenza del 18 gennaio 
2013 n. 43 - Pres. Ignazio de Marco, Est. Angelo De Marco - Min. economia (avv. gen. 
Stato) c. F.P. (avv. A. Savino). 
FATTO 
Con l'impugnata sentenza, pronunciaa nell'udienza del 2 ottobre 2002, poi corretta con 
successiva ordinanza dell'8 agosto 2011, il giudice unico delle pensioni presso la Sezione giurisdizionale 
per la Regione Puglia ha riconosciuto il diritto del Sig. P.F. all'indennit� integrativa 
speciale e alla tredicesima mensilit� sul trattamento pensionistico tabellare in godimento per 
il periodo in cui ha svolto attivit� di lavoro subordinato, con il limite - riconosciuto in accoglimento 
della relativa eccezione sollevata in udienza dal rappresentante dell'INPDAP - della 
prescrizione quinquennale; ha inoltre stabilito che sulle somme dovute per arretrati spetta al 
ricorrente il maggior importo tra rivalutazione monetaria e interessi legali. 
Poich� l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione, enunciato in parte motiva nonch� 
nel dispositivo della sentenza, non risulta presente nel dispositivo letto al termine dell'udienza 
di discussione, l'ordinanza di correzione, intervenuta a conclusione di una complessa vicenda 
processuale di cui ora si dir�, ha sostituito il dispositivo scritto (che fa esplicito riferimento 
(*) Avvocato dello Stato.
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
alla prescrizione) con quello letto in udienza (nel quale come detto, manca ogni riferimento 
alla prescrizione). 
Prima di tale correzione, la sentenza oggi appellata � stata in un primo momento dichiarata 
giuridicamente inesistente da parte dello stesso giudice pugliese, con sentenza n. 
594/2004; successivamente, per effetto dell'annullamento dell'anzidetta sentenza n. 594/2004 
da parte della Sezione Seconda Centrale d'appello, con sentenza 3/2007 del 26 gennaio 2007, 
cos� come interpretata dalla stessa Sezione con successiva sua sentenza n. 459/2009 del 23 
settembre 2009, tale sentenza � stata sottoposta alla procedura "per la correzione materiale", 
disposta con la ricordata ordinanza del 10 agosto 2011. 
L'appellante Avvocatura generale dello Stato, premesso che per effetto della correzione si 
� determinato un insanabile contrasto tra le parte motiva e quella dispositiva della sentenza n. 
746/2002 - passata in giudicato per non essere stata mai appellata - e che l'impugnazione � possibile 
avverso la parte corretta (nella specie, il dispositivo) "nel termine ordinario decorrente dal 
giorno in cui � stata notificata l'ordinanza di correzione"; precisato che la notifica dell'ordinanza 
eseguita il 12 settembre 2011, in quanto non effettuata su istanza della parte processuale, ha 
finalit� puramente partecipativa e non � pertanto idonea a far decorre il termine breve per l'appello; 
sostiene, nel merito, che il dispositivo corretto � in contrasto con le disposizioni vigenti e va pertanto 
riformato, in quanto il diritto alla corresponsione dell'indennit� integrativa speciale e della 
tredicesima mensilit� sulla pensione tabellare � soggetto a prescrizione quinquennale, che � stata 
ritualmente eccepita in giudizio e di cui il giudice ha tenuto debito conto in motivazione. 
L'appellato si � costituito in giudizio con il patrocinio dell'avvocato Antonio Savino il 
quale eccepisce preliminarmente la tardivit� dell'appello proposto ben cinque mesi dopo la rituale 
notifica della sentenza corretta e relativa ordinanza di correzione, effettuata su istanza del cancelliere 
come previsto dall�art. 121 delle disposizioni di attuazione del c.p.c.; nel merito sostiene 
l'inammissibilit� dell'eccezione di prescrizione sollevata in udienza dall'Amministrazione, per 
violazione dell'art. 416 c.p.c., richiamato dalla legge 205/2000 in materia di giudizi pensionistici; 
conclusivamente (dopo avere adombrato la possibilit� che si tenga conto, in via subordinata, di 
quanto stabilito dall'art. 2946 c.c. in tema di prescrizione decennale per �il diritto di credito relativo 
a qualsiasi somma che non sia stata posta in riscossione") chiede la dichiarazione di inammissibilit� 
dell'appello; in via gradata chiede la sua reiezione; chiede, comunque, la condanna 
dell'appellante per responsabilit� aggravata, oltre che al pagamento delle spese del giudizio. 
All'odierna pubblica udienza, dopo la relazione introduttiva l'Avvocato dello Stato ha 
preliminarmente sostenuto che la notifica dell'ordinanza di correzione, pur ritualmente eseguita 
a cura della segreteria della Sezione, non � idonea a far scattare il termine breve per 
l'impugnazione, in quanto tale effetto consegue solo alla notifica effettuata ad istanza di parte: 
dal che scaturisce la tempestivit� e quindi l'ammissibilit� dell'appello. 
Nel merito, ha insistito per l'accoglimento del gravame, avendo il primo giudice adeguatamente 
motivato in ordine all'ammissibilit� e alla fondatezza dell'eccezione di prescrizione 
sollevata in udienza. 
L'avvocato Savino ha, per parte sua, stigmatizzato la pervicacia con la quale l'Amministrazione 
insiste nel negare l'evidenza di quanto risulta con chiarezza dai fatti, e cio� che il 
primo giudice ha in sede di redazione modificato il dispositivo letto in udienza, correggendo 
l�omissione relativa alla prescrizione e che in fattispecie del genere, di contrasto tra dispositivo 
scritto e dispositivo letto, � quest'ultimo a prevalere sul primo. Tutto ci�, non senza censurare 
la grossolana tardivit� dell'appello, a fronte di una evidente notifica e non mera comunicazione 
dell'ordinanza, come risulta dalla dizione usata nel foglietto di segreteria.
CONTENZIOSO NAZIONALE 207 
Considerato in 
DIRITTO 
Come ricordato nell'esposizione del fatto, perviene oggi all'esame del collegio una sentenza 
emessa nel 2002, passata in giudicato per non essere stata oggetto d'impugnazione; tale 
sentenza � stata dichiarata inesistente nel 2004, in un parallelo procedimento attivato per la 
sua esecuzione, ma � stata poi rivitalizzata nel 2007, con una sentenza del giudice d'appello, 
dallo stesso giudice autenticamente interpretata nel 2009; infine, nel 2011, detta sentenza � 
stata corretta mediante sostituzione del dispositivo scritto con quello letto in udienza e viene 
oggi gravata d'appello per la parte relativa all'oggetto specifico (sostituzione del dispositivo) 
dell'ordinanza di correzione d'errore. 
Il primo problema che si pone al collegio � quello relativo dell�ammissibilit� dell'appello, 
che, se non viene contestata per il profilo relativo alla sua esclusiva riferibilit� alle sole parti 
corrette (il che consente di ritenere non eluso il principio della irretrattabilit� del giudicato) 
viene per� posta in serio dubbio dall�appellato per il profilo relativo alla tempestivit� del gravame, 
notificato dopo la scadenza del termine "breve" per impugnare. 
Al riguardo il colleggio ritiene che debba farsi riferimento, per la soluzione del problema, 
alle norme speciali che disciplinano la notificazione delle sentenze di prirno grado ai fini della 
decorrenza del termine breve con particolare riguardo all'art. 285 c.p.c., il quale testualmente 
dispone: �la notificazione della sentenza, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione, 
si fa, su istanza di parte, a norma dell'art. 170�. 
Appare evidente la specifica funzione che tale notificazione assolve, acceleratoria del giudizio 
di cognizione, facendo decorrere il termine c.d. "breve" per la proposizione dell'appello, in 
luogo di quello c.d "lungo" (in realt� ordinario) altrimenti - in difetto, cio�, di notificazione - ordinariamente 
applicabile: funzione che la notificazione assolve per corrispondere ad un interesse 
precipuo della parte vittoriosa in prime cure che � quello di conseguire al pi� presto la definitivit� 
della pronuncia ottenuta e quindi i1 celere soddisfacimento del diritto fatto valere in giudizio. 
Un tale interesse, evidentemente, � del tutto estraneo alla segreteria della Sezione, la cui attivit� 
di informazione dell�avvenuto deposito della sentenza, pur eventualmente qualificata come 
notifica della stessa, ha in realt� finalit� di mera, doverosa comunicazione ed � per tale ragione 
insuscettibile (al di la della sua formale ma impropria qualificazione come notifica) di produrre 
l'effetto specifico della decorrenza del termine breve per impugnare, esperibile dalla sola parte. 
Sul punto, conclusivamente, concordando con la tesi dell'Avvocatura e con le ulteriori 
considerazioni dalla medesima svolte nell'atto scritto, il collegio ritiene l'appello tempestivo 
e quindi ammissibile. 
L'appello e altresi fondato, per le ragioni seguenti. 
L'ipotesi che ricorre nella singolare fattispecie all'esame � quella del contrasto tra dispositivo 
letto all'udienza e dispositivo scritto in sentenza, il quale ultimo � per� del tutto coerente 
con l�impianto motivazionale della sentenza, rispecchiandone le argomentazioni in 
relazione all'andamento della pubblica udienza di discussione. 
Il difensore della parte oggi appellata sostiene che in tale ipotesi deve darsi prevalenza 
al dispositivo letto all'udienza, poich� questo, mediante la pubblicazione con la lettura in 
udienza ai sensi dell'art. 420 c.p.c., cristallizza stabilmente il decisum, precludendone il ripensamento, 
in un momento successivo, da parte dello stesso giudice. 
L'assunto non � infondato, considerata la peculiarit� del processo del lavoro nel quale la 
disposizione citata si inserisce e potrebbe in astratto condividersi anche nel contesto del processo
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
pensionistico, che del rito del lavoro ha mutuato taluni circoscritti e ben individuati istituti. 
Considera per� il collegio che, in assenza di tempestivo appello della sentenza come 
originariamente redatta per far valere come motivo di gravame la nullit� conseguente al suddetto 
contrasto (ai sensi dell'art. 16 c.p.c.) e per il sovrapporsi di molteplici differenti iniziative 
giudiziarie dell'interessato sfociate in pronunciamenti di vari organi, monocratici e collegiali, 
non sempre coerenti e lineari, si � pervenuti in fine ad una sentenza che, a seguito della correzione 
apportata alla sola parte dispositiva (che viene in questa sede impugnata, fermo il 
resto, passato in giudicato) � palesemente errata e deve essere pertanto riformata. 
Il diritto alla corresponsione dell'indennit� integrativa speciale e della tredicesima mensilit� 
sulla pensione tabellare � soggetto alla prescrizione quinquennale (non decennale, come 
ipotizzato in via gradata dal difensore dell'appellato nell'atto scritto: argomento peraltro non 
coltivato nell'odierno intervento orale) che, nel caso di specie, e stata ntualmente eccepita in 
giudizio e della quale il giudice ha tenuto debito conto in motivazione. Ci� comporta che il 
dispositivo risultante dal nuovo testo della sentenza, che non considera la prescrizione, � palesemente 
errato e va conseguentemente corretto in questa sede. 
In senso contrario il difensore dell'appellato sostiene che, da combinato disposto degli 
articoli 420 e 416 c.p.c. (secondo il quale nella memoria di costituzione debbono essere proposte 
a pena di decadenza 1e eventuali domande in via riconvenzionale e le eccezioni processuali 
e di merito che non siano rilevabili d'ufficio), deve concludersi che �l�eccezione di 
prescrizione sollevata dall�amministrazione sic et simpliciter in udienza � da ritenersi irrituale, 
inamrnissibile, tardiva e pertanto non meritevole di accoglimento�. 
Su tale tesi - gi� disattesa dal primo giudice - il collegio non pu� convenire, alla luce del 
principio di diritto enunciato dalle Sezioni riunite con sentenza n. 2/2008/QM del 21 febbraio 2008. 
Hanno statuito le Sezioni riunite che non pu� affermarsi che nel processo pensionistico 
dinanzi alla Corte dei conti le eccezioni processuali o di merito non rilevabili d'ufficio debbono 
necessariamente proporsi, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, non solo perch� 
una tale preclusione non � desumibile dal rinvio al codice di procedura civile contenuto nell'art. 
26 del RD n. 1038 del 1933, ma anche perch� non sussiste in tale processo (come invece indubbiamente 
sussiste nel rito del lavoro) l'affermata necessaria strumentalit� dell'art. 416 c.p.c. 
(non espressamente richiamato dall'art. 5, comma 2 della legge n. 205 del 2000) rispetto al 
disposto di cui all'art. 420, comma primo, ultima parte (espressamente, invece, richiamato). 
Conclusivamente, l'appello in epigrafe viene accolto e il dispositivo della sentenza n. 
746/02, come corretto dall'ordinanza n. 248/11 della Sezione giurisdizionale per la Regione 
Puglia, viene riformato nel senso della declaratoria di prescrizione delle somme arretrate a titolo 
di indennit� integrativa speciale e di tredicesirna mensilit� sui ratei pensionistici maturati 
fino al quinquennio precedente la data dell'11 aprile 2001 e dunque fino all'11 aprile 1996. 
Non vi � luogo a pronuncia sulle spese di giudizio, in ragione del principio di gratuit� 
che assiste il contenzioso pensionistico; le spese di lite vanno invece poste a carico della parte 
soccombente e vengono liquidate come da dispositivo 
P.Q.M. 
La Corte dei conti, Sezione Terza Centrale d'Appello, definitivamente pronunciando, accoglie 
l'appello in epigrafe e, per l'effetto, riforma il dispositivo della sentenza impugnata come corretta 
con ordinanza, nei termini di cui in parte motiva. 
Nulla per le spese di giustizia. 
Spese legali a carico del soccombente, nell'importo di euro 500,00 (cinquecento/00). 
Cos� deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 ottobre 2012.
CONTENZIOSO NAZIONALE 209 
Silenzio assenso ed ipotesi non regolate di nulla osta 
paesaggistico: l�interpretazione teleologica del Consiglio di Stato 
(Nota a Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21 giugno 2011 n. 3723) 
Sibilla Ottoni* 
La disciplina del silenzio significativo di un�amministrazione preposta 
alla tutela del vincolo paesaggistico si pone, nell�attuale assetto ordinamentale 
amministrativo, all�incrocio dei venti tra le istanze di semplificazione e quelle 
di tutela rafforzata di alcuni interessi particolarmente sensibili. Nell�impianto 
del capo IV della L. 241/90 � possibile infatti riscontrare la ripetuta menzione 
di alcuni interessi cui il legislatore ha voluto riconoscere uno status di tutela 
rafforzata: sicurezza, salute, ambiente, patrimonio artistico e paesaggistico, 
che si ritrovano nei �dissensi qualificati� espressi in seno alla conferenza di 
servizi, giustificano l�improcedibilit� in caso di mancato rilascio del parere in 
materia, sono esclusi dall�ambito di applicazione della Segnalazione certificata 
di inizio attivit� (d�ora in poi �scia�) e del silenzio assenso. 
Rispetto all�interesse ambientale e paesaggistico, in particolare in materia 
di silenzio assenso, il problema si � posto di recente in giurisprudenza a fronte 
dell�esistenza, nella normativa di settore, di ipotesi non regolate di silenzio 
delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo. 
1. Il Consiglio di Stato si � occupato, nella sentenza n. 3723 del giugno 
2011 (1), della qualificazione del silenzio di un�amministrazione preposta alla 
tutela del vincolo ambientale e paesaggistico, in sede di rilascio di accertamento 
di conformit� di un�opera edificata in difformit� dal titolo. Nella specie, 
il Collegio affronta la questione dell�applicabilit� a tale fattispecie della disciplina 
del silenzio assenso prevista, per il rilascio del nulla osta preventivo, 
dall�art. 13 della l. 394/1991, recante la disciplina delle aree protette. Tale pronuncia 
afferma in sintesi che i procedimenti edilizi in sanatoria, attengano a 
condono edilizio o ad accertamento in conformit�, costituiscono situazioni di 
contrariet� all�ordinamento giuridico, superabili soltanto attraverso una rivalutazione 
espressa di tutti i profili attinenti la possibilit� di sanatoria. Di con- 
(*) Dottoranda in diritto amministrativo, Universit� di Roma �La Sapienza� e Univ�rsit� Panth�on- 
Assas Paris II. Gi� praticante presso l�Avvocatura dello Stato. 
L�articolo � stato redatto poco prima del Disegno di legge sulle Semplificazioni bis - ottobre 
2012 - Disegno di legge che sul punto che qui interessa ha suscitato unanime dissenso nel 
mondo ambientalista. 
(1) Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza breve 21 giugno 2011 n. 3723, di riforma dalla sentenza 
breve TAR Campania-Salerno, Sez. II, 28 settembre 2010 n. 11140.
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
seguenza, la disciplina del silenzio assenso in materia di nulla osta paesaggistico, 
prevista dall�art. 13, l. 6 dicembre 1991 n. 394, non si applica alle fattispecie 
di sanatoria edilizia, che rispondono alla diversa ratio della necessit� 
di un provvedimento espresso. 
Sar� utile ripercorrere brevemente gli snodi principali della motivazione. 
L�oggetto della controversia � un abuso edilizio commesso nell�area del 
Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano (2). Le opere abusive, relative ad 
un fabbricato agricolo, erano realizzate in difformit� rispetto all�originario titolo 
abilitativo; ci� provocava il diniego del nulla osta da parte dell�Ente parco, 
in sede di accertamento di conformit�. Tale diniego veniva impugnato dai proprietari 
del fabbricato, con ricorso accolto dal TAR Campania, ma respinto dal 
Consiglio di Stato sulla scorta delle motivazioni che si andranno ad esporre. 
La parte privata aveva richiesto ed ottenuto un permesso di costruire al 
fine di procedere alla ristrutturazione del fabbricato; al permesso accedeva il 
nulla osta preventivo dell�Ente parco, rilasciato a condizione del rispetto di 
alcune misure di mitigazione, posto che la zona � soggetta a vincolo paesaggistico. 
In sede di esecuzione dei lavori, tuttavia, venivano eseguite opere decisamente 
difformi rispetto a quelle a cui il titolo edilizio abilitava, posto che 
invece di procedere ad una ristrutturazione, i proprietari demolivano ed in seguito 
ricostruivano il fabbricato. Contestualmente, veniva presentata una denuncia 
di inizio attivit� (d�ora in poi �dia�) al comune di Camerota (nel cui 
territorio si trova il fabbricato), che a sua volta trasmetteva la pratica all�Ente 
parco per l�acquisizione del parere sulla compatibilit� paesaggistica (il cui accertamento 
postumo era stato ammesso dalla Soprintendenza). A lavori ultimati, 
il fabbricato veniva sequestrato dalla Guardia di Finanza per totale 
difformit� dal permesso di costruire, asserita la non validit� della dia in quanto 
carente del parere di conformit� paesaggistica. Con provvedimento espresso, 
veniva successivamente negato il nulla osta, ritenendo l�intervento in contrasto 
con le norme di attuazione del Piano del Parco. 
Tale diniego era impugnato dinanzi al TAR Campania, con la motivazione 
che sull�istanza si sarebbe medio tempore formato silenzio assenso. Secondo 
tale ricostruzione, il successivo provvedimento di rigetto avrebbe dovuto piuttosto 
considerarsi adottato in autotutela. Il giudice di primo grado avallava 
tale ricostruzione, applicando alla fattispecie in esame la disciplina dell�art. 
13 L. 394/91, che applica il silenzio assenso al nulla osta paesaggistico preventivo, 
ed annullava il provvedimento di diniego. A seguito di appello proposto 
dall�Ente parco, il Consiglio di Stato nella pronuncia che oggi si annota 
rovescia la soluzione appena prospettata, riforma la sentenza di primo grado 
e rigetta per l�effetto il ricorso originario. 
(2) Si tratta di zona A1 della perimetrazione del Parco (definita, dalle Misure di Salvaguardia allegate 
al DPR istitutivo del Parco, come zona di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale).
CONTENZIOSO NAZIONALE 211 
Basandosi sui rilievi svolti dall�Avvocatura di Stato per l�Ente appellante, 
ritengono i giudici di Palazzo Spada che la soluzione data dal TAR nasca da 
un errato inquadramento dell�istituto del nulla osta paesaggistico rilasciato in 
sede di accertamento di conformit�. A questo non si applicherebbe la disciplina 
del silenzio assenso tipica delle norme sul nulla osta preventivo di cui alla normativa 
delle aree protette (il citato art. 13, L. 394/91), bens� il regime, opposto, 
del silenzio rigetto, essendo esso riconducibile ad un procedimento di sanatoria 
edilizia (art. 36, DPR 380/2001) e non al rilascio di un titolo preventivo. Il 
Consiglio di Stato, in assenza di una specifica disciplina, si � preoccupato 
quindi di individuare la ratio dell�istituto, onde ricondurlo ad uno o all�altro 
modello e ricavare di conseguenza il regime del silenzio applicabile. 
Il Consiglio di Stato fa altres� un veloce riferimento all�art. 16 della l. 
241/90, recante la disciplina generale dei pareri (3). Tale ultima norma, come 
si � gi� ricordato, nel caso di parere rilasciato da un ente preposto alla tutela 
dell�interesse ambientale, paesaggistico o territoriale, non permette all�amministrazione 
procedente di prescindere dallo stesso n� di supplire con meccanismi 
devolutivi. Viene cos� a configurarsi, secondo la giurisprudenza (4), 
un�ipotesi implicita di silenzio rifiuto; e comunque, in tali casi l�inerzia dell�amministrazione 
che deve rilasciare il parere provoca inevitabilmente il silenzio 
dell�amministrazione procedente, questo s� espressamente qualificato 
come silenzio rifiuto (5). Sebbene il nulla osta dell�Ente parco - in qualunque 
sede rilasciato - non sia qualificabile come parere bens�, pi� propriamente, 
rientri nel novero degli strumenti autorizzatori (6), il richiamo a tale disciplina 
serve a completare la collocazione sistematica dell�interesse ambientale e paesaggistico 
nel procedimento, ed infatti l�art. 16 � richiamato a sostegno delle 
proprie tesi dall�Avvocatura di Stato, nonch� riproposto dal Consiglio di Stato 
nella parte motiva della sentenza. 
2. Basandosi anche sulla tutela rafforzata dell�interesse ambientale e paesaggistico 
che emerge dal quadro normativo appena richiamato, il Consiglio 
di Stato ha incentrato la propria motivazione sul vaglio delle norme in materia 
di sanatoria edilizia, al fine di riscontrare una comune ratio che le rendesse 
applicabili per analogia al caso di specie. Da tale analisi, gi� svolta nell�atto 
di appello dell�Avvocatura dello Stato, � emerso che il procedimento di sana- 
(3) Si vedano anche, a riguardo, le gi� richiamate modifiche introdotte dal d.l. 70/2011 (Decreto 
sviluppo) all�art. 20 del T.U. sull�edilizia, che espressamente prevedono che in caso di parere da acquisire 
nell�ambito del procedimento di rilascio del permesso di costruire, l�esito negativo si ripercuota sulla 
mancata adozione del provvedimento finale, configurando silenzio rifiuto, su cui cfr. supra. 
(4) Cons. St., Sez. IV, 14 settembre 2005, n. 4751; Cass. civ., Sez. I, 27 giugno 2005, n. 13479; 
Cons. St., 31 marzo 2009, Sez. IV, n. 2024/2009; tutte in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, 
R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2010, 630. 
(5) Dall�art. 36 DPR 380/01. 
(6) Attraverso il rilascio del nulla osta, infatti, l�Amministrazione provvede a rimuovere un limite legale, 
su istanza dell�interessato, all�esercizio di un diritto soggettivo preesistente in capo al soggetto istante.
212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
toria edilizia (sia esso vero e proprio condono, o accertamento di conformit�) 
richiede sempre a conclusione un provvedimento espresso. Per l�accertamento 
di conformit�, ci� � richiesto dall�art. 36 del D.P.R. 380/01, dove � previsto 
che l�autorit� comunale debba pronunciarsi con provvedimento espresso nel 
termine di 60 giorni dalla domanda, decorsi i quali essa si intende rifiutata; 
cos� � anche per il condono edilizio di cui all�art. 32 della L. 47/85, ove all�eventuale 
silenzio viene attribuito il valore di rifiuto del provvedimento in 
sanatoria. Nello stesso senso, il Consiglio di Stato richiama anche la L.R. Campania 
22 dicembre 2004, n. 14, che rispetto agli accertamenti in conformit� in 
materia edilizia prevede una forma di silenzio devolutivo, per cui in caso di 
inerzia dell�amministrazione comunale la questione � rimessa a quella provinciale. 
Si legge nella sentenza che �il senso di tali previsioni normative � che 
un abuso edilizio, quale che sia la sua natura (meramente formale o sostanziale), 
cristallizza plasticamente una situazione di contrariet� del fatto all�ordinamento 
giuridico, superabile soltanto a mezzo di una rivalutazione 
espressa di ogni profilo suscettibile di incidere sulla concreta possibilit� di 
�sanare� l�abuso edilizio, sulla scorta di un puntuale esame nel merito di tutti 
gli interessi pubblici implicati�. 
Il giudice sembra, cio�, estrapolare un principio: i provvedimenti di sanatoria 
in materia edilizia ed urbanistica necessitano una forma espressa di 
manifestazione della volont� di regolarizzare l�abuso. Di qui la conclusione 
che il silenzio assenso previsto dall�art. 13 L. 394/91 si riferisca esclusivamente 
al nulla-osta paesaggistico preventivo, e non a quello rilasciato in sede 
di accertamento di conformit�. La disciplina del parere dell�Ente preposto al 
vincolo, quando espresso in sede di sanatoria, sar� ispirata al medesimo principio, 
per cui sar� necessario un provvedimento espresso, e l�eventuale inerzia 
dovr� essere considerata come rifiuto. 
Si � scelto quindi di estendere al parere paesaggistico il regime del silenzio 
previsto per il rilascio del titolo edilizio in sanatoria, in ragione di 
una identit� di ratio tra provvedimenti ugualmente attinenti la regolarizzazione 
di un precedente abuso. Tale soluzione, che apre ad ulteriori riflessioni 
in materia di ricorso all�analogia, risulta comunque corretta, posto che il 
ruolo dell�interesse ambientale e paesistico all�interno dell�ordinamento � 
tale da non lasciare spazio a dubbi circa l�impossibilit� di applicargli istituti 
di semplificazione. 
3. Tale pronuncia offre interessanti spunti di riflessione rispetto alla tematica 
della semplificazione amministrativa in materie ritenute dal legislatore 
particolarmente sensibili. 
Nell�impianto della L. 241/90 si riscontra infatti una tutela rafforzata dell�interesse 
paesistico, incluso nel novero di quelli che resistono alla semplificazione, 
non solo provvedimentale ma anche procedimentale (7). Si tratta di 
materie considerate sensibili, riconducibili ai principi costituzionali di egua-
CONTENZIOSO NAZIONALE 213 
glianza, solidariet�, tutela della persona e della salute (8). La menzione di siffatti 
interessi, tra cui appunto quello paesaggistico-ambientale (9), � ricorrente, posto 
che la si ritrova nella disciplina del silenzio (10), dei pareri (11), della scia (12) 
(7) Si veda, sul silenzio procedimentale, R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, 
Roma, 2010, 629 ss. 
(8) Si veda G. MORBIDELLI, Il silenzio-assenso, in La disciplina generale dell�azione amministrativa, 
a cura di V. CERULLI IRELLI, Napoli, 2006, 268 ss. 
(9) Sulle diverse nozioni di paesaggio ed ambiente, certamente correlate ma non sovrapponibili, 
si veda N. PAOLANTONIO, Beni culturali, beni paesaggistici e tutela dell�ambiente, in Diritto amministrativo, 
a cura di F.G. SCOCA, Torino, 2008, 691 ss., ove i doverosi riferimenti alla giurisprudenza costituzionale 
che ha definito i due concetti. 
(10) Per quanto attiene specificamente ai settori esclusi, la lettera originaria dell�art. 20 rimetteva 
ad un regolamento governativo (d.p.r. 300 del 26 aprile 1992, lo stesso che disciplinava i casi di applicabilit� 
della dia) la definizione delle ipotesi di silenzio assenso, escluso dalla giurisprudenza per gli 
atti per cui fosse previsto l�esperimento di prove, o nei settori soggetti a contingentamento, o per gli atti 
passibili di compromettere valori storico-artistici-culturali o il rispetto delle norme a tutela del lavoratore: 
Cons. St., Ad. Gen., n. 27/1992, in Foro it., 1992, III, 200. Dall�elencazione pretoria degli interessi limitativi 
dell�applicabilit� del silenzio assenso era sparita (temporaneamente) la tutela dell�ambiente e 
del paesaggio; restava tuttavia fermo il concetto della necessit� di una tutela rafforzata per alcuni interessi 
primari, che non avrebbero potuto essere sacrificati n� messi in pericolo se non attraverso un�analisi 
espressa del merito della situazione. Le modifiche portate all�art. 20 dalla l. 80/2005, oltre a reintrodurre 
l�interesse paesaggistico tra quelli tutelati in modo rafforzato, trasforma il silenzio assenso da istituto a 
carattere eccezionale ad istituto di applicazione generale. 
(11) La giurisprudenza ha previsto che il silenzio di un�amministrazione preposta al vincolo paesaggistico-
ambientale, in sede di parere rilasciato ad altra amministrazione, non sia superabile ma, se 
lesivo, impugnabile, e si configuri quindi come silenzio rifiuto (Cons. St., Sez. IV, 18 novembre 1999, 
n. 1716. In dottrina, si veda VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, vol. II, Milano, 2001, 281), il 
che � certamente configurabile in caso di atti di diniego espresso, ma � stato poi esteso anche alle ipotesi 
di inerzia (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 29 dicembre 2005, n. 20709 e 18 luglio 2005, n. 9921, tutte 
in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 
2011, 455), sempre dove non siano previsti altri meccanismi per superarla (ad esempio, sia previsto un 
silenzio devolutivo, o sia ammessa la possibilit� di prescindere dall�acquisizione del parere o richiederlo 
ad un soggetto diverso). Tale soluzione non � applicabile ai pareri vincolanti a prescindere dall�interesse 
tutelato, perch� per loro stessa natura essi non possono essere elusi in alcun modo da parte dell�amministrazione 
richiedente (Cons. St., Sez. IV, 14 settembre 2005, n. 4751; Cass. civ., Sez. I, 27 giugno 
2005, n. 13479, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, R. GAROFOLI � G. FERRARI, Manuale..., 
cit., 630). In tal senso, secondo la giurisprudenza, il mancato rilascio del parere dell�autorit� 
preposta alla tutela del vincolo paesaggistico impedisce il formarsi del silenzio assenso sulla domanda 
di condono edilizio (Cons. St., 31 marzo 2009, Sez. IV, n. 2024/2009, in www.giustiziaamministrativa.
it), poich� tale parere avrebbe natura non soltanto obbligatoria, ma anche vincolante 
(Cons. St., 31 marzo 2009, Sez. IV, n. 2024/2009, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, 
Roma, Sez. II quater, 27 giugno 2007, n. 5818; T.A.R. Lazio, Roma, 26 novembre 2009, n. 11863, entrambe 
in www.giustizia-amministrativa.it). Se ci� non bastasse, l�art. 16, al comma 3, fa espressamente 
salvi (a prescindere dal loro carattere vincolante) i pareri rilasciati da alcune amministrazioni in ragione 
della natura primaria degli interessi da esse tutelate, secondo un modello analogo a quello dell�art. 20: 
� il caso, di nuovo, dei pareri rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, 
territoriale e della salute dei cittadini. 
(12) In materia di scia, giova ricordare che l�interesse ambientale � incluso dall�art. 19 della L. 
241/90 nel novero di quelli che legittimano l�amministrazione all�esercizio dei poteri di autotutela, che 
permettono di intervenire anche dopo il decorso del termine previsto dal comma 3 per l�esercizio del 
potere inibitorio, si tratta quindi, anche qui, di una tutela rafforzata.
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
e finanche della conferenza di servizi (13). Nel caso specifico del silenzio-assenso 
e dell�interesse alla tutela del paesaggio e dell�ambiente, la giurisprudenza 
ha ritenuto che l�art. 20 novellato nel 2005 (che fa del silenzio assenso 
un istituto di carattere generale) non abbia abrogato l� art. 13 della L. 394/91, 
recante la disciplina delle aree protette e che prevede il silenzio assenso per il 
rilascio del nulla-osta paesaggistico preventivo, posto che la L. 394/91 � normativa 
speciale rispetto alla L. 241/90 (14). � quindi importante segnalare fin 
d�ora l�esistenza di una deroga espressa nella normativa di settore, che tuttavia 
sembra lasciare impregiudicato il principio espresso all�art. 20 rispetto al grado 
di tutela da accordare all�interesse paesaggistico-ambientale, cui si riconosce 
rango primario da tutelarsi attraverso la piena applicazione delle garanzie procedimentali 
e l�esclusione degli istituti di semplificazione. 
Ci� sembra confermato anche dai pi� recenti interventi legislativi, come 
si vedr� immediatamente. 
4. Se la materia dell�interesse ambientale e paesaggistico risulta particolarmente 
resistente alle istanze della semplificazione, al contrario la materia 
edilizia risulta loro, fin dall�inizio, particolarmente sensibile (15). Le modifiche 
apportate alla normativa edilizia con il decreto sviluppo del maggio 2011 
(16) attengono, tra l�altro, alla natura del silenzio in materia di permesso di 
costruire, ed all�introduzione dell�istituto della scia in sostituzione di quello 
della dia edilizia: tali novit� meritano una breve analisi, al fine di verificare 
se ad esse conseguano differenze di regime sostanziali rispetto al tema del silenzio 
sul nulla osta paesaggistico, nonch� se la tutela del relativo vincolo risulti, 
alla luce delle stesse, in qualche modo rafforzata o indebolita. 
Il previgente art. 20 del Testo Unico in materia edilizia prevedeva che il 
permesso di costruire fosse rilasciato dal dirigente o responsabile dell�ufficio 
unico nel termine di 75 giorni dalla domanda (17), decorso inutilmente il quale 
sulla domanda si intendeva formato silenzio rifiuto (18). 
In un�ottica di semplificazione e liberalizzazione delle attivit� edilizie, il 
nuovo articolo 20 rovescia quest�impostazione, prevedendo al comma 8 che 
(13) Tale tendenza non ha mancato di sollevare critiche in dottrina, che l�ha ritenuta una soluzione 
troppo radicale, che rischia di paralizzare il procedimento proprio in quelle materie ritenute di interesse 
primario, senza lasciare spazio a soluzioni intermedie e pi� elastiche. Si veda M. D�ALBERTI, Lezioni di 
diritto amministrativo, Torino, 2012, 195, 197, 306. 
(14) Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 dicembre 2008 n. 6591, e T.A.R. Puglia, Bari, Sezione II, 14 
gennaio 2010 n. 53, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(15) Il primo esempio di silenzio assenso riguarda infatti proprio la disciplina urbanistica: si tratta 
della previsione di cui all�art. 7 del decreto Nicolazzi del 1982 (Decreto-legge 23 gennaio 1982, n. 9, 
convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1982, n. 94), che prevedeva l�applicazione di tale 
istituto per interventi sul territorio, purch� non sottoposti a vincoli storico-artistico-culturali e paesaggistici, 
e purch� conformi alle prescrizioni urbanistiche comunali. 
(16) Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70, in Gazz. Uff. 13 maggio 2011, n. 110, convertito con modificazioni 
in legge 12 luglio 2011, n. 106, �Semestre europeo � Prime disposizioni urgenti per l�economia�.
CONTENZIOSO NAZIONALE 215 
il regime generale per il rilascio del permesso di costruire sia quello del silenzio 
assenso. Il provvedimento di assenso tacito si forma al decorrere infruttuoso 
del termine di 90 giorni (19) dalla domanda, salvo sussistano vincoli 
ambientali, paesaggistici o culturali (20); per queste ultime ipotesi, i successivi 
commi 9 e 10 prevedono espressamente il regime del silenzio rifiuto (21). 
La disciplina risultante dalle modifiche del 2011 sembra quindi molto 
chiara, cos� come la ratio che la sottende: la presenza di interessi ambientali 
e paesaggistici esclude l�applicabilit� del silenzio assenso e porta, in caso di 
avviso negativo, inevitabilmente a provvedimento di rigetto o a silenzio diniego 
dell�amministrazione procedente. Cos� � a prescindere dalla natura dell�atto 
dell�ente garante del vincolo, posto che i suoi pareri sono vincolanti (se 
non rilasciati, paralizzano il provvedimento principale ex art. 16, L. 241/90) 
ed il suo nulla osta � condizione di legittimit� del titolo edilizio. 
5. Per concludere la panoramica sugli aggiornamenti normativi apportati 
dal decreto sviluppo del 2011, � necessario un riferimento all�istituto della dia 
edilizia. L�art. 22, comma 6, del Testo unico prevede che, nel caso di immobili 
sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, la realizzazione 
degli interventi cui si applica la dia sia subordinata al preventivo rilascio del 
parere o dell�autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (22). 
In seguito all�estensione del regime della scia alle attivit� edilizie sottoposte 
alla dia ordinaria (23), la novit� di maggior rilievo sembra essere quella apportata 
dall�articolo 5, comma 2, lett. c) del decreto sviluppo: � infatti espressamente 
specificato che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici 
o culturali, la scia non sostituisca gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque 
denominati, delle amministrazioni preposte alla relativa tutela (24). Tale 
norma � interpretativa della previsione generale di cui all�art. 19, L. 241/90, 
secondo la quale laddove la legge richieda l�acquisizione di pareri di organi o 
(17) D.P.R. 380/2001, art. 20, nel testo precedente la riforma del 2011, commi 3 e 5, che prevedono 
rispettivamente il termine di 60 giorni per la formulazione di una proposta di provvedimento da parte 
del responsabile del procedimento, e di 15 giorni dalla ricezione della proposta per l�adozione del provvedimento 
finale, salvo il caso di interruzione finalizzata all�integrazione documentale. A prevedere che 
questi termini siano raddoppiati in caso di comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti � il 
successivo comma 8. 
(18) D.P.R. 380/2001, art. 20, nel testo precedente la riforma del 2011, comma 9. 
(19) D.P.R. 380/2001, art. 20, commi 3 e 6, che prevedono rispettivamente i termini di 60 giorni 
per la presentazione della proposta, e di 30 per l�adozione del provvedimento definitivo. 
(20) D.P.R. 380/2001, art. 20, comma 8. 
(21) Rispettivamente per i casi in cui la tutela competa, anche in via di delega, all�amministrazione 
comunale, e per quelli in cui competa ad altra amministrazione. 
(22) D.P.R. 380/2001, art. 22 (non toccato dalla novella del 2011), comma 6, in cui sono richiamate 
espressamente le previsioni di cui al d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490. 
(23) E non gi� la scia alternativa al permesso di costruire. Il legislatore risolve cos� un dubbio che 
si era creato fin dall�introduzione della scia, con l�entrata in vigore della l. 122/2010. 
(24) Tale previsione � operata mediante il richiamo, all�art. 2� comma 3, TU Edilizia, dell�art. 5 
comma 4, che a sua volta alla lettera i) richiama il nulla osta di cui all�art. 13, L. 394/91.
216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
enti, questi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni 
o certificazioni di cui all�articolo stesso (25). Il decreto sviluppo 
risolve cos� la questione della applicabilit� della scia ai casi di interventi edilizi 
da attuare in zona di vincolo paesaggistico (o ambientale o culturale) (26). 
Alla luce di questo breve aggiornamento, non sembra potersi concludere 
che la tutela dell�interesse paesistico-ambientale abbia subito un ridimensionamento 
da parte del legislatore rispetto allo scenario preesistente. Al contrario 
sembra ormai consolidata, soprattutto in materia edilizia, l�esigenza di garantire 
a quest�interesse una tutela di rango primario, giustificativa di regimi speciali 
in tutte le fasi procedimentali in cui sia coinvolta un�amministrazione 
preposta alla tutela del relativo vincolo. L�interesse paesaggistico-ambientale, 
al pari di quello culturale e di altri interessi connessi all�incolumit� ed alla salute 
pubblica, dimostra una resistenza rafforzata alle istanze della semplificazione, 
in una prospettiva garantista e costituzionalmente orientata. 
6. Al di l� della particolarit� della disciplina della tutela paesaggisticoambientale, 
nella pronuncia in esame si � prospettata una soluzione che d� 
adito ad alcune riflessioni ulteriori sul tema dei meccanismi interpretativi capaci 
di colmare eventuali lacune normative. 
Riassumendo brevemente, il problema che si � posto � quello dell�assenza 
di una disciplina puntuale del parere di conformit� o nulla osta paesaggistico, 
rilasciato dall�Ente parco nell�ambito di un procedimento di sanatoria di abusi 
edilizi di competenza dell�amministrazione comunale. La normativa pi� �vicina� 
a questa fattispecie � costituita, per un verso, dall�art. 13 della L. 
394/1991 sul procedimento di nulla osta paesaggistico preventivo e, per un 
altro, dalle norme del D.P.R. 380/2001 in materia di sanatoria di abusi edilizi. 
Il Consiglio di Stato ha risolto nel senso dell�applicabilit� del regime da ultimo 
richiamato, perch� partecipe della medesima ratio di regolarizzazione di un 
(25) La natura giuridica della scia � stata peraltro di recente chiarita dal Consiglio di Stato nell�Adunanza 
Plenaria n. 15/2011, che ha compiuto una minuziosa ricostruzione dell�istituto e delle tesi 
che si sono alternate circa la sua natura. La conclusione raggiunta propende per l�identificazione dell�effetto 
abilitativo, prodottosi col decorso infruttuoso del termine previsto per l�esercizio dl potere inibitorio, 
con un silenzio significativo dell�amministrazione, da identificarsi in silenzio rifiuto del 
provvedimento. Si veda anche, a riguardo, M.A. SANDULLI, Primissima lettura della Adunanza plenaria 
n. 15 del 2011, in Federalismi.it, 2011, 18, e Dalla d.i.a. alla s.c.i.a.: una liberalizzazione �a rischio�, 
in Rivista giuridica dell�edilizia, 6, 2010, 465. 
(26) Su tale normativa � nuovamente intervenuto il legislatore con il D.l. 22 giugno 2012, n. 83, 
recante �Misure urgenti per la crescita del Paese�, in Gazz. Uff. 26 giugno 2012, n. 147, Suppl. Ordinario 
n. 129, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134. Tale norma, all�art. 13, comma 2-bis, 
si limita a precisare che i commi 3 e 4 dell�art. 23 si riferiscono ai casi appena richiamati di vincoli non 
solo ambientali e paesaggistici, ma anche �culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte 
alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione 
della giustizia�. Resta invariato il contenuto dei commi 3 e 4, per cui la decorrenza dei termini 
per la dia avviene rispettivamente dal rilascio dell�atto di assenso o dalla decisione della conferenza di 
servizi, a seconda che alla tutela sia preposta l�amministrazione comunale o altra amministrazione.
CONTENZIOSO NAZIONALE 217 
abuso, e non invece del regime dell�art. 13 che, pur attinente ad un atto del 
tutto analogo quanto a contenuto, accede al rilascio di un titolo abilitativo, ed 
ha quindi carattere preventivo. 
Una simile conclusione apre a riflessioni ulteriori. La prima � certamente 
nel senso di condividere la lettura sistematica delle norme fornita dal Consiglio 
di Stato nella sentenza analizzata, che non soltanto colloca - correttamente - 
l�accertamento in conformit� nell�alveo dei procedimenti in sanatoria, ma inoltre 
riconosce all�interesse ambientale e paesaggistico un rango primario, non 
intaccato dalle istanze della semplificazione che hanno reso il silenzio assenso 
un istituto di carattere generale. Come ricordato anche dall�Avvocatura di Stato 
nell�atto d�appello, infatti, lo stesso art. 20 (come modificato nel 2005), sulla 
scorta della giurisprudenza precedente (27), ha espressamente escluso dal proprio 
ambito di applicazione alcune materie ritenute sensibili: accanto alle materie 
legate alla tutela della persona e della salute, sono esclusi i provvedimenti 
in materie d�interesse culturale, ambientale e paesaggistico. 
Un pensiero critico pu� essere tuttavia formulato rispetto al tipo di sindacato 
esercitato dal Consiglio di Stato nel caso concreto, e cio� la scelta di 
estendere per via analogica la disciplina dei provvedimenti in sanatoria all�accertamento 
in conformit�. La scelta di coniare un principio ad hoc per 
applicarlo alla fattispecie non normata si pone in linea con la predilezione 
per il criterio teleologico cui il giudice amministrativo si � da sempre ispirato, 
ma fa al tempo stesso riemergere l�antica questione del limite tra applicazione 
estensiva ed analogia. Quest�ultima era tradizionalmente 
considerata una tecnica connaturata al sindacato del giudice amministrativo, 
soprattutto in una fase in cui le lacune della disciplina ne rendevano necessario 
il ricorso (28). La dottrina pi� recente ha per� sollevato perplessit�, in 
una fase come quella odierna, dove le esigenze di colmare lacune normative 
sono ormai rare, circa il perdurare di una tale prassi pretoria, non priva di 
(27) Si rimanda ai richiami di ordine storico gi� svolti supra ed ai correlati riferimenti giurisprudenziali. 
Come accennato, la giurisprudenza che riteneva inapplicabile il silenzio assenso a talune materie, 
tra cui quella della tutela del paesaggio e dell�ambiente, preesiste alla formulazione stessa 
dell�articolo 20 poich� si � formata nella vigenza della legislazione precedente, in cui il silenzio assenso 
era previsto da legislazione di settore proprio in materia edilizia ed urbanistica (il citato DL 23 gennaio 
1982, n. 9, c.d. decreto Nicolazzi). 
(28) Il tema dell�analogia nel diritto amministrativo � stato oggetto di dibattito nei primi decenni 
del secolo ad opera di autori come S. ROMANO, di cui si veda L�interpretazione delle leggi di diritto 
pubblico, 1899, ora in Idem, Scritti minori, I, Milano, 1950, 115 ss., ed in seguito M. S. GIANNINI di cui 
si vedano L�interpretazione dell�atto amministrativo, Milano, 1939; L�analogia giuridica, in Jus 1941 
e 1942; Polemiche sull�interpretazione, in Riv. Internaz. Fil. Dir., 1941; Il potere discrezionale della 
pubblica amministrazione. Concetti e problemi, Milano, 1939; ora tutte in Scritti, I, Milano, 2000 e II, 
Milano, 2002. Il tema � stato poi per lungo tempo abbandonato, a causa probabilmente dell�acquisita 
consapevolezza della disponibilit� piena per il giudice amministrativo di un simile strumento, del resto 
connaturato alla sua funzione di sindacato delle decisioni amministrative, a loro volta frutto di attivit� 
�interpretativa� (secondo la terminologia gianniniana). 
218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
criticit� dal punto di vista della certezza del diritto e dell�uguaglianza dei 
cittadini (29). Tuttavia, in questa stessa prospettiva, l�atteggiamento del Consiglio 
di Stato potrebbe essere letto in un�ottica pi� ampia, a testimonianza 
di un mutamento dello stesso principio di legalit�, che da formale diventa 
sostanziale: dal primato della legge si passa al primato della higher law, ovvero 
la Costituzione e l�assetto dei �principi materiali di giustizia�(30). 
L�applicazione e la formulazione stessa di tali principi passa per il tradizionale 
canone ermeneutico del giudice amministrativo, che � quello teleologico. 
Non si ha quindi analogia come funzione normativa del giudice, che 
estende una disciplina positiva esistente ad una fattispecie non regolata, bens� 
l�estrapolazione e poi l�applicazione di norme di principio come ausilio interpretativo 
volto a far emergere una ratio gi� immanente nella norma. 
Tale approssimativa sintesi di riflessioni ben pi� articolate deve essere 
letta nel senso che il bilanciamento tra interessi in conflitto (nel caso odierno, 
la libert� privata di eseguire opere su una propriet� e la tutela dell�ambiente e 
del paesaggio) coinvolge tutti i poteri che partecipano del riempimento valoriale 
della norma. Il bilanciamento � compiuto innanzitutto in sede legislativa: 
la tutela rafforzata che alcuni interessi ricevono gi� a livello costituzionale 
vincola a cascata tutti i successivi attori giuridici; la espressa menzione legislativa 
dei settori cui applicare o escludere certi istituti sottende una scelta valoriale 
prettamente politica, non eludibile in sede applicativa. Di tale 
bilanciamento normativo, la collocazione dell�interesse paesaggistico ed ambientale 
nel nostro ordinamento rappresenta un chiaro esempio. Sull�operato 
dell�amministrazione in applicazione della normativa si inserisce poi quello 
del giudice, che valuta anche e soprattutto il rispetto dei principi, facendosi 
carico talvolta dell�enunciazione degli stessi, che ricava dalla lettura sistematica 
delle norme in un�ottica teleologica ed evolutiva. 
Nella sentenza in esame, il Consiglio di Stato � giunto fino all�enunciazione 
di un principio che collega la tutela di interessi di rango primario, quale 
quello paesaggistico-ambientale, agli istituti di semplificazione previsti in via 
generale dall�ordinamento, per escluderne l�applicazione nel relativo ambito, 
e collega poi gli istituti di semplificazione con quelli di sanatoria edilizia, per 
sancirne l�incompatibilit�. � indubbio che tale soluzione si ponga in linea di 
coerenza e continuit� con quanto emerge dallo studio complessivo della nor- 
(29) Le conclusioni pi� recenti della dottrina in materia di analogia sono metodologiche, pi� che 
teoriche: esse vanno nel senso che l�interesse scientifico per l�analogia ha senso soltanto volendone limitare 
il ricorso da parte del giudice, e che lo strumento migliore a tal fine non � il divieto, bens� il disincentivo, 
che si ottiene agendo sui motivi che hanno indotto il giudice a farvi ricorso. Si veda per tutti 
A. ROMANO TASSONE, Sul problema dell�analogia nel diritto amministrativo, in Dir. amm., 2011, 01, 1, 
cui si rimanda per ogni ulteriore approfondimento in materia. 
(30) G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Legge diritto giustizia, Torino, 1992, 123. Si veda anche A. 
SANDULLI, La proporzionalit� dell�azione amministrativa, Padova, 1998, 13 ss., e dottrina ivi citata.
CONTENZIOSO NAZIONALE 219 
mativa, speciale e generale, in materia. Il giudice, cio�, ha tradotto in parole 
quanto gi� presente, in forma inespressa, nell�ordinamento; pu� riscontrarsi 
in ci� una sorta di sinergia tra legislatore, amministrazione e giudice nel plasmare 
ed applicare principi generali, contribuendo alla coerenza complessiva 
del sistema. 
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 21 giugno 2011 n. 3723 - Pres. Coraggio, Est. 
Castriota Scanderbeg - Ente Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (avv. gen. Stato) c. 
M.A. e A.A.P. (avv. Agosto). 
1. L�Ente parco nazionale del Cilento e Vallo di Danio impugna la sentenza del Tar Campania, 
sez. di Salerno, n. 11140 del 2010, resa in forma semplificata, che ha accolto il ricorso degli 
odierni appellati avverso il diniego di nulla-osta adottato dall�appellante nell�ambito di un 
procedimento di accertamento di conformit� afferente taluni interventi edilizi su fabbricato 
agricolo realizzati in difformit� rispetto all�originario titolo abilitativo. 
2. Si � costituita la parte appellata per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione. Gli appellati 
hanno altres� proposto appello incidentale, riproponendo con tale mezzo i motivi rimasti 
assorbiti nella sentenza di primo grado. 
3. All�udienza camerale del 24 maggio 2011, fissata per la delibazione dell�istanza di sospensione 
dell�efficacia della sentenza impugnata, la causa, previa comunciazione ai difensori 
delle parti, � stata trattenuta per la decisione in forma semplificata. 
4. Ritiene inanzitutto il Collegio che la manifesta fondatezza nel merito dell�appello consente 
la definizione del giudizio con sentenza breve, ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 
e 74 del cod. proc. amm.. 
4.1 La questione centrale da dirimere attiene alla applicabilit� anche ai procedimenti di sanatoria 
edilizia (e quindi non soltanto limitatamente ai casi ordinari di interventi edilizi ancora 
da realizzare) dell�art.13 della legge 6 dicembre 1991 n. 394 (recante, nell�insieme, la disciplina 
normativa delle aree protette). 
4.2 Ed invero, nel caso oggetto di causa, in cui i ricorrenti di primo grado, in sede di ristrutturazione 
di un fabbricato agricolo, hanno eseguito consistenti opere in difformit� rispetto all�originario 
titolo edilizio ed hanno per conseguenza avviato un procedimento di accertamento 
di conformit� (ai sensi dell�art. 36 del d.P.R. n. 380/01), la questione da decidere � appunto 
se si sia legittimamente formato per silentium il titolo assentivo ben prima della adozione del 
diniego espresso dell�Ente parco, intervenuto oltre il termine di 60 giorni dalla richiesta di 
nulla-osta da parte del Comune di Camerota (ove l�immobile si trova). 
Nella impugnata sentenza il Tar, in accoglimento del ricorso, ha ritenuto che si fosse formato 
il provvedimento abilitativo per silentium gi� al momento dell�adozione, da parte dell�Ente 
appellante, del gravato atto negativo ed ha conseguentemente annullato il diniego di nulla-osta. 
4.3 La censura principale sollevata dall�Ente appellante � al contrario affidata al rilievo secondo 
cui, nei procedimenti di sanatoria edilizia (attengano questi a veri e propri procedimenti di condono 
edilizio ovvero, come nella specie, ad atti di accertamento di conformit�), sia sempre necessario 
un provvedimento espresso, con la conseguente piena legittimit� del diniego adottato. 
La censura � fondata. 
Nel procedimento di accertamento di conformit� previsto dall�art. 36 del d.P.R. n.380/01 (at-
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
tivato nel caso di specie ad iniziativa della odierna parte privata appellata) � espressamente 
previsto che l�autorit� comunale deve pronunciarsi con provvedimento espresso e con adeguata 
motivazione nel termine di 60 giorni dalla domanda; decorso tale termine la richiesta si 
intende rifiutata. Analoga scelta � compiuta in materia di condono edilizio (art. 32 L.n. 47/85), 
ove al silenzio viene attribuito il significato legale tipico di rifiuto di provvedimento di sanatoria. 
Il senso di tali previsioni normative � che un abuso edilizio, quale che sia la sua natura 
(meramente formale o sostanziale), cristallizza plasticamente una situazione di contrariet� del 
fatto all�ordinamento giuridico, superabile soltanto a mezzo di una rivalutazione espressa di 
ogni profilo suscettibile di incidere sulla concreta possibilit� di <sanare> l�abuso edilizio, 
sulla scorta di un puntuale esame nel merito di tutti gli interessi pubblici implicati. Della stessa 
ratio partecipa d�altra parte l�art. 16 della legge n. 241/90 nella parte in cui non ritiene surrogabile 
il parere espresso dalle autorit� preposte alla tutela di beni paesaggistici ed ambientali, 
in tale ambito potendosi al pi� prevedere ipotesi di silenzio devolutivo (che comportano quindi 
la traslazione della determinazione alla istanza superiore) ma non di silenzio assenso. 
4.4 In definitiva dal sistema normativo (brevemente in particolare, art. 36 d.P.R. n. 380/01; 
art. 32 della legge n. 47/85; art. 16 della legge n. 241/90) sembra trarsi il principio, peraltro 
rispondente ad intuibili esigenze di ragionevolezza e di buon andamento dell�azione amministrativa, 
secondo cui i provvedimenti di sanatoria, in materia edilizia ed urbanistica, necessitano 
per regola generale di una forma espressa e non tacita di manifestazione di volont� delle 
amministrazioni coinvolte nel rilascio del provvedimento assentivo, salvo ipotesi derogatorie 
introdotte in particolari settori dal legislatore con disposizioni normative ad hoc. 
Inserita in tale contesto normativo la dianzi citata disposizione (art. 13 L. 394/91) va quindi 
letta ed interpretata nel senso che essa trovi applicazione con riguardo agli interventi edilizi 
da realizzare e non invece ai procedimenti di sanatoria di opere abusive gi� realizzate. 
Ne viene che correttamente l�Ente parco deduce la inconfigurabilit� della formazione di una 
fattispecie assentiva per silentium in un caso in cui la nuova opera realizzata dagli odierni appellati 
si appalesa contrastante non soltanto con l�originario titolo edilizio, ma anche con le 
nuove previsioni del piano del parco approvato nel 2009 (che non consentono nuovi interventi 
edilizi nelle zone a protezione integrale quale appunto quella in cui ricade l�immobile de quo). 
5. A conclusioni non diverse peraltro conduce l�esame dell�art. 43 della LR della Campania 22 
dicembre 2004 n. 14 nella parte in cui, in materia di accertamenti di conformit� delle opere edilizie 
abusive, prevede un�ipotesi di silenzio devolutivo in favore dell�ente provinciale, nel caso in cui 
sulla richiesta di accertamento di conformit� resti inadempiente l�amministrazione comunale. 
Al contrario di quanto sostenuto dalla difesa dell�appellato, anche in sede di discussione orale, 
la disposizione normativa appena citata conforta nella tesi secondo cui, nella materia dei provvedimenti 
clemenziali propri del settore urbanistico-edilizio, il legislatore mostra di preferire, 
anche quando adotta il meccanismo del cosiddetto silenzio devolutivo, l�opzione del provvedimento 
formale espresso, e ci� in considerazione dei rilevanti interessi pubblici connessi alla 
tutela del territorio e del paesaggio, a fronte dell�interesse privatistico alla sanatoria dell�opera 
abusivamente realizzata. 
6. Da ultimo, alla luce dei rilievi svolti e della interpretazione che si � data al quadro normativo 
di riferimento, va osservato che in contrario avviso non pu� indurre la sentenza di questa Sezione 
29 dicembre 2008 n. 6591, nella parte in cui la stessa si � pronunciata per la non abrogazione 
tacita dell�art. 13 della legge 6 dicembre 1991 n. 394 a seguito della entrata in vigore 
della legge 14 maggio 2005 n. 80 (che, nell�innovare il contenuto dell�art. 20 della legge 241 
del 1990 ha escluso che l�istituto generale del silenzio-assenso possa trovare applicazione in
CONTENZIOSO NAZIONALE 221 
materia di tutela paesaggistica). Per quanto detto, l�ipotesi di provvedimento per silentium, 
prevista dal citato art. 13 della legge n. 394 del 1991, riguarda gli interventi edilizi a farsi e 
non gi� quelli gi� abusivamente realizzati, in ordine ai quali l�interessato deve necessariamente 
attendere un provvedimento espresso di sanatoria da parte di tutti i soggetti pubblici coinvolti 
nel procedimento funzionale al rilascio del titolo assentivo. 
7. Quanto ai motivi assorbiti, va anzitutto disatteso il motivo di primo grado afferente la pretesa 
incompetenza del direttore del parco ad adottare il provvedimento del tipo di quello impugnato, 
sollevato sotto il profilo che sarebbe invece competente il responsabile dell�area tecnica. 
7.1 Osserva al riguardo il Collegio che per un verso il direttore del parco, in quanto affidatario, 
a termini dello Statuto dell�ente (art. 26), di un�ampia competenza in merito all�adozione degli 
atti di gestione amministrativa (compresi gli atti aventi rilevanza esterna) non risulta essere 
soggetto incompetente ad adottare ed a trasmettere al Comune di Camerota il contestato diniego 
di nulla-osta; per altro verso, non pu� dirsi sussistere un autonomo interesse, in capo ai 
ricorrenti di primo grado, a coltivare la detta censura di incompetenza una volta acclarato che, 
in tema di sanatoria edilizia, il silenzio non equivale a provvedimento assentivo, di tal che la 
soddisfazione della pretesa fatta valere dagli originari ricorrenti non pu� che attuarsi attraverso 
la espressa e positiva delibazione della compatibilit� dell�intervento realizzato con le preminenti 
esigenze di tutela del parco. 
7.2 Ancora, non meritano condivisione le censure di primo grado afferenti le pretese violazioni 
delle disposizioni afferenti la partecipazione procedimentale (sia sotto il profilo della violazione 
dell�art. 7 che dell�art. 10 bis della legge n. 241/90) avuto riguardo alla ininfluenza causale 
dell�apporto partecipativo che avrebbero potuto fornire gli interessati, a fronte della 
conclamata contrariet� dell�intervento edilizio eseguito alla tipologia degli interventi nella 
zona di protezione integrale in cui ricade l�area interessata. 
7.3 Non convince, da ultimo, la prospettazione dei ricorrenti originari secondo cui, trattandosi 
di immobile esistente da tempo immemorabile, non sarebbe stata necessaria alcuna autorizzazione 
preventiva dell�Ente parco da rilasciare ai sensi dell�art.7 del d.P.R. 5 giugno 1995 
(istitutivo del parco del Cilento). Osserva il Collegio che, al contrario, l�autorizzazione dell�Ente 
parco doveva ritenersi necessaria (come correttamente ritenuto in sede procedimentale 
dal Comune di Camerota e dallo stesso Ente parco) proprio in considerazione delle rilevanti 
modifiche apportate dai ricorrenti al vecchio fabbricato rurale ed introdotte in sede di (non 
autorizzata) demolizione e ricostruzione del manufatto (essendo consistite, in particolare, 
dette modifiche nell�uso di materiali edilizi vietati dall�originario titolo nonch� nella realizzazione 
di un nuovo vano interrato). 
8. In definitiva, l�appello principale va accolto e, in riforma della impugnata sentenza, va respinto 
il ricorso originario della attuale parte appellata; va altres� respinto l�appello incidentale. 
9. Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, in considerazione 
della particolarit� della vicenda trattata e del suo particolare epilogo. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando in 
forma semplificata sul ricorso (r.g. n 2637/2011), come in epigrafe proposto, lo accoglie e per 
l�effetto, in riforma della impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado. Respinge 
altres� l�appello incidentale. 
Spese del doppio grado compensate. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2011.
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Parametri europei (e nazionali) per l�identificazione di �una 
unit� istituzionale pubblica� 
(Annotazione a Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 28 novembre 2012 n. 6014) 
La sentenza riguarda il tema dell�individuazione degli enti che l�ISTAT pu� 
legittimamente inserire nell�elenco delle amministrazioni pubbliche redatto ai 
sensi del Regolamento CE n. 2223/96 del 25 giugno 1996 del Consiglio, relativo 
al �Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunit� Ue� 
(SEC 95). Il Consiglio di Stato ha stabilito che si pu� ravvisare una �unit� istituzionale 
pubblica� (secondo la definizione comunitaria) laddove sussistano, 
separatamente o congiuntamente, i due elementi del controllo e del finanziamento, 
precisando, tuttavia, che l�individuazione di tali requisiti non � necessaria 
nei casi in cui un Ente sia ontologicamente pubblico in ragione della 
funzione svolta, �strettamente correlata all�interesse pubblico, costituendo la 
privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo�. 
In tal modo si � ritenuto che le Autorit� indipendenti, che ovviamente non possono 
essere assoggettate a controllo, siano state correttamente inserite nell�elenco, 
proprio in ragione della loro natura ontologicamente pubblica. 
Quanto al finanziamento, il Consiglio di Stato ha precisato che esso non deve 
necessariamente essere diretto, ma pu� essere anche �indiretto e mediato�, o 
attraverso l�impiego di �risorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate 
a fini generali� o attraverso forme di contribuzione aventi comunque natura 
tributaria, in quanto la legge, anzich� prevedere il versamento di un tributo 
nelle casse dello Stato e poi la successiva devoluzione del gettito in favore 
dell�ente, ha deciso che il relativo importo sia versato direttamente all�ente 
nella forma del contributo. 
Roberta Tortora* 
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 28 novembre 2012 n. 6014 - Pres. Maruotti, 
Est. Vigotti - Istituto Nazionale di Statistica (Istat) ed altri (avv. gen. Stato) c. Associazioni di 
enti previdenziali privati, Coni Servizi spa, Autorit� per l�energia elettrica ed il gas, Autorit� 
per le garanzie nelle comunicazioni. 
FATTO e DIRITTO 
L�Istituto nazionale di statistica (Istat) e i Ministeri del lavoro e dell�economia chiedono la riforma 
delle sentenze, in epigrafe indicate, con le quali il Tar del Lazio ha accolto in parte i ricorsi 
proposti dalle associazioni e dagli enti previdenziali oggi resistenti, nonch� dalla Autorit� 
per le garanzie nelle comunicazioni e dall�Autorit� per l�energia elettrica e il gas avverso l�in- 
(*) Avvocato dello Stato.
CONTENZIOSO NAZIONALE 223 
serimento nel conto consolidato elaborato dall�Istat ai sensi dell�art. 1 comma 5 della legge 
30 dicembre 2004, n. 311 e dell�art. 1 comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n. 196. 
A loro volta, gli enti previdenziali appellati hanno proposto appello incidentale nel ricorso n. 
5023 del 2008, per contestare la sentenza impugnata nella parte in cui non ha accolto alcune 
censure proposte in primo grado. 
La societ� Coni servizi ha invece proposto appello avverso la sentenza del medesimo Tar n. 
4826 del 2007, che ha respinto il ricorso avente il medesimo oggetto. 
I) L�art. 1, comma 5, legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), rubricato �limite 
all�incremento delle spese delle pubbliche amministrazioni�, ha disposto che �al fine di assicurare 
il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede di Unione europea, 
indicati nel Documento di programmazione economico-finanziaria e nelle relative note di aggiornamento, 
per il triennio 2005-2007 la spesa complessiva delle amministrazioni pubbliche 
inserite nel conto economico consolidato, individuate per l'anno 2005 nell'elenco 1 allegato 
alla presente legge e per gli anni successivi dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) con 
proprio provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 31 luglio di ogni anno, 
non pu� superare il limite del 2 per cento rispetto alle corrispondenti previsioni aggiornate 
del precedente anno, come risultanti dalla Relazione previsionale e programmatica�. 
Tra le amministrazioni pubbliche inserite nell�elenco allegato alla legge il Legislatore ha compreso 
gli �Enti nazionali di previdenza e assistenza� e le �Autorit� amministrative indipendenti�, 
senza ulteriori specificazioni. 
In attuazione della disposizione richiamata, a decorrere dall�anno 2006 e in sostituzione dell�elenco 
direttamente previsto dalla legge, l�Istat ha provveduto a individuare le amministrazioni 
inserite nel conto economico consolidato con provvedimento del 29 luglio 2005: nell�elenco 
cos� formato figurano, sotto la rubrica �Enti nazionali di previdenza e assistenza� tutte le Casse 
previdenziali privatizzate con d.lgs. n. 509 del 1994, il Comitato olimpico nazionale e, alla voce 
�Autorit� amministrative indipendenti�, tra altre, l�Autorit� per l�energia elettrica e il gas. 
Con l�art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilit� e di finanza 
pubblica), � stato infine specificamente previsto che per amministrazioni pubbliche tenute al 
perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica �si intendono gli enti e gli altri soggetti che 
costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuati dall�Istituto 
nazionale di statistica sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari�. 
Sulla base di tale norma e del Regolamento UE n. 2223/96-SEC 95, � stato adottato il comunicato 
Istat recante l�elenco delle Amministrazioni pubbliche da inserire nel conto consolidato 
dello Stato per l�anno 2011, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 30 settembre 2011, n. 228, 
nel quale permangono le Casse previdenziali private, il Coni, e viene specificamente inserita 
l�Autorit� per le garanzie nelle comunicazioni 
Il quadro normativo nel quale si inserisce l�oggetto dei ricorsi � quindi costituito dai provvedimenti 
sopra richiamati, e alla luce degli stessi deve perci� essere esaminata la controversia, 
indipendentemente dagli effetti che al contestato inserimento sono ricollegati dalla successiva 
produzione normativa, evidenziata in giudizio dalle Casse resistenti. 
II) Avverso l�inserimento nell�elenco formato dall�Istat il 29 luglio 2005 (avente valenza annuale 
e sostanzialmente riprodotto negli anni successivi che interessano le controversie, in 
particolare con i provvedimenti di cui ai comunicati dell�Istat del 24 luglio 2010 e del 30 settembre 
2011), che postula il riconoscimento della natura pubblica dei soggetti interessati, sono 
stati proposti i ricorsi decisi dal Tar del Lazio con le sentenze impugnate. 
In particolare:
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
- gli Enti previdenziali privatizzati con d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, hanno evidenziato la 
propria natura di soggetti privati, svolgenti attivit� in regime privatisti: di conseguenza, ne 
sarebbe illegittimo l�inserimento nell�elenco delle amministrazioni pubbliche tenute al rispetto 
del limite di spesa previsto dall�art. 1, comma 5, della suddetta legge. Il Tar ha accolto tale 
tesi, rilevando che l�attrazione nell�ambito della �pubblica amministrazione� di soggetti qualificati 
come privati e organizzati come tali dal legislatore del 1994 non � giustificata, dato 
che la finalit� perseguita dalla suddetta norma, quello cio� di contenere la spesa pubblica, non 
potrebbe essere incisa da enti privati che non usufruiscono di finanziamenti pubblici, n� gravano 
in alcun modo sul bilancio pubblico. N�, ad avviso del Tar, l�inclusione nell�elenco potrebbe 
essere legittimata dal richiamo, operato dall�Istat, al regolamento comunitario n. 2223 
del 1996, che �non obbliga alcuno Stato membro ad elaborare per le proprie esigenze i conti 
in base al SEC (Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunit� Ue) 95�; 
- le Autorit� di garanzia hanno evidenziato che, alla luce delle classificazioni e delle metodologie 
rilevanti in sede comunitaria, espressamente assunte a parametro dall�Istat (Regolamento 
CE n. 223 del 2009 e SEC95, di cui sopra), esse non possono essere considerate tra gli �Enti 
soggetti a controllo pubblico�, la cui nozione, a livello comunitario, non coincide con quella 
recepita nell�ordinamento italiano. La tesi � stata accolta dal Tar. 
- Coni servizi s.p.a. ha proposto appello per contestare la sentenza che ha respinto il ricorso di 
primo grado per la ritenuta assimilabilit� del Comitato agli �Enti produttori di servizi assistenziale 
e culturali�, elencati nei provvedimenti pubblicati il 29 luglio 2005 e il 28 luglio 2006. 
III) Come � evidente, gli appelli in esame propongono questioni comuni, attinenti all�indagine 
circa la natura giuridica dei soggetti ricorrenti in primo grado e, di conseguenza, alla legittimit� 
o meno della loro attrazione nell�ambito delle pubbliche amministrazioni per i fini che si diranno. 
Di essi �, quindi, opportuna la riunione al fine di un�unica decisione. 
A tale proposito, l�eccezione svolta dall�Istat, tendente a dimostrare l�inammissibilit� del ricorso 
proposto dagli Enti previdenziali privatizzati (sotto il profilo della carenza di interesse per il 
fatto che la stessa legge n. 311 del 2004 li esclude, all�art. 1 comma 57, dai vincoli imposti), 
non pu� essere accolta: l�inserimento negli elenchi annualmente predisposti in attuazione del 
Regolamento SEC95 individua i soggetti chiamati a concorrere alla manovra di bilancio, di volta 
in volta assoggettati alle misure di contenimento (e, infatti, la legge finanziaria n. 296 del 2006 
include anche tali Enti privatizzati nel novero dei soggetti tenuti al rispetto del limite di spesa). 
All�inserimento nell�elenco si riconnettono, quindi, in via diretta determinati effetti che i ricorrenti 
in primo grado mirano a paralizzare. 
Per esaurire l�esame delle questioni preliminari, deve essere respinta quella, proposta negli appelli 
n. 1434, 1436 e 1438 del 2012 dall�Istat, tendente ad evidenziare la cessazione della materia del 
contendere per l�entrata in vigore, nelle more del processo, del d.l. 2 marzo 2912, n. 16, che, nel 
riconfermare l�inserimento delle Autorit� indipendenti ricorrenti in primo grado nel novero delle 
Amministrazioni tenute agli obblighi di contenimento della spesa pubblica, avrebbe fatto venir 
meno, quantomeno a decorrere dall�anno in corso, l�interesse alla decisione attinente alla legittimit� 
dell�elenco Istat, dato che l�obbligo deriverebbe direttamente dalla nuova disposizione normativa. 
Gli appelli sono, invece, tuttora procedibili, poich�, assumendo gli elenchi predisposti dall�Istat, 
che costituiscono appunto l�oggetto dei ricorsi decisi con le sentenze impugnate con i 
suddetti appelli, quale riferimento oggettivo, il decreto legge intervenuto non potrebbero che 
trovare limitata la propria efficacia in dipendenza dell�eventuale caducazione giurisdizionale 
dei provvedimenti ai quali ha operato il rinvio (evidentemente dinamico). 
Gli appelli sono pertanto tutti procedibili.
CONTENZIOSO NAZIONALE 225 
IV) Alla specifica questione circa l�individuazione della natura pubblica o privata di Enti la 
cui azione interseca, in vario modo, quella dell�amministrazione pubblica, valgono, in generale, 
alcuni indici, tra i quali quello che valorizza il controllo da parte di soggetti pubblici e 
quello che si incentra sull�erogazione di risorse pubbliche, provenienti da leggi (e da provvedimenti 
applicativi) emanati in coerenza con l�art. 23 della Costituzione, in tema di prestazioni 
patrimoniali imposte, aventi una causa di attribuzione di natura pubblicistica. 
Proprio di tali indici ha fatto applicazione l�Istat, che ha provveduto alla compilazione dell�elenco 
oggetto del giudizio, assumendo come regole classificatorie quelle proprie del sistema 
statistico comunitario; in esso ha quindi ricompreso le �unit� istituzionali� di origine comunitaria 
in possesso dei requisiti richiesti dal Regolamento UE n. 2223/96-SEC95. 
Nel settore della pubblica amministrazione, il SEC95 (prg. 2.69) ha riconosciuto tale qualifica 
alle �istituzioni senza scopo di lucro� dotate di personalit� giuridica, che agiscono da produttori 
di beni e servizi non destinabili alla vendita, alla duplice condizione che �siano controllate 
e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche�, s� da incidere in modo significativo 
sul disavanzo e sul debito pubblico; l�art. 1.2 del manuale del SEC 95 ribadisce che una istituzione 
senza fine di lucro deve essere considerata pubblica se �sia controllata, sia prevalentemente 
finanziata dalle amministrazioni pubbliche� 
Controllo e finanziamento pubblico assumono quindi, anche alla luce della normativa comunitaria 
della quale l�elenco Istat � applicazione, la funzione di indicatori della natura pubblica 
del soggetto esaminato, ai fini della determinazione dei soggetti sottoposti alle regole della 
riduzione del disavanzo pubblico. 
V) Alla luce delle suddette puntualizzazioni possono essere esaminati i singoli appelli. 
V.1) E� agevole desumere la fondatezza degli appelli proposti dall�Istat nei confronti degli 
Enti previdenziali resistenti. 
Sotto il profilo processuale, vanno previamente respinte le deduzioni contenute nell�appello 
n. 5023 del 2008, secondo cui il ricorso di primo grado n. 10612 del 2005 dovrebbe essere 
dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, ovvero improcedibile. 
Ad avviso dell�Istat, il difetto di giurisdizione deriverebbe dal fatto che l�atto impugnato in 
primo grado sarebbe meramente ripetitivo di una norma di legge. 
Tale deduzione va respinta, sia perch� le censure originarie hanno lamentato la difformit� 
dell�atto impugnato rispetto alle disposizioni di legge che ne hanno previsto l�emanazione, 
sia perch� � quand�anche vi fossero state soltanto misure attuative di norme primarie � la controversia 
sarebbe stata comunque devoluta alla giurisdizione amministrativa, anche quanto al 
potere di valutare la sussistenza dei presupposti per sollevare questioni di costituzionalit�. 
Neppure risulta l�improcedibilit� del ricorso di primo grado, in ragione dei successivi mutamenti 
del quadro normativo, poich� l�atto impugnato in primo grado ha comportato l�insorgenza 
di obblighi e di responsabilit�, rispetto ai quali va considerato perdurante l�interesse alla rimozione 
degli effetti degli atti risultati lesivi, secondo quanto si � sopra detto al punto III. 
Quanto alle censure formulate con l�appello n. 5023 del 2008 e n. 1439 del 2012, ritiene la 
Sezione che esse siano fondate e vadano accolte. 
Infatti, l�attrazione degli enti previdenziali � originari ricorrenti - nella sfera privatistica operata 
dal d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, riguarda il regime della loro personalit� giuridica, ma 
lascia ferma l'obbligatoriet� dell'iscrizione e della contribuzione (art. 1 d.lgs. cit.); la natura 
di pubblico servizio, in coerenza con l�art. 38 Cost., dell�attivit� da essi svolte (art. 2); il potere 
di ingerenza e di vigilanza ministeriale (art. 3, per il cui comma 2 tutte le deliberazioni in materia 
di contributi e di prestazioni, per essere efficaci, devono ottenere l�approvazione dei Mi-
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
nisteri vigilanti), e fa permanere il controllo della Corte dei conti sulla gestione per assicurarne 
la legalit� e l'efficacia (art. 3). 
Inoltre, il finanziamento connesso con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali, insieme 
alla obbligatoriet� della iscrizione e della contribuzione, garantiti agli Enti previdenziali privatizzati 
dall�art. 1 comma 3 del predetto decreto legislativo, valgono a configurare un sistema 
di finanziamento pubblico, sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte 
dal cumulo di quelle destinate a fini generali. 
Tale conclusione � resa ancor pi� evidente dalla attrazione del settore della previdenza privata 
nella normativa dettata in tema di controllo del disavanzo del settore (si veda la legge 23 dicembre 
1996, n. 662, relativa a misure di razionalizzazione della finanza pubblica, e la legge 
8 agosto 1995, n. 335. che, nel riformare il sistema pensionistico obbligatorio e complementare 
per l�esigenza di stabilizzazione della spesa nel settore, ha specifica attinenza anche alle forme 
garantite dagli Enti privatizzati). 
La trasformazione operata dal d.lgs. 509/1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico 
dell'attivit� istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli Enti in esame, che 
conservano una funzione strettamente correlata all�interesse pubblico, costituendo la privatizzazione 
una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo. 
V.2) L�appello proposto da Coni Servizi s.p.a. non � fondato. 
Nelle unit� istituzionali che fanno parte del Settore Amministrazioni Pubbliche (Settore S13), 
i cui conti concorrono alla costruzione del conto economico consolidato delle amministrazioni 
pubbliche il sistema comunitario comprende: a) gli organismi pubblici, che forniscono alla 
collettivit� beni e servizi non destinabili alla vendita; b) le istituzioni senza scopo di lucro 
produttrici di beni e servizi; c) gli enti di previdenza. 
Il Tar ha ritenuto che la societ� Coni servizi debba essere compresa nella prima di tali categorie; 
la ricorrente contesta sul punto la sentenza, ritenendo di non rientrare nel novero dei 
soggetti �che gestiscono e finanziano un insieme di attivit�, principalmente consistenti nel 
fornire alla collettivit� beni e servizi non destinabili alla vendita". 
Tale assunto non pu� essere condiviso. 
Va premesso che, come ha rilevato il Tar, l�inclusione nel novero delle istituzioni pubbliche 
inserite nel conto economico consolidato non presuppone necessariamente, in base alle norme 
tecniche di cui al Regolamento SEC 95, che ricorra l'elemento della diretta contribuzione a 
carico del bilancio dello Stato: il ricevere o meno trasferimenti diretti da parte dello Stato, non 
rappresenta, di per s�, un autonomo criterio di classificazione delle unit� istituzionali rientranti 
nell'elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato. 
Per il corretto inquadramento del problema vengono, allora, in evidenza i consueti parametri 
gi� evidenziati, in particolare per ci� che concerne l�esistenza del controllo da parte di organi 
dello Stato. 
Giova cos� ricordare che la societ� Coni Servizi p.a. � stata istituita nell'ambito del riassetto 
del Coni: in particolare, con d.l. 8 luglio 2002, n. 138, convertito in legge, con modificazioni, 
dall'art. 1, l. 8 agosto 2002, n. 178, recante �interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, 
di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell'economia anche 
nelle aree svantaggiate� � stato previsto (art. 8) che il Coni � si articola negli organi, anche 
periferici, previsti dal d.lg. 23 luglio 1999 n. 242� e che per l'espletamento dei propri compiti 
si avvale della societ� per azioni appositamente costituita con la denominazione "Coni Servizi 
s.p.a.", il cui capitale sociale pu� godere di apporti da parte del dal Ministro dell'economia e 
delle finanze, di intesa con il Ministro per i beni e le attivit� culturali. Le azioni della societ�
CONTENZIOSO NAZIONALE 227 
sono attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze; il presidente della societ� e gli altri 
componenti del consiglio di amministrazione sono designati dal Coni, mentre il presidente 
del collegio sindacale � designato dal Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri componenti 
del medesimo collegio dal Ministro per i beni e le attivit� culturali. Sulla societ� si 
svolge il controllo della Corte dei conti con le modalit� previste dall'art. 12, l. 21 marzo 1958, 
n. 259; la stessa pu� avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 43 
del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio 
dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato, di cui al r.d. 30 ottobre 1933, n. 
1611, e successive modificazioni. 
Emerge quindi con tutta evidenza che, come ha sottolineato la Corte dei Conti, sez. giurisd. 
reg. Lazio, 23 gennaio 2008, n. 120, per la valenza pubblicistica dell'attivit� svolta, per la natura 
pubblica dei finanziamenti del CONI, per la somma dei poteri di ingerenza della parte 
pubblica, talmente intensi da arrivare alla misura estrema del commissariamento, e che si 
esplicano normalmente attraverso atti di riconoscimento, di indirizzo, di controllo dei bilanci, 
della gestione, dell'attivit� sportiva, l�attivit� del Coni si inserisce a pieno titolo nell�ambito 
dell�azione pubblica. 
Tale configurazione non risulta venuta meno neppure a seguito dell'entrata in vigore del d.l. 
n. 138 del 2002, in quanto l'art. 8, che, come si � detto, ha disposto il riassetto del Coni istituendo 
la Coni Servizi s.p.a., non ha eliso n� le finalit� pubbliche perseguite n� il carattere 
pubblico delle risorse impiegate al tal fine. 
V.3) Gli appelli proposti dall�Istat nei confronti delle Autorit� di garanzia sono fondati. 
Il Tar ha ritenuto che nei confronti delle stesse non possano essere rinvenuti i parametri che 
sopra si sono puntualizzati come propri della natura pubblica dell�organismo esaminato. 
In particolare, nella ricostruzione dei primi giudici, dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, 
istitutiva dell�Autorit� per l�energia elettrica e il gas e dell�Autorit� per le comunicazioni, non 
si pu� fare derivare una posizione di �dipendenza� di tali organismi rispetto al soggetto al 
quale devono la propria investitura (l�art. 2, comma 7, della medesima legge prevede, quali 
passaggi della nomina degli organi di vertice la proposta del Ministro dello sviluppo economico, 
la deliberazione del Consiglio dei Ministri, il parere delle Commissioni parlamentari 
competenti per materia e infine il decreto del Presidente della Repubblica). Inoltre, le suddette 
Autorit� godono, secondo il Tar, di autonomia finanziaria, date le fonti dalle quali traggono 
le entrate (id est i contributi obbligatoriamente versati dagli operatori dei settori regolati) e la 
possibilit� di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite. 
Le sentenze meritano la riforma richiesta con gli appelli. 
Esse, infatti, si basano sulla definizione di �unit� istituzionale pubblica�, di derivazione comunitaria, 
che, come si � detto, fa leva sul concetto di �controllo� e di �finanziamento� da 
parte di pubbliche amministrazioni. Tale definizione, peraltro, soccorre qualora non sia evidente 
che l�organismo esaminato � esso stesso una pubblica amministrazione: diversamente 
opinando gli stessi organi istituzionali dello Stato ordinamento sfuggirebbero dalla definizione 
dal momento che, per essi, sarebbe difficile configurare un controllo in senso amministrativo, 
ovvero un sistema di finanziamento eterologo. 
� allora evidente che le Autorit� indipendenti non sono �istituzioni senza fini di lucro� di cui 
al punto 1.2 del Manuale del Sec 95, che sfuggirebbero alla definizione di organismo pubblico 
in quanto non sottoposte al controllo dello Stato, ovvero al finanziamento pubblico, come ha 
ritenuto il Tar: esse, invece, sono amministrazioni pubbliche in senso stretto, poich�, composte 
da soggetti ai quali � attribuito lo status di pubblici ufficiali (art. 2 comma 10 legge n. 481 del
228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
1995), svolgono, in virt� del trasferimento di funzioni operato dall�art. 2, comma 14 della 
medesima legge istitutiva, compiti propri dello Stato, e cos� di potere normativo secondario 
(o, altrimenti, il potere di emanazione di atti amministrativi precettivi collettivi) (art. 2, comma 
12, lett. h), l. n. 481 del 1995) di poteri sanzionatori, di ispezione e di controllo, hanno, in 
conclusione, poteri direttamente incidenti sulla vita dei consociati che si giustificano solo in 
forza della natura pubblica che deve � necessariamente- essere loro riconosciuta. 
D�altra parte, le �Autorit� amministrative indipendenti� sono definite tali dal legislatore (anche 
per l�applicazione delle disposizioni processuali sui riti speciali: v. art. 119, comma 1, lett. b) 
in ragione della loro �piena indipendenza di giudizio e di valutazione�, la quale: 
- non va intesa, contrariamente a quanto ha affermato il TAR, come ragione di esonero dalla 
applicazione della disciplina di carattere generale riguardanti le pubbliche amministrazioni; 
- pi� limitatamente, comporta che, tranne i casi espressamente previsti dalla legge, il Governo 
non pu� esercitare la tipica funzione di indirizzo e di coordinamento, nel senso che non pu� 
influire sull�esercizio dei poteri tecnico-discrezionali, spettanti alle Autorit�. 
L�assunto sul quale si basano i ricorsi accolti dal Tar con le sentenze in esame, essere cio� le 
Autorit� di garanzia organismi che sfuggono alle definizioni rilevanti in sede comunitaria ai 
fini dell�inclusione nell�elenco di cui trattasi e degli oneri che ad esso si connettono, risulta 
dunque infondato: di conseguenza, sono irrilevanti i profili dedotti in primo grado e riproposti 
in appello dalle Autorit� resistenti, relativi alla pretesa violazione della normativa comunitaria, 
dal momento che, come si � detto, la qualifica di tali organismi deriva non da tali parametri, 
ma dalla stessa loro natura ontologica di pubblica amministrazione. 
Risulta altres� non condivisibile la ricostruzione secondo cui l�Autorit� avrebbe una autonomia 
finanziaria che giustificherebbe la mancata applicazione della normativa sostanziale di settore. 
Gli operatori del settore versano i contributi (da qualificare come tributi: Corte Cost., sent. 
256 del 2007) direttamente alla Autorit�, restandone obbligati perch� vi sono disposizioni di 
legge riconducibili ai principi desumibili dall�art. 23 della Costituzione, sulle prestazioni patrimoniali 
imposte: la legge, che ben potrebbe disporre il pagamento di tali contributi nelle 
casse di un Ministero (tenuto poi a versare le somme di riferimento alla Autorit�), ha preferito 
semplificare gli aspetti contabili, prevedendo il pagamento diretto nelle casse della Autorit� 
(per gli importi determinati dall�Autorit� stessa), ma ci� non esclude che la causa della attribuzione 
patrimoniale sia riconducibile allo svolgimento di una funzione pubblica, da parte di 
una pubblica amministrazione. 
Pure le argomentazioni della sentenza di primo grado, sul rilievo del �controllo pubblico�, 
non possono essere condivise, perch� esso riguarda i soggetti privati da qualificare, ma di 
certo non le pubbliche amministrazioni in senso tecnico. 
Del pari, e per la medesima ragione, palesemente priva di profili di fondatezza � la questione 
di legittimit� costituzionale dell�art. 1 legge n. 196 del 2009, dedotta per violazione degli artt. 
23, 41 e 97 Cost. ove fosse interpretato nel senso di aver previsto la possibilit� di includere 
nell�elenco Istat soggetti diversi dalle �Amministrazioni pubbliche che concorrono al perseguimento 
degli obiettivi di finanza pubblica�. 
VI) La rilevata fondatezza degli appelli proposti dall�Istat impone l�esame dell�appello incidentale 
avanzato dagli Enti previdenziali avverso la sentenza del Tar del Lazio n. 1938 del 
2008, nella parte in cui ha disatteso il secondo, il sesto, il settimo motivo di ricorso ed ha implicitamente 
assorbito il quarto. 
Anche tale gravame incidentale � infondato. 
Alla luce di quanto si � detto, la qualificazione delle Casse private di assistenza e previdenza, e
CONTENZIOSO NAZIONALE 229 
la conseguente loro inclusione nell�elenco di cui si tratta, non � frutto di illogicit�, ma corrisponde 
ai principi, sopra esaminati, correttamente applicati dall�Istat: � quindi infondato il primo motivo 
dell�appello, con il quale si ripropone il secondo motivo di ricorso, gi� respinto dal Tar. 
Parimenti infondato � il secondo mezzo, relativo alla reiezione del sesto motivo del ricorso di 
primo grado, poich� l�elenco predisposto dall�Istat trova nella conformit� al parametro normativo 
la propria giustificazione, senza necessit� di ulteriore motivazione, n� di specifica istruttoria. 
Come ha ritenuto il Tar nel respingere il settimo motivo del ricorso, la natura certificativa 
dell�elenco in questione esimeva l�Istituto dal seguire gli oneri procedimentali mediante la 
comunicazione dell�avvio del procedimento, proprio perch�, come si � detto, l�inclusione 
degli Enti previdenziali privatizzati corrisponde, sia nella ratio, che nella portata letterale, a 
quanto stabiliva gi� la legge 30 dicembre 2004, n. 311, che, come si � sopra rilevato, includeva 
dall�origine gli �Enti di previdenza e assistenza� tra quelli tenuti agli oneri di contenimento 
della spesa: anche il terzo motivo d�appello � quindi infondato. 
La legittimit� della qualificazione degli Enti ricorrenti in primo grado nel novero delle amministrazioni 
pubbliche, secondo quanto si sopra detto, rende poi evidente la palese infondatezza 
dell�eccezione di costituzionalit� riproposta in via subordinata con il quarto mezzo 
d�appello avverso l�art. 1, comma 5, della legge n. 311 del 2004, che consentirebbe, in tesi, 
la modifica dell�elenco contestato al di fuori di ogni ragionevole limite di discrezionalit� amministrativa 
e l�imposizione di prestazioni patrimoniali al di fuori del parametro normativo: 
l�applicabilit� di prestazioni a carico degli Enti privatizzati non �, infatti, frutto di una valutazione 
arbitraria dell�Amministrazione, ma, al contrario, corrisponde alla qualificazione pubblica 
degli stessi e ai criteri stabiliti dalla legge in coerenza con i principi desumibili dall�art. 
81 della Costituzione e con il principio di eguaglianza di cui all�art. 3 della Costituzione. 
VII) In conclusione, tutti gli appelli proposti dall�Istat sono fondati e devono essere accolti; 
l�appello proposto da Coni servizi s.p.a. � invece infondato e deve essere respinto. 
Tale conclusione rende irrilevante l�eccezione, proposta dall�Istat, di inammissibilit� dell�intervento 
svolto da Falbi in adesione agli appelli proposti dalle Autorit� indipendenti. 
Pertanto, tutti i ricorsi di primo grado vanno respinti. 
La complessit� e la novit� delle questioni esaminate giustificano la compensazione delle spese 
tra le parti in causa, in relazione ai due gradi di tutti i giudizi. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando 
sugli appelli in epigrafe indicati: 
-accoglie previa loro riunione gli appelli nn. 5023 del 2008, 1434 del 2012, 1436 del 2012, 
1438 del 2012, 1439 del 2012 e, per l�effetto, in riforma delle sentenze impugnate, respinge 
i rispettivi ricorsi di primo grado; 
- respinge (previa riunione con gli altri appelli) l�appello n. 5671 del 2008 e, per l�effetto, 
conferma la sentenza impugnata. 
Spese compensate dei due gradi di tutti i giudizi. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2012.
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Rimborso spese legali a pubblico dipendente ex art. 18 D.L. 67/1997 
Nel caso di specie: imputazione di concussione per fatti che esulano 
da fini istituzionali e assoluzione con formula parzialmente liberatoria 
(Nota a Consiglio di Stato, Sez. Sesta, sentenza 26 febbraio 2013 n. 1190) 
Vincenzo Rago* 
Il ricorrente, abusando della sua qualit� di pubblico ufficiale - per avere 
acquistato a titolo personale alcuni telefoni cellulari a prezzi inferiori a quelli 
di mercato - e coinvolto in un processo penale di concussione, procedimento 
concluso con sentenza di assoluzione perch� il "fatto non sussiste", aveva successivamente 
chiesto il rimborso delle spese legali ai sensi di quanto disposto 
dall'art. 18 D.L. n. 67/1997, convertito in Legge n. 135/1997. 
L�amministrazione ha respinto la richiesta di rimborso, sulla base anche 
del parere dell�Avvocatura Generale secondo cui �sebbene l�imputazione di 
concussione presupponga uno stato giuridico di pubblico ufficiale, non si ravvisa 
nella specie alcuna connessione fra i fatti che hanno dato origine al procedimento 
penale e l�espletamento del servizio o l�assolvimento degli obblighi 
istituzionali�. 
Il ricorrente aveva dedotto, dinanzi al TAR, la violazione dell�art. 18, D.L. 
67/1997, conv. in legge 135/1995, nonch� l'eccesso di potere. 
Il TAR aveva respinto il ricorso. 
In sede di appello - a parte una eccezione processuale, che non rileva in 
questa sede - l'appellante ha, sostanzialmente, sostenuto che i fatti oggetto del 
processo penale fossero in connessione con il servizio. 
Il Consiglio di Stato ha respinto il gravame con decisione, che si condivide. 
Ed infatti, cos� come � stato rilevato nella memoria difensiva, in materia 
di rimborso delle spese di giudizio da parte di un dipendente pubblico, la giurisprudenza 
ha chiarito (cfr. tra le tante T.a.r. Sicilia, Palermo, Sezione I, Sentenza 
4 aprile 2012, n. 695 ) che il rimborso delle spese legali non spetta 
quando, come nel caso di specie, il procedimento penale non � da mettere in 
relazione immediata e diretta con il servizio reso, che costituisce solo una mera 
occasione del reato contestato al pubblico dipendente. 
Del resto, la ratio dell'art. 18, del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito 
con L. 23 maggio 1997, n. 135, � quella di far s� che i pubblici dipendenti, 
coinvolti in giudizi civili, amministrativi o penali in ragione dell�espletamento 
delle loro funzioni, siano tenuti indenni dalle conseguenze economiche derivanti 
dalla necessit� di assumere un patrocinio legale a propria difesa, tutte le 
(*) Avvocato dello Stato.
CONTENZIOSO NAZIONALE 231 
volte che sia accertata, con sentenza definitiva, la assenza di responsabilit�, 
onde evitare che possano subire pregiudizio per il solo fatto di svolgere i compiti 
istituzionali loro demandati (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 26 aprile 2010, n. 
8478; Cassazione civile, sez. I, 3 gennaio 2008 n. 2). 
Trattandosi di una speciale prerogativa riconosciuta ai pubblici funzionari, 
cui comunque � correlato un onere erariale, la disposizione normativa in questione 
� di stretta interpretazione, con la conseguenza che il rimborso delle 
spese legali da parte dell�Amministrazione non costituisce un obbligo, cui corrisponde 
un diritto automatico del lavoratore interessato, discendendo viceversa 
da una specifica e motivata valutazione che lo stesso ente deve effettuare 
nel suo esclusivo interesse, essendo il suo apprezzamento pur sempre teso allo 
scopo di assicurare un corretto e ragionevole impiego delle risorse erariali. 
Nel caso di specie il Ministero ha effettuato una doverosa e discrezionale 
valutazione della ricorrenza dei presupposti richiesti per il rimborso delle 
spese, ovvero la connessione del processo subito dal dipendente alla funzione 
pubblica esercitata; la definizione del processo con una sentenza di assoluzione, 
che espressamente accerti l�assenza nel dipendente dell�elemento psicologico 
del dolo o della colpa grave, nonch� la insussistenza di un conflitto 
di interessi tra gli atti o la condotta incriminata e l�amministrazione. 
Per quanto concerne la connessione con la funzione pubblica svolta, la 
giurisprudenza ha chiarito che essa sussiste tutte le volte in cui gli atti e i fatti 
per i quali il dipendente sia stato incriminato siano riconducibili direttamente 
all�ente di appartenenza, perch� assunti nell�esercizio delle sue funzioni istituzionali, 
cosicch� la tutela di queste ultime � perseguita necessariamente per 
tramite della difesa del primo, verificandosi una coincidenza di interessi tra i 
due soggetti, in virt� del rapporto organico che li astringe, alla stregua dei 
principi fissati dall�art. 28 della Costituzione (per tutte T.A.R. Veneto, Sezione 
I, 23 marzo 2000, n. 835). 
Ma, nel caso di specie, la connessione diretta non vi era, poich� il ricorrente 
� stato processato per avere acquistato telefonini svariati a prezzi inferiori 
a quelli di mercato, abusando del proprio ruolo. 
Deve quindi escludersi la rimborsabilit� delle spese di che trattasi qualora 
gli atti e i fatti per i quali il dipendente sia stato incriminato esulino dai fini 
istituzionali dell�ente pubblico, risultando piuttosto frutto di una sua autonoma 
manifestazione di volont�, rispondente a scopi diversi (ex multis Consiglio di 
Stato, Sezione V, 22 dicembre 1993, n. 1392). 
Inoltre, � anche necessario che questi atti e fatti siano teleologicamente 
legati da un rapporto di stretta causalit� e non di mera occasionalit�; in altre 
parole, vi deve essere un rapporto di strumentalit� tale che il dipendente non 
avrebbe potuto assolvere ai compiti del proprio ufficio se non compiendo quegli 
atti o fatti oggetto di imputazione (T.A.R. Palermo, Sezione I, n. 127/05). 
Questo rapporto di strumentalit� non sussiste in presenza di un abuso
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
della qualit� di pubblico ufficiale e di compimento di attivit� estranee alla funzione 
pubblica svolta. 
In proposito, � appena il caso di osservare che la valutazione circa la sussistenza 
di un rapporto non meramente occasionale con il fatto di reato contestato 
rientrava nella discrezionalit� dell�Amministrazione datrice di lavoro e, 
in quanto tale, incensurabile in sede di legittimit�, se non in caso di cattivo 
esercizio di questa discrezionalit� (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, 20 novembre 
2003, n. 17651). 
E tanto pi� il rapporto si interrompe tutte le volte in cui l'Amministrazione 
- in astratto - potrebbe anche costituirsi parte civile, per fare valere un danno 
alla propria immagine, leso dai comportamenti del militare, poco consoni alla 
funzione da questi ricoperta (cfr., Consiglio di Stato, Sezione V, 9 ottobre 2006, 
n. 5986; Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 17 settembre 2002, n. 13624). 
� infatti evidente che quando l�Amministrazione si costituisce parte civile, 
mostra di aver gi� apprezzato negativamente il comportamento del proprio 
dipendente. 
Nel caso del ricorrente, infine, difettava anche il terzo requisito, costituito 
dalla conclusione del processo penale con una sentenza di assoluzione che accerti 
l�inesistenza del profilo psicologico del dolo o della colpa grave nella 
condotta ascritta al dipendente. 
Ed infatti, l�assoluzione perch� il "fatto non sussiste" non era completamente 
satisfattoria e liberatoria, sia perch�, nella specie, la sostanza non limpida 
dei comportamenti assunti dal ricorrente era stata confermata, sia perch� 
quella utilizzata � la formula utilizzata in luogo della vecchia assoluzione per 
insufficienza di prove (cfr. Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regione 
Puglia, 17 dicembre 1993, n. 95; Corte di Cassazione, Sezione Civile I, 3 gennaio 
2001, n. 48; Consiglio di Stato, IV, 6 giugno 2011, n. 3396; T.a.r. Sicilia, 
I, 21 aprile 2010, n. 5570; 3 febbraio 2005, n. 127; Consiglio di Giustizia Amministrativa, 
Sezione Consultiva, 4 aprile 2006, n. 358). 
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza 26 febbraio 2013 n. 1190 - Pres. Giaccardi, 
Est. De Felice - P.B. (avv. Caponi) c. Ministero della Difesa (avv. gen. Stato). 
FATTO 
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio l�attuale appellante, 
B.P., agiva per l�annullamento del decreto del 27 ottobre 2008 del Ministero della 
Difesa, con cui si rigettava la sua richiesta di rimborso delle spese legali, in relazione al procedimento 
penale n. 895 del 2006, conclusosi con sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p. 
dal reato di concussione di cui all�art. 317 c.p. perch� �il fatto non sussiste�. 
L�amministrazione aveva negato il rimborso sulla base del parere dell�Avvocatura Generale 
dello Stato, secondo cui �sebbene l�imputazione di concussione presupponga uno stato giu-
CONTENZIOSO NAZIONALE 233 
ridico di pubblico ufficiale, non si ravvisa nella specie alcuna connessione fra i fatti che hanno 
dato origine al procedimento penale e l�espletamento del servizio o l�assolvimento degli obblighi 
istituzionali�. 
Il ricorrente deduceva i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili. 
Il primo giudice, con la sentenza appellata, definita in forma semplificata all�esito della camera 
di consiglio fissata per la fase cautelare, ha rigettato il ricorso, ritenendo che, pur sussistendo 
il requisito della completa assoluzione penale, tuttavia manca il primo presupposto necessario 
e cio� che il giudizio penale sia stato promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con 
l�espletamento del servizio o con l�assolvimento degli obblighi istituzionali. Nella specie, si 
era trattato di una vicenda di acquisto a titolo personale di telefoni cellulari in cui era stato 
contestato l�abuso della qualit� di pubblico ufficiale (da cui poi era stato assolto). L�imputazione 
quindi, secondo il primo giudice, non era originata da una attivit� svolta in diretta connessione 
con i fini dell�amministrazione o nell�ambito del rapporto di immedesimazione 
organica tale da consentire una immediata riferibilit� della condotta all�ente. 
Si era invece trattato di una condotta del tutto estranea ai compiti dell�istituto, in cui il dipendente 
aveva agito per scopi del tutto personali e in cui la qualit� di pubblico ufficiale, che era 
venuta in rilievo proprio perch� se ne contestava l�abuso, era in conflitto con l�interesse proprio 
dell�amministrazione di appartenenza, non potendosi inoltre escludere elementi potenzialmente 
rilevanti sotto il profilo disciplinare o amministrativo. 
Avverso tale sentenza propone appello il medesimo B.P., che deduce in primo luogo la nullit� 
della sentenza, perch� la difesa del ricorrente non � potuta comparire alla camera di consiglio 
fissata per la sospensiva in data 4 marzo 2009, avendo ricevuto la comunicazione della fissazione 
dell�udienza di discussione soltanto dopo � cio� in data 5 marzo 2009. 
Conseguentemente, sostiene la nullit� della sentenza per violazione del diritto di difesa essendo 
stata introitata la causa direttamente nel merito in assenza di comparizione delle parti 
ed essendo stato posto nella impossibilit� di comparire. 
Nel merito, deduce la erroneit� della sentenza appellata, in quanto la formula assolutoria �perch� 
il fatto non sussiste� non pu� consentire di ritenere esclusa la connessione con il rapporto 
organico con l�amministrazione; in caso contrario, al B. non sarebbe stato contestato il reato 
di concussione. 
Il giudice di primo grado non ha tenuto conto che i fatti oggetto di procedimento penale riguardavano 
fatti avvenuti durante il normale servizio di controllo del territorio da parte del 
carabiniere e che lo sconto che gli � stato effettuato sull�acquisto dei cellulari rientrava nella 
libera contrattazione di mercato; contesta che i fatti dai quali � stato assolto possano determinare 
l�apertura di procedimenti disciplinari o di tipo amministrativo, non avendo l�amministrazione 
subito alcun danno. 
Chiede anche la modifica della statuizione di condanna alle spese. 
Si � costituito il Ministero della Difesa chiedendo il rigetto dell�appello perch� infondato. 
Alla udienza pubblica del 19 febbraio 2013 la causa � stata trattenuta in decisione. 
DIRITTO 
L�appello � infondato. 
� vero che il mancato invio della comunicazione dell'avviso di fissazione d'udienza configura 
un difetto di procedura sancito dall'art. 35 comma 1 l. Tar, che determina la nullit� dell'udienza 
di discussione e di tutti i successivi atti processuali, ivi compresa la decisione finale. 
Nella specie, la parte appellante deduce di avere ricevuto la comunicazione della camera di
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
consiglio soltanto successivamente (il giorno dopo, 5 marzo 2009) rispetto al giorno fissato 
(4 marzo 2009). 
Tuttavia, nulla dimostra al riguardo; n� diversamente risulta dal fascicolo di primo grado acquisito 
agli atti, dal quale risulta soltanto che era stato fatto avviso alle parti, con atto datato 
26 febbraio 2009, di cui peraltro difetta la prova della comunicazione. 
L�appello � infondato nel merito. 
L'art. 18 d.l. n. 67/1997 conv. in l. n. 135/1997 individua i presupposti che legittimano l'amministrazione 
a contribuire alla difesa del suo dipendente imputato in un processo penale: � 
necessario che il giudizio di responsabilit� sia stato promosso in conseguenza di fatti ed atti 
connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento degli obblighi istituzionali, e 
che esso si sia concluso con sentenza od altro provvedimento che abbia escluso la responsabilit� 
dell'istante. 
Ai fini dell'applicazione dell'art. 18 comma 1, d.l. 25 marzo 1997 n. 67, conv. nella l. 23 maggio 
1997 n. 135, in tema di rimborso di spese legali, la connessione dei fatti con l'espletamento 
del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali va intesa nel senso che tali atti e fatti 
siano riconducibili all'attivit� funzionale del dipendente stesso in un rapporto di stretta dipendenza 
con l'adempimento dei propri obblighi, dovendo trattarsi di attivit� che necessariamente 
si ricollegano all'esercizio diligente della pubblica funzione, nonch� occorre che vi sia un 
nesso di strumentalit� tra l'adempimento del dovere e il compimento dell'atto, nel senso che 
il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell'atto. 
Nella specie, esaminando gli atti, interrogatori e testimonianze rese nel corso del giudizio, il 
fatto imputato di abuso della qualit� o di concussione esulava del tutto dal servizio pubblico 
e aveva ad oggetto fatti privati posti in essere dall�appellante. 
La vicenda riguarda l�acquisto, a titolo del tutto personale � e tale circostanza assume valore 
assorbente - di telefoni cellulari in cui � stato contestato l�abuso della qualit� di pubblico ufficiale; 
tra l�altro, l�istruttoria ha portato a concludere da un lato sulla insufficienza degli elementi 
di prova ai fini della configurabilit� del reato di concussione; dall�altro lato, si sarebbe 
delineata una condotta dell�imputato arrogante e poco consona alla qualit� rivestita di appuntato 
dei Carabinieri. 
L�amministrazione ha correttamente negato il rimborso sulla base del parere dell�Avvocatura 
Generale dello Stato, secondo cui �sebbene l�imputazione di concussione presupponga uno 
stato giuridico di pubblico ufficiale, non si ravvisa nella specie alcuna connessione fra i fatti 
che hanno dato origine al procedimento penale e l�espletamento del servizio o l�assolvimento 
degli obblighi istituzionali�. 
Ai fini del rimborso delle spese legali sostenute da un pubblico dipendente (nella specie, un 
maresciallo aiutante), affinch� sia ravvisabile una connessione tra la condotta tenuta e l'attivit� 
di servizio del dipendente, � necessario che la suddetta attivit� sia tale da poterne imputare 
gli effetti dell'agire del pubblico dipendente direttamente alla Amministrazione di appartenenza, 
poich� il beneficio del ristoro delle spese legali richiede un rapporto causale con una 
modalit� di svolgimento di una corretta prestazione lavorativa le cui conseguenze ricadrebbero 
sull'Amministrazione n� � sufficiente che l'evento avvenga durante e in occasione della prestazione 
(tra tante, Consiglio Stato sez. III, 1 marzo 2010, n. 275). 
L'imputazione basata sulla qualifica di pubblico ufficiale muove da giudizi prognostici ed 
astratti che non possono valere ad indebitamente estendere il perimetro applicativo dell'art. 
18 d.l. n. 67 del 1997 modificandone il paradigma legale, il quale richiede che le condotte 
siano connesse con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali,
CONTENZIOSO NAZIONALE 235 
e dunque rientranti nell'alveo della riferibilit� al valore dell'Amministrazione, con esclusione 
di quelle che siano occasionalmente ricollegabili ad un incarico - come per esempio, come 
nella specie, l�acquisto a titolo privato di beni quali telefoni cellulari, abusando della qualit� 
- e non pure al diretto svolgimento delle funzioni istituzionali e i cui effetti non siano imputabili 
all'Amministrazione, in quanto non ascritte al novero delle incombenze direttamente 
promananti dalla posizione funzionale ed organizzativa rivestita dall'interessato nell'ambito 
della struttura dell'Amministrazione di appartenenza. 
La mera connessione occasionale delle condotte con la qualifica di pubblico ufficiale non �, 
quindi, sufficiente ai fini dell'ammissibilit� del rimborso delle spese legali, altrimenti dovendo 
farsi rientrare nel campo applicativo della norma tutte le imputazioni relative ai reati propri 
inerenti a condotte che trovino nel servizio la mera occasione di realizzazione. 
Non � sufficiente a dimostrare la connessione, se non a titolo meramente occasionale, la circostanza, 
evidenziata dall�appellante a sostegno delle sue pretese, che il venditore disponeva 
del cellulare del carabiniere avendo subito alcuni furti, n� che l�appellante era solito recarsi 
presso quel rivenditore. 
Il giudizio di responsabilit� si considera promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con 
l'espletamento del servizio o con l'assolvimento degli obblighi istituzionali solo nei casi in 
cui l'imputazione riguardi un'attivit� svolta in diretta connessione con i fini funzionali dell'ente 
e, come tale, ad esso imputabile. 
La possibilit� del rimborso delle spese legali � da escludersi qualora vi sia conflitto di interessi 
tra dipendente ed amministrazione, emergendo o comunque potendo emergere estremi di natura 
disciplinare ed amministrativa, per mancanze attinenti al compimento dei doveri d'ufficio. 
Per le sopra esposte considerazioni, l�appello deve essere respinto. 
Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del 
presente grado. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando 
sul ricorso indicato in epigrafe, cos� provvede: 
rigetta l�appello, confermando la impugnata sentenza. Spese compensate. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2013.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Recupero dei crediti alimentari ai sensi della Convenzione di 
New York del 20 giugno 1956 
(Parere prot. 210639 del 28 maggio 2012, AL 33776/11, avv. ILIA MASSARELLI) 
La questione di massima, sottoposta all�attenzione della Scrivente, concerne 
l�ammissibilit� del ricorso al procedimento di iscrizione a ruolo ex art. 
17 D. Lgs. n. 46/1999 per l�attuazione coattiva degli obblighi alimentari ricadenti 
nell�ambito di applicazione della Convenzione Internazionale �sull�esazione 
delle prestazioni alimentari all�estero�, firmata a New York il 20 giugno 
1956 e ratificata dalla Repubblica Italiana il 28 luglio 1958.
In particolare, a seguito di un�importante nota del MEF del 10 gennaio 2011, 
codesto Ministero dell�Interno sollecita un nuovo pronunciamento della Scrivente 
in merito alla possibilit� di eseguire i provvedimenti giurisdizionali (di
giurisdizioni straniere) di condanna al pagamento di assegni alimentari, debitamente 
riconosciuti nell�ordinamento italiano, avvalendosi, anzich� dell�ordinario
processo esecutivo, del procedimento speciale regolato dal combinato disposto
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e del D. Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46. 
La soluzione ermeneutica accolta dal Comitato Consultivo di questa Avvocatura 
Generale, con parere del 23 aprile 2004, n. 59153, favorevole all�impiego 
dell�iscrizione a ruolo per l�esecuzione delle obbligazioni de quibus, � 
stata difatti rimessa in discussione da un recente parere del MEF, per ragioni 
sia sostanziali che procedurali: 
- da un lato, l�organo economico, anche alla luce della giurisprudenza 
formatasi in materia, ha espresso delle riserve in merito alla possibilit� di qualificare 
in termini di entrate statali, come tali soggette all�art. 17 D. Lgs. n. 46
cit., crediti alimentari di natura privatistica; 
- dall�altro, ha evidenziato come l�impiego dell�iscrizione a ruolo confligga 
con i principi di contabilit� e finanza pubblica sanciti dalla L. n.
196/2009, sotto il profilo dell�assenza sia di un apposito capitolo di bilancio
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
in cui iscrivere le somme rinvenenti dalla riscossione coattiva de qua, sia di 
disposizioni primarie legittimanti una rassegnazione delle somme (in tal modo 
riscosse) in favore del privato creditore. 
Pertanto, ai fini della soluzione del quesito prospettato, occorre soffermarsi: 
- dapprima, sulla natura giuridica del credito alimentare azionato dalle 
autorit� nazionali nel rispetto delle previsioni di diritto uniforme, al fine di verificare 
se possa essere inteso come entrata statale, tale da essere ricondotto 
all�ambito di applicazione dell�art. 17 D. Lgs. n. 46 cit.; 
- successivamente, ove dovesse essere fornita una risposta positiva all�interrogativo 
preliminare, dovr� essere presa in esame la compatibilit� dell�esecuzione 
mediante ruolo con i principi contabili e finanziari dettati dalla Legge n. 196. 
Prima di esaminare le questioni illustrate, giova comunque accennare all�ambito 
di applicazione dell�art. 17 D. Lgs. n. 46 cit, spiegando le ragioni per 
le quali non possa essere applicato oltre le fattispecie cui espressamente si riferisce, 
non risultando sufficiente la presenza di un generico interesse pubblico 
per legittimare la riscossione coattiva di entrate diverse da quelle statali. 
Nonostante l�elastica formulazione normativa del precitato art. 17, richiamante 
genericamente le entrate statali e non i crediti statali, l�interpretazione 
della disposizione deve presentarsi compatibile con i principi giuridici ricavabili 
dalla nostra Carta costituzionale, in specie il principio di legalit�: difatti, 
la riscossione coattiva mediante ruolo, rappresentando un tipico esercizio di 
poteri di autotutela (esecutiva) - atteso che l�amministrazione pu� risolvere i 
conflitti di interesse in cui � parte, coinvolgenti propri atti o condotte, prescindendo 
dall�intermediazione dell�autorit� giudiziaria - deve trovare fondamento 
in una specifica disposizione di rango primario. 
Trattasi di disposizioni, quest�ultime, che non possono essere qualificate 
come norme generali, interpretabili analogicamente, dovendo piuttosto essere 
intese come norme eccezionali, inapplicabili al di fuori delle fattispecie tassativamente 
previste dal legislatore. 
Nel caso che ci occupa, atteso che l�amministrazione, riscuotendo coattivamente 
il credito, esercita un potere di imperio, in grado di incidere in via diretta 
ed unilaterale sul patrimonio giuridico del privato, occorre evitare 
un�interpretazione analogica delle relative disposizioni legislative, pena la violazione 
dei diritti di libert� individuali e del fondamentale principio di legalit�. 
Alla luce delle considerazioni che precedono, l�art. 17 cit. non pu� trovare 
applicazione qualora l�amministrazione sia soltanto legittimata ad agire per 
l�attuazione di un credito altrui, dovendosi limitare l�esercizio del potere di 
riscossione coattiva (mediante iscrizione a ruolo) ai casi in cui venga in rilievo 
un�entrata statale, di cui quindi sia soltanto lo Stato ad essere il titolare. 
Dopo aver precisato la necessit� di ricomprendere nella portata applicativa 
dell�art. 17 cit. le sole entrate statali, pure non tributarie e traenti il proprio 
fondamento in rapporti privatistici, occorre verificare se i crediti alimentari
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 239 
disciplinati dalla Convenzione di New York del 1956 possano essere intesi nei 
medesimi termini. 
La risposta al quesito prospettato risente notevolmente della posizione ermeneutica 
che si intende assumere in ordine alla legittimazione processuale 
delle autorit� statali: al fine di facilitare l�esecuzione delle obbligazioni alimentari 
(per propria natura aventi come creditori soggetti in stato di bisogno, necessitanti 
quindi di un pagamento sollecito dei relativi assegni), la Convenzione 
di New York e gli strumenti di diritto uniforme intervenuti in subiecta materia 
nel corso degli anni (da ultimo si veda il regolamento comunitario n. 4/2009 
del Consiglio del 18 dicembre 2008) hanno previsto un sistema di cooperazione 
tra le autorit� centrali degli Stati contraenti (o membri, nel caso dell�UE), fondato 
sulla legittimazione ad intraprendere le attivit� giudiziali e stragiudiziali 
necessarie per assicurare l�attuazione (anche coattiva) del credito alimentare. 
Pertanto, a condizione che la parte attiva e passiva del rapporto obbligatorio 
siano soggetti a giurisdizioni differenti, si consente al creditore anzich� 
di recarsi nello Stato di stabilimento del debitore per ivi ottenere il riconoscimento 
e l�attuazione del proprio diritto, di rivolgersi alle autorit� del proprio 
ordinamento (ccdd. Autorit� Speditrici), affinch� trasmettano alle autorit� centrali 
dello Stato del debitore (ccdd. Istituzioni Intermediarie) la documentazione 
necessaria per il soddisfacimento del credito alimentare. 
Ne deriva l�attribuzione, in favore delle autorit� nazionali, del potere di 
agire in giudizio, nell�ambito del proprio ordinamento, per l�attuazione dei titoli 
esecutivi emessi dai giudici stranieri: si pone quindi un problema qualificatorio 
circa la natura giuridica della legittimazione conferita, in subiecta 
materia, alle autorit� nazionali. 
Orbene, l�analisi della giurisprudenza formatasi nel tempo in materia consente 
alla Scrivente, in armonia, peraltro, con quanto comunicato dal MEF 
nella nota evidenziata, di propendere per la tesi che inquadra la legittimazione 
dello Stato-Istituzione Intermediaria (i.e. il Ministero dell�Interno) - giusta la 
previsione dell�art. 6 della Convenzione cit. -, nell�istituto della c.d. sostituzione 
processuale di cui all�art. 81 c.p.c. 
Come noto, il sostituto processuale � il soggetto abilitato da un�apposita 
previsione normativa - che nel caso di specie � rinvenibile nelle legge di esecuzione 
della Convenzione del 1956 - ad agire in giudizio in nome proprio per la 
tutela di �un diritto altrui� (81 c.p.c.): deve tuttavia evidenziarsi che, contrariamente 
a quanto potrebbe desumersi da un�interpretazione letterale del disposto 
positivo, il sostituto processuale, in realt�, come sostenuto da autorevole 
dottrina e come imposto dei principi processuali in materia di legittimazione ed 
interesse ad agire, non invoca la tutela di un diritto altrui, bens� di una situazione 
soggettiva propria, seppure incidente su un rapporto giuridico alieno, con conseguente 
necessit� di differenziare l�interesse azionato dal sostituto e l�interesse 
di cui � titolare il sostituito, costituenti distinte situazioni giuridiche soggettive.
240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Tali principi influenzano sensibilmente la soluzione del quesito prospettato 
alla Scrivente. 
Se, difatti, si qualifica la legittimazione statale in termini di legittimazione 
straordinaria da ricondurre alla previsione dell�art. 81 c.p.c., come peraltro ripetutamente 
affermato dalla giurisprudenza, si viene a distinguere, come evidenziato, 
l�interesse (pubblico) azionato dall�Autorit� intermediaria 
dall�interesse (privato) imputato al creditore degli alimenti, con conseguente 
impossibilit� di qualificare il credito alimentare come entrata statale. 
Difatti, accogliendo la tesi de qua, si conclude nel ritenere che l�azione giudiziaria 
esercitata dallo Stato, in veste di sostituto processuale, sia funzionale: 
- in via primaria, alla tutela dell�interesse pubblico alla cooperazione internazionale 
e al sollecito adempimento delle obbligazioni alimentari; 
- e soltanto in via riflessa, al soddisfacimento del credito alimentare di 
cui viene chiesta concretamente l�esecuzione. 
Accanto al rapporto principale, di carattere pubblicistico, intercorrente 
fra le autorit� centrali degli Stati contraenti, emergerebbe dunque il rapporto 
secondario (alimentare) che, in ragione della sua natura privatistica, coinvolgerebbe 
le sole sfere giuridiche del creditore straniero (ossia il sostituito processuale) 
e del debitore stabilito nell�ordinamento italiano. 
Tale ricostruzione, accolta dalla giurisprudenza nel tempo, portando, in 
ultima analisi, a negare l�equiparazione tra il credito azionato e l�entrata statale 
- atteso che ci� determinerebbe una confusione tra il profilo pubblico e privato 
della vicenda configurando un unico rapporto giuridico -, impedirebbe - per 
le ragioni supra illustrate - la possibilit� di ricorrere alla riscossione coattiva 
mediante iscrizione a ruolo. 
Ed al proposito, la Corte Suprema di cassazione ha pi� volte ribadito che 
�Il Ministero dell'interno, nell'esercizio delle funzioni conferitegli dalla citata 
Convenzione di New York, non si pone come rappresentante legale del minore 
(tale restando il genitore o chi assuma la tutela secondo l'ordinamento di appartenenza), 
ma assume una rappresentanza "speciale", che prescinde da un 
mandato del creditore (o di chi legalmente lo rappresenta), e che risponde all'interesse 
generale di assicurare che le posizioni dell'alimentando trovino effettivo 
soddisfacimento� (Cass. n. 11278/1996); pertanto, �il relativo potere 
di azione � svincolato dal rilascio della procura da parte del soggetto creditore 
degli alimenti, restando subordinato solo alla richiesta avanzata dalle autorit� 
speditrici (Cass. 18 dicembre 1974 n. 4346; Cass. 17 luglio 1980 n. 4648), 
con la conseguenza che la procura del creditore alimentare all'autorit� intermediaria, 
prevista solo in via eventuale dall'art. 3 n. 3 della pi� volte citata 
Convenzione di New York, nessun potere rappresentativo ulteriore pu� aggiungere 
a quello gi� spettante a detta istituzione ed � riconducibile a quello 
della categoria dei meri atti di impulso (Cass. n. 1992/1996) 
Ne deriva, infine, che �l'Autorit� intermediaria che chieda la delibera-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 241 
zione di sentenze straniere recanti condanna agli alimenti si qualifica come 
sostituto processuale ai sensi dello art. 81 c.p.c., ossia come soggetto che, pur 
non essendo titolare del diritto azionato, � tuttavia legittimato a farlo valere 
in giudizio in nome proprio, in quanto portatore di un interesse di natura pubblicistica� 
(Cass. n. 4327/1994; cfr. anche Cass. n. 7148/1993; n. 4165/1989; 
n. 4648/1980; n. 4254/1977; n. 4346/1974). 
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi che il Ministero 
dell�Interno, agendo in giudizio per l�esecuzione di un credito alimentare 
in veste di Istituzione Intermediaria, invochi la tutela di una situazione giuridica 
propria, id est l�interesse alla cooperazione internazionale e alla sollecita 
attuazione delle obbligazioni alimentari, distinta dalla situazione soggettiva 
creditoria, che, pur incisa dall�azione giudiziaria statale, rimane di esclusiva 
spettanza della parte sostituita. 
Pertanto, difettando il presupposto del potere di autotutela esecutiva contemplato 
nell�art. 17 D. Lgs. n. 46/1999 - non si riscontra cio� la presenza di 
alcuna entrata statale - l�amministrazione degli Interni, in ottemperanza agli 
obblighi assunti in sede internazionale, � tenuta ad attivare l�ordinario processo 
di esecuzione nel rispetto delle previsioni del Libro III c.p.c., con la precisazione 
che le somme rinvenenti dalla vendita o dall�assegnazione, in quanto 
non riconducibili alla categoria generale delle �entrate statali�, non possono 
essere incamerate nel bilancio statale, dovendo essere direttamente intestate 
al sostituito processuale. 
In tale modo si risolverebbero altres� gli ulteriori problemi sollevati dall�amministrazione 
finanziaria, in specie la carenza di un apposito capitolo di 
bilancio presso cui registrare le entrate derivanti dall�esecuzione forzata: in 
quanto il Ministero agisce per tutelare un interesse proprio, strettamente connesso 
con quello privato, senza acquisire alcun diritto di credito nei confronti 
del debitore italiano, o comunque soggetto alla giurisdizione italiana, le somme 
riscosse non dovranno essere registrate presso alcuna voce di bilancio statale, 
dovendo - come osservato - essere direttamente assegnate al creditore straniero. 
Alla luce delle premesse considerazioni, quindi, l�Autorit�-Intermediaria, 
al fine di tutelare il proprio interesse, � chiamata ad agire dinnanzi al giudice 
dell�esecuzione, chiedendo - nel rispetto delle previsioni codicistiche - il pignoramento, 
l�assegnazione e/o vendita forzata dei beni del debitore e la distribuzione 
del ricavato, in maniera da garantire il soddisfacimento delle 
esigenze sociali sottese alla materia alimentare. 
Cosicch�, oltre ad essere realizzato l�interesse pubblico primario, risulter� 
contestualmente soddisfatto anche l�interesse privato secondario, posto che la 
positiva conclusione della procedura espropriativa presuppone la diretta intestazione 
delle somme rinvenenti dall�esecuzione in favore del creditore sostituito, 
senza pertanto possibilit� alcuna di addivenire alla loro registrazione nel 
bilancio erariale.
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Il presente parere � passato all�esame del Comitato Consultivo, che si � 
espresso in conformit�. 
Competenze dell�Agenzia del Demanio in materia di gestione 
di beni confiscati 
(Parere prot. 418413 del 25 ottobre 2012, AL 12909/11, avv. ALESSANDRA BRUNI) 
Codesta Agenzia propone alla Scrivente una articolata richiesta di parere, in 
ordine a svariate questioni inerenti la gestione dei beni confiscati, partendo dalla 
considerazione che il Demanio, prima della riforma normativa di cui alla legge 
50 del 2010, ha ritenuto sussistere la propria competenza limitatamente alla gestione 
dei beni pervenuti all�erario a seguito di confisca irrevocabile disposta ai 
sensi della normativa antimafia (legge 575/1965 e art. 12 sexies del d.l. 306/1992). 
Pi� precisamente � stato chiesto di sapere : 
1- quale sia il soggetto pubblico competente alla gestione dei beni confiscati 
all'esito di procedimenti penali inerenti la realizzazione o gestione non 
autorizzata di discariche ex art. 256, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e 
quale sia il soggetto tenuto all�eventuale ripristino e bonifica. 
2- quale sia il soggetto pubblico competente alla gestione dei beni confiscati 
all'esito di procedimenti riguardanti la immigrazione clandestina ex d. 
lgs. 286/1998 e successive modifiche. 
3- quale sia, nella ipotesi di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni 
pubbliche (legge 488 del 1992) ex art. 640 bis cp, il procedimento da 
seguire dopo la confisca, essendo applicabili gli artt. 640 quater cp e 322 ter 
cp e come ci si debba regolare nella ipotesi in cui oggetto della confisca a seguito 
delle citate disposizioni normative, siano societ�. 
Prima di entrare nel merito delle questioni da trattare sembra opportuno 
evidenziare che le numerose disposizioni normative che prevedono la confisca 
dei beni, non sono armonicamente coordinate fra loro, e che in qualche caso 
addirittura si sovrappongono, generando, ovviamente, difficolt� interpretative 
e applicative. 
Occorre pertanto tenere sempre presente la differenza che corre tra la confisca 
quale misura di prevenzione, prevista dalla normativa antimafia (oggi 
disciplinata dal decreto legislativo 159 del 2011), dalla confisca quale misura 
di sicurezza patrimoniale mutando, a seconda della tipologia del provvedimento 
di esproprio, il procedimento, l�oggetto, l�esecuzione del sequestro, 
l�amministrazione dei beni, la tutela dei terzi, la destinazione finale dei beni 
confiscati.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 243 
La differenza fra i due istituti, ontologicamente diversi fra loro, � costituita 
dall�individuazione dei soggetti destinatari delle due misure. 
La confisca, quale misura di sicurezza, pu� essere applicata solo al soggetto 
condannato, laddove per la misura di prevenzione i soggetti destinatari sono 
preindividuati dalla normativa di riferimento che prescinde, inoltre, da un vincolo 
di pertinenzialit� diretta tra i beni confiscati ed i reati per i quali si procede. 
Passando ai singoli quesiti si rileva quanto segue: 
Sul punto 1 
quale sia il soggetto pubblico competente alla gestione dei beni confiscati all'esito 
di procedimenti penali inerenti la realizzazione o gestione non autorizzata 
di discariche ex art. 256, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e quale 
sia il soggetto tenuto all�eventuale ripristino e bonifica. 
La norma si inserisce nel corpus del codice dell'ambiente, finalizzato a 
semplificare, razionalizzare, coordinare e rendere pi� chiara la legislazione 
ambientale. La tutela contro i reati ambientali ivi contenuta � stata recentemente 
rafforzata in virt� dell'entrata in vigore del d.lgs. 7 luglio 2011, n. 121, 
che potenzia la risposta sanzionatoria per i reati gi� previsti, introduce nuove 
fattispecie incriminatrici e la responsabilit� delle persone giuridiche anche per 
i reati ambientali. 
L�art. 256 comma 3 prevede che �Chiunque realizza o gestisce una discarica 
non autorizzata � punito con la pena dell'arresto da sei mesi a due 
anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica 
la pena dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da euro cinquemiladuecento 
a euro cinquantaduemila se la discarica � destinata, anche in parte, allo 
smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza 
emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, consegue la 
confisca dell'area sulla quale � realizzata la discarica abusiva se di propriet� 
dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di 
ripristino dello stato dei luoghi�. 
Prima di affrontare le problematiche di cui alla richiesta di parere, sembra 
opportuno fare chiarezza su alcuni istituti giuridici. 
La confisca comporta l�acquisto della propriet� dei beni da parte dello 
Stato, a titolo originario per consolidato orientamento giurisprudenziale. Pertanto, 
anche i beni confiscati a seguito di realizzazione o gestione di discarica 
abusiva ex art. 256 del d.lgs. 152/2006 entrano a far parte definitivamente del 
�patrimonio pubblico� (Cass. Pen., sent. 28 maggio 2001, n. 21640). 
La Corte di Cassazione, con orientamento ormai consolidato, (Cass. Pen., 
I Sez., 14 luglio 2005, Sent. n. 25979; Cass., Sez. Unite, 28 gennaio - 23 marzo 
1998) ha statuito �l�intangibilit� della confisca ... anche in considerazione 
del fatto che, nel momento del passaggio in giudicato della sentenza che la 
dispone, �consegue un istantaneo trasferimento a titolo originario in favore
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
del patrimonio dello Stato del bene che ne costituisce l�oggetto con conseguente 
esaurimento della situazione giuridica considerata�. 
Quando si parla di propriet� dello Stato � verosimile ritenere, anche in 
forza del r.d. 2440/1923, che ci si riferisca all'attuale Ministero dell'Economia 
e delle Finanze. Quanto detto sin qui appare corroborato dalla circostanza che 
quando il legislatore ha voluto attribuire la propriet� ad un soggetto giuridico 
diverso dallo Stato, lo ha detto espressamente, come nel caso del trasferimento 
dei beni del demanio idrico a Regioni, Province e Comuni, ai sensi del d.lgs. 
28 maggio 2010, n. 85. 
Comunque la distinzione tra titolarit� della propriet� e potest� gestoria � 
un elemento caratteristico dei nuovi schemi di organizzazione amministrativa 
affermatisi negli anni Novanta. Nello specifico ci si riferisce all'art. 65 del d.lgs. 
300/1999 che espressamente separa la propriet�, dalla competenza gestoria. 
Per la sopra citata disposizione normativa: "All'Agenzia del Demanio � 
attribuita l'amministrazione dei beni immobili dello Stato�. 
L�Agenzia non � dunque proprietaria dei beni che gestisce, la cui titolarit� 
spetta allo Stato, ma assolve, per espressa disposizione di legge, le sole funzioni 
gestorie unicamente in relazione a beni immobili. 
La specificazione che le norme sulla gestione si riferiscono ai soli beni 
immobili, fatta salva la competenza prevista da normativa speciale, di altri 
soggetti pubblici, � stata ribadita anche nel decreto legge n. 95 del 2012 convertito 
in legge 135/2012 all�art. 3 comma 18. 
Sembra necessario chiarire anche che le norme di cui agli articoli 195 e 
seguenti del codice in materia ambientale riguardano la ripartizione di competenze 
tra Stato, Regioni ed enti locali limitatamente all�ordinario processo 
di smaltimento dei rifiuti, attribuendo in linea generale al potere centrale ampie 
potest� di organizzazione e coordinamento. 
Ripartizione di competenze che non incide sulla gestione dei beni confiscati 
collegati alle fattispecie di reati ambientali di cui parla lo stesso codice, 
La richiesta di parere tuttavia sembra rivolgersi nello specifico alle competenze 
gestorie piuttosto che a problematiche inerenti la propriet�. 
Al fine di rispondere al quesito posto sono inoltre necessari anche alcuni 
chiarimenti in ordine alla natura giuridica della confisca prevista dall�art. 256 
co. III d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152. 
La stessa va ricondotta nell�alveo delle misure di sicurezza patrimoniali 
previste in via generale dall�art. 240 c.p.. 
Detto istituto ha invero come presupposto applicativo anche la pericolosit� 
del bene soggetto al provvedimento ablativo e questo, peraltro, � l�unico 
elemento di continuit� con la confisca quale misura di prevenzione patrimoniale 
prevista dalla normativa antimafia. 
I due istituti, di fatto divergono sotto plurimi profili che, sia pur sinteticamente, 
occorre ricordare.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 245 
In primo luogo ai fini dell�applicazione della confisca quale misura di sicurezza 
patrimoniale tanto la norma codicistica, quanto quella speciale, prevedono 
la sussistenza di un pronunziamento di condanna laddove, per quel che 
riguarda la misura di prevenzione patrimoniale, essa giunge all�esito di un procedimento, 
quello di prevenzione, che non richiede la condanna del proposto 
bens� la mera sussistenza d�indizi rispetto a delitti di criminalit� organizzata. 
La linea di demarcazione pi� profonda fra i due istituti, giova ripeterlo 
ontologicamente diversi fra loro, � allora costituita dall�individuazione dei 
soggetti destinatari delle due misure. 
Circa la confisca quale misura di sicurezza, la stessa pu� essere applicata 
solo al soggetto condannato, laddove per la misura di prevenzione i soggetti 
destinatari sono preindividuati dalla norma dianzi indicata. 
A ci� consegue che la confisca irrogata ex art. 256 cit., potendo essere 
applicata solo a seguito di una condanna o della sentenza di applicazione di 
pena su richiesta delle parti, non rientra nell�alveo delle misure di prevenzione. 
Ovviamente, in linea teorica, le aree sulle quali si commette il reato di 
discarica abusiva non sono astrattamente escluse dalla possibilit� di confisca 
di prevenzione, ma sulla base di un procedimento diverso e che non prevede 
l� applicazione della norma incriminatrice de qua. 
La diversa natura del provvedimento e del procedimento di applicazione 
conducono pertanto a diverse conseguenze rispetto al soggetto pubblico cui 
compete la gestione del bene confiscato. 
Nella ipotesi di confisca a seguito di condanna, � soggetto preposto alla 
gestione l�Agenzia del Demanio, laddove invece si tratti di reati contro la criminalit� 
organizzata, previsti dalla normativa antimafia, sia quando la confisca 
viene disposta nell�ambito di un procedimento di prevenzione - e, quindi, quale 
misura di prevenzione - sia quando la confisca viene decretata in esito ad un 
procedimento di cognizione - e, quindi, quale misura di sicurezza -, per la gestione 
dell�immobile confiscato si dovr� fare esclusivo riferimento all�Agenzia 
per la Amministrazione e Gestione dei Beni Confiscati alla Criminalit� Organizzata, 
soggetto giuridico istituito per tale finalit� dalla legge 50-2010, modificata 
dalla legge 159 del 2011. 
Ai sensi del gi� citato art. 65 del dlgs 300 del 1999, come modificato dal 
dlgs 173 del 2003 la competenza nella gestione del Demanio � limitata ai soli 
beni immobili si legge infatti nel testo di legge: �All'Agenzia del Demanio � 
attribuita l'amministrazione dei beni immobili dello Stato, con il compito di 
razionalizzarne e valorizzarne l'impiego, di sviluppare il sistema informativo 
sui beni del demanio e del patrimonio, utilizzando in ogni caso, nella valutazione 
dei beni a fini conoscitivi ed operativi, criteri di mercato, di gestire con 
criteri imprenditoriali i programmi di vendita, di provvista, anche mediante 
l'acquisizione sul mercato, di utilizzo e di manutenzione ordinaria e straordinaria 
di tali immobili�. 
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
�All'Agenzia � altres� attribuita la gestione dei beni confiscati. 
L'agenzia pu� stipulare convenzioni per le gestioni dei beni immobiliari 
con le regioni, gli enti locali ed altri enti pubblici. Pu� avvalersi, a supporto 
delle proprie attivit� estimative e sulla base di apposita convenzione, dei dati 
forniti dall'osservatorio del mercato immobiliare dell'Agenzia del Territorio�. 
In mancanza di una regolamentazione specifica per la categoria di beni, 
come si � verificato con la legge 50/2010, che ha istituito un nuovo soggetto 
giuridico quale �l�Agenzia Nazionale per l�amministrazione e la destinazione 
dei beni sequestrati e confiscati alla criminalit� organizzata� per la gestione 
del patrimonio immobiliare sottratto alla criminalit� organizzata, sembra si 
possa applicare la norma di carattere generale citata. 
Ai sensi e per gli effetti dell�art. 256 d.lgs 152 del 2006, coniugato il tenore 
letterale della norma con la natura giuridica dell�istituto della confisca, 
da riconnettersi come detto nella categoria delle misure di sicurezza patrimoniali, 
sembra potersi affermare che gli obblighi di bonifica previsti dalla disposizione 
citata incombano esclusivamente sul condannato, qualora questo 
sia proprietario dell�area, ovvero esso proprietario abbia comunque partecipato 
- rectius - concorso alla realizzazione della condotta incriminata. 
Invero, attesa anche la natura giuridica e la ratio della misura di sicurezza 
patrimoniale, sembra doversi escludere la responsabilit� del proprietario dell�immobile, 
in buona fede, circoscrivendola quindi solo al caso di concorso nel reato. 
La conclusione sembra l�unica armonica rispetto al costante orientamento 
della Suprema Corte, volto ad escludere i presupposti del provvedimento ablativo 
della propriet� in tutti i casi in cui sia esclusa la sua responsabilit� e, comunque 
il titolare del diritto reale risulti in buona fede. Tali conclusioni, oltre 
a conformarsi al generale principio di personalit� della responsabilit� penale 
e tutela dell'incolpevole affidamento del terzo in buona fede (Corte cost., sent. 
10 gennaio 1997, n. 1), rispondono ad uno specifico orientamento della Cassazione 
in materia di confisca. Non a caso la Cassazione afferma che �la misura 
sanzionatoria non pu� ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni 
giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all'illecito� e neanche pu� 
pregiudicare eventuali diritti reali di garanzia a favore di terzi, che �pur avendo 
tratto oggettivamente vantaggio dall'altrui attivit� criminosa, riescano a provare 
di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole 
finalizzata a dimostrare la reale estraneit� al reato� (Cass. Pen., sez. I, sent. 
29 aprile 2010, n. 29378). Ancor pi� incisivamente tale orientamento � stato 
recentemente riaffermato proprio in riferimento al reato di discarica abusiva, 
giungendo, in ipotesi di compropriet�, a limitare la confisca �alla sola quota 
del comproprietario responsabile del reato escludendo la quota del soggetto 
estraneo� (Cass. Pen., sez. III, sent. 2 luglio 2010, n. 37199). 
Alla luce di quanto sopra evidenziato, non � un caso che il disposto normativo 
del pi� volte citato art. 256 cod. amb. nel momento stesso in cui di-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 247 
spone la confisca, fa salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei 
luoghi, lasciando intendere chiaramente che quegli obblighi permangono a carico 
dell�autore o compartecipe del reato e salva, la responsabilit� sussidiaria 
del proprietario non responsabile, prevista dall�art. 253 cod. amb. 
Sul punto 2 
quale sia il soggetto pubblico competente alla gestione dei beni confiscati all'esito 
di procedimenti di confisca disposti nell�ambito della normativa in materia 
di immigrazione clandestina ex d.lgs. 286-1998 e successive modifiche. 
Ai sensi dell�art. 12, comma 5 bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 �... 
Salvo che il fatto costituisca pi� grave reato, chiunque cede a titolo oneroso 
un immobile di cui abbia la disponibilit� ad un cittadino straniero irregolarmente 
soggiornante nel territorio dello Stato � punito con la reclusione da sei 
mesi a tre anni. La condanna con provvedimento irrevocabile comporta la 
confisca dell'immobile, salvo che appartenga a persona estranea al reato. Si 
osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione 
e destinazione dei beni confiscati. Le somme di denaro ricavate dalla vendita, 
ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al potenziamento delle attivit� 
di prevenzione e repressione dei reati in tema di immigrazione clandestina�. 
Nel caso di specie, non sembrano emergere particolari problemi ermeneutici, 
rimandando la legge speciale alla normativa generale sui beni confiscati, 
in quanto applicabile, sicch� si ritiene che in linea teorica, la gestione e 
la destinazione di tali beni possa rientrare nella competenza del Demanio attribuita 
dal gi� citato articolo 65 del d.lgs 300 del 1999, come modificato dal 
d.lgs 173 del 2003, precisando che la gestione deve considerarsi quale attivit� 
residuale ed eccezionale dovendo possibilmente il bene essere subito venduto 
con le modalit� previste dall�art. 86 delle disp att. cod. proc. pen., cercando 
cos� di limitare gli oneri per la Amministrazione. 
Sul punto 3 
quale sia, nella ipotesi di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni 
pubbliche (legge 488 del 1992) ex art. 640 bis cp, il procedimento da seguire 
dopo la confisca, essendo applicabili gli artt. 640 quater cp e 322 ter cp e 
come ci si debba regolare nella ipotesi in cui oggetto della confisca a seguito 
delle citate disposizioni normative, siano societ�. 
Il Demanio chiede quale sia il percorso da seguire per il recupero del credito 
erariale nella ipotesi di indebita percezione di contributi ex legge 488- 
1992, qualora sia intervenuta sia la revoca da parte della Amministrazione del 
contributo, che la confisca della societ�, qualora si versi nella fattispecie di 
cui all�art 640 quater cp. Pi� precisamente codesta Agenzia chiede se sia esperibile 
per il recupero dei contributi indebitamente erogati, non l�ordinaria procedura 
che prevede l�intervento del concessionario della riscossione sulla base
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
dei provvedimenti di revoca emessi dal competente Dipartimento, ma mediante 
la vendita della stessa societ� a cura della Agenzia, tramite l�amministratore 
giudiziario, con procedura di gara alla quale dovrebbe prendere parte 
anche il MISE, mediante un proprio rappresentante in seno alla gara, facendo 
riferimento ad una esperienza maturata dal Demanio nella gestione delle societ� 
confiscate alla criminalit� organizzata. 
Va preliminarmente posto in evidenza che nella richiesta di parere si richiama 
un provvedimento emesso dal Tribunale di Palermo, che per� non � 
stato messo a disposizione della Scrivente. 
Il procedimento speciale di vendita individuato dal Demanio non sembra 
percorribile sulla base del seguente ordine di considerazioni. 
Il quesito rimanda, come gi� anticipato, alla fattispecie regolata dall�art. 
640 quater cp. 
La norma sancisce la applicabilit� dell�art. 322 ter cp (confisca) alle fattispecie 
di cui all�art. 640 secondo comma n. 1 cp (truffa a danno dello Stato 
o di altro ente pubblico), 640 bis cp (truffa aggravata per il conseguimento di 
erogazioni pubbliche). 
L�art. 322 ter cp, richiamato dall�art. 640 quater, consente la confisca per 
equivalente nelle ipotesi in cui la confisca diretta del prezzo o del profitto del 
reato in esso considerato sia impedita da un fatto sopravvenuto che ne abbia 
determinato la perdita o il trasferimento irrecuperabile (Cass. Pen., sez. V, 
sent. 1 ottobre 2002 n. 32797). 
La confisca prevista dall�art. 322-ter c.p. (delitti contro la P.A.). � stata 
inserita nel codice penale dall�art. 3, comma 1, Legge 29 settembre 2000, n. 
300, che prevede in caso di condanna che venga disposta la confisca dei beni 
che costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona 
estranea al reato, ovvero, quando essa non � possibile, dei beni, di cui il reo 
ha la disponibilit�, per un valore corrispondente a tale prezzo. 
Ai sensi dell�art. 86 disp. att. c. p. p. i beni oggetto di confisca penale sono 
destinati alla vendita, salvo che per essi non sia prevista una specifica destinazione. 
La vendita dei beni � regolata dagli articoli 149, 152, 153, 154 e 156 del 
T.U. sulle spese di giustizia contenuto nel DPR 30 maggio 2002, n. 115. 
Per la vendita si deve seguire l�iter procedimentale indicato dalla sopra 
citata disposizione normativa, ossia: la vendita � eseguita a cura dell�Ufficio, 
anche a mezzo degli istituti di vendite giudiziarie (art. 152 T.U.), e le somme 
ricavate dalla vendita sono devolute alla cassa delle ammende (art. 154 T.U.), 
dedotte le spese sostenute nella procedura di vendita (art. 156 T.U.). L�art. 149 
del citato T.U. detta, per�, una norma di raccordo in forza della quale la vendita 
dei beni sottoposti a sequestro penale, e quindi alla successiva confisca, � regolata 
dalle norme citate, se non diversamente previsto da norme speciali. 
In linea generale dunque i beni confiscati vanno venduti (art. 86 disp. att. 
c.p.p.) seguendo le procedure previste dal TU sulle spese di giustizia (artt. 153 ss.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 249 
TU spese di giustizia). Dunque � tramite la vendita che l�Erario pu� astrattamente 
rientrare dei contributi illegittimamente percepiti dall�impresa poi confiscata. 
Ci� premesso � pur vero che il predetto TU (art. 149) astrattamente configura 
delle possibili deroghe. 
Nella fattispecie in esame una deroga potrebbe essere costituita dalla ipotesi 
prevista dal d.lgs. 270/1999 e successive modifiche, che offre la possibilit� 
di procedure particolari di vendita con forme adeguate alla natura dei beni e 
finalizzate al migliore realizzo, in conformit� ai criteri stabiliti dal Ministero 
dello Sviluppo Economico. Tuttavia, per potersi applicare questa normativa � 
per� preventivamente necessario verificare la sussistenza dei requisiti di ammissione 
di cui all�art. 2 del citato d.lgs. 270, come modificato da ultimo con 
l. 244/2007 (legge finanziaria per l�anno 2008), art. 1, co. 257. 
In generale l�amministrazione straordinaria � la procedura concorsuale 
che caratterizza la grande impresa commerciale insolvente, con finalit� conservative 
del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o 
riconversione delle attivit� imprenditoriali. Ne discende che vi sono soggette 
anzitutto imprese aventi requisiti tali da comprovarne le grandi dimensioni 
(numero di lavoratori subordinati non inferiori a 200 e debiti per un ammontare 
non inferiore ai due terzi del totale dell'attivo dello stato patrimoniale e dei ricavi 
dell'ultimo esercizio). 
La summenzionata finanziaria del 2008 ha inoltre esteso la portata applicativa 
della normativa de qua, anche in mancanza dei requisiti dimensionali 
di cui sopra, alle imprese confiscate ai sensi della legge 575/1965 (v. ora, il d. 
lgs. n. 159 del 2011). 
Nel caso di specie non risulta che le imprese oggetto della richiesta di parere 
soddisfino le condizioni per essere definite �grandi� imprese n� risulta, 
dalla documentazione in possesso della Scrivente, che le confische di cui si 
discute siano in qualche modo ricollegabili alle fattispecie previste dalla legge 
575/1965 (v. il d.lgs n. 159 del 2011). A tal proposito va comunque rilevato 
che codesta Agenzia non ha trasmesso, come gi� posto in evidenza, la sentenza 
del Tribunale di Palermo. 
Peraltro va evidenziato che, qualora i provvedimenti ablativi fossero stati 
disposti ai sensi della pi� volte citata legge 575, la gestione dei beni sarebbe 
spettata comunque alla Agenzia nazionale per l�amministrazione e la destinazione 
dei beni sequestrati e confiscati alla criminalit� organizzata in forza del 
richiamato decreto legislativo n. 159 del 2011. 
Pertanto, alla luce di quanto rappresentato, non si ravvisano gli estremi 
per derogare alle procedure di vendita di cui al T.U. sulle spese di giustizia 
(vedi anche parere dell�Avvocatura distrettuale di Catanzaro del 2 febbario 
2010 prot. 1655). Si precisa da ultimo, alla luce delle condizioni economiche 
e finanziarie delle imprese oggetto di confisca, che, qualora le stesse falliscano, 
si applicheranno le norme sul fallimento. 
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
La circostanza che una societ� sia stata confiscata non porta come conseguenza 
di poter escludere la dichiarazione di fallimento della stessa, sicch� 
sussistendo lo stato di insolvenza, anche una societ� che sia stata totalmente 
o parzialmente confiscata deve necessariamente ritenersi soggetta a fallimento. 
Il principio della fallibilit� delle societ� commerciali di cui lo Stato sia socio, 
risulta costantemente affermato dalla giurisprudenza. Sul punto si allega comunque 
altro parere della Scrivente che ha diffusamente trattato il profilo. 
Alla luce delle considerazioni svolte, sembra non configurabile il percorso 
speciale di vendita e recupero delle agevolazioni ex lege 488/1992 evidenziato 
nella nota del 23 settembre u.s. Il procedimento da seguire, come peraltro 
anche evidenziato dalla Avvocatura di Catanzaro, nel parere del 2 febbraio 
2010, gi� richiamato, � quello di cui all�art. 86 disp. att. c.p.p. e artt. 149 ss. 
T.U. in materia di spese di giustizia, in forza del quale dovr� procedersi a 
mezzo degli appositi istituti di vendita giudiziaria, non trovando fondamento 
giuridico, per la fattispecie in esame, la considerazione della esperienza acquisita 
dal Demanio relativamente alla gestione di societ� confiscate alla criminalit� 
organizzata. 
La questione � stata esaminata dal Comitato Consultivo che si � espresso 
in conformit� nella seduta del 22 ottobre 2012. 
Materia doganale: natura della violazione prevista dall'art. 302 
co. 1 del d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43. 
(Parere prot. 421776 del 26 ottobre 2012, AL 3355/11, avv. ANTONIO GRUMETTO) 
Con la richiesta di consultazione in esame codesta Agenzia chiede di sapere: 
1) se la sanzione prevista dall'articolo 302, comma 1, del d.p.r. 43/73 sia 
una sanzione formale o una sanzione sostanziale e ci� agli effetti dell'applicazione 
della causa di non punibilit� prevista dall'articolo 6, comma 5 bis, del 
D.lgs 472/97; 
2) quale sia la rilevanza del comportamento del capitano della nave che 
presenta la richiesta di iscrizione postuma di merce non dichiarata nel manifesto 
precedentemente presentato dallo stesso alla Dogana. 
Per rispondere ai due quesiti occorre fare alcune premesse. 
Occorre innanzitutto premettere che, come � noto, il comma 5 bis dell'articolo 
6 del D.lgs 472/97 stabilisce che non sono punibili le violazioni che non 
arrecano pregiudizio all'esercizio dell'azione di controllo e non incidono sulla 
determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 251 
Tale disposizione si applica, come � reso evidente dalla intestazione del 
predetto D.lgs, in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme 
tributarie; ragion per cui sorge la necessit� di stabilire se la sanzione prevista 
dall'articolo 302 del d.p.r. 43/73 per le differenze tra il carico ed il manifesto 
costituisca una sanzione comminata per la violazione di una norma tributaria. 
Ritiene la Scrivente che a questo primo quesito debba darsi una risposta 
positiva. 
Ci� in primo luogo per il tipo di sanzione prevista per la violazione della 
disposizione dell�art. 301, comma 1, TULD, che � commisurata all'ammontare 
dei diritti di confine (rectius: dei tributi doganali) e che rende manifesta la 
ratio sottesa alla disposizione incriminatrice, da ravvisare nell'esigenza di assicurare, 
attraverso la veridicit� del contenuto del manifesto di carico, il controllo 
sul corretto pagamento dei tributi doganali. 
Tale interpretazione della disposizione in esame trova, del resto, una conferma 
nella disposizione dell'ultimo comma dell'articolo 302, che nella sua attuale 
formulazione (risultante dall'articolo 10 del D.lgs 18 dcembre 1997, 
numero 473) espressamente prevede, in luogo dell'originaria pena dell'ammenda, 
una sanzione amministrativa per le altre violazioni relative al manifesto 
di carico. Non � un caso che proprio l'articolo 10 del D.lgs 473/97 rechi la rubrica 
"sanzioni in materia di tributi doganali e di imposte sulla produzione e sui consumi", 
rendendo cos� evidente che l'intervento con tale disposizione attuato sul 
testo dell'ultimo comma dell'articolo 302 TULD ha comportato una modifica 
"in materia di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie". 
Ragion per cui se per il Legislatore la violazione prevista dall'ultimo 
comma dell'articolo 302 comporta una sanzione amministrativa per la violazione 
di una norma tributaria, ad analoga conclusione non pu� non pervenirsi 
anche per la sanzione prevista dal primo comma della medesima disposizione. 
Precisata la natura della violazione prevista dall'articolo 3021 TULD, va 
ricordato come la disposizione del comma 5 bis dell'articolo 6 del D. Lgs 
472/97 escluda la punibilit� delle violazioni meramente formali, da intendersi 
per tali quelli che "non arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo 
e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta 
e sul versamento del tributo�. 
Come correttamente ricorda codesta Agenzia nella richiesta di parere, ai 
fini dell'applicazione dell'esimente in parola � necessario che siano escluse 
entrambe le circostanze, ora ricordate, del pregiudizio all'azione di controllo 
e dell'incidenza sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul 
versamento del tributo, come � del resto reso evidente dall�uso della congiunzione 
"e" adoperata nel testo della disposizione in esame e come da tempo ha 
avuto occasione di precisare anche l'Agenzia delle Entrate con circolare del 3 
agosto 2001 n. 77/E. 
Pertanto anche la sussistenza di una soltanto delle due condizioni com-
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
porta l'inapplicabilit� dell'esimente e la conseguente punibilit� della violazione. 
Quanto, infine, al problema dell'applicabilit� della disposizione dell'articolo 
6, comma 5 bis, del D. Lgs 472/97 all'illecito previsto dall'articolo 302 
del TULD, ritiene la Scrivente di dover esaminare separatamente le 2 circostanze 
previste dal predetto comma 5 bis dell�articolo 6. 
Viene in primo luogo in esame la seconda ipotesi prevista dal comma 5 bis, 
vale a dire quella in cui le differenze tra il carico e il manifesto non abbiano inciso 
sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta sul versamento del tributo. 
Sotto questo profilo, con la nota del 29 aprile 2011 protocollo 145162 la 
Scrivente aveva richiesto a codesta Agenzia chiarimenti sull'efficacia del "manifesto 
di carico" ed in particolare sul se la presentazione del manifesto di carico 
costituisca presentazione della merce in dogana ai fini della 
determinazione dei diritti doganali. 
Con la nota del 7 giugno 2011 protocollo 68480, rispondendo a tale richiesta 
di chiarimenti, codesta Agenzia ha precisato che "la dichiarazione sommaria 
che, per le merci provenienti da mare, � costituita dal manifesto di 
carico, consente alla dogana l'esercizio della vigilanza sulle merci arrivate 
dall'estero dal momento del loro arrivo nel territorio doganale fino al momento 
del loro esito con il vincolo ad un regime doganale mediante la presentazione 
di una dichiarazione doganale nelle forme previste dalla normativa 
di settore, cui si ricollega anche la nascita dell'obbligazione". 
Con tale precisazione deve pertanto ritenersi acquisito, come prefigurato 
nella richiesta di chiarimenti della Scrivente del 29 aprile 2011, che la presentazione 
del manifesto di carico non determina la nascita dell'obbligazione doganale, 
in conformit�, del resto, a quanto prevede l'articolo 201, 2� paragrafo, 
del CDC (Reg Ce 2913/92), il quale subordina la costituzione dell'obbligazione 
doganale al momento dell'accettazione della dichiarazione doganale per 
un determinato regime di vincolo della merce; laddove l'articolo 95 del TULD 
stabilisce che le merci che hanno formato oggetto della dichiarazione sommaria 
e quelle che sono descritte nei manifesti delle navi devono essere introdotte, 
di regola entro 24 ore dall'arrivo o dallo sbarco, nei magazzini o nei recinti di 
temporanea custodia in attesa che sia ad esse data una destinazione doganale 
o che siano rispedite fuori del territorio doganale. 
In conclusione, in considerazione della irrilevanza del contenuto del manifesto 
di carico, considerato in se stesso, ai fini della nascita dell'obbligazione 
doganale, sembra alla Scrivente che le differenze fra il carico e il manifesto possono 
considerarsi violazioni formali ai sensi della seconda parte del comma 5 
bis dell'articolo 6 del D. Lgs 472/97, dato che il contenuto del manifesto di carico 
non costituisce elemento di per s� costitutivo dell'obbligazione doganale. 
*** 
A diversa conclusione, a giudizio della Scrivente, deve invece, pervenirsi 
per quanto concerne la seconda circostanza prevista dal comma 5 bis dell'ar-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 253 
ticolo 6 del D. Lgs 472/97 e cio� la interferenza fra le incompletezze del manifesto 
di carico e l'azione di controllo svolta da codesta Agenzia sulle merci 
oggetto di tale manifesto. 
Con nota del 30 maggio 2012 protocollo 214814, la Scrivente ha richiesto 
a codesta Agenzia di specificare le modalit� di svolgimento dell'analisi dei rischi 
che l'autorit� doganale compie ai sensi dell'articolo 184 quinques del Regolamento 
al CDC (Reg Ce 2454/93). Ci� al fine di comprendere se tale analisi 
dei rischi costituisca l'esercizio di un'azione di controllo che possa essere pregiudicata 
dalle differenze tra il carico e il manifesto di carico. 
Con nota dell'11 luglio 2012 protocollo 85692, codesta Agenzia ha fatto 
tenere alla Scrivente la relazione del 22 giugno 2012 dell'Ufficio centrale antifrode 
di codesta Agenzia, nella quale si specificano non i tipi di controlli doganali 
che vengono svolti nei riguardi delle merci in arrivo nell'Unione Europea. 
Da tale relazione risulta che i controlli doganali possono essere suddivisi 
in 3 categorie e precisamente: 
1) controlli di sicurezza effettuati prima dell'arrivo della merce nell'Unione 
Europea e destinati soprattutto al contrasto delle minacce alla sicurezza 
della UE e della salute dei suoi cittadini; 
2) controlli di tipo tributario ed extra-tributario effettuati al momento dell'arrivo 
della merce nell'Unione Europea e prima che la stessa venga vincolata 
ad una destinazione doganale prevista dal CDC (Reg Ce 2913/92); 
3) controlli effettuati sulla base della dichiarazione di vincolo ad una destinazione 
doganale. 
Cos� classificate le azioni di controllo svolte da codesta Agenzia sulle merci 
in arrivo nel territorio dell'Unione, ritiene la Scrivente che ai fini della consultazione 
in esame debbano essere esclusi i controlli di sicurezza effettuati prima 
dell'arrivo della merce nell'Unione Europea (�1) in quanto destinati a finalit� 
diverse da quella di assicurare il corretto pagamento di tributi doganali; nonch� 
i controlli effettuati sulla base della dichiarazione di vincolo ad una destinazione 
doganale (�2), in quanto, come si � precisato in precedenza, il manifesto di carico 
riguarda merci non ancora vincolate ad una destinazione doganale. 
Con riferimento, viceversa, ai controlli di cui al punto 2) che precede, le 
ipotesi che possono verificarsi in concreto evidenziano il rischio che le divergenze 
tra il carico e il manifesto di carico incidano sul corretto svolgimento 
di controlli di tipo tributario da effettuarsi al momento dell'arrivo della merce 
nell'Unione Europea. 
E poich�, come evidenzia codesta Agenzia nella ricordata relazione del 
22 giugno 2012 dell'Ufficio centrale antifrode, i controlli in esame vengono 
attuati sulla base di un'analisi dei rischi dell'ufficio locale che riceve il manifesto 
e in base ai dati inseriti in quest'ultimo, le divergenze tra il carico ed il 
manifesto possono effettivamente arrecare pregiudizio all'azione di controllo 
e, in caso di accertata divergenza fra la dichiarazione sommaria e il carico
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
della nave, determinare l'applicazione delle sanzioni amministrative previste 
dall'articolo 302 TULD. 
Se tali sanzioni debbano, poi, applicarsi in un caso specifico � questione 
che prescinde dalla formulazione del parere richiesto alla Scrivente e che � 
subordinata alla verifica dell�effettivo pregiudizio all'azione di controllo svolta 
nel caso di specie da codesta Agenzia. 
Al riguardo va ricordato come l'applicazione del comma 5 bis dell'articolo 
6 del D. Lgs 472/97 preveda la punibilit� dell'illecito amministrativo solo per 
le violazioni che non arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo, 
con ci� intendendosi per tali quelle violazione che in concreto non abbiano 
ostacolato l'attivit� di controllo svolta dall'ufficio. 
In altri termini non � sufficiente, per escludere la natura meramente formale 
della violazione, che quest'ultima possa arrecare pregiudizio all'esercizio 
dell'azione di controllo dell'ufficio, dato che in questo caso per le ipotesi di 
divergenza tra il carico ed il manifesto, per quanto si � detto in precedenza, la 
violazione non potrebbe mai ritenersi meramente formale; ai fini dell'applicabilit� 
della esimente �, viceversa, necessario che la violazione non abbia in 
concreto determinato un ostacolo all'attivit� di controllo svolta dall'ufficio, 
dovendosi avere riguardo, in tal caso alle specifiche circostanze di fatto in cui 
� stata commessa la violazione. 
*** 
Il secondo quesito sottoposto da codesta Agenzia la Scrivente riguarda 
"la qualificazione della condotta di un capitano di nave che presenta una richiesta 
di iscrizione postuma di merce non dichiarata nel manifesto precedentemente 
presentato dallo stesso alla Dogana". 
Com'� evidente dalla stessa formulazione del quesito, la risposta ad esso 
richiederebbe una pi� specifica illustrazione delle circostanze di fatto relative 
all'ipotesi avuta presente da codesta Agenzia. 
In mancanza, la risposta della Scrivente non pu� che avere un contenuto 
di carattere generale. 
Dalla qualificazione delle sanzioni previste dall'articolo 302 TULD come 
sanzioni relative alla violazione di norme tributarie deriva, per quanto si � 
detto, la applicabilit� ad esse della disposizione dell'articolo 13 del D. Lgs 
472/97 in materia di ravvedimento. 
Fermo rimanendo che il beneficio previsto dalla disposizione dell'articolo 
13 non pu� essere applicato quando la violazione sia stata gi� constatata o comunque 
siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attivit� amministrative 
di accertamento delle quali l'autore ed i soggetti solidalmente obbligati abbiano 
avuto conoscenza, ad avviso della Scrivente, tuttavia, la formulazione della norma 
non sembrerebbe prestarsi ad una applicazione nel caso sottoposto alla Scrivente. 
Ci� in quanto l'ipotesi avuta presente dal Legislatore nella formulazione 
di tale disposizione deve ritenersi limitata alle ipotesi di errori e omissioni
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 255 
nella presentazione di dichiarazioni rilevanti ai fini della determinazione dell'imponibile, 
dell'imposta o sul versamento del tributo. 
Non solo, infatti, il primo comma esclude l'applicazione dell'articolo 13 
nei casi in cui siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attivit� amministrative 
di accertamento, - con il che sembra alludersi in realt� ad attivit� 
che comunque abbiano ad oggetto la individuazione dell'imponibile, la determinazione 
dell'imposta o la verifica del corretto versamento del tributo - ; ma 
a confermare l'interpretazione data all'ambito di applicazione della presente 
disposizione concorrono: 
1. da un lato, l'ipotesi prevista dalla lettera a) del primo comma, la quale 
fa espressamente riferimento al mancato pagamento del tributo o di un acconto 
quale fatto illecito cui � applicabile, in caso di ravvedimento operoso, la riduzione 
della sanzione; 
2. dall�altro, il riferimento contenuto nel primo comma all'autore e ai soggetti 
solidalmente obbligati con quest'ultimo, con il che, ad avviso della Scrivente, 
sembrerebbe alludersi ad un comportamento di ravvedimento posto in 
essere dopo la nascita dell'obbligazione tributaria (senza la quale non potrebbe 
parlarsi di soggetti solidalmente obbligati con l'autore del ravvedimento). 
E poich�, come si � detto in precedenza, le divergenze tra il carico ed il 
manifesto di carico non incidono sulla determinazione del tributo doganale, 
richiedendosi a tal fine una dichiarazione doganale di vincolo delle merci ad 
un determinato regime, ritiene la Scrivente che sia da escludersi per le sanzioni 
previste dall'articolo 302 TULD la applicabilit� dell'istituto del ravvedimento. 
Non � irrilevante, in conclusione, sottolineare, altres�, che l'ipotesi del 
ravvedimento in caso di omissioni o di errori che non ostacolino accertamenti 
in corso o che non incidano sulla determinazione o sul pagamento del tributo 
era in origine prevista dal 4� comma dell'articolo 13 in esame, con disposizione 
poi abrogata dall'articolo 7, comma 1, lettera b) del D. Lgs 32/01 e quindi con 
disposizione autonoma rispetto al primo comma del medesimo articolo, per 
la quale, dunque, il ravvedimento poteva essere posto in essere anche prima e 
indipendentemente dalla nascita dell�obbligazione (presupposta invece, per 
quanto si � detto, dalla disposizione del primo comma). 
Ci� non toglie, comunque, che sarebbe auspicabile una modifica della disposizione 
dell�art. 13 del Dlgs cit. che consenta di dare rilevanza al ravvedimento 
posto in essere anche nel caso di errori od omissioni contenuti nel 
manifesto di carico, rilevanza che, per quanto detto, non appare immediatamente 
contemplata dall'attuale formulazione legislativa della predetta disposizione. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato consultivo della Scrivente il 
quale si � espresso in conformit�.
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Pagamento del tributo in pendenza del processo: compatibilit� 
dell�art. 68 co. 2, D.Lgs. n. 546/92 al Codice Doganale Comunitario 
(Parere prot. 7307 dell�8 gennaio 2013, AL 23083/08, avv. GIANNI DE BELLIS) 
Con la precedente nota 26 marzo 2009 n. 99560, questa Avvocatura esprimeva 
il proprio parere in ordine al quesito formulato da codesta Agenzia, concernente 
l�applicabilit� dell�art. 68 comma 2 del D.Lgs n. 546/1992 ai soli 
tributi oggetto di riscossione frazionata ovvero anche a quelli (come le imposte 
doganali) per i quali opera invece la riscossione totale in pendenza di giudizio. 
Nel citato parere la Scrivente evidenziava: 
a) che l�art. 68 comma 2 citato (in forza del quale che, una volta intervenuta 
una pronuncia di merito della Commissione tributaria che dichiari non 
dovuto un tributo, l�Amministrazione deve provvedere d�ufficio alla restituzione 
delle somme medio tempore incamerate), si configurava come �un principio 
di carattere generale, applicabile a tutti i casi di ricorso avverso un atto 
impositivo, indipendentemente dal fatto che la riscossione del tributo in corso 
di causa sia frazionata o meno�; 
b) che �L�attribuzione di una sorta di immediata esecutivit� alla sentenza 
del giudice di merito (come emerge dall�art. 68 comma 2), appare pi� coerente 
con il sistema processuale nel suo complesso�, in quanto costituisce la regola 
nel processo civile (art. 282 c.p.c.); 
c) che anche per le misure cautelari in materia tributaria il legislatore ne 
aveva previsto la caducazione in presenza di una sentenza di merito sfavorevole 
all�Amministrazione, ancorch� non definitiva (art. 22 D.Lgs. n. 
472/1997); 
d) che in tal senso era anche orientata la giurisprudenza della Suprema 
Corte in tema di fermo amministrativo ex art. 69 L. Cont. St. 
Il parere citato non si occupava del diverso problema delle garanzie, al 
quale non si faceva cenno nella richiesta di parere formulata con la nota 11 
giugno 2008 n. 1610/IV/08. 
Con la nota 16 aprile 2012 n. 40951/R.U., codesta Agenzia ha ora evidenziato: 
1) che l�interpretazione della Scrivente data nel citato parere 26 marzo 
2009 �era stata confermata anche dalla Commissione Europea � Direzione 
Generale TAXUD� con nota 23 novembre 2009 n. 371939, alla quale codesta 
Agenzia aveva rivolto specifico quesito in relazione ai dazi doganali; 
2) che la D.G. TAXUD aveva evidenziato: 
- che la legislazione doganale comunitaria non conteneva disposizioni 
che disciplinassero gli effetti sulle garanzie di una sentenza di merito impugnata 
dall�Amministrazione; 
- che conseguentemente trovava applicazione la legislazione nazionale; 
- che prevedendo quest�ultima l�immediata esecutivit� della sentenza
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 257 
(anche se impugnata dall�Amministrazione), l�eventuale garanzia avrebbe dovuto 
essere restituita; 
3) che alla luce dei due pareri suddetti codesta Agenzia con nota 12 gennaio 
2010 n. 171956/RU.2009 ��aveva impartito conformi disposizioni stabilendo 
che, in presenza di una sentenza favorevole alla parte della 
Commissione Tributaria Provinciale notificata all�Amministrazione, gli uffici 
doganali avrebbero dovuto procedere ad effettuare il rimborso di quanto eventualmente 
gi� corrisposto, in eccedenza, dal contribuente, nonch� a svincolare 
le eventuali garanzie a tutela del credito in contestazione ed a sgravare il 
ruolo esattoriale eventualmente formato in relazione alla decisione di �prime 
cure�, essendo venuto meno l�atto impositivo o di irrogazione della sanzione 
che legittimava l�esecuzione a ruolo��; 
4) che successivamente con nota 24 maggio 2011 n. 561809, la Direzione 
Generale Bilancio della Commissione Europea manifestava un diverso orientamento, 
in particolare sostenendo che �Secondo i servizi della Commissione, il 
rimborso non � possibile se l'organo competente a decidere il ricorso si esprime 
nel senso contrario all'Agenzia delle Dogane ma quest'ultima decide di continuare 
con i successivi gradi di giudizio. In tale eventualit�, la decisione oggetto 
di ricorso sarebbe ancora pendente e non sarebbe possibile procedere al rimborso 
ai sensi dell'articolo 236 del regolamento (CEE) n. 2913/92. Non �, pertanto, 
previsto il rimborso al soggetto passivo dell'importo versato, n� sono 
previste rettifiche all'articolo 8 del regolamento (CE, Euratom) n. 1150/2000�; 
5) che la divergenza tra le due Direzioni Generali della stessa Commissione 
� stata risolta dal Servizio Giuridico, le cui conclusioni sono state recepite con la 
nota congiunta 14 marzo 2012 n. 256812 delle due medesime Direzioni Generali; 
6) che la posizione ufficiale della Commissione Europea � quindi ormai 
nel senso: 
- che la garanzia prestata non debba essere svincolata nei casi di sentenza 
sfavorevole all�Amministrazione, la quale ritenga per� d�impugnarla, dovendo 
permanere fino al passaggio in giudicato di una sentenza sfavorevole; 
- che tale principio si desume dall�art. 199 del CDC (Codice Doganale 
Comunitario) n. 2913/1992 con il quale pertanto si porrebbe in contrasto l�art. 
68 comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992 laddove stabilisce l�immediata esecutivit� 
tra le parti della sentenza; 
- che l�art. 68 si porrebbe in contrasto anche con l�art. 17 par. 1 del Reg. 
CEE n. 1150/2000; 
- che conseguentemente l�Italia dovrebbe modificare la disposizione suddetta 
per renderla conforme alla normativa comunitaria. 
Alla luce di quanto sopra esposto codesta Agenzia ha chiesto il parere 
della Scrivente in ordine alla posizione della Commissione Europea �se cio� 
la posizione dell'Esecutivo europeo sia giuridicamente condivisibile oppure 
vi siano, invece, motivi che possano legittimamente sostenere la compatibilit�
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
dell'articolo 68, comma 2, del Decreto Legislativo n. 546/1992 con la normativa 
dell'Unione, utili per consentire a questa Agenzia di replicare alla nota 
della Commissione Europea�. 
Ci� premesso, questa Avvocatura osserva quanto segue. 
Osservazioni generali 
In via generale, le conseguenze che possono derivare dalla emanazione di 
una sentenza di merito non definitiva del giudice tributario che ritenga infondata 
una pretesa fiscale possono attenere a tre diversi profili e precisamente: 
a) alla sorte delle eventuali garanzie a favore dell�Amministrazione che 
assistevano il credito in contestazione. 
b) alla possibilit� di proseguire o meno la riscossione coattiva del credito; 
c) all�eventuale obbligo di restituzione delle somme gi� eventualmente riscosse. 
La normativa nazionale 
Dal punto di vista della normativa nazionale, l�art. 68 comma 2 disciplina 
l�ipotesi c) prevedendo l�obbligo per l�Amministrazione di restituire le somme 
gi� riscosse entro 90 giorni dalla sentenza favorevole al contribuente. Tale previsione 
appare ostativa anche all�ipotesi b) non potendosi logicamente ipotizzare 
una riscossione di somme che la norma impone nel contempo di restituire. 
L�art. 68 non si occupa invece degli effetti sulle garanzie (ipotesi a). 
Una disciplina al riguardo si trova in materia di IVA nell�art. 38 bis 
comma 6 del D.P.R. n. 633/1972, in base al quale nelle ipotesi in cui il contribuente 
ottenga il rimborso �accelerato� dell�IVA a credito risultante dalla dichiarazione, 
�Se successivamente al rimborso o alla compensazione viene 
notificato avviso di rettifica o accertamento il contribuente, entro sessanta 
giorni, deve versare all'Ufficio le somme che in base all'avviso stesso risultano 
indebitamente rimborsate o compensate, insieme con gli interessi del 2 per 
cento annuo dalla data del rimborso o della compensazione, a meno che non 
presti la garanzia prevista nel secondo comma fino a quando l'accertamento 
sia divenuto definitivo�. 
In materia doganale rilevano gli artt. 87 e 89 del TULD approvato con 
D.P.R. n. 43/1973, i quali non contengono per� alcuna disciplina in ordine alla 
questione suddetta. 
La normativa comunitaria 
Dal punto di vista comunitario rilevano gli articoli 244 e 199 del CDC 
del 1992. 
In particolare l�art. 244 cos� dispone: 
�La presentazione di un ricorso non sospende l'esecuzione della decisione 
contestata. 
Tuttavia, l'autorit� doganale pu� sospendere, in tutto o in parte, l'esecu-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 259 
zione della decisione quando abbia fondati motivi di dubitare della conformit� 
della decisione impugnata alla normativa doganale, o si debba temere un 
danno irreparabile per l'interessato. 
Quando la decisione impugnata abbia per effetto l'applicazione di dazi 
all'importazione o di dazi all'esportazione, la sospensione dell'esecuzione � 
subordinata all'esistenza o alla costituzione di una garanzia. Tuttavia non si 
pu� esigere detta garanzia qualora, a motivo della situazione del debitore, ci� 
possa provocare gravi difficolt� di carattere economico o sociale�. 
L�art. 199 prevede che: 
�1. La garanzia non pu� essere svincolata finch� l'obbligazione doganale 
per la quale � stata costituita non si � estinta o non pu� pi� sorgere. La garanzia 
deve essere svincolata non appena l'obbligazione doganale � estinta o 
non pu� pi� sorgere. 
2. Quando l'obbligazione doganale � parzialmente estinta o non pu� pi� 
sorgere per una parte dell'importo garantito, la garanzia costituita viene, a 
richiesta dell'interessato, parzialmente svincolata, a meno che l'importo stesso 
non lo giustifichi�. 
Le citate disposizioni (richiamate nel parere della Commissione Europea), 
non pi� in vigore dal 24 giugno 2008, sono ora contenute (con formulazione 
sostanzialmente identica) negli artt. 24 e 65 del Reg. (CE) 23 aprile 2008 n. 
450/2008 (1) 
Profilo a): lo svincolo delle garanzie 
A parere della Scrivente la posizione della Commissione Europea in ordine 
agli effetti dell�art. 199 sopra riportato appare condivisibile, dal momento 
che la disposizione espressamente pone un divieto di svincolo della garanzia 
(1) L�art. 24 del Reg. (CE) n. 450/2008 cos� dispone �Articolo 24 Sospensione dell'applicazione 
1. La presentazione di un ricorso non sospende l'applicazione della decisione contestata. 
2. Le autorit� doganali sospendono tuttavia, interamente o in parte, l'applicazione di tale decisione 
quando hanno fondati motivi di ritenere che la decisione contestata sia incompatibile con la normativa 
doganale o che vi sia da temere un danno irreparabile per l'interessato. 
3. Nei casi in cui al paragrafo 2, quando la decisione contestata ha per effetto l'obbligo di pagare dazi 
all'importazione o dazi all'esportazione, la sospensione di tale decisione � subordinata alla costituzione 
di una garanzia, a meno che sia accertato, sulla base di una valutazione documentata, che tale garanzia 
pu� provocare al debitore gravi difficolt� di carattere economico o sociale. 
La Commissione pu� adottare, secondo la procedura di regolamentazione di cui all'articolo 184, paragrafo 
2, misure per l'applicazione del primo comma del presente paragrafo�. 
Il successivo art. 65 dispone: �Articolo 65 Svincolo della garanzia. 
1. Le autorit� doganali svincolano immediatamente la garanzia quando l'obbligazione doganale o l'obbligo 
di pagamento di altri oneri � estinto o non pu� pi� sorgere. 
2. Quando l'obbligazione doganale o l'obbligo di pagamento di altri oneri � parzialmente estinto o pu� 
sorgere solo per una parte dell'importo garantito, su richiesta dell'interessato la parte corrispondente 
della garanzia costituita viene svincolata, salvo nel caso che l'importo in questione non lo giustifichi. 
3. La Commissione pu� adottare, secondo la procedura di regolamentazione di cui all'articolo 184, paragrafo 
2, misure per l'applicazione del presente articolo.
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
�finch� l'obbligazione doganale per la quale � stata costituita non si � estinta 
o non pu� pi� sorgere� (ed un annullamento disposto con sentenza non irrevocabile 
non � idoneo a provocare l�estinzione della obbligazione). Di converso 
la stessa disposizione impone lo svincolo �non appena l�obbligazione 
doganale � estinta�. 
Profilo b): sospensione della riscossione 
Riguardo il rapporto tra l�ipotesi b) con l�art. 244 del CDC del 1992, il cui 
par. 1 prevede che �La presentazione di un ricorso non sospende l'esecuzione 
della decisione contestata�, si ritiene che anche in questo caso la norma potrebbe 
non ritenersi in contrasto con l�art. 68 comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992. 
Occorre infatti considerare che la Corte di Giustizia nell�interpretare l�art. 
244 del CDC ha precisato che esso �va interpretato nel senso che attribuisce 
la facolt� di disporre la sospensione dell'esecuzione di una decisione impugnata 
solo alle autorit� doganali. Tuttavia, tale disposizione non limita il potere 
di cui dispongono le autorit� giudiziarie adite con un ricorso ai sensi 
dell'art. 243 del medesimo regolamento di disporre una siffatta sospensione 
per conformarsi al loro obbligo di assicurare la piena efficacia del diritto comunitario� 
(sentenza 11 gennaio 2001 in causa C-1/99 Kofisa Italia). 
Ne consegue che se un giudice nazionale pu� sospendere l�esecuzione 
dell�atto impugnato, a maggior ragione un tale effetto pu� (legittimamente) 
conseguire ad una decisione di merito (ancorch� non definitiva) che annulli 
l�atto medesimo. 
La compatibilit� della ipotesi b) con la normativa comunitaria non sembra 
quindi contestabile. 
Profilo c): obbligo di restituzione delle somme 
Resta da esaminare l�ipotesi c), e cio� se sia compatibile con l�ordinamento 
comunitario il citato art. 68 comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992 laddove 
(oltre a paralizzare l�azione esecutiva dell�Amministrazione a seguito di una 
sentenza anche non definitiva alla stessa sfavorevole), impone la restituzione 
delle somme nel frattempo gi� riscosse. 
Una tale previsione, come si � gi� accennato, non � incompatibile con 
l�ipotesi a) (e cio� con il mantenimento delle garanzie fino al giudicato). 
Ed infatti la disciplina della modalit� di riscossione coattiva di un credito 
in relazione ai possibili esiti delle fasi di giudizio, si pone su un piano diverso 
rispetto alla funzione della garanzia. 
Basti pensare che in campo civilistico, pur in presenza di un principio di 
generalizzata esecutivit� delle sentenze (sia di primo che di secondo grado), 
l�art. 2884 c.c. continua a prevedere che alla cancellazione dell�ipoteca il conservatore 
possa procedere �quando � ordinata con sentenza passata in giudicato 
o con altro provvedimento definitivo emesso dalle autorit� competenti�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 261 
Orbene, premesso che non si rinvengono nel CDC disposizioni che disciplinano 
espressamente gli effetti di una sentenza di merito non definitiva 
favorevole al contribuente, questa Avvocatura ritiene che non si possa applicare 
la normativa nazionale che impone la restituzione delle somme medio 
tempore riscosse, per i seguenti motivi. 
In primo luogo l�eventuale restituzione delle somme potrebbe configurare 
nella sostanza una rinuncia alle garanzie, non consentita dal citato art. 199 del 
CDC, con i conseguenti rischi paventati dalla Commissione, secondo cui 
�l�Amministrazione doganale non sarebbe in grado di versare i dazi in questione 
qualora il debitore fallisse o fosse dichiarato in stato di fallimento dopo 
lo svincolo della cauzione e prima della sentenza della Corte d'Appello�. 
In secondo luogo occorre considerare l�art. 79 del nuovo CDC (Reg. n. 
450/2008) il quale dispone: �Fatte salve le condizioni stabilite nella presente 
sezione, si procede al rimborso o allo sgravio degli importi del dazio all'importazione 
o all'esportazione, sempre che l'importo oggetto di rimborso o di 
sgravio superi un dato importo, per i seguenti motivi: 
a) importi del dazio all'importazione o all'esportazione applicati in eccesso; 
b) merci difettose o non conformi alle clausole del contratto; 
c) errore delle autorit� competenti; 
d) equit�. 
Si procede inoltre al rimborso dell'importo del dazio all'importazione o 
all'esportazione pagato qualora la corrispondente dichiarazione in dogana 
venga invalidata a norma dell'articolo 114�. 
La normativa comunitaria nel disciplinare le ipotesi di rimborso o sgravio 
non fa quindi cenno a casi di restituzione non definitive nell�ambito di un giudizio 
pendente. 
In terzo luogo occorre considerare che a norma dell�art. 17 par. 1 e 2 del 
Reg. (CE, Euratom) n. 1150/2000 del Consiglio, �Gli Stati membri sono tenuti 
a prendere tutte le misure necessarie affinch� gli importi corrispondenti ai diritti 
accertati in conformit� dell'articolo 2 siano messi a disposizione della 
Commissione alle condizioni previste dal presente regolamento. 
2. Gli Stati membri sono dispensati dall'obbligo di mettere a disposizione 
della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati che risultano 
irrecuperabili: 
a) o per cause di forza maggiore; 
b) o per altri motivi che non sono loro imputabili�. 
Anche la normativa comunitaria in tema di risorse proprie che disciplina 
il rapporto tra gli Stati e la Commissione, prevede l�obbligo per gli Stati di 
mettere a disposizione della Comunit� le somme accertate, con esclusione dei 
soli casi in cui sia impossibile il loro recupero. Non viene neppure ipotizzata 
una restituzione non definitiva delle somme. 
In conclusione si ritiene che l�art. 68 comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992 ri-
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
sulta derogato per le imposte doganali dalle disposizioni contenute nel CDC; 
ci� non comporterebbe la necessit� di una modifica della norma, tenuto conto 
della prevalenza del diritto comunitario. 
Tuttavia una modifica si ritiene comunque opportuna, anche al fine di 
rendere pi� chiara la normativa e per prevenire un contenzioso interno; a tal 
fine potrebbe essere aggiunta, dopo il comma 2, una disposizione che escluda 
l�applicabilit� del comma precedente ai diritti doganali, ivi compresa l�IVA 
all�importazione (sottoposta al medesimo regime). 
La questione � stata sottoposta all'esame del Comitato Consultivo dell�Avvocatura 
dello Stato di cui all�art. 26 della legge 3 aprile 1979 n. 103, che 
si � espresso in conformit� nella riunione del 30 novembre 2012. 
In materia di contributi pubblici alle imprese editoriali 
(Parere prot. 69729 del 14 febbraio 2013, AL 16684/11, avv. MARCO STIGLIANO MESSUTI) 
Si trasmette copia della favorevole sentenza, con cui il Consiglio di Stato 
ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione ordinaria, proposto avverso 
la sentenza n. (...) del Consiglio di Stato. 
Si segnala, altres�, che avverso la decisione resa in sede di revocazione, 
F.T. ed A.A. hanno proposto, con atto che si allega in copia, ricorso per cassazione 
per motivi di giurisdizione. 
Tutto ci� premesso, con tre successive note, rispettivamente del 30 luglio 
2012, 27 novembre 2012 e 24 dicembre 2012, in relazione all'esecuzione della 
sentenza del Consiglio di Stato, si chiede di conoscere: 
1) "Se, con riferimento alle somme da recuperare dalle imprese editoriali, 
sia ammissibile il loro scomputo, in via di compensazione legale, dai contributi 
per l'editoria 2011 che dovessero eventualmente essere concessi a favore delle 
succitate imprese editoriali". 
Con sentenza confermata in sede di revocazione ordinaria, il Consiglio 
di Stato sanciva la legittimit� sostanziale e formale della delibera dell'Agcom, 
nonch� degli atti consequenziali del Dipartimento Informazione ed Editoria 
della Presidenza del Consiglio dei Ministri (par. 20 della sentenza). 
Con la delibera, a sua volta, l'Agcom aveva comminato la sanzione di 
euro 103.300,00, a carico di A.A., per aver violato l'obbligo di comunicare le 
situazioni di controllo, previsto dall'art. 1, comma 8, l. n. 416/1981, nonch� 
dall'art. 8, comma 1, del Regolamento AGCOM per l'organizzazione e la tenuta 
del registro degli operatori di comunicazione, contenuto nella delibera n. 
236/01/CONS e ss. modificazioni. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 263 
Per converso, con i suddetti provvedimenti consequenziali, la Presidenza 
del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria, ai 
sensi dell'art. 1, comma 574, l. n. 266/2005, revocava i contributi per l'editoria, 
concessi alle imprese editoriali per le annualit� dal 2006 al 2010. 
Pertanto, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'informazione 
e l'editoria - chiede di conoscere attraverso quali strumenti sia possibile 
dare esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato, anche prospettando 
una serie di opzioni, per recuperare le somme corrispondenti ai contributi per 
gli anni 2006 e 2007, liquidati alle due imprese editoriali quando non era ancora 
emersa la situazione di controllo, successivamente accertata dall'AGCOM. 
Tutto ci� premesso, con riferimento al quesito in esame, in disparte dalle 
preoccupazioni espresse a pag. 3, 3� cpv., della nota della PCM del 30 luglio 
2012 prot. n. DIE 12630 P-4.14.16, � pacifico come la sinallagmaticit� di crediti 
e debiti, all'interno di un unico rapporto obbligatorio, non sia richiesta per 
la loro compensazione (BIANCA, Diritto Civile, Vol. 4 - L'obbligazione, Giuffr�, 
Milano, 2006, p. 487). 
Piuttosto, � proprio l'autonomia strutturale delle diverse annualit� di contributo 
a giustificare la compensazione legale tra le stesse, quando le situazioni 
debitorie e creditorie, si elidano o si riducano vicendevolmente tra gli stessi 
soggetti, sempre che crediti e debiti siano entrambi coesistenti, determinati o 
determinabili, liquidi ed esigibili (Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 aprile 2009, 
n. 2512; Cassazione, Sez. lav., 25 giugno 2007, n. 14711; 16 gennaio 1988, n. 
301). Senza dire come, in giurisprudenza, si � ammessa la compensazione legale 
di debiti e crediti dei privati nei confronti della pubblica amministrazione 
statale, indipendentemente dalla specifica amministrazione di riferimento ed 
indipendentemente dalla specifica fonte delle situazioni debitorie e creditorie 
compensabili (Cassazione, Sez. I, 6 dicembre 1974, n. 4033). 
Ad ogni buon conto, posto che l'art. 1243 c.c. richiede la liquidit� ed esigibilit� 
dei crediti e debiti posti in compensazione, con riferimento al caso di 
specie, ci� sar� possibile soltanto quando dovessero eventualmente essere concessi 
i contributi per l'editoria 2011, con contestuale riconoscimento del credito 
a favore delle imprese editoriali. 
(omissis) 
In conclusione: 
1) risulta possibile la compensazione legale tra i crediti vantati nei confronti 
delle imprese editoriali ed i debiti che eventualmente dovessero sorgere, 
in dipendenza del riconoscimento dei contributi per l'editoria 2011, sempre 
che la compensazione sia effettuata in seguito al riconoscimento dei contributi 
suddetti; 
(omissis) 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato Consultivo, che nella seduta 
del 13 febbraio 2013, si � espresso in conformit�.
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Collegi arbitrali. Legge 6 novembre 2012 n. 190, art. 1 co. 18: 
regime intertemporale sul divieto di partecipazione di magistrati 
e di avvocati/procuratori dello Stato 
(Parere prot. 110932 dell�11 marzo 2013, AL 46089/12, avv. STEFANO VARONE) 
L�art. 1 comma 18 della L. 6 novembre 2012 n. 190 prevede che ai magistrati 
ordinari, amministrativi, contabili e militari, agli avvocati e procuratori 
dello Stato e ai componenti delle commissioni tributarie ҏ vietata, pena la 
decadenza dagli incarichi e la nullit� degli atti compiuti, la partecipazione a 
collegi arbitrali o l'assunzione di incarico di arbitro unico�. 
In relazione alla suddetta norma sono pervenute richieste di chiarimenti 
in ordine al regime intertemporale ed in particolare si � posto il quesito se la 
stessa possa essere applicata agli arbitri nominati in precedenza all�entrata in 
vigore della norma e, in caso di risposta positiva, quale sia il doveroso comportamento 
da tenere in relazione ai collegi gi� costituiti. 
Al riguardo va osservato che la norma in questione non � assistita da una 
disposizione regolante il regime transitorio. Infatti mentre per i successivi 
commi (da 19 a 24), che disciplinano peculiari aspetti delle controversie arbitrali 
di cui � parte una pubblica amministrazione, � espressamente previsto 
che il nuovo regime non si applica �agli arbitrati conferiti o autorizzati prima 
della data di entrata in vigore della presente legge� nulla � previsto per il divieto 
di partecipazione previsto dal precedete comma 18. Tuttavia, ci� non 
sembra poter essere letto come indice della volont� legislativa di applicare retroattivamente 
il divieto di assunzione degli incarichi arbitrali. 
In primo luogo occorre considerare che l�art. 11 delle disposizioni preliminari 
al codice civile prevede che �la legge non dispone che per l'avvenire 
essa non ha effetto retroattivo�, s� che in mancanza di una diversa disciplina 
sulla efficacia nel tempo che deroghi al principio in questione, ogni norma introdotta 
nell�ordinamento trova applicazione alle sole fattispecie successive 
alla sua entrata in vigore (fra le tante Cass. civ. Sez. I, 13 luglio 2012, n. 
12003). La norma d�altronde introduce un divieto in precedenza non previsto 
e pertanto � certamente da escludere che assuma i caratteri della disposizione 
interpretativa, come tale idonea a sottrarla al generale principio di irretroattivit� 
(Cass. civ., 8 febbraio 2012, n. 1850). 
Sempre in tema di disciplina delle fattispecie normative nel tempo, va osservato 
che la giurisprudenza di legittimit� ha pi� volte chiarito che il principio 
di irretroattivit� della legge implica che la norma sopravvenuta sia applicabile 
agli effetti non ancora esauriti di un rapporto giuridico sorto anteriormente 
solo allorch� la nuova legge sia diretta a disciplinare tali effetti, con autonoma 
considerazione dei medesimi (Cass. civ. Sez. III Sent., 16 aprile 2008, n. 9972), 
ipotesi che certamente non ricorre nel caso di specie. La disposizione in que-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 265 
stione non pare infatti suscettibile di essere letta come inerente ad un�ipotesi 
di incompatibilit� a svolgere l�incarico di arbitro, circostanza avvalorata dal 
mancato richiamo alla disciplina della ricusazione ex art. 815 c.p.c. e dall�individuazione 
di una autonoma fattispecie di nullit�. 
La norma pare pertanto configurare un divieto di assunzione dell�incarico, 
s� che pu� essere ragionevolmente applicata solo alle ipotesi di funzioni conferite 
successivamente alla sua entrata in vigore. 
L�esegesi letterale prospettata, oltre ad essere suggerita dal tenore della 
norma, sarebbe - ove fosse necessario supportarla con un�interpretazione teleologica 
- confermata anche da una lettura costituzionalmente orientata. L�intervento 
del legislatore sui giudizi arbitrali in corso, tale da determinare la 
possibile caducazione del collegio e delle attivit� medio tempore espletate, 
parrebbe infatti porsi in contrasto tanto con l�art. 111 comma II Cost. quanto 
con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, l� dove 
ricomprende (art. 6, par. 1) tra i diritti civili tutelati quello a un tempo ragionevole 
di durata del processo. Va evidenziato che la lesione di tale diritto pu� 
concorrere a determinare un danno erariale l� dove la parte interessata adisse 
le vie giurisdizionali per conseguire il risarcimento del danno lamentato, tendenzialmente 
parametrabile ai criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea 
(Cass. civ. Sez. VI, 28 maggio 2012, n. 8471). 
La caducazione dei collegi gi� costituiti potrebbe inoltre determinare un 
ulteriore pregiudizio erariale in considerazione dell�obbligo di remunerare comunque 
le attivit� svolte (si pensi a titolo d�esempio alle CTU che dovessero 
essere rinnovate) ed anche gli stessi arbitri �decaduti�. In relazione a tale ultimo 
profilo infatti, come ribadito dalla Cassazione (Sez. Unite, Sent. 1 luglio 
2008, n. 17930), tra le parti e gli arbitri del giudizio arbitrale sui lavori pubblici, 
non diversamente che nell' arbitrato disciplinato dal codice di procedura 
civile, si instaura un rapporto di prestazione d'opera intellettuale dal quale deriva 
un vero e proprio diritto soggettivo di credito al compenso. 
La medesima �decadenza� dei collegi, incidendo sull'esercizio dell'azione 
gi� in essere, sarebbe poi tendenzialmente idonea a determinare un sacrificio 
del diritto costituzionalmente tutelato dall�art. 24 della Carta Fondamentale 
che potrebbe eccedere il limite della ragionevolezza. 
Sulla fattispecie � stata interessata la Presidenza del Consiglio dei Ministri 
che con nota DAGL prot. 1493/2013 ha manifestato il proprio avviso condividendo 
l�esegesi diretta ad escludere l�applicazione del divieto agli arbitrati in corso. 
In conclusione sussistono plurime ragioni tali da escludere che l�art. 1 
comma 18 della L. 6 novembre 2012 n. 190, l� dove prevede, per determinate 
categorie di pubblici dipendenti, che � vietata, �la partecipazione a collegi arbitrali 
o l'assunzione di incarico di arbitro unico�, possa applicarsi agli incarichi 
arbitrali assunti anteriormente all�entrata in vigore della disposizione. 
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Esecuzione all�estero delle sentenze emesse dalla Corte dei Conti. 
Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 
(Parere reso in via ordinaria, prot. 427337 del 31 ottobre 2012, 
AL 38606/11, avv. DIANA RANUCCI) 
Con la nota in riscontro codesta Direzione chiede il parere della Scrivente 
in merito ai possibili strumenti di esecuzione delle sentenze di accertamento 
di responsabilit� per danno erariale pronunciate dalla Corte dei Conti nei confronti 
di debitori residenti all�estero, e, di seguito, in particolare se sia possibile 
adottare gli strumenti previsti dalla Convenzione in oggetto. 
1) Il primo quesito attiene alla eseguibilit� all�estero delle sentenze di 
condanna della Corte dei Conti. 
a) La disciplina delle sentenze di condanna per danno erariale � stata innovata 
con il D.P.R. n. 260 del 24 giugno 1998 che ha abrogato espressamente 
le norme di cui al R.D. 5 settembre 1909 n. 776. Le sentenze di condanna sono 
immediatamente esecutive e determinano il sorgere di un diritto di credito 
dell�Amministrazione danneggiata ad ottenere, anche coattivamente tramite 
una procedura esecutiva, la somma indicata nella sentenza stessa, la quale costituisce 
titolo esecutivo ex art. 474 lett. 1) c.p.c. 
Il predetto D.P.R. nulla dispone sulle esecuzioni che devono compiersi 
all�estero, per cui � evidente che, sotto questo profilo, la sentenza di condanna 
al pagamento di somme resa dal giudice contabile in nulla differisce rispetto 
a qualunque altra sentenza di condanna, sia essa del giudice ordinario che amministrativo 
ed � pertanto eseguibile con gli stessi strumenti. 
La risposta � pertanto affermativa. 
2) Esattamente codesta Direzione evidenzia come non sia possibile utilizzare 
la procedura della riscossione coattiva nel caso in cui i beni del debitore 
si trovino all�estero. 
Chiede pertanto di sapere se sia possibile applicare la disciplina generale 
dettata dalla Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata con 
legge n. 804 del 1971, la quale stabilisce le norme concernenti la competenza 
giurisdizionale e l�esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale 
applicabili tra gli Stati membri dell�Unione Europea. 
L�art. 26, comma 1�, della Convenzione di Bruxelles dispone che �le decisioni 
rese in uno stato contraente sono riconosciute negli altri stati contraenti 
senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento�. 
Di rilevanza, inoltre, l�art. 31 della Convenzione, ai sensi del quale �le 
decisioni rese in uno Stato contraente e quivi esecutive, sono eseguite in un 
altro Stato contraente dopo essere state munite, su istanza della parte interessata, 
della formula esecutiva�; si precisa, poi, all�art. 33 1� cpv della Convenzione 
medesima, che �le modalit� del deposito dell�istanza sono determinate
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 267 
in base alla legge dello Stato richiesto�. 
Occorre, infine, che l�istanza di riconoscimento ed esecuzione di una decisione 
straniera, formulata secondo le modalit� stabilite dalla legge dello Stato 
richiesto, sia corredata dai documenti indicati dagli artt. 46 e 47 della Convenzione. 
Nel marzo del 2002 � entrato in vigore il Regolamento n. 44/2001, che 
ha facilitato ancora pi� il riconoscimento delle sentenze e di qualsiasi altro 
provvedimento giurisdizionale all�interno dell�U.E., snellendo e rendendo pi� 
celere il relativo procedimento. 
Questo Regolamento, noto come �Bruxelles I� e concernente la competenza 
giurisdizionale e l�esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, 
si applica anche ai Paesi nuovi entrati nell�UE (Cipro, Estonia, 
Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, 
Slovenia, Ungheria) e sostituisce la Convenzione di Bruxelles, applicandosi a 
tutti i Paesi dell�Unione Europea, con l�eccezione della Danimarca e dei territori 
degli Stati membri per i quali, secondo il Trattato che istituisce la Comunit� 
Europea, il Regolamento non � vincolante. 
A questi continuer� ad applicarsi la Convenzione di Bruxelles del 1968. 
Il procedimento introdotto dal Regolamento 44/2001 per il riconoscimento 
e l�esecuzione delle decisioni, identificate in �qualsiasi decisione 
emessa da un giudice di uno Stato membro, quale ad esempio decreto, sentenza, 
ordinanza o mandato di esecuzione, nonch� la determinazione delle 
spese giudiziali da parte del cancelliere�, non � molto diverso da quello contenuto 
nella Convenzione di Bruxelles del 1968. 
La principale novit� introdotta dal Regolamento in questione � costituita 
dal fatto che, mentre sotto il regime della Convenzione di Bruxelles, il giudice 
del Paese dove la sentenza andava portata ad esecuzione poteva entrare nel 
merito della decisione, con la possibilit� di rilevare anche eventuali motivi di 
nullit� della stessa, ora il Regolamento n. 44/2001 consente di ottenere in tempi 
brevi la dichiarazione di esecutivit� di una decisione giudiziaria, in quanto il 
giudice del Paese di esecuzione deve compiere solo un controllo puramente 
formale della decisione (art. 41 Reg. 44/2001). 
L�istanza di esecuzione deve essere presentata al giudice territorialmente 
competente secondo le modalit� previste dalla legge dello Stato membro richiesto, 
corredata dai documenti di cui all�art. 53 Reg. 44/2001: �una copia 
della decisione che presenti tutte le condizioni di autenticit��, ed un attestato 
(art. 54 Reg. 44/2001) rilasciato, su richiesta di qualsiasi parte interessata, dal 
giudice o dall�autorit� competente dello Stato membro, compilato utilizzando 
il formulario di cui all�allegato V del Regolamento stesso. 
Certamente, il regolamento 44/2001 ha semplificato la procedura di exequatur 
per l�ottenimento della dichiarazione circa il carattere esecutivo della 
decisione, che pu� essere contestata dall�avversario solo in fase di opposizione.
268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
3) Alla luce di quanto esposto, codesto Ministero Della Difesa dovr�, 
quando necessario, contattare i competenti Uffici consolari italiani o le proprie 
Addettanze militari presso le Ambasciate italiane site nei Paesi interessati dalla 
procedura esecutiva, al fine di acquisire precise informazioni circa le modalit� 
di presentazione dell�istanza di esecuzione.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
�Ecosistemi�, �biodiversit�� e �servizi naturali�: 
definizioni e caratteristiche 
Paolo Francalacci* 
PREMESSA 
La presente pubblicazione contiene la mia tesi di dottorato... L�argomento si � focalizzato, 
da subito, sul concetto di �ecosistema�, posto a fianco del termine �ambiente� nel 
novellato art. 117 della Costituzione, per le implicazioni che tale concetto pu� determinare 
ed esprimere, rispetto alle sfide poste dalla tutela della biodiversit�, alla vigilia 
degli eventi culturali in occasione della ricorrenza della sottoscrizione della Convenzione 
europea del paesaggio a Firenze e mentre si sono compiuti alcuni disastri ecologici catastrofici, 
come quello del Golfo del Messico. 
Considerando l�argomento prescelto, ho privilegiato un approccio interdisciplinare in 
grado di indagare la complessit� e le implicazioni che i concetti di �ecosistema� e di 
�ecologia� esprimono, attraverso gli approcci delle discipline scientifiche, economiche 
e giuridiche che hanno contribuito a delinearne i caratteri. 
Ci sono due aspetti fondamentali che ho posto come punti di partenza della presente ricerca 
sui rapporti tra la natura e la vita umana nei meccanismi ecologici che reciprocamente 
li uniscono: 
- da un lato la consapevolezza che gli uomini contribuiscono con le loro scelte, spesso 
inconsapevoli rispetto alla complessit� dei fenomeni che attraversano, a determinare 
l�evoluzione del mondo vivente che genera e sostiene la nostra stessa esistenza; 
- dall�altro la percezione che la nostra cultura abbia generato una competizione tra i diversi 
saperi, per appropriarsi del controllo di questi fenomeni in modo settoriale e semplificato. 
(*) Dottore di ricerca, Universit� degli Studi di Firenze, Dipartimento di Diritto pubblico - Diritto 
Urbanistico e dell�Ambiente. Il presente scritto riproduce una versione �sintetica� della tesi di dottorato 
dell�Autore su �Il ruolo delle aree protette nella tutela dei servizi ecosistemici e della biodiversit��. 
Per la sua originalit� se ne pubblica la prima parte.
270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Il diritto appare cos� stretto tra la sfida di negare la complessit� oppure di aprire un confronto 
che possa portare a verificare i modelli di regolazione tenendo in considerazione 
i meccanismi vitali che regolano la nostra stessa vita - e che spesso sfuggono ai nostri 
tentativi di catalogazione e conoscenza - e la percezione e rappresentazione che i cittadini 
e la societ� hanno di questi processi. 
� l�ecologia umana che viene alla ribalta nel mondo del diritto, laddove la nostra Costituzione 
afferma che lo Stato, in prima persona, provvede alla �tutela dell�ambiente e 
dell�ecosistema� (art. 117, secondo comma, lett. s, Cost.) attraverso la tutela il paesaggio 
(art. 9 Cost.). 
L�umanit�, sempre vissuta secondo leggi di natura adattandosi all�ordine naturale e soggiacendo 
alle regole imposte dall�andamento degli eventi vitali, scopre la fragile e sconosciuta 
catena della vita e ad essa si rivolge per scoprirne i limiti e le fragilit� nel 
momento in cui avverte che tali azioni risultano necessarie per tutelare la salute e il benessere 
umano. 
Cos� ad un diritto che lasciava al personale modo di intendere i rapporti individuali con 
la natura sono progressivamente subentrati nuovi dati di realt�, elaborati dalla scienza 
e dalla tecnologia, che mutano il senso dell�appello al diritto e richiedono forme nuove 
di regolazione giuridica (1). 
Separato dal contesto naturale e sollevato dalla faticosa coesistenza con le severe regole 
della natura, si apre di fronte all�uomo l�orrore del vuoto e dei fantasmi della sua poca 
conoscenza. 
Quali forme, allora, percorrere e fino a che punto spingersi perch� l�ambiente di vita, 
su cui poggia la nostra stessa esistenza, possa essere percepita, rappresentata e tutelata 
dalla nostra societ� per ritrovare, con il mondo naturale che la sostiene, un accordo consapevole? 
Quali strumenti e forme giuridiche possono costituire riferimento nella gestione del territorio 
per tentare un riavvicinamento tra la societ� e la natura, nei suoi meccanismi 
vitali di funzionamento e di reciproco sostentamento? 
La tutela dell�ecosistema (o meglio degli ecosistemi) pu� costituire una strada percorribile 
per giungere a tale fine? 
La presente tesi cerca di dare alcune provvisorie risposte limitandosi a sperimentare e 
valutare le implicazioni che conseguono dal concetto di ecosistema e di ecologia del 
paesaggio nel settore della gestione del territorio, guardando agli approcci eco sistemici 
che stanno emergendo dalle elaborazioni giuridiche internazionali ed alle implicazioni 
che queste possono avere nel nostro ordinamento giuridico, con particolare riferimento 
agli strumenti di pianificazione territoriale, cercando di percorrere una lettura dell�approccio 
eco sistemico applicabile nel nostro paese, in grado di tener conto della nostra 
tradizione giuridica e dei metodi colturali di gestione del territorio. 
La ricerca in particolare si focalizza sulle implicazioni ecosistemiche-ecologiche all�interno 
degli strumenti di conoscenza e valutazione delle scelte di gestione ambientale, in 
una fase in cui le discipline economiche (economia dell�ambiente) ed ecologiche (ecologia 
del paesaggio) elaborano strumenti di indagine e studio delle interazioni tra comunit� 
umane ed assetti naturalistici e paesaggistici. 
(1) S. RODOT�, La vita e le regole, Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano, 2006.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 271 
Tali interazioni sono spesso riferite alla morfologia spaziale - geografica del territorio, 
ridotto ad alcuni singoli elementi, proposti isolatamente dal contesto ecologico e separati 
dal loro intrinseco sistema vivente: cio� dai loro ecosistemi. 
L�ambito dell�indagine si concentra nei settori normativi pi� direttamente afferenti il 
territorio e la sua gestione ecologica (biodiversit�, reti ecologiche, aree protette). 
In particolare l�indagine riguarda la capacit� di comprendere, esprimere e valutare i processi 
ecologici cio� le interazioni tra strutture e funzioni. 
Si tratta quindi di muoversi nell�ambito di una concezione dell�ambiente �ecocentrica� 
che vede �l�ambiente e la natura come valori in s� e l�uomo come elemento vitale che 
trova il suo posto nell�equilibrio della biosfera� (Stefano Grassi) (2) laddove gli ecosistemi 
costituiscono la fonte di salute e benessere dell�uomo. 
La tesi di dottorato si articola in tre parti principali. 
1) La prima parte riguarda le indagini finalizzate a comprendere l�origini e l�evoluzione 
del concetto di �ecosistema� (o �ecosistemi�). 
Il termine �ecosistema� viene assunto - a partire dalla teoria dei sistemi - nel suo significato 
di relazioni ecologiche unitarie interconnesse a scale spazio-temporali distinte che 
legano il singolo elemento (bioma) alla biosfera (l�intero pianeta) attraverso modalit� di 
interazione codificate dalle discipline dell�Ecologia e dell�Ecosystem Management (EM). 
Tale tema, ponendo la comprensione degli ecosistemi al centro dell�indagine, appare 
coerente con le sfide della complessit�, sulle quali il nostro Dottorato si interroga (3), 
dove si assiste, tra realismo e normativit�, al tentativo di indagare nuove frontiere del 
diritto nella fase cosiddetta della �mondializzazione� (4) che ha messo in crisi gli strumenti 
di regolazione tradizionali (command and control) a favore, sempre pi�, di un approccio 
interdisciplinare e sperimentale (5). 
�Il giurista non deve illudersi di poter svolgere il suo mestiere conoscendo esclusivamente 
il diritto. Egli deve innanzi tutto conoscere i fenomeni che dovr� trattare con gli 
strumenti del suo mestiere�; e ancora �Le certezze e le incertezze delle scienze naturali 
stanno al centro in particolare dei problemi che pongono le attivit� economiche dal punto 
di vista ambientale, cos� che � con la mediazione dell�economia che spesso meglio si 
capisce il rilievo della scienza per il diritto dell�ambiente� (6). 
L�impostazione di questa prima parte della tesi, riflette la fiducia che possa risultare 
utile lo sforzo di ricercare concordanze tra discipline scientifiche separate, per allineare 
categorie appartenenti ad ambiti diversi, laddove un singolo approccio risulti incerto e 
richieda scelte interpretative, come spesso impone l�elevato tasso di tecnicit� della ma- 
(2) S. GRASSI, Tutela dell�ambiente (diritto amministrativo), ad vocem, in Annali, aggiornamento 
I, pp. 1114 ss. 
(3) C. VINTI, F. MINAZZI, M. NEGRO, A. CARRINO, Le forme della razionalit� tra realismo e normativit�, 
Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2009 e ivi C. VINTI, Realismo epistemico e crisi dell�oggettivit�, 
p. 17 ss. e U. ALLEGRETTI, Essenza e futuro della Costituzione repubblicana, pp. 511 ss. e L. 
FOGLIA, Immagini percettive e non percettive come condizioni di risposta del S�, pp. 259 ss. 
(4) U. ALLEGRETTI, Diritti e Stato nella mondializzazione, Citt� aperta edizioni, Trina-Enna, 2002. 
(5) P. CARETTI, Premessa, in Ambiente e diritto, a cura di S. Grassi, M. Cecchetti, A. Andronio, 
Leo S. Olschki, Firenze, 1999, p. 5 ss. 
(6) D. SORACE, Considerazioni conclusive, in Ambiente e diritto, a cura di S. Grassi, M. Cecchetti, 
A. Andronio, Leo S. Olschki, Firenze, 1999, pp.. 125 e 126.
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
teria e come peraltro le stesse istituzioni europee suggeriscono (7). 
Il tema ecologico risulta, in tal senso, al centro del dibattito culturale contemporaneo, 
come testimoniano la letteratura giuridica recente (8) e le manifestazioni e le iniziative 
culturali di questi anni (9). 
In particolare: le scienze ecologiche, economiche, e di governo del territorio - oltre naturalmente 
quelle giuridiche - costituiscono riferimenti primari per indagare il significato 
e le implicazioni dei processi ecosistemici. La matrice culturale fondamentale sar� costituita 
dall�ecologia del paesaggio che si � venuta sempre pi� affermando come sintesi 
delle discipline che si occupano di studiare i processi ecologici umani. 
(...). 
(Tesi discussa il 5 aprile 2012, TUTOR Prof. Stefano Grassi) 
SOMMARIO PARTE I: 
1. AMBIENTE ED ECOSISTEMI: DEFINIZIONI E CARATTERISTICHE. Origine e definizioni. Scale 
e confini degli ecosistemi. Organizzazione, funzionamento ed evoluzione. 
2. LA GESTIONE AMBIENTALE BASATA SULL�APPROCCIO ECOSISTEMICO. Ecosystem approach 
(EA): caratteristiche e definizione. Ecosystem Management (EM): le basi scientifiche. 
Gli approcci sperimentali dell�ecosystem approach (EA). 
3. (segue) APPROCCIO ECO SISTEMICO: SERVIZI NATURALI DEGLI ECOSISTEMI E BIODIVERSIT� 
(BES). Biodiversit� e funzioni degli ecosistemi. 
4. TUTELA DELL�AMBIENTE E DEGLI ECOSISTEMI IN ITALIA: INQUADRAMENTO GENERALE. 
1. Ambiente ed ecosistemi: definizioni e caratteristiche. 
Origine e definizioni. 
Il termine ecosistema, introdotto all�art. 117, lett. s), della Costituzione - 
da cui muove la presente ricerca - riconosce l�ambiente come un sistema, nel 
quale i fattori naturalistici e quelli antropici interagiscono tra loro. 
La sua acquisizione nella Carta fondamentale pone la necessit� di comprendere 
il significato e la rilevanza giuridica, che tale concetto assume, nel 
passaggio dall�ambito scientifico, che lo ha introdotto, a quello giuridico, che 
lo ha recepito, transitando attraverso le elaborazioni della geografia umana ed 
economica e delle scienze territoriali e paesaggistiche. 
(7) Cfr. AA.VV., The Drama of the Commons, a cura di E. Ostrom et altri, National Research 
Council, Washington D.C., National Academy Press, 2002; N. GEORGESCU ROEGEN, Bioeconomia. Verso 
un�altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile, Bollati Boringhieri, Torino, 2003. 
(8) F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell�altro tra protezione dell�ambiente e 
tutela della specie umana, editoriale scientifica, 2010; C. DESIDERI, Dalla disciplina del paesaggio alla 
valutazione delle condizioni di esistenza, 2009, in http://www.issirfa.cnr.it//4554,908.html (contributo 
destinato al Liber amicorum dedicato a Federico Spantigati, si veda in particolare il punto 3.2. Il paesaggio 
incerto e senza ambiente del Codice). 
(9) Basti pensare alla recente mostra �Da Corot a Monet. La sinfonia della natura� (Roma, maggio, 
2010) che ripropone e documenta puntualmente una lettura della pittura impressionista come espressione 
di una estetica ecologica finalizzata all�indagine sugli ecosistemi locali. 
(...)
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 273 
Il punto di partenza dell�itinerario ermeneutico � costituito dalle scienze 
biologiche (13), che prospettano molteplici definizioni e classificazioni degli 
ecosistemi, con esiti anche sensibilmente diversi, passando da una visione iniziale 
prevalentemente sinecologica, basata sulle comunit� di specie (14), ad una 
visione dell�ecosistema come struttura portante delle attivit� economiche e degli 
assetti paesaggistici costruiti dall�uomo, come dimostra, da ultimo, la lezione 
di Andersonn sui principi della wise forest management (2003) e i recenti studi 
di Almo Farina sulla percezione delle relazioni ecologiche (2010) (15). 
(13) Il termine ecosistema viene introdotto, per la prima volta, da Arthur G. Tansley nel 1935, riprendendo 
il concetto di "biocenosi" da M�bius e quello di "biosistema" da Thiemann. Pochi anni dopo, 
nel 1939, defin� e diede il nome ad un altro elemento importante dell'ecologia: l' "ecotopo". 
Il termine ecologia viene coniato, invece, nel 1866 da E. Haeckel ed � riferito alla scienza che studia le 
relazioni degli organismi viventi, tra loro e con l�ambiente in cui vivono. 
Per la bibliografia essenziale in materia di ecologia ed ecosistemi si rinvia a: 
- E.P. ODUM, Ecology, Holt, Baltimora 1963 (traduz. italiana a cura di Guido Modiano, Zanichelli, Bologna 
1966); 
- S. KAUFFMAN, A casa nell'universo, Ed. Riuniti, 2001; 
- E. P. ODUM, Ecologia, Bologna, 1966 (in particolare p. 11 e ss.) e, dello stesso Autore, Fundamentals 
of ecology, Philadelphia, PA Saunders, 1975, e Basi di ecologia, Padova, 1988; 
- E. J. CORMODY, Concepts of Ecology, Price Hall, New York, 1969; p. 165 ss.; 
- P. SUSMEL, Principi di ecologia, Padova, 1988, p. 29 ss.; 
- W. NYBAKKEN, Biologia marina: un approccio ecologico, 1982. 
- SCIALABBA, Gestione integrata delle aree costiere e l�agricoltura, la silvicoltura e la pesca, 1998. 
Dalla letteratura scientifica possiamo trarre alcuni ricorrenti parametri di analisi degli ecosistemi. Ogni 
ecosistema � costituito da una comunit�, detta anche biocenosi o componente biotica, e dall'ambiente 
fisico circostante, il geotopo, che fa parte di una ecoregione, e che costituisce la componente abiotica, 
con il quale si vengono a creare interazioni reciproche in equilibrio dinamico. 
Un ecosistema viene definito come un sistema aperto, con struttura e funzione caratteristica determinata 
da un flusso di energia e da circolazione di materia tra componente biotica e abiotica. 
Gli ecosistemi presentano quattro caratteristiche: sono sistemi aperti, sono strutture interconnesse con 
altri ecosistemi, tendono a raggiungere e a mantenere nel tempo una certa stabilit�, sono sempre formati 
da una componente abiotica e da una componente biotica. 
Nella quasi totalit� degli ecosistemi terrestri il flusso di energia si origina dalla radiazione solare che, a 
differenza della materia, non � riciclabile. Parte di questa energia viene catturata ed utilizzata dagli organismi 
autotrofi fotosintetici per la trasformazione della sostanza inorganica in sostanza organica mediante 
la fotosintesi clorofilliana, che avviene nelle parti verdi delle piante acquatiche e terrestri. 
(14) Un ecosistema pu� essere definito come �a system of complex interactions of populations between 
themselves and with their environment� (M. PANDA, Population and Environment Relationship in Developing 
Countries: a select review of approaches and methods, in www.http://paa2004.princeton.edu) o come �the 
joint functioning and interaction of these two compartments (populations and environment) in a functional 
unit of variable size� (M.D. HUNTER, P. W. PRICE, Playing chutes and ladders: heterogeneity and the relative 
roles of bottom up and top down forces in natural communities, in Ecology, 73(3), 1992, pp. 724-732). 
Per le scienze biologiche, l�ecosistema costituisce l�unit� funzionale dell�ecologia poich� comprende 
l�insieme degli organismi, biotici ed abiotici e le loro interrelazioni, che determinano un equilibrio dinamico 
in costante evoluzione. Per queste nozioni si rinvia a trattazioni specifiche quali: P. E. ODUM, 
Ecologia, Bologna, 1966, p. 11 e ss.; E. J. CORMODY, Concepts of Ecology, Price Hall, New York, 1969; 
p. 165 ss.; P. SUSMEL, Principi di ecologia, Padova, 1988, p. 29 ss. 
(15) Si vedano dell�ecologo ALMO FARINA le seguenti pubblicazioni: Ecologia del paesaggio, 
Utet, Torino, 2001; Verso una scienza del paesaggio, Alberto Perdisa editore, Bologna, 2004; Il paesaggio 
cognitivo. Una nuova entit� ecologica, 2007.
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Il processo di diffusione del concetto di �ecosistema�, e il suo utilizzo da 
parte delle autorit� istituzionali, produce la dilatazione della originaria e specifica 
area semantica per assumere una valenza olistica e complessa, che supera 
la visione del mondo scientifico e pone l�ecosistema alla base delle sfide 
del nuovo ordine mondiale (16). 
Gli studiosi di geografia economica e di geografia umana tendono a posizionare 
il concetto di ecosistema al centro del rapporto tra societ� e ambiente 
naturale, come punto di equilibrio necessario per una nuova concezione della 
sostenibilit� dello sviluppo, in grado di salvaguardare il benessere e la salute 
dell�uomo (17). 
L�Organizzazione Mondiale della Sanit� sottolinea, infatti, l�interazione 
tra ambiente e societ� nella tutela dell�ecosistema e definisce l�ambiente come 
�l�insieme degli elementi fisici, chimici, biologici e sociali che debbono rimanere 
in equilibrio tra loro per non alterare l�ecosistema�. 
Risulta evidente che le definizioni esclusivamente tecnico-scientifiche di 
�ecosistema� mostrano i loro limiti intrinseci proprio per la valenza interdisciplinare 
che tale concetto assume all�interno della funzione di governance, 
rispetto alla quale � utilizzato ai fini della presente ricerca. 
Un contributo importante deriva dalle scienze dell�ecologia del paesaggio 
e dalle moderne scuole di ecologia applicata che, abbandonando rigide separazioni 
tra statuti disciplinari, hanno intrapreso riflessioni sulla necessit� di 
considerare tutti gli ecosistemi (naturali, forestali, agricoli, fluviali, marini, 
urbani) nel contesto ecologico-ambientale di appartenenza, al fine di creare 
un ambito di riferimento attraverso cui realizzare obiettivi di gestione, definiti 
in un pi� ampio processo di governance. 
L�ecosistema assume cos� una dimensione plurisensa che richiama la responsabilit� 
etica intergenerazionale e sfida la capacit� delle istituzioni di rappresentare 
e gestire la ragnatela dei processi vitali, interscalari e diacronici, 
da cui derivano le condizioni ambientali del futuro del nostro pianeta. 
�Sistema composito, complesso, complicato denso di consapevolezze 
(16) Si veda , ad esempio, W. SACHS, Dizionario dello sviluppo, Edizioni gruppo abele, Bologna, 
1992. 
(17) Come avvertirono i nuovi illuministi del Club di Roma, una maggiore consapevolezza del 
sistema mondo insita nella concezione di ecosistema e poi l�adesione al paradigma conciliante della 
sostenibilit� sono condizioni necessarie ma non sufficienti per l�adesione ad un nuovo ordine mondiale. 
La realizzazione di questo obiettivo � molto pi� problematica di quella evocata negli anni �70 dal nobel 
dell�economia Jan Tinbergen nel suo progetto RIO (Riconversion International Order). La riproposizione 
da parte del Nobel per l�economia Amartya Sen si � infatti avvalsa di costanti riferimenti alla dimensione 
fondamentalmente etica dello sviluppo umano. 
E il premio nobel Elinor Ostrom affronta direttamente il problema della gestione dei beni collettivi 
con un approccio ai sistemi territoriali locali, valorizzando direttamente la partecipazione delle comunit� 
locali e le scelte di gestione dei beni collettivi e delle risorse limitate. Vd. E. OSTROM, Governare 
i beni collettivi, Marsilio, Padova, 2008.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 275 
scientifiche fino al punto da racchiudere quasi l�intero patrimonio acquisito 
dalla conoscenza umana attuale, l�ecosistema, pur nelle molteplici accezioni, 
pi� o meno puntuali che dilagano, insieme a quelle di sostenibilit�, in una copiosa 
letteratura e in migliaia di siti web, evoca sempre l�insieme delle azioni, 
reazioni e retroazioni legate allo sviluppo umano. Inoltre sembra ormai acquisita 
la sua flessibilit� scalare per cui l�ecosistema mondo � collocato in un continuum, 
pi� o meno gerarchizzato, molto pi� articolato della diade 
locale-globale�(18). 
Spinelli introduce cos� il fondamentale tema delle scale e della gerarchia 
degli ecosistemi. 
Scale e confini degli ecosistemi. 
L�ecosistema pu� essere considerato a differenti scale geografiche e riferito 
ad entit� biologiche o naturalistiche circoscritte, come un singolo biotopo 
(19) quale, ad esempio, un albero, fino ad entit� geografiche ed ecologiche 
sempre pi� estese e complesse, quali un lago, un bosco o un fiume, interi bacini 
ed eco-regioni geografiche, il mediterraneo o l�Europa centrale, fino al pianeta 
Terra e all�intera biosfera. 
In breve, il mondo pu� essere rappresentato come un complesso sistema 
di ecosistemi tra loro interconnessi secondo differenti scale gerarchiche, e funzionante 
secondo processi chimici e biologici interni ed esterni, tra le singole 
parti dell�ecosistema e tra gli ecosistemi nel loro complesso, con scambi di 
materia e di energia (20). 
Ne consegue che gli ecosistemi non risultano univocamente definibili alla 
scala spaziale e la loro mappatura territoriale, pur costituendo presupposto necessario 
per la gestione eco sistemica, presenta un rilevante grado di convenzionalismo 
e discrezionalit�. 
I margini di incertezza derivano dalla scala territoriale considerata e dalla 
(18) G. SPINELLI, La condizione umana nel cambiamento dell�ecosistema, in Bollettino della Societ� 
geografica Italiana, Roma, serie XII, vol. V, 2000, pp. 611-619. 
(19) In ecologia il biotopo � un'area di limitate dimensioni (ad esempio uno stagno, una torbiera, 
un altipiano) di un ambiente dove vivono organismi vegetali ed animali di una stessa specie o di specie 
diverse, che nel loro insieme formano una biocenosi. Biotopo e biocenosi formano una unit� funzionale 
chiamata ecosistema. Il biotopo � dunque la componente dell'ecosistema caratterizzata da fattori abiotici 
(non viventi), come terreno o substrato, con le sue caratteristiche fisiche e chimiche, temperatura, umidit�, 
luce e cos� via. 
In alcuni biotopi si ritrova un insieme di caratteristiche specifiche e particolari, non facilmente riproducibili 
altrove. In tali casi, il biotopo pu� rivestire particolare importanza in quanto pu� rappresentare 
l'unico luogo dove vivono specie autoctone. A volte, questo insieme di caratteristiche peculiari � frutto 
di un equilibrio instabile, come avviene per esempio negli ambienti salmastri di laguna, che sono in 
costante evoluzione; questo rende fragile l'ecosistema che si regge su quel biotopo. 
(20) Come osserva Lackey, gli ecosistemi possono essere definiti secondo un ampio range di 
scale geografiche e territoriali �from a drop of morning dew to an ocean,� from a pebble to a planet�.

276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
tipologia dei processi ecologici da assumere come parametri di riferimento (21). 
Considerando la dimensione ambientale e paesaggistica come l�espressione 
di scala superiore per la rappresentazione degli ecosistemi - the total 
human ecosystem nella definizione di Naveh e Lieberman (22) - ci si chiede 
quale ruolo possono esprimere le reti ecologiche delle aree protette e se queste 
sono suscettibili di intercettare e rappresentare la dimensione eco sistemica 
allo scopo di individuare una scala di gestione efficace rispetto agli obiettivi 
di conoscenza, di conservazione e di tutela. 
L�art. 2 della legge 394 del 1991, legge quadro sulle aree protette, definisce 
i parchi come �aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o pi� 
ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici� (art. 2 
comma 1) e le riserve naturali come �costituite da aree che presentino uno o pi� 
ecosistemi importanti per la diversit� delle risorse genetiche� (art. 2 comma 3). 
Il termine parco naturale o area protetta - riferito ad ecosistemi naturali 
che si intendono conservare nella loro integrit� - pu� dunque essere assunto, 
dal punto di vista ecologico, come uno dei livelli nello spettro dell�organizzazione 
gerarchica degli ecosistemi, da associare alle dinamiche dei contesti territoriali 
e paesaggistici, generati dalle societ� umane, attraverso lo strumento 
delle reti ecologiche (23). 
Le relazioni tra ambiente, paesaggio e aree protette costituiscono le di- 
(21) Un tentativo di assumere un ambito eco-geografico significativo � costituito dalle �eco regioni�, 
definite dal WWF come "unit� relativamente grandi di terra o acqua contenenti un assemblaggio distinto 
di specie e comunit� naturali, con confini che approssimano l'estensione originale delle comunit� naturali 
prima di importanti cambiamenti nell'uso della terra". In alternativa si possono definire le ecoregioni come 
aree di potenziale ecologico basate su combinazioni di parametri biofisici, quali il clima e la topografia. 
Gli ecologi del WWF propongono di suddividere la superficie continentale della Terra in 8 ecozone 
principali, contenenti a loro volta 867 ecoregioni terrestri. Tra queste, sulla base del contenuto in biodiversit�, 
ne sono state selezionate 200, denominate "Global 200": queste contengono la maggior parte 
della biodiversit� del pianeta. Il WWF, di conseguenza, sta concentrando i suoi sforzi per la salvaguardia 
di queste 200 ecoregioni, che - per quanto riguarda l'Italia - comprendono le Alpi e il Mediterraneo. 
Molti considerano questa classificazione un traguardo fondamentale e propongono le ecoregioni come 
confini stabili per iniziative di democrazia bioregionale o ecoregionale. Esempi di bio-regioni sono: la 
foresta amazzonica, il mediterraneo, i deserti, e simili. 
(22) Z. NAVEH � A.S. LIEBERMAN, Landscape ecology. Theory and application, Springer Verlag, 
New York, 1984. Secondo tale approccio il paesaggio � definibile come un �sistema complesso di ecosistemi� 
nel quale si integrano fenomeni naturali ed azioni dell�uomo, secondo i principi dell�ecologia 
del paesaggio. La denominazione di �ecologia del paesaggio� si deve al bio-geografo tedesco Carl Troll 
che nel 1939 intu� l�evoluzione degli ecosistemi e delle loro propriet� verso entit� superiori che chiam� 
�paesaggi� rilevando la necessit� di una apposita disciplina per lo studio dei paesaggi ecologicamente 
definiti. L�ecologia del paesaggio (landscape ecology) nasce infatti come scienza applicata, interfaccia 
tra geografia ed ecologia. 
(23) MOTTA R., � possibile migliorare il bosco?, in Forest@ 4 (3), 244-245, 2007, URL: 
http://www.sisef.it. Naveh e Liebermann hanno definito il paesaggio the total human ecosystem con riferimento 
alla specie animale in grado di influenzare in maniera pi� significativa (nello spazio e nel 
tempo) i processi naturali. Vd. Z. NAVEH � A.S. LIBERMAN, Landscape ecology. Principles and Applications, 
Springer Verlag, Berlin-Heidelberg, 1984. Cfr. anche B. CASTIGLIONI, Un modello interpretativo 
per una riflessione sul paesaggio, in Dendronatura, 2, 23-28, 1998.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 277 
namiche in cui si inseriscono le differenti scale ecosistemiche e all�interno 
delle quali disciplinare le strutture e le modalit� di funzionamento dei singoli 
ecosistemi (riserva naturale, sito ecologico, parco, paesaggio, ambiente) tenendo 
conto della loro continua evoluzione e del loro funzionamento in un sistema 
unico, aperto e interrelato. 
Organizzazione, funzionamento ed evoluzione. 
All�interno di ciascun ambito gestionale alle diverse scale - dal biotopo 
alla biosfera, dall�area protetta al paesaggio - � necessario individuare e definire 
la struttura ed il funzionamento degli ecosistemi e le relative interazioni 
con le societ� umane sulla cui base definire gli obiettivi gestionali. 
Tali interazioni tra ambiente ed attivit� umane (agricoltura, pesca, caccia, 
attivit� estrattive, insediamenti urbani) portano a delineare quattro grandi categorie 
all�interno dell�analisi eco sistemica: 
1) un sistema biotico, che include i target delle risorse di specie e popolazioni, 
con le specie associate e dipendenti e i loro habitat di vita; 
2) un sistema abiotico, caratterizzato dalla topografia dei luoghi, dalla 
qualit� delle acque, dal clima; 
3) una organizzazione umana, che determina la raccolta e il consumo delle 
risorse; 
4) un assetto istituzionale, che comprende l�organizzazione necessaria 
per la gestione e il governo del territorio. 
Gli uomini sono parte della componente biotica degli ecosistemi da cui 
traggono risorse, cibo e servizi e, al tempo stesso, sono parte delle risorse vitali 
e degli ecosistemi che contribuiscono a plasmare (24). 
Nella prospettiva antropologica l�uomo � sia utilizzatore che creatore 
delle risorse tuttavia n� la creativit� umana n� le risorse sono illimitate (25). 
(24) Il nostro pianeta � un insieme di parti legate tra loro da flussi di materia ed energia e funziona 
come un sistema (geo-sistema) nel quale coesistono ambienti diversi. Il geo-ecosistema si comporta come 
un sistema aperto che riceve dall�esterno consistenti apporti di energia ed � mantenuto in equilibrio da una 
serie di cicli al suo interno (ciclo delle rocce, ciclo dell�acqua, ciclo del carbonio, ciclo dell�azoto e simili). 
I vegetali trasformano l�energia solare e la materia abiotica del terreno per produrre bioenergia (produttori). 
Gli animali "primari" (erbivori) si cibano dei vegetali assorbendone la bioenergia, divenendo, a loro volta, 
prede degli animali "secondari" (carnivori) e cedendo la bioenergia a questi ultimi. I resti degli animali 
sono trasformati nuovamente in materia abiotica tramite l'azione dei microrganismi decompositori. 
La materia � quindi l'oggetto di scambio tra i settori abiotici e biotici mediante continui flussi in equilibrio 
tra loro. 
Un terzo elemento fondamentale � l'energia proveniente dal sole. Senza l'irraggiamento solare non ci 
sarebbero i cicli abiotici e biotici. Senza il sole non ci sarebbero fenomeni atmosferici, piante o altri 
produttori n� la vita come oggi noi la conosciamo. 
Il problema nasce dalla diversa scala temporale dei processi: quelli brevi dei consumi legati ai tempi 
economici e quelli lunghi del ripristino o del riequilibrio legati ai tempi geologici. 
(25) MOSCOVICI, S. The phenomenon of social representations. In R.M. FARR and S. MOSCOVICi, 
Social Representations, Cambridge, England, Cambridge University Press, 1984.
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Gli ecosistemi sono entit� composite e dinamiche con una grande quantit� 
di flussi di materia, energia e informazioni tra le sue parti componenti, in forme 
spesso ancora sconosciute (26). I cambiamenti ambientali possono produrre 
effetti non direttamente controllabili e possono esercitare una influenza fondamentale 
sulla stabilit� e resilienza degli ecosistemi. 
Visto che molti di questi cambiamenti non sono prevedibili allo stato attuale 
delle conoscenze, le incertezze sullo stato futuro degli ecosistemi e sulla 
reazione rispetto alla loro utilizzazione e gestione, possono determinare potenziali 
errori e conseguenti rischi per le popolazioni e per le stesse risorse. 
La maggior parte degli Stati � alla ricerca di efficaci strategie per sviluppare 
una gestione sostenibile degli ecosistemi, in grado di rappresentare la dimensione 
olistica ed integrata delle relazioni ambientali: si parla infatti di 
democrazia bio-regionale od eco-regionale. 
Queste strategie si sviluppano sul sottile crinale che collega le discipline 
economiche e quelle giuridiche nella gestione dell�ambiente, anche se la relazione 
tra regolamentazione giuridica e gestione dell'ecosistema sembra essere 
molto pi� complicata di quella tra diritto e sviluppo economico. 
La ricerca di un modello integrato di governo degli ecosistemi ha portato, 
infatti, le istituzioni a confrontarsi con un nuovo modello di sviluppo e di gestione 
che presuppone un approccio eco sistemico cio� un modello che riconosca 
e valorizzi le relazioni tra la societ� umana ed i servizi che gli ecosistemi 
rendono all�uomo. 
Tentiamo ora di delineare le caratteristiche essenziali di questo approccio, 
da assumere ai fini dello sviluppo della presente ricerca. 
2. La gestione ambientale basata sull�approccio eco sistemico. 
Ecosystem approach (EA): caratteristiche e definizione. 
Il termine �ecosystem approach� � generalmente usato nella forma di 
�ecosystem approach to�� come, ad esempio,�ecosystem approach to environmental 
protection�, per indicare appunto un approccio che �riconosce 
esplicitamente la complessit� degli ecosistemi e le interconnessioni tra le sue 
parti componenti� (27). 
La Convenzione sulla diversit� biologica del 1992 (CBD) definisce l�ap- 
(26) Non ci sono teorie univoche e condivise sulle forme di controllo di questi flussi mediante: 
- abitudini alimentari dei grandi predatori (top-down control); 
- produttori primari (bottom-up control); 
- specie abbondanti nella parte mediana della catena alimentare (wasp-waist control); 
- combinazioni di alcune o di tutte queste specie, derivanti dagli ecosistemi e dal loro possibile status. 
Cfr. R. CURRY, B. DICKSON, I. YASHAYAEV, A change in the freshwater balance of the Atlantic Ocean 
over the past four decades, in Nature, 18-25 dicembre 2003, p. 426. 
(27) DUNCAN E. J. CURRIE, Ecosystem-based Management in Multilateral Environmental Agreements: 
Progress towards Adopting the Ecosystem Approach in the International Managemente of Living 
Resources, in S. PLOURDE, Fisheries and Oceans, Canada, 2002.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 279 
proccio eco sistemico come �ecosystem and natural habitats management� 
to meet human requirements to use natural resources, whilst maintaining the 
biological richness and ecological processes necessary to sustain the composition, 
structure and function of the habitats or ecosystems concerned. Important 
within this process is the setting of explicit goals and practices, regularly 
updated in the light of the results of monitoring and research activities�. 
Nel corso della Quinta Conferenza delle Parti si precisa che l� �ecosystem 
approach� � una strategia �per la gestione integrata di paesaggio, acqua e risorse 
vitali che promuove la conservazione e l�uso sostenibile in modo equo, 
(�) per raggiungere l�equilibrio tra� conservazione, uso sostenibile e giusta 
condivisione dei benefici derivanti dall�utilizzo delle risorse genetiche� (Decisione 
V/6). 
L�approccio eco sistemico si fonda su presupposti e requisiti definiti dalle 
scienze ecologiche applicate e dall�ecologia del paesaggio, che possiamo sintetizzare 
in: 
a) definizione e descrizione degli ecosistemi, in termini di scale, estensione, 
struttura e funzionamento; 
b) analisi dello stato iniziale dell�ecosistema, in termini di salute ed integrit�; 
c) definizione dei pericoli attuali e di quelli futuri, in quanto prevedibili, 
per la salute dell�ecosistema; 
d) definizione delle strategie di gestione adattativa per il mantenimento, 
la protezione, la riabilitazione e l�uso degli ecosistemi. 
Tale approccio riconosce che �l�ecosistema � una unit� funzionale a qualunque 
scala spaziale � che gli uomini sono una componente integrale di 
molti ecosistemi � e che si richiede l�adozione di tecniche di gestione adattativa
� (Segretariato della Convenzione sulla diversit� biologica, 2000). 
Dopo la dichiarazione di Reykjavik, l�Ecosystem Approach (EA) � riconosciuto 
come una forma di governance che utilizza i principi concettuali e 
gli strumenti operativi tradizionali ma applicati con funzione di gestione dell'ecosistema. 
Quali campi della moderna governance, le tecniche di gestione eco sistemica 
trovano le loro radici nelle discipline di gestione delle risorse naturali o 
della fauna selvatica anche se sono stati messi a punto paradigmi operativi 
molto diversi, utilizzando e sperimentando la gestione integrata. 
Il suo contenuto � esplicitato nei dodici principi guida della Dichiarazione 
di Malawi (Allegato I) (28) che riconosce le caratteristiche fondamentali del- 
(28) Nel corso di un workshop sull�approccio eco sistemico, tenutosi a Lilongwe, Malawi, nel 
gennaio 1998, sono stati identificati dodici principi per un approccio ecosistemico alla gestione della 
biodiversit�. 
Tali Principi sono stati poi presentati alla quarta riunione della Conferenza delle Parti della Convenzione 
sulla diversit� biologica (Bratislava, Slovacchia, 4-15 maggio 1998, UNEP/CDB/COP/4/Inf.9). 
Si riportano di seguito tali principi nella lingua originale in cui sono stati formulati:
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
l�approccio eco sistemico come questione di scelta sociale secondo un modello 
di sussidiariet� (1� e 2� principio) riportando gli ecosistemi e le loro interrelazioni 
nei contesti socio-economici di appartenenza (principi 3 e 4) per conservarne 
struttura e funzionalit� (principi 5 e 6) secondo scale spaziali e 
temporali appropriate (principi 7 e 8), prendendo atto che il cambiamento 
dell�ecosistema � inevitabile e che � necessario trovare un equilibrio tra conservazione 
e consumo della biodiversit� (principi 9 e 10) recuperando tutte le 
forme e i livelli di conoscenza (11 e 12). 
Ecosystem Management (EM): le basi scientifiche. 
L�evoluzione dell�approccio eco sistemico e il suo progressivo impiego 
nella gestione del territorio ha prodotto l�elaborazione di una specifica pratica: 
l�Ecosystem Management(EM). 
Il concetto di Ecosystem Management(EM) � stato introdotto in apertura 
del trattato sull�etica della conservazione da Aldo Leopold (1966) (29), si � 
poi affermato a partire dalla Conferenza su Diritti umani e ambiente di Stoccolma 
(1972) e diffuso a seguito della Conferenza su Ambiente e sviluppo 
della Convenzione sulla Diversit� Biologica (1992). 
La gestione dell'ecosistema (o appunto ecosystem management) riguarda 
un processo di governance guidato da obiettivi espliciti, definiti attraverso il 
monitoraggio e la ricerca, sulla base della migliore comprensione delle interazioni 
ecologiche, necessarie per sostenere la struttura e il funzionamento 
degli ecosistemi e la fornitura dei sevizi. 
Esistono molte definizioni di �ecosystem management� (30). 
(1) Management objectives are a matter of societal choice. 
(2) Management should be decentralized to the lowest appropriate level. 
(3) Ecosystem managers should consider the effects of their activities on adjacent and other ecosystems. 
(4) Recognizing potential gains from management there is a need to understand the ecosystem in an 
economic context, considering e.g. mitigating market distortions, aligning incentives to promote sustainable 
use, and internalizing costs and benefits. 
(5) A key feature of the ecosystem approach includes conservation of ecosystem structure and functioning. 
(6) Ecosystems must be managed within the limits to their functioning. 
(7) The ecosystem approach should be undertaken at the appropriate scale. 
(8) Recognizing the varying temporal scales and lag effects which characterize ecosystem processes, 
objectives for ecosystem management should be set for the long term. 
(9) Management must recognize that change is inevitable. 
(10) he ecosystem approach should seek the appropriate balance between conservation and use of biodiversity. 
(11) The ecosystem approach should consider all forms of relevant information, including scientific and 
indigenous and local knowledge, innovations and practices. 
(12) The ecosystem approach should involve all relevant sectors of society and scientific disciplines. 
(29) A. LEOPOLD, Almanacco di un mondo semplice, Red edizioni, 1997 (edizione italiana). 
(30) In base agli studi di Lackey, per ecosystem management pu� intendersi �the application of 
ecological, economic, and social information, options, and constraints to achieve desired social benefits
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 281 
L�Ecological Society of America ha definito l�ecosystem management 
come �management driver by explicit goals, executed by policies, protocols, 
and practicies, and made adaptable by monitoring and research based on our 
best understanding of the ecological interactions and processes necessary to 
sustain ecosystem composition, structure, and function� (31). 
La gestione basata sull�approccio eco sistemico (detta anche ecosystem 
based) non si concentra solo sui risultati di breve periodo ma riguarda, piuttosto, 
la sostenibilit� intergenerazionale e stabilisce obiettivi misurabili che 
specificano i processi futuri e i risultati necessari per la sostenibilit�, attraverso 
la comprensione e la ricerca svolta a tutti i livelli di organizzazione ecologica. 
Tale paradigma riconosce che la diversit� biologica e la complessit� strutturale 
rafforzano gli ecosistemi contro le perturbazioni esterne e forniscono le risorse 
genetiche necessarie per adeguarsi ai cambiamento di medio-lungo termine. 
I maggiori ostacoli riguardano l�inadeguata informazione sulla diversit� 
biologica degli ambienti e sulle dinamiche degli ecosistemi oltre ad una insufficiente 
percezione pubblica sui rischi di futuri danni all'ecosistema. 
Sotto il profilo gestionale i maggiori punti critici riguardano l'apertura e 
la interconnessione degli ecosistemi su scale che trascendono i confini di gestione 
su base amministrativa. 
I processi ecosistemici operano secondo un ampio range di scale spaziali 
e temporali, e il loro comportamento � fortemente influenzato dai sistemi circostanti. 
Non esiste pertanto una sola scala appropriata o un periodo circoscritto 
di tempo per la loro gestione proprio in ragione del carattere fortemente dinamico 
e dell�inevitabile cambiamento cui gli ecosistemi sono soggetti. 
Riconoscendo che il cambiamento e l'evoluzione sono connaturati alle 
dinamiche degli ecosistemi, la gestione dovr� privilegiare approcci di gestione 
adattativa da intendere come ipotesi soggette continuamente a verifica sulla 
base di programmi di ricerca e monitoraggio continuo (32). 
within a defined geographic area and over a specified period� (LACKEY, R.T., Radically contested assertions 
in ecosystem management, J. Sustainable Forestry, 1999, 9(1-2):21- 34). 
Assumendo una definizione pi� generale, l�Ecosystem management pu� essere identificato come: �a 
management philosophy which focuses on desired states rather than system outputs and which recognizes 
the need to protect or restore critical ecological components, functions and structures in order to sustain 
resources in perpetuity� (H. J. CORTNER et al., Institutions matter: the need to address the institutional 
challenges of ecosystem management, 1994). 
Vedere anche: CHRISTENSEN, e altri, The scientific basis for ecosystem managemen, in Ecological Applications, 
1996, 6:665-691; R. T. LACKEY, Values, Policy, and Ecosystem Health, BioScience 51(6): 
437-443. 2001. 
(31) The Report of the Ecological Society of America Committee on the Scientific Basis for Ecosystem 
Managemente, p. 665, in http://www.jstor.org, 21 novembre 2004. 
(32) Si riportano di seguito i precetti scientifici fondamentali per la gestione degli ecosistemi, elaborati 
dalle moderne scuole di ecologia applicata.
282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Gli approcci sperimentali dell�ecosystem approach (EA). 
Alcune sperimentazioni dell�approccio ecosistemico sono state promosse 
dalla disciplina internazionale e comunitaria - e recentemente anche da quella 
interna - che riguarda, principalmente, le aree costiere e marine degli oceani 
e del Mediterraneo, le aree protette, alcune propriet� pubbliche. 
Gli Stati Uniti hanno avviato, per le propriet� federali, alcune esperienze 
di gestione ecosistemica (33) sulla base della legislazione previgente. 
Alcuni riferimenti espliciti agli ecosistemi e alla biodiversit� sono contenuti 
nell�Endangered Species Act del 1973, nel National Forest Management Act del 
1976, e nel National Environmental Policy Act del 1969. Tali riferimenti sono 
stati interpretati a sostegno delle iniziative di gestione eco sistemica sul dominio 
pubblico federale e, di conseguenza, il concetto di gestione dell'ecosistema � 
(1) Definire obiettivi e strategie sostenibili. Strategie sostenibili per la fornitura di beni e servizi ecosistemici 
non possono assumere come punto di partenza le aspettative o i desideri attuali delle popolazioni 
come l'approvvigionamento di legname, la domanda d'acqua, la pesca a prescindere dalle capacit� degli 
ecosistemi. Piuttosto, la sostenibilit� deve essere il paradigma primario, e i livelli di fornitura delle materie 
prime devono essere regolati secondo tale parametro. 
(2) Conciliare scale spaziali. La funzione degli ecosistemi comprende ingressi, uscite, cicli di materiali 
ed energia, interazioni tra organismi. I confini o i perimetri definiti per lo studio o la gestione di un processo 
sono spesso inadeguati allo studio di altri. La gestione dell'ecosistema sarebbe notevolmente semplificata 
se le giurisdizioni amministrative risultassero spazialmente coerenti con il comportamento dei 
processi degli ecosistemi. Vista la variet� nel dominio spaziale tra processi, non � possibile adottare una 
soluzione unitaria per tutti i processi mentre appare pi� facilmente praticabile la ricerca di coordinamento 
tra i vari attori compresi all'interno di ciascun ecosistema alla scala considerata. 
(3) Conciliare scale temporali. Le autorit� amministrative di gestione sono spesso costrette a prendere 
decisioni secondo fasi temporali su base annuale, la gestione degli ecosistemi deve fare i conti con scale 
temporali intergenerazionali e richiedono pianificazioni a lungo termine. 
(4) Rendere il sistema di gestione adattabile. La corretta gestione dell'ecosistema richiede istituzioni in 
grado di adattarsi ai cambiamenti delle caratteristiche degli ecosistemi e della nostra conoscenza di base. 
La gestione adattativa richiede pertanto l'interazione continua dello scienziato con i dirigenti e il pubblico. 
La comunicazione deve fluire in entrambe le direzioni e gli scienziati devono essere disposti a 
dare la priorit� nelle loro ricerche alle necessit� di gestione critica, sviluppando programmi di monitoraggio 
e modelli scientifici adeguati supportati da nuovi meccanismi per comunicare ricerca e risultati 
di gestione al pubblico e ai manager. 
(5) La biodiversit� e la funzione degli ecosistemi dipende dalla sua struttura, diversit� ed integrit�. La 
gestione dell'ecosistema cerca di mantenere la diversit� biologica come elemento fondamentale per rafforzare 
gli ecosistemi contro i disturbi esterni. Cos�, la gestione della diversit� biologica riconosce che 
la struttura e il funzionamento dell�ecosistema � influenzato significativamente dal sistema circostante. 
(6) Riconoscere l'incertezza e i limiti della conoscenza. La gestione dell'ecosistema riconosce che i fenomeni 
si basano su previsioni incerte. La gestione adattativa risolve questa situazione di incertezza 
combinando l'analisi scientifica, l'educazione e l'apprendimento istituzionale, la nostra comprensione 
dei processi degli ecosistemi e le conseguenze di interventi di gestione per migliorare la qualit� dei dati 
da porre alla base delle decisioni. 
The Report of the Ecological Society of America Committee on the Scientific Basis for Ecosystem Managemente, 
p. 665, in http://www.jstor.org, 21 novembre 2004. 
(33) Cfr. ROBERT B. KEITER, Ecosystems and the Law: Toward an Integrated Approach, in Ecological 
Applications, Volume 8, Issue 2 (May 1998) pp. 332-341, Ecological Society of America, in 
http://www.jstor.org/stable/i325028.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 283 
stato approvato da tutte le agenzie di gestione delle terre federali. Per le propriet� 
pubbliche, dunque, la gestione su base eco sistemica pu� ritenersi in fase di sperimentazione 
mentre non � applicata alle aree in regime di propriet� privata. 
Per gli ecosistemi marini, il Large Marine Ecosystem approach (LMEA), 
elaborato dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), in 
base al piano d'azione americano (USOAP 2004), ha introdotto cinque moduli 
per strutturare l�approccio eco sistemico (produttivit�, risorse, inquinamento e 
salute degli ecosistemi, aspetti socioeconomici, governance) da applicare a sedici 
progetti internazionali col coordinamento delle Nazioni Unite (ONU) (34). 
I progetti risultano coerenti con il vertice mondiale di Johannesburg del 
2002 sullo Sviluppo Sostenibile (WSSD), mirato a proteggere, ripristinare e gestire 
l'utilizzo delle risorse costiere ed oceaniche attraverso un approccio eco sistemico 
entro il 2010 e confermano la progressiva adozione da parte dell�ONU. 
La Direttiva FAO Ecosystem approach to fisheries (1995) propone il passaggio 
da un approccio monospecifico, che prestava attenzione alla single specie 
attraverso il sistema delle quote di pescato, ad un approccio eco sistemico 
che tiene in considerazione l�intero sistema ambientale e il suo funzionamento, 
basato sulle dinamiche dei processi ecologici e sulla struttura e funzionamento 
dell�ecosistema. 
Il Reg. UE 199/2008 per il monitoraggio sulle risorse mediante raccolta 
costante di dati strutturali (ad esempio il numero delle barche e le caratteristiche 
dello sbarcato) ma anche attivando ricerche indipendenti sulle modalit� 
di funzionamento dell�ecosistema ittico e non solo delle specie bersaglio della 
pesca. Nel modulo utilizzato a tal fine, tra gli indicatori eco sistemici, compare 
la biodiversit�. Tali studi sono finalizzati a mappare le aree sensibili per passare 
dal dato conoscitivo al dato gestionale (Reg 1967/2006 UE). 
La Direttiva quadro per l�ambiente marino (2008/56/CE del Parlamento 
europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008), che istituisce un quadro per 
l�azione comunitaria nel campo della politica per l�ambiente marino, prende 
atto, nei considerando, che �le pressioni sulle risorse marine naturali e la do- 
(34) Si rinvia a: Global applications of the Large Marine Ecpsystem Concept 2007-2010, a cura 
di Kenneth Sherman, Marie-Christine Aquarone, and Sally Adams, 2010. Nell'ecosistema marino di 
grandi dimensioni (LME) il NOAA ha messo a punto un modello sperimentale di gestione basato sull�approccio 
ecosystemico (ecosystem based) da applicare a 16 progetti internazionali in Africa, Asia, 
America Latina e Europa dell'Est. Tale modello prevede la messa a punto di un sistema da applicare in 
alcune regioni in collaborazioni con i paesi costieri secondo i cinque moduli (produttivit�, risorse, inquinamento 
e salute degli ecosistemi, aspetti socioeconomici, governance). 
Il modulo di governance sta mettendo in atto pratiche innovative nei progetti GEF-LME attualmente in 
corso in Africa e in Asia, per la Guinea, e per il Benguela, dove sono stati raggiunti accordi tra l'impatto 
ambientale, i ministri della pesca, dell'energia e del turismo dei paesi che entrano in relazione con il 
LME per una valutazione internazionale delle risorse e sono state istituite commissioni di gestione. Per 
il LME che interessa la Grande Barriera Corallina e l�Antartide la gestione eco sistemica � garantita tramite 
la Commissione per la Conservazione delle Risorse Biologiche Marine.
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
manda di servizi eco sistemici marini sono spesso troppo elevate� e che gli 
ecosistemi marini devono essere preservati mediante apposite strategie in attuazione 
del Sesto Programma di azione ambientale includendo, in tale approccio, 
le aree protette marine, al fine di conseguire un buono stato ecologico 
per consentire un uso sostenibile della biodiversit� e mantenere livelli di produttivit� 
degli ecosistemi (35). 
Il buono stato ecologico � conseguito per ciascuna regione o sottoregione 
(36) mediante la gestione adattativa basata sull�approccio eco sistemico, identificando, 
a tal fine: lo �stato ecologico� iniziale (art. 3 comma 1, punto 4 ) 
(37); il �buono stato ecologico� da conseguire e mantenere (art. 3 comma 1 
punto 5) (38) e l�inquinamento (art. 3, comma 1, punto 8) (39). 
(35) A tali fini la direttiva 2008/56 istituisce un quadro all�interno del quale gli Stati membri adottano 
le misure necessarie per conseguire o mantenere un buono stato ecologico dell�ambiente marino 
entro il 2020, ripristinando gli ecosistemi marini nelle zone dove hanno subito danni ed eliminando progressivamente 
l�inquinamento per escludere impatti significativi per la biodiversit�, gli ecosistemi la 
salute umana e gli usi legittimi del mare (art. 1, comma 2). A tal fine le strategie per l�ambiente marino 
�applicano un approccio eco sistemico alla gestione delle attivit� umane, assicurando che la pressione 
collettiva di tali attivit� sia mantenuta entro livelli compatibili con il conseguimento di un buono stato 
ecologico e che la capacit� degli ecosistemi marini di reagire ai cambiamenti indotti dall�uomo non sia 
compromessa, consentendo nel contempo l�uso sostenibile dei beni e dei servizi marini da parte delle 
generazioni presenti e future� (art. 1, comma 3). 
(36) Sono regioni o sottoregioni marine, ad esempio, la regione marina del Mar Mediterraneo e 
le sottoregioni Mediterraneo occidentale, Adriatico, Ionio e Mediterraneo centrale, Egeo orientale. 
(37) �Stato ecologico: stato generale dell�ambiente nelle acque marine, tenuto conto della struttura, 
della funzione e dei processi degli ecosistemi marini che lo compongono, nonch� dei fattori fisiografici, 
geografici, biologici, geologici climatici naturali e delle condizioni fisiche, acustiche e chimiche, comprese 
quelle risultanmtio dalle attivit� umane all�interno o all�estreno della zona considerata� (Dir. 
2008/56 CE, art. 3 comma 1, punto 4). 
(38) �Buono stato ecologico: stato ecologico delle acque marine tale per cui queste preservano la 
diversit� ecologica e la vitalit� di mari ed oceani che siano puliti, sani e produttivi nelle proprie condizioni 
intrinseche e l�utilizzo dell�ambiente marino resta ad un livello sostenibile, salvaguardando in tal modo il 
potenziale per gli usi e le attivit� delle generazioni presenti e future, vale a dire: 
a) la struttura, le funzioni e i processi degli ecosistemi che compongono l�ambiente marino, assieme ai 
fattori fisiografici, geografici, geologici e climatici, consentono a detti ecosistemi di funzionare pienamente 
e di mantenere la loro resilienza ad un cambiamento ambientale dovuto all�attivit� umana. Le 
specie e gli habitat marini sono protetti, viene evitata la perdita di biodiversit� dovuta all�attivit� umana 
e le diverse componenti biologiche funzionano in modo equilibrato; 
b) le propriet� idromorfologiche e fisico-chimiche degli ecosistemi, ivi comprese le propriet� derivanti 
dalle attivit� umane nella zona interessata, sostengono gli ecosistemi come sopradescritto. Gli apporti 
antropogenici di sostanze ed energia, compreso il rumore, nell�ambiente marino non causano effetti inquinanti
� (Dir. 2008/56 CE, art. 3 comma 1, punto 5). 
(39) �Inquinamento: introduzione diretta o indiretta, conseguente alle attivit� umane, di sostanze 
od energia nell�ambiente marino, compreso il rumore sottomarino prodotto dall�uomo, che provoca o 
che pu� provocare effetti deleteri come danni alle risorse biologiche o agli eosistemi marini, inclusa la 
perdita di biodiversit�, pericoli per la salute umana, ostacoli alle attivit� marittime, compresi la pesca, 
il turismo, l�uso ricreativo e altri utilizzi legittimi del mare, alterazioni della qualit� delle acque marine 
che ne pregiudichino l�utilizzo e una riduzione della funzione ricreativa dell�ambiente marino o, in generale, 
il deterioramento dell�uso sostenibile dei beni e dei servizi marini� (Dir. 2008/56 CE, art. 3 
comma 1, punto 8).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 285 
L�attuazione della Direttiva 2008/56 � avvenuta, in Italia, mediante decreto 
legislativo 13 ottobre 2010 n. 190, recante Attuazione della direttiva 
2008/56/CE che istituisce un quadro per l�azione comunitaria nel campo della 
politica per l�ambiente marino: la definizione di stato ambientale su base ecologica-
eco sistemica introdotta dal decreto (40) tiene �conto della struttura, 
della funzione e dei processi degli ecosistemi marini� con particolare attenzione 
alle attivit� umane, adottando la gestione ecosistemica per escludere 
�danni alle risorse biologiche � inclusa la perdita di biodiversit�, pericoli per 
la salute umana, � alterazioni della qualit� delle acque marine che ne pregiudichino 
l�utilizzo e ne riducano la funzione ricreativa e o, in generale, la compromissione 
dell�uso sostenibile dei beni e dei servizi marini� (41). 
3. (segue) Approccio eco sistemico: servizi naturali degli ecosistemi e biodiversit� 
(BES). 
L�approccio eco sistemico - come abbiamo visto nei paragrafi precedenti 
- riconosce i servizi eco sistemici e la biodiversit� quali elementi fondamentali 
(40) L�art. 1 del d.lgs. 190/2010, nel fissare le strategie di tutela fa espresso riferimento all�approccio 
eco sistemico ed indica che tali strategie: 
- �applicano un approccio eco sistemico alla gestione delle attivit� umane per assicurare che la pressione 
complessiva di tali attivit� sia mantenuta entro livelli compatibili con il conseguimento di un buon stato 
ambientale� (art. 1, comma 2, lett. a); 
- �salvaguardano la capacit� degli ecosistemi marini di reagire ai cambiamenti indotti dall�uomo� (lett. b); 
- �considerano gli effetti transfrontalieri sulla qualit� dell�ambiente marino degli Stati terzi situati nella 
stessa regione o sottoregione marina� (lett. c); 
- �rafforzano la conservazione della biodiversit� dell�ambiente marino, attraverso l�ampliamento e l�integrazione 
della rete delle aree marine protette previste dalla vigente normativa e di tutte le altre misure 
di protezione� (lett. e); 
- �assicurano che le condizioni di monitoraggio e la ricerca scientifica sul mare siano orientate all�acquisizione 
delle conoscenze necessarie per la razionale utilizzazione delle sue risorse e potenzialit�� (lett. f). 
(41) Si riportano di seguito le definizioni adottate dal d.lgs. 190/2010: 
- �stato ambientale: stato generale dell�ambiente nelle acque marine, tenuto conto della struttura, della 
funzione e dei processi degli ecosistemi marini che lo compongono, nonch� dei fattori fisiografici, geografici, 
biologici, geologici e climatici naturali e delle condizioni fisiche, acustiche e chimiche, comprese 
quelle risultanti dalle attivit� umane all�interno o all�esterno della zona considerata� (dlgs 190/2010, 
art. 3, comma 1, lett. g); 
- �buono stato ambientale: stato ambientale delle acque marine tale per cui le stesse preservano la diversit� 
ecologica e la vitalit� di ari ed oceani puliti, sani produttivi nelle proprie condizioni intrinseche 
e tale per cui l�utilizzo dell�ambiente marino si svolge in modo sostenibile, salvaguardandone le potenzialit� 
per gli usi e le attivit� delle generazioni presenti e future. Il buono stato ambientale � definito in 
relazione a ciascuna regione o sottoregione marina, sulla base dei descrittori qualitativi dell�allegato I� 
(dlgs 190/2010, art. 3, comma 1, lett. f); 
- �inquinamento: introduzione diretta o indiretta, conseguente alle attivit� umane, di sostanze o energia 
nell�ambiente marino, compreso il rumore sottomarino prodotto dall�uomo, che provoca o che pu� provocare 
effetti negativi come danni alle risorse biologiche e agli ecosistemi marini, inclusa la perdita di 
biodiversit�, pericoli per la salute umana, limitazioni alle attivit� marittime, compresi la pesca, il turismo, 
l�uso ricreativo e altri utilizzi legittimi del mare, alterazioni della qualit� delle acque marine che ne pregiudichino 
l�utilizzo e ne riducano la funzione ricreativa e o, in generale, la compromissione dell�uso 
sostenibile dei beni e dei servizi marini� dlgs 190/2010, art. 3, comma 1, lett. l).
286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
e caratterizzanti degli ecosistemi e, in quanto tali, suscettibili di assumere valore 
strategico nella definizione dei modelli di tutela, idonei a costituire la base 
scientifica su cui modulare strumenti e tecniche di gestione. 
L�ordinamento giuridico accorda esplicito riconoscimento ai servizi eco 
sistemici, con particolare riferimento ai profili risarcitori. 
La Direttiva comunitaria sull�illecito ambientale definisce i servizi naturali 
meritevoli di tutela come �funzioni svolte da una risorsa naturale a favore 
di altre risorse naturali e/o del pubblico� (art. 2, par. 13). 
Il D.lgs. n. 152 del 2006, che concorre ad attuare la suddetta direttiva 
2004/35/CE, all�art. 300, eleva i servizi naturali a componenti ambientali suscettibili 
di riparazione e li descrive come fenomeni di interazione dinamica 
tra le singole risorse naturali, a loro volta suscettibili di ristoro anche isolatamente 
considerate (42). 
La dottrina ha rilevato come �l�esplicito riferimento ai servizi, in seno 
alle norme, vale ad affrancare la configurazione giuridica dell�ambiente dallo 
schema della giustapposizione di corpi, esaltando un dato funzionale che a sua 
volta chiama in causa le interdipendenze� (43). 
La qualit� dei servizi forniti dagli ecosistemi dipende dal loro stato di salute 
e quindi anche dalla loro biodiversit�. 
Da molti anni ormai anche in Italia, al bosco cos� come al fiume o al sistema 
costiero, ma anche agli altri stadi della successione ecologica, vengono 
attribuite e riconosciute, una molteplicit� di funzioni rispetto a quelle inerenti 
i servizi economici produttivi tradizionali (ad esempio la filiera foresta-legno 
o la regimazione delle acque e protezione di insediamenti, opere e manufatti), 
derivanti dalla loro essenza di sistemi ecologici, quali quelle relative alla conservazione 
della natura. 
L�importanza della biodiversit� per l�uomo � infatti dovuta alle numerose 
prestazioni fornite dagli ecosistemi come dimostra il progetto Millennium Ecosystem 
Assessment (MA, 2005) (44), condotto sotto gli auspici delle Nazioni 
Unite e in particolare dell� United Nations Environmental Programme (UNEP) 
con l�obiettivo di analizzare, su basi scientifiche multidisciplinari, l�evoluzione 
degli ecosistemi del pianeta e l�incidenza delle attivit� umane al fine di identificare 
le strategie di intervento per uno sviluppo sostenibile (45). 
(42) Si rinvia alla seconda parte della presente ricerca per la trattazione di dettaglio di questi argomenti. 
(43) M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell�ambiente come sistema complesso, adattativo, 
comune, G. Giappichelli editore, Torino, 2007, p. 122 ss. 
(44) Si stima che il valore economico globale di queste prestazioni si situi tra i 16000 e i 54000 
miliardi di dollari l�anno, di cui trae beneficio la maggior parte dei settori della societ�: agricoltura, selvicoltura, 
pesca, caccia, sport, turismo, industria farmaceutica, dei profumi e tessile, edilizia, commercio 
di materie prime e sanit�. 
(45) Secondo il Millennium Ecosystem Assessment, si possono distinguere quattro categorie di 
servizi ecosistemici:
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 287 
I benefici di tali servizi non sono sufficientemente rappresentati nell�attuale 
regime convenzionale di economia di mercato che non riesce a contabilizzare 
e recepire, nei sistemi fiscali contemporanei, fenomeni quali 
l'inquinamento, la deforestazione o la riduzione delle funzioni ecologiche. 
Diviene cos� basilare determinare: 
1. fino a che punto gli ecosistemi sono in grado di fornire beni e servizi 
in modo sostenibile e come possiamo misurare gli effetti del degrado degli 
ecosistemi e la perdita di biodiversit�; 
2. come attribuire valore ai servizi eco sistemici - valore non solo economico, 
ma anche ecologico e culturale - e promuoverne la effettiva percezione 
da parte delle popolazioni; 
3. come identificare gli utenti o i beneficiari dei servizi ecosistemici e 
coinvolgerli nella definizione di strategie di tutela e nel controllo degli investimenti 
finanziari; 
4. come comunicare le conoscenze sui servizi ecosistemici ai decisori e 
all'opinione pubblica, e quindi costruire il supporto locale e politico per una 
effettiva partecipazione e tutela; 
5. come convincere i finanziatori che i benefici della conservazione e dell'uso 
sostenibile degli ecosistemi superano i costi. 
Si deve tuttavia rilevare come, negli ultimi decenni, l'attenzione per i servizi 
ecosistemici e per il loro valore � sensibilmente aumentato. 
Le conferenze internazionali quali il Congresso Mondiale dei Parchi di 
Durban, nel 2003, o il World Conservation Congress, promosso dall�IUCN a 
Bangkok nel 2004, cos� come le convenzioni internazionali sulle zone umide 
di Ramsar e sulla diversit� biologica di Rio, hanno sottolineato il valore e l�importanza 
dei servizi eco sistemici e il Millennium Ecosystem Assessment ha 
messo in evidenza la dipendenza del benessere umano dagli ecosistemi e sottolineato 
la necessit� di descrivere e quantificare il valore e l'importanza dei 
beni e servizi forniti dagli ecosistemi e dalla biodiversit�. 
Mediante l�Ecosystem Partnership Service dell�ONU-UICN � stata co- 
- Prestazioni di sostegno: tra le prestazioni di base degli ecosistemi non utilizzate direttamente dall�uomo, 
ma indispensabili per tutte le altre prestazioni figurano la produzione di ossigeno e il mantenimento dei 
cicli dei nutrienti o del ciclo dell�acqua. 
- Prestazioni di approvvigionamento economico. Gli ecosistemi e le loro specie sono fattori di produzione 
di numerosi beni come acqua potabile, cibo, vettori energetici, fibre per l�abbigliamento, materiali di 
costruzione o principi attivi della medicina. Le risorse genetiche sono la base per lo sviluppo di nuove 
piante utili, farmaci e materie prime per l�industria. Gli ecosistemi e le loro specie sono importanti per 
l�impollinazione e la lotta contro i parassiti nell�agricoltura e formano suoli fertili. 
- Prestazioni di regolazione a favore della sicurezza. Le biocenosi naturali negli ecosistemi assorbono 
CO2, proteggono contro le valanghe e le piene, prevengono l�erosione e regolano il clima. 
- Prestazioni culturali. Gli ecosistemi e le specie contribuiscono alla variet� dei paesaggi, rispondendo 
cos� ai bisogni estetici dell�uomo. La funzione ricreativa della biodiversit� � notevole. Da sempre lo 
sviluppo della cultura e delle societ� � strettamente legato alla biodiversit�: basti pensare alle conoscenze 
tradizionali sulle piante medicinali.
288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
stituita, nel 2008, una piattaforma per favorire la collaborazione tra scienziati 
e professionisti per lo scambio di studi e ricerche sui servizi ecosistemici (46). 
Recentemente lo studio TEEB (The Economics and the Ecosystem Biodiversity), 
presentato alla decima Conferenza delle parti della CBD, tenutasi 
a Nagoya in Giappone nel 2010, in attuazione della Convenzione sulla diversit� 
biologica, ha promosso la valutazione globale della rilevanza economica 
della biodiversit� e degli ecosistemi (47). 
Biodiversit� e funzioni degli ecosistemi. 
Secondo la chiave di lettura proposta dal Millennium Ecosystem Assessment 
la biodiversit� � un elemento costitutivo fondamentale della vita sulla 
Terra e un presupposto essenziale per la fornitura dei servizi naturali stessi. 
Per �biodiversit�� pu� intendersi la variet� della vita all�interno di un ecosistema 
o dell�intero pianeta, spesso usata come misura della salute biologica 
(48), anche se le definizioni non sono univoche nell�ambito della biologia conservazionistica. 
In generale gli scienziati concordano che il numero delle specie per unit� 
di area fornisce un utile punto di partenza (49) anche se � riconosciuto che alcune 
specie possono risultare pi� importanti di altre per la biodiversit� (50). 
Gli ecologi hanno accettato che la biodiversit� possa essere descritta e 
misurata in termini di diversit� di specie all�interno di una comunit� o di un 
habitat (51) ovvero in termini di diversit� delle funzioni ecologiche (52). 
Si deve rilevare che la capacit� di comprensione di questi concetti da parte 
del pubblico pu� sollevare alcune problematiche. 
Le indagini hanno rivelato che il grande pubblico ha una scarsa conoscenza 
del significato di �biodiversit��. Il termine, infatti, elaborato dalle discipline 
scientifiche, � oggi usato in contesti culturali molto diversi. 
Una rilettura del concetto scientifico di biodiversit� ed una analisi della 
sua percezione da parte degli stakeholders � oggi necessario (53). 
La biodiversit� richiede una analisi multi prospettiva integrando diversi 
(46) Si veda ampiamente il sito: www.es-partnership.org. 
(47) Il rapporto TEEB � consultabile sul sito: www.teebweb.org. Si veda anche il Journal of Biodiversity 
Science, sui legami tra biodiversit�, servizi ecosistemici e gestione degli ecosistemi, consultabile 
in www.tandf.co.uk / riviste/TBSM. 
(48) CHRIS IMPEY, La fine di tutto, Dai singoli individui all�intero universo, W.W. Northon & Company, 
2010, edizione italiana trad. Jasmina Trifoni, ed. Puntoweb, 2010, in Glossario, p. 306. 
(49) HARPER J.L., HAWKSWORTH D.L. Preface. In: Hawksworth, Biodiversity: Measurement and 
Estimation, Chapman and Hall, London, 1995, pp. 5-12. 
(50) WILSON C., TISDELL C., Conservation and economic benefits of wildlife-based marine tourism: 
sea turtles and whales as case studies. Human Dimensions of Wildlife, 2003, 8, pp. 49-58. 
(51) ARTS G.H.P., ROELOFS J.G.M., DE LYON M.J.H. Differential tolerances among softwater macrophyte 
species to acidification. Canadian Journal of Botany (1990). 68: 2127-2134. 
(52) STENECK R.S., DETHIER M.N., A functional group approach to the structure of algal-dominated 
communities. Oikos, 1994, 69, pp. 476-498.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 289 
approcci scientifici ed umanistici (geografia, botanica, zoologia, ecologia, 
socio-economia, agro economia, diritto, politiche). 
Nell�ambito della definizione degli approcci, una delle necessit� che si presenta 
� quella di classificare i diversi ecosistemi e le tipologie dei servizi offerti. 
Metodologie e tecniche di ecologia quantitativa, analisi dei sistemi, valutazione 
economica dei beni non di mercato, possono permettere, attraverso 
un applicazione integrata e sinergica, di produrre le valutazioni necessarie, 
purch� non si perda di vista la dimensione intrinsecamente dinamica dei socioecosistemi. 
Molto spesso singole misure efficaci per la conservazione di un certo ecosistema 
e/o la valorizzazione di uno specifico servizio possono avere effetti 
collaterali negativi su altri servizi, oppure su altri ecosistemi, anche a grandi 
distanze. 
� risultato ben chiaro l�importanza di assegnare un valore alla biodiversit� 
al fine di stabilire priorit� di gestione (54). 
Il problema valutativo consiste allora nell�analisi dei servizi offerti da 
ogni ecosistema, partendo dalla loro identificazione per passare poi alla quan- 
(53) La risoluzione del Parlamento europeo del 27 settembre 2010 ha sottolineato l'importanza di 
proteggere la tradizionale conoscenza ecologica (TEK) e il loro ruolo in una pianificazione partecipativa. 
Gli effetti delle politiche su queste prospettive non sono immediati (ad esempio, l'educazione nelle 
scuole elementari avranno effetti a lungo termine e non lineare) e le tendenze generali possono essere 
stimate solo a ritroso, e ad una scala pi� grande del fenomeno in esame. In ogni caso, la creazione di legami 
basati sulla fiducia reciproca tra le parti interessate, compresi quelli che studiano la biodiversit� e 
la gestione, migliora il processo e favorisce la creazione di feed-back, che sono un efficace sistema di 
regolazione di processo in un ambiente complesso. 
(54) I responsabili politici e gli scienziati sostengono che i criteri economici devono essere parte 
dell'attuazione delle politiche di conservazione e comprendono il valore economico della biodiversit� 
(Risoluzioni del Parlamento europeo 27 e 21 settembre 2010). 
Tra le tecniche di valutazione economica, il metodo di valutazione contingente � stato ampiamente utilizzato 
per misurare il valore economico della specie e della biodiversit�. 
La procedura � basata su un mercato ipotetico nel quale si chiede alle persone di esprimere la loro massima 
disponibilit� a pagare (WTP) per la protezione della biodiversit�. 
In generale, le specie utili per gli esseri umani sono positivamente correlate al WTP, mentre quelle che 
producono danni economici ottengono indici negativi. 
La maggior parte delle specie sono valutate come neutrali, nonostante il loro ruolo negli ecosistemi. Ne 
emerge un quadro che privilegia una specie a fronte di un�altra, danneggiando cos� l'ecosistema nel suo 
complesso. 
Il valore dell�ambiente � composto da valori d�uso e da valori di esistenza (valori di non uso). Esistono 
una serie di approcci che possono essere impiegati per scopi di valutazione economica. Gli approcci 
ipotetici basano la loro stima diretta o indiretta sulle risposte alle domande di valutazione ipotetica. Questi 
approcci includono prezzo competitivo di mercato, mercati simulati, giochi di offerta e disponibilit� 
a pagare, classifica contingente, e referendum contingente. Ciascuno di questi approcci ha i suoi vantaggi 
e svantaggi e non possono essere impiegati in genere per affrontare tutti i casi possibili. 
Ci sono tuttavia alcuni punti critici. 
McVittie e Moran argomentano contro un modello di valutazione top-down preferendo quelli generati 
attraverso una cooperazione con le parti interessate, fino ad indurre un apprendimento. Si suggerisce 
che la comprensione corretta del benessere umano si costruisce dal basso verso l'alto mediante la comprensione 
dei processi.
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
tificazione, ed infine, alla loro valorizzazione, individuando specifici strumenti 
come nel caso dei Payment for Ecosystem Services (PES). 
�, pertanto, necessario integrare il valore della biodiversit� e le funzioni 
dell�ecosistema con i relativi benefici e servizi ad essi associati, all�interno di 
politiche e di strumenti di gestione per sviluppare e applicare un nuovo concetto 
integrato del valore della biodiversit�, come richiedono le linee di ricerca 
pi� avanzate (55). 
Prioritariamente le strategie si rivolgono agli strumenti di conservazione 
della natura. 
Considerando, tuttavia, la caratteristica di sistemi aperti che � connaturata 
agli ecosistemi, le politiche di conservazione delle aree protette non possono 
prescindere dalle necessarie interconnessioni con gli altri ecosistemi, come 
dimostra il tentativo di organizzare le aree protette a livello globale, europeo 
e mondiale, secondo una rete ecologica, integrata e diffusa. 
La partizione in aree protette e non protette � necessaria nell'attuale crisi 
ambientale dei paesi sviluppati. Scientificamente, tuttavia, il concetto stesso 
di partizione � in contrasto con le caratteristiche fondamentali degli ecosistemi 
che sono, per definizione, aperti e dinamici. 
Il concetto di aree protette, ai fini della presente ricerca, dovr� pertanto essere 
illustrato valorizzando le interpretazioni coerenti con i valori ecologici ed eco sistemici, 
come vedremo nel prosieguo del lavoro e soprattutto nella parte terza. 
4. Tutela dell�ambiente e degli ecosistemi in Italia: inquadramento generale. 
Nel Digesto delle discipline pubblicistiche si legge che �sotto il termine 
ecologia pu� essere riassunto, dal punto di vista giuridico, tutto il sistema normativo 
funzionale alla prevenzione e alla lotta agli inquinamenti e alla protezione 
dell�ambiente naturale�(56): ci� lascia sottendere il valore olistico ed 
(55) Di seguito alcuni obiettivi indicati da una recente ricerca definita dall�Universit� di Firenze, 
Dipartimento di biologia evoluzionistica in collaborazione con il Dipartimento di Diritto Pubblico, per 
rafforzare il valore della biodiversit� all�interno degli ecosistemi: 
1. stabilire condizioni di base, ecologiche, socio-economico e istituzionali, nei siti di studio includendo 
l�analisi degli attuali conflitti sociali in materia ambientale e valutando, in particolare, le conseguenze 
dell'applicazione delle politiche comunitarie di conservazione della biodiversit� negli scenari locali; 
2. conduzione di un lavoro partecipativo con diversi stakeholder per una giusta considerazione della 
percezione sociale di ci� che realmente significa BEF per ogni stakeholder, assicurando cos� la partecipazione 
attiva nel processo di valutazione; 
3. rafforzare lo studio delle relazioni tra biodiversit� e funzioni dell'ecosistema (BEF); 
4. condurre un approccio integrato e valutativo della biodiversit� e delle funzioni dell'ecosistema nei 
siti di studio; 
5. valorizzare l�interfaccia tra scienza e politiche di sensibilizzazione sulla biodiversit�. 
(56) D. BORGONOVO RE, Ecologia, ad vocem, Digesto delle discipline pubblicistiche, Aggiornamento, 
Utet, Torino, 2000, p. 199 ss. Si veda anche R. VIGOTTI, Ecologia, in Digesto delle discipline 
pubblicistiche. Aggiornamento, vol. I, Torino, 2000. In particolare per le relazioni tra ecosistema ed aree 
protette si rinvia a:
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 291 
omnicomprensivo che tale concetto pu� assumere nell�ordinamento giuridico, 
coerentemente con quanto osservato nelle discipline scientifiche ed umanistiche 
che - come abbiamo visto - lo riferiscono alla dimensione ambientale nella 
sua interezza. 
L�art. 117 della Costituzione, alla lettera �s�, associa, infatti, al termine 
�ambiente� quello di �ecosistema�. 
I due termini vengono espressamente introdotti con legge costituzionale 
n. 3/2001 con diverso grado di elaborazione critica nel dibattito istituzionale. 
La ricostruzione della nozione di �ambiente� �, infatti, da sempre oggetto 
di un intenso dibattito, sviluppatosi ampiamente attraverso illustri tesi ricostruttive 
a partire dalla nota tripartizione Gianniniana e dalla concezione unitaria 
di Alberto Predieri attraverso generazioni di studiosi fino ai giorni nostri 
(S. Grassi) (57). 
La �tutela � dell�ecosistema�, nonostante i frequenti riferimenti operati 
dalla legislazione ambientale, costituisce, invece, un emendamento apportato 
al testo costituzionale in fase di approvazione, su richiesta del Gruppo dei 
Verdi, al di fuori di approfondimenti e riflessioni generali da parte della comunit� 
scientifica mentre risulta ancora pendente un disegno di legge per modificare 
l�art. 9 della Costituzione ed introdurre espressamente la tutela 
dell�ecosistema come principio fondamentale dell�ordinamento. 
La nostra Costituzione non costituisce, tuttavia, un unicum, visto che altre 
costituzioni attribuiscono espresso riconoscimento agli aspetti ecologici: si ricordano, 
tra gli altri, il caso del Per� (1979), che stabilisce il diritto di vivere in 
un ambiente sano, ecologicamente equilibrato ed appropriato allo sviluppo della 
vita, della Svizzera (1986) e dell�Argentina (1994), che riconoscono il principio 
dello sviluppo sostenibile, di qualit� della vita, di informazione ed educazione 
ambientale per garantire un ambiente di vita ecologicamente sano (58). 
Nel nostro paese, il concetto di �ecosistema� riceve precisazioni attraverso 
i riferimenti contenuti nella legislazione ambientale e nelle elaborazioni a vario 
- M. CECCHETTI, Riforma del titolo V della Costituzione e sistema delle fonti: problemi e prospettive 
nella materia <tutela dell�ambiente e dell�ecosistema> in Diritto e gestione dell�ambiente, 2002, p. 399 
ss. e in www.federalismi.it; 
- P. JANES CARRAT�, Ecosistema: parchi e tutela della fauna, in F. LUCARELLI, a cura di, Ambiente, territorio 
e beni culturali, Napoli, 2006; 
- R. GAMBINO, Parchi, paesaggi, territorio in Parchi, 2007, pp. 54 ss.; 
- P. CARPENTIERI, La nozione giuridica di paesaggio, in RTDP, 2004, in part. p. 399 ss.; 
- P. URBANI, Strumenti giuridici per il paesaggio, in Interpretazioni di paesaggio, A. CLEMENTI, a cura 
di, Roma, 2002. 
(57) Si rinvia ampiamente per la bibliografia e le ricostruzioni teoriche a: 
- S. GRASSI e altri, a cura di, Ambiente e diritto, Leo S. Olschki, Firenze, 1999; 
- S. GRASSI, Tutela dell�ambiente, ad vocem, cit. p. 1115; 
- S. GRASSI � M. CECCHETTI, a cura di, Governo dell�ambiente e formazione delle norme tecniche, Milano, 
Giuffr�, 2006. 
(58) Corso di Legislazione ambientale, S. MAGLIA, Ipsoa edizioni, 2002.
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
titolo presenti in giurisprudenza e in dottrina dopo la novella costituzionale. 
Il termine �ecosistema� (o �ecosistemi�) ricorre, infatti, in una pluralit� 
di fonti normative, antecedenti e successive al testo costituzionale. 
Possiamo tentare una periodizzazione - con le semplificazioni che tale schematismo 
inevitabilmente contiene - per sintetizzare l�evoluzione dell�approccio 
giuridico nella disciplina degli ecosistemi, identificando almeno tre fasi. 
A) Nella fase storica fino agli anni �60 e �70, il concetto di ecosistema 
emerge con particolare riferimento alla valenza economica e produttiva: in 
questa fase gli ecosistemi sono assunti dall�ordinamento col valore di �risorse�, 
al fine precipuo di garantirne la riproducibilit�. 
Le �risorse� sono infatti un elemento costitutivo degli ecosistemi e ne 
rappresentano la componente pi� direttamente economica (cave, miniere, legname, 
prodotti alimentari, risorse ittiche e simili). 
La disciplina storica delle aree boscate, ad esempio, era finalizzata ad assicurare 
un corretto equilibrio tra tagli e nuovi impianti per garantire essenzialmente 
la fornitura di legname attraverso il rimboschimento 7oltre che il 
mantenimento di alcune aree per evitare dissesti idrogeologici e garantire la 
stabilit� dei versanti (R.D. 3267/1923). 
Si trattava di gestire le risorse forestali secondo criteri di eco-efficienza, 
razionalizzandone l�uso in modo da evitarne la distruzione e garantire la massimizzazione 
dei beni naturali utili all�uomo per il bene delle generazioni attuali 
e di quelle future. 
Analogamente la disciplina della caccia opera in riferimento all�equilibrio 
ecologico delle specie, rispetto al quale deve essere valutata e definita la misura 
consentita di prelievo o di abbattimento di un determinato quantitativo 
di specie animali per assicurare la riproduzione, escludendo o limitando le attivit� 
venatorie in tali periodi. 
La disciplina della pesca fissa le quote consentite di �pescato� (risorse ittiche) 
sulla base di tabelle destinate a garantire la riproduzione delle quote sottratte. 
La legislazione sanitaria e la legislazione per la tutela alimentare si rivolgevano 
a singole sostanze o singoli inquinanti, ritenuti pericolosi per la salute 
umana o per le alterazioni ambientali. 
Il concetto di risorse (ecosistemiche), impiegato in questa prima fase, ha 
avuto poi una lunga permanenza nell�ordinamento: basti pensare alla legislazione 
regionale Toscana successiva al 2000 (ad esempio la legge regionale n. 
1 del 2005) che impiega il termine per descrivere le componenti naturali del 
territorio toscano (�risorse naturali�) ed associa, a tali risorse, le relative �prestazioni� 
introducendo, nell�alveo giuridico, ancora un concetto ecosistemico. 
B) In una successiva fase il concetto di �ecosistema� comincia ad affermarsi 
assumendo significati complessi, anche a seguito delle elaborazioni comunitarie 
ed internazionali, sollecitate dall�affermazione della coscienza
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 293 
ecologica negli anni �70 e �80. 
Si assiste al progressivo affioramento di una disciplina eco sistemica in nuce 
all�interno dell�ordinamento giuridico, sia nelle fonti primarie che secondarie. 
Si tratta di riferimenti che emergono secondo una trama a macchia di leopardo, 
spesso al di fuori di un principio guida unitario, e che assumono specifica 
rilevanza all�interno dei singoli settori dell�ordinamento nei quali il 
concetto di ecosistema �, di volta in volta, attratto. 
Ne emergono implicazioni e valori sostanzialmente innovativi che affiancano, 
al valore economico delle risorse, profili complessi e interdisciplinari. 
Alcune fonti, ad esempio, sottolineano il valore relazionale degli ecosistemi 
e le interazioni tra i singoli fattori ambientali recuperando, cos�, una 
delle valenze fondamentali del concetto di ecosistema, cos� come era stato elaborato 
dalle discipline scientifiche. 
Le �relazioni ecologiche� sono oggetto di verifica da parte della VAS/Valutazione 
Ambientale Strategica (art. 5, par. 1, Direttiva 2001/42/CE del Parlamento 
e del Consiglio del 27 giugno 2001) e dell�art. 5, comma 1, lett. c), 
del d.lgs. 152/2006, che, nel definire la nozione di �impatto�, descrive testualmente 
l�ambiente come un sistema di relazioni. L�art. 24 del d.lgs. 152 rimette, 
infatti, alla procedura di valutazione, la stima degli effetti, diretti ed indiretti, 
di ogni progetto �sull�uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di 
superficie e sotterranee, sull�aria, sul clima, sul paesaggio e sull�interazione 
tra detti fattori�. 
Analogamente il DPCM 27 dicembre 1988 n. 16100, allegato I, punto 1, 
lett. e), descrive gli ecosistemi sottolineando il sistema unitario di relazioni 
ambientali ad essi sotteso qualificandoli come �complessi di componenti e 
fattori fisici, chimici e biologici tra loro interagenti ed interdipendenti, che 
formano un sistema unitario ed identificabile (quali un lago, un bosco, un 
fiume, il mare) per propria struttura, funzionamento ed evoluzione temporale�. 
Un profilo eco sistemico pi� specifico rispetto all�azione culturale promossa 
dall�uomo � sottolineato dalla disciplina paesaggistica che coglie il valore 
relazionale sotto il profilo della interazione uomo-natura quale espressione 
dei valori culturali e paesaggistici. 
Il D.lgs. 42/2004, recante Codice dei beni culturali e del paesaggio, identifica 
il paesaggio come risultante dell�azione di fattori naturali ed umani e 
della loro interazione cos� come la Convenzione europea siglata a Firenze, il 
20 ottobre 2000, che definisce il paesaggio come �la parte di territorio, cos� 
come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall�azione di fattori 
naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni� (59). 
(59) G. F. CARTEI, Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Il Mulino, Bologna, 
2007; G. F. CARTEI, La disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, G. 
Giappichelli editore, Torino, 1995.
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Cos� anche le informazioni ambientali (art. 2, Dir. 2003/4/CE del Parlamento 
europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003) riguardano �le interazioni� 
tra i singoli elementi che compongono l�ambiente (aria, atmosfera, 
acqua, suolo, territorio, paesaggio, siti naturali, zone costiere, diversit� biologica) 
ed analogamente � statuito nel decreto di recepimento (d.lgs. n. 195 del 
19 agosto 2005). 
Un elemento fondamentale ed innovativo degli ecosistemi viene prescelto 
dall�ordinamento nella disciplina del danno ambientale, laddove individua, quali 
elementi da assoggettare a ristoro, anche i servizi naturali degli ecosistemi. 
L�art. 300 del d.lgs. 152/2006 - che concorre ad attuare la direttiva 
2004/35/CE - eleva i servizi naturali a componenti ambientali suscettibili di 
riparazione e li descrive come fenomeni di interazione dinamica tra le singole 
risorse naturali, a loro volta suscettibili di ristoro anche isolatamente considerate. 
Il danno pu� infatti consistere nella compromissione dei rapporti funzionali 
tra suolo, sottosuolo, acque interne, acque costiere, specie, fauna, habitat, 
collettivit� umane. 
Cos� la disciplina delle attivit� agricole integra gli aspetti strettamente 
colturali legati alla produzione con gli aspetti agro-ecosistemici derivanti dalle 
coltivazioni biologiche e bio-dinamiche. 
Un particolare riferimento deve essere fatto alla legislazione su parchi ed 
aree protette. In una prima fase evolutiva, negli anni �70 e �80, la legislazione 
storica si evolve dalle singole aree naturalistiche e si struttura secondo sistemi 
di aree protette, soprattutto ad opera della legislazione regionale (estremamente 
significativo il caso della Regione Piemonte ma anche Veneto e Toscana) 
e quindi della legge quadro statale n. 394 del 1991 (i sistemi di aree 
protette nazionali e regionali delle Alpi, dell�Appennino e delle coste). 
In una seconda fase, successiva agli anni �90 ed alla legge quadro, la cui 
attuazione � tuttora in corso, i sistemi di aree protette assumono la configurazione 
di una rete ecologica vera e propria, che si interconnette alla scala europea 
secondo eco-regioni continentali, assistita dalla valutazione di incidenza 
per le verifiche ecologiche in senso stretto, in attuazione della direttiva europea 
n. 43 del 1992. 
C) Nella fase attuale, che costituisce l�esito delle elaborazioni sviluppate 
soprattutto a partire dagli anni �90 e massimamente nel nuovo millennio, si 
assiste all�introduzione di strategie che adottano un approccio eco sistemico 
olistico ed integrato da cui prendere le mosse per assicurare una corretta gestione 
ambientale. 
L�esito � diametralmente opposto: nelle fasi pregresse i singoli settori normativi 
delle discipline ambientali attraevano al proprio interno le tematiche 
ecosistemiche che venivano sezionate e piegate alle specifiche esigenze del 
singolo settore dell�ordinamento ambientale. Nella fase attuale, invece, le 
nuove strategie di gestione ambientale pongono gli ecosistemi e le loro carat-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 295 
teristiche funzionali alla base dei modelli di conservazione, tutela e gestione 
ambientale, assumendoli come categoria logico-giuridica. 
Abbiamo visto, nei paragrafi precedenti, che le fonti normative pi� recenti, 
richiamano in modo espresso l�approccio ecologico ed integrano, nella 
disciplina degli aspetti economici, il valore sociale, culturale e paesaggistico 
degli ecosistemi. Ne studiano il funzionamento in quanto valore in s� da comprendere 
e valorizzare per le funzioni naturalistiche e di supporto alla vita che 
svolgono. Tentano di capire le tendenze evolutive degli ecosistemi valorizzando 
le funzioni conoscitive e di monitoraggio, ritenendole percorsi fondamentali 
di crescita e di sviluppo per la nostra societ�. 
Significativo, in proposito, il caso della �biodiversit�� che, come espressione 
degli ecosistemi e della loro salute, viene posta alla base di tutti i settori 
ambientali e paesaggistici, informandoli dal loro interno a costituirne la matrice 
logica e giuridica, al fine di concorrere, in via prioritaria e coordinata, 
alla loro tutela e gestione: questa fase, tuttavia, � in larga misura ancora da costruire 
(si rinvia ampiamente alla seconda parte di questo lavoro). 
Su tali basi, la giurisprudenza e la dottrina, soprattutto a partire dal 2001, 
hanno sviluppato alcune ricostruzioni delle tematiche ecosistemiche, sia pur mantenendo 
ancora un approccio che privilegia i riferimenti alla tutela ambientale. 
Le ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali si attestano su alcune ipotesi 
che possiamo cos� sintetizzare: 
- l�ecosistema come endiadi, da associare alla tutela dell�ambiente; 
- l�ecosistema come categoria logico-giuridica generale che costituisce 
la matrice interna e definisce la struttura ed i processi funzionali dei sistemi 
ambientali. 
- l�ecosistema come equilibrio ecologico dell�ambiente; 
- l�ecosistema come sistema naturale, riferibile prioritariamente ai sistemi 
faunistici e naturalistici (parchi ed aree protette). 
Il punto di partenza delle riflessioni dottrinali � costituito dalle ricostruzioni 
dell�ambiente come �materia� o come �valore�, cui l�ecosistema pu� essere 
assimilato, a partire dalle storiche riflessioni che gi� contenevano i primi 
cenni alle tematiche ecosistemiche (60). 
(60) Tali ipotesi interpretano l�ambiente: 
1) come �materia oggetto�, unitaria in senso tecnico (Sandulli); 
2) come �materia complessa�, non unitaria, composta da un complesso di settori normativi secondo una 
concezione pluralista (Giannini). Secondo la teoria pluralista di Massimo Severo Giannini, nell�ambito 
del concetto di ambiente, vanno individuati: l�ambiente come paesaggio; l�ambiente come difesa del suolo, 
dell�aria e dell�acqua; l�ambiente come urbanistica. Cfr. M.S. GIANNINI, Ambiente: saggio sui suoi diversi 
aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, p.15 ss e, dello stesso Autore, Primi rilievi sulle nozioni di 
gestione dell�ambiente e di gestione del territorio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1975, 2, p.479 ss. 
Alla teoria di Giannini ha fatto seguito la concezione bipartita di Alberto Predieri, incentrata sulla distinzione 
dell�ambiente inteso come assetto del territorio rispetto alla disciplina concernente la tutela dell�acqua, 
dell�aria e del suolo (si veda: A. PREDIERI, Paesaggio, in Enc. Dir., ad vocem, Giuffr�, Milano, 1981.
296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Riferimento essenziale e doveroso va alle ricostruzioni di Alberto Predieri 
che aveva manifestato particolare sensibilit� ed interesse alle tematiche ecosistemiche 
(le interazioni orizzontali e verticali) all�interno della dimensione 
paesaggistica (61). 
Venendo pi� da vicino alla formula della �tutela dell�ambiente e dell�ecosistema� 
(art. 117, lett. s, della Costituzione) si � ritenuto che tale espressione 
configurerebbe non tanto una materia vera e propria ma, piuttosto, starebbe 
ad indicare �una clausola generale, che potr� essere utilizzata, se e quando necessario, 
per assicurare allo Stato funzioni e compiti riferibili a materie anche 
molto diverse tra loro, ma tutte destinate a garantire quel valore fondamentale, 
quell�interesse unitario ed insuscettibile di frazionamento quale � appunto considerato 
l�ambiente� (62). 
Posizioni intermedie sono espresse da chi individua nella formula costituzionale 
sia un valore trasversale rispetto al complesso delle materie connesse 
sia una materia vera e propria da riferire alla legislazione di settore �il cui oggetto 
risulti quello di definire e garantire, in modo diretto e immediato, determinati 
equilibri ecologici� (63). 
Cos� la tutela dell�ecosistema pu� assumere valore di endiadi e di maggiore 
specificazione, finalizzata ad evidenziare la necessit� di provvedere al 
3) come �materia scopo� o �materia trasversale� (A. MARINI, La Corte costituzionale nel labirinto delle 
materie trasversali: dalla sentenza n. 282 alla sentenza 407 del 2002, in Giur. cost. 2002, p. 2951 ss). 
Quest�ultima interpretazione ha poi dato luogo a due letture: 
4) una visione unitaria ed oggettiva, che vede l�ambiente come materia trasversale da associare all�equilibrio 
ecologico riferito alle singole discipline con finalit� ecologica (aria, acqua, rumore, difesa del 
suolo, smaltimento rifiuti, protezione della natura, aree protette). 
Beniamino Caravita ha osservato come la �tutela dell�ambiente va intesa come tutela dell�equilibrio 
ecologico della biosfera o degli ecosistemi considerati. � opportuno precisare che, parlando di tutela 
degli equilibri ecologici della biosfera e degli ecosistemi, non si vuole far riferimento alla tutela dell�ambiente 
inteso in senso esclusivamente �naturale�: della biosfera e degli ecosistemi fa parte l�uomo 
e ne fanno parte ambienti costruiti e strutturati dall�uomo e dagli esseri viventi; l�equilibrio ecologico 
non � dunque quello di situazioni irrealisticamente �naturali�, ma quello delle situazioni concrete dove 
l�uomo e gli esseri viventi operano e cos� come lo hanno nei secoli e nei millenni strutturato.� (B. CARAVITA, 
Diritto dell�ambiente, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 33); 
5) ed un�altra concezione, unitaria ma diffusa, che vede l�ambiente come materia trasversale da riferire 
al valore costituzionale fondato sugli articoli 9 e 32 ed ora anche 117 che va oltre le singole discipline 
ecologiche e si profila come un compito o una funzione di carattere trasversale, da intendersi unitariamente 
sotto il profilo teleologico (posizione espressa dalla giurisprudenza costituzionale). 
(61) Non si pu� non richiamare la nota definizione di A. PREDIERI, Paesaggio, in Enciclopedia 
del diritto, vol. XXXI, Giuffr�, Milano, 1981, p. 506 cit.: �gli scambi tra ambiente visibile o paesaggio 
ed ambiente invisibile, cos� come le retroazioni tra ambiente ed azione pubblica e viceversa, sono istituzionali 
e permanenti e comportano continue interazioni orizzontali e verticali, cio� tanto fra le diverse 
funzioni individuate nelle aree di tutela, quanto nel collegamento tra quelle funzioni e la totalit� sovrastante 
o retrostante dell�ambiente globalmente inteso come oggetto dell�attivit� pubblica�. 
(62) A. FERRARA, in La materia ambiente nel testo di riforma del titolo V, in Osservatorio sul Federalismo. 
I processi di federalismo: aspetti e problemi giuridici, Milano 30 maggio 2001, pagg. 1-7. 
(63) M. CECCHETTI, Riforma del titolo V della Costituzione e sistema delle fonti: problemi e prospettive 
nella materia tutela dell�ambiente e dell�ecosistema, in �www.federalismi.it�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 297 
mantenimento degli equilibri ecologici tra fattori fisici, chimici e biologici che 
permettono la vita di tutti gli esseri viventi, a prescindere da una specifica interazione 
con l�uomo (M. Cecchetti) (64). 
O ancora il termine pu� assumere il significato di unit� ecologica interna 
all�ambiente e al paesaggio, in quest�ultimo caso in riferimento soprattutto 
alle interazioni uomo-natura (Cafagno, Boscolo), alla prova della concezione 
integrale del paesaggio (G.F. Cartei) (65). 
Anche il contributo interpretativo della giurisprudenza costituzionale contribuisce 
a chiarire il valore e le implicazioni che l�ecosistema pu� esprimere. 
Il riferimento all�ecosistema � sempre stato, a vario titolo, presente nella 
giurisprudenza costituzionale, anche precedente la novella costituzionale del 
2001 e la stessa legge quadro sulle aree protette (66). 
Particolarmente significative, rispetto alle implicazioni unitarie e relazionali 
degli ecosistemi, risultano le sentenze della Corte costituzionale che richiamano 
l�ambiente e la tutela dell�ecosistema come valore (67). 
Fondamentale, in tal senso, la sentenza n. 407 del 10 luglio 2002 ed il 
suo antecedente logico e giuridico della decisione n. 282 del 9 giugno 2002 
(68). Manfredi osserva che dalla lettura di tali pronunce emerge come la Consulta 
prenderebbe a riferimento, in continuit� con il precedente orientamento 
legato alla cooperazione e collaborazione Stato-Regioni in materia paesaggistico-
ambientale, non tanto la nozione che la dottrina prevalente evince dalla 
normativa primaria, intendendo l�ambiente come equilibrio ecologico della 
biosfera o dei singoli ecosistemi di riferimento e la �tutela dell�ambiente� 
come �tutela dell�equilibrio ecologico della biosfera o dei singoli ecosistemi 
di riferimento� (B. Caravita) (69) ma piuttosto la nozione di ambiente conso- 
(64) M. CECCHETTI, Ambiente, paesaggio e beni culturali, in G. CORSO e V. LOPILATO, Il diritto 
amministrativo dopo le riforme costituzionali, Giuffr� editore, parte speciale, vol. I, p. 319. 
(65) G.F. CARTEI, Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Il Mulino, Bologna, 
2007; G. F. CARTEI, La disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, G. 
Giappichelli editore, Torino, 1995. 
(66) La sentenza 641 del 1987 della Corte costituzionale in relazione alla legittimazione ad agire 
per danno ambientale ai sensi dell�art. 18 della legge 349 del 1986, che stabilisce che spetta allo Stato e 
in via concorrente agli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo, individua tale legittimazione 
�nella loro funzione a tutela della collettivit� e della comunit� nel proprio ambito territoriale 
e degli interessi all�equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capo�. 
(67) G. MANFREDI, Standards ambientali di fonte statale e poteri regionali in tema di governo del 
territorio, nota a sentenze della Corte cost. 1 ottobre 2003 n. 303, 7 ottobre 2003 n. 307, 7 novembre 
2003 n. 331, in Urb. App. 2004, p. 296 ss. 
(68) M. CECCHETTI, Legislazione statale e legislazione regionale per la tutela dell�ambiente: niente di 
nuovo dopo la riforma del titolo V ?, nota a sentenza 10-26 luglio 2002 n. 407 in Le Regioni, 2003, p. 312. 
(69) B. CARAVITA, Diritto dell�ambiente, Il Mulino, Bologna, III edizione, Bologna, 2005, pp. 22 
dove osserva: 
�La definizione in termini unitari dell�ambiente, in realt�, � possibile solo se i giuristi prendono le mosse 
dalle esperienze e dalle nozioni di altre scienze. 
In materia ambientale � lungamente mancato, invece, il riferimento ai dati e alle elaborazioni dell�eco-
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
lidatasi prima della riforma come �valore costituzionale trasversale�. 
La sentenza della Corte costituzionale n. 307 del 2003 ha giudicato invece 
l�espressione �tutela dell�ambiente e dell�ecosistema� una endiadi descrittiva 
di una competenza statale unitaria avente ad oggetto �la protezione della fauna, 
delle risorse ambientali e del paesaggio�. 
La giurisprudenza costituzionale successiva al recepimento della tutela 
dell�ecosistema nel testo dell�art. 117 ha operato talora un riferimento diretto 
alla protezione della natura. 
� il caso dell�indirizzo giurisprudenziale sancito dalla sentenza 108/2005 
e successivamente riconfermato, come dimostra, da ultimo, la sentenza 
151/2011. 
La Corte costituzionale, nella sentenza 108, richiamate le precedenti decisioni 
sul valore trasversale della tutela ambientale (sentenze n. 307/2003, n. 
404/2002, n. 259/2004, n. 303/2003 e n. 312/2003) precisa ulteriormente l�ambito 
degli interventi normativi in materia di aree protette, ed individua, nella 
Legge quadro sulle aree protette, tre nuclei di norme. 
Un primo nucleo di carattere generale (artt. 1-7), un secondo composto 
da norme che costituiscono lo standard di tutela uniforme all�interno dei parchi 
nazionali (artt. 8-21) e, infine, un terzo dedicato alle aree protette regionali 
(artt. 22-28). 
In questo contesto, le norme regionali istitutive di aree naturali protette 
trovano il limite di deroga in peius degli standard di tutela uniforme sull�intero 
territorio nazionale, mentre sono libere nello stabilire obiettivi di tutela, di 
logia, della scienza, cio�, che studia le condizioni di vita reali degli organismi sotto il profilo delle interrelazioni 
fra gli organismi e l�ambiente, con la conseguente utilizzazione di quelle elaborazioni per 
costruire su di essi nozioni giuridicamente significative. (�) Un significato autonomo ed unitario della 
nozione di ambiente (e di quella relativa e conseguente, di tutela dell�ambiente) � possibile trovare solo 
accogliendo, con tutti i limiti che ne conseguono, la prospettiva ecologica: 
- �ambiente� allora va inteso come equilibrio ecologico, di volta in volta, della biosfera o dei singoli 
ecosistemi di riferimento; 
- �tutela dell�ambiente� va intesa come tutela dell�equilibrio ecologico della biosfera o degli ecosistemi 
considerati. 
� opportuno precisare che, parlando di tutela degli equilibri ecologici della biosfera e degli ecosistemi, 
non si vuole far riferimento alla tutela dell�ambiente inteso in senso esclusivamente �naturale�: della 
biosfera e degli ecosistemi fa parte l�uomo e ne fanno parte ambienti costruiti e strutturati dall�uomo e 
dagli esseri viventi; l�equilibrio ecologico non � dunque quello di situazioni irrealisticamente �naturali�, 
ma quello delle situazioni concrete dove l�uomo e gli esseri viventi operano e cos� come lo hanno nei 
secoli e nei millenni strutturato. 
Data questa nozione di ambiente, nella disciplina del �diritto dell�ambiente� rientrano, poi, tutte quelle 
discipline di settore in cui si persegue come finalit� prevalente la tutela degli equilibri ecologici (e quindi: 
disciplina dell�aria, dell�acqua, del rumore, della difesa del suolo, dello smaltimento dei rifiuti, protezione 
della natura, delle aree protette; nonch� quegli strumenti tipicamente rivolti alla tutela degli equilibri ecologici: 
valutazione di impatto ambientale, danno ambientale); restano invece fuori tutte quelle discipline 
(ad es. relative al paesaggio; all�agricoltura; alla sicurezza sul lavoro; ecc.) - che pur presentando connessioni 
e collegamenti con il diritto dell�ambiente - in cui risultano essere prevalenti altre finalit� (quelle 
di ordine estetico-culturale; o di ordine economico-produttivo; o di tutela della salute sul lavoro)�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 299 
protezione e di promozione in relazione agli obiettivi di sviluppo sociale ed 
economico all�interno dei parchi. 
Alla luce delle indicazioni giurisprudenziali sottolineate nella sent. della 
Corte costituzionale n. 108 del 2005, recente dottrina ritiene �possibile rilevare, 
pur nella complessit� della materia, che la protezione della natura si va 
configurando come materia autonoma rispetto alla tutela dell�ambiente e a 
quelle contermini aventi ad oggetto, in genere, l�utilizzo del territorio e si viene 
identificando progressivamente con la locuzione costituzionale �tutela dell�ecosistema�
� (Crosetti) (70). Tale indirizzo � confermato da ultimo dalla 
sentenza 151 del 18 aprile 2011 (71). 
Possiamo sintetizzare le provvisorie conclusioni di questa prima parte riconoscendo 
che �Il diritto, nella disciplina dell�ambiente, viene posto in modo 
immediato e diretto a contatto con le altre scienze. L�attenuarsi della separazione 
tra la conoscenza della natura e il sistema normativo si traduce nella necessit� 
di un ripensamento nella stessa costruzione dei principi e delle norme 
giuridiche positive; le configurazioni tradizionali di molti strumenti giuridici 
(�) manifestano la loro insufficienza rispetto alle problematiche ambientali 
e costringono i giuristi ad individuare nuovi strumenti di interpretazione del 
mondo che li circonda e nuove tecniche di predisposizione delle risposte ai 
problemi che la natura e l�equilibrio ecologico pongono alla comunit� umana� 
(S. Grassi) (72). 
(70) A. CROSETTI, Le tutele differenziate, in A. CROSETTI, R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI 
RASON, Diritto dell�ambiente, Editori Laterza, Bari, 2008, p. 516. 
(71) La sentenza riguarda un giudizio di legittimit� costituzionale in via principale rispetto agli 
artt. 117, primo comma, secondo comma, lettera s), terzo e quinto comma, della Costituzione, nonch� 
all�art. 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti 
lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) delle Legge della Provincia autonoma di Bolzano 
12 maggio 2010, n. 6 (Legge di tutela della natura e altre disposizioni) riconoscendo che si tratta di materia 
di competenza esclusiva statale, con un livello uniforme di tutela fissato dalla legge statale a protezione 
dell�ambiente e dell�ecosistema ai sensi della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione 
degli habitat naturali e seminaturali, nonch� della flora e della fauna selvatiche. 
In particolare, l�art. 4 della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, nel disciplinare con divieti a carattere generale 
la tutela di specie animali, indipendentemente dall�esercizio della caccia e dalla disciplina dei 
parchi naturali, invade la sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell�ambiente 
e dell�ecosistema, di cui all�art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che trova applicazione 
anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, in quanto tale materia 
non � compresa tra le previsioni statutarie riguardanti le competenze legislative, primarie o concorrenti, 
regionali o provinciali. 
(72) Tutela dell�ambiente, ad vocem, cit., p. 1115.
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Le disposizioni in materia di �parit� di genere� negli organi di 
amministrazione e controllo delle societ� 
Francesco Spada* 
SOMMARIO: 1. La legge 12 luglio 2011 n. 120 e le modifiche al TUF - 2. La delibera CONSOB 
n. 18098/2012 - 3. Il decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251. 
1. La legge 12 luglio 2011 n. 120 e le modifiche al TUF. 
La legge 12 luglio 2011, n. 120 (1), ha apportato modifiche al testo unico 
delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto 
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernenti la parit� di accesso agli organi 
di amministrazione e di controllo delle societ� quotate in mercati regolamentati. 
La legge si compone di tre articoli riguardanti, rispettivamente: l�equilibrio 
tra i generi negli organi delle societ� quotate; la decorrenza delle nuove 
disposizioni; le societ� a controllo pubblico. 
In particolare, l�articolo 1 ha introdotto il comma 1-ter dell�articolo 147- 
ter del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, 
di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, prevedendo, in materia di 
elezione e composizione del consiglio di amministrazione, che: 
� lo statuto preveda che il riparto degli amministratori da eleggere sia 
effettuato in base ad un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi; 
� il genere meno rappresentato debba ottenere almeno un terzo degli amministratori 
eletti; 
� detto criterio di riparto si applichi per tre mandati consecutivi; 
� qualora la composizione del consiglio di amministrazione risultante 
dall'elezione non rispetti il criterio di riparto previsto, la Consob diffidi la societ� 
interessata affinch� si adegui a tale criterio entro il termine massimo di 
quattro mesi dalla diffida. In caso di inottemperanza alla diffida, la Consob 
applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100.000 a euro 
1.000.000, secondo criteri e modalit� stabiliti con proprio regolamento e fissa 
un nuovo termine di tre mesi ad adempiere. In caso di ulteriore inottemperanza 
rispetto a tale nuova diffida, i componenti eletti decadono dalla carica; 
(*) Dirigente di II fascia del Ministero dell�Economia e delle Finanze. Ha svolto la pratica forense 
presso l�Avvocatura Generale dello Stato. 
Il presente contributo riflette le opinioni dell�Autore e non impegna in alcun modo l�Amministrazione 
di appartenenza. 
(1) In base ai dati Eurostat 2012, in Italia l�occupazione delle donne tra i 25 ed i 54 anni � inferiore 
del 12% rispetto alla media dell�Unione europea: inoltre, i dati Istat e Censis 2011 dimostrano che solo 
il 7% delle societ� quotate aveva una presenza femminile nei CdA.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 301 
� lo statuto provveda a disciplinare le modalit� di formazione delle liste 
ed i casi di sostituzione in corso di mandato al fine di garantire il rispetto del 
criterio di riparto previsto; 
� la Consob statuisca in ordine alla violazione, all'applicazione ed al rispetto 
delle disposizioni in materia di quota di genere, anche con riferimento 
alla fase istruttoria e alle procedure da adottare, in base a proprio regolamento 
da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni recate 
dal presente comma; 
� le disposizioni fin qui descritte si applichino anche alle societ� organizzate 
secondo il sistema monistico. 
Inoltre, il medesimo articolo 1 ha previsto che, dopo il comma 1 dell'articolo 
147-quater del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, 
n. 58, in materia di composizione del consiglio di gestione, � aggiunto il 
comma 1-bis, che prevede che qualora il consiglio di gestione sia costituito 
da un numero di componenti non inferiore a tre, ad esso si applicano le disposizioni 
dell'articolo 147-ter, comma 1-ter, ossia le disposizioni sopra descritte. 
Infine, l�articolo 1 ha apportato modificazioni all�articolo 148 del testo 
unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, 
in materia di composizione degli organi di controllo, prevedendo 
che: 
� l'atto costitutivo della societ� stabilisce, inoltre, che il riparto dei membri 
di cui al comma 1 sia effettuato in modo che il genere meno rappresentato 
ottenga almeno un terzo dei membri effettivi del collegio sindacale; 
� tale criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi; 
� qualora la composizione del collegio sindacale risultante dall'elezione 
non rispetti il criterio di riparto previsto, la Consob diffida la societ� interessata 
affinch� si adegui a tale criterio entro il termine massimo di quattro mesi dalla 
diffida. In caso di inottemperanza alla diffida, la Consob applica una sanzione 
amministrativa pecuniaria da euro 20.000 a euro 200.000 e fissa un nuovo termine 
di tre mesi ad adempiere. In caso di ulteriore inottemperanza rispetto a 
tale nuova diffida, i componenti eletti decadono dalla carica; 
� la Consob statuisce in ordine alla violazione, all'applicazione ed al rispetto 
delle disposizioni in materia di quota di genere, anche con riferimento 
alla fase istruttoria e alle procedure da adottare, in base a proprio regolamento 
da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni recate 
dal presente comma. 
Il successivo articolo 2 della legge n. 120/2011 ha dettato disposizioni 
regolanti la decorrenza della nuova disciplina introdotta dall�articolo 1, prevedendo 
che quest�ultima si applica a decorrere dal primo rinnovo degli organi 
di amministrazione e degli organi di controllo delle societ� quotate in mercati 
regolamentati successivo ad un anno dalla data di entrata in vigore della medesima 
legge, riservando al genere meno rappresentato, per il primo mandato
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
in applicazione della legge, una quota pari almeno a un quinto degli amministratori 
e dei sindaci eletti. 
Infine, l�articolo 3 della legge n. 120/2011 ha esteso l�ambito di applicazione 
fin qui delineato, prevedendo che le disposizioni della medesima legge 
si applicano anche alle societ�, costituite in Italia, controllate da pubbliche 
amministrazioni ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice 
civile, non quotate in mercati regolamentati, e che, con regolamento da adottare 
entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge, sono stabiliti 
termini e modalit� di attuazione del medesimo articolo 3, al fine di disciplinare 
in maniera uniforme per tutte le societ� interessate, in coerenza con quanto 
previsto dalla legge, la vigilanza sull'applicazione della stessa, le forme e i termini 
dei provvedimenti previsti e le modalit� di sostituzione dei componenti 
decaduti. 
2. La delibera CONSOB n. 18098/2012. 
In attuazione delle deleghe regolamentari conferite alla CONSOB dai citati 
articoli 147-ter, comma 1-ter, e 148, comma 1-bis, la CONSOB ha adottato 
la delibera n. 18098/2012, con cui ha inserito un nuovo Capo (il Capo I-bis, 
rubricato �Equilibrio tra generi nella composizione degli organi di amministrazione 
e controllo�) nel Titolo V-bis, Parte III del regolamento di attuazione 
del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli 
emittenti, approvato con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 e successive 
modifiche. 
In particolare, il nuovo Capo I-bis sopra citato ha introdotto un nuovo articolo 
144-undecies nel regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 
febbraio 1998, n. 58, prevedendo che: 
� le societ� con azioni quotate prevedono che la nomina degli organi di 
amministrazione e controllo sia effettuata in base al criterio che garantisce 
l'equilibrio tra generi previsto dagli articoli 147-ter, comma 1-ter, 148, comma 
1-bis, del Testo unico, e che tale criterio sia applicato per tre mandati consecutivi; 
� gli statuti delle societ� quotate disciplinano: 
- le modalit� di formazione delle liste nonch� criteri suppletivi di individuazione 
dei singoli componenti degli organi che consentano il rispetto dell'equilibrio 
tra generi ad esito delle votazioni. Gli statuti non possono prevedere il 
rispetto del criterio di riparto tra generi per le liste che presentino un numero 
di candidati inferiore a tre; 
- le modalit� di sostituzione dei componenti degli organi venuti a cessare in 
corso di mandato, tenendo conto del criterio di riparto tra generi; 
- le modalit� affinch� l'esercizio dei diritti di nomina, ove previsti, non contrasti 
con quanto previsto dagli articoli 147-ter, comma 1-ter, e 148, comma 
1-bis, del Testo unico; 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 303 
� qualora dall'applicazione del criterio di riparto tra generi non risulti un 
numero intero di componenti degli organi di amministrazione o controllo appartenenti 
al genere meno rappresentato, tale numero � arrotondato per eccesso 
all'unit� superiore; 
� in caso di inottemperanza alla diffida prevista dagli articoli 147-ter, 
comma 1-ter, e 148, comma 1-bis, del Testo unico, la Consob fissa un nuovo 
termine di tre mesi ad adempiere e applica le sanzioni, previa contestazione 
degli addebiti, ai sensi dell'articolo 195 del Testo unico e tenuto conto dell'articolo 
11 della legge 24 novembre 1981, n. 689 e successive modifiche. 
3. Il decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251. 
In attuazione di quanto disposto dall�articolo 3 della legge n. 120/2011 � 
stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, 
n. 251, che detta disposizioni concernenti la parit� di accesso agli organi di 
amministrazione e di controllo nelle societ�, costituite in Italia, controllate da 
pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, 
del codice civile, non quotate in mercati regolamentati. 
Il decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251, si 
compone di cinque articoli. 
L�articolo 1 individua l�ambito di applicazione del d.P.R., prevedendo che 
il medesimo detta i termini e le modalit� di attuazione della disciplina concernente 
la parit� di accesso agli organi di amministrazione e di controllo nelle 
societ�, costituite in Italia, controllate ai sensi dell'articolo 2359, primo e secondo 
comma, del codice civile, dalle pubbliche amministrazioni indicate all'articolo 
1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ad 
esclusione delle societ� con azioni quotate. 
Il successivo articolo 2 detta disposizioni in materia di composizione degli 
organi sociali, prevedendo che: 
� le societ� di cui all'articolo 1 prevedono nei propri statuti che la nomina 
degli organi di amministrazione e di controllo, ove a composizione collegiale, 
sia effettuata secondo modalit� tali da garantire che il genere meno rappresentato 
ottenga almeno un terzo dei componenti di ciascun organo; 
� qualora sia previsto per la nomina degli organi sociali il meccanismo 
del voto di lista, gli statuti disciplinano la formazione delle liste in applicazione 
del criterio di riparto tra generi, prevedendo modalit� di elezione e di estrazione 
dei singoli componenti idonee a garantire il rispetto delle previsioni di 
legge. Gli statuti non possono prevedere il rispetto del criterio di riparto tra 
generi per le liste che presentino un numero di candidati inferiore a tre. Inoltre 
gli statuti disciplinano l'esercizio dei diritti di nomina, ove previsti, affinch� 
non contrastino con quanto previsto dal presente regolamento; 
� qualora dall'applicazione di dette modalit� non risulti un numero intero 
di componenti degli organi di amministrazione o controllo appartenenti al ge-
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
nere meno rappresentato, tale numero � arrotondato per eccesso all'unit� superiore; 
� le societ� prevedono altres� le modalit� di sostituzione dei componenti 
dell'organo di amministrazione venuti a cessare in corso di mandato, in modo 
da garantire il rispetto della quota di cui al comma 1; 
� la quota di cui al comma 1 si applica anche ai sindaci supplenti. Se nel 
corso del mandato vengono a mancare uno o pi� sindaci effettivi, subentrano 
i sindaci supplenti nell'ordine atto a garantire il rispetto della stessa quota. 
L�articolo 3 individua la decorrenza della nuova disciplina, stabilendo 
che: 
� le societ� assicurano il rispetto della composizione degli organi sociali 
indicata all'articolo 2, anche in caso di sostituzione, per tre mandati consecutivi 
a partire dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del medesimo 
regolamento; 
� per il primo mandato la quota riservata al genere meno rappresentato 
� pari ad almeno un quinto del numero dei componenti dell'organo. 
L�articolo 4 detta disposizioni in materia di monitoraggio e vigilanza sull'applicazione 
della normativa (2) di cui al medesimo regolamento, prevedendo 
che: 
� il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per le 
pari opportunit� vigila sul rispetto della normativa e presenta al Parlamento 
una relazione triennale sullo stato di applicazione della stessa; 
� a tale fine, le societ� di cui all'articolo 1 sono tenute a comunicare al 
Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le pari opportunit� 
la composizione degli organi sociali entro quindici giorni dalla data di 
nomina degli stessi o dalla data di sostituzione in caso di modificazione della 
composizione in corso di mandato; 
(2) Il Dipartimento per le pari opportunit� della Presidenza del Consiglio dei Ministri � la Struttura 
deputata ad espletare le funzioni di monitoraggio e di vigilanza sull'attuazione della normativa al fine 
di assicurare il raggiungimento di un�adeguata rappresentativit� di genere nelle attivit� economiche ed 
una pi� incisiva presenza femminile nella governance delle imprese. 
Si riportano di seguito i principali compiti istruttori che il Dipartimento per le pari opportunit� � chiamato 
a svolgere: 
� controllare la corretta applicazione delle disposizioni normative; 
� predisporre l�elenco delle societ� controllate da pubbliche amministrazioni nonch� della composizione 
aggiornata degli organi societari; 
� raccogliere le segnalazioni sulla mancata attuazione della normativa; 
� esaminare le segnalazioni pervenute; 
� emanare i provvedimenti di diffida; 
� verificare l�ottemperanza alle diffide; 
� elaborare la relazione al Parlamento. 
Nell�esercizio delle elencate attivit� il Dipartimento per le pari opportunit� sar� supportato da un apposito 
Gruppo di lavoro istituito con Decreto del Ministro delegato alle pari opportunit� in data 12 febbraio 
2013, del quale fanno parte la dott.ssa Magda Bianco, la Prof.ssa Marina Brogi e la Prof.ssa Paola 
Profeta.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 305 
� � fatto obbligo all'organo di amministrazione e all'organo di controllo 
delle medesime societ� di comunicare al Presidente del Consiglio dei Ministri 
o al Ministro delegato per le pari opportunit� la mancanza di equilibrio tra i 
generi, anche quando questa si verifichi in corso di mandato; 
� tale segnalazione pu� essere altres� fatta pervenire al Presidente del 
Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le pari opportunit� da chiunque 
vi abbia interesse; 
� nei casi in cui il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato 
per le pari opportunit� accerti il mancato rispetto della quota stabilita 
all'articolo 2, comma 1, nella composizione degli organi sociali, diffida la societ� 
a ripristinare l'equilibrio tra i generi entro sessanta giorni. In caso di inottemperanza 
alla diffida, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro 
delegato per le pari opportunit� fissa un nuovo termine di sessanta giorni ad 
adempiere, con l'avvertimento che, decorso inutilmente detto termine, ove la 
societ� non provveda, i componenti dell'organo sociale interessato decadono 
e si provvede alla ricostituzione dell'organo nei modi e nei termini previsti 
dalla legge e dallo statuto. 
Infine, l�articolo 5 detta l�usuale clausola di invarianza, stabilendo che 
dall'attuazione del regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri 
a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedono 
agli adempimenti previsti dal medesimo con le risorse umane, strumentali 
e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Tutela e fruizione del patrimonio culturale 
Stefano Grassi* 
Ringrazio di essere stato chiamato a contribuire, in qualit� di giurista, nel 
commentare le parole che danno il titolo al convegno. 
Le parole - e ci� � particolarmente vero per le parole del diritto - sono segni 
che connotano le cose, le identificano; ma al tempo stesso danno forma alle 
cose, le orientano. Ed infatti, i mutamenti giuridici sono mutamenti linguistici 
(Ainis), e i giuristi hanno il compito di discutere sulle parole del diritto (come 
ricordava Noberto Bobbio, "quando i giuristi discutono fra di loro, fanno delle 
logomachie": parlano cio� delle parole, discutono e si confrontano su di esse) 
per giungere a definizioni rigorose, ma anche per individuare nelle proposizioni 
normative il significato e la direzione verso la quale si muove il legislatore. 
Il compito del giurista � particolarmente difficile, se non quasi impossibile, 
con riferimento alle parole e al vocabolario che il legislatore italiano ha 
utilizzato nell'ambito dei beni culturali e dei beni paesistici: "tutela" e "fruizione" 
del "patrimonio culturale" sono parole pesantissime, con significati pregnanti, 
e sono state utilizzate dal legislatore in modo via via differente nel 
succedersi delle normative. 
Sull'intensa evoluzione dei termini e degli istituti utilizzati dal legislatore, 
in questa materia, � sufficiente ricordare il rilevante sviluppo nella definizione 
degli oggetti da tutelare (dalle "cose" e i "beni" di interesse culturale, al concetto 
pi� generale di "bene culturale", fino alla pi� recente espansione di questo 
(*) Giurista. 
Il presente scritto costituisce l�intervento dell�Autore al Convegno di studi �Tutela e fruizione del 
patrimonio culturale�, tenutosi a Firenze - Biblioteca degli Uffizi - il 15 e 16 aprile 2011. 
Per una completa consultazione degli atti del convegno si rimanda alla pubblicazione a cura di 
Cosimo Ceccuti, Edizioni Polistampa, 2011.
308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
stesso concetto nel pi� ampio di "patrimonio culturale") e la forte incertezza 
sulla definizione dei termini che identificano le funzioni pubbliche che debbono 
essere attivate (come "tutela", "valorizzazione", "fruizione"). � soprattutto 
difficile non tener conto delle continue e articolate fasi di sviluppo nella 
riorganizzazione degli apparati burocratici cui sono affidati i compiti in questo 
delicato settore (dal 1999, si sono succedute ben quattro rilevanti riforme e ridefinizioni 
dell'organizzazione del recente Ministero dei beni culturali, e tuttora 
si discute di nuove e rilevanti esigenze di riordino). 
In questa sede, mi posso limitare ad un commento delle parole del convegno, 
con i concetti che � possibile ricavare dall'interpretazione del testo dello 
stesso art. 9 della nostra Costituzione (dalla quale, da costituzionalista e da 
cittadino, non posso prescindere). Si tratta di un punto di partenza condiviso 
dall'attuale Ministro dei beni culturali, che, nella prima comunicazione resa 
al Parlamento nella sua nuova veste (v. il resoconto dell'audizione presso il 
Senato del 13 aprile 2011), ha indicato questa disposizione costituzionale come 
una norma che pone dei valori comuni e condivisi e che quindi obbliga ad un 
approccio bipartisan per la soluzione dei problemi (con il conseguente invito 
ad evitare le diatribe e preferire la dialettica, perch�, anche se siamo divisi su 
tutto, conviene evitare di esserlo anche su questo punto essenziale per la vita 
del paese). Ed � significativo che, nel citare il new deal roosveltiano, il Ministro 
abbia fatto riferimento alla matrice comune, di ispirazione occidentale, 
della nostra Costituzione, sottolineando lo stretto collegamento della protezione 
e della valorizzazione dei nostri beni culturali con la pi� ampia prospettiva 
della tutela internazionale e comunitaria nel cui ambito il nostro 
ordinamento si deve muovere. 
In tale contesto la cultura ed i beni culturali costituiscono presupposti indefettibili 
alle libert� democratiche (come si legge nella dichiarazione universale 
dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 "Ogni individuo ha diritto di prendere 
parte liberamente alla vita culturale della comunit�, di godere delle arti e di 
partecipare al progresso scientifico ed ha i suoi benefici. Ogni individuo ha diritto 
alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione 
scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore"). Si tratta di una 
prospettiva dinamica, che non pu� non orientare l'interprete anche con riferimento 
ai complessi, e ricchi di significato, termini oggetto di questo convegno. 
In questa direzione, il concetto di "patrimonio culturale" non pu� essere 
letto solo secondo ii suo significato etimologico, che risale al giustinianeo patrimonium 
(e cio� "un'entitt� composita, formata dall'insieme delle situazioni 
soggettive suscettibili di valutazione economica - intesa come estrema abilit� 
pecuniaria - dalla legge unificate in considerazione della loro appartenenza 
a un soggetto o della loro destinazione unitaria "- v. V. Durante, voce Patrimonio, 
dir civ. in Encic. Giur. Treccani), che mette in evidenza il carattere patrimoniale 
e il carattere unitario del concetto.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 309 
Quando l'art. 9 della nostra Costituzione fa riferimento al "patrimonio 
storico ed artistico della nazione", indica un concetto riferibile ad una pluralit� 
di beni che appartiene alla comunit� nazionale, ma che ha le caratteristiche di 
un elemento di identit� e di appartenenza unitario che amplia notevolmente e 
rende dinamico il concetto. 
Siamo nell'ambito della definizione di patrimonio come "complesso di 
risorse (naturali, ambientali o industriali, artistiche, ecc.) che sono proprie 
(in quanto considerate bene comune e permanentemente a disposizione) di 
una determinata comunit� insediata in un territorio, la quale attraverso l'esperienza, 
la fruizione, l'incremento di esse riconosce parte rilevante della propria 
identit� storica, sociale, culturale e trae vantaggi e utilit� notevoli" (cos� 
la definizione che � possibile reperire nel Dizionario della lingua italiana del 
Battaglia). Mentre il riferimento alla Nazione come titolare di questi beni vale 
a collegare la tutela del patrimonio indicato dall'art. 9 con la cultura, la storia 
e le tradizioni del popolo italiano, configurando gli interessi sostanziali riconosciuti 
dalla norma come elementi fondanti, fattori unificanti, della comunit� 
nazionale (come il concetto di difesa della Patria di cui all'art. 52 e lo stesso 
concetto di Repubblica "una e indivisibile" di cui all'art. 5). 
Viene cos� definito un valore costituzionale che va al di l� del suo contenuto 
economico e la cui immaterialit� permette di identificarlo in un obiettivo 
comune, che deve essere assunto come oggetto di responsabilit� e perseguito 
come fine condiviso sia dai poteri pubblici che da tutti i cittadini. 
L'inserimento dell'art. 9 tra i principi fondamentali, che aprono il testo 
della nostra Costituzione, significa aver riconosciuto alla cultura, alla ricerca 
scientifica e tecnica, al paesaggio ed al patrimonio storico ed artistico della 
nazione il contenuto di valori fondanti il patto costituzionale. 
Il diritto alla cultura come altri diritti essenziali (il diritto alla salute, il 
diritto alla vita e all'alimentazione, il diritto all'informazione) costituisce 
quindi, per espressa disposizione costituzionale, un "interesse a soddisfazione 
necessaria" (un interesse di cui tutti i cittadini si devono alimentare) che non 
pu� non trovare adeguati strumenti di tutela giuridica e di organizzazione burocratica, 
che la Repubblica, in tutte le sue articolazioni, deve garantire. 
Nell'art. 9, ci sono tutte le premesse per quello sviluppo legislativo e giurisprudenziale 
che ha caratterizzato la stessa definizione di bene culturale ed il 
successivo passaggio ai concetti pi� ampi di ambiente e di patrimonio culturale. 
DaIla concezione arretrata, che individuava le "cose" caratterizzate da un 
valore storico ed artistico come oggetto di tutela, si � passati a sottolineare 
che i "beni" (cioe le cose oggetto di diritti) storici ed artistici non soltanto sono 
da considerare come interessati dai diritti e dagli obblighi del proprietario, ma 
sono in grado di assolvere ad una determinata funzione, destinata alla fruizione 
pubblica, che li qualifica come beni culturali. Il bene � culturale, non se rappresenta 
un determinato oggetto o se � costituito da una determinata cosa, con
310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
i suoi caratteri materiali, ma se assolve ad una determinata funzione, se ad 
esso corrisponde un valore immateriale, che insiste sulla cosa e al tempo stesso 
ne costituisce il carattere immanente (con la conseguente necessit� di limitare 
la circolazione del bene, proprio per mantenere il contesto culturale in cui � 
in grado di svolgere tale funzione). 
Alla luce dell'art. 9, � quindi possibile giungere alla definizione di bene 
culturale, al di l� del collegamento con determinate testimonianze materiali di 
civilt� ed individuare - come ormai avviene da quache decennio nelle dichiarazioni 
internazionali cui l'Italia ha aderito - i beni culturall anche laddove si 
tratti di determinate attivit� di carattere scientifico, di tradizione, di sviluppo 
di civilt� - come 1'artigianato, l'arte contemporanea, la musica, il teatro, il cinema, 
le tradizioni orali. 
Indubbiamente, sia nell'art. 9 della Costituzione, sia nell'art. 2 del codice 
Urbani, il "patrimonio culturale" viene definito facendo riferimento ai concetti 
tenuti distinti di "beni paesistici" e di "beni culturali". � presente, infatti, nel 
secondo comma dell'art. 9, cos� come nella definizione del recente codice Urbani, 
la dicotomia della legislazione anteriore alla Costituzione (a partire dalla 
legge Rosati del 1909 sui beni culturali, cui si aggiungeva, e in qualche modo 
si contrapponeva, la legge Croce del 1922 sui beni paesistici; dicotomia che 
le leggi Bottai del 1939 hanno lasciato inalterata). 
Ma lo stesso art. 9 Cost., cui si ispira espressamente, come prima normativa 
di attuazione, l'intero codice Urbani (vedi art. 1), contiene le premesse 
per ricondurre paesaggio e patrimonio storico artistico ad un concetto unitario 
dalle potenzialit� molto pi� ampie. 
In primo luogo, occorre considerare congiuntiva non disgiuntiva la "e" 
di cui al secondo comma dell'art. 9, che collega appunto "paesaggio" "e" "patrimonio 
storico ed artistico". Ma ancor pi� significativo � lo sviluppo che il 
concetto di paesaggio, come forma del paese, come territorio, natura e cultura 
che caratterizzano il contesto nel quale si svolge la vita collettiva (secondo la 
nota impostazione di Predieri), ha avuto nella giurisprudenza della Corte costituzionale 
(che, proprio a partire da questi concetti ricavabili dall'art. 9, � 
giunta a riconoscere il valore costituzionale dell�"ambiente", quale espressione 
di sintesi degli obiettivi posti dalla norma costituzionale). 
La prospettiva si amplia ulteriormente, se si richiama la pi� omnicomprensiva 
nozione di paesaggio contenuta nella Convenzione europea del 20 
ottobre 2000 - "paesaggio designa una determinata parte di territorio, cos� 
come � percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori 
naturali e umani e dalle loro interrelazioni" - per rendersi conto che non � 
possibile avere una concezione statica di paesaggio e di patrimonio storico ed 
artistico. Occorre tener conto del necessario sviluppo dinamico di tali concetti 
(che si definiscono anche attraverso la percezione collettiva e la loro definizione 
mediante forme di partecipazione e di dibattito trasparente) e di tenerli
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 311 
insieme in una visione complessiva ed unitaria. 
In questo senso, l'art. 9 Cost. consente di adeguare l'interpretazione dei 
due concetti di paesaggio e di patrimonio storico e artistico alle esigenze 
emerse nell'ambito internazionale e comunitario. 
Il "patrimonio storico e artistico" diviene "patrimonio culturale", anche 
perch� � possibile collegare il principio di "tutela", affermato nel secondo 
comma dell'art. 9, con il principio della "promozione" e dello "sviluppo della 
cultura e della ricerca scientifica e tecnica", indicato come obiettivo della Repubblica, 
nel primo comma dello stesso articolo. 
Si fa riferimento alla cultura in senso ampio, come esito e sviluppo continuo 
della ricerca scientifica e delle opere dell'ingegno. L'interprete deve stabilire 
uno stretto legame, una circolarit�, tra la previsione dinamica della 
promozione e dello sviluppo della cultura e i risultati di tali attivit�, quali il 
paesaggio e il patrimonio storico ed artistico (secondo l'impostazione interpretativa 
proposta da Merusi). Ed il compito di tutela non pu� essere configurato 
in termini statici di mera conservazione, ma si deve sviluppare come un 
processo dinamico in grado di far acquisire sempre maggiore consapevolezza 
e condivisione dei valori culturali da parte della collettivita (in tutte le articolazioni 
plurali che caratterizzano la Repubblica). 
In questa ottica il patrimonio culturale assume un valore pregnante e capace 
di notevoli espansioni: cosi come permette l�introduzione nel nostro sistema 
giuridico dei concetti emersi nell'ambito internazionale, quali il concetto 
di "patrimonio dell'umanit�", la individuazione dei "siti naturali" e dei "siti 
misti" (quali oggetto di tutela giuridica specifica, nell'ambito di situazioni caratterizzate 
dalla complessit� dei valori e degli interessi da tutelare - Convenzione 
Unesco del 1972), la definizione del "patrimonio culturale immateriale" 
- ivi compresa la stessa individuazione di bene a rilevanza culturale come i 
locali storici e come le citt� d'arte (v. in particolare le definizioni dell'art. 2 
della Dichiarazione del Consiglio d'Europa, di Faro del 27 ottobre 2005: "a 
cultural heritage is a group of resourses inherited from the past which people 
identify, independent of ownership, as a reflection and expression of their constantly 
evolving values, beliefs, knowledge and tradition. It includes all aspects 
of the environment resulting from the interaction between people and places 
through time" - e dell'art. 2 della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio 
culturale immateriale di Parigi de1 17 ottobre 2000 - "per patrimonio 
culturale immateriale si intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, 
le conoscenze, il know how - come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti 
e gli spazi culturali associati agli stessi - che le comunit�, i gruppi e in 
alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. 
Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in 
generazione, e costantemente ricreato dalle comunit� e dai gruppi in risposta 
al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e d�
312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
loro un senso di identit� e di continuit�, promuovendo in tal modo il rispetto 
per la diversit� culturale e la creativit� umana"). 
Il concetto di patrimonio culturale � quindi un concetto molteplice e articolato, 
non definibile a priori, ma frutto di conoscenza e di valutazione dai 
diversi punti di vista e definito dai diversi soggetti titolari degli interessi connessi. 
Infatti la cultura si coniuga al plurale e i beni ed il patrimonio culturale 
sono oggetto di un continuo dibatttito e di una continua dialettica, l'unica in 
grado di definirli. 
Si tratta dell'impostazione presente anche nei Trattati sull'Unione Europea. 
L'art. 3 del Trattato sull'Unione Europea prevede che l'Unione "promuove 
la coesione economica, sociale territoriale e la solidariet� tra gli Stati membri; 
rispetta la ricchezza della sua diversit� culturale linguistica e vigila sulla 
salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio europeo". L'articolo 167 del Trattato 
sul funzionamento dell'Unione Europea prevede che l'Unione "contribuisce 
al pieno sviluppo della cultura degli Stati membri nel rispetto delle loro 
diversit� nazionali e regionali", evidenziando nel contempo "il retaggio culturale 
comune"; l'Unione incoraggia la cooperazione tra Stati membri e se necessario 
appoggia l'integrazione nei settori del miglioramento della 
conoscenza, della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, 
della conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea, 
degli scambi culturali non commerciali, della creazione artistica e letteraria, 
compreso il settore audiovisivo. 
Ancora, l'art. 22 della Dichiarazione di Nizza sui diritti fondamentali, 
oggi allegata e parte integrante del Trattato sull'Unione Europea, stabilisce che 
l'Unione "rispetta la diversit� culturale, religiosa e linguistica". 
Una nozione cos� ampia e articolata di "patrimonio culturale" permette 
di dare una base giuridica, di natura costituzionale, all'insieme delle norme dirette 
alla protezione, alla disciplina della circolazione, alla tutela e alla fruizione 
dei beni culturali, intesi nella loro pi� ampia accezione. 
Il rischio � quello di avere un concetto di bene culturale e di patrimonio 
culturale eccessivamente ampio e in grado di giustificare qualunque tipo di 
organizzazione, valutazione e gestione dei beni individuati come tali. 
Ma il carattere dinamico che la nozione di bene culturale e di patrimonio 
culturale debbono assumere, alla luce dell'interpretazione costituzionale, permette 
di sottolineare la necessit� di prevedere una articolazione delle funzioni 
e delle competenze degli organi preposti alla tutela dei beni culturali che parta 
non tanto dalla definizione dei beni e del patrimonio culturale, quanto dalla 
individuazione dei settori fortemente diversificati in cui si espande il valore 
del patrimonio culturale: si tratta di una serie di cerchi concentrici, ciascuno 
dei quali ha la necessit� di una diversa individuazione delle funzioni, delle 
competenze e dei metodi (i beni culturali in senso stretto, per i quali sono necessarie 
competenze storiche e scientifiche; i beni paesistici e ambientali, per
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 313 
i quali occorrono competenze tecniche pi� articolate, accompagnate da strumenti 
di verifica della percezione collettiva; i beni immateriali, che esigono 
forme diversificate di promozione e di tutela; i siti naturali e culturali da gestire 
in forme adeguate a conservarne i valori e al tempo stesso a svilupparne le capacit� 
di futuro ecc.). 
In realt� per concetti complessi e unitari come quelli di ambiente o di patrimonio 
culturale occorre tener conto della necessit� di individuare non tanto 
una definizione a priori degli oggetti da tutelare quanto una serie di principi 
e di metodi con i quali giungere a garantire il perseguimento del valore costituzionale 
condiviso. Occorre individuare metodi di dibattito e dialettica adeguati, 
con la capacit�, di offrire il massimo della informazione e della 
trasparenza in relazione alla gestione del bene e il massimo di partecipazione 
nella deftnizione delle modalid� con le quali in concreto attuare le forme di 
tutela. Dovranno quindi essere individuate forme differenziate e metodi diversificati 
in relazione ai diversi obiettivi. 
Se questa � l'impostazione suggerita dai principi dell'art. 9 della Costituzione, 
e della sua lettura nel contesto internazionale e comunitario, diventa relativamente 
pi� semplice cercare di individuare la definizione dei termini 
"tutela" e "fruizione", sui quali il dibattito tra gli addetti ai lavori e tra i giuristi 
� ancora molto aperto. 
Gi�, Massimo Severo Giannini nel definire il bene culturale come bene 
pubblico sottolineava che il bene culturale � pubblico, "non in quanto bene di 
appartenenza ma in quanto bene di fruizione". 
I beni culturali hanno cio� quel valore funzionale allo sviluppo della cultura, 
che li rende indispensabili e che debbono essere messi a disposizione 
della collettivit� per arricchirne la cultura e consentirne la crescita e lo sviluppo 
intellettuale e scientifico. 
Il difetto della ricerca di una definizione di "tutela" e di "fruizione", che 
abbia implicazioni puntuali nella costruzione degli apparati burocratici che 
debbono assumere la responsabilit� di tali missioni e funzioni, � costituito 
dalla circostanza che il legislatore in tutte le sue recenti ricostruzioni ha cercato 
di individuare, nella distinzione tra le funzioni di tutela e quelle di valorizzazione, 
esclusivamente il criterio per separare le competenze statali e regionali 
con riferimento ai beni culturali. 
Si tratta di una prospettiva piena di contraddizioni, che pu� essere riassunta 
nell'interpretazione che ne ha dato - subito dopo la modifica del titolo 
V della Costituzione, ad opera della legge di revisione costituzionale n. 3 del 
2001 - la Corte costituzionale. La Corte ha individuato nella "tutela" la funzione 
"diretta principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella 
sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale; ed � significativo che 
la prima attivit� in cui si sostanzia la tutela � quella di riconoscere il bene 
culturale come tale". Mentre, sempre secondo la Corte, la "valorizzazione" �
314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
la funzione "diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale, sicch� anche 
il miglioramento dello stato di conservazione attiene a quest'ultima, nei luoghi 
in cui avviene la fruizione e nei modi di questa" (cos� la sentenza n. 9 del 2004, 
che fa riferimento alla netta differenziazione della competenza in materia di 
"tutela dei beni culturali" - affidata alla competenza legislativa esclusiva dello 
Stato dall'articolo 117, secondo comma, lettera s, Cost. - rispetto alla competenza 
in materia di "valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione 
e organizzazione di attivit� culturali" - affidata alla competenza 
concorrente del legislatore regionale, nell'ambito dei principi fondamentali riservati 
alla legislazione dello Stato, dallo stesso art. 117, terzo comma, Cost.). 
In realt� il problema della differenziazione tra la tutela e la valorizzazione 
pu� essere ricercato nella distinzione tra il momento statico, costituito dalla 
tutela materiale del bene, e il momento dinamico, costituito dalla considerazione 
del bene culturale come risorsa o servizio da rendere alla collettivit�. 
Ma questa distinzione si rivela insufficiente di fronte al carattere onnicomprensivo 
e dinamico del concetto di patrimonio culturale e di bene culturale 
che deriva dall'interpretazione costituzionale. 
Occorre piuttosto tener conto della obiettiva difficolt� di distinguere in 
modo chiaro il momento della tutela dal momento della valorizzazione e giungere 
alla conclusione che tra le due funzioni esiste uno stretto coordinamento 
e che l'art. 9 Cost. suggerisce l'opportunit� di trovare altrove il criterio della 
separazione o distinzione delle competenze statali e regionali. 
� a mio avviso corretto l'inserimento nell'ambito del concetto di "tutela" 
dell'altrettanto difficile e problematico concetto di "fruizione", come viene 
suggerito dall'art. 3 del Codice Urbani, nel quale si precisa che la tutela del 
patrimonio culturale consiste "nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina 
delle attivit� dirette, sulla base di un'adeguata attivit� conoscitiva, ad individuare 
i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione 
e la conservazione per fini di pubblica fruizione", con il conseguente "esercizio 
delle funzioni anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare 
i diritti ed i comportamenti inerenti al patrimonio culturale". 
Nell�art. 6 dello stesso Codice, la valorizzazione viene definita come la 
funzione che consiste "nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attivit� 
dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio stesso. Essa comprende 
anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione 
del patrimonio culturale e la valorizzazione attuata in forme compatibili con 
la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze" con la precisazione che "la 
Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione di soggetti privati, singoli 
o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale". 
In realt�, tutela e valorizzazione sono entrambe funzionali alla corretta 
fruizione dei beni culturali e tale fruizione non pu� che essere il risultato della 
compartecipazione di tutti i soggetti responsabili del patrimonio culturale.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 315 
Anche su questo punto il codice Urbani si muove secondo una logica che 
� possibile condividere: in un apposito titolo, che disciplina la fruizione dei 
beni culturali, individuando gli istituti e i limiti della cultura - v. art. 101 - e la 
relativa fruizione, che deve essere assicurata da tutti gli enti pubblici, da tutti 
i livelli di governo (Stato, regioni, altri enti pubblici territoriali ed ogni altro 
ente ed istituto pu� intervenire, con la relativa disciplina dell'accesso e delle 
modalit� di fruizione ivi comprese la disciplina dell'uso dei beni culturali). 
A mio avviso, il tema della fruizione diventa il tema centrale per una 
ampia tutela e una effettiva valorizzazione dei beni culturali 
Infatti, attraverso l'identificazione degli istituti giuridici per la fruizione dei 
beni culturali si pu� articolare la disciplina giuridica in funzione dei diversi e molteplici 
beni e valori che sono inclusi nell�ampio concetto di patrimonio culturaIe. 
Fruire significa "avere a propria disposizione beni materiali o spirituali 
(come risorse economiche, diritti e privilegi, facolt� o virt� non comuni, ecc.) 
capaci di appagare pienamente e sicuramente le aspirazioni dei sensi e dello 
spirito; usarne, avvalersene, giovarsene, prenderne diletto" (v. Dizionario 
della lingua italiana di Battaglia). 
Si tratta di concetto diverso da quello del valorizzare, che � termine connesso 
con il valore economico dei beni culturali. La valorizzazione � lo strumento 
per far rendere il capitale costituito dal patrimonio culturale; ma questo concetto 
� insufficiente rispetto alla logica ed ai principi affermati dall'art. 9 Cost. 
In questo senso la norma costituzionale costituisce un utile elemento per 
orientare il legislatore, in quell'ottica circolare che lega il secondo comma - che 
indica la tutela del patrimonio secondo una visione che potrebbe assumere le 
caratteristiche proprie di un valore economico da salvaguardare - al primo 
comma della stessa norma costituzionale - che esige uno sviluppo dinamico dei 
valori culturali come strumento di continua ricerca e l'individuazione dei presupposti 
per un miglioramento del livello culturale dei consociati e per ottenere 
risultati non solo economici, ma che costituiscono la base stessa del vivere collettivo 
e il riconoscimento in un contesto unitario della identit� nazionale. 
Il concetto di fruizione diviene quindi essenziale per dare vita a questi 
valori costituzionali, e l'organizzazione della fruizione si collega e costituisce 
una delle connotazioni pi� sintomatiche della Repubblica, come Stato democratico 
costituzionale. 
Il corollario di questi principi sul piano organizzativo � proprio rappresentato 
dall'uso, nell'art. 9, del termine Repubblica, per individuare il soggetto 
responsabile della promozione dello sviluppo della cultura e della tutela del 
paesaggio e del patrimonio storico ed artistico. 
I costituenti hanno cos� fatto riferimento a tutti i livelli di governo in cui 
la Repubblica � articolata. Si tratt� di una scelta consapevole: sarebbe stata 
una contraddizione utilizzare il termine Stato con riferimento a funzioni e a 
compiti che non potevano non essere assunti anche dalle regioni e dagli enti
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
territoriali autonomi, cio� di quegli enti territoriali che avrebbero costituito la 
struttura del nostro ordinamento (caratterizzato dal pluralismo istituzionale 
proprio di uno Stato regionale, ispirato ai principi dell'autonomia delle comunit� 
locali e del decentramento delle funzioni amministrative statali - come 
puntualizzato dai principi dell'art. 5 Cost.). 
Con la riforma del titolo V della Costituzione, intervenuta con la legge di 
revisione n. 3 del 2001, questa impostazione si � ulteriormente sviluppata ed 
accentuata, con l'individuazione dei livelli di governo in cui si articola la Repubblica 
a partire dal basso, come precisa il nuovo art. 114 Cost.: comuni, province, 
regioni e Stato (citati in quest'ordine dalla nuova norma costituzionale) 
"costituiscono" la Repubblica e danno vita ad un sistema articolato di poteri 
pubblici cui sono affidate le responsabilit� connesse al perseguimento dei valori 
costituzionali. 
La necessit� del coinvolgimento di tutti livelli di governo � confermata 
dalla circostanza che nello stesso articolo 117 si � potuto riscontrare non solo 
quella incerta attribuzione delle competenze allo Stato e alle regioni in tema 
di beni culturali e paesistici di cui si � subito dovuta occupare la Corte costituzionale 
(attribuzione della "tutela" alla legislazione esclusiva dello Stato e 
della "valorizzazione" alla competenza concorrente della legislazione regionale) 
ma anche la necessit� di uno stretto coordinamento tra valorizzazione e 
tutela nei diversi livelli di governo. Come confermano sia l�ultimo comma 
dell'articolo 116 (nel quale si prevede che ulteriori forme e condizioni particolari 
di autonomia possano essere previste per singole regioni anche in tema 
di tutela dei beni culturali) sia nell'art. 118, terzo e quarto comma, dove si prevede 
che la legge statale disciplini forme di intese e coordinamento tra Stato 
e regioni proprio nella materia della tutela dei beni culturali. 
Come per l'ambiente e per il paesaggio, diventa centrale il principio di 
sussidiariet�: concetto nuovo e fondamentale, che non a caso nasce a livello 
europeo in materia di ambiente, e con il quale si deve confrontare ogni ipotesi 
di riordino degli apparati amministrativi del settore. 
Attraverso la sussidiariet� si potranno dare soluzioni alle esigenze di raccordo 
e di coordinaniento fra il centro, la periferia e i privati. 
Non entro nel merito delle soluzioni; ma sicuramente questo � un capitolo importantissimo 
per l'organizzazione delle funzioni, sul quale c'e molto da lavorare. 
Se ci si rende conto dell'impossibilit� di scindere la tutela dell'ambiente e 
dei beni culturali attribuita al centro, dalla valorizzazione, che rientra invece 
nei compiti delle regioni, e dalla stessa fruizione, che pu� coinvolgere l'iniziativa 
dei privati, la direzione in cui muoversi � quella dell'individuazione delle 
forme di coordinamento e degli istituti che lo rendano possibile ed efficiente. 
Questa impostazione dovrebbe guidare anche l'aggiornamento del Codice 
Urbani (anche se, a mio avviso, il Codice � il risultato positivo da tenere come 
punto femo del nostro sistema: infatti, quando si arriva alla formulazione di un
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 317 
Codice, se esso ha la dignit� di Codice, � bene tutelarlo e rinunciare ad opere 
di completa revisione, puntando solo sulla manutenzione o sul 'restauro'). Nell'ambito 
del Codice, probabilmente occorre stabilire quelle che sono le responsabilit�: 
ed chiaro che riferendosi alla responsabilit� della tutela non si pu� non 
fare tesoro dell'esperienza delle Soprintendenze. Bisogna cio� essere capaci di 
imporre soluzioni in modo distante, senza lasciarsi coinvolgere, dagli interessi 
locali. Ma � chiaro che le Soprintendenze non possono fare tutto. Perch� se 
pretendono di poter svolgere un ruolo attivo su tutti i settori, rischiano di svolgere 
ruoli al di fuori della loro portata (per esempio, per il paesaggio, occorrono 
competenze tecniche diverse da quelle che hanno gli storici dell'arte). 
Indubbiamente ci sono funzioni che debbono essere svolte al livello centrale, 
perch� attengono a beni e complessi di beni che si caratterizzano per il 
loro valore identitario dell'unit� nazionale. In questo senso, bisogna essere intransigenti 
sul fatto che lo Stato faccia bene il suo mestiere di tutela, che abbia 
la capacit� di guidare le attivit� da svolgere in sede locale attraverso l'elaborazione 
di linee guida, che predisponga piani di gestione secondo le tecniche 
dei siti d'interesse Unesco e comunitario: che mostri cio� di avere quella capacit� 
che gli � propria, nel dare il coordinamento indispensabile sul piano 
delle elaborazioni tecniche e scientifiche e delle idee guida. 
Lo svolgimento di un ruolo forte di coordinamento e di direzione da parte 
degli organi centrali, permetter�, attraverso i meccanismi propri della sussidiariet� 
di ottenere l'applicazione concreta e l'amministrazione puntuale delle 
linee guida da parte degli enti regionali e locali. 
In una fase come quella attuale, in cui le risorse a disposizione sono molto 
scarse, il lavoro da fare pare quello di attivare la ricerca di nuovi strumenti e 
nuove tecniche di coordinamento e quello di precisare una nuova disciplina 
degli istituti pi� idonei a consentire la fruizione dei beni culturali (come i 
musei, i siti Unesco e i siti naturali, le citt� d'arte, ma anche le fondazioni musicali, 
i teatri, ecc.) 
Occorre anche, per questa via, individuare nuove forme di partecipazione 
e di intervento dell'iniziativa privata. 
Ciascuno deve poter svolgere adeguatamente il suo ruolo. Il principio di 
fondo, a mio avviso, � quello giustamente richiamato nel corso di questo convegno: 
quello della insostituibilit� delle valutazioni scientifiche effettuate dagli 
apparati centrali, ma anche quello delle differenziazioni che debbono essere 
fatte nelle diverse realt� territoriali e culturali. Sussidiariet� e differenziazione 
sono concetti del diritto comunitario di importanza fondamentale: a questi 
principi si dovr� ispirare ogni iniziativa di riordino e di nuova definizione dell'esercizio 
delle funzioni degli apparati amministrativi centrali e locali, nella 
prospettiva disegnata dall'art. 9 della nostra Costituzione.
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Per un bilanciamento di valori tra persona e impresa 
Stefano Bini* 
SOMMARIO: 1. Il rapporto tra diritto e tradizione: le regole come proiezione di valori 
condivisi - 2. Dalla Costituzione all�autonomia privata collettiva: la centralit� di un equilibrato 
bilanciamento di valori - 2.1. Un caso di studio: lo sciopero nei servizi pubblici essenziali 
- 3. Il ruolo della Corte costituzionale nell�evoluzione dell�ideologia normativa: il 
parametro della razionalit� applicato al bilanciamento di interessi - 3.1. Un caso di studio: 
il contratto a termine illegittimo e l�indennit� onnicomprensiva: l. 183/2010 (art. 32, commi 
5, 6, 7) e Corte cost. n. 303/2011. 
1. Il rapporto tra diritto e tradizione: le regole come proiezione di valori condivisi. 
Per cogliere pienamente la centralit� dei valori e del loro bilanciamento 
a fondamento del discorso giuridico, ed in special modo nell�ambito del Diritto 
del lavoro, appare rilevante soffermarsi in via preliminare sul rapporto intercorrente 
tra �diritto� e �tradizione� (1). 
Il �diritto� in termini teorico-generali pu� essere definito come l�insieme di 
regole condivise, interiorizzate e radicate nella coscienza collettiva di una determinata 
comunit�, mentre la �tradizione� consiste nella sintesi ed espressione di 
valori etici e principi morali socialmente condivisi, identificativi di una collettivit�, 
al punto tale da essere capace di esprimere una comune ideologia normativa. 
Da un�analisi congiunta delle due definizioni, si rileva in tutta evidenza che 
allorquando il diritto, nel suo continuo processo di sviluppo storico-evolutivo, 
si allontana dalla tradizione, determinando cos� una frattura, uno scollamento 
tra le due menzionate categorie, il risultato si determina conseguentemente, il 
passaggio da un�intima condivisione valoriale ad una arbitraria imposizione di 
regole, socialmente non condivise e quindi percepite come imposte. 
Il rischio di un possibile scollamento tra diritto e tradizione si avverte 
come potenzialmente concreto nel rapporto tra la tradizione valoriale nazionale 
ed un diritto espressivo di una identit�, quale ad esempio quella europea, percepibile 
come diversa, estranea, non condivisa (in quanto fondata su valori 
non del tutto coincidenti con quelli nazionali) e, dunque, come imposta. 
Interessante e quanto mai attuale profilo di concreta criticit�, relativamente 
alla coerenza tra regole e tradizione, presenta il rapporto tra ordinamento 
nazionale ed ordinamento comunitario. Esso, improntato ad una 
(*) Ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato, dottorando di ricerca in �Diritto 
ed impresa� presso la LUISS �Guido Carli� di Roma. 
(1) Si veda al riguardo il saggio del �Maestro�: R. PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale 
e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. Lav., 2006, pp. 1542-1566, al cui studio questo scritto � profondamente 
ispirato.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 319 
relazione di autonomia e di netto dualismo istituzionale, sebbene �contaminato� 
da un insieme di norme tese a garantire un efficace coordinamento tra 
normativa statale e comunitaria, viene dunque in rilievo quale legame tra l�insieme 
di valori e principi socialmente condivisi dalla comunit� nazionale ed 
un diritto rappresentativo di valori e principi altri (2). 
Soccorre peraltro, di fronte al profilarsi di un siffatto rischio, la previsione 
costituzionale di un organo di chiusura del sistema, la Corte costituzionale che, 
come si vedr� pi� dettagliatamente (v. infra � 3), � investita della difficile funzione 
di integrazione del diritto nazionale con quello di derivazione comunitaria 
(anche alla luce di un necessario e proficuo dialogo con la Corte europea) (3), 
individuando coerenze e superando antinomie, cos� da ricondurre a sistema i differenti 
prodotti normativi, nel superamento del conseguente caos normativo (4). 
Risulta infatti imprescindibile concepire il diritto, ed il diritto del lavoro in 
modo particolare, come complesso normativo soggetto ad un continuo e costante 
fluire storico-evolutivo, che risente in maniera significativa anzitutto dell�accentuata 
e duratura situazione di instabilit� socio-economica; quest�ultima, infatti, 
influisce significativamente sul succedersi delle scansioni temporali del 
diritto, producendo cos� indirettamente anche una progressiva stratificazione di 
quei valori e quei principi morali che formano la tradizione di una comunit� (5). 
Il consequenziale caos normativo (6) ed il marcato clima di incertezza - 
sulla cui origine un ruolo centrale � assunto anche dalla stessa giurisprudenza, 
allorquando questa assecondi spinte autoreferenziali e talvolta non sempre 
coerenti (7) - accompagnano, come dei �traumi ordinamentali� (8), le fasi di 
transizione tra ideologie normative. 
(2) Particolarmente florida �, sul punto, la produzione della dottrina giuslavoristica; si vedano ex 
multis: G. SANTORO PASSARELLI, Il difficile adeguamento del diritto interno al diritto comunitario, in 
Riv. It. Dir. Lav., 1998, I, pp. 317 e ss; M. D�ANTONA, Armonizzazione del diritto del lavoro e federalismo 
nell�Unione Europea, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1994, pp. 695 e ss.; R. FOGLIA, Il lavoro, in M. BESSONE 
(diretto da), Il diritto privato nell�Unione Europea, Torino, 1999, pp. 18 e ss. 
(3) Interessante al riguardo � lo studio di R. FOGLIA, Il ruolo della Corte di Giustizia e il rapporto 
tra giudice comunitario e i giudici nazionali nel quadro dell�art. 177 del Trattato (con particolare riferimento 
alle politiche sociali), in Dir. Lav., 1999, I, pp. 138 e ss. 
(4) M. PERSIANI, Diritto del lavoro e autorit� dal punto di vista giuridico, in Arg. Dir. Lav., 2000, 
I, p. 14; A.M. SANDULLI, Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, in Dir. Soc., 
1975, pp. 561 e ss. 
(5) Il diritto quale fondamentale componente culturale della societ�, come tale, soggetto ad un 
processo di evoluzione storica � presentato anche in G. VISENTINI, Lezioni di teoria generale del diritto, 
Padova, 2008, pp. 2 e ss.: �Il diritto � fenomeno storico e peculiare di una civilt�, quella alla quale apparteniamo, 
che oggi va diffondendosi� (p. 4). 
(6) Espressione coniata da M. PEDRAZZOLI, La difficile conoscibilit� delle norme. In margine ad 
un Codice dei Valori, in AA. VV., Scritti in memoria di M. D�Antona, Milano, 2004, pp. 1181 e ss. 
(7) Come posto in luce da Mattia Persiani nella sua relazione - sul tema L�interpretazione: categorie 
concettuali e argomentazioni retorico-persuasive - al seminario di Bertinoro, 15-16 luglio 2005, 
Le fonti e l�interpretazione nel diritto del lavoro. 
(8) R. PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. 
Lav., 2006, p. 1543.
320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Affermato allora l�incessante fluire evolutivo delle regole che compongo 
un �diritto� in rapporto ad una �tradizione�, occorre a tal punto sottolineare 
come, tuttavia, il lungo e lento processo di interiorizzazione ed assorbimento 
nelle coscienze collettive di una determinata tradizione (favorito anche dalla 
rilevante incidenza delle dinamiche comunicative), percepita quindi come 
�propria� ed identificativa di un idem sentire, non si pone come facilmente 
modificabile in un momento storico successivo (9). 
Condicio sine qua non affinch� il continuo evolversi del diritto non sfoci 
in una vuota e pericolosa manifestazione di arbitrariet�, ma sia sempre invece 
espressione di una comune ideologia normativa, � costituita dunque dal suo restare 
necessariamente e solidamente ancorato ad un robusto substrato valoriale. 
Di straordinaria profondit� e chiarezza risulta a tal proposito la visione sistemico-
valoriale cristallizzata da autorevole dottrina (PERSIANI, 2005): �il giurista 
non � solo quando possa contare su una robusta codificazione di valori, quali 
quelli espressi dalla Carta Costituzionale e da un organo di chiusura del sistema 
che vigila sulla loro persistenza nell�ordinamento, garantendo un processo evolutivo 
operato attraverso un loro ragionevole e razionale bilanciamento� (10). 
In queste parole � infatti espresso con grande efficacia il conforto che il 
giurista trae dalla presenza di un solido fondamento valoriale, sotteso alla produzione 
normativa. 
La coerenza e la costante aderenza del diritto alla tradizione sono infine 
assicurate dall�attento e scrupoloso vaglio di legittimit� costituzionale operato 
dalla Corte costituzionale che, attraverso le lenti della razionalit�, valuta il bilanciamento 
di interessi condotto dal legislatore, nelle sue scelte politiche. 
2. Dalla Costituzione all�autonomia privata collettiva: la centralit� di un equilibrato 
bilanciamento di valori. 
�I valori sostanziali (o materiali) sono gli elementi primi delle disposizioni 
costituzionali e il loro contenuto essenziale. Ma i valori non sono strutture inerti 
o cose. Essi sono portatori di una propria logica �essenziale� e �di relazione� ed 
esigono, pertanto, che le regole dell�interpretazione e la natura stessa dell�ermeneutica 
si adeguino alla loro logica, alla logica della ragionevolezza e alle regole 
sulle relazioni tra valori (bilanciamento, ecc.). Essi, dunque, esigono un profondo 
rinnovamento teorico e un significativo cambiamento del metodo [...]� (11). 
(9) Si prenda a questo proposito in esame un caso particolarmente emblematico, quale quello 
della c.d. �impermeabilit� della societ� alla recezione della previdenza complementare� (cfr. R. PESSI, 
Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. Lav., 2006, p. 1544). 
Per una trattazione pi� ampia della previdenza complementare nell�ambito del modello costituzionale 
italiano si veda R. PESSI, Lezioni di diritto della previdenza sociale, Torino, 2012, pp. 25-26 e 805-855. 
(10) M. PERSIANI, relazione sul tema L�interpretazione: categorie concettuali e argomentazioni 
retorico-persuasive, al seminario di Bertinoro, 15-16 luglio 2005, Le fonti e l�interpretazione nel diritto 
del lavoro, in R. PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. 
Dir. Lav., 2006, p. 1545.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 321 
Constatata dunque la necessaria ed imprescindibile coesistenza, nell�impianto 
assiologico dei principi costituzionali, dei valori del lavoro e dell�impresa, 
occorre acquisire piena consapevolezza della impossibilit� di raccordare 
tali valori ordinandoli lungo una scala gerarchica, risultando invece quanto 
mai fondamentale lo sforzo di garantire la coesistenza tra gli stessi, attraverso 
il ricorso alla tecnica del bilanciamento (12). 
Quella che viene infatti definita dal �Maestro� (PESSI, 2006) come �crisi 
di identit�� del diritto del lavoro impone di procedere ad un approccio sistematico 
delle norme e dei principi costituzionali in materia di lavoro ed impresa. 
Assumendo - alla luce delle esposte considerazioni di teoria generale del 
diritto (v. supra � 1) - la Costituzione come il �precipitato in opzioni di diritto 
positivo dei valori etici, ovvero la positivizzazione dei principi morali� (13), 
chiara emerge, ad un�analisi assiologica del dettato normativo costituzionale, 
la prevalenza dei valori della persona su quelli dell�impresa, soggetti a limitazioni 
non previste invece per la prima categoria (14). 
Di fondamentale importanza � dunque concepire l�impresa, e pi� in generale 
le ragioni dell�efficienza economica, in un�ottica strumentale, come essenziale 
precondizione per la tutela degli interessi della persona. 
Nello spirito di costante ricerca di un equilibrato bilanciamento tra interessi 
e valori reciprocamente distanti, il diritto del lavoro costituisce terreno prioritario 
per la composizione di antinomie normative, espressive di interessi contrapposti, 
ma da non considerare mai come irrisolvibili posizioni contraddittorie. 
L�area normativa del diritto del lavoro, inteso nella sua accezione pi� 
ampia, emerge come intrinsecamente e profondamente connotata da sostanziali 
rapporti di tensione dualistica; si pensi, oltre al principale binomio capitale/lavoro 
anche alla cruciale contrapposizione tra insiders (soggetti occupati, la- 
(11) A. BALDASSARRE, Costituzione e teoria dei valori, in Pol. Dir., 1991, IV, p. 658. Dello stesso autore 
si veda anche A. BALDASSARE, Diritti della persona e valori costituzionali, Torino, 1997, pp. 80 e ss. 
(12) M. PERSIANI, Diritto del lavoro e autorit� del punto di vista giuridico, in Arg. Dir. Lav., 2000, 
I, p. 17. 
(13) R. DE LUCATAMAJO, Giurisprudenza costituzionale e diritto del rapporto di lavoro, in AA. VV., 
Lavoro. La Giurisprudenza costituzionale (1 luglio 1989 - 31 dicembre 2005), vol. IX, Roma, 2006, p. 42. 
(14) Il principale esempio in merito � rinvenibile nella stessa formulazione dell�art. 41 Cost. che, 
nei primi due commi, esprime efficacemente l�esigenza di un equilibrato contemperamento tra le ragioni 
dell�iniziativa economica privata (riconosciuta come libera al primo comma: �L�iniziativa economica 
privata � libera�) e la sfera delle libert� e dei diritti della persona umana (sanciti dal secondo comma: 
�Non pu� svolgersi in contrasto con l�utilit� sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libert�, 
alla dignit� umana�). Predisponendo, dunque, il secondo comma dell�articolo in esame un sistema di limiti 
all�iniziativa economica privata, si esprime implicitamente il disegno dei padri costituenti teso a riconoscere 
la preminenza dei valori della persona su quelli dell�attivit� economica. 
Si segnala un interessante studio su tali aspetti, rappresentato da F. MAZZIOTTI, Diritti fondamentali e 
solidariet� nei rapporti di lavoro, in R. PESSI e A. VALLEBONA (a cura di), Il lavoratore tra diritti della 
persona e doveri di solidariet�, Padova, 2011, pp. 121 e ss.; l�autore riconosce nel comma 2 dell�art. 41 
Cost.: �il primo e principale limite alla realizzazione di finalit� economiche�, nonch�: �il principale riconoscimento 
dei diritti fondamentali nei rapporti di lavoro�.
322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
voratori) ed outsiders (potenziali lavoratori, soggetti che ambirebbero ad essere 
occupati ed inseriti nei processi produttivi) (LINDBECK, SNOWER, 1988), 
determinata dalla endemica condizione di scarsit� occupazionale che caratterizza 
il mercato del lavoro, come anche dalla c.d. �rigidit� salariale� che non 
rende �vantaggioso� per il datore di lavoro il turn over, a causa dei costi connessi 
al ricambio della forza lavoro (15). 
Il conflitto, da esercitarsi sempre nel pieno rispetto della legalit� costituzionale, 
si presenta quindi quale componente intrinsecamente irrinunciabile, 
caratterizzante le relazioni sociali ed espressiva della forma di Stato pluralista 
e democratica: come evidenzia il �Maestro� (PESSI, 2006), infatti, occorre superare 
ogni forma di tentato superamento del conflitto, rendendosi invece 
quanto mai necessario operare, nell�ambito del conflitto medesimo, un continuo 
e costante tentativo di composizione, armonizzazione e bilanciamento 
degli interessi e, dunque, dei valori interessati da rapporti di tensione (16). 
Il diritto del lavoro, in estrema sintesi, si sostanzia - pi� di ogni altro ramo 
del diritto - nella perpetua ricerca di un assetto quanto pi� possibile bilanciato 
e ragionevolmente equilibrato dei molteplici ed eterogenei interessi coinvolti, 
da considerarsi questi ultimi in una logica dualistica di tensione da comporre, 
mediante proficui risultati compromissori. 
2.1. Un caso di studio: lo sciopero nei servizi pubblici essenziali. 
Al fine di verificare concretamente e applicare praticamente quanto sin 
qui affermato in una dimensione prettamente teorico-speculativa, si prende in 
esame un importante fenomeno, nell�ambito del diritto sindacale, che presenta 
- anzitutto per le sue numerose implicazioni sociali - maggiori aspetti di interesse: 
lo sciopero nei servizi pubblici essenziali (17). 
La disciplina introdotta con la l. 12 giugno 1990, n. 146 (18) - nella legislazione 
italiana, unica previsione legislativa in materia di sciopero (19) - rappresenta 
�un indicatore delle profonde trasformazioni del sistema 
costituzionale delle relazioni sociali� (20), costituendo essa stessa uno strumento 
di e per il bilanciamento tra interessi potenzialmente confliggenti. 
(15) R. PESSI, Persona e impresa nel diritto del lavoro, in AA. VV., Diritto e libert�: studi in memoria 
di Matteo Dell�Olio, Torino, 2008, pp. 1238-1257; A. LINDBECK, D.J. SNOWER, The insider-outsider 
theory of employment and unemployment, London, 1988, pp. 2 e ss.; R. DEL PUNTA, L�economia 
e le ragioni del diritto del lavoro, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2001, pp. 3 e ss. 
(16) R. PESSI, Economia e diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2006, p. 448. 
(17) R. PESSI, Lezioni di diritto del lavoro, Torino, 2012, pp. 193 e ss.; M. PERSIANI, Diritto sindacale, 
Padova, 2012, pp. 247 e ss. 
(18) M.N. BETTINI, La legge 12 giugno 1990, n. 146 nella opinione degli interpreti: lo stato dell�arte, 
in Riv. Giur. Lav., 1991, I, pp. 479 e ss. 
(19) Francesco Santoro Passarelli definiva la situazione del diritto sindacale in generale e del diritto 
di sciopero in particolare come un �diritto senza norme�: si veda l�interessante saggio di M. PERSIANI, 
Diritti fondamentali della persona e diritto dei lavoratori a scioperare, in DL, 1992, I, pp. 13 e ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 323 
Il contemperamento che viene per� qui in considerazione assume contorni 
di straordinaria peculiarit�, dovendosi operare un procedimento di bilanciamento 
non tra �semplici� interessi contrastanti, bens� tra diritti costituzionali 
fondamentali. 
Certamente prezioso � richiamare in questa sede la formulazione dell�art. 
1, comma 2, della legge qui in esame, cos� da cogliere nella sua pienezza 
l�espressione della ratio normativa: �Allo scopo di contemperare l�esercizio 
del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente 
tutelati, di cui al comma 1, la presente legge dispone le regole da rispettare 
e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare 
l�effettivit�, nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi, in particolare 
nei seguenti servizi e limitatamente all�insieme delle prestazioni individuate 
come indispensabili ai sensi dell�articolo 2 [...]�. 
Prima ancora dell�entrata in vigore della l. 146/1990, la giurisprudenza 
aveva giocato un ruolo decisivo nel riconoscere forme di tutela agli interessi 
della persona coinvolti nell�esercizio del diritto di sciopero, ma comunque 
estranei rispetto a quelli propri delle parti coinvolte nel conflitto industriale. 
Si pensi, tra le molteplici, alla sentenza della Corte di Cassazione, 30 gennaio 
1980, n. 711, nella quale si riconosce lungimirantemente la necessit� di esercitare 
il diritto di sciopero secondo modalit� che non ledano altri interessi costituzionalmente 
rilevanti (21); l�importanza della sentenza ha indotto 
autorevole dottrina (PERSIANI, 2000) a considerare la stessa addirittura quale 
fonte di ispirazione della successiva l. 146/1990 (22). 
In ultima analisi, quindi, l�art. 1, comma 2, l. 146/1990 racchiude l�intima 
essenza del bilanciamento di interessi, presentando con grande chiarezza 
espressiva i termini del bilanciamento da operare, nonch� la finalit� centrale 
dell�intervento normativo, da rinvenire nell�esigenza di armonizzare l�esercizio 
di diritti tutti costituzionalmente tutelati. Come posto in luce dalla surrichiamata 
dottrina (PERSIANI, 1992), infine, la chiave interpretativa della legge qui 
in esame � da rinvenire nella consapevolezza che la ratio della norma risiede 
nella tutela dei diritti della persona (e quindi non nella primaria esigenza di assicurare 
l�esercizio del diritto di sciopero) e, conseguentemente pu� pertanto 
procedersi al bilanciamento solamente allorquando il conflitto si ponga tra di- 
(20) O. ROSSELLI, La dimensione costituzionale dello sciopero, Torino, 2005, p. 80. Si noti peraltro 
che l�autore ha accompagnato il titolo dell�opera con l�efficace sottotitolo: �Lo sciopero come indicatore 
delle trasformazioni costituzionali�, cos� da enfatizzare la rilevante tendenza evolutiva che ha caratterizzato 
l�istituto dello sciopero nell�ordinamento giuridico italiano; �l�idea stessa di sciopero � il prodotto 
della cultura del tempo e questa fornisce il substrato al legislatore ed all�interprete [...] per giungere, secondo 
i poteri che l�ordinamento loro attribuisce, a definirlo giuridicamente� (p. 88). 
(21) Cass., 30 gennaio 1980, n. 711, in Giust. Civ., 1980, I, pp. 803 e ss. 
(22) M. PERSIANI, Diritto del lavoro e autorit� del punto di vista giuridico, in Arg. Dir. Lav., 2000, 
I, pp. 27-28.
324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
ritto di sciopero e diritti della persona umana di rango �paritario� (23). 
3. Il ruolo della Corte costituzionale nell�evoluzione dell�ideologia normativa: 
il parametro della razionalit� applicato al bilanciamento di interessi. 
Il naturale percorso storico-evolutivo dell�ideologia normativa propria 
dell�ordinamento nazionale � accompagnato, con grande equilibrio, dai giudici 
costituzionali che, attraverso il vaglio di costituzionalit�, compiono una continua 
e cruciale valutazione di natura metagiuridica, tesa ad individuare ed 
analizzare nel profondo i valori sottesi alle scelte legislative. Il processo di 
continua ��vivificazione� dell�ideologia normativa� di cui si dir� (v. infra � 
3.1.), � infatti compiuto dalla Corte attraverso un giudizio che rimanda costantemente 
al corpus valoriale che legittima le scelte politiche rinvenibili nei 
provvedimenti legislativi. 
In materia giuslavoristica, in particolare, si coglie ancor pi� concretamente 
la funzione di chiusura del sistema che la Corte riveste, compiendo essa 
il giudizio di costituzionalit� su una normativa che rappresenta costantemente 
la continua espressione di una dialettica compromissoria tra i differenti interessi 
coinvolti. La legislazione lavoristica costituisce invero il frutto di una 
continua tensione valoriale che il legislatore cerca di comporre attraverso il 
ricorso alla preziosa tecnica del bilanciamento di interessi (24). Proprio su un 
tale fondamentale presupposto, i giudici costituzionali sottopongono le scelte 
legislative ad un controllo di proporzionalit� rispetto ai valori ed ai principi 
cristallizzati nella Costituzione (da intendersi - come richiamato in supra � 2 
- quale �precipitato in opzioni di diritto positivo dei valori etici, ovvero la positivizzazione 
dei principi morali� (25)). 
La grande capacit� dei giudici costituzionali di non considerare l�ordinamento 
come mero corpo normativo statico ed autoconcluso pu� essere pienamente 
apprezzata, specialmente con riferimento alla legislazione del lavoro, 
nell�opera di vigilanza - condotta attraverso una incessante lettura evolutiva 
dei valori costituzionali, anche mediante il ricorso a tecniche ermeneutiche 
tese al continuo adeguamento del tessuto normativo esistente ai mutati contesti 
storico-sociali (26) - sulla ragionevolezza complessiva del contemperamento 
di interessi condotto dal legislatore. 
Tale funzione di presidio della comune ideologia normativa ha necessa- 
(23) M. PERSIANI, Diritti fondamentali della persona e diritto dei lavoratori a scioperare, in DL, 
1992, I, p. 18. 
(24) Cfr. R. PESSI, Fattispecie ed effetti nel diritto del lavoro, in R. PESSI, Valori e regole costituzionali, 
Roma, 2009, pp. 137 e ss. 
(25) R. DE LUCATAMAJO, Giurisprudenza costituzionale e diritto del rapporto di lavoro, in AA. VV., 
Lavoro. La Giurisprudenza costituzionale (1 luglio 1989 - 31 dicembre 2005), vol. IX, Roma, 2006, p. 42. 
(26) Con riferimento alle molteplici tecniche interpretative, si veda F. MODUGNO, Appunti dalle 
lezioni di teoria dell�interpretazione, Padova, 1998, pp. 2 e ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 325 
riamente indotto la Corte ad elaborare una serie di strumenti e di canoni concettuali, 
mediante i quali condurre una valutazione circa l�eventuale arbitrariet� 
del bilanciamento di interessi e valori condotto dal legislatore. Di importanza 
assolutamente preminente in tal senso �, tra tutti, il parametro della razionalit�, 
da intendersi quale criterio informatore del controllo di legittimit�, in termini 
di coerenza, adeguatezza e proporzionalit� delle scelte politiche operate in 
sede legislativa nel bilanciare interessi distanti, rispetto ai principi valoriali, 
costituzionalmente cristallizzati. 
�Ponendosi i principi costituzionali come elementi direttivi del sistema 
giuridico, diviene necessario il giudizio di coerenza tra quei principi ed il singolo 
precetto dettato dal legislatore ordinario� (27). 
3.1. Un caso di studio: l. 183/2010 (art. 32, commi 5, 6, 7) e Corte cost. n. 
303/2011 (contratto a termine illegittimo e indennit� onnicomprensiva) (28). 
Volendo individuare un concreto caso di specie esemplificativo della cruciale 
funzione di garanzia, in termini di coerenza e razionalit�, assolta dalla 
Corte costituzionale, si ritiene particolarmente prezioso il richiamo, seppur 
sintetico, di una storica sentenza della Corte, dalla cui formulazione traspare 
chiaro il controllo di razionalit� condotto su un concreto bilanciamento di interessi. 
La Corte costituzionale, con la sentenza 11 novembre 2011, n. 303, ha 
dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimit� costituzionale, sollevate 
con riferimento all�art. 32, commi 5, 6, 7 della legge 4 novembre 2010, 
n. 183 (c.d. �collegato lavoro�). 
L�essenza dell�art. 32, l. 183/2010, sul quale si � concentrato il giudizio 
di costituzionalit� dei giudici della Corte costituzionale, � da rinvenire nella 
definizione di nuovi criteri per il risarcimento del danno spettante al lavoratore, 
nell�ipotesi di illegittimit� del termine di durata apposto al contratto di lavoro; 
in caso di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto 
a tempo indeterminato, viene infatti previsto dal comma 5 dell�art. 32 della l. 
183/2010, un tetto all�indennit� risarcitoria avente carattere onnicomprensivo, 
alla cui corresponsione � tenuto il datore di lavoro (da un minimo di 2,5 ad un 
massimo di 12 mensilit� dell�ultima retribuzione globale di fatto). 
Disattendendo le argomentazioni poste a fondamento delle ordinanze di 
rimessione, nelle quali si assumeva l�innovativa normativa come �irragionevolmente 
riduttiva del risarcimento del danno integrale gi� conseguibile dal 
(27) R. PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. 
Lav., 2006, p. 1553. 
(28) Per un�analisi pi� approfondita della sentenza qui brevemente commentata si rinvia a S. BINI, 
Nota a sentenza Corte Costituzionale, 11 novembre 2011, n. 303. Indennit� onnicomprensiva e contratto 
a termine: certezza del diritto e bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti, in Iuris Prudentes, 
2012, 4, pp. 12-13.
326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
lavoratore sotto il regime previgente� (29), la Corte ha riconosciuto la legittimit� 
costituzionale della disposizione contenuta nell�importante provvedimento 
legislativo del 2010, sostenendo l�idoneit� e l�adeguatezza della stessa 
a conseguire un equilibrato bilanciamento d interessi contrastanti. 
La Corte costituzionale considera, in sintesi, l�art. 32, l. 4 novembre 2010, 
n. 183 come l�equilibrato punto di sintesi di interessi tra loro contrapposti: da 
un lato, infatti, viene garantita al lavoratore sia l�indennit� risarcitoria avente 
carattere forfettario ed onnicomprensivo, sia la conversione del rapporto di lavoro 
a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato (ecco dunque come 
appare chiara la natura aggiuntiva e non sostitutiva di quella che potrebbe definirsi 
come sanzione economica per il datore di lavoro); dall�altro lato, invece, 
trovano tutela le ragioni propriamente datoriali, consentendosi la predeterminazione 
del risarcimento del danno conseguente alla illegittima apposizione 
del termine, con la fondamentale e storica introduzione della limitazione all�indennit� 
stessa, relativa al periodo intercorrente tra la data di interruzione 
del rapporto di lavoro e quella dell�accertamento giudiziale del diritto del lavoratore 
alla stabilizzazione dello stesso (fermo restando, naturalmente, il diritto 
alla retribuzione per il periodo successivo alla sentenza) (30). 
Ai fini del presente studio, risulta particolarmente efficace la formulazione 
della sentenza qui richiamata, giacch� al punto 3.3.1 del �considerato in diritto�, 
si legge che: �in definitiva, la normativa impugnata risulta, nell�insieme, adeguata 
a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi� (31). 
Nelle poche parole appena riportate � invero possibile rinvenire l�essenza 
stessa del ruolo di chiusura del sistema, di cui � investita la Corte costituzionale: 
assolutamente centrale nell�evoluzione dell�ideologia normativa, essa 
assolve infatti ad una cruciale funzione di guida nel processo storico-evolutivo 
della comune tradizione giuridica. 
(29) Si riportano per completezza gli estremi delle ordinanze di rimessione: Cass., 28 gennaio 
2011, n. 2012 e Trib. Trani, 20 dicembre 2011; in esse la presunta illegittimit� dell�art. 32, commi 5, 6, 
7, l. 183/2010 viene asserita in relazione agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 e 111, comma 1 della Costituzione. 
(30) Per un�analisi particolarmente accurata della normativa introdotta dal c.d. �collegato lavoro� 
in materia di contratto a termine si vedano: A. VALLEBONA, La certezza finalmente alla ribalta: legittimit� 
costituzionale dell�indennit� per il termine illegittimo, in Mass. Giur. Lav., 2011, n. 12, pp. 939 e ss.; A. 
VALLEBONA, Il collegato lavoro: un bilancio tecnico, in Mass. Giur. Lav., 2010, n. 12, pp. 900 e ss.; A. 
VALLEBONA, Una buona svolta del diritto del lavoro: il �collegato� 2010, in Mass. Giur. Lav., 2010, n. 
4, pp. 210 e ss. 
(31) Proseguono poi i giudici della Corte, esponendo efficacemente i contenuti del bilanciamento 
di interessi condotto dal legislatore del collegato, ritenuto adeguato dalla stessa Corte: �[...] al lavoratore 
garantisce la conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, 
unitamente ad un�indennit� che gli � dovuta sempre e comunque, senza necessit� n� dell�offerta 
della prestazione, n� di oneri probatori di sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, assicura la predeterminazione 
del risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data d�interruzione 
del rapporto fino a quella dell�accertamento giudiziale del diritto del lavoratore del riconoscimento della 
durata indeterminata di esso�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 327 
Come autorevolissima dottrina (PESSI, 2006) ha riconosciuto, la straordinariet� 
dell�importanza della Corte pu� cogliersi nell�abilit� della stessa di favorire 
una continua �vivificazione� dell�ordinamento giuridico, senza mai concepire lo 
stesso come un sistema autoreferenziale e, come tale, autoconcluso (32). 
Attraverso il vaglio di costituzionalit�, dunque, la Corte conduce una continua 
valutazione di adeguatezza della produzione normativa, tesa a garantire 
costantemente - anche e soprattutto attraverso un prezioso e proficuo �dialogo 
pedagogico� intessuto con il legislatore (33) - la non arbitrariet� del diritto (v. 
� 1), l�effettiva aderenza del diritto alla tradizione e quindi la complessiva coerenza 
dell�assetto normativo rispetto al complesso di valori e principi eticomorali 
espressione della comunit� e collettivit� nazionale. 
(32) R. PESSI, Diritto del lavoro: bilancio di un anno tra bipolarismo e concertazione, Padova, 
2008, pp. 12 e ss. 
(33) R. PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. 
Lav., 2006, p. 1558.
328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
L'Astreinte amministrativa. Problematiche applicative dell'art. 
114, co. 4, lett. e), c.p.a. e prime applicazioni giurisprudenziali 
Giulia Guccione* 
Con l'art. 114, comma 4, lettera e), del codice del processo amministrativo 
� stata per la prima volta introdotta, in via generale, la cd. penalit� di mora 
Un istituto, quest'ultimo, avente affinit� con quello gi� previsto, per il 
processo civile, dall'art. 614 bis c.p.c., aggiunto dall'art. 49 della legge 18 giugno 
2009, n. 69 con il precipuo scopo di completare la tutela esecutiva e fornire 
all'organo giudicante un efficace strumento di attuazione delle sentenze di condanna 
agli obblighi di fare infungibile o di non fare. Obblighi, questi, che per 
loro intrinseca natura richiedono una non surrogabile attivit� di collaborazione 
e cooperazione da parte del soggetto obbligato (1). 
Riprendendo il modello, fornito oltralpe, dell'astreinte, il legislatore - consapevole 
della inadeguatezza dei tradizionali mezzi di esecuzione forzata nel 
realizzare l'interesse creditorio all'adempimento di siffatte prestazioni - ha cos� 
introdotto una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario finalizzata a 
vincere la resistenza del debitore, inducendolo ad adempiere all'obbligazione 
sancita a suo carico. 
Nell'ambito del processo amministrativo, l'istituto della penalit� di mora 
� contenuto nel titolo I del libro IV del codice del processo amministrativo, 
all'interno della disciplina del giudizio dell'ottemperanza. 
Con l'articolo 114, comma 4, lett. e), c.p.a. si d� per la prima volta al giudice 
amministrativo la possibilit� di imporre alla pubblica amministrazione il 
pagamento di una somma di denaro qualora vi sia ritardo nell'esecuzione della 
sentenza o per ogni violazione del giudicato (2). 
Ci� che emerge ictu oculi � la portata pi� ampia rispetto all'art. 614 bis 
c.p.c.: da una prima, sommaria, lettura emerge che l'art. 114 c.p.a. non contiene, 
circa l'ambito di applicazione, limitazioni al solo caso di inadempimento 
degli obblighi aventi per oggetto un non facere o un facere infungibile, poich� 
non opera alcuna distinzione in ordine alla prestazione dedotta in giudizio. 
Giova sin d'ora anticipare che ci�, tuttavia, non ha impedito il sorgere di un 
contrasto applicativo a riguardo, risolto nei termini che successivamente verranno 
esaminati. 
(*) Abilitata alla professione forense, ha svolto pratica presso l'Avvocatura Generale dello Stato. 
(1) Per una panoramica sull'argomento si segnala: BARATELLA, Le pene private, Milano, 2006. 
(2) In tema si segnalano: AA.VV., Il nuovo codice del processo amministrativo, in Italia Oggi-Guida 
giuridico normativa, 2010, 82 ss.; CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo. Commento a tutte le 
novit� del giudizio amministrativo, Milano, 2010, 473 ss.; TARULLO, Il giudizio di ottemperanza alla luce 
del Codice del processo amministrativo, in Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2011. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 329 
Nelle intenzioni del legislatore v'era quella di introdurre, anche nel processo 
amministrativo, un istituto avente la generale finalit� (comune, per il 
vero, col rimedio processualcivilista) di dissuadere il debitore dal persistere 
nella mancata attuazione del dovere di ottemperanza: ad una siffatta identit� 
di ratio, e in virt� del generico rinvio operato dall'art. 39 c.p.a., consegue che 
- per quanto non specificamente disposto dall'art. 114 c.p.a. - troveranno applicazione 
anche nel processo amministrativo, le norme del processo civile, 
con particolar riferimento ai parametri di commisurazione della sanzione 
(salvo quanto appresso si dir� circa il criterio della quantificazione del danno). 
Sotto il profilo comparativo, la soluzione italiana si presenta del tutto peculiare: 
sorprende, infatti, che al tradizionale modello dell'ottemperanza, attributivo 
finanche del potere, concesso al giudice amministrativo in sede di 
giurisdizione di merito, di sostituirsi all'amministrazione attraverso lo strumento 
del commissario ad acta sia stato concesso l'ulteriore potere di irrogare 
sanzioni alla P.A., proprio di ordinamenti (3) (quali quello francese e tedesco) 
che attribuiscono esclusivamente all'Amministrazione il compito di eseguire 
e conformarsi a pronunce che impongano ad essa qualsivoglia obbligo. 
In tali sistemi, difatti, la tutela dei privati viene realizzata esclusivamente 
grazie all'effetto compulsorio dei meccanismi di coercizione indiretta, piuttosto 
che tramite sostituzione nell'attivit� amministrativa (4). 
Con la nuova previsione dell'art. 114, comma 4, lett. e) del c.p.a. l'ordinamento 
italiano diviene, pertanto, un sistema misto poich� permette l'opzione, 
ad istanza di parte, del rimedio compulsorio, comunque mantenendo la tradizionale 
possibilit� di surrogazione commissariale. 
Peculiarit�, questa, che ha portato la dottrina e la giurisprudenza a domandarsi 
su quali siano i rapporti fra i due strumenti di attuazione del giudicato 
e, in particolare, se la nomina del commissario ad acta sia compatibile con 
l'irrogazione di astreintes. 
� infatti pacificamente riconosciuta in giurisprudenza la possibilit�, per 
il ricorrente, di farne domanda cumulativa, ma non altrettanto chiaro � il potere 
del giudice a riguardo. In particolare ci si domanda se i rimedi siano fungibili 
l'uno all'altro, tale per cui la concessione dell'uno precluda l'altro. 
La ritenuta incompatibilit� andrebbe ravvisata nella circostanza che i due 
strumenti sono rappresentativi di due distinte concezioni del rapporto fra giudice 
amministrativo e potere della P.A.: l'astreinte infatti � conforme al principio 
di separatezza fra potere giudiziale e potere amministrativo (rigidamente 
accolto in Francia, tanto che in quest'ordinamento � sconosciuta la forma di 
(3) In tema, v. CAPPONI, Astreintes nel processo civile italiano? in Giust. Civ., 1999, 4; CHIARLONI, 
Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1980; MASUCCI, Il processo amministrativo in Francia, 
Milano, 1995; TARZIA, Presente e futuro delle misure coercitive civili, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1981. 
(4) PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2012.
330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
tutela della sostituzione commissariale); diversamente, la previsione normativa 
di nomina del commissario ad acta presuppone il superamento di tale rigida 
separazione, quando ci� sia necessitato dall'effettivit� della tutela giudiziaria. 
Chi sostiene la tesi dell'incompatibilit� - tale per cui delle due l'una: o 
permane in capo all'Amministrazione il dovere di agire o � il giudice ad adottare 
i provvedimenti necessari per la soddisfazione delle ragioni del ricorrente, 
direttamente o tramite la nomina di un commissario - trascura che, da tempo 
oramai, s'afferma che, anche qualora sia stata giudizialmente disposta l'esecuzione 
surrogatoria, l'Amministrazione mantiene il potere di provvedere, poich� 
questo, finch� non viene concretamente esercitato, non � ancora 
consumato (5). 
In tal senso � stata dunque riconosciuta la astratta possibilit� di concedere 
entrambe le misure "atteso che - secondo l'orientamento preferibile e prevalente 
- l'Amministrazione non perde il potere di provvedere dopo la nomina 
del commissario ad acta, sicch� la coazione indiretta costituita dall'astreinte 
continuerebbe ad aver un senso. Le due forme di tutela, in altri termini, appaiono 
cumulabili perch� non incompatibili tra loro" (6) ed � stata riconosciuta 
la possibilit�, per il giudice, sia di contestuale concessione delle stesse, 
sia di modulazione delle stesse in successione temporale, in maniera tale da 
subordinare l'entrata in scena del commissario ad acta al decorrere di un lasso 
di tempo in cui, invece, opererebbe l'astreinte (7). 
Fermo restando, naturalmente, che - poich� i presupposti delle due misure 
sono parzialmente differenti - il rigetto dell'una non comporta anche l'inammissibilit� 
dell'altra. 
Ammessa la astratta compatibilit� fra i due istituti, ci si potrebbe interrogare, 
tuttavia, circa la reale utilit� pratica di uno strumento di coercizione indiretta, 
laddove la soddisfazione dell'interesse creditorio sia attuabile 
direttamente tramite sostituzione nell'esecuzione degli obblighi. 
Analizzando gli ordinamenti stranieri, questa emerge con tutta evidenza 
dalla possibilit�, generalmente riconosciuta all'organo giudicante, di comminarla 
gi� in sede di cognizione: anticipare al momento della decisione del ri- 
(5) Sull'argomento, diffusamente, v. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 2000, 332 e ss. 
Ulteriori dubbi possono sorgere nell'ulteriore caso in cui il commissario ad acta abbia concretamente 
iniziato a operare ma non ancora concluso l'attivit� provvedimentale richiesta. Ci si chiede se, in tali 
casi, la P.A. perda il potere con l'inizio delle operazioni commissariali o soltanto con la conclusione 
delle stesse: nell'ultimo caso, infatti, l'astreinte continuerebbe a maturare, a carico della PA, fino all'effettiva 
e finale ottemperanza. Diversamente, essa si interromperebbe fino a che non avvenga il passaggio 
delle funzioni in via esclusiva all'organo di nomina giudiziale. V., altres�, DELLE DONNE, Astreinte e condanna 
pecuniaria della PA tra Codice di procedura civile e Codice del processo amministrativo, in Esecuzione 
forzata, 2011, 2 . 
(6) T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, Sent. 15 aprile 2011, n. 2162. 
(7) Una soluzione siffatta � stata, ad esempio, adottata dal Tar Puglia, Bari, Sez. III, 26 gennaio 
2012, n. 259. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 331 
corso la previsione di una sanzione pecuniaria gi� stabilita nel suo ammontare 
induce, con buona probabilit�, il debitore all'adempimento prima dell'eventuale 
ulteriore segmento processuale (il giudizio dell'ottemperanza). 
L'istituto, quindi, se utilizzato in sede di cognizione, assumerebbe anche 
una funzione deflattiva dei giudizi esecutivi (8). 
Tuttavia, il legislatore, con l'art. 114 c.p.a. apparentemente sembra circoscrivere 
la sede naturale per l'adozione del rimedio al solo giudizio di ottemperanza, 
recependo cos� un istituto straniero senza considerarne la principale 
esperienza applicativa fattane dalla giurisprudenza d'oltralpe la quale, nel corso 
degli anni, ha spostato il baricentro dell'istituto dalla sede esecutiva a quella 
di cognizione, proprio al fine di ottimizzarne gli effetti compulsivi. 
Una simile impasse � superabile coordinando il disposto dell'art. 114 
c.p.a. con la disciplina sulle sentenze di merito ex art. 34 c.p.a. In forza di siffatto 
articolo, difatti, il giudice amministrativo ha il potere di condannare l'amministrazione 
all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica 
soggettiva dedotta in giudizio o di disporre tutte le misure idonee ad assicurare 
l'attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina 
di un commissario ad acta, che pu� avvenire anche in sede di cognizione con 
effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l'ottemperanza. In altre parole, 
si consente all'organo giudicante di anticipare provvedimenti propri della 
fase dell'ottemperanza, sancendo il superamento di quella netta distinzione fra 
le due fasi sussistente antecedentemente all'entrata in vigore del codice e contribuendo 
cos� a connotare la sentenza conclusiva del giudizio di merito di 
forte atipicit�. 
Possibilit�, questa, non condizionata dal legislatore al ricorrere di particolari 
requisiti o presupposti: pertanto, l'adozione dei singoli provvedimenti � 
subordinata alla sola istanza di parte. D'altronde, tale soluzione � quella maggiormente 
conforme al principio costituzionale dell'effettivit� della tutela. 
L'ampiezza dei presupposti applicativi trova, infatti, come unici limiti la 
"manifesta iniquit�" e "altre ragioni ostative": clausole elastiche che connotano 
chiaramente nel senso della discrezionalit� e in virt� delle quali il giudice 
dovr� prendere in considerazione le circostanze del caso concreto, quali la necessit� 
o meno di reiterare il procedimento, il subordinare l'astreinte alla scadenza 
di un termine (9), etc. 
In virt� di un siffatto disposto normativo dovrebbe, quindi, escludersi una 
limitazione dell'ambito applicativo dell'istituto data dalla natura della presta- 
(8) LIPARI, L'effettivit� della decisione tra cognizione e ottemperanza in www.federalismi.it, Rivista 
di diritto pubblico, italiano, comunitario e comparato. 
(9) D'altronde, la fissazione del termine per l'esecuzione delle decisioni si rende tanto pi� opportuno, 
se non addirittura necessario, ove si consideri la scelta del legislatore di non riprodurre nel nuovo 
codice del processo l'onere, in capo al ricorrente vittorioso, della diffida alla P.A. prima di intraprendere 
il giudizio di ottemperanza.
332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
zione oggetto dell'obbligazione inadempiuta dedotta in giudizio. 
Tuttavia, le iniziali pronunzie rese in prime cure hanno escluso una tale 
conclusione. 
Privilegiando una lettura restrittiva della norma, giustificata dalla circostanza 
che l'aver usato, nel definire le limitazioni applicative, espressioni indefinite 
aventi una certa ampiezza semantica, riveli la preferenza del 
legislatore per un uso prudente dell'istituto al fine di limitare l'esborso di pubblico 
denaro ai casi in cui questo sia realmente necessario per la tutela, il Tar 
Campania (10) ha dubitato dell'ammissibilit� dell'astreinte qualora l'esecuzione 
del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro. 
In particolare, rientrerebbe nei casi di "manifesta iniquit�" una condanna 
in tal senso, posto che il rimedio ex lege previsto per il ritardo nell'adempimento 
delle obbligazioni pecuniarie � costituito dalla debenza degli interessi 
legali. Il prevedere una somma dovuta a titolo di astreinte accanto a quest'ultimi 
comporterebbe indebite - e dunque inique - locupletazioni per il creditore. 
Il Collegio campano aderisce, pertanto, alla tesi secondo la quale sarebbe 
preferibile qualificare la penalit� di mora come criterio di liquidazione del 
danno, piuttosto che come pena privata o sanzione civile indiretta. 
E ci� proprio al fine di evitare ingiustificati arricchimenti del creditore 
della prestazione principale: tali rischi non sussisterebbero, invece, nel caso 
in cui la prestazione dedotta abbia ad oggetto un non facere o un facere infungibile 
e, dunque, l'art. 114 c.p.a. altro non sarebbe se non la riproduzione dell'art. 
614 bis c.p.c., introdotto dal legislatore al fine di renderne 
incontrovertibile l'applicazione anche nel processo amministrativo (11). 
Questo orientamento � stato disatteso dal Consiglio di Stato in una recente 
ordinanza (12) il quale ha espressamente negato che l'art. 114, comma 4, lettera 
e), del c.p.a. rientri fra i rimedi risarcitori e ne ha affermato la finalit� sanzionatoria: 
la misura, difatti, "non � volta a riparare il pregiudizio cagionato dall'esecuzione 
della sentenza ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione 
giudiziaria e stimolare il debitore all'adempimento". 
Non si deve trascurare, infatti, che anche il codice del processo amministrativo 
gi� appresta tutela al pregiudizio che alla parte possa derivare dall'inottemperanza 
della P.A. con l'art. 112, comma 3, laddove si prevede che nel 
giudizio di ottemperanza possa proporsi, tra le altre, la domanda di risarcimento 
dei danni derivanti dall'inesecuzione, violazione o elusione del giudicato (13). 
Sussiste, quindi, in capo alla P.A., un obbligo all'adempimento, cui corrisponde 
un vero e proprio diritto soggettivo in capo al ricorrente vittorioso; 
(10) T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, Sent. 15 aprile 2011, n. 2162. 
(11) Nella stessa prospettiva, v. T.A.R. Lazio, Sez. I, 29 dicembre 2011 n. 10305 e T.A.R. Lazio, 
Sez. II-quater, 31 gennaio 2012, n. 1080. 
(12) Cons. Stato, Sez. V, ord. 14 maggio 2012, n. 2744. 
(13) DELLE DONNE, Astreinte e condanna pecuniaria della PA, cit.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 333 
la non esecuzione, da parte del soggetto pubblico, della sentenza di condanna 
� cos� configurata dal codice quale illecito cui corrisponde una fattispecie risarcitoria 
azionabile ex art. 112 c.p.a. 
La previsione di un rimedio approntato dal legislatore ad hoc cozza con 
l'interpretazione della penalit� di mora quale "criterio di liquidazione del 
danno"; ne consegue la logica conclusione per cui non � con l'astreinte ex art. 
114 che il privato deve ottenere la ristorazione del danno (che non necessariamente 
coincider� con l'ammontare degli interessi legali). 
Tale misura presenterebbe piuttosto importanti differenze rispetto alla 
previsione di cui all'art. 614-bis c.p.c., applicabile - per espresso disposto legislativo 
- solo alla violazione di obblighi di fare infungibile o di non fare. 
L'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a. non ha riprodotto il medesimo limite stabilito 
della norma di rito civile: conseguentemente "integra la limitazione di 
tale strumento alle sole obbligazioni da ultimo indicate una inaccettabile vulnerazione 
del principio cardine della effettivit� della tutela, le cui ricadute effettuali 
ben coinvolgono l'esercitabilit� di tutti gli strumenti suscettibili di 
condurre alla pienezza del soddisfacimento della pretesa (fondatamente) dedotta 
in giudizio" (14). 
Avendo, come sopra evidenziato, una pi� ampia portata applicativa rispetto 
al processo civile ed essendo preordinato alla piena realizzazione del 
fondamentale principio poc'anzi richiamato, ne consegue che il rimedio in 
esame �, e deve essere, sempre applicabile nel caso in cui sussistano tutti i 
presupposti stabiliti dall'art. 114 c.p.a.: la richiesta di parte, l'insussistenza di 
profili di manifesta iniquit� e la non ricorrenza di altre ragioni ostative. N� 
pu� ritenersi che la manifesta iniquit� sia data dal fatto che cos� si creerebbero 
indebite locupletazioni posto che la finalit� dell'istituto non � risarcitoria e 
l'astreinte non costituisce risarcimento del danno: diverso essendo, quindi, il 
presupposto diversa ne � altres� la giustificazione causale e tanto vale ad escludere 
che essa sia un "doppione" del rimedio risarcitorio. 
Nella medesima prospettiva, il Consiglio di Stato in una ulteriore sentenza 
(15) ha confermato che "La misura prevista dall'art. 114 comma 4 lettera e) del 
c.p.a. va infatti considerata applicabile anche alle sentenze di condanna pecuniarie 
della p.a., trattandosi di un modello normativo caratterizzato da importanti 
differenze rispetto alla previsione di cui all'art. 614-bis c.p.c., (applicabile 
solo alla violazione di obblighi di fare infungibile o di non fare)", e ci� risulta 
dallo stesso dato testuale, "in quanto l'art. 114, comma 4, lettera e), del codice 
del processo amministrativo non ha riprodotto il limite, stabilito della norma di 
rito civile, della riferibilit� del meccanismo al solo caso di inadempimento degli 
obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile". 
(14) T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent. 24 ottobre 2012, n. 8746. 
(15) Cons. Stato Sez. V, Sent. 14 maggio 2012, n. 2744. 
334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Emerge, dunque, dalle pronunce sopracitate una decisa ammissibilit� dell'istituto 
dell'astreinte anche alle obbligazioni pecuniarie. 
D'altronde, le esaminate differenze col rimedio civilistico sono giustificate 
ove si consideri che gli obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile, 
qualora vengano dedotti in un giudizio ove parte sia la P.A., non 
pongono le stesse problematiche presenti nel rito civile fra privati cittadini: 
non sussiste, infatti, l'ostacolo della non surrogabilit� degli atti necessari ad 
assicurare l'esecuzione in re del precetto giudiziario, posto che, nel processo 
amministrativo, � presente una forma di "esecuzione surrogatoria" data dalle 
peculiarit� del rimedio dell'ottemperanza e, in particolare, dal potere del giudice, 
di sostituirsi alla P.A o in via diretta (qualora l'attivit� sia vincolata o la 
discrezionalit� consumata) o mediante la nomina di un commissario ad acta. 
Ne consegue che lo strumento in esame non mira a compensare gli ostacoli 
derivanti dalla non diretta coercibilit� degli obblighi di contegno sanciti 
dalla sentenza del giudice civile e, dunque, sarebbe irragionevole circoscriverne 
l'applicabilit� a queste particolari ipotesi, ben sussistendo nelle prestazioni 
di qualsivoglia natura l'esigenza di dissuadere il debitore dal persistere 
nella mancata attuazione del dovere di ottemperanza. 
Ma se la "penalit� di mora amministrativa" assolve alla doppia finalit�, 
ex ante di stimolazione del debitore all'adempimento ed ex post di sanzione 
della disobbedienza alla statuizione giudiziaria (16), senza che possa essere 
considerato, al contempo, un rimedio risarcitorio perch� non destinato a riparare 
il pregiudizio cagionato dall'esecuzione della sentenza, deriva - inevitabilmente 
- una ulteriore differenziazione, in ordine alla commisurazione del 
quantum, con il corrispondente istituto del codice di rito civile. 
Com'� noto, il secondo comma dell'art. 614-bis c.p.c. stabilisce che il giudice, 
nel determinare l'ammontare della somma dovuta, deve tener conto di 
elementi quali il valore della controversia, la natura della prestazione, il danno 
quantificato o prevedibile e "ogni altra circostanza utile". La circostanza che 
la misura del danno quantificato e prevedibile venga considerata solo uno dei 
parametri di commisurazione induce a ritenere che l'istituto de quo non abbia 
natura prettamente risarcitoria ma presenti anche finalit� sanzionatorie (17). 
Nelle logiche riparatorie e risarcitorie, difatti, unico dato rilevante � la situazione, 
patrimoniale e talvolta personale, del danneggiato; la misura in oggetto, 
invece, nel voler disincentivare la disobbedienza del debitore 
condannato alla statuizione giudiziaria, richiede che si tenga conto, perch� risulti 
adeguata, anche della situazione patrimoniale dell'obbligato. 
(16) Ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688; Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 
2012, n. 3272. 
(17) CARPI, Riflessioni sui rapporti tra l'art. 111 della Costituzione ed il processo esecutivo, in 
Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 2, 381. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 335 
Dalla natura giuridica mista, al contempo risarcitoria e compulsoria, deriva 
la conseguenza che il giudice possa (rectius: debba) tenere conto dell'importo 
dovuto a titolo di risarcimento del danno, fermo restando che la funzione 
di mezzo di coazione della stessa e la natura di "pena privata" ostano a una 
"integrale e meccanica scomputabilit� dell'astreinte da quanto dovuto a titolo 
di risarcimento del danno" (18). 
Al contrario, l'astreinte comminata ex art. 114, comma 4 lett. e) del c.p.a., 
essendo connotata in termini di sanzione (e ci� si evince anche dall'assenza di 
ogni riferimento a condotte riparatorie) e trovando la propria ratio nella funzione 
sollecitatoria all'ottemperanza pu� configurarsi in maniera pi� autonoma 
rispetto al danno; sicch� l'ottica da privilegiare non sar� pi� quella del danneggiato, 
bens� quella della situazione in cui versa il debitore. Quest'ultima �, 
dunque, totalmente opposta rispetto a quella da utilizzarsi in sede di giudizio 
risarcitorio, ove la sfera patrimoniale presa in considerazione � esclusivamente 
(salvo minimi temperamenti equitativi) quella del danneggiato. 
Anzi, tanto pi� la finalit� propria dell'istituto verr� realizzata quanto pi� 
il giudice terr� conto non del danno al creditore (verificatosi o da evitare), ma 
delle conseguenze negative nella sfera patrimoniale del debitore che costui 
non � disposto a tollerare qualora persista nell'inadempimento. 
(18) LOMBARDI, Il nuovo art. 614-bis c.p.c.: l'astreinte quale misura accessoria ai provvedimenti 
cautelari ex art. 700 c.p.c., in Giur. Merito, 2010, 2, 398. 
336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Il procedimento cautelare davanti al Giudice amministrativo 
I) La graduazione dell�urgenza, la prognosi sommaria e i casi di fumus 
qualificato nel codice processuale amministrativo. 
II) Il procedimento minicautelare. 
Maria Vittoria Lumetti* 
PARTE I 
SOMMARIO: 1. I presupposti e l�ambito della tutela cautelare - 2. L�urgenza e la sua ratio 
- 3. Il laboratorio giuridico del periculum: dal danno grave ed irreparabile (artt. 55 
comma 1, 98, 119 comma 3, 120 comma 8 c.p.a.) - 4. (segue) � a quello estremo (artt. 
56 e 119 comma 4 c.p.a.) ed eccezionale (artt. 61 e 111 c.p.a.) - 5. Il fumus pi� accurato 
della ragionevole previsione sull�esito del ricorso (art. 55 comma 9) - 6. Il fumus dell�antefatto 
cautelare - 7. Periculum bilaterale, irreparabilit� senza gravit� e preminente 
interesse nazionale (art. 125 c.p.a. 2) - 8. La relazione di reciproca interdipendenza tra 
fumus boni iuris e periculum in mora - 9. La misura intermedia prevista dall�art. 55 
comma 10: il fumus qualificato dalle esigenze apprezzabili favorevolmente e la pretesa 
tutelabile adeguatamente solo con la definizione sollecita del giudizio di merito - 10. La 
ponderazione degli interessi pubblici e privati e il principio di proporzionalit�. 
1. I presupposti e l�ambito della tutela cautelare. 
L�art. 55 del Codice subordina l�ottenimento della concessione delle misure 
cautelari alla sussistenza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum 
in mora. A dire il vero il primo comma dell�art. 55 non fa espresso 
riferimento al requisito del fumus giuridico, avendo essenzialmente riguardo 
al profilo del periculum. 
La necessaria valutazione della sussistenza di tale elemento da parte del 
giudice � rinvenibile al nono comma dello stesso articolo, laddove prevede 
che l�ordinanza cautelare debba indicare �i profili che, a un sommario esame, 
inducono ad una ragionevole previsione sull�esito del ricorso� (1). 
Il periculum deve avere il connotato della gravit� e dell�irreparabilit� del 
pregiudizio arrecato al ricorrente e pu� riguardare qualsiasi bene della vita 
rientrante nell�ambito della sfera soggettiva del ricorrente, esattamente come 
era previsto nella precedente disciplina (2). 
(*) Avvocato dello Stato. 
(1) Cos� come previsto dall�abr. art. 21 della legge n. 1034 del 1971 nel testo novellato dalla legge 
n. 205 del 2000. 
(2) V. Consiglio di Stato - Sezione V, 13 luglio 2011, in www.sospensiveonline.it: va sospesa �l' 
esclusione da gara per l'affidamento dei lavori di opere di urbanizzazione primarie di un piano insediamenti 
produttivi, aggiudicato a terzi per carenza del requisito di regolarit� fiscale del concorrente, se la 
parte ricorrente ha provveduto a depositare, tempestivamente rispetto al termine di cui all�art. 55, comma 
5 c.p.a., dichiarazione dell�istituto bancario da cui risulta che l�importo � stato trasmesso per via tele-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 337 
Il presupposto dell�urgenza nel procedimento cautelare ordinario o in corso 
di causa � costituito dall�esistenza di un pregiudizio grave e irreparabile a carico 
del ricorrente, che pu� chiedere al collegio l�emanazione delle �misure cautelari 
che appaiono secondo le circostanze, pi� idonee ad assicurare interinalmente 
gli effetti della decisione sul ricorso�. � inoltre necessaria l�esistenza del fumus 
boni iuris che attiene ai �profili che, ad un sommario esame, inducono ad una 
ragionevole previsione sull�esito del ricorso� (art. 55 comma 9). 
� naturalmente impossibile classificare le circostanze di fatto che di volta 
in volta possono essere invocate dalle parti per dimostrare la sussistenza del 
fumus boni iuris e del periculum in mora, le quali possono essere attinte dalla 
infinita congerie dei fatti empirici (3). 
Si pu� dire, tuttavia, che i fatti posti a base del fumus boni iuris corrispondono 
alle allegazioni sulla base delle quali la parte ha proposto o intende 
proporre la domanda di merito e vanta la sua pretesa giuridica nei confronti 
del resistente. I fatti posti a base del periculum in mora, invece, sono diversi 
da quelli allegati o da allegare nel procedimento di merito, in quanto sono 
tipici del procedimento cautelare, consistendo in quelle ulteriori circostanze 
di fatto che, se provate, sono in grado di far ritenere al giudice la probabilit� 
del verificarsi di un danno (4). 
Il danno deve essere specificatamente allegato dal ricorrente nell�istanza 
di sospensione: il giudice non pu� d�ufficio ipotizzarne l�esistenza n� introdurlo 
nel processo (5). 
2. L�urgenza e la sua ratio. 
Il periculum in mora o pericolo nel ritardo presuppone una situazione 
nella quale la durata del processo pu� incidere sull�effettivit� della tutela che 
la parte ricerca nel giudizio di merito e consiste nella probabilit� del verificarsi 
di un danno, che pu� derivare all�attore dalla durata, o anche a causa della dumatica 
in data 1 febbraio 2011 e regolarmente ricevuto dai sistemi banca e che non ha trovato regolare 
esecuzione per motivazioni tecniche; ritenuto che la mancata regolare esecuzione del pagamento non fa 
venir meno il ravvedimento operoso e tempestivo, anteriore alla scadenza del termine per la presentazione 
delle offerte; Considerata la gravit� ed irreparabilit� del danno subito per effetto dell�esclusione...� 
accoglie l�istanza cautelare. 
(3) L. LOMBARDO, Natura e caratteri dell�istruzione probatoria nel processo cautelare, in Riv. 
Dir. Proc., n. 2, 2001, 472. Non sembra dunque corretto accogliere la tesi della sussistenza del periculum 
implicitamente apprezzabile nella sussistenza del medesimo requisito del fumus (Corte App. civ. sez. II 
Bologna, ord. del 29 giugno 2010), in quanto anche la legge civile richiede la contemporanea presenza 
del fumus boni iuris e del periculum in mora. 
(4) Per il parallelo con il processo cautelare civile v. L. LOMBARDO, op. cit., 474. 
(5) Tar Emilia-Romagna � Parma, ord. n. 58 del 1 aprile 2008: �Considerato che l�interesse alla 
tutela cautelare non � implicito nell�affermazione della lesione della posizione soggettiva azionata, ma 
richiede una specifica allegazione del danno prodotto dall�atto oggetto della controversia; che, nella fattispecie, 
la ricorrente ha omesso di indicare quale pregiudizio grave e irreparabile deriva, allo stato, dal 
diniego impugnato� respinge la suindicata domanda di sospensione�. 
338 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
rata, del processo di merito (6). 
L�art. 55 comma 1 cos� dispone: �Se il ricorrente, allegando un pregiudizio 
grave e irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione 
sul ricorso, chiede l�emanazione di misure cautelari, compresa l�ingiunzione 
a pagare una somma, che appaiono, secondo le circostanze, pi� idonee ad assicurare 
interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, il tribunale amministrativo 
regionale si pronuncia sull�istanza con ordinanza emessa in 
camera di consiglio� (7). 
Il periculum in mora, nelle sue diverse configurazioni di �pericolo di infruttuosit�� 
e � pericolo di tardivit�� (8) non si sostanzia nel generico pericolo 
di danno giuridico, al quale si pu� in certi casi ovviare con la tutela ordinaria 
(9), ma deve riferirsi a quell�ulteriore danno marginale, che potrebbe derivare 
dal ritardo, reso inevitabile dalla lentezza del procedimento ordinario, del provvedimento 
definitivo (10). 
Per pericolo da infruttuosit� si intende il pericolo che, durante il tempo 
necessario per lo svolgimento del processo a cognizione piena, sopraggiungano 
fatti tali da rendere impossibile o molto pi� difficoltosa la concreta possibilit� 
di attuazione della sentenza. 
Per pericolo da tardivit� si intende, invece, il pericolo che sia la mera durata 
del processo col procrastinare del tempo lo stato di insoddisfazione del 
diritto, ad essere causa di pregiudizio. Nel caso di pericolo da infruttuosit� la 
misura cautelare deve prevenire il danno che pu� derivare dal verificarsi, nelle 
more del processo, di fatti lesivi del diritto controverso: si configura, pertanto, 
(6) Nella letteratura processualcivilistica cfr. A. PROTO PISANI, voce Procedimenti cautelari, in 
Enc. Giur. Italiana, vol. XXIV, Roma 1991, 8425 ss., 5: in senso analogo ATTARDI, Diritto processuale 
civile, I, 2 ed., Padova 1997, 140; C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, III, Torino, 2010, 
279 ss. Cfr. E. ALLORIO, Per una nozione del processo cautelare, in Riv. dir. proc., 1936 , I, 38, il quale 
sottolinea come lo stato di pericolo, nel quale si trova il diritto principale quando si tardi a tutelarlo, non 
� altro che l�interesse ad agire proprio di ci� che egli definisce �azione esecutiva cautelare�. 
(7) L�abrogato art. 21 comma 8 legge n. 1034 del 1971, come sostituito dall�art. 3 legge n. 
205/2000, in maniera simile cos� disponeva: �Se il ricorrente, allegando un pregiudizio grave e irreparabile 
derivante dall�esecuzione dell�atto impugnato, ovvero dal comportamento inerte dell�amministrazione, 
durante il tempo necessario a giungere ad una decisione sul ricorso, chiede l�emanazione di misure 
cautelari, compresa l�ingiunzione a pagare una somma, che appaiono, secondo le circostanze, pi� idonee 
ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, il tribunale amministrativo regionale 
si pronuncia sull�istanza con ordinanza emessa in camera di consiglio�. La versione ancora precedente 
della norma abrogata faceva riferimento al cd. periculum in mora, ossia alla probabilit� di danni gravi 
e irreparabili derivanti dal provvedimento impugnato. 
(8) G. ARIETA, I provvedimenti d�urgenza ex art. 700 c.p.c., Padova, 1985, 48. 
(9) Cons. di St. Sez. III del 17 sett. 2011 ord. n. 4037/2011: �la documentazione medica depositata 
non attesta la sussistenza di patologie o handicap in capo al ricorrente che ne limitino in maniera significativa 
la autosufficienza in materia di negato rilascio di permesso di soggiorno per motivo di lavoro a 
cittadino extracomunitario�. 
(10) P. CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 
1936, (ripubblicato in Opere Giuridiche, IX, Napoli, 1983, 157 e ss.); N. PICARDI, Manuale del processo 
civile, Milano, 2006, 515.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 339 
come misura conservativa della situazione di fatto o di diritto su cui dovr� incidere 
la futura sentenza (cd. provvedimento conservativo). 
Nel caso di pericolo da tardivit�, invece, la misura cautelare deve impedire il 
pregiudizio che il perdurare di una situazione antigiuridica pu� provocare al titolare 
del diritto o dell�interesse legittimo: si configura come misura anticipatoria del 
contenuto della futura sentenza di merito (cd. provvedimento anticipatorio) (11). 
Lo scopo del provvedimento cautelare � quello di prevenire il danno derivante 
dalle lungaggini che si frappongono per ottenere un provvedimento 
definitivo, al fine di ovviare agli inconvenienti derivanti da una giustizia che 
potrebbe giungere in ritardo, potendo nel frattempo il provvedimento definitivo 
tardivamente emanato dimostrarsi del tutto inutile (12). 
3. Il laboratorio giuridico del periculum: dal danno grave ed irreparabile 
(artt. 55 comma 1, 98, 119 comma 3, 120 comma 8 c.p.a.)... 
Il provvedimento cautelare sfugge ad una classificazione formulata in 
astratto, in quanto essendo il suo contenuto atipico, come quello di cui all�art. 
700 c.p.c., � determinato di volta in volta dal giudice, e pu� essere ora conservativo 
ora anticipatorio (13). La giurisprudenza raramente ha ritenuto nel passato 
che il potere di sospensiva fosse subordinato alla �irreparabilit� del 
danno�, ritenendo sufficiente la gravit� di esso. Ci� in base al dato testuale 
dell�abrogato art. 39 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 (in Gazz. Uff., 7 luglio, 
n. 158): �I ricorsi in via contenziosa non hanno effetto sospensivo. La esecuzione 
dell'atto o del provvedimento pu� essere sospesa per gravi ragioni, con 
decreto motivato dalla sezione, sopra istanza del ricorrente�. 
Il suddetto indirizzo non � mutato a seguito dell�entrata in vigore della 
L. 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei tribunali amministrativi regionali 
che all�art. 21 ult. comma cos� disponeva �Se il ricorrente, allegando danni 
gravi e irreparabili derivanti dall'esecuzione dell'atto, ne chiede la sospensione, 
sull'istanza il tribunale amministrativo regionale pronuncia con ordinanza motivata 
emessa in camera di consiglio�. 
Anche se il nuovo testo appariva pi� rigoroso, la giurisprudenza ha continuato 
a ritenere sufficiente la gravit� del pregiudizio che ne fosse derivata al 
destinatario a seguito dell�adozione dell�atto. Per una parte della dottrina la 
(11) A. PROTO PISANI, voce Procedimenti cautelari in Enc. Giur. Italiana, vol. XXIV, Roma, 1991, 
8425 ss., 6; E. FAZZALARI, voce Provvedimenti cautelari, 842. Per la distinzione tra misure conservative 
e misure innovative v. A. ATTARDI, Diritto processuale civile, I, Padova, 1999, 138. 
(12) F. VERDE, I provvedimenti cautelari. La nuova disciplina, Padova, 2006, 3, il quale alla nota 
n. 1 richiama la ricostruzione. 
(13) L. TORCHIA, Le nuove pronunce nel codice del processo amministrativo, in Giorn. dir. amm., 
2010, 12, 1319. Nella letteratura processualcivilistica v. F. VERDE, I provvedimenti cautelari. La nuova 
disciplina, 2006, 25 ss.; G. ARIETA, I provvedimenti� , op. cit., 48; C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale 
civile, III, Torino, 2010, 331.
340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
legge n. 205 del 2000 nulla aveva innovato sul punto, in quanto il termine pregiudizio 
era comunque da considerare sinonimo di danno grave ed irreparabile. 
Secondo altri invece, il pregiudizio rappresenterebbe qualcosa di meno 
rilevante rispetto al danno, che richiederebbe invece una quantificazione di 
carattere economico. 
Inoltre, il termine pregiudizio appare svincolato dai caratteri di imminenza 
ed attualit�. 
Significativa si configura la correlazione tra il pregiudizio ed il tempo necessario 
per definire il giudizio e giungere alla sentenza: un medesimo atto amministrativo 
potrebbe recare pregiudizio grave ed irreparabile a seconda della 
durata del processo dinnanzi allo specifico T.a.r. investito del ricorso (14). 
La gravit� del pregiudizio deve essere valutata in termini assoluti: tale 
valutazione giustifica la concessione della invocata sospensiva solo nell�eventualit� 
che il danno sia connotato da una particolare rilevanza tanto da un punto 
di vista quantitativo, con riferimento alla sua entit� o intensit�, quanto da un 
punto qualitativo (ad es. nel caso di un danno che comporti la perdita di un 
bene primario o comunque infungibile). 
Peraltro, alla luce del disposto dell�art. 55 comma 1, come del resto da 
quello dell�abrogato art. 21 della l. n. 1034/1971, (cos� come � stato modificato 
dall�art. 3 l. n. 205/2000), il danno deve avere anche il carattere della irreparabilit�, 
il quale risulta soddisfatto solamente nell�ipotesi in cui il pregiudizio 
provocato dal provvedimento non sia agevolmente rimediabile. In altri termini, 
la perdita del bene per il ricorrente deve risultare tendenzialmente definitiva e 
l�accoglimento dell�istanza condizionato all�impossibilit� del ripristino della 
situazione anteriore. I medesimi presupposti si applicano anche in sede di appello 
(art. 62 c.p.a.) nel rito abbreviato (art. 119 comma 3) abbreviato speciale 
(art. 120 comma 8) e nell�ipotesi di richiesta di sospensione della sentenza impugnata 
in appello (art. 98) (15). 
4. (segue) � a quello estremo (artt. 56 e 119 comma 4 c.p.a.) ed eccezionale 
(artt. 61 e 111 c.p.a.). 
Si profilano altri tipi di urgenza nella nuova tutela cautelare oltre al pregiudizio 
grave ed irreparabile previsto nel procedimento cautelare ordinario. 
(14) F.G. SCOCA, Giustizia amministrativa, Torino, 2006, 289: �e cos�, mentre per i giudici amministrativi 
di primo grado che hanno un basso tasso di contenzioso ed una durata non eccessiva dei 
processi, occorrer� apprezzare con maggiore rigore il pregiudizio, viceversa per i TAR i cui processi 
hanno considerevole durata, il pregiudizio potr� dirsi quasi in re ipsa�. In tal modo si perde, tuttavia, 
quel requisito di oggettivit� del pregiudizio che garantisce una applicazione omogenea del pregiudizio. 
(15) Con ordinanza n. 469/2003 del 7 febbraio 2003, il Cons. St. ha accolto l�istanza cautelare 
proposta dal Ministero della Giustizia, sospendendo l�efficacia della sentenza impugnata, ritenendo che, 
ad una prima sommaria delibazione, fosse assorbente il profilo del pregiudizio grave e irreparabile derivante 
dal disposto annullamento, ad opera del giudice di primo grado, del bando di concorso sia pure 
�in parte qua�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 341 
Il codice prevede l�estrema gravit� ed urgenza, prevista nel procedimento 
cautelare monocratico (art. 56 c.p.a.) e nel rito abbreviato nel caso in cui non 
venga convertito in giudizio di merito (art. 119 comma 4), e l�eccezionale gravit� 
ed urgenza, richiesta nel procedimento ante causam (art. 61 c.p.a.) e nell�ipotesi 
di sospensione della sentenza impugnata in Cassazione per motivi attinenti alla 
giurisdizione (art. 111 c.p.a.) e il cd. periculum bilaterale (art. 125 comma 2 
c.p.a.). Si riscontra dunque una successione di gradi intermedi tra due estremi. 
L�art. 61, primo comma, infatti pone a presupposto della assunzione delle 
misure cautelari ante causam l�esistenza di una situazione �di eccezionale gravit� 
e urgenza, tale da non consentire neppure la previa notificazione del ricorso 
e la domanda di misure cautelari provvisorie�. 
La formulazione adottata dall�art. 61, primo comma, � pi� restrittiva di 
quella contenuta all�art. 56, primo comma, relativo alle misure cautelari monocratiche 
provvisorie, ove si ha riguardo a situazioni di �estrema gravit� e 
urgenza� (mentre all�art. 55, primo comma, per le misure cautelari collegiali 
la norma fa riferimento a situazioni di �pregiudizio grave e irreparabile�, senza 
ulteriore qualificazione). 
Nondimeno non pare cos� immediato poter contraddistinguere, nell�ambito 
dell�urgenza, quella che � �estrema� e tale da legittimare la tutela monocratica 
ai sensi dell�art. 56, e quella che ciononostante � �eccezionale�, tale 
da dispensare il ricorrente dalla proposizione del ricorso. Riscontrata tale ultima 
ipotesi il privato, senza dover redigere e notificare un ricorso, come richiesto 
comunque per la tutela monocratica, bens� con semplice istanza, e 
quindi anteriormente alla causa, pu� richiedere al Presidente del Tar la tutela 
ante causam, ossia le �misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili�, 
durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso nel merito 
e della domanda cautelare in corso di causa. 
In ordine all�unico presupposto indicato dalla norma, costituito dal periculum, 
la formula utilizzata dal legislatore, che ha qualificato la situazione 
giuridica azionabile di �eccezionale gravit� e urgenza� tale da non consentire 
neppure la proposizione del ricorso, induce a ritenere che le misure cautelari 
ante causam possano essere concesse solo in presenza di situazioni assolutamente 
indilazionabili, tali da essere irrimediabilmente compromesse in assenza 
delle immediate misure cautelari richieste. 
Pertanto, deve ritenersi che sia richiesta al Presidente del T.A.R. una specifica 
valutazione di tale situazione di eccezionalit�, correlata espressamente 
all�arco temporale occorrente per la proposizione del ricorso con la domanda 
di provvedimenti cautelari in corso di causa. 
La situazione di �eccezionale gravit� e urgenza� pu� essere costituita anche 
da comportamenti omissivi dell�amministrazione, il cui perdurare rischierebbe 
di generare effetti irreparabili nelle more della presentazione del ricorso. 
342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
5. Il fumus pi� accurato della ragionevole previsione sull�esito del ricorso 
(art. 55 comma 9). 
Il fumus boni iuris consiste in una valutazione sommaria sul merito della 
pretesa fatta valere dal cittadino con l�impugnazione: il giudice realizza una 
ragionevole probabilit� sul buon esito del ricorso, attraverso un sommario giudizio 
prognostico. 
Si tratta della probabile fondatezza alla titolarit� ed esistenza del diritto 
che si intende tutelare e garantire, nonch� della previsione sommaria in merito 
al positivo esito del ricorso. 
L�espressa previsione del fumus boni iuris non era contenuta in alcuna 
norma, anche se tale requisito era egualmente apprezzato dal giudice, in quanto 
� implicito nel sistema e scaturisce dalla funzione strumentale delle misure 
cautelari rispetto al provvedimento di merito (16). 
Il vincolo sulla decisione di merito � insussistente in quanto la misura 
cautelare viene decisa in base ad una sommaria cognitio. L�accertamento del 
giudice adito deve vertere sulla fondatezza del ricorso e non gi�, come avveniva 
in precedenza, sulla non manifesta infondatezza dello stesso. Deve valutarsi 
attraverso un accurato giudizio degli elementi emergenti dal ricorso, la 
prevedibilit� dello stesso di avere, in sede di merito, una valutazione favorevole 
a chi chiede il provvedimento cautelare. 
Il fumus deve assimilarsi alla ragionevole apparenza del diritto fatto valere: 
come tale sar� sussistente qualora i motivi appaiano ictu oculi fondati. In caso 
contrario sarebbe enorme il pregiudizio che il pubblico interesse soffrirebbe a 
causa della sospensione di un provvedimento difficilmente censurabile. 
6. Il fumus dell�antefatto cautelare. 
L�art. 61, primo comma, del Codice del processo amministrativo pone a 
presupposto della assunzione delle misure cautelari ante causam unicamente 
l�esistenza di una situazione �di eccezionale gravit� e urgenza, tale da non 
consentire neppure la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure 
cautelari provvisorie�. La norma fa espresso riferimento ad uno soltanto dei 
presupposti propri delle misure cautelari (il periculum) senza menzionare l�ulteriore 
ordinario presupposto costituito dal fumus boni iuris e, dunque, la valutazione, 
anche sommaria, della fondatezza della domanda di merito. 
Pur in assenza di uno specifico richiamo, si ritiene preferibile che il giudice 
assuma le misure cautelari ante causam all�esito di un sommario esame 
anche della situazione di merito che sar� successivamente azionata con il ri- 
(16) Cfr. sul punto W. FERRANTE, Le misure cautelari nel processo amministrativo, in Rass. Avv. 
St., 2006, n. 4, 1 ss. Lo stesso � accaduto nel processo cautelare civile, in cui il fumus boni iuris non � 
esplicitamente dettato da alcuna delle disposizioni di legge che regolano la materia della tutela cautelare, 
L. LOMBARDO, op. cit. 472. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 343 
corso necessariamente da proporre. 
A tale conclusione deve inevitabilmente pervenirsi per ragioni di ordine sistematico, 
dato che � proprio dei provvedimenti cautelari indicare i �profili che, 
ad un sommario esame, inducano ad una ragionevole previsione sull�esito del ricorso� 
(art. 55, nono comma, del Codice del processo amministrativo). Tale indicazione 
costituisce elemento necessario del provvedimento cautelare, posto che 
sulla base di essa potranno essere valutati le eventuali successive istanze di modifica 
o di revoca dei provvedimenti stessi. Deve conseguentemente ritenersi 
inammissibile una istanza di misure cautelari ante causam che non contenga alcun 
elemento che dia conto dell�illegittimit� del provvedimento che sar� impugnato. 
Tali elementi di fumus non dovranno, tuttavia, essere articolati con la puntualit� 
e la completezza richiesti per la proposizione di un ricorso ma dovranno 
almeno indicare i vizi di legittimit� che l�istante ritiene di avere riscontrato. 
7. Periculum bilaterale, irreparabilit� senza gravit� e preminente interesse 
nazionale (art. 125 c.p.a. 2). 
L�art. 125 del Codice, al secondo comma, disciplina la materia di provvedimenti 
cautelari afferenti la realizzazione di infrastrutture strategiche di 
preminente interesse nazionale. In tale peculiare fattispecie � previsto che il 
Giudice debba tenere conto anche espressamente �del preminente interesse 
nazionale alla sollecita realizzazione dell�opera�. 
In tal caso all�interesse pubblico � conferita un�attenzione particolare, in 
quanto la norma precisa che la irreparabilit� del pregiudizio per il ricorrente 
debba essere comparata con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione 
delle opere. In sede di pronuncia del provvedimento cautelare il giudice 
deve tenere conto delle probalibili conseguenze del provvedimento per 
tutti gli interessi che possono essere lesi e tale considerazione dovr� essere tenuta 
in debita considerazione nella motivazione. 
Si tratta delle materie sensibili disciplinate dagli artt. 120 ss e che sono 
regolate dal rito speciale abbreviato. La deroga si spiega a causa della particolarit� 
delle controversie relative a infrastrutture strategiche, insediamenti 
produttivi e relative attivit� di espropriazione, occupazione e asservimento. 
La disposizione era gi� presente nell�art. 246 del Codice dei contratti pubblici, 
e anche in leggi pregresse (17). 
(17) G. VACIRCA, Relazione sull'attivit� svolta dal TAR Toscana. Significativa al riguardo � stata 
nell�anno 2002 l�emanazione del d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190 in materia di realizzazione delle infrastrutture 
e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale, il cui art. 14 richiede che la valutazione 
del provvedimento cautelare debba tener conto delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per 
tutti gli interessi che possono essere lesi, nonch� del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione 
dell'opera e che nel concedere la misura cautelare il giudice non possa prescindere dal motivare 
anche sulla gravit� ed irreparabilit� del pregiudizio all'impresa del ricorrente, il cui interesse dovr� comunque 
essere comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure.
344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Con la locuzione periculum bilaterale si indica, pertanto, l�esigenza che 
la valutazione del pregiudizio in sede cautelare non debba essere considerata 
in stretta correlazione al solo ricorrente, ma anche prendendo in considerazione 
la posizione dell�amministrazione e degli eventuali controinteressati. 
La finalit� � quella di salvaguardare il pregiudizio altrettanto meritevole 
di tutela della parte resistente e dei terzi in quanto potrebbero subire un pregiudizio 
altrettanto meritevole di tutela, dal blocco dell�esecuzione del provvedimento 
(18). 
Non vi sono disposizioni esplicite che fanno riferimento a tale valutazione, 
ma essa si ricava sia dalla citazione �secondo le circostanze�, sia dalla 
possibilit� di disporre, in luogo del provvedimento cautelare di una cauzione 
sotto forma di fideiussione (19). Al giudice spetta una valutazione bilanciata 
e comparata degli interessi confliggenti, stabilendo quale posizione debba essere 
considerata recessiva rispetto all�altra. L�art. 125 comma 2, oltre che richiedere 
un fumus qualificato richiede anche un periculum particolarmente 
pregnante. Il giudice, infatti, riguardo al fumus, nelle controversie relative a 
infrastrutture strategiche deve tenere conto delle probabili conseguenze per 
tutti gli interessi in gioco che possono essere lesi e del preminente interesse 
nazionale alla sollecita realizzazione dell�opera. 
Riguardo al periculum, ai fini dell�accoglimento della domanda cautelare, 
il giudice valuta non solo la irreparabilit� del pregiudizio per il ricorrente, ma 
deve anche valutare l�esigenza del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione 
delle procedure al fine di comparare i due interessi confliggenti (20). 
In dottrina si � osservato che in taluni casi la sospensione di un provvedimento 
pu� risultare strumentale anche all�interesse pubblico generale che 
pu� non coincidere con quello particolare della Amministrazione che ha emanato 
l�atto e che ha ingiustamente preposto il pubblico interesse particolare di 
cui essa � affidataria a quello generale (21). 
Il medesimo fenomeno, probabilmente ancora pi� accentuato, si riscontra 
in materia elettorale (22). 
(18) R. LEONARDI, La tutela cautelare nel processo amministrativo, Milano, 2011, 189. 
(19) E. PICOZZA, Il processo amministrativo, Milano, 2008, 276. 
(20) Sulla comparazione tra interesse pubblico e sulla prevalenza di quest�ultimo cfr. Cons. St. 
Sez. V n. 5087/2011 e Tar Lazio - Roma, Sezione II ter del 15 settembre 2011, in www. sospensive online. 
(21) M.A. SANDULLI, La tutela cautelare nel processo amministrativo, in Foro amm.-Tar, 2009, 
9, che cita ad esempio la differenza tra l�interesse alla concorrenza o quello al risparmio di tempo di 
gara o ad avvalersi di appaltatori sperimentati o altamente specializzati, oppure tra l�interesse all�ambiente 
e quello dello sviluppo economico o territoriale. 
(22) F. LILLO, Ottemperanza e riti speciali, in Codice del processo amministrativo, a cura di E. PICOZZA, 
Torino, 2010, 276, che, in materia elettorale evidenzia come talora entrambe le posizioni delle 
parti rispondono ciascuna ad un diverso ed inconfondibile interesse pubblico della collettivit�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 345 
8. La relazione di reciproca interdipendenza tra fumus boni iuris e periculum 
in mora. 
Esiste una relazione di reciproca interdipendenza tra fumus boni iuris e 
periculum in mora. 
Nel processo cautelare non � possibile, a meno di tradirne la funzione e 
di trasformarlo in processo, limitarsi ad accertare la sussistenza del fumus boni 
iuris, ossia la probabilit� dell�esistenza del diritto che costituir� o che gi� costituisce 
oggetto del processo di merito (23). 
Sulla base di quanto gi� disposto dall�art. 21 della legge n. 1034/71 il 
consolidato orientamento giurisprudenziale collega l�applicabilit� della tutela 
cautelare alla presenza congiunta di entrambi i presupposti (24). La valutazione 
sulla esistenza del fumus � logicamente anteriore rispetto alla valutazione 
sulla esistenza del periculum. � al servizio del fumus che viene valutato il periculum. 
� possibile che esista il fumus ma non il pericolo, in quanto il fumus 
� variabile e indipendente dal periculum, ma non potr� a rigore mai dirsi che 
esista il periculum una volta negata l�esistenza del fumus in quanto il pericolo 
infatti � variabile dipendente dell�esistenza del fumus (25). 
Nondimeno taluni Tar sospendono a prescindere dalla valutazione del 
fumus boni iuris, legando la motivazione solo ed esclusivamente al periculum 
e all�esigenza di mantenere inalterato la situazione di fatto fino alla trattazione 
del merito del ricorso, e talora esplicitamente specificando di voler prescindere 
dalle valutazioni in merito alla fondatezza degli elementi di fumus boni iuris 
(26). In altri casi invece si fa riferimento al periculum in mora ai fini del re- 
(23) A. PROTO PISANI, voce Provvedimenti cautelari, in Enc. Giur. Treccani, XXIV, Roma 1991, 
5; Cfr. MONTESANO � ARIETA, Diritto processuale civile, II, Torino, 1995, 145 che parlano di accertamento 
meramente probabilistico e di verosimiglianza circa la sussistenza del diritto cautelando. 
(24) Consiglio di Stato Sez. IV, ord. n. 993/2008: �Considerato, nei limiti di delibazione propri 
della fase, che l�interpretazione valorizzata dalla P.A. sembra compatibile con il testo del bando; Considerato 
che il pregiudizio paventato dall�appellato non sembra connotato dal requisito della irreparabilit�, 
potendo lo stesso partecipare al corso immediatamente successivo; Rilevato che il corso in 
contestazione ha gi� avuto inizio da tempo. Accoglie l'appello e, per l'effetto, in riforma dell'ordinanza 
impugnata, respinge l'istanza cautelare proposta in primo grado. Spese al definitivo�. Cfr. anche Consiglio 
di St. Sez. IV decreto monocratico n. 800/2008 �Ritenuto che dall�ordinanza impugnata n. 867/2007 
derivi invece un pregiudizio di estrema gravit� per l�Amministrazione, che dovrebbe distogliere immediatamente 
il ricorrente dal suo attuale incarico��. Cfr. anche L. PAPIANO, Inaugurazione Tar Parma 
2008, in www.giustizia-amministrativa.it: �Le ordinanze vengono motivate, ove possibile, anche in relazione 
al merito del ricorso, oltre che sul pregiudizio grave ed irreparabile. Pertanto la decisione dell�istanza 
cautelare, salve le possibili diverse valutazioni della causa in sede di merito, spesso contiene 
una prognosi sul merito del ricorso, senza alcun vincolo per il successivo giudizio definitivo�. 
(25) CONSOLO, Il nuovo processo cautelare. Problemi e casi, Torino, 1998, 34. 
(26) T.A.R. Emilia Romagna � Parma del 30 giugno 2011 n. 283/2011: va sospesa la deliberazione 
del Consiglio comunale avente ad oggetto �Approvazione di convenzione urbanistica � con vendita di 
cubatura, in quanto non ricorrono le condizioni per consentire la piena esplicazione dell'efficacia esecutiva 
dei provvedimenti impugnati, in relazione al carattere prevalente del danno che subirebbero i ricorrenti 
dalla stipula della convenzione urbanistica, prima ancora del tempo necessario alla stesura della
346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
spingimento dell�istanza cautelare ritenendolo determinante, senza alcun riferimento 
al fumus (27). 
9. La misura intermedia prevista dall�art. 55 comma 10: il fumus qualificato 
dalle esigenze apprezzabili favorevolmente e la pretesa tutelabile adeguatamente 
solo con la definizione sollecita del giudizio di merito. 
Il comma 10 dell�art. 55 introduce per la prima volta una misura intermedia: 
la possibilit� per il Tar, se ritiene che le esigenze del ricorrente siano 
apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione 
del giudizio di merito, di fissare con ordinanza collegiale la data di 
discussione del ricorso di merito. Nello stesso senso pu� provvedere il Consiglio 
di Stato, motivando sulle ragioni per cui ritiene di riformare l�ordinanza 
cautelare di primo grado. In tal caso la pronuncia di appello � trasmessa al 
T.A.R. per la sollecita fissazione dell�udienza di merito. 
La concessione della suddetta misura richiede, oltre al periculum, la sussistenza 
di un fumus qualificato da esigenze apprezzabili favorevolmente e, 
dunque, da una prognosi sommaria accentuata sulla favorevole conclusione 
del ricorso a favore del ricorrente. Richiede altres� un terzo requisito: la necessit� 
che le ragioni del ricorrente possano essere tutelate in maniera adeguata 
solo in sede di merito. La precisazione si richiama evidentemente all�intento 
del legislatore di accentuare la accessoriet� e strumentalit� della tutela cautelare 
favorendo la risoluzione definitiva delle controversie in fase di merito eliminando 
la fase cautelare. 
Qualora invece il giudice ritenga indispensabile l�adozione delle misure 
cautelari, concesse sulla base dei requisiti ordinari del danno grave ed 
irreparabile e del fumus boni iuris, si applica il successivo comma 11 dell�art. 
55. La norma, come gi� previsto dall�abr. art. 3 della l. 205/2000, stasentenza. 
T.A.R. Emilia Romagna � Parma del 30 giugno 2011 n. 283/2011, che sospende l' aggiudicazione 
definitiva della gara d'appalto per l'affidamento dei servizi e delle forniture necessarie per l'attivazione 
e la gestione dell�Unit� Logistica Centralizzata dell'Area Vasta Emilia Nord per una durata di 
6 anni ed un importo di 30 milioni poich�, a prescindere dalle valutazioni in merito alla fondatezza degli 
elementi di fumus boni iuris, appare necessario mantenere inalterata la situazione di fatto fino alla trattazione 
del merito del ricorso, la cui udienza viene contestualmente fissata entro il successivo quadrimestre, 
stante la necessit� di pervenire a un valutazione del merito pi� approfondita. T.R.G.A. - Sezione 
di Bolzano del 27 giugno 2011: va sospesa la deliberazione del Consiglio comunale avente ad oggetto 
�Approvazione di convenzione urbanistica � con vendita di cubatura, in quanto non ricorrono le condizioni 
per consentire la piena esplicazione dell'efficacia esecutiva dei provvedimenti impugnati, in relazione 
al carattere prevalente del danno che subirebbero i ricorrenti dalla stipula della convenzione 
urbanistica, prima ancora del tempo necessario alla stesura della sentenza. 
(27) T.A.R. Emilia Romagna � Parma del 30 giugno 2011 n. 278/2011: �considerato che, per 
essere gi� state poste in essere le opere contestate, nessun concreto beneficio ricaverebbe la parte ricorrente 
da un eventuale accoglimento dell�istanza, si respinge la suindicata istanza cautelare�. Cfr. anche 
T.A.R. Emilia Romagna � Parma del 30 giugno 2011 n. 280/2011 che nel caso di specie respinge in 
quanto il danno lamentato non presenta i caratteri della gravit� ed irreparabilit�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 347 
bilisce che l�ordinanza con cui � disposta una misura cautelare fissi la data 
di discussione del ricorso nel merito. In caso di mancata fissazione dell�udienza, 
il Consiglio di Stato, se conferma in appello la misura cautelare, 
dispone che il tribunale amministrativo provveda alla fissazione della stessa 
con priorit�. A tal fine l�ordinanza � trasmessa a cura della segreteria del 
primo giudice. 
10. La ponderazione degli interessi pubblici e privati e il principio di proporzionalit�. 
Il giudizio sulla gravit� del danno comporta anche una valutazione, non 
meno rilevante ai fini dell�adozione del provvedimento di sospensione dell�efficacia 
dell�atto che coinvolge la proporzione tra il pregiudizio arrecato al 
ricorrente e il danno che, dalla eventuale ordinanza di sospensione, deriverebbe 
all�amministrazione. �, dunque, necessario, operare una comparazione del sacrificio 
del ricorrente dall�esecuzione dell�atto con quello che verrebbe altrimenti 
imposto all�amministrazione dalla relativa sospensione (28). 
Da ci� discende che, per considerare giustificata la concessione della misura 
cautelare, il danno subito dal ricorrente deve essere non solo grave in assoluto, 
ma anche rivelarsi sproporzionato rispetto al vantaggio che 
dall�esecuzione dell�atto deriverebbe all�amministrazione. 
Al giudice � dunque richiesto di prendere in considerazione tutti gli interessi 
coinvolti, sia privati sia pubblici. Infatti, se l'esame si conclude con la 
concessione di una misura cautelare, si assicura alla parte ricorrente una tutela 
(a volte insufficiente), ma correlativamente si potrebbe introdurre nell'attivit� 
amministrativa un fattore di incertezza a causa della provvisoriet� della pronuncia. 
In certi casi accade invece che l'accoglimento della c.d. sospensiva sia 
considerato dal ricorrente una pronuncia definitiva e invocata come tale ai fini 
dell'attivit� ulteriore dell'amministrazione. 
Si pu� verificare, inoltre, che alcuni indirizzi giurisprudenziali in materia 
cautelare, tendenzialmente seguiti dal giudice in un numero considerevole di 
controversie per la forza del precedente, si affianchino alla disciplina legislativa, 
giungendo a costituire una normativa provvisoria ispirata pi� alle esigenze 
di tutela dell'interesse del ricorrente che all'interesse pubblico. 
L'amministrazione, peraltro, pur animata dall'intento di adeguarsi all'ordinanza, 
pu� trovarsi in serio imbarazzo qualora un soggetto controinteressato 
rispetto all'accoglimento del ricorso si opponga all'esecuzione. 
Per ovviare a tali inconvenienti, la legislazione, pur riconoscendo l�insopprimibilit� 
della tutela cautelare pi� volte affermata dalla giurisprudenza 
della Corte costituzionale tende a limitare il ricorso alla misura cautelare, su- 
(28) In ogni caso �l'esigenza di un atto motivato non comporta un onere di comparazione fra l'interesse 
dello straniero e quello pubblico�(Tar Toscana ordinanza n. 62/2004 del 14 gennaio 2003).
348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
bordinandola in certi casi a una motivazione particolarmente diffusa (29). Il 
presupposto del periculum deve inoltre identificarsi nel pericolo di danni gravi 
ed irreparabili che devono altres� risultare imminenti, oltre che concreti. La 
misura cautelare pu� essere concessa dal giudice solo in presenza di un concreto 
periculum in mora e non anche quando il danno sia solo potenziale. 
Tale presupposto non pu� ritenersi sussistente allorch� l�atto impugnato 
non sia idoneo a cagionare una lesione effettiva ed attuale. L�istanza cautelare 
non pu� infatti trovare fondamento nei riflessi che il provvedimento impugnato 
potr� avere su altre eventuali situazioni che potranno verificarsi nel tempo. 
Nell�esperienza del processo amministrativo, quando il giudice ritiene che 
dalla concessione della misura cautelare possano derivare effetti irreversibili, 
di regola rigetta l�istanza cautelare proposta dal ricorrente. 
Ci�, soprattutto in considerazione proprio del fatto che, nel valutare la 
concedibilit� della misura cautelare, il giudice amministrativo � tenuto a bilanciare 
gli interessi coinvolti nella controversia, valutando con particolare attenzione 
le interferenze del provvedimento giurisdizionale con il 
perseguimento del pubblico interesse. 
*** ** *** 
PARTE II 
SOMMARIO: 1. La cautela preprocessuale - 2. Il �finto� contraddittorio del procedimento 
minicautelare - 3. La notifica - 4. La consumazione del potere presidenziale - 5. La casistica 
relativa al requisito dell�estrema gravit� ed urgenza - 6. La valutazione prognostica 
del fumus - 7. Il problema della competenza e del forum shopping risolto dal codice - 8. 
Il rischio della contemporanea vigenza delle misure cautelari ante causam con quelle assunte 
in corso di causa. 
1. La cautela preprocessuale. 
Il nuovo processo cautelare conferma lo strumento particolarmente innovativo 
del decreto monocratico inaudita altera parte emesso dal presidente 
del TAR o dai presidenti di Sezione del Consiglio di Stato, su istanza della 
parte ricorrente, prima della trattazione della domanda cautelare. L�art. 56 disciplina 
in modo pi� organico le misure cautelari monocratiche in corso di 
(29) G.VACIRCA, Relazione sull'attivit� svolta dal TAR Toscana, in http://www.giustiziaamministrativa.
it/documentazione/studi_contributi/Vacirca1.htm.: �In definitiva, in molti casi la semplice sospensiva, 
pur essendo un indispensabile strumento di tutela dell'interesse individuale del ricorrente si 
rivela, nell'ottica dell'interesse pubblico, un mezzo eccessivo e causa di incertezze. Nelle controversie 
sull'aggiudicazione di appalti o forniture, ad esempio, l'interesse dell'amministrazione � quello di stipulare 
il contratto alle migliori condizioni e ottenerne in tempi rapidi l'esecuzione. La controversia fra imprese 
che hanno presentato offerte, spesso non molto diverse, � in realt� un processo fra privati, rispetto 
al quale l'amministrazione � sostanzialmente indifferente. �, quindi, essenziale e rispondente all'interesse 
pubblico una definizione estremamente rapida del giudizio�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 349 
causa introdotte per la prima volta dalla legge n. 205 del 2000 che aveva novellato 
a sua volta l�art. 21 della legge n. 1034 del 1971. 
Il comma 1 precisa che la richiesta al presidente di disporre le misure cautelari 
provvisorie deve essere proposta contestualmente alla domanda cautelare, 
oppure con distinto ricorso. Anche in questo caso il codice sostituisce il 
termine �ricorso� a quello di �istanza�, utilizzato dalla pregressa normativa. 
Tenuto conto che la nuova procedura fissata dall�art. 55 per l�assunzione delle 
misure cautelari collegiali ha previsto termini un po� pi� lunghi rispetto al regime 
precedente per la fissazione della camera di consiglio, � probabile che il 
ricorso alle misure cautelari monocratiche possa intensificarsi rispetto al passato, 
potendo verificarsi pi� frequentemente i presupposti per la loro adozione. 
Non sono mutati i presupposti per l�assunzione di tali misure cautelari: 
devono sussistere ragioni di �estrema gravit� e urgenza� tali da non consentire 
neppure la dilazione sino alla data della camera di consiglio per la trattazione 
delle misure cautelari collegiali. 
Anche per le misure cautelari vige la condizione di procedibilit� gi� indicata 
dall�art. 55 del codice, costituita dalla presentazione dell�istanza di fissazione 
dell�udienza di merito, fatto salvo il caso che l�udienza debba essere 
fissata d�ufficio. 
La concessione o il diniego di misure cautelari monocratiche pu� essere 
subordinato alla prestazione di cauzione qualora da esso derivino effetti irreversibili. 
Valgono le considerazioni gi� formulate per la cauzione prevista 
anche per le misure cautelari collegiali, con la precisazione che nel caso in 
esame essa pu� essere imposta anche qualora la domanda cautelare attenga a 
diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale. 
Il decreto non si presta ad impugnazione o riesame ad istanza della parte 
pubblica, anche se i tempi di definitiva pronuncia cautelare possano essere dilatati 
da esigenze di integrazione del contraddittorio o di attivit� istruttoria (1). 
Il presidente del tribunale, o della sezione cui il ricorso � stato assegnato, 
pu� delegare altro magistrato all�assunzione delle misure cautelari monocratiche 
richieste. 
(1) Prima della legge n. 205 del 2000, con le ordinanze Sez. V, 28 aprile 1998, n. 181 e 19 maggio 
1998, n. 814, il Consiglio di Stato aveva sancito la nullit� assoluta del decreto di sospensione emesso 
dal solo presidente anzich� dal collegio, ritenendo che tale decreto fosse stato emesso in assenza di una 
norma di legge, da un soggetto non investito di potere giurisdizionale, con indebita sottrazione all�Amministrazione 
del diritto alla difesa. Cfr. Corte di Giustizia delle comunit� europee - Sentenza 29 aprile 
2004. Per un ampio excursus cfr. D.TARULLO, La tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo: 
un nodo da sciogliere, in www.giustamm.it., il quale evidenzia che �nonostante la chiarezza 
della littera legis, in singoli casi alcuni Tribunali amministrativi regionali si erano pronunciati ante causam 
ed inaudita altera parte. In particolare la Sezione III del Tribunale amministrativo regionale della 
Lombardia si era resa protagonista di una giurisprudenza alquanto innovativa. Gi� nel 1997 tale Sezione 
aveva adottato un provvedimento cautelare a carattere preventivo ed in assenza di contraddittorio (ord. 
14 novembre 1997 n. 758).
350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Tale precisazione, introdotta dal Codice, consente di superare i dubbi sorti 
in ordine alla precedente disciplina, che tale facolt� di delega non prevedeva (2). 
� da evidenziare che diversamente dallo strumento previsto e disciplinato 
dall�art. 61 c.p.a. il procedimento minicautelare pu� essere utilizzato sia nel 
giudizio di appello avverso ordinanza, che in quello avverso sentenza, essendo 
teso a porre rimedio nell�attesa della discussione in camera di consiglio e non 
a fronteggiare una situazione eccezionale (3). 
Il carattere temporaneo della misura cautelare monocratica ne giustifica 
la sua non impugnabilit�, come gi� previsto nella precedente disciplina. 
Pur se non impugnabile, il decreto presidenziale � sempre revocabile o 
modificabile su istanza di parte (4). 
2. Il �finto� contraddittorio del procedimento minicautelare. 
Ai fini dell�assunzione delle misure cautelari monocratiche non � prevista 
obbligatoriamente l�audizione delle parti. Queste ultime possono essere sentite 
fuori udienza, senza formalit� dal presidente del tribunale, ai sensi dell�art. 56 
comma 2, anche separatamente prima dell�emanazione del decreto. La suddetta 
audizione pu� essere effettuata solo se necessario e qualora le parti si 
siano rese disponibili. 
Nel caso di mancata costituzione delle parti intimate, che spesso non hanno 
nemmeno il tempo materiale di costituirsi, l�intervenuta notifica fa salvo il contraddittorio 
sul piano formale. Del pari � vero che il giudice potrebbe ravvisare 
eventuali esigenze istruttorie ritenute indispensabili ai fini del decidere. 
Si tratta di una forma assai impropria di contraddittorio per le caratteristiche 
che lo connotano, considerato che le parti possono essere sentite anche 
separatamente e altres� in modo del tutto eventuale, non essendo obbligatorio 
aderire alla eventuale convocazione del presidente. 
Si � gi� detto che il legislatore, con la previsione di un decreto cautelare 
inaudita altera parte, ha voluto contemperare l�esigenza di celerit� del meccanismo 
processuale, che deve far fronte a situazioni di estrema gravit� ed urgenza, 
con il rispetto di un irrinunciabile tasso minimo di coinvolgimento 
processuale delle parti diverse dal ricorrente. 
Il processo amministrativo verte pur sempre sulla tutela del primario interesse 
pubblico: la ratio perseguita dal legislatore � quella di evitare che il 
giudice amministrativo possa adottare una qualsiasi misura, anche provvisoria 
ed interinale, senza che almeno un contraddittore (P.A. o controinteressato) 
(2) M. ANNONI, Il riordino della tutela cautelare, in giustamm.it, dic. 2010, anno VII, 2. 
(3) Come ricorda S. DI CUNZOLO, Il procedimento e il regime delle misure cautelari, in AA.VV., La 
tutela cautelare e sommaria nel nuovo processo amministrativo, a cura di F. FRENI, Milano, 2011, 105. 
(4) All�istanza di revoca o di modifica si applica la medesima procedura (notifica alle parti, etc.) 
prevista per la domanda di misure cautelari monocratiche.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 351 
sia stato avvisato o messo in condizione di costituirsi. Spesso la costituzione 
� resa impraticabile dalla ristrettezza dei tempi che non consentono di approntare 
una difesa neppure embrionale (5). 
L�impiego della tutela precautelare monocratica che si svolge senza contraddittorio 
non pare pi� sollevare dubbi circa la sua naturale vocazione a soddisfare 
e garantire effettivit� e certezza del diritto, nelle more della decisione 
sull�istanza rituale di sospensione od, addirittura, anche prima della sua proposizione. 
Parte della dottrina si era, in passato, mostrata perplessa, e aveva 
evidenziato che �se si accedesse all�opinione che il Presidente, senza neppure 
sentire le parti, possa anticipare la sua opinione sulla sussistenza dei presupposti 
per la concessione della misura cautelare, si porrebbero dei dubbi di legittimit� 
costituzionale della norma, per contrasto con l�art. 24 della Costituzione� (6). 
3. La notifica. 
La domanda di misure cautelari monocratiche deve essere proposta unitamente 
alla domanda cautelare collegiale o anche separatamente, a mezzo di 
autonomo ricorso notificato alle altre parti del giudizio. 
Valgono per la notifica di tale domanda cautelare le stesse considerazioni 
formulate in merito all�art. 55. La domanda deve essere indirizzata al presidente 
o, se notificata successivamente al ricorso, al presidente della sezione 
cui il ricorso � gi� stato assegnato. 
Il secondo comma dell�art. 56 impone al Presidente di verificare, prima di 
pronunciarsi sulla misura cautelare richiesta, se la notifica del ricorso contenente 
la richiesta di misure cautelari monocratiche si sia perfezionata nei confronti 
dell�amministrazione e di almeno uno dei controinteressati (7). Per ragioni di 
celerit� � sempre consentita la notifica del ricorso a mezzo fax, ma in tal caso 
il ricorso deve essere notificato per via ordinaria entro 5 giorni dalla richiesta 
delle misure cautelari monocratiche. In assenza di tale adempimento le misure 
(5) R. LEONARDI, La tutela cautelare nel processo amministrativo, Milano, 2011, 105, il quale osserva 
che il codice si sforza comunque di garantire il diritto al contraddittorio e ad un giusto processo, 
ancorch� ci si trovi in una fase preliminare del giudizio che ci� nonostante pu� provocare degli effetti, 
sui diversi interessi in gioco, di non poco conto. Cfr. anche M. I. LEONARDO e S.TARULLO, Luci ed ombre 
in tema di tutela cautelare monocratica in www.giustamm.it TAR Lazio, ord. 25 ottobre 2000, n. 9076. 
(6) V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 2003, 737. Per il caso 
della notifica del ricorso a mezzo posta, il perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario 
pu� essere oggi provato mediante il servizio internet delle poste di monitoraggio della corrispondenza, 
al pari di quanto previsto per le misure cautelari collegiali. 
(7) La dottrina, anche prima del codice, aveva sottolineato l�esigenza di garantire la struttura dialettica 
tra le parti ed il giusto processo, M.A. SANDULLI, La tutela cautelare nel processo amministrativo, 
in www.federalismi.it, n. 20/2009, 14 e ss., come ricordato anche da R. LEONARDI, La tutela cautelare 
nel processo amministrativo, Milano, 2011, 105. Decreto Presid. Tar Em. Ro. � Bologna, Sez. I, n. 597 
del 18 luglio 2011 in materia di non superamento dell�esame di maturit� che respinge anche in quanto 
�non risulta perfezionata la notificazione del ricorso al Ministero dell�Istruzione dell�Universit� e della 
Ricerca, e al Liceo Scientifico�.
352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
cautelari eventualmente concesse nelle more cessano di avere efficacia. 
Il termine di 5 giorni � previsto per l�effettuazione della notifica da parte 
del ricorrente e non per il perfezionamento della stessa nei confronti del destinatario. 
Si applicano pertanto le regole proprie del perfezionamento della 
notifica per il notificante (consegna all�ufficiale giudiziario, spedizione a 
mezzo posta, ecc.), ai sensi dell�art. 56 comma 5. Potrebbe, tuttavia, accadere 
per fatto non imputabile al ricorrente, che non sia possibile nei termini imposti 
dall�urgenza del provvedere conseguire l�accertamento dell�avvenuto perfezionamento 
della notifica nei confronti di alcuni destinatari. 
Per il caso di notifica del ricorso a mezzo posta, il perfezionamento della 
notifica nei confronti del destinatario pu� essere provato mediante il servizio internet 
delle poste di monitoraggio della corrispondenza (al pari di quanto previsto 
per le misure cautelari collegiali). Potrebbe per� accadere, per fatto non imputabile 
al ricorrente, che non sia possibile nei termini imposti dall�urgenza del 
provvedere conseguire l�accertamento dell�avvenuto perfezionamento della notifica 
nei confronti di destinatari. In tali circostanze l�art. 56 del codice consente 
al presidente di provvedere, salvo il potere di revoca delle misure adottate. 
Anche nel regime pregresso il ricorrente non aveva l�obbligo di fornire la 
prova di tutte le notifiche, ma almeno di una (8). � dunque necessario attendere 
che sia certa e provata al momento dell�accesso alla tutela cautelare almeno una 
notifica. Tale soluzione offre un compromesso tra le esigenze cautelari del ricorrente 
e quelle dei litisconsorti passivi necessari i quali, grazie alla comprovata 
antecedenza temporale, per quanto minima, della notifica rispetto al provvedimento 
monocratico, dovrebbero essere posti in grado di contraddire (9). 
La giurisprudenza ha stabilito che sia da rigettare l�istanza di revoca di 
un decreto cautelare provvisorio fondata sul mancato perfezionamento della 
notifica del ricorso introduttivo in quanto circostanza concomitante e non sopravvenuta 
rispetto ad esso (10). 
Qualora, infatti, dagli atti di causa risulti la notifica del ricorso introduttivo 
all�autorit� emanante, si realizzerebbe il contraddittorio sufficiente ai fini 
dell�adozione del decreto presidenziale (11). 
(8) Cfr. Pres. TAR Calabria Sez. stacc. Reggio Calabria del 14 agosto 2003 (cd. caso del Catania 
calcio il quale dispone che �la notifica del presente decreto presidenziale agli Enti intimati e alla controinteressata 
venga effettuata dalla ricorrente anche soltanto a mezzo telefax e, se del caso, per via Telematica 
(E-Mail) come espressamente previsto dall�art. 12 della predetta legge n. 205/2000 e, 
genericamente, dall�art. 151 c.p.c�. 
(9) M. I. LEONARDO e S. TARULLO, Luci ed ombre..., op. cit. 
(10) T.a.r. Lazio - Roma - Sezione III - Decreto Presidenziale n. 9/2005 del 5 gennaio 2005. 
(11) T.a.r. Lazio - Roma - Sezione III - Decreto Presidenziale 5 gennaio 2005 n. 9: �� di dubbia 
ammissibilit� la istanza di revoca di un decreto di concessione di misure cautelari provvisorie il termine 
finale della cui efficacia sia fissato per legge alla pronuncia dello stesso collegio nella prima camera di 
consiglio utile. � da rigettare l�istanza di revoca di un decreto cautelare provvisorio fondata sul mancato 
perfezionamento della notifica del ricorso introduttivo in quanto circostanza concomitante e non so-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 353 
Le ragioni di urgenza devono essere tali da non tollerare neppure la minima 
dilazione, ossia il tempo di attesa delle notifiche. Tale opzione consente 
di avere la prova dell�avvenuta notifica in brevissimo tempo, attraverso il cd. 
rapportino fax e conseguentemente di accedere immediatamente alla cautela, 
�pur nella quasi certezza (lo si deve riconoscere) che le controparti non 
avranno il tempo di predisporsi alla difesa� (12). 
4. La consumazione del potere presidenziale. 
Il codice ha voluto fissare con certezza il periodo di durata della misura 
cautelare monocratica, imponendo al presidente di indicare nel decreto di accoglimento 
la data della camera di consiglio in cui sar� trattata la domanda di 
misure cautelari collegiali. Il decreto esplica efficacia solo sino a tale data, 
anche nel caso che a tale camera di consiglio la domanda cautelare non sia 
trattata, ovvero non sia rinviata la trattazione (13). 
Il decreto con cui il Presidente, prima della trattazione della domanda 
cautelare, dispone le misure cautelari provvisorie ex comma 4 dell�art. 58 (che 
abroga l�art. 21, l. 6 dicembre 1971 n. 1034), � efficace sino alla pronuncia 
pravvenuta rispetto ad esso. Quando dagli atti di causa risulti la notifica del ricorso introduttivo all�autorit� 
emanante, si realizza il contraddittorio sufficiente ai fini dell�adozione del decreto presidenziale; 
che � dubbio che la revoca del decreto presidenziale di concessione di misure cautelari provvisorie, il 
termine finale della cui efficacia � fissato per legge alla pronuncia del collegio cui la domanda cautelare 
deve essere sottoposta nella prima camera di consiglio utile, sia ammissibile; che, in considerazione 
dell�esiguit� dei giorni lavorativi che precedono la camera di consiglio del 12 gennaio 2005 fissata per 
la pronuncia collegiale, non si ravvisa interesse alla richiesta revoca; che comunque il motivo di rito su 
cui � fondata l�istanza di revoca - mancato perfezionamento della notifica del ricorso introduttivo del 
giudizio nei confronti della istante� alla data di pronuncia del provvedimento cautelare - costituisce 
un fatto non sopravvenuto bens� concomitante; che, come risulta dagli atti di causa, alla data di pronuncia 
del provvedimento cautelare il ricorso introduttivo del giudizio era notificato all�autorit� emanante, sicch� 
si era realizzata la situazione di contraddittorio non completo di cui all�art. 21, comma 8, l. n. 1034/71 
sub art. 3 l. n. 205/00 che consente la pronuncia del decreto presidenziale (cfr. Corte cost., ord. n. 179 
del 2002); che, vertendosi in materia di appalti pubblici, occorre tener conto del fatto che il diritto comunitario 
immediatamente applicabile impone la tutela cautelare anche ante causam (Corte giust. CE, 
15 maggio 2003 in causa C-214/00) e che ci� pu� influire sulla tipicit� del procedimento cautelare come 
disciplinato dal diritto interno; rigetta l�istanza di revoca�. 
(12) M.I. LEONARDO e S. TARULLO, op. cit., i quali osservano che de iure condendo sarebbe bene 
consentire che la difesa delle amministrazioni possa essere affidata a funzionari amministrativi. In base 
ad una giurisprudenza minoritaria deve ritenersi, anche ai sensi dell�abrogato art. 21, 9� comma, legge 
Tar, introdotto dall�art. 3, 1� comma, l. n. 205/2000, che la domanda preliminare di sospensione del 
provvedimento impugnato possa essere accolta con decreto presidenziale anche in assenza di notifica 
dell�atto introduttivo all�amministrazione ed agli eventuali controinteressati. Il decreto presidenziale di 
accoglimento della domanda cautelare pu� infatti essere emesso inaudita altera parte nonostante che, 
stante l�urgenza, il ricorso non sia stato preventivamente notificato ma solo depositato, al fine di sottoporre 
l�istanza cautelare all�esame immediato del presidente, T.a.r. Sicilia, sez. Catania [decr. pres.], sez. 
II, 6 dicembre 2001, n. 32, in Foro amm.-Tar, 2002, 279, con nota di GAVA. 
(13) In caso di fissazione dell�udienza di merito l�ordinanza collegiale, qualora intenda disporre 
ulteriormente la sopensione del provvedimento impugnato, deve specificare che il provvedimento cautelare 
presidenziale � confermato. V. in materia di ammissione con riserva all�esame di maturit� Tar Em. 
Ro. Sez. � Bologna, sez. I, ord. n. 592 del 7 luglio 2011.
354 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
del collegio, cui l'istanza cautelare � sottoposta nella prima camera di consiglio 
utile. Lo stesso accade nel caso in cui il collegio ritenga di definire il giudizio 
con sentenza in forma semplificata. In questo caso, sino all�emanazione della 
sentenza il decreto presidenziale svolge un�efficacia prolungata, ben oltre la 
data della camera di consiglio. 
Nel caso invece di ordinanza istruttoria emessa a seguito della camera di 
consiglio � necessario sospendere espressamente in sede di ordinanza il provvedimento 
al fine di paralizzarlo. 
Qualora manchi qualsiasi riferimento espresso, il decreto continua a svolgere 
i suoi effetti. 
La funzione dell'intervento monocratico consiste nel fronteggiare interinalmente 
situazioni nelle quali l'attesa della pronuncia cautelare in sede collegiale 
possa vanificare la speranza di tutela e, quindi, le misure adottate con il decreto 
presidenziale rivestono una rilevanza meramente provvisoria, in quanto esse 
sono destinate ad essere sostituite dall'ordinanza assunta in sede collegiale (14). 
Pertanto, la definizione del giudizio cautelare, con la reiezione in sede 
collegiale della domanda cautelare inizialmente accolta con decreto presidenziale, 
comporta la caducazione degli effetti prodotti dal decreto cautelare ed 
anche degli effetti prodotti dagli atti che siano stati eventualmente adottati dall'amministrazione 
per dare esecuzione al decreto presidenziale (15). 
Qualora il decreto presidenziale, non si limiti ad assumere valore meramente 
conservativo, mediante la sospensione degli effetti di un atto pregiudizievole, ma 
rivesta carattere di strumento anticipatorio, attraverso l'imposizione di comportamenti 
positivi come, ad esempio, nel caso di ammissione con riserva alle gare 
o ad esami, gli effetti provvisori originati da questi dovranno ritenersi tamquam 
non essent, in caso di rigetto della domanda cautelare da parte del Collegio (16). 
Una volta che il Presidente si sia pronunciato, i poteri cautelari passano 
automaticamente al Collegio. Secondo questa prospettazione, essendo il termine 
finale di efficacia del decreto provvisorio fissato al dies del vaglio collegiale 
nella prima camera di consiglio utile, si determina la consumazione 
del potere presidenziale (17). Di conseguenza � precluso alle controparti svan- 
(14) T.a.r. Lombardia Milano, Sez. III, 11 novembre 2005, n. 3971, in Foro amm. TAR 2005, 11 
3387. T.a.r. Lazio - Roma - Sezione III - Decreto Presidenziale n. 9/2005 del 5 gennaio 2005. Sul carattere 
di interinalit� del decreto monocratico cfr. R. GAROFOLI � G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, 
4 ed., Roma, 2011, 905, il quale argomenta dell�efficacia del decreto limitata fino alla camera 
di consiglio della fase collegiale. 
(15) T.a.r. Lombardia Milano,� cit.. 
(16) T.a.r. Lombardia Milano,� cit.. Qualora con decreto presidenziale sia stata disposta la sospensione 
delle operazioni di gara con differimento del termine di presentazione delle offerte a data successiva 
alla camera di consiglio, l'amministrazione non ha l'obbligo di fissare un nuovo termine di 
scadenza, poich� il provvedimento giurisdizionale comporta la diretta sospensione del decorso del termine 
in questione, prorogandone la scadenza fino all'esito del giudizio cautelare. 
(17) M.I. LEONARDO e S. TARULLO, Luci ed ombre in tema di tutela cautelare monocratica nel 
processo amministrativo, in www.giustamm.it.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 355 
taggiate dalla misura interinale, di adire nuovamente la sede monocratica con 
un�istanza di revoca (18). 
5. La casisitica relativa al requisito dell�estrema gravit� ed urgenza. 
L�art. 56 comma 1, ricalcando il dettato di cui all�art. 3 l. n. 205 del 2000, 
richiede la dimostrazione della estrema gravit� e urgenza, tale da non consentire 
neppure la dilazione sino alla data della camera di consiglio. 
� opportuno valutare se l�estrema gravit� ed urgenza assurga agli estremi 
della irreparabilit� del pregiudizio, ossia se il danno derivante all�attore dalla 
durata o dalla causa della durata del processo a cognizione sommaria, consista 
in un danno irreparabile, ovverossia in un danno insuscettibile di essere riparato 
adeguatamente a posteriori (19). � indispensabile, anche, che il ricorrente 
indichi e specifichi il tipo di pregiudizio cui andrebbe incontro in caso di man- 
(18) T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 11 novembre 2005, n. 3970, in Foro amm. TAR 2005, 11 
3387. Si segnala sul punto la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 gennaio 2011 n. 186 che, in 
accoglimento dell'appello dell'Avvocatura Generale, afferma importanti principi in materia di esame di 
avvocato chiarendo, in particolare, che la nota norma "abilitante" di cui all'art. 4 comma 2 bis d.l. 
115/2005 conv., con modificazioni, nella l. 168/2005, presuppone il superamento di una completa procedura 
di abilitazione (id est : sia delle prove scritte, sia della prova orale) in esecuzione di un'ordinanza 
cautelare valida ed efficace. Di conseguenza non pu� trovare applicazione nel caso in cui (come avvenuto 
nella specie) la candidata, senza aver mai superato le prove scritte, sia stata ammessa direttamente dal 
TAR in sede cautelare a sostenere la prova orale, poi superata, a nulla valendo la successiva iscrizione 
all'albo degli avvocati, costituente una sopravvenienza (che non priva il g.a. del potere/dovere di sindacare 
il presupposto procedimento di abilitazione) destinata a cadere automaticamente (senza neccessit� 
di impugnazione a parte di alcuno) a seguito (della riforma in appello dell'ordinanza propulsiva del TAR, 
e, comunque,) del rigetto, nel merito, del ricorso di primo grado. Ora il problema � stato risolto sia dal 
codice processuale amministrativo sia dal codice degli appalti. 
(19) V. decreto pres. n. 342/2011 TAR. Em. Rom. - Sez. staccata Parma (sezione prima): Ritenuto 
che � principio pacifico che l�estrema gravit� e l�irreparabile urgenza a provvedere, che soltanto giustificano 
l�adozione di misure cautelari monocratiche da parte del Presidente, non possono essere determinate 
dall�inerzia o, comunque, dal comportamento processuale di parte ricorrente; Ritenuto, altres�, 
che parte ricorrente avrebbe potuto tranquillamente utilizzare, attivandosi nei termini utili, delle udienze 
cautelari collegiali di luglio o, quantomeno, della scorsa udienza collegiale di ieri; Respinge l�istanza di 
misure cautelari monocratiche proposta dai ricorrenti. 
V. anche decreto Presid. Tar Em. Ro. Sez. - Bologna, sez. I, n. 600 del 21 luglio 2011 in materia di non 
ammissione alla classe successiva: lo stato di profonda frustrazione dell�alunno e di grave caduta del 
senso di autostima che seguono a enormi sforzi profusi nell�anno scolastico non si configurano come 
un caso di estrema gravit� e urgenza, ai sensi dell�art. 56, comma 1 del codice. Cfr. decreto Pres. III sez. 
TAR Lazio del 31 luglio 2003, che motiva anche in ordine alla capacit� riparatoria dell�ordinanza cautelare 
successiva �considerato che, nelle more della prossima Camera di consiglio, non sussistono le ragioni 
di estrema gravit� ed urgenza prospettate dal ricorrente, in considerazione che il campionato inizia 
il 7 settembre p.v. ed in relazione alla capacit� eventualmente riparatoria e ripristinatoria del provvedimento 
giurisdizionale anche cautelare� respinge la predetta istanza di misure cautelari provvisorie, tenuto 
conto anche della natura del pregiudizio prospettato, e fissa la camera di consiglio al 27 agosto 
2003 per l�esame della domanda cautelare�. Cfr. anche, sul rilievo di come gi� normalmente ci� che sia 
provvisorio in diritto tenda a divenire definitivo di fatto F. CARPI, La tutela d�urgenza fra cautela, �sentenza 
anticipata� e giudizio di merito, in Riv. dir. proc., 1985, 683, riportato anche da L. QUERZOLA, 
Tutela cautelare e convenzionale di Bruxelles nella esperienza della Corte di giustizia delle Comunit� 
europee, in Riv. dir. proc. civ., 2000, 184.
356 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
cata sospensione del provvedimento (20). 
� fatto notorio che nella tutela cautelare l�accertamento � sommario in 
quanto meramente ipotetico e prescindente dalla acquisizione di risultanze probatorie, 
per appagarsi di una valutazione della verosimiglianza delle allegazioni 
fondata su un mero calcolo di probabilit� (21). Potrebbe risultare non conforme 
allo spirito del codice affermare il principio, peraltro avversato anche dalla 
dottrina processualcivilista che, smantellando oltre misura quelle pur ridotte e 
quindi tanto pi� necessarie garanzie delle parti, sia consentita la concessione 
di misure cautelari sulla base della mera valutazione di verosimiglianza delle 
affermazioni della parte istante (22), senza necessit� alcuna di riscontro oggettivo, 
ossia probatorio (23). Importante, poi, � verificare se tra la data della no- 
(20) V. decreto Presid. Tar Em. Ro. Sez. - Bologna, sez. I, n. 597 del 18 luglio 2011 in materia di 
non superamento dell�esame di maturit� che respinge anche in quanto il ricorrente non fa nessuna menzione 
del motivo per cui risulti indispensibile l�adozione delle misure cautelari e provvisorie che si richiedono. 
Decreto Pres. f.f. Tar Emilia Romagna, n. 823 del 18 novembre 2003: �Considerato che il 
ricorrente non ha in alcun modo specificato quale pregiudizio gli deriverebbe, in ipotesi, dal differimento 
della esposizione faunistica rispetto alla data richiesta, cui non si ricollega, a quanto risulta, alcuna scadenza 
o preclusione� respinge l�istanza�. 
(21) F. TOMMASEO, voce Provvedimenti d�urgenza, in Enc. Dir., Milano, 1988, 861. 
(22) G. MONTELEONE, Diritto processuale civile, 3 ed., Padova, 2002, 1206, si preoccupa di specificare 
come la tutela cautelare non deve sostituire la cognizione ordinaria, surrettiziamente in modo rapido 
e sommario il medesimo risultato dell�azione ordinaria, vale a dire la decisione anticipata della controversia. 
Ad esempio, in materia di immigrazione, risulta evidente che quasi tutti i provvedimenti riguardanti 
gli stranieri recano, fisiologicamente, un danno grave per il destinatario, costretto in molti casi a fare ritorno 
al proprio paese di origine. Tale principio, tuttavia, se accolto rischia, non solo di offrire un utile 
escamotage per aggirare la legge, che non prevede riti speciali innanzi al Giudice Amministrativo (come 
ad esempio in Francia), ma vanifica, cosa ben pi� grave, l�attivit� delle Questure e delle Prefetture che 
gi� oberate di lavoro a causa del fenomeno dell�immigrazione, si trovano costrette a svolgere attivit� aggiuntive 
onerose, anche dal punto di vista economico, con spreco di risorse umane e materiali. 
(23) Decreto Pres. f.f. Tar Toscana n. 834 del 31 luglio 2003: i ricorrenti hanno impugnato il decreto 
del Prefetto di Pistoia di diniego dell�istanza di regolarizzazione e la revoca del permesso di soggiorno 
rilasciato ad un extracomunitario. I ricorrenti hanno chiesto ed ottenuto da parte del TAR il 
decreto inaudita altera parte di sospensione dei provvedimenti impugnati. Il suddetto decreto, emesso 
senza contraddittorio tra le parti e, dunque, senza che le Amministrazioni fossero poste nella condizione 
di far valere le proprie ragioni, ha sospeso per oltre un mese l�efficacia dei provvedimenti impugnati 
fino alla camera di consiglio del 9 settembre 2003. Il decreto � motivato solo ed esclusivamente con argomentazione 
riguardante il danno e grave ed irreparabile. Anche i decreti Pres. f.f. TAR Toscana n. 
769 del 19 luglio 2003, Pres. f.f. TAR Toscana n. 833 del 31 luglio 2003, decreto Pres. Tar Lombardia 
sez. staccata Brescia n. 438 del 21 giugno 2003, e decreto Pres. Tar Lombardia sez. staccata Brescia n. 
929 del 29 ottobre 2003 accolgono solo sulla base del periculum in mora. 
(23 ) Decreto Pres. Tar Emilia Romagna, n. 271/2008: Considerato che grave e irreparabile sarebbe 
il pregiudizio derivante al ricorrente ove non venisse disposta la sospensione del provvedimento impugnato 
nella parte in cui dispone l�allontanamento dal territorio dello Stato, fino alla prossima Camera di 
Consiglio fissata per il 24 aprile 2008; ... accoglie l�istanza�. Cfr. anche Consiglio di Stato - Sezione IV, 
Decreto Presidenziale 3 luglio 2007, n. 3322: �Considerato che l�ordinanza di primo grado impugnata 
risale al 21 febbraio 2007 e che le cartelle esattoriali prodotte in giudizio (docc. 15 e 16) sono state notificate 
il 21 maggio 2007; Ritenuto, pertanto, che la situazione di estrema urgenza dedotta in relazione 
alla prossima scadenza del termine per il pagamento all�Agente della riscossione (20 luglio 2007) sia 
prevalentemente imputabile al comportamento processuale della societ� ricorrente, che ha proposto ap-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 357 
tifica e il deposito intercorra un certo lasso di tempo: la negligenza del ricorrente 
deve essere valutata. Sarebbe opportuno verificare, anche, se tra la data 
di notifica e dell�immediato deposito, il calendario delle udienze TAR preveda 
un nutrito numero di udienze, anche a brevissima distanza (24). 
La misura cautelare monocratica � da utilizzare solo in situazioni eccezionali, 
non altrimenti tutelabili, che insorgano nell�intervallo tra udienze ordinarie 
gi� calendarizzate (25). 
Solo in tale prospettiva la situazione di estrema gravit� e urgenza legittima 
l�intervento cautelare presidenziale: essa deve dipendere da cause oggettive e 
pello con atto depositato il 28 giugno 2007; considerato, altres�, che � possibile esaminare la domanda 
cautelare in sede collegiale nella camera di consiglio del 17 luglio 2007, anteriore alla scadenza predetta, 
rigetta l�istanza di misure cautelari provvisorie�. Ed inoltre cfr. decreto Pres. TAR Toscana n. 1036 del 
17 ottobre 2003 �Considerato che il ricorrente ha impugnato il diniego di regolarizzazione del cittadino 
albanese Z., il quale richiama il diniego di nulla osta del Questore di� motivato autonomamente con 
un'espulsione con accompagnamento alla frontiera e con la sussistenza della fattispecie di cui all'art. 
13, comma 13, d. lgs. n. 286 del 1998 e successive modificazioni (rientro in Italia senza speciale autorizzazione 
del Ministro dell'interno); considerato che il ricorrente, datore di lavoro, non prospetta un 
pregiudizio di estrema gravit� a lui personalmente riferibile; considerato, altres�, che non sussiste una 
estrema urgenza, atteso che il provvedimento, notificato il 22 luglio 2003, � stato impugnato con ricorso 
notificato il 18 settembre 2003 e depositato il 15 ottobre 2003; considerato che la prima camera di consiglio 
utile alla trattazione collegiale dell�istanza cautelare, incidentalmente proposta con il ricorso sopra 
indicato, � fissata per il giorno 28 ottobre 2003 p.v. ... respinge l�istanza di misure cautelari provvisorie 
presentata nel ricorso di cui in epigrafe�. 
(24) Cfr. Decreto presid. Tar Bologna II Sez. n. 770 del 26 settembre 2011: respinge l�istanza di 
sospensione relativa all�impugnazione del provvedimento di non ammissione dell�alunno alla classe liceale 
successiva, in quanto il ricorso risulta depositato dopo l�inizio dell�anno scolastico, nonch� del limitato 
lasso di tempo (17 giorni) intercorrente dalla data della camera di consiglio per l�esame collegiale 
dell�istanza cautelare ordinaria. Cfr. Tar Bologna II Sez., decreto n. 790/2007: �� rilevato che non appare 
sussistere una situazione di �estrema gravit� ed urgenza� quale � richiesta dalla norma di cui all�art. 
3 L. n. 205/2000 nel breve lasso di tempo intercorrente dalla gi� fissata camera di consiglio del 13 dicembre 
2007 per l�esame dell�istanza cautelare ordinaria, avuto riguardo alla prolungata durata del corso 
in oggetto (nove mesi), gi� iniziato dal 28 setembre 2007; rilevato altres� che la richiamata norma di cui 
all�art. 11 d.m. n. 245/99 (v. ricorso, pag. 17) non sembra applicabile alla fattispecie in esame, avendo 
essa esclusivamente riguardo a �comprovata causa di malattia o gravi e documentati motivi di carattere 
privato riconosciuti dallo stato maggiore della Difesa� pacificamente inesistenti nel caso in oggetto e 
che comunque parte ricorrente non precisa quale sarebbe la data effettiva di scadenza del termine indicato 
dalla norma predetta, limitandosi ad affermare genericamente che essa sarebbe �a breve��. Cfr. al riguardo 
decreto Pres. TAR Toscana n. 1092 del 6 novembre 2003 �Considerato che nel brevissimo intervallo 
di tempo intercorrente tra il deposito del ricorso e la riunione del Collegio in camera di consiglio 
non sono configurabili danni di estrema gravit� � respinge l�istanza di misure cautelari provvisorie� e 
decreto Pres. TAR Toscana n. 446 del 5 maggio 2003 �� considerato che � possibile esaminare tempestivamente 
l�istanza cautelare in sede collegiale� respinge�). Cfr. anche decreto Pres. f.f. Tar Toscana 
n. 1079 del 6 novembre 2003 �Ritenuto, infine, che il periodo di tempo intercorrente per la trattazione 
Collegiale della domanda di sospensiva non � tale da arrecare pregiudizio all�interesse del Consorzio 
ricorrente� e Decreto pres. TAR Lazio II Sez. bis, del 31 ottobre 2003: �Considerato che non sussistono 
le ragioni di estrema gravit� ed urgenza prospettata dai ricorrenti e richiesta dalla predetta disposizione 
quale presupposto per la tutela cautelare anticipata, essendo utile anche ai fini della tutela cautelare ordinaria 
invocata la prossima Camera di Consiglio del 10 novembre 2003� respinge ��. 
(25) Decreto presid. Tar Bologna I Sez. n. 885 del 20 ottobre 2011 sempre in materia di impugnazione 
di provvedimento di non ammissione alla classe successiva. 
358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
non gi� divenire tale per ritardo o inerzia dell�interessato. 
Ne consegue che non potrebbe darsi luogo alla tutela monocratica allorch� 
�la scansione temporale degli eventi lasci ampio margine per la deliberazione 
della causa in sede collegiale, previa eventuale istanza di abbreviazione 
dei termini per la trattazione del ricorso durante la prima camera di consiglio 
utile� (26). Vero � che la controparte potrebbe chiedere l�istanza di anticipazione 
dell�udienza, se ritenesse che il proprio caso sia cos� urgente ed indilazionabile 
(27). � infatti, onere della controparte, vista l�urgenza, effettuare 
celermente la notifica del ricorso senza attendere la scadenza ultima, soprattutto 
nel caso in cui non si ricorra all�abbreviazione dei termini, e di depositare 
lo stesso in tempi ristretti al fine di poter ottenere la trattazione dell�udienza 
cautelare quanto prima (28). 
Ci�, in particolare, nei casi in cui la redazione del ricorso non presenti 
difficolt� tecniche rilevanti. Invece, spesso, si opta per la soluzione pi� comoda 
ma meno garantista per lo svolgersi di un processo equo. Opportuno, sarebbe 
contemperare sempre il danno derivante al ricorrente con il prevalente interesse 
pubblico (29), sia ai fini del rigetto sia ai fini dell�accoglimento (30). 
(26) V. Pres. II Sez. Em. Romagna n. 547/11 del 24 giugno 2011 che respinge l�istanza facendo riferimento 
alla fissazione a breve della camera di consiglio cautelare nonch� alla prevalenza, nella fase 
preliminare, dell�interesse pubblico alla sicurezza collettiva in considerazione dei precedenti penali del 
ricorrente. V. anche Pres. I Sez. TAR Lombardia n. 1192 del 24 aprile 2001, il quale ritiene che nella 
comparazione degli interessi in gioco prevale la tutela dell�interesse pubblico (in materia di ripristino 
ambientale). In dottrina, F. CARINGELLA, Corso di diritto processuale amministrativo, Milano, 2003, 1078. 
(27) V. decreto monocratico Tar Em. Rom. Sez. Parma n. 186/2011 del 2 maggio 2011: �Ritenuto 
che allo stato, non sussistano le condizioni di estrema gravit� ed urgenza necessarie per l�adozione di 
un provvedimento monocratico, in quanto non risultano emanati provvedimenti consequenziali; ritenuto 
inoltre che l�inerzia della parte sul piano processuale non pu� valere come motivo idoneo a determinare 
situazioni di urgenza� respinge l�istanza cautelare provvisoria�. 
(28) Cfr. decreto Pres. TAR Toscana n. 1213 del 27 novembre 2003 �Considerato che il danno 
derivante dal mancato rilascio dei due nulla osta all�assunzione non � talmente grave da comportare 
l�adozione di un provvedimento provvisorio senza contraddittorio e che il provvedimento, notificato il 
19 settembre 2003, � stato impugnato alla scadenza del termine (18 novembre); Considerato che nel periodo 
19 settembre 2003-26 novembre 2003 si sono tenute numerose camere di consiglio nelle quali il 
ricorso con istanza cautelare, se fosse stato proposto con maggiore tempestivit�, avrebbe potuto essere 
esaminato collegialmente� respinge��. 
(29) Cfr. anche decreto Pres. f.f. TAR Sicilia del 2 settembre 2003; Cfr. G.VACIRCA, Relazione 
sull�attivit� svolta dal TAR Toscana, in www.giustizia amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/
vacircal.htm �� Significativa al riguardo � stata nell�anno 2002 l�emanazione del d.lgs. 20 agosto 
2002, n. 190 in materia di realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di 
interesse nazionale, il cui art. 14 richiede che la valutazione del provvedimento cautelare debba tener 
conto delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere 
lesi, nonch� del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera e che nel concedere 
la misura cautelare il giudice non possa prescindere dal motivare anche sulla gravit� ed irreparabilit� del 
pregiudizio all'impresa del ricorrente, il cui interesse dovr� comunque essere comparato con quello del 
soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure�. Il bilanciamento degli interessi delle 
parti nella domanda cautelare � un requisito valutato nei processi dei vari ordinamenti. Cfr., per quanto 
riguarda il processo comunitario, M.BIAVATI - F.CARPI, Diritto processuale comunitario, Milano, 2000, 
294; L. QUERZOLA, Tutela cautelare e convenzione di Bruxelles nell�esperienza della Corte di giustizia
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 359 
In taluni casi la concessione del decreto cautelare diventa motivo di respingimento 
dell�istanza cautelare proprio per la possibilit� che l�istante ha 
avuto nel lasso di tempo concesso di ovviare agli eventuali danni causati dall�attesa 
della camera di consiglio collegiale (31). 
6. La valutazione prognostica del fumus. 
Relativamente alla genesi, il decreto monocratico parte dal presupposto 
della generale applicabilit� al processo cautelare amministrativo del modello 
di cui agli artt. 669, bis e ss. c.p.c. 669 quaterdecies c.p.c., riguardanti i processi 
cautelari in generale. 
Ed, invero, i procedimenti cautelari sono regolati dal codice tra i procedimenti 
sommari: la loro funzione � la conservazione o tutela di situazioni giuridiche, 
assicurando la cd. res adhuc integra. La caratteristica strutturale della 
tutela cautelare � la provvisoriet�, l�inidoneit� a dettare una disciplina definitiva 
della vertenza: il provvedimento cautelare viene emanato sulla base di una cognizione 
sommaria, di un giudizio di probabilit� e verosimiglianza (32). 
Per quanto riguarda gli obblighi motivazionali, il tenore del decreto non 
pu� avere riguardo unicamente al periculum, che peraltro costituisce il presupposto 
pi� rilevante per l�accoglimento della domanda, ma deve altres� considerarsi 
la sussistenza del fumus giuridico. 
� opportuno porsi il problema se il fumus debba essere valutato anche in 
sede di emissione di decreto monocratico. A dire il vero, seguendo l�interpretazione 
che � sempre stata data alla tutela cautelare, sembra che non ci siano 
dubbi sulla sua valutazione (33). 
delle Comunit� europee, in Riv. dir. proc. civ., 2000, 805 ss. Per quanto attiene al processo civile cfr.A. 
PROTO PISANI, Chiovenda e la tutela cautelare, in Scritti per Mario Nigro, Milano, 1991, 408. 
(30) Cfr. in tal senso i primi decreti emessi dopo, l�entrata in vigore della l. n. 205 del 2000: 
decreto Pres. f.f. TAR Toscana, n. 276 del 14 marzo 2003. Cfr. decreto Pres. ff. Tar Toscana n. 1079 del 
4 novembre 2003 �Ritenuto pertanto che il pregiudizio dedotto appare connotato da elementi certi di 
estrema gravit� ed urgenza e che il periodo di tempo intercorrente per la trattazione collegiale della domanda 
di sospensiva non � tale da arrecare pregiudizio all�interesse dell�amministrazione��. Oppure 
decreto Tar Emilia-Romagna n. 126/2007 del 23 febbario 2007, R.G. 203/2007: �ritenuto, che - nella 
presente fase - nella comparazione dei contrapposti interessi appare necessariamente prevalente la tutela 
dell�interesse pubblico alla sicurezza collettiva rispetto all�interesse privato fatto valere in giudizio, respinge 
l�istanza�. 
(31) Cfr. Tar Em. Rom. Sez. Parma ord. n. 277/2011 che respinge in quanto il �protrarsi dell�occupazione 
dell�alloggio di servizio, anche per effetto della misura cautelare monocratica, ha consentito 
al ricorrente di fruire di un tempo sostanzialmente congruo per la ricerca di soluzioni alternative�. 
(32) Si precisa, per completezza, che il codice di procedura civile prevede da un lato provvedimenti 
sommari non cautelari, come i decreti ingiuntivi e dall�altro i provvedimenti sommari cautelari, 
ossia quelli strumentali, tra cui rientrano l�ordinanza cautelare e il decreto monocratico. 
(33) Tale necessit� � espressa ormai, senza dubbi, dalla dottrina, cfr. D. DE CAROLIS, La tutela 
cautelare: le misure cautelari, presidenziali e collegiali tra atipicit� ed effettivit� della tutela, in Il nuovo 
processo amministrativo dopo due anni di giurisprudenza, a cura di F. CARINGELLA, M. PROTTO, Milano, 
2002, 273. 
360 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Dall�esame dei vari decreti � emerso, nel passato, un andamento discontinuo: 
talora il fumus non � stato valutato, talaltra � stato preso in esame ai fini 
dell�accoglimento, o del rigetto (34). 
In realt� l�esame del fumus dovrebbe essere effettuato sempre, sia in caso 
di rigetto che di accoglimento (35). 
� vero, tuttavia, che il fumus deve essere adeguatamente motivato, visto 
anche il tenore della norma che richiede che il decreto venga motivato: non 
sarebbe, dunque, sufficiente, una mera clausola di stile (36). La tendenza, a 
volte, sembra quella di invocare il fumus quando ci� � strumentale ad accogliere 
(37), e non a rigettare. 
Ed invero, quasi l�ottanta per cento dei ricorsi vengono proposti sulla base 
di un prospettato grave danno: � essenziale provare anche il fumus altrimenti, 
fisiologicamente, buona parte delle istanze di decreto monocratico o di sospensiva 
dovrebbero essere accolte solo sulla base del danno grave, considerati 
la tipologia ed il carattere del processo amministrativo cautelare. 
Che il requisito del fumus debba in ogni modo essere valutato, � principio 
consolidato anche nella dottrina processualcivilista: anzi, ivi si registra la tendenza 
a richiedere un �giudizio pi� completo e meditato� del fumus, con una 
progressiva attenuazione, sino all�eliminazione, del presupposto del periculum 
in mora (38). Anche la dottrina amministrativistica � ormai attestata sull�esi- 
(34) Decreto n. 695/2003 Pres. f.f. TAR Marche: salvo ed impregiudicata ogni valutazione circa 
il fumus. 
(35) In tal senso v. decreto Pres. Tar Toscana n. 1078/2003, che respinge �ritenuto che, a un primo 
sommario esame, il ricorso non sia provvisto di sufficiente fumus boni iuris�. Cfr. anche il decreto (di 
accoglimento) Pres. TAR Toscana n. 303 del 24 marzo 2003 e n. 386 dell�11 aprile 2003. Il decreto n. 
1078 del 3 novembre 2003 del Pres. TAR Toscana citato nel testo � di rigetto. Cfr. in tal senso anche decreto 
Pres. f.f. TAR Toscana n. 1079 del 7 novembre 2003 �il pregiudizio grave ed irreparabile risulta 
genericamente individuato nella eventualit� che il contratto di permuta conseguente alla precitata deliberazione 
sia perfezionato in data anteriore alla prima udienza utile fissata per la trattazione in sede collegiale 
della domanda cautelare; lo stesso interesse soggettivo, destinato ad essere inciso dal gravato 
provvedimento, mostra, quanto meno agli effetti del richiesto provvedimento monocratico, di essere a 
sua volta correlato ad una generica aspettativa a partecipare ad un procedimento concorsuale, finalizzato 
alla aggiudicazione del bene in propriet� del Comune, senza che sia fornito alcun principio di prova od 
argomentazione intesi a rendere concretamente "visibile" siffatto interesse�. Cfr. anche decreto Pres. 
Tar Toscana n. 1091 del 6 novembre 2003 �Considerato che l�esercizio della facolt� di sospensione in 
via cautelativa dell�attivit�, di cui all�art. 31, comma 6, l. reg. 3 novembre 1998, n. 78 deve essere adeguatamente 
motivato; considerato che nel provvedimento e nella relazione tecnica del 2 ottobre 2003 
ivi richiamata non sono indicate concrete situazioni di pericolo idrogeologico o ambientale; vista la documentazione 
attestante i gravissimi danni derivanti dalla sospensione della fornitura di materiale a imprese 
di costruzione, rigetta l�istanza�. 
(36) Cfr. il decreto Pres. f.f. Tar Campania. 
(37) Tar Brescia 1149/2003. 
(38) E.F. RICCI, Profili della nuova tutela cautelare amministrativa del privato nei confronti della 
PA, in Dir. proc. amm., n. 2 del 2003, 299 e 301. Va concessa la misura cautelare provvisoria di cui 
all'art. 21 comma 9 l. n. 1034 del 1971, chiesta dal destinatario di un provvedimento comunale di sospensione 
temporanea dell'attivit� di vendita al dettaglio che esaurirebbe i suoi effetti prima dell'udienza 
cautelare di trattazione, in quanto, in disparte i profili di fondatezza del ricorso, detto provvedimento �
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 361 
genza che la valutazione del fumus sia imprescindibile (39). 
� da attenzionare lo squilibrio che si pu� determinare in danno del destinatario 
passivo della misura cautelare monocratica, quasi sempre emanata in 
assenza di contraddittorio (40), anche perch� il dato normativo prevede espressamente 
l�obbligo di motivazione del decreto del presidente. 
La motivazione non dovrebbe risolversi in una mera clausola di stile non argomentata, 
anche al fine di evitare disorientamenti in capo alle Amministrazioni. 
Anche perch�, � bene precisare che l�impatto di tali provvedimenti di sospensione 
nei confronti di Amministrazioni � molto pi� forte di quello che pu� essere 
percepito da chi di mestiere si occupa tutti i giorni del processo amministrativo. 
La percezione, infatti, pu� sostanziarsi in una sorta di atteggiamento di 
resa o, comunque, di disorientamento circa l�attivit� posta in essere nonch� 
della bont� dell�operato da parte delle Amministrazioni che hanno speso notevoli 
energie sia materiali sia economiche per giungere all�emanazione dei 
provvedimenti impugnati. 
Emerge, sicuramente, la tendenza dei giudici a considerare la sussistenza 
di entrambi i presupposti al fine di accogliere o meno la domanda, �dando una 
certa prevalenza alla prova della estrema gravit� e urgenza, peraltro da accertare 
caso per caso� (41). 
L�accostamento e la contiguit� tra tutela sommaria cautelare giustificata 
da ragioni di urgenza di effettivit� della tutela e la sommariet� dell�accertamento 
del diritto controverso si rendono, dunque, imprescindibili. La corretta 
percezione della pericolosit� propria della eventuale irreversibilit� degli effetti 
prodotti dal provvedimento cautelare, ossia della gravit� del pregiudizio che 
un provvedimento cautelare pu� arrecare al convenuto che risulti vittorioso al 
termine del processo di cognizione piena, deve influire, a partire dal giudice 
monocratico, anche nel senso di una accurata valutazione del fumus, deve stimolarlo 
a contenere la sommariet� della cognizione in punto di fumus: solo 
cos� � possibile di fatto limitare il rischio di ribaltamento del giudizio nel processo 
a cognizione piena (42). 
indubbiamente produttivo di un danno particolarmente grave e di difficoltoso ristoro, tenuto anche conto 
che alla sanzione inflitta con lo stesso provvedimento potrebbe essere poi data agevole esecuzione ove 
il procedimento cautelare avesse esito sfavorevole per il ricorrente (T.A.R. Veneto, Sez. III, 24 ottobre 
2005, n. 842, in Foro amm. TAR 2005, 10 3107). 
(39) Cfr. per tutti, ABBAMONTE - LASCHENA, Giustizia Amministrativa, vol. XX del Trattato di Diritto 
Amministrativo, diretto da Santaniello, Padova, 2001. 
(40) �Pu� accadere, inoltre, che alcuni indirizzi giurisprudenziali in materia cautelare, tendenzialmente 
seguiti dal giudice in un numero considerevole di controversie per la forza del precedente, si affianchino 
alla disciplina legislativa, giungendo a costituire una normativa provvisoria ispirata pi� alle esigenze 
di tutela dell'interesse del ricorrente che all'interesse pubblico� In definitiva, in molti casi la semplice sospensiva, 
pur essendo un indispensabile strumento di tutela dell'interesse individuale del ricorrente, si 
rivela, nell'ottica dell'interesse pubblico, un mezzo eccessivo e causa di incertezze�, G. VACIRCA, op. cit. 
(41) F. D. DE CAROLIS, La tutela cautelare�, op. cit., 275. 
(42) A. PROTO PISANI, Procedimenti cautelari, in Enc. Giur. 4.
362 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
Tanto pi� che la fase cautelare successiva non si presenta come una fase a 
cognizione piena, ma si basa, ancora una volta, sulla valutazione del fumus (43). 
Sul requisito del fumus, dunque, la dottrina � unanime nel considerarlo imprescindibile, 
sia pure con una pregnanza maggiore attribuita al periculum (44). 
Il bilancio di questo decennio registra, comunque, che il decreto monocratico 
� stato concesso con parsimonia dal giudice amministrativo sia di primo 
che di secondo grado, proprio a causa dell�assenza di contradditorio (45). 
7. Il problema della competenza e del forum shopping risolto dal codice. 
Riguardo alla competenza, come abbiamo visto, il codice introduce una rilevante 
novit�: il presidente del tribunale prima di assumere la misura cautelare 
monocratica richiesta deve accertare la competenza del tribunale medesimo. 
� dunque da escludersi la possibilit� di una tutela cautelare �autosufficiente�, 
cio� tale da comportare l�acquisizione di risultati definitivi o irreversibili 
che renderebbero del tutto inutile la pronuncia definitiva nel merito del 
ricorso (46), in quanto non � questa la ratio e la finalit� di tale misura. Come 
(43) A. PROTO PISANI, op. cit., 4. 
(44) �Trattasi di valutazioni di estrema delicatezza, ma a valutazioni di queste specie � affidata 
l�attuazione equilibrata della garanzia costituzionale dell�effettivit� del diritto di azione e del diritto di 
difesa�, A. PROTO PISANI, op. cit., 4. 
(45) Per comprendere il grado di improcastinabilit� del rimedio, richiesto dalla giurisprudenza, 
si possono citare i numerosi decreti cautelari emessi dal Presidente di sezione del Consiglio di Stato e 
successivamente confermati dal Collegio il giorno prima dell�inizio delle prove scritte del concorso notarile 
in relazione all�ammissione con riserva, disposta dal T.A.R., di tutti coloro che avevano commesso 
un solo errore alla preselezione informatica. La quasi totalit� dei ricorrenti esclusi per aver commesso 
un errore nella prova preselettiva avevano proposto ricorso, cos� vanificando l�intento del legislatore di 
limitare l�accesso alla procedura concorsuale al fine di assicurare un pi� celere ed efficiente svolgimento. 
L�effetto delle massicce ammissioni con riserva, con sostanziale disapplicazione della legge, � stato reputato 
dal Consiglio di Stato tale da legittimare l�adozione di provvedimenti monocratici inaudita altera 
parte a tutela non solo dell�interesse dell�amministrazione ad un regolare svolgimento della procedura 
concorsuale ma anche di tutti coloro che avevano legittimamente superato la prova preselettiva e che 
avevano visto ampliarsi, oltre i limiti consentiti dalla normativa vigente, il numero dei concorrenti a 
fronte di un ristretto numero di posti banditi. V. W. FERRANTE, Le misure cautelari nel processo amministrativo, 
in Rass. Avv. St., 2006, v. 4, 1 ss.. 
(46) T.A.R. Sicilia-Sezione staccata di Catania I sezione - sentenza n. 1490/2005 decreto 
1282/2005: con D.P. n. 1282 del 9 settembre 2005 � stata accolta la domanda di misure cautelari provvisorie, 
in considerazione della concessione di decreti cautelari monocratici, in pari data, da parte del 
Presidente della Sez. II del T.A.R. Lazio Roma in ordine ad analoghe ordinanze sindacali, al fine quindi 
di conferire un assetto giurisdizionale uniforme per garantire in via provvisoria la par condicio tra le 
squadre partecipanti. Nella camera di consiglio del 27 settembre 2005 il ricorso, chiamato per la trattazione 
della domanda cautelare, � passato in decisione ai sensi dell'articolo 26 della legge numero 1034 
del 1971, su concorde richiesta delle parti di decisione in forma semplificata, essendo cessata ormai 
l�esigenza cautelare. Preliminarmente, il Collegio osserva che, nonostante l�irreversibilit� degli effetti 
del D.P. n. 1282/2005, in virt� del quale, sospesa l�ordinanza impugnata, � stata disputata la partita in 
questione, per cui il conseguimento dell�utilit� immediata garantita dalla misura cautelare ha determinato 
la definitivit� degli effetti, in considerazione dell�esaurimento in un brevissimo arco temporale dell�efficacia 
spiegata dalla misura cautelare stessa, il Collegio non pu� essere spogliato del potere decisorio, 
tanto pi� quando la misura cautelare � stata adottata con decreto monocratico da sottoporre al T.A.R.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 363 
gi� detto l�ultima parte del 1� comma dell�art. 56 del c.p.a. dispone infatti che 
il presidente provveda sulla domanda solo se ritiene la competenza del Tar, 
altrimenti rimette le parti al collegio per i provvedimenti di cui all�art. 55, 
comma 13 in materia di regolamento di competenza. 
Lo stesso disposto � stato introdotto in relazione al procedimento cautelare 
ante causam ex art. 61: il comma 3 del medesimo articolo dispone che 
l�incompetenza del giudice sia rilevabile anche d�ufficio. Il fenomeno del c.d. 
forum shopping andava sicuramente arginato in relazione alla tendenza di alcuni 
T.A.R. ad affermare, talvolta proprio con decreto cautelare inaudita altera 
parte ex art. 9 l. 205/2000 abr., la cessazione della materia del contendere a 
seguito dell�esecuzione della misura cautelare con effetti provvisoriamente 
satisfattivi per il ricorrente. Il frequente ricorso al c.d. forum shopping era uno 
dei tanti motivi per cui il Consiglio di Stato aveva ritenuto inammissibile la 
introduzione del decreto inaudita altera parte. 
La scissione tra tutela cautelare e tutela di merito sembra infatti porsi in 
contrasto con il principio di cui all�art. 25 Cost. del giudice naturale precostituito 
per legge. � necessario che il giudice valuti la sussistenza delle condizioni dell�azione 
che sono, come per ogni altra azione giudiziaria, la legitimatio ad causam, 
l�interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., l�esistenza della situazione giuridica 
fatta valere (interesse legittimo o diritto soggettivo) (47). Secondo un filone giurisprudenziale 
invero minoritario, il presidente del TAR, adito in via di assoluta 
urgenza, poteva provvedere monocraticamente ordinando un facere nominando 
commissari ad acta, con ampi poteri sostitutivi, che utilizzino la collaborazione, 
nella sua istituzionale composizione collegiale, e considerato, oltretutto, che le stesse parti hanno chiesto 
concordemente la definizione del ricorso con sentenza. Di fatti, la tutela cautelare ha natura strumentale 
rispetto alla pronuncia che definisce il giudizio nel merito, trattandosi di una �tutela mediata� che, secondo 
un notissimo quanto autorevole orientamento dottrinario, serve pi� che a far giustizia a garantire 
l�efficacia pratica della sentenza definitiva che servir�, a sua volta, ad attuare il diritto. Di guisa che 
deve escludersi la possibilit� di una tutela cautelare �autosufficiente�, cio� tale da comportare l�acquisizione 
di risultati definitivi o irreversibili che renderebbero del tutto inutile la pronuncia definitiva nel 
merito del ricorso. Ci� posto, nel merito, il ricorso si appalesa infondato, e tanto esime dal prendere in 
esame l�eccezione di inammissibilit� sollevata dalla difesa del Comune. Secondo un orientamento giurisprudenziale 
nell�ipotesi in cui l�urgenza del caso non consenta l�adozione di misure cautelari provvisorie 
intese a differire l�attivit� amministrativa sino alla prima camera di consiglio utile in modo da 
poter rimettere al collegio la res adhuc integra, � possibile esaminare la controversia stessa pur nella 
consapevolezza che gli effetti dell�eventuale adozione del decreto presidenziale di concessione di misure 
cautelari urgenti inaudita altera parte, ai sensi dell�art. 21 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, nel testo sostituito 
dall�art. 3 l. 21 luglio 2000 n. 205 potrebbe produrre effetti comunque irreversibili. Cfr. anche Cons. 
giust. amm. sic., [decr.], 22 maggio 2002, n. 9, in Cons. Stato, 2002, I, 1439. 
(47) L. IEVA, Sull�interesse ad agire negli appalti pubblici nella prospettiva del diritto comunitario 
(Nota a C. Stato, Sez. V, 10 ottobre 2006, n. 6026, Soc. Giesse �84 c. Prov. Cuneo), in Urbanistica e appalti, 
2007, 207. Cfr. anche M. INTERLANDI, Brevi riflessioni sui recenti orientamenti giurisprudenziali 
in tema di ampliamento della legittimazione ad agire nel processo amministrativo, in Giust. amm., 2006, 
1299 ss.; A. CORSARO, Processo amministrativo: rapporti tra regolamento di competenza e tutela cautelare 
(Nota a Cons giust. amm. sic., sez. giurisdiz., ord. 28 luglio 2004, n. 661), in Foro amm.-Cons. 
Stato, 2004, 2307.
364 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 
anche forzata, manu militari, dei presidenti, dirigenti e funzionari delle amministrazioni 
coinvolte (48). Ai sensi degli art. 2 e 3 l. 1034/71, spetta al Tar del 
Lazio la competenza a conoscere del ricorso avverso un provvedimento di un 
ente pubblico a carattere ultraregionale avente sede a Roma (49). 
8. Il rischio della contemporanea vigenza delle misure cautelari ante causam 
con quelle assunte in corso di causa. 
Merita alcune considerazioni il tema della contemporanea vigenza delle 
misure cautelari ante causam con quelle assunte in corso di causa. L�art. 61, 
quinto comma, prevede che le misure cautelari ante causam perdono efficacia 
con il decorso di sessanta giorni dalla data del provvedimento di accoglimento 
�dopo di che restano efficaci le sole misure cautelari che siano confermate o 
disposte in corso di causa�. La previsione della permanenza dell�efficacia (�restano 
efficaci�) delle misure assunte in corso di causa alla data di cessazione 
dell�efficacia delle misure cautelari ante causam presuppone che le stesse, almeno 
in ipotesi, siano state assunte precedentemente alla scadenza di quelle 
adottate ante causam e che anch�esse abbiano efficacia dal momento della 
loro adozione. Posto che, per quanto sopra osservato, le misure cautelari ante 
causam hanno una funzione limitata e strumentale alla proposizione del ricorso 
con la relativa domanda di misure cautelari in corso di causa e pertanto possano 
avere un contenuto in tutto o in parte differente da quelle assunte in corso 
di causa (preordinate ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione 
sul ricorso) � ben possibile che in un dato momento coesistano pi� provvedimenti 
cautelari parimenti efficaci ma non del tutto consonanti tra loro. 
L�autonomia e l�esclusivit� del potere monocratico riconosciuto al Presidente 
del tribunale amministrativo nell�assunzione dei provvedimenti cautelari 
ante causam porta ad escludere che i provvedimenti cautelari adottati in corso 
(48) Sono risalenti i casi pi� eclatanti, cfr. T.a.r. Calabria - Reggio Calabria - decreto presidenziale 
14 agosto 2003 n. 1546. Nel caso di specie il facere � costituito dalla iscrizione di una squadra di calcio 
al campionato. Con il decreto monocratico infatti si sospende la delibera del Consiglio federale che ammette 
una squadra (Calcio Napoli) al campionato di calcio di serie B ritenendo garantito un debito finanziario 
attraverso fideiussioni rivelatesi nulle; nel contempo va ammessa con riserva al medesimo 
campionato la squadra (Catania calcio) controinteressata. 
(49) C. Stato, Sez. VI, 7 ottobre 2003, n. 5930. Cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 1994, n. 
979, in Foro Amm., 1994, 1461: Spetta al Tar Lazio, a norma dell'art. 3 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, la 
cognizione di ricorso avente per oggetto atti (ammissione al campionato nazionale dilettanti delle societ� 
A.C. Arezzo, calcio club Catania, A.S. Ternana calcio, SCFC/Casertana calcio, Taranto calcio, A.S. Messina 
calcio e non ammissione della societ� Frattese club), che hanno effetto su tutto il territorio nazionale 
e la cui efficacia non pu� essere limitata al luogo di residenza dei ricorrenti; Cons. Stato, Sez. VI, 12 
marzo 1994, n. 333, in Vita Notar., 1994, I, 155: L'impugnazione dei provvedimenti di non ammissione 
al campionato di serie C/1 del Club calcio Catania e di revoca dell'affiliazione, nonch� delle normative 
in materia di formazione di campionati adottati dalla federazione italiana Gioco calcio, avente sede in 
Roma, va proposta innanzi al TAR del Lazio, con sede in Roma, in quanto le partite del campionato ed 
i campionati di serie C/1 si svolgono, senza limitazione regionale su tutto il territorio nazionale; cfr. 
anche C. Stato, Sez. VI, 7 ottobre 2003, n. 5930.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 365 
di causa possano modificare quelli assunti ante causam. Alla stessa stregua le 
misure cautelari assunte in assenza di una specifica istanza di parte (50). Conseguentemente 
deve ritenersi che ove si determini una situazione di mancata 
consonanza tra successivi provvedimenti cautelari adottati, entrambi efficaci 
nel medesimo momento, la parte lesa da tale situazione debba presentare, ai 
sensi del quinto comma dell�art. 61, del Codice del processo amministrativo, 
istanza di modifica o di revoca delle misure cautelari ante causam al Presidente 
del tribunale amministrativo affinch� esso provveda in merito al provvedimento 
adottato e consenta alle successive misure cautelari assunte in corso di 
causa di dispiegare appieno i propri effetti. 
(50) A tal proposito si segnala che la modifica o revoca d�ufficio prevista dall�art. 254 del D. Leg. 
vo n. 163 del 2006 non � stata riproposta nell�art. 61 del Codice.
RECENSIONI 
FEDERICO BASILICA, FIORENZA BARAZZONI (*), Verso la Smart 
Regulation in Europa - Towards Smart Regulation in Europe. 
(Ed. Maggioli, Gennaio 2013, pp. 456) 
Il volume - scritto in italiano con traduzione in inglese - contiene un�inedita analisi della Better 
Regulation e della sua evoluzione in Smart Regulation, l�obiettivo politico che l�Europa si 
pone per semplificare il contesto normativo e creare le condizioni per introdurre norme pi� 
�intelligenti�, evitando squilibri tra costi e benefici, regole non chiare o addirittura inattuabili. 
La Smart Regulation � ormai un aspetto imprescindibile della politica economica dei Paesi 
europei e della stessa Unione, che ne fanno una leva in grado di migliorare la crescita, la competitivit�, 
lo sviluppo economico e l�occupazione. 
L�importanza di questi temi ha portato gli Autori a una comune riflessione sulle pi� innovative 
iniziative per migliorare la qualit� della regolazione adottate nei vari Paesi e dalle Istituzioni 
europee, analizzandone i punti di forza e le eventuali debolezze. 
Il confronto comparativo messo in luce dai principali protagonisti europei di tali politiche, 
riuniti in tale mirabile opera dai curatori, evidenzia le principali tendenze evolutive e le significative 
differenze esistenti tra gli approcci e gli strumenti della riforma adottati dai singoli 
Paesi ed Istituzioni europee, offrendo spunti agli studiosi e agli operatori pratici per ulteriori 
approfondimenti e sviluppi, sia in ambito europeo che nazionale, nella convinzione che il miglioramento 
della regolazione rappresenti tutt�ora una sfida che richiede continui aggiustamenti, 
alla luce del contesto economico e del sistema di governance europeo. 
Gli Autori 
(*) Federico Basilica, Avvocato dello Stato. 
Fiorenza Barazzoni, Direttore Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 
368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4 /2012 
SERGIO DI AMATO (*), La responsabilit� disciplinare dei magistrati. 
Gli illeciti - Le sanzioni - Il procedimento. Presentazione di 
Ernesto Lupo. 
(Giuffr� Editore, 2013, pp. XXIV, 626) 
La giustiza disciplinare dei magistrati ordinari dopo la riforma del 2006: luoghi 
comuni e verit� dei numeri 
Gli oltre sei anni trascorsi dall�entrata in vigore del d. lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 consentono 
di tracciare un primo attendibile bilancio sull�applicazione della nuova disciplina 
della responsabilit� disciplinare dei magistrati. In questa prospettiva il volume che ho il 
piacere di presentare offre uno strumento davvero prezioso di studio e approfondimento 
anche attraverso una completa analisi, critica e non meramente espositiva, degli orientamenti 
maturati in questi anni nella giurisprudenza della Sezione disciplinare del Consiglio 
superiore della magistratura e nella giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte 
di cassazione: dal 2007 ad oggi la prima ha emesso, tra sentenze ed ordinanze, 935 provvedimenti, 
mentre le seconde, nello stesso periodo, hanno emesso 247 sentenze. 
Il dato, gi� in questa forma grezza, � altamente rappresentativo della forte attenzione riservata 
dai titolari dell�azione disciplinare al profilo deontologico della condotta dei 
magistrati. Eppure nell�opinione pubblica, condizionata dalla rappresentazione della 
giustizia disciplinare offerta dai media, troppo spesso ispirati da sentimenti di parte nei 
ricorrenti scontri tra politica e magistratura, si � fatta strada l�idea di un sistema sostanzialmente 
incapace di punire i magistrati che si macchiano di condotte deontologicamente 
riprovevoli; e ci� per la prevalente presenza di magistrati nella composizione 
della Sezione disciplinare. L�immagine che viene proposta �, perci�, quella di una giustizia 
corporativa e domestica. Di qui il facile passaggio all�idea che per avere una giustizia 
disciplinare davvero efficace occorrerebbe, cambiando la Costituzione, cambiare 
lo stesso giudice disciplinare. 
Non � questa naturalmente la sede per affrontare i temi posti da ipotesi di riforma la cui 
discussione, ferma restando l�irrinunciabilit� di un legame tra autogoverno e disciplina 
della magistratura, risponderebbe a concrete esigenze solo in presenza di altri e pi� ragionevoli 
presupposti, come ad esempio quello dell�eventuale realizzazione di una unit� 
della giurisdizione; qui �, tuttavia, possibile contestare decisamente il presupposto dell�inefficienza 
della giustizia disciplinare dei magistrati ordinari. 
L�analisi dei provvedimenti emessi dal 2004 (1) mostra che, dopo l�entrata in vigore 
della riforma (19 giugno 2006) ed il decorso del tempo necessario perch� i procedimenti 
promossi con le nuove regole fossero portati all�attenzione della Sezione disciplinare, 
si � registrato negli anni dal 2008 al 2010 un progressivo e forte incremento dei procedimenti 
definiti e perci�, ovviamente, delle azioni disciplinari promosse. Nel 2011 e nel 
(*) Sergio Di Amato, in magistratura dal 1972, � consigliere della prima sezione civile della Corte 
di cassazione. Dal 2007 al 2012 ha svolto le funzioni di Direttore generale dei magistrati presso 
il Ministero della giustizia ed in tale veste ha trattato ex professo la materia della responsabilit� 
disciplinare dei magistrati. � stato componente del Comitato scientifico del CSM per la formazione 
dei magistrati. 
RECENSIONI 369 
2012 (i cui dati si fermano per� al 30 settembre) i procedimenti definiti hanno subito 
una leggera flessione. Al riguardo, sembra molto ragionevole pensare che dopo l�impatto 
iniziale della nuova disciplina vi sia stata una maggiore presa di coscienza da parte dei 
magistrati dei doveri da rispettare ed una conseguente maggiore attenzione nei comportamenti. 
Tale evoluzione rappresenta il naturale portato di un codice disciplinare che ha 
abbandonato la generica formulazione dell�illecito disciplinare, gi� dettata dall�art. 18 
del r.d. lgs. 31 maggio 1946, n. 511 ed ha, invece, opportunamente accolto il principio 
di tipizzazione. � vero che si tratta di una tipizzazione imperfetta che lamenta diversi 
limiti, quali l�assenza di norme di chiusura per categorie di beni protetti, spesso neppure 
indicati dalle singole previsioni di illecito, la presenza di numerose, ma spesso ineludibili 
clausole generali, il cui riempimento � affidato alla Sezione disciplinare, e la sicura sovrabbondanza, 
in certi casi, delle fattispecie di illecito, con un rapporto tra le norme di 
difficile interpretazione. Ci� nondimeno, pur con questi limiti, la tipizzazione ha consentito 
di individuare, con molta maggiore precisione rispetto al passato, gli illeciti dei 
magistrati ed ha, quindi, svolto, dopo l�impatto iniziale, quella che deve essere la prima 
funzione di un codice disciplinare e cio� quella di prevenire, prima ancora che di reprimere, 
i comportamenti deontologicamente scorretti individuati dal legislatore. 
In ogni caso, pur con l�andamento descritto, il numero dei procedimenti definiti si � 
mantenuto sui massimi livelli raggiunti prima della riforma e il dato, indipendentemente 
dall�esito del procedimento, non � privo di rilievo perch� testimonia l�attenzione dei titolari 
dell�azione disciplinare. Il fatto, poi, che vengano scrutinate anche condotte che 
in sede di giudizio sono riconosciute come disciplinarmente irrilevanti o di scarsa rilevanza 
rientra, naturalmente, nella fisiologia di un sistema in cui l�accusa, in contraddittorio 
con la difesa, sottopone al giudice la domanda di punizione; il fatto, inoltre, 
(1) Dalle statistiche della Sezione disciplinare dal 2004 al 30 settembre 2012 risultano i seguenti 
dati: 
Anni 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Totale 
Condanne 24 37 30 21 41 55 58 43 36 345 
Assoluzioni 46 60 67 25 24 35 43 34 27 361 
Sentenze di non doversi 
procedere 
0 0 0 0 0 12 14 8 8 42 
Ordinanze di non 
luogo a procedere per 
cessazione dall�ordie 
giudiziario 
16 10 18 19 17 17 29 20 16 162 
Ordinanze di non luogo 
a procedere per altre ragioni 
40 29 26 25 40 28 46 34 13 281 
Totale 126 136 141 90 122 147 190 139 100 1191 
Misure cautelari 3 3 2 6 8 10 5 10 9 56 
Rigetto misure cautelari 1 2 1 0 0 5 0 0 0 9
370 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4 /2012 
testimonia anche che � �sorvegliata� tutta la zona di confine, spesso non cos� netto come 
sarebbe auspicabile, tra il fatto disciplinarmente rilevante e quello irrilevante. 
Se, poi, si passa dal numero dei procedimenti al numero delle condanne, l�idea di una 
giustizia disciplinare corporativa e domestica � ancora pi� fortemente contraddetta. Dalle 
24 condanne del 2004, sostanzialmente stabili sino al 2007, si � progressivamente passati 
alle 58 del 2010, scese a 43 nel 2011 ed a 36 nel 2012 (sino al 30 settembre). In totale, 
dal 1� gennaio 2007 al 30 settembre 2012 si sono perci� registrate ben 254 condanne. 
A questo dato, di per s� molto significativo, si devono poi aggiungere, nello stesso periodo, 
le 118 cessazioni volontarie dal servizio di magistrati sottoposti a procedimento 
disciplinare, le quali, se non tutte, almeno in gran parte sono riconducibili alla scelta 
dell�incolpato di evitare una condanna. Nella stessa direzione si pongono, poi, le misure 
cautelari il cui numero � pi� che raddoppiato dopo l�entrata in vigore della riforma. 
Il dato assoluto, quindi, non consente minimamente di parlare di una giustizia indulgente 
perch� domestica e corporativa; e nella valutazione di questo dato si deve tenere conto 
anche della gravit� delle sanzioni: dal 2007, infatti, in cinque casi � stata inflitta la sanzione 
della rimozione. Se poi si confrontano queste statistiche con quelle risultanti per 
gli altri Paesi europei dal rapporto �European judicial systems� redatto nel 2012 dalla 
CEPEJ (Commission europ�enne pour I'efficacit� de la justice) sulla base dei dati dell�anno 
2010, si scopre che la giustizia disciplinare italiana � decisamente pi� attiva e severa 
della media degli altri paesi europei (2). Dei 36 Paesi presi in considerazione soltanto 
Ucraina (n. 877), Inghilterra e Galles (n. 789), Finlandia (n. 590) e Turchia (n. 199) precedono, 
per numero di procedimenti disciplinari iniziati, l�Italia (n. 175), che � seguita a 
distanza dai tre Paesi che hanno il sistema giudiziario pi� simile al nostro, e cio� Spagna 
(n. 47), Germania (n. 17) e Francia (n. 7). Non diverso � il risultato della statistica ponderata 
e cio� del numero di procedimenti ogni cento giudici, nella quale a fronte di una 
mediana statistica europea (e cio� di una media statistica calcolata espungendo i dati pi� 
alti e quelli pi� bassi) pari ad 1, il dato italiano � pari a 2, mentre Spagna, Germania e 
Francia registrano, la prima, un dato pari a 1 e, la seconda e la terza, un dato pari a 0,1. 
Anche per ci� che riguarda l�esito dei procedimenti si pu� osservare che a fronte di una 
mediana statistica europea di 0,4 condanne ogni cento giudici, il dato italiano � di 0,6 
condanne. 
Queste statistiche e questi confronti non solo disattendono il luogo comune di una giustizia 
disciplinare corporativa ed indulgente, ma confortano nell�idea che la magistratura 
italiana ed il suo organo di autogoverno siano ben consapevoli del rilievo centrale del 
tema della responsabilit� disciplinare in un sistema giudiziario che, come vuole la nostra 
Costituzione, � retto dai cardini dell�autonomia ed indipendenza della magistratura ed � 
caratterizzato dall�obbligatorio reclutamento dei magistrati per concorso. In questo sistema, 
infatti, il magistrato pu� ripetere la propria legittimazione soltanto da una adeguata 
preparazione giuridica e da un rigoroso rispetto di quei doveri che sono stati da 
tempo individuati dalla giurisprudenza disciplinare e che il d. lgs. n. 109/2006 ha consacrato 
nel primo comma dell�art. 1, prevedendo che � il magistrato esercita le funzioni 
(2) Il rapporto � pubblicato on line (all�indirizzo http://www.coe.int/t/dghl/cooperation/cepej/evaluation/
default_en.asp) in francese ed inglese. La materia disciplinare � trattata al capitolo 11.7 (pagg. 
289-306).
RECENSIONI 371 
attribuitegli con imparzialit�, correttezza, diligenza, laboriosit�, riserbo e equilibrio e rispetta 
la dignit� della persona nell'esercizio delle funzioni �. 
La chiarezza dei doveri non esclude, tuttavia, la complessit� dei problemi posti dalla disciplina 
dei magistrati. In molte situazioni, infatti, la deontologia intercetta la non facile 
questione del bilanciamento tra valori egualmente garantiti dalla Costituzione, come nel 
caso del contemperamento del principio di indipendenza del magistrato, soggetto soltanto 
alla legge, con il principio di responsabilit� previsto per tutti i pubblici dipendenti 
e valido anche per i magistrati ovvero come nel caso del contemperamento delle libert� 
individuali, spettanti indistintamente a tutti i cittadini, con il dovere del magistrato di 
apparire, oltre che essere, imparziale. Anche rispetto a queste difficolt� interpretative il 
volume di Sergio Di Amato si fa apprezzare per un significativo contributo di approfondite 
riflessioni. In proposito, anzi, il tema del contributo degli studiosi della materia 
offre lo spunto per segnalare la necessit� di superare il pericolo di una naturale quanto 
sterile autoreferenzialit�. 
In questa prospettiva diventa fondamentale il dialogo tra la Sezione disciplinare e le Sezioni 
unite della Corte di cassazione anche perch� la tipizzazione, sia pure imperfetta, 
scelta dal legislatore del 2006 non affida pi� integralmente alla Sezione disciplinare 
l�individuazione della regola disciplinare, limitando l�intervento della Corte di cassazione 
ad una verifica di logicit� e congruit�, ma stabilisce essa stessa gli illeciti, ampliando 
notevolmente il campo delle questioni suscettibili di sindacato di legittimit�. 
Un tale dialogo, tuttavia, attualmente viene attivato, sostanzialmente a senso unico, quasi 
soltanto dai magistrati condannati e solo raramente dal Ministro della Giustizia e dal 
Procuratore generale (a titolo d�esempio, nell�anno 2011, su 56 ricorsi alle Sezioni unite, 
42 sono stati presentati da incolpati, 13 dal Ministro della giustizia ed 1 dal Procuratore 
generale). Si pu� comprendere, quando comunque vi sia stata una condanna, o quando 
l�assoluzione sia stata ribadita in sede di giudizio di rinvio, dopo un primo annullamento, 
il disagio rispetto ad iniziative che potrebbero apparire di mero �accanimento disciplinare�. 
Ci�, tuttavia, di fatto non ha consentito alla Corte di cassazione di esprimersi su 
molte complesse e controvertibili questioni quali, ad esempio, quelle relative ai numerosi 
casi in cui pi� disposizioni concorrono (apparentemente o formalmente?) a disciplinare 
una stessa fattispecie. 
Con la consapevolezza, quindi, della necessit� di un largo dibattito sulle tante questioni 
poste da una materia cos� complessa, auguro a questo volume una fortunata, quanto meritata, 
accoglienza. 
Ernesto Lupo 
Prefazione dell�Autore 
Questo lavoro ha tratto occasione da una esperienza di quasi cinque anni come magistrato 
fuori ruolo con funzioni di Direttore generale della Direzione generale dei magistrati, 
articolazione del Ministero della Giustizia cui compete la formulazione al Ministro delle proposte 
in materia disciplinare; per tale ragione la Direzione rappresenta un osservatorio privilegiato 
della materia in quanto crocevia obbligato delle relazioni dell�Ispettorato generale, 
delle iniziative della Procura generale presso la Corte di cassazione ed anche delle decisioni 
della Sezione disciplinare, che vengono valutate ai fini di una eventuale impugnazione. In
372 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4 /2012 
questo delicato compito ho avuto la fortuna, nel momento della prima applicazione del d.lgs. 
n. 109/2006, di avvalermi della preziosa, leale ed appassionata collaborazione di colleghi che 
hanno condiviso con me, attraverso il metodo di una quotidiana camera di consiglio, dubbi e 
soluzioni. Verso di loro - ed il pensiero va soprattutto ad Antonio Bianco, Matilde Carpinella, 
Giancarlo Ciani, Pierluigi Picozzi, ma anche a Daniela Bianchini, nel diverso ruolo di responsabile 
del servizio disciplinare del Gabinetto - sono debitore di idee e di stimoli alla riflessione 
e ad essi esprimo perci� la mia gratitudine. 
Questa esperienza, come spesso accade per il condizionamento indotto dalle funzioni 
svolte, mi ha portato a considerare sotto una nuova luce l�azione disciplinare del Ministro 
della Giustizia ed a prendere consapevolezza che essa, ancorch� spesso avvertita da noi magistrati 
come un tentativo di ingerenza dell�esecutivo sulla giurisdizione, rappresenta in realt� 
l�insostituibile meccanismo di bilanciamento voluto dal Costituente per consentire l�attuazione 
dei principi di autonomia ed indipendenza, ma senza fare della magistratura un corpo separato 
ed autoreferenziale. Certo, esiste il rischio che una scelta del ministro di turno possa, indipendentemente 
dalle proposte che gli vengano formulate, essere asservita a logiche di parte; 
si tratta, per�, di un rischio, non solo relativo alla patologia e non alla fisiologia della funzione, 
ma che il Costituente ed il legislatore hanno contenuto in un sistema di pesi e contrappesi, 
che affida l�esercizio dell�azione disciplinare ad una �parte imparziale�, quale il Procuratore 
generale presso la Corte di cassazione, e riserva la decisione ad una articolazione giurisdizionale 
del Consiglio superiore della magistratura, nella quale � garantita la presenza per due 
terzi di magistrati e per un terzo di membri eletti dal Parlamento. 
La stessa esperienza mi fa pensare che spesso la polemica sui magistrati fuori ruolo non 
colga le implicazioni della delicatezza per l�ordinamento giudiziario di alcune funzioni ministeriali. 
Non intendo naturalmente dire, perch� sarebbe chiaramente errato, che solo i magistrati 
hanno le competenze professionali per ricoprire alcuni incarichi; � per� vero che i 
magistrati portano con s�, se non con certezza almeno con elevata probabilit�, la cultura della 
giurisdizione e possono perci� offrire le maggiori garanzie di attuare il principio di imparzialit� 
nell�attivit� amministrativa. Il che non sembra trascurabile rispetto ad attivit� che, come quella 
delle proposte disciplinari, presentano un forte connotato paragiurisdizionale. Senza tacere, 
infine, che il magistrato fuori ruolo, pi� facilmente di qualsiasi altro funzionario, pu� preservare 
la propria fedelt� ai principi di autonomia ed imparzialit�, con la semplice scelta di rientrare 
in ruolo. 
Roma, gennaio 2013
RECENSIONI 373 
LIVIA GIULIANI (*), Autodifesa e difesa tecnica nei procedimenti de 
libertate
(Pubblicazioni della Universit� di Pavia, Facolt� di Giurisprudenza. 
Studi nelle Scienzse giuridiche e sociali) 
(CEDAM, 2012, pp. XII, 291) 
INTRODUZIONE 
Giunta finalmente a dare un assetto compatibile con i principi costituzionali ad un tema 
nutrito da decenni di autorevoli riflessioni, quella regolante le misure cautelari personali si 
era dimostrata ben presto una disciplina che - nonostante la raffinata elaborazione delle soluzioni 
tecniche e la solidit� dell'impianto sistematico - non appariva in grado di raggiungere il 
principale tra gli obiettivi perseguiti dal legislatore: ridurre il ricorso alla detenzione ante iudicium. 
In questa assunzione di consapevolezza pressoch� immediata dei limiti nell'architettura 
della nuova codificazione, non fu senza rilievo la coincidenza con un periodo di acceso contrasto 
tra magistratura e potere politico, determinatosi a seguito dell'instaurazione di numerosi 
processi per corruzione nella stagione cosiddetta di "mani pulite". Pur facendo la tara ai toni 
esacerbati delle cronache di un periodo storico senza dubbio eccezionale, quantit� e qualit� 
degli eventi giudiziari sembravano suggerire che la nuova disciplina processuale non era in 
grado di scongiurare usi eccessivi e forse distorti del potere cautelare. Non si trattava per� 
solo, come spesso si � affermato, di prassi devianti: eccessi ed abusi - se anche di abusi si 
tratt� - erano consentiti da un assetto che non offriva adeguate chances difensive all'imputato, 
soprattutto nella fase delle indagini preliminari. Fin dal faticoso rodaggio della nuova codificazione 
era risultato evidente, del resto, che il legislatore del 1988, guidato dal proposito di 
introdurre un sistema improntato ai principi accusatori, aveva finito col dar vita - complici 
gli interventi controriformistici della Corte costituzionale - ad un processo fortemente sbilanciato 
dal lato dell'accusa. 
Tutto teso verso il traguardo della giurisdizionalizzazione del potere cautelare, il legislatore 
aveva definitivamente realizzato un sistema nel quale la titolarit� di quel potere era 
incentrata sul solo giudice, mentre l'organo delle indagini veniva ricondotto al suo ruolo di 
parte, dando cosi attuazione al principio per cui chi esercita funzioni investigative non deve 
poter disporre della libert� altrui se non in situazioni eccezionali di urgenza e con effetti provvisori. 
Nondimeno, il carattere giurisdizionale dell'organo investito del potere di limitare la 
libert� personale, punto di arrivo della lunga elaborazione che aveva condotto all'approvazione 
del codice vigente, doveva rappresentare non altro che un punto di partenza verso un effettivo 
riconoscimento dei diritti del destinatario della misura restrittiva. Restava ancora tutto da elaborare, 
accanto al profilo formale della giurisdizionalit�, quello sostanziale, formato dal tessuto 
di rapporti ed interscambi tra i soggetti partecipanti alla vicenda cautelare. 
L'evoluzione verso una struttura dialettica del processo - in ogni sua articolazione, anche 
incidentale - formalmente proclamata dalla l. cost. 23 novembre 1999, n. 2, � stata lunga ed 
incompleta ed ha fatto emergere nitidamente le figure dell�imputato e del suo difensore, in 
(*) Professore associato.
374 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4 /2012 
precedenza offuscate da soluzioni normative ed interpretazioni non del tutto in linea con i precetti 
costituzionali. Non sarebbe stato necessario (rectius, non avrebbe dovuto esserlo) ribadire 
nell'art. 111 Cost. principi gi� desumibili dal testo della nostra Carta dei diritti fondamentali. 
Nella particolare ottica delle procedure incidentali de libertate - in controtendenza rispetto 
al ruolo demolitore giocato con riguardo alle regole dell'accertamento nel processo 
principale - la Corte costituzionale si era pronunciata ripetutamente e con chiarezza sulla necessit� 
di un contraddittorio, e di un contraddittorio "anticipato" in tutti i casi nei quali "esigenze 
prioritarie" confliggenti non lo sconsigliassero. Di fronte ad affermazioni di principio 
di grande spessore, si trattava di dar fondo alla discrezionalit� legislativa per far emergere 
linee di tutela compiute e coerenti. Solo in parte l�obiettivo si e realizzato. Se e vero, infatti, 
che. nel corso dei due decenni di vita del codice, i diritti della difesa hanno complessivamente 
registrato un incremento, e vero altres� che gli assetti dell�incidente cautelare attendono ancora 
una soddisfacente sistemazione. 
Neppure dall'aver sancito quei principi a livello costituzionale � stato possibile trarre rimedi 
risolutivi per sciogliere le difficolt� di bilanciamento fra gli interessi dell'autorit� e quelli 
dell'individuo che la materia impone. Non a caso, a quasi tre lustri da quella riforma - e nonostante 
la velocit� stupefacente con la quale, ai tempi del "giusto processo", proliferano i precetti 
cogenti anche per il legislatore penale, sempre pi� pressato dalla "vecchia" e dalla nuova Europa 
- il compito di misurarsi con quelle difficolt� � ancora dinanzi all'interprete. Il quale, per 
verit�, si trova a doversi muovere in un perimetro che, se per certi versi rivela interessanti profili 
di novit�, per lo pi� prospetta orizzonti di principio ben consolidati. Inviolabilit� della libert� 
personale, principio di legalit�, contraddittorio e diritto alla prova erano i temi principali 
del dibattito che aveva preceduto e poi seguito l'avvento del nuovo codice, sviluppandosi 
molto spesso intorno alla necessit� di ridurre il ricorso alle misure cautelari detentive. 
A vent'anni dal cambio della guardia fra le due codif�cazioni, ci si ritrova ancora di 
fronte a un sistema �carcere-centrico� - assistito da un impatto mediatico cresciuto in modo 
esponenziale con l'immenso progresso della tecnologia dell'informazione - e a modalit� di 
svolgimento del procedimento de libertate che non concedono spazio adeguato alla difesa 
dell'imputato. Ripercorrendo temi da sempre al centro dell'attenzione dottrinale, ci si dispone, 
quindi, a riflettere su disfunzioni e possibili rimedi con una consapevolezza che pure non appare 
del tutto nuova: si potranno cio� limare le disposizioni normative alla ricerca di soluzioni 
pi� rispettose dei diritti dei singoli ma l'ordinamento non riuscir� ad evolvere finch� non si 
sar� evoluta la sensibilit� dei cittadini e degli operatori. 
Da un lato, infatti, il legislatore non potr� mai prospettare con successo soluzioni normative 
corrispondenti a modulazioni dei diritti che la mentalit� comune non � pronta ad accettare, 
essendo semmai incline - come � accaduto troppe volte - a retrocedere sul fronte delle 
garanzie dell'imputato per irrobustire la tutela dell'ordine pubblico. Dall'altro, le innovazioni 
devono scontare le renitenze degli interpreti ufficiali: anche a non voler ricordare il peso delle 
prime decisioni di illegittimit� costituzionale che investirono il codice d'impianto accusatorio, 
l'esperienza ce lo ha insegnato, basta un tratto di penna della Suprema Corte per far cambiare, 
a legge invariata, i destini degli uomini.
Finito di stampare nel mese di aprile 2013 
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