ANNO LXIV - N. 4 OTTOBRE - DICEMBRE 2012 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo DĠAscia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Antonio Palatiello - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Fiorenza Barazzoni, Federico Basilica, Stefano Bini, Alessandra Bruni, Alessandro De Stefano, Sergio Di Amato, Wally Ferrante, Paolo Francalacci, Cristina Gerardis, Livia Giuliani, Stefano Grassi, Palmira Graziano, Antonio Grumetto, Giulia Guccione, Ilia Massarelli, Lionello Orcali, Sibilla Ottoni, Vincenzo Rago, Diana Ranucci, Francesco Spada, Marco Stigliano Messuti, Barbara Tidore, Roberta Tortora. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829597 ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................Û 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. Û 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Discorso di insediamento dellĠAvvocato Generale dello Stato, avv. Michele Giuseppe Dipace - Sala Vanvitelli, 8 febbraio 2013 . . . . . . . . . . . . Intervento dellĠAvvocato Generale dello Stato, avv. Michele Giuseppe Dipace, in occasione della cerimonia di inaugurazione dellĠanno giudiziario 2013 - Roma, Palazzo di Giustizia, Aula Magna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. Legge 31 dicembre 2012, n. 247 recante ÒNuova disciplina dellĠordinamento della professione forenseÓ, Circolare AGS prot. 89336 del 26 febbraio 2013, n. 6 . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 1.- Le decisioni della Corte di giustizia dellĠUnione europea Giuseppe Fiengo, Le regole europee in materia di appalti pubblici: nulla di nuovo dalla Corte (...?) (C. giustizia, Grande Sezione, sent. 19 dicembre 2012, causa C-159/11) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Alessandro De Stefano, Il lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato sono la stessa cosa? (C. giustizia, Sesta Sez, sent. 18 ottobre 2012, cause riunite da C-302/11 a C-305/11) . . . . . . . . . . . . . . 2.- I giudizi in corso della Corte di giustizia Ue Stefano Varone, Libertˆ di stabilimento e libera prestazione dei servizi; Diritto di stabilimento; Libera circolazione dei servizi, Causa C-234/12 Giuseppe Albenzio, Libera circolazione delle merci; Unione doganale; Fiscalitˆ; Imposta sul valore aggiunto, Causa C-273/12 . . . . . . . . . . Stefano Varone, Ravvicinamento delle legislazioni; Tutela dei consumatori, Causa C-281/12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marina Russo, Ravvicinamento delle legislazioni, Causa C-342/12. . . Barbara Tidore, Ravvicinamento delle legislazioni, Causa C-352/12 Cristina Gerardis, Disposizioni sociali, Ravvicinamento delle legislazioni, Causa C-361/12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Massimo Santoro, Ravvicinamento delle legislazioni; Libertˆ di stabilimento e libera prestazione dei servizi; Libera circolazione dei servizi, Causa C-371/12. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stefano Varone, Ravvicinamento delle legislazioni, Causa C-409/12 . Wally Ferrante, Libertˆ di stabilimento e libera prestazione dei servizi, Diritto di stabilimento, Libera circolazione dei servizi, Causa C-442/12 pag. 1 ŬŬ 13 ŬŬ 20 ŬŬ 23 ŬŬ 33 ŬŬ 48 ŬŬ 59 ŬŬ 65 ŬŬ 73 ŬŬ 76 ŬŬ 87 ŬŬ 102 ŬŬ 120 ŬŬ 132 CONTENZIOSO NAZIONALE Lionello Orcali, Osservazioni sullĠindennitˆ di occupazione, a seguito della sentenza 181/2011 della Corte Costituzionale . . . . . . . . . . . . . . . . Palmira Graziano, La normativa speciale sul reclutamento e sul trattamento economico del personale scolastico allĠanalisi della Cassazione. Dalla chiara enunciazione del divieto di conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato al pericoloso obiter dictum sugli scatti biennali da riconoscersi nel periodo ÒlavoratoÓ (Cass. civ., Sez. Lavoro, sent. 20 giugno 2012 n. 10127). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marina Russo, La regolaritˆ causale nel contenzioso emotrasfusionale (Cass. civ., Sez. Terza, sent. 31 gennaio 2013 n. 2520) . . . . . . . . . . . . . . Marina Russo, Sul termine breve di impugnazione nel caso di ÇnotificaÈ, da parte del cancelliere, di ordinanza di correzione (C. Conti, Sez. Terza Giurisd. Centr. dĠApp., sent. 18 gennaio 2013 n. 43). . . . . . . . . . . . . . . . Sibilla Ottoni, Silenzio assenso ed ipotesi non regolate di nulla osta paesaggistico: lĠinterpretazione teleologica del Consiglio di Stato (Cons. St. Sez. VI, sent. 21 giugno 2011 n. 3723) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Roberta Tortora, Parametri europei (e nazionali) per lĠidentificazione di Òuna unitˆ istituzionale pubblicaÓ (Cons. St., Sez. Sesta, sent. 28 novembre 2012 n. 6014) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vincenzo Rago, Rimborso spese legali a pubblico dipendente ex art. 18 D.L. 67/1997. Nel caso di specie: imputazione di concussione per fatti che esulano da fini istituzionali e assoluzione con formula parzialmente liberatoria (Cons. St., Sez. Quarta, sent. 26 febbraio 2013 n. 1190) . . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Ilia Massarelli, Recupero dei crediti alimentari ai sensi della Convenzione di New York del 20 giugno 1956. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Alessandra Bruni, Competenze dellĠAgenzia del Demanio in materia di gestione dei beni confiscati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Antonio Grumetto, Materia doganale: natura della violazione prevista dallĠart. 302 co. 1 del d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43 . . . . . . . . . . . . . . . . . Gianni De Bellis, Pagamento del tributo in pendenza del processo: compatibilitˆ dellĠart. 68 co. 2, D.Lgs. n. 546/92 al Codice Doganale Comunitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marco Stigliano Messuti, In materia di contributi pubblici alle imprese editoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stefano Varone, Collegi arbitrali. Legge 6 novembre 2012 n. 190, art. 1 co. 18: regime intertemporale sul divieto di partecipazione di magistrati e di avvocati/procuratori dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Diana Ranucci, Esecuzione allĠestero delle sentenze emesse dalla Corte dei Conti. Convenzioni di Bruxelles del 27 settembre 1968. . . . . . . . . . . pag. 137 ŬŬ 151 ŬŬ 202 ŬŬ 205 ŬŬ 209 ŬŬ 222 ŬŬ 230 ŬŬ 237 ŬŬ 242 ŬŬ 250 ŬŬ 256 ŬŬ 262 ŬŬ 264 ŬŬ 266 LEGISLAZIONE ED ATTUALITË Paolo Francalacci, ÇEcosistemiÈ, ÇbiodiversitˆÈ e Çservizi naturaliÈ: definizioni e caratteristiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco Spada, Le disposizioni in materia di Òparitˆ di genereÓ negli organi di amministrazione e controllo delle societˆ . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Stefano Grassi, Tutela e fruizione del patrimonio culturale . . . . . . . . . . Stefano Bini, Per un bilanciamento di valori tra persona e impresa. . . . Giulia Guccione, LĠAstreinte amministrativa. Problematiche applicative dellĠart. 114, comma 4, lettera e) c.p.a. e prime applicazioni giurisprudenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Maria Vittoria Lumetti, Il procedimento cautelare davanti al Giudice amministrativo. I) La graduazione dellĠurgenza, la prognosi sommaria e i casi di fumus qualificato nel codice processuale amministrativo. II) Il procedimento minicautelare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . RECENSIONI Federico Basilica, Fiorenza Barazzoni, Verso la Smart Regulation in Europa - Towards Smart Regulation in Europe, Ed. Maggioli, 2013. . . . . . Sergio Di Amato, La responsabilitˆ disciplinare dei magistrati. Gli illeciti - Le sanzioni - Il procedimento, Giuffr Editore, 2013. Presentazione di Ernesto Lupo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Livia Giuliani, Autodifesa e difesa tecnica nei procedimenti de libertate, Pubblicazioni della Universitˆ di Pavia, Facoltˆ di Giurisprudenza, Studi nelle scienze giuridiche e sociali, CEDAM 2012. . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 269 ŬŬ 300 ŬŬ 307 ŬŬ 318 ŬŬ 328 ŬŬ 336 ŬŬ 367 ŬŬ 368 ŬŬ 373 TEMI ISTITUZIONALI Cerimonia di insediamento dellĠAvvocato Generale dello Stato Discorso dellĠAvvocato Generale dello Stato Avv. Michele Giuseppe Dipace SOMMARIO: 1. Saluti e ringraziamenti 2. Cenni storici e funzioni dellĠAvvocatura dello Stato 3. Margini di miglioramento 4. Uno sguardo al futuro. Prospettive di riforma 5. Conclusioni 1. Saluti e ringraziamenti. Signor Presidente della Repubblica, a nome di tutta l'Avvocatura dello Stato, desidero esprimerLe i sensi della pi viva gratitudine per aver voluto, con la Sua partecipazione, conferire particolare solennitˆ a questa cerimonia di insediamento. Ella si  sempre dimostrato attento e sensibile ai problemi del diritto e della difesa dello Stato e delle sue Istituzioni democratiche, nel corso della Sua prestigiosa esperienza di parlamentare, di uomo di Stato e di Presidente della Repubblica. Mi sia anche consentito rivolgere un sentito ringraziamento al Vice Presidente del Senato della Repubblica, al Vice Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente della Corte Costituzionale, al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai Presidenti emeriti della Corte Costituzionale, ai Ministri, ai Giudici costituzionali, al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, al Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, ai Sottosegretari di Stato e ai Presidenti delle commissioni parlamentari presenti in questa sala. Un ringraziamento ed un saluto particolarmente affettuoso ai Presidenti del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti e al Procuratore Generale della Corte di Cassazione, ai quali mi legano tanti ricordi della mia vita professionale oltre che una sincera amicizia. 2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Un sentito grazie anche agli illustri rappresentanti delle Autoritˆ indipendenti ed al Capo di Stato Maggiore della Difesa. Un grato saluto a tutti i magistrati presenti, a tutte le altre Autoritˆ civili e militari, al Presidente del Consiglio Nazionale Forense ed a tutti i colleghi del libero foro, cui ci lega la comune esperienza forense, a tutti i colleghi dell'Avvocatura dello Stato con sentimenti di stima ed amicizia. Saluto, inoltre, le organizzazioni sindacali del personale togato e non togato e, con affetto, tutto il personale amministrativo dellĠAvvocatura dello Stato. Un grato saluto, infine, a tutti coloro che hanno voluto, con la loro presenza, onorare questo Istituto. Un sentimento di sincera e particolare gratitudine, desidero esprimere al Governo per la fiducia accordatami con la nomina a questa carica e a Lei, signor Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per le lusinghiere parole che ha voluto rivolgere allĠIstituto, ed a me personalmente, che costituiscono un riconoscimento del nostro impegno professionale ed uno stimolo per la nostra attivitˆ futura. Un omaggio di stima e di amicizia vorrei indirizzare agli Avvocati Generali che mi hanno preceduto nella carica, e che con saggezza e prestigio hanno in questi anni guidato l'Istituto: Luigi Mazzella, Oscar Fiumara e Ignazio Francesco Caramazza che da ultimo ha retto il nostro Istituto. LĠinsediamento dellĠAvvocato Generale costituisce lĠoccasione per una relazione sullĠattivitˆ dellĠAvvocatura, sulla evoluzione dellĠorganizzazione e sopratutto su ci˜ che si ritiene necessario nel futuro per rendere il servizio legale sempre pi efficiente e tempestivo a tutela dellĠinteresse pubblico. 2. Cenni storici e funzioni dellĠAvvocatura dello Stato. LĠAvvocatura dello Stato  una delle pi antiche istituzioni dello Stato unitario. La conformazione dellĠIstituto ha la sua matrice storica nel sistema del granducato di Toscana, dove Leopoldo di Lorena aveva istituito lĠavvocato regio per la rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio, che port˜ nel 1876 alla costituzione della Regia avvocatura erariale sul modello dellĠavvocato regio di Toscana. Essa trova i suoi antecedenti logici ed ideologici nella concezione illuministica dell'amministrazione pubblica, attenta ad un'ordinata e corretta gestione del settore finanziario nellĠinteresse degli stessi amministrati. La riforma consistette, in apparente semplicitˆ, nellĠaffidamento della rappresentanza e difesa tecnica e delle consultazioni legali ad un corpo di avvocati costituito ad hoc. Questa vocazione spiccatamente legalitaria e giustiziale fu mantenuta dallĠAvvocatura dello Stato anche quando si trov˜ ad esercitare i propri compiti negli anni difficili in cui lo spirito autoritario dei tempi tendeva a privilegiare gli interessi contingenti dello Stato-apparato. LĠIstituto trova, tuttora, la sua disciplina essenziale nel R.D. n. 1611 del TEMI ISTITUZIONALI 3 1933, cui la legge n. 103 del 1979 ha apportato modifiche, introducendo importanti garanzie nella gestione dell'Istituto, nonchŽ la disciplina della possibile estensione delle funzioni alle regioni a statuto ordinario. Sotto il profilo organizzativo, la riforma del 1979 ha opportunamente accentuato l'affrancamento da riflessi burocratici della composita figura dell'avvocato dello Stato, che non  pi ordinata in un complesso gerarchico di qualifiche, ma unitariamente concepita in ragione dell'identitˆ della funzione. Le due fondamentali funzioni dellĠAvvocatura dello Stato sono la rappresentanza e difesa in giudizio e lĠattivitˆ consultiva. L'attivitˆ dell'Avvocatura dello Stato si svolge senza possibilitˆ di fratture tra funzione contenziosa e funzione consultiva. L'una e l'altra devono concorrere a garantire la tutela degli interessi di cui sono portatori gli organi della pubblica amministrazione nel rispetto della ragione, immanente e primaria, della giustizia. Gli avvocati dello Stato esercitano la funzione difensiva di fronte Òa tutte le giurisdizioniÓ: quelle nazionali, sia esse ordinarie (dalla Corte Costituzionale ai Giudici di pace) che amministrative, quelle comunitarie (quali la Corte di Giustizia e il Tribunale dellĠUnione Europea) e quelle internazionali (quali la Corte di Giustizia internazionale dellĠAja e spesso la Corte Europea dei Diritti dellĠUomo). Il patrocinio dellĠAvvocatura si articola nelle forme del patrocinio obbligatorio e autorizzato. Il primo  assicurato a tutte le amministrazioni statali che se ne devono obbligatoriamente avvalere ed  connotato da un particolare regime processuale. Quanto al patrocinio autorizzato, per gli organismi pubblici tra cui anche le autoritˆ indipendenti, la giurisprudenza ha ormai chiarito che la natura autorizzata dello stesso non ne muta il carattere organico ed esclusivo. Quanto, invece, alla funzione consultiva, va evidenziato che essa caratterizza il ruolo professionale dellĠAvvocato dello Stato che , appunto, quello di essere vicino alle amministrazioni patrocinate, consigliandole sotto lĠaspetto legale nella loro attivitˆ amministrativa con una valutazione delle questioni neutra e imparziale, tenendo sempre presente la tutela dellĠinteresse pubblico generale cui deve armonizzarsi lĠinteresse pubblico di competenza delle singole amministrazioni da esercitarsi nel rispetto del principio di legalitˆ e di economicitˆ dellĠazione amministrativa. Proprio in tale ottica sono state costituite presso lĠAvvocatura Generale le sezioni (per materia e per amministrazioni), che rendono efficace e continuo il rapporto tra la dirigenza dei ministeri ed enti patrocinati e lĠAvvocatura dello Stato. La funzione consultiva rimane, comunque, estranea al concreto esercizio del potere pubblico. E non  per caso che questa si sia andata estendendo dallĠoriginario ambito dellĠapparato amministrativo statale e di numerosi enti pubblici fino agli organi costituzionali e ad organismi internazionali e sovranazionali. La funzione consultiva - che ha carattere di ÒgeneralitˆÓ - rende evidente 4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 che lĠAvvocatura dello Stato non svolge solo unĠattivitˆ di assistenza legale per le controversie in atto, ma assolve un insostituibile ruolo di prevenzione delle liti potenziali, che ha particolare importanza di fronte alle pressanti esigenze di contenimento della spesa pubblica e dei costi delle Amministrazioni statali. LĠattivitˆ consultiva , dunque, espressione di una funzione pubblica che pu˜ riguardare ogni tipo di rapporto: dallĠammissibilitˆ di un referendum popolare alla conflittualitˆ tra Stato e Regioni, tra Regioni e tra poteri dello Stato; dalla conformitˆ delle leggi alla Costituzione ai limiti di attribuzione dei soggetti istituzionali pubblici statali e non statali; dalla legittimitˆ dellĠazione amministrativa nei settori pi disparati allĠopportunitˆ delle scelte discrezionali spesso in delicate materie che coinvolgono ingenti risorse finanziarie (come nel caso degli appalti pubblici) e talvolta la stessa immagine dello Stato, come accade nel contenzioso internazionale e comunitario. Il connotato peculiare dell'Istituto, che non tutela soltanto l'interesse di una singola amministrazione, bens“ - direttamente o indirettamente - l'interesse generale dello Stato nella sua unitarietˆ, spiega la sua posizione di autonomia e indipendenza funzionale di fronte ad ogni singola amministrazione, cui si correla lĠelevata qualificazione professionale degli avvocati e procuratori dello Stato, assicurata da rigorosi criteri di selezione e di accesso. Sono queste le funzioni e lĠorganizzazione interna come delineate dalla legislazione del 1933, con i ritocchi operati dalla riforma del 1979, che hanno consentito allĠIstituto di adeguarsi, con tempestivitˆ ed efficacia, alla profonda evoluzione che ha interessato lĠordinamento. LĠIstituto, infatti, ha saputo attraversare mutamenti ed evoluzioni, che hanno via via consegnato allĠAvvocato dello Stato un ruolo sempre pi complesso e composito. A livello sopranazionale, vanno ricordati il processo di integrazione europea ed il consolidamento di nuovi settori di contenzioso avanti la Corte di Giustizia ed il Tribunale dellĠUnione Europea, nonchŽ la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. A livello nazionale, va ricordata la riforma costituzionale che ha portato alla modifica del titolo V della parte II della Costituzione, definendo un nuovo riparto di poteri tra Stato e Regioni, e che, capovolgendo il precedente sistema, lascia allo Stato i poteri per esso specificamente previsti e devolve alle Regioni ogni competenza nelle materie non espressamente considerate. Non poche sono state poi le innovazioni successive che hanno inciso sullĠattivitˆ dell'Avvocatura dello Stato. Innanzitutto, va segnalato il profondo cambiamento dellĠorganizzazione dellĠesecutivo e in particolare: a) la creazione di autoritˆ indipendenti e/o di garanzia in una prospettiva di effettivitˆ di affermazione e di tutela di determinati valori costituzionali e di nuovi diritti sociali o di cittadinanza; TEMI ISTITUZIONALI 5 b) il mutamento del modello organizzativo delle funzioni statali che ha portato alla creazione del sistema delle agenzie ed alla trasformazione di enti o aziende pubbliche in societˆ per azioni, con progressiva destatalizzazione di funzioni o, a seconda dei casi, allĠesercizio da parte dei nuovi soggetti di funzioni di cui rimane titolare lo Stato. Del pari significativa  lĠevoluzione del diritto amministrativo, sia sostanziale che processuale, che ha avuto il suo recente epilogo con lĠadozione del Codice del processo amministrativo. Il riferimento obbligato  alle riforme, che hanno modificato il volto della Pubblica Amministrazione per renderla pi veloce e pi vicina ai bisogni dei cittadini, con lĠintroduzione di forme pi celeri, aperte e partecipate di esercizio dellĠazione amministrativa e una pi estesa tutela giustiziale, precipitato logico di un controllo sempre pi stringente sui pubblici poteri. Si pensi a: a) il notevole ampliamento della sfera di giurisdizione esclusiva che ha trasformato il giudice amministrativo in giudice dell'amministrazione in materia economica; b) lĠestensione e, potremmo dire, il vero e proprio mutamento dei poteri del giudice amministrativo, con l'introduzione di una vasta gamma di azioni esperibili contro la Pubblica Amministrazione (da quella di accertamento fino a quella di adempimento); lĠintroduzione del procedimento cautelare atipico; l'attribuzione di pi ampi poteri istruttori, oltre che dello strumento della tutela risarcitoria, nonchŽ - in definitiva - la tendenziale evoluzione del processo amministrativo verso un giudizio sempre pi penetrante sul rapporto e non pi solo sullĠatto amministrativo. In questĠottica  del tutto evidente che lĠAvvocatura dello Stato  chiamata a svolgere un ruolo di sempre maggiore ÒpresenzaÓ, nella tutela dellĠinteresse pubblico e del corretto esercizio dellĠazione amministrativa. Ci˜, sia nella fase precontenziosa, dove assiste lĠAmministrazione nella ricerca della migliore soluzione di contemperamento e soddisfazione degli interessi; sia nella fase contenziosa, ove  chiamata a rappresentare e difendere a tutto campo la posizione dellĠAmministrazione, anche con poteri ÒintegrativiÓ della motivazione del provvedimento anche nellĠambito del giudizio. Ugualmente hanno inciso sullĠattivitˆ dellĠAvvocatura le profonde revisioni della giustizia civile. In particolare, la radicale modifica del sistema processuale civile con: a) la riforma del giudizio per Cassazione (che ne costituisce il culmine), suscettibile di determinare, nella pratica, una selezione di avvocati cassazionisti per il rigore della tecnica richiesta; b) il rigoroso regime generalizzato delle decadenze nel giudizio di merito e lĠesecutivitˆ delle sentenze di primo grado, che aumentano le difficoltˆ e la complessitˆ della difesa delle Amministrazioni in relazione ai tempi tecnici 6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 delle relazioni tra Avvocatura ed Amministrazioni assistite; c) la stabilitˆ dei provvedimenti cautelari e d'urgenza che impone assoluta tempestivitˆ e snellezza operativa nella trattazione dei rispettivi procedimenti; d) lĠestensione delle posizioni giuridiche sostanziali tutelabili della quale  espressione la previsione delle garanzie riparatorie correlate al novellato art. 111 Cost.. e) la recente introduzione di riti speciali a definizione immediata, che impone - a pena di preclusione - lĠelaborazione, in tempi rapidi, di una difesa completa, anche dal punto di vista della produzione documentale. La delineata evoluzione dellĠordinamento - in sintonia con la sempre maggiore complessitˆ dei problemi e delle soluzioni che coinvolgono lo Stato nellĠambito delle sue competenze - comporta, di riflesso, che allĠAvvocatura dello Stato vengano attribuite funzioni sempre pi composite, cui lĠIstituto fa quotidianamente fronte. 3. Margini di miglioramento. Queste trasformazioni hanno prodotto una notevole crescita del contenzioso ed un maggiore aggravio della funzione consultiva e questa considerazione apre il campo alla riflessione sui margini di miglioramento dellĠIstituto. Una prima constatazione  quella dellĠinadeguatezza numerica del ruolo degli avvocati e procuratori dello Stato per la perdurante sproporzione fra quantitˆ degli affari e risorse disponibili. Se nel 1976, quando lĠAvvocatura dello Stato ha compiuto cento anni della sua prestigiosa storia, gli affari nuovi erano circa 41.000, nel 2012 sono stati ben 155.000, con una media negli ultimi dieci anni di circa 175.000 affari. Ebbene, a fronte di tale smisurata crescita, il ruolo degli avvocati e procuratori dello Stato, che nel 1976 constava di complessive 276 unitˆ, oggi comprende solo 370 unitˆ di cui soltanto 334 in servizio. A ci˜ deve aggiungersi che il ricambio nel ruolo degli avvocati e procuratori  da qualche anno assoggettato a vincoli normativi che impongono lĠautorizzazione preventiva a bandire i concorsi e lĠautorizzazione ad assumere vincitori ed idonei dei concorsi stessi entro determinati limiti di legge. Per effetto dei vigenti limiti si sarˆ ben lontani dalla completa copertura dellĠorganico. AllĠinadeguatezza dei ruoli del personale togato si accompagna anche quella del personale amministrativo. Gli impiegati amministrativi, che erano 951 nel 1986, sono, infatti, oggi soltanto 878, pur a fronte della mole di lavoro enormemente cresciuta. Alla carenza di personale amministrativo va aggiunto che non si sono pi potuti assumere impiegati amministrativi per concorso pubblico sin dallo stesso anno 1986, per le limitazioni al turn over che si sono susseguite nel tempo e lĠimposizione del preventivo esperimento della mobilitˆ per coprire TEMI ISTITUZIONALI 7 i posti disponibili. Il che ha comportato che il personale assunto per concorso rappresenta oggi meno della metˆ della forza lavoro non togata, perchŽ i ricambi dei pensionamenti sono di necessitˆ avvenuti mediante comandi, distacchi o mobilitˆ, e cio attraverso strumenti che, pur rivelatisi in concreto preziosissimi, non possono in astratto essere considerati quelli meglio rispondenti alla peculiaritˆ delle complesse funzioni di assistenza agli avvocati e procuratori, che richiede una selezione ed una formazione professionale appositamente mirate. DallĠassenza di nuovi concorsi , inoltre, derivato un progressivo invecchiamento del personale amministrativo, oggi di media intorno ai 53 anni, per lĠassenza del naturale ricambio generazionale, che pur sarebbe indispensabile per garantire al meglio efficiente supporto ad unĠattivitˆ professionale, qual  quella difensiva, connotata per sua natura da dinamismo e versatilitˆ. Tra le amministrazioni dello Stato, lĠAvvocatura , poi, lĠunica a non disporre di un ruolo dirigenziale amministrativo, tantĠ che le funzioni dirigenziali sono assolte, in aggiunta a quella professionale, dagli avvocati dello Stato che ricoprono gli incarichi di Segretario generale ed Avvocato distrettuale. LĠassenza del ruolo dirigenziale  del tutto anacronistica alla luce dellĠaffermarsi nellĠordinamento dei principi gestionali a cui le amministrazioni devono ispirare il proprio operato, nonchŽ delle nuove responsabilitˆ che le norme attribuiscono ai dirigenti sotto diversi profili e, in particolare, con riguardo al conseguimento dei risultati e alla valutazione della performance del personale, alle quali, peraltro, anche lĠAvvocatura dello Stato - nei limiti individuati in sede consultiva dal Consiglio di Stato - scrupolosamente intende attenersi. é, allora, evidente che questa esigenza di adeguamento dei ruoli allĠattuale carico di lavoro si  fatta oggi ancora pi pressante, se non inevitabile, al cospetto di un carico complessivo di affari pendenti, tra vecchi e nuovi, che si attesta in circa 1.200.000, a causa anche della notoria eccessiva durata dei processi. Il numero dei nuovi affari trattati dallĠAvvocatura dello Stato pari a livello nazionale - come si  detto - ad oltre 150.000 nellĠanno 2012, che si aggiungono alle diverse centinaia di migliaia di affari degli anni scorsi ancora pendenti, implica una mole di lavoro imponente per ogni avvocato con una media di ben 488 nuovi affari annui pro capite. Ebbene, pur a fronte di questa significativa carenza di organico posso, tuttavia, affermare - con una punta di orgoglio - che i risultati dellĠattivitˆ svolta dallĠAvvocatura dello Stato sono altamente positivi. Lo spettro delle materie trattate  molto vario e non pu˜ in questa sede essere esaustivamente rappresentato. Sul piano sovranazionale, mi limito a ricordare, fra i 346 affari trattati nel 2012 dinanzi ai giudici comunitari, solo alcune delle cause pi rilevanti. Nel delicato settore della tutela del multilinguismo dell'Unione Europea, la Corte di Giustizia, nel mese di novembre del 2012, ha accolto il ricorso proposto 8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 dall'Avvocatura dello Stato per evitare, come discriminazione, lĠimposizione di un regime linguistico (inglese, francese, tedesco) nei concorsi di ammissione alle carriere dell'Unione europea e dinanzi alla CEDU (Corte europea dei diritti dellĠUomo) la controversa questione dellĠesposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. In merito allĠimpegnativa, ma nello stesso tempo particolarmente stimolante, attivitˆ defensionale svolta dallĠAvvocatura davanti alla Corte di Giustizia dellĠUnione Europea, devo ricordare, che la recentissima legge 24 dicembre 2012, n. 234 ha previsto, allĠart. 42, comma 3, che ÒIl Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei e il Ministro degli affari esteri nominano, quale agente del Governo italiano previsto dall'articolo 19 dello Statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea, un avvocato dello Stato, sentito l'Avvocato generale dello StatoÓ. Si tratta del coronamento di una lunga esperienza professionale che ha visto impegnate generazioni di avvocati dello Stato nella tutela degli interessi nazionali in sede comunitaria. A livello nazionale, sono stati trattati 624 giudizi in Corte Costituzionale nel 2012. Tra questi ricordo solo le impugnazioni delle Regioni di numerose norme della legge di stabilitˆ del 2010, d.l. n. 78/2010 conv. in L. 112/2010; la questione incidentale di costituzionalitˆ avente ad oggetto la fecondazione assistita eterologa, e di recente il conflitto di attribuzione proposto nellĠinteresse del Presidente della Repubblica nei confronti della procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ed accolto dalla Corte con la sentenza n. 1/2013. Quanto allĠattivitˆ consultiva svolta al di fuori della tradizionale consulenza di tipo giudiziario, limitandomi alle fattispecie pi recenti, ricordo come lĠAvvocatura dello Stato abbia fornito il proprio avviso su alcune questioni che hanno avuto anche notevole risonanza mediatica: la predisposizione del decreto-legge c.d. Òsalva ILVAÓ, ora contestato dinanzi alla Corte Costituzionale, lĠassetto dei rapporti contrattuali aventi ad oggetto la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, la tempistica dellĠindizione delle elezioni per il rinnovo degli organi nella Regione Lazio. Quanto ai processi penali nei quali lĠAvvocatura dello Stato risulta, a vario titolo, coinvolta, vanno segnalati i procedimenti penali aventi ad oggetto lĠincidente ferroviario di Viareggio, il disastro della nave da crociera Concordia, ed il recente processo per lĠattentato allĠIstituto Falcone-Morvillo di Brindisi nonchŽ il processo sulla c.d. Òtrattativa Stato-mafiaÓ, nei quali lo Stato si  costituito parte civile. Dinanzi alla Corte Suprema, il contenzioso dello Stato ha rappresentato oltre un terzo di tutto quello allĠesame della Suprema Corte e, di questo terzo, circa il 90% (9.606 affari)  costituito dal contenzioso tributario. Dalle statistiche del 2012, si conferma lĠelevata entitˆ del contenzioso di pertinenza dellĠAgenzia delle Entrate, con circa 6.000 richieste di ricorso per cassazione formulate allĠAvvocatura dello Stato di cui sono stati proposti circa 3.500 ricorsi. TEMI ISTITUZIONALI 9 LĠesito dei giudizi suddetti si conferma sicuramente favorevole allĠErario. Gli ultimi dati disponibili indicano una percentuale di vittoria di oltre il 70%, che si avvicina allĠ80% se si considera il valore economico delle controversie. Ci˜ significa che, su un valore annuo di 1,7 miliardi di euro contestato, il valore delle cause con esito favorevole allĠamministrazione tributaria  pari a 1,3 miliardi di euro. In generale e con riferimento allĠintero contenzioso, depurato solo dei dati relativi alle controversie in materia di c.d. Òlegge PintoÓ, le cause vinte sono pressochŽ i due terzi del totale. A fronte di questo impegno e - mi sia consentito - di apprezzabili risultati, il costo che lo Stato sopporta per lĠesistenza e la gestione dellĠAvvocatura  di circa 160 milioni di euro annui, comprensivi di ogni voce, ivi compresi i redditi figurativi degli immobili utilizzati e gli onorari riscossi nelle cause vinte. Ogni causa - quale che sia la sua durata ed il numero di gradi di giudizio - costa allo Stato, secondo quanto accertato in un approfondito studio della Scuola superiore della pubblica Amministrazione, in media negli ultimi anni meno di 900 euro. Un ultimo cenno merita il contributo dato dallĠAvvocatura dello Stato alla realizzazione del c.d. processo telematico che  pienamente operativo per il processo comunitario. Lo sviluppo delle nuove tecnologie costituisce un elemento di modernizzazione della Pubblica Amministrazione e una leva fondamentale per la riduzione dei tempi della giustizia. LĠAvvocatura dello Stato non farˆ mancare il suo contributo nella realizzazione di tali obiettivi, pur nella descritta carenza di risorse umane e materiali, dalla straordinaria dedizione e professionalitˆ di tutto il personale dellĠAvvocatura, togato e amministrativo, al quale va il mio pi vivo ringraziamento. 4. Uno sguardo al futuro. Prospettive di riforma. é opinione unanime che la riforma della giustizia nel senso di renderla pi efficiente e tempestiva rappresenta uno dei fattori di crescita della nostra economia. La riforma della giustizia ha bisogno di investimenti nel campo delle risorse umane e materiali. Investire sullĠAvvocatura dello Stato, che del sistema giustizia  parte integrante, comporterebbe che i risultati prima indicati potrebbero certamente migliorare e tale miglioramento, in termini di risparmio di spesa pubblica, ripagherebbe in misura esponenziale il costo dellĠinvestimento che, considerate le dimensioni globali dellĠIstituto e le sue caratteristiche, sarebbe comunque contenuto. Sarebbe necessario: a) un adeguato, anche se contenuto, aumento dellĠorganico togato; b) un deciso aumento del personale amministrativo anche attraverso procedure di mobilitˆ selettive di personale proveniente da altre amministrazioni e senza oneri a carico del bilancio statale. 10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 La richiesta di tali misure  giustificata anche nellĠattuale contesto in cui la situazione economica del Paese rende doverose politiche di contenimento della spesa pubblica. é evidente, infatti, che lĠAvvocatura dello Stato per le funzioni dalla stessa svolte, non pu˜ essere considerata e trattata, quanto al blocco del turn over e ai tagli di spesa, alla stregua delle amministrazioni di gestione, ma deve essere posta in condizioni di poter svolgere i propri compiti con efficienza, e sopratutto con serenitˆ dato il carico di lavoro prima indicato. Va detto che la misura di un adeguato aumento dellĠorganico, assolutamente necessaria per le ragioni sin qui rappresentate, consentirebbe di raggiungere indirettamente un altro importante risultato interno: quello di risolvere il problema dei procuratori idonei alla promozione ad avvocato che non possono assumere questĠultima qualifica per la carenza del posto in ruolo. Va tenuto presente che un investimento sullĠAvvocatura dello Stato  reso necessario anche dal nuovo contesto ordinamentale, prima richiamato, nel quale lo Stato  chiamato sempre pi spesso a rispondere delle proprie azioni in sede sovranazionale. La richiamata disposizione, che prevede la nomina quale agente del Governo italiano di un avvocato dello Stato, costituisce unĠulteriore conferma di quella linea di tendenza, ricordata dai miei predecessori nelle loro relazioni, che vede lĠAvvocatura dello Stato svolgere il proprio mandato, in via ordinaria, a livello europeo. In questa prospettiva  auspicabile che il disegno possa arricchirsi con lĠattribuzione di analoghe funzioni allĠavvocato dello Stato di Agente di Governo davanti alla Corte europea dei diritti dellĠUomo, attesa la rilevanza delle questioni trattate e i riflessi immediati sullĠordinamento interno. A livello sovranazionale, recenti esperienze hanno impegnato lĠIstituto avanti a Corti ed Organismi internazionali (si pensi al caso Mar˜ e a quello del recupero dei beni culturali trafugati illecitamente allĠestero). Per altro verso, abbiamo ben presente il naturale incremento e la sempre pi incisiva operativitˆ di ordinamenti di settore a livello globale (es. OMC, OIL, Tribunale internazionale del diritto del mare) spesso dotati anche di poteri giurisdizionali, volti non solo a regolare specifiche attivitˆ economiche ma anche a condizionare lĠesercizio di pubbliche funzioni. Sono contesti in cui il Paese  sempre pi spesso chiamato a rappresentare le proprie esigenze e che richiedono che competenze settoriali, squisitamente tecniche, siano integrate da adeguato sostegno giuridico. Il rilievo che ha assunto la dimensione sovranazionale impone di darvi tempestiva risposta innanzitutto sul piano dellĠorganizzazione interna dellĠIstituto mediante la creazione di una sezione dellĠAvvocatura Generale e, in ogni caso, la costituzione di un nucleo di avvocati dello Stato, per il contenzioso sovranazionale ed internazionale. TEMI ISTITUZIONALI 11 Un investimento sullĠAvvocatura dello Stato  reso necessario dal nuovo contesto ordinamentale anche sul piano interno nel quale lo Stato deve esercitare, nel caso di inerzia degli organi regionali e locali, funzioni sostitutive e deve comunque mantenere una funzione di controllo sullĠeffettivo rispetto da parte di tutti gli enti pubblici dei margini di autonomia fissati dalla legge. In tale situazione lĠAvvocatura dello Stato deve certamente mantenere la propria funzione di assistenza, supporto e difesa in giudizio degli organi statali presenti sul territorio chiamati ad esercitare funzioni sostitutive di organi regionali e locali inadempienti. Il mutato contesto ordinamentale impone, ormai, unĠapprofondita riflessione in ordine allĠattribuzione allĠAvvocatura dello Stato del patrocinio degli organi straordinari, come strumento messo a disposizione dallo Stato a titolo di misura complementare e strumentale al ripristino della legalitˆ (es. patrocinio dellĠAgenzia nazionale per lĠamministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalitˆ organizzata e degli amministratori di tali beni). Un maggior contributo potrebbe dare lĠAvvocatura dello Stato anche sul piano della lotta allĠevasione fiscale attraverso lĠampliamento mirato della difesa nelle controversie in materia tributaria, nonchŽ degli interessi erariali in sede penale. Per alcuni tributi, particolarmente ÒsensibiliÓ o al di sopra di certe soglie di valore, un intervento normativo potrebbe reintrodurre il patrocinio obbligatorio dellĠAvvocatura dello Stato anche nelle fasi di merito del giudizio tributario, fasi le cui concrete modalitˆ di svolgimento sono spesso determinanti sullĠesito finale della lite. Inoltre, in materie sensibili nelle quali occorre una visione unitaria - es. ambiente, servizio idrico integrato, grandi opere - l'Avvocatura dello Stato potrebbe svolgere un ruolo di coordinamento e di consulenza giuridica. Allo scopo di potenziare l'efficacia della fase consultiva, si potrebbe istituzionalizzare un rapporto Avvocatura-Amministrazione nella fase antecedente all'adozione degli atti amministrativi, al fine di ridurre al minimo i vizi di attivitˆ e il conseguente contenzioso. Prassi di tal genere sono giˆ operative nella sede Generale (per esempio, nei rapporti con il Ministero dell'Interno) e in molte Sedi distrettuali (con le Prefetture nonchŽ con strutture commissariali statali operanti sul territorio). In questa prospettiva, ho recentemente istituito lĠOsservatorio giuridico-legislativo con il compito di monitorare le iniziative legislative ovvero regolamentari relative ai settori del diritto di interesse dellĠIstituto e di segnalare allĠAvvocato Generale le eventuali criticitˆ; si intende, in sostanza, fornire al Governo gli elementi necessari per formulare, anche nel corso dellĠiter parlamentare di approvazione dei nuovi disegni di legge, elementi di valutazione sugli effetti che le nuove norme potrebbero avere sullĠandamento del contenzioso. é, infatti, generalmente riconosciuta, sia in ambito internazionale che na- 12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 zionale, lĠimportanza delle politiche di semplificazione al fine di migliorare lĠefficienza e lĠeconomicitˆ della pubblica amministrazione, sostenere la competitivitˆ del Paese ed alleggerire gli oneri per cittadini ed imprese. Attraverso lĠOsservatorio Legislativo, lĠAvvocatura dello Stato potrˆ svolgere un ruolo attivo nel processo di riforma della regolazione, fornendo un fattivo supporto al Governo nella fase di utilizzo degli strumenti della consultazione degli interessati e dellĠanalisi di impatto della regolamentazione. Nel contempo, il predetto Ufficio dovrebbe acquisire presso tutte le sedi il materiale necessario per la predisposizione di una relazione annuale di chiaro valore scientifico sullĠandamento del contenzioso, al fine di riattivare lĠistituto giˆ normativamente previsto della relazione annuale al Presidente del Consiglio dei Ministri che deve diventare lo strumento per lo stabile esercizio della funzione di proporre norme con funzione deflattiva del contenzioso. 5. Conclusioni. Prima di concludere, mi preme evidenziare che il principale obiettivo che mi sono proposto, nello svolgimento della funzione di Avvocato Generale,  quello di rendere pi efficiente, efficace e di qualitˆ il servizio contenzioso e consultivo che lĠAvvocatura dello Stato svolge per gli Organi costituzionali, le amministrazioni statali e per gli altri organismi pubblici patrocinati, senza perdere di vista la natura legalitaria insita nella figura dellĠavvocato dello Stato, confermando il prestigio che lĠIstituto ha sempre avuto. Desidero, infine, rivolgere un pensiero affettuoso ed un saluto cordiale a tutti i colleghi che operano nel nostro Istituto ed in particolare ai giovani che hanno intrapreso la nostra professione e che rappresentano il futuro dellĠAvvocatura. Un caldo saluto desidero anche rivolgere al personale amministrativo dell'Avvocatura, del quale, nell'esercizio della mia attivitˆ professionale, ho avuto modo di apprezzare le qualitˆ professionali e lo spirito di dedizione. Grazie Signor Presidente della Repubblica, grazie Signor Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri della disponibilitˆ e della fiducia accordatami e grazie a tutte le Autoritˆ e a tutti i presenti per la cortese attenzione. Roma, li 8 febbraio 2013 Ex Convento di SantĠAgostino, Sala Vanvitelli TEMI ISTITUZIONALI 13 Cerimonia di inaugurazione dellĠAnno Giudiziario 2013 Intervento dellĠAvvocato Generale dello Stato Avv. Michele Giuseppe Dipace Signor Presidente della Repubblica, Autoritˆ, Signor Presidente della Corte di Cassazione, Signore e Signori Prendo, con grande piacere, la parola in questa solenne Cerimonia di inaugurazione per dare conto delle attivitˆ svolte nel 2012 dallĠIstituto che ho lĠonore di dirigere dal mese di ottobre dellĠanno appena trascorso. La ristrettezza del tempo a disposizione mi impone di procedere, come si suole dire, per flash facendo, peraltro, grande utilizzo dei dati statistici, sempre particolarmente significativi quando si parla del carico di lavoro dellĠAvvocatura dello Stato. I nuovi affari trattati nellĠanno 2012 dallĠAvvocatura dello Stato ammontano, a livello nazionale, ad oltre 150.000 che si aggiungono alle diverse centinaia di migliaia di affari degli anni scorsi ancora pendenti. Si tratta di una mole di lavoro imponente che grava su un organico complessivo di 370 unitˆ togate solo in parte coperto (sono oggi in servizio soltanto 332 unitˆ tra Avvocati e Procuratori dello Stato), con una media di ben 488 nuovi affari annui pro capite (nel complesso, ogni Avvocato e Procuratore dello Stato ha mediamente in carico ben 4.000 affari). Un terzo del lavoro grava, peraltro, sullĠAvvocatura Generale che ha contato nel 2012 ben 48.000 affari. 1 - Lo spettro delle materie trattate  molto vario. LĠAvvocatura rappresenta e difende, infatti, lo Stato nelle sue principali articolazioni dinanzi a tutti gli organi giudiziari sopranazionali e nazionali (*). 1.1 - Sul piano sovranazionale ricordo, fra i 346 affari trattati dinanzi ai giudici comunitari, le cause concernenti il blocco dei beni dei soggetti sospettati di collegamenti con reti terroristiche internazionali, il ricorso promosso contro la decisione di taluni Stati dell'Unione Europea di costituire una cooperazione rafforzata in materia di brevetti industriali e di imporre, tra l'altro, (*) Legenda: Il punto 1.1 - relaziona sulle cause comunitarie Il punto 1.1.1 - sulle cause in Corte costituzionale Il punto 1.1.2 - sulle rilevanti cause civili e penali Il punto 1.1.3 - sui contenziosi dinanzi al Giudice ammnistrativo Il punto 1.1.4 - sugli affari consultivi Il punto 2. - sui giudizi dinanzi alla Suprema Corte di cassazione. 14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 il regime linguistico (inglese, francese, tedesco) di tali brevetti. Sempre nel delicato settore della tutela del multilinguismo dell'Unione Europea, la Corte di Giustizia, nel mese di novembre del 2012, ha accolto il ricorso proposto dall'Avvocatura dello Stato per far affermare che imporre il regime linguistico (inglese, francese, tedesco) nei concorsi di ammissione alle carriere dell'Unione europea costituisce una discriminazione vietata dai trattati e dalla Carta europea dei diritti fondamentali. Di rilievo  stata, poi, la causa concernente il divieto generale di immissione in commercio di organismi geneticamente modificati, nell'ambito della quale la Corte di giustizia ha precisato i presupposti e le modalitˆ procedurali attraverso le quali  possibile attuare in un dato Stato membro il principio di precauzione. LĠattivitˆ defensionale svolta dallĠAvvocatura davanti alla Corte di Giustizia delle Comunitˆ europee ha ricevuto, di recente, un tangibile riconoscimento con la disposizione contenuta allĠart. 42, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 con la quale  stato previsto che agente del Governo italiano ai sensi dell'articolo 19 dello Statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea debba essere un avvocato dello Stato. Non minore  stato il rilievo delle questioni trattate dallĠAvvocatura davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Nel 2012, l'Avvocatura dello Stato ha rappresentato il governo italiano, tra l'altro, nel ricorso, poi accolto, concernente la controversa questione dell'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche; degna di nota  anche la trattazione del ricorso concernente il regime di assegnazione delle frequenze radiotelevisive e la compatibilitˆ di esso con il diritto alla libera manifestazione del pensiero. Altra questione di grande peso, trattata in sede di CEDU nel 2012,  stata quella vertente sulla compatibilitˆ con il diritto di asilo degli accordi con gli Stati costieri del Mediterraneo in materia di respingimento alla frontiera dei migranti imbarcati illegalmente in tali Stati e diretti verso l'Italia. 1.1.1 - A livello nazionale, degni di particolare menzione, fra i 624 giudizi trattati in Corte Costituzionale, sono i ricorsi delle Regioni di impugnazione della legge di stabilitˆ del 2010 (d.l. n. 78/2010 conv. in L. 112/10), la questione incidentale di costituzionalitˆ avente ad oggetto la fecondazione assistita eterologa; a questo ultimo proposito, la Corte Costituzionale, con lĠordinanza n. 150/12, ha, come noto, restituito gli atti ai giudici a quibus Òalla luce della sopravvenuta sentenza della Grande Camera del 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria, É affinchŽ i rimettenti procedano ad un rinnovato esame dei termini delle questioniÓ, confermando la validitˆ delle tesi sostenute nellĠatto di intervento e nella memoria dellĠAvvocatura a proposito della valenza nel nostro ordinamento delle norme della CEDU. I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, tra cui quello conclusosi con la sentenza molto importante n. 1 del 2013 e le numerose impugnazioni di leggi regionali che hanno prodotto rile- TEMI ISTITUZIONALI 15 vanti sentenze riguardo allĠassetto di competenze tra Stato e Regioni. 1.1.2 - Dinanzi ai giudici ordinari, va, anche questĠanno, citato il vasto contenzioso relativo alla irragionevole durata del processo, pari a complessivi 21.683 affari. Al proposito, si spera che le nuove disposizioni introdotte in materia, che dettano una pi chiara e stringente regolamentazione di tali procedimenti, comportino una contrazione di tale contenzioso. Merita, altres“, un doveroso cenno il contenzioso in materia di incandidabilitˆ degli amministratori degli enti locali i cui organi elettivi siano stati sciolti per infiltrazione della criminalitˆ organizzata; trattasi di contenzioso che, anche in ragione della non perspicua formulazione della disposizione di cui allĠart. 143, comma 11, del TUEL, ha posto delicate problematiche, anche di ordine processuale, delle quali  stata investita, da ultimo, codesta Corte di Cassazione. Innanzi al giudice del lavoro,  doveroso fare menzione delle numerosissime cause (solo formalmente di carattere seriale) promosse dal personale precario della scuola per conseguire, oltre al risarcimento del danno, la stabilizzazione del rapporto di lavoro e lĠintegrazione delle retribuzioni percepite durante lĠoperativitˆ dei contratti a tempo determinato susseguitisi negli anni. Quanto ai processi penali nei quali lĠAvvocatura dello Stato risulta, a vario titolo, coinvolta, vanno segnalati i procedimenti penali aventi ad oggetto lĠincidente ferroviario di Viareggio, il disastro della nave da crociera Concordia, ed il recente processo per lĠattentato allĠIstituto Falcone-Morvillo di Brindisi nonchŽ il processo sulla c.d. Òtrattativa Stato-mafiaÓ, nei quali lo Stato si  costituito parte civile. Permettetemi, infine, di sottolineare lĠimportanza dellĠassistenza difensiva assicurata dallĠAvvocatura allĠAmministrazione della Difesa con riferimento alla nota vicenda dei due Mar˜ sottoposti a procedimento penale in India; come  noto, la Suprema Corte indiana, con decisione del 17 gennaio 2013, ha escluso la giurisdizione dello Stato del Kerala, accogliendo in parte la nostra tesi e dichiarando inutilizzabili tutti gli atti di indagine effettuati. La Corte speciale che sarˆ costituita a Nuova Delhi dovrˆ decidere se la giurisdizione appartiene ai giudici italiani, come da noi sostenuto. Nel settore del recupero dei beni culturali illecitamente sottratti al patrimonio nazionale, si segnala l'intervento dell'Avvocatura dello Stato in un procedimento penale relativo alla illecita esportazione di una statua attribuita allo scultore greco Lisippo, attualmente nelle collezioni del J. Paul Getty Museum di Malib. 1.1.3 - Altrettanto corposo il contenzioso dinanzi ai giudici amministrativi; una particolare menzione merita, per la delicatezza del tema, la trattazione dei ricorsi proposti avverso i sempre pi numerosi provvedimenti di scioglimento di consigli comunali per infiltrazione della criminalitˆ organizzata; 16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 provvedimenti che, come noto, hanno riguardato anche diversi enti locali del settentrione del nostro Paese nonchŽ, per la prima volta, un comune capoluogo di provincia ovvero Reggio Calabria. Ritengo anche opportuno fare cenno al contenzioso in materia elettorale in ordine al quale si sono registrati, molto di recente, alcuni pronunciamenti della magistratura amministrativa, sia di primo grado che di appello, sui quali mi permetto di esprimere perplessitˆ circa i limiti della competenza giurisdizionale nei confronti della P.A.. Sempre folto  il contenzioso attinente agli esami di idoneitˆ alla professione forense ed ai concorsi per la copertura dei posti di notaio e di magistrato. Particolarmente delicati sono, poi, i ricorsi proposti da magistrati ordinari contro i provvedimenti del C.S.M. in tema di incarichi direttivi e semidirettivi; molto impegnativo, per la complessitˆ delle questioni giuridiche sottese e la rilevanza economica che lo caratterizza,  inoltre il contenzioso riguardante i provvedimenti delle Autoritˆ indipendenti. Un particolare cenno merita, infine, il contenzioso in materia di ÒQuote latteÓ (in ordine al quale la Commissione europea ha avviato una indagine conoscitiva) che, nel solo 2012, ha visto la trattazione e la decisione favorevole allĠamministrazione di qualche centinaio di ricorsi. 1.1.4 - In sede consultiva, lĠAvvocatura dello Stato, oltre alla consueta attivitˆ di consulenza nelle transazioni e nelle composizioni bonarie, ha fornito il proprio avviso sulle pi svariate questioni; ricordo solo quelle pi importanti: la predisposizione del decreto-legge c.d. Òsalva ILVAÓ, ora contestato dai giudici di Taranto dinanzi alla Corte Costituzionale, lĠassetto dei rapporti contrattuali aventi ad oggetto il Ponte sullo Stretto di Messina, la tempistica dellĠindizione delle elezioni per il rinnovo degli organi nella Regione Lazio. 2. - Da ultimo, ma solo per evidenziarne la particolare importanza, il nostro impegno dinanzi alla Corte di Cassazione, che oggi ci ospita e con la quale siamo onorati di poter lavorare in piena armonia. Dinanzi alla Corte Suprema il contenzioso  particolarmente nutrito: nel 2012 sono stati impiantati dallĠAvvocatura Generale circa 10.000 affari, che rappresentano il 22% di tutti gli affari contenziosi e consultivi impiantati nellĠanno dallĠAvvocatura Generale. Limitando lĠesame agli affari contenziosi iniziati nellĠanno in Cassazione e trattati dallĠAvvocatura, si constata che il contenzioso dello Stato rappresenta oltre un terzo di tutto quello allĠesame della Suprema Corte e che, di questo terzo, circa il 90% (9.606 affari)  costituito dal contenzioso tributario. Anche nel 2012  proseguita la stretta collaborazione tra la Corte di Cassazione e lĠAvvocatura dello Stato, finalizzata alla fissazione in tempi brevi dellĠudienza di discussione in cause ÒpilotaÓ, su questioni che hanno dato luogo a numerose controversie nei gradi di merito nonchŽ alla fissazione di TEMI ISTITUZIONALI 17 udienze tematiche, che consentono un maggiore approfondimento di questioni giuridiche complesse. La collaborazione ha ovviamente interessato la materia tributaria, che comĠ noto occupa gran parte dellĠattivitˆ sia della Cassazione Civile che dellĠAvvocatura dello Stato. Basti pensare al nutrito contenzioso dellĠAgenzia del Territorio in tema di classamento degli immobili, alla definizione ormai in tempi brevi di tutte le controversie doganali, di diretta rilevanza comunitaria, essendo, la materia, ormai disciplinata in modo uniforme a livello europeo dal Codice Doganale Comunitario. Dalle statistiche del 2012, si conferma lĠelevata entitˆ del contenzioso di pertinenza dellĠAgenzia delle Entrate, con circa 6.000 richieste di ricorso per cassazione formulate allĠAvvocatura dello Stato. Su tali richieste, giˆ filtrate dallĠAgenzia a livello regionale rispetto alle ben pi numerose decisioni delle commissioni tributarie regionali, lĠAvvocatura opera una ulteriore selezione coltivandone solo il 75%, cos“ avvicinandosi al numero dei ricorsi in cassazione proposti dai contribuenti, pari a circa 3.500. LĠesito dei giudizi suddetti si conferma ancora nel complesso favorevole allĠErario. Gli ultimi dati disponibili indicano una percentuale di vittoria di oltre il 70%, che si avvicina allĠ80% se si considera il valore economico delle controversie. NellĠintervento dello scorso anno, vennero salutate con favore due importanti decisioni delle Sezioni Unite in materia processuale, che costituivano lĠaccoglimento di tesi difensive sostenute da tempo dallĠAvvocatura dello Stato. Si trattava delle sentenze n. 22726/2011 in tema dei requisiti di ammissibilitˆ del ricorso in Cassazione (con cui si  chiarita la non necessitˆ di depositare in giudizio copia degli atti giˆ presenti nei fascicoli di causa), e n. 15144/2011 in tema di overruling. Quelle importanti decisioni, emesse in applicazione dei principi costituzionali e comunitari in tema di diritto di difesa ed effettivitˆ della tutela, si spera possano portare a soluzione alcuni problemi ancora aperti. Intendo riferirmi, in primo luogo, alla questione dei c.d. ricorsi ÒfarcitiÓ, cio di quei ricorsi in cui i ricorrenti hanno inserito, nel corpo del ricorso, atti e documenti dei gradi precedenti, e che vengono spesso dichiarati inammissibili per violazione dellĠart. 366 c.p.c.. A tale riguardo, si ritiene che, in applicazione dei principi di tutela dellĠaffidamento, la Corte debba attribuire rilievo alla circostanza che lĠinserimento dei suddetti atti nel ricorso era diretto ad evitare proprio di incorrere nella inammissibilitˆ per lĠopposto motivo di mancanza di autosufficienza (come prevede da alcuni anni la rigorosa giurisprudenza della Corte al riguardo). Se certamente non pu˜ ritenersi ammissibile un ricorso-collage, occorre per˜ evitare il rischio di considerare inammissibili i ricorsi per c.d. ÒipersufficienzaÓ, cio quei casi in cui alcuni atti e documenti riprodotti siano superflui 18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 ma i motivi di ricorso siano comunque correttamente redatti. Un doveroso cenno merita, poi, il problema degli effetti processuali della cancellazione delle societˆ dal registro delle imprese. ComĠ noto, la questione, emersa in modo rilevante dopo le decisioni delle Sezioni Unite n. 4060, 4061 e 4062/2010,  stata, nel 2012, nuovamente rimessa allĠesame delle Sezioni Unite, dopo che, con alcune decisioni (ad esempio con la sentenza n. 7679/2012), si  affermata unĠinterpretazione dellĠart. 2495 c.c. nel senso che in caso di cancellazione di una societˆ di capitali senza riparto alcuno di somme tra i soci, non esisterebbe alcun soggetto in grado di succedere nei rapporti pendenti, per cui lĠimpugnazione di una sentenza non potrebbe pi essere proposta nei confronti di alcuno per mancanza di un successore. 3. - Passando ai risultati del nostro lavoro, fornisco alcuni dati statistici relativi alla sede romana. Dinanzi al Tribunale civile le cause vinte sono il 60%, dinanzi al giudice amministrativo, il 70% dinanzi alla Corte dĠappello il 53% e dinanzi alla Cassazione il 58%. La percentuale pi bassa di esiti favorevoli innanzi alla Corte dĠAppello  attribuibile al fatto che nel numero sono comprese le cause della c.d. Òlegge PintoÓ, che rappresentano la maggioranza degli affari trattati in Corte dĠAppello (come unico grado di merito) e che sono, nella stragrande maggioranza dei casi, cause perse per lo Stato. Depurati i dati falsati dai fattori alteranti, pu˜ concludersi su una percentuale media di vittoria vicina ai 2/3 delle cause. Il che porta a concludere che  del tutto evidente il buon rapporto costi-benefici dellĠattivitˆ svolta dallĠAvvocatura. Purtroppo, la funzionalitˆ dellĠIstituto  minacciata da una grave limitazione nel turn-over del personale togato e da una grave insufficienza di risorse economiche. Sotto il primo profilo, evidenzio come il carattere emergenziale della situazione potrˆ essere solo lievemente attenuato dalla previsione, contenuta nella recente legge di stabilitˆ, che autorizza lĠAvvocatura dello Stato ad assumere alcuni Avvocati dello Stato, nei limiti dello stanziamento ivi previsto; ringrazio, comunque, personalmente ed a nome dei colleghi, il Governo per lĠattenzione mostrata nei confronti dellĠIstituto; sotto il secondo profilo devo segnalare che lĠIstituto avrˆ gravissime difficoltˆ ad assolvere ai suoi doveri con lĠattuale importo stanziato in bilancio per le spese correnti, che sono incomprimibili ed indispensabili per garantire lĠassolvimento dei compiti istituzionali, quali ad esempio le spese di funzionamento degli uffici tra cui quelle per lĠacquisto di carta per le fotocopie necessarie a depositare gli atti defensionali nel numero di esemplari richiesto. Con riguardo al processo telematico, preciso che lĠinformatizzazione si  mossa, nel corso del 2012, in tre direzioni: 1) un aggiornamento del sistema informatico che ha consentito, nella sede di TEMI ISTITUZIONALI 19 Roma, di associare ai dati presenti nel sistema il fascicolo elettronico e la relativa gestione documentale (vengono attualmente scansionati ben 15 mila fogli al giorno, pari ad un quarto del totale della documentazione in ingresso); 2) la possibilitˆ di colloqui telematici con gli uffici giudiziari, sia civili che amministrativi (per la ricezione tramite posta elettronica certificata di biglietti di cancelleria e sentenze) nonchŽ con le pubbliche amministrazioni patrocinate che hanno la facoltˆ di consultare i nostri fascicoli attraverso il sito; 3) il capillare raggiungimento e coinvolgimento delle sedi distrettuali e lĠestensione ad esse, attraverso il portale, dei servizi informatici giˆ esistenti per lĠAvvocatura Generale. Per ridurre i tempi e i costi dei processi di lavoro, lĠiter di dematerializzazione della carta e lĠausilio dellĠinformatica appaiono ormai un percorso inevitabile per gestire lĠenorme mole di contenzioso ed essere al passo con i tempi. La sua piena realizzazione richiede per˜ ancora tempi non brevi. Ed  proprio anche alla luce dei dati sopra ricordati che esprimo lĠauspicio che possa essere riconsiderata, nel prossimo futuro, lĠapplicazione nei confronti dellĠAvvocatura dello Stato delle disposizioni in tema di limitazione del turn-over del personale, sia togato che amministrativo, nonchŽ in tema di riduzione della spesa; ci˜ in considerazione del fatto che lĠAvvocatura dello Stato, proprio per le funzioni dalla stessa svolte, non pu˜ essere paragonata e trattata alla stregua di una amministrazione di gestione. Il personale togato e amministrativo dellĠAvvocatura deve essere posto in grado di svolgere con serenitˆ ed efficienza il notevole lavoro che ho prima indicato. 4. - Concludo osservando che il difficilissimo momento che il Paese sta attraversando richiede a tutte le Istituzioni ed a tutti noi il massimo impegno nellĠesercizio dei compiti affidati. Sono certo di poterLe assicurare, Signor Presidente della Repubblica, che lĠAvvocatura dello Stato e i suoi componenti faranno ogni possibile sforzo per essere allĠaltezza delle rilevanti funzioni assegnate, confermando il prestigio che ha sempre avuto. Grazie, Signor Presidente della Repubblica, grazie a tutti per avermi ascoltato. Roma, li 25 gennaio 2013 Palazzo di Giustizia, Aula Magna 20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Avvocatura Generale dello Stato CIRCOLARE N. 6/2013 Oggetto: Pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato - legge 31 dicembre 2012, n. 247 recante "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense". Si fa seguito alla Circolare n. 62/12 (*) - le cui conclusioni sono state avallate dal parere reso dalla Commissione consultiva del Consiglio Nazionale Forense, pervenuto in data 18 febbraio 2013 - e, a scioglimento della riserva nella stessa contenuta, si rappresenta quanto segue. In data 18 gennaio 2013,  stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana la legge 31 dicembre 2012, n. 247 recante "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense"; l'atto, dopo l'ordinaria vacatio legis,  entrato in vigore il giorno 2 febbraio 2013. Al proposito, si segnala che il Consiglio Nazionale Forense ha recentemente pubblicato il Dossier 1/13 dell'Ufficio Studi nel quale viene evidenziato che "l'approvazione della legge 31 dicembre 2012, n. 247 ha determinato la sopravvenuta inapplicabilitˆ alla professione forense delle norme contenute nell'art. 3, comma 5, del decreto-legge 138/2011, convertito in legge n. 148/2011 e s.m.i. e, conseguentemente, delle norme contenute nel D.P.R. n. 137/2012. Questo, tanto in considerazione del criterio cronologico (lex posterior derogat legi priori) quanto del criterio di specialitˆ (lex specialis derogat legi generali) e gerarchico (con riferimento specifico alla sorte delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 137/2012)". (*) CIRCOLARE N. 62/2012 Oggetto: Pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato - Inapplicabilitˆ del termine di dodici mesi, di cui all'art. 10, comma 1, del D.P.R. n. 137/12, ai tirocini giˆ in corso alla data del 16 agosto 2012. Modifica della Circolare n. 51/2012. Con la circolare n. 51 del 12 settembre 2012, sono stati affrontati i problemi posti dalla norma contenuta nell'art. 10, comma 1, del D.P.R. 7 agosto 2012 n. 137, la quale dispone che "il tirocinio pu˜ essere svolto presso l'Avvocatura dello Stato o presso l'ufficio legale di un ente pubblico o di ente privato autorizzato dal ministro della giustizia o presso un ufficio giudiziario per non pi di dodici mesi". Con la predetta circolare - oltre a manifestare le riserve dell'Istituto sulla legittimitˆ della norma, comunicate alla Presidenza del Consiglio ed alle Amministrazioni interessate -  stato ritenuto, in via cautelativa, che, in assenza di una disciplina transitoria, la nuova disposizione dovesse essere applicata immediatamente anche ai tirocini iniziati prima della sua entrata in vigore; ci˜ anche per evitare il rischio che il periodo di pratica, eccedente i dodici mesi, svolto presso l'Avvocatura non fosse riconosciuto utile ai fini dell'ammissione all'esame di abilitazione, con evidente pregiudizio per i praticanti. TEMI ISTITUZIONALI 21 Con riferimento, in particolare, alla disciplina dell'accesso e del tirocinio, il Consiglio Nazionale Forense ha rilevato come gli artt. 48 e 49 dettino una disciplina transitoria in relazione alle modalitˆ del suo svolgimento e dell'esame. In particolare, 1'art. 48 dispone che il tirocinio per lĠaccesso rimane disciplinato dalle disposizioni vigenti fino al secondo anno successivo all'entrata in vigore della legge, salva la riduzione a diciotto mesi del periodo di tirocinio. Alla luce degli ulteriori approfondimenti svolti sul tema e dei contributi trasmessi, anche in via informale, dalle Sedi distrettuali, si ritiene di dovere modificare le superiori conclusioni, nel senso che la disposizione - che limita a soli dodici mesi, il periodo di pratica forense che pu˜ essere svolto presso l'Avvocatura dello Stato - trova applicazione con riferimento ai soli tirocini che hanno avuto inizio successivamente all'entrata in vigore del D.P.R. n. 137/12 (16 agosto 2012). Ed invero, l'applicazione immediata della riduzione a dodici mesi del tirocinio presso l'Avvocatura dello Stato (che, peraltro, suscita perplessitˆ sotto il profilo del rispetto del principio di cui all'art. 11 delle c.d. preleggi) potrebbe, da un lato, creare situazioni paradossali per i singoli praticanti (si pensi all'ipotesi di giovani che abbiano svolto presso l'Istituto diciassette mesi, e che troverebbero estremamente difficile essere accolti in uno studio professionale per un solo mese, con la grave conseguenza di non poter completare il periodo di pratica prescritto); dall'altro stravolgerebbe l'impostazione "didattica" del tirocinio e la pianificazione delle esperienze che lo costituiscono. La predetta conclusione ha trovato, peraltro, conferma in un recente parere, reso dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma nella seduta del 4 ottobre u.s., a fronte di uno specifico quesito dell'Avvocatura di Roma Capitale. Da ultimo, si segnala che il Consiglio Nazionale Forense, nel Dossier n. 11/2012 predisposto dall'Ufficio Studi, ha espressamente evidenziato che "Il comma 14 prevede che le disposizioni dell'art. 6 del D.P.R. n. 137/2012 si applichino ai tirocini iniziati dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto in parola (fermo quanto gia previsto dall'articolo 9, comma 6, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27). Ne consegue che la riduzione del periodo di tirocinio a 18 mesi  immediatamente operativa anche per i tirocini in corso, trovando la propria fonte in una disposizione del decreto legge ÒCresci ItaliaÓ qui espressamente richiamata, ed oggetto dellĠinterpretazione fornita dal Ministero della giustizia con circolare in data 4 luglio 2012. Le altre prescrizioni ... che trovano la propria fonte nel DPR 137/2012 si applicano invece ai tirocini iniziati a partire dal 16 agosto 2012Ó. Si coglie, infine, l'occasione per evidenziare che - attesa la particolare qualificazione professionale dei Procuratori dello Stato ed in considerazione della varietˆ delle pratiche agli stessi affidate - non appare opportuno escludere l'assegnazione di praticanti ai medesimi Procuratori; assegnazione, questĠultima, che costituisce, peraltro, prassi consolidata presso quasi tutte le Sedi dell'Istituto. Le Sedi distrettuali sono invitate a prendere atto di quanto sopra. Si fa riserva di fornire ulteriori indicazioni in ordine allo svolgimento della pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato, allĠesito delle interlocuzioni in corso con le Amministrazioni competenti ed in particolare con il Ministero della Giustizia. 22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Come noto, l'art. 10 del D.P.R. n. 137/12 poneva una disciplina speciale per il tirocinio forense che, a partire dalla sua entrata in vigore, ha prodotto l'ffetto abrogativo disposto dall'art. 3, comma 5 bis, del decreto-legge n. 138/11 convertito in legge n. 148/11 e s.m.i. e l'immediata modifica del regime del tirocinio forense. Sulla base di quanto pi sopra rappresentato circa la sottrazione dell'ordinamento forense all'ambito di materie oggetto della delegificazione, deve ritenersi che le norme del D.P.R. n. 137/12 in materia di tirocinio forense non siano pi applicabili, a far data dall'entrata in vigore della legge n. 247/12 (2 febbraio 2013). Restano, dunque, applicabili al tirocinio per l'accesso alla professione forense le disposizioni vigenti, ad eccezione degli artt. 6 e 10 del D.P.R. n. 137/12, ed in particolare: l'art. 9 del decreto-legge n. 1/12, convertito in legge n. 27/12 (durata di diciotto mesi del tirocinio), il D.P.R. n. 101/1990 (Regolamento relativo alla pratica forense) e l'art. 16 del D.Lgs. n. 398/1997 (in tema di Scuole di specializzazione per le professioni legali). Per completezza, si evidenzia che la disciplina, a regime, dettata in tema di svolgimento del tirocinio dall'art. 41 della legge n. 247/12, sembra potersi interpretare nel senso che la pratica forense possa essere svolta, per l'intero periodo dello stesso (ovvero per diciotto mesi), presso l'Avvocatura dello Stato. In tale senso, milita il combinato disposto delle previsioni contenute ai commi 6, lett. b) e 7 dell'art. 41 cit.; il comma 6, lett. b) prevede che il tirocinio pu˜ essere svolto "presso l'Avvocatura dello Stato o presso l'ufficio legale di un ente pubblico o presso un ufficio giudiziario per non pi di dodici mesi"; il comma 7 precisa che "In ogni caso il tirocinio deve essere svolto per almeno sei mesi presso un avvocato iscritto all'ordine o presso l'Avvocatura dello Stato". Orbene il combinato disposto delle predette norme, in uno all'equiparazione dell'Avvocatura dello Stato all'avvocato del libero foro (presso il quale il tirocinio pu˜ essere svolto per diciotto mesi), contenuta al comma 7, sembra, appunto, deporre nel senso che la pratica forense possa essere svolta, a regime, presso l'Avvocatura dello Stato per l'intero periodo del tirocinio. Lo Scrivente si riserva, comunque, di valutare lĠopportunitˆ di chiedere, nella prossima legislatura, lĠintroduzione, nel corpo dell'art. 41 della legge n. 274/12, di una disposizione finalizzata a fugare qualsivoglia dubbio interpretativo in merito; cosa che si era tentato di fare durante lĠiter parlamentare di approvazione della legge n. 247/12 ma senza successo atteso lĠaccelerazione del predetto iter dovuta all'anticipata chiusura della legislatura. Le Sedi distrettuali sono invitate a prendere atto di quanto sopra e a dare ampia diffusione alla presente Circolare. LĠAVVOCATO GENERALE DELLO STATO Michele Dipace LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZA UE Le regole europee in materia di appalti pubblici: nulla di nuovo dalla Corte con la sentenza 19 dicembre 2012, C-159/11 ( ... ?) Si segnala una nuova decisione della Grande Sezione della Corte di Giustizia (sentenza 19 dicembre 2012 in causa C-159/11) sulla conformitˆ o meno al diritto comunitario di quei rapporti diretti tra amministrazioni pubbliche nelle quali le stesse, rinunciando ad avvalersi del mercato, Òsi scambiano prestazioni di beni e serviziÓ. La questione aveva trovato un convincente assetto nella decisione (anchĠessa della Grande Sezione) del 9 giugno 2009 Commissione /Germania in causa C-480/06 nella quale il conferimento diretto dello smaltimento dei rifiuti tra le varie autoritˆ locali, previo rimborso dei relativi costi, non era stato considerato un appalto ai sensi della direttiva 92/50. Il principio di diritto affermato era che ÒunĠautoritˆ pubblica pu˜ adempiere ai compiti dĠinteresse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti o in collaborazione con altre autoritˆ pubbliche, senza essere obbligata a far ricorso ad entitˆ esterne non appartenenti ai propri serviziÓ. In altri termini - proseguiva la massima - se non si coinvolgono direttamente o indirettamente imprese private la collaborazione tra soggetti pubblici pu˜ legittimamente restringere lĠarea del ricorso delle pubbliche amministrazioni al mercato. Nella causa C-159/11 la prospettiva sembra cambiare; il giudice europeo, sulla base di una questione pregiudiziale posta dal Consiglio di Stato Italiano, statuisce che Òil diritto dellĠUnione Europea in materia di appalti pubblici osta a che una normativa nazionale autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui - e ci˜ spetta al giudice del rinvio di verificare - tale contratto non abbia il fine di garantire lĠadempimento di una funzione di un pubblico servizio comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi 24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 dĠinteresse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrentiÓ. La normativa italiana in questione, specificatamente indicata dalla Corte di Giustizia,  la norma generale dellĠart. 15 della legge 241 del 1990 (Òle amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivitˆ dĠinteresse comuneÓ ) e lĠart. 66 del DPR 382 dellĠ11 luglio 1980 che, nel disciplinare la docenza universitaria, dichiara che ÒLe Universitˆ, purchŽ non vi osti lo svolgimento della loro funzione scientifica didattica, possono eseguire attivitˆ di ricerca e di consulenza stabilite mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privatiÓ. Il caso di specie, che sembra aver giustificato lĠintervento ÒrepressivoÓ della Corte di Giustizia riguardava una controversia sorta tra, da un lato lĠAzienda Sanitaria Locale di Lecce e lĠUniversitˆ del Salento, e dallĠaltro diversi ordini professionali ed alcune imprese, vertente su un contratto di consulenza stipulato tra lĠASL di Lecce e lĠUniversitˆ del Salento, avente ad oggetto lo studio e la valutazione della vulnerabilitˆ sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce. Caratteristiche di tale contratto sono: a) che i costi da rimborsare a carico della ASL venivano analiticamente e preventivamente fissati; b) che lĠuniversitˆ in caso di risoluzione anticipata del rapporto avrebbe avuto diritto ad importi corrispondenti al lavoro svolto, alle spese sostenute e a quelle derivanti da obbligazioni assunte (con terzi) nellĠambito dellĠesecuzione dellĠattivitˆ di studio; c) che la ASL si appropriava integralmente dellĠattivitˆ prodotta dallĠUniversitˆ. Alcune notazioni a margine: la prima  che  improbabile che la Corte di Giustizia abbia inteso censurare in rapporto allĠordinamento comunitario la norma generale dellĠart 15 della legge n. 241 del 1990 che legittima la collaborazione istituzionale attraverso accordi tra pubbliche amministrazioni; la seconda  che  improbabile - ed infatti la norma non  stata neppure citata nella sentenza - che sia ritenuta in contrasto con le direttive appalti lĠarticolo 19 comma 1, lettera f) del codice degli appalti vigente in Italia proprio in attuazione di dette direttive secondo cui ÒIl presente codice non si applica ai contratti pubblici É f) concernenti servizi di ricerca e sviluppo diversi da quelli i cui risultati appartengono esclusivamente alla stazione appaltante, perchŽ li usi nellĠesercizio della sua attivitˆ, a condizione che la prestazione del servizio sia interamente retribuita da tale amministrazioneÓ; la terza notazione  che la Corte di Giustizia sente il bisogno di ribadire in termini sostanzialmente analoghi i principi stabiliti nella citata sentenza 9 giugno 2009 (in causa C-480/06), rimettendo in ogni caso la questione concreta al prudente accertamento del giudice nazionale. LĠultima e decisiva notazione  che forse questa decisione della Grande Chambre  meno importante del clamore che sta suscitando tra i siti italiani: CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 25 si tratta solo di un caso di specie nel quale le amministrazioni leccesi hanno fatto un uso non corretto della possibilitˆ di ricorrere, per quanto occorreva per realizzare in via diretta i loro obiettivi, allĠaiuto istituzionale di altri soggetti pubblici, in unĠottica evidentemente del tutto diversa ed alternativa dalle regole che disciplinano il mercato degli appalti É G.F. Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 19 dicembre 2012 nella causa C-159/11 - Pres. V. Skouris, Rel. D. .v‡by, Avv. Gen. V. Trstenjak - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato - Azienda Sanitaria Locale di Lecce, Universitˆ del Salento / Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce ed altri. ÇAppalti pubblici Direttiva 2004/18/CE Articolo 1, paragrafo 2, lettere a) e d) Servizi Studio e valutazione della vulnerabilitˆ sismica di strutture ospedaliere Contratto concluso tra due enti pubblici, uno dei quali  unĠuniversitˆ Ente pubblico qualificabile come operatore economico Contratto a titolo oneroso Corrispettivo non superiore ai costi sostenutiÈ 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sullĠinterpretazione degli articoli 1, paragrafo 2, lettere a) e d), 2 e 28, nonchŽ dellĠallegato II A, categorie 8 e 12, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), come modificata dal regolamento (CE) n. 1422/2007 della Commissione, del 4 dicembre 2007 (GU L 317, pag. 34; in prosieguo: la Çdirettiva 2004/18È). 2 Tale domanda  stata proposta nellĠambito di una controversia tra, da un lato, lĠAzienda Sanitaria Locale di Lecce (in prosieguo: lĠÇASLÈ) e lĠUniversitˆ del Salento (in prosieguo: lĠÇUniversitˆÈ) e, dallĠaltro, lĠOrdine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e altri, vertente su un contratto di consulenza stipulato tra lĠASL e lĠUniversitˆ (in prosieguo: il Çcontratto di consulenzaÈ), avente ad oggetto lo studio e la valutazione della vulnerabilitˆ sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce. Contesto normativo Il diritto dellĠUnione 3 Ai sensi del secondo considerando della direttiva 2004/18: ÇLĠaggiudicazione degli appalti negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri organismi di diritto pubblico  subordinata al rispetto dei principi del trattato [CE] ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, della libertˆ di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonchŽ ai principi che ne derivano, quali i principi di paritˆ di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalitˆ e di trasparenza. Tuttavia, per gli appalti pubblici con valore superiore ad una certa soglia  opportuno elaborare disposizioni di coordinamento comunitario delle procedure nazionali di aggiudicazione di tali appalti fondate su tali principi, in modo da garantirne gli effetti ed assicurare lĠapertura degli appalti pubblici alla concorrenza. (...)È. 4 LĠarticolo 1 di tale direttiva dispone quanto segue: 26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Ç (...) 2. a) Gli Òappalti pubbliciÓ sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o pi operatori economici e una o pi amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto lĠesecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva. (...) d) Gli Òappalti pubblici di serviziÓ sono appalti pubblici diversi dagli appalti pubblici di lavori o di forniture aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui allĠallegato II. (...) 8. I termini ÒimprenditoreÓ, ÒfornitoreÓ e Òprestatore di serviziÓ designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi. Il termine Òoperatore economicoÓ comprende lĠimprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi. é utilizzato unicamente per semplificare il testo. (...) 9. Si considerano Òamministrazioni aggiudicatriciÓ: lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le associazioni costituite da uno o pi di tali enti pubblici territoriali o da uno o pi di tali organismi di diritto pubblico. (...)È. 5 Ai sensi dellĠarticolo 2 di detta direttiva, Ç[l]e amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di paritˆ, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenzaÈ. 6 Ai sensi dellĠarticolo 7, lettera b), della direttiva 2004/18, questĠultima si applica in particolare agli appalti pubblici di servizi aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici diverse dalle autoritˆ governative centrali menzionate nellĠallegato IV di tale direttiva, purchŽ si tratti di appalti non esclusi in forza delle eccezioni indicate nellĠarticolo suddetto e il loro valore stimato al netto dellĠimposta sul valore aggiunto (in prosieguo: lĠÇIVAÈ) sia pari o superiore a EUR 206 000. 7 In conformitˆ allĠarticolo 9, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva, il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico  basato sullĠimporto totale pagabile al netto dellĠIVA, valutato dallĠamministrazione aggiudicatrice al momento dellĠinvio del bando di gara o, se del caso, al momento in cui la procedura di aggiudicazione dellĠappalto  avviata. 8 LĠarticolo 20 della direttiva 2004/18 prevede che gli appalti aventi per oggetto servizi elencati nellĠallegato II A di tale direttiva siano aggiudicati secondo gli articoli 23.55 di questĠultima, nellĠambito dei quali lĠarticolo 28 stabilisce che, Ç[p]er aggiudicare gli appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici applicano le procedure nazionali adattate ai fini d[i] [detta] direttivaÈ. 9 LĠallegato II A della direttiva 2004/18 indica in particolare le seguenti categorie di servizi: categoria 8, relativa ai servizi di ricerca e sviluppo, ad esclusione dei servizi di ricerca e sviluppo diversi da quelli di cui beneficiano esclusivamente le amministrazioni aggiudicatrici e/o gli enti aggiudicatori per loro uso nellĠesercizio della propria attivitˆ, nella misura in cui la prestazione di servizi sia interamente retribuita da dette amministrazioni e/o detti enti, e categoria 12, relativa ai servizi attinenti allĠarchitettura e allĠingegneria, anche integrata, ai servizi attinenti allĠurbanistica e alla paesaggistica, ai servizi affini di consulenza scientifica e tecnica, nonchŽ ai servizi di sperimentazione tecnica e analisi. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 27 Il diritto italiano 10 Ai sensi dellĠarticolo 15, primo comma, della legge n. 241 del 7 agosto 1990, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi (GURI n. 192, del 18 agosto 1990, pag. 7), Çle amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivitˆ di interesse comuneÈ. 11 LĠarticolo 66 del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 dellĠ11 luglio 1980, recante riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonchŽ sperimentazione organizzativa e didattica (Supplemento ordinario alla GURI n. 209, del 31 luglio 1980), dispone quanto segue: ÇLe Universitˆ, purchŽ non vi osti lo svolgimento della loro funzione scientifica didattica, possono eseguire attivitˆ di ricerca e consulenza stabilite mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati. LĠesecuzione di tali contratti e convenzioni sarˆ affidata, di norma, ai dipartimenti [universitari] o, qualora questi non siano costituiti, agli istituti o alle cliniche universitarie o a singoli docenti a tempo pieno. I proventi delle prestazioni dei contratti e convenzioni di cui al comma precedente sono ripartiti secondo un regolamento approvato dal consiglio di amministrazione dellĠUniversitˆ, sulla base di uno schema predisposto (...) dal Ministro della pubblica istruzione. Il personale docente e non docente che collabora a tali prestazioni pu˜ essere ricompensato fino a una somma annua totale non superiore al 30 per cento della retribuzione complessiva. In ogni caso la somma cos“ erogata al personale non pu˜ superare il 50 per cento dei proventi globali [di dette] prestazioni. Il regolamento di cui al secondo comma determina la somma da destinare per spese di carattere generale sostenute dallĠUniversitˆ e i criteri per lĠassegnazione al personale della somma di cui al terzo comma. Gli introiti rimanenti sono destinati ad acquisto di materiale didattico e scientifico e a spese di funzionamento dei dipartimenti, istituti o cliniche che hanno eseguito i contratti e le convenzioni. Dai proventi globali derivanti dalle singole prestazioni e da ripartire con le modalitˆ di cui al precedente secondo comma vanno in ogni caso previamente detratte le spese sostenute dallĠUniversitˆ per lĠespletamento delle prestazioni medesime. I proventi derivati dallĠattivitˆ di cui al comma precedente costituiscono entrate del bilancio dellĠUniversitˆÈ. Procedimento principale e questione pregiudiziale 12 Con deliberazione del 7 ottobre 2009 il Direttore generale dellĠASL ha approvato il disciplinare relativo allĠesecuzione, da parte dellĠUniversitˆ, di unĠattivitˆ di studio e di valutazione della vulnerabilitˆ sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce alla luce delle recenti normative nazionali emanate in materia di sicurezza delle strutture e, in particolare, degli edifici cosiddetti ÇstrategiciÈ (in prosieguo, rispettivamente: il ÇdisciplinareÈ e lĠÇattivitˆ di studioÈ). 13 Conformemente al disciplinare, tale attivitˆ di studio si articola, per ogni singolo edificio interessato, nelle tre seguenti fasi: individuazione della tipologia strutturale, dei materiali impiegati per la costruzione e dei metodi di calcolo adottati; verifica sommaria dello stato di fatto rispetto alla documentazione progettuale resa disponibile; verifiche della regolaritˆ strutturale, analisi sommaria della risposta sismica globale dellĠedificio, eventuali analisi locali su elementi o sottosistemi strutturali significativi 28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 per lĠindividuazione della risposta sismica globale; elaborazione dei risultati delle attivitˆ di cui alla fase precedente e stesura di schede tecniche di diagnosi strutturale; in particolare  previsto che vengano fornite: relazioni sulla tipologia strutturale osservata, sui materiali e sullo stato di conservazione della struttura, con particolare riferimento agli aspetti che incidono maggiormente sulla risposta strutturale in relazione alla pericolositˆ sismica del sito di ubicazione dellĠopera; schede tecniche di classificazione della vulnerabilitˆ sismica degli ospedali; relazioni tecniche sugli elementi o sottosistemi strutturali rilevati come critici in relazione alla verifica di vulnerabilitˆ sismica; suggerimenti preliminari e sommaria descrizione delle opere di adeguamento o miglioramento sismico adottabili, con particolare riferimento ai vantaggi e limiti delle diverse tecnologie possibili, in termini tecnico.economici. 14 Il contratto di consulenza concluso il 22 ottobre 2009 relativo allĠattivitˆ di studio prevede in particolare quanto segue: la durata massima di tale contratto  stabilita in sedici mesi; lĠattivitˆ di studio  affidata al Gruppo di Tecnica delle costruzioni, con facoltˆ di ricorrere alla collaborazione di personale esterno altamente qualificato; tale attivitˆ  svolta in stretta collaborazione tra il gruppo di lavoro individuato dallĠASL ed il gruppo di lavoro dellĠUniversitˆ al fine di raggiungere gli obiettivi comuni di cui alla terza fase di detta attivitˆ; la responsabilitˆ scientifica  assunta da due persone rispettivamente designate dalle due parti; allĠASL spetta la proprietˆ di qualunque risultato derivante dallĠattivitˆ sperimentale, ma nel caso di pubblicazione dei risultati in ambito tecnico.scientifico lĠASL si impegna a citare espressamente lĠUniversitˆ; questĠultima pu˜ utilizzare detti risultati per pubblicazioni o comunicazioni scientifiche previa autorizzazione dellĠASL, e per lĠintera prestazione lĠASL corrisponde allĠUniversitˆ la somma di EUR 200 000 al netto dellĠIVA, pagabile in quattro rate. Tuttavia, nel caso di risoluzione anticipata del contratto, lĠUniversitˆ ha diritto ad un importo dipendente dalla quantitˆ di lavoro svolto e corrispondente alle spese sostenute e a quelle relative a obbligazioni giuridiche assunte nellĠambito dellĠesecuzione dellĠattivitˆ di studio. 15 Dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che detto importo di EUR 200 000 si compone delle seguenti somme: acquisto e uso di attrezzature: EUR 20 000; costi di missione del personale: EUR 10 000; costo del personale: EUR 144 000, e spese generali: EUR 26 000. 16 Risulta inoltre che il costo del personale pari a EUR 143 999,58, arrotondati a EUR 144 000, corrisponde alle seguenti voci: attivazione di tre assegni di ricerca della durata di un anno: EUR 57 037,98; costo per un professore associato, per 180 ore nel 2009 (costo orario pari a EUR 45,81) e per 641 ore nel 2010 (costo orario pari a EUR 48,93): EUR 39 609,93; costo per un ricercatore confermato, per 170 ore nel 2009 (costo orario pari a EUR 25,91) e per 573 ore nel 2010 (costo orario pari a EUR 32,23): EUR 22 936,95; costo per un ricercatore non confermato, per 170 ore nel 2009 (costo orario pari a EUR 20,50) e per 584 ore nel 2010 (costo orario pari a EUR 26,48): EUR 18 949,32, e CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 29 costo per un tecnico di laboratorio, per 70 ore nel 2009 (costo orario pari a EUR 20,48) e per 190 ore nel 2010 (costo orario pari a EUR 21,22): EUR 5 465,40. 17 Diversi ordini e associazioni professionali ed alcune imprese hanno proposto vari ricorsi avverso la deliberazione di approvazione del disciplinare e ogni atto presupposto, consequenziale e connesso a questĠultima dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, lamentando in particolare la violazione della normativa nazionale e dellĠUnione in materia di appalti pubblici. Nelle sentenze con cui accoglieva detti ricorsi, tale giudice considerava che lĠaffidamento dellĠincarico relativo allĠattivitˆ di studio costituiva un appalto di servizi dĠingegneria, ai sensi della normativa italiana. 18 NellĠambito dei ricorsi in appello proposti avverso tali sentenze, lĠASL e lĠUniversitˆ rilevano essenzialmente che, in conformitˆ al diritto italiano, il contratto di consulenza costituisce un accordo di cooperazione tra amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di attivitˆ di interesse generale. La partecipazione a titolo oneroso ma per una remunerazione limitata ai costi sostenuti dellĠUniversitˆ a un siffatto contratto rientrerebbe nellĠambito delle attivitˆ istituzionali di questĠultima. Viene inoltre invocato il fatto che lĠattivitˆ di studio  affidata a enti di ricerca e che essa riguarda ricerche da condurre mediante sperimentazioni e analisi da realizzare al di fuori di ogni metodologia standardizzata e di procedure codificate o individuate nella letteratura scientifica. La legittimitˆ di tali accordi di cooperazione tra pubbliche amministrazioni sotto il profilo del diritto dellĠUnione risulterebbe dalla giurisprudenza della Corte. 19 Il giudice del rinvio espone che gli accordi tra pubbliche amministrazioni previsti allĠarticolo 15 della legge n. 241 del 7 agosto 1990 sono preordinati al coordinamento dellĠazione di diversi apparati amministrativi, ciascuno portatore di uno specifico interesse pubblico, e costituiscono una forma di cooperazione volta a consentire la pi efficiente ed economica gestione di servizi pubblici. Un siffatto accordo pu˜ essere concluso quando una pubblica amministrazione intenda affidare a titolo oneroso ad altra pubblica amministrazione la prestazione di un servizio e tale servizio ricada tra i compiti dellĠamministrazione, conformemente agli obiettivi istituzionali degli enti parti dellĠaccordo. 20 Il Consiglio di Stato si chiede tuttavia se la conclusione di un accordo tra pubbliche amministrazioni non sia contraria al principio della libera concorrenza qualora una delle amministrazioni interessate possa essere considerata un operatore economico, qualitˆ riconosciuta ad ogni ente pubblico che offra servizi sul mercato, indipendentemente dal perseguimento di uno scopo di lucro, dalla dotazione di una organizzazione di impresa o dalla presenza continua sul mercato. Il giudice del rinvio si riferisce, al riguardo, alla sentenza della Corte del 23 dicembre 2009, CoNISMa (C.305/08, Racc. pag. I.12129). In tale ottica, dal momento che lĠUniversitˆ pu˜ partecipare a una gara dĠappalto, i contratti con essa stipulati da amministrazioni aggiudicatrici rientrerebbero nellĠambito di applicazione della normativa dellĠUnione in materia di appalti pubblici quando abbiano ad oggetto, come nel procedimento principale, prestazioni di ricerca che non appaiono incompatibili con i servizi menzionati nelle categorie 8 e 12 dellĠallegato II A della direttiva 2004/18. 2I In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: ÇSe la [direttiva 2004/18], ed in particolare lĠarticolo 1, paragrafo 2, lettere a) e d), lĠarticolo 2, lĠarticolo 28 e lĠallegato II [A], categorie 8 e 12, ostino ad una disciplina nazionale che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni 30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 aggiudicatrici per lo studio e la valutazione della vulnerabilitˆ sismica di strutture ospedaliere da eseguirsi alla luce delle normative nazionali in materia di sicurezza delle strutture ed in particolare degli edifici strategici, verso un corrispettivo non superiore ai costi sostenuti per lĠesecuzione della prestazione, ove lĠamministrazione esecutrice possa rivestire la qualitˆ di operatore economicoÈ. Sulla questione pregiudiziale 22 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2004/18 debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale due amministrazioni pubbliche istituiscono tra loro una cooperazione come quella di cui al procedimento principale. 23 Preliminarmente, occorre osservare che lĠapplicazione della direttiva 2004/18 a un appalto pubblico  subordinata alla condizione che il valore stimato di questĠultimo raggiunga la soglia stabilita allĠarticolo 7, lettera b), della direttiva medesima, tenendo conto del valore normale sul mercato dei lavori, delle forniture o dei servizi oggetto di tale appalto pubblico. In caso contrario, si applicano le norme fondamentali e i principi generali del Trattato FUE, segnatamente i principi della paritˆ di trattamento e di non discriminazione a motivo della nazionalitˆ, nonchŽ lĠobbligo di trasparenza che ne deriva, purchŽ lĠappalto in questione presenti un interesse transfrontaliero certo, tenuto conto, in particolare, della sua importanza e del luogo della sua esecuzione (v. in tal senso, in particolare, sentenza del 15 maggio 2008, SECAP e Santorso, C.147/06 e C.148/06, Racc. pag. I.3565, punti 20, 21 e 31 nonchŽ la giurisprudenza citata). 24 Tuttavia, la circostanza che il contratto controverso nel procedimento principale possa rientrare, eventualmente, o nellĠambito di applicazione della direttiva 2004/18, o in quello delle norme fondamentali e dei principi generali del Trattato FUE non influisce sulla risposta da fornire alla questione sollevata. Infatti, i criteri enunciati nella giurisprudenza della Corte per valutare se il previo svolgimento di una gara sia o no obbligatorio rilevano sia per lĠinterpretazione di tale direttiva, sia per lĠinterpretazione di dette norme e principi del Trattato FUE (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, Sea, C.573/07, Racc. pag. I.8127, punti 35.37). 25 Ci˜ precisato, si deve rilevare che, in conformitˆ allĠarticolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2004/18, un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto tra un operatore economico e unĠamministrazione aggiudicatrice, ed avente per oggetto la prestazione di servizi di cui allĠallegato II A di tale direttiva, costituisce un appalto pubblico. 26 Al riguardo, in primo luogo,  ininfluente la circostanza che tale operatore sia esso stesso unĠamministrazione aggiudicatrice (v., in tal senso, sentenza del 18 novembre 1999, Teckal, C.107/98, Racc. pag. I.8121, punto 51). é inoltre indifferente che lĠente in questione non persegua un preminente scopo di lucro, che non abbia una struttura imprenditoriale, od anche che non assicuri una presenza continua sul mercato (v., in tal senso, sentenza CoNISMa, cit., punti 30 e 45). 27 In tal senso, riguardo a soggetti quali le universitˆ pubbliche, la Corte ha dichiarato che a siffatti enti  in linea di principio consentito partecipare ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi. Tuttavia, gli Stati membri possono disciplinare le attivitˆ di tali soggetti e, in particolare, autorizzarli o non autorizzarli ad operare sul mercato, tenuto conto dei loro fini istituzionali e statutari. Comunque, se e nei limiti in cui i suddetti soggetti siano autorizzati a offrire taluni servizi sul mercato, non pu˜ CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 31 essere loro vietato di partecipare a una gara dĠappalto avente ad oggetto i servizi in questione (v., in tal senso, sentenza CoNISMa, cit., punti 45, 48, 49 e 51). Orbene, nel caso di specie, il giudice del rinvio ha indicato che lĠarticolo 66, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 dellĠ11 luglio 1980 autorizza espressamente le universitˆ pubbliche a fornire prestazioni di ricerca e consulenza a enti pubblici o privati, purchŽ tale attivitˆ non comprometta la loro funzione didattica. 28 In secondo luogo, attivitˆ quali quelle costituenti lĠoggetto del contratto in esame nel giudizio principale, pur potendo rientrare come menzionato dal giudice del rinvio nel campo della ricerca scientifica, ricadono, secondo la loro natura effettiva, nellĠambito dei servizi di ricerca e sviluppo di cui allĠallegato II A, categoria 8, della direttiva 2004/18, oppure nellĠambito dei servizi dĠingegneria e dei servizi affini di consulenza scientifica e tecnica indicati nella categoria 12 di tale allegato. 29 In terzo luogo, come chiarito dallĠavvocato generale ai paragrafi 32.34 delle sue conclusioni, e come risulta dal senso normalmente e abitualmente attribuito allĠespressione Ça titolo onerosoÈ, un contratto non pu˜ esulare dalla nozione di appalto pubblico per il solo fatto che la remunerazione in esso prevista sia limitata al rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio convenuto. 30 Salve le verifiche di competenza del giudice del rinvio, risulta che il contratto controverso nel procedimento principale presenta tutte le caratteristiche enunciate ai punti 26.29 della presente sentenza. 31 Emerge tuttavia dalla giurisprudenza della Corte che due tipi di appalti conclusi da enti pubblici non rientrano nellĠambito di applicazione del diritto dellĠUnione in materia di appalti pubblici. 32 Si tratta, in primo luogo, dei contratti di appalto stipulati da un ente pubblico con un soggetto giuridicamente distinto da esso, quando detto ente eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e, al contempo, il soggetto in questione realizzi la parte pi importante della propria attivitˆ con lĠente o con gli enti che lo controllano (v., in tal senso, sentenza Teckal, cit., punto 50). 33 é comunque assodato che tale eccezione non  applicabile in un contesto come quello di cui al procedimento principale, dal momento che dalla decisione di rinvio risulta che lĠASL non esercita alcun controllo sullĠUniversitˆ. 34 In secondo luogo, si tratta dei contratti che istituiscono una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire lĠadempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi (v., in tal senso, sentenza del 9 giugno 2009, Commissione/Germania, C.480/06, Racc. pag. I.4747, punto 37). 35 In tale ipotesi, le norme del diritto dellĠUnione in materia di appalti pubblici non sono applicabili, a condizione che inoltre tali contratti siano stipulati esclusivamente tra enti pubblici, senza la partecipazione di una parte privata, che nessun prestatore privato sia posto in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti, e che la cooperazione da essi istituita sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi dĠinteresse pubblico (v., in tal senso, sentenza Commissione/Germania, cit., punti 44 e 47). 36 Se  pur vero che, come rilevato dal giudice del rinvio, un contratto come quello controverso nel procedimento principale sembra soddisfare taluni dei criteri menzionati nei due precedenti punti della presente sentenza, un contratto siffatto pu˜ tuttavia esulare dallĠambito di applicazione del diritto dellĠUnione in materia di appalti pubblici soltanto 32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 qualora soddisfi tutti i suddetti criteri. 37 Al riguardo, dalle indicazioni contenute nella decisione di rinvio sembra risultare, in primo luogo, che tale contratto presenti un insieme di aspetti materiali corrispondenti in misura estesa, se non preponderante, ad attivitˆ che vengono generalmente svolte da ingegneri o architetti e che, se pur basate su un fondamento scientifico, non assomigliano ad attivitˆ di ricerca scientifica. Di conseguenza, contrariamente a quanto la Corte ha potuto constatare al punto 37 della citata sentenza Commissione/Germania, la funzione di servizio pubblico costituente lĠoggetto della cooperazione tra enti pubblici istituita da detto contratto non sembra garantire lĠadempimento di una funzione di servizio pubblico comune allĠASL e allĠUniversitˆ. 38 In secondo luogo, il contratto controverso nel procedimento principale potrebbe condurre a favorire imprese private qualora tra i collaboratori esterni altamente qualificati cui, in base a detto contratto, lĠUniversitˆ  autorizzata a ricorrere per la realizzazione di talune prestazioni, fossero inclusi dei prestatori privati. 39 Spetta tuttavia al giudice del rinvio provvedere a tutti gli accertamenti necessari a questo proposito. 40 Alla questione sollevata occorre quindi rispondere dichiarando che il diritto dellĠUnione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui ci˜ che spetta al giudice del rinvio verificare tale contratto non abbia il fine di garantire lĠadempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi dĠinteresse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti. Sulle spese 41 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: Il diritto dellĠUnione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui ci˜ che spetta al giudice del rinvio verificare tale contratto non abbia il fine di garantire lĠadempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi dĠinteresse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 33 Una email per una breve riflessione: Il lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato sono la stessa cosa? (Corte di Giustizia, Sesta Sezione, sentenza 18 ottobre 2012, nelle cause riunite da C-302/11 a C-305/11) Da: Alessandro De Stefano [mailto:alessandro.destefano@avvocaturastato.it] Inviato: lun 29/10/2012 9.15 A: Avvocati_tutti Oggetto: Il lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato sono la stessa cosa? Cari Colleghi, la lettura di alcuni recenti messaggi mediatici, riguardanti lĠasserita debolezza delle nostre difese alla luce della sentenza della Corte di Giustizia U.E. del 18 ottobre u.s. in causa C-302/11, mi induce ad una breve riflessione, per lĠipotesi che la fragilitˆ sia insita piuttosto in certe soluzioni della giurisprudenza comunitaria. La questione controversa riguarda il riconoscimento dellĠanzianitˆ maturata nel corso del rapporto a tempo determinato a favore del personale che - per un insperato beneficio di legge -  stato ÒstabilizzatoÓ nei ruoli della p.A.. Con lunghe argomentazioni apparentemente logiche (ma forse paradossali), la Corte di Giustizia U.E. (in contrasto con precedenti sentenze del Consiglio di Stato e dei giudici ordinari), ha ritenuto che tale personale abbia diritto al riconoscimento dellĠanzianitˆ pregressa perchŽ, altrimenti, si registrerebbe una discriminazione tra personale a tempo determinato e personale a tempo indeterminato, in contrasto con le direttive comunitarie emanate in materia. Secondo la Corte di Giustizia U.E., non avrebbe nessun rilievo il fatto che il personale a tempo indeterminato (a differenza di quello a tempo determinato) fosse stato assunto con regolare concorso, perchŽ la legge di stabilizzazione ha comunque equiparato il personale appartenente alle due categorie; inoltre, la diversitˆ di trattamento non potrebbe essere giustificata in base al diverso status delle due categorie di personale, ma solo dallĠanalisi oggettiva delle mansioni di fatto esercitate dai dipendenti che ad esse afferiscono; infine, la Corte non ritiene necessaria nessuna indagine sui profili inerenti alla legittimitˆ del termine apposto ai singoli contratti a tempo determinato. Mi sembra che lĠiter argomentativo contenga queste premesse implicite e conduca alle seguenti conseguenze: a) il rapporto di lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato sono sostanzialmente la stessa cosa; b) le regole del concorso pubblico possono essere ordinariamente alterate 34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 da una scelta legislativa che trasformi i rapporti precari in rapporti di ruolo; c) nel caso di trasformazione di un rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, la ricongiunzione dei servizi prestati ed il riconoscimento dellĠanzianitˆ pregressa spettano in ogni caso, a prescindere dalla legittimitˆ o dallĠillegittimitˆ dellĠapposizione del termine; d) i dipendenti a tempo determinato ÒstabilizzatiÓ non ricevono un gratuito beneficio, ma sono piuttosto discriminati, nel caso in cui non conseguano anche il riconoscimento dellĠanzianitˆ pregressa. Si tratta di veritˆ alle quali bisogna adeguarsi; ma personalmente continuo a nutrire qualche dubbio sulla loro fondatezza. Cari saluti. Alessandro De Stefano Corte di Giustizia, Sesta Sezione, sentenza 18 ottobre 2012 nelle cause riunite da C- 302/11 a C-305/11 - Pres. ff. U. L›hmus, Rel. C.G. Fernlund, Avv. Gen. E. Sharpston - Domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dellĠarticolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato, con decisioni del 29 aprile 2011. ÇPolitica sociale Direttiva 1999/70/CE . Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato Clausola 4 . Contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico Autoritˆ nazionale della concorrenza Procedura di stabilizzazione Assunzione in ruolo, senza concorso pubblico, di lavoratori giˆ in servizio a tempo determinato Determinazione dellĠanzianitˆ Difetto assoluto di considerazione dei periodi di servizio compiuti nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato Principio di non discriminazioneÈ Sentenza 1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sullĠinterpretazione delle clausole 4 e 5 dellĠaccordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: lĠÇaccordo quadroÈ) e figurante quale allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa allĠaccordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43). 2 Tali domande sono state presentate nellĠambito di controversie rispettivamente instaurate dalle sig.re Valenza, Altavista, Marsella, Schettini e Tomassini contro lĠAutoritˆ Garante della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo: lĠÇAGCMÈ), e aventi ad oggetto il rifiuto di questĠultima di prendere in considerazione, ai fini della determinazione dellĠanzianitˆ delle predette al momento della loro assunzione a tempo indeterminato, nellĠambito di una specifica procedura di stabilizzazione del loro rapporto di lavoro come dipendenti di ruolo, i periodi di servizio da esse precedentemente compiuti presso lĠautoritˆ medesima nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato. Contesto normativo La normativa dellĠUnione 3 Risulta dal considerando 14 della direttiva 1999/70 la quale si fonda sullĠarticolo 139, paragrafo 2, CE che le parti contraenti dellĠaccordo quadro hanno inteso, mediante la CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 35 conclusione dello stesso, migliorare la qualitˆ del lavoro a tempo determinato garantendo lĠapplicazione del principio di non discriminazione, e creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dallĠutilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato. 4 Ai sensi dellĠarticolo 1 della direttiva 1999/70, questĠultima mira ad Çattuare lĠaccordo quadro (...), che figura nellĠallegato, concluso (...) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)È. 5 LĠarticolo 2, primo e terzo comma, di detta direttiva cos“ dispone: ÇGli Stati membri mettono in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva al pi tardi entro il 10 luglio 2001 o si assicurano che, entro tale data, le parti sociali introducano le disposizioni necessarie mediante accordi. Gli Stati membri devono prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione. (...) Quando gli Stati membri adottano le disposizioni di cui al primo [comma], queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate da tale riferimento allĠatto della loro pubblicazione ufficiale. Le modalitˆ di tale riferimento sono stabilite dagli Stati membriÈ. 6 Ai sensi del suo articolo 3, la direttiva 1999/70  entrata in vigore il 10 luglio 1999, data della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunitˆ europee. 7 Ai sensi della clausola 1 dellĠaccordo quadro, lĠobiettivo di questĠultimo : Ça) migliorare la qualitˆ del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dallĠutilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinatoÈ. 8 La clausola 2, punto 1, dellĠaccordo quadro  formulata come segue: ÇIl presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membroÈ. 9 La clausola 3 dellĠaccordo quadro cos“ recita: Ç1. Ai fini del presente accordo, il termine Òlavoratore a tempo determinatoÓ indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine  determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico. 2. Ai fini del presente accordo, il termine Òlavoratore a tempo indeterminato comparabileÓ indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze. In assenza di un lavoratore a tempo indeterminato comparabile nello stesso stabilimento, il raffronto si dovrˆ fare in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza di questĠultimo, in conformitˆ con la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionaliÈ. 10 La clausola 4 dellĠaccordo quadro, intitolata ÇPrincipio di non discriminazioneÈ, prescrive quanto segue: Ç1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non 36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. (...) 4. I criteri del periodo di anzianitˆ di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianitˆ siano giustificati da motivazioni oggettiveÈ. 11 La clausola 5 dellĠaccordo quadro, intitolata ÇMisure di prevenzione degli abusiÈ, recita: Ç1. Per prevenire gli abusi derivanti dallĠutilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o pi misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. 2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a) devono essere considerati ÒsuccessiviÓ; b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminatoÈ. La normativa italiana 12 LĠarticolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana sancisce il principio della paritˆ di trattamento. 13 Ai sensi dellĠarticolo 97 della suddetta Costituzione: ÇAgli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla leggeÈ. 14 LĠarticolo 1, comma 519, della legge del 27 dicembre 2006, n. 296, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) (Supplemento ordinario alla GURI n. 299, del 27 dicembre 2006; in prosieguo: la Çlegge n. 296/2006È), cos“ dispone: ÇPer lĠanno 2007 una quota pari al 20 per cento del fondo di cui al comma 513  destinata alla stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virt di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge, che ne faccia istanza, purchŽ sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive (É)È. 15 Dalle informazioni fornite alla Corte dal governo italiano risulta che tale stabilizzazione, essendo realizzata tramite un provvedimento amministrativo adottato al termine di un procedimento previsto dalla legge, conferisce al suo beneficiario lo status di impiegato pubblico, che lo distingue cos“ dal Çlavoratore dipendente da una pubblica amministra- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 37 zioneÈ sulla base di un contratto di diritto privato. 16 LĠarticolo 75, comma 2, del decreto.legge del 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivitˆ, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (Supplemento ordinario alla GURI n. 147, del 25 giugno 2008),  cos“ formulato: ÇPresso le (...) Autoritˆ [indipendenti] il trattamento economico del personale giˆ interessato dalle procedure di cui allĠarticolo 1, comma 519 della legge [n. 296/2006]  determinato al livello iniziale e senza riconoscimento dellĠanzianitˆ di servizio maturata nei contratti a termine o di specializzazione, senza maggiori spese e con lĠattribuzione di un assegno Òad personamÓ, riassorbibile e non rivalutabile pari allĠeventuale differenza tra il trattamento economico conseguito e quello spettante allĠatto del passaggio in ruoloÈ. 17 LĠarticolo 36 del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sullĠordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (Supplemento ordinario alla GURI n. 106, del 9 maggio 2001), dispone quanto segue: Ç1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dallĠarticolo 35. 2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nellĠimpresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessitˆ organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato (...). (...) (...) 5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti lĠassunzione o lĠimpiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non pu˜ comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilitˆ e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno lĠobbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. (...) (...) È. Procedimenti principali e questioni pregiudiziali 18 A seguito di loro istanza di stabilizzazione presentata il 27 gennaio 2007 a norma della legge n. 296/2006, le ricorrenti nei procedimenti principali, che erano tutte alle dipendenze dellĠAGCM nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, sono state assunte dalla suddetta autoritˆ con contratto di lavoro a tempo indeterminato con collocamento in ruolo a partire dal 17 maggio 2007. 19 Con deliberazione in data 17 luglio 2008, lĠAGCM ha inquadrato le ricorrenti nei procedimenti principali, con effetto retroattivo dal 17 maggio 2007, nel livello iniziale della categoria retributiva che esse avevano conseguito al momento dellĠinstaurazione del pregresso rapporto a tempo determinato, senza riconoscere lĠanzianitˆ acquisita in forza dei suddetti contratti a termine, e ha attribuito loro un assegno Çad personamÈ pari alla differenza tra il trattamento economico di cui godevano alla data del 17 maggio 2007 e 38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 quello derivante dalla loro stabilizzazione. 20 Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio Sede di Roma ha respinto i ricorsi proposti dalle ricorrenti nei procedimenti principali avverso la suddetta deliberazione, segnatamente a motivo del fatto che la procedura di stabilizzazione consente una deroga alla regola del concorso pubblico, ma non anche il riconoscimento dellĠanzianitˆ maturata durante lĠattivitˆ a tempo determinato. 21 Le ricorrenti nei procedimenti principali hanno interposto appello contro tale pronuncia dinanzi al Consiglio di Stato. A questo proposito, esse deducono una violazione della clausola 4 dellĠaccordo quadro, in ragione del fatto che il regime di stabilizzazione istituito dalla legge n. 296/2006 azzera lĠanzianitˆ pregressa maturata durante lĠattivitˆ a tempo determinato, malgrado che le mansioni svolte continuino ad essere le stesse e che vi sia stata unĠabusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato. 22 Il Consiglio di Stato osserva che la normativa nazionale in questione nei procedimenti principali ha consentito lĠassunzione diretta di lavoratori precari in deroga alla regola del pubblico concorso per lĠaccesso al pubblico impiego, ma con inquadramento in ruolo nel livello iniziale della categoria retributiva, senza conservazione dellĠanzianitˆ maturata durante il rapporto a termine. 23 Secondo il giudice remittente, il legislatore nazionale non ha inteso, con tale normativa, procedere alla regolarizzazione di assunzioni a tempo determinato a carattere illegittimo e abusivo mediante la conversione di contratti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, in ragione di un ricorso abusivo a tale tipo di contratti in violazione della clausola 5 dellĠaccordo quadro. Al contrario, il legislatore avrebbe ritenuto che lĠanzianitˆ maturata nel periodo di lavoro a tempo determinato costituisse un titolo legittimante la creazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in deroga alla regola del concorso pubblico per lĠaccesso ai ruoli della pubblica amministrazione. In tale contesto, lĠazzeramento dellĠanzianitˆ sarebbe giustificato dalla necessitˆ di evitare una discriminazione alla rovescia in danno dei lavoratori giˆ di ruolo, assunti a tempo indeterminato a seguito di un concorso pubblico. Infatti, se i beneficiari della stabilizzazione potessero mantenere la loro anzianitˆ, scavalcherebbero i lavoratori giˆ di ruolo con minore anzianitˆ. 24 Il Consiglio di Stato ricorda, inoltre, che nel pubblico impiego vige la regola del divieto di conversione di un contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Orbene, nellĠordinanza del 1ĵ ottobre 2010, Affatato (C.3/10), la Corte avrebbe riconosciuto la legittimitˆ di tale divieto. 25 Infine, il Consiglio di Stato sottolinea che, nella propria sentenza del 23 febbraio 2011, n. 1138, esso ha altres“ escluso lĠincompatibilitˆ della normativa controversa nei procedimenti principali con lĠaccordo quadro, a motivo del fatto che questĠultimo vieta un trattamento deteriore del lavoratore a termine rispetto al lavoratore a tempo indeterminato soltanto in costanza del rapporto di lavoro a termine. Per contro, detto accordo quadro non impedirebbe di troncare il rapporto a termine alla scadenza stabilita e di costituire, in prosieguo, un nuovo rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza tener conto della pregressa anzianitˆ, in quanto si tratterebbe appunto di un nuovo rapporto. Pertanto, lĠaccordo quadro non sarebbe applicabile. Per giunta, il divieto di discriminazione del lavoratore a termine non potrebbe spingersi fino a imporre una discriminazione alla rovescia in danno del lavoratore a tempo indeterminato. Pertanto, si dovrebbe riconoscere che lĠapplicazione di criteri differenti ai lavoratori a tempo determinato e a quelli CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 a tempo indeterminato  giustificata da motivazioni oggettive ai sensi della clausola 4, punto 4, dellĠaccordo quadro. 26 Tuttavia, il Consiglio di Stato rileva che il Tribunale del lavoro di Torino, nella sua sentenza del 9 novembre 2009, n. 4148, ha ritenuto che il rispetto della clausola 4, punto 4, dellĠaccordo quadro esiga il mantenimento dellĠanzianitˆ pregressa in caso di conversione di un rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Malgrado che tale pronuncia riguardasse circostanze differenti da quelle del caso di specie, ne risulterebbe, ad avviso del Consiglio di Stato, un contrasto interpretativo in ordine alla disposizione suddetta. Si delineerebbe dunque un dubbio quanto alla compatibilitˆ delle norme nazionali in questione nei procedimenti principali con il diritto dellĠUnione. 27 Sulla scorta di tali premesse, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: Ç1) Se la previsione [della] clausola 4, [punto] 4, [dellĠaccordo quadro], secondo cui Ò[i] criteri del periodo di anzianitˆ di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianitˆ siano giustificati da motivazioni oggettiveÓ, in combinato disposto con la clausola 5 [del suddetto accordo], come giˆ interpretata dalla Corte di giustizia, secondo cui  legittima la disciplina italiana che, nel pubblico impiego, vieta la conversione del contratto di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, osti alla disciplina nazionale della stabilizzazione dei precari (articolo 1, comma 519, della legge n. 296/2006) che ha consentito lĠassunzione diretta a tempo indeterminato dei lavoratori giˆ assunti a tempo determinato, in deroga alla regola del concorso pubblico, ma con azzeramento dellĠanzianitˆ maturata durante il periodo di lavoro a tempo determinato, o se invece la perdita dallĠanzianitˆ, prevista dal legislatore nazionale, rientri nella deroga per Òmotivazioni oggettiveÓ da ravvisarsi nellĠesigenza di evitare che lĠimmissione in ruolo dei precari avvenga a detrimento dei lavoratori giˆ di ruolo, il che si determinerebbe se ai precari fosse conservata lĠanzianitˆ pregressa. 2) Se la citata previsione [della] clausola 4, [punto] 4, [dellĠaccordo quadro], secondo cui Ò[i] criteri del periodo di anzianitˆ di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianitˆ siano giustificati da motivazioni oggettiveÓ, in combinato disposto con la clausola 5 [del suddetto accordo], come giˆ interpretata dalla Corte di giustizia, secondo cui  legittima la disciplina italiana che, nel pubblico impiego, vieta la conversione del contratto di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, osti alla disciplina nazionale che, ferma restando la maturazione dellĠanzianitˆ in costanza di rapporto di lavoro a termine, stabilisca di chiudere il contratto a termine e instaurare un nuovo contratto a tempo indeterminato, diverso dal precedente e senza conservazione della pregressa anzianitˆ (articolo 1, comma 519, della legge n. 296/2006)È. 28 Con ordinanza del presidente della Corte del 20 luglio 2011, le cause da C.302/11 a C.305/11 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonchŽ della sentenza. Sulle questioni pregiudiziali 29 Con le sue questioni, che occorre trattare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 4 dellĠaccordo quadro, letta in combinato disposto con la clau- 40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 sola 5 del medesimo, debba essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di unĠautoritˆ pubblica siano presi in considerazione per determinare lĠanzianitˆ del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autoritˆ, come dipendente di ruolo nellĠambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro. SullĠapplicabilitˆ della clausola 4 dellĠaccordo quadro 30 Il governo italiano sostiene che la clausola 4 dellĠaccordo quadro non  applicabile ai procedimenti principali. Infatti, tale disposizione si limiterebbe a vietare qualsiasi differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo indeterminato e i lavoratori precari in costanza del rapporto di lavoro a termine. Orbene, i procedimenti principali non solleverebbero problemi attinenti alla comparazione tra queste due categorie di lavoratori, in quanto il precedente contratto di lavoro a tempo determinato sarebbe concepito dalla normativa nazionale controversa nei giudizi a quibus come un titolo legittimante per lĠottenimento di un contratto di lavoro a tempo indeterminato in deroga alla regola del concorso pubblico per lĠaccesso ai ruoli della pubblica amministrazione. Tale contratto di lavoro a tempo determinato costituirebbe dunque solo un presupposto per accedere alla speciale procedura finalizzata ad unĠautonoma assunzione nellĠambito di un rapporto a tempo indeterminato del tutto sganciato dal precedente. La procedura di stabilizzazione avrebbe dunque come effetto non giˆ la trasformazione o la conversione di contratti di lavoro a tempo determinato conclusi abusivamente in violazione della clausola 5 dellĠaccordo quadro in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, bens“ la creazione di un nuovo rapporto di lavoro comportante lĠobbligo di sostenere un periodo di prova. Parallelamente, tale stabilizzazione porrebbe fine al rapporto di lavoro a tempo determinato, con conseguente obbligo di definire tutte le situazioni pendenti e di procedere, in particolare, alla liquidazione del trattamento di fine rapporto nonchŽ alla monetizzazione dei giorni di ferie non goduti. 31 Mediante tale argomentazione, che ricalca per lĠessenziale la valutazione compiuta dal Consiglio di Stato nelle odierne ordinanze di rinvio nonchŽ nella sua sentenza del 23 febbraio 2011, n. 1138, il governo italiano fa dunque valere, in sostanza, che la clausola 4 dellĠaccordo quadro  inapplicabile in situazioni quali quelle oggetto dei procedimenti principali, in quanto la differenza di trattamento lamentata dalle ricorrenti nei giudizi a quibus, che dal 17 maggio 2007 sono legate allĠAGCM da un contratto di lavoro a tempo indeterminato, sussiste rispetto ad altri lavoratori a tempo indeterminato. 32 A tale proposito occorre rammentare che, ai sensi della clausola 2, punto 1, dellĠaccordo quadro, questĠultimo si applica ai lavoratori a tempo determinato aventi un contratto o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro (sentenza dellĠ8 settembre 2011, Rosado Santana, C.177/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 39). 33 La Corte ha giˆ statuito che la direttiva 1999/70 e lĠaccordo quadro trovano applicazione nei confronti di tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nellĠambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li lega al loro datore di lavoro (sentenze del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, C.307/05, Racc. pag. I.7109, punto 28, e Rosado Santana, cit., punto 40). 34 Il semplice fatto che le ricorrenti nei procedimenti principali abbiano acquisito la qualitˆ CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 di lavoratrici a tempo indeterminato non esclude la possibilitˆ per loro di avvalersi, in determinate circostanze, del principio di non discriminazione enunciato nella clausola 4 dellĠaccordo quadro (v. sentenza Rosado Santana, cit., punto 41, nonchŽ, in tal senso, sentenza dellĠ8 marzo 2012, Huet, C.251/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 37). 35 Infatti, nei procedimenti principali, le ricorrenti mirano essenzialmente, nella loro qualitˆ di lavoratrici a tempo indeterminato, a mettere in discussione una differenza di trattamento applicata nel valutare lĠanzianitˆ e lĠesperienza professionale pregresse ai fini di una procedura di assunzione al termine della quale esse sono divenute dipendenti di ruolo. Mentre i periodi di servizio compiuti in qualitˆ di lavoratori a tempo indeterminato verrebbero presi in considerazione ai fini della determinazione dellĠanzianitˆ e dunque per la fissazione del livello della retribuzione, quelli effettuati in qualitˆ di lavoratori a tempo determinato non lo sarebbero, senza che, a loro avviso, vengano esaminate la natura delle mansioni svolte e le caratteristiche inerenti a queste ultime. PoichŽ la discriminazione contraria alla clausola 4 dellĠaccordo quadro, di cui le ricorrenti nei procedimenti principali si asseriscono vittime, riguarda i periodi di servizio compiuti in qualitˆ di lavoratrici a tempo determinato, nessun rilievo presenta la circostanza che esse nel frattempo siano divenute lavoratrici a tempo indeterminato (v., in tal senso, sentenza Rosado Santana, cit., punto 42). 36 Inoltre, occorre rilevare che la clausola 4 dellĠaccordo quadro prevede, al punto 4, che i criteri del periodo di anzianitˆ di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro debbano essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato che per i lavoratori a tempo indeterminato, salvo quando criteri differenti siano giustificati da ragioni oggettive. Non risulta nŽ dal testo di detta disposizione, nŽ dal contesto in cui questa si colloca, che essa cessi di essere applicabile una volta che il lavoratore interessato abbia acquisito lo status di lavoratore a tempo indeterminato. Infatti, gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 1999/70 e dallĠaccordo quadro, diretti sia a vietare le discriminazioni, sia a prevenire gli abusi risultanti dal ricorso a contratti o a rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, depongono in senso contrario (sentenza Rosado Santana, cit., punto 43). 37 Escludere a priori lĠapplicazione dellĠaccordo quadro in situazioni come quelle di cui ai procedimenti principali significherebbe limitare in spregio allĠobiettivo assegnato a detta clausola 4 lĠambito della protezione concessa ai lavoratori interessati contro le discriminazioni e porterebbe ad unĠinterpretazione indebitamente restrittiva di tale clausola, contraria alla giurisprudenza della Corte (sentenza Rosado Santana, cit., punto 44 e la giurisprudenza ivi citata). 38 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rilevare che, contrariamente allĠinterpretazione sostenuta dal governo italiano, nulla osta allĠapplicabilitˆ della clausola 4 dellĠaccordo quadro alle controversie oggetto dei procedimenti principali. SullĠinterpretazione della clausola 4 dellĠaccordo quadro 39 Occorre ricordare che la clausola 4, punto 1, dellĠaccordo quadro vieta che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato siano trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che un diverso trattamento non sia giustificato da ragioni oggettive. Il punto 4 di tale clausola enuncia il medesimo divieto per quanto riguarda i criteri del periodo di anzianitˆ di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro (sentenza Rosado Santana, cit., punto 64). 40 Secondo una costante giurisprudenza, il principio di non discriminazione impone che 42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 situazioni comparabili non siano trattate in modo differente e che situazioni differenti non siano trattate in modo identico, a meno che un tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (sentenza Rosado Santana, cit., punto 65 e la giurisprudenza ivi citata). 41 Occorre dunque, anzitutto, esaminare la comparabilitˆ delle situazioni in esame e poi, in un secondo momento, verificare lĠesistenza di un eventuale giustificazione oggettiva. Sulla comparabilitˆ delle situazioni in esame 42 Per stabilire se le persone interessate esercitino un lavoro identico o simile ai sensi dellĠaccordo quadro, occorre, in conformitˆ alle clausole 3, punto 2, e 4, punto 1, di questĠultimo, verificare se, tenuto conto di un insieme di fattori, quali la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, sia possibile ritenere che tali persone si trovino in situazioni comparabili (ordinanza del 18 marzo 2011, Montoya Medina, C.273/10, punto 37; sentenza Rosado Santana, cit., punto 66, e ordinanza del 9 febbraio 2012, Lorenzo Mart’nez, C.556/11, punto 43). 43 Spetta, in linea di principio, al giudice del rinvio verificare se le ricorrenti nei procedimenti principali, allorchŽ esercitavano le loro funzioni presso lĠAGCM nellĠambito di un contratto di lavoro a tempo determinato, si trovassero in una situazione comparabile a quella dei dipendenti di ruolo assunti a tempo indeterminato da questa stessa autoritˆ (v. sentenza Rosado Santana, cit., punto 67, e ordinanza Lorenzo Mart’nez, cit., punto 44). 44 Infatti, la natura delle funzioni espletate dalle ricorrenti nei procedimenti principali durante gli anni nei quali hanno lavorato presso gli uffici dellĠAGCM nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato, nonchŽ la qualitˆ dellĠesperienza da esse acquisita a tale titolo, non costituiscono soltanto uno dei fattori atti a giustificare oggettivamente una differenza di trattamento rispetto ai dipendenti di ruolo. Esse rientrano altres“ nel novero dei criteri che permettono di verificare se le interessate si trovino in una situazione comparabile a quella di detti dipendenti di ruolo (v., in tal senso, sentenza Rosado Santana, cit., punto 69). 45 Nella specie, consta che le ricorrenti nei procedimenti principali, beneficiarie della procedura di stabilizzazione, non hanno superato a differenza dei dipendenti di ruolo il concorso pubblico per lĠaccesso ai ruoli della pubblica amministrazione. Tuttavia, come giustamente sostenuto dalla Commissione, tale circostanza non pu˜ implicare che dette ricorrenti si trovino in una situazione differente, dal momento che le condizioni per la stabilizzazione fissate dal legislatore nazionale nella normativa controversa nei procedimenti principali, le quali concernono rispettivamente la durata del rapporto di lavoro a tempo determinato e il requisito dellĠessere stati assunti a tale scopo mediante una procedura di selezione concorsuale o comunque prevista dalla legge, mirano appunto a consentire la stabilizzazione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione pu˜ essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo. 46 Quanto alla natura delle funzioni esercitate nelle fattispecie allĠesame del giudice nazionale, non risulta chiaramente dai fascicoli a disposizione della Corte quali fossero le funzioni svolte dalle ricorrenti nei procedimenti principali durante gli anni nei quali hanno lavorato presso lĠAGCM nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato, nŽ quale fosse la relazione intercorrente tra tali funzioni e quelle affidate alle medesime ricorrenti in veste di dipendenti di ruolo. 47 Tuttavia, nelle loro osservazioni scritte presentate alla Corte, le ricorrenti nei procedimenti principali fanno valere come rilevato anche dalla Commissione che le funzioni da esse esercitate in veste di dipendenti di ruolo allĠesito della procedura di stabilizza- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 zione sono identiche a quelle precedentemente esercitate nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato. Inoltre, risulta dai chiarimenti dello stesso governo italiano in merito alla ragion dĠessere della normativa nazionale controversa nei procedimenti principali che questĠultima, assicurando lĠassunzione a tempo indeterminato dei lavoratori impiegati in precedenza a tempo determinato, mira a valorizzare lĠesperienza acquisita da questi ultimi in seno allĠAGCM. Tuttavia, spetta al giudice del rinvio effettuare le necessarie verifiche al riguardo. 48 NellĠipotesi in cui le funzioni esercitate dalle ricorrenti nei procedimenti principali presso lĠAGCM nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato non corrispondessero a quelle svolte da un dipendente di ruolo inquadrato nella pertinente categoria retributiva di tale autoritˆ, la lamentata differenza di trattamento riguardante la presa in considerazione dei periodi di servizio al momento dellĠassunzione delle ricorrenti nei procedimenti principali quali dipendenti di ruolo non sarebbe contraria alla clausola 4 dellĠaccordo quadro, dal momento che tale differenza di trattamento sarebbe correlata a situazioni differenti (v., per analogia, sentenza Rosado Santana, punto 68). 49 Per contro, nellĠipotesi in cui le funzioni esercitate dalle ricorrenti nei procedimenti principali presso lĠAGCM nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato corrispondessero a quelle svolte da un dipendente di ruolo rientrante nella pertinente categoria retributiva di detta autoritˆ, sarebbe necessario verificare se esista una ragione oggettiva che giustifichi la totale mancanza di presa in considerazione dei periodi di servizio maturati nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato al momento dellĠassunzione di dette ricorrenti quali dipendenti di ruolo e, dunque, del loro collocamento in ruolo (v., in tal senso, sentenza Rosado Santana, cit., punto 71). SullĠesistenza di una giustificazione oggettiva 50 Secondo una costante giurisprudenza della Corte, la nozione di Çragioni oggettiveÈ ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dellĠaccordo quadro devĠessere intesa nel senso che essa non consente di giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato con il fatto che tale differenza  prevista da una norma nazionale generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo (sentenze Del Cerro Alonso, cit., punto 57, e del 22 dicembre 2010, Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, C.444/09 e C.456/09, Racc. pag. I.14031, punto 54; ordinanza Montoya Medina, cit., punto 40; sentenza Rosado Santana, cit., punto 72, nonchŽ ordinanza Lorenzo Mart’nez, cit., punto 47). 51 La nozione suddetta esige che la disparitˆ di trattamento constatata sia giustificata dallĠesistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono la condizione di lavoro in questione, nel particolare contesto in cui essa si colloca e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se detta disparitˆ risponda ad un reale bisogno, sia idonea a conseguire lĠobiettivo perseguito e sia necessaria a tal fine. I suddetti elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle mansioni per lĠespletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti alle mansioni stesse o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalitˆ di politica sociale di uno Stato membro (v., in particolare, citate sentenze Del Cerro Alonso, punti 53 e 58, e Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, punto 55; ordinanza Montoya Medina, cit., punto 41; sentenza Rosado Santana, cit., punto 73, nonchŽ ordinanza Lorenzo Mart’nez, cit., punto 48). 52 Il richiamo alla mera natura temporanea del lavoro del personale della pubblica ammi- 44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 nistrazione non  conforme ai suddetti requisiti e non pu˜ dunque configurare una Çragione oggettivaÈ ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dellĠaccordo quadro. Infatti, ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti a giustificare una differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato svuoterebbe di ogni sostanza gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dellĠaccordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato (sentenza Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, cit., punti 56 e 57; ordinanza Montoya Medina, cit., punti 42 e 43; sentenza Rosado Santana, cit., punto 74, nonchŽ ordinanza Lorenzo Mart’nez, cit., punti 49 e 50). 53 Nel caso di specie, per giustificare la differenza di trattamento lamentata nei procedimenti principali, il governo italiano fa valere lĠesistenza di svariate differenze oggettive tra i dipendenti di ruolo e i lavoratori a tempo determinato successivamente assunti come dipendenti di ruolo. 54 Detto governo sottolinea, anzitutto, che tale assunzione nellĠambito della disciplina cosiddetta Çdi stabilizzazioneÈ si realizza attraverso un procedimento che non presenta gli elementi caratteristici della procedura di concorso e che pertanto, in quanto deroga alle normali procedure di assunzione, non pu˜ costituire una valida ragione per la concessione di un trattamento superiore a quello previsto per il livello iniziale della categoria retributiva applicabile ai dipendenti di ruolo. 55 Poi, il governo italiano fa valere che la disciplina suddetta, concependo lĠanzianitˆ acquisita nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato come un presupposto per beneficiare della stabilizzazione e non come un elemento valutabile nellĠambito del nuovo rapporto di lavoro a tempo indeterminato, trova la propria giustificazione nella necessitˆ di evitare una discriminazione alla rovescia in danno dei dipendenti di ruolo giˆ collocati nel ruolo stesso. Infatti, se i lavoratori stabilizzati potessero conservare detta anzianitˆ, la loro immissione in ruolo avverrebbe a discapito dei lavoratori giˆ in ruolo, assunti a tempo indeterminato a seguito di pubblico concorso, ma con minore anzianitˆ di servizio. Questi ultimi si troverebbero infatti inquadrati in ruolo ad un livello inferiore a quello dei beneficiari della stabilizzazione. 56 Infine, il governo italiano sottolinea che la presa in considerazione dellĠanzianitˆ acquisita in virt di contratti di lavoro a tempo determinato si porrebbe in contrasto, da un lato, con lĠarticolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana, letto nel senso di vietare che a situazioni maggiormente meritevoli sia applicato un trattamento deteriore, e, dallĠaltro, con lĠarticolo 97 della medesima Costituzione, il quale prevede che il concorso pubblico quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei pi capaci sulla base del criterio del merito costituisca la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni allo scopo di soddisfare le esigenze di imparzialitˆ e di efficienza dellĠazione amministrativa. 57 A questo proposito, occorre ricordare che gli Stati membri, in considerazione del margine di discrezionalitˆ di cui dispongono per quanto riguarda lĠorganizzazione delle loro amministrazioni pubbliche, possono, in linea di principio, senza violare la direttiva 1999/70 o lĠaccordo quadro, stabilire le condizioni per lĠaccesso alla qualifica di dipendente di ruolo nonchŽ le condizioni di impiego di tali dipendenti di ruolo, in particolare qualora costoro fossero in precedenza impiegati da dette amministrazioni nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato (v., in tal senso, sentenza Rosado Santana, cit., punto 76). 58 Pertanto, come sottolineato dalla Commissione in udienza, lĠesperienza professionale CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 45 dei lavoratori a tempo determinato, rispecchiata dai periodi di servizio da essi compiuti presso lĠamministrazione pubblica nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato, pu˜ costituire cos“ come previsto dalla normativa oggetto dei procedimenti principali, che subordina la stabilizzazione, segnatamente, al compimento di un periodo di servizio di tre anni nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato un criterio di selezione ai fini di una procedura di assunzione come dipendente di ruolo. 59 Tuttavia, nonostante tale margine di discrezionalitˆ, lĠapplicazione dei criteri che gli Stati membri stabiliscono deve essere effettuata in modo trasparente e deve poter essere controllata al fine di impedire qualsiasi trattamento deteriore dei lavoratori a tempo determinato sulla sola base della durata dei contratti o dei rapporti di lavoro che giustificano la loro anzianitˆ e la loro esperienza professionale (v. sentenza Rosado Santana, cit., punto 77). 60 A questo proposito, occorre riconoscere che talune differenze invocate dal governo italiano riguardanti lĠassunzione dei lavoratori impiegati a tempo determinato nellĠambito di procedure di stabilizzazione quali quelle oggetto dei procedimenti principali rispetto ai dipendenti di ruolo assunti al termine di un concorso pubblico, nonchŽ concernenti le qualifiche richieste e la natura delle mansioni di cui i predetti devono assumere la responsabilitˆ, potrebbero, in linea di principio, giustificare una diversitˆ di trattamento quanto alle loro condizioni di impiego (v., in tal senso, sentenza Rosado Santana, cit., punto 78). 61 Qualora tale trattamento differenziato derivi dalla necessitˆ di tener conto di esigenze oggettive attinenti allĠimpiego che deve essere ricoperto mediante la procedura di assunzione e che sono estranee alla durata determinata del rapporto di lavoro che intercorre tra il lavoratore e il suo datore di lavoro, detto trattamento pu˜ essere giustificato ai sensi della clausola 4, punto 1 e/o 4, dellĠaccordo quadro (v., in tal senso, sentenza Rosado Santana, cit., punto 79). 62 Nella specie, per quanto riguarda lĠasserito obiettivo consistente nellĠevitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia in danno dei dipendenti di ruolo assunti a seguito del superamento di un concorso pubblico, occorre osservare che tale obiettivo, pur potendo costituire una Çragione oggettivaÈ ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dellĠaccordo quadro, non pu˜ comunque giustificare una normativa nazionale sproporzionata quale quella in questione nei procedimenti principali, la quale esclude totalmente e in ogni circostanza la presa in considerazione di tutti i periodi di servizio compiuti da lavoratori nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato ai fini della determinazione della loro anzianitˆ in sede di assunzione a tempo indeterminato e, dunque, del loro livello di retribuzione. Infatti, una siffatta esclusione totale e assoluta  intrinsecamente fondata sulla premessa generale secondo cui la durata indeterminata del rapporto di lavoro di alcuni dipendenti pubblici giustifica di per sŽ stessa una diversitˆ di trattamento rispetto ai dipendenti pubblici assunti a tempo determinato, svuotando cos“ di sostanza gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dellĠaccordo quadro. 63 Quanto alla circostanza ribadita in udienza dal governo italiano, secondo cui, nellĠordinamento nazionale, la procedura di stabilizzazione instaura un nuovo rapporto di lavoro, occorre ricordare che, indubbiamente, lĠaccordo quadro non fissa le condizioni alle quali  consentito fare ricorso ai contratti di lavoro a tempo indeterminato e non  finalizzato ad armonizzare lĠinsieme delle norme nazionali relative ai contratti di lavoro a tempo determinato. Infatti, detto accordo quadro mira unicamente, mediante la fissazione di principi generali e di prescrizioni minime, a istituire un quadro generale per garantire la 46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 paritˆ di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, e a prevenire gli abusi derivanti dallĠutilizzo di una successione di rapporti di lavoro o di contratti di lavoro a tempo determinato (v. sentenza Huet, cit., punti 40 e 41 nonchŽ la giurisprudenza ivi citata). 64 Tuttavia, il potere riconosciuto agli Stati membri per definire il contenuto delle loro norme nazionali riguardanti i contratti di lavoro non pu˜ spingersi fino a consentire loro di rimettere in discussione lĠobiettivo o lĠeffetto utile dellĠaccordo quadro (v., in tal senso, sentenza Huet, cit., punto 43 e la giurisprudenza ivi citata). 65 Orbene, il principio di non discriminazione enunciato nella clausola 4 dellĠaccordo quadro sarebbe privato di qualsiasi contenuto se il semplice fatto che un rapporto di lavoro sia nuovo in base al diritto nazionale fosse idoneo a configurare una Çragione oggettivaÈ ai sensi della clausola suddetta, atta a giustificare una diversitˆ di trattamento, quale quella lamentata nei procedimenti principali, riguardante la presa in considerazione al momento dellĠassunzione a tempo indeterminato, da parte di unĠautoritˆ pubblica, di lavoratori a tempo determinato dellĠanzianitˆ acquisita da questi ultimi presso tale autoritˆ nellĠambito dei loro contratti di lavoro a termine. 66 Per contro, occorre prendere in considerazione la natura particolare delle mansioni svolte dalle ricorrenti nei procedimenti principali. 67 A questo proposito bisogna riconoscere che, se nellĠambito della presente causa fosse dimostrato conformemente alle deduzioni in tal senso svolte dalle ricorrenti nei procedimenti principali, rammentate al punto 47 della presente sentenza che le funzioni svolte da queste ultime in veste di dipendenti di ruolo sono identiche a quelle che esse esercitavano in precedenza nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato, e se fosse vero che, come sostenuto dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, la normativa nazionale in questione mira a valorizzare lĠesperienza acquisita dai dipendenti con contratto a termine in seno allĠAGCM, simili elementi potrebbero suggerire che la mancata presa in considerazione dei periodi di servizio compiuti dai lavoratori a tempo determinato  in realtˆ giustificata soltanto dalla durata dei loro contratti di lavoro e, di conseguenza, che la diversitˆ di trattamento in esame nei procedimenti principali non  basata su giustificazioni correlate alle esigenze oggettive degli impieghi interessati dalla procedura di stabilizzazione che possano essere qualificate come Çragioni oggettiveÈ ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dellĠaccordo quadro. 68 Spetta per˜ al giudice del rinvio, nei procedimenti a quibus, da un lato, verificare se la situazione delle ricorrenti di tali procedimenti fosse, con riguardo ai periodi di servizio da esse compiuti nellĠambito di contratti di lavoro a tempo determinato, comparabile a quella di un altro dipendente dellĠAGCM che avesse svolto i propri periodi di servizio in qualitˆ di dipendente di ruolo nelle pertinenti categorie di funzioni, e, dallĠaltro, valutare, alla luce della giurisprudenza richiamata ai punti 50.52 della presente sentenza, se taluni degli argomenti presentati dallĠAGCM dinanzi a esso giudice di rinvio costituiscano Çragioni oggettiveÈ ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dellĠaccordo quadro (sentenza Rosado Santana, cit., punto 83). 69 Dato che la clausola 5 dellĠaccordo quadro  priva di rilevanza al riguardo, e che inoltre le ordinanze di rinvio non forniscono alcuna informazione concreta e precisa in merito ad un eventuale utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, non vi  luogo cos“ come sostenuto dalle ricorrenti nei procedimenti principali per pronunciarsi in merito allĠinterpretazione della clausola suddetta. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 47 70 Occorre infine ricordare che la clausola 4 dellĠaccordo quadro  incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata dai singoli nei confronti dello Stato dinanzi ad un giudice nazionale a partire dalla data di scadenza del termine concesso agli Stati membri per realizzare la trasposizione della direttiva 1999/70 (v., in tal senso, sentenza Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, cit., punti 78.83, 97 e 98; ordinanza Montoya Medina, cit., punto 46, nonchŽ sentenza Rosado Santana, cit., punto 56). 71 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che la clausola 4 dellĠaccordo quadro, figurante quale allegato della direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di unĠautoritˆ pubblica siano presi in considerazione per determinare lĠanzianitˆ del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autoritˆ, come dipendente di ruolo nellĠambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da Çragioni oggettiveÈ ai sensi dei punti 1 e/o 4 della clausola di cui sopra. Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto o di un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere. Sulle spese 72 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara: La clausola 4 dellĠaccordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e figurante quale allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa allĠaccordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di unĠautoritˆ pubblica siano presi in considerazione per determinare lĠanzianitˆ del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autoritˆ, come dipendente di ruolo nellĠambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da Çragioni oggettiveÈ ai sensi dei punti 1 e/o 4 della clausola di cui sopra. Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto o di un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere. 48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/ 2012 Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Stefano Varone, AL 25896/12) in relazione alla causa C-234/12 avente ad oggetto domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dellĠart. 267 TFUE, dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II, con lĠordinanza n. 3639/12. Materia: Libertˆ di stabilimento e libera prestazione dei servizi Diritto di stabilimento Libera circolazione dei servizi INDICE 1. Le questioni pregiudiziali proposte 2. Contesto fattuale 3. Normativa comunitaria 4. Normativa nazionale 5. Sulla questione n. 1. Infondatezza 6. Sulla questione n. 2. Infondatezza 7. Conclusioni LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI PROPOSTE 1) ÒSe l'art. 4 della direttiva 2010/13/UE, il principio generale di eguaglianza e le regole del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento, e di libera circolazione dei capitali, debbano essere interpretati nel senso che ostano alla disciplina contenuta nell'art. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaroÓ; 2) ÒSe l'art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, interpretato alla luce dell'art. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertˆ fondamentali, e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ed in particolare il principio del pluralismo dell'informazione, ostino alla disciplina contenuta nell'art. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005 la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro introducendo una distorsione concorrenziale e favorendo la creazione, ovvero il potenzia- I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 49 mento, di posizioni dominanti nel mercato della pubblicitˆ televisivaÓ. CONTESTO FATTUALE Nel giudizio a quo, SKY Italia s.r.l. ha adito il Tar per il Lazio al fine di ottenere lĠannullamento della delibera n. 233/11/CSP dellĠAutoritˆ per le Garanzie nelle Comunicazioni, recante ÒOrdinanza - ingiunzione alla Societˆ SKY Italia s.r.l. (emittente satellitare a pagamento Sky Sport 1) per la violazione dell'art. 38, comma 5, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177Ó, pubblicata sul sito web dell'Autoritˆ in data 26 settembre 2011 e notificata alla medesima Sky Italia s.r.l. in pari data. Con il suddetto provvedimento, lĠAutoritˆ per le Garanzie nelle comunicazioni ha accertato la violazione da parte di Sky dellĠart. 38, comma 5, del d.lgs. n. 177/2005, in relazione al superamento dei limiti di affollamento pubblicitario avvenuto in data 5 marzo 2011, nella fascia oraria 21 - 22. In particolare, Sky Sport 1, nelle suddette date e fascia oraria, ha trasmesso 24 spot pubblicitari, per una durata di 10 minuti e 4 secondi, pari ad una percentuale oraria del 16,78% (ridotta al 16,44% mediante la detrazione dei c.d. frames neri). La norma summenzionata, come modificata dal d.lgs. 10 marzo 2010, n. 44 prevede, infatti, che la trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento (come la ricorrente), non pu˜ eccedere Òper lĠanno 2010 il 16%, per lĠanno 2011 il 14%, e, a decorrere dallĠanno 2012, il 12% di una determinata e distinta ora dĠorologio; una eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2% nel corso dellĠora, deve essere recuperata nellĠora antecedente o successivaÓ. A riguardo, Sky ha contestato la legittimitˆ del suddetto provvedimento sia sul piano della conformitˆ al diritto dellĠUnione Europea che per violazione dei limiti della delega conferita dalla l. n. 88 del 2009 (legge comunitaria), con conseguente contrasto del nuovo testo dellĠart. 38, comma 5, rispetto allĠart. 76 della Costituzione. Il giudice adito, a pag. 18 dellĠordinanza de qua, ha rilevato come lĠart. 38, comma 5, del d.lgs. 10 marzo 2010, n. 44, Òsia norma introdotta in attuazione della delega conferita al Governo dallĠart. 1 della legge comunitaria 2008 (l. 7 luglio 2009, n. 88), ai fini, per quanto qui interessa, dellĠattuazione della direttiva 2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dellĠ11 dicembre 2007, recante modifiche alla direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti lĠesercizio delle attivitˆ televisiveÓ. Dunque, prosegue il TAR, Òla delega contenuta nella legge comunitaria 2009, come dĠuso ai fini del recepimento di direttive comunitarie, si limita a richiamare i principi contenuti nelle direttive stesse, ulteriormente sog- 50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 giungendo che ÒallĠattuazione di direttive che modificano precedenti direttive giˆ attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificataÓ e che Ònella predisposizione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunitarie comunque intervenute fino al momento dellĠesercizio della delegaÓ (art. 2, comma 1, e lett. e) ed f) dello stesso comma, l. n. 88/2009, cit.Ó)Ó. Pertanto, il Collegio ha ritenuto che: Òal fine di stabilire se la disciplina di cui si verte rientri nel ÒfuocoÓ della delega legislativa, sia necessario rimettere alla Corte di Giustizia dellĠUnione Europea, ai sensi dellĠart. 267 del Trattato sul Funzionamento dellĠUnione Europea, le questioni interpretative oggetto del presente giudizio. NORMATIVA COMUNITARIA In relazione al quesito n.1: - LĠart. 4 della direttiva 2010/13/UE del Parlamento e del Consiglio Europeo sui servizi media audiovisivi, dispone che: ÒGli Stati membri conservano la facoltˆ di richiedere ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione di rispettare norme pi particolareggiate o pi rigorose nei settori coordinati dalla presente direttiva, purchŽ tali norme siano conformi al diritto dellĠUnioneÓ. - LĠart. 20 della Carta dei Diritti Fondamentali dellĠUnione Europea dispone che: ÒTutte le persone sono uguali davanti alla leggeÓ. - LĠarticolo 49 del Trattato sul Funzionamento dellĠUnione Europea (da ora: TFUE) disciplina il diritto di stabilimento prevedendo che: Ò1. Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertˆ di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altres“ alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. 2. La libertˆ di stabilimento importa l'accesso alle attivitˆ autonome e al loro esercizio, nonchŽ la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di societˆ ai sensi dell'articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitaliÓ. - LĠarticolo 56 del TFUE disciplina il principio della libera circolazione dei servizi prevedendo che: Ò1. Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno dell'Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 51 2. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all'interno dell'UnioneÓ. - LĠarticolo 63 del TFUE disciplina il principio di libera circolazione dei capitali prevedendo che: Ò1. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonchŽ tra Stati membri e paesi terzi. 2. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonchŽ tra Stati membri e paesi terziÓ. In relazione al quesito n. 2: - LĠ articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dellĠUE, rubricato ÒLibertˆ di espressione e d'informazioneÓ prevede che: Ò1. Ogni individuo ha diritto alla libertˆ di espressione. Tale diritto include la libertˆ di opinione e la libertˆ di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autoritˆ pubbliche e senza limiti di frontiera. 2. La libertˆ dei media e il loro pluralismo sono rispettatiÓ. NORMATIVA NAZIONALE NellĠordinamento giuridico italiano, la disciplina di riferimento relativa ai limiti di affollamento pubblicitario nelle trasmissioni radiotelevisive  contenuta nellĠart. 38 del d.lgs. 177/2005 (cd. Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) come sostituito dallĠart. 12 del d. lgs. del 15 marzo 2010, n. 44, il quale ha stabilito che: Ò1. La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo non pu˜ eccedere il 4 per cento dell'orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva. 2. La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte delle emittenti in chiaro, anche analogiche, in ambito nazionale, diverse dalla concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, non pu˜ eccedere il 15 per cento dell'orario giornaliero di programmazione ed il 18 per cento di una determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva [...]; 5. La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non pu˜ eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, 52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 il 12 per cento di una determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva [...]Ó. SULLA QUESTIONE N. 1. INFONDATEZZA Con il primo quesito oggetto del presente giudizio, il giudice a quo chiede a codesta ecc.ma Corte ÒSe lĠart. 4 della direttiva 2010/13/UE, il principio generale di eguaglianza e le regole del Trattato sul funzionamento dellĠUnione Europea in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento, e di libera circolazione dei capitali, debbano essere interpretati nel senso che ostano alla disciplina contenuta nellĠart. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaroÓ. Dunque, il giudice a quo solleva questione di compatibilitˆ dellĠart. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 con lĠordinamento comunitario sotto tre distinti profili: a) rispetto alla disciplina dettata dallĠart. 4 della direttiva n. 2010/13 UE; b) rispetto al principio di eguaglianza; c) rispetto alle regole del Trattato sul funzionamento dellĠUnione Europea in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento, e di libera circolazione dei capitali. A riguardo, si rileva lĠinfondatezza delle suesposte questioni. a) Con riferimento alla presunta incompatibilitˆ tra quanto disposto dallĠart. 38, co. 5, del d.lgs. n.177/2005 e la disciplina dettata dallĠart. 4 della direttiva n. 2010/13 UE. é in primis opportuno ricostruire la disciplina comunitaria circa i limiti di affollamento pubblicitario dettata dalla direttiva n.2010/13 UE sulla fornitura di servizi audiovisivi. LĠart. 23 della direttiva 2010/13 prevede, in particolare, che: ÒLa percentuale di spot televisivi pubblicitari e di spot di televendita in una determinata ora dĠorologio non deve superare il 20 %Ó. La suddetta direttiva si limita, dunque, a prevedere un unico limite di affollamento pubblicitario orario, applicabile a tutti i fornitori di servizi cd. ÒlineariÓ. A riguardo, come si evince dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, la direttiva in questione non ha come obiettivo unĠarmonizzazione completa, ma stabilisce solo una serie di prescrizioni minime (cfr. sentenza del 22 settembre 2011 Mesopotamia Broadcast, C-244/10 e sentenza del 5 marzo 2009, UTECA, causa C-222/07) che debbono essere rispettate, lasciando liberi gli Stati membri di adottare misure pi particolareggiate e restrittive, purchŽ compatibili col diritto dellĠUnione Europea. Pertanto, lĠart. 4 della direttiva 2010/13/UE dispone che: ÒGli Stati mem- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 53 bri conservano la facoltˆ di richiedere ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione di rispettare norme pi particolareggiate o pi rigorose nei settori coordinati dalla presente direttiva, purchŽ tali norme siano conformi al diritto dellĠUnioneÓ. Ebbene, con particolare riferimento alla disciplina in materia di pubblicitˆ televisiva, il considerando n. 83 della direttiva n. 2010/13 UE precisa, che: ÒPer garantire unĠintegrale ed adeguata protezione degli interessi della categoria di consumatori costituita dai telespettatori,  essenziale che la pubblicitˆ televisiva sia sottoposta ad un certo numero di norme minime e di criteri e che gli Stati membri abbiano la facoltˆ di stabilire norme pi rigorose o pi particolareggiate e, in alcuni casi, condizioni differenti per le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizioneÓ. Sul punto, come sostenuto da codesta ecc.ma Corte, la ratio sottesa alla disciplina in materia di limiti di affollamento pubblicitario mira ad instaurare una tutela equilibrata degli interessi finanziari delle emittenti televisive e degli inserzionisti, da un lato, e degli interessi degli aventi diritto, ossia gli autori e i realizzatori, e della categoria di consumatori rappresentata dai telespettatori, dallĠaltro (v., causa C-281/09, causa C-245/01, RTL Television, Racc. pag. I 12489, punto 62). A tale ultimo proposito, codesta Corte ha avuto modo di sottolineare che la tutela della categoria di consumatori rappresentata dai telespettatori contro la pubblicitˆ eccessiva costituisce un aspetto essenziale dellĠobiettivo di detta direttiva (sentenza in tal senso, causa C-195/06, …sterreichischer Rundfunk, punto 27). é proprio in considerazione di tale obiettivo che il legislatore dellĠUnione ha voluto garantire adeguata protezione degli interessi della categoria di consumatori costituita dai telespettatori, assoggettando le diverse forme di promozione, quali la pubblicitˆ televisiva, la televendita e la sponsorizzazione, ad un certo numero di norme minime e di criteri generali, lasciando poi agli Stati membri la facoltˆ di prevedere forme di tutela pi incisive (v., in tal senso, causa C-195/06, …sterreichischer Rundfunk, punto 26). Ebbene, lĠart. 38, co. 5, del d.lgs. n 177/2005 risulta ispirato alla suesposta ratio. LĠarticolo 38 del d.lgs. n. 177/2005 prevede, infatti, che: ÒLa trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non pu˜ eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per cento di una determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva [...]Ó. Come sostenuto dal Ministero delle Comunicazioni (ora, Ministero dello Sviluppo Economico), con la nota prot. n. 0012195 del 7 giugno 2011, tale disposizione persegue Òla finalitˆ di tutelare lĠutenza delle emittenti 54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 a pagamento la quale ha giˆ versato un corrispettivo per la fruizione del servizio e ne versa uno ulteriore, e non esplicitato, consistente nellĠesposizione al messaggio pubblicitarioÓ. Dunque, appare evidente come lĠart. 38, comma 5, risulti pienamente rispettoso e in linea con le finalitˆ perseguite dalla disciplina comunitaria in materia di limiti di affollamento pubblicitario, cos“ come stigmatizzate da codesta ecc.ma Corte. Va ribadito che le disposizioni europee si limitano infatti a fissare limiti minimi che, a loro volta, possono formare oggetto di disposizioni nazionali pi particolareggiate e rigorose. Si tratta di principi che sono sanciti dal legislatore europeo (cfr. considerando 83 e art. 4, par 1, della direttiva 2010/13/UE) e sono stati a pi riprese ribaditi da codesta Corte di giustizia. Sul punto ci si limita a richiamare quanto ancora di recente sancito dai giudici del Lussemburgo nella sentenza 9 giugno 2011, causa C-52/10, Alter Channel, laddove  stato sottolineato che Òai sensi del ventisettesimo ÔconsiderandoĠ della direttiva 89/552 [ora confluito nellĠottantatreesimo considerando della direttiva 2010/13/UE], per garantire la protezione integrale ed adeguata degli interessi di quella categoria di consumatori costituita dai telespettatori,  essenziale che gli Stati membri abbiano la facoltˆ di fissare norme pi rigorose o pi particolareggiate e, in taluni casi, condizioni diverse per le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione. Pertanto, voglia codesta ecc.ma Corte di Giustizia UE rilevare lĠinfondatezza del suesposto quesito e conseguentemente dichiarare che lĠart. 4 della direttiva 2010/13/UE non osta alla disciplina contenuta nellĠart. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro. b) Con riferimento alla presunta incompatibilitˆ tra quanto disposto dallĠart. 38, co. 5, d.lgs. n.177/2005 e il principio di uguaglianza. LĠarticolo 38 del d.lgs. n. 177/2005 prevede che: ÒLa trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non pu˜ eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per cento di una determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva [...]Ó. Il suesposto art. 38, co. 5, del d.lgs. n.177/2005 prevedendo una disciplina dei limiti di affollamento pubblicitario ad hoc per le emittenti di pay TV e differenziata da quella per le emittente in chiaro, risulta compatibile con il principio di eguaglianza. Il principio di eguaglianza di matrice comunitaria  espresso dallĠart. 20 della Carta fondamentale dei diritti UE, secondo cui: ÒTutte le persone CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 55 sono uguali davanti alla leggeÓ. Codesta Corte, ha da sempre sostenuto che il Ç[É] principio generale di uguaglianza che fa parte dei principi fondamentali del diritto comunitario [É] impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo che una differenza di trattamento sia obiettivamente giustificataÈ (vd. sentenza 17 aprile 1997, C-15/1995, EARL de Kerlast c. Union rŽgionale de coopŽratives agricoles (Unicopa) e CoopŽrative du Trieux; sentenza 20 settembre 1988, C- 203/86, Spagna c. Consiglio). Tale principio richiede, in altre parole, da un lato, lĠeguaglianza di trattamento a paritˆ di condizioni e, dallĠaltro, una regolamentazione differenziata ma non arbitraria per diversitˆ di situazioni. Ebbene, le TV in chiaro e le Pay TV risultano soggetti diversi, operanti in mercati diversi e in situazioni diverse. Diversa  la relazione tra operatori e consumatori (diretta nella pay-tv, indiretta nella televisione in chiaro); diverse le modalitˆ di finanziamento, e quindi funzione obiettivo degli operatori (ricavi pubblicitari vs. ricavi dagli abbonamenti); diversa  altres“ lĠofferta qualitativa e quantitativa di contenuti televisivi ai telespettatori. Va poi precisato che la disposizione normativa italiana si applica a tutti i soggetti che offrono un servizio di televisione a pagamento indipendentemente dalla loro proprietˆ o nazionalitˆ: ai nuovi vincoli  infatti assoggetta lĠofferta di televisione a pagamento di Sky al pari di quella di ogni altra emittente a pagamento, quale ad esempio R.T.I. Il legislatore italiano - anche sulla scia di esperienze di altri Paesi - ha quindi introdotto un regime s“ ÒdifferenziatoÓ ma unicamente funzione della ÒdiversaÓ tipologia di attivitˆ (pay vs. free) che, come detto, si applica in modo indistinto ad ogni emittente a pagamento con la conseguenza che  pienamente rispettosa del principio di eguaglianza. Pertanto, voglia codesta ecc.ma Corte di Giustizia UE rilevare lĠinfondatezza del suesposto quesito e conseguentemente dichiarare che il principio di uguaglianza non osta alla disciplina contenuta nellĠart. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro, stante la diversitˆ di contesti e situazioni in cui le medesime operano sul mercato pubblicitario. c) Con riferimento alla presunta incompatibilitˆ tra lĠart. 38, co. 5, d.lgs. n. 177/2005 e le regole del Trattato sul funzionamento dellĠUnione Europea in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento e di libera circolazione dei capitali. 1) LĠarticolo 38 del d.lgs. n. 177/2005 prevede che: ÒLa trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non pu˜ eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per cento di una 56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva [...]Ó. Il suesposto art. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 prevedendo dei limiti di affollamento pubblicitario maggiori per le emittenti di pay TV rispetto alle emittente in chiaro, risulta compatibile con le regole del Trattato sul funzionamento dellĠUnione Europea in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento e di libera circolazione dei capitali. I capi II, III e IV del Titolo IV della parte I del Trattato sul Funzionamento dellĠUnione Europea dettano i principi fondamentali in materia di diritto di stabilimento e di libera circolazione di servizi e capitali. La giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha interpretato, in varie pronunce, la disciplina comunitaria in tema di restrizioni alla libertˆ di stabilimento e alla libertˆ di circolazione di servizi e capitali nel senso che questa Òosta a qualsiasi provvedimento nazionale che, anche se si applica senza discriminazioni in base alla cittadinanza, possa ostacolare o scoraggiare lĠesercizio, da parte dei cittadini comunitari, delle libertˆ di stabilimento e circolazione garantite dal TrattatoÓ (v., in particolare, sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punto 32, e 14 ottobre 2004, causa C-299/02, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-9761, punto 15). In realtˆ lĠart. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 prevedendo una disciplina dei limiti di affollamento pubblicitario pi restrittiva per le emittenti di pay TV rispetto a quella dettata per le emittente in chiaro non contrasta nŽ scoraggia in alcun modo le emittenti pay tv allĠesercizio del diritto di stabilirsi sul mercato delle emittenti a pagamento e, conseguentemente, sul relativo mercato pubblicitario. Peraltro, la suesposta normativa di cui allĠart. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 non risulta contrastante con i principi in tema di libera circolazione dei capitali. Del tutto apodittico ed indimostrato  quanto sostenuto dal giudice a quo secondo cui con la normativa italiana in questione Òviene disincentivato lĠinvestimento di capitali da parte di operatori esteri nelle attivitˆ di Sky, e, pi in generale, nel settore delle trasmissioni televisive a pagamentoÓ. Pertanto, voglia codesta ecc.ma Corte di Giustizia UE rilevare lĠinfondatezza del suesposto quesito e conseguentemente dichiarare che le regole del Trattato sul funzionamento dellĠUnione Europea in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento, e di libera circolazione dei capitali non ostano alla disciplina contenuta nellĠart. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro. 2) Nella denegata ipotesi in cui codesta ecc.ma Corte ritenesse la disciplina di cui allĠart. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 lesiva delle libertˆ di CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 57 stabilimento e della libera circolazione dei servizi e dei capitali, tali limitazioni sarebbero giustificate da motivi di interesse pubblico. A riguardo, codesta ecc.ma Corte ha sostenuto in varie pronunce che ÒLe restrizioni alla libertˆ di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi e capitali, che siano applicabili senza discriminazioni basate sulla nazionalitˆ, possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse pubblico, a condizione che siano atte a garantire la realizzazione dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al raggiungimento di tale scopoÓ (v. sentenze 25 gennaio 2007, causa C-370/05, Festersen, Racc. pag. I-1129, punto 26, e Hartlauer, cit., punto 44). Ebbene, lĠart. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 mira ad assicurare lĠinteresse pubblico alla tutela del consumatore. Secondo un orientamento consolidato della Corte di Giustizia UE la tutela dei consumatori  assurta a ragione imperativa di interesse pubblico idonea a giustificare limitazioni delle libertˆ di stabilimento e circolazione di capitali e servizi). Pertanto, voglia codesta ecc.ma Corte di Giustizia UE rilevare lĠinfondatezza del suesposto quesito e conseguentemente dichiarare che le regole del Trattato sul funzionamento dellĠUnione Europea in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento, e di libera circolazione dei capitali non ostano alla disciplina contenuta nellĠart. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro. SULLA QUESTIONE N. 2. INFONDATEZZA Con lĠordinanza de qua il giudice remittente ha sottoposto a codesta Corte di Giustizia UE il quesito su: ÒSe lĠart. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dellĠUnione Europea, interpretata alla luce dellĠart. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali, e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dellĠUomo, ed in particolare il principio del pluralismo dellĠinformazione, ostano alla disciplina contenuta nellĠart. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005 la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro introducendo una distorsione concorrenziale e favorendo la creazione, ovvero il potenziamento, di posizioni dominanti nel mercato della pubblicitˆ televisivaÓ. Ex adverso, si rileva che lĠart. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 risulta pienamente compatibile con il principio del pluralismo dellĠinformazione di cui allĠart. 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dellĠUE. LĠarticolo 38 del d.lgs. n. 177/2005 prevede che: ÒLa trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogi- 58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 che, non pu˜ eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per cento di una determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva [...]Ó. Il suesposto art. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 prevedendo dei limiti di affollamento pubblicitario maggiori per le emittenti di pay TV rispetto alle emittente in chiaro, risulta compatibile con il principio del pluralismo dellĠinformazione, non introducendo alcuna distorsione concorrenziale e non favorendo la creazione o il potenziamento di posizioni dominanti delle emittenti in chiaro nel mercato della pubblicitˆ televisiva. A riguardo, si rileva come codesta Corte di Giustizia, nella sentenza United Brands Company, C-27/65, definisce la posizione dominante "la posizione di potenza economica detenuta da unĠimpresa, che conferisce alla stessa il potere di ostacolare il mantenimento di una concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi, fornendole la possibilitˆ di comportamenti indipendenti in misura apprezzabile rispetto ai propri concorrenti, ai clienti ed ai consumatori, senza per questo subire conseguenze". Nel sentenza Hoffaman-Laroche, C-85/76, al punto n. 48, codesta ecc.ma Corte rileva, in particolare, che: Òcostituiscono indizi validi per lĠindividuazione di posizioni dominanti: il rapporto tra le quote di mercato detenute dallĠimpresa interessata e quelle detenute dai suoi concorrenti, specie quelli pi importanti, il vantaggio tecnologico che unĠimpresa possiede rispetto ai suoi concorrenti, lĠesistenza di una rete commerciale estremamente perfezionata, lĠassenza di concorrenza potenziale; il primo fattore, in quanto consente di valutare la competitivitˆ dei concorrenti dellĠimpresa, il secondo e il terzo in quanto rappresentano, di per sŽ, vantaggi tecnici e commerciali, il quarto poichŽ  il risultato dellĠesistenza di ostacoli per lĠentrata sul mercato di nuovi concorrentiÓ. é evidente che quanto disposto dallĠart. 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 non introduca in alcun modo meccanismi distorsivi della concorrenza nel suesposto mercato tali da creare posizioni dominanti in capo alle emittenti in chiaro nei termini suesposti. Conseguentemente, lĠarticolo 38, co. 5, del d.lgs. n. 177/2005 risulta pienamente compatibile con il principio del pluralismo dellĠinformazione di cui allĠart. 11 della Carta dei diritti fondamentali dellĠUE. Pertanto, voglia codesta ecc.ma Corte ritenere infondata la suesposta questione e dichiarare che lĠart. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dellĠUnione Europea, interpretata alla luce dellĠart. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali, e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dellĠUomo, ed in particolare il principio del pluralismo dellĠinformazione, non ostino CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 alla disciplina contenuta nellĠart. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005. IN CONCLUSIONE il Governo Italiano suggerisce alla Corte di rispondere alle domande pregiudiziali proposte nel senso che: 1) l'art. 4 della direttiva 2010/13/UE, il principio generale di eguaglianza e le regole del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento, e di libera circolazione dei capitali non ostano alla disciplina contenuta nell'art. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro; 2) l'art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, interpretato alla luce dell'art. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertˆ fondamentali, e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ed in particolare il principio del pluralismo dell'informazione, non ostano alla disciplina contenuta nell'art. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005 la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario pi bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro, non introducendo una distorsione concorrenziale e favorendo la creazione, ovvero il potenziamento, di posizioni dominanti nel mercato della pubblicitˆ televisiva. Roma, 29 agosto 2012 Avv. Stefano Varone Avvocato dello Stato Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Giuseppe Albenzio, AL 30370/12) nella causa C-273/12, Administration des douanes et droit indirects c. Harry Winston SARL, promossa ai sensi dell'art. 267 TFUE da Cour de Cassation (Francia), con ordinanza 30 maggio - 4 giugno 2012. Materia: Libera circolazione delle merci Unione doganale Fiscalitˆ Imposta sul valore aggiunto 1. Con lĠordinanza 30 maggio - 4 giugno 2012, lĠAutoritˆ Giudiziaria in epigrafe indicata ha sollevato davanti alla Corte una questione pregiudiziale ai sensi dellĠart. 267 TFUE nellĠambito di un procedimento per il paga- 60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 mento di dazi doganali relativi a merce che era stata sottratta con una rapina dal deposito fiscale. 2. Dal contenuto dellĠordinanza risulta che il contenzioso in esame ha origine dal diniego dellĠAmministrazione doganale francese di riconoscere alla SociŽtˆ HarrY Winston la non debenza dei dazi e dellĠiva sulla merce oggetto del furto, non potendosi considerare questa circostanza come di Òforza maggioreÓ, ai sensi - rispettivamente - dellĠart. 206 Reg. CE del Consiglio n. 2913/92 - Codice Doganale Comunitario e dellĠart. 71 della sesta direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra dĠaffari. 3. Il giudice rimettente, al fine di poter decidere sulla questione, ha ritenuto di dover sottoporre allĠesame della Corte i seguenti quesiti: Ç1) Se lĠarticolo 206 del regolamento n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, debba essere interpretato nel senso che il furto di una merce sottoposta al regime di deposito doganale, verificatosi nel caso di specie, costituisce una perdita irrimediabile della merce ed una causa di forza maggiore, con la conseguenza che, in siffatta ipotesi, si reputa che non sia sorto alcun debito doganale allĠimportazione;. 2) Se il furto di merci detenute in regime di deposito doganale possa far sorgere il fatto generatore e lĠesigibilitˆ dellĠimposta sul valore aggiunto ai sensi dellĠarticolo 71 della DirettivaÈ. 4. Il Governo italiano, quanto al quesito posto ed ai principi generali richiamati dal Giudice remittente, ritiene di dover intervenire nel presente giudizio perchŽ lĠemananda decisione pu˜ avere riflessi sulle disposizioni interne in materia e sui contenziosi fra le Autoritˆ Doganali Nazionali e gli operatori commerciali aventi ad oggetto la esatta determinazione della causa di forza maggiore come esimente dallĠobbligo di pagamento dei dazi e delle accise, oltre che dellĠiva. 5. Nel merito, si osserva che la societˆ francese invoca lĠapplicazione dellĠarticolo 206 del codice doganale comunitario il quale prevede, al paragrafo 1, che: ÒIn deroga agli articoli 202 e 204, paragrafo 1, lettera a), si ritiene che non sorga alcuna obbligazione doganale nei confronti di una data merce quando lĠinteressato fornisca la prova che lĠinadempienza degli obblighi risultanti: (...) dallĠutilizzazione del regime doganale cui la merce  stata vincolata,  dovuta alla distruzione totale o alla perdita irrimediabile della merce per una causa inerente alla sua stessa natura o per un caso fortuito o di forza maggiore ovvero con lĠautorizzazione dellĠautoritˆ doganaleÓ; lo stesso articolo prevede, al secondo capoverso del par. 1, che: ÒAi sensi del presente paragrafo, una merce  irrimediabilmente persa quando sia inutilizzabile per chiunqueÓ; anche dallĠart. 862 del Regolamento di attuazione n. 2454/93 emerge una no- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 zione di caso fortuito e forza maggiore direttamente discendente dalla natura della merce e dallĠassenza di ogni responsabilitˆ o negligenza ascrivibile al titolare del deposito e responsabile dei sistemi di trasporto della merce stessa, cio limitata alla sola perdita per cause naturali. 6. La norma in esame, chiaramente, ammette lĠabbuono esclusivamente ove si verifichi una distruzione totale o la perdita irrimediabile della merce soggetta al pagamento dellĠimposta per dispersione, distruzione, sopravvenuta inutilizzabilitˆ totale ed altres“ ove ci˜ sia avvenuto in una situazione di assenza assoluta di colpa dellĠobbligato, per lĠincisione determinante del caso fortuito o della forza maggiore [si veda anche lĠarticolo 14, n. 1 (primo periodo), della direttiva 92/12/CEE del Consiglio]. 7. é, quindi, condivisibile la motivazione addotta dallĠAmministrazione doganale francese a sostegno delle proprie ragioni nel punto in cui viene affermato che, ai sensi dellĠart. 206 del Codice doganale comunitario, una merce  irrimediabilmente perduta solo quando vi  la certezza che essa non sia stata utilizzata immettendola nel mercato dellĠUnione; al contrario, specificamente nel caso di furto,  lecito presumere che la merce venga comunque reinserita nel circuito economico dellĠUnione. 8. Con riferimento alle norme nazionali, si rileva che lĠart. 37, comma 1, primo periodo, del DPR n. 43/73, recante il T.U. delle Leggi Doganali, prevede che: ÒSi considera non avverato il presupposto dell'obbligazione tributaria quando il soggetto passivo dimostri che l'inosservanza dei vincoli doganali ovvero la mancanza in tutto o in parte delle merci all'atto della presentazione, della verifica o dei controlli doganali, anche successivi all'accettazione della dichiarazione di destinazione al consumo, dipenda dalla perdita o distruzione della merce per caso fortuito o forza maggiore o per fatti imputabili a titolo di colpa non grave a terzi o allo stesso soggetto passivoÓ. 9. Ai sensi dellĠinterpretazione autentica di tale norma, fornita dal legislatore nazionale con lĠart. 22-ter del D.L. n. 693/80, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1980, n. 891, Òla parola ÇperditaÈ va intesa nel significato di dispersione e non di sottrazione della disponibilitˆ del prodottoÓ. 10. Pertanto, in punto di diritto, il contenuto delle norme nazionali risulta in linea con le disposizioni comunitarie. 11. La Corte di Giustizia ha giudicato conformi allĠordinamento comunitario i menzionati artt. 37 TULD e 22-ter L. n. 891/1980; con la sentenza 5 ottobre 1982 in cause riunite 186 e 187/82, la Corte ha infatti espressamente affermato il principio che Òsecondo le norme comunitarie vigenti in materia doganale, la sottrazione, ad opera di terzi, anche senza colpa del debitore, di merce soggetta a dazio doganale non estingue la relativa obbligazioneÓ; secondo la Corte, lĠobbligazione doganale permane in capo al debitore anche qualora la sottrazione della merce avvenga ad opera di 62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 terzi e persino qualora il debitore medesimo non abbia colpa. 12. Con sentenza 12 febbraio 2004 in causa T-282/01, Aslantrans AG, il Tribunale di prima istanza, decidendo su domanda di sgravio proposta da uno speditore vittima del furto del mezzo di trasporto e del relativo carico, ha escluso che, pur non essendovi alcun coinvolgimento soggettivo del debitore in tali fatti illeciti, possa ricorrere unĠipotesi nella quale sia invocabile il rimborso o lo sgravio dellĠimposta doganale, sottolineando (v. punto 55) come lo sgravio costituisca sempre una eccezione al regime delle esportazioni e delle importazioni, per cui le disposizioni che li prevedono vanno interpretate strictu sensu, e che il furto di merci  uno dei rischi pi frequenti cui vanno incontro gli operatori economici i quali ne devono sopportare lĠonere (punto 65). 13. Risulta dunque evidente, dalla lettura della normativa comunitaria e dallĠinterpretazione giurisprudenziale intervenuta, la previsione della duplice condizione dellĠaccadimento del caso fortuito, quale evento del tutto imprevedibile ed inevitabile, associato alla necessaria attivitˆ di accertamento della soggettiva esclusione di responsabilitˆ del depositario autorizzato nel medesimo fatto dato che, in tale evenienza, non sarebbe pi fortuito perchŽ non estraneo alla sfera di controllo del custode. 14. In sintonia si  espressa anche la nostra giurisprudenza di legittimitˆ: la Corte di Cassazione Civile, con sentenza n. 2943 del 15 maggio 1984 ha affermato che Òil furto non determina il venir meno dellĠobbligazione doganaleÓ; la statuizione  stata di recente ribadita dalla Corte di Cassazione Civile con sentenze 28 maggio 2007 n. 12428, 23 luglio 2009 n. 17195 e 19 giugno 2009 n. 14307, ove viene ribadito che: Òla sottrazione della disponibilitˆ della merce importata che non si sia risolta nella dispersione del prodotto e/o nella sua inutilizzabilitˆ per chiunque non fa venir meno l'obbligo di pagamento dei dazi doganali e della corrispondente iva all'importazioneÓ. 15. Ancora, con sentenza 31 marzo 1988 n. 373, la Corte Costituzionale ha dichiarato lĠinfondatezza delle questioni di legittimitˆ costituzionale dellĠarticolo 37 TULD siccome autenticamente interpretato dal citato art. 22-ter L. n. 891/1980; in particolare il giudice costituzionale ha ritenuto, con riferimento allĠarticolo 3 Cost., che ÒlĠobbligazione tributaria doganale per le merci  indissolubilmente collegata allĠingresso delle medesime nel mercato nazionale, e proprio in ci˜ trova il suo fondamento e la sua ragion dĠessere. La distruzione od il completo deterioramento dei beni rendono impossibile tale ingresso e perci˜ impediscono il sorgere dellĠobbligazione tributaria. Per converso, la perdita della soggettiva disponibilitˆ non rende il bene inutilizzabile, trasferendosi soltanto ad altra persona la concreta possibilitˆ di disporne e di effettuarne cos“ lĠimmissione nel circuito commerciale: dal che consegue lĠesclusione di una im- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 63 mutazione oggettiva della situazione da cui nasce lĠobbligazione tributaria, conformemente a quanto disposto dalla normativa in esameÓ. 16. Tale orientamento interpretativo identifica correttamente la ratio legis, atteso che il Legislatore europeo, seguito da quello nazionale, ha inteso sgravare dal dazio il prodotto che, in seguito a dispersione, non avrebbe potuto pi essere immesso sul mercato, non certo quello che, pur sottratto da terzi,  sempre suscettibile di commercializzazione; in coerenza, del resto, con i principi generali della imposizione in materia di diritti doganali, secondo i quali lĠimposizione daziaria si fonda sul presupposto della mera Òimmissione in consumoÓ della merce, come si evince dallĠart. 4 n. 10 del Regolamento Cee n. 2913/92 (per dazi allĠimportazione si intendono i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente dovute allĠimportazione delle merci, compresa lĠIva allĠimportazione) e dallĠart. 202 (lĠobbligazione doganale allĠimportazione sorge in seguito allĠirregolare introduzione nel territorio doganale della Comunitˆ di una merce soggetta a dazi allĠimportazione). 17. Sulle nozioni di caso fortuito e forza maggiore, comuni agli ordinamenti interni degli Stati membri, ricordiamo la approfondita elaborazione giurisprudenziale, nazionale e comunitaria, che ne ha specificato lĠoriginaria genericitˆ ricollegandola sempre alla non prevedibilitˆ e non prevenibilitˆ di un evento con lĠuso della normale diligenza; la Corte di Giustizia, nella sentenza 8 marzo 1988, in causa C-296/86, si  espressa nei termini sopra enunziati facendo riferimento a Òcircostanze indipendenti da chi le fa valere, straordinarie e imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate malgrado tutta la diligenza impiegataÓ. 18. Occorre osservare ulteriormente che, in relazione alla compatibilitˆ dellĠart. 4 comma 1 del Testo unico delle accise - d.legs. 4504/95 con lĠart. 14 paragrafo 1 della Direttiva n. 92/12/CEE, la Corte di Giustizia con la sentenza del 18 dicembre 2007, causa C-314/06, ha escluso che la facoltˆ concessa agli stati membri dallĠart. 14 par. 1 della Direttiva di fissare le condizioni per la concessione degli abbuoni consenta di applicare nei diritti nazionali autonome definizioni della nozione di forza maggiore (cfr. punti 21 e 22) ed ha precisato che la norma comunitaria dispone che lĠabbuono pu˜ essere concesso Òsolo se dimostra lĠesistenza di circostanze che sono a lui estranee, anormali e imprevedibili, e le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate malgrado lĠadozione di tutte le precauzioni del casoÓ (punto 31). 19. Quindi, secondo la Corte di Giustizia (cfr. punti 24, 31 e 37), la nozione di forza maggiore prevista dalla norma comunitaria richiede che sussistano cumulativamente lĠelemento oggettivo (circostanze Òestranee, anormali e imprevedibiliÓ) e lĠelemento soggettivo (inteso come obbligo di adottare tutte le precauzioni possibili per evitare il danno). 64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 20. Anche lĠAvvocato Generale Kokott nelle Conclusioni per la predetta Causa C 314/06 evidenziava che Òla semplice assenza di colpa non , tuttavia, sufficiente. LÔevento causale deve inoltre essere straordinario, imprevedibile ed indipendente dal soggetto che afferma lĠesistenza della forza maggiore. Occorre, pertanto, che sia altres“ soddisfatto il criterio oggettivo indicato dalla Corte: le circostanze devono essere straordinarie ed estranee allĠoperatoreÓ (punto 35). 21. La prima questione posta dalla Cassazione francese va, quindi, risolta nel senso che non pu˜ essere invocata dalla societˆ H.W. lĠesimente della forza maggiore perchŽ risulta dagli atti di causa che la merce in deposito  stata sottratta per furto e, quindi, non vi  stata una perdita irrimediabile in quanto la merce pu˜ essere immessa nel mercato dellĠUE. 22. Per quanto riguarda la seconda questione posta dalla Cour de Cassation francese si osserva che, se pure  vero che il furto di merci non costituisce una Òcessione di beni a titolo onerosoÓ, ai sensi dellĠart. 2 della VI Direttiva del Consiglio n. 77/388/CEE, e quindi non pu˜ ritenersi dovuta lĠiva (come statuito da Corte Giustizia 14 luglio 2005, C-435/03), tuttavia nella specie non si tratta di iva interna (cui si riferisce la sesta direttiva e la sentenza della Corte di Giustizia) ma di iva allĠimportazione che, come  pacifico,  assimilata ai diritti di confine. 23. Pertanto, nella specie, lĠiva sulla merce sottratta dal deposito della societˆ viene legittimamente pretesa dalla Dogana francese, stante lĠassoggettamento del relativo regime a quello dei diritti di confine, secondo le deduzioni e conclusioni sopra riportate nei punti da 5 a 21. 24. Per lĠiva allĠimportazione trovano applicazione, quindi, le disposizioni generali del Codice doganale comunitario (art. 202-204), come statuito, fra lĠaltro dalla citata sentenza della Corte di Cassazione n. 14307 del 2009: ÒLa sottrazione della disponibilitˆ della merce importata, che non si sia risolta nella dispersione del prodotto e/o nella sua inutilizzabilitˆ per chiunque, non fa venir meno lĠobbligo di pagamento dellĠiva allĠimportazione, stante la sua configurazione quale diritto doganale, ai sensi dellĠart. 70 d.p.r. n. 633 del 1987, come sostituito dallĠart. 25 d.p.r. n. 897 del 1980, e considerato che la relativa obbligazione tributaria sorge al momento dellĠingresso della merce nel territorio nazionale e non si estingue con la sottrazione della merce ad opera di terzi, neppure se il debitore  incolpevoleÓ. 25. Sulla corretta interpretazione della sesta direttiva invocata dalla Cassazione francese, pu˜ essere utile quanto deciso dalla Corte di Giustizia nella sentenza 9 febbraio 2006, C-305/03. 26. Al secondo quesito posto dalla Cassazione francese va, quindi, data risposta positiva, nel senso che il furto non fa venir meno lĠobbligazione di pagamento dellĠiva allĠimportazione, ai sensi del codice doganale comunitario. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 In conclusione il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame affermando che, con riferimento al caso in esame: a) non spetta lĠesimente da caso fortuito o forza maggiore, ai sensi dellĠart. 206 del Codice doganale comunitario, per il furto di merce dal deposito doganale, in quanto non si configura nella specie la Òperdita irrimediabileÓ cui la norma connette lĠeventuale esenzione dallĠobbligo di pagamento dei dazi; b) lĠiva allĠimportazione dovuta sulle merci oggetto di furto in un deposito doganale  assimilata ai diritti di confine e, quindi,  dovuta ai sensi della normativa generale del Codice doganale comunitario (in particolare, art. 202-204), non trovando applicazione nella specie la diversa disciplina dellĠiva interna, come invocata dal Giudice remittente con riferimento alla VI Direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra dĠaffari. Roma, 18 settembre 2012 Giuseppe Albenzio Avvocato dello Stato Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Stefano Varone, AL 27577/12) in relazione alla causa C-281/12. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia) il 6 giugno 2012 - Trento Sviluppo Srl e Centrale Adriatica Soc. coop. / AGCOM. Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno. Materia: Ravvicinamento delle legislazioni Tutela dei consumatori 1. I FATTI DI CAUSA E LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE PROPOSTA La domanda pregiudiziale concerne la nozione di pratica commerciale ingannevole contenuta nellĠarticolo 6 della direttiva 2005/29 CE. Pi precisamente, il giudice del rinvio pone alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale: ÒSe il paragrafo 1 dell'articolo 6 della direttiva 2005/29/CE, in riferimento alla parte in cui nel testo in italiano usa le parole "e in ogni caso" debba essere inteso nel senso che, per affermare l'esistenza di una pratica commerciale ingannevole, sia sufficiente che sussista anche uno solo degli elementi di cui alla prima parte del mede- 66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 simo paragrafo, ovvero se, per affermare l'esistenza di una siffatta pratica commerciale sia necessario anche che sussista l'ulteriore elemento rappresentato dall'idoneitˆ della pratica commerciale a sviare la decisione di natura commerciale adottata dal consumatoreÓ. La questione trae origine da una decisione dellĠAGCOM (Autoritˆ Garante della Concorrenza e del Mercato) del 22 gennaio 2009 (caso PS1434) con la quale si contestava alle societˆ Centrale Adriatica Societˆ Cooperativa e Trento Sviluppo S.r.l. di avere posto in essere un pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20 e 21, co. 1, lett. b) e d), e 23, lett. e), del Codice del Consumo. Segnatamente, la pratica riguardava lo svolgimento di una promozione commerciale presso alcuni punti vendita a marchio COOP per lĠofferta di alcuni prodotti a prezzi scontati, tra cui un computer portatile, il quale risultava poi - da segnalazioni ricevute dallĠAutoritˆ - nella realtˆ non disponibile. La suddetta decisione  stata impugnata dinanzi al Tar Lazio dalle menzionate societˆ autrici della pratica commerciale scorretta, i cui ricorsi sono stati respinti con sentenze n. 8670/2009 e n. 2303/2010. Le due societˆ hanno poi proposto appello avverso dette sentenze innanzi al Consiglio di Stato, il quale, con ordinanza n. 2779 del 15 maggio 2012, ha ritenuto di disporre rinvio alla Corte di Giustizia per la risoluzione del quesito pregiudiziale. Il giudice dĠappello, nel presupposto che la pratica allĠorigine dei fatti di causa non rientri nel novero di quelle che sono considerate Òin ogni casoÓ ingannevoli ai sensi dellĠart. 23 del Codice del Consumo (c.d. lista nera), si chiede se in relazione ad essa sia applicabile la previsione generale di cui allĠart. 21 del Codice (ÒAzioni ingannevoliÓ), testualmente riproduttivo dellĠart. 6 della direttiva 2005/29 CE. A detta del Consiglio di Stato si rende necessario anzitutto verificare il contenuto di tale ultima disposizione comunitaria, in ragione delle discordanze del testo italiano della direttiva rispetto alle sue versioni nelle altre lingue ufficiali dellĠUnione Europea (Nel testo inglese si legge Òand in either caseÓ; in quello francese Òdans un cas cornme dans lĠautreÓ; in quello spagnolo Òy que en cualquiera de estos dos casosÓ). Pertanto, il giudice dĠappello, Òchiamato a pronunciarsi su una questione che comport(a) dubbi applicativi in ordine al diritto comunitario primario e derivatoÓ, ritiene - dĠufficio - di doverne rimettere la soluzione alla Corte di Giustizia. Nel cercare di cogliere il senso della norma di cui allĠart. 6, paragrafo 1 (ÒAzioni ingannevoliÓ) della direttiva, il Consiglio di Stato rileva anzitutto come essa, nella sua prima parte, contempli due ipotesi che appaiono fra loro in alternativa, in base alle quali la pratica commerciale  ingannevole: i) se Òcontenga informazioni false e sia pertanto non veritieraÓ, ovvero ii) se Òin qualsiasi modo, anche nella sua presentazione comples- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 siva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se lĠinformazione  di fatto corretta, riguardo a [taluni] elementiÓ. Se tale prima parte della norma non appare al giudice problematica, oggetto del quesito pregiudiziale  invece lĠinterpretazione della sua seconda parte, ai sensi della quale  previsto: Òe in ogni caso lo induca (ndr: il consumatore) o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti presoÓ. Non sarebbe chiaro, infatti, se con la locuzione Òe in ogni casoÓ si intenda che: A) la capacitˆ della pratica commerciale di indurre una decisione commerciale che altrimenti non si sarebbe presa costituisca un ulteriore elemento rispetto a quelli sub i) e ii) sopra menzionati, allĠinterno di una fattispecie unitaria: nel qual caso la pratica sarˆ ingannevole ove tale capacitˆ induttiva si sia verificata cumulativamente agli elementi sub i) e ii); ovvero: B) la capacitˆ induttiva della pratica ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non sarebbe stata presa dia luogo ad una fattispecie di azione ingannevole autonoma e ulteriore rispetto alle ipotesi sub i) e/o ii). Secondo il Consiglio di Stato il testo italiano della direttiva (unitamente a quello tedesco) e il corrispondente testo dellĠart. 21 del Codice del Consumo indurrebbero a sostenere tale seconda interpretazione (sub B), secondo cui unĠazione ingannevole sussiste se essa ha capacitˆ induttiva anche indipendentemente dalla ricorrenza dei requisiti sub i) e/o ii). I diversi testi inglese, francese e spagnolo, invece, nel fare espresso riferimento, nella seconda parte della norma, alle due ipotesi di cui alla prima parte, appaiono deporre nel senso che per la sussistenza di unĠazione ingannevole sia necessaria la cumulativa ricorrenza dellĠingannevolezza, da un lato (sub i) o ii)), e dellĠidoneitˆ a indurre una decisione commerciale alternativa, dallĠaltro, e dunque, per converso, che la mera idoneitˆ della pratica a sviare il comportamento commerciale del consumatore, non accompagnata dalle caratterizzazioni sub i) o ii), sia di per sŽ insufficiente a configurare lĠillecito (interpretazione sub A). A detta del giudice dĠappello la questione sollevata assumerebbe diretto rilievo nellĠambito della causa relativa al caso PS 1434, e ci˜ in quanto se da un lato appare dimostrato il carattere non veritiero dellĠinformazione pubblicizzata, dĠaltro lato, avendo questa ad oggetto la disponibilitˆ del prodotto, non risulterebbe dimostrato che essa abbia indotto il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (secondo il Consiglio di Stato infatti Òpu˜ essere ben probabile che, in assenza del prodotto ricercato, il consumatore si sia limitato a non effettuare alcun acquisto, senza ulteriori influenze sulle sue decisioni commercialiÓ). Pertanto, il Consiglio di Stato conclude lĠordinanza rilevando che: 68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 - se si aderisce alla tesi del carattere cumulativo degli elementi (sub A), i professionisti nel caso di specie possono andare esenti da sanzione; - se si aderisce alla tesi del carattere alternativo degli elementi (sub B), il carattere non veritiero dellĠinformazione relativa alla disponibilitˆ del prodotto determinerˆ giˆ di per sŽ lĠesistenza dellĠillecito sanzionabile. 2. LA NORMATIVA COMUNITARIA E LA NORMATIVA ITALIANA DI RECEPIMENTO - LĠArt. 6 della direttiva 2005/29 CE Secondo lĠarticolo 6 della richiamata direttiva comunitaria Òé considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se lĠinformazione  di fatto corretta, riguardo a uno o pi dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: a) lĠesistenza o la natura del prodotto; b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilitˆ, i vantaggi, i rischi, lĠesecuzione, la composizione, gli accessori, lĠassistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, lĠidoneitˆ allo scopo, gli usi, la quantitˆ, la descrizione, lĠorigine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto; c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o allĠapprovazione dirette o indirette del professionista o del prodotto; d) il prezzo o il modo in cui questo  calcolato o lĠesistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo; e) la necessitˆ di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione; f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali lĠidentitˆ, il patrimonio, le capacitˆ, lo status, il riconoscimento, lĠaffiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietˆ industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti; g) i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 maggio 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, o i rischi ai quali pu˜ essere esposto. 2. é altres“ considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induca o sia idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti: a) una qualsivoglia attivitˆ di marketing del prodotto, compresa la pubblicitˆ comparativa, che ingeneri confusione CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente; b) il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si  impegnato a rispettare, ove: i) non si tratti di una semplice aspirazione ma di un impegno fermo e verificabile; e ii) il professionista indichi in una pratica commerciale che  vincolato dal codice. - LĠArt. 21 codice consumo: Riproduttiva della disposizione comunitaria  la normativa interna di recepimento, val a dire lĠart. 21 codice consumo: 1. é considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o Ž idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o pi dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o Ž idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: a) l'esistenza o la natura del prodotto; b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilitˆ, i vantaggi, i rischi, l'esecuzione, la composizione, gli accessori, l'assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l'idoneitˆ allo scopo, gli usi, la quantitˆ, la descrizione, l'origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto; c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all'approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto; d) il prezzo o il modo in cui questo  calcolato o l'esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo; e) la necessitˆ di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione; f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l'identitˆ, il patrimonio, le capacitˆ, lo status, il riconoscimento, l'affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietˆ industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti; g) i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi dell'articolo 130 del presente Codice. 2. é altres“ considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induce o  idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti: a) una qualsivoglia attivitˆ di commercializzazione del prodotto che in- 70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 genera confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente, ivi compresa la pubblicitˆ comparativa illecita; b) il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si  impegnato a rispettare, ove si tratti di un impegno fermo e verificabile, e il professionista indichi in una pratica commerciale che  vincolato dal codice. 3. é considerata scorretta la pratica commerciale che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, omette di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza. 4. é considerata, altres“, scorretta la pratica commerciale che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, pu˜, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezzaÓ. 3. LĠINTERPRETAZIONE DELLA NORMATIVA COMUNITARIA E DI QUELLA INTERNA DI RECEPIMENTO Il ragionamento da cui muove il Consiglio di Stato muove dalla ricostruzione della nozione di induzione ad una decisione commerciale che non si sarebbe altrimenti assunto, che il giudice di appello sembra ricondurre ad una restrittiva idea di ÒazioneÓ del consumatore, indotta dalla pratica ingannevole, ed economicamente pregiudizievole, il cui verificarsi sarebbe per definizione escluso laddove lĠeffettiva indisponibilitˆ di un prodotto ne impedisca in concreto lĠacquisto. Tuttavia una diversa interpretazione del suddetto requisito (adottata costantemente dallĠAGCOM)  quella che prescinde dallĠidoneitˆ della pratica a provocare un acquisto a condizioni meno vantaggiose di prodotti di qualitˆ inferiore alle attese suscitate, con conseguente danno patrimoniale del consumatore. La nozione fatta propria nella prassi dellĠAutoritˆ, e che si ritiene corrisponda alla ratio della normativa comunitaria di riferimento,  quindi una nozione neutra, secondo cui affinchŽ lĠinganno rilevi  sufficiente lĠidoneitˆ dello stesso ad alterare pi genericamente la formazione di volontˆ del consumatore, facendogli assumere decisioni diverse da quelle che, presumibilmente, sarebbero state assunte senza lĠinfluenza del messaggio. Tale nozione di Òinduzione a una decisione commerciale che altrimenti non sarebbe stata presaÓ, assunta nella prassi applicativa,  peraltro in linea con la definizione di Òdecisione commercialeÓ contenuta nellĠarticolo 2, lettera k), della direttiva (nonchŽ parallelamente nellĠart. 18, lett. m, del Codice del Consumo), secondo cui Ò... tale decisione pu˜ portare il consumatore a compiere una azione o allÔastenersi dal compierlaÓ. Ebbene, se cos“ viene intesa la nozione di Òdecisione commercialeÓ,  CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 chiaro che anche una falsa informazione circa la disponibilitˆ di un prodotto  in grado di provocarne unĠalterazione, al pari di una falsa informazione sul prezzo o sulla qualitˆ del prodotto che ne induca lĠacquisto. La diffusione della falsa informazione circa la disponibilitˆ di un prodotto induce comunque il consumatore ad attivarsi per lĠacquisto di esso, a prendere contatto con gli autori della promozione ed a rinunciare dĠaltro canto a ricercare altrove prodotti alternativi: ci˜  comunemente considerato giˆ un effetto pregiudizievole per il consumatore, dinanzi al quale devono essere attivati i meccanismi di tutela previsti dal Codice del Consumo. In tal senso rileva, a livello nazionale, la consolidata giurisprudenza amministrativa secondo cui la disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette  preordinata ad intervenire Òanche in una fase precedente a quella negoziale e a prescindere da un concreto pregiudizio economico non essendo necessario, ai fini dellĠapplicazione della specifica normativa, che vi sia stato un rapporto o un contatto diretto tra lĠoperatore ed il consumatoreÓ (Tar Lazio, I, 3 marzo 2010, n. 3287; idem, 11 febbraio 2010, n. 1947; idem, 23 febbraio 2010, n. 2828). Parallelamente, a livello comunitario, lĠampia nozione di (alterazione di) Òdecisione commercialeÓ sopra illustrata ha trovato conferma in quanto indicato dalla Commissione nello Staff Working Document annesso alle Linee Guida sulla implementazione/applicazione della direttiva 2005/29 CE sulle pratiche commerciali scorrette, punto 2.1, secondo cui Òla formulazione dellĠart. 2, lett. k, della direttiva lascia supporre che la definizione debba essere interpretata in senso generale e che il concetto di decisione di natura commerciale comprenda una grande varietˆ di decisioni prese dal consumatore in relazione a un prodotto o servizioÓ. Segnatamente, al punto 2.1.2. delle medesime Linee Guida, la Commissione formula un esempio di pratica ingannevole del tutto assimilabile al caso PS 1434 da cui origina il rinvio, rilevando come nel novero delle Òdecisioni commercialiÓ ai sensi della direttiva rientrino anche le decisioni che non conducono alla o non sono seguite dalla conclusione di un contratto valido. Alla luce della prassi e della giurisprudenza in materia, si ritiene dunque che, poichŽ il requisito della (anche potenziale) induzione a una decisione commerciale che il consumatore non avrebbe altrimenti assunto deve essere interpretato nellĠampio senso sopra indicato, la necessitˆ della sua ricorrenza cumulativamente ai requisiti di ingannevolezza (sub i) o ii)), lungi dal rendere pi difficoltoso lĠintervento e ridurre lĠefficacia della tutela, risponde alla ratio stessa della disciplina sulle pratiche scorrette. Ne deriva pertanto la necessitˆ che la pratica commerciale, per essere ingannevole, presenti contemporaneamente sia lĠidoneitˆ a incidere sulla sfera conoscitiva del consumatore, inducendolo in errore (nelle due tipiz- 72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 zazioni sub i) o ii) di cui sopra), sia lĠidoneitˆ a incidere sulla sua sfera decisionale, inducendolo ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso. A tutto ci˜ si aggiunga che il requisito della induzione a una decisione commerciale che il consumatore non avrebbe altrimenti assunto, previsto nella norma sulle azioni ingannevoli (art. 6 della direttiva e art. 21 del Codice del Consumo), non  altro che la declinazione, per tale tipologia di pratiche commerciali - simmetricamente a quanto avviene per le pratiche aggressive nellĠart. 8 della direttiva e nellĠart. 24 del Codice del Consumo, in termini di Òlimitazione della libertˆ di scelta o di comportamentoÓ - del pi generale requisito della Òidoneitˆ a falsare il comportamento economicoÓ, indicato nel divieto generale di pratiche scorrette (di cui allĠart. 5 della direttiva e art. 20 del Codice del Consumo) La stessa clausola generale da ultimo citata, cio, rende centrale nella valutazione di scorrettezza lĠelemento dellĠeffetto (anche solo potenziale) cagionato dalla pratica commerciale, salvo poi declinare diversamente quellĠeffetto a seconda che si tratti di pratiche ingannevoli o aggressive: ci˜ conferma ulteriormente che dalla sua verifica non si possa prescindere. 4. CONCLUSIONI Per le motivazioni sopra esposte si ritiene che alla questione sollevata debba rispondersi nel senso che Òche la pratica commerciale, per essere ingannevole, presenti contemporaneamente sia lĠidoneitˆ a incidere sulla sfera conoscitiva del consumatore, inducendolo in errore (nelle due tipizzazioni sub i) o ii) di cui sopra), sia lĠidoneitˆ a incidere sulla sua sfera decisionale, inducendolo ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe presoÓ. Inoltre il significato dellĠallocuzione Òinduzione a una decisione commerciale che il consumatore non avrebbe altrimenti assuntoÓ si ritiene che debba essere interpretato nel senso che anche una falsa informazione circa la disponibilitˆ di un prodotto  in grado di provocarne unĠalterazione, al pari di una falsa informazione sul prezzo o sulla qualitˆ del prodotto che ne induca lĠacquisto. Roma 15 settembre 2012 Stefano Varone Avvocato dello Stat CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Marina Russo, AL 31364/12) nella causa C-342/12, promossa ai sensi dellĠart. 267 TFUE dal Tribunal do Trabalho de Viseu (Portogallo) con ordinanza in data 18 luglio 2012. Materia: Ravvicinamento delle legislazioni I) IL GIUDIZIO A QUO I.a) Il giudizio a quo pende innanzi al Tribunal do Trabalho de Viseu. QuestĠultimo  stato investito di un ricorso avente ad oggetto l'annullamento della decisione con cui l'autoritˆ amministrativa competente in materia ha ritenuto un datore di lavoro responsabile per non aver immediatamente messo a disposizione di un suo ispettore la registrazione dei dati relativi ai tempi di lavoro dei dipendenti. I.b) Con ordinanza in data 18 luglio 2012, il giudice a quo ha sottoposto alla Corte di Giustizia dellĠUnione Europea i seguenti quesiti, utili ai fini del decidere: 1. Se l'articolo 2 della direttiva 95/46/CE debba essere interpretato nel senso che la registrazione dei tempi di lavoro, ossia l'indicazione dell'ora in cui ciascun lavoratore inizia e termina la propria giornata nonchŽ le pause o i periodi non compresi in essa, rientra nella nozione di dati personali. 2. Nel caso di risposta affermativa alla questione precedente, se lo Stato portoghese sia tenuto, ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 95/46/CE, a prevedere misure tecniche ed organizzative appropriate al fine di garantire la protezione dei dati personali dalla distruzione accidentale o illecita, dalla perdita accidentale o dall'alterazione, dalla diffusione o dall'accesso non autorizzati, segnatamente quando il trattamento comporta trasmissioni di dati all'interno di una rete. 3. Del pari, in caso di risposta affermativa alla questione precedente, qualora lo Stato membro non adotti alcuna misura per dare attuazione all'articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 95/46/CE e qualora il datore di lavoro, responsabile del trattamento di questi dati, appronti un sistema di accesso ristretto a tali dati che non consenta l'accesso automatico dell'autoritˆ nazionale competente per la vigilanza sulle condizioni di lavoro, se il principio del primato del diritto dell'Unione europea debba essere interpretato nel senso che lo Stato membro non pu˜ sanzionare il datore di lavoro per il suddetto comportamento. II) LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO II.a) Relativamente al quesito n. 1; Ai sensi dellĠart. 2 lett. a) della Direttiva n. 95/46/CE (dĠora in poi, Òla 74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 DirettivaÓ) si intende per Òdati personaliÓ Òqualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile (persona interessata); Ai sensi della successiva lett. b), si intende per Òtrattamento di dati personaliÓ Ò qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con o senza l'ausilio di processi automatizzati, e applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, l'elaborazione o la modifica, l'estrazione, la consultazione, l'impiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o lĠinterconnessione, nonchŽ il congelamento, la cancellazione o la distruzioneÓ. Alla luce delle citate definizioni, anche la presenza e l'orario di lavoro all'interno di un'azienda attengono alla nozione di dato personale in quanto, indiscutibilmente, hanno ad oggetto unĠÒinformazioneÓ riferita ad una persona fisica ben individuata. Del pari, la relativa registrazione ne costituisce trattamento, in quanto lĠattivitˆ di registrazione  annoverata espressamente alla lett. b dellĠart. 2 cit. ¤¤¤ Il Governo italiano pertanto propone di rispondere al quesito n. 1 come segue: ÒL'articolo 2 della direttiva 95/46/CE deve essere interpretato nel senso che la registrazione dei tempi di lavoro, ossia l'indicazione dell'ora in cui ciascun lavoratore inizia e termina la propria giornata nonchŽ le pause o i periodi non compresi in essa, rientra nella nozione di dati personaliÓ. II.b) Relativamente al quesito n. 2; Il presente quesito ha ad oggetto lĠobbligo degli Stati membri di prevedere misure tecniche ed organizzative per la protezione dei dati personali. Al riguardo, si osserva che l'articolo 17 della direttiva stabilisce ÒGli Stati membri dispongono che il responsabile del trattamento deve attuare misure tecniche ed organizzative appropriate al fine di garantire la protezione dei dati personali dalla distruzione accidentale o illecita, dalla perdita accidenta1e o dall'alterazione, dalla diffusione o dall'accesso non autorizzati, segnatamente quando il trattamento comporta trasmissioni di dati all'interno di una rete, o da qualsiasi altra forma illecita di trattamento di dati personaliÓ. Il chiaro tenore letterale della norma indica che lo Stato membro  tenuto a prevedere misure a tutela della sicurezza dei dati, e che ci˜ deve fare attraverso lĠadozione di disposizioni di massima indirizzate al responsabile del procedimento. ¤¤¤ Il Governo italiano propone pertanto di rispondere al secondo quesito come segue: ÒAi sensi dell'articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 95/46/CE, ciascuno Stato membro  tenuto a prevedere misure tecniche CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 ed organizzative appropriate al fine di garantire la protezione dei dati personali dalla distruzione accidentale o illecita, dalla perdita accidentale o dall'alterazione, dalla diffusione o dall'accesso non autorizzati, segnatamente quando il trattamento comporta trasmissioni di dati all'interno di una rete. Tale obbligo  assolto attraverso lĠadozione di disposizioni di massima indirizzate al responsabile del trattamento dei dati personaliÓ. II.c) Relativamente al quesito n. 3; Il giudice remittente chiede infine se - in base al diritto comunitario - sia sanzionabile, o meno, il comportamento del responsabile dei dati personali che, sia pure in mancanza di una disposizione nazionale in tal senso, ometta di rendere tali dati immediatamente disponibili all'autoritˆ nazionale competente per la vigilanza sulle condizioni di lavoro. A tale riguardo si osserva che la Direttiva si limita a stabilire: ÒÉ per essere lecito, il trattamento di dati personali deve essere inoltre basato sul consenso della persona interessata oppure É deve essere previsto dalla legge, per l'esecuzione di un compito nell'interesse pubblico o per l'esercizio dell'autoritˆ pubblica ÉÓ (30^ ÒConsiderandoÓ); ÒIl trattamento dei dati personali pu˜ essere effettuato soltanto quando É c)  necessario per adempiere un obbligo legaleÉ e)  necessario per lĠesecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso allĠesercizio di pubblici poteri di cui  investito É il terzo a cui vengono comunicati i datiÓ (art. 7). Dalle norme richiamate si evince che il trattamento dei dati personali, nella forma della comunicazione a terzi,  previsto (tra lĠaltro, anche) per la specifica finalitˆ dellĠadempimento di obblighi di legge e lĠesercizio di poteri pubblici ovvero la tutela di interessi pubblici, quali sono quelli di cui  titolare - nel caso di specie - lĠautoritˆ portoghese per la vigilanza sulle condizioni di lavoro. La Direttiva, tuttavia, nulla dispone con riferimento alle modalitˆ di tale messa a disposizione che pertanto - in mancanza di una specifica previsione normativa nazionale che sanzioni la mancata messa a disposizione immediata dei dati - deve intendersi correttamente attuata dal responsabile anche tramite la semplice trasmissione successiva dei dati stessi ai terzi che vi abbiano titolo o in base alla legge, oppure in quanto investiti di pubblici poteri ovvero della tutela di interessi pubblici. Quando, perci˜, il responsabile dei dati abbia a ci˜ provveduto, egli non pu˜ essere sanzionato per il solo fatto che la disponibilitˆ dei dati a favore dellĠautoritˆ non sia stata garantita in maniera immediata. ¤¤¤ Il Governo italiano propone pertanto di rispondere al terzo quesito come segue: ÒQualora il datore di lavoro, responsabile del trattamento dei dati 76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 personali, appronti un sistema di accesso ristretto a tali dati che non consenta l'accesso automatico dell'autoritˆ nazionale competente per la vigilanza sulle condizioni di lavoro, ma permetta comunque lĠaccesso mediante comunicazione successiva, lo Stato membro non pu˜ sanzionare il datore di lavoro per il suddetto comportamentoÓ. Marina Russo Avvocato dello Stato Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Barbara Tidore, AL 32223/12) nella causa C-352/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte ai sensi dellĠart. 267 TFUE dal Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per lĠAbruzzo (Italia), nelle cause: A) Consiglio Nazionale degli Ingegneri c. Comune di Castelvecchio Subequo, Universitˆ degli Studi Chieti Pescara; B) Consiglio Nazionale degli Ingegneri c. Comune di Barisciano, Scuola di Architettura e Design (SAD) dellĠUniveristˆ degli Studi di Camerino. Materia: Ravvicinamento delle legislazioni LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 1. Con ordinanza n. 476/2012 del 9 maggio 2012, depositata presso la Cancelleria della Corte il 26 luglio 2012, il TAR Abruzzo, nellĠambito di due procedimenti che vedono contrapposte le parti indicate in epigrafe, ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni: a) Òse la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 31 marzo 2004 n. 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi ed in particolare lĠarticolo 1, n. 2 lettere a) e d), lĠart. 2, lĠarticolo 28 e lĠallegato II categorie n. 8 e n. 12 ostino ad una disciplina nazionale che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni aggiudicatrici per lĠattivitˆ di supporto ai Comuni relative allo studio, allĠanalisi e al progetto per la ricostruzione dei centri storici del comune di Barisciano e Castelvecchio Subequo, come meglio specificate nel capitolato tecnico allegato alla convenzione e come individuati dalla normativa nazionale e regionale di settore, verso un corrispettivo la cui non rimunerativitˆ non  manifesta, ove lĠamministrazione esecutrice possa rivestire la qualitˆ di operatore economicoÓ; b) Òse in particolare la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 31 marzo 2004 n. 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi ed in particolare lĠarticolo 1, n. 2 lettere a) e d), lĠart. 2, lĠarticolo 28 e lĠallegato II categorie n. 8 e n. 12 ostino ad una disciplina nazionale che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni aggiudicatrici per lĠattivitˆ di supporto ai Comuni relative allo studio, allĠanalisi e al progetto per la ricostruzione dei centri storici del comune di Barisciano e Castelvecchio Subequo, come meglio specificate nel capitolato tecnico allegato alla convenzione e come individuati dalla normativa nazionale e regionale di settore, verso un corrispettivo la cui non rimunerativitˆ non  manifesta, ove il ricorso allĠaffidamento diretto sia espressamente motivato alla stregua di normative primarie e secondarie post-emergenziali e tenuto conto degli esplicitati specifici interessi pubbliciÓ. I FATTI E LA CONTROVERSIA NELLE CAUSE PRINCIPALI 2. Il Comune di Castelvecchio, con delibera n. 13 del 14 aprile 2011, approvava la bozza di convenzione con il Dipartimento di scienze, storia dellĠarchitettura, restauro e rappresentazione della facoltˆ di Architettura dellĠUniversitˆ di Pescara, inerente la redazione del piano di ricostruzione dei centri urbanistici distrutti o danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009, dando mandato al sindaco per la stipula della convenzione. 3. Il Comune di Barisciano, con delibera n. 12 del 25 febbraio 2011, approvava lo schema di convenzione per la realizzazione delle attivitˆ relative alla ricostruzione post-sisma del 6 aprile 2009, da affidarsi alla Scuola di Architettura e Design ÒEduardo VittoriaÓ dellĠUniversitˆ degli Studi di Camerino, dando mandato al sindaco per la sottoscrizione del contratto di convenzione. 4. Con due distinti ricorsi il Consiglio Nazionale degli Ingegneri impugnava le delibere di approvazione delle bozze di convenzione, sostenendone lĠillegittimitˆ per violazione delle norme nazionali e comunitarie in materia di affidamento di incarichi di servizi, nonchŽ dei principi di trasparenza, concorrenza e paritˆ di trattamento e pubblicitˆ. 5. I Comuni di Castelvecchio Subequo e di Barisciano (di seguito, Òi resistenti nel giudizio principaleÓ) deducevano che nella fattispecie trovava applicazione lĠart. 15 della legge 241/1990, ai sensi del quale Òle pubbliche amministrazioni possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivitˆ di interesse comuneÓ. 6. Il TAR Abruzzo, con ordinanza n. 476/12, ha disposto il rinvio pregiudiziale di cui alla presente causa. LA NORMATIVA COMUNITARIA ED INTERNA RILEVANTE E LE MOTIVAZIONI DELLA GIURISDIZIONE DI RINVIO 7. Il quesito posto nellĠordinanza di rinvio verte sullĠinterpretazione di alcune disposizioni della direttiva 2004/18/CEE del Parlamento Europeo e 78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 del Consiglio del 31 marzo 2004 (in prosieguo: la ÇdirettivaÈ), relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi. 8. LĠart. 1, n. 2, lett. a) e d), n. 8 e n. 9, della direttiva stabilisce che Ò2. a) Gli Çappalti pubbliciÈ sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o pi operatori economici e una o pi amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva. (...) d) Gli Çappalti pubblici di serviziÈ sono appalti pubblici diversi dagli appalti pubblici di lavori o di forniture aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui all'allegato II. (...) 8. I termini ÇimprenditoreÈ, ÇfornitoreÈ e Çprestatore di serviziÈ designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi. ... 9. Si considerano Çamministrazioni aggiudicatriciÈ: lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le associazioni costituite da uno o pi di tali enti pubblici territoriali o da uno o pi di tali organismi di diritto pubblicoÓ. 9. L'art. 2 della direttiva stabilisce che ÒLe amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di paritˆ, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenzaÓ. 10. Secondo l'art. 4, n. 1, della direttiva, Ò I candidati o gli offerenti che, in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono stabiliti, sono autorizzati a fornire la prestazione di cui trattasi non possono essere respinti soltanto per il fatto che, secondo la normativa dello Stato membro nel quale  aggiudicato l'appalto, essi avrebbero dovuto essere persone fisiche o persone giuridiche ...Ó. 11. LĠart. 28 n. 1 della direttiva dispone che ÒPer aggiudicare gli appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici applicano le procedure nazionali adattate ai fini della presente direttivaÓ. 12. L'allegato II, che elenca i servizi di cui allĠart. 1, n. 2, lett. d), alle categorie 8 e 12 individua i seguenti servizi: Ò8. Servizi di ricerca e sviluppo. 12. Servizi attinenti allĠarchitettura e allĠingegneria, anche integrata; servizi attinenti allĠurbanistica e alla paesaggistica; servizi affini di consulenza scientifica e tecnica; servizi di sperimentazione tecnica e analisiÓ. 13. Quanto alla normativa interna, rilevano, in primo luogo, le disposizioni di cui al D.lgs. 163/2006, con il quale  stata recepita nellĠordinamento italiano la direttiva 2004/18/CE. In particolare: CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 14. LĠart. 2, comma 1, stabilisce che: Ò1. LĠaffidamento e lĠesecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualitˆ delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicitˆ, efficacia, tempestivitˆ e correttezza; lĠaffidamento deve altres“ rispettare i principi di libera concorrenza, paritˆ di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalitˆ, nonchŽ quello di pubblicitˆ con le modalitˆ indicate nel presente codiceÓ. 15. LĠart. 3, commi 6 e 10, stabilisce che: Ò6. Gli Çappalti pubbliciÈ sono i contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o pi operatori economici, aventi per oggetto lĠesecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi come definiti dal presente codiceÓ (...) 10. Gli Çappalti pubblici di serviziÈ sono appalti pubblici diversi dagli appalti pubblici di lavori o di forniture, aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui all'allegato IIÓ. 16. LĠart. 3, comma 22, recita: ÒIl termine comprende lĠimprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi ...Ó. 17. LĠart. 20, comma 2, stabilisce che: ÒGli appalti di servizi elencati nellĠallegato II A sono soggetti alle disposizioni del presente codiceÓ. 18. LĠallegato II A, che elenca i servizi di cui allĠart. 20, alle categorie 8 e 12 individua i seguenti servizi: Ò8. Servizi di ricerca e sviluppo. 12. Servizi attinenti allĠarchitettura e allĠingegneria, anche integrata; servizi attinenti allĠurbanistica e alla paesaggistica; servizi affini di consulenza scientifica e tecnica; servizi di sperimentazione tecnica e analisiÓ. 19. Rilevano poi alcune norme che disciplinano le Universitˆ; in particolare: lĠart. 6, comma 4, della legge n. 168/1989 stabilisce che ÒLe Universitˆ sono sedi primarie della ricerca scientifica ...Ó. 20. LĠart. 66 del D.P.R. 382/1980 stabilisce che: ÒLe Universitˆ, purchŽ non vi osti lo svolgimento della loro funzione scientifica didattica, possono eseguire attivitˆ di ricerca e consulenza stabilite mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati. L'esecuzione di tali contratti e convenzioni sarˆ affidata, di norma, ai dipartimenti o, qualora questi non siano costituiti, agli istituti o alle cliniche universitarie o a singoli docenti a tempo pienoÓ. 21. Ai sensi dellĠart. 2 comma 12 bis del Decreto Legge n. 39 del 28 aprile 2009, convertito in Legge, ÒI comuni di cui allĠ articolo 1, comma 2 [trattasi dei Comuni interessati dagli eventi sismici del 6 aprile 2009], predi- 80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 spongono, dĠintesa con il presidente della regione Abruzzo - Commissario delegato ai sensi dellĠ articolo 4, comma 2, sentito il presidente della provincia, e dĠintesa con questĠultimo nelle materie di sua competenza, la ripianificazione del territorio comunale definendo le linee di indirizzo strategico per assicurarne la ripresa socio-economica, la riqualificazione dellĠabitato e garantendo unĠarmonica ricostituzione del tessuto urbano abitativo e produttivo, tenendo anche conto degli insediamenti abitativi realizzati ai sensi del comma 1Ó. 22. Rileva, infine, lĠart. 15 della legge 241/1990, ai sensi del quale: Ò1. ... le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivitˆ di interesse comuneÓ. 23. Il TAR Abruzzo, dopo aver ripercorso la normativa nazionale rilevante, ha rammentato che il tema della cooperazione pubblico - pubblico ha costituito oggetto della Risoluzione del Parlamento Europeo 18 maggio 2010 sui nuovi sviluppi in materia di appalti pubblici, nella quale  stato posto lĠaccento sulla possibilitˆ accordata alle autoritˆ pubbliche dalla pi recente giurisprudenza comunitaria di ricorrere ai propri strumenti per adempiere alle proprie missioni di diritto pubblico, anche in collaborazione con altre autoritˆ pubbliche, e nella quale  stato sottolineato, sulla scorta in particolare della sentenza della Corte del 9 giugno 2009 nella causa C-480/06, Commissione c. Germania, come i partenariati pubblico - pubblico (cos“ come gli accordi di collaborazione tra autoritˆ locali) non rientrino nel campo di applicazione delle direttive sugli appalti pubblici purchŽ siano soddisfatti i seguenti criteri: - lo scopo dellĠaccordo deve essere lĠesecuzione di un compito di servizio pubblico spettante a tutte le autoritˆ coinvolte; - il compito deve essere svolto esclusivamente dalle autoritˆ pubbliche, senza la partecipazione di soggetti privati; - lĠattivitˆ deve essere espletata essenzialmente per le autoritˆ pubbliche coinvolte. 24. Ritiene, quindi, il TAR Abruzzo che lĠaccordo tra i Comuni e le Universitˆ, di cui al giudizio principale, soddisfi i suddetti criteri in quanto: 1) lĠaccordo soddisfa un interesse comune alle parti, secondo la normativa nazionale ed i compiti istituzionalmente attribuiti alle Universitˆ, considerata anche la possibilitˆ di diffusione dei risultati conseguiti nel mondo scientifico; 2) non  prevista alcuna partecipazione di soggetti privati; 3) lĠUniversitˆ non ha carattere commerciale e lĠattivitˆ di studio e ricerca, anche applicata, rientrante nellĠoggetto della convenzione,  tra quelle che possono essere svolte in base alla disciplina nazionale. 25. Il giudice di rinvio, tuttavia, considerate le disposizioni di cui agli artt. 1, n. 2, lett. a), 2, 28 e allegato II, categorie 8 e 12 della direttiva 2004/18/CE, dubita che il ricorso al partenariato pubblico - pubblico possa violare i principi della concorrenza quando lĠAmministrazione con cui sia concluso CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 lĠaccordo possa rivestire al tempo stesso la qualitˆ di operatore economico, come nel caso delle Universitˆ, alla luce della sentenza di codesta Corte di Giustizia 23 dicembre 2009, causa C-305/08, CoNISMa. 26. Non vale a fugare il suddetto dubbio, secondo il giudice di rinvio, la fissazione di un corrispettivo che non consenta di realizzare un sostanziale profitto in capo allĠaggiudicatario, posto che ci˜ non comporta la gratuitˆ dellĠaccordo, che rimane a titolo oneroso. 27. Le prestazioni di rilevazione e ricerca tecniche e scientifiche, sebbene possono rientrare tra quelle eseguibili istituzionalmente dalle Universitˆ, a prescindere dalla proprietˆ dei risultati, quando ne sia regolata la diffusione in sede scientifica da parte dellĠamministrazione committente, non sarebbero da considerarsi con certezza estranee allĠambito dei servizi indicati nelle categorie nn. 8 e 12 dellĠallegato II alla Direttiva 2004/18/CE. 28. Infine, il giudice remittente ha ricordato che analoga questione  stata rimessa alla Corte di Giustizia dal Consiglio di Stato italiano, il quale ha ritenuto che Òil ricorso al partenariato pubblico-privato possa profilare il pericolo di contrasto con i principi di concorrenza quando lĠamministrazione con cui sia deciso un accordo di collaborazione rivesta la qualitˆ di operatore economicoÓ (causa C-159/11, Azienda Sanitaria Locale di Lecce (*)). OSSERVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO 29. Ad avviso del Governo italiano la risposta al quesito posto dal giudice di rinvio pu˜ agevolmente essere fornita alla luce della giurisprudenza di codesta Corte. 30. Ripercorrendone brevemente i passaggi fondamentali si rammenta che, nella sentenza Coditel Brabant,  stato riconosciuto che unĠautoritˆ pubblica pu˜ adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa affidati mediante i propri strumenti, senza essere costretta a far ricorso ad entitˆ esterne non appartenenti ai propri servizi; detta possibilitˆ pu˜ essere utilizzata anche in collaborazione con altre autoritˆ pubbliche (punti 48 e 49). 31. Le condizioni in presenza delle quali tali accordi tra autoritˆ pubbliche non contrastano con i principi comunitari a tutela della concorrenza, come individuate nella sentenza 9 giugno 2009, Commissione c. Germania e richiamate nella Risoluzione del Parlamento Europeo 18 maggio 2010, sono le seguenti: a) lo scopo dellĠaccordo  esclusivamente il perseguimento di obiettivi di interesse pubblico comuni alle autoritˆ interessate; b) il compito  svolto esclusivamente dalle autoritˆ pubbliche, senza la (*) Sul punto, in questa Rass., GIUSEPPE FIENGO, Le regole europee in materia di appalti pubblici: nulla di nuovo dalla Corte con la sentenza 19 dicembre 2012, C-159/11 ( ... ?), p. 23 ss. 82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 partecipazione di soggetti privati; c) lĠattivitˆ  espletata essenzialmente per le autoritˆ pubbliche coinvolte; d) la collaborazione tra le amministrazioni non  una costruzione di puro artificio diretta ad eludere le norme in materia di appalti pubblici; e) tutte le strutture pubbliche partecipano attivamente allo svolgimento dei compiti, con conseguente suddivisione anche delle responsabilitˆ; f) gli unici movimenti finanziari ammessi sono quelli corrispondenti al rimborso delle spese effettivamente sostenute. 31. Il giudice di rinvio esamina, poi la peculiaritˆ dellĠoggetto delle due convenzioni, affermando che le prestazioni in esame sono oggettivamente connesse allĠesigenza, corrispondente a uno specifico interesse pubblico, di ridefinire il contesto urbanistico ed edilizio compromesso dal sisma del 2009, con modalitˆ, in buona parte, innovative, tenuto conto dellĠampiezza e complessitˆ degli interventi da realizzare (pag. 20 dellĠordinanza). 32. Il primo dubbio che solleva la giurisdizione di rinvio attiene alla possibile contrarietˆ ai principi comunitari in materia di concorrenza di un accordo concluso tra due amministrazioni pubbliche, qualora una delle amministrazioni coinvolte possa rivestire in astratto la qualifica di Òoperatore economicoÓ; e ci˜ nonostante lĠaccordo in parola abbia le caratteristiche di legittimitˆ comunitaria individuate da codesta Corte. 33. Il dubbio sollevato dal TAR Abruzzo si fonda sulla decisione assunta da codesta Corte nella sentenza CoNISMa, nella quale  stato riconosciuto espressamente che le Universitˆ possano rivestire la qualifica di operatore economico e, come tali, rientrare nel campo di applicazione della direttiva 2004/18/CE. 34. Ritiene il giudice remittente che equiparando le Universitˆ tout court ad operatori economici si dovrebbe ammettere che le stesse, quando offrano servizi sul mercato, debbano concorrere con tutti gli altri operatori economici interessati in un procedimento concorsuale, pena lĠelusione della normativa comunitaria in tema di evidenza pubblica, nonostante il perseguimento di interessi pubblici comuni (cfr. pag. 19, punto V.3) dellĠordinanza). 35. Ad avviso del Governo Italiano  proprio alla luce dei principi affermati nella sentenza da ultimo citata che occorre dare al quesito proposto dal giudice di rinvio risposta negativa. 36. Richiamandone i passaggi fondamentali, va rammentato che codesta Corte ha, in quella sede, rammentato che lĠart. 1, n. 8, primo e secondo comma della Direttiva, riconoscono la qualitˆ di Òoperatore economicoÓ non solo ad ogni persona fisica o giuridica, ma anche, in modo esplicito, ad ogni Òente pubblicoÓ che offra servizi sul mercato; la nozione di Òente pubblicoÓ pu˜ includere anche organismi che non perseguono un preminente scopo di lucro, che non hanno una struttura dĠimpresa e che non assicurano una presenza continua sul mercato (punto 30). CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 37. é stato, poi, richiamato lĠart. 4 della medesima direttiva, che vieta agli Stati membri di fare alcuna distinzione tra i candidati alle gare pubbliche dĠappalto a seconda che siano persone fisiche o giuridiche e che abbiano uno status di diritto pubblico o privato (punto 31). 38. Codesta Corte ha poi richiamato la propria giurisprudenza ed in particolare le pronunce nelle quali, nellĠottica della apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura pi ampia possibile,  stato affermato che la normativa comunitaria in materia di appalti si applica anche qualora il soggetto con cui unĠamministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo oneroso sia, a sua volta, unĠaltra amministrazione aggiudicatrice, che, ai sensi dellĠart. 1, n. 9, della Direttiva  un ente che soddisfa una funzione di interesse generale, avente carattere non industriale e non commerciale e che, quindi, non esercita a titolo principale unĠattivitˆ lucrativa sul mercato (punto 38). 39. Da tali principi codesta Corte ha desunto la conclusione secondo cui pu˜ partecipare alle gare dĠappalto, rivestendo quindi la qualifica di Òoperatore economicoÓ, qualsiasi soggetto che, secondo i requisiti indicati nel bando di gara, si reputi idoneo a garantirne lĠesecuzione, in modo diretto o ricorrendo al subappalto e ci˜ indipendentemente dal fatto di essere un soggetto pubblico o privato e di essere attivo sul mercato in modo sistematico o occasionale e di essere o meno sovvenzionato con fondi pubblici (punto 42). 40. La conclusione cui  pervenuta codesta Corte nella citata pronuncia costituisce espressione ed applicazione del principio dellĠindifferenza delle forme giuridiche, in virt del quale, al fine di stabilire se un soggetto rientri o meno nel campo di applicazione di una certa disciplina, non rileva la forma giuridica dallo stesso rivestita, ma solo la verifica delle modalitˆ con le quali la sua attivitˆ si atteggia in quel contesto. 41. Di qui lĠulteriore conseguenza che esistono dei soggetti giuridici, in particolare gli Òenti pubbliciÓ, che possono, di volta in volta, rivestire diverse qualifiche. 42. Gli stessi, infatti, ai sensi dellĠart. 1, n. 9, della direttiva, in quanto deputati al perseguimento di un interesse generale, avente carattere non industriale o commerciale, rientrano nella definizione di Òamministrazioni aggiudicatriciÓ. 43. Tuttavia, quando occasionalmente offrono servizi sul mercato, indipendentemente dal fatto che non possiedono unĠorganizzazione imprenditoriale, non perseguono uno scopo di lucro e sono sovvenzionati con fondi pubblici, possono rivestire anche la qualifica di Òoperatore economicoÓ ai sensi dellĠart. 1, n. 8, della Direttiva. 44. E ci˜ evidentemente vale per tutti gli Òenti pubbliciÓ- essendo i riportati principi stati affermati con carattere di generalitˆ - e non solo per le Universitˆ; quindi ogni Òente pubblicoÓ che sia in grado di fornire servizi sul mercato pu˜ rivestire la qualifica di Òoperatore economicoÓ. 84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 45. Ma gli Òenti pubbliciÓ sono, evidentemente, anche soggetti che, in quanto istituzionalmente deputati al perseguimento di un interesse di carattere generale, possono, secondo i principi affermato nelle sentenze Coditel Brabant e Commissione c. Germania citate, stipulare accordi di partenariato pubblico - pubblico per lĠadempimento in collaborazione delle loro funzioni, appunto, di interesse pubblico. 46. é allora chiaro che, se lĠastratta possibilitˆ di rivestire la qualifica di Òoperatore economicoÓ precludesse la possibilitˆ di partecipare ad un accordo quale quelli di cui si discute (e di cui alla causa principale), il campo operativo del partenariato pubblico - pubblico sostanzialmente si azzererebbe. 47. Ed infatti, se cos“ fosse, il dubbio sollevato dal giudice di rinvio riguardo alle Universitˆ potrebbe sorgere il relazione a qualunque Òente pubblicoÓ tra le cui funzioni istituzionali rientri lo svolgimento di servizi che, occasionalmente, possano essere offerti sul mercato. 48. é evidente, al contrario, che un Òente pubblicoÓ non cessa di essere tale per il solo fatto di potere rivestire anche la qualifica di Òoperatore economicoÓ e non pu˜, di conseguenza, perdere la possibilitˆ di stipulare accordi con un'altra pubblica amministrazione per lo svolgimento coordinato di unĠattivitˆ di interesse comune. 49. Il medesimo soggetto pu˜, infatti, avere distinti campi di attivitˆ, agendo in ognuno di essi nel rispetto delle regole proprie di quel settore. 50. é da ritenere, pertanto, che la legittimitˆ di un accordo quale quello di cui alla causa principale dipenda esclusivamente dalla ricorrenza dei requisiti individuati dalla giurisprudenza di codesta Corte, tra i quali non rientra quello, soggettivo, di non poter rivestire, in astratto, la qualifica di Òoperatore economicoÓ. 51. Una diversa soluzione sarebbe, evidentemente, contraria al principio di indifferenza delle forme giuridiche, che non pu˜ ovviamente valere in senso unidirezionale: se la natura di Òente pubblicoÓ non esclude che, occasionalmente, il medesimo soggetto possa rivestire la qualifica di Òoperatore economicoÓ, tale ultima possibilitˆ non pu˜ privare un Òente pubblicoÓ delle prerogative che gli sono proprie. 52. Tale conclusione non  inficiata dagli ulteriori profili sollevati dal giudice di rinvio. 53. Rileva lo stesso che, nel caso di specie, era stato previsto, a favore dellĠUniversitˆ, un corrispettivo idoneo a costituire per lĠUniversitˆ un sostanziale profitto, osservando, tuttavia, che lĠassenza di profitto non vale a conferire allĠaccordo carattere di gratuitˆ. 54. Ma, come ricordato al punto 31 del presente intervento, codesta Corte non richiede, quale requisito di legittimitˆ degli accordi in esame, che gli stessi rivestano carattere di gratuitˆ, bens“ che non vi siano tra le parti movimenti finanziari diversi da quelli corrispondenti al rimborso degli CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 oneri (sentenza Commissione c. Germania, punto 43). 55. Dunque, anche il requisito di cui alla lettera f) del punto 31 risulta rispettato. 56. LĠultimo profilo problematico sollevato dal giudice di rinvio riguarda il fatto che le prestazioni di rilevazioni e di ricerca tecniche e scientifiche oggetto dellĠaccordo rispondono a finalitˆ dettate da una normativa speciale post-emergenziale, espressamente richiamate nelle convenzioni e poste a fondamento della scelta del soggetto pubblico affidatario dellĠincarico, a fronte di un interesse scientifico di questĠultimo, avente ad oggetto lĠapprofondimento delle problematiche sottese alla pianificazione e ricostruzione post-sisma. 57. In altre parole, il giudice di rinvio pare porsi il problema della legittimitˆ di un accordo, quale quello di cui alla causa principale, che realizzi un sostanziale affidamento diretto, in deroga alla normativa sugli appalti pubblici, in quanto giustificato dalle peculiaritˆ dellĠoggetto dellĠaccordo stesso. 58. La seconda circostanza che il giudice di rinvio considera rilevante  la previsione normativa di cui allĠart. 2 co.12 bis del D.L. 39/2009 (cfr. sopra, al punto) che obbliga i Comuni delle zone danneggiate dal sisma a provvedere alla ri-pianificazione urbanistica, prevedendo che le relative attivitˆ sono svolte in collaborazione con i diversi soggetti pubblici e privati che sono coinvolti nei processi propri della ricostruzione (ordinanza, pag. 22). 59. Osserva il giudice remittente che la convenzione Òistituisce una cooperazione scientifica tra enti pubblici finalizzata a garantire lĠadempimento di una funzione di servizio pubblico di interesse comuneÓ e che la scelta dellĠUniversitˆ quale soggetto affidatario  giustificata nellĠatto deliberativo precisando che Òla pianificazione di interventi sul territorio, soprattutto di scala sovracomunale, sia finalizzata ad uno sviluppo sostenibile, coeso ed intelligente di tutto il comprensorio e che la visione globale di una Universitˆ qualificata pu˜ offrire opportunitˆ tecniche e specialistiche esclusivamente nellĠinteresse collettivoÓ(pag. 24 dellĠordinanza). 60. Le finalitˆ perseguite dallĠUniversitˆ comprendono inoltre lĠinteresse per la Ò straordinaria unicitˆ delle attivitˆ da svolgere, impregnate tra lĠaltro di ricerca scientifica applicataÓ, ovvero, ad avviso del giudice del rinvio, uno Ò specifico interesse scientifico che [con] la messa a gara delle attivitˆ in questione potrebbe risultare insoddisfattoÓ. 61. Tuttavia, una volta ritenuto che la qualitˆ soggettiva dellĠaffidatario  compatibile con la nozione di partenariato pubblico-pubblico secondo i requisiti individuati dalla giurisprudenza di codesta Corte (v. al punto 50 del presente atto), le peculiaritˆ dellĠoggetto della prestazione acquistano un rilievo secondario e assorbito nella prima questione. 62. Ai punti 59 e 60 si  comunque dato conto di come, nella fattispecie concreta, il perseguimento di un interesse pubblico comune alle parti debba dirsi sussistente. 86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 63. Rispetto ai requisiti di legittimitˆ comunitaria di un accordo pubblicopubblico, infine, il requisito della peculiaritˆ dellĠoggetto non pu˜ considerarsi rilevante in via autonoma, ma esclusivamente qualora si tratti di verificare se lo stesso caratterizzi o meno un obiettivo di interesse pubblico comune alle parti (cfr. al punto 31 lett. a) del presente atto). CONCLUSIONI 64. In conclusione, il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame nel seguente modo: a) Le disposizioni della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 31 marzo 2004 n. 2004/18/Ce relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi ed in particolare lĠarticolo 1, n. 2 lettere a) e d), lĠart. 2, lĠarticolo 28 e lĠallegato II categorie n. 8 e n. 12 non ostano ad una disciplina nazionale che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni aggiudicatrici per lĠattivitˆ di supporto ai Comuni relative allo studio, allĠanalisi e al progetto per la ricostruzione dei centri storici del comune di Barisciano e Castelvecchio Subequo,come meglio specificate nel capitolato tecnico allegato alla convenzione e come individuati dalla normativa nazionale e regionale di settore, verso un corrispettivo la cui non rimunerativitˆ non  manifesta, ove lĠamministrazione esecutrice possa rivestire la qualitˆ di operatore economicoÓ; b) ÒLe disposizioni della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 31 marzo 2004 n. 2004/18/Ce relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi ed in particolare lĠarticolo 1, n. 2 lettere a) e d), lĠart. 2, lĠarticolo 28 e lĠallegato II categorie n. 8 e n. 12 non ostano ad una disciplina nazionale che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni aggiudicatrici per lĠattivitˆ di supporto ai Comuni relative allo studio,allĠanalisi e al progetto per la ricostruzione dei centri storici del comune di Barisciano e Castelvecchio Subequo, come meglio specificate nel capitolato tecnico allegato alla convenzione e come individuati dalla normativa nazionale e regionale di settore, verso un corrispettivo la cui non rimunerativitˆ non  manifesta, ove lĠaffidamento sia espressamente motivato alla stregua di normative primarie e secondarie post-emergenziali e tenuto conto degli esplicitati specifici interessi pubbliciÓ . Roma, 5 novembre 2012 Barbara Tidore Avvocato dello Stato CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Cristina Gerardis, AL 35843/12) nella causa C-361/12 promossa, ai sensi dell'art. 267 TFUE dal Tribunale di Napoli - Sezione Lavoro con ordinanza depositata il 18 giugno 2012. Materia: Disposizioni sociali Ravvicinamento delle legislazioni LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 1. Con ordinanza del 18 giugno 2012, il Tribunale di Napoli, Sezione Lavoro ha sollevato una questione pregiudiziale ai sensi dell'art. 267, TFUE. 2. La questione sottoposta all'esame della Corte si conclude con i seguenti quesiti: 1) Se sia contraria al principio di equivalenza una disposizione di diritto interno che, nella applicazione della direttiva 1999/70/Ce preveda conseguenze economiche, in ipotesi di illegittima sospensione nella esecuzione del contratto di lavoro, con clausola appositiva del termine nulla, diverse e sensibilmente inferiori rispetto [alle] ipotesi di illegittima sospensione nella esecuzione del contratto di diritto civile, comune, con clausola appositiva del termine nulla; 2) Se sia conforme all'Ordinamento europeo che, nell'ambito di sua applicazione, la effettivitˆ di una sanzione avvantaggi il datore di lavoro abusante, a danno del lavoratore abusato, di modo che la durata temporale, anche fisiologica, del processo danneggi direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che l'efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all'aumentare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi; 3) Se, nell'ambito di applicazione dell'Ordinamento europeo ai sensi dell'art. 51 della Carta di Nizza, sia conforme all'art. 47 della Carta ed all'art. 6 CEDU che la durata temporale, anche fisiologica, del processo danneggi direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che l'efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all'ammontare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi; 4) Se, tenuto conto delle esplicazioni di cui all'art. 3, comma 1, lett. c, della direttiva 2000/78/Ce ed allĠart. 14, comma 1, lett. c, della Direttiva 2006/54/Ce nella nozione di condizioni di impiego di cui alla Clausola 4 della direttiva 1999/70/Ce siano comprese anche le conseguenze della illegittima interruzione del rapporto di lavoro; 5) In ipotesi di risposta positiva al quesito che precede, se la diversitˆ tra le conseguenze ordinariamente previste nell'Ordinamento interno per la illegittima interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed a tempo determinato siano giustificabili ai sensi della clausola 4; 88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 6) Se i principi generali del vigente diritto comunitario della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell'effettiva tutela giurisdizionale, [del diritto] a un tribunale indipendente e, pi in generale, a un equo processo, garantiti dall'art. 6, n. 2, del Trattato sull'Unione europea (cos“ come modificato dall'art. 1.8 del Trattato di Lisbona e al quale fa rinvio l'art. 46 del Trattato sull'Unione) - in combinato disposto con l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertˆ fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e con gli artt. 46, 47 e 52, n. 3, della Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti dal Trattato di Lisbona - debbano essere interpretati nel senso di ostare all'emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile (9 anni) di una disposizione normativa, quale il comma dell'art. 32 della legge n. 183/10 alteri le conseguenze dei processi in corso danneggiando direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che l'efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all'aumentare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi; 7) E, ove la Corte di Giustizia non dovesse riconoscere ai principi esposti la valenza di principi fondamentali dell'Ordinamento dell'Unione europea ai fini di una loro applicazione orizzontale e generalizzata e quindi la sola una contrarietˆ di una disposizione, quale lĠart. 32, commi da 5 a 7, della legge n. 183/10 agli obblighi di cui alla direttiva 1999/70/Ce e della Carta di Nizza se una societˆ, quale la convenuta, avente le caratteristiche di cui ai punti da 55 a 61 debba ritenersi organismo statale, al fini della diretta applicazione verticale ascendente del diritto europeo ed in particolare della clausola 4 della direttiva 1999/70/Ce e della Carta di Nizza. I FATTI E LA CONTROVERSIA NELLA CAUSA PRINCIPALE 3. Tale domanda di pronuncia pregiudiziale  stata presentata nell'ambito di una causa promossa dalla ricorrente C.C. nei confronti della societˆ Poste Italiane S.p.a.. In particolare la stessa ha esposto: - di essere stata assunta dalla convenuta con contratto a tempo determinato per il periodo dal 4 giugno 2004 al 15 settembre 2004 presso il Polo Corrispondenza Campania CMP di Napoli, con mansioni di "addetta CMP Junior"; - che il contratto, firmato dalla sola istante, le era stato restituito con la sottoscrizione della convenuta solo il 15 giugno 2004; - che la apposizione del termine era stata giustificata ai sensi dell'art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001 per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 89 addetto al C.M.P. Napoli, del Polo Corrispondenza Campania assente nel periodo dal 1Ħ giugno 2004 al 15 settembre 2004. Resta inteso che il rapporto di lavoro si estinguerˆ, anche anticipatamente rispetto al termine del 15 settembre 2004, ove le esigenze di sostituzione dovessero venir meno per il rientro in servizio del personale assente; - che le esigenze di personale erano permanenti e durevoli perchŽ dirette a sopperire a croniche carenze di organico, per come comprovato dalle ulteriori costanti assunzioni a termine; - che solo nel mese di agosto, quando iniziava il periodo feriale, l'attivitˆ produttiva registrava una sensibile diminuzione; - che aveva goduto di ferie proprio mentre gli altri dipendenti erano assenti per ferie; - che il 21 settembre 2004, con raccomandata, aveva offerto le proprie energie lavorative; - che l'approvazione del termine era priva di effetto perchŽ il contratto era stato consegnato solo il 15 giugno 2004 e firmato dalla convenuta solo in tale data; - che la clausola relativa al termine era stata illegittimamente apposta, perchŽ al di fuori dalle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 368/01 ed, in particolare, non era indicato il tipo specifico di ragioni sostitutive, i lavoratori da sostiuire, la durata della assenza; - che le ragioni erano insussistenti, perchŽ aveva lavorato in aggiunta ai lavoratori a tempo indeterminato; - che quindi l'allontanamento del ricorrente dal posto di lavoro era ingiustificato, con diritto del ricorrente al pagamento delle retribuzioni infratemporalmente maturate, con regolarizzazione della sua posizione contributiva e previdenziale. 4. Tanto premesso ha chiesto la dichiarazione di illegittimitˆ della apposizione del termine al contratto a tempo determinato e della natura a tempo indeterminato del rapporto, con condanna della convenuta alla sua reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate. LA NORMATIVA NAZIONALE OGGETTO DELLA QUESTIONE 5. Il Giudice remittente osserva che - essendo il diritto del lavoro un Çsettore È del diritto civile, alla fattispecie di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro ed alle sue conseguenze in relazione agli obblighi del datore "abusante" a favore del lavoratore "abusato" era applicabile la normativa civilistica di cui agli artt. 1206 e 1207 c.c.: era cio obbligato a versare al lavoratore a titolo di risarcimento del danno per avere illegittimamente apposto il termine al contratto l'equivalente delle retribuzioni che sarebbero state corrisposte al lavoratore dal momento in 90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 cui questi ha messo a disposizione del datore la propria forza lavoro, senza che questi ne abbia usufruito (mora credendi). 6. Era obbligato in quanto l'attuale disciplina della fattispecie de qua non  pi quella del diritto comune, bens“ quella reperibile nell'art. 32 commi 5, 6 e 7 del cd. Collegato Lavoro (Legge 183/2010) che stabiliscono: 5 - Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennitˆ onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilita dellĠultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell' articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604. 6 - In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori giˆ occupati con contratto a termine nell'ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell'indennitˆ fissata dal comma 5  ridotto alla metˆ. 7 - Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennitˆ di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti il termine per l'eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell'articolo 42 del codice di procedura civile. 7. Inoltre, ii medesimo art. 32 prevede per l'impugnazione del contratto a termine lo stesso termine decadenziale di 60 giorni previsto per il licenziamento (combinato disposto dei commi 1 e 4a). OSSERVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO Sul primo quesito 8. La direttiva n. 1999/70/CE, invocata dal giudice rimettente e di cui il D.Lgs. n. 368/01 costituisce attuazione, recepisce l'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. 9. L'obiettivo di tale accordo (clausola 1)  Ça) migliorare la qualitˆ del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinatoÈ. 10. II Giudice remittente si pone il problema di compatibilitˆ con il diritto dell'Unione di una disposizione come quella citata (art. 32 commi 5 e 6 del Collegato Lavoro) che prevede una sorta di penale "ex lege" a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l'importo dell'indennita  liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 91 novella, a prescindere dall'intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l'eventuale Òaliunde perceptumÓ), trattandosi di indennitˆ Òforfetizzata" e "onnicomprensiva" per i danni causati dalla nullitˆ del termine nel periodo cosiddetto "intermedio" (dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione) (cos“ Cass. Sez. lavoro, sent. n. 3056 del 29 febbraio 2012). 11. In altri termini, secondo il Tribunale di Napoli, potrebbe prefigurarsi una violazione del principio di non discriminazione del lavoratore a tempo determinato (in caso di illegittima apposizione del termine) poichŽ la nuova disciplina succitata, anzichŽ prevedere l'applicabilitˆ del diritto comune (cui sopra s' fatto cenno) stabilisce in via automatica e forfetizzata l'indennizzo a cui ha diritto il lavoratore, da aggiungersi - ovviamente - alla conversione del contratto (per nullitˆ dell'apposizione del termine). 12. L'ordinanza del giudice remittente - per sostenere la propria tesi di incompatibilitˆ - si dilunga in una critica alla interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011. Deve infatti rammentarsi che la Consulta era stata investita della questione (sostanzialmente identica a quella oggetto del presente giudizio, con la sola differenza che il parametro era norme costituzionali interne) della illegittimitˆ dei citati commi del ripetuto art. 32, essendo il nuovo sistema ritenuto irragionevolmente riduttivo del risarcimento del danno integrale giˆ conseguibile dal lavoratore sotto il regime previgente. 13. Questa Difesa non pu˜ esimersi dal citare testualmente l'autorevole arresto della Corte Costituzionale, alla cui opzione ermeneutica certamente deve farsi riferimento per contestare decisamente il dubbio di compatibilitˆ con l'ordinamento comunitario sollevato dal Tribunale di Napoli. 14. La Corte Costituzionale, nel ritenere infondate le questioni sollevate, ha - tra l'altro - cosi argomentato: il dubbio posto dai giudici rimettenti s'incentra sulla violazione dell'art. 3, secondo comma, Cost., sotto il profilo dell'irragionevolezza del trattamento indennitario forfetizzato, introdotto della riforma in oggetto, rispetto al pi sostanzioso risarcimento che sarebbe stato assicurato dal "diritto vivente" ricavato dalla normative generate di diritto comune. La disciplina dettata dall'art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge n.183 del 2010 prende spunto dalle obiettive incertezze verificatesi nell'esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente, con l'esito di risarcimenti ingiustificatamente differenziati in misura eccessiva. Tre le variabili pi evideni registratesi nella prassi, tutte pienamente consentite dal regime pregresso, basta citare l'identificazione del dies a quo del diritto al risarcimento del danno, a volte desunto da elementi formali od espliciti, ma pi spesso ricavato da comportamenti concludenti, e la determinazione 92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 dell'aliunde perceptum da porre in detrazione dal pregiudizio concretamente risarcibile, talora esteso al percipiendum, ossia al guadagno che sarebbe lecito attendersi dal lavoratore diligentemente attivatosi nella ricerca di un nuovo posto di lavoro, con diversificate forme di utilizzazione, al riguardo, del ragionamento presuntivo. é in tale contesto, quindi, che deve inserirsi la novella in esame, diretta ad introdurre un criterio di liquidazione del danno di pi agevole, certa ed omogenea applicazione. Cos“ ricostruita la ratio legis, la normativa di riforma sfugge alle proposte censure di non ragionevolezza. In termini generali, la norma scrutinata non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Difatti, l'indennitˆ prevista dall'art. 22, commi a e 6, della legge n. 183 del 2010 va chiaramente ad integrare la garanzia della conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato. E la stabilizzazione del rapporto  la protezione pi intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario. Non a caso, dall'esame dei lavori preparatori si desume che la disposizione di cui allĠart. 32, comma 5, dell'anzidetta legge dev'essere correttamente letta come riferita alla conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato e che, conseguentemente, la previsione della condanna al risarcimento del danno in favore del lavoratore dev'essere intesa Çcome aggiuntiva e non sostitutiva della suddetta conversione È (ordine del giorno G/1167-B/7/1-11 accolto al Senato della Repubblica innanzi alle commissioni I e XI riunite nella seduta del 2 marzo 2010). D'altro canto, ancorchŽ nell'ipotesi di licenziamento ingiustificatamente intimato in regime di tutela obbligatoria, il rimedio indennitario apprestato dall'art. 8 della Legge n. 604 del 1966, anche in mancanza della riassunzione, ha pi volte passato indenne il vaglio di questa Corte (sentenze n. 46 del 2000, n. 44 del 1996 e n. 194 del 1970). Quanto poi alla denunziata insufficienza del trattamento forfettario previsto dalle disposizioni censurate, la Corte di cassazione rimettente ritiene che l'indennitˆ onnicomprensiva prevista dall'art. 32, commi 5 e 6, della legge citata, non ipotizzabile come aggiuntiva al risarcimento dovuto secondo le regole di diritto comune, assorba lĠintero pregiudizio sub“to dal lavoratore a causa dell'illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, dal giorno dell'interruzione del rapporto fino al momento dell'effettiva riammissione in servizio. Donde l'effetto a suo avviso perverso di indurre il datore a persistere nell'inadempimento, anche sottraendosi all'esecuzione della condanna, non suscettibile di esecuzione in forma specifica, con indefinita dilatazione del danno ed abnorme sproporzione dell'indennitˆ rispetto ad esso. Un'interpretazione costituzio- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 93 nalmente orientata della novella, per˜, induce a ritenere che il danno forfettizzato dall'indennitˆ in esame copre soltanto il periodo cosiddetto "intermedio", quello, cio, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullitˆ di esso e dichiara la conversione del rapporto. A partire dalla sentenza con cui il giudice, rilevato il vizio della pattuizione del termine, converte il contratto di lavoro che prevedeva una scadenza in un contratto di lavoro a tempo indeterminato,  da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva. Diversamente opinando, la tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato sarebbe completamente svuotata. Se, infatti, il datore di lavoro, anche dopo l'accertamento giudiziale del rapporto a tempo indeterminato, potesse limitarsi al versamento di una somma compresa tra 2,5 e 12 mensilita di retribuzione, non subirebbe alcun deterrente idoneo ad indurlo a riprendere il prestatore a lavorare con sŽ. E lo stesso riconoscimento della durata indeterminata del rapporto da parte del giudice sarebbe posto nel nulla. Cos“ intesa la norma censurata, cade l'ipotesi di paventata sproporzione dell'indennita di cui all'art. 32, commi 5 e 6, della legge citata, rispetto alla denunziata esigenza di ristoro di in danno destinato a crescere con il decorso del tempo, sino ad attingere valori non esattamente prevedibili. E ci˜, in primo luogo, perchŽ il legislatore ha pure introdotto sub art. 32, commi 1 e 3, della legge n. 183 del 2010 un termine di complessivi trecentotrenta giorni per l'esercizio, a pena di decadenza, dell'azione di accertamento della nullitˆ della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro, fissandone la decorrenza dalla data di scadenza del medesimo. Con l'effetto di approssimare l'indennita in discorso al danno potenzialmente sofferto a decorrere dalla messa in mora del datore di lavoro sino alla sentenza, avuto, altres“, riguardo ai principi informatori del processo del lavoro intesi ad accelerarne la definizione. In secondo luogo, perchŽ il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione dell'aliunde perceptum. SicchŽ, l'indennitˆ onnicomprensiva assume una chiara valenza sanzionatoria. Essa  dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza di danno, per avere il lavoratore prontamente reperito un'altra occupazione. Con la conseguenza che la disciplina in esame, confrontata con quella previgente, risulta, sotto tale profilo, certamente pi favorevole al lavoratore. Peraltro, questa Corte ha affermato a pi riprese che Çla regola generale di integralitˆ della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionaleÈ (sentenza n. 148 del 1999), purchŽ sia garantita l'adeguatezza del risarcimento (sentenze n. 199 del 2005 e n. 420 del 1991). Tale condizione nella specie ricorre, 94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 tanto pi ove si consideri che, nella specie, non v' stata medio tempore alcuna prestazione lavorativa. In definitiva, la normativa impugnata risulta, nell'insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi. Al lavoratore garantisce la conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, unitamente ad un'indennitˆ che gli  dovuta sempre e comunque, senza necessitˆ nŽ dell'offerta della prestazione, nŽ di oneri probatori di sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, assicura la predeterminazione del risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data d'interruzione del rapporto fino a guella dell'accertamento giudiziale del diritto del lavoratore al riconoscimento della durata indeterminata di esso. Ma non oltre, pena la vanificazione della statuizione giudiziale impositiva di un rapporto di lavoro sine die. Con specifico riferimento alla riduzione della metˆ del limite superiore dell'indennita ai sensi dell'art. 32, comma 6, la ragionevolezza della previsione trae alimento dal favor del legislatore per i percorsi di assorbimento del personale precario disciplinati dall'autonomia collettiva. 15. Le autorevoli affermazioni della Corte Costituzionale evidenziano come nemmeno possa sorgere un dubbio sulla contrarietˆ al principio di equivalenza paventato con il primo quesito dal Giudice remittente: in primis, poichŽ non v' alcun elemento - desumibile dalla direttiva e dagli obiettivi che la stessa si propone - che possa portare ad affermare la necessaria omogeneita della disciplina del diritto comune (in tema di nullita del termine e delle sue conseguenze) con quella del diritto del lavoro. In second'ordine, poichŽ, come sottolineato nella succitata sentenza, l'art. 32 cit. stabilisce un complesso meccanismo di tutela del lavoratore che non solo gli garantisce la tutela pi importante e cio la trasformazione del rapporto in rapporto stabile ed indeterminato, ma fissa un risarcimento forfettariamente stabilito che addirittura prescinde dalla prova o dall'allegazione del danno, nonchŽ dall'ipotesi (normalmente impeditiva o riduttiva) dell'aliunde receptum. 16. In conclusione, pu˜ affermarsi che la disciplina introdotta dal legislatore del 2010, anzichŽ essere punitiva per il lavoratore, ha un intento di razionalizzazione e velocizzazione la definizione delle posizioni controverse e allevia di molto la posizione processuale del lavoratore medesimo che - solch si accerti l'illegittimitˆ dell'apposizione del termine - si trova nella certezza di ottenere un congruo ristoro economico del danno subito (seppure non dimostrato) nonchŽ la trasformazione del rapporto di lavoro (in tal senso si  da ultimo pronunciata anche la Corte di Cassazione, con sentenza 29 febbraio 2012, n. 3056: cos“ intesa, infatti, in sostanza, come una sorta di penale stabilita dalla legge - in stretta connessione funzionale con la declaratoria di conversione del rapporto di lavoro - a carico CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 95 del datore di lavoro per la nullitˆ del termine apposto al contratto di lavoro e determinata dal giudice nei limiti e con i criteri dettati dalla legge, a prescindere sia dall'esistenza del danno effettivamente subito dal lavoratore (e da ogni onere probatorio al riguardo) sia dalla messa in mora del datore di lavoro, con carattere "forfetizzato", "onnicomprensivo" di ogni danno subito per effetto della nullitˆ del termine, nel periodo che va dalla scadenza dello stesso fino alla sentenza che ne accerta la nullitˆ e dichiara la conversione del rapporto, la indennitˆ in esame appare non solo conforme alla Costituzione (ai sensi di C. Cost. 303/2011), bens“ anche pienamente rispondente alla lettera e alto spirito della legge. Altre interpretazioni, del resto, come quella ipotizzata dalla difesa della lavoratrice in sede di discussione, che in quache modo riducano o eliminino il carattere "onnicomprensivo" dell'indennitˆ, ovvero ne delimitino ulteriormente il periodo di "copertura", in ragione di elementi (come la messa in mora o l'epoca della domanda) estranei alla fattispecie legale (al pari di quelle, opposte, estensive del periodo medesimo), risulterebbero travalicare i detti fondamentali criteri ermeneutici). Sul secondo quesito 17. II Giudice remittente dubita poi della conformitˆ all'Ordinamento europeo della disposizione de qua ove essa venga interpretata - come ha fatto la Corte di Cassazione successivamente alla presa di posizione della Corte Costituzionale ed adeguandosi alla soluzione interpretativa da questa autorevolmente fornita - nel senso che il dies ad quem della "copertura indennitaria" prevista dal ripetuto art. 32 sia la prima pronuncia giurisdizionale che dichiari la nullitˆ del termine. 18. Propone come soluzione alternativa ed a suo dire compatibile con l'Ordinˆmento comunitario quella di ritenere che l'indennitˆ in discorso copra il periodo fino al deposito del ricorso di primo grado, altrimenti addossandosi al lavoratore le conseguenze dell'inadempimento ed i tempi processuali, in contrasto con la Direttiva 1999/70/CE. In altri termini, secondo il Tribunale di Napoli una diversa opzione interpretativa farebbe ricadere la durata del processo sul lavoratore Çessendo limitato il danno a carico del datore di lavoro nel massimo a 12 mensilitˆÈ (pag. 11 punto 15 dell'ordinanza). 19. Coerentemente a quanto fatto con il primo quesito, si ritiene di dovere richiamare testualmente, anche per il secondo, la citata sentenza della Corte Costituzionale, che pure su questo punto si  pronunciata (per disattendere il dubbio di illegittimitˆ costituzionale) cos“ argomentando: non  condivisibile neppure il rilievo della indebita omologazione, da parte del modello indennitario delineato dalla normativa in esame, di situazioni diverse. Come, ad esempio, la situazione del lavoratore il quale ottenga 96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 una sentenza favorevole in tempi brevi, possibilmente in primo grado, rispetto a quella di chi risulti vittorioso solo a notevole distanza di tempo (magari nei gradi successivi di giudizio). [in tale situazione sta il dubbio del Giudice remittente: nel rischio che la durata del processo vada a danno del lavoratore: n.d.r.] Ovvero del datore di lavoro il quale spontaneamente riammetta in servizio il prestatore nelle more del processo, pagandogli, intanto, il corrispettivo, rispetto ad altro datore che abbia invece "resistito" ad oltranza, evitando di riprendere con se il lavoratore. é evidente che si tratta di inconvenienti solo eventuali e di mero fatto, che non dipendono da una sperequazione voluta dalla legge, ma da situazioni occasionali e talora patologiche (come l'eccessiva durata dei processi in alcuni uffici giudiziari). Siffatti inconvenienti - secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte - non rilevano ai fini del giudizio di legittimitˆ costituzionale (sentenze n. 298 del 2009, n. 86 del 2008, n. 282 del 2007 e n. 354 del 2006; ordinanze n. 102 del 2011, n. 109 del 2010 e n. 125 del 2008). SicchŽ, non  certo dalle disposizioni legislative censurate che possono farsi discendere, in via diretta ed immediata, le discriminazioni ipotizzate. Peraltro, presunte disparitˆ di trattamento ricollegabili al momento del riconoscimento in giudizio del diritto del lavoratore illegittimamente assunto a termine devono essere escluse anche per la ragione che il processo  neutro rispetto alla tutela offerta, mentre l'ordinamento predispone particolari rimedi, come quello cautelare, intesi ad evitare che il protrarsi del giudizio vada a scapito delle ragioni del lavoratore (sentenza n. 144 del 1998), nonchŽ gli specifici meccanismi riparatori contro la durata irragionevole delle controversie di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'art. 375 del codice di procedura civile). 20. Osta alla soluzione interpretativa voluta dal Giudice remittente la lettera della legge nella parte in cui prevede che "[..] il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennitˆ onnicomprensiva [...]", che deve essere correttamente letta in combinazione col rimedio forte della conversione (non a caso rammentato nei lavori preparatori in cui viene previsto come aggiuntivo a quello meramente indennitario: ordine del giorno G/1167-B/7/1-11 accolto al Senato della Repubblica innanzi le commissioni I e XI nella seduta del 2 marzo 2010); tale sottolineatura, invero, sarebbe stata assolutamente inutile se l'indennizzo avesse coperto il limitato periodo dalla cessazione del termine alla proposizione del ricorso, giacchŽ l'effetto, voluto dai Tribunale di Napoli, per il periodo successivo e sino alla riammissione in servizio, non si sarebbe discostato sostanzialmente da quello gia previsto nel regime previgente. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 97 D'altronde, la norma, che "non si limita a forfetizzare risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato", in base ad una "interpretazione costituzionalmente orientata" va intesa nel senso che "il danno forfetizzato dall'indennitˆ in esame copre soltanto il periodo cosiddetto "intermedio", quello, cioŽ, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullitˆ di esso e dichiara la conversione del rapporto", con la conseguenza che a partire da tale sentenza " da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva" (altrimenti risultando "completamente svuotata" la "tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato") (Cass. sent. 3056/2012 cit.). 21. Giova rammentare, con una notazione valida anche per il primo quesito, the il sistema predisposto dal legislatore nazionale dell'indennitˆ forfetizzata ed onnicomprensiva  gia proprio del diritto del lavoro nazionale in un caso in cui - a differenza di quanto accade a fronte dell'accertamento della nullitˆ del termine e della conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato - al lavoratore non  riconosciuto il diritto di riprendere servizio presso il datore di lavoro che lo ha illegittimamente licenziato, e cio nel caso previsto dall'art. 8 della legge 604/66 sul licenziamento (quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro  tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni b, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennitˆ di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilitˆ dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianitˆ di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennitˆ pu˜ essere maggiorata fino a 10 mensilitˆ per il prestatore di lavoro con anzianitˆ superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilitˆ per il prestatore di lavoro con anzianitˆ superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa pi di quindici prestatori di lavoro). 22. In sostanza, mentre nella legge 604/1966 l'indennitˆ si sostituisce al posto di lavoro, nella legge 183/2010 si accompagna alla riammissione in servizio (dunque con un quid pluris di tutela, a soddisfazione dell'essenziale interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro). Peraltro, all'art. 32 cit.  previsto che l'indennitˆ possa essere quantificata tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilitˆ, cosi consentendo di 98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 adeguare il risarcimento al differente grado di danno medio tempore patito dal lavoratore illegittimamente estromesso. 23. In conclusione, deve escludersi che i lavoratori possano accedere a una differente tutela in conseguenza della durata del processo: da un lato, la durata del processo non  circostanza rimessa alla disponibilitˆ del datore di lavoro; dall'altro, la disciplina di cui allĠart. 32, co. 5, trova il suo corrispondente processuale nella previsione di cui all'art. 32, co. 1 e 3, lett. d, nella parte in cui introduce uno specifico termine di decadenziale per l'azione di nullitˆ del termine. Una previsione, questa, che va a integrarsi con il sistema processuale lavoristico, delineato dall'ordinamento in modo da garantire una celere definizione delle controversie. 24. Si osserva che anche la commisurazione dell'indennitˆ di cui all'art. 8 legge 604/1966 prescinde dalla durata del processo, e ci˜ non in quanto il Legislatore ritenga meno meritevole di tutela il lavoratore illegittimamente licenziato che non possa aspirare alla reintegrazione nel posto di lavoro, ma in quanto i tempi del giudizio sono estranei al rapporto e alla patologia che ne abbia provocato l'interruzione, e sono sottratti al controllo e alle determinazioni delle parti, dipendendo dai poteri di direzione e di gestione del Giudice. 25. Al contrario, prima dell'intervento legislativo de quo, ben poteva essere interesse del lavoratore, una volta messo in mora il datore di lavoro, ritardare l'avvio del giudizio al fine di incrementare progressivamente l'ammontare del risarcimento: sotto questo profilo, la scelta del Legislatore mostra tutta la propria ragionevolezza nell'aver determinato un riequilibrio delle posizioni delle parti. Sul terzo quesito 26.Valgono le osservazioni svolte per il secondo quesito, essendo il dubbio avanzato dal Giudice remittente sempre incentrato sul timore che la durata del processo possa pregiudicare il lavoratore, ove si individui - come deve ritenersi coretto - il dies ad quem della copertura del risarcimento forfetizzato nella prima sentenza del giudizio instaurato. Sul quarto e sul quinto quesito 27. Il Giudice remittente dubita poi della conformitˆ dell'ordinamento nazionale alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato poichŽ il lavoratore a tempo determinato in caso di illegittima interruzione del rapporto avrebbe un trattamento deteriore rispetto al lavoratore a tempo indeterminato. 28. Partendo dal presupposto che deve darsi risposta positiva al quarto quesito, avendo la clausola 4 una valenza omnicomprensiva della disciplina del rapporto di lavoro, il dubbio di compatibilita sollevato dal Tribunale CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 99 di Napoli  destituito di fondamento: mentre nella legge 604/1966 (sul Iicenziamento nell'ambito del rapporto di lavoro ab origine a tempo indeterminato) l'indennitˆ si sostituisce al posto di lavoro ove il lavoratore non abbia diritto alla riassunzione, nella legge 183/2010 - e cio in caso di illegittima apposizione del termine - si accompagna alla riammissione in servizio. 29. Peraltro, all'art. 32  previsto che l'indennitˆ possa essere quantificata tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilitˆ, cos“ consentendo di adeguare il risarcimento al differente grado di danno medio tempore patito dal lavoratore illegittimamente estromesso. 30. Nessun contrasto pu˜ ravvisarsi con riferimento alla citata dausola 4: da un lato, la posizione del lavoratore a termine illegittimamente estromesso non  in alcun modo equiparabile a quella del lavoratore a tempo indeterminato che sia illegittimamente licenziato dal datore di lavoro. Basti al riguardo evidenziare che, nella prima ipotesi, il lavoratore, avendo sottoscritto un contratto di lavoro a tempo determinato, non ha in origine alcuna aspettativa in ordine alla prosecuzione del rapporto, a differenza del lavoratore a tempo indeterminato che ha la legittima aspettativa della fisiologica prosecuzione del proprio rapporto di lavoro. 31. Ad ogni modo, non si rinviene nell'ordinanza alcun elemento concreto per potere affermare che la condizione del lavoratore a tempo determinato sia deteriore rispetto a quella del lavoratore a tempo indeterminato, prevedendo entrambe le discipline la "tutela reale" data dalla riassunzione nell'un caso e dalla trasformazione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato nell'altro, nonchŽ un ristoro forfetizzato "elastico" che tenga conto dei criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (il rinvio  operato dal comma 5 del ripetuto art. 32 cos“ rendendo uniforme la disciplina per i due tipi di rapporto di lavoro in coerenza con il principio di non discriminazione di cui alla clausola 4). Sul sesto e settimo quesito 32. In primis va disattesa l'impostazione di partenza del giudice remittente - che condiziona ab imis il dubbio di compatibilitˆ del comma 7 dell'art. 32 con l'ordinamento comunitario - secondo cui la disciplina contenuta nel Collegato Lavoro sarebbe in astratto pregiudizievole per le ragioni del lavoratore: nell'esaminare il primo quesito si  chiarito come non sia rispondente ad una piena analisi della disposizione in discorso, la quale prevede un sistema di tutele complesso del lavoratore. Oltre alla stabilizzazione del rapporto - che rappresenta la tutela pi intensa che il legislatore pu˜ assicurare ad un lavoratore precario - un'indennitˆ che gli  sempre dovuta, a prescindere dall'offerta della prestazione, svincolandola da oneri probatori e senza alcuna detrazione dell'aliunde 100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 perceptum. Di conseguenza la discinlina in esame presenta aspetti favorevoli per il lavoratore rispetto a quella precedente. 33.Va precisato come il risarcimento del danno cos“ come disciplinato dal legislatore della riforma, ossia "forfetizzato" entro un limite minimo e massimo e secondo parametri predeterminati, copre soltanto il periodo "intermedio", quello cio compreso tra la scadenza del termine e la sentenza del giudice che ne accerta la nullitˆ. Per il periodo successivo alla sentenza il datore di lavoro  tenuto comunque a corrispondere al lavoratore la retribuzione, anche in ipotesi di mancata riammissione. 34. Tali considerazioni - attinenti alla sostanza delle disposizioni in discorso che affatto possono essere considerate pregiudizialmente pregiudizievoli per il lavoratore (si pensi al caso in cui sia difficile provare in giudizio d'avere subito un danno economicamente valutabile, nel quale il lavoratore sarebbe esposto al rischio di non vedersi riconosciuto nulla giudizialmente) - eliminano qualsiasi dubbio sulla sua compatibilitˆ con i principi generali del diritto comunitario. Legittimamente il Collegato Lavoro si deve applicare ai giudizi in corso poichŽ, come ha correttamente osservato la Corte Costituzionale nella succitata sentenza, non vi  ragione di differenziare il regime risarcitorio di situazioni lavorative sostanziali tutte egualmente sub indice. 35. Deve poi osservarsi - in relazione all'ultimo quesito - che l'applicazione retroattiva delle disposizioni in discorso, avendo portata generalizzata a tutte le controversie aventi ad oggetto i contratti a termine, non favorisce selettivamente lo Stato o altro ente pubblico, poichŽ le controversie sulle quali va ad incidere non hanno specificamente ad oggetto i rapporti di lavoro a termine alle dipendenze di soggetti pubblici, ma tutti indistintamente i rapporti a termine (a tal proposito  del tutto superfluo dare risposta al settimo quesito, inerente la natura di organismo statale della societˆ datrice di lavoro nel caso di specie). 36.A giustificazione della retroattivitˆ delle disposizioni di cui si tratta, deve osservarsi, si pongono rilevanti ragioni di utilitˆ generale, riconducibili all'esigenza di offrire una tutela economica dei rapporti a termine pi adeguata al bisogno di certezza dei rapporti giuridici di tutte le parti coinvolte nei processi produttivi, di talchŽ ricorrono tutte le condizioni previste dalla norma di cui all'art. 6 CEDU per l'applicazione retroattiva di norme in suddetta materia. 37. Per completezza deve rammentarsi che la Corte di Cassazione, con una specificazione condivisibile dal punto di vista processuale (riguardante la natura dell'impugnazione in sede di legittimitˆ) ha affermato il principio di diritto in base al quale, in tema di risarcimento del danno derivante dall'illegittimitˆ della clausola del termine apposta al contratto di lavoro, l'art. 32, commi 5, 6 e 7 della L. n. 183/2010 non pu˜ trovare applicazione CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 101 nei giudizi di legittimitˆ in corso, a meno che nei motivi di impugnazione non sia stato formulato uno specifico ed espresso quesito di diritto sulle conseguenze patrimoniali dell'accertata nullitˆ del termine. Con l'ulteriore precisazione che lo jus superveniens, in ragione della natura del controllo di legittimitˆ - il cui perimetro  limitato dagli specifici motivi di ricorso -  applicabile nei giudizi in Cassazione soltanto se pertinente rispetto alle ragioni oggetto di ricorso (Cass. 8 maggio 2006, n. 10547; Cass. 3 gennaio 2011, n. 65 e Cass. 4 gennaio 2011, n. 8o; n. 23 marzo 2011, n. 6663, la Corte di Cassazione). Tanto a pena di inesistenza ed inammissibilith dello stesso motivo di ricorso (Cass. SS.UU. 5 gennaio 2007, n. 36). In estrema sintesi, al fine di proporre, positivamente, un ricorso in Cassazione per la questione delle conseguenze patrimoniali dell'accertata nullitˆ del termine apposto al contratto di lavoro, occorre che i motivi addotti investano direttamente la questione del risarcimento e che gli stessi non siano tardivi o generici. La legge 28 luglio 2012, n. 92. 38. Da ultimo, si evidenzia che lĠart. 1 comma 13 della legge 92/2012, successiva all'ordinanza di remissione, stabilisce che la disposizione di cui al comma 5 dell'articolo 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel senso che l'indennitˆ ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro. CONCLUSIONI 39. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo Italiano suggerisce alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame nel seguente modo: - sul primo quesito Non contrarietˆ dell'art. 32 comma 5 della legge 183/2010 alla Direttiva 1999/70/CE, poichŽ non prevedente disposizioni abusive o pregiudizievoli per il lavoratore a tempo determinato nŽ in assoluto nŽ in relazione al diritto civile comune, fermo restando che non sussiste alcuna norma di rango superiore che impedisca una disciplina speciale degli istituti nell'ambito del diritto del lavoro rispetto al diritto civile comune; - sul secondo e sul terzo quesito Conformitˆ all'Ordinamento comunitario dell'interpretazione dell'art. 32 nel senso che il periodo di "copertura" dell'indennizzo previsto dalla legge 183/2010 abbia come dies ad quem la prima decisione giurisdizionale sul ricorso del lavoratore; 102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 - sul quarto quesito La risposta deve essere positiva; - sul quinto quesito Non pu˜ ravvisarsi alcuna violazione della clausola 4 della direttiva 1999/70/CE in relazione all'ipotesi di illegittima interruzione del rapporto di lavoro a tempo determinato rispetto all'ipotesi di lavoro a tempo indeterminato; - sul sesto quesito Va radicalmente disattesa l'impostazione del Giudice remittente in ordine alla assunta natura in sŽ pregiudizievole del lavoratore della normativa contenuta nel Collegato Lavoro del 2010 e dunque, seppure la risposta corretta al quesito sarebbe positiva nel caso di specie - stante l'erroneitˆ del presupposto - la risposta deve essere articolata come supra. - sul settimo quesito La risposta Ž del tutto irrilevante, data la portata generalizzata della normativa del 2010 che coinvolge sia il lavoro pubblico che quello privato. Roma, 6 novembre 2012 Cristina Gerardis Avvocato dello Stato Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Massimo Santoro, AL 35842/12) nella causa C-371/12 in relazione alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta ai sensi dellĠart. 267 del TFUE sollevata dal Tribunale di Tivoli (Italia) con decisione di rinvio del 20 giugno 2012 depositata il 21 giugno 2012. Materia: Ravvicinamento delle legislazioni Libertˆ di stabilimento e libera prestazione dei servizi Libera circolazione dei servizi LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 1. Il giudice del rinvio ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: ÒSe, alla luce delle direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 90/232/CEE e 2009/103/CE che regolano l'assicurazione obbligatoria in materia di responsabilitˆ civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, sia consentito alla legislazione interna di uno Stato membro di prevedere - attraverso la CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 103 quantificazione obbligatoria ex lege dei soli danni derivanti da sinistri stradali - una limitazione di fatto (sotto il profilo della quantificazione) della responsabilitˆ per danni non patrimoniali posti a carico dei soggetti (le compagnie assicuratrici) obbligati, ai sensi delle medesime direttive, a garantire l'assicurazione obbligatoria per i danni da circolazione dei veicoliÓ. LA CONTROVERISA NELLA CAUSA PRINCIPALE 2. La questione pregiudiziale trae origine dalla domanda di condanna al risarcimento dei danni proposta da un soggetto, assicurato per la responsabilitˆ civile, danneggiato in un incidente stradale, nei confronti della compagnia assicuratrice. Il giudizio verte sulla quantificazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dal danneggiato. 3. Il Giudice remittente afferma di non rinvenire alcun profilo problematico di natura comunitaria sulla quantificazione del danno patrimoniale; nutre, invece, dei dubbi sulla compatibilitˆ del sistema nazionale in ordine alla quantificazione del danno non patrimoniale. 4. A tal proposito, espone che il danneggiato ha subito un danno alla salute (biologico) pari al 4% ed unĠinvaliditˆ temporanea assoluta di 10 giorni, unĠinvaliditˆ temporanea parziale del 50 % per 20 giorni e del 25 % per 10 giorni e che pertanto, nella fattispecie, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale,  applicabile il disposto di cui allĠart. 139 del Decreto Legislativo n. 209 del 2005 (di seguito ÒCodice delle AssicurazioniÓ) integrandosi unĠipotesi di Òdanno biologico di lieve entitˆÓ. 5. Osserva il remittente che lĠapplicazione delle tabelle previste dal Codice delle Assicurazioni ai sensi del succitato art. 139 determina una liquidazione del danno non patrimoniale diversa rispetto a quella cui condurrebbe, a paritˆ di lesioni, lĠapplicazione dei criteri generali dellĠordinamento italiano utili ai fini della liquidazione di ogni altro tipo di sinistro. 6. Dopo avere compiuto una breve disamina del sistema del risarcimento dei danni non patrimoniali nellĠordinamento italiano, il remittente afferma che in caso di sinistro stradale che abbia determinato un danno biologico di lieve entitˆ, in applicazione dellĠart. 139 cit., il Giudice, nella liquidazione del danno non patrimoniale risarcibile, incontra due limitazioni: a. la prima consisterebbe nellĠobbligo di osservare dei parametri legislativi di liquidazione del danno che postulano un mero calcolo matematico, con esclusione di ogni possibilitˆ di personalizzare il danno risarcibile; b. la seconda consisterebbe nella impossibilitˆ di risarcire - nonostante lĠesistenza di un appena accennato orientamento giurisprudenziale di segno opposto - il cosiddetto Òdanno moraleÓ, in quanto non previsto dallĠart. 139 cit. 7. Afferma il Giudice remittente che tali limiti al potere del giudice in materia di risarcimento dei danni derivanti da sinistri stradali potrebbero in- 104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 tegrare una discriminazione rispetto alla risarcibilitˆ di danni determinati da altre cause, suscettibile di violare le direttive comunitarie in materia di assicurazione per la responsabilitˆ civile da circolazione stradale (richiama, a tale proposito, le direttive72/166/CEE, 84/5/CEE, 90/232/CEE e 2009/103/CE). 8. A supporto di tale dubbio, con particolare riferimento al cd. danno morale, richiama un precedente reso dalla Corte EFTA nella causa E-8/07, nel quale si dichiara incompatibile con le direttive comunitarie succitate una legislazione nazionale che esclude dalla copertura assicurativa obbligatoria il risarcimento del danno non patrimoniale. 9. In conclusione, i dubbi che portano il remittente a richiedere lĠinterpretazione pregiudiziale della Corte risiedono Ònel mancato rispetto del principio di integrale risarcimento del danno alla saluteÓ (v. p. 19 riga 12), atteso che nel caso in cui si controverte di lesioni di lieve entitˆ alla salute determinate da circolazione stradale, lĠart. 139 del Codice delle Assicurazioni impone al giudice nazionale dei parametri fissi che limitano il suo potere equitativo e che escludono, inoltre, la risarcibilitˆ del cd. danno morale, mentre in ogni altro caso di danno alla salute, anche di lieve entitˆ, non causato dalla circolazione stradale, il Giudice pu˜ fare pieno ricorso ad un potere equitativo, che consentirebbe una liquidazione integrale del danno sofferto. IL CONTESTO NORMATIVO INTERNO E COMUNITARIO A) SUL RISARCIMENTO DEI DANNI NON PATRIMONIALI NEL DIRITTO INTERNO. 10. La risarcibilitˆ del danno non patrimoniale ha subito, in Italia, una lunga e complessa evoluzione normativa e giurisprudenziale. 11. Il risarcimento del danno non patrimoniale  previsto dall'art. 2059 del codice civile (rubricato "Danni non patrimoniali"), secondo cui: "il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge". All'epoca dell'emanazione del codice civile (1942) l'unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa nell'art. 185 del codice penale del 1930. 12. La tradizionale restrittiva lettura dell'art. 2059, in relazione all'art. 185 c.p., assicurava tutela risarcitoria soltanto al cd. danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell'animo transeunte determinati da fatto illecito costituente reato (interpretazione fondata sui lavori preparatori del codice del 1942 e largamente seguita dalla giurisprudenza). 13. La tutela risarcitoria del Òdanno biologicoÓ, formula con la quale si identifica l'ipotesi della lesione dell'interesse costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.) alla integritˆ psichica e fisica della persona, veniva invece somministrata in virt del collegamento tra l'art. 2043 codice civile (ÒRisar- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 105 cimento per fatto illecitoÓ: ÔQualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il dannoĠ) e l'art. 32 Cost. (ÒLa repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dellĠindividuo ...Ó). Tale costruzione trovava le sue radici (v. Corte cost., sent. n. 184/1986) nella esigenza di sottrarre il risarcimento del danno biologico (che  danno non patrimoniale) dal limite tradizionalmente posto dall'art. 2059 c.c., norma nel cui ambito avrebbe dovuto trovare collocazione, che lo confinava alle sole ipotesi di fatti costituenti reato. 14. Con le sentenze della Sezione III civile n. 8827 e n. 8828 del 31 maggio 2003 (cui ha fatto seguito, in senso conforme, la decisione della Corte Costituzionale n. 233/2003), la Corte di Cassazione ha profondamente rivisitato la materia, muovendo dallĠassunto secondo il quale nellĠordinamento assume posizione preminente la Costituzione che, all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo; di talchŽ il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona. 15. Tale conclusione trova sostegno nella progressiva evoluzione verificatasi nella disciplina di settore sia da un punto di vista legislativo che giurisprudenziale. 16. In particolare, nella legislazione successiva al codice civile, si rinviene un cospicuo ampliamento dei casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell'ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 della legge 13 aprile 1988 n. 117: risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti dalla privazione della libertˆ personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; art. 29, comma 9, della legge 31 dicembre 1996 n. 675: impiego di modalitˆ illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, comma 7, del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 89: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo). 17. Il sistema risarcitorio italiano  stato, quindi, definitivamente riordinato in termini bipolari, ripartito cio tra danno patrimoniale (risarcibile ex art. 2043 del codice civile e normative di settore) e danno non patrimoniale (risarcibile ex art. 2059 del codice civile e normative di settore). In particolare, le succitate decisioni hanno posto le basi per una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, senza distinzione tra specifiche figure di danno all'interno di tale generale categoria. 18. I suesposti orientamenti hanno poi trovato un assetto definitivo a seguito della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite dellĠ11 novembre 2008 n. 26972, confermati anche nelle pi recenti decisioni (v. Corte di Cassazione Civile n. 6930/2012, sez. III del 8 maggio 2012), con la quale la 106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Suprema Corte ha definitivamente superato la prassi dei giudici di merito di scomporre il danno non patrimoniale in danno biologico, danno morale e danno esistenziale (inteso quale pregiudizio alle attivitˆ non remunerative della persona), ed ha chiarito che: a. non  ammissibile nellĠordinamento italiano l'autonoma categoria di "danno esistenziale", atteso che ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti di reato, essi sono giˆ risarcibili ai sensi dellĠart. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore voce di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria; b. il riferimento alle varie voci di danno, comunque denominate, (danno morale, danno biologico, danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno; c.  compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, provvedendo alla integrale riparazione dei pregiudizi risarcibili; d. non sono meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti pi disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale: al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato  fonte di responsabilitˆ risarcitoria non patrimoniale; e. il pregiudizio della vita di relazione, allorchŽ dipenda da una lesione dell'integritˆ psicofisica della persona, costituisce uno dei possibili riflessi negativi della lesione dell'integritˆ fisica del quale il giudice deve tenere conto nella liquidazione del danno biologico, e non pu˜ essere fatta valere come distinta voce di danno. Al danno biologico va, infatti, riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva, confermata dalla definizione normativa adottata dal D. Lgs. 209/2005 (artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni), suscettibile di essere adottata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materiae in cui  stata dettata. In esso sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti agli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato; f. il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che  inammissibile, perchŽ costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 107 personali del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale. B) LĠART. 139 DEL CODICE DELLE ASSICURAZIONI. 19. Posta questa sintetica ricostruzione del sistema generale del danno non patrimoniale risarcibile nellĠordinamento italiano, assume particolare rilevanza, nella fattispecie, la norma di cui allĠart. 139 del Codice delle Assicurazioni, rubricata, come si  detto, ÒDanno biologico per lesioni di lieve entitˆÓ, la quale dispone testualmente: Ò1. Il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entitˆ, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti,  effettuato secondo i criteri e le misure seguenti: a) a titolo di danno biologico permanente,  liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al nove per cento un importo crescente in misura pi che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invaliditˆ; tale importo  calcolato in base all'applicazione a ciascun punto percentuale di invaliditˆ del relativo coefficiente secondo la correlazione esposta nel comma 6. L'importo cos“ determinato si riduce con il crescere dell'etˆ del soggetto in ragione dello zero virgola cinque per cento per ogni anno di etˆ a partire dall'undicesimo anno di etˆ. Il valore del primo punto  pari ad euro settecentocinquantanove virgola quattro (1); b) a titolo di danno biologico temporaneo,  liquidato un importo di euro quarantaquattro virgola ventotto (2) per ogni giorno di inabilitˆ assoluta; in caso di inabilitˆ temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilitˆ riconosciuta per ciascun giorno. 2. Agli effetti di cui al comma 1 per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integritˆ psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attivitˆ quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacitˆ di produrre reddito. In ogni caso, le lesioni di lieve entitˆ, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente. 3. L'ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 1 pu˜ es- (1) Importo cos“ determinato, allĠattualitˆ, dl DM 15 giugno 2012. (2) Importo cos“ determinato, allĠattualitˆ, dl DM 15 giugno 2012. 108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 sere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato. 4. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro della giustizia e con il Ministro delle attivitˆ produttive, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella delle menomazioni alla integritˆ psicofisica comprese tra uno e nove punti di invaliditˆ. 5. Gli importi indicati nel comma 1 sono aggiornati annualmente con decreto del Ministro delle attivitˆ produttive, in misura corrispondente alla variazione dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertata dall'ISTAT. 6. Ai fini del calcolo dell'importo di cui al comma 1, lettera a), per un punto percentuale di invaliditˆ pari a 1 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,0, per un punto percentuale di invaliditˆ pari a 2 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,1, per un punto percentuale di invaliditˆ pari a 3 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,2, per un punto percentuale di invaliditˆ pari a 4 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,3, per un punto percentuale di invaliditˆ pari a 5 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,5, per un punto percentuale di invaliditˆ pari a 6 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,7, per un punto percentuale di invaliditˆ pari a 7 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 1,9, per un punto percentuale di invaliditˆ pari a 8 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 2,1, per un punto percentuale di invaliditˆ pari a 9 si applica un coefficiente moltiplicatore pari a 2,3.Ó 20. Tale norma, tenendo conto delle indicazioni pervenute dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale successivamente confermata dalla Corte di Cassazione, ha sostanzialmente inglobato il danno esistenziale nel danno biologico quale sua componente soggettiva e variabile, stabilendo che Òper danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integritˆ psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attivitˆ quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacitˆ di produrre redditoÓ. 21. Come affermato dalla Suprema Corte in pi occasioni, il ricorso alla tabelle risponde anche ad esigenze di equitˆ, rivolte ad evitare differenze sostanziali tra liquidazioni di danni simili nello stesso Tribunale o in Tribunali di diverse parti del Paese. 22. Inoltre, il terzo comma della disposizione in esame stabilisce che lĠammontare del danno pu˜ essere aumentato dal giudice in misura non superiore a un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 109 C) LE DIRETTIVE EUROPEE IN MATERIA DI RISARCIMENTO DEL DANNO DERIVANTE DA CIRCOLAZIONE STRADALE DA PARTE DELLE IMPRESE DI ASSICURAZIONE. 23. LĠUnione europea si  occupata, in vari interventi, della materia del risarcimento del danno derivante da circolazione stradale da parte delle imprese di assicurazione. Il Giudice remittente richiama, in particolare, le direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 90/232/CEE e 2009/103/CE. Appare utile, ai fini dellĠesame della questione pregiudiziale, illustrare brevemente quale sia stata la ratio degli interventi comunitari ed il loro contenuto. 24. Con la prima direttiva (72/166/CEE), il Consiglio delle Comunitˆ Europee, al fine di garantire la libera circolazione delle merci e delle persone in vista della costruzione di un mercato comune, impone agli Stati membri di prevedere lĠobbligo di assicurazione della responsabilitˆ civile derivante dalla circolazione di autoveicoli con una copertura valida per il complesso del territorio comunitario. 25. Con la seconda direttiva (84/5/CEE), il Consiglio amplia lĠobbligo di copertura, imponendo lĠestensione dellĠassicurazione obbligatoria anche per i danni alle cose, oltre che alle persone, e prescrivendo che gli importi pagati dalle assicurazioni siano idonei a garantire alle vittime un indennizzo sufficiente (considerando 5 - Art. 1). Stabilisce, inoltre, lĠinefficacia di clausole che escludano dallĠassicurazione veicoli guidati da soggetti non autorizzati, non in possesso di una patente di guida o che non si fossero conformati a norme tecniche concernenti le condizioni o lĠutilizzo del veicolo (considerando 6 - Art. 2). Impone, altres“, lĠistituzione di un organismo che garantisca alle vittime un indennizzo anche se il veicolo che ha provocato il sinistro non sia assicurato o identificato (considerando 6 - Art. 1). 26. La terza direttiva (90/232/CEE), nellĠottica di garantire una maggiore tutela delle vittime da infortunio stradale, impone lĠobbligo di prevedere che le vittime di sinistri da circolazione stradale ricevano un trattamento comparabile indipendentemente dal luogo della comunitˆ ove il sinistro  avvenuto, e preclude la possibilitˆ che gli organismi che garantiscono alle vittime un indennizzo anche se il veicolo ha provocato il sinistro non  assicurato o identificato, intervengano solo in via sussidiaria. 27. Al panorama rappresentato dalle prime tre direttive, va aggiunto un cenno anche alla direttiva 2000/26/CE, non richiamata dal Giudice remittente, la quale, al fine di accordare una effettiva tutela agli assicurati, impone allo Stato membro nel quale lĠimpresa di assicurazione  autorizzata di esigere che la medesima impresa designi, per la liquidazione dei sinistri, dei mandatari residenti o stabiliti negli altri Stati membri, in modo da garantire la presenza di un interlocutore che rappresenti lĠimpresa di assicurazione nel paese di residenza della persona lesa. Nella stessa prospettiva, questa direttiva prevede lĠistituzione di centri dĠinformazione in grado di garantire una pronta disponibilitˆ dĠinformazioni concernenti lĠidentitˆ dellĠimpresa 110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 di assicurazione che copre la responsabilitˆ civile derivante dalla circolazione degli autoveicoli coinvolti in un incidente e i suoi mandatari, nonchŽ lĠidentitˆ del proprietario dellĠautoveicolo, del suo conducente abituale o dei soggetti che normalmente lo detengono. Inoltre, questa direttiva impone di istituire un organismo dĠindennizzo al quale la persona lesa possa rivolgersi nel caso in cui lĠimpresa di assicurazione non abbia designato un mandatario o frapponga ostacoli dilatori alla liquidazione del sinistro. 28.Viene, infine, in rilievo la direttiva 2009/103/CE, che  una direttiva di codificazione delle precedenti. Essa prevede, oltre ad una razionalizzazione delle disposizioni giˆ adottate, ulteriori norme tese a garantire lĠeffettivitˆ della tutela su tutto il territorio dellĠUnione. Questa direttiva impone agli Stati membri di garantire la copertura assicurativa almeno per determinati importi minimi (art. 9), che dovrebbero essere calcolati in modo Òda indennizzare totalmente ed equamente tutte le vittime che hanno riportato danni molto graviÓ (considerando 12), specificando che i danni alle persone sono qualificati come gravi conformemente alla legislazione dello Stato membro in cui  avvenuto lĠincidente (considerando 17) (enfasi aggiunta). 29. Ancora, questa direttiva chiarisce, al considerando 22, che ÒI danni alle persone e alle cose subiti da pedoni, ciclisti e altri utenti non motorizzati della strada che costituiscono di solito la parte pi debole in un sinistro dovrebbero essere coperti dall'assicurazione obbligatoria del veicolo coinvolto nel sinistro, se hanno diritto al risarcimento conformemente alla legislazione civile nazionale. Tale disposizione fa salva la responsabilitˆ civile o il livello del risarcimento per danni in uno specifico incidente secondo la legislazione nazionaleÓ. Questo considerando viene attuato con lĠart. 12, rubricato ÒCategorie specifiche di vittimeÓ a norma del quale Ò... l'assicurazione di cui all'articolo 3 copre la responsabilitˆ per i danni alla persona di qualsiasi passeggero, diverso dal conducente, derivanti dall'uso del veicolo. I membri della famiglia dell'assicurato, del conducente o di qualsiasi altra persona la cui responsabilitˆ civile sia sorta a causa di un sinistro e sia coperta dall'assicurazione di cui all'articolo 3 non possono essere esclusi, a motivo del legame di parentela, dal beneficio dell'assicurazione per quanto riguarda i danni alle persone. L'assicurazione di cui all'articolo 3 copre i danni alle persone e i danni alle cose subiti da pedoni, ciclisti e altri utenti non motorizzati della strada che, in conseguenza di un incidente nel quale sia stato coinvolto un veicolo, hanno diritto al risarcimento del danno conformemente alla legislazione civile nazionale. Il presente articolo lascia impregiudicata sia la responsabilitˆ civile sia l'importo dei danniÓ (enfasi aggiunta). CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 111 OSSERVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO PREMESSA 30. Con le presenti osservazioni il Governo italiano intende porre in rilievo che: a. la questione pregiudiziale sottoposta allĠattenzione della Corte  irricevibile perchŽ generica; b. il legislatore comunitario si  occupato della materia del risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale da parte delle imprese di assicurazione nellĠottica di garantire la libera circolazione delle merci e delle persone in un mercato comune, con particolare attenzione ai danni molto gravi, con la conseguenza che la materia della responsabilitˆ civile tout court e quella per i danni derivanti da lesioni di lieve entitˆ causati dalla circolazione stradale non  armonizzata ed , quindi, rimessa alla discrezionalitˆ del legislatore nazionale; c. la disciplina interna garantisce il raggiungimento dellĠeffetto utile delle direttive comunitarie in materia di assicurazione della responsabilitˆ civile derivante da circolazione stradale. A) IRRICEVIBILITË DELLA QUESTIONE PREGIUDIZIALE. 31. La questione pregiudiziale sollevata dal Giudice remittente  irricevibile, prima che infondata. Il Giudice remittente, infatti, non chiarisce perchŽ la richiesta interpretazione delle norme dellĠUnione, che peraltro individua in maniera del tutto generica, sarebbe utile per valutare la conformitˆ dellĠart. 139 del Codice delle Assicurazioni al diritto comunitario. 32. Il remittente richiama taluni considerando e taluni articoli delle direttive sopra analizzate; si tratta in particolare, delle seguenti disposizioni: a. In relazione alla direttiva 84/5/CEE: i. considerando 5 e 9, i quali danno rilievo, rispettivamente, al fatto che Ògli importi a concorrenza dei quali lĠassicurazione  obbligatoria devono consentire comunque di garantire alle vittime un indennizzo sufficiente, a prescindere dallo Stato membro nel quale il sinistro  avvenutoÓ e stabiliscono il principio secondo cui ҏ necessario accordare ai membri della famiglia dellĠassicurato, del conducente o di qualsiasi altro responsabile una protezione analoga a quella degli altri terzi vittime, comunque per quanto riguarda i danni alle personeÓ. ii. art. 1, a mente del quale ÒLĠassicurazione di cui allĠart. 3, paragrafo 1, della direttiva 72/166/CEE copre obbligatoriamente i danni alle cose e alle personeÓ. b. In relazione alla direttiva 90/232/CEE: i. considerando 5, secondo la quale Òin alcuni Stati membri esistono lacune nella copertura fornita dallĠassicurazione obbligatoria dei passeggeri di autoveicoli; che, per proteggere tale categoria parti- 112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 colarmente vulnerabile di vittime potenziali,  necessario colmare tali lacuneÓ. c. In relazione alla direttiva 2009/103/CEE: i. considerando 2, secondo il quale ÒAllo scopo di assicurare la dovuta protezione alle vittime di incidenti automobilistici, gli Stati membri non dovrebbero permettere alle imprese assicurative di opporre franchigie alla parte lesaÓ. ii. art. 2, secondo il quale ÒLĠassicurazione di cui al primo comma copre obbligatoriamente i danni alle cose e i danni alle personeÓ. iii. art. 5, che dispone che ÒOgni Stato membro pu˜ derogare alle disposizioni dell'articolo 3 per quanto concerne talune persone fisiche o giuridiche, pubbliche o private, il cui elenco  determinato da tale Stato e notificato agli altri Stati membri e alla CommissioneÓ. iv. art. 12 che testualmente recita: Ò1. Fatto salvo l'articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, l'assicurazione di cui all'articolo 3 copre la responsabilitˆ per i danni alla persona di qualsiasi passeggero, diverso dal conducente, derivanti dall'uso del veicolo. 2. I membri della famiglia dell'assicurato, del conducente o di qualsiasi altra persona la cui responsabilitˆ civile sia sorta a causa di un sinistro e sia coperta dall'assicurazione di cui all'articolo 3 non possono essere esclusi, a motivo del legame di parentela, dal beneficio dell'assicurazione per quanto riguarda i danni alle persone. 3. L'assicurazione di cui all'articolo 3 copre i danni alle persone e i danni alle cose subiti da pedoni, ciclisti e altri utenti non motorizzati della strada che, in conseguenza di un incidente nel quale sia stato coinvolto un veicolo, hanno diritto al risarcimento del danno conformemente alla legislazione civile nazionale. Il presente articolo lascia impregiudicata sia la responsabilitˆ civile sia l'importo dei danniÓ. 33. Afferma il Giudice remittente, che Òda tali disposizioni emerge il dubbio relativo alla possibilitˆ per le legislazioni nazionali di prevedere o meno un risarcimento del danno (ove derivi da sinistro stradale) inferiore a quello previsto nel medesimo ordinamento per ipotesi in cui la lesione derivi da causa diversa dal sinistro stradaleÓ. 34. Tuttavia, il Giudice remittente non illustra le ragioni per le quali le disposizioni sopra richiamate possono comportare il dubbio che il legislatore nazionale possa o meno disciplinare in modo specifico il risarcimento dei danni di lieve entitˆ derivanti da sinistro stradale. 35. Afferma ancora, in particolare: ÒIn sostanza la frase di chiusura dellĠart. 12 della direttiva 2009/103/CE (ÒIl presente articolo lascia impregiudicata sia la responsabilitˆ civile sia lĠimporto dei danniÓ) si presta a dubbi ermeneutici. Da un lato potrebbe essere interpretato nel senso che lo Stato CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 113 ha assoluta libertˆ di prevedere le regole della responsabilitˆ civile e della quantificazione dei danni. DallĠaltro potrebbe essere interpretato, specie se letto alla luce delle disposizioni comunitarie citate in precedenza, come una clausola di carattere generale ma vincolata, comunque, al principio di eguaglianza e non discriminazione, posto che le norme comunitarie mirano ad assicurare lĠeffettivo ristoro del danno cagionato a cose e persone, addirittura garantendo dei minimi in caso di sinistri gravi (problema diverso e che esula dalla presente controversia, trattandosi di limiti di assicurabilitˆ, e quindi dellĠoggetto del contratto, e non di limiti di risarcibilitˆ, come nel caso di specie) e prevedendo delle deroghe solo in casi esplicitamente previsti. Invero, pur non intervenendo direttamente sullĠoggetto del contratto (ad esempio attraverso franchigie o limitazioni dellĠoggetto assicurato), di fatto la legislazione interna italiana (art. 139 d.lgs. 209 del 2005) pone un limite di liquidazione in favore delle compagnie assicuratrici (che sono i soggetti obbligati ex lege a stipulare contratti per RC auto), prevedendo dei criteri quantificatori del danno non patrimoniale diversi e pi favorevoli rispetto a quelli generali vigenti nellĠordinamento nazionale, con esclusione di una parte di essi (danno morale) e con parametri di quantificazione vincolanti e personalizzabili entro strettissimi limiti (il 20% di quanto previsto dai predetti vincoli). 36. Anche questa argomentazione appare del tutto generica. Non appare affatto chiaro, difatti, secondo quale canone logico la disposizione richiamata dal giudice remittente, secondo cui ÒIl presente articolo lascia impregiudicata sia la responsabilitˆ civile sia lĠimporto dei danniÓ, possa prestarsi a dubbi ermeneutici di sorta. 37. In particolare, appare sfornita di ogni corredo argomentativo la supposizione che tale disposizione possa violare canoni di non discriminazione o di uguaglianza (di rilievo comunitario, evidentemente) alla luce delle altre disposizioni comunitarie richiamate dal Giudice remittente, che assolvono a funzione di regolamentazione di uno specifico settore dellĠordinamento, ovvero lĠassicurazione per la responsabilitˆ civile derivante da sinistro stradale. 38. Non ignora questa difesa che, nellĠambito della cooperazione tra la Corte ed i giudici nazionali stabilita dallĠart. 234 CE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui  stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilitˆ dellĠemananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessitˆ di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. 39. é pacifico, inoltre, che la Corte sia competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi dĠinterpretazione che possano consentirgli di valutare la compatibilitˆ di una normativa nazionale con il diritto 114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 comunitario ai fini della soluzione della causa della quale  investito. 40. Nella giurisprudenza di codesta Corte si trova, tuttavia, costantemente affermato che  indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni sulle ragioni della scelta delle norme comunitarie di cui chiede lĠinterpretazione e sul rapporto che egli ritiene esista fra tali disposizioni e il diritto nazionale applicabile alla controversia (v., tra le innumerevoli, le sentenze 19 aprile 2007, causa C-295/05, Asociaci—n Nacional de Empresas Forestales, punto 33; 9 novembre 2006, causa C-205/05, Nemec, punto 26 e le ordinanze 19 ottobre 2004, causa C-425/03, Regio, punto 9; 8 ottobre 2002, causa C-190/02, Viacom Outdoor, punto 16). 41. é necessario, inoltre, che questi elementi risultino giˆ dal provvedimento di rinvio perchŽ, diversamente, non si consentirebbe ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate di presentare, con cognizione di causa, osservazioni ai sensi dellĠart. 20 dello Statuto della Corte (v. ordinanze 14 giugno 2005, causa C-358/04, Caseificio Valdagnese, punto 9; 22 febbraio 2005, causa C-480/04, DĠAntonio, punto 6; 21 aprile 1999, cause riunite C-28/98 e C-29/98, Charreire, punto 9). 42. Ora, lĠordinanza di rinvio che ha incardinato la presente fase del procedimento non contiene, manifestamente, indicazioni che soddisfino i requisiti sopra ricordati. 43. AllĠinterno di una cornice cos“ confusa, sĠinserisce la formulazione di un quesito privo della necessaria specificitˆ e che impone a codesta Corte, oltre che alle parti, una ricognizione a tutto campo non solo dĠinteri settori del diritto comunitario, ma anche della normativa interna. 44. Ci˜ appare in contrasto con il principio costantemente affermato nella giurisprudenza di codesta Corte, secondo cui lo spirito di collaborazione che deve caratterizzare il funzionamento del rinvio pregiudiziale implica che il giudice nazionale tenga presente la funzione assegnata alla Corte, che  quella di contribuire allĠamministrazione della giustizia negli Stati membri, e non di esprimere pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche. In tali ipotesi, spetta alla Corte, sia pure in via di eccezione alla regola richiamata al precedente punto 38, esaminare le condizioni in presenza delle quali  adita dal giudice nazionale, al fine di verificare la propria competenza (v. inter alia sentenze 23 novembre 2006, causa C-238/05, Asnef- Equifax, punti 16 e 17; 14 settembre 2006, causa C-228/05, Stradasfalti, punti 46 e 47; 22 novembre 2005, causa C-144/04, Mangold, punto 36). B) SUL MERITO DELLA QUESTIONE PREGIUDIZIALE. 45. Le seguenti considerazioni sono formulate per la denegata ipotesi in cui codesta Corte, disattendendo le osservazione del Governo italiano formulate nei precedenti punti, ritenga non improcedibile la questione pregiudiziale sottoposta alla sua attenzione. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 115 B.1) SULLĠASSENZA DI ARMONIZZAZIONE DEI REGIMI DI RESPONSABILITË CIVILE DEGLI STATI MEMBRI. 46. Si  visto che la questione pregiudiziale posta dal giudice remittente  cos“ formulata: ÒSe, alla luce delle direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 90/232/CEE e 2009/103/CE che regolano l'assicurazione obbligatoria in materia di responsabilitˆ civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, sia consentito alla legislazione interna di uno Stato membro di prevedere - attraverso la quantificazione obbligatoria ex lege dei soli danni derivanti da sinistri stradali - una limitazione di fatto (sotto il profilo della quantificazione) della responsabilitˆ per danni non patrimoniali posti a carico dei soggetti (le compagnie assicuratrici) obbligati, ai sensi delle medesime direttive, a garantire l'assicurazione obbligatoria per i danni da circolazione dei veicoliÓ. 47. Tale Òlimitazione di fattoÓ rileverebbe, secondo il Giudice remittente, sotto due diversi profili che emergono dallĠart. 139 del Codice delle Assicurazioni: il primo consisterebbe nellĠobbligo di osservare dei parametri legislativi di liquidazione del danno che postulano un mero calcolo matematico, con esclusione di ogni possibilitˆ di personalizzare il danno risarcibile; il secondo nella impossibilitˆ di risarcire il cosiddetto Òdanno moraleÓ. 48. Infra si dimostrerˆ lĠinfondatezza di tali assunti sulla base del diritto interno. 49. Prima ancora, occorre rilevare che il Giudice remittente, nel porre la questione pregiudiziale relativa allĠasserita disparitˆ nella quantificazione del danno derivante da lesioni di lieve entitˆ causate dalla circolazione stradale rispetto a quello derivante da altre cause, sembra confondere lĠaspetto relativo alla conformitˆ della disciplina dettata dallĠart. 139 del Codice delle Assicurazioni al diritto comunitario, con una pi generale questione di equitˆ e paritˆ di trattamento che attiene solo al diritto interno ed esula dal diritto europeo armonizzato. 50. Ci˜ emerge con assoluta evidenza analizzando le disposizioni contenute nelle direttive che si occupano della materia, sopra brevemente descritte. 51. Nei vari interventi realizzati, lĠUnione europea si  occupata della materia del risarcimento del danno derivante da circolazione stradale da parte delle imprese di assicurazione nellĠottica di garantire la libera circolazione delle merci e delle persone in un mercato comune: per questa ragione lĠobiettivo principale  stato quello di far s“ che ogni legislazione nazionale degli Stati membri prevedesse lĠobbligo di assicurazione della responsabilitˆ civile derivante dalla circolazione di autoveicoli con una copertura valida ed efficace per il complesso del territorio comunitario. 52. Il legislatore comunitario ha, in questĠottica, progressivamente introdotto una serie di norme rivolte a raggiungere tale obiettivo. Tra queste, le principali consistono nellĠestensione dellĠassicurazione obbligatoria anche per i danni alle cose, nella previsione che gli importi pagati dalle assicurazioni siano idonei a garantire alle vittime un indennizzo sufficiente e 116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 corrispondano a degli importi minimi di copertura da calcolarsi in modo Òda indennizzare totalmente ed equamente tutte le vittime che hanno riportato danni molto graviÓ, specificando, peraltro, che i danni alle persone sono qualificati come gravi conformemente alla legislazione dello Stato membro in cui  avvenuto lĠincidente. 53. La legislazione nazionale, in ogni caso,  lasciata libera di determinare il livello del risarcimento per i danni risarcibili. 54. Obiettivo principale del legislatore comunitario  stato, in sostanza, quello di garantire che le vittime di sinistri da circolazione stradale su tutto il territorio dellĠUnione potessero ricevere un trattamento comparabile ed effettivo, indipendentemente dal luogo della comunitˆ ove il sinistro fosse avvenuto. 55. Una conferma del fatto che le direttive in esame non mirano ad armonizzare i regimi di responsabilitˆ civile degli Stati membri si rinviene in specifiche disposizioni delle direttive stesse, tra le quali lĠart. 1 bis della terza direttiva, riprese nellĠart. 12, n. 3, della direttiva 2009/103, che con riferimento ai danni subiti dagli utenti non motorizzati della strada, lascia gli Stati membri liberi di stabilire il regime di responsabilitˆ civile applicabile ai sinistri derivanti dalla circolazione dei veicoli. 56. La tesi qui sostenuta trova unĠesplicita conferma anche nel consolidato orientamento in materia di codesta Corte di Giustizia, cristallizzato anche con la sentenza resa nella causa C-409/09, nella quale si legge: Òoccorre anzitutto rammentare che dal preambolo della prima e della seconda direttiva emerge che queste ultime sono dirette, da un lato, a garantire la libera circolazione tanto dei veicoli stazionanti abitualmente nel territorio dellĠUnione europea quanto delle persone che vi si trovano a bordo e, dallĠaltro, a garantire che le vittime degli incidenti causati da tali veicoli beneficeranno di un trattamento paragonabile, indipendentemente dal luogo dellĠUnione in cui il sinistro  avvenuto (sentenze 28 marzo 1996, causa C.129/94, Ruiz Bern‡ldez, Racc. pag. I.1829, punto 13; 14 settembre 2000, causa C.348/98, Mendes Ferreira e Delgado Correia Ferreira, Racc. pag. I.6711, punto 24, nonchŽ 17 marzo 2011, causa C.484/09, Carvalho Ferreira Santos, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 24). La prima direttiva, come precisata e integrata dalla seconda e dalla terza direttiva, impone quindi agli Stati membri di garantire che la responsabilitˆ civile relativa alla circolazione dei veicoli che stazionano abitualmente nel loro territorio sia coperta da unĠassicurazione, e precisa in particolare i tipi di danni e i terzi danneggiati che tale assicurazione deve coprire (v. citate sentenze Mendes Ferreira e Delgado Correia Ferreira, punto 27, nonchŽ Carvalho Ferreira Santos, punto 27). Occorre tuttavia ricordare che lĠobbligo di copertura, da parte dellĠassicurazione della responsabilitˆ civile, dei danni causati da autoveicoli a soggetti terzi costituisce un aspetto distinto rispetto a quello dellĠampiezza del risarcimento a favore di tali terzi a titolo CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 117 della responsabilitˆ civile dellĠassicurato. Infatti, mentre il primo  definito e garantito dalla normativa dellĠUnione, la seconda  sostanzialmente disciplinata dal diritto nazionale (sentenza Carvalho Ferreira Santos, cit., punto 31 e la giurisprudenza ivi citata). Infatti, la Corte ha giˆ statuito che dallĠoggetto della prima, della seconda e della terza direttiva, nonchŽ dal loro tenore letterale, risulta che esse non mirano ad armonizzare i regimi di responsabilitˆ civile degli Stati membri e che, allo stato attuale del diritto dellĠUnione, questi ultimi restano liberi di stabilire il regime di responsabilitˆ civile applicabile ai sinistri derivanti dalla circolazione dei veicoli (sentenza Carvalho Ferreira Santos, cit., punto 32 e la giurisprudenza ivi citata). Tale analisi  corroborata, per quanto riguarda i danni subiti dagli utenti non motorizzati della strada, dalle prescrizioni dellĠart. 1 bis della terza direttiva, riprese nellĠart. 12, n. 3, della direttiva 2009/103. Tuttavia, gli Stati membri sono obbligati a garantire che la responsabilitˆ civile applicabile secondo il loro diritto nazionale sia coperta da unĠassicurazione conforme alle disposizioni delle tre direttive summenzionate (sentenze Mendes Ferreira e Delgado Correia Ferreira, cit., punto 29; 19 aprile 2007, causa C.356/05, Farrell, Racc. pag. I.3067, punto 33, nonchŽ Carvalho Ferreira Santos, cit., punto 34)Ó (enfasi aggiunta). 57. Dalla succitata giurisprudenza di codesta Corte di Giustizia, emerge chiaramente che le disposizioni italiane recate dallĠart. 139 del Codice delle Assicurazioni, nel disciplinare in modo specifico il tema della responsabilitˆ civile per danni derivanti da lesioni di lieve entitˆ causati dalla circolazione stradale, non violano alcuna disposizione della legislazione comunitaria, atteso che questĠultima, nellĠimporre una copertura assicurativa obbligatoria alle persone e alle cose, importi minimi di copertura, estensione della copertura alle cose e ai terzi trasportati, non armonizza le modalitˆ di quantificazione del danno che essa deve coprire. 58. Non solo: la direttiva 2009/103/CE, pure richiamata dal Giudice remittente, espressamente impone agli Stati membri di garantire la copertura assicurativa almeno per determinati importi minimi (art. 9), che dovrebbero essere calcolati in modo Òda indennizzare totalmente ed equamente tutte le vittime che hanno riportato danni molto graviÓ (considerando 12), specificando che i danni alle persone sono qualificati come gravi conformemente alla legislazione dello Stato membro in cui  avvenuto lĠincidente (considerando 17). 59. Nella fattispecie, le lesioni che vengono in rilievo, lungi dallĠessere ÒgraviÓ, sono proprio quelle di lieve entitˆ. 60. In questo contesto, il legislatore nazionale avrebbe addirittura potuto, senza per questo violare il diritto comunitario, non prevedere alcun obbligo assicurativo per danni Ònon molto graviÓ, quali sicuramente sono quelli che derivano da lesioni personali di lieve entitˆ. 118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 B.2) SULLA DISCIPLINA INTERNA DEL DANNO RISARCIBILE. 61. Questa difesa  ovviamente consapevole che le modalitˆ scelte dal legislatore nazionale sul risarcimento dei sinistri risultanti dalla circolazione stradale dei veicoli non possono privare le direttive in esame del loro effetto utile. 62. Per quanto riguarda la norma in esame, si pu˜ affermare con certezza che lĠart. 139 del Codice delle Assicurazioni non priva le direttive esaminate del loro effetto utile. DallĠesegesi della norma, appare, al contrario, evidente, che essa assicura un ristoro effettivo anche ai danni causati dalla circolazione stradale derivati da lesioni di lieve entitˆ. 63. Il Giudice remittente afferma che nel diritto vivente italiano il danno non patrimoniale si comporrebbe di tre distinte categorie: (i) Òdanno alla saluteÓ, che intende come lesione allĠintegritˆ psico-fisica, (ii) Òdanno moraleÓ, che intende come sofferenza morale patita a causa della lesione e (iii) danni residuali, che intende come, nellĠesempio che lo stesso porta, la lesione alle attivitˆ realizzatrici esulanti dallo standard dellĠuomo medio. 64. In realtˆ, come si  visto sopra (punti 10 e ss.), la materia del risarcimento del danno non patrimoniale ha trovato un definitivo inquadramento sistematico - in linea con le sentenze della Suprema Corte di Cassazione, Sezione III civile, n. 8827 e n. 8828 del 31 maggio 2003, a cui ha fatto seguito, in senso conforme, la decisione della Corte Costituzionale n. 233/2003 - con la sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite dellĠ11 novembre 2008 n. 26972. 65. Con questa importante decisione, che in virt della funzione nomofilattica della Suprema Corte assurge, nel diritto vivente italiano, a paradigma di future interpretazioni dei giudici di diritto interno, la Corte di Cassazione ha definitivamente superato la prassi dei giudici di merito di scomporre il danno non patrimoniale in danno biologico, danno morale e danno esistenziale, chiarendo che il riferimento a varie voci di danno, comunque denominate, (danno morale, danno biologico, danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale), pu˜ rispondere solo ad esigenze descrittive, che non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. 66. Conseguenza di questo importante principio,  che il pregiudizio della vita di relazione comunemente denominato Òdanno esistenzialeÓ cos“ come i turbamenti dĠanimo o sofferenze soggettive, comunemente denominati Òdanno moraleÓ, allorchŽ dipendano da una lesione dell'integritˆ psicofisica della persona, costituiscono solo alcuni dei possibili riflessi negativi della lesione dell'integritˆ fisica dei quale il giudice deve tenere conto nella liquidazione del danno biologico, e non possono essere fatti valere come distinte voci di danno. 67. Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce, quindi, una categoria ampia, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il ri- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 119 sarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. 68. Al danno biologico va, pertanto, riconosciuta una portata tendenzialmente omnicomprensiva, confermata dalla definizione normativa adottata dal D. Lgs. 209/2005 (artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni). 69. Ne consegue che  inammissibile, perchŽ costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali del risarcimento sia per il danno biologico, sia per danno esistenziale, sia per il danno morale, i quali costituiscono necessariamente - come si  detto - meri componenti del primo. 70. Da questi importanti e consolidati principi discende che il Giudice remittente erra nel ritenere che la liquidazione dei danni effettuata in applicazione dei criteri previsti dallĠart. 139 del Codice delle Assicurazioni non garantisca un integrale ristoro di tutte le sfaccettature (segnatamente, del danno morale) di cui si compone il danno non patrimoniale subito dalla vittima di un incidente stradale. 71. NŽ appare esatta lĠaffermazione dello stesso remittente, secondo cui il risarcimento dei danni liquidato ex art. 139 cit. non consente unĠefficace personalizzazione dei danni non patrimoniali conseguenza di una lesione di lieve entitˆ subita in occasione di un incidente stradale, diversamente da quanto accadrebbe per i danni scaturiti da altra causa, atteso che la stessa norma, al comma 3, consente al giudice di aumentare l'ammontare del danno biologico liquidato, in una misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato. 72. UnĠultima considerazione va spesa, per completezza di trattazione, sullĠassunto del Giudice remittente secondo il quale le ÒtabelleÓ previste dallĠart. 139, ai fini del calcolo del risarcimento dei danni da circolazione stradale procurati da lesioni di lieve entitˆ, garantirebbero un risarcimento inferiore rispetto a quello calcolabile secondo le tabelle ordinariamente in uso per lesioni derivanti da cause diverse dalla circolazione stradale. 73. LĠassunto in questione, oltre che generico, non sembra tenere conto del fatto che le tabelle in uso presso i vari tribunali - che non hanno valore normativo ma di mera prassi non avente valore vincolante - recano valori tra loro difformi, tanto che la Suprema Corte di Cassazione ha sottolineato come tali differenze possano comportare una violazione del principio di equitˆ, principio che, invece, sarebbe garantito dallĠadozione di una tabella unica, che potrebbe essere proprio quella di cui allĠart. 139 del Codice delle Assicurazioni (Corte di Cassazione a Sezioni Unite dellĠ11 novembre 2008 n. 26972). Da questo punto di vista, non vi  dubbio che i parametri normativi di cui allĠart. 139 cit., essendo uniformemente applicabili in virt del loro valore normativo, garantiscono un trattamento risarcitorio equo alle vittime di incidenti stradali. 120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 CONCLUSIONI 74. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce alla Corte di dichiarare irricevibile il quesito pregiudiziale. 75. In subordine, il Governo italiano suggerisce di rispondere come segue al quesito sottoposto al suo esame Òalla luce delle direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 90/232/CEE e 2009/103/CE che regolano l'assicurazione obbligatoria in materia di responsabilitˆ civile derivante dalla circolazione di autoveicoli,  consentito alla legislazione interna di uno Stato membro di prevedere - attraverso la quantificazione obbligatoria ex lege dei danni derivanti da lesioni di lieve entitˆ causati da sinistri stradali - una disciplina puntuale (sotto il profilo della quantificazione) della responsabilitˆ per danni non patrimoniali posti a carico dei soggetti (le compagnie assicuratrici) obbligati, ai sensi delle medesime direttive, a garantire l'assicurazione obbligatoria per i danni da circolazione dei veicoliÓ. Roma, 22 novembre 2012 Massimo Santoro Avvocato dello Stato Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Stefano Varone, AL 38165/12) in relazione alla causa C-409/12 avente ad oggetto domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dellĠart. 267 TFUE, dal ÒOberster Patent und MarkensenatÓ (Austria) e notificata allĠavvocatura in data 5 ottobre 2012. Materia: Ravvicinamento delle legislazioni SOMMARIO: 1.Le questioni pregiudiziali proposte 2.La normativa europea 3.La normativa austriaca oggetto dei quesiti pregiudiziali 4. Sulla prima questione pregiudiziale 5. Sulla seconda questione pregiudiziale 6. Sulla terza questione pregiudiziale 7. Conclusioni 1. LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI PROPOSTE LĠOberster Patent und Markensenat in data 6 settembre 2012 depositava CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 121 ordinanza contenente domanda di pronuncia pregiudiziale, chiedendo a codesta Corte di rispondere ai seguenti quesiti: 1) ÒSe un marchio sia divenuto una Ôgenerica denominazione commerciale di un prodotto o servizioĠ ai sensi dellĠarticolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE (direttiva sui marchi) quando: a. i commercianti sono consapevoli che si tratta di unĠindicazione di origine, ma di norma non lo rivelano ai consumatori finali e b. i consumatori finali (anche) per tale motivo non percepiscono pi il marchio come indicazione di origine, bens“ come generica denominazione commerciale di prodotti o servizi per i quali il marchio  registrato. 2) Se una inattivitˆ ai sensi dellĠarticolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2009/95/CE possa essere riscontrata giˆ per il fatto che il titolare del marchio non interviene benchŽ i commercianti non indichino alla clientela che si tratta di un marchio registrato. 3) Se un marchio che, per il fatto dellĠattivitˆ o inattivitˆ del suo titolare,  divenuto per i consumatori finali, ma non nel settore commerciale, una generica denominazione commerciale, debba essere dichiarato decaduto quando, e anche soltanto quando, i consumatori finali, in mancanza di alternative equivalenti, devono servirsi di tale denominazioneÓ. Il Giudice del rinvio ha chiesto dunque a codesta Corte di pronunciarsi in merito alla corretta interpretazione e allĠindividuazione dellĠambito applicativo dellĠart. 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE, contenente la disciplina uniforme in materia di marchi. Nello specifico, lĠOberster Patent solleva il problema dei requisiti per la configurabilitˆ in concreto del fenomeno della Òvolgarizzazione del marchioÓ nella condizione in cui un determinato prodotto arrivi al consumatore finale passando attraverso un processo di lavorazione ad opera di soggetti che si pongono come intermediari tra il produttore del bene identificabile con il marchio e, appunto, gli utilizzatori finali. In particolare, il primo quesito, riguarda lĠapplicabilitˆ dellĠart. 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE (e dunque il verificarsi della ÒtrasformazioneÓ di un marchio in Ògenerica denominazione commerciale di un prodotto o servizioÓ) allĠipotesi in cui nel processo di commercializzazione di un prodotto i) solo i commercianti-intermediari, i quali acquistano dal titolare del marchio il prodotto del quale si servono e sottopongono a lavorazione prima di distribuirlo tra i consumatori finali, siano consapevoli che il ÒnomeÓ dello stesso costituisca unĠindicazione di origine e dunque un marchio del quale  titolare il produttore dal quale si sono forniti; e ii) al contempo, gli utilizzatori finali, anche a causa del comportamento reticente dei commercianti (i quali nella normalitˆ dei casi preferiscono tacere di aver acquistato presso terzi il prodotto da essi lavorato e dunque non rivelano che il ÒnomeÓ del prodotto si identifica con un marchio identificativo 122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 dellĠorigine dello stesso), sono in larghissima parte allĠoscuro della circostanza che la denominazione del prodotto acquistato tragga ragione dallĠesistenza di un marchio, ritenendo piuttosto che il medesimo nomen costituisca una denominazione volgare del bene consumato. Il secondo quesito riguarda la corretta interpretazione del termine ÒinattivitˆÓ ai sensi dellĠart. 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE, e dunque, in particolare, la possibilitˆ di ritenere che il comportamento del titolare di un marchio consistente nel non intervenire in alcun modo nonostante i commercianti (intermediari nel processo di commercializzazione) non indichino alla clientela che si tratta di un marchio registrato, configuri quel tipo di inattivitˆ che la direttiva considera idonea a determinare il fenomeno della volgarizzazione del marchio, e dunque la decadenza dello stesso. Il terzo quesito ha ad oggetto la comprensione del ruolo che debba essere attribuito alla circostanza in cui manchino denominazioni alternative equivalenti a quella del marchio registrato, e, dunque, la riconducibilitˆ di tale mancanza allĠarticolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE. 2. LA NORMATIVA EUROPEA La materia oggetto delle presenti questioni pregiudiziali  disciplinata dalla direttiva 2009/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008. Tale normativa  diretta ad armonizzare le legislazioni nazionali sui marchi dĠimpresa e sostituisce, senza apportarvi sostanziali modifiche, la direttiva del Consiglio 89/104/CEE del 21 dicembre 1988, come modificata da una decisione del Consiglio del 1992. In particolare, codesta Corte  stata chiamata a risolvere tre questioni relative ad uno dei ÒMotivi di decadenzaÓ previsti dallĠart. 12 della predetta direttiva. Tale disposizione, al paragrafo 1, stabilisce che Òil marchio di impresa  suscettibile di decadenza se entro un periodo ininterrotto di cinque anni esso non ha formato oggetto di uso effettivo nello Stato membro interessato per i prodotti o servizi per i quali  stato registrato e se non sussistono motivi legittimi per il suo mancato uso (É)Ó. Al paragrafo 2, che Òfatto salvo il paragrafo 1, il marchio dĠimpresa  suscettibile inoltre di decadenza qualora, dopo la data di registrazione: a) sia divenuto, per il fatto dellĠattivitˆ o inattivitˆ del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale  registrato; b) sia idoneo a indurre in errore il pubblico, in particolare circa la natura, la qualitˆ o la provenienza geografica dei suddetti prodotti o servizi, a causa dellĠuso che ne viene fatto dal titolare del marchio di impresa o con il suo consenso per i prodotti o servizi per i quali  registratoÓ. Dunque, lĠarticolo 12 prevede tre motivi di decadenza del marchio. In primo luogo, al paragrafo 1, per mancato uso dello stesso nei cinque anni successivi alla registrazione, in secondo luogo, al paragrafo 2, lettera a), CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 123 per ÒvolgarizzazioneÓ, in terzo luogo, al paragrafo 2, lettera b), qualora a causa del cattivo uso che ne viene fatto dal titolare, o comunque con il consenso di questĠultimo, sia idoneo a ingenerare nel pubblico seri dubbi circa la natura, la qualitˆ o la provenienza dei prodotti. La presente domanda pregiudiziale riguarda il secondo motivo di decadenza, ovvero la ÒvolgarizzazioneÓ del marchio, che si verifica proprio quando il marchio non sia pi percepito dallĠambiente di destinazione del prodotto come un elemento indicativo della provenienza del prodotto stesso da una determinata impresa, bens“ come Ògenerica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale  registratoÓ. Dunque, in sostanza, quando il marchio perde la propria capacitˆ tipica, ovvero quella di indicare la ÒprovenienzaÓ del prodotto, divenendo il nomen volgare che identifica sotto il profilo commerciale un tipo di prodotto o servizio, il legislatore considera il marchio stesso decaduto. Inoltre, la lettera della norma attribuisce esplicitamente rilevanza alla condotta (tanto attiva quanto omissiva) del titolare alla quale  ricondotto causalmente lĠevento ÒvolgarizzazioneÓ del marchio (Òper il fatto dellĠattivitˆ o inattivitˆ del suo titolareÓ). 3. LA NORMATIVA AUSTRIACA Il giˆ analizzato art. 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE,  stato attuato in Austria con lĠarticolo 33b della legge in materia di marchi (MSchG). Ai sensi di tale norma, come specificato dal Giudice remittente, Ò(1) Chiunque pu˜ chiedere la cancellazione di un marchio, qualora, dopo la data di registrazione, sia divenuto, per il fatto dellĠattivitˆ o inattivitˆ del suo titolare, la generica denominazione commerciale, di un prodotto o servizio per il quale  registrato. Ó(2) La dichiarazione di decadenza opera retroattivamente sino al momento in cui  stato dimostrato il compimento della trasformazione del marchio in denominazione generica (segno comune)Ó. Dal confronto tra lĠarticolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE e lĠarticolo 33b, paragrafo 1, della legge austriaca in materia di marchi (MSchG), emerge che la disposizione di attuazione ricalca sostanzialmente il contenuto di quella comunitaria (1). (1) Alla medesima conclusione si pu˜ giungere allĠesito della comparazione tra la disposizione comunitaria in esame e la corrispondente (di attuazione) nellĠordinamento italiano. Infatti, ai sensi dellĠart. 13, ultimo comma, del Codice della proprietˆ industriale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30): ÒIl marchio decade se, per il fatto dellĠattivitˆ o dellĠinattivitˆ del suo titolare, sia divenuto nel commercio denominazione generica del prodotto o servizio o abbia comunque perduto la sua capacitˆ distintivaÓ. 124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 4. SULLA PRIMA QUESTIONE PREGIUDIZIALE ÒSe un marchio sia divenuto una Ôgenerica denominazione commerciale di un prodotto o servizioĠ ai sensi dellĠarticolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE (direttiva sui marchi) quando a. i commercianti sono consapevoli che si tratta di unĠindicazione di origine, ma di norma non lo rilevano ai consumatori finali e b. i consumatori finali (anche) per tale motivo non percepiscono pi il marchio come indicazione di origine, bens“ come generica denominazione commerciale di prodotti o servizi per i quali il marchio  registratoÓ. Come evidenziato, il primo quesito, ha ad oggetto lĠapplicabilitˆ dellĠart. 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE (e dunque il verificarsi della ÒtrasformazioneÓ di un marchio in Ògenerica denominazione commerciale di un prodotto o servizioÓ ) allĠipotesi in cui nel processo di commercializzazione di un prodotto i) solo i commercianti-intermediari, i quali acquistano dal titolare del marchio il prodotto del quale si servono e sottopongono a lavorazione prima di diffonderlo tra i consumatori finali, siano consapevoli che il ÒnomeÓ dello stesso costituisca unĠindicazione di origine e dunque un marchio del quale  titolare il produttore dal quale si sono forniti; e ii) al contempo, gli utilizzatori finali, anche a causa del comportamento reticente dei commercianti (i quali nella normalitˆ dei casi preferiscono tacere di aver acquistato presso terzi il prodotto da essi lavorato e dunque non rivelano che il ÒnomeÓ del prodotto si identifica con un marchio identificativo dellĠorigine dello stesso), sono in larghissima parte allĠoscuro della circostanza che la denominazione del prodotto acquistato tragga ragione dallĠesistenza di un marchio, ritenendo piuttosto che il medesimo nomen costituisca una denominazione volgare del bene consumato. Ritiene il Governo Italiano che la risposta al quesito debba essere affermativa. Preliminarmente  utile considerare le circostanze di fatto alla base della controversia sottoposta alla cognizione del giudice remittente, in quanto tali elementi fattuali sono essenziali ai fini di una corretta interpretazione e delimitazione dellĠambito applicativo della norma oggetto della presente domanda pregiudiziale. Il Tribunale rimettente, prima di entrare nel merito dei quesiti, effettua una precisazione essenziale, rilevando che nel caso di specie il marchio  stato registrato per prodotti che vengono commercializzati o comunque possono essere commercializzati in mercati diversi. Da un lato, si tratta di prodotti grezzi e intermedi, i cui utilizzatori sono prevalentemente fornai e commercianti di generi alimentari, i quali (tanto i fornai quanto i commercianti) sono ancora ben consapevoli del fatto che la denominazione in questione rappresenta unĠindicazione della provenienza da una determinata impresa. DallĠaltro, si tratta di prodotti finiti, i cui utilizzatori sono i consumatori finali, CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 125 i quali (dallĠistruttoria compiuta durante il procedimento) sono in larga parte ignari del fatto che la denominazione in questione rappresenta un marchio, ritenendo invece che sia la denominazione generica del prodotto acquistato. Tali fatti sono rilevanti nel presente giudizio in quanto fanno emergere che in concreto vi  la possibilitˆ che uno stesso marchio sia registrato per prodotti diversi e (come nel caso in esame) destinati a mercati tra loro ben distinti, in quanto le categorie di soggetti che determinano la domanda dei rispettivi prodotti sono diverse. In un primo caso, per i prodotti ÒgrezziÓ o ÒintermediÓ, il titolare del marchio intraprende rapporti commerciali con fornai e commercianti; nellĠaltro, per i prodotti ÒfinitiÓ, gli utilizzatori vanno identificati con i consumatori finali. Nel primo caso, il titolare del marchio vende ÒdirettamenteÓ i propri prodotti grezzi o intermedi a fornai e commercianti, i quali, in ragione di tale rapporto diretto con il produttore, sono a perfetta conoscenza del fatto che la denominazione del prodotto acquistato rappresenta lĠindicazione della provenienza degli stessi da una specifica impresa. Al contrario, nel secondo caso, i consumatori finali non hanno alcun rapporto diretto con il titolare del marchio, in quanto acquistano il prodotto finito da fornai o commercianti, ovvero coloro i quali costituiscono la domanda nellĠambito del diverso mercato dei prodotti grezzi o intermedi. Dunque, si pu˜ affermare che in relazione al mercato nel quale si collocano i prodotti finiti, il rapporto tra il produttore e i consumatori finali  solo ÒindirettoÓ, ovvero mediato dallĠintervento di quei soggetti che nel Òmercato a monteÓ sono, al contrario, direttamente coinvolti in rapporti commerciali con il produttore. Orbene, correttamente, il giudice remittente tiene separate le due questioni. I) Quella inerente ai prodotti grezzi o intermedi in relazione alla quale non vi  motivo di ritenere che si sia configurato il fenomeno della volgarizzazione, in quanto nel mercato si verifica un rapporto diretto e costante tra il titolare del marchio e i soggetti acquirenti dei prodotti grezzi e intermedi i quali non possono che essere consapevoli che il nome del prodotto sia un marchio e dunque rappresenti la provenienza degli stessi; II) quella, oggetto della presente domanda pregiudiziale, relativa alla presunta avvenuta volgarizzazione del marchio con riferimento ai prodotti finiti, i quali si inseriscono in un mercato diverso rispetto a quello dei prodotti intermedi. Una volta rilevata la possibilitˆ che un marchio si riferisca a prodotti tra loro differenti e destinati a mercati altrettanto separati,  opportuno considerare il tenore letterale della normativa comunitaria, alla luce dellĠorientamento espresso in passato da codesta Corte relativamente a fattispecie essenzialmente analoghe, in modo tale da accertare quale sia la ratio della stessa e di conseguenza individuare la disciplina applicabile allĠipotesi in questione. 126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Codesta Corte, nella sentenza C-371/02, ha dĠaltronde giˆ analizzato la tematica. La domanda pregiudiziale allora proposta dal giudice remittente era la seguente: ÒNel caso in cui un prodotto passi attraverso varie fasi di commercializzazione prima di raggiungere il consumatore, quali siano, ai fini dellĠapplicazione dellĠart. 12, n. 2, let. a), della direttiva sui marchi, gli ambienti rilevanti per valutare se un marchio sia diventato la generica denominazione commerciale di un prodotto per il quale  registratoÓ. I passaggi rilevanti ai fini della presente questione sono quelli dal punto 20 al punto 24 che di seguito si riportano: Ò20. La funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore o allĠutilizzatore finale lĠidentitˆ di origine del prodotto o del servizio contrassegnato, consentendogli di distinguere senza confusione possibile tale prodotto o servizio da quelli di provenienza diversa. Per poter svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza leale che il Trattato CE intende istituire, esso deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne siano contrassegnati sono stati fabbricati sotto il controllo di unĠunica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilitˆ della loro qualitˆ. 21. Il legislatore comunitario ha consacrato tale funzione essenziale del marchio disponendo, allĠart. 2 della direttiva, che i segni riproducibili graficamente possono costituire un marchio a condizione chĠessi siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di unĠimpresa da quelli di altre imprese. 22. Da tale condizione vengono poi tratte talune conclusioni, in particolare agli artt. 3 e 12 della direttiva. Mentre lĠart. 3 elenca i casi in cui il marchio non  idoneo, ab initio, a svolgere la funzione di indicazione di origine, lĠart. 12, n. 2, let. a), indica il caso in cui il marchio non  pi atto ad adempiere tale funzione. 23. Orbene, se la funzione di indicazione di origine propria del marchio  essenziale, innanzi tutto, per il consumatore o lĠutilizzatore finale, essa  parimenti importante per gli intermediari che intervengono nella commercializzazione del prodotto. Infatti, cos“ come per i consumatori, o gli utilizzatori finali, essa contribuirˆ a determinare il loro comportamento sul mercato. 24. In generale, la percezione dellĠambiente dei consumatori o degli utilizzatori finali ha un ruolo determinante. Infatti, lĠintero processo di commercializzazione ha come obiettivo lĠacquisto del prodotto da parte di tale ambiente ed il ruolo degli intermediari consiste tanto nellĠindividuare e nellĠanticipare la domanda di tale prodotto quanto nellĠamplificarla o nellĠorientarla. 25. Cos“, negli ambienti di riferimento rientrano innanzi tutto i consumatori e gli utilizzatori finali. Tuttavia, a seconda delle caratteristiche del mercato del prodotto interessato, occorre anche tenere conto dellĠinfluenza degli intermediari sulle decisioni di acquisto e, quindi, della loro percezione del marchio. 26. Occorre pertanto rispondere alla questione pregiudiziale sottoposta alla Corte dichiarando che lĠart. 12, n. 2, lett. a), della direttiva CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 127 deve essere interpretato nel senso che, nel caso in cui intervengano intermediari nella distribuzione al consumatore o allĠutilizzatore finale di un prodotto coperto da una marchio registrato, gli ambienti rilevanti per valutare se il detto marchio sia diventato la comune denominazione commerciale del prodotto in questione sono costituiti dallĠinsieme dei consumatori o degli utilizzatori finali e, a seconda delle caratteristiche del mercato del prodotto interessato, dallĠinsieme degli operatori professionali che intervengono nella commercializzazione di questĠultimoÓ. Orbene, il principio dettato da codesta Corte nella decisione C-371/02 pu˜ essere riassunto nel modo seguente: poichŽ lĠintero processo di commercializzazione ha come obiettivo lĠacquisto del prodotto da parte dei consumatori-utilizzatori finali, la percezione di tale ambiente assume un ruolo preminente. Tuttavia, a seconda delle caratteristiche del mercato del prodotto interessato, occorre in talune circostanze tenere altres“ conto dellĠinfluenza degli intermediari sulle decisioni di acquisto effettuate dai consumatori finali, nella misura in cui il ruolo dei primi sia tale da individuare e anticipare la domanda di tale prodotto, ovvero da amplificarla o orientarla e dunque, in sostanza, tale da incidere sulla percezione e decisione di acquisto dei consumatori finali. Tale conclusione risulta assolutamente coerente con la volontˆ del legislatore comunitario, il quale, nel dettare la disciplina del fenomeno della volgarizzazione del marchio come una delle cause che determinano la decadenza dello stesso, stabilisce Òun nesso di causalitˆÓ tra il risultato che configura la volgarizzazione (Òil marchio di impresa  suscettibile inoltre di decadenza qualora (É) sia divenuto (É) la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale  registratoÓ ) e il comportamento attivo o lĠinerzia del titolare del marchio stesso (Òper il fatto dellĠattivitˆ o inattivitˆ del suo titolareÓ). Non vi  ragione di negare che la norma sia applicabile anche alle ipotesi in cui tra il titolare del marchio e il consumatore finale non vi sia un rapporto diretto, bens“, come nel caso di specie, mediato dallĠintervento di soggetti intermediari, a loro volta utilizzatori del prodotto grezzo o intermedio nel Òmercato di livello superioreÓ. Infatti, il legislatore comunitario, attribuendo rilevanza giuridica allĠinerzia del titolare ai fini della decadenza del marchio, riconosce al medesimo la possibilitˆ di attivarsi e dunque evitare che si verifichi la volgarizzazione del marchio, anche qualora vi sia lĠinterposizione di un mercato intermedio tra di esso e il consumatore finale, agendo direttamente o indirettamente sulla percezione dellĠambiente che assume rilevanza determinante ai fini della norma in esame. Il produttore, infatti, avrebbe potuto imporre ai commercianti o ai fornai di comunicare ai consumatori che il nome del prodotto costituiva un marchio e non una generica denominazione del prodotto, e cos“ facendo avrebbe posto in essere 128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 unĠattivitˆ giuridicamente rilevante e tale da impedire la decadenza del marchio del quale  titolare. Dunque, nellĠipotesi in esame, il titolare del marchio non risulta privo di tutela, in quanto egli  messo nelle condizioni di porre rimedio in modo diretto al processo di volgarizzazione in atto. Anche per tale motivo  ragionevole attribuire rilevanza (quasi) esclusiva alla percezione dei consumatori- utilizzatori finali. Pertanto, nellĠapplicare il principio (cos“ interpretato) espresso da codesta Corte alla fattispecie in esame (precisando nuovamente che il marchio  stato registrato per prodotti diversi, destinati a mercati distinti), e dunque in relazione al marchio registrato per il prodotto finale (oggetto della presente questione) bisogna dunque indirizzare lĠanalisi verso due quesiti: i) preliminarmente e in via principale, se nellĠambiente dei consumatoriutilizzatori finali vi sia la percezione che il marchio sia divenuto la generica denominazione commerciale del prodotto; ii) in via subordinata, se il mercato del prodotto interessato abbia delle caratteristiche tali da rendere altres“ rilevante la percezione dellĠinsieme degli operatori professionali che intervengono nella commercializzazione del prodotto. Nel caso di specie, i)  stato accertato che i consumatori finali non percepiscono pi il marchio come indicazione di origine, bens“ come generica denominazione commerciale dei prodotti per i quali  registrato; ii) la diversa percezione dei fornai e dei commercianti non assume rilevanza rispetto al marchio registrato per i prodotti finali in quanto la consapevolezza degli stessi che il termine ÒKornspritzÓ non identifichi il nome del prodotto finito, ma indichi il marchio, non incide sulla percezione e decisione di acquisto dei consumatori finali, la quale , secondo codesta Corte, fattore dirimente. Pertanto, il marchio ÒKornspritzÓ dovrebbe essere dichiarato decaduto dal giudice remittente in relazione ai prodotti finiti. 5. SULLA SECONDA QUESTIONE PREGIUDIZIALE ÒSe una inattivitˆ ai sensi dellĠarticolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE possa essere riscontrata giˆ per il fatto che il titolare del marchio non interviene benchŽ i commercianti non indichino alla clientela che si tratta di un marchio registratoÓ. Come sopra rilevato, il secondo quesito riguarda la corretta interpretazione del termine ÒinattivitˆÓ ai sensi dellĠart. 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE, e dunque, in particolare, la possibilitˆ di ritenere che il comportamento del titolare di un marchio consistente nel non intervenire in alcun modo nonostante i commercianti (intermediari nel processo di commercializzazione) non indichino alla clientela che si tratta di un marchio registrato, configuri quel tipo di inattivitˆ che la direttiva CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 129 considera idonea a determinare il fenomeno della volgarizzazione del marchio, e dunque la decadenza dello stesso. Ritiene il Governo italiano che la risposta a tale secondo quesito pregiudiziale debba essere affermativa. Nel caso di specie, la questione ha ad oggetto un comportamento inerte del produttore. Tuttavia, tale inerzia non rientra in quelle inattivitˆ consistenti nella non opposizione da parte del titolare del marchio alle ingerenze da parte di terzi sul suo diritto al marchio, alle quali codesta Corte ha giˆ attribuito rilevanza, (v. C-145/05, Levi Strauss & Co / Casucci S.p.A., punto 34 (2)). Le argomentazioni a fondamento della risposta affermativa a tale seconda domanda sono le seguenti. In prima battuta, il tenore letterale della norma. Infatti, come giˆ rilevato, il legislatore comunitario attribuisce rilevanza, in modo esplicito, alla condotta del titolare del marchio, evidenziando la sussistenza di un rapporto di causalitˆ (necessario) tra lĠattivitˆ o lĠinattivitˆ del produttore e la percezione che lĠambiente di destinazione del prodotto ha di questĠultimo (se un marchio Òper il fatto dellĠattivitˆ o inattivitˆ del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale  registratoÓ ). Da tale impostazione di causalitˆ ÒnecessariaÓ, si pu˜ evincere a contrario che lĠart. 12 della direttiva 2008/95/CE attribuisce un potere di intervento al titolare del marchio, il quale  messo nelle condizioni di causare in modo attivo o ÒtollerareÓ in modo passivo la trasformazione del marchio in designazione generica. In ogni caso, dunque, al produttore  riconosciuto un ruolo determinante nel processo causale che porta allĠevento volgarizzazione. Egli pu˜ causarlo da solo, ovvero pu˜ contribuire attivamente, ovvero determinarsi a non agire, nella consapevolezza che si  avviato un processo che potrebbe comportare la decadenza del marchio, e nellĠambito del quale egli ha (quantomeno in linea teorica) sempre il potere di incidere in modo determinante. Sulla base dello stesso tenore della norma, la quale non tipizza i comportamenti attivi o passivi rilevanti,  lecito concludere che il legislatore non abbia ritenuto che solo alcuni comportamenti siano da considerarsi rilevanti. Al contrario, il carattere generico della disposizione suggerisce che qualunque comportamento inattivo del titolare del marchio sia da considerarsi rilevante nella misura in cui abbia causato o contribuito a causare in maniera pi o meno rilevante la trasformazione del marchio in designazione generica. (2) Di seguito il punto 34 della sentenza relativa alla causa C-145/05: ÒUnĠinattivitˆ siffatta pu˜ anche corrispondere allĠomesso ricorso in tempo utile, da parte del titolare di un marchio (É) al fine di chiedere allĠautoritˆ competente di vietare ai terzi interessati di usare il segno per cui sussiste un rischio di confusione con codesto marchio, poichŽ una siffatta domanda ha precisamente lĠoggetto di preservare la capacitˆ distintiva del suddetto marchioÓ. 130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 In secondo luogo, tali conclusioni sono coerenti con lĠorientamento espresso da codesta Corte nella sentenza sopra citata (C-145/05), e, in particolare, con quanto da questĠultima affermato al punto 34 della pronuncia. Il punto 34 stabilisce che ÒUnĠinattivitˆ siffatta pu˜ anche corrispondere allĠomesso ricorso in tempo utile, da parte del titolare di un marchio (...) al fine di chiedere allĠautoritˆ competente di vietare ai terzi interessati di usare il segno per cui sussiste un rischio di confusione con codesto marchio, poichŽ una siffatta domanda ha precisamente lĠoggetto di preservare la capacitˆ distintiva del suddetto marchioÓ. Dunque, al di lˆ della circostanza meramente fattuale per cui codesta Corte nel caso di specie ha riconosciuto rilevanza alla mancata opposizione del titolare alla fruizione da parte di terzi del proprio marchio, ci˜ che  stato in realtˆ sancito da codesta pronuncia e che  suscettibile di espansione oltre lĠipotesi di fatto in quella occasione analizzata,  che lĠinattivitˆ del produttore  rilevante nella misura in cui esso avrebbe potuto, attivandosi, preservare la capacitˆ distintiva del marchio (nel caso della sentenza C-145/05 ricorrendo agli idonei strumenti di tutela giurisdizionale). Pertanto, poichŽ nel caso in questione il titolare del marchio avrebbe ben potuto intraprendere una serie di attivitˆ ragionevolmente idonee ad evitare la trasformazione in denominazione generica (ad esempio pretendendo dai fornai e dai commercianti che in occasione della vendita dei prodotti finiti realizzati con il proprio preparato per la panificazione facessero in modo che i consumatori finali continuassero a percepire la denominazione come marchio, ovvero presentando nella pubblicitˆ in modo chiaro il marchio come indicazione di origine), lĠinattivitˆ dello stesso deve essere ritenuta rilevante ai fini dellĠarticolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE, e tale dunque da causare o contribuire in maniera determinante alla trasformazione del marchio in denominazione generica. 6. SULLA TERZA QUESTIONE PREGIUDIZIALE ÒSe un marchio che, per il fatto dellĠattivitˆ o inattivitˆ del suo titolare,  divenuto per i consumatori finali, ma non nel settore commerciale, una generica denominazione commerciale, debba essere dichiarato decaduto quando, e anche soltanto quando, i consumatori finali, in mancanza di alternative equivalenti, devono servirsi di tale denominazioneÓ. Il terzo quesito ha ad oggetto la comprensione del ruolo che debba essere attribuito alla circostanza in cui manchino denominazioni alternative equivalenti a quella del marchio registrato, e, dunque, la riconducibilitˆ di tale mancanza allĠarticolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE. A parere del Governo italiano la risposta a tale terzo quesito pregiudiziale deve essere negativa. é infatti difficile concepire la mancanza di denominazioni alternative CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 131 come un fatto a sŽ stante, il quale, anche da solo, possa essere legittimamente ritenuto in grado di provocare la decadenza del marchio, senza che risulti aggirata la portata della disposizione comunitaria. Sul piano teorico la mancanza di denominazioni alternative pu˜ essere considerato i) uno dei fattori che potrebbero causare la perdita della capacitˆ distintiva del marchio, ovvero ii) il ÒrisultatoÓ stesso del processo di trasformazione del marchio in denominazione generica. Ai fini della presente domanda, ci si deve riferire alla prima accezione delle due sopra enucleate, in quanto, altrimenti, la domanda si risolverebbe in una affermazione tautologica e priva di alcun significato pratico (in sostanza: pu˜ da sola la trasformazione del marchio in denominazione generica determinare decadenza dello stesso?). DallĠanalisi fin qui svolta, risulta che il legislatore comunitario ha riconosciuto al titolare del segno distintivo il potere di contrastare la volgarizzazione di questĠultimo. Pertanto, anche in mancanza di denominazioni alternative, il produttore  sempre messo nelle condizioni di fare opposizione al processo di volgarizzazione, e, dunque, nel caso di specie, di compiere quelle attivitˆ in grado di mantenere viva la capacitˆ distintiva del marchio. Dunque, la mancanza di denominazioni alternative non pu˜ che essere considerata come uno degli eventuali Òfattori di rischioÓ in grado di contribuire al processo causale che porta alla volgarizzazione del segno distintivo, la quale, ai fini e nei limiti della ratio della normativa comunitaria, non  in grado di determinare, da sola, la decadenza del marchio. 7. CONCLUSIONI Per le motivazioni sopra esposte il Governo Italiano suggerisce di dare risposta positiva ai primi due quesiti e negativa al terzo. Roma 26 novembre 2012 Stefano Varone Avvocato dello Stato 132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Wally Ferrante, AL 42465/12) nella causa C-442/12, promossa ai sensi dellĠart. 267 TFUE con lĠordinanza del 28 settembre 2012, depositata in data 3 ottobre 2012 dal Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi). Materia: Libertˆ di stabilimento e libera prestazione dei servizi Diritto di stabilimento Libera circolazione dei servizi QUESTIONI PREGIUDIZIALI 1. Con lĠordinanza in epigrafe,  stato chiesto alla Corte di Giustizia dellĠUnione europea di pronunciarsi, ai sensi dellĠart. 267 TFUE, sulle seguenti questioni pregiudiziali: Ò1. Se lÔart. 4, paragrafo 1 della Direttiva 87/344/CEE, consente che un assicuratore di tutela giudiziaria, che nelle sue polizze prevede che la tutela giudiziaria in procedimenti giurisdizionali o amministrativi in linea di principio verrˆ fornita da dipendenti dellĠassicuratore, stipuli anche che le spese di tutela giudiziaria di un avvocato o consulente giuridico liberamente scelto dallĠassicurato rientrano nella copertura assicurativa solo se lĠassicuratore ritiene che il procedimento debba essere gestito da un consulente giuridico esterno. 2. Se, ai fini della risposta alla prima questione, rilevi la circostanza che per il procedimento giurisdizionale o amministrativo di cui trattasi sia obbligatoria o meno la rappresentanza tecnica in giudizioÓ. ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA 2. La questione pregiudiziale trae origine da una controversia tra un assicurato (di seguito ricorrente) e la societˆ assicuratrice DAS Nederlandse Rechtsbijstand Verzekeringsmaatschappij N. V. (di seguito resistente) concernente il contenuto di unĠassicurazione di tutela giudiziaria. 3. In particolare, il ricorrente pretende un risarcimento dal suo ex datore di lavoro, lamentando di essere stato licenziato senza motivo e intende intentare unĠazione giudiziaria nei confronti dello stesso, con lĠassistenza di un avvocato di sua scelta e spese a carico del suo assicuratore. 4. La resistente sostiene invece che il contratto di assicurazione stipulato dal ricorrente non offrirebbe copertura per i costi di assistenza legale da parte di un avvocato scelto dallĠassicurato ed  pertanto disposta a fornire essa stessa tutela giudiziaria allo stesso per mezzo di un proprio dipendente, da essa indicato, che non  avvocato. 5. Ci˜, anche tenuto conto del fatto che, nel procedimento che il ricorrente intende instaurare nei confronti del suo ex datore di lavoro, non  obbligatoria la rappresentanza tecnica in giudizio. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 133 6. La domanda del ricorrente  stata rigettata in primo ed in secondo grado e la Corte di cassazione Olandese ha sollevato le suddette questioni pregiudiziali, sostenendo che molti argomenti depongono a sostegno della tesi secondo la quale allĠassicurato deve essere sempre garantito il diritto di libera scelta del proprio rappresentante legale. NORMATIVA COMUNITARIA 7. La direttiva n. 87/344/CEE del 22 giugno 1987, recante coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative allĠassicurazione tutela giudiziaria, stabilisce che questĠultima consiste nellĠimpegnarsi, dietro pagamento di un premio, a farsi carico delle spese legali e ad offrire altri servizi derivanti dalla copertura assicurativa, promuovendo o resistendo ad unĠazione civile, penale o amministrativa. 8. La suddetta direttiva individua espressamente, allĠart. 1 e nei considerando quarto e undicesimo, fra i propri scopi, quello di facilitare lĠesercizio effettivo della libertˆ di stabilimento e di evitare il pi possibile il conflitto di interessi fra un assicurato coperto con la tutela giudiziaria e il suo assicuratore ove questi copra altro assicurato o lĠassicurato medesimo anche per un altro ramo, accordando allĠassicurato la libertˆ di scegliere il proprio rappresentante legale. 9. In particolare, il considerando 11 afferma che ÒlĠinteresse dellĠassicurato coperto dalla tutela giudiziaria implica che questĠultimo deve avere la possibilitˆ di scegliere egli stesso lĠavvocato o qualsiasi altra persona in possesso delle qualifiche ammesse dalla legislazione nazionale nellĠambito di qualunque procedimento giudiziario o amministrativo e ogni qualvolta sorga un conflitto di interessiÓ. 10. Gli artt. 3 e 4 della predetta direttiva sono preordinati al raggiungimento di tale obiettivo: tali disposizioni, sono fra loro complementari nel dettare sia misure organizzative dellĠimpresa, sia regole conformative del contratto, attraverso la previsione di garanzie specifiche a favore degli assicurati (cfr. Corte di Giustizia, 10 settembre 2009, causa C-199/08, Eschig, punti 40 e 41). 11. Per quanto concerne le misure organizzative, lĠart. 3 comma 2, lettere a) e b) della direttiva impone agli assicuratori di gestire i sinistri mediante personale diverso rispetto a quello dedicato alla gestione dei sinistri di altri rami in seno alla medesima impresa o di affidarne la gestione ad unĠimpresa giuridicamente distinta. 12. Inoltre, lĠart. 3, comma 2, lett. c), per evitare i conflitti di interesse, riconosce allĠassicurato la libertˆ di scegliere il proprio rappresentante sin dal momento della denuncia di sinistro, stabilendo che: ÒlĠimpresa deve prevedere nel contratto il diritto per lĠassicurato di affidare la tutela dei suoi interessi, non appena abbia il diritto di esigere lĠintervento dellĠassicuratore in virt 134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 della polizza, ad un avvocato di sua scelta o, se  consentito dalla legislazione nazionale, ad altra persona in possesso delle qualifiche necessarieÓ. 13. Per quanto concerne le garanzie specifiche, lĠart. 4 della direttiva 87/344/CEE attribuisce agli assicurati il diritto di scegliere liberamente un rappresentante nei procedimenti giudiziari o amministrativi oppure quando sorge un conflitto di interessi. 14. Tale norma dispone espressamente che ogni contratto di tutela giudiziaria debba riconoscere in modo esplicito che: a) Òove un avvocato o qualsiasi altra persona in possesso delle qualifiche ammesse dalla legislazione nazionale sia chiamato a difendere, rappresentare o tutelare gli interessi dellĠassicurato in qualunque procedimento giudiziario o amministrativo, lĠassicurato  libero di scegliereÓ, b) lĠassicurato  libero di scegliere un avvocato o, se preferisce e se  consentito dalla legislazione nazionale, altra persona in possesso delle qualifiche necessarie, per tutelare i suoi interessi qualora insorga un conflitto di interessiÓ. RISPOSTA AL PRIMO QUESITO 15. Con il primo quesito, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte di giustizia se lĠart. 4, paragrafo 1 della direttiva 87/344/CEE legittimi unĠinterpretazione restrittiva secondo la quale il rimborso delle spese sostenute per la tutela giudiziaria mediante un avvocato liberamente scelto dallĠassicurato sarebbe limitato al solo caso in cui lĠassicuratore ritenga di far gestire il procedimento da un legale esterno e non da un proprio dipendente a ci˜ abilitato. 16. Il Governo italiano ritiene che al quesito debba darsi risposta negativa. 17. Innanzitutto, va ricordato che la direttiva 87/344/CEE mira, da un lato, ad agevolare la libertˆ di stabilimento delle imprese di assicurazioni mediante la soppressione delle barriere che derivano dalle normative nazionali che vietano il cumulo dellĠassicurazione tutela giudiziaria con altri rami assicurativi e, dallĠaltro, a tutelare gli interessi degli assicurati, in particolare eliminando nel modo pi ampio possibile gli eventuali conflitti di interesse e consentendo la soluzione delle controversie tra assicuratori e assicurati (Corte di giustizia, sentenza Eschig cit., punto 39). 18. In sintesi, la normativa comunitaria prevede tre modalitˆ alternative di gestione dei sinistri: a) gestione diretta dellĠassicuratore; b) gestione indiretta su decisione dellĠassicuratore; c) libera scelta del legale esterno da parte dellĠassicurato. 19. La terza possibile modalitˆ di esercizio del ramo tutela giudiziaria consiste, dunque, nellĠattribuire allĠassicurato il diritto di affidare la tutela dei suoi interessi, in caso di sinistro, Òad un avvocato o ad altro professionista abilitatoÓ non appena abbia, a termini di contratto, il diritto di esigere lĠintervento dellĠimpresa di assicurazione. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 135 20. Al riguardo, sussiste una differenza tra lĠart. 3 e lĠart. 4 della direttiva, nella parte in cui si fa riferimento alla libera electio del professionista. 21. Infatti, lĠart. 3 della direttiva configura unĠipotesi di contratto che riconosce allĠassicurato diritti pi ampi di quelli di cui allĠart. 4, attribuendogli la facoltˆ di scegliere il proprio avvocato sin dal momento in cui ha la facoltˆ di attivare la garanzia prestata dal contratto, ossia sin da quando denuncia il sinistro richiedendo lĠintervento del proprio assicuratore, (cfr. Corte di Giustizia, sentenza Eschig cit., punto 50). 22. In tale ipotesi, il diritto di scegliere lĠavvocato opera sia nella fase stragiudiziale che in quella giudiziale; lĠassicuratore  privo fin dallĠinizio della facoltˆ di ingerenza nella gestione della vertenza, dovendosi limitare a verificare esclusivamente la regolaritˆ tecnica e amministrativa della denuncia di sinistro (ovvero che lĠevento rientra in garanzia e che vi sia stato il pagamento del premio), prendendo atto dellĠavvenuta designazione del professionista abilitato. 23. LĠart. 4, invece, attribuisce allĠassicurato la facoltˆ di scegliere il legale unicamente in occasione di un procedimento giudiziario o amministrativo mentre tale facoltˆ di scelta, per la fase stragiudiziale, sembra limitata alla sola ipotesi di insorgenza di un conflitto di interesse. 24. Tuttavia, la chiave interpretativa non pu˜ non essere ricercata nellĠ11Ħ considerando della direttiva che sancisce il principio secondo cui lĠinteresse dellĠassicurato Òimplica che questĠultimo deve avere la possibilitˆ di scegliere egli stesso lĠavvocatoÓ. 25. Se ci˜  vero, non sembra accettabile unĠinterpretazione della normativa comunitaria che lasci allĠassicuratore o a terzi la possibilitˆ di impedire la libera elezione del legale, in relazione alla natura della controversia o al fatto che per la stessa non  richiesto il patrocinio di un avvocato. 26. Ne consegue che le norme sopra esaminate vanno lette nel senso che lĠassicurato abbia il diritto allĠintervento del legale di sua scelta ogni volta che insorga il diritto alla prestazione assicurativa. 27. Pertanto sembra fondato il dubbio espresso dalla Cassazione olandese circa lĠinterpretazione contraria avallata dai giudici di merito, non potendo rilevare a sostegno della tesi da questi ultimi propugnata la preoccupazione espressa dalla resistente circa lĠinevitabile aumento dei premi assicurativi che conseguirebbe al ricorso a legali esterni scelti dagli assicurati. 28. Del resto, lĠart. 5 della direttiva individua tassativamente le eccezioni al principio della libera scelta del legale da parte dellĠassicurato, sancito dallĠart. 4, paragrafo 1 della medesima direttiva, tra le quali non rientra la fattispecie oggetto del procedimento principale. RISPOSTA AL SECONDO QUESITO 29. NŽ pu˜ assumere alcun rilievo il fatto che, per lo specifico giudizio, non 136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 sia necessario il patrocinio di un avvocato, dovendosi garantire la libertˆ di scelta di un legale esterno anche in tale eventualitˆ. 30. Secondo la giurisprudenza, infatti, lĠart. 4, paragrafo 1, che tale diritto prevede, ha portata generale e valore obbligatorio (Corte di giustizia, sentenza 26 maggio 2011, causa C-293/10, punto 29). CONCLUSIONI 31. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito nel senso che lĠart. 4, paragrafo 1 della Direttiva 87/344/CEE, non consente che un assicuratore di tutela giudiziaria, che nelle sue polizze preveda che la tutela giudiziaria in procedimenti giurisdizionali o amministrativi in linea di principio venga fornita da dipendenti dellĠassicuratore, stipuli anche che le spese di tutela giudiziaria di un avvocato o consulente giuridico liberamente scelto dallĠassicuratore rientrino nella copertura assicurativa solo se lĠassicuratore ritenga che il procedimento debba essere gestito da un consulente giuridico esterno. 32. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo quesito nel senso che, ai fini della risposta alla prima questione, non rilevi la circostanza che per il procedimento giurisdizionale o amministrativo di cui trattasi sia obbligatoria o meno la rappresentanza tecnica in giudizio. Roma, 14 gennaio 2013 Wally Ferrante Avvocato dello Stato CONTENZIOSO NAZIONALE Osservazioni sullĠindennitˆ di occupazione, a seguito della sentenza 181/2011 della Corte Costituzionale Lionello Orcali* 1. Come noto, la Corte Costituzionale, con sentenza 5/80, dichiar˜ lĠincostituzionalitˆ delle norme contenute nellĠarticolo 16, commi 5, 6 e 7, della legge 865/1971, nella parte in cui prevedevano, ai fini della determinazione dellĠindennitˆ di esproprio per le aree edificabili, il riferimento al valore agricolo medio. La dichiarazione di incostituzionalitˆ fu estesa allĠarticolo 20 3Ħ comma della medesima legge (che prevedeva, per la determinazione dellĠindennitˆ di occupazione, lĠapplicazione di una quota - 1/12 annuo -, riferita allĠindennitˆ di espropriazione, determinata secondo i criteri dellĠarticolo 16) in quanto, dichiarato incostituzionale il riferimento, la Corte aveva evidentemente ritenuto che la quota ne dovesse seguire il destino. 2. La dichiarazione di incostituzionalitˆ di cui sopra non prevedeva distinzioni o limiti; peraltro, essa fu interpretata limitativamente, dapprima dalla Corte di Cassazione, e quindi dalla Corte Costituzionale stessa (si veda Cass. S.U. 12008/1991, anche per richiami della giurisprudenza costituzionale), essendosi ritenuto che essa fosse riferibile soltanto alle aree edificabili, con esclusione delle determinazioni relative alle aree agricole; pertanto, le suddette norme hanno continuato ad avere applicazione anche dopo la sentenza 5/80, con riferimento ai terreni agricoli e non edificabili, in relazione ai quali lĠindennitˆ di occupazione  stata determinata sulla base di 1/12 annuo dellĠindennitˆ di espropriazione, quantificata in base al valore agricolo medio; per gli altri terreni, quelli edificabili, si fece invece applicazione dei criteri seguiti relativa- (*) Avvocato dello Stato. 138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 mente alla legge 2359 del 1865 (in concreto: il tasso di interesse applicato allĠindennitˆ di esproprio, determinata secondo il criterio del valore venale; si veda la recente Cass. 2100/2011, con richiami, ove viene anche evidenziata la natura elastica del criterio). 3. Successivamente il legislatore, con lĠarticolo 5 bis del DL 333/1992 (oltre a modificare i criteri di determinazione dellĠindennitˆ di espropriazione per i terreni edificabili), ha previsto, al comma 4, lĠapplicabilitˆ, per la determinazione dellĠindennitˆ relativa alle aree agricole e non edificabili, della normativa di cui alla legge 865/1971; cos“ confermando, in via definitiva, la parziale sopravvivenza di tali norme alla dichiarazione di incostituzionalitˆ di cui alla sentenza 5/1980. 4. é quindi intervenuta la recente sentenza 181/2011 della Corte Costituzionale, che ha del tutto espunto dallĠordinamento il criterio del valore agricolo medio, provvedendo a nuovamente dichiarare lĠillegittimitˆ costituzionale dellĠarticolo 16, commi 5 e 6, nonchŽ dellĠarticolo 15, 1Ħ comma, secondo periodo, della legge 865/71. Tale sentenza non ha peraltro esteso la dichiarazione di incostituzionalitˆ allĠarticolo 20 3Ħ comma di tale legge; anchĠesso, giˆ dichiarato incostituzionale, ma sopravvissuto, alla stregua di quanto si  sopra accennato. 5. Si pone quindi il problema di individuare quale sia, allĠattualitˆ, il criterio da utilizzare per determinare lĠindennitˆ di occupazione per le aree non edificabili; e si tratta di tema di non scarsa rilevanza, posto che altro  remunerare lĠoccupazione, (spesso solo dichiarata, ma non effettiva, in attesa dellĠinizio o del completamento delle opere), con una somma pari al tasso dellĠ8,33% annuo (=1/12), ai sensi dellĠart. 20 della L. 865 (nonch ai sensi del successivo articolo 50 del d.p.r. 327/2001), altro remunerarla con il tasso dĠinteresse legale, attualmente pari al 2,5 %, o comunque secondo tassi di redditivitˆ pari a quelli di mercato (3% - 4%, per ci˜ che consta), ai sensi degli articoli 64 e seguenti della legge 2359/1865. 6. Al riguardo, sembra doversi anzitutto evidenziare che lĠoperato del legislatore in materia, con la legge del 1971 e il d.p.r. del 2001,  stato volto ad uniformare il trattamento dei terreni assoggettati ad espropriazione, essendosi previsti, per lĠindennitˆ di espropriazione, criteri in linea di massima astratti, e, per lĠindennitˆ di occupazione, un tasso unico, da applicarsi allĠindennitˆ di esproprio, determinata secondo tali criteri. Si  trattato di linea presumibilmente seguita, oltre che per finalitˆ di contenimento della spesa relativa allĠindennitˆ di espropriazione (non, in relativo, quella di occupazione), anche al fine di semplificare le operazioni di stima, e di concedere il minimo di discrezionalitˆ ai soggetti chiamati alle relative va- CONTENZIOSO NAZIONALE 139 lutazioni. Non sembra peraltro potersi ritenere che tale impostazione abbia consentito di operare con le necessarie differenziazioni, in relazione ai singoli casi, sia con riferimento allĠindennitˆ di espropriazione che a quella di occupazione. Ora, con riferimento allĠindennitˆ di espropriazione, la Corte Costituzionale ha riportato i termini della vicenda al valore venale cui faceva riferimento il legislatore del 1865; la questione sembra invece - attualmente - pi complessa per ci˜ che riguarda lĠindennitˆ di occupazione. 7. In relazione ai criteri di determinazione dellĠindennitˆ di occupazione, sembra anzitutto opportuno evidenziare che le indicazioni in materia contenute negli articoli 64 e ss. della legge 2359/1865, fanno generico riferimento alla necessitˆ di tenere conto del pregiudizio derivato al proprietario dalla perdita del godimento e dei frutti del terreno, della diminuzione del valore del fondo e della durata dellĠoccupazione, oltre che delle altre eventuali variabili. Da tali indicazioni la prassi giurisprudenziale ha ricavato una pressochŽ costante applicazione del concreto criterio consistente nellĠapplicazione del tasso dĠinteresse legale allĠindennitˆ di espropriazione. Si tratta, peraltro, di criterio di non rigida applicazione, essendo ipotizzabili scostamenti, come ricorda Cass. S.U. 12088/91 (sia al ribasso, che al rialzo, ritengo), nonchŽ, pi di recente, Cass. 2100/2011, dovendosi tenere conto dellĠeffettiva natura del terreno sottoposto a procedimento espropriativo, che potrebbe essere concretamente tale da non produrre alcun reddito, o da produrne in maniera pi o meno significativa. A fronte dellĠelasticitˆ del criterio fissato dal legislatore del 1865, tale da corrispondere alla varietˆ delle situazioni che possono in concreto presentarsi, si pone, come detto, la rigiditˆ del criterio adottato dal legislatore del 1971 e del 2001, tale da porre sullo stesso piano situazioni inevitabilmente diverse, e da portare quindi ad indennitˆ ingiustificatamente elevate, oppure (certo non allĠattualitˆ, ma in ben diverse condizioni economico finanziarie: si pensi a possibili situazioni di elevatissimi livelli di inflazione) ingiustificatamente basse. Per contestualizzare la disposizione del 1971, va osservato che, allĠentrata in vigore della legge 865, il tasso di interesse legale era pari al 5%. Le successive evoluzioni del tasso, sono state tali da allargare la forbice sussistente tra la percentuale fissata dallĠarticolo 20 della legge, ed il tasso di interesse, fatto salvo il periodo (1990/1996) durante il quale il tasso  stato pari al 10%; risulta quindi una situazione in cui il tasso fissato dalla norma in questione, che poteva originariamente essere moderatamente premiante rispetto al tasso di interesse,  risultato effettivamente tale per un certo periodo, salvo poi risultare svantaggioso durante il limitato periodo 90/96, per poi ritornare premiante, in misura palesemente eccessiva, dal 1997 fino allĠattualitˆ. Sfugge invece la logica seguita dal legislatore del d.p.r. 327/2001, che, nel prevedere allĠarticolo 50 il tasso di 1/12, in un periodo storico in cui i rendimenti ed i tassi erano notevolmente inferiori, sembrerebbe essersi limitato a 140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 recepire lĠindicazione giˆ contenuta nellĠarticolo 20 della 865, senza porsi problemi di congruitˆ di tale rendimento. Le osservazioni appena svolte inducono a ritenere che la fissazione di uno specifico tasso, di carattere rigido, da applicare per la determinazione dellĠindennitˆ di occupazione, per quanto abbia un evidente effetto di semplificazione, risulti strumento decisamente inadeguato rispetto alla realtˆ in essere, inevitabilmente differenziata di periodo in periodo, parendo ben pi congruo il riferimento al tasso di interesse legale (eventualmente maggiorato di una percentuale del medesimo), per la maggiore aderenza alla situazione economico finanziaria del momento; salvo pensare a strumenti specifici per la procedura di espropriazione, quale ad esempio lĠindividuazione di tassi di redditivitˆ degli immobili, da determinarsi periodicamente, e da utilizzare per la finalitˆ in questione. In linea con tali ultime osservazioni, va considerato che la Corte Costituzionale, con la recente sentenza 181 del 2011, pur non essendosi occupata degli aspetti relativi allĠindennitˆ di occupazione, ha preso atto, nellĠesaminare la situazione sottopostale, della sussistenza di una norma, il primo comma dellĠarticolo 40 del decreto legislativo 327/2001, tale da consentire una valutazione sufficientemente specifica del bene, ed ha quindi ritenuto di non dichiararne lĠincostituzionalitˆ; analogamente, con la sentenza 5/80, essa aveva evidenziato lĠadeguatezza del criterio fissato dallĠarticolo 15 1Ħ comma della legge 865 del 71, in quanto tale da consentire valutazioni caratterizzate da sufficienti criteri di specificitˆ e di effettivitˆ, valorizzando la differenza tra tale criterio e quello del valore agricolo medio. Non sembra particolarmente rilevante, in questa sede, soffermarsi sul fatto che le concrete valutazioni della Corte relativamente allĠarticolo 15 primo comma sono state, tra una sentenza e lĠaltra, notevolmente diverse; il punto essenziale sembra consistere nel fatto che i criteri di cui essa ha fatto applicazione sono, in entrambe le pronunce, i medesimi, volti alla concretezza ed alla specificitˆ delle valutazioni. Tali criteri, applicati allĠindennitˆ di occupazione, risultano in contrasto con le indicazioni di carattere rigido fissati nelle normative del 71 e del 2001, ed in linea invece con gli elastici criteri fissati dal legislatore del 1865. 8. Va poi ribadito come, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 5/80, la giurisprudenza si fosse orientata nel senso di ritenere che, per lĠindennitˆ di occupazione relativa alle aree edificabili, una volta venute meno le norme che consentivano di determinare la base cui fare riferimento, ed il criterio da utilizzare per la sua determinazione, si dovesse fare riferimento, tanto per lĠuna quanto per lĠaltro, alla normativa contenuta nella legge 2359/1865 (si veda tra le tante Cass. 19938/2011, con richiami). Era quindi avvenuto che, se la base, e cio lĠindennitˆ di espropriazione, aveva CONTENZIOSO NAZIONALE 141 subito un notevole incremento, il criterio di determinazione, dato dallĠuso del tasso dĠinteresse anzichŽ della percentuale di 1/12, per ciascun anno di occupazione, aveva poi provveduto, in qualche misura, a compensare la crescita della base. In altre parole, il criterio, eccessivamente oneroso, dato dallĠapplicazione di 1/12 annuo sullĠindennitˆ di espropriazione, risult˜ di fatto applicato, per le aree edificabili, soltanto nel periodo in cui la base veniva determinata in modo ugualmente, ma in senso contrario, irrealistico, rispetto ai valori di mercato. Una volta che il criterio limitativo di determinazione della base venne meno, non vi era ragione, nŽ logico-giuridica nŽ sostanziale, di applicare per la determinazione dellĠindennitˆ di occupazione il tasso dellĠ8,33% (= 1/12), palesemente eccessivo, se applicato ad una base realistica; ed in effetti, come detto sopra, la giurisprudenza cess˜ lĠapplicazione di tale criterio per le aree edificabili, per tornare a quello previsto dalla legge del 1865; mentre esso rimase in vigore relativamente alle aree agricole, essendo lĠarticolo 20 3Ħ comma sopravvissuto, come sopra detto, alla sentenza 5/1980 della Corte Costituzionale. 9. Va quindi osservato come la recente pronuncia 181/2011 della Corte Costituzionale, ometta qualsiasi indicazione relativamente allĠarticolo 20 3Ħ comma della legge 865/1971; (in linea, peraltro, con la precedente sentenza 348/2007 della stessa Corte, che, nellĠaffrontare il tema dellĠindennitˆ di espropriazione relativa alle aree edificabili, si astiene ugualmente dallĠoccuparsi delle norme relative allĠindennitˆ di occupazione); ma differenziandosi, in ci˜, dalla precedente sentenza 5/80. Si tratta, quindi, di verificare se, a tale omissione, sia possibile attribuire un significato. Al riguardo, va considerato: A) Nel 1980, la Corte Costituzionale, nel fare applicazione dellĠarticolo 27 della legge costituzionale 87/1953 in relazione allĠarticolo 20 (il giudizio a quo non verteva direttamente su tale norma), sembrerebbe essersi basata sullo stretto collegamento ritenuto sussistere tra la quota di 1/12 prevista dal legislatore ai fini della determinazione dellĠindennitˆ di occupazione, e le modalitˆ di determinazione dellĠindennitˆ di esproprio; dichiarando lĠincostituzionalitˆ dellĠart. 20 3Ħ comma, sarebbe risultato evidentemente pi chiaro che, per determinare lĠindennitˆ di occupazione, non vi sarebbe stata la possibilitˆ di applicare la quota di 1/12 allĠindennitˆ di espropriazione determinata in base alla legge 2359. Nella mancanza di pi specifiche indicazioni nellĠambito della sentenza in questione, si tratta di ipotesi che non sembra contrastare con il riferimento testuale contenuto in tale sentenza ÒallĠarticolo 20ÉÉ che prevede lĠapplicazione delle stesse norme per la determinazione dellĠindennitˆ di occupazione di urgenza Ó. B) Quanto alla successiva sentenza del 2011, pu˜ ipotizzarsi che la Corte abbia ritenuto che la previsione della quota di 1/12, una volta venuta meno la base su cui essa poteva essere determinata, non poteva essere ritenuta ex se illegit- 142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 tima, in quanto essa diveniva, pi propriamente, inapplicabile; restava infatti ferma la possibilitˆ che il legislatore intervenisse in relazione alla norma dichiarata incostituzionale, relativa alle modalitˆ di determinazione dellĠindennitˆ di espropriazione, nel qual caso la norma relativa allĠindennitˆ di occupazione sarebbe tornata ad essere applicabile; dovendosi sottolineare che tale sentenza interviene in un periodo in cui la giurisprudenza aveva chiarito (si veda Cass. Sezioni Unite 4241/2004) la natura generale della previsione degli artt. 64 e ss. della legge 2359/1865, quale criterio cui fare riferimento in tutti i casi in cui non vi fossero disposizioni che indicassero differenti criteri; in assenza, quindi, della situazione di incertezza cui la sentenza 5/1980 potrebbe avere inteso ovviare. Alla luce di quanto sopra, non sembrano comunque sussistere significative differenze, dal punto di vista operativo, tra le conseguenze determinate, rispetto allĠarticolo 20 3Ħ comma, da tali sentenze, posto che la 5/80 espunge dallĠordinamento tale comma con riferimento alla determinazione delle indennitˆ di occupazione per le aree edificabili, mentre la sentenza 181/2011, se sono esatte le osservazioni di cui al punto B), ne determina lĠinapplicabilitˆ, con riferimento alle aree agricole (si veda, al riguardo la giˆ citata Cass. 19938/2011, secondo la quale lĠapplicabilitˆ della quota di 1/12 sussiste soltanto laddove si tratti di indennitˆ di espropriazione determinata secondo il criterio del valore agricolo medio); sicchŽ, pur nella differenza delle rispettive valutazioni, gli effetti che esse determinano appaiono, allo stato, sostanzialmente analoghi. 10. Sviluppando quanto esposto al punto precedente, anche al fine di valutare quali siano gli effetti della sentenza 181 sullĠindennitˆ di occupazione ai sensi del successivo d.p.r. 327, va poi considerato: A) tornando allĠart. 20 3Ħ comma: - a ben vedere, la parziale permanenza in vigore dellĠarticolo 20 terzo comma della legge 865/1971, sembra spiegabile, come giˆ detto, in considerazione della pur sempre sussistente possibilitˆ che il legislatore ritenga di intervenire sulla suddetta normativa, introducendo, in ipotesi, nuovi criteri di determinazione dei valori dei terreni agricoli (valevoli nei limiti temporali di applicabilitˆ di tale normativa) in relazione ai quali potrebbe essere applicabile il parametro di determinazione dellĠindennitˆ di occupazione fissato dallĠarticolo 20 terzo comma; - peraltro, in assenza di nuovi interventi legislativi, lĠarticolo 20 terzo comma resterebbe, pur se non caducato, in concreto inapplicabile, per essere venuta meno la base di necessario riferimento; - lĠipotesi di unĠapplicazione coerente della normativa sulle indennitˆ di esproprio e di occupazione (tale che, ove si faccia riferimento allĠindennitˆ di esproprio prevista in un certo testo legislativo,  a quel medesimo testo che deve farsi riferimento per la determinazione dellĠindennitˆ di occupazione), ove non sussistano specifiche norme tali da condurre a diverse conclusioni, sembra in linea CONTENZIOSO NAZIONALE 143 generale pi convincente di unĠeventuale applicazione combinata delle due indennitˆ, con lĠapplicazione di spezzoni di disciplina dellĠuna e dellĠaltra legge, trattandosi di operazione da cui conseguirebbero risultati di inevitabile disorganicitˆ, tali da dare luogo a concrete determinazioni prive del necessario equilibrio; si tratta poi, soprattutto, della sola soluzione che appare pienamente compatibile con il disposto dellĠarticolo 20, che rinvia, per la determinazione dellĠindennitˆ di occupazione, non ad una generica indennitˆ di espropriazione, ma a quella specificamente individuata dallĠarticolo 15 della legge 865. Quindi, ritengo che, per le situazioni giˆ disciplinate dallĠarticolo 20 terzo comma, della legge 865/1971, debba farsi riferimento agli articoli 64 e seguenti della legge 2359/1865; con conseguente applicazione del criterio del tasso di interesse, quale strumento per la determinazione dellĠindennitˆ di occupazione. B) Quanto allĠart. 50 del dpr. 327, va osservato anzitutto che esso non rinvia espressamente al parametro dato dal disposto del medesimo testo legislativo (lĠarticolo 40), relativo alla determinazione di indennitˆ di espropriazione; viene ivi svolto infatti un pi generico rinvio Òa quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio dellĠareaÓ. Pertanto, con il venir meno dellĠarticolo 40, si pongono questioni diverse da quelle sopra indicate. Va quindi considerato: - la mancanza di un espresso rinvio dellĠarticolo 50 al precedente articolo 40, non sembra consentire di giungere, dal punto di vista dellĠinterpretazione letterale, alle conclusioni cui si  giunti in precedenza, con riferimento alla situazione postasi quanto alla legge 865/71; sembrerebbe infatti, dalla lettera dellĠarticolo 50, che il legislatore (in materia giˆ oggetto di interventi da parte della Corte Costituzionale), abbia inteso limitare al minimo lĠapplicabilitˆ delle normative precedenti, e tenere fermo il quadro normativo da ultimo delineato, anche per il caso di possibile mutazione di alcuno degli elementi che lo caratterizzano; - sembra quindi dover essere considerata la possibilitˆ che, con riferimento alle situazioni disciplinate dal d.p.r. 327, si debba fare applicazione combinata della normativa relativa alla determinazione dellĠindennitˆ di esproprio in base al valore venale, ai sensi della 2359, e di quella relativa alla determinazione dellĠindennitˆ di occupazione in base al parametro di 1/12 annuo; ci˜, in virt della specifica formulazione contenuta nellĠarticolo 50; salvo che prevalgano interpretazioni volte a svalutare il significato letterale del generico rinvio contenuto nellĠarticolo 50, a favore di altre opzioni interpretative, volte a valorizzare gli aspetti finalistici e sistematici, supportati dalle considerazioni di carattere sostanziale sopra evidenziati. 11. AllĠattualitˆ, sembra quindi sussistere una situazione di apprezzabile unitarietˆ per ci˜ che riguarda la determinazione dellĠindennitˆ di espropriazione; unitarietˆ che potrebbe non sussistere, se sono esatte le osservazioni di cui 144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 sopra, relativamente allĠindennitˆ di occupazione, che dovrebbe essere determinata, per tutte le situazioni (relative sia ad aree edificabili che agricole) precedenti lĠapplicabilitˆ del d.p.r. 327/2001, in base al criterio del tasso di interesse; mentre invece potrebbe essere determinata, con riferimento alle situazioni disciplinate da tale ultimo d.p.r., mediante lĠattribuzione della quota di 1/12 (=8,33%) annuo, che appare di manifesta eccessivitˆ. NellĠassenza, per quanto consta, di iniziative volte a modificare la norma di cui allĠarticolo 50 del d.p.r. 327, si potrebbe pensare che la questione sia sfuggita, durante le recenti operazioni relative alla revisione della spesa pubblica; sembra quindi, sia per ragioni relative allĠarmonia del sistema, che per ragioni relative allĠevidente spreco di pubblico denaro che comporterebbe lĠapplicazione letterale di tale norma, che si tratti di questione che potrebbe essere utilmente oggetto di interventi normativi, idonei a prevenire eventuali incertezze interpretative, o comunque ad evitare un incongruo impiego delle pubbliche risorse. Corte costituzionale, sentenza del 10 giugno 2011 n. 181 - Pres. Maddalena, Red. Criscuolo. - Avv.ti Giorgio Stella Richter per F. L., Edilberto Ricciardi per il Comune di Salerno e lĠavv. Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri. (...) Considerato in diritto 1. Ñ La Corte di appello di Napoli (sezione prima civile, in diversa composizione), con le due ordinanze indicate in epigrafe, ha sollevato in riferimento agli articoli 3, 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione questioni di legittimitˆ costituzionale dellĠart. 5-bis, comma 4, decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, nonchŽ dellĠart. 16, commi quarto e quinto (recte: commi quinto e sesto), legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dellĠedilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilitˆ; modifiche e integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n.847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dellĠedilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come sostituiti dallĠart. 14 legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilitˆ dei suoli). A sua volta la Corte di appello di Lecce, con lĠordinanza del pari indicata in epigrafe, ha sollevato questione di legittimitˆ costituzionale del citato art. 5-bis, commi 3 e 4, del d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, nonchŽ dellĠart. 40, commi 1 e 2, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilitˆ Testo A), in riferimento agli artt. 3 e 117 Cost. Ad avviso delle rimettenti, la normativa censurata, prevedendo un criterio di determinazione dellĠindennitˆ di esproprio, per i suoli agricoli e per quelli non edificabili, astratto e predeterminato (qual  quello del valore agricolo medio della coltura in atto o di quella pi redditizia nella regione agraria di appartenenza dellĠarea da espropriare), del tutto svincolato dalla considerazione dellĠeffettivo valore di mercato dei suoli medesimi e tale da non assicurare CONTENZIOSO NAZIONALE 145 allĠavente diritto il versamento di un indennizzo integrale o, quanto meno, ÒragionevoleÓ, si porrebbe in contrasto con lĠart. 1, primo protocollo, allegato alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali (CEDU), cui  stata data esecuzione con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), nella interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dellĠuomo, cos“ violando lĠart. 117, primo comma, Cost., rispetto al quale la disposizione convenzionale opererebbe come norma interposta. Inoltre, sarebbe violato lĠart. 42, terzo comma, Cost., in quanto, benchŽ il legislatore non sia tenuto ad individuare un unico criterio di determinazione dellĠindennitˆ di esproprio, valido in ogni fattispecie espropriativa, o ad assicurare lĠintegrale riparazione della perdita subita dal proprietario, lĠindennitˆ non pu˜ mai essere simbolica o irrisoria, ma deve rappresentare un Òserio ristoroÓ. Per realizzare tale risultato si dovrebbe fare riferimento Çal valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di essoÈ, secondo il principio affermato da questa Corte con la sentenza n. 5 del 1980 e ribadito con la sentenza n. 348 del 2007, in relazione ai terreni edificabili, ma applicabile, ad avviso delle rimettenti, anche con riguardo ai terreni agricoli e a quelli non edificabili. Infine, sarebbe configurabile anche violazione dellĠart. 3 Cost., perchŽ il criterio dettato per i suoli agricoli e per quelli non edificabili creerebbe una ingiustificata disparitˆ di trattamento tra i proprietari di questi ultimi e i proprietari di suoli edificabili, per i quali lĠindennizzo va commisurato al valore di mercato (o venale) dellĠarea oggetto dellĠablazione. 2. Ñ I tre giudizi di legittimitˆ costituzionale, per lĠidentitˆ dellĠoggetto e dei parametri evocati, vanno riuniti e decisi con la medesima sentenza. 3. Ñ LĠordinanza della Corte di appello di Lecce censura (tra lĠaltro) lĠart. 5-bis, comma 3, del d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992. Detta norma dispone che ÇPer la valutazione della edificabilitˆ delle aree, si devono considerare le possibilitˆ legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dellĠapposizione del vincolo preordinato allĠesproprioÈ. Come il dettato normativo rivela, si tratta di disposizione diretta ad individuare i criteri per la valutazione di edificabilitˆ delle aree. Nel caso di specie,  pacifico, ed emerge dallĠordinanza di rimessione, che il suolo de quo, oggetto di cessione volontaria con acconto e riserva di conguaglio,  stato dichiarato non edificatorio dalla Corte di appello di Lecce con sentenza non definitiva n. 611 del 2010. Pertanto la Corte rimettente non deve fare applicazione della norma suddetta, in ordine alla quale, del resto, non si rinviene nellĠordinanza una specifica motivazione diretta a spiegare le ragioni della sua evocazione. Ne deriva che la questione, sollevata con riferimento al citato art. 5-bis, comma 3, deve essere dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza. 4. Ñ Ai fini dellĠidentificazione del thema decidendum, con riguardo alle norme censurate e ai parametri invocati, si deve osservare che le due ordinanze della Corte di appello di Napoli, nei rispettivi dispositivi, censurano (tra lĠaltro) lĠart. 16, commi quarto e quinto, della legge n. 865 del 1971, come sostituiti dallĠart. 14 della legge n. 10 del 1977. Peraltro, come emerge in modo chiaro dalle motivazioni delle ordinanze, le disposizioni impugnate sono quelle dettate dallĠart. 16, commi quinto e sesto, il cui tenore  anche trascritto nelle ordinanze medesime, sicchŽ nessun dubbio pu˜ nutrirsi circa lĠoggetto delle questioni, in forza del noto criterio secondo cui il dispositivo va interpretato in riferimento alla motivazione (sentenza n. 236 del 2009). 146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 A sua volta, lĠordinanza della Corte di appello di Lecce nel dispositivo solleva la questione di legittimitˆ costituzionale con riferimento al citato art. 5-bis, comma 4, e allĠart. 40, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, senza menzionare la legge n. 865 del 1971, al cui titolo II il medesimo art. 5-bis rinvia. Nella motivazione, per˜, sono richiamati gli artt. 15 e 16 della legge n. 865 del 1971 e successive modificazioni, Çche devolvono alla Commissione provinciale lĠindividuazione del valore agricolo medioÈ, mentre le argomentazioni svolte rendono palese che oggetto delle censure , per lĠappunto, il criterio del valore agricolo medio, o Òvalore agrarioÓ, Çprevisto di fatto in via automatica e, come tale, non influenzabile da quello venaleÈ. Anche in tal caso, dunque, in base allo stesso principio dianzi indicato, lĠoggetto della questione  agevolmente identificabile. 5. Ñ Le ordinanze di rimessione (a parte lĠaccenno contenuto in quella della Corte di appello di Lecce) non coinvolgono nello scrutinio di legittimitˆ costituzionale lĠart. 15 legge n. 865 del 1971, nel testo sostituito dallĠart. 14 della legge n. 10 del 1977, concernente la determinazione dellĠindennitˆ di espropriazione non accettata nel termine di cui allĠart. 12, primo comma, della medesima legge n. 865 del 1971. Ai sensi di tale disposizione, su richiesta del presidente della giunta regionale, la commissione competente per territorio di cui al successivo art. 16 determina lĠindennitˆ, sulla base del valore agricolo con riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo espropriato, anche in relazione allĠesercizio dellĠazienda agricola. Il dettato letterale della norma, dunque, non richiama il valore agricolo medio. Tuttavia la giurisprudenza della Corte di cassazione, con indirizzo ormai configurabile come diritto vivente, ha ripetutamente affermato che gli artt. 15 e 16 della legge n. 865 del 1971 (nel testo sostituito dallĠart. 14 della legge n. 10 del 1977) vanno letti in collegamento lĠuno con lĠaltro, sicchŽ il valore agricolo menzionato nellĠart. 15, primo comma, secondo periodo,  per lĠappunto il valore agricolo medio contemplato dal combinato disposto delle due norme (ex multis: Cass., sentenza n. 17679 del 2010; Cass., Sezioni Unite Civili, sent. n. 22753 del 2009; Cass., sent. n. 17394 del 2009; Cass., sent. n. 8243 del 2006). Del resto, anche le ordinanze di rimessione trattano unitariamente i suoli agricoli e quelli non edificabili, sicchŽ lo scrutinio di legittimitˆ costituzionale deve essere esteso anche al citato art. 15, primo comma, secondo periodo, unico essendo per i detti suoli il criterio di determinazione dellĠindennitˆ di espropriazione. 6. Ñ Nel merito, le questioni sono fondate. 6.1. Ñ In premessa, si deve ricordare che, ai sensi dellĠart. 57 del d.P.R. n. 327 del 2001 ÇLe disposizioni del presente testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilitˆ, indifferibilitˆ ed urgenza. In tal caso continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale dataÈ (fissata al 30 giugno 2003: art. 59 del citato d.P.R.). Nelle controversie a quibus, come si evince dalle date dei decreti di esproprio e (quanto allĠordinanza della Corte di appello di Lecce) dalla data di stipula dellĠatto di cessione volontaria con riserva di conguaglio, le suddette dichiarazioni erano intervenute in epoca molto risalente, sicchŽ trova applicazione la normativa censurata, non giˆ lĠart. 40, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, evocato dalla Corte di appello di Lecce, norma della quale detta Corte non deve fare applicazione. 6.2. Ñ La normativa censurata  dettata dallĠart. 5-bis, comma 4, del d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992 che, per la determinazione dellĠindennitˆ di espropriazione relativa alle aree agricole ed a quelle non suscettibili di classificazione edificatoria, rinvia alle norme di cui al titolo secondo della legge n. 865 del 1971, successive modificazioni e integrazioni. In particolare, il rinvio  allĠart. 16, commi quinto e CONTENZIOSO NAZIONALE 147 sesto, di detta legge, come sostituiti dallĠart. 14 della legge n. 10 del 1977. La norma, per la parte oggetto di censura, stabilisce che lĠindennitˆ di espropriazione, per le aree esterne ai centri edificati di cui allĠart. 18,  commisurata al valore agricolo medio annualmente calcolato da apposite commissioni provinciali, valore corrispondente al tipo di coltura in atto nellĠarea da espropriare (comma quinto); ed aggiunge che, nelle aree comprese nei centri edificati, lĠindennitˆ  commisurata al valore agricolo medio della coltura pi redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricade lĠarea da espropriare, coprono una superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata della regione agraria stessa (comma sesto). Tale disciplina, ad avviso delle rimettenti, si porrebbe in contrasto con lĠart. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali (dĠora in avanti, CEDU), nellĠinterpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dellĠuomo, e quindi violerebbe lĠart. 117, primo comma, Cost., nel testo introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). 6.3. Ñ In via preliminare, si deve ricordare che questa Corte, con le sentenze n. 348 e 349 del 2007, ha chiarito i rapporti tra il citato art. 117, primo comma, Cost. e le norme della CEDU, come interpretate dalla Corte europea. I principi metodologici illustrati nelle menzionate sentenze devono ritenersi in questa sede richiamati. Alla luce di essi, si deve, dunque, verificare: a) se vi sia contrasto, non suscettibile di essere risolto in via interpretativa, tra la disciplina censurata e le norme della CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo ed assunte quali fonti integratrici dellĠindicato parametro costituzionale; b) se le norme della CEDU, invocate come integrazione del parametro (cosiddette norme interposte), nellĠinterpretazione ad esse data dalla medesima Corte, siano compatibili con lĠordinamento costituzionale italiano (sentenza n. 348 del 2007 citate). Orbene, la Corte europea, con decisione della Grande Camera in data 29 marzo 2006, ha preso le mosse dal dettato dellĠart. 1 del protocollo n. 1, secondo cui: ÇOgni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno pu˜ essere privato della sua proprietˆ se non per causa di utilitˆ pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali di diritto internazionale. Le precedenti disposizioni non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare lĠuso dei beni in modo conforme allĠinteresse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi oppure di ammendeÈ Ha poi stabilito (tra gli altri) i seguenti principi: a) le tre norme di cui si compone lĠart. 1 del protocollo n. 1 sono tra loro collegate, sicchŽ la seconda e la terza, relative a particolari casi di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni, devono essere interpretate alla luce del principio contenuto nella prima norma (punto 75); b) lĠingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve contemperare un Ògiusto equilibrioÓ tra le esigenze dellĠinteresse generale della comunitˆ e il requisito della salvaguardia dei diritti fondamentali dellĠindividuo (punto 93); c) nello stabilire se sia soddisfatto tale requisito, la Corte riconosce che lo Stato gode di un ampio margine di discrezionalitˆ, sia nello scegliere i mezzi di attuazione sia nellĠaccertare se le conseguenze derivanti dallĠattuazione siano giustificate, nellĠinteresse generale, per il conseguimento delle finalitˆ della legge che sta alla base dellĠespropriazione (punto 94); d) la Corte, comunque, non pu˜ rinunciare al suo potere di riesame e deve determinare se sia stato mantenuto il necessario equilibrio in modo conforme al diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni (punto 94); e) come la Corte ha giˆ dichiarato, il prendere dei beni senza il pagamento di una somma in ragionevole rapporto con il loro valore, di norma costituisce unĠingerenza sproporzionata e la totale mancanza dĠindennizzo pu˜ essere considerata giustificabile, ai 148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 sensi dellĠart. 1 del protocollo n. 1, soltanto in circostanze eccezionali, ancorchŽ non sempre sia garantita dalla CEDU una riparazione integrale (punto 95); f) in caso di Òespropriazione isolataÓ, pur se a fini di pubblica utilitˆ, soltanto una riparazione integrale pu˜ essere considerata in rapporto ragionevole con il bene (punto 96); g) obiettivi legittimi di pubblica utilitˆ, come quelli perseguiti da misure di riforma economica o da misure tendenti a conseguire una maggiore giustizia sociale, potrebbero giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato (punto 97). I principi, stabiliti dalla Corte di Strasburgo con la menzionata decisione, hanno poi trovato conferma nella giurisprudenza successiva di detta Corte, che ad essa si  richiamata (tra le pi recenti: sentenza del 19 gennaio 2010, in causa Zuccalˆ contro Italia; sentenza dellĠ8 dicembre 2009, in causa Vacca contro Italia; sentenza della Grande Camera del 1Ħaprile 2008, in causa Gigli Costruzioni s.r.l. contro Italia). 6.4. Ñ Nella giurisprudenza di questa Corte  costante lĠaffermazione che lĠindennizzo assicurato allĠespropriato dallĠart. 42, terzo comma, Cost., se non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita in quanto occorre coordinare il diritto del privato con lĠinteresse generale che lĠespropriazione mira a realizzare non pu˜ essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro (ex multis: sentenze n. 173 del 1991; sentenza n. 1022 del 1988; sentenza n. 355 del 1985; sentenza n. 223 del 1983; sentenza n. 5 del 1980). QuestĠultima pronuncia ha chiarito che, per raggiungere tale finalitˆ, Çoccorre fare riferimento, per la determinazione dellĠindennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge. Solo in tal modo pu˜ assicurarsi la congruitˆ del ristoro spettante allĠespropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del beneÈ. Ad analoghe conclusioni  giunta la giˆ citata sentenza n. 348 del 2007, la quale ha ribadito che Çdeve essere esclusa una valutazione del tutto astratta, in quanto sganciata dalle caratteristiche essenziali del bene ablatoÈ (principio giˆ affermato dalla sentenza n. 355 del 1985). Si deve rilevare, a questo punto, che le suddette statuizioni riguardano suoli edificabili. Ci˜ non significa, tuttavia, che esse non siano applicabili anche ai suoli agricoli ed a quelli non suscettibili di classificazione edificatoria. Invero, lĠart. 1 del primo protocollo della CEDU, nelle sue proposizioni, si riferisce con previsione chiaramente generale ai beni, senza operare distinzioni in ragione della qualitas rei. E non a caso la Corte europea ha posto in risalto proprio tale previsione generale, stabilendo che alla luce di essa (prima proposizione) vanno interpretati i disposti della seconda e della terza (sentenza Scordino contro Italia, punto 78). Del resto, non  ravvisabile alcun motivo idoneo a giustificare, sotto il profilo qui in esame, un trattamento differenziato, in presenza di un evento espropriativo, tra i suoli di cui si tratta (edificabili, da un lato, agricoli o non suscettibili di classificazione edificatoria, dallĠaltro). Come la sentenza n. 348 del 2007 ha posto in luce, Çsia la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana sia quella della Corte europea concordano nel ritenere che il punto di riferimento per determinare lĠindennitˆ di espropriazione deve essere il valore di mercato (o venale) del bene ablatoÈ. E tale punto di riferimento non pu˜ variare secondo la natura del bene, perchŽ in tal modo verrebbe meno lĠancoraggio al dato della realtˆ postulato come necessario per pervenire alla determinazione di una giusta indennitˆ. Con ci˜ non si vuol negare che le aree edificabili e quelle agricole o non edificabili abbiano carattere non omogeneo. Si vuole dire che, pure in presenza di tale carattere, anche per i suoli agricoli o non edificabili sussiste lĠesigenza che lĠindennitˆ si ponga Çin rapporto ragionevole con il valore del beneÈ. CONTENZIOSO NAZIONALE 149 In senso contrario non varrebbe richiamare la sentenza di questa Corte n. 261 del 1997, con la quale fu dichiarata non fondata la questione di legittimitˆ costituzionale della normativa censurata, in riferimento agli artt. 3 e 24 e 42, terzo comma, Cost. Infatti, quella pronuncia  anteriore alla riforma attuata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), sicchŽ nella fattispecie in essa trattata non poteva essere evocato come parametro costituzionale il nuovo testo dellĠart. 117, primo comma Cost., attualmente vigente. 7. Ñ Alla luce di detto parametro, in relazione allĠart. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU nellĠinterpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dellĠuomo, nonchŽ dellĠart. 42, terzo comma, Cost., si deve ora verificare il criterio di calcolo dellĠindennitˆ di espropriazione contemplato dalla normativa censurata, la quale prevede che, per i suoli agricoli e per quelli non edificabili, la detta indennitˆ sia commisurata al valore agricolo medio del terreno, secondo la disciplina dettata dallĠart. 16 della legge n. 865 del 1971 e successive modificazioni. Tale valore  determinato ogni anno, entro il 31 gennaio, nellĠambito delle singole regioni agrarie, dalle apposite commissioni provinciali, con le modalitˆ di cui alla norma da ultimo citata (dianzi richiamate). Orbene, il valore tabellare cos“ calcolato prescinde dallĠarea oggetto del procedimento espropriativo, ignorando ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene. Restano cos“ trascurate le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno (che non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche alla presenza di elementi come lĠacqua, lĠenergia elettrica, lĠesposizione), la maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quantĠaltro pu˜ incidere sul valore venale di esso. Il criterio, dunque, ha un carattere inevitabilmente astratto che elude il Çragionevole legameÈ con il valore di mercato, Çprescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il Òserio ristoroÓ richiesto dalla giurisprudenza consolidata di questa CorteÈ (sentenza n. 348 del 2007, citata, punto 5.7 del Considerato in diritto). é vero che il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente lĠindennitˆ di espropriazione al valore di mercato del bene ablato e che non sempre  garantita dalla CEDU una riparazione integrale, come la stessa Corte di Strasburgo ha affermato, sia pure aggiungendo che in caso di Òespropriazione isolataÓ, pur se a fini di pubblica utilitˆ, soltanto una riparazione integrale pu˜ essere considerata in rapporto ragionevole con il valore del bene. Tuttavia, proprio lĠesigenza di effettuare una valutazione di congruitˆ dellĠindennizzo espropriativo, determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, impone che questĠultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore (sentenza n. 1165 del 1988), in guisa da garantire il Ògiusto equilibrioÓtra lĠinteresse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui. Sulla base delle esposte considerazioni deve essere dichiarata lĠillegittimitˆ costituzionale della normativa censurata, perchŽ in contrasto con lĠart. 117, primo comma, Cost., in relazione allĠart. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali, nellĠinterpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, e con lĠart. 42, terzo comma, Cost. Gli ulteriori profili dedotti in riferimento allĠart. 3 Cost. restano assorbiti. 8. Ñ Ai sensi dellĠart. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), deve essere dichiarata lĠillegittimitˆ costituzionale, in via consequenziale, dellĠart. 40, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 327 del 2001, recante la nuova normativa in materia di espropriazione. Detta norma, che apre la sezione dedicata 150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 alla determinazione dellĠindennitˆ nel caso di esproprio di unĠarea non edificabile, adotta per tale determinazione, con riguardo ai commi indicati, il criterio del valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona o in atto nellĠarea da espropriare e, quindi, contiene una disciplina che riproduce quella dichiarata in contrasto con la Costituzione dalla presente sentenza. La Corte non ritiene di estendere tale declaratoria anche al comma 1 del citato art. 40. Detto comma concerne lĠesproprio di unĠarea non edificabile ma coltivata (il caso di area non coltivata  previsto dal comma 2), e stabilisce che lĠindennitˆ definitiva  determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione allĠesercizio dellĠazienda agricola. La mancata previsione del valore agricolo medio e il riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo consentono una interpretazione della norma costituzionalmente orientata, peraltro demandata ai giudici ordinari. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara lĠillegittimitˆ costituzionale dellĠart. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con gli articoli 15, primo comma, secondo periodo, e 16, commi quinto e sesto,della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dellĠedilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilitˆ; modifiche e integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dellĠedilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come sostituiti dallĠart. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilitˆ dei suoli); dichiara, ai sensi dellĠart. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), lĠillegittimitˆ costituzionale, in via consequenziale, dellĠarticolo 40, commi 2 e 3, decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilitˆ); dichiara inammissibile la questione di legittimitˆ costituzionale dellĠart. 5-bis, comma 3, del d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 117 della Costituzione, dalla Corte di appello di Lecce con lĠordinanza indicata in epigrafe. Cos“ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2011. CONTENZIOSO NAZIONALE 151 La normativa speciale sul reclutamento e sul trattamento economico del personale scolastico allĠanalisi della Cassazione Dalla chiara enunciazione del divieto di conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato al pericoloso obiter dictum sugli scatti biennali da riconoscersi nel periodo ÒlavoratoÓ (Nota a Cass. civ., Sez. Lav., sentenza 20 giugno 2012, n. 10127) Palmira Graziano* Non  ontologicamente configurabile alcun abusivo ricorso alla contrattazione a termine nella normativa italiana sul reclutamento del personale docente ed A.T.A. del Ministero dellĠIstruzione, dellĠUniversitˆ e della Ricerca, in quanto tale normativa, prevalente rispetto alle norme di cui al d.lgs. n. 165/2001 ed al d.lgs. n.368/2001,  conforme non solo alla Costituzione italiana, ma anche alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 ed allĠallegato accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. La specifica disciplina del reclutamento del personale scolastico, ai fini della prevenzione degli abusi derivanti dal ricorso ai contratti a termine, costituisce una Ònorma equivalenteÓ ai sensi della clausola 5, punto 1, dellĠaccordo quadro, in quanto  legittimata dalla sussistenza di Òragioni obiettiveÓ, in particolare, della necessitˆ di assicurare la continuitˆ del servizio scolastico - obiettivo di rilevanza costituzionale - a fronte di eventi contingenti, variabili ed in definitiva imprevedibili, non solo nelle loro concrete ricadute a livello territoriale per la popolazione scolastica interessata, ma anche nella collocazione temporale. In ossequio al principio di cui allĠart. 97 Cost., secondo cui si accede allĠimpiego presso una P.A. mediante procedura concorsuale, e dovendosi ritenere la normativa speciale sul reclutamento a termine del personale scolastico conforme alle norme comunitarie, non sussiste il diritto del personale precario alla stabilizzazione del proprio rapporto di lavoro a termine mediante conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. NŽ, consequenzialmente, sussiste il diritto al risarcimento dei danni lamentati in ragione della conclusione di piœ contratti a termine seguenti lĠuno allĠaltro. (*) LĠarticolo  stato redatto dalla dott.ssa Graziano, giˆ praticante forense presso lĠAvvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli. Alla base della stesura cĠ stato uno studio di tutta la giurisprudenza di merito sulla materia in argomento, tutte le sentenze pro e contro precari sono state massimate e schematizzate per domande e per punti essenziali dallĠavv. Giuseppe Arpaia, che ne ha previamente curato la raccolta anche grazie allĠormai consolidato scambio/informativo di emal tra Avvocature. Per contingenti motivi di spazio questo studio sarˆ pubblicato unitamente allĠarticolo sul sito internet della Rassegna nella parte dedicata allĠÒanteprima di stampaÓ - in corso di predisposizione. 152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 SOMMARIO: Premessa - 1. Il carattere speciale della disciplina sul reclutamento del personale scolastico e sua prevalenza rispetto al D.Lgs. 165/2001 e 138/2001 - 2. La conformitˆ della normativa speciale relativa al reclutamento del personale scolastico alla Costituzione italiana nella ricostruzione operata dalla S.C. - 2.1. Sulla conformitˆ agli artt. 3 e 97 Cost. - 2.2. Sulla conformitˆ allĠart. 4 Cost. - 2.3. Sulla conformitˆ allĠart. 81 Cost. - 2.4. Sulla conformitˆ allĠart. 34 Cost. - 3. La conformitˆ della normativa speciale relativa al reclutameto del personale scolastico alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 ed allĠallegato accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavaro a tempo determinato - 3.1. Insussistenza di un abuso dello Stato-Legislatore - 3.2. Il problema probatorio sotteso al giudizio di accertamento Òin concretoÓ dellĠabuso dello Stato-Amministrazione - 4. Riconoscimento nel sistema di reclutamento a termine del personale scolastico di un fenomeno di ÒsuccessioneÓ: la S.C. rinuncia ad uno degli argomenti pi signficativi adoperato dalle Corti di merito a sostegno dellĠinapplicabilitˆ dellĠart. 5, comma 1Ħ, del D.Lgs. n. 368/2001 ai precari della scuola - 5. Il problema probatorio sotteso al giudizio di accertamento Òin concretoÓ dellĠabuso dello Stato-Amministrazione: le soluzioni offerte dalla giurisprudenza di merito favorevole alla parte pubblica - 5.1. Il riparto dellĠonere probatorio quanto alla lamentata illegittima condotta datoriale del Miur: gli oneri gravanti sulla parte ricorrente ed il carattere presuntivo delle prove eventualmente poste a carico della P.A. - 5.2. Anche nel caso del personale scolastico la prova dellĠabusivo ricorso alla contrattazione a termine deve tradursi nella rigorosa prova della sussistenza degli elementi strutturali oggettivi e soggettivi del fatto illecito fonte della deunciata responsabilitˆ - 6. Il superabile equivo ingenerato dallĠinfelice obiter dictm sugli scatti biennali spettanti ai supplenti per il periodo lavorato - 7. LĠinconfigurabilitˆ di una disparitˆ di trattamento stipendiale tra personale precario e personale di ruolo quale corollario della legittimitˆ del termine apposto al contratto: corollario enucleabile in ragione della inconfigurabilitˆ di una tutela risarcitoria che riproduca per equivalente gli effetti di una mancata, perch vietata, conversione del contratto in contratto a tempo indeterminato - Conclusioni. Premessa In data 5 giugno 2012 la Sez. Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 10127, depositata il 20 giugno 2012, ha dichiarato lĠinapplicabilitˆ del principio di conversione in contratto a tempo indeterminato dei contratti a termine stipulati dal personale docente ed A.T.A. del Ministero dellĠIstruzione, dellĠUniversitˆ e della Ricerca, negando il riconoscimento al predetto personale del diritto alla stabilizzazione del rapporto ed al risarcimento del danno in caso di reiterazione delle supplenze. La S.C. ha qualificato la normativa speciale sul reclutamento del personale docente ed A.T.A. come prevalente rispetto alle norme di cui al d.lgs. n. 165/2001 ed al d.lgs. n. 368/2001, nonchŽ conforme tanto alla Costituzione italiana quanto alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 ed allĠallegato accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato: ad avviso della S.C. sussistono, infatti, le ragioni obiettive idonee a legittimare una diversitˆ di trattamento tra personale di ruolo e personale precario. Ci˜ ritenuto, la S.C. ha affermato lĠontologica inconfigurabilitˆ del carattere CONTENZIOSO NAZIONALE 153 abusivo della condotta del MIUR consistente nella conclusione di contratti a termine secondo la normativa nazionale sul reclutamento del personale scolastico. Tuttavia - richiamando la sentenza della Corte di Cass. n. 8060/2011 relativa al diverso caso dei docenti precari (non di ruolo) a tempo indeterminato - la parte conclusiva della sentenza (1) in commento ha dichiarato che Ònon spettano, con riferimento al periodo non lavorato, gli scatti biennaliÓ: questa sibillina affermazione  foriera di unĠinterpretazione, per cos’ dire, pericolosa per lo Stato italiano, in quanto potrebbe essere intesa nel senso che tutti i precari della scuola avrebbero diritto agli scatti biennali sia pur limitatamente ai periodi c.d. ÒlavoratiÓ e non anche per i periodi intercorrenti tra la fine di un contratto e lĠinizio del contratto successivo. Quindi, basterebbe valorizzare nel senso predetto questĠobiter dictum per salutare questa sentenza come una vittoria di Pirro per lo Stato italiano, che, a fronte del sia pur positivo riconoscimento del principio del divieto di conversione, dovrebbe fare, poi, i conti,  proprio il caso di dirlo, con il vero cuore delle istanze precarie, vale a dire lĠequiparazione quanto al trattamento economico tra personale scolastico precario e non. Eppure, esaminando ogni aspetto saliente della sentenza,  possibile fornirne una lettura equidistante tra quella entusiastica pro-parte pubblica espressa dai primi commentatori e quella pro-precari in cui lĠobiter dictum servirebbe da trampolino per rilanciare la fondatezza delle istanze retributive dei lavoratori a termine della scuola pubblica. Per giungere ad una conclusione piœ equilibrata nella valutazione del futuro peso di questa sentenza occorre compierne lĠanalisi alla luce dei piœ significati arresti della precedente giurisprudenza di merito pro-precari, in modo da poter poi, a ragion veduta, meglio constatare, in positivo ed in negativo, lĠapporto fornito da questa sentenza della S.C. nel dare una risposta netta e chiara sulla fondatezza o meno delle domande di giustizia del personale scolastico precario. 1. Il carattere speciale della disciplina sul reclutamento del personale scolastico e sua prevalenza rispetto al D.Lgs. nn. 165 e 138 del 2001. In primis, la S.C. ha accolto la tesi della specialitˆ della normativa sul reclutamento del personale scolastico (2), con la conseguenza che detta norma- (1) Cfr. par. 7.1. (2) La disciplina speciale sul reclutamento del personale scolastico  articolata come segue: T.U. della Scuola (d.lgs. n. 297/1994, Òtesto unico delle disposizioni legislative in materia di istruzioneÓ) e successive modificazioni ed integrazioni, fra le quali quelle introdotte, in particolare, dallĠart. 4 della l. n. 124/1999 (ÒDisposizioni urgenti in materia di personale scolasticoÓ), leggi finanziarie vigenti ratione temporis che hanno sempre previsto per il comparto scuola una disciplina separata rispetto alla generalitˆ delle altre amministrazioni quanto al programma delle assunzioni ed ai relativi eventuali ÒblocchiÓ, dai regolamenti ministeriali per le supplenze, e dai contratti collettivi nazionali di lavoro. 154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 tiva, proprio in quanto speciale, non pu˜ ritenersi abrogata dai sopravvenuti dd.lgs. nn. 165 e 368 del 2001, in virtœ dellĠimmanenza della regola lex posterior generalis non derogat legi priori speciali (3) (4). La specialitˆ della normativa  confermata, ad avviso della S.C., dallĠesplicito dato normativo offerto dallĠart. 70, comma 8Ħ, d.lgs. n.165/2001, ove  disposto che Òsono fatte salve le procedure di reclutamento del personale della scuola di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 e successive modificazioni ed integrazioniÓ: tale disposizione, ad avviso della S.C., Òvale a conferire, altres“, alla normativa relativa al reclutamento in parola il connotato di specialitˆ rispetto alla legge in generale, s“ da escluderne ogni incidenza da parte di successivi interventi legislativi di tal genereÓ (5) e, quindi, anche dal d.lgs. n. 368 del 2001, che Òcostituisce una ÒsuccessivaÓ modificazione o integrazione della disciplina sul contratto a termine in generale rispetto alla quale vi  la specifica e generale previsione di esclusione, ex comma ottavo dellĠart. 70 del D.Lgs n. 165 del 2001Ó (6). Inoltre, la S.C. ha confermato la tesi della specialitˆ della normativa di settore sul reclutamento nella scuola pubblica e della sua prevalenza sui citati decreti legislativi nn. 165 e 368 del 2001 anche in virtœ dellĠart. 9 del D.L. n. 70 del 2011, convertito in L. n. 106 del 2011, che, con il comma 18, ha aggiunto, allĠart. 10 del D.Lgs. n. 368 del 2001, il comma 4 bis, secondo il quale: (3) In senso conforme Cass. n. 392 del 31 gennaio 2012. (4) Cfr. par. 21, primo periodo. In senso conforme si era espressa la sentenza della Corte di Appello di Perugia oggetto di ricorso, nonchŽ le precedenti sentenze della stessa Corte di Appello di Perugia, la n. 524/2010 e la n. 448 del 3/2011: ÒQuesto complesso di norme (in particolare, il D.Lgs. n. 297/94 e la legge n. 124/99), avente indubbiamente carattere speciale rispetto alla disciplina contenuta nei decreti legislativi n. 165/01 (norme generali sullĠordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni) e 368/01 (disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), non  stato nŽ abrogato nŽ modificato dallĠart. 36, comma 11 del testo unico del pubblico impiego, che ha esteso ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni lĠapplicazione della normativa generale in materia di contratti di lavoro a termine, allĠepoca costituita da una serie di fonti, nel quadro generale dettato dalla legge 18 aprile 1962, n. 230Ó (Corte di Appello di Perugia, sent. n. 524/2010, pag. 6, ult. cpv. fino a pag. 7). (5) Cfr. par. 28. In senso conforme, Cass. civ., sez. Lav., sent. n. 392 del 13 gennaio 2012, par. 3, Corte di Appello di Genova, sent. n. 464 del 22 maggio 2012, pag. 8, 2Ħ e 3Ħ cpv., Tribunale di Civitavecchia, Sez. Lav. e Prev. (dott. Francesco Colella), sent. dellĠ8 aprile 2010, fine pag. 8 - inizio pag. 9, Trib. di Fermo, Sez. lav., dott. Camillo Cozzolino, sent. n. 154 del 16 agosto 2011, pag. 7, 1Ħ cpv., Trib. di Genova, Sez. Lav. (dott.sa Maria Ida Scotto), sent. del 19 marzo 2012 (r.g. 2010/10), pag. 8, 5Ħ cpv.. Analogamente, il Trib. di Foggia, Sez. lav. (dr.ssa Angela Quitadamo), nella sent. n. 593/2012 del 30 gennaio 2012, giunge alle medesime conclusioni, indicando un parametro che consente di valutare la sussistenza o meno del carattere di specialitˆ di una certa disciplina: Çla relazione di specialitˆ tra norme - idonea ad escluderne ab origine il conflitto e ad impedire l'invocazione del canone lex posterior derogat !egi anteriori - va verificata in base a criteri oggettivi, e pu˜ evincersi implicitamente dalla diversa tipologia e natura delle situazioni rispettivamente contemplate, che richiedono una diversa disciplina alla stregua dei criteri di ragionevolezza e di logica giuridica, in ossequio al principio di uguaglianza sancito dallĠart. 3 Cost.. Tale norma, infatti, postula lĠomogeneitˆ delle posizioni assoggettate ad un regime giuridico uniforme, ed impone, viceversa, lĠadeguata diversificazione delle posizioni eterogeneeÈ (cfr. sent., pag. 9, 2Ħ cpv.). (6) Cfr. par. 28. CONTENZIOSO NAZIONALE 155 ÇStante quanto stabilito dalle disposizioni di cui allĠarticolo 40, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, allĠarticolo 4, comma 14-bis, della legge 3 maggio 1999, n. 124, e allĠarticolo 6, comma 5, del decreto legislative 30 marzo 2001, n. 165, sono altres“ esclusi dallĠapplicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessitˆ di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica lĠarticolo 5, comma 4-bis, del presente decretoÈ (7). La Corte di Cass. destituisce di ogni fondamento lĠorientamento interpretativo secondo il quale la norma di cui al comma 4 bis citata avrebbe portata innovativa: ÇTrattasi, invero, di esplicitazione di un principio che, in quanto giˆ enucleabile, alla stregua di quanto in precedenza rimarcato, dal precedente sistema, non ha comportato alcuna innovazione e risponde, piuttosto, allĠesigenza, avvertita dal legislatore, di ribadire, a fronte del proliferare di controversie sulla illegittimitˆ delle assunzioni a termine nel settore in parola, di una regula iuris giˆ insita nella legislazione concernente la c.d. privatizzazione del pubblico impiegoÈ (8). La critica della Corte di Cassazione alla portata innovativa della norma in commento  supportata dalla considerazione che il riconoscimento di tale efficacia innovativa condurrebbe a tre risultati ermeneutici abnormi sul piano logico-giuridico. In primis, ad avviso della S.C., la certezza del carattere di norma di interpretazione autentica dellĠart. 9 discende dal fatto che, ove si riconoscesse a tale disposizione unĠefficacia innovativa Çsi finirebbe per legittimare una totale disapplicazione del D.Lgs n. 165 del 2001 con riferimento al personale della scuolaÈ (9) . In secondo luogo, Çsi determinerebbe una violazione dei criteri di efficienza per incidere sugli organici del personale della scuola e sulla complessa amministrazione del settore e, conseguentemente, penalizzando il merito e gli altri principi posti a fondamento del rapporto di pubblico impiego, nel cui ambito va collocato (con riferimento alle finalitˆ perseguite dalle disposizioni di cui agli artt. 4, 5 e 10 del citato D.Lgs n. 165 del 2001) il detto personaleÈ (10). Infine, Çsi finirebbe per attribuire illogicamente alla suddetta norma una portata priva di razionalitˆ ed al di fuori di una logica di sistema. Nel momento in cui attraverso il collegato lavoro (di cui alla legge 4 novembre 2010 (7) Cfr. par. 31. (8) Cfr. par. 32. (9) Cfr. par. 33. (10) Cfr. par. 34. 156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 n. 183), si andava ad incidere in senso riduttivo sul risarcimento del danno nello stesso tempo si sarebbe, infatti, esposta la pubblica amministrazione ad uno sforamento di bilancio, assicurando al personale della scuola un trattamento diverso e, sotto pi versanti, maggiormente favorevole rispetto agli altri dipendenti pubblici, sia sul piano delle condizioni della trasformazione in contratto a tempo indeterminato, sia su quello risarcitorio (cfr. Cass. 29 febbraio 2012 n. 3056, sulla interpretazione dello ius superveniens ex art. 32, commi, 5, 6, 7 della legge n. 183 del 2010, sebbene la stessa riconosca che il risarcimento configuri una sorta di penale ex lege da assicurarsi in ogni caso e senza necessitˆ di prova del lavoratore)È (11). 2. La conformitˆ della normativa speciale relativa al reclutamento del perso. nale scolastico alla Costituzione italiana nella ricostruzione operata dalla S.C. Nel recente arresto in commento, la S.C. ha anche ampiamente argomentato la conformitˆ della disciplina speciale sul reclutamento del personale scolastico a piœ di una norma costituzionale. 2.1. Sulla conformitˆ agli artt. 3 e 97 Cost. In primis, la S.C., richiamando lĠorientamento consolidato espresso dalla sent. n. 89/2003 della Corte Cost., ha sostenuto la predetta rispondenza sia allĠart. 3 che allĠart. 97 Cost., in quanto non sussiste alcun principio di equivalenza tra settore privato e settore del pubblico impiego quanto alle modalitˆ dellĠassunzione dei rispettivi lavoratori. Risponde ai canoni di ragionevolezza, nonchŽ di imparzialitˆ e buon andamento della P.A. la scelta del legislatore (art. 36, comma 2, d.lgs. n. 165/2001) di ricollegare alla violazione di norme imperative sullĠassunzione o lĠimpiego dei lavoratori da parte della P.A. esclusivamente sanzioni di tipo risarcitorio, anzichŽ quella della conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato: lo strumento del concorso, al fine di garantire lĠimparzialitˆ e lĠefficienza della P.A., Òtutela i vincitoriÓ in modo diverso dal personale assunto attingendo dalle graduatorie permanenti ad esaurimento, poichŽ tale personale, pur non essendo privo dei requisiti attitudinali e professionali necessari, non ha dimostrato, come i vincitori di concorso, di possedere unĠuguale preparazione (12). Il sistema delle supplenze in esame, dunque,  considerato dalla S.C. come un Òsistema alternativo a quello del concorso per titoli ed esamiÓ e che Òvale a connotare di una sua intrinseca Òspecialitˆ e completezzaÓ il corpus normativo relativo al reclutamento del personale scolasticoÓ (13). (11) Cfr. par. 34. (12) Cfr. par. 23. (13) Cfr. par. 45. CONTENZIOSO NAZIONALE 157 Alla luce di questo esplicito recente assunto della S.C., sarˆ piœ agevole contestare la legittimitˆ dellĠequiparazione sul piano ÒsostanzialeÓ tra titoli di accesso del personale precario e quelli del personale stabile: il requisito selettivo del concorso non pu˜ considerarsi soddisfatto mediante il superamento delle sole prove di accesso alle SSIS, in quanto trattasi di procedura di accesso ad un corso abilitante che non pu˜ considerarsi superamento di una prova concorsuale. Inoltre, il c.d. sistema del doppio canale, in virt del quale lĠaccesso ai ruoli della pubblica amministrazione scolastica avviene per il 50 per cento dei posti mediante concorso per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo dalle graduatorie permanenti risponde al principio di cui allĠart. 97 Cost. anche in quanto, Çcome rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 41 del 2011, individua ... i docenti cui attribuire le cattedre e le supplenze secondo il criterio di merito al fine di assicurare la migliore formazione scolasticaÈ (14). 2.2. Sulla conformitˆ allĠart. 4 Cost. La Corte, inoltre, implicitamente afferma anche la conformitˆ allĠart. 4 Cost. della disciplina speciale sul reclutamento del personale scolastico, ravvisando nel caso in esame una Òtipologia di flessibilitˆ atipica destinata a trasformarsi in una attivitˆ lavorativa stabileÓ (15). Nel sistema di reclutamento del personale scolastico a termine, infatti, la S.C. ritiene che la situazione di precarietˆ sia bilanciata ÒampiamenteÓ da una sostanziale e garantita (sia pur futura) immissione in ruolo che, per altri dipendenti del pubblico impiego  ottenibile solo attraverso il concorso e per quelli privati Òpu˜ risultare di fatto un approdo irraggiungibileÓ (16). In altre parole, a giudizio della S.C., le norme speciali sul reclutamento del personale scolastico tutelano il lavoratore precario, da un lato, consentendo, anche senza superamento di un concorso, lĠimmissione in ruolo, a differenza di quanto  consentito ad altre categorie di pubblici dipendenti, e, dallĠaltro, favorendone lĠimmissione in ruolo, mediante avanzamento nella graduatoria ad esaurimento in funzione del servizio svolto in virt dei contratti a termine conclusi anno dopo anno. 2.3. Sulla conformitˆ allĠart. 81 Cost. Anche la conformitˆ allĠart. 81 Cost.  stata valutata, con esito positivo, dalla S.C., ritenendo che la normativa sul reclutamento del personale scolastico risponderebbe ad ÒindifferibiliÓ esigenze di carattere economico (17) di Òcon- (14) Cfr. par. 34. (15) Cfr. par. 46. (16) Cfr. par. 46. (17) Cfr. par. 47. 158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 tenimento della spesa pubblicaÓ (18). Peraltro, la S.C. non manca di sottolineare Òche, come  noto, la giurisprudenza comunitariaha pi volte evidenziato che nella determinazione della portata applicativa delle direttive un accentuato rilievo va dato alle esigenze di bilancio degli stati membriÓ (19). In realtˆ, giˆ prima di questo autorevole arresto della S.C., la conformitˆ allĠart. 81 Cost. era stata ampiamente e fondatamente sostenuta e, addirittura, si  perfino ritenuto che il divieto di cui allĠart. 36 TUPI radicasse la propria ratio, piœ ancora che nellĠart. 97 Cost., nel precedente art. 81: ÇA sostegno del divieto di conversione, oltre al principio della necessitˆ del pubblico concorso, militano ragioni ulteriori, rappresentate dei principi di predeterminazione delle esigenze di lavoro stabili espresse attraverso la pianta organica, di tutela della programmazione finanziaria e di razionalizzazione e controllo della spesa pubblica (Cass. nn. 6099 e 8229 del 2003: Cass. 10605/04: Cass., n. 11161/2008)È (20). 2.4. Sulla conformitˆ allĠart. 34 Cost. Infine, la S.C. ha sostenuto la conformitˆ della normativa sul reclutamento del personale scolastico anche allĠart. 34 Cost., ritenendola Òfunzionalizzata a ragioni [É] di natura obiettiva, come quelle di assicurare la continuitˆ nel servizio scolastico - obiettivo di rilevanza costituzionale - a fronte di eventi contingenti, variabili ed in definitiva imprevedibili, non solo nelle loro concrete ricaduta a livello territoriale per la popolazione scolastica interessata, ma anche nella collocazione temporale preordinata ad assicurare la continuitˆ del servizio scolasticoÓ (21). (18) Cfr. par. 48, in cui la S.C. richiama il conforme precedente della Corte Cost., sent. del 17 dicembre 2004 n. 300. (19) Cfr. par. 48. (20) Cos’ si esprime il Trib. di Torre Annunziata, Sez. lav. (dr.ssa Matilde DellĠErario) nella sent. n. 358 del 24 gennaio 2012 (cfr. pag. 12, rispett. 6Ħ cpv.). In senso conforme si  espressa pure altra pronuncia, pur favorevole alle istanze dei precari: la sent. del 27 settembre 2010 (rgl 699/2009) del Trib. di Siena, Sez. lav. (dr. Delio Cammarosano). In essa il Tribunale di Siena, considerato che ÇlĠart. 97 della Costituzione prevede espressamente la possibilitˆ per il legislatore ordinario di derogare al principio della concorsualitˆÈ, sostiene che Çil principio di non convertibilitˆ, certamente di favore datoriale, tuttora diffusamente persistente nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, non si alimenta soltanto, come appena detto, insufficientemente, della imprescindibilitˆ della regola della assunzione mediante pubblico concorso, sottolineandosi in dottrina come Òscopo del divieto  di scongiurare il rischio che attraverso la conversione di rapporti precari si possano incardinare rapporti a tempo indeterminato senza una programmazione del fabbisogno del personale e con il rischio di assumere un numero di persone maggiore di quanto possano consentire gli stanziamenti in bilancioÓ (cfr. anche C. Cost. 1997/n. 59)È (cfr. sent, pag. 9, 5Ħ cpv.). (21) Cfr. par. 68. CONTENZIOSO NAZIONALE 159 3. La conformitˆ della normativa speciale relativa al recutamento del personale scolastico alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 ed allĠallegato accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. 3.1. Insussistenza di un abuso dello Stato-Legislatore. La S.C., dopo aver ampiamente argomentato in merito alla rispondenza, sotto vari profili della disciplina speciale operante in materia di reclutamento del personale scolastico alle norme costituzionali e dopo aver ribadito che a tale reclutamento non  applicabile il d.lgs. n. 368/2001 (attuativo della direttiva 1999/70/CE), ha verificato, con esito positivo, se la detta normativa speciale di reclutamento sia conforme direttamente alla direttiva 1999/70/CE. Pi precisamente, ad avviso della S.C. nella normativa sul reclutamento del personale nel settore della scuola Çnon  ontologicamente configurabile quellĠabuso di diritto ritenuto sanzionabile dalla direttiva e dalla giurisprudenza comunitariaÈ (22). Per escludere la configurabilitˆ di un abuso della contrattazione a termine nella legislazione sul reclutamento del personale scolastico, la S.C. parte dalle seguenti importanti premesse: che tale normativa consente la stipula di contratti a tempo determinato Çin relazione alla oggettiva necessitˆ di far fronte, con riferimento al singolo istituto scolastico - e, quindi, al caso specifico -, alla copertura dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre, ovvero alla copertura dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre, ovvero ancora ad altre necessitˆ quale quella di sostituire personale assente con diritto alla conservazione del posto di lavoroÈ (23); che tutti questi casi in cui  consentito il ricorso alla contrattazione a termine si riferiscono a Çcircostanze precise e concrete caratterizzanti la particolare attivitˆ scolasticaÈ (24) (ad es., con riferimento alle fattispecie regolate dallĠart. 41,2 della l. n. 124/1999, rileva lo stretto collegamento tra la necessitˆ di ricorrere alla supplenza e la ciclica variazione in aumento ed in diminuzione della popolazione scolastica e la sua collocazione geografica); che gli Stati membri sono tenuti, in generale, nellĠambito della libertˆ che viene loro riservata dallĠart. 249, terzo comma, Trattato CEE, a scegliere le forme e i mezzi idonei al fine di garantire lĠefficacia pratica delle direttive (25); (22) Cfr. par. 67. (23) Cfr. par. 59. (24) Cfr. par. 59. (25) Cfr. par. 55, in cui la S.C. richiama le seguenti sentenze della Corte di Giustizia del 4 luglio 2006 C-212/04, Adeneler cit. (punto 65) e del 26 gennaio 2012 C-586/10 KŸcŸk (punto 26), nonchŽ la propria sentenza del 21 maggio 2008 n. 12985. 160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 che tale principio generale resta fermo nel presente contenzioso, in quanto lĠaccordo quadro non stabilisce le condizioni precise in base alle quali si pu˜ far ricorso al contratto a tempo determinato, ma sancisce unicamente lĠadozione, qualora il diritto nazionale non preveda norme equivalenti, di almeno una delle misure in essa enunciate, che attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive giustificative del rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi (26) ; che secondo conforme giurisprudenza comunitaria Çla nozione di Çragioni obiettiveÈ, ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a), dellĠaccordo quadro, deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete caratterizzanti una determinata attivitˆ e, pertanto, tali da giustificare in questo particolare contesto lĠutilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successiviÈ (27); che ÇTali circostanze possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni per lĠespletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una 1egittima finalitˆ di politica sociale di uno Stato membro È (28). Ebbene, cos’ ricostruita sia la normativa italiana che quella comunitaria, la S.C. conclude sostenendo che la prima costituisca Ònorma equivalenteÓ alle misure di cui alla clausola 5 , n. 1, lett. da a) a c) dellĠaccordo quadro secondo quanto indicato dalla sentenza 28 aprile 2009 C-370/07 Angelidaki cit.È (29). 3.2. Il problema probatorio sotteso al giudizio di accertamento Òin concretoÓ dellĠabuso dello Stato-Amministrazione. Peraltro, sempre a sostegno della riconosciuta conformitˆ alla normativa comunitaria del sistema di reclutamento del personale scolastico, la S.C. richiama in pi passaggi della motivazione (30) quanto affermato dalla rilevante sentenza della C.G.U.E, pronunciata nel procedimento Bianca KŸcŸk c/Land Nordrhein-Westfalen (causa C-586/10). La S.C. ha affermato che: Çspetta al giudice nazionale di valutare se in concreto lĠimpiego di un dipendente per un lungo periodo di tempo in forza di ripetuti e numerosi contratti sia rispettosa della clausola 5, punto 1, dellĠaccordo quadro (sentenza 26 gennaio 2012 C-586/10 KŸcŸk cit. punto 55), che deve ritenersi, nel caso di specie, rispettata perchŽ il reiterarsi degli incarichi, (26) Cfr. par. 55. (27) Cfr. par. 56. (28) Cfr. par. 57. (29) Cfr. par. 59. (30) Cfr. La sentenza della S.C. richiama i punti 28 (cfr. par. 62, pag. 24, ult. cpv.), 52 (cfr. par. 62, inizio pag. 25) e 55 (cfr., par. 63). CONTENZIOSO NAZIONALE 161 come rilevato - ma Ž opportuno ribadirlo - risponde ad oggettive, specifiche esigenze, a fronte delle quali non fa riscontro alcun potere discrezionale della pubblica amministrazione, per essere la stessa tenuta al puntuale rispetto della articolata normativa che ne regola lĠassegnazioneÈ (31). La ratio del principio di cui al punto 55 della sentenza KŸcŸk, applicato al par. 63 della sentenza della S.C.,  espressa con chiarezza dalla CGUE ed  la seguente: Çla sola circostanza che si concludano contratti di lavoro a tempo determinato al fine di soddisfare unĠesigenza permanente o ricorrente, del datore di lavoro, di personale sostitutivo non pu˜ essere sufficiente, in quanto tale, ad escludere che ognuno di questi contratti, considerati singolarmente, sia stato concluso per garantire una sostituzione avente carattere temporaneo, sebbene la sostituzione soddisfi unĠesigenza permanente, dato che il lavoratore assunto in forza di un contratto a tempo determinato svolge compiti ben definiti facenti parte delle attivitˆ abituali del datore di lavoro o dellĠimpresa, resta il fatto che lĠesigenza di personale sostitutivo rimane temporanea poichŽ si presume che il lavoratore sostituito riprenda la sua attivitˆ al termine del congedo, che costituisce la ragione per la quale il lavoratore sostituito non pu˜ temporaneamente svolgere egli stesso tali compitiÈ (32) . La sig.ra KŸcŸk aveva lavorato come assistente di cancelleria presso il segretariato della Sezione delle cause civili del Tribunale distrettuale di Colonia, in forza di tredici contratti di lavoro a tempo determinato conclusi a fronte di congedi temporanei, compresi i congedi parentali di educazione, ed i congedi speciali fruiti da assistenti assunti a tempo indeterminato e diretti a garantire la sostituzione di questi ultimi. Essendo questa la particolare fattispecie decisa dalla CGUE, pu˜ comprendersi perchŽ, secondo taluno dei primi commentatori della sentenza della Cass., il richiamo alla sentenza KŸcŸk Çpu˜ essere considerato un autogol clamorosoÈ (33) . Tuttavia, nonostante la diversitˆ tra le fattispecie giudicate nelle due sentenze non si pu˜ ritenere errato il richiamo alla sentenza comunitaria, purchŽ si apporti la seguente precisazione: pur potendosi reputare corretta lĠestensione del principio della sentenza KŸcŸk allĠintero contenzioso italiano del precariato scolastico, si deve del pari reputare non corretto il modo in cui tale estensione  stata compiuta, vale a dire non tenendo conto delle peculiaritˆ del contenzioso dei precari della scuola. (31) Cfr. par. 63. (32) Cfr. punto 38 della sentenza KŸcŸk. (33) S. GALLEANO, W. MICELI, ÒLa Cass. condanna i docenti italiani al precariato a vita ma la Commissione europea apre due procedimenti dĠinfrazione nei confronti dello Stato Italiano. Come uscire dal corto circuito?Ó, Diritto Scolastico, 3 luglio 2012, http://www.dirittoscolastico.it/la-cassazionecondanna- i-docenti-italiani-al-precariato-a-vita-ma-la-commissione-europea-apre-due-procedimentidinfrazione- nei-confronti-dello-stato-italiano-come-uscire-dal-corto-circuito/ (20/03/2013). 162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Nel caso KŸcŸk lĠassenza di un abuso datoriale, pur dopo anni di contratti a termine, era evidente, perchŽ, sul piano probatorio, non era stato necessario dimostrare dal datore di lavoro che la lavoratrice avesse sopperito con ogni singolo contratto ad unĠesigenza temporanea di ricorso al precariato, essendo incontestato e, quindi, pacifico, che ciascuno dei contratti era stato concluso per sostituire durante il periodo di legittimo congedo lavoratori a tempo indeterminato con diritto alla conservazione del posto. Nel caso del contenzioso italiano, invece, il problema probatorio rimane cruciale, in quanto, pur condividendosi lĠastratta conformitˆ comunitaria della disciplina sul reclutamento del personale scolastico, da tale conformitˆ della norma nazionale a quelle comunitaria non pu˜ farsi discendere che, sempre e comunque, non si possa essere verificata in concreto una violazione della norma nazionale e per tale via di quella comunitaria. Uno stato membro, infatti,  parimenti inadempiente agli obblighi comunitari sia quando li viola in qualitˆ di legislatore, che quando li viola in qualitˆ di amministratore e lĠaver dimostrato lĠassenza di un abuso dello Stato-Legislatore non consente di escludere anche lĠabuso dello Stato-Amministrazione in relazione alla medesima normativa comunitaria. A fronte dellĠestensione del principio KŸcŸk ai precari della scuola pubblica italiana (che, seppure corretta, deve ritenersi sia stata motivata in modo debole e fumoso), non sono mancate le prime critiche delle corti di merito, che hanno colto il punto di debolezza della motivazione della S.C. (pur non richiamandola espressamente). In particolare, ci si pu˜ richiamare ad una delle pi recenti sentenze del Tribunale di Trapani, che riconoscendo risarcimenti consistenti ai precari, sono balzate (al contrario della sentenza della S.C.) agli onori della cronaca. Tale sentenza, la n. 89/2013 del 15 febbraio 2013, sembra, come detto, cogliere nel segno quando rimarca che, per poter applicare il principio KŸcŸk, non si pu˜ prescindere dalla necessitˆ di risolvere un giudizio in concreto sullĠabuso lamentato e, dunque, non pu˜ non porsi una questione probatoria: ÇTale pronuncia [nds.: ci si riferisce a quella del caso KŸcŸk] non legittima affatto la generalizzata reiterazione del rapporto a termine nel pubblico impiego (in particolare nel settore scolastico) É Piuttosto, con la sentenza KŸcŸk la Corte di Giustizia afferma la necessitˆ di procedere ad una valutazione caso per caso per appurare se vi siano circostanze precise e concrete che esprimano, di fatto, la necessitˆ di procedere a plurime assunzioni a termine in successioneÈ (34). Si potrebbe obiettare che pure la S.C. pretende questo accertamento concreto, poichŽ afferma, come si  giˆ ricordato, che Çspetta al giudice nazionale di valutare se in concreto lĠimpiego di un dipendente per un lungo periodo di (34) Cfr. sent., fine pag. 8 - pag. 9. CONTENZIOSO NAZIONALE 163 tempo in forza di ripetuti e numerosi contratti sia rispettosa della clausola 5, punto1, dellĠaccordo quadroÈ (35). Eppure, nel momento in cui la S.C. afferma che ÒspettaÓ al giudice accertare Òin concretoÓ lĠabuso, nella stessa frase svuota il principio appena affermato, riducendolo ad un guscio vuoto: Ç[É] la clausola 5, punto 1, dellĠaccordo quadro [...] deve ritenersi, nel caso di specie, rispettata perchŽ il reiterarsi degli incarichi, come rilevato ma Ž opportuno ribadirlo - risponde ad oggettive, specifiche esigenze, a fronte delle quali non fa riscontro alcun potere discrezionale della pubblica amministrazione, per essere la stessa tenuta al puntuale rispetto della articolata normativa che ne regola lĠassegnazioneÈ. In altre parole, la S.C. afferma, da un lato, che lĠaccertamento se sia stato o meno violato in un dato caso la clausola 5, punto 1, dellĠAQ. va compiuto dal giudice Òin concretoÓ, dallĠaltro, subito dopo, precisa che quellĠaccertamento non pu˜ che avere esito positivo, in quanto, lĠAmministrazione ricorre alla contrattazione a termine essendo Òtenuta al puntuale rispetto della articolata normativa che ne regola lĠassegnazioneÓ: pu˜ ancora parlarsi, dunque, di un accertamento Òin concretoÓ ? La S.C., in sintesi, non ha errato quando ha ritenuto applicabile ai precari della scuola il principio enucleato dalla CGUE per il caso KŸcŸk, ma avrebbe dovuto: in primis, sottolineare la diversitˆ del contenzioso in esame rispetto al particolarissimo caso KŸcŸk, ove, per le ragioni ampiamente esposte, il problema probatorio non si poneva, poichŽ lĠesistenza di una carenza provvisoria di organico era incontroversa, in secondo luogo, indicare il modo nel quale il principio KŸcŸk pu˜ applicarsi ai precari della scuola, ponendo lĠaccento, in particolare, sullĠesigenza che anche per questi ultimi si pone la necessitˆ imprescindibile di accertare di volta in volta, caso per caso, Òin concretoÓ, lĠabusivitˆ del ricorso per un lungo periodo di tempo a contratti a termine e che tale accertamento, per essere, davvero, Òin concretoÓ, non potrˆ risolversi in un mero scrutinio della compatibilitˆ della normativa italiana a quella comunitaria, bens“ dovrˆ comprendere anche quello della conformitˆ dellĠazione del MIUR alla normativa italiana/accertata come comunitariamente legittima. Purtroppo, il problema probatorio sotteso a tali accertamenti in concreto non  stato affrontato dalla S.C., che, consequenzialmente, non ha indicato ai giudici di merito gli indici probatori dellĠabuso e non ha prospettato, ai fini dellĠesito positivo o negativo di quel giudizio, quale debba essere il pi corretto riparto dellĠonere probatorio tra le parti, pubblica e privata. (35) Cfr. par. 63. 164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 4. Riconoscimento nel sistema di reclutamento a termine del personale scolastico di un fenomeno di ÒsuccessioneÓ: la S.C. rinuncia ad uno degli argomenti pi signficativi adoperato dalle corti di merito a sostengo dellĠinapplicabilitˆ dellĠart. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001 ai precari della scuola. Purtroppo, la S.C. non  solo nellĠinvocare fumosamente il principio KŸcŸk che ha mostrato di sottovalutare i problemi probatori che si pongono nel presente contenzioso. Pi volte nel corso della sentenza in commento la S.C., ogniqualvolta si  riferita al sistema di reclutamento del personale scolastico precario, ha parlato di un fenomeno di ÒsuccessioneÓ di contratti (36). Si potrebbe, da subito, privare di sostanziale rilievo il richiamo che la S.C. ha compiuto alla ÒsuccessioneÓ dei contratti, sostenendo che tale espressione nella sentenza in commento abbia semplicemente indicato il dato naturalistico/temporale del susseguirsi dei contratti gli uni agli altri. Al riguardo, va considerato che, come la clausola n. 5 dellĠAccordo quadro si riferisce a contratti ÒsuccessiviÓ, cos“ la norma attuativa di cui allĠart. 5, comma 1Ħ, del d.lgs. n. 368/2001 disciplina lĠipotesi in cui un rapporto di lavoro o Òcontinua dopo la scadenza del termine inizialmente fissatoÓ o sia Òsuccessivamente prorogato ai sensi dellĠarticolo 4Ó. Ebbene, ad avviso di larga parte della giurisprudenza di merito pro-parte pubblica, nel caso dei precari della scuola non si pu˜ parlare di una Òsuccessione di contrattiÓ dei quali lĠuno sarebbe continuazione del precedente. La successione si verifica, infatti, ad avviso di questa giurisprudenza, nel lavoro privato o pubblico, solo quando, stipulato un contratto, si procede, sic et simpliciter, al suo rinnovo o alla sua proroga con lo stesso lavoratore: tale comportamento palesa la volontˆ elusiva della disciplina del rapporto a tempo determinato, elusione che la direttiva comunitaria intende sanzionare. In queste ipotesi il nuovo contratto  legato al precedente logicamente e teleologicamente. Questa posizione  stata espressa compiutamente in pi pronunce dalla Corte di Appello di Perugia: Çnel conferimento delle supplenze da parte del- (36) Il riferimento al fenomeno della ÒsuccessioneÓ contrattuale si ritrova nei seguenti punti della motivazione: par. 20 (inizio pag. 7), par. 47 (inizio pag. 19), par. 68 (pag. 27 ed inizio pag. 28), par. 70 (pag. 28). q.s. 3). Del pari non nega lĠesistenza di un fenomeno successorio il Trib. di Fermo, Sez. lav. (dott. Camillo Cozzolino), nella sent. n. 154/2011 del 16 agosto 2011: Çé vero che nell'ambito della scuola vi  una successione di contratti a termine, anche nel lungo periodo É ci˜ non di meno deve tenersi conto che in tutto questo non vi  niente che provenga dal datore di lavoro, ossia dall'Amministrazione Scolastica. Una volta divisato dagli organi politici lĠassunzione di detto personale, vagliate le esigenze sottese alla procedura di cui agli artt. 4 e 4 bis del d.lgs. 165/2001, tra cui valore primario assume la necessitˆ del valore costituzionale della continuazione didattica con lĠesigenza di pari valore costituzionale della razionale utilizzazione delle risorse finanziarie disponibili per l'erogazione dei servizi pubblici cui  preposto lo Stato, si procede ad attivare la procedura di reclutamentoÈ (cfr. sent. pag. 8, ult. cpv. fino a pag. 9, 1Ħcpv.). CONTENZIOSO NAZIONALE 165 lĠamministrazione scolastica non sembra potersi ravvisare alcun abuso. Occorre tener presente, anzitutto, che ciascun incarico  svincolato dai precedenti, di cui non costituisce nŽ prosecuzione nŽ proroga, e spesso attiene alla copertura di posti situati in sedi diverse. In secondo luogo, lĠamministrazione scolastica - a differenza del datore privato, che pu˜ scegliete liberamente il lavoratore con cui stipulare il contratto - ha lĠobbligo di attenersi alle graduatorie permanenti provinciali, per gli incarichi su organico di diritto, o, per le supplenze su organico di fatto o temporanee, alle graduatorie interne dĠistituto o di circolo. Il supplente chiamato a ricoprire lĠincarico, poi, non  ÒnominatoÓ, bens“  ÒindividuatoÓ secondo criteri predeterminati che lĠAmministrazione  tenuta a rispettate. In sostanza, una volta individuato nella graduatoria il lavoratore da assumere, lĠattribuzione dellĠincarico costituisce un vero e proprio obbligo per lĠAmmistrazioneÈ (37). Dunque, questa pronuncia, come altre di segno conforme, se hanno escluso una condotta datoriale abusiva, lo hanno fatto anche perchŽ non hanno configurato nel caso di specie un fenomeno di successione dei contratti, reputando che la successione debba escludersi laddove, come nel caso in esame, lĠindividuazione del lavoratore avvenga secondo criteri predeterminati dalla legge, cui datore e lavoratore sono sottoposti, e che non hanno alcun collegamento con il precedente rapporto. Si pensi al fatto che il lavoratore precario (docente o ATA) non pu˜ pretendere di essere confermato nella precedente sede di servizio (collegando funzionalmente i contratti), ma deve scegliere secondo lĠordine di graduatoria; per cui il ritorno alla precedente sede di servizio dipende dalla mancata scelta di altri aspiranti con migliore posizione in graduatoria e non dallĠesistenza di un precedente rapporto di lavoro. Ebbene, nel momento in cui la Cassazione conferma che nel settore scolastico non  configurabile alcun abuso del datore di lavoro/P.A. anche in ragione del fatto che Çla formazione della graduatoria permanente [É]  ancorata a rigidi criteri oggettivi [...] che costituiscono attuazione [...] del principio generale secondo il quale lĠassunzione dei dipendenti pubblici, anche non di ruolo, deve avvenire secondo procedure sottratte alla discrezionalitˆ dellĠamministrazione (art. 97 Cost.)È (38), sarebbe stato piœ opportuno che la stessa S.C. non avesse parlato con riguardo ai precari della scuola pubblica di ÒsuccessioneÓ di contratti: infatti, alla luce della legislazione nazionale di recepimento del 2001, lĠespressione  usata per indicare, quali fenomeni elusivi del divieto di abuso della contrattazione a termine, tutte le ipotesi di successione contrattuale in cui ciascun contratto non  solo successivo al precedente, ma ne rappresenta la continuazione. (37) Cfr. Corte di Appello di Perugia, sent. n. 524/2010. (38) Cfr. par. 44. 166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 é, dunque, criticabile che la S.C., parlando di ÒsuccessioneÓ di contratti nel caso del reclutamento del personale scolastico precario, abbia mostrato di sottovalutare il rilievo probatorio attribuibile alla successione contrattuale, quale fatto di per se stesso indicativo della sussistenza del lamentato illecito datoriale. Due sono gli abusi che spetta al giudice valutare, come si  detto: quello dello Stato-Legislatore e quello dello Stato-Amministrazione. Il primo  stato escluso in maniera netta e chiara dalla S.C., che, per negare lĠabuso dello Stato legislatore, ha affermato che pu˜ Çricavarsi al di lˆ di ogni dubbio, [...] sia dalla normativa statale che da quella comunitaria, la piena legittimitˆ del reclutamento del personale scolastico articolato sulla successione di pur numerosi contratti a termineÈ (39). Dunque, lĠespressione ÒsuccessioneÓ adoperata dalla S.C. si pu˜ ritenere che costituisca, s“, unĠespressione impropria, ma che, tutto sommato, non comporti, ai fini della responsabilitˆ del legislatore, conseguenze pratiche di grande rilievo: anche ove si ritenesse che la Corte, parlando di ÒsuccessioneÓ, abbia voluto riferirsi proprio ad un fenomeno di consecuzione contrattuale in cui ogni contratto  continuazione del precedente, ci˜ non avrebbe alcun riflesso sulla responsabilitˆ dello Stato-Legislatore (la disciplina esaminata, infatti,  considerata Ònorma equivalenteÓ alle misure di contrasto allĠabuso pretese dallĠUE). In altre parole, il problema probatorio dellĠaccertamento del fatto illecito/abuso lamentato scolorisce quando si tratti di accertare lĠabuso dello Stato-legislatore, poichŽ esso va indagato tramite una valutazione una tantum ed in astratto della conformitˆ o meno della normativa interna con quella comunitaria. Tuttavia, una volta negato lĠillecito dello Stato-Legislatore, non pu˜ escludersi con analogo giudizio una tantum ed in astratto anche quello dello Stato- Amministrazione (MIUR), potendosi ben dare il caso che questĠultima, nelle proprie condotte concrete, violi la norma interna e contestualmente la direttiva comunitaria. Di ci˜ la S.C.  ben consapevole e, infatti, chiarisce che di abuso potrˆ parlarsi solo ove Çsi sia in presenza di supplenze annuali o temporanee al di fuori delle condizioni legislativamente previsteÈ (40): tra queste condizioni non vi  solo quella ricordata dalla corte, vale a dire il Çrispetto delle graduatorie nella assegnazione delle supplenzeÈ (41), ma anche la sussistenza di una provvisorietˆ, reale, non solo sulla carta, della carenza di organico. Si avrˆ, ad es., abuso quando lĠAmministrazione/MIUR assegni con contratto di supplenza annuale, con scadenza al 31 agosto, una cattedra che corrisponda ad un vuoto stabile nellĠorganico ossia quando la norma interna (reclutamento (39) Cfr. par. 70. (40) Cfr. par. 70. (41) Cfr. par. 70. CONTENZIOSO NAZIONALE 167 compiuto per scorrimento della graduatoria provinciale) sia formalmente applicata per tradirne lo spirito. Ebbene, per questo tipo di abuso, il problema probatorio ritorna cruciale per il giudice, perchŽ non potrˆ, per escludere lĠabuso, limitarsi a dichiarare la conformitˆ del diritto nazionale a quello comunitario: dovrˆ valutare anche se, in concreto, la condotta dellĠAmministrazione integri un abuso della contrattazione a termine, se abbia concluso contratti a termine nei soli casi in cui  legittimata a farlo in virt della normativa nazionale/comunitariamente conforme. Il giudice, dunque, considerando il caso di ogni singolo ricorrente, dovrˆ compiere un giudizio in concreto, appurare se il contratto a termine  stato concluso nei casi ammessi dalla legge, verificando, cio, se i vuoti di organico coperti da quelle supplenze fossero realmente provvisori oppure no. Ma per far ci˜, dovrˆ a monte avere ben chiaro come vada compiuto tra le parti il riparto dellĠonere probatorio: chi, tra lavoratore e datore, deve provare cosa ai fini della dimostrazione dellĠabuso? E ancora, quali sono i fenomeni indicativi di una elusione della normativa nazionale, vale a dire del carattere non stabile, bens“ provvisorio, di una carenza di organico? Queste domande non hanno trovato risposta nella sentenza della S.C., nŽ, piœ in generale, la stessa ha indicato, per cos’ dire, delle linee guida alle corti di merito da seguire per condurre in modo uniforme e con esiti prevedibili gli innumerevoli giudizi sui lamentati abusi in concreto che saranno in futuro ancora proposti dal personale precario nei confronti dello Stato-Amministrazione. Vi  di piœ: ma questo sarˆ un problema, non giˆ del giudice di merito, bens“, purtroppo, della sola pubblica difesa. LĠespressione ÒsuccessioneÓ contrattuale usata dalla S.C. si potrˆ rivelare, se fraintesa, pericolosa ove, come sarˆ doveroso fare, la pubblica difesa continuerˆ a sostenere la non sussistenza di abusi da parte del MIUR: questo obiettivo sarˆ piœ difficile da raggiungere se, da parte avversa (i precari) si farˆ leva sullĠaffermata (dalla S.C.) esistenza di successione di contratti, intesa come ÒcontinuazioneÓ dei precedenti, invocata, ovviamente, dai precari come indice probatorio dellĠesistenza di un abuso datoriale. 5. Il problema probatorio sotteso al giudizio di accertamento Òin concretoÓ dellĠabuso dello Stato-Amministrazione. Le soluzioni offerte dalla giurispurdenza di merito favorevole alla parte pubblica. Va preliminarmente evidenziato che giˆ prima della sentenza della S.C. non sono mancate sentenze delle corti di merito le quali, in coerenza con essa, hanno, di fatto, ancorato il giudizio sulla sussistenza dellĠabuso datoriale ad una valutazione da compiersi in astratto e non in concreto, vale a dire in virt della mera dimostrazione della conformitˆ della legislazione nazionale sul reclutamento del personale scolastico alla direttiva comunitaria: ÇDatore di lavoro, infatti, non  la singola struttura didattica di turno, nellĠambito della 168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 quale potrebbe in astratto discutersi della obiettiva temporaneitˆ della esigenza lavorativa soddisfatta con lĠinstaurazione del singolo rapporto di lavoro a termine, ma il Ministero, lĠAmministrazione scolastica, nel cui ambito quel rapporto soddisfa una esigenza lavorativa istituzionale ordinaria, corrente, nel tempo immutata, tuttĠaltro che eccezionale o temporanea, ma destinata a soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoroÈ (42). 5.1. Il riparto dellĠonere probatorio quanto alla lamentata illegittima condotta datoriale del MIUR: gli oneri gravanti sulla parte ricorrente ed il carattere presuntivo delle prove eventualmente poste a carico della P.A. Tuttavia, i precari della scuola continueranno a sostenere la fondatezza delle proprie istanze, anche contestando quelli che si sono prima indicati come i punti (se non deboli, certamente) discutibili dellĠarresto della S.C.. Peraltro, si sono giˆ registrate pronunce di merito in senso contrario allĠorientamento della S.C. ed  prevedibile che altre ne seguiranno, ove i giudici di merito riterranno che il giudizio sullĠinesistenza dellĠabuso non si debba risolvere nella sola valutazione in astratto della conformitˆ tra legislazione interna e norme comunitarie, bens“ richieda anche un giudizio in concreto sulla coerenza tra lĠazione della P.A./MIUR ed i presupposti fissati dalla legge nazionale per la legittimitˆ del ricorso, nei singoli casi controversi, alla contrattazione a termine. Come, si  ampiamente rilevato, sono varie le problematiche probatorie connesse ad un accertamento in fatto del lamentato abuso e che non sono state affrontate dalla S.C.: tuttavia, a fronte del silenzio della S.C., lĠavvocatura dello Stato potrˆ rintracciare nella pregressa giurisprudenza di merito piœ di una decisione nella quale, avvertita la necessitˆ di un accertamento in concreto del lamentato carattere abusivo della condotta del MIUR, il relativo onere probatorio  stato posto a carico dei dipendenti ricorrenti. In primo luogo,  interessante richiamare quanto affermato dal Trib. di Napoli, Sez. Lav. (Dr.ssa Milena dĠOriano), in una sentenza del 16 marzo 2010. Ad avviso del Tribunale di Napoli, infatti, sul piano probatorio, Çper sostenere lĠuso illegittimo dellĠistitutoÈ della contrattazione a termine, da un lato, spetta al ricorrente Òindicare quali e quante supplenze annuali [nds: gli] sono state attribuiteÓ, dallĠaltro, Çnon  sufficiente affermare che gli incarichi si sono ripetuti, ma  necessario dedurre e provare per quale motivo la nomina a tempo determinato  stata utilizzata abusivamente in luogo di quella a tempo indeterminato È (43). Infatti, Çin assenza di qualsiasi dato concreto di valutazione, e quindi nellĠimpossibilitˆ di verificare lĠillegittimo utilizzo della supplenza an- (42) Cfr. Trib. di Siena, Sez. lav. (dr. Delio Cammarosano), sent. del 27 settembre 2010 (rgl 699/2009), pag. 4, punto 2, 2Ħ cpv.. (43) Cfr. sent., pag. 7, penultimo cpv.. CONTENZIOSO NAZIONALE 169 nuale, anche le domande subordinate non possono essere accolteÈ (44). In particolare, il ricorrente dovrˆ fornire al giudice precisi dati fattuali indicativi del lamentato abuso: ÇSul piano generale [nds: facendo] riferimento alle scelte programmatiche del Ministero convenuto in ordine al numero insufficiente di immissioni in ruolo rispetto alla quantitˆ di posti prevedibilmente da coprire, mentre su quello particolare [nds: alla] ripetitivitˆ dellĠincarico nello stesso Istituto per il medesimo numero di ore o per la stessa materia di insegnamentoÈ (45). In senso conforme si pone anche il Trib. di Torre Annunziata, Sez. lav., (dr. Umberto Lauro), che, nella sent. n. 1846 del 23 marzo 2010, delimita esattamente lĠonere probatorio gravante sui dipendenti ricorrenti: affinchŽ possa valutarsi la sussistenza di un abuso della contrattazione a termine, i dipendenti/ ricorrenti hanno, s“, lĠonere di Çindicare quali e quante supplenze annuali sono state attribuite a ciascuno, ma É per sostenere l'uso illegittimo dellĠistituto, non  sufficiente affermare che gli incarichi si sono ripetuti, occorrendo dedurre e provare per quale motivo la nomina a tempo determinato  stata utilizzata abusivamente in luogo di quella a tempo indeterminatoÈ (46). Al fine dellĠassolvimento dellĠonere probatorio posto a carico di parte ricorrente, si precisa che ÇSul piano generaleÈ,  Çutile fare riferimento alle scelte programmatiche del Ministero convenuto in ordine al numero insufficiente di immissioni in ruolo rispetto alla quantitˆ di posti prevedibilmente da coprire, mentre su quello particolare descrivere la ripetitivitˆ dellĠincarico nello stesso istituto, per il medesimo numero di ore o per la stessa materia di insegnamentoÈ; per cui, ÇIn assenza di qualsiasi dato concreto di valutazione, e, quindi, nellĠimpossibilitˆ di verificare lĠillegittimo utilizzo da parte dellĠamministrazione convenuta dellĠistituto della supplenza annuale, al pari di quella principale, anche le domande subordinate devono essere rigettateÈ (47) . Non solo. Il Tribunale di Torre Annunziata ritiene anche che ÇLĠaccertamento del lamentato abuso risulta precluso dalla mancata allegazione, in ricorso, delle circostanze di fatto e di diritto che hanno caratterizzato la stipula dei singoli contratti di lavoroÈ (48) . Nel caso esaminato, infatti, precisa il Tribunale, Çper ciascuno dei ricorrenti andavano, invero, riportati quanto meno il numero di contratti stipulati, la durata, la materia di insegnamento, lĠistituto scolastico in cui avevano lavorato È (49) e ÇÉai fini di una tale verifica, non pu˜ in alcun modo farsi riferimento alla documentazione versata in atti con il deposito del ricorso, per (44) Cfr., sent., ult. pag. 1Ħ cpv.. (45) Cfr. sent., da pag. 7, ultimo cpv., ad inizio pag. succ.. (46) Cfr. sent., pag. 7, 3Ħ cpv.. (47) Cfr. sent., pag. 7, 4-5Ħ cpv.. (48) Cfr. sent., pag. 6, 3Ħ e 4Ħ cpv.. (49) Cfr. sent., pag. 6, 3Ħ e 4Ħ cpv.. 170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 lĠevidente ragione che uno  il piano delle allegazioni, altro  il piano delle produzioni documentali, destinato a venire in rilievo in una fase processuale logicamente e cronologicamente distinta ed in funzione esclusivamente probatoria di quanto giˆ oggetto di precedente allegazioneÈ (50). Ci˜ premesso, il tribunale di Torre Annunziata, dunque, rigetta la domanda risarcitoria, dal momento che, ÇnellĠatto introduttivo, si fa derivare il diritto al risarcimento dal fatto che i ricorrenti hanno lavorato per pi anni, con assoluta continuitˆ, in virt di contratti a tempo determinato sistematicamente rinnovati; senza, tuttavia, allegare lĠelenco di tali contratti, cos“ precludendo ogni accertamento sulla legittimitˆ o meno degli stessiÈ (51). Ove quindi, la pubblica difesa preveda che, in ragione delle prospettazioni di parte ricorrente, il giudice potrebbe essere indotto a compiere un giudizio in concreto sullĠeffettiva esistenza del carattere realmente precario della carenza di organico (che non si risolva, dunque, nella mera valutazione in astratto della conformitˆ della legislazione nazionale sul reclutamento del personale scolastico a quella comunitaria), potrˆ fondatamente argomentare come il relativo onere probatorio gravi sulla parte ricorrente, per le ragioni sostenute nelle richiamate pronunce. Ci˜ premesso, anche ove si volesse sostenere, in senso contrario, che sulla parte pubblica gravi lĠonere di provare la precarietˆ della carenza di organico (in virtœ, ad es., del principio c.d. di vicinanza della prova), cionondimeno ancora una volta la giurisprudenza di merito precedente alla sentenza della S.C., nel silenzio di questĠultima, varrebbe a corroborare le tesi difensive dellĠAmministrazione resistente. é noto che dallĠassoggettamento al diritto privato degli atti di gestione del rapporto di lavoro pubblico derivi, come suo naturale corollario, che agli atti della P.A. consistenti nella gestione del rapporto di lavoro sia inapplicabile la legge 7 agosto 1990/n.241, vale a dire i principi che regolano lĠazione amministrativa, compreso quello di motivazione dellĠatto. Ci˜ non toglie, tuttavia, che ove si contesti la legittimitˆ dellĠatto di gestione, il giudice, lungi dal poter stigmatizzare la mancanza di motivazione, sarˆ chiamato ad accertare, in ossequio al canone di buona fede cui deve essere sempre improntata anche lĠazione amministrativa, se essa sia stata in concreto rispondente a ragionevolezza e conforme alle norme di legge. In tal caso, la P.A. pu˜ essere chiamata ad esporre in sede contenziosa i motivi che, pur supportanti validamente lĠatto, non vi erano stati esplicitati, non essendovene lĠobbligo. Ebbene, anche laddove, seguendo tale argomentazione, si ritenesse gravante sulla P.A. lĠonere di provare che la conclusione di uno o pi contratti con un dato ricorrente abbia risposto allĠesigenza di sopperire ad una carenza (50) Cfr. sent., pag. 6, 5Ħ cpv.. (51) Cfr. sent., pag. 6, 6Ħ cpv.. CONTENZIOSO NAZIONALE 171 provvisoria di organico, lĠassolvimento di tale onere potrˆ avvenire anche in via presuntiva. In tal senso si pone la sentenza n. 207 del 3 maggio 2012 del Trib. di Teramo, Sez. lav. e previdenza (dr. Luigi Santini): ÇÉin unĠorganizzazione tanto complessa, come quella scolastica,  verosimile il fatto che, ad ogni anno scolastico, si verifichino innumerevoli eventi che rendano temporaneamente scoperti molti posti dellĠorganicoÈ e, di conseguenza, Ǐ ragionevole ritenere che essi siano eventi forse prevedibili nel numero complessivo, sulla base di unĠindagine compiuta su campioni statisticamente attendibili relativi alle annualitˆ precedenti, ma non sotto altri profili (la sede, la data, la ragione specifica)È, per cui Çparlare, in astratto, di abusivo ricorso al contratto a tempo determinato per il sol fatto della reiterazione delle supplenze, senza ulteriori allegazioni concrete, non  sufficienteÈ (52). In altre parole, le stesse ragioni che, ad avviso della S.C., giustificano la conformitˆ della legge nazionale alle norme comunitarie possono valere, secondo la citata sentenza di merito, a provare, in via presuntiva, lĠinesistenza in concreto di un abuso della condotta datoriale. Si tratterebbe di una presunzione superabile dalla prova contraria di parte resistente. Come si  detto, si sta ipotizzando un iter argomentativo certamente sfavorevole alla pubblica difesa e che, come pure si  ricordato, si  giˆ manifestato in pronunce di merito sfavorevoli alla P.A. e successive alla sentenza della S.C. in commento: secondo queste pronunce il giudizio sullĠabuso dello Stato-Legislatore non preclude quello sullĠabuso dello Stato-Amministratore. Ebbene, lĠesito del primo giudizio pu˜ oggi piœ che mai ritenersi favorevole allo Stato, avendo la S.C. offerto molte e valide argomentazioni a sostegno della conformitˆ del regime italiano di reclutamento del personale scolastico alle norme comunitarie. Anche dopo il favorevole orientamento espresso dalla S.C., difficoltˆ per la pubblica difesa potrebbero esservi, invece, ancora, ogni qual volta un giudice di merito intendesse porre ad oggetto di un autonoma e distinta indagine lĠaltra conformitˆ, vale a dire quella della condotta datoriale del MIUR (ricorso alla contrattazione a termine) ai precisi presupposti indicati dalla legislazione nazionale. Difficoltˆ, poi, destinate ad acuirsi ove si ponesse a carico della P.A. la prova della provvisorietˆ, nel singolo caso controverso, della carenza di organico coperta con contratti a termine. In realtˆ, come si  detto, si tratta di difficoltˆ tuttĠaltro che insuperabili, potendosi ben ammettere la P.A. (come nelle pronunce richiamate) a ricorrere alla prova per presunzioni. Inoltre, non potrebbe sostenersi, al fine di delegit- (52) Cfr. sent., pag. 24, 1Ħ e 2Ħ cpv. 172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 timarne il ricorso, che la prova presuntiva risolverebbe il giudizio sulla conformitˆ della condotta del MIUR alle norme nazionali/comunitariamente conformi in una mera duplicazione mascherata del giudizio astratto sulla conformitˆ della legge nazionale alle norme comunitarie. Un tale pericolo sarebbe escluso in radice dal carattere non assoluto della presunzione, essendo la stessa superabile mediante prova contraria a carico del personale ricorrente. In sintesi, nella stragrande maggioranza dei casi si giungerebbe ugualmente ad un rigetto delle istanze del personale precario, perfino ove si pretendesse un rigoroso giudizio in concreto sulla sussistenza del lamentato abuso datoriale ed anche ove si ponesse a carico della PA lĠonere della prova della provvisorietˆ della carenza di organico coperta mediante ricorso alla contrattazione a termine. 5.2. Anche nel caso del personale scolatico la prova dellĠabusivo ricorso alla contrattazione a termine deve tradursi nella rigorosa prova della sussistenza degli elementi stutturali oggettivi e soggettivi del fatto illecito fonte della denunciata responsabilitˆ. Ove, poi, non si consentisse alla P.A. di assolvere lĠonere probatorio in via presuntiva, diverrebbe indispensabile, piœ di quanto non sia giˆ, lĠattivitˆ informativa che i singoli competenti Uffici Scolastici Provinciali del MIUR svolgono in relazione ai contratti oggetto delle varie controversie. Solo unĠesatta ricostruzione del caso concreto nel quale si inseriscono i singoli contratti controversi stipulati da un dato dipendente/ricorrente pu˜, infatti, consentire alla pubblica difesa di fornire in giudizio la prova della insussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi costitutivi della supposta attivitˆ illecita ed abusiva in questione. é stato giˆ prima richiamato il condivisibile orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui non pu˜ imputarsi al MIUR alcuna condotta di abuso della contrattazione a tempo determinato senza che ne sia fornita una prova sul piano oggettivo. Infatti, il ricorso della P.A. alla contrattazione a tempo determinato per scopo diverso dallĠesigenza di sopperire a carenze transitorie di personale costituirebbe un fatto illecito, che, sia esso contrattuale o aquiliano, spetterebbe provare a chi lamenta di averne subito un pregiudizio. Ebbene, spesso il personale scolastico ricorrente dˆ per provata lĠilliceitˆ della condotta datoriale del MIUR sulla base della conclusione di piœ contratti a termine, anno dopo anno, da parte di uno stesso ricorrente, o, peggio, in virtœ del semplice dato statistico del numero complessivo di tal genere di contratti conclusi in tutto il territorio nazionale per il reclutamento del personale docente ed ATA. Di conseguenza, al fine della prova degli elementi strutturali oggettivi della fattispecie abusiva, i ricorrenti allegano fatti che, lungi dal provarne la sussistenza, semmai, ne escludono la configurabilitˆ in modo evidente: dagli attestati di servizio e dai contratti individuali di lavoro a tempo CONTENZIOSO NAZIONALE 173 determinato allegati agli atti introduttivi del giudizio risulta spesso che detti contratti sono stati conclusi dai ricorrenti con vari, diversi, Istituti scolastici. Il che rafforza la tesi della pubblica difesa: se il MIUR ha concluso i suddetti contratti nei singoli casi di specie lo ho fatto per soddisfare esigenze manifestatesi, transitoriamente, nei diversi Istituti Scolastici presso i quali  stata espletata lĠattivitˆ di supplenza da parte del singolo ricorrente. Per escludere o ritenere sussistente una responsabilitˆ datoriale del MIUR sono necessari elementi fattuali peculiari del caso di specie, indicativi del fatto che gli specifici Istituti scolastici presso i quali il ricorrente abbia prestato la propria attivitˆ lavorativa presentassero carenze stabili di organico e che a dette carenze si sia dolosamente o colposamente sopperito ricorrendo alle docenze di supplenti, abusando, dunque, della contrattazione a tempo determinato. La mancata allegazione da parte del dipendente/ricorrente dei fatti che avrebbero provato la sussistenza degli elementi oggettivi della lamentata condotta illecita del MIUR, consequenzialmente, rende superflua ogni necessitˆ di valutazione dellĠeventuale dolositˆ o colpositˆ della stessa (53). é la stessa sent. n. 10127/2012 della Corte di Cass. a rigettare la domanda risarcitoria, considerando che Çla sua infondatezza  corollario della mancanza di un abuso del diritto nel succedersi di detti contrattiÈ (54). Si , tuttavia, prima anticipato che si sono giˆ registrate pronunce che hanno contraddetto lĠorientamento espresso dalla S.C. e che hanno condannato le Amministrazioni resistenti al risarcimento danni richiesto dai ricorrenti. Tuttavia, tali pronunce sono fortemente criticabili, in quanto esse dichiarano la responsabilitˆ delle Amministrazioni resistenti senza che le condotte ed i danni lamentati siano stati provati in concreto: in relazione a tali sentenze pu˜, infatti, ritenersi che sia stata enucleata accanto alla giˆ nota figura (peraltro superata) del danno in re ipsa, quella della condotta illecita É pure in re ipsa. é questo il caso della recentissima sentenza di Trapani n. 89/2013 del 15 febbraio 2013 che distinguendo ÇnellĠambito del settore scolastico É fra la posizione del docente assunto come supplente per coprire posti non vacanti, ma di fatto disponibili, da quella del docente assunto per coprire posti vacanti e disponibiliÈ ha ritenuto che mentre Çnel primo caso, effettivamente, si pu˜ ritenere (53) Infatti, nella sentenza del 16 ottobre 2007, n. 21619, la Corte di Cassazione, ricostruendo nelle sue linee generali il plesso delle norme regolanti il nesso di causalitˆ nella responsabilitˆ civile, ha espresso un orientamento, successivamente cristallizzatosi nel diritto vivente, secondo cui ÒnellĠindividuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento si prescinde in prima istanza da ogni valutazione di prevedibilitˆ, tanto soggettiva quanto ÒoggettivataÓ, da parte dellĠautore del fatto, essendo il concetto di prevedibilitˆ/previsione insito nella fattispecie della colpa (elemento qualificativo del momento soggettivo dellĠillecito, momento di analisi collocato in un ideale posterius rispetto alla ricostruzione della fattispecie)Ó. (54) Cfr. par. 70. 174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 che la situazione di fatto sia di per sŽ espressiva della temporaneitˆ dellĠesigenza datoriale e, quindi, si pu˜ affermare che la reiterazione di rapporti a termine (senza indicazione di alcuna giustificazione) sia legittima, come implicitamente affermato dalla sent. KucukÈ, tale reiterazione sarebbe, invece, illegittima Çnel caso di supplenze volte a coprire posti vacanti e disponibiliÈ (55). Cos’ argomenta il Tribunale la diversitˆ tra le due ipotesi della copertura di posto disponibile ÒvacanteÓ e della copertura di posto disponibile Ònon vacanteÓ Ç[É] le peculiaritˆ del settore scolastico sono state ben evidenziate dalla Corte dĠappello di Perugia, nella sent. n. 143/2011È, secondo cui si devono distinguere le supplenze annuali su Òorganico di dirittoÓ da quelle su Òorganico di fattoÓ (56). Ad avviso di tale sentenza della Corte di Appello di Perugia per supplenze annuali su Òorganico di dirittoÓ si intendono quelle riguardanti posti Òdisponibili e vacanti, con scadenza al termine dellĠanno scolastico (31 agosto)Ó: ÇI posti in questione sono quelli che risultano effettivamente vacanti entro la data del 31 dicembre e che rimarranno prevedibilmente scoperti per lĠintero anno. Per essi, in attesa dellĠespletamento delle procedure concorsuali, si procede al conferimento di supplenze annuali, con la stipulazione di contratti a termine in scadenza al 31 agosto [...] Si tratta, di regola, di posti in sedi disagiate o comunque di scarso gradimento, per i quali non vi sono domande di assegnazione da parte del personale di ruolo. La scopertura di questi posti non  prevedibile, e si manifesta solo dopo lĠesaurimento delle procedure di trasferimento, assegnazione provvisoria, utilizzazione di personale soprannumerario e immissione in ruolo; solo allora verificato che sono rimasti privi di titolare, quei posti possono essere coperti - in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo - mediante l'assegnazione delle supplenze su organico di diritto, dette anche annualiÈ; al contrario, si intendono per Çsupplenze annuali, cosiddette su "organico di fatto"È, quelle Çcon scadenza al 30 giugno, cio, al termine dellĠattivitˆ didattica. I posti con esse coperti non sono tecnicamente vacanti, ma si rendono di fatto disponibili. Ci˜ pu˜ avvenire, ad esempio, per un aumento imprevisto della popolazione scolastica nel singolo istituto, la cui pianta organica resti tuttavia immutata, oppure per lĠaumento del numero di classi, dovuto a motivi contingenti, ad esempio di carattere logisticoÈ. Ci˜ premesso, il Tribunale di Trapani, richiamato questo distinguo della Corte di Appello di Perugia tra supplenze su posti vacanti Ònon disponibiliÓ e su posti vacanti ÒdisponibiliÓ, conclude che: ÇSe il posto  vacante significa che lĠAmministrazione  tenuta a coprirlo, ossia, ad assumere personale Òido- (55) Cfr. sent., pag. 9, 4,5,6 cpv.. (56) Cfr. sent., pag., ult. cpv.. CONTENZIOSO NAZIONALE 175 neoÓ attinto dalle graduatorie (i c.d. idonei non vincitori). In questo caso, pertanto, non si pu˜ affermare che la situazione concreta esprima una temporaneitˆ del fabbisogno, al contrario,  chiaro che lĠassunzione dovrebbe essere effettuata a tempo indeterminato e, se lĠAmministrazione intende procedere ad assumere un docente a termine (specie se lo fa reiterando un rapporto giˆ instaurato anchĠesso a termine), ha lĠonere di indicare quali siano le ragioni obiettiveÈ (57). Ebbene, non si vede per quale ragione lĠipotesi delle supplenze annuali su organico di diritto debba considerarsi, per cos’ dire, in re ipsa, indicativa di un abuso nel ricorso alla contrattazione a termine. Innanzi tutto, pu˜ contestarsi in assoluto la Corte dĠAppello di Perugia, quando sostiene che, alla stregua del dato normativo (art. 4 legge 124/1999), si debba considerare - sempre - come supplenza Òsu organico di fattoÓ quella volta a coprire una carenza di organico dovuta ad Òun aumento imprevisto della popolazione scolastica nel singolo istitutoÓ. Basti a contestarla un semplice esempio. Ipotizziamo che in un liceo scientifico, nellĠanno 0 vi sono tre sezioni (articolate ciascuna in cinque classi, di circa trenta studenti lĠuna) e che lĠanno seguente, lĠanno 1, vi siano anzichŽ le consuete nuove 90 immatricolazioni, ben 120 immatricolazioni. In tal caso, a fronte di 3 sezioni (A, B, C), articolate ciascuna in 5 classi, vi sarˆ una nuova sezione (la D) composta solo da una classe di primo liceo. Ebbene, nellĠanno 1, in cui si verificano le immatricolazioni in piœ rispetto a quelle consuete fino allĠanno 0,  evidente che i trenta alunni in piœ determinino un incremento di organico solo in via di fatto. Solo a partire dallĠanno 2, i trenta alunni immatricolatisi nellĠanno 1, avranno provocato un aumento dellĠÒorganico di dirittoÓ, definito dalla sent. n. 10127/2012 della S.C. quale quello Òcostituito dallĠinsieme del corpo docente e/o del personale ATA che il Ministero assegna ad un determinato Istituto scolastico in base alla popolazione scolastica che istituzionalmente dovrebbe essere iscritta presso quellĠistitutoÓ (58): se, infatti, nellĠanno 1, si  formata una nuova sezione, la D, essa fisiologicamente, permarrˆ nei successivi anni 2, 3, 4 e 5, vale a dire fino al completamento dellĠultimo anno di liceo degli studenti che ne fanno parte, ove questi ultimi non vengano bocciati o non si trasferiscano presso altro Istituto. Dunque, ci troviamo proprio nellĠipotesi contemplata dallĠart. 4 cit. quale supplenza su posti disponibili e vacanti: non vi  infatti dubbio che le classi 2aD dellĠanno 2, 3aD dellĠanno 3, 4aD dellĠanno 4 e 5aD dellĠanno 5 sono classi per le quali non esiste un insegnante di ruolo (posto vacante), nŽ potrˆ esistere (re- (57) Cfr. sent., pag. 9, ult. cpv.. (58) Cfr. sent., par. 50. 176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 stando dunque disponibili le cattedre), fintantochŽ non si possa dire prevedibile che quellĠincremento di immatricolazioni avvenuto al primo liceo nellĠanno 1 e che ha consentito in tale anno la creazione di una quarta nuova sezione, si ripeta anche negli anni seguenti, ripopolando la quarta sezione negli anni 2, 3 etc.. Si ipotizzi, infatti, che nellĠanno 2, le immatricolazioni ritornino ad essere fisiologicamente 90 o comunque non crescano in modo tale da imporre la formazione di una quarta sezione. In tal caso la quarta sezione tenderˆ fisiologicamente ad esaurirsi mano a mano che gli studenti immatricolativisi nellĠanno 1 giungeranno al 5Ħ anno. Ove il MIUR, e per esso, il locale Ufficio Scolastico Provinciale, procedesse ad assumere a tempo indeterminato i docenti occorrenti allĠespletamento delle funzioni didattiche relative ai 5 anni di liceo degli studenti inseriti nellĠanno 1 nella Sezione D, e nellĠanno 2 le immatricolazioni tornassero nuovamente a contrarsi consentendo la formazione di sole tre sezioni, tutti quei docenti rimarrebbero nellĠanno 6 senza cattedra, e si sarebbe determinato un esubero di personale docente, con correlativo aggravio economico per la P.A.. LĠipotesi, come si vede, non  diversa da quella in cui una cattedra si renda disponibile per effetto di una indisponibilitˆ temporanea di chi la occupa a tempo indeterminato a svolgere regolarmente la propria attivitˆ di docenza (posto disponibile non vacante): si pensi ad un docente, che, avendo vinto un dottorato triennale, chieda di essere sospeso per la durata del corso di dottorato dallĠattivitˆ di docenza, con diritto alla conservazione del posto. In entrambi i casi, la carenza di organico  provvisoria, in entrambi i casi non pu˜ che essere colmata con supplenze, in pieno ossequio al principio espresso dalla sentenza KŸcŸk. Eppure, apoditticamente, la sentenza del Tribunale di Trapani, solo perchŽ una cattedra non  coperta da un dipendente a tempo indeterminato, da tale ÒvacanzaÓ fa discendere presuntivamente, sic et simpliciter, che il MIUR abbia fatto ricorso abusivamente alle supplenze ed impone allo stesso di fornire la prova contraria, vale a dire quella della temporaneitˆ della carenza di organico: in sostanza, il Tribunale afferma, quanto alla condotta del MIUR, unĠillegittimitˆ che altro non , se non in re ipsa. La presunzione, infatti, si fonda su una premessa illogica (posto vacante = carenza stabile di organico) e, dunque, mal cela un pregiudizio apodittico di illegittimitˆ della condotta dellĠAmministrazione resistente. A ben vedere, questa sentenza sĠinserisce in un panorama abbastanza ampio di pronunce che, prima dellĠarresto della S.C. del 2012, condannavano, nel contenzioso in commento, le Amministrazioni resistenti affermando lĠesistenza di una condotta datoriale illegittima o di danni senza verificare se ve ne fossero prove concrete: condotta e danno lamentati erano dati per sussistenti in re ipsa. Talora, la pregiudiziale convinzione dellĠesistenza dellĠuna o dellĠaltro  stata palesata expressis verbis. CONTENZIOSO NAZIONALE 177 Si  cos’ giunti perfino a Çinterpretare la statuizione di cui al comma 5 dellĠart. 36 [nds: del d.lgs.165/2001] come una forma di risarcimento in re ipsa ed equitativa, non comune e di carattere eccezionale nel nostro ordinamento per il quale normalmente vige la regola generale per cui sono in capo a chi voglia chiedere un risarcimento gli obblighi di deduzione e di prova dei danni concretamente riportatiÈ, e si  sostenuto che, nel caso dei precari della scuola, Çil lavoratore sia esentato dallĠonere di allegare e provare quale sia il Òdanno concretoÓ che abbia subito, potendosi questo identificare comunque nella perdita del posto di lavoroÈ (59). Tuttavia, tali arresti possono dirsi adeguatamente confutabili alla stregua non solo della recente favorevole sentenza della S.C. (che ha disconosciuto molti dei presupposti sui quali essi erano fondati), ma anche da altri orientamenti espliciti di segno opposto e stratificatisi nella giurisprudenza di merito nel corso degli anni. Ad avviso, ad esempio, del Trib. di Teramo, Sez. lav. e previdenza (dr. Luigi Santini), sent. n. 207 del 3 maggio 2012, nessun diritto al risarcimento pu˜ essere riconosciuto al ricorrente se Çnessun danno  stato concretamente dedotto ed allegato (prima ancora che provato) dalla parte ricorrente, quale conseguenza della successione contrattuale oggetto di censuraÈ: ci˜ poichŽ Çil danno risarcibile non compensa in re ipsa la precarizzazione di un rapporto, ma  necessario che il/la ricorrente alleghi e fornisca la prova dei danni derivati dalla prestazione resa in virt di un contratto con termine illegittimamente apposto. I danni risarcibili non sono infatti automatici, ma eventuali, e vanno in concreto allegati e provati mediante i vari mezzi di prova messi a disposizione dellĠordinamento. Il meccanismo riparatorio previsto dallĠart. 36 non pu˜ dunque essere disconnesso dalla sua funzione tipica di rimediare a specifici, concreti pregiudizi, allegati e provatiÈ (60). In senso conforme, si pone anche la sent. del 19 marzo 2012 (rg:2010/10) del Trib. di Genova, Sez. Lav. (dott.sa Maria Ida Scotto), secondo cui, ritenutosi che nel caso del personale scolastico precario non sussistono nŽ i presupposti per lĠinsorgere del diritto al risarcimento dal danno da mancata o inesatta trasposizione di una direttiva, nŽ alcun danno risarcibile, si  negata la configurabilitˆ di un danno c.d. Òda perdita di chanceÓ: non esiste, si afferma dal (59) Cos’ il Trib. di Ariano Irpino, Sez. lav., dr. Mariella Ianniciello, sent. n. 379 del 17 aprile 2012, pag. 13, rispett. 2Ħ e 1Ħ cpv.. La sentenza, inoltre, pone a carico del MIUR lĠonere di provare le ragioni oggettive legittimanti il ricorso alla contrattazione a termine: ÇSi osservi, poi, ad abundantiam, come anche a voler prescindere da detto rilievo formale non sia controverso che sia onere della resistente dimostrare la corrispondenza alla legge di ciascuno di detti negozi ed , cos“, possibile evidenziare come la convenuta nella propria memoria non abbia allegato alcun dato concreto per confermare come i singoli accordi pattizi corrispondessero alle esigenze di carattere temporaneo richiamate dalla normativa del settore scuolaÈ (cfr., sent., da pag. 9, ult. cpv., fino ad inizio pag. 10). (60) Cfr. sent., pag. 20, 4, 5, 6Ħ cpv.. In tal senso, si pone anche la sentenza gemella dello stesso Trib. di Teramo, Sez. lav. e previdenza, dr. Luigi Santini, la n. 213 del 3 maggio 2012, depositata il 9 maggio 2012 (cfr. sent., pag. 20, 2, 3, 4Ħ cpv.). 178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Tribunale, alcuna apprezzabile chance che una diversa attuazione della direttiva avrebbe arrecato un concreto vantaggio a chi lavora da anni per il MIUR con contratti di lavoro a tempo determinato (61). Quanto ai presupposti per lĠinsorgere del diritto al risarcimento del danno da mancata o inesatta trasposizione di una direttiva, il Trib. di Genova, Sez. Lav., ritiene che non sussista: nŽ il primo presupposto, vale a dire lĠidoneitˆ della norma giuridica violata a conferire a favore di singoli diritti il cui contenuto sia giˆ determinato in modo incondizionato e sufficientemente preciso dalla direttiva stessa, in quanto la direttiva non ha individuato una protezione minima inderogabile che gli Stati membri siano tenuti ad assicurare, ai sensi della clausola 5, n. 1, dellĠaccordo quadro, nŽ ha stabilito lĠobbligo per gli Stati, in caso di accertati abusi, di adottare specifiche sanzioni (quale la conversione del rapporto in stabile o altre), nŽ il secondo presupposto, dato dalla violazione sufficientemente grave e manifesta della norma comunitaria (62). Quanto, poi, al danno, inoltre, il Trib. di Genova, Sez. Lav., precisa che non sussiste alcun danno Òda perdita di chanceÓ, in quanto alcun concreto vantaggio sarebbe venuto ai lavoratori precari Çove il legislatore italiano avesse previsto una durata massima totale dei contratti di lavori a tempo determinato successivi oppure un numero massimo di rinnovi dei suddetti contratti, perchŽ i ricorrenti avrebbero ottenuto in tal caso un numero inferiore di supplenzeÈ (63) , ÇNon sussistono neppure elementi che consentano di ritenere che, ove il legislatore italiano avesse deciso di coprire il maggior numero possibile di posti in organico tramite concorso, anzichŽ fare ricorso, allĠoccorrenza, alle supplenze, parte attrice sarebbe risultata vincitrice degli eventuali concorsi e che comunque le chance dei ricorrenti di vincere gli eventuali concorsi sarebbero state maggiori delle loro attuali chance di essere immessi in ruolo a seguito del progressivo avanzamento nelle graduatorie (graduatorie che, lo si ricorda, ai sensi dellĠart. 1 co. 605 legge n. 296/2006 sono state trasformate da graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento, con evidente posizione di privilegio [...] degli [...] iscritti, rispetto alla generalitˆ degli aspiranti allĠassunzione nel settore scolastico)È (64). LĠinconfigurabilitˆ del danno lamentato dal lavoratore precario in termini di Òdanno da perdita di chanceÓ  stata sostenuta in modo piœ che convincente anche dal Trib. di Lecce, Sez. lav. (dott. Lorenzo H. Bellanova), nella sent. n. 10696/2012 del 5 novembre 2012: (61) Cfr. sent. da pag. 22 a pag. 25, penultimo cpv.. (62) Cfr. sent. da pag. 22 a pag. 25, penultimo cpv.. (63) Cfr. sent. pag. 25, 3Ħ cpv.. (64) Cfr. sent. pag. 25, 4Ħ cpv.. CONTENZIOSO NAZIONALE 179 Il tribunale di Lecce, infatti, ha ritenuto quanto segue. ÇOccorre distinguere tra danno per mancata assunzione configurabile allorchŽ una corretta procedura di avviamento avrebbe necessariamente determinato lĠassunzione del soggetto leso e danno da perdita di chance di assunzione, ipotesi questa che sottintende la mera possibilitˆ di unĠassunzione allĠesito di una regolare procedura selettivaÈ (65). Il danno lamentato dal lavoratore precario in termini di Òdanno da perdita di chanceÓ si configura come danno emergente e non come lucro cessante: Çil concetto di chance va ad individuare una entitˆ patrimoniale suscettibile di autonoma valutazione non solo giuridica ma anche economica, sicchŽ la sua perdita si pu˜ tradurre in un danno attuale e risarcibile in misura non del lucro cessante, ma del danno emergente conseguente alla perdita di una possibilitˆ attualeÈ (66). ÇÒLĠaccoglimento della domanda di risarcimento del danno [É] da perdita di chance esige la prova, anche presuntiva, dellĠesistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilitˆ non di mera potenzialitˆ, lĠesistenza di un pregiudizio economicamente valutabileÓ (Cass. Civile, Sez. III, 11 maggio 2010, n.11353)È (67). ÇLa reiterazione dei contratti a tempo determinato per un verso evita una condizione di disoccupazione e per lĠaltro arricchisce il curriculum lavorativo del soggetto, assegnando punteggio utile da spendere in un eventuale concorsoÈ (68). 6. Il superabile equivoco ingenerato dallĠinfelice obiter dictum sugli scatti biennali spettanti ai suppllenti per il peridodo lavorato. La sentenza n. 10127/2012, nella sua parte conclusiva, contiene un obiter dictum, suscettibile di ingenerare dei dubbi in merito alla riconoscibilitˆ ai docenti precari non di ruolo dei c.d. scatti biennali: Çdisconoscendo ogni rilevanza giuridica ai periodi dĠinattivitˆ lavorativa nel caso di succedersi delle supplenze, questa Corte di Cassazione - seppure in una fattispecie diversa ma con qualche analogia con quella in esame - ha affermato che la categoria del personale supplente si caratterizza per un rapporto di servizio che, fondato su incarichi attribuiti di volta in volta, si interrompe nellĠintervallo da un in- (65) Cfr. sent., penultima pag., 2Ħ cpv.. In senso letteralmente conforme si  posta anche la sentenza, sul punto, per cos“ dire, ÒgemellaÓ, del Trib. di Siena, Sez. lav. (dr. Delio Cammarosano), del 27 settembre 2010 (rgl 699/2009): cfr. penultima pag., 2Ħ cpv.. (66) Cfr. sent., penultima pag., 1Ħ cpv.. In senso conforme v. Trib. di Siena, Sez. lav. Sent. ult. cit., penultima pag., 1Ħ cpv.. (67) Cfr. sent., penultima pag., 3Ħ cpv.. In senso conforme v. Trib. di Siena, Sez. lav. Sent. ult. cit., penultima pag., 3Ħ cpv.. (68) Cfr. sent., penultima pag., in senso conforme v. Trib. di Siena, Sez. lav. Sent. ult. cit., penultima pag., 6Ħ cpv.. 180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 carico ad un altro per cui non spettano, con riferimento al periodo non lavorato, gli scatti biennali (cfr. in tal senso Cass. aprile 2011 n. 8060, che invece ha riconosciuto detti scatti ai docenti di educazione musicale per avere visto costoro con apposita e specifica normativa novato il loro rapporto non di ruolo a tempo indeterminato sino alla successiva immissione in ruolo)È (69). LĠaffermazione cos“ enucleata  suscettibile di due possibili interpretazioni. Seguendo una prima interpretazione ai docenti precari dovrebbero essere riconosciuti gli scatti biennali tranne che per il periodo c.d. non lavorato, vale a dire tranne che quanto allĠintervallo temporale intercorrente tra un contratto e quello successivo. Ci˜ significherebbe che la sentenza in commento, lungi dallĠessere una trionfale vittoria della pubblica difesa, si tradurrebbe in una vittoria di Pirro, dal momento che lĠaffermazione del divieto di conversione del rapporto in stabile, dellĠinsussistenza di un abuso nel ricorso alla contrattazione a termine sarebbe ampiamente compensata, ai danni dello Stato, dalla fondatezza implicitamente asserita delle istanze retributive dei precari. Tuttavia questa interpretazione deve ritenersi non corretta, ove solo si consideri che le fattispecie contemplate dalle due sentenze, la richiamante (n. 10127/2012) e la richiamata (n. 8060/2011), riguardano fattispecie ÇdiverseÈ (sent. 2011: docenti di educazione musicale, vale a dire non di ruolo ed a tempo indeterminato; sent. 2012: docenti non di ruolo ed a tempo determinato), seppur Çcon qualche analogiaÈ, in quanto relative entrambe a docenti non di ruolo. Occorre quindi richiamare per intero il passaggio motivazionale della sent. del 2011 per comprendere, poi, meglio il senso delle affermazioni dalla stessa estrapolate e fatte proprie dalla sentenza del 2012: ÇLa qualitˆ che individua tale categoria [ndr: il docente di educazione musicale: docente non di ruolo, ma a tempo indeterminato]  evidentemente del tutto diversa da quella del docente supplente [ndr: pure Ònon di ruoloÓ, ma], il cui rapporto di servizio trova fondamento in incarichi attributi di volta in volta, e conseguentemente si interrompe nellĠintervallo fra un incarico e lĠaltro [ndr: a tempo determinato]. Esattamente dunque la Corte di merito, richiamandosi a talune decisioni del giudice amministrativo, ha messo in rilievo che il mantenimento in servizio sulla base delle norme richiamate trasforma radicalmente il rapporto, novandolo. Il rapporto diventa peraltro, sulla base delle norme di riferimento, rapporto non di ruolo a tempo indeterminato e dˆ quindi diritto allĠattribuzione degli aumenti biennaliÈ (cfr. Cass., Sez. Lav., sent. 8060 dellĠ8 aprile 2011). In altre parole, la Corte di Cassazione, Sez. Lav., nella sent. n. 8060/2011, aveva chiarito che: 1) ai sensi dellĠ art. 53, comma 3Ħ, Legge n. 312/1980 (70), tra tutti i do- (69) Cfr. par. 71. CONTENZIOSO NAZIONALE 181 centi Ònon di ruoloÓ, gli unici ad avere diritto agli scatti biennali sono solo quelli c.d. Çmantenuti in servizioÈ, perchŽ connotati da un rapporto lavorativo Ça tempo indeterminatoÈ (seppur Çnon di ruoloÈ), vale a dire da un rapporto che non si interrompe mai; 2) al contrario, i docenti non di ruolo quando sono anche a tempo determinato non hanno diritto agli scatti biennali, perchŽ il loro rapporto lavorativo, essendo fondato sui singoli contratti, si interrompe tra un contratto e lĠaltro. Dopo aver attentamente esaminato il dictum della sent. n.8060/2011 ed averlo rettamente riferito al caso dalla stessa esaminato, possiamo meglio comprendere come la sent. del 2012, nel riferirsi alla sentenza n. 8060, non intendesse estendere la portata dei principi ivi espressi, limitandosi a richiamarli nella loro formulazione originaria. SĠimpone unĠinterpretazione del principio nel senso voluto dalla sentenza del 2011 che lĠha formulato: quando la sent. n. 10127/2012 ricorda che la sent. n. 8060/2011 Çha affermato É che non spettano, con riferimento al periodo non lavorato, gli scatti biennaliÈ voleva aver riguardo tra i docenti non di ruolo unicamente a quelli ammessi agli scatti biennali (vale a dire quelli a tempo indeterminato) e non certo ai docenti esclusi dagli scatti biennali (vale a dire quelli a tempo determinato). Per questi ultimi, infatti, la sent. 8060/2011, come si  ampiamente dimostrato, mai Çha affermatoÈ che avrebbero potuto fruire degli scatti, sostenendo piuttosto lĠesatto contrario. Cos’ ridimensionato lĠobiter dictum della sentenza del 2012, mediante lĠappena esposta lettura sistematica, rimane in ogni caso il fatto che non sia stata affrontata la questione della riconoscibilitˆ ai precari del trattamento economico previsto per il personale di ruolo. In particolare, quanto agli scatti biennali la S.C. avrebbe potuto incisivamente escluderli usando, in particolare, le argomentazioni analiticamente sviluppate dalla sentenza n. 138/2012 della Corte dĠAppello di Perugia, Sez. Lavoro, a sostegno dellĠinfondatezza delle domande di riconoscimento della progressione stipendiale derivante dai cd. scatti biennali di cui allĠart. 53, comma 3Ħ, legge n. 312/1980. Secondo quanto chiarito dalla Corte di Appello di Perugia, non pu˜ esistere alcuna discriminazione tra personale a tempo indeterminato e personale precario quanto alla corresponsione degli scatti biennali, dal momento che i CCNL succedutisi dal 1995 in poi, nel fissare il sistema di progressione per (70) Art. 53, comma 3Ħ: ÇAl personale di cui al presente articolo, con nomina da parte del Provveditore agli studi od altro organo in base a disposizioni speciali, ESCLUSE IN OGNI CASO LE SUPPLENZE, sono attribuiti aumenti periodici per ogni biennio di servizio prestato a partire dal 1 giugno 1977 in ragione del 2,50 per cento calcolati sulla base dello stipendio inizialeÈ. 182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 scaglioni, non hanno pi previsto il precedente sistema degli scatti, e dunque non esiste, oggi, alcuna categoria di personale a tempo indeterminato cui essi siano corrisposti: ÇSe, dunque, non esiste alcuna categoria di personale a tempo indeterminato, cui siano corrisposti gli scatti di anzianitˆ, non pu˜ esistere, evidentemente, alcuna discriminazione a danno del personale assunto a tempo determinatoÈ (71). ÇNon corrisponde al vero, quindi, che al personale della scuola con contratto a tempo determinato, come le odierne appellate, sia riconosciuto un trattamento economico deteriore e discriminatorio rispetto a quello riservato al personale di ruolo, per la mancata attribuzione degli scatti biennali di cui allĠart. 53 della legge n. 312/1980. In realtˆ ... la progressione economica del 2.5 % per biennio non si applica al personale a tempo indeterminato, ma solo a una particolare e specifica categoria di personale, anchĠesso a tempo determinato: gli insegnanti di religione non di ruoloÈ (72). Per giungere alla negazione di ogni discriminazione quanto agli scatti biennali tra il personale di ruolo a tempo indeterminato ed il personale non di ruolo a tempo determinato, la Corte di Appello di Perugia ha ricostruito lĠevoluzione della disciplina giuridica delle classi stipendiali del personale scolastico delle ripartizioni normative delle categorie del personale scolastico docente (dallĠoriginaria tripartizione alla sua odierna bipartizione). AllĠepoca della legge n. 312/1980 (il cui art. 53 regola il trattamento economico del Çpersonale non di ruoloÈ) il personale scolastico, infatti, era ripartito in tre categorie di lavoratori: a tempo indeterminato di ruolo a tempo indeterminato non di ruolo a tempo determinato non di ruolo. La legge n. 312/1980 aveva innovato il rapporto di lavoro alle dipendenze delle P.A. (allĠepoca non ancora contrattualizzato, bens“ disciplinato dalla normativa di diritto pubblico), passando dal sistema delle Òcarriere formaliÓ al sistema delle Òqualifiche funzionaliÓ. Pi precisamente, il legislatore intendeva svincolare i miglioramenti retributivi dalle progressioni di carriera, consentendo il conseguimento di miglioramenti economici anche ove restasse fermo lĠinquadramento nella qualifica professionale. Al fine di completare la riforma del passaggio dal sistema delle c.d. Òcarriere formaliÓ, il legislatore italiano, con la legge n. 270/1982 (Òrevisione della disciplina del reclutamento del personale docente della scuola materna, ele- (71) Cfr. Corte dĠAppello di Perugia, Sez. Lavoro, sent. n. 138 del 4 aprile 2012, depositata il 12 luglio 2012, pag. 10, 3Ħ cpv.. (72) Cfr. ult. sent. cit, pag. 14, 3Ħ cpv.. CONTENZIOSO NAZIONALE 183 mentare, secondaria e artisticaÓ), ha classificato il personale scolastico in due sole categorie (sistema bipartito): 1. Òdi ruoloÓ a tempo indeterminato (art. 14), 2. Ònon di ruoloÓ a tempo determinato (art. 15) abrogando (art. 77) la terza categoria intermedia (docenti non di ruolo a tempo indeterminato). Quindi, a partire da tale legge i rapporti non di ruolo a tempo determinato (identificati con il termine ÇsupplenzeÈ) costituiranno lĠunica tipologia possibile di rapporto di impiego non di ruolo con lĠamministrazione scolastica. Come evidenziato dalla sent. 138/2012 della Corte di Appello di Perugia: ÇLĠidentificazione tra ÒsupplenzaÓ e Òrapporto di impiego non di ruolo e a tempo determinatoÓ (prevista ex lege n. 270/1982)  stata confermata dalla legge n. 124/1999 (attualmente vigente)È (73) . ÇOltre a questi tre tipi di docenti [la corte si riferisce ai docenti di religione, di ed. fisica, di ed. musicale], nessunĠaltra eccezione  stata piœ individuata dal legislatore alla rigida bipartizione del personale (a tempo indeterminato/di ruolo e a tempo determinato/non di ruolo). Tale bipartizione, infatti,  stata sempre rispettata e confermata, tanto dalla contrattazione collettiva, quanto dalla legge n. 124/1999È (74). Facendo un passo indietro alla legge n. 312/1980 (tenuto conto della ripartizione dei docenti in tre categorie esistente allĠepoca) si distinguevano i seguenti casi: i docenti a tempo indeterminato di ruolo, ai sensi dellĠart. 50, comma 3Ħ, si vedevano riconosciuta, per il periodo di permanenza in ciascuna classe di stipendio, compresa lĠultima, la corresponsione, per ogni biennio di servizio, di aumenti di stipendio (scatti biennali), pari al 2.50 per cento dello stipendio previsto per quella classe, i docenti a tempo determinato non di ruolo, ai sensi dellĠart. 53, comma 1Ħ, si vedevano attribuire un trattamento economico determinato con riguardo allo stipendio iniziale del personale di ruolo di corrispondente qualifica e, ai sensi dellĠart. 53, comma 3Ħ, venivano esclusi dagli scatti biennali, i docenti a tempo indeterminato non di ruolo, ai sensi dellĠart. 53, comma 3Ħ, godevano del diritto ad Òaumenti periodici per ogni biennio di servizio... in ragione del 2,50 per cento calcolati sulla base dello stipendio inizialeÓ (c.d. scatti biennali). Come ricordato dalla sent. n. 138/2012 della Corte di Appello di Perugia, il sistema di progressione economica basato sugli scatti biennali previsto dalla legge n. 312/1980 Çvenne ancora riaffermato, per il personale della scuola, dai contratti (73) Cfr. ult. sent. cit, pag. 11, 2Ħ- 3Ħ cpv.. (74) Cfr. ult. sent. cit, pag. 12, 1Ħ cpv.. 184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 di lavoro di diritto pubblico susseguitisi nel tempo (D.P.R. n. 345/1983, art. 2 n. 209/1987, art. 2, n. 399/1988, tabella A, etc), ci˜ fino alla privatizzazione del rapporto di lavoro scolastico ed al primo CCNL del 1995 per il quadriennio 1994/1997, il cui art. 66,per il personale di ruolo, ha abbandonato il sistema degli scatti biennali e introdotto gli incrementi per ÒscaglioniÓ, in numero di sette, sulla base delle anzianitˆ ivi indicate (0, 3, 9, 15, 21, 28 e 35 anni, cfr. Tabella B del CCNL), cui corrispondevano (e corrispondono) retribuzione annue diverseÈ (75). Al termine di tale ricostruzione storica della disciplina degli scatti biennali, la Corte di Appello di Perugia osserva che ÇI CCNL succedutisi dal 1995 in poi, nel fissare il sistema di progressione per scaglioni, non hanno pi previsto il precedente sistema degli scatti, e dunque non esiste alcuna categoria di personale a tempo indeterminato cui essi siano corrispostiÈ (76). In virtœ di quanto fin qui esposto, la Corte conclude delineando, come segue, lĠodierno residuo margine di vigenza dellĠart. 53 cit.: ÇlĠart. 53  norma attualmente in vigore [É], tuttavia,  applicato non giˆ al personale della scuola con contratto a tempo indeterminato (il quale invece fruisce della progressione stipendiale per scaglioni prevista dal CCNL, e dal 1995 non ha pi diritto agli scatti biennali), bens“ a una particolare categoria di personale a tempo indeterminato: gli insegnanti di religione cattolica non di ruolo, la cui assunzione a tempo indeterminato non pu˜ mai conseguire a una progressiva acquisizione di diritti, come per il personale scolastico, bens“  sempre subordinata allĠindizione e al superamento di appositi concorsi, come previsto dallĠart. 3 della legge 186/2003È (77). (75) Cfr. ult. sent. cit, pag. 9, penult. e ult. cpv.. (76) Cfr. ult. sent. cit, pag. 10, 2Ħ cpv.. (77) Cfr. ult. sent. cit, pag. 14, 2Ħ cpv. La Corte di Appello di Perugia, Sez. Lavoro, nella sent. n. 138/2012, descrive puntualmente il percorso normativo di progressivo restringimento della categoria dei docenti non di ruolo, ma a tempo indeterminato, contemplata dallĠart. 53, comma 3Ħ, l. 312/1980 come unica beneficiaria degli scatti biennali [come si  detto i supplenti (= Docenti non di ruolo/a tempo determinato) ne erano esclusi]. In particolare, il cit. comma 3Ħ cos“ dispone: ÇAl personale di cui al presente articolo, con nomina da parte del Provveditore agli studi od altro organo in base a disposizioni speciali, ESCLUSE IN OGNI CASO LE SUPPLENZE, sono attribuiti aumenti periodici per ogni biennio di servizio prestato a partire dal 1 giugno 1977 in ragione del 2,50 per cento calcolati sulla base dello stipendio inizialeÓ. Il comma 3Ħ dellĠart. 53, legge n. 312/1980, quindi, ha inteso riconoscere gli SCATTI BIENNALI non a tutti i docenti non di ruolo, ma solo ai docenti non di ruolo a tempo indeterminato. Rientravano in questa categoria (docenti non di ruolo stabili) tre sottocategorie di docenti: due introdotte dalla legge n. 270/1982 (docenti di educazione fisica e di educazione musicale) e una terza, prevista dal D.P.R. n. 751/1985. docenti di religione. ÇLe indicate tre categorie di soggetti erano le uniche titolari di un rapporto ÒstabileÓ, ancorchŽ annualmente conferito, ma erano tali da non poter essere considerate di ruolo, perchŽ ancora carenti dei CONTENZIOSO NAZIONALE 185 7. LĠinconfigurabilitˆ di una disparitˆ di trattamento stipendiale tra personale precario e personale di ruolo quale corollario della legittimitˆ del termine apposto al contratto: corollario enucleabile in ragione della inconfigurabilitˆ di una tutela risarcitoria che riproduca per equivalente gli effetti di una mancata, perch vietata, conversione del contratto in contratto a tempo indeterminato. La sentenza n. 10127/2012 nulla dice in merito alla sussistenza o meno di una disparitˆ di trattamento tra personale precario e di ruolo quanto al diverso trattamento economico loro spettante in virtœ della normativa nazionale. In veritˆ, la pronuncia offre validi argomenti in senso contrario, poichŽ una volta che si ritenga legittimo il ricorso del MIUR alla contrattazione a termine per sopperire ad esigenze peculiari di quel particolare settore di impiego, ne discende come corollario la fondatezza del diverso trattamento economico riconosciuto al personale a termine rispetto a quello a tempo indeterminato. Infatti, parte piœ avveduta della giurisprudenza di merito favorevole ai precari, ove, fermo il divieto di conversione, ne ha accolto le istanze risarcitorie, ha, s“, quantificato il danno da ristorare in rapporto alla mancata corresponsione delle differenze retributive che sarebbero spettate in caso di assunzione a tempo indeterminato, ma non ha liquidato dette differenze in toto: ci˜ in quanto corrispondere ai precari esattamente quanto avrebbero avuto diritto ad ottenere in caso di conversione del rapporto in stabile avrebbe significato operare una sostanziale conversione, con surrettizia violazione degli art. 97 ed 81 Cost.. requisiti per lĠaccesso (insegnanti di educazione fisica e di educazione musicale) o per la mancanza dei ruoli organici nella qualifica (insegnanti di religione)È (cfr. pag. 12, 2 Ħ cpv.). Con il tempo, delle tre categorie di docenti non di ruolo a tempo indeterminato  sopravvissuta solo quella dei docenti di religione non di ruolo: Çper le prime due categorie di personale (insegnanti di musica e di educazione fisica) lĠaspettativa alla nomina in ruolo era destinata a essere fisiologicamente soddisfatta con il primo concorso utile successivoÈ (cfr. pag. 13, 1 Ħ cpv.). Quanto agli insegnanti di religione (che rimanevano non di ruolo per mancanza dei ruoli organici nella qualifica), la particolaritˆ del loro inquadramento consisteva nel fatto: di essere nominati dalle competenti autoritˆ scolastiche se Òin possesso di idoneitˆ riconosciuta dallĠordinario diocesano e da esso non revocataÓ (punto 2.5 del D.P.R. n. 751/1985 - Intesa Stato/Santa Sede), e che tale idoneitˆ allĠinsegnamento della religione cattolica ha effetto permanente salvo revoca da parte dellĠOrdinamento diocesano (punto 2.6 bis). ÇUna volta assorbiti nei ruoli organici i docenti delle prime due categorie, rimaneva, quale tertium genus, solo la categoria degli insegnanti di religione, assunti sempre e solo con contratti a termine di durata corrispondente a ciascun anno scolastico, ma con diritto al rinnovo fino a quando non fosse stato revocato il gradimento dellĠordinario diocesanoÈ (cfr. pag. 13, 2Ħ cpv.). ÇCon la legge 18 luglio 2003, n. 186 sono stati creati i ruoli degli insegnanti di religione (art. 1, primo comma). Sono state stabilite le modalitˆ di accesso a quei ruoli, speciali e diverse rispetto a quelle del restante personale della scuola, previo superamento di concorso per titoli ed esami. In seguito allĠemanazione di questa normativa, anche allĠinterno della categoria degli insegnanti di religione sono state create le due categorie degli insegnanti di ruolo, con contratto a tempo indeterminato, e dei supplenti, con contratto a tempo determinato. I primi sono retribuiti allo stesso modo di tutto il resto del personale docente della scuola (art. 1, secondo comma), con applicazione del CCNL. I supplenti, invece, sono assoggettati a una disciplina particolare, poichŽ non rientrano nel sistema delle graduatorie permanenti (ad oggi Òa esaurimentoÓ), e sono ancora sottoposti alla revocabilitˆ del gradimento dellĠordinario diocesanoÈ (cfr. pag. 13, ult. cpv., fino a pag. 14). 186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Si  giˆ, al riguardo, evidenziato che il principio di non convertibilitˆ Çnon si alimenta soltanto [...] della imprescindibilitˆ della regola della assunzione mediante pubblico concorsoÈ (art. 97 Cost), avendo come suo ÒscopoÓ quello di Çscongiurare il rischio che attraverso la conversione di rapporti precari si possano incardinare rapporti a tempo indeterminato senza una programmazione del fabbisogno del personale e con il rischio di assumere un numero di persone maggiore di quanto possano consentire gli stanziamenti in bilancioÈ (78). A cosa varrebbe, vietare la conversione, per poi riconoscerne in fatto tutti gli effetti consequenziali? Di recente, la giˆ criticata sentenza del Tribunale di Trapani n. 89/2013 ha deciso in tal senso, con esiti, come si vedrˆ a breve, paradossali, condannando le Amministrazioni resistenti ad un risarcimento danni che dissimula una (vietata) conversione del rapporto in stabile. Il Tribunale, infatti, ha ritenuto che, nel contenzioso in esame: ÇVanno risarcite le diminuzioni patrimoniali scaturite Òimmediatamente e direttamenteÓ dalla condotta (art. 1223 cc.), purchŽ siano ÒprevedibiliÓ [art. 1225 c.c.] e non riconducibili a fatto colposo del danneggiato (art. 1227 cc.)È (79), Çtutto il decremento patrimoniale subito dal danneggiato va risarcito, sia che la deminutio assuma la forma di un danno emergente sia che si tratti di lucro cessanteÈ (80), il ricorrente avrebbe dovuto essere stato assunto a tempo indeterminato, Çdal momento che il posto occupato era vacante e disponibileÈ (81). Da tali premesse ha fatto discendere che ÇIl danno risarcibile collegato alla condotta illecita delle Amministrazioni resistenti, prevedibile e non riconducibile ad alcuna colpa del soggetto danneggiato, in definitiva, consiste in un lucro cessante di importo pari alle retribuzioni future [!], per il periodo compreso fra la cessazione del rapporto per effetto del termine illegittimo e la cessazione che lo stesso avrebbe avuto col raggiungimento dellĠetˆ pensionabile da parte della ricorrenteÈ (82). Il Tribunale, in sostanza, ha tramutato la condotta datoriale del MIUR, considerata illecita, in una fonte di ingiustificato arricchimento per il dipendente precario. Questi, da un lato, non ha diritto alla assunzione in ruolo (non avendo superato alcun pubblico concorso) e, tuttavia, viene ammesso a godere di tutti gli effetti di quello status; dallĠaltro, al contempo,  titolare, ove rimanga utilmente (78) Cfr. Trib. di Siena, Sez. lav. (dr. Delio Cammarosano), sent. del 27 settembre 2010 (rgl 699/2009), pag. 9, 5Ħ cpv.. (79) Cfr. sent., pag. 14, 1Ħ cpv.. (80) Cfr. sent., pag. 14, 3Ħ cpv.. (81) Cfr. sent., pag. 14, 4Ħ cpv.. (82) Cfr. sent., pag. 15, punto B5, ult. cpv.. CONTENZIOSO NAZIONALE 187 collocato in graduatoria, del diritto ad essere assunto a tempo determinato anno dopo anno, diritto che non spetta a tutti i laureati che, per ragioni di etˆ, non abbiano potuto frequentare, data la loro chiusura, le c.d. SSIS, e, piœ in generale non spetta a tutti coloro i quali non sono riusciti ad inserirsi nelle graduatorie provinciali prima che venissero chiuse e divenissero Òad esaurimentoÓ. é dovere del giudice, nel momento in cui quantifica il danno, ipotizzare quale sarebbe stata la situazione in cui sarebbe versato il danneggiato ove non si fosse verificata la condotta illecita. Nel caso di specie, invece, il giudice ha, s“, ipotizzato quale sarebbe stata la migliore situazione del danneggiato, ma non qualora la condotta illegittima non si fosse verificata, bens“ laddove si fosse applicata al posto dellĠunica sanzione ammessa dalla legge (risarcimento) unĠaltra sanzione (la conversione), peraltro contraria a Costituzione e non pretesa dalle norme comunitarie! (83) Se la conversione non  sanzione comunitariamente imposta, richiedendosi piuttosto dalla CGUE solo che la sanzione, quale che sia, si presenti come efficace e dissuasiva, prevedere un risarcimento danno che conduca ad unĠequiparazione totale, sul piano economico, tra il dipendente precario ed il dipendente di ruolo significa applicare una sanzione abnorme, in quanto contraria, nel senso predetto, alla Costituzione come al diritto comunitario in materia. La stessa sentenza del Trib. di Siena, Sez. lav., dr. Delio Cammarosano, pocĠanzi citata, pur sfavorevole alla parte pubblica, sostiene che ÇSe lĠordinamento non contempla la trasformazione del rapporto a termine abusivamente utilizzato, invalido, la tutela risarcitoria stessa ragionevolmente non potrˆ ricalcare sia pure per equivalente la trasformazione vietata (comprendendo, in altre parole, le retribuzioni maturate dalla cessazione del rapporto fino alla domanda, o alla decisione, o alla ricostituzione del rapporto ad opera dellĠAmministrazione)È (84). (83) Piœ ragionevole appare, allora, il criterio quantificativo del danno risarcibile indicato, ove si ravvisi in un caso concreto un abuso dei contratti a termine, dal Trib. di Teramo, Sez. lav. e previdenza, dr. Luigi Santini, nella cit. sent. n. 207 del 3 maggio 2012, depositata il 4 maggio 2012: Çin ordine alla quantificazione di tale danno É il meccanismo pi appropriato parrebbe quello riprodotto nei commi quarto e quinto dell'art. 18 Legge 20 Maggio 1970 n. 300, che prevede comunque delle obbligazioni collegate ad eventi specifici (il recesso illegittimo e l'esercizio dell'opzione per un'indennitˆ in vece della reintegrazione nel posto di lavoro), ma forfettizzare in modo da esplicare un'efficacia anche deterrente. Si tratta del resto dellĠunico istituto attraverso il quale il legislatore ha inteso monetizzare il Òvalore del posto di lavoroÓ assistito dalla cosiddetta stabilitˆ reale, qual  quello alle dipendenze della pubblica amministrazione. Per le ragioni esposte, dovrebbe ritenersi che - commisurando il risarcimento al valore minimo (cinque mensilitˆ - art. 18 comma quarto) del danno provocato dall'intimazione del licenziamento invalido pi la misura sostitutiva della reintegra (quindici mensilitˆ - art. 18 comma quinto) - si ottenga l'unica misura, contemplata dal nostro ordinamento, Òche presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela del lavoratoreÓ e che possa Òessere applicata al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto comunitarioÓ (Corte giust. 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler, par. 102)È (cfr. sent., pag. 22, 3Ħ cpv.). (84) Cfr. Trib. di Siena, Sez. lav. (dr. Delio Cammarosano), sent. del 27 settembre 2010 (rgl 699/2009), pag. 11, ult. cpv., a pag. 12, inizio. 188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Peraltro, la liquidazione quale risarcimento danni dellĠimporto equivalente a tutte le somme che si sarebbero ricevute ove assunti a tempo indeterminato non  ammissibile non solo con riguardo agli artt. 81 e 97 Cost., ma, anche ed in primis, in relazione allĠart. 3 Cost.. Infatti, come rilevato dalla giurisprudenza di merito: Çil piœ favorevole trattamento stipendiale del personale scolastico a tempo indeterminato trova giustificazione proprio in talune indefettibili specificitˆ di sistema É e dei conseguenti doveri professionali, nonostante lĠapparente uniformitˆ del contenuto delle prestazioniÈ (85). ÇIl peculiare sistema retributivo del personale assunto con contratto a tempo indeterminato [É] presuppone che il lavoratore risulti immesso nel ruolo organico dellĠAmministrazione scolastica, allĠesito non solo di unĠapposita procedura concorsuale ma anche del positivo superamento di un congruo periodo di prova, cui sĠaccompagnano ulteriori, specifici, doveri, quali - ad esempio - quelli del trasferimento ne casi di eccedenza del personale e della disponibilitˆ in taluni periodi estivi per attivitˆ formative e altro; inoltre, lĠAmministrazione scolastica ha il dovere di attenersi comunque allĠordine della graduatoria sulla base della quale il lavoratore a termine viene individuato, in applicazione di criteri predeterminati e automatici e in assenza di alcun margine di discrezionalitˆ, mentre questi non  sottoposto ad alcuna prova nŽ  tenuto a trasferirsi per eccedenza di personale o a rendersi disponibile nel periodo estivo, a differenza del docente o del collaboratore scolastico assunto a tempo indeterminatoÈ (86). Conclusioni La sentenza ha, quindi, prestato ampia adesione allĠorientamento giurisprudenziale favorevole al riconoscimento della conformitˆ sia alla Costituzione che alle norme comunitarie della disciplina sul reclutamento del personale scolastico. Tuttavia, ove si tengano presenti tutte le pregresse numerosissime pronunce favorevoli al personale scolastico, nel leggere questa sentenza della Corte di Cass. si avrˆ pi di un motivo per ritenere che essa non abbia risolto in modo chiaro e definitivo tutte le questioni poste dal contenzioso in esame. Se  vero, infatti, che sono numerosi i principi e le affermazioni favorevoli alla pubblica difesa, tuttavia, essi non sono stati tutti supportati da una motivazione idonea a contestare con lĠefficacia desiderabile alcuni tra i pi suggestivi argomenti pro precari posti a sostegno delle precedenti pronunce sfavorevoli delle corti di merito. (85) Cfr. Trib. di Campobasso, Sez. lav., dott.sa Laura Scarlatelli, sent. n. 698/2012 del 6 novembre 2012, pag. 21, 2Ħ periodo. (86) Cfr. Trib. di Campobasso, Sez. lav., dott.sa Laura Scarlatelli, sent. n. 698/2012 del 6 novembre 2012, pag. 20, ult. periodo, fino a pag. 21. CONTENZIOSO NAZIONALE 189 Non solo. In cauda venenum. La sentenza, nella sua parte conclusiva lascia intendere che sussisterebbe un diritto dei precari a percepire gli scatti retributivi per i Òperiodi lavoratiÓ, cos“ gettando nuova benzina sul fuoco di un contenzioso che non accenna ad esaurirsi e favorendone unĠevoluzione in senso sostanzialmente peggiorativo per la pubblica difesa. La sentenza, infatti, si  pronunciata davvero in modo chiaro e netto solo su un profilo del contenzioso in esame che, tuttavia, giˆ prima di essa, non risultava particolarmente problematico o preoccupante per la pubblica difesa, vale a dire quello della convertibilitˆ di un rapporto di lavoro presso la P.A. da precario in stabile. Infatti, giˆ prima della sentenza solo un numero limitato delle pronunce di merito favorevoli alle istanze del personale precario ammetteva la stabilizzazione del rapporto quale sanzione per la lamentata reiterazione dei contratti a termine, mentre la gran parte delle altre pronunce favorevoli ai precari si dividevano in due macro gruppi: un primo, premesso lĠabuso della contrattazione a termine, accoglieva le domande risarcitorie, un secondo, pur negando lĠabuso, riteneva, tuttavia, che il precario sotto il profilo economico non dovesse subire una disparitˆ di trattamento rispetto al personale stabile incaricato di mansioni oggettivamente identiche. Ebbene, lĠincauto e fraintendibile obiter dictum, la quasi totale sottovalutazione del profilo pi insidioso della lamentata condotta statuale (il supposto abuso dello Stato/P.A.), nonchŽ la sottovalutazione altrettanto significativa del correlativo insopprimibile problema probatorio fanno s“ che questa sentenza della S.C. non mancherˆ di deludere chi abbia creduto in essa sciolti tutti i nodi di questo complicato ed annoso contenzioso. In ogni caso, come si  in precedenza dimostrato, alle domande lasciate aperte dalla S.C. ha risposto la giurisprudenza di merito, con maggior senso di realismo: i criteri dalla stessa tracciati quanto alla soluzione del problema di riparto probatorio e le ragioni poste a fondamento della legittimitˆ di una diversitˆ di trattamento economico tra personale precario e stabile potranno essere adoperate dalla pubblica difesa per contrastare i possibili attacchi che,  prevedibile, saranno avanzati alla commentata sentenza della S.C., facendo leva sui relativi esposti punti deboli. Tuttavia, in questo contenzioso, valgono pi che mai, con riferimento anche al ruolo dellĠAvvocato e non solo a quello del giudice, le seguenti osservazioni del Trib. di Fermo, Sez. lav. (dott. Camillo Cozzolino) formulate nella sent. n. 154/2011 del 16 agosto 2011: ÇÉ ove si volesse accedere alla tesi dellĠabusoÉ conseguenza inevitabile sarebbe la sopportazione di un sovradimensionamento delle risorse finanziarie da destinare al fine di adeguare le risorse di personale docente, amministrativo, tecnico ed ausiliario, alle mutevoli, ed anche contingenti, esigenze della funzione scolastica ed educativa mediante 190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 continue immissioni in ruolo e continue assunzioni con concorso pubblico, con evidenti pesanti conseguenze, tra cui rileva in particolare, una sicura condizione di ÒeccedentarietˆÓ, foriere di disfunzioni di non poco conto, sicchŽ spetta, non al giudice, il quale, come si sa, non fa leggi, ma applica la legge (art. 101 Cost.), bens“ al legislatore trovare, superati gli intuibili ostacoli contro cui si infrange ogni iniziativa che rispetti lĠesigenza di una sana e responsabile attivitˆ di governo del paese, la soluzione pi idonea che assimili il rapporto di lavoro alle dipendenze della scuola con la generalitˆ dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle altre pubbliche amministrazioniÈ (87). Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 20 giugno 2012 n. 10127 - Pres. Guido Vidiri, Rel. Giuseppe Napoletano, P.M. Costantino Fucci (difforme) - A.L. (avv. Massimo Pistilli) c. Min. Istruzione, Universitˆ e Ricerca (avv. gen. Stato). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La Corte di Appello di Perugia, riformando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda di A.L., proposta nei confronti del Ministero dell'Istruzione, dell'Universitˆ e della Ricerca, avente ad oggetto la conversione in contratto a tempo indeterminato della successione dei contratti a tempo determinato in precedenza stipulati con il detto Ministero per lo svolgimento di mansioni inerenti il settore scolastico ovvero, in via subordinata, la condanna del prefato Ministero al risarcimento del danno subito da quantificarsi in Euro 5000,00 per ogni anno di lavoro svolto. 2. La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, premesso che il complesso della normativa regolante i contratti a termine del comparto scolastico - costituita in particolare dal D.Lgs. n. 297 del 1994 e dalla L. n. 124 del 1999 e da tutte le successive fonti regolamentari e collettive - non era stato abrogato o modificato, stante la sua specialitˆ, dal D.Lgs. n. 165 del 2001 (norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni) e dal D.Lgs. n. 368 del 2001 (disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), riteneva che il divieto di conversione del contratto a tempo determinato stabilito - D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 36, comma 2, - in via generale per il pubblico impiego operava anche per lo specifico settore della scuola. Tale divieto, secondo la Corte territoriale, trovava giustificazione nella riserva sancita, dall'art. 97 Cost., comma 2, dell'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazione mediante concorso che non contrastava con la disciplina comunitaria contenuta nella direttiva del Consiglio dell'Unione Europea del 28 giugno 1999 n. 70 - emanata in attuazione dell'accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 - non prevedendo tale accordo, quale unica sanzione dell'illegittima successione di contratti a termine, la conversione del rapporto a tempo indeterminato. 3. Tanto premesso la Corte di Appello rilevava che, stante la ritenuta inapplicabilitˆ della disciplina di cui al citato D.Lgs. n. 368 del 2001, oggetto dell'indagine era quello di accertare se la Pubblica Amministrazione, nella stipulazione di una serie di contratti di lavoro, aveva (87) Cfr. sent. cit., pag. 11, ultimo periodo, fino a pag. 12. CONTENZIOSO NAZIONALE 191 dato luogo ad un abuso dello strumento delle assunzioni a termine con conseguente diritto del lavoratore, alla stregua della richiamata direttiva, al risarcimento del danno. 4. L'indagine, secondo la Corte territoriale, portava ad escludere un tale abuso. Infatti, osservava la predetta Corte, da un punto di vista generale era indubitabile che le assunzioni a tempo determinato nel settore scolastico, tenuto conto delle ragioni del contenimento della spesa pubblica, erano finalizzate ad assicurare, a fronte di una certa variabilitˆ del numero degli utenti, la costante erogazione del servizio scolastico. Ma anche avuto riguardo alla disciplina del settore, per la Corte del merito, doveva escludersi un abuso del ricorso ai contratti a termine. Invero, precisava la Corte distrettuale, il ricorrente aveva avuto supplenze annuali su organico di fatto - ossia posti non vacanti ma di fatto disponibili -, seguite, con intervallo di due mesi, da supplenze temporanee in sostituzione di personale assente, cui erano succedute, infine, supplenze su organico di diritto - cio posti disponibili e vacanti - espletate presso molteplici scuole. 5. Per inciso, annotava la Corte di appello, si trattava, comunque, di contratti stipulati ai sensi di specifica disciplina che conteneva in s l'enunciazione, sia pure con una valutazione compiuta ex ante, delle ragioni organizzative poste a fondamento dell'assunzione. Pertanto, anche in ipotesi di applicabilitˆ del D.Lgs. n. 368 del 2001 non poteva ritenersi l'illegittimitˆ delle assunzioni per l'omessa indicazione delle ragioni organizzative, tecniche e produttive che erano destinate a soddisfare. 6. Nessun abuso, in particolare, secondo la Corte del merito, era configurabile rispetto alle assunzioni per la sostituzione di personale assente per malattia o altra causa, con diritto alla conservazione del posto di lavoro, e con riguardo alle supplenze su organico di fatto, giacch le esigenze da soddisfare erano effettivamente contingenti ed imprevedibili e tali di per s da far escludere una condotta abusiva. 7. Analogamente la Corte territoriale escludeva la configurabilitˆ di qualsivoglia abuso con riferimento alle assunzioni per supplenze su organico di diritto e tanto in considerazione, e delle ragioni obiettive sottese a tali assunzioni, e della circostanza che ciascun incarico era svincolato dai precedenti, di cui non costituiva n proroga n prosecuzione, non senza tener conto che l'amministrazione non poteva scegliere liberamente il lavoratore con cui stipulare il contratto dovendosi attenere alle graduatorie permanenti provinciali per gli incarichi su organico di diritto, o, per le supplenze su organico di fatto o temporaneo, alle graduatorie interne o d'istituto. 8. Avverso questa sentenza A.L. ricorre in cassazione sulla base di due censure, specificate da memoria. 9. Resiste con controricorso il Ministero intimato che deposita, altres“, memoria illustrativa. MOTIVI DELLA DECISIONE 10. Con la prima censura il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del considerando n. 16, dell'art. 2, della Direttiva del Consiglio Ce 1999/70/CE del 28 giugno 1999; nonch del preambolo (commi 2, 3 e 4, dei punti 6,7,10 delle considerazioni generali, della clausola 1, letta B), della clausola 2, punto 1), della clausola 5, punto 1), dell'Accordo Quadro CES-UNICE- CEEP sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, recepito ed allegato alla Direttiva Comunitaria 1999/70/CE; ed, infine, del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 4,5 (commi 4 e 4 bis), 10, 11, anche in combinato disposto con la L. 4 giugno 1999 n. 124, art. 4. 11. Sostiene il ricorrente che la L. n. 124 del 1999 sui contratti a termine del comparto scuola  stata, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, abrogata dal D.Lgs. n. 368 del 2001 sui contratti a termine essendo la prima disciplina incompatibile con la seconda e 192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 non rientrando la L. n. 124 tra quelle menzionate nel D.Lgs. n. 368, art. 10. 12. Argomenta, poi, il ricorrente che, comunque, la menzionata L. n. 124 del 1999 non  conforme al diritto comunitario e tanto, tra l'altro, in considerazione del rilievo che l'Amministrazione  perfettamente a conoscenza delle proprie esigenze di organico, sicch non vi sono ragioni obiettive per la giustificazione dei rinnovi dei contratti a termine, n limitazioni alle ripetizioni atteso che i posti sono dichiaratamente vacanti. 13. Richiama, inoltre, il ricorrente le sentenze M. e V. relative ai contratti a termine del comparto sanitˆ nonch A.. 14. Sottolinea che nel comparto scuola sono possibili reiterazioni ventennali e addirittura trentennali. 15. Contesta, infine, il ricorrente la ritenuta imprevedibilitˆ delle esigenze e chiede porsi questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia in punto di compatibilitˆ tra la disciplina nazionale di cui alla L. n. 124 del 1999 e la Direttiva Comunitaria denunciata. 16. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, anche in relazione al considerando n. 16, dell'art. 2, della Direttiva del Consiglio Ce 1999/70/CE del 28 giugno 1999; nonch del preambolo (commi 2, 3 e 4, dei punti 6,7,10 delle considerazioni generali, della clausola 1, letta B), della clausola 2, punto 1), della clausola 5, punto 1), dell'Accordo Quadro CES-UNICE- CEEP sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, recepito ed allegato alla Direttiva Comunitaria 1999/70/CE; nonch ancora del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 4, art. 5, commi 4 e 4 bis), artt. 10, 11. 17. Deduce, in sintesi, il ricorrente a supporto del motivo in esame - ed a confutazione della tesi espressa dalla Corte del merito circa l'inapplicabilitˆ nel settore pubblico della conversione del contratto a tempo indeterminato in caso di abuso del ricorso ad assunzioni a termine - che questa Corte di cassazione con sentenza n. 9555 del 2010 ha applicato - nel caso di dipendenti INAIL addetti alla custodia di stabili - la sanzione della conversione. 18. I due motivi, in quanto strettamente connessi dal punto di vista logico-giuridico, vanno trattai unitariamente. 19. Rileva, preliminarmente, la Corte che deve ritenersi oramai, principio di diritto vivente, nella giurisprudenza di legittimitˆ, l'affermazione secondo la quale il D.Lgs. n. 165 del 2001 riconosce la praticabilitˆ del contratto a termine e di altre forme negoziali flessibili nel rapporto di lavoro pubblico valorizzando il ruolo della contrattazione collettiva con l'attribuire alla stessa di una pi accentuata rilevanza rispetto al passato e prevede, in caso di violazione di norme imperative in materia, un proprio e specifico regime sanzionatorio costituito dal diritto del lavoratore al risarcimento del danno (Cass. 20 marzo 2012 n. 4417, Cass. 31 gennaio 2012 n. 392, Cass. 15 giugno 2010 n. 14350 e Cass. 7 maggio 2008 n. 11161). 20. Principio quest'ultimo non contrastante con la direttiva 1999/70/CE, in quanto idoneo a prevenire e sanzionare l'utilizzo abusivo dei contratti a termine da parte della pubblica amministrazione e che  consequenziale alla configurazione come regolamentazione speciale ed alternativa a quella prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001 relativa alla disciplina generale del contratto a termine (per tutte V. ordinanza 1 ottobre 2010, causa C-3/10, Affatato, punto 40, e giurisprudenza comunitaria conforme ivi richiamata, secondo cui la clausola 5 dell'accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che tali contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro del settore pubblico). 21. Nella materia di cui trattasi, invero, tale speciale regolamentazione propria del settore CONTENZIOSO NAZIONALE 193 pubblico non pu˜ ritenersi abrogata da quella stabilita in via generale dal richiamato D.Lgs. n. 368 del 2001 stante l'immanenza della regola lex posterior generalis non derogat legi priori speciali (Cass. 31 gennaio 2012 n. 392 cit.). 22. N contrasta con siffatto principio il precedente di questa Corte, di cui alla sentenza del 22 aprile 2010 n. 9555, secondo il quale la deroga alla sanzione della conversione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato, prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, trova applicazione per i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni diversi da quelli di vigilanza e custodia. 23. Tale asserzione, infatti, si basa fondamentalmente sulla considerazione che, come giˆ sancito da questa Corte (sent. 3 agosto 1990 n. 7774), il rapporto fra l'INAIL ed i portieri addetti alla vigilanza e custodia di edifici di proprietˆ del primo, pur essendo di pubblico impiego,  disciplinato, nel suo contenuto, da un contratto collettivo di natura privatistica che lo sottrae all'operativitˆ della legge sul parastato (n. 70 del 1975), per effetto del successivo D.P.R. n. 411 del 1976, che disciplina il rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici e non sul presupposto secondo cui la relativa instaurazione non avviene mediante pubblico concorso e neppure tramite particolari procedure selettive. Quest' ultimo rilevo, invero  utilizzato, nella struttura argomentativa della Corte, al solo fine di rafforzare la rilevata regolamentazione sostanzialmente "privatistica", del rapporto in parola. 23. D'altro canto il giudice delle leggi, nella sentenza 27 marzo 2003 n. 89, nel giudicare la norma di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 cit., art. 36, comma 2, conforme ai parametri costituzionali, sanciti dagli artt. 3 e 97 Cost., ha sottolineato che il principio dell'assunzione dei pubblici dipendenti mediante concorso, posto a presidio delle esigenze di imparzialitˆ e buon andamento dell'amministrazione, rende di per s palese la non omogeneitˆ delle situazioni poste a confronto e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego dei lavoratori da parte della P.A. conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione in rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati. N la scelta operata dal legislatore, ha sottolineato il predetto giudice, contrasta con il canone della ragionevolezza, in quanto la stessa norma costituzionale individua appunto nel concorso lo strumento di selezione del personale, in linea di principio, pi idoneo a garantire l'imparzialitˆ e l'efficienza della P.A. Del resto, mirando il concorso a selezionare tra i concorrenti quelli che possiedono in misura maggiore i requisiti attitudinali e professionali richiesti, non  irragionevole la norma che tuteli i vincitori in modo diverso dai concorrenti che, pur non essendone privi, tuttavia non hanno dimostrato di possedere un uguale grado di preparazione. 24. Tanto precisato osserva il Collegio che, per quanto attiene il comparto della scuola, il citato D.Lgs. n. 165 del 2001 sancisce, all'art. 70, comma ottavo, che "Sono fatte salve le procedure di reclutamento del personale della scuola di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 e successive modificazioni ed integrazioni". 25. Da ci˜ consegue, sulla base coordinamento delle previsioni di cui al richiamato D.Lgs. n. 165 del 2001, che il sistema del reclutamento del personale della scuola, di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994 e successive modificazioni ed integrazioni,  escluso dall'ambito di applicazione della normativa dei contratti a termine prevista per i lavoratori privati. 26. Rilevano, in particolare, ai fini di cui trattasi, la prima parte dell'art. 2, comma 2 - il quale stabilisce che "I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo 1, titolo 2, del libro 5 del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel 194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 presente decreto" -, e l'art. 36 - il quale, come detto, riconosce la praticabilitˆ del contratto a termine e di altre forme negoziali flessibili nel rapporto di lavoro pubblico rimettendo ai contratti collettivi nazionali la previsione della relativa disciplina "in applicazione di quanto previsto dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dal D.L. 30 ottobre 1984. n. 726, art. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 1984, n. 863, dal D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 16, convertito con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1994, n. 451, dalla L. 24 giugno 1997, n. 196, nonch da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina"-. 27.Tanto determina che la disciplina sul reclutamento del personale assunto a termine del cd. settore scolastico, ex D.Lgs. n. 297 del 1994, non pu˜ ritenersi abrogata dal D.Lgs. n. 368 del 2001. 28. Quest'ultimo provvedimento legislativo, infatti, costituisce una "successiva" modificazione o integrazione della disciplina sul contratto a termine in generale rispetto alla quale vi  la specifica e generale previsione di esclusione, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 70, ex comma 8, che vale a conferire, altres“, alla normativa relativa al reclutamento in parola il connotato di specialitˆ rispetto alla legge in generale, s“ da escluderne ogni incidenza da parte di successivi interventi legislativi di tal genere. 29. Ci˜, tra l'altro, corrisponde al principio, immanente del nostro ordinamento giuridico secondo il quale lex posterior generalis non derogat legi priori speciali (V. per tutte Cass. 31 gennaio 2012 n. 392 cit.). 30. N pu˜ sottacersi al riguardo che la giˆ evidenziata specialitˆ della normativa sul reclutamento del personale nel settore della scuola che giustifica - come rilevato - la sua assoluta "impermeabilitˆ" alla disciplina del D.Lgs. n. 368 del 2001, si manifesta anche con riferimento a tutti i restanti settori della pubblica amminis trazione, nei quali i contratti di lavoro a termine assumono caratteri differenziati da quelli riscontrabili nell'ambito del personale scolastico, in cui le peculiari finalitˆ ad essi sottese - oltre ad escludere la conversione a tempo indeterminato - portano ad escludere la stessa configurabilitˆ di un abuso del diritto nei termini patrocinati dal ricorrente. 31. A diverse conclusioni non pu˜ indurre neanche il D.L. n. 70 del 2011, art. 9 convertito in L. n. 106 del 2011, il quale, con il comma 18, ha aggiunto, al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, il comma 4 bis secondo il quale: "Stante quanto stabilito dalle disposizioni di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 40, comma 1, e successive modificazioni, alla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, comma 14 bis, e al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 6, comma 5, sono altres“ esclusi dall'applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessitˆ di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica l'art. 5, comma 4 bis, del presente decreto". 32. Trattasi, invero, di esplicitazione di un principio che, in quanto giˆ enucleabile, alla stregua di quanto in precedenza rimarcato, dal precedente sistema, non ha comportato alcuna innovazione e risponde, piuttosto, all'esigenza, avvertita dal legislatore, di ribadire, a fronte del proliferare di controversie sulla illegittimitˆ delle assunzioni a termine nel settore in parola, di una regula iuris giˆ insita nella legislazione concernente la cd. privatizzazione del pubblico impiego. 33. E che il suddetto art. 9 non pu˜ che aver valore d'interpretazione autentica, per rendere chiaro ed espresso quello che s“ evinceva dal precedente sistema normativo, deve ritenersi certo perch se si dovesse diversamente interpretare, nel senso di consentire la conversione del contratto a termine in contratto a tempo determinato con il conseguente riconoscimento CONTENZIOSO NAZIONALE 195 del risarcimento dei danni, si finirebbe per legittimare una totale disapplicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001 con riferimento al personale della scuola. 34. Per di pi si determinerebbe una violazione dei criteri di efficienza per incidere sugli organici del personale della scuola e sulla complessa amministrazione del settore e, conseguentemente, penalizzando il merito e gli altri principi posti a fondamento del rapporto di pubblico impiego, nel cui ambito va collocato (con riferimento alle finalitˆ perseguite dalle disposizioni di cui al citato D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 4, 5 e 10) il detto personale. Ed, infine, si finirebbe per attribuire illogicamente alla suddetta norma una portata priva di razionalitˆ ed al di fuori di una logica di sistema. Nel momento in cui attraverso il collegato lavoro (di cui alla L. 4 novembre 2010 n. 183), si andava ad incidere in senso riduttivo sul risarcimento del danno nello stesso tempo si sarebbe, infatti, esposta la pubblica amministrazione ad uno sforamento di bilancio, assicurando al personale della scuola un trattamento diverso e, sotto pi versanti, maggiormente favorevole rispetto agli altri dipendenti pubblici, sia sul piano delle condizioni della trasformazione in contratto a tempo indeterminato, sia su quello risarcitorio (cfr. Cass. 29 febbraio 2012 n. 3056, sulla interpretazione dello ius supervenines L. n. 183 del 2010, ex art. 32, commi, 5, 6, 7 sebbene la stessa riconosca che il risarcimento configuri una sorta di penale ex lege da assicurarsi in ogni caso e senza necessitˆ di prova del lavoratore). 35. Tanto precisato mette conto di rilevare che lo speciale regime del reclutamento del personale scolastico cd. precario si articola in un sistema di supplenze regolato dalla L. n. 124 del 1999 cit., art. 4, che ai primi tre commi, testualmente, dispone: "1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l'utilizzazione del personale in soprannumero, e semprech ai posti medesimi non sia stato giˆ assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo. 2. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attivitˆ didattiche. Si provvede parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attivitˆ didattiche per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario. 3. Nei casi diversi da quelli previsti ai commi 1 e 2 si provvede con supplenze temporanee". 36. I criteri in base ai quali sono conferite le supplenze annuali sono precisati dai successivi commi 6 e 7 i quali stabiliscono, ai fini dei successivi regolamenti da adottarsi con D.M.- poi emanati con i D.M. n. 201 del 2000, D.M. n. 131 del 2007 e D.M. n. 430 del 2000 -, rispettivamente, che: "per il conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze temporanee sino al termine delle attivitˆ didattiche si utilizzano le graduatorie permanenti di cui all'art. 401 del testo unico,come sostituito dall'art. 1, comma 6 della presente legge" (comma 6); "per il conferimento delle supplenze temporanee di cui al comma 3 si utilizzano le graduatorie di circolo o di istituto. I criteri, le modalitˆ e i termini per la formazione di tali graduatorie sono improntati a principi di semplificazione e snellimento delle procedure con riguardo anche all'onere di documentazione a carico degli aspiranti" (comma 7). 37. L'art. 399 del T.U., di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, cos“ come modificato dalla L. n. 124 del 1999, rubricato "Accesso ai ruoli", poi, testualmente dispone, ai primi due commi, che: "1. L'accesso ai ruoli del personale docente della scuola materna,elementare e secondaria, ivi 196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, ha luogo, per il 50 per cento dei posti a tal fine annualmente assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo alle graduatorie permanenti di cui all'art. 401. 2. Nel caso in cui la graduatoria di un concorso per titoli ed esami sia esaurita e rimangano posti ad esso assegnati, questi vanno ad aggiungersi a quelli assegnati alla corrispondente graduatoria permanente. Detti posti vanno reintegrati in occasione della procedura concorsuale successiva". 38. Ed ancora l'art. 401 - rubricato "graduatorie permanenti" stabilisce ai primi due commi che: "1. Le graduatorie relative ai concorsi per soli titoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, sono trasformate in graduatorie permanenti, da utilizzare per le assunzioni in ruolo di cui all'art. 399, comma 1. 2. Le graduatorie permanenti di cui al comma 1 sono periodicamente integrate con l'inserimento dei docenti che hanno superato le prove dell'ultimo concorso regionale per titoli ed esami, per la medesima classe di concorso e il medesimo posto, e dei docenti che hanno chiesto il trasferimento dalla corrispondente graduatoria permanente di altra provincia. Contemporaneamente all'inserimento dei nuovi aspiranti  effettuato l'aggiornamento delle posizioni di graduatoria di coloro che sono giˆ compresi nella graduatoria permanente". La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 605, lett. e), ha, infine, trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento. 39. Da questo articolato normativo emerge, innanzitutto, che il legislatore ha mantenuto, per quanto attiene il reclutamento del personale, il ed sistema del doppio canale (V. per la disciplina previgente il D.L. n. 357 del 1989, convertito in L. n. 417 del 1989, nonch la L. n. 1074 del 1971, L. n. 477 del 1973, L. n. 463 del 1978, L. n. 270 del 1982, L. n. 326 del 1984, e L. n. 246 del 1988) in virt del quale l'accesso ai ruoli avviene per il 50 per cento de posti mediante concorso per titoli ed esami (D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 399) e, per il restante 50 per cento, attingendo dalle graduatorie permanenti (D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 400 cit.). 40. Scopo di tali graduatorie permanenti  quello precipuo, come rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 41 del 2011, d'individuare i docenti cui attribuire le cattedre e le supplenze secondo il criterio di merito al fine di assicurare la migliore formazione scolastica. 41. N il sistema di reclutamento in parola si pone in contrasto con l'art. 97 Cost., disponendo questo, al comma 3 che "Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge" (V. Corte cost. n. 89 del 2003 cit.). 42. Emerge, altres“, dal contesto normativo in esame, che il sistema delle graduatorie permanenti - ora ad esaurimento -  funzionalizzato non solo alla garanzia della migliore formazione scolastica, ma anche al rispetto della posizione acquisita in graduatoria la quale, progredendo anche in relazione all'assegnazione delle supplenze (V. D.M. citati in particolare il n. 201 del 2000), garantisce l'immissione in ruolo. 43. In altri termini il conferimento dell'incarico di supplenza, specie quello annuale,  il veicolo attraverso il quale l'incaricato si assicura l'assunzione a tempo indeterminato in quanto, man mano che gli vengono assegnati detti incarichi, la sua collocazione in graduatoria avanza e, quindi, gli permette l'incremento del punteggio cui  correlata l'immissione in ruolo ex art. 399 del T.U. di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994 cit.. 44. Inoltre, ed  bene sottolinearlo, la formazione della graduatoria permanente ovvero di circolo o istituto  ancorata a rigidi criteri oggettivi (D.M. citati in precedenza ed in particolare il D.M. n. 201 del 2000) che costituiscono attuazione, come sottolineato da questa Corte (sent. 22 marzo 2010 n. 6851), del principio generale secondo il quale l'assunzione dei dipendenti pubblici, anche non di ruolo, deve avvenire secondo procedure sottratte alla discrezionalitˆ CONTENZIOSO NAZIONALE 197 dell'amministrazione (art. 97 Cost., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, la cui violazione  sanzionata con la nullitˆ del contratto di lavoro (Cfr.: Cass. 7 maggio 2008, n. 11161). 45. Il sistema delle supplenze in parola rappresenta, pertanto, sotto il profilo in esame, un percorso formativo-selettivo, volto a garantire la migliore formazione scolastica, attraverso il quale il personale della scuola viene immesso in ruolo in virt di un sistema alternativo a quello del concorso per titoli ed esami e vale a connotare di una sua intrinseca "specialitˆ e completezza" il corpus normativo relativo al reclutamento del personale scolastico. 46. N pu˜ sottacersi come il sistema in esame risponda anche all'esigenza di parametrare nella scuola una flessibilitˆ in entrata che comporta una situazione di precarietˆ, bilanciata, per˜, ampiamente da una sostanziale e garantita (anche se in futuro) immissione in ruolo che, per altri dipendenti del pubblico impiego  ottenibile solo attraverso il concorso e per quelli privati pu˜ risultare di fatto un approdo irraggiungibile. Ci˜ ha portato autorevole dottrina a parlare nella materia scrutinata di una tipologia di flessibilitˆ atipica destinata a trasformarsi in una attivitˆ lavorativa stabile. 47. Per di pi a tale sistema di reclutamento non sono certo estranee indifferibili esigenze di carattere economico che impongono - in una situazione di generale crisi economica e di deficit di bilancio facenti parte del notorio - risparmi doverosi per riscontrarsi nel sistema di reclutamento in esame, come detto, una seria prospettiva del riconoscimento di un lavoro a tempo indeterminato pur in assenza di alcuna legge di carattere costituzionale o comunitario capace di garantire, anche in presenza di un effettivo abuso di successione di contratti a termine, un rapporto a tempo indeterminato e pur avendo la Corte Costituzionale reiteratamente affermato che "resta affidata alla discrezionalitˆ del legislatore la scelta dei tempi e dei modi di attuazione della garanzia del diritto al lavoro" (tra le altre, sentenza 13 ottobre 2000 n. 419 e pi di recente Corte Cost. 9 novembre 2011 n. 303). 48. E nella stessa direzione  opportuno da un lato rimarcare che - come ha osservato il giudice delle leggi - la politica del reclutamento del personale presso le amministrazioni dello Stato  dettata in conformitˆ del contenimento della spesa pubblica perch l'assunzione di nuovo personale e le disponibilitˆ economiche dello Stato devono adeguarsi al "principio di coordinamento della finanza pubblica" Cfr. Corte Cost. 17 dicembre 2004 n. 300), e dall'altro ricordare che, come  noto, la giurisprudenza comunitaria ha pi volte evidenziato che nella determinazione della portata applicativa delle direttive un accentuato rilievo va dato alle esigenze di bilancio degli stati membri. 49. Sotto diverso profilo mette conto, poi, di annotare che il sistema in esame , altres“, oggettivamente funzionalizzato alla esigenza di sopperire alla necessitˆ della copertura dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre (L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 1 cit.), ovvero alla copertura dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre (L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 2 cit.), ovvero ancora ad altre necessitˆ quale quella di sostituire personale assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro (L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 3 cit.). 50. Tanto in ragione, fatte salve le "altre necessitˆ", della discrasia tra l'organico di fatto - ossia quello che si forma all'interno dell'Istituto scolastico all'inizio dell'anno scolastico e a seguito della popolazione scolastica che risulta iscritta - e l'organico di diritto -costituito dall'insieme del corpo docente e/o del personale ATA che il Ministero assegna ad un determinato Istituto scolastico in base alla popolazione scolastica che istituzionalmente dovrebbe essere iscritta presso quell'istituto. 51. Risulta confermato, pertanto, che il descritto quadro normativo rappresenta un insieme di fonti che valgono, per la loro completezza, organicitˆ e funzionalizzazione, a costituire un corpus 198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 speciale autonomo disciplinante la materia del reclutamento del personale in ordine al quale, non trovando applicazione, come innanzi rilevato, il D.Lgs. n. 368 del 2001 - emanato in attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES - va verificata la conformitˆ alla detta direttiva. 52.A tal fine va tenuto conto che, secondo giurisprudenza comunitaria, nell'applicare il diritto interno, i giudici nazionali devono interpretarlo, per quanto possibile, alla luce del testo e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest'ultima e conformarsi, pertanto, all'art. 249, comma 3, CE (V., sentenza 5 ottobre 2004, cause riunite da C 397/01 a C 403/01, Pfeiffer e a., punto 113, e giurisprudenza ivi citata, nonch sentenza 4 luglio 2006 C-212/04, Adeneler, punto 108). 53. Non senza considerare che tale obbligo di interpretazione conforme riguarda l'insieme delle disposizioni del diritto nazionale, sia anteriori sia posteriori alla direttiva di cui trattasi (V., “n particolare, sentenze 13 novembre 1990, causa C 106/89, Marleasing, punto 8, e Pfeiffer e a., cit., punto 115). 54. Tanto precisato deve ribadirsi, in primo luogo, che l'accordo quadro - di cui alla Direttiva del Consiglio Ce 1999/70/CE del 28 giugno 1999 non stabilisce le condizioni precise in base alle quali si pu˜ far ricorso al contratto a tempo determinato. 55. é, infatti, sancita soltanto l'adozione, qualora il diritto nazionale non preveda norme equivalenti, di almeno una delle misure in essa enunciate, che attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi, pur restando fermo che gli Stati membri sono tenuti, in generale, nell'ambito della libertˆ che viene loro riservata dall'art. 249, comma 3, Trattato CEE, a scegliere le forme e i mezzi idonei al fine di garantire l'efficacia pratica delle direttive (V. sentenza 4 luglio 2006 C-212/04, Adeneler cit. punto 65 e sentenza 26 gennaio 2012 C-586/10 Kucuk punto 26 e giurisprudenza ivi citata, nonch: Cass. 21 maggio 2008 n. 12985). 56. Secondo conforme giurisprudenza comunitaria la nozione di "ragioni obiettive", ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a), dell'accordo quadro, deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete caratterizzanti una determinata attivitˆ e, pertanto, tali da giustificare in questo particolare contesto l'utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi. 57. Tali circostanze possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni per l'espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalitˆ di politica sociale di uno Stato membro. 58. Per contro, una disposizione nazionale che si limiti ad autorizzare, in modo generale e astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato successivi non soddisfarebbe i requisiti precisati nei due punti precedenti. Infatti, una siffatta disposizione, di natura meramente formale e che non giustifica in modo specifico l'utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi con l'esistenza di fattori oggettivi relativi alle caratteristiche dell'attivitˆ interessata e alle condizioni del suo esercizio, comporta un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti e non  pertanto compatibile con lo scopo e l'effettivitˆ dell'accordo quadro (sentenza 4 luglio 2006 C-212/04, Adeneler cit. punti da 69 a 72 nonch sentenza 28 aprile 2009 C- 370/07 Angelidaki punti 101 e segg.). 59. Alla luce della richiamata giurisprudenza comunitaria ritiene questa Corte che il corpus CONTENZIOSO NAZIONALE 199 normativo disciplinate il reclutamento del personale, nel consentire la stipula di contratti a tempo determinato in relazione alla oggettiva necessitˆ di far fronte, con riferimento al singolo istituto scolastico - e, quindi, al caso specifico -, alla copertura dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre, ovvero alla copertura dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre, ovvero ancora ad altre necessitˆ quale quella di sostituire personale assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, riferendosi a circostanze precise e concrete caratterizzanti la particolare attivitˆ scolastica costituisce "norma equivalente" alle misure di cui alla clausola 5 n. 1, lett. da A) a C) dell'accordo quadro secondo quanto indicato dalla sentenza 28 aprile 2009 C-370/07 Angelidaki cit.. 60. Rileva, altres“, ai fini di cui trattasi, - e con riferimento alle fattispecie regolate dal primo e dalla L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 2 cit. - quale fattore oggettivo, relativo all'attivitˆ scolastica, lo stretto collegamento tra la necessitˆ di ricorrere alla supplenza e la ciclica variazione in aumento ed in diminuzione della popolazione scolastica e la sua collocazione geografica. 61. N pu˜ non considerarsi che, come in precedenza rimarcato, il sistema delle graduatorie per garantire l'oggettivitˆ della scelta dell'incaricato, la migliore formazione scolastica (Corte cost. n. 41 del 2011 cit.) e la stessa immissione in ruolo dell'incaricato - la cui posizione in graduatoria progredisce, in ragione dell'assicurato diritto di precedenza, in funzione del numero delle supplenze - comporta necessariamente la reiterazione degli incarichi che, pur tuttavia, come osservato, rimangono temporanei e collegati ciascuno alla specifica e precisa esigenza del singolo istituto scolastico. 62. Al riguardo va ricordato che la direttiva n. 70 del 1999 guarda alla successione di pi contratti di rapporti di lavoro a tempo determinato come potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori dipendenti s“ da richiedere apposite disposizioni di tutela minima (dirette ad evitare la "precarizzazione" della situazione dei lavoratori suddetti), identificabili non di certo in norme legali o regolamentari limitate ad autorizzare - in modo generale ed astratto il ricorso a ripetuti contratti di lavoro a tempo determinato (sentenza 26 gennaio 2012 C-586/10 Kucuk, punto 28, e sentenza 28 aprile 2009 C-370/07, Angelidaki cit., punto 97). Il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscano la forma comune dei rapporti di lavoro, non esclude per˜ che i contratti di lavoro a tempo determinato possano rappresentare una caratteristica dell'impiego in alcuni settori e per determinate occupazioni e attivitˆ, sicch viene lasciato agli Stati membri una certa discrezionalitˆ nello stabilire le condizioni precise alle quali si pu˜ fare uso di questi contratti (sentenza 26 gennaio 2012 C-586/10 Kucuk, cit. punto 52; sentenza 4 luglio 2006 C-212/04, Adeneler, cit. punto 91; sentenza 7 settembre 2006, causa C-53/04, M. e S., punto 47; sentenza 28 aprile 2009 C-370/07, Angelidaki cit. punti 145 e 183). 63. é corollario di quanto ora detto che spetta al giudice nazionale di valutare se in concreto l'impiego di un dipendente per un lungo periodo di tempo in forza di ripetuti e numerosi contratti sia rispettosa della clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro (sentenza 26 gennaio 2012 C-586/10 Kucuk, cit. punto 55), che deve ritenersi, nel caso di specie, rispettata perch il reiterarsi degli incarichi, come rilevato - ma  opportuno ribadirlo - risponde ad oggettive, specifiche esigenze, a fronte delle quali non fa riscontro alcun potere discrezionale della pubblica amministrazione, per essere la stessa tenuta al puntuale rispetto della articolata normativa che ne regola l'assegnazione. 64. Alla stregua delle esposte considerazioni ritiene questa Corte che la specifica disciplina del reclutamento del personale scolastico, ed in particolare quella relativa al conferimento delle supplenze,  conforme alla clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro di cui alla Direttiva 200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 del Consiglio Ce 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e costituisce, quindi, " norma equivalente". 65. Premesso che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia  ammesso soltanto ove al giudice nazionale si ponga un dubbio relativo alla interpretazione e all'applicazione delle norme comunitarie, ma non nel caso in cui a questi si ponga l'opposto problema di interpretare la norma interna al fine di verificarne la compatibilita con la normativa comunitaria (V. sentenza 17.6.1999 C. 295/97 Piaggio Spa, nonch: Cass. 22 settembre 2006 n. 20708 e Cass. 15 maggio 2007 n. 11125), osserva il Collegio che la rilevata esistenza di molteplici conformi pronunce della Corte di giustizia delle Comunitˆ Europee sull'interpretazione della norma comunitaria di cui trattasi (V. tutta la uniforme giurisprudenza comunitaria citata nei precedenti punti da 54 a 59 e da 62 a 63) induce a ritenere che si  in presenza di un acte claire. Questo come tale, quindi, - non lasciando spazio ad alcun ragionevole dubbio sulla esegesi della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES - non impone al presente giudice di ultima istanza l'obbligo di rinviare, in via pregiudiziale, alla predetta Corte di Giustizia la questione d'interpretazione della richiamata norma comunitaria (Cfr. sentenza 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfit nonch Corte EDU sentenza 20 settembre 2011, ric. nn. 3989/07 e 38353/07, Ullens de Schooten e Rezabek nonch, per tutte e da ultimo, Cass. 26 marzo 2012 n. 4776). 66. Del resto che il rinvio pregiudiziale non debba essere disposto allorquando la lettura delle direttive comunitarie consenta al giudice nazionale di accertare - attraverso una documentata, ragionata e poi motivata attivitˆ ermeneutica - la loro piena compatibilita con le norme interne, risponde al principio ora costituzionalizzato del processo "giusto" e di "ragionevole durata" (art. 111 Cost., commi 1 e 2) dal momento che un ricorso "disinvolto" alla pregiudizale - perch non sorretto da una congrua e doverosa riflessione ed attenzione - potrebbe, in assenza di un ragionevole dubbio sulla esegesi delle suddette direttive, finire per determinare, oltre che pregiudizievoli ricadute sul versante socio-economico, anche alti costi privi di giustificazione. 67. Dei principi sopra enunciati la sentenza impugnata ha fatto, dunque, corretta applicazione per avere osservato che, nel caso di specie, non  ontologicamente configurabile quell'abuso di diritto ritenuto sanzionabile dalla direttiva e dalla giurisprudenza comunitaria in quanto le ragioni che stanno alla base dei contratti a termine assumono una "oggettiva portata" per riguardare situazioni fattuali rispetto alla quali non  lasciata alcuna discrezionalitˆ alle autoritˆ scolastiche le quali non possono esimersi dall'individuare i soggetti destinatari di tali contratti nel rigoroso rispetto della normativa regolante la materia. 68. La Corte territoriale ponendosi infatti - come espressamente rimarca in continuitˆ con un indirizzo della giurisprudenza di merito - ha sostanzialmente messo in rilievo che la successione di una pluralitˆ di contratti a tempo determinato, attraverso la quale si succedono le supplenze annuali e quelle temporanee - sia per la copertura di posti non vacanti e di fatto disponibili sia per la sostituzione del personale assente per congedo, aspettativa, congedo ecc -, non concretizza di certo in alcun modo l'abuso ai danni dei lavoratori contemplato dalla direttiva comunitaria perch una siffatta successione  funzionalizzata a ragioni -  bene ripeterlo - di natura obiettiva, come quelle di assicurare la continuitˆ nel servizio scolastico - obiettivo di rilevanza costituzionale - a fronte di eventi contingenti, variabili ed in definitiva imprevedibili, non solo nelle loro concrete ricadute a livello territoriale per la popolazione scolastica interessata, ma anche nella collocazione temporale. 69. Per concludere, quindi, la sentenza impugnata - essendo pervenuta, sia pure con motivazione parzialmente diversa, ad analogo risultato - va confermata previo l'esercizio dei poteri correttivi di cui all'art. 384 c.p.c., u.c.. CONTENZIOSO NAZIONALE 201 70. Con riferimento, poi, alla domanda del ricorrente a vedersi riconoscere il diritto al risarcimento del danno subito, va affermato che la sua infondatezza  corollario della mancanza di un abuso del diritto nel succedersi di detti contratti. Tale conclusione, infatti, si presenta obbligata per ricavarsi al di lˆ di ogni dubbio, come in precedenza evidenziato, sia dalla normativa statale che da quella comunitaria la piena legittimitˆ del reclutamento del personale scolastico articolato sulla successione di pur numerosi contratti a termine, ravvisandosi un abuso del diritto nel caso - non ricorrente di certo nella controversia in esame - in cui si sia in presenza di supplenze annuali o temporanee al di fuori delle condizioni legislativamente previste (come, ad esempio, nel mancato rispetto delle graduatorie nella assegnazione delle supplenze), che rende azionabile un sistema capace - in ragione di una accentuata responsabilizzazione dei dirigenti pubblici e del riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni subiti dal dipendente - di prevenire, prima, ed eventualmente di sanzionare, poi, in forma adeguata, l'utilizzo abusivo da parte dei suddetti dirigenti dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato (cfr. di recente sul punto: Cass. 13 gennaio 2012 n. 392 cit.). 71. A sostegno di quanto ora detto si  puntualmente osservato in dottrina che se l'ordinamento ha disconosciuto, come detto, con una disposizione di rango costituzionale il diritto alla costituzione di un rapporto a tempo indeterminato, appare arduo poi concepire la risarcibilitˆ di un mancato diritto - quale quello richiesto volto a parametrare il risarcimento ad Euro 5.000,00 per ogni contratto - perch manca il presupposto stesso della tecnica risarcitoria, che  quello di ripristinare, attraverso la restaurazione dell'ordine giuridico violato, la situazione soggettiva che, garantita da una norma giuridica, venga in concreto a subire una lesione. E proprio disconoscendo ogni rilevanza giuridica ai periodi d'inattivitˆ lavorativa nel caso di succedersi delle supplenze questa Corte di Cassazione - seppure in una fattispecie diversa ma con qualche analogia con quella in esame - ha affermato che la categoria del personale supplente si caratterizza per un rapporto di servizio che, fondato su incarichi attribuiti di volta in volta, si interrompe nell'intervallo da un incarico ed un altro per cui non spettano, con riferimento al periodo non lavorato, gli scatti biennali (cfr. in tali sensi Cass. 8 aprile 2011 n. 8060, che invece ha riconosciuto detti scatti ai docenti di educazione musicale per avere visto costoro con apposita e specifica normativa novato il loro rapporto non di ruolo a tempo indeterminato sino alla successiva immissione in ruolo). 72. All'esito delle considerazioni, sinora svolte, nelle quali rimangono assorbite tutte le ulteriori argomentazioni poste a base delle esaminate censure, il ricorso va, pertanto, rigettato. 73. La novitˆ della questione trattata e la complessitˆ della materia giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimitˆ. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimitˆ. Cos“ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 giugno 2012. 202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 La regolaritˆ causale nel contenzioso emotrasfusionale ÇNesso causale da comportamento omissivoÈ e Çcriterio per la delimitazione temporale della responsabilitˆ del MinisteroÈ (Annotazione a Cassazione civ., Sez. III, sentenza 31 gennaio 2013 n. 2250) La sentenza n. 2250/13 - facendo concreta applicazione del principio dellĠunicitˆ dellĠevento lesivo in caso di contagio da virus HCV (epatite C), HBV (epatite B) o HIV (AIDS) affermato dalle SS.UU (sentenze da 576/08 a 581/08) - esclude la regolaritˆ causale, sotto il profilo dellĠassoluta imprevedibilitˆ ed eccezionalitˆ dellĠevento, fra lĠomesso controllo da parte del Ministero sui prodotti emoderivati ed il contagio da virus HCV in un caso risalente ad epoca precedente la scoperta del virus dellĠepatite B. Marina Russo* Cassazione civile, Sez. Terza, sentenza del 31 gennaio 2013 n. 2250 - Pres. Segreto, Rel. Ambrosio, P.M. Velardi (in parte difforme) - Min. salute (avv. gen. Stato) c. M.R., M.V (avv. Andriani), T.M., T.G. quali procuratori generali di TA.SA.(avv. Mele). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza in data 18 maggio 2003 il Tribunale di Roma - decidendo sulla domanda di risarcimento danni proposta da G.M., quale erede della moglie C.G. nei confronti del Ministero della Salute (di seguito brevemente il Ministero) per il risarcimento dei danni da epatite C, subiti dalla moglie a seguito di una trasfusione di sangue effettuata in data 2 dicembre 1970 - accertava la responsabilitˆ del suddetto Ministero e lo condannava al pagamento della somma di Euro 336.733,00 oltre accessori in favore di M.R. e M.V. (succeduti, nelle more del giudizio, al padre, originario attore), nonch in favore di Ta.Sa., figlia ed erede di C.G., intervenuta in corso di causa; condannava il medesimo Ministero al pagamento in favore di Ta.Sa. dell'ulteriore somma di Euro 41.008,00 oltre accessori; condannava, infine, il Ministero al pagamento delle spese processuali e di c.t.u.. La decisione, gravata da impugnazione del Ministero, era confermata dalla Corte di appello di Roma, la quale con sentenza in data 6 novembre 2006 condannava l'appellante al pagamento delle ulteriori spese. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero, svolgendo quattro articolati motivi. Hanno resistito R. e M.V., nonch Ta.S., rappresentata dai procuratori generali G. e T.M., depositando distinti controricorsi. é stata depositata memoria da parte dei controricorrenti R. e M.V.. MOTIVI DELLA DECISIONE (...) 3. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 2043 cod. (*) Avvocato dello Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE 203 civ. (art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di appello ritenuto la responsabilitˆ del Ministero, nonostante all'epoca della trasfusione di cui si tratta fosse impossibile la stessa individuazione della malattia (che era ignota), incerte le modalitˆ di trasmissione, non noti metodi efficaci per combatterla. 4. (...) 5. Va esaminato, sulla base del principio della c.d. ragione pi liquida il terzo motivo di ricorso, che si rivela assorbente rispetto agli altri motivi. 5.1. In particolare il ricorrente Ministero - premesso che fino alla scoperta nell'anno 1978 del virus HBV, nel 1986 del virus HIV e nel 1988 del virus HCV il relativo evento infettivo non era astrattamente verosimile - osserva che, nella fattispecie, al momento del contagio era impossibile la stessa individuazione della malattia che era ignota, incerte le modalitˆ di trasmissione della stessa e non noti metodi efficaci per prevenirla; con la conseguenza che non era possibile ravvisare qualsivoglia responsabilitˆ in capo all'Amministrazione per trasfusioni eseguite pacificamente in epoca anteriore alla piena conoscenza medica della patologia per difetto dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa e dello stesso nesso causale. 5.2. Il motivo  fondato alla luce di principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, che - con riguardo allo specifico tema della responsabilitˆ omissiva per contagio - ha evidenziato come il problema della conoscenza del virus debba essere inquadrato anzitutto nell'ambito della regolaritˆ causale e quindi del nesso causale e solo in via residuale nell'ambito dell'elemento soggettivo: ci˜ in quanto ciascuno  responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta, attiva o omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilitˆ, per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili. In particolare le Sezioni Unite - muovendo dalla considerazione che i principi generali che regolano la causalitˆ materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 cod. pen. e dalla regolaritˆ causale, salva la differente regola probatoria che in sede penale  quella dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", mentre in sede civile vale il principio della preponderanza dell'evidenza o "del pi probabile che non" - hanno precisato che la regola della "certezza probabilistica" non pu˜ essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilitˆ quantitativa), ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (c.d. probabilitˆ logica) (cfr. Sez. Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 581). Da tale premessa concettuale  derivato con specifico riferimento all'azione - come quella in oggetto - per contagio da somministrazione di sangue ed emoderivati infetti, il seguente principio: premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinch fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standars di esclusione di rischi, il giudice, accertata l'omissione di tali attivitˆ, accertata, altres“, con riferimento all'epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai pi alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata - infine - l'esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, pu˜ ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la versificazione dell'evento. 5.3. Dal principio sopra esposto in tema di nesso causale da comportamento omissivo, 204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 emerge anche il criterio per la delimitazione temporale della responsabilitˆ del Ministero: in altri termini si tratta di verificare se, ai fini della regolaritˆ causale, il virus dell'epatite C nel dicembre del 1970 - epoca in cui intervenne l'emotrasfusione individuata come causa della stessa malattia - fosse un evento assolutamente eccezionale ed imprevedibile e quindi estraneo alla regolaritˆ causale. Ci˜ in quanto in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B) , HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bens“ un unico evento lesivo, cio la lesione dell'integritˆ fisica (essenzialmente del fegato) in conseguenza dell'assunzione di sangue infetto; ne consegue che giˆ a partire dalla data di conoscenza dell'epatite B - la cui individuazione spetta all'esclusiva competenza del giudice di merito, costituendo un accertamento di fatto - sussiste la responsabilitˆ del Ministero della salute, sia pure col limite dei danni prevedibili, anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo. (Cass. civ., Sez. Unite, 11 gennaio 2008, n. 576). 5.4. Orbene dagli atti emerge che il virus dell'epatite B fu conosciuto solo alla metˆ degli anni 1970 (l'organizzazione mondiale della sanitˆ l'ha ufficialmente riconosciuto solo nel 1978) e che in precedenza si conosceva solo che il sangue poteva veicolare virus. Ci˜ comporta che va esclusa la regolaritˆ causale tra il mancato controllo del Ministero e l'infezione da epatite C per l'emotrasfusione subita dalla C. nel dicembre 1970. Il motivo all'esame va, dunque, accolto, risultando assorbiti gli altri. 6. La causa pu˜ essere decisa nel merito in quanto non occorrono ulteriori accertamenti per rigettare la domanda. Le spese dell'intero giudizio vanno compensate. Invero la procedura transattiva prevista dalla L. 29 novembre 2007, n. 222, di conversione del D.L. n. 159 del 2007 e dalla L. 24 dicembre 2007, n. 2444 per il componimento dei giudizi risarcitori per effetto di trasfusioni con sangue infetto (pur lasciando libera la P.A se pervenire alla transazione) denota un sostanziale trend legislativo di favor della definizione stragiudiziale del contenzioso e tanto integra giusto motivo di compensazione delle spese processuali, a norma dell'art. 92 c.p.c., nella formulazione - applicabile alla fattispecie - anteriore alla modifica apportata dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta la domanda degli attori e dell'intervenuta; compensa tra le parti le spese dell'intero giudizio. CONTENZIOSO NAZIONALE 205 Sul termine breve di impugnazione nel caso di ÒnotificaÓ, da parte del cancelliere, di ordinanza di correzione (Annotazione a Corte dei Conti, Sez. Terza Giurisdizionale Centrale dĠAppello, sentenza del 18 gennaio 2013 n. 43) La Corte dei Conti conclude una lunga ed intricata vicenda processuale affermando il principio - particolarmente interessante in considerazione dellĠassenza di precedenti giurisprudenziali - che la notifica dellĠordinanza di correzione dellĠerrore materiale eseguita ad iniziativa del cancelliere a mente dellĠart.121 disp. att. c.p.c., non  idonea a far decorrere il termine ÒbreveÓ di cui allĠart. 285 c.p.c. Ci˜ in quanto - come sostenuto dalla difesa del Ministero - la funzione acceleratoria del giudizio di cognizione, cui di regola assolve la notifica della sentenza, corrisponde ad un interesse, proprio solo della parte vittoriosa in primo grado, a conseguire unĠabbreviazione dei termini per la formazione del giudicato; non si pu˜, dunque, ricondurre un analogo risultato alla notifica eseguita da un soggetto - quale la cancelleria - diverso dalla parte processuale. Secondo la Corte quindi, ai fini dellĠapplicabilitˆ del Òtermine breveÓ, la notifica dellĠordinanza di correzione dellĠerrore materiale equivale ad una mera comunicazione di cancelleria. Marina Russo* Corte dei Conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale dĠAppello, sentenza del 18 gennaio 2013 n. 43 - Pres. Ignazio de Marco, Est. Angelo De Marco - Min. economia (avv. gen. Stato) c. F.P. (avv. A. Savino). FATTO Con l'impugnata sentenza, pronunciaa nell'udienza del 2 ottobre 2002, poi corretta con successiva ordinanza dell'8 agosto 2011, il giudice unico delle pensioni presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia ha riconosciuto il diritto del Sig. P.F. all'indennitˆ integrativa speciale e alla tredicesima mensilitˆ sul trattamento pensionistico tabellare in godimento per il periodo in cui ha svolto attivitˆ di lavoro subordinato, con il limite - riconosciuto in accoglimento della relativa eccezione sollevata in udienza dal rappresentante dell'INPDAP - della prescrizione quinquennale; ha inoltre stabilito che sulle somme dovute per arretrati spetta al ricorrente il maggior importo tra rivalutazione monetaria e interessi legali. Poich l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione, enunciato in parte motiva nonchŽ nel dispositivo della sentenza, non risulta presente nel dispositivo letto al termine dell'udienza di discussione, l'ordinanza di correzione, intervenuta a conclusione di una complessa vicenda processuale di cui ora si dirˆ, ha sostituito il dispositivo scritto (che fa esplicito riferimento (*) Avvocato dello Stato. 206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 alla prescrizione) con quello letto in udienza (nel quale come detto, manca ogni riferimento alla prescrizione). Prima di tale correzione, la sentenza oggi appellata  stata in un primo momento dichiarata giuridicamente inesistente da parte dello stesso giudice pugliese, con sentenza n. 594/2004; successivamente, per effetto dell'annullamento dell'anzidetta sentenza n. 594/2004 da parte della Sezione Seconda Centrale d'appello, con sentenza 3/2007 del 26 gennaio 2007, cos“ come interpretata dalla stessa Sezione con successiva sua sentenza n. 459/2009 del 23 settembre 2009, tale sentenza  stata sottoposta alla procedura "per la correzione materiale", disposta con la ricordata ordinanza del 10 agosto 2011. L'appellante Avvocatura generale dello Stato, premesso che per effetto della correzione si  determinato un insanabile contrasto tra le parte motiva e quella dispositiva della sentenza n. 746/2002 - passata in giudicato per non essere stata mai appellata - e che l'impugnazione  possibile avverso la parte corretta (nella specie, il dispositivo) "nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui  stata notificata l'ordinanza di correzione"; precisato che la notifica dell'ordinanza eseguita il 12 settembre 2011, in quanto non effettuata su istanza della parte processuale, ha finalitˆ puramente partecipativa e non  pertanto idonea a far decorre il termine breve per l'appello; sostiene, nel merito, che il dispositivo corretto  in contrasto con le disposizioni vigenti e va pertanto riformato, in quanto il diritto alla corresponsione dell'indennitˆ integrativa speciale e della tredicesima mensilitˆ sulla pensione tabellare  soggetto a prescrizione quinquennale, che  stata ritualmente eccepita in giudizio e di cui il giudice ha tenuto debito conto in motivazione. L'appellato si  costituito in giudizio con il patrocinio dell'avvocato Antonio Savino il quale eccepisce preliminarmente la tardivitˆ dell'appello proposto ben cinque mesi dopo la rituale notifica della sentenza corretta e relativa ordinanza di correzione, effettuata su istanza del cancelliere come previsto dallĠart. 121 delle disposizioni di attuazione del c.p.c.; nel merito sostiene l'inammissibilitˆ dell'eccezione di prescrizione sollevata in udienza dall'Amministrazione, per violazione dell'art. 416 c.p.c., richiamato dalla legge 205/2000 in materia di giudizi pensionistici; conclusivamente (dopo avere adombrato la possibilitˆ che si tenga conto, in via subordinata, di quanto stabilito dall'art. 2946 c.c. in tema di prescrizione decennale per Òil diritto di credito relativo a qualsiasi somma che non sia stata posta in riscossione") chiede la dichiarazione di inammissibilitˆ dell'appello; in via gradata chiede la sua reiezione; chiede, comunque, la condanna dell'appellante per responsabilitˆ aggravata, oltre che al pagamento delle spese del giudizio. All'odierna pubblica udienza, dopo la relazione introduttiva l'Avvocato dello Stato ha preliminarmente sostenuto che la notifica dell'ordinanza di correzione, pur ritualmente eseguita a cura della segreteria della Sezione, non  idonea a far scattare il termine breve per l'impugnazione, in quanto tale effetto consegue solo alla notifica effettuata ad istanza di parte: dal che scaturisce la tempestivitˆ e quindi l'ammissibilitˆ dell'appello. Nel merito, ha insistito per l'accoglimento del gravame, avendo il primo giudice adeguatamente motivato in ordine all'ammissibilitˆ e alla fondatezza dell'eccezione di prescrizione sollevata in udienza. L'avvocato Savino ha, per parte sua, stigmatizzato la pervicacia con la quale l'Amministrazione insiste nel negare l'evidenza di quanto risulta con chiarezza dai fatti, e cio che il primo giudice ha in sede di redazione modificato il dispositivo letto in udienza, correggendo lĠomissione relativa alla prescrizione e che in fattispecie del genere, di contrasto tra dispositivo scritto e dispositivo letto,  quest'ultimo a prevalere sul primo. Tutto ci˜, non senza censurare la grossolana tardivitˆ dell'appello, a fronte di una evidente notifica e non mera comunicazione dell'ordinanza, come risulta dalla dizione usata nel foglietto di segreteria. CONTENZIOSO NAZIONALE 207 Considerato in DIRITTO Come ricordato nell'esposizione del fatto, perviene oggi all'esame del collegio una sentenza emessa nel 2002, passata in giudicato per non essere stata oggetto d'impugnazione; tale sentenza  stata dichiarata inesistente nel 2004, in un parallelo procedimento attivato per la sua esecuzione, ma  stata poi rivitalizzata nel 2007, con una sentenza del giudice d'appello, dallo stesso giudice autenticamente interpretata nel 2009; infine, nel 2011, detta sentenza  stata corretta mediante sostituzione del dispositivo scritto con quello letto in udienza e viene oggi gravata d'appello per la parte relativa all'oggetto specifico (sostituzione del dispositivo) dell'ordinanza di correzione d'errore. Il primo problema che si pone al collegio  quello relativo dellĠammissibilitˆ dell'appello, che, se non viene contestata per il profilo relativo alla sua esclusiva riferibilitˆ alle sole parti corrette (il che consente di ritenere non eluso il principio della irretrattabilitˆ del giudicato) viene per˜ posta in serio dubbio dallĠappellato per il profilo relativo alla tempestivitˆ del gravame, notificato dopo la scadenza del termine "breve" per impugnare. Al riguardo il colleggio ritiene che debba farsi riferimento, per la soluzione del problema, alle norme speciali che disciplinano la notificazione delle sentenze di prirno grado ai fini della decorrenza del termine breve con particolare riguardo all'art. 285 c.p.c., il quale testualmente dispone: Òla notificazione della sentenza, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione, si fa, su istanza di parte, a norma dell'art. 170Ó. Appare evidente la specifica funzione che tale notificazione assolve, acceleratoria del giudizio di cognizione, facendo decorrere il termine c.d. "breve" per la proposizione dell'appello, in luogo di quello c.d "lungo" (in realtˆ ordinario) altrimenti - in difetto, cio, di notificazione - ordinariamente applicabile: funzione che la notificazione assolve per corrispondere ad un interesse precipuo della parte vittoriosa in prime cure che  quello di conseguire al pi presto la definitivitˆ della pronuncia ottenuta e quindi i1 celere soddisfacimento del diritto fatto valere in giudizio. Un tale interesse, evidentemente,  del tutto estraneo alla segreteria della Sezione, la cui attivitˆ di informazione dellĠavvenuto deposito della sentenza, pur eventualmente qualificata come notifica della stessa, ha in realtˆ finalitˆ di mera, doverosa comunicazione ed  per tale ragione insuscettibile (al di la della sua formale ma impropria qualificazione come notifica) di produrre l'effetto specifico della decorrenza del termine breve per impugnare, esperibile dalla sola parte. Sul punto, conclusivamente, concordando con la tesi dell'Avvocatura e con le ulteriori considerazioni dalla medesima svolte nell'atto scritto, il collegio ritiene l'appello tempestivo e quindi ammissibile. L'appello e altresi fondato, per le ragioni seguenti. L'ipotesi che ricorre nella singolare fattispecie all'esame  quella del contrasto tra dispositivo letto all'udienza e dispositivo scritto in sentenza, il quale ultimo  per˜ del tutto coerente con lĠimpianto motivazionale della sentenza, rispecchiandone le argomentazioni in relazione all'andamento della pubblica udienza di discussione. Il difensore della parte oggi appellata sostiene che in tale ipotesi deve darsi prevalenza al dispositivo letto all'udienza, poich questo, mediante la pubblicazione con la lettura in udienza ai sensi dell'art. 420 c.p.c., cristallizza stabilmente il decisum, precludendone il ripensamento, in un momento successivo, da parte dello stesso giudice. L'assunto non  infondato, considerata la peculiaritˆ del processo del lavoro nel quale la disposizione citata si inserisce e potrebbe in astratto condividersi anche nel contesto del processo 208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 pensionistico, che del rito del lavoro ha mutuato taluni circoscritti e ben individuati istituti. Considera per˜ il collegio che, in assenza di tempestivo appello della sentenza come originariamente redatta per far valere come motivo di gravame la nullitˆ conseguente al suddetto contrasto (ai sensi dell'art. 16 c.p.c.) e per il sovrapporsi di molteplici differenti iniziative giudiziarie dell'interessato sfociate in pronunciamenti di vari organi, monocratici e collegiali, non sempre coerenti e lineari, si  pervenuti in fine ad una sentenza che, a seguito della correzione apportata alla sola parte dispositiva (che viene in questa sede impugnata, fermo il resto, passato in giudicato)  palesemente errata e deve essere pertanto riformata. Il diritto alla corresponsione dell'indennitˆ integrativa speciale e della tredicesima mensilitˆ sulla pensione tabellare  soggetto alla prescrizione quinquennale (non decennale, come ipotizzato in via gradata dal difensore dell'appellato nell'atto scritto: argomento peraltro non coltivato nell'odierno intervento orale) che, nel caso di specie, e stata ntualmente eccepita in giudizio e della quale il giudice ha tenuto debito conto in motivazione. Ciš comporta che il dispositivo risultante dal nuovo testo della sentenza, che non considera la prescrizione,  palesemente errato e va conseguentemente corretto in questa sede. In senso contrario il difensore dell'appellato sostiene che, da combinato disposto degli articoli 420 e 416 c.p.c. (secondo il quale nella memoria di costituzione debbono essere proposte a pena di decadenza 1e eventuali domande in via riconvenzionale e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio), deve concludersi che ÒlĠeccezione di prescrizione sollevata dallĠamministrazione sic et simpliciter in udienza Ž da ritenersi irrituale, inamrnissibile, tardiva e pertanto non meritevole di accoglimentoÓ. Su tale tesi - giˆ disattesa dal primo giudice - il collegio non pu˜ convenire, alla luce del principio di diritto enunciato dalle Sezioni riunite con sentenza n. 2/2008/QM del 21 febbraio 2008. Hanno statuito le Sezioni riunite che non pu˜ affermarsi che nel processo pensionistico dinanzi alla Corte dei conti le eccezioni processuali o di merito non rilevabili d'ufficio debbono necessariamente proporsi, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, non solo perchŽ una tale preclusione non  desumibile dal rinvio al codice di procedura civile contenuto nell'art. 26 del RD n. 1038 del 1933, ma anche perchŽ non sussiste in tale processo (come invece indubbiamente sussiste nel rito del lavoro) l'affermata necessaria strumentalitˆ dell'art. 416 c.p.c. (non espressamente richiamato dall'art. 5, comma 2 della legge n. 205 del 2000) rispetto al disposto di cui all'art. 420, comma primo, ultima parte (espressamente, invece, richiamato). Conclusivamente, l'appello in epigrafe viene accolto e il dispositivo della sentenza n. 746/02, come corretto dall'ordinanza n. 248/11 della Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, viene riformato nel senso della declaratoria di prescrizione delle somme arretrate a titolo di indennitˆ integrativa speciale e di tredicesirna mensilitˆ sui ratei pensionistici maturati fino al quinquennio precedente la data dell'11 aprile 2001 e dunque fino all'11 aprile 1996. Non vi  luogo a pronuncia sulle spese di giudizio, in ragione del principio di gratuitˆ che assiste il contenzioso pensionistico; le spese di lite vanno invece poste a carico della parte soccombente e vengono liquidate come da dispositivo P.Q.M. La Corte dei conti, Sezione Terza Centrale d'Appello, definitivamente pronunciando, accoglie l'appello in epigrafe e, per l'effetto, riforma il dispositivo della sentenza impugnata come corretta con ordinanza, nei termini di cui in parte motiva. Nulla per le spese di giustizia. Spese legali a carico del soccombente, nell'importo di euro 500,00 (cinquecento/00). Cos“ deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 ottobre 2012. CONTENZIOSO NAZIONALE 209 Silenzio assenso ed ipotesi non regolate di nulla osta paesaggistico: lĠinterpretazione teleologica del Consiglio di Stato (Nota a Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21 giugno 2011 n. 3723) Sibilla Ottoni* La disciplina del silenzio significativo di unĠamministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico si pone, nellĠattuale assetto ordinamentale amministrativo, allĠincrocio dei venti tra le istanze di semplificazione e quelle di tutela rafforzata di alcuni interessi particolarmente sensibili. NellĠimpianto del capo IV della L. 241/90  possibile infatti riscontrare la ripetuta menzione di alcuni interessi cui il legislatore ha voluto riconoscere uno status di tutela rafforzata: sicurezza, salute, ambiente, patrimonio artistico e paesaggistico, che si ritrovano nei Òdissensi qualificatiÓ espressi in seno alla conferenza di servizi, giustificano lĠimprocedibilitˆ in caso di mancato rilascio del parere in materia, sono esclusi dallĠambito di applicazione della Segnalazione certificata di inizio attivitˆ (dĠora in poi ÒsciaÓ) e del silenzio assenso. Rispetto allĠinteresse ambientale e paesaggistico, in particolare in materia di silenzio assenso, il problema si  posto di recente in giurisprudenza a fronte dellĠesistenza, nella normativa di settore, di ipotesi non regolate di silenzio delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo. 1. Il Consiglio di Stato si  occupato, nella sentenza n. 3723 del giugno 2011 (1), della qualificazione del silenzio di unĠamministrazione preposta alla tutela del vincolo ambientale e paesaggistico, in sede di rilascio di accertamento di conformitˆ di unĠopera edificata in difformitˆ dal titolo. Nella specie, il Collegio affronta la questione dellĠapplicabilitˆ a tale fattispecie della disciplina del silenzio assenso prevista, per il rilascio del nulla osta preventivo, dallĠart. 13 della l. 394/1991, recante la disciplina delle aree protette. Tale pronuncia afferma in sintesi che i procedimenti edilizi in sanatoria, attengano a condono edilizio o ad accertamento in conformitˆ, costituiscono situazioni di contrarietˆ allĠordinamento giuridico, superabili soltanto attraverso una rivalutazione espressa di tutti i profili attinenti la possibilitˆ di sanatoria. Di con- (*) Dottoranda in diritto amministrativo, Universitˆ di Roma ÒLa SapienzaÓ e UnivŽrsitŽ PanthŽon- Assas Paris II. Giˆ praticante presso lĠAvvocatura dello Stato. LĠarticolo  stato redatto poco prima del Disegno di legge sulle Semplificazioni bis - ottobre 2012 - Disegno di legge che sul punto che qui interessa ha suscitato unanime dissenso nel mondo ambientalista. (1) Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza breve 21 giugno 2011 n. 3723, di riforma dalla sentenza breve TAR Campania-Salerno, Sez. II, 28 settembre 2010 n. 11140. 210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 seguenza, la disciplina del silenzio assenso in materia di nulla osta paesaggistico, prevista dallĠart. 13, l. 6 dicembre 1991 n. 394, non si applica alle fattispecie di sanatoria edilizia, che rispondono alla diversa ratio della necessitˆ di un provvedimento espresso. Sarˆ utile ripercorrere brevemente gli snodi principali della motivazione. LĠoggetto della controversia  un abuso edilizio commesso nellĠarea del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano (2). Le opere abusive, relative ad un fabbricato agricolo, erano realizzate in difformitˆ rispetto allĠoriginario titolo abilitativo; ci˜ provocava il diniego del nulla osta da parte dellĠEnte parco, in sede di accertamento di conformitˆ. Tale diniego veniva impugnato dai proprietari del fabbricato, con ricorso accolto dal TAR Campania, ma respinto dal Consiglio di Stato sulla scorta delle motivazioni che si andranno ad esporre. La parte privata aveva richiesto ed ottenuto un permesso di costruire al fine di procedere alla ristrutturazione del fabbricato; al permesso accedeva il nulla osta preventivo dellĠEnte parco, rilasciato a condizione del rispetto di alcune misure di mitigazione, posto che la zona  soggetta a vincolo paesaggistico. In sede di esecuzione dei lavori, tuttavia, venivano eseguite opere decisamente difformi rispetto a quelle a cui il titolo edilizio abilitava, posto che invece di procedere ad una ristrutturazione, i proprietari demolivano ed in seguito ricostruivano il fabbricato. Contestualmente, veniva presentata una denuncia di inizio attivitˆ (dĠora in poi ÒdiaÓ) al comune di Camerota (nel cui territorio si trova il fabbricato), che a sua volta trasmetteva la pratica allĠEnte parco per lĠacquisizione del parere sulla compatibilitˆ paesaggistica (il cui accertamento postumo era stato ammesso dalla Soprintendenza). A lavori ultimati, il fabbricato veniva sequestrato dalla Guardia di Finanza per totale difformitˆ dal permesso di costruire, asserita la non validitˆ della dia in quanto carente del parere di conformitˆ paesaggistica. Con provvedimento espresso, veniva successivamente negato il nulla osta, ritenendo lĠintervento in contrasto con le norme di attuazione del Piano del Parco. Tale diniego era impugnato dinanzi al TAR Campania, con la motivazione che sullĠistanza si sarebbe medio tempore formato silenzio assenso. Secondo tale ricostruzione, il successivo provvedimento di rigetto avrebbe dovuto piuttosto considerarsi adottato in autotutela. Il giudice di primo grado avallava tale ricostruzione, applicando alla fattispecie in esame la disciplina dellĠart. 13 L. 394/91, che applica il silenzio assenso al nulla osta paesaggistico preventivo, ed annullava il provvedimento di diniego. A seguito di appello proposto dallĠEnte parco, il Consiglio di Stato nella pronuncia che oggi si annota rovescia la soluzione appena prospettata, riforma la sentenza di primo grado e rigetta per lĠeffetto il ricorso originario. (2) Si tratta di zona A1 della perimetrazione del Parco (definita, dalle Misure di Salvaguardia allegate al DPR istitutivo del Parco, come zona di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale). CONTENZIOSO NAZIONALE 211 Basandosi sui rilievi svolti dallĠAvvocatura di Stato per lĠEnte appellante, ritengono i giudici di Palazzo Spada che la soluzione data dal TAR nasca da un errato inquadramento dellĠistituto del nulla osta paesaggistico rilasciato in sede di accertamento di conformitˆ. A questo non si applicherebbe la disciplina del silenzio assenso tipica delle norme sul nulla osta preventivo di cui alla normativa delle aree protette (il citato art. 13, L. 394/91), bens“ il regime, opposto, del silenzio rigetto, essendo esso riconducibile ad un procedimento di sanatoria edilizia (art. 36, DPR 380/2001) e non al rilascio di un titolo preventivo. Il Consiglio di Stato, in assenza di una specifica disciplina, si  preoccupato quindi di individuare la ratio dellĠistituto, onde ricondurlo ad uno o allĠaltro modello e ricavare di conseguenza il regime del silenzio applicabile. Il Consiglio di Stato fa altres“ un veloce riferimento allĠart. 16 della l. 241/90, recante la disciplina generale dei pareri (3). Tale ultima norma, come si  giˆ ricordato, nel caso di parere rilasciato da un ente preposto alla tutela dellĠinteresse ambientale, paesaggistico o territoriale, non permette allĠamministrazione procedente di prescindere dallo stesso nŽ di supplire con meccanismi devolutivi. Viene cos“ a configurarsi, secondo la giurisprudenza (4), unĠipotesi implicita di silenzio rifiuto; e comunque, in tali casi lĠinerzia dellĠamministrazione che deve rilasciare il parere provoca inevitabilmente il silenzio dellĠamministrazione procedente, questo s“ espressamente qualificato come silenzio rifiuto (5). Sebbene il nulla osta dellĠEnte parco - in qualunque sede rilasciato - non sia qualificabile come parere bens“, pi propriamente, rientri nel novero degli strumenti autorizzatori (6), il richiamo a tale disciplina serve a completare la collocazione sistematica dellĠinteresse ambientale e paesaggistico nel procedimento, ed infatti lĠart. 16  richiamato a sostegno delle proprie tesi dallĠAvvocatura di Stato, nonchŽ riproposto dal Consiglio di Stato nella parte motiva della sentenza. 2. Basandosi anche sulla tutela rafforzata dellĠinteresse ambientale e paesaggistico che emerge dal quadro normativo appena richiamato, il Consiglio di Stato ha incentrato la propria motivazione sul vaglio delle norme in materia di sanatoria edilizia, al fine di riscontrare una comune ratio che le rendesse applicabili per analogia al caso di specie. Da tale analisi, giˆ svolta nellĠatto di appello dellĠAvvocatura dello Stato,  emerso che il procedimento di sana- (3) Si vedano anche, a riguardo, le giˆ richiamate modifiche introdotte dal d.l. 70/2011 (Decreto sviluppo) allĠart. 20 del T.U. sullĠedilizia, che espressamente prevedono che in caso di parere da acquisire nellĠambito del procedimento di rilascio del permesso di costruire, lĠesito negativo si ripercuota sulla mancata adozione del provvedimento finale, configurando silenzio rifiuto, su cui cfr. supra. (4) Cons. St., Sez. IV, 14 settembre 2005, n. 4751; Cass. civ., Sez. I, 27 giugno 2005, n. 13479; Cons. St., 31 marzo 2009, Sez. IV, n. 2024/2009; tutte in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2010, 630. (5) DallĠart. 36 DPR 380/01. (6) Attraverso il rilascio del nulla osta, infatti, lĠAmministrazione provvede a rimuovere un limite legale, su istanza dellĠinteressato, allĠesercizio di un diritto soggettivo preesistente in capo al soggetto istante. 212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 toria edilizia (sia esso vero e proprio condono, o accertamento di conformitˆ) richiede sempre a conclusione un provvedimento espresso. Per lĠaccertamento di conformitˆ, ci˜  richiesto dallĠart. 36 del D.P.R. 380/01, dove  previsto che lĠautoritˆ comunale debba pronunciarsi con provvedimento espresso nel termine di 60 giorni dalla domanda, decorsi i quali essa si intende rifiutata; cos“  anche per il condono edilizio di cui allĠart. 32 della L. 47/85, ove allĠeventuale silenzio viene attribuito il valore di rifiuto del provvedimento in sanatoria. Nello stesso senso, il Consiglio di Stato richiama anche la L.R. Campania 22 dicembre 2004, n. 14, che rispetto agli accertamenti in conformitˆ in materia edilizia prevede una forma di silenzio devolutivo, per cui in caso di inerzia dellĠamministrazione comunale la questione  rimessa a quella provinciale. Si legge nella sentenza che Òil senso di tali previsioni normative  che un abuso edilizio, quale che sia la sua natura (meramente formale o sostanziale), cristallizza plasticamente una situazione di contrarietˆ del fatto allĠordinamento giuridico, superabile soltanto a mezzo di una rivalutazione espressa di ogni profilo suscettibile di incidere sulla concreta possibilitˆ di ÒsanareÓ lĠabuso edilizio, sulla scorta di un puntuale esame nel merito di tutti gli interessi pubblici implicatiÓ. Il giudice sembra, cio, estrapolare un principio: i provvedimenti di sanatoria in materia edilizia ed urbanistica necessitano una forma espressa di manifestazione della volontˆ di regolarizzare lĠabuso. Di qui la conclusione che il silenzio assenso previsto dallĠart. 13 L. 394/91 si riferisca esclusivamente al nulla-osta paesaggistico preventivo, e non a quello rilasciato in sede di accertamento di conformitˆ. La disciplina del parere dellĠEnte preposto al vincolo, quando espresso in sede di sanatoria, sarˆ ispirata al medesimo principio, per cui sarˆ necessario un provvedimento espresso, e lĠeventuale inerzia dovrˆ essere considerata come rifiuto. Si  scelto quindi di estendere al parere paesaggistico il regime del silenzio previsto per il rilascio del titolo edilizio in sanatoria, in ragione di una identitˆ di ratio tra provvedimenti ugualmente attinenti la regolarizzazione di un precedente abuso. Tale soluzione, che apre ad ulteriori riflessioni in materia di ricorso allĠanalogia, risulta comunque corretta, posto che il ruolo dellĠinteresse ambientale e paesistico allĠinterno dellĠordinamento  tale da non lasciare spazio a dubbi circa lĠimpossibilitˆ di applicargli istituti di semplificazione. 3. Tale pronuncia offre interessanti spunti di riflessione rispetto alla tematica della semplificazione amministrativa in materie ritenute dal legislatore particolarmente sensibili. NellĠimpianto della L. 241/90 si riscontra infatti una tutela rafforzata dellĠinteresse paesistico, incluso nel novero di quelli che resistono alla semplificazione, non solo provvedimentale ma anche procedimentale (7). Si tratta di materie considerate sensibili, riconducibili ai principi costituzionali di egua- CONTENZIOSO NAZIONALE 213 glianza, solidarietˆ, tutela della persona e della salute (8). La menzione di siffatti interessi, tra cui appunto quello paesaggistico-ambientale (9),  ricorrente, posto che la si ritrova nella disciplina del silenzio (10), dei pareri (11), della scia (12) (7) Si veda, sul silenzio procedimentale, R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2010, 629 ss. (8) Si veda G. MORBIDELLI, Il silenzio-assenso, in La disciplina generale dellĠazione amministrativa, a cura di V. CERULLI IRELLI, Napoli, 2006, 268 ss. (9) Sulle diverse nozioni di paesaggio ed ambiente, certamente correlate ma non sovrapponibili, si veda N. PAOLANTONIO, Beni culturali, beni paesaggistici e tutela dellĠambiente, in Diritto amministrativo, a cura di F.G. SCOCA, Torino, 2008, 691 ss., ove i doverosi riferimenti alla giurisprudenza costituzionale che ha definito i due concetti. (10) Per quanto attiene specificamente ai settori esclusi, la lettera originaria dellĠart. 20 rimetteva ad un regolamento governativo (d.p.r. 300 del 26 aprile 1992, lo stesso che disciplinava i casi di applicabilitˆ della dia) la definizione delle ipotesi di silenzio assenso, escluso dalla giurisprudenza per gli atti per cui fosse previsto lĠesperimento di prove, o nei settori soggetti a contingentamento, o per gli atti passibili di compromettere valori storico-artistici-culturali o il rispetto delle norme a tutela del lavoratore: Cons. St., Ad. Gen., n. 27/1992, in Foro it., 1992, III, 200. DallĠelencazione pretoria degli interessi limitativi dellĠapplicabilitˆ del silenzio assenso era sparita (temporaneamente) la tutela dellĠambiente e del paesaggio; restava tuttavia fermo il concetto della necessitˆ di una tutela rafforzata per alcuni interessi primari, che non avrebbero potuto essere sacrificati nŽ messi in pericolo se non attraverso unĠanalisi espressa del merito della situazione. Le modifiche portate allĠart. 20 dalla l. 80/2005, oltre a reintrodurre lĠinteresse paesaggistico tra quelli tutelati in modo rafforzato, trasforma il silenzio assenso da istituto a carattere eccezionale ad istituto di applicazione generale. (11) La giurisprudenza ha previsto che il silenzio di unĠamministrazione preposta al vincolo paesaggistico- ambientale, in sede di parere rilasciato ad altra amministrazione, non sia superabile ma, se lesivo, impugnabile, e si configuri quindi come silenzio rifiuto (Cons. St., Sez. IV, 18 novembre 1999, n. 1716. In dottrina, si veda VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, vol. II, Milano, 2001, 281), il che  certamente configurabile in caso di atti di diniego espresso, ma  stato poi esteso anche alle ipotesi di inerzia (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 29 dicembre 2005, n. 20709 e 18 luglio 2005, n. 9921, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2011, 455), sempre dove non siano previsti altri meccanismi per superarla (ad esempio, sia previsto un silenzio devolutivo, o sia ammessa la possibilitˆ di prescindere dallĠacquisizione del parere o richiederlo ad un soggetto diverso). Tale soluzione non  applicabile ai pareri vincolanti a prescindere dallĠinteresse tutelato, perchŽ per loro stessa natura essi non possono essere elusi in alcun modo da parte dellĠamministrazione richiedente (Cons. St., Sez. IV, 14 settembre 2005, n. 4751; Cass. civ., Sez. I, 27 giugno 2005, n. 13479, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, R. GAROFOLI G. FERRARI, Manuale..., cit., 630). In tal senso, secondo la giurisprudenza, il mancato rilascio del parere dellĠautoritˆ preposta alla tutela del vincolo paesaggistico impedisce il formarsi del silenzio assenso sulla domanda di condono edilizio (Cons. St., 31 marzo 2009, Sez. IV, n. 2024/2009, in www.giustiziaamministrativa. it), poichŽ tale parere avrebbe natura non soltanto obbligatoria, ma anche vincolante (Cons. St., 31 marzo 2009, Sez. IV, n. 2024/2009, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II quater, 27 giugno 2007, n. 5818; T.A.R. Lazio, Roma, 26 novembre 2009, n. 11863, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it). Se ci˜ non bastasse, lĠart. 16, al comma 3, fa espressamente salvi (a prescindere dal loro carattere vincolante) i pareri rilasciati da alcune amministrazioni in ragione della natura primaria degli interessi da esse tutelate, secondo un modello analogo a quello dellĠart. 20:  il caso, di nuovo, dei pareri rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini. (12) In materia di scia, giova ricordare che lĠinteresse ambientale  incluso dallĠart. 19 della L. 241/90 nel novero di quelli che legittimano lĠamministrazione allĠesercizio dei poteri di autotutela, che permettono di intervenire anche dopo il decorso del termine previsto dal comma 3 per lĠesercizio del potere inibitorio, si tratta quindi, anche qui, di una tutela rafforzata. 214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 e finanche della conferenza di servizi (13). Nel caso specifico del silenzio-assenso e dellĠinteresse alla tutela del paesaggio e dellĠambiente, la giurisprudenza ha ritenuto che lĠart. 20 novellato nel 2005 (che fa del silenzio assenso un istituto di carattere generale) non abbia abrogato lĠ art. 13 della L. 394/91, recante la disciplina delle aree protette e che prevede il silenzio assenso per il rilascio del nulla-osta paesaggistico preventivo, posto che la L. 394/91  normativa speciale rispetto alla L. 241/90 (14). é quindi importante segnalare fin dĠora lĠesistenza di una deroga espressa nella normativa di settore, che tuttavia sembra lasciare impregiudicato il principio espresso allĠart. 20 rispetto al grado di tutela da accordare allĠinteresse paesaggistico-ambientale, cui si riconosce rango primario da tutelarsi attraverso la piena applicazione delle garanzie procedimentali e lĠesclusione degli istituti di semplificazione. Ci˜ sembra confermato anche dai pi recenti interventi legislativi, come si vedrˆ immediatamente. 4. Se la materia dellĠinteresse ambientale e paesaggistico risulta particolarmente resistente alle istanze della semplificazione, al contrario la materia edilizia risulta loro, fin dallĠinizio, particolarmente sensibile (15). Le modifiche apportate alla normativa edilizia con il decreto sviluppo del maggio 2011 (16) attengono, tra lĠaltro, alla natura del silenzio in materia di permesso di costruire, ed allĠintroduzione dellĠistituto della scia in sostituzione di quello della dia edilizia: tali novitˆ meritano una breve analisi, al fine di verificare se ad esse conseguano differenze di regime sostanziali rispetto al tema del silenzio sul nulla osta paesaggistico, nonchŽ se la tutela del relativo vincolo risulti, alla luce delle stesse, in qualche modo rafforzata o indebolita. Il previgente art. 20 del Testo Unico in materia edilizia prevedeva che il permesso di costruire fosse rilasciato dal dirigente o responsabile dellĠufficio unico nel termine di 75 giorni dalla domanda (17), decorso inutilmente il quale sulla domanda si intendeva formato silenzio rifiuto (18). In unĠottica di semplificazione e liberalizzazione delle attivitˆ edilizie, il nuovo articolo 20 rovescia questĠimpostazione, prevedendo al comma 8 che (13) Tale tendenza non ha mancato di sollevare critiche in dottrina, che lĠha ritenuta una soluzione troppo radicale, che rischia di paralizzare il procedimento proprio in quelle materie ritenute di interesse primario, senza lasciare spazio a soluzioni intermedie e pi elastiche. Si veda M. DĠALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2012, 195, 197, 306. (14) Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 dicembre 2008 n. 6591, e T.A.R. Puglia, Bari, Sezione II, 14 gennaio 2010 n. 53, in www.giustizia-amministrativa.it. (15) Il primo esempio di silenzio assenso riguarda infatti proprio la disciplina urbanistica: si tratta della previsione di cui allĠart. 7 del decreto Nicolazzi del 1982 (Decreto-legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1982, n. 94), che prevedeva lĠapplicazione di tale istituto per interventi sul territorio, purchŽ non sottoposti a vincoli storico-artistico-culturali e paesaggistici, e purchŽ conformi alle prescrizioni urbanistiche comunali. (16) Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70, in Gazz. Uff. 13 maggio 2011, n. 110, convertito con modificazioni in legge 12 luglio 2011, n. 106, ÒSemestre europeo Prime disposizioni urgenti per lĠeconomiaÓ. CONTENZIOSO NAZIONALE 215 il regime generale per il rilascio del permesso di costruire sia quello del silenzio assenso. Il provvedimento di assenso tacito si forma al decorrere infruttuoso del termine di 90 giorni (19) dalla domanda, salvo sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali (20); per queste ultime ipotesi, i successivi commi 9 e 10 prevedono espressamente il regime del silenzio rifiuto (21). La disciplina risultante dalle modifiche del 2011 sembra quindi molto chiara, cos“ come la ratio che la sottende: la presenza di interessi ambientali e paesaggistici esclude lĠapplicabilitˆ del silenzio assenso e porta, in caso di avviso negativo, inevitabilmente a provvedimento di rigetto o a silenzio diniego dellĠamministrazione procedente. Cos“  a prescindere dalla natura dellĠatto dellĠente garante del vincolo, posto che i suoi pareri sono vincolanti (se non rilasciati, paralizzano il provvedimento principale ex art. 16, L. 241/90) ed il suo nulla osta  condizione di legittimitˆ del titolo edilizio. 5. Per concludere la panoramica sugli aggiornamenti normativi apportati dal decreto sviluppo del 2011,  necessario un riferimento allĠistituto della dia edilizia. LĠart. 22, comma 6, del Testo unico prevede che, nel caso di immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, la realizzazione degli interventi cui si applica la dia sia subordinata al preventivo rilascio del parere o dellĠautorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (22). In seguito allĠestensione del regime della scia alle attivitˆ edilizie sottoposte alla dia ordinaria (23), la novitˆ di maggior rilievo sembra essere quella apportata dallĠarticolo 5, comma 2, lett. c) del decreto sviluppo:  infatti espressamente specificato che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la scia non sostituisca gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla relativa tutela (24). Tale norma  interpretativa della previsione generale di cui allĠart. 19, L. 241/90, secondo la quale laddove la legge richieda lĠacquisizione di pareri di organi o (17) D.P.R. 380/2001, art. 20, nel testo precedente la riforma del 2011, commi 3 e 5, che prevedono rispettivamente il termine di 60 giorni per la formulazione di una proposta di provvedimento da parte del responsabile del procedimento, e di 15 giorni dalla ricezione della proposta per lĠadozione del provvedimento finale, salvo il caso di interruzione finalizzata allĠintegrazione documentale. A prevedere che questi termini siano raddoppiati in caso di comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti  il successivo comma 8. (18) D.P.R. 380/2001, art. 20, nel testo precedente la riforma del 2011, comma 9. (19) D.P.R. 380/2001, art. 20, commi 3 e 6, che prevedono rispettivamente i termini di 60 giorni per la presentazione della proposta, e di 30 per lĠadozione del provvedimento definitivo. (20) D.P.R. 380/2001, art. 20, comma 8. (21) Rispettivamente per i casi in cui la tutela competa, anche in via di delega, allĠamministrazione comunale, e per quelli in cui competa ad altra amministrazione. (22) D.P.R. 380/2001, art. 22 (non toccato dalla novella del 2011), comma 6, in cui sono richiamate espressamente le previsioni di cui al d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490. (23) E non giˆ la scia alternativa al permesso di costruire. Il legislatore risolve cos“ un dubbio che si era creato fin dallĠintroduzione della scia, con lĠentrata in vigore della l. 122/2010. (24) Tale previsione  operata mediante il richiamo, allĠart. 2Ħ comma 3, TU Edilizia, dellĠart. 5 comma 4, che a sua volta alla lettera i) richiama il nulla osta di cui allĠart. 13, L. 394/91. 216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 enti, questi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui allĠarticolo stesso (25). Il decreto sviluppo risolve cos“ la questione della applicabilitˆ della scia ai casi di interventi edilizi da attuare in zona di vincolo paesaggistico (o ambientale o culturale) (26). Alla luce di questo breve aggiornamento, non sembra potersi concludere che la tutela dellĠinteresse paesistico-ambientale abbia subito un ridimensionamento da parte del legislatore rispetto allo scenario preesistente. Al contrario sembra ormai consolidata, soprattutto in materia edilizia, lĠesigenza di garantire a questĠinteresse una tutela di rango primario, giustificativa di regimi speciali in tutte le fasi procedimentali in cui sia coinvolta unĠamministrazione preposta alla tutela del relativo vincolo. LĠinteresse paesaggistico-ambientale, al pari di quello culturale e di altri interessi connessi allĠincolumitˆ ed alla salute pubblica, dimostra una resistenza rafforzata alle istanze della semplificazione, in una prospettiva garantista e costituzionalmente orientata. 6. Al di lˆ della particolaritˆ della disciplina della tutela paesaggisticoambientale, nella pronuncia in esame si  prospettata una soluzione che dˆ adito ad alcune riflessioni ulteriori sul tema dei meccanismi interpretativi capaci di colmare eventuali lacune normative. Riassumendo brevemente, il problema che si  posto  quello dellĠassenza di una disciplina puntuale del parere di conformitˆ o nulla osta paesaggistico, rilasciato dallĠEnte parco nellĠambito di un procedimento di sanatoria di abusi edilizi di competenza dellĠamministrazione comunale. La normativa pi ÒvicinaÓ a questa fattispecie  costituita, per un verso, dallĠart. 13 della L. 394/1991 sul procedimento di nulla osta paesaggistico preventivo e, per un altro, dalle norme del D.P.R. 380/2001 in materia di sanatoria di abusi edilizi. Il Consiglio di Stato ha risolto nel senso dellĠapplicabilitˆ del regime da ultimo richiamato, perchŽ partecipe della medesima ratio di regolarizzazione di un (25) La natura giuridica della scia  stata peraltro di recente chiarita dal Consiglio di Stato nellĠAdunanza Plenaria n. 15/2011, che ha compiuto una minuziosa ricostruzione dellĠistituto e delle tesi che si sono alternate circa la sua natura. La conclusione raggiunta propende per lĠidentificazione dellĠeffetto abilitativo, prodottosi col decorso infruttuoso del termine previsto per lĠesercizio dl potere inibitorio, con un silenzio significativo dellĠamministrazione, da identificarsi in silenzio rifiuto del provvedimento. Si veda anche, a riguardo, M.A. SANDULLI, Primissima lettura della Adunanza plenaria n. 15 del 2011, in Federalismi.it, 2011, 18, e Dalla d.i.a. alla s.c.i.a.: una liberalizzazione Òa rischioÓ, in Rivista giuridica dellĠedilizia, 6, 2010, 465. (26) Su tale normativa  nuovamente intervenuto il legislatore con il D.l. 22 giugno 2012, n. 83, recante ÒMisure urgenti per la crescita del PaeseÓ, in Gazz. Uff. 26 giugno 2012, n. 147, Suppl. Ordinario n. 129, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134. Tale norma, allĠart. 13, comma 2-bis, si limita a precisare che i commi 3 e 4 dellĠart. 23 si riferiscono ai casi appena richiamati di vincoli non solo ambientali e paesaggistici, ma anche Òculturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustiziaÓ. Resta invariato il contenuto dei commi 3 e 4, per cui la decorrenza dei termini per la dia avviene rispettivamente dal rilascio dellĠatto di assenso o dalla decisione della conferenza di servizi, a seconda che alla tutela sia preposta lĠamministrazione comunale o altra amministrazione. CONTENZIOSO NAZIONALE 217 abuso, e non invece del regime dellĠart. 13 che, pur attinente ad un atto del tutto analogo quanto a contenuto, accede al rilascio di un titolo abilitativo, ed ha quindi carattere preventivo. Una simile conclusione apre a riflessioni ulteriori. La prima  certamente nel senso di condividere la lettura sistematica delle norme fornita dal Consiglio di Stato nella sentenza analizzata, che non soltanto colloca - correttamente - lĠaccertamento in conformitˆ nellĠalveo dei procedimenti in sanatoria, ma inoltre riconosce allĠinteresse ambientale e paesaggistico un rango primario, non intaccato dalle istanze della semplificazione che hanno reso il silenzio assenso un istituto di carattere generale. Come ricordato anche dallĠAvvocatura di Stato nellĠatto dĠappello, infatti, lo stesso art. 20 (come modificato nel 2005), sulla scorta della giurisprudenza precedente (27), ha espressamente escluso dal proprio ambito di applicazione alcune materie ritenute sensibili: accanto alle materie legate alla tutela della persona e della salute, sono esclusi i provvedimenti in materie dĠinteresse culturale, ambientale e paesaggistico. Un pensiero critico pu˜ essere tuttavia formulato rispetto al tipo di sindacato esercitato dal Consiglio di Stato nel caso concreto, e cio la scelta di estendere per via analogica la disciplina dei provvedimenti in sanatoria allĠaccertamento in conformitˆ. La scelta di coniare un principio ad hoc per applicarlo alla fattispecie non normata si pone in linea con la predilezione per il criterio teleologico cui il giudice amministrativo si  da sempre ispirato, ma fa al tempo stesso riemergere lĠantica questione del limite tra applicazione estensiva ed analogia. QuestĠultima era tradizionalmente considerata una tecnica connaturata al sindacato del giudice amministrativo, soprattutto in una fase in cui le lacune della disciplina ne rendevano necessario il ricorso (28). La dottrina pi recente ha per˜ sollevato perplessitˆ, in una fase come quella odierna, dove le esigenze di colmare lacune normative sono ormai rare, circa il perdurare di una tale prassi pretoria, non priva di (27) Si rimanda ai richiami di ordine storico giˆ svolti supra ed ai correlati riferimenti giurisprudenziali. Come accennato, la giurisprudenza che riteneva inapplicabile il silenzio assenso a talune materie, tra cui quella della tutela del paesaggio e dellĠambiente, preesiste alla formulazione stessa dellĠarticolo 20 poichŽ si  formata nella vigenza della legislazione precedente, in cui il silenzio assenso era previsto da legislazione di settore proprio in materia edilizia ed urbanistica (il citato DL 23 gennaio 1982, n. 9, c.d. decreto Nicolazzi). (28) Il tema dellĠanalogia nel diritto amministrativo  stato oggetto di dibattito nei primi decenni del secolo ad opera di autori come S. ROMANO, di cui si veda LĠinterpretazione delle leggi di diritto pubblico, 1899, ora in Idem, Scritti minori, I, Milano, 1950, 115 ss., ed in seguito M. S. GIANNINI di cui si vedano LĠinterpretazione dellĠatto amministrativo, Milano, 1939; LĠanalogia giuridica, in Jus 1941 e 1942; Polemiche sullĠinterpretazione, in Riv. Internaz. Fil. Dir., 1941; Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetti e problemi, Milano, 1939; ora tutte in Scritti, I, Milano, 2000 e II, Milano, 2002. Il tema  stato poi per lungo tempo abbandonato, a causa probabilmente dellĠacquisita consapevolezza della disponibilitˆ piena per il giudice amministrativo di un simile strumento, del resto connaturato alla sua funzione di sindacato delle decisioni amministrative, a loro volta frutto di attivitˆ ÒinterpretativaÓ (secondo la terminologia gianniniana). 218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 criticitˆ dal punto di vista della certezza del diritto e dellĠuguaglianza dei cittadini (29). Tuttavia, in questa stessa prospettiva, lĠatteggiamento del Consiglio di Stato potrebbe essere letto in unĠottica pi ampia, a testimonianza di un mutamento dello stesso principio di legalitˆ, che da formale diventa sostanziale: dal primato della legge si passa al primato della higher law, ovvero la Costituzione e lĠassetto dei Òprincipi materiali di giustiziaÓ(30). LĠapplicazione e la formulazione stessa di tali principi passa per il tradizionale canone ermeneutico del giudice amministrativo, che  quello teleologico. Non si ha quindi analogia come funzione normativa del giudice, che estende una disciplina positiva esistente ad una fattispecie non regolata, bens“ lĠestrapolazione e poi lĠapplicazione di norme di principio come ausilio interpretativo volto a far emergere una ratio giˆ immanente nella norma. Tale approssimativa sintesi di riflessioni ben pi articolate deve essere letta nel senso che il bilanciamento tra interessi in conflitto (nel caso odierno, la libertˆ privata di eseguire opere su una proprietˆ e la tutela dellĠambiente e del paesaggio) coinvolge tutti i poteri che partecipano del riempimento valoriale della norma. Il bilanciamento  compiuto innanzitutto in sede legislativa: la tutela rafforzata che alcuni interessi ricevono giˆ a livello costituzionale vincola a cascata tutti i successivi attori giuridici; la espressa menzione legislativa dei settori cui applicare o escludere certi istituti sottende una scelta valoriale prettamente politica, non eludibile in sede applicativa. Di tale bilanciamento normativo, la collocazione dellĠinteresse paesaggistico ed ambientale nel nostro ordinamento rappresenta un chiaro esempio. SullĠoperato dellĠamministrazione in applicazione della normativa si inserisce poi quello del giudice, che valuta anche e soprattutto il rispetto dei principi, facendosi carico talvolta dellĠenunciazione degli stessi, che ricava dalla lettura sistematica delle norme in unĠottica teleologica ed evolutiva. Nella sentenza in esame, il Consiglio di Stato  giunto fino allĠenunciazione di un principio che collega la tutela di interessi di rango primario, quale quello paesaggistico-ambientale, agli istituti di semplificazione previsti in via generale dallĠordinamento, per escluderne lĠapplicazione nel relativo ambito, e collega poi gli istituti di semplificazione con quelli di sanatoria edilizia, per sancirne lĠincompatibilitˆ. é indubbio che tale soluzione si ponga in linea di coerenza e continuitˆ con quanto emerge dallo studio complessivo della nor- (29) Le conclusioni pi recenti della dottrina in materia di analogia sono metodologiche, pi che teoriche: esse vanno nel senso che lĠinteresse scientifico per lĠanalogia ha senso soltanto volendone limitare il ricorso da parte del giudice, e che lo strumento migliore a tal fine non  il divieto, bens“ il disincentivo, che si ottiene agendo sui motivi che hanno indotto il giudice a farvi ricorso. Si veda per tutti A. ROMANO TASSONE, Sul problema dellĠanalogia nel diritto amministrativo, in Dir. amm., 2011, 01, 1, cui si rimanda per ogni ulteriore approfondimento in materia. (30) G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Legge diritto giustizia, Torino, 1992, 123. Si veda anche A. SANDULLI, La proporzionalitˆ dellĠazione amministrativa, Padova, 1998, 13 ss., e dottrina ivi citata. CONTENZIOSO NAZIONALE 219 mativa, speciale e generale, in materia. Il giudice, cio, ha tradotto in parole quanto giˆ presente, in forma inespressa, nellĠordinamento; pu˜ riscontrarsi in ci˜ una sorta di sinergia tra legislatore, amministrazione e giudice nel plasmare ed applicare principi generali, contribuendo alla coerenza complessiva del sistema. Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 21 giugno 2011 n. 3723 - Pres. Coraggio, Est. Castriota Scanderbeg - Ente Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (avv. gen. Stato) c. M.A. e A.A.P. (avv. Agosto). 1. LĠEnte parco nazionale del Cilento e Vallo di Danio impugna la sentenza del Tar Campania, sez. di Salerno, n. 11140 del 2010, resa in forma semplificata, che ha accolto il ricorso degli odierni appellati avverso il diniego di nulla-osta adottato dallĠappellante nellĠambito di un procedimento di accertamento di conformitˆ afferente taluni interventi edilizi su fabbricato agricolo realizzati in difformitˆ rispetto allĠoriginario titolo abilitativo. 2. Si  costituita la parte appellata per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione. Gli appellati hanno altres“ proposto appello incidentale, riproponendo con tale mezzo i motivi rimasti assorbiti nella sentenza di primo grado. 3. AllĠudienza camerale del 24 maggio 2011, fissata per la delibazione dellĠistanza di sospensione dellĠefficacia della sentenza impugnata, la causa, previa comunciazione ai difensori delle parti,  stata trattenuta per la decisione in forma semplificata. 4. Ritiene inanzitutto il Collegio che la manifesta fondatezza nel merito dellĠappello consente la definizione del giudizio con sentenza breve, ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 74 del cod. proc. amm.. 4.1 La questione centrale da dirimere attiene alla applicabilitˆ anche ai procedimenti di sanatoria edilizia (e quindi non soltanto limitatamente ai casi ordinari di interventi edilizi ancora da realizzare) dellĠart.13 della legge 6 dicembre 1991 n. 394 (recante, nellĠinsieme, la disciplina normativa delle aree protette). 4.2 Ed invero, nel caso oggetto di causa, in cui i ricorrenti di primo grado, in sede di ristrutturazione di un fabbricato agricolo, hanno eseguito consistenti opere in difformitˆ rispetto allĠoriginario titolo edilizio ed hanno per conseguenza avviato un procedimento di accertamento di conformitˆ (ai sensi dellĠart. 36 del d.P.R. n. 380/01), la questione da decidere  appunto se si sia legittimamente formato per silentium il titolo assentivo ben prima della adozione del diniego espresso dellĠEnte parco, intervenuto oltre il termine di 60 giorni dalla richiesta di nulla-osta da parte del Comune di Camerota (ove lĠimmobile si trova). Nella impugnata sentenza il Tar, in accoglimento del ricorso, ha ritenuto che si fosse formato il provvedimento abilitativo per silentium giˆ al momento dellĠadozione, da parte dellĠEnte appellante, del gravato atto negativo ed ha conseguentemente annullato il diniego di nulla-osta. 4.3 La censura principale sollevata dallĠEnte appellante  al contrario affidata al rilievo secondo cui, nei procedimenti di sanatoria edilizia (attengano questi a veri e propri procedimenti di condono edilizio ovvero, come nella specie, ad atti di accertamento di conformitˆ), sia sempre necessario un provvedimento espresso, con la conseguente piena legittimitˆ del diniego adottato. La censura  fondata. Nel procedimento di accertamento di conformitˆ previsto dallĠart. 36 del d.P.R. n.380/01 (at- 220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 tivato nel caso di specie ad iniziativa della odierna parte privata appellata)  espressamente previsto che lĠautoritˆ comunale deve pronunciarsi con provvedimento espresso e con adeguata motivazione nel termine di 60 giorni dalla domanda; decorso tale termine la richiesta si intende rifiutata. Analoga scelta  compiuta in materia di condono edilizio (art. 32 L.n. 47/85), ove al silenzio viene attribuito il significato legale tipico di rifiuto di provvedimento di sanatoria. Il senso di tali previsioni normative  che un abuso edilizio, quale che sia la sua natura (meramente formale o sostanziale), cristallizza plasticamente una situazione di contrarietˆ del fatto allĠordinamento giuridico, superabile soltanto a mezzo di una rivalutazione espressa di ogni profilo suscettibile di incidere sulla concreta possibilitˆ di lĠabuso edilizio, sulla scorta di un puntuale esame nel merito di tutti gli interessi pubblici implicati. Della stessa ratio partecipa dĠaltra parte lĠart. 16 della legge n. 241/90 nella parte in cui non ritiene surrogabile il parere espresso dalle autoritˆ preposte alla tutela di beni paesaggistici ed ambientali, in tale ambito potendosi al pi prevedere ipotesi di silenzio devolutivo (che comportano quindi la traslazione della determinazione alla istanza superiore) ma non di silenzio assenso. 4.4 In definitiva dal sistema normativo (brevemente in particolare, art. 36 d.P.R. n. 380/01; art. 32 della legge n. 47/85; art. 16 della legge n. 241/90) sembra trarsi il principio, peraltro rispondente ad intuibili esigenze di ragionevolezza e di buon andamento dellĠazione amministrativa, secondo cui i provvedimenti di sanatoria, in materia edilizia ed urbanistica, necessitano per regola generale di una forma espressa e non tacita di manifestazione di volontˆ delle amministrazioni coinvolte nel rilascio del provvedimento assentivo, salvo ipotesi derogatorie introdotte in particolari settori dal legislatore con disposizioni normative ad hoc. Inserita in tale contesto normativo la dianzi citata disposizione (art. 13 L. 394/91) va quindi letta ed interpretata nel senso che essa trovi applicazione con riguardo agli interventi edilizi da realizzare e non invece ai procedimenti di sanatoria di opere abusive giˆ realizzate. Ne viene che correttamente lĠEnte parco deduce la inconfigurabilitˆ della formazione di una fattispecie assentiva per silentium in un caso in cui la nuova opera realizzata dagli odierni appellati si appalesa contrastante non soltanto con lĠoriginario titolo edilizio, ma anche con le nuove previsioni del piano del parco approvato nel 2009 (che non consentono nuovi interventi edilizi nelle zone a protezione integrale quale appunto quella in cui ricade lĠimmobile de quo). 5. A conclusioni non diverse peraltro conduce lĠesame dellĠart. 43 della LR della Campania 22 dicembre 2004 n. 14 nella parte in cui, in materia di accertamenti di conformitˆ delle opere edilizie abusive, prevede unĠipotesi di silenzio devolutivo in favore dellĠente provinciale, nel caso in cui sulla richiesta di accertamento di conformitˆ resti inadempiente lĠamministrazione comunale. Al contrario di quanto sostenuto dalla difesa dellĠappellato, anche in sede di discussione orale, la disposizione normativa appena citata conforta nella tesi secondo cui, nella materia dei provvedimenti clemenziali propri del settore urbanistico-edilizio, il legislatore mostra di preferire, anche quando adotta il meccanismo del cosiddetto silenzio devolutivo, lĠopzione del provvedimento formale espresso, e ci˜ in considerazione dei rilevanti interessi pubblici connessi alla tutela del territorio e del paesaggio, a fronte dellĠinteresse privatistico alla sanatoria dellĠopera abusivamente realizzata. 6. Da ultimo, alla luce dei rilievi svolti e della interpretazione che si  data al quadro normativo di riferimento, va osservato che in contrario avviso non pu˜ indurre la sentenza di questa Sezione 29 dicembre 2008 n. 6591, nella parte in cui la stessa si  pronunciata per la non abrogazione tacita dellĠart. 13 della legge 6 dicembre 1991 n. 394 a seguito della entrata in vigore della legge 14 maggio 2005 n. 80 (che, nellĠinnovare il contenuto dellĠart. 20 della legge 241 del 1990 ha escluso che lĠistituto generale del silenzio-assenso possa trovare applicazione in CONTENZIOSO NAZIONALE 221 materia di tutela paesaggistica). Per quanto detto, lĠipotesi di provvedimento per silentium, prevista dal citato art. 13 della legge n. 394 del 1991, riguarda gli interventi edilizi a farsi e non giˆ quelli giˆ abusivamente realizzati, in ordine ai quali lĠinteressato deve necessariamente attendere un provvedimento espresso di sanatoria da parte di tutti i soggetti pubblici coinvolti nel procedimento funzionale al rilascio del titolo assentivo. 7. Quanto ai motivi assorbiti, va anzitutto disatteso il motivo di primo grado afferente la pretesa incompetenza del direttore del parco ad adottare il provvedimento del tipo di quello impugnato, sollevato sotto il profilo che sarebbe invece competente il responsabile dellĠarea tecnica. 7.1 Osserva al riguardo il Collegio che per un verso il direttore del parco, in quanto affidatario, a termini dello Statuto dellĠente (art. 26), di unĠampia competenza in merito allĠadozione degli atti di gestione amministrativa (compresi gli atti aventi rilevanza esterna) non risulta essere soggetto incompetente ad adottare ed a trasmettere al Comune di Camerota il contestato diniego di nulla-osta; per altro verso, non pu˜ dirsi sussistere un autonomo interesse, in capo ai ricorrenti di primo grado, a coltivare la detta censura di incompetenza una volta acclarato che, in tema di sanatoria edilizia, il silenzio non equivale a provvedimento assentivo, di tal che la soddisfazione della pretesa fatta valere dagli originari ricorrenti non pu˜ che attuarsi attraverso la espressa e positiva delibazione della compatibilitˆ dellĠintervento realizzato con le preminenti esigenze di tutela del parco. 7.2 Ancora, non meritano condivisione le censure di primo grado afferenti le pretese violazioni delle disposizioni afferenti la partecipazione procedimentale (sia sotto il profilo della violazione dellĠart. 7 che dellĠart. 10 bis della legge n. 241/90) avuto riguardo alla ininfluenza causale dellĠapporto partecipativo che avrebbero potuto fornire gli interessati, a fronte della conclamata contrarietˆ dellĠintervento edilizio eseguito alla tipologia degli interventi nella zona di protezione integrale in cui ricade lĠarea interessata. 7.3 Non convince, da ultimo, la prospettazione dei ricorrenti originari secondo cui, trattandosi di immobile esistente da tempo immemorabile, non sarebbe stata necessaria alcuna autorizzazione preventiva dellĠEnte parco da rilasciare ai sensi dellĠart.7 del d.P.R. 5 giugno 1995 (istitutivo del parco del Cilento). Osserva il Collegio che, al contrario, lĠautorizzazione dellĠEnte parco doveva ritenersi necessaria (come correttamente ritenuto in sede procedimentale dal Comune di Camerota e dallo stesso Ente parco) proprio in considerazione delle rilevanti modifiche apportate dai ricorrenti al vecchio fabbricato rurale ed introdotte in sede di (non autorizzata) demolizione e ricostruzione del manufatto (essendo consistite, in particolare, dette modifiche nellĠuso di materiali edilizi vietati dallĠoriginario titolo nonchŽ nella realizzazione di un nuovo vano interrato). 8. In definitiva, lĠappello principale va accolto e, in riforma della impugnata sentenza, va respinto il ricorso originario della attuale parte appellata; va altres“ respinto lĠappello incidentale. 9. Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, in considerazione della particolaritˆ della vicenda trattata e del suo particolare epilogo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando in forma semplificata sul ricorso (r.g. n 2637/2011), come in epigrafe proposto, lo accoglie e per lĠeffetto, in riforma della impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado. Respinge altres“ lĠappello incidentale. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2011. 222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Parametri europei (e nazionali) per lĠidentificazione di Òuna unitˆ istituzionale pubblicaÓ (Annotazione a Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 28 novembre 2012 n. 6014) La sentenza riguarda il tema dellĠindividuazione degli enti che lĠISTAT pu˜ legittimamente inserire nellĠelenco delle amministrazioni pubbliche redatto ai sensi del Regolamento CE n. 2223/96 del 25 giugno 1996 del Consiglio, relativo al ÒSistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunitˆ UeÓ (SEC 95). Il Consiglio di Stato ha stabilito che si pu˜ ravvisare una Óunitˆ istituzionale pubblicaÓ (secondo la definizione comunitaria) laddove sussistano, separatamente o congiuntamente, i due elementi del controllo e del finanziamento, precisando, tuttavia, che lĠindividuazione di tali requisiti non  necessaria nei casi in cui un Ente sia ontologicamente pubblico in ragione della funzione svolta, Òstrettamente correlata allĠinteresse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativoÓ. In tal modo si  ritenuto che le Autoritˆ indipendenti, che ovviamente non possono essere assoggettate a controllo, siano state correttamente inserite nellĠelenco, proprio in ragione della loro natura ontologicamente pubblica. Quanto al finanziamento, il Consiglio di Stato ha precisato che esso non deve necessariamente essere diretto, ma pu˜ essere anche Òindiretto e mediatoÓ, o attraverso lĠimpiego di Òrisorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generaliÓ o attraverso forme di contribuzione aventi comunque natura tributaria, in quanto la legge, anzichŽ prevedere il versamento di un tributo nelle casse dello Stato e poi la successiva devoluzione del gettito in favore dellĠente, ha deciso che il relativo importo sia versato direttamente allĠente nella forma del contributo. Roberta Tortora* Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 28 novembre 2012 n. 6014 - Pres. Maruotti, Est. Vigotti - Istituto Nazionale di Statistica (Istat) ed altri (avv. gen. Stato) c. Associazioni di enti previdenziali privati, Coni Servizi spa, Autoritˆ per lĠenergia elettrica ed il gas, Autoritˆ per le garanzie nelle comunicazioni. FATTO e DIRITTO LĠIstituto nazionale di statistica (Istat) e i Ministeri del lavoro e dellĠeconomia chiedono la riforma delle sentenze, in epigrafe indicate, con le quali il Tar del Lazio ha accolto in parte i ricorsi proposti dalle associazioni e dagli enti previdenziali oggi resistenti, nonchŽ dalla Autoritˆ per le garanzie nelle comunicazioni e dallĠAutoritˆ per lĠenergia elettrica e il gas avverso lĠin- (*) Avvocato dello Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE 223 serimento nel conto consolidato elaborato dallĠIstat ai sensi dellĠart. 1 comma 5 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e dellĠart. 1 comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n. 196. A loro volta, gli enti previdenziali appellati hanno proposto appello incidentale nel ricorso n. 5023 del 2008, per contestare la sentenza impugnata nella parte in cui non ha accolto alcune censure proposte in primo grado. La societˆ Coni servizi ha invece proposto appello avverso la sentenza del medesimo Tar n. 4826 del 2007, che ha respinto il ricorso avente il medesimo oggetto. I) LĠart. 1, comma 5, legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), rubricato Òlimite allĠincremento delle spese delle pubbliche amministrazioniÓ, ha disposto che Òal fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede di Unione europea, indicati nel Documento di programmazione economico-finanziaria e nelle relative note di aggiornamento, per il triennio 2005-2007 la spesa complessiva delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate per l'anno 2005 nell'elenco 1 allegato alla presente legge e per gli anni successivi dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) con proprio provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 31 luglio di ogni anno, non pu˜ superare il limite del 2 per cento rispetto alle corrispondenti previsioni aggiornate del precedente anno, come risultanti dalla Relazione previsionale e programmaticaÓ. Tra le amministrazioni pubbliche inserite nellĠelenco allegato alla legge il Legislatore ha compreso gli ÒEnti nazionali di previdenza e assistenzaÓ e le ÒAutoritˆ amministrative indipendentiÓ, senza ulteriori specificazioni. In attuazione della disposizione richiamata, a decorrere dallĠanno 2006 e in sostituzione dellĠelenco direttamente previsto dalla legge, lĠIstat ha provveduto a individuare le amministrazioni inserite nel conto economico consolidato con provvedimento del 29 luglio 2005: nellĠelenco cos“ formato figurano, sotto la rubrica ÒEnti nazionali di previdenza e assistenzaÓ tutte le Casse previdenziali privatizzate con d.lgs. n. 509 del 1994, il Comitato olimpico nazionale e, alla voce ÒAutoritˆ amministrative indipendentiÓ, tra altre, lĠAutoritˆ per lĠenergia elettrica e il gas. Con lĠart. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilitˆ e di finanza pubblica),  stato infine specificamente previsto che per amministrazioni pubbliche tenute al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica Òsi intendono gli enti e gli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuati dallĠIstituto nazionale di statistica sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitariÓ. Sulla base di tale norma e del Regolamento UE n. 2223/96-SEC 95,  stato adottato il comunicato Istat recante lĠelenco delle Amministrazioni pubbliche da inserire nel conto consolidato dello Stato per lĠanno 2011, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 30 settembre 2011, n. 228, nel quale permangono le Casse previdenziali private, il Coni, e viene specificamente inserita lĠAutoritˆ per le garanzie nelle comunicazioni Il quadro normativo nel quale si inserisce lĠoggetto dei ricorsi  quindi costituito dai provvedimenti sopra richiamati, e alla luce degli stessi deve perci˜ essere esaminata la controversia, indipendentemente dagli effetti che al contestato inserimento sono ricollegati dalla successiva produzione normativa, evidenziata in giudizio dalle Casse resistenti. II) Avverso lĠinserimento nellĠelenco formato dallĠIstat il 29 luglio 2005 (avente valenza annuale e sostanzialmente riprodotto negli anni successivi che interessano le controversie, in particolare con i provvedimenti di cui ai comunicati dellĠIstat del 24 luglio 2010 e del 30 settembre 2011), che postula il riconoscimento della natura pubblica dei soggetti interessati, sono stati proposti i ricorsi decisi dal Tar del Lazio con le sentenze impugnate. In particolare: 224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 - gli Enti previdenziali privatizzati con d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, hanno evidenziato la propria natura di soggetti privati, svolgenti attivitˆ in regime privatisti: di conseguenza, ne sarebbe illegittimo lĠinserimento nellĠelenco delle amministrazioni pubbliche tenute al rispetto del limite di spesa previsto dallĠart. 1, comma 5, della suddetta legge. Il Tar ha accolto tale tesi, rilevando che lĠattrazione nellĠambito della Ôpubblica amministrazioneĠ di soggetti qualificati come privati e organizzati come tali dal legislatore del 1994 non  giustificata, dato che la finalitˆ perseguita dalla suddetta norma, quello cio di contenere la spesa pubblica, non potrebbe essere incisa da enti privati che non usufruiscono di finanziamenti pubblici, nŽ gravano in alcun modo sul bilancio pubblico. NŽ, ad avviso del Tar, lĠinclusione nellĠelenco potrebbe essere legittimata dal richiamo, operato dallĠIstat, al regolamento comunitario n. 2223 del 1996, che Ònon obbliga alcuno Stato membro ad elaborare per le proprie esigenze i conti in base al SEC (Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunitˆ Ue) 95Ó; - le Autoritˆ di garanzia hanno evidenziato che, alla luce delle classificazioni e delle metodologie rilevanti in sede comunitaria, espressamente assunte a parametro dallĠIstat (Regolamento CE n. 223 del 2009 e SEC95, di cui sopra), esse non possono essere considerate tra gli ÒEnti soggetti a controllo pubblicoÓ, la cui nozione, a livello comunitario, non coincide con quella recepita nellĠordinamento italiano. La tesi  stata accolta dal Tar. - Coni servizi s.p.a. ha proposto appello per contestare la sentenza che ha respinto il ricorso di primo grado per la ritenuta assimilabilitˆ del Comitato agli ÒEnti produttori di servizi assistenziale e culturaliÓ, elencati nei provvedimenti pubblicati il 29 luglio 2005 e il 28 luglio 2006. III) Come  evidente, gli appelli in esame propongono questioni comuni, attinenti allĠindagine circa la natura giuridica dei soggetti ricorrenti in primo grado e, di conseguenza, alla legittimitˆ o meno della loro attrazione nellĠambito delle pubbliche amministrazioni per i fini che si diranno. Di essi , quindi, opportuna la riunione al fine di unĠunica decisione. A tale proposito, lĠeccezione svolta dallĠIstat, tendente a dimostrare lĠinammissibilitˆ del ricorso proposto dagli Enti previdenziali privatizzati (sotto il profilo della carenza di interesse per il fatto che la stessa legge n. 311 del 2004 li esclude, allĠart. 1 comma 57, dai vincoli imposti), non pu˜ essere accolta: lĠinserimento negli elenchi annualmente predisposti in attuazione del Regolamento SEC95 individua i soggetti chiamati a concorrere alla manovra di bilancio, di volta in volta assoggettati alle misure di contenimento (e, infatti, la legge finanziaria n. 296 del 2006 include anche tali Enti privatizzati nel novero dei soggetti tenuti al rispetto del limite di spesa). AllĠinserimento nellĠelenco si riconnettono, quindi, in via diretta determinati effetti che i ricorrenti in primo grado mirano a paralizzare. Per esaurire lĠesame delle questioni preliminari, deve essere respinta quella, proposta negli appelli n. 1434, 1436 e 1438 del 2012 dallĠIstat, tendente ad evidenziare la cessazione della materia del contendere per lĠentrata in vigore, nelle more del processo, del d.l. 2 marzo 2912, n. 16, che, nel riconfermare lĠinserimento delle Autoritˆ indipendenti ricorrenti in primo grado nel novero delle Amministrazioni tenute agli obblighi di contenimento della spesa pubblica, avrebbe fatto venir meno, quantomeno a decorrere dallĠanno in corso, lĠinteresse alla decisione attinente alla legittimitˆ dellĠelenco Istat, dato che lĠobbligo deriverebbe direttamente dalla nuova disposizione normativa. Gli appelli sono, invece, tuttora procedibili, poichŽ, assumendo gli elenchi predisposti dallĠIstat, che costituiscono appunto lĠoggetto dei ricorsi decisi con le sentenze impugnate con i suddetti appelli, quale riferimento oggettivo, il decreto legge intervenuto non potrebbero che trovare limitata la propria efficacia in dipendenza dellĠeventuale caducazione giurisdizionale dei provvedimenti ai quali ha operato il rinvio (evidentemente dinamico). Gli appelli sono pertanto tutti procedibili. CONTENZIOSO NAZIONALE 225 IV) Alla specifica questione circa lĠindividuazione della natura pubblica o privata di Enti la cui azione interseca, in vario modo, quella dellĠamministrazione pubblica, valgono, in generale, alcuni indici, tra i quali quello che valorizza il controllo da parte di soggetti pubblici e quello che si incentra sullĠerogazione di risorse pubbliche, provenienti da leggi (e da provvedimenti applicativi) emanati in coerenza con lĠart. 23 della Costituzione, in tema di prestazioni patrimoniali imposte, aventi una causa di attribuzione di natura pubblicistica. Proprio di tali indici ha fatto applicazione lĠIstat, che ha provveduto alla compilazione dellĠelenco oggetto del giudizio, assumendo come regole classificatorie quelle proprie del sistema statistico comunitario; in esso ha quindi ricompreso le Çunitˆ istituzionaliÈ di origine comunitaria in possesso dei requisiti richiesti dal Regolamento UE n. 2223/96-SEC95. Nel settore della pubblica amministrazione, il SEC95 (prg. 2.69) ha riconosciuto tale qualifica alle Çistituzioni senza scopo di lucroÈ dotate di personalitˆ giuridica, che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, alla duplice condizione che Çsiano controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubblicheÈ, s“ da incidere in modo significativo sul disavanzo e sul debito pubblico; lĠart. 1.2 del manuale del SEC 95 ribadisce che una istituzione senza fine di lucro deve essere considerata pubblica se Òsia controllata, sia prevalentemente finanziata dalle amministrazioni pubblicheÓ Controllo e finanziamento pubblico assumono quindi, anche alla luce della normativa comunitaria della quale lĠelenco Istat  applicazione, la funzione di indicatori della natura pubblica del soggetto esaminato, ai fini della determinazione dei soggetti sottoposti alle regole della riduzione del disavanzo pubblico. V) Alla luce delle suddette puntualizzazioni possono essere esaminati i singoli appelli. V.1) EĠ agevole desumere la fondatezza degli appelli proposti dallĠIstat nei confronti degli Enti previdenziali resistenti. Sotto il profilo processuale, vanno previamente respinte le deduzioni contenute nellĠappello n. 5023 del 2008, secondo cui il ricorso di primo grado n. 10612 del 2005 dovrebbe essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, ovvero improcedibile. Ad avviso dellĠIstat, il difetto di giurisdizione deriverebbe dal fatto che lĠatto impugnato in primo grado sarebbe meramente ripetitivo di una norma di legge. Tale deduzione va respinta, sia perchŽ le censure originarie hanno lamentato la difformitˆ dellĠatto impugnato rispetto alle disposizioni di legge che ne hanno previsto lĠemanazione, sia perchŽ quandĠanche vi fossero state soltanto misure attuative di norme primarie la controversia sarebbe stata comunque devoluta alla giurisdizione amministrativa, anche quanto al potere di valutare la sussistenza dei presupposti per sollevare questioni di costituzionalitˆ. Neppure risulta lĠimprocedibilitˆ del ricorso di primo grado, in ragione dei successivi mutamenti del quadro normativo, poichŽ lĠatto impugnato in primo grado ha comportato lĠinsorgenza di obblighi e di responsabilitˆ, rispetto ai quali va considerato perdurante lĠinteresse alla rimozione degli effetti degli atti risultati lesivi, secondo quanto si  sopra detto al punto III. Quanto alle censure formulate con lĠappello n. 5023 del 2008 e n. 1439 del 2012, ritiene la Sezione che esse siano fondate e vadano accolte. Infatti, lĠattrazione degli enti previdenziali originari ricorrenti - nella sfera privatistica operata dal d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, riguarda il regime della loro personalitˆ giuridica, ma lascia ferma l'obbligatorietˆ dell'iscrizione e della contribuzione (art. 1 d.lgs. cit.); la natura di pubblico servizio, in coerenza con lĠart. 38 Cost., dellĠattivitˆ da essi svolte (art. 2); il potere di ingerenza e di vigilanza ministeriale (art. 3, per il cui comma 2 tutte le deliberazioni in materia di contributi e di prestazioni, per essere efficaci, devono ottenere lĠapprovazione dei Mi- 226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 nisteri vigilanti), e fa permanere il controllo della Corte dei conti sulla gestione per assicurarne la legalitˆ e l'efficacia (art. 3). Inoltre, il finanziamento connesso con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali, insieme alla obbligatorietˆ della iscrizione e della contribuzione, garantiti agli Enti previdenziali privatizzati dallĠart. 1 comma 3 del predetto decreto legislativo, valgono a configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generali. Tale conclusione  resa ancor pi evidente dalla attrazione del settore della previdenza privata nella normativa dettata in tema di controllo del disavanzo del settore (si veda la legge 23 dicembre 1996, n. 662, relativa a misure di razionalizzazione della finanza pubblica, e la legge 8 agosto 1995, n. 335. che, nel riformare il sistema pensionistico obbligatorio e complementare per lĠesigenza di stabilizzazione della spesa nel settore, ha specifica attinenza anche alle forme garantite dagli Enti privatizzati). La trasformazione operata dal d.lgs. 509/1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell'attivitˆ istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli Enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata allĠinteresse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo. V.2) LĠappello proposto da Coni Servizi s.p.a. non  fondato. Nelle unitˆ istituzionali che fanno parte del Settore Amministrazioni Pubbliche (Settore S13), i cui conti concorrono alla costruzione del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche il sistema comunitario comprende: a) gli organismi pubblici, che forniscono alla collettivitˆ beni e servizi non destinabili alla vendita; b) le istituzioni senza scopo di lucro produttrici di beni e servizi; c) gli enti di previdenza. Il Tar ha ritenuto che la societˆ Coni servizi debba essere compresa nella prima di tali categorie; la ricorrente contesta sul punto la sentenza, ritenendo di non rientrare nel novero dei soggetti Òche gestiscono e finanziano un insieme di attivitˆ, principalmente consistenti nel fornire alla collettivitˆ beni e servizi non destinabili alla vendita". Tale assunto non pu˜ essere condiviso. Va premesso che, come ha rilevato il Tar, lĠinclusione nel novero delle istituzioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato non presuppone necessariamente, in base alle norme tecniche di cui al Regolamento SEC 95, che ricorra l'elemento della diretta contribuzione a carico del bilancio dello Stato: il ricevere o meno trasferimenti diretti da parte dello Stato, non rappresenta, di per sŽ, un autonomo criterio di classificazione delle unitˆ istituzionali rientranti nell'elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato. Per il corretto inquadramento del problema vengono, allora, in evidenza i consueti parametri giˆ evidenziati, in particolare per ci˜ che concerne lĠesistenza del controllo da parte di organi dello Stato. Giova cos“ ricordare che la societˆ Coni Servizi p.a.  stata istituita nell'ambito del riassetto del Coni: in particolare, con d.l. 8 luglio 2002, n. 138, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, l. 8 agosto 2002, n. 178, recante Çinterventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell'economia anche nelle aree svantaggiateÓ  stato previsto (art. 8) che il Coni Ç si articola negli organi, anche periferici, previsti dal d.lg. 23 luglio 1999 n. 242Ó e che per l'espletamento dei propri compiti si avvale della societˆ per azioni appositamente costituita con la denominazione "Coni Servizi s.p.a.", il cui capitale sociale pu˜ godere di apporti da parte del dal Ministro dell'economia e delle finanze, di intesa con il Ministro per i beni e le attivitˆ culturali. Le azioni della societˆ CONTENZIOSO NAZIONALE 227 sono attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze; il presidente della societˆ e gli altri componenti del consiglio di amministrazione sono designati dal Coni, mentre il presidente del collegio sindacale  designato dal Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri componenti del medesimo collegio dal Ministro per i beni e le attivitˆ culturali. Sulla societˆ si svolge il controllo della Corte dei conti con le modalitˆ previste dall'art. 12, l. 21 marzo 1958, n. 259; la stessa pu˜ avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 43 del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato, di cui al r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni. Emerge quindi con tutta evidenza che, come ha sottolineato la Corte dei Conti, sez. giurisd. reg. Lazio, 23 gennaio 2008, n. 120, per la valenza pubblicistica dell'attivitˆ svolta, per la natura pubblica dei finanziamenti del CONI, per la somma dei poteri di ingerenza della parte pubblica, talmente intensi da arrivare alla misura estrema del commissariamento, e che si esplicano normalmente attraverso atti di riconoscimento, di indirizzo, di controllo dei bilanci, della gestione, dell'attivitˆ sportiva, lĠattivitˆ del Coni si inserisce a pieno titolo nellĠambito dellĠazione pubblica. Tale configurazione non risulta venuta meno neppure a seguito dell'entrata in vigore del d.l. n. 138 del 2002, in quanto l'art. 8, che, come si  detto, ha disposto il riassetto del Coni istituendo la Coni Servizi s.p.a., non ha eliso nŽ le finalitˆ pubbliche perseguite nŽ il carattere pubblico delle risorse impiegate al tal fine. V.3) Gli appelli proposti dallĠIstat nei confronti delle Autoritˆ di garanzia sono fondati. Il Tar ha ritenuto che nei confronti delle stesse non possano essere rinvenuti i parametri che sopra si sono puntualizzati come propri della natura pubblica dellĠorganismo esaminato. In particolare, nella ricostruzione dei primi giudici, dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, istitutiva dellĠAutoritˆ per lĠenergia elettrica e il gas e dellĠAutoritˆ per le comunicazioni, non si pu˜ fare derivare una posizione di ÔdipendenzaĠ di tali organismi rispetto al soggetto al quale devono la propria investitura (lĠart. 2, comma 7, della medesima legge prevede, quali passaggi della nomina degli organi di vertice la proposta del Ministro dello sviluppo economico, la deliberazione del Consiglio dei Ministri, il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e infine il decreto del Presidente della Repubblica). Inoltre, le suddette Autoritˆ godono, secondo il Tar, di autonomia finanziaria, date le fonti dalle quali traggono le entrate (id est i contributi obbligatoriamente versati dagli operatori dei settori regolati) e la possibilitˆ di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite. Le sentenze meritano la riforma richiesta con gli appelli. Esse, infatti, si basano sulla definizione di Òunitˆ istituzionale pubblicaÓ, di derivazione comunitaria, che, come si  detto, fa leva sul concetto di ÒcontrolloÓ e di ÒfinanziamentoÓ da parte di pubbliche amministrazioni. Tale definizione, peraltro, soccorre qualora non sia evidente che lĠorganismo esaminato  esso stesso una pubblica amministrazione: diversamente opinando gli stessi organi istituzionali dello Stato ordinamento sfuggirebbero dalla definizione dal momento che, per essi, sarebbe difficile configurare un controllo in senso amministrativo, ovvero un sistema di finanziamento eterologo. é allora evidente che le Autoritˆ indipendenti non sono Òistituzioni senza fini di lucroÓ di cui al punto 1.2 del Manuale del Sec 95, che sfuggirebbero alla definizione di organismo pubblico in quanto non sottoposte al controllo dello Stato, ovvero al finanziamento pubblico, come ha ritenuto il Tar: esse, invece, sono amministrazioni pubbliche in senso stretto, poichŽ, composte da soggetti ai quali  attribuito lo status di pubblici ufficiali (art. 2 comma 10 legge n. 481 del 228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 1995), svolgono, in virt del trasferimento di funzioni operato dallĠart. 2, comma 14 della medesima legge istitutiva, compiti propri dello Stato, e cos“ di potere normativo secondario (o, altrimenti, il potere di emanazione di atti amministrativi precettivi collettivi) (art. 2, comma 12, lett. h), l. n. 481 del 1995) di poteri sanzionatori, di ispezione e di controllo, hanno, in conclusione, poteri direttamente incidenti sulla vita dei consociati che si giustificano solo in forza della natura pubblica che deve necessariamente- essere loro riconosciuta. DĠaltra parte, le ÒAutoritˆ amministrative indipendentiÓ sono definite tali dal legislatore (anche per lĠapplicazione delle disposizioni processuali sui riti speciali: v. art. 119, comma 1, lett. b) in ragione della loro Òpiena indipendenza di giudizio e di valutazioneÓ, la quale: - non va intesa, contrariamente a quanto ha affermato il TAR, come ragione di esonero dalla applicazione della disciplina di carattere generale riguardanti le pubbliche amministrazioni; - pi limitatamente, comporta che, tranne i casi espressamente previsti dalla legge, il Governo non pu˜ esercitare la tipica funzione di indirizzo e di coordinamento, nel senso che non pu˜ influire sullĠesercizio dei poteri tecnico-discrezionali, spettanti alle Autoritˆ. LĠassunto sul quale si basano i ricorsi accolti dal Tar con le sentenze in esame, essere cio le Autoritˆ di garanzia organismi che sfuggono alle definizioni rilevanti in sede comunitaria ai fini dellĠinclusione nellĠelenco di cui trattasi e degli oneri che ad esso si connettono, risulta dunque infondato: di conseguenza, sono irrilevanti i profili dedotti in primo grado e riproposti in appello dalle Autoritˆ resistenti, relativi alla pretesa violazione della normativa comunitaria, dal momento che, come si  detto, la qualifica di tali organismi deriva non da tali parametri, ma dalla stessa loro natura ontologica di pubblica amministrazione. Risulta altres“ non condivisibile la ricostruzione secondo cui lĠAutoritˆ avrebbe una autonomia finanziaria che giustificherebbe la mancata applicazione della normativa sostanziale di settore. Gli operatori del settore versano i contributi (da qualificare come tributi: Corte Cost., sent. 256 del 2007) direttamente alla Autoritˆ, restandone obbligati perchŽ vi sono disposizioni di legge riconducibili ai principi desumibili dallĠart. 23 della Costituzione, sulle prestazioni patrimoniali imposte: la legge, che ben potrebbe disporre il pagamento di tali contributi nelle casse di un Ministero (tenuto poi a versare le somme di riferimento alla Autoritˆ), ha preferito semplificare gli aspetti contabili, prevedendo il pagamento diretto nelle casse della Autoritˆ (per gli importi determinati dallĠAutoritˆ stessa), ma ci˜ non esclude che la causa della attribuzione patrimoniale sia riconducibile allo svolgimento di una funzione pubblica, da parte di una pubblica amministrazione. Pure le argomentazioni della sentenza di primo grado, sul rilievo del Ôcontrollo pubblicoĠ, non possono essere condivise, perchŽ esso riguarda i soggetti privati da qualificare, ma di certo non le pubbliche amministrazioni in senso tecnico. Del pari, e per la medesima ragione, palesemente priva di profili di fondatezza  la questione di legittimitˆ costituzionale dellĠart. 1 legge n. 196 del 2009, dedotta per violazione degli artt. 23, 41 e 97 Cost. ove fosse interpretato nel senso di aver previsto la possibilitˆ di includere nellĠelenco Istat soggetti diversi dalle ÒAmministrazioni pubbliche che concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblicaÓ. VI) La rilevata fondatezza degli appelli proposti dallĠIstat impone lĠesame dellĠappello incidentale avanzato dagli Enti previdenziali avverso la sentenza del Tar del Lazio n. 1938 del 2008, nella parte in cui ha disatteso il secondo, il sesto, il settimo motivo di ricorso ed ha implicitamente assorbito il quarto. Anche tale gravame incidentale  infondato. Alla luce di quanto si  detto, la qualificazione delle Casse private di assistenza e previdenza, e CONTENZIOSO NAZIONALE 229 la conseguente loro inclusione nellĠelenco di cui si tratta, non  frutto di illogicitˆ, ma corrisponde ai principi, sopra esaminati, correttamente applicati dallĠIstat:  quindi infondato il primo motivo dellĠappello, con il quale si ripropone il secondo motivo di ricorso, giˆ respinto dal Tar. Parimenti infondato  il secondo mezzo, relativo alla reiezione del sesto motivo del ricorso di primo grado, poichŽ lĠelenco predisposto dallĠIstat trova nella conformitˆ al parametro normativo la propria giustificazione, senza necessitˆ di ulteriore motivazione, nŽ di specifica istruttoria. Come ha ritenuto il Tar nel respingere il settimo motivo del ricorso, la natura certificativa dellĠelenco in questione esimeva lĠIstituto dal seguire gli oneri procedimentali mediante la comunicazione dellĠavvio del procedimento, proprio perchŽ, come si  detto, lĠinclusione degli Enti previdenziali privatizzati corrisponde, sia nella ratio, che nella portata letterale, a quanto stabiliva giˆ la legge 30 dicembre 2004, n. 311, che, come si  sopra rilevato, includeva dallĠorigine gli ÒEnti di previdenza e assistenzaÓ tra quelli tenuti agli oneri di contenimento della spesa: anche il terzo motivo dĠappello  quindi infondato. La legittimitˆ della qualificazione degli Enti ricorrenti in primo grado nel novero delle amministrazioni pubbliche, secondo quanto si sopra detto, rende poi evidente la palese infondatezza dellĠeccezione di costituzionalitˆ riproposta in via subordinata con il quarto mezzo dĠappello avverso lĠart. 1, comma 5, della legge n. 311 del 2004, che consentirebbe, in tesi, la modifica dellĠelenco contestato al di fuori di ogni ragionevole limite di discrezionalitˆ amministrativa e lĠimposizione di prestazioni patrimoniali al di fuori del parametro normativo: lĠapplicabilitˆ di prestazioni a carico degli Enti privatizzati non , infatti, frutto di una valutazione arbitraria dellĠAmministrazione, ma, al contrario, corrisponde alla qualificazione pubblica degli stessi e ai criteri stabiliti dalla legge in coerenza con i principi desumibili dallĠart. 81 della Costituzione e con il principio di eguaglianza di cui allĠart. 3 della Costituzione. VII) In conclusione, tutti gli appelli proposti dallĠIstat sono fondati e devono essere accolti; lĠappello proposto da Coni servizi s.p.a.  invece infondato e deve essere respinto. Tale conclusione rende irrilevante lĠeccezione, proposta dallĠIstat, di inammissibilitˆ dellĠintervento svolto da Falbi in adesione agli appelli proposti dalle Autoritˆ indipendenti. Pertanto, tutti i ricorsi di primo grado vanno respinti. La complessitˆ e la novitˆ delle questioni esaminate giustificano la compensazione delle spese tra le parti in causa, in relazione ai due gradi di tutti i giudizi. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe indicati: -accoglie previa loro riunione gli appelli nn. 5023 del 2008, 1434 del 2012, 1436 del 2012, 1438 del 2012, 1439 del 2012 e, per lĠeffetto, in riforma delle sentenze impugnate, respinge i rispettivi ricorsi di primo grado; - respinge (previa riunione con gli altri appelli) lĠappello n. 5671 del 2008 e, per lĠeffetto, conferma la sentenza impugnata. Spese compensate dei due gradi di tutti i giudizi. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2012. 230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Rimborso spese legali a pubblico dipendente ex art. 18 D.L. 67/1997 Nel caso di specie: imputazione di concussione per fatti che esulano da fini istituzionali e assoluzione con formula parzialmente liberatoria (Nota a Consiglio di Stato, Sez. Sesta, sentenza 26 febbraio 2013 n. 1190) Vincenzo Rago* Il ricorrente, abusando della sua qualitˆ di pubblico ufficiale - per avere acquistato a titolo personale alcuni telefoni cellulari a prezzi inferiori a quelli di mercato - e coinvolto in un processo penale di concussione, procedimento concluso con sentenza di assoluzione perch il "fatto non sussiste", aveva successivamente chiesto il rimborso delle spese legali ai sensi di quanto disposto dall'art. 18 D.L. n. 67/1997, convertito in Legge n. 135/1997. LĠamministrazione ha respinto la richiesta di rimborso, sulla base anche del parere dellĠAvvocatura Generale secondo cui Òsebbene lĠimputazione di concussione presupponga uno stato giuridico di pubblico ufficiale, non si ravvisa nella specie alcuna connessione fra i fatti che hanno dato origine al procedimento penale e lĠespletamento del servizio o lĠassolvimento degli obblighi istituzionaliÓ. Il ricorrente aveva dedotto, dinanzi al TAR, la violazione dellĠart. 18, D.L. 67/1997, conv. in legge 135/1995, nonch l'eccesso di potere. Il TAR aveva respinto il ricorso. In sede di appello - a parte una eccezione processuale, che non rileva in questa sede - l'appellante ha, sostanzialmente, sostenuto che i fatti oggetto del processo penale fossero in connessione con il servizio. Il Consiglio di Stato ha respinto il gravame con decisione, che si condivide. Ed infatti, cos“ come  stato rilevato nella memoria difensiva, in materia di rimborso delle spese di giudizio da parte di un dipendente pubblico, la giurisprudenza ha chiarito (cfr. tra le tante T.a.r. Sicilia, Palermo, Sezione I, Sentenza 4 aprile 2012, n. 695 ) che il rimborso delle spese legali non spetta quando, come nel caso di specie, il procedimento penale non  da mettere in relazione immediata e diretta con il servizio reso, che costituisce solo una mera occasione del reato contestato al pubblico dipendente. Del resto, la ratio dell'art. 18, del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con L. 23 maggio 1997, n. 135,  quella di far s“ che i pubblici dipendenti, coinvolti in giudizi civili, amministrativi o penali in ragione dellĠespletamento delle loro funzioni, siano tenuti indenni dalle conseguenze economiche derivanti dalla necessitˆ di assumere un patrocinio legale a propria difesa, tutte le (*) Avvocato dello Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE 231 volte che sia accertata, con sentenza definitiva, la assenza di responsabilitˆ, onde evitare che possano subire pregiudizio per il solo fatto di svolgere i compiti istituzionali loro demandati (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 26 aprile 2010, n. 8478; Cassazione civile, sez. I, 3 gennaio 2008 n. 2). Trattandosi di una speciale prerogativa riconosciuta ai pubblici funzionari, cui comunque  correlato un onere erariale, la disposizione normativa in questione  di stretta interpretazione, con la conseguenza che il rimborso delle spese legali da parte dellĠAmministrazione non costituisce un obbligo, cui corrisponde un diritto automatico del lavoratore interessato, discendendo viceversa da una specifica e motivata valutazione che lo stesso ente deve effettuare nel suo esclusivo interesse, essendo il suo apprezzamento pur sempre teso allo scopo di assicurare un corretto e ragionevole impiego delle risorse erariali. Nel caso di specie il Ministero ha effettuato una doverosa e discrezionale valutazione della ricorrenza dei presupposti richiesti per il rimborso delle spese, ovvero la connessione del processo subito dal dipendente alla funzione pubblica esercitata; la definizione del processo con una sentenza di assoluzione, che espressamente accerti lĠassenza nel dipendente dellĠelemento psicologico del dolo o della colpa grave, nonchŽ la insussistenza di un conflitto di interessi tra gli atti o la condotta incriminata e lĠamministrazione. Per quanto concerne la connessione con la funzione pubblica svolta, la giurisprudenza ha chiarito che essa sussiste tutte le volte in cui gli atti e i fatti per i quali il dipendente sia stato incriminato siano riconducibili direttamente allĠente di appartenenza, perchŽ assunti nellĠesercizio delle sue funzioni istituzionali, cosicchŽ la tutela di queste ultime  perseguita necessariamente per tramite della difesa del primo, verificandosi una coincidenza di interessi tra i due soggetti, in virt del rapporto organico che li astringe, alla stregua dei principi fissati dallĠart. 28 della Costituzione (per tutte T.A.R. Veneto, Sezione I, 23 marzo 2000, n. 835). Ma, nel caso di specie, la connessione diretta non vi era, poichŽ il ricorrente  stato processato per avere acquistato telefonini svariati a prezzi inferiori a quelli di mercato, abusando del proprio ruolo. Deve quindi escludersi la rimborsabilitˆ delle spese di che trattasi qualora gli atti e i fatti per i quali il dipendente sia stato incriminato esulino dai fini istituzionali dellĠente pubblico, risultando piuttosto frutto di una sua autonoma manifestazione di volontˆ, rispondente a scopi diversi (ex multis Consiglio di Stato, Sezione V, 22 dicembre 1993, n. 1392). Inoltre,  anche necessario che questi atti e fatti siano teleologicamente legati da un rapporto di stretta causalitˆ e non di mera occasionalitˆ; in altre parole, vi deve essere un rapporto di strumentalitˆ tale che il dipendente non avrebbe potuto assolvere ai compiti del proprio ufficio se non compiendo quegli atti o fatti oggetto di imputazione (T.A.R. Palermo, Sezione I, n. 127/05). Questo rapporto di strumentalitˆ non sussiste in presenza di un abuso 232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 della qualitˆ di pubblico ufficiale e di compimento di attivitˆ estranee alla funzione pubblica svolta. In proposito,  appena il caso di osservare che la valutazione circa la sussistenza di un rapporto non meramente occasionale con il fatto di reato contestato rientrava nella discrezionalitˆ dellĠAmministrazione datrice di lavoro e, in quanto tale, incensurabile in sede di legittimitˆ, se non in caso di cattivo esercizio di questa discrezionalitˆ (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, 20 novembre 2003, n. 17651). E tanto pi il rapporto si interrompe tutte le volte in cui l'Amministrazione - in astratto - potrebbe anche costituirsi parte civile, per fare valere un danno alla propria immagine, leso dai comportamenti del militare, poco consoni alla funzione da questi ricoperta (cfr., Consiglio di Stato, Sezione V, 9 ottobre 2006, n. 5986; Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 17 settembre 2002, n. 13624). é infatti evidente che quando lĠAmministrazione si costituisce parte civile, mostra di aver giˆ apprezzato negativamente il comportamento del proprio dipendente. Nel caso del ricorrente, infine, difettava anche il terzo requisito, costituito dalla conclusione del processo penale con una sentenza di assoluzione che accerti lĠinesistenza del profilo psicologico del dolo o della colpa grave nella condotta ascritta al dipendente. Ed infatti, lĠassoluzione perchŽ il "fatto non sussiste" non era completamente satisfattoria e liberatoria, sia perch, nella specie, la sostanza non limpida dei comportamenti assunti dal ricorrente era stata confermata, sia perchŽ quella utilizzata  la formula utilizzata in luogo della vecchia assoluzione per insufficienza di prove (cfr. Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regione Puglia, 17 dicembre 1993, n. 95; Corte di Cassazione, Sezione Civile I, 3 gennaio 2001, n. 48; Consiglio di Stato, IV, 6 giugno 2011, n. 3396; T.a.r. Sicilia, I, 21 aprile 2010, n. 5570; 3 febbraio 2005, n. 127; Consiglio di Giustizia Amministrativa, Sezione Consultiva, 4 aprile 2006, n. 358). Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza 26 febbraio 2013 n. 1190 - Pres. Giaccardi, Est. De Felice - P.B. (avv. Caponi) c. Ministero della Difesa (avv. gen. Stato). FATTO Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio lĠattuale appellante, B.P., agiva per lĠannullamento del decreto del 27 ottobre 2008 del Ministero della Difesa, con cui si rigettava la sua richiesta di rimborso delle spese legali, in relazione al procedimento penale n. 895 del 2006, conclusosi con sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p. dal reato di concussione di cui allĠart. 317 c.p. perchŽ Òil fatto non sussisteÓ. LĠamministrazione aveva negato il rimborso sulla base del parere dellĠAvvocatura Generale dello Stato, secondo cui Òsebbene lĠimputazione di concussione presupponga uno stato giu- CONTENZIOSO NAZIONALE 233 ridico di pubblico ufficiale, non si ravvisa nella specie alcuna connessione fra i fatti che hanno dato origine al procedimento penale e lĠespletamento del servizio o lĠassolvimento degli obblighi istituzionaliÓ. Il ricorrente deduceva i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili. Il primo giudice, con la sentenza appellata, definita in forma semplificata allĠesito della camera di consiglio fissata per la fase cautelare, ha rigettato il ricorso, ritenendo che, pur sussistendo il requisito della completa assoluzione penale, tuttavia manca il primo presupposto necessario e cio che il giudizio penale sia stato promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con lĠespletamento del servizio o con lĠassolvimento degli obblighi istituzionali. Nella specie, si era trattato di una vicenda di acquisto a titolo personale di telefoni cellulari in cui era stato contestato lĠabuso della qualitˆ di pubblico ufficiale (da cui poi era stato assolto). LĠimputazione quindi, secondo il primo giudice, non era originata da una attivitˆ svolta in diretta connessione con i fini dellĠamministrazione o nellĠambito del rapporto di immedesimazione organica tale da consentire una immediata riferibilitˆ della condotta allĠente. Si era invece trattato di una condotta del tutto estranea ai compiti dellĠistituto, in cui il dipendente aveva agito per scopi del tutto personali e in cui la qualitˆ di pubblico ufficiale, che era venuta in rilievo proprio perchŽ se ne contestava lĠabuso, era in conflitto con lĠinteresse proprio dellĠamministrazione di appartenenza, non potendosi inoltre escludere elementi potenzialmente rilevanti sotto il profilo disciplinare o amministrativo. Avverso tale sentenza propone appello il medesimo B.P., che deduce in primo luogo la nullitˆ della sentenza, perchŽ la difesa del ricorrente non  potuta comparire alla camera di consiglio fissata per la sospensiva in data 4 marzo 2009, avendo ricevuto la comunicazione della fissazione dellĠudienza di discussione soltanto dopo  cio in data 5 marzo 2009. Conseguentemente, sostiene la nullitˆ della sentenza per violazione del diritto di difesa essendo stata introitata la causa direttamente nel merito in assenza di comparizione delle parti ed essendo stato posto nella impossibilitˆ di comparire. Nel merito, deduce la erroneitˆ della sentenza appellata, in quanto la formula assolutoria ÒperchŽ il fatto non sussisteÓ non pu˜ consentire di ritenere esclusa la connessione con il rapporto organico con lĠamministrazione; in caso contrario, al B. non sarebbe stato contestato il reato di concussione. Il giudice di primo grado non ha tenuto conto che i fatti oggetto di procedimento penale riguardavano fatti avvenuti durante il normale servizio di controllo del territorio da parte del carabiniere e che lo sconto che gli  stato effettuato sullĠacquisto dei cellulari rientrava nella libera contrattazione di mercato; contesta che i fatti dai quali  stato assolto possano determinare lĠapertura di procedimenti disciplinari o di tipo amministrativo, non avendo lĠamministrazione subito alcun danno. Chiede anche la modifica della statuizione di condanna alle spese. Si  costituito il Ministero della Difesa chiedendo il rigetto dellĠappello perchŽ infondato. Alla udienza pubblica del 19 febbraio 2013 la causa  stata trattenuta in decisione. DIRITTO LĠappello  infondato. é vero che il mancato invio della comunicazione dell'avviso di fissazione d'udienza configura un difetto di procedura sancito dall'art. 35 comma 1 l. Tar, che determina la nullitˆ dell'udienza di discussione e di tutti i successivi atti processuali, ivi compresa la decisione finale. Nella specie, la parte appellante deduce di avere ricevuto la comunicazione della camera di 234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 consiglio soltanto successivamente (il giorno dopo, 5 marzo 2009) rispetto al giorno fissato (4 marzo 2009). Tuttavia, nulla dimostra al riguardo; nŽ diversamente risulta dal fascicolo di primo grado acquisito agli atti, dal quale risulta soltanto che era stato fatto avviso alle parti, con atto datato 26 febbraio 2009, di cui peraltro difetta la prova della comunicazione. LĠappello  infondato nel merito. L'art. 18 d.l. n. 67/1997 conv. in l. n. 135/1997 individua i presupposti che legittimano l'amministrazione a contribuire alla difesa del suo dipendente imputato in un processo penale:  necessario che il giudizio di responsabilitˆ sia stato promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento degli obblighi istituzionali, e che esso si sia concluso con sentenza od altro provvedimento che abbia escluso la responsabilitˆ dell'istante. Ai fini dell'applicazione dell'art. 18 comma 1, d.l. 25 marzo 1997 n. 67, conv. nella l. 23 maggio 1997 n. 135, in tema di rimborso di spese legali, la connessione dei fatti con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali va intesa nel senso che tali atti e fatti siano riconducibili all'attivitˆ funzionale del dipendente stesso in un rapporto di stretta dipendenza con l'adempimento dei propri obblighi, dovendo trattarsi di attivitˆ che necessariamente si ricollegano all'esercizio diligente della pubblica funzione, nonchŽ occorre che vi sia un nesso di strumentalitˆ tra l'adempimento del dovere e il compimento dell'atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell'atto. Nella specie, esaminando gli atti, interrogatori e testimonianze rese nel corso del giudizio, il fatto imputato di abuso della qualitˆ o di concussione esulava del tutto dal servizio pubblico e aveva ad oggetto fatti privati posti in essere dallĠappellante. La vicenda riguarda lĠacquisto, a titolo del tutto personale e tale circostanza assume valore assorbente - di telefoni cellulari in cui  stato contestato lĠabuso della qualitˆ di pubblico ufficiale; tra lĠaltro, lĠistruttoria ha portato a concludere da un lato sulla insufficienza degli elementi di prova ai fini della configurabilitˆ del reato di concussione; dallĠaltro lato, si sarebbe delineata una condotta dellĠimputato arrogante e poco consona alla qualitˆ rivestita di appuntato dei Carabinieri. LĠamministrazione ha correttamente negato il rimborso sulla base del parere dellĠAvvocatura Generale dello Stato, secondo cui Òsebbene lĠimputazione di concussione presupponga uno stato giuridico di pubblico ufficiale, non si ravvisa nella specie alcuna connessione fra i fatti che hanno dato origine al procedimento penale e lĠespletamento del servizio o lĠassolvimento degli obblighi istituzionaliÓ. Ai fini del rimborso delle spese legali sostenute da un pubblico dipendente (nella specie, un maresciallo aiutante), affinchŽ sia ravvisabile una connessione tra la condotta tenuta e l'attivitˆ di servizio del dipendente,  necessario che la suddetta attivitˆ sia tale da poterne imputare gli effetti dell'agire del pubblico dipendente direttamente alla Amministrazione di appartenenza, poichŽ il beneficio del ristoro delle spese legali richiede un rapporto causale con una modalitˆ di svolgimento di una corretta prestazione lavorativa le cui conseguenze ricadrebbero sull'Amministrazione n  sufficiente che l'evento avvenga durante e in occasione della prestazione (tra tante, Consiglio Stato sez. III, 1 marzo 2010, n. 275). L'imputazione basata sulla qualifica di pubblico ufficiale muove da giudizi prognostici ed astratti che non possono valere ad indebitamente estendere il perimetro applicativo dell'art. 18 d.l. n. 67 del 1997 modificandone il paradigma legale, il quale richiede che le condotte siano connesse con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali, CONTENZIOSO NAZIONALE 235 e dunque rientranti nell'alveo della riferibilitˆ al valore dell'Amministrazione, con esclusione di quelle che siano occasionalmente ricollegabili ad un incarico - come per esempio, come nella specie, lĠacquisto a titolo privato di beni quali telefoni cellulari, abusando della qualitˆ - e non pure al diretto svolgimento delle funzioni istituzionali e i cui effetti non siano imputabili all'Amministrazione, in quanto non ascritte al novero delle incombenze direttamente promananti dalla posizione funzionale ed organizzativa rivestita dall'interessato nell'ambito della struttura dell'Amministrazione di appartenenza. La mera connessione occasionale delle condotte con la qualifica di pubblico ufficiale non , quindi, sufficiente ai fini dell'ammissibilitˆ del rimborso delle spese legali, altrimenti dovendo farsi rientrare nel campo applicativo della norma tutte le imputazioni relative ai reati propri inerenti a condotte che trovino nel servizio la mera occasione di realizzazione. Non  sufficiente a dimostrare la connessione, se non a titolo meramente occasionale, la circostanza, evidenziata dallĠappellante a sostegno delle sue pretese, che il venditore disponeva del cellulare del carabiniere avendo subito alcuni furti, nŽ che lĠappellante era solito recarsi presso quel rivenditore. Il giudizio di responsabilitˆ si considera promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento degli obblighi istituzionali solo nei casi in cui l'imputazione riguardi un'attivitˆ svolta in diretta connessione con i fini funzionali dell'ente e, come tale, ad esso imputabile. La possibilitˆ del rimborso delle spese legali  da escludersi qualora vi sia conflitto di interessi tra dipendente ed amministrazione, emergendo o comunque potendo emergere estremi di natura disciplinare ed amministrativa, per mancanze attinenti al compimento dei doveri d'ufficio. Per le sopra esposte considerazioni, lĠappello deve essere respinto. Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del presente grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, cos“ provvede: rigetta lĠappello, confermando la impugnata sentenza. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2013. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Recupero dei crediti alimentari ai sensi della Convenzione di New York del 20 giugno 1956 (Parere prot. 210639 del 28 maggio 2012, AL 33776/11, avv. ILIA MASSARELLI) La questione di massima, sottoposta allĠattenzione della Scrivente, concerne lĠammissibilitˆ del ricorso al procedimento di iscrizione a ruolo ex art. 17 D. Lgs. n. 46/1999 per lĠattuazione coattiva degli obblighi alimentari ricadenti nellĠambito di applicazione della Convenzione Internazionale ÒsullĠesazione delle prestazioni alimentari allĠesteroÓ, firmata a New York il 20 giugno 1956 e ratificata dalla Repubblica Italiana il 28 luglio 1958. In particolare, a seguito di unĠimportante nota del MEF del 10 gennaio 2011, codesto Ministero dellĠInterno sollecita un nuovo pronunciamento della Scrivente in merito alla possibilitˆ di eseguire i provvedimenti giurisdizionali (di giurisdizioni straniere) di condanna al pagamento di assegni alimentari, debitamente riconosciuti nellĠordinamento italiano, avvalendosi, anzichŽ dellĠordinario processo esecutivo, del procedimento speciale regolato dal combinato disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e del D. Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46. La soluzione ermeneutica accolta dal Comitato Consultivo di questa Avvocatura Generale, con parere del 23 aprile 2004, n. 59153, favorevole allĠimpiego dellĠiscrizione a ruolo per lĠesecuzione delle obbligazioni de quibus,  stata difatti rimessa in discussione da un recente parere del MEF, per ragioni sia sostanziali che procedurali: - da un lato, lĠorgano economico, anche alla luce della giurisprudenza formatasi in materia, ha espresso delle riserve in merito alla possibilitˆ di qualificare in termini di entrate statali, come tali soggette allĠart. 17 D. Lgs. n. 46 cit., crediti alimentari di natura privatistica; - dallĠaltro, ha evidenziato come lĠimpiego dellĠiscrizione a ruolo confligga con i principi di contabilitˆ e finanza pubblica sanciti dalla L. n. 196/2009, sotto il profilo dellĠassenza sia di un apposito capitolo di bilancio 238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 in cui iscrivere le somme rinvenenti dalla riscossione coattiva de qua, sia di disposizioni primarie legittimanti una rassegnazione delle somme (in tal modo riscosse) in favore del privato creditore. Pertanto, ai fini della soluzione del quesito prospettato, occorre soffermarsi: - dapprima, sulla natura giuridica del credito alimentare azionato dalle autoritˆ nazionali nel rispetto delle previsioni di diritto uniforme, al fine di verificare se possa essere inteso come entrata statale, tale da essere ricondotto allĠambito di applicazione dellĠart. 17 D. Lgs. n. 46 cit.; - successivamente, ove dovesse essere fornita una risposta positiva allĠinterrogativo preliminare, dovrˆ essere presa in esame la compatibilitˆ dellĠesecuzione mediante ruolo con i principi contabili e finanziari dettati dalla Legge n. 196. Prima di esaminare le questioni illustrate, giova comunque accennare allĠambito di applicazione dellĠart. 17 D. Lgs. n. 46 cit, spiegando le ragioni per le quali non possa essere applicato oltre le fattispecie cui espressamente si riferisce, non risultando sufficiente la presenza di un generico interesse pubblico per legittimare la riscossione coattiva di entrate diverse da quelle statali. Nonostante lĠelastica formulazione normativa del precitato art. 17, richiamante genericamente le entrate statali e non i crediti statali, lĠinterpretazione della disposizione deve presentarsi compatibile con i principi giuridici ricavabili dalla nostra Carta costituzionale, in specie il principio di legalitˆ: difatti, la riscossione coattiva mediante ruolo, rappresentando un tipico esercizio di poteri di autotutela (esecutiva) - atteso che lĠamministrazione pu˜ risolvere i conflitti di interesse in cui  parte, coinvolgenti propri atti o condotte, prescindendo dallĠintermediazione dellĠautoritˆ giudiziaria - deve trovare fondamento in una specifica disposizione di rango primario. Trattasi di disposizioni, questĠultime, che non possono essere qualificate come norme generali, interpretabili analogicamente, dovendo piuttosto essere intese come norme eccezionali, inapplicabili al di fuori delle fattispecie tassativamente previste dal legislatore. Nel caso che ci occupa, atteso che lĠamministrazione, riscuotendo coattivamente il credito, esercita un potere di imperio, in grado di incidere in via diretta ed unilaterale sul patrimonio giuridico del privato, occorre evitare unĠinterpretazione analogica delle relative disposizioni legislative, pena la violazione dei diritti di libertˆ individuali e del fondamentale principio di legalitˆ. Alla luce delle considerazioni che precedono, lĠart. 17 cit. non pu˜ trovare applicazione qualora lĠamministrazione sia soltanto legittimata ad agire per lĠattuazione di un credito altrui, dovendosi limitare lĠesercizio del potere di riscossione coattiva (mediante iscrizione a ruolo) ai casi in cui venga in rilievo unĠentrata statale, di cui quindi sia soltanto lo Stato ad essere il titolare. Dopo aver precisato la necessitˆ di ricomprendere nella portata applicativa dellĠart. 17 cit. le sole entrate statali, pure non tributarie e traenti il proprio fondamento in rapporti privatistici, occorre verificare se i crediti alimentari PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 239 disciplinati dalla Convenzione di New York del 1956 possano essere intesi nei medesimi termini. La risposta al quesito prospettato risente notevolmente della posizione ermeneutica che si intende assumere in ordine alla legittimazione processuale delle autoritˆ statali: al fine di facilitare lĠesecuzione delle obbligazioni alimentari (per propria natura aventi come creditori soggetti in stato di bisogno, necessitanti quindi di un pagamento sollecito dei relativi assegni), la Convenzione di New York e gli strumenti di diritto uniforme intervenuti in subiecta materia nel corso degli anni (da ultimo si veda il regolamento comunitario n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008) hanno previsto un sistema di cooperazione tra le autoritˆ centrali degli Stati contraenti (o membri, nel caso dellĠUE), fondato sulla legittimazione ad intraprendere le attivitˆ giudiziali e stragiudiziali necessarie per assicurare lĠattuazione (anche coattiva) del credito alimentare. Pertanto, a condizione che la parte attiva e passiva del rapporto obbligatorio siano soggetti a giurisdizioni differenti, si consente al creditore anzichŽ di recarsi nello Stato di stabilimento del debitore per ivi ottenere il riconoscimento e lĠattuazione del proprio diritto, di rivolgersi alle autoritˆ del proprio ordinamento (ccdd. Autoritˆ Speditrici), affinchŽ trasmettano alle autoritˆ centrali dello Stato del debitore (ccdd. Istituzioni Intermediarie) la documentazione necessaria per il soddisfacimento del credito alimentare. Ne deriva lĠattribuzione, in favore delle autoritˆ nazionali, del potere di agire in giudizio, nellĠambito del proprio ordinamento, per lĠattuazione dei titoli esecutivi emessi dai giudici stranieri: si pone quindi un problema qualificatorio circa la natura giuridica della legittimazione conferita, in subiecta materia, alle autoritˆ nazionali. Orbene, lĠanalisi della giurisprudenza formatasi nel tempo in materia consente alla Scrivente, in armonia, peraltro, con quanto comunicato dal MEF nella nota evidenziata, di propendere per la tesi che inquadra la legittimazione dello Stato-Istituzione Intermediaria (i.e. il Ministero dellĠInterno) - giusta la previsione dellĠart. 6 della Convenzione cit. -, nellĠistituto della c.d. sostituzione processuale di cui allĠart. 81 c.p.c. Come noto, il sostituto processuale  il soggetto abilitato da unĠapposita previsione normativa - che nel caso di specie  rinvenibile nelle legge di esecuzione della Convenzione del 1956 - ad agire in giudizio in nome proprio per la tutela di Òun diritto altruiÓ (81 c.p.c.): deve tuttavia evidenziarsi che, contrariamente a quanto potrebbe desumersi da unĠinterpretazione letterale del disposto positivo, il sostituto processuale, in realtˆ, come sostenuto da autorevole dottrina e come imposto dei principi processuali in materia di legittimazione ed interesse ad agire, non invoca la tutela di un diritto altrui, bens“ di una situazione soggettiva propria, seppure incidente su un rapporto giuridico alieno, con conseguente necessitˆ di differenziare lĠinteresse azionato dal sostituto e lĠinteresse di cui  titolare il sostituito, costituenti distinte situazioni giuridiche soggettive. 240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Tali principi influenzano sensibilmente la soluzione del quesito prospettato alla Scrivente. Se, difatti, si qualifica la legittimazione statale in termini di legittimazione straordinaria da ricondurre alla previsione dellĠart. 81 c.p.c., come peraltro ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, si viene a distinguere, come evidenziato, lĠinteresse (pubblico) azionato dallĠAutoritˆ intermediaria dallĠinteresse (privato) imputato al creditore degli alimenti, con conseguente impossibilitˆ di qualificare il credito alimentare come entrata statale. Difatti, accogliendo la tesi de qua, si conclude nel ritenere che lĠazione giudiziaria esercitata dallo Stato, in veste di sostituto processuale, sia funzionale: - in via primaria, alla tutela dellĠinteresse pubblico alla cooperazione internazionale e al sollecito adempimento delle obbligazioni alimentari; - e soltanto in via riflessa, al soddisfacimento del credito alimentare di cui viene chiesta concretamente lĠesecuzione. Accanto al rapporto principale, di carattere pubblicistico, intercorrente fra le autoritˆ centrali degli Stati contraenti, emergerebbe dunque il rapporto secondario (alimentare) che, in ragione della sua natura privatistica, coinvolgerebbe le sole sfere giuridiche del creditore straniero (ossia il sostituito processuale) e del debitore stabilito nellĠordinamento italiano. Tale ricostruzione, accolta dalla giurisprudenza nel tempo, portando, in ultima analisi, a negare lĠequiparazione tra il credito azionato e lĠentrata statale - atteso che ci˜ determinerebbe una confusione tra il profilo pubblico e privato della vicenda configurando un unico rapporto giuridico -, impedirebbe - per le ragioni supra illustrate - la possibilitˆ di ricorrere alla riscossione coattiva mediante iscrizione a ruolo. Ed al proposito, la Corte Suprema di cassazione ha pi volte ribadito che ÒIl Ministero dell'interno, nell'esercizio delle funzioni conferitegli dalla citata Convenzione di New York, non si pone come rappresentante legale del minore (tale restando il genitore o chi assuma la tutela secondo l'ordinamento di appartenenza), ma assume una rappresentanza "speciale", che prescinde da un mandato del creditore (o di chi legalmente lo rappresenta), e che risponde all'interesse generale di assicurare che le posizioni dell'alimentando trovino effettivo soddisfacimentoÓ (Cass. n. 11278/1996); pertanto, Òil relativo potere di azione  svincolato dal rilascio della procura da parte del soggetto creditore degli alimenti, restando subordinato solo alla richiesta avanzata dalle autoritˆ speditrici (Cass. 18 dicembre 1974 n. 4346; Cass. 17 luglio 1980 n. 4648), con la conseguenza che la procura del creditore alimentare all'autoritˆ intermediaria, prevista solo in via eventuale dall'art. 3 n. 3 della pi volte citata Convenzione di New York, nessun potere rappresentativo ulteriore pu˜ aggiungere a quello giˆ spettante a detta istituzione ed  riconducibile a quello della categoria dei meri atti di impulso (Cass. n. 1992/1996) Ne deriva, infine, che Òl'Autoritˆ intermediaria che chieda la delibera- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 241 zione di sentenze straniere recanti condanna agli alimenti si qualifica come sostituto processuale ai sensi dello art. 81 c.p.c., ossia come soggetto che, pur non essendo titolare del diritto azionato,  tuttavia legittimato a farlo valere in giudizio in nome proprio, in quanto portatore di un interesse di natura pubblicisticaÓ (Cass. n. 4327/1994; cfr. anche Cass. n. 7148/1993; n. 4165/1989; n. 4648/1980; n. 4254/1977; n. 4346/1974). Alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi che il Ministero dellĠInterno, agendo in giudizio per lĠesecuzione di un credito alimentare in veste di Istituzione Intermediaria, invochi la tutela di una situazione giuridica propria, id est lĠinteresse alla cooperazione internazionale e alla sollecita attuazione delle obbligazioni alimentari, distinta dalla situazione soggettiva creditoria, che, pur incisa dallĠazione giudiziaria statale, rimane di esclusiva spettanza della parte sostituita. Pertanto, difettando il presupposto del potere di autotutela esecutiva contemplato nellĠart. 17 D. Lgs. n. 46/1999 - non si riscontra cio la presenza di alcuna entrata statale - lĠamministrazione degli Interni, in ottemperanza agli obblighi assunti in sede internazionale,  tenuta ad attivare lĠordinario processo di esecuzione nel rispetto delle previsioni del Libro III c.p.c., con la precisazione che le somme rinvenenti dalla vendita o dallĠassegnazione, in quanto non riconducibili alla categoria generale delle Òentrate stataliÓ, non possono essere incamerate nel bilancio statale, dovendo essere direttamente intestate al sostituito processuale. In tale modo si risolverebbero altres“ gli ulteriori problemi sollevati dallĠamministrazione finanziaria, in specie la carenza di un apposito capitolo di bilancio presso cui registrare le entrate derivanti dallĠesecuzione forzata: in quanto il Ministero agisce per tutelare un interesse proprio, strettamente connesso con quello privato, senza acquisire alcun diritto di credito nei confronti del debitore italiano, o comunque soggetto alla giurisdizione italiana, le somme riscosse non dovranno essere registrate presso alcuna voce di bilancio statale, dovendo - come osservato - essere direttamente assegnate al creditore straniero. Alla luce delle premesse considerazioni, quindi, lĠAutoritˆ-Intermediaria, al fine di tutelare il proprio interesse,  chiamata ad agire dinnanzi al giudice dellĠesecuzione, chiedendo - nel rispetto delle previsioni codicistiche - il pignoramento, lĠassegnazione e/o vendita forzata dei beni del debitore e la distribuzione del ricavato, in maniera da garantire il soddisfacimento delle esigenze sociali sottese alla materia alimentare. Cosicch, oltre ad essere realizzato lĠinteresse pubblico primario, risulterˆ contestualmente soddisfatto anche lĠinteresse privato secondario, posto che la positiva conclusione della procedura espropriativa presuppone la diretta intestazione delle somme rinvenenti dallĠesecuzione in favore del creditore sostituito, senza pertanto possibilitˆ alcuna di addivenire alla loro registrazione nel bilancio erariale. 242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Il presente parere  passato allĠesame del Comitato Consultivo, che si  espresso in conformitˆ. Competenze dellĠAgenzia del Demanio in materia di gestione di beni confiscati (Parere prot. 418413 del 25 ottobre 2012, AL 12909/11, avv. ALESSANDRA BRUNI) Codesta Agenzia propone alla Scrivente una articolata richiesta di parere, in ordine a svariate questioni inerenti la gestione dei beni confiscati, partendo dalla considerazione che il Demanio, prima della riforma normativa di cui alla legge 50 del 2010, ha ritenuto sussistere la propria competenza limitatamente alla gestione dei beni pervenuti allĠerario a seguito di confisca irrevocabile disposta ai sensi della normativa antimafia (legge 575/1965 e art. 12 sexies del d.l. 306/1992). Pi precisamente  stato chiesto di sapere : 1- quale sia il soggetto pubblico competente alla gestione dei beni confiscati all'esito di procedimenti penali inerenti la realizzazione o gestione non autorizzata di discariche ex art. 256, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e quale sia il soggetto tenuto allĠeventuale ripristino e bonifica. 2- quale sia il soggetto pubblico competente alla gestione dei beni confiscati all'esito di procedimenti riguardanti la immigrazione clandestina ex d. lgs. 286/1998 e successive modifiche. 3- quale sia, nella ipotesi di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (legge 488 del 1992) ex art. 640 bis cp, il procedimento da seguire dopo la confisca, essendo applicabili gli artt. 640 quater cp e 322 ter cp e come ci si debba regolare nella ipotesi in cui oggetto della confisca a seguito delle citate disposizioni normative, siano societˆ. Prima di entrare nel merito delle questioni da trattare sembra opportuno evidenziare che le numerose disposizioni normative che prevedono la confisca dei beni, non sono armonicamente coordinate fra loro, e che in qualche caso addirittura si sovrappongono, generando, ovviamente, difficoltˆ interpretative e applicative. Occorre pertanto tenere sempre presente la differenza che corre tra la confisca quale misura di prevenzione, prevista dalla normativa antimafia (oggi disciplinata dal decreto legislativo 159 del 2011), dalla confisca quale misura di sicurezza patrimoniale mutando, a seconda della tipologia del provvedimento di esproprio, il procedimento, lĠoggetto, lĠesecuzione del sequestro, lĠamministrazione dei beni, la tutela dei terzi, la destinazione finale dei beni confiscati. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 243 La differenza fra i due istituti, ontologicamente diversi fra loro,  costituita dallĠindividuazione dei soggetti destinatari delle due misure. La confisca, quale misura di sicurezza, pu˜ essere applicata solo al soggetto condannato, laddove per la misura di prevenzione i soggetti destinatari sono preindividuati dalla normativa di riferimento che prescinde, inoltre, da un vincolo di pertinenzialitˆ diretta tra i beni confiscati ed i reati per i quali si procede. Passando ai singoli quesiti si rileva quanto segue: Sul punto 1 quale sia il soggetto pubblico competente alla gestione dei beni confiscati all'esito di procedimenti penali inerenti la realizzazione o gestione non autorizzata di discariche ex art. 256, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e quale sia il soggetto tenuto allĠeventuale ripristino e bonifica. La norma si inserisce nel corpus del codice dell'ambiente, finalizzato a semplificare, razionalizzare, coordinare e rendere pi chiara la legislazione ambientale. La tutela contro i reati ambientali ivi contenuta  stata recentemente rafforzata in virt dell'entrata in vigore del d.lgs. 7 luglio 2011, n. 121, che potenzia la risposta sanzionatoria per i reati giˆ previsti, introduce nuove fattispecie incriminatrici e la responsabilitˆ delle persone giuridiche anche per i reati ambientali. LĠart. 256 comma 3 prevede che ÒChiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata  punito con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la pena dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da euro cinquemiladuecento a euro cinquantaduemila se la discarica  destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, consegue la confisca dell'area sulla quale  realizzata la discarica abusiva se di proprietˆ dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghiÓ. Prima di affrontare le problematiche di cui alla richiesta di parere, sembra opportuno fare chiarezza su alcuni istituti giuridici. La confisca comporta lĠacquisto della proprietˆ dei beni da parte dello Stato, a titolo originario per consolidato orientamento giurisprudenziale. Pertanto, anche i beni confiscati a seguito di realizzazione o gestione di discarica abusiva ex art. 256 del d.lgs. 152/2006 entrano a far parte definitivamente del Òpatrimonio pubblicoÓ (Cass. Pen., sent. 28 maggio 2001, n. 21640). La Corte di Cassazione, con orientamento ormai consolidato, (Cass. Pen., I Sez., 14 luglio 2005, Sent. n. 25979; Cass., Sez. Unite, 28 gennaio - 23 marzo 1998) ha statuito ÒlĠintangibilitˆ della confisca ... anche in considerazione del fatto che, nel momento del passaggio in giudicato della sentenza che la dispone, Éconsegue un istantaneo trasferimento a titolo originario in favore 244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 del patrimonio dello Stato del bene che ne costituisce lĠoggetto con conseguente esaurimento della situazione giuridica considerataÓ. Quando si parla di proprietˆ dello Stato  verosimile ritenere, anche in forza del r.d. 2440/1923, che ci si riferisca all'attuale Ministero dell'Economia e delle Finanze. Quanto detto sin qui appare corroborato dalla circostanza che quando il legislatore ha voluto attribuire la proprietˆ ad un soggetto giuridico diverso dallo Stato, lo ha detto espressamente, come nel caso del trasferimento dei beni del demanio idrico a Regioni, Province e Comuni, ai sensi del d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85. Comunque la distinzione tra titolaritˆ della proprietˆ e potestˆ gestoria  un elemento caratteristico dei nuovi schemi di organizzazione amministrativa affermatisi negli anni Novanta. Nello specifico ci si riferisce all'art. 65 del d.lgs. 300/1999 che espressamente separa la proprietˆ, dalla competenza gestoria. Per la sopra citata disposizione normativa: "All'Agenzia del Demanio  attribuita l'amministrazione dei beni immobili dello StatoÓ. LĠAgenzia non  dunque proprietaria dei beni che gestisce, la cui titolaritˆ spetta allo Stato, ma assolve, per espressa disposizione di legge, le sole funzioni gestorie unicamente in relazione a beni immobili. La specificazione che le norme sulla gestione si riferiscono ai soli beni immobili, fatta salva la competenza prevista da normativa speciale, di altri soggetti pubblici,  stata ribadita anche nel decreto legge n. 95 del 2012 convertito in legge 135/2012 allĠart. 3 comma 18. Sembra necessario chiarire anche che le norme di cui agli articoli 195 e seguenti del codice in materia ambientale riguardano la ripartizione di competenze tra Stato, Regioni ed enti locali limitatamente allĠordinario processo di smaltimento dei rifiuti, attribuendo in linea generale al potere centrale ampie potestˆ di organizzazione e coordinamento. Ripartizione di competenze che non incide sulla gestione dei beni confiscati collegati alle fattispecie di reati ambientali di cui parla lo stesso codice, La richiesta di parere tuttavia sembra rivolgersi nello specifico alle competenze gestorie piuttosto che a problematiche inerenti la proprietˆ. Al fine di rispondere al quesito posto sono inoltre necessari anche alcuni chiarimenti in ordine alla natura giuridica della confisca prevista dallĠart. 256 co. III d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152. La stessa va ricondotta nellĠalveo delle misure di sicurezza patrimoniali previste in via generale dallĠart. 240 c.p.. Detto istituto ha invero come presupposto applicativo anche la pericolositˆ del bene soggetto al provvedimento ablativo e questo, peraltro,  lĠunico elemento di continuitˆ con la confisca quale misura di prevenzione patrimoniale prevista dalla normativa antimafia. I due istituti, di fatto divergono sotto plurimi profili che, sia pur sinteticamente, occorre ricordare. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 245 In primo luogo ai fini dellĠapplicazione della confisca quale misura di sicurezza patrimoniale tanto la norma codicistica, quanto quella speciale, prevedono la sussistenza di un pronunziamento di condanna laddove, per quel che riguarda la misura di prevenzione patrimoniale, essa giunge allĠesito di un procedimento, quello di prevenzione, che non richiede la condanna del proposto bens“ la mera sussistenza dĠindizi rispetto a delitti di criminalitˆ organizzata. La linea di demarcazione pi profonda fra i due istituti, giova ripeterlo ontologicamente diversi fra loro,  allora costituita dallĠindividuazione dei soggetti destinatari delle due misure. Circa la confisca quale misura di sicurezza, la stessa pu˜ essere applicata solo al soggetto condannato, laddove per la misura di prevenzione i soggetti destinatari sono preindividuati dalla norma dianzi indicata. A ci˜ consegue che la confisca irrogata ex art. 256 cit., potendo essere applicata solo a seguito di una condanna o della sentenza di applicazione di pena su richiesta delle parti, non rientra nellĠalveo delle misure di prevenzione. Ovviamente, in linea teorica, le aree sulle quali si commette il reato di discarica abusiva non sono astrattamente escluse dalla possibilitˆ di confisca di prevenzione, ma sulla base di un procedimento diverso e che non prevede lĠ applicazione della norma incriminatrice de qua. La diversa natura del provvedimento e del procedimento di applicazione conducono pertanto a diverse conseguenze rispetto al soggetto pubblico cui compete la gestione del bene confiscato. Nella ipotesi di confisca a seguito di condanna,  soggetto preposto alla gestione lĠAgenzia del Demanio, laddove invece si tratti di reati contro la criminalitˆ organizzata, previsti dalla normativa antimafia, sia quando la confisca viene disposta nellĠambito di un procedimento di prevenzione - e, quindi, quale misura di prevenzione - sia quando la confisca viene decretata in esito ad un procedimento di cognizione - e, quindi, quale misura di sicurezza -, per la gestione dellĠimmobile confiscato si dovrˆ fare esclusivo riferimento allĠAgenzia per la Amministrazione e Gestione dei Beni Confiscati alla Criminalitˆ Organizzata, soggetto giuridico istituito per tale finalitˆ dalla legge 50-2010, modificata dalla legge 159 del 2011. Ai sensi del giˆ citato art. 65 del dlgs 300 del 1999, come modificato dal dlgs 173 del 2003 la competenza nella gestione del Demanio  limitata ai soli beni immobili si legge infatti nel testo di legge: ÒAll'Agenzia del Demanio  attribuita l'amministrazione dei beni immobili dello Stato, con il compito di razionalizzarne e valorizzarne l'impiego, di sviluppare il sistema informativo sui beni del demanio e del patrimonio, utilizzando in ogni caso, nella valutazione dei beni a fini conoscitivi ed operativi, criteri di mercato, di gestire con criteri imprenditoriali i programmi di vendita, di provvista, anche mediante l'acquisizione sul mercato, di utilizzo e di manutenzione ordinaria e straordinaria di tali immobiliÓ. 246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 ÒAll'Agenzia  altres“ attribuita la gestione dei beni confiscati. L'agenzia pu˜ stipulare convenzioni per le gestioni dei beni immobiliari con le regioni, gli enti locali ed altri enti pubblici. Pu˜ avvalersi, a supporto delle proprie attivitˆ estimative e sulla base di apposita convenzione, dei dati forniti dall'osservatorio del mercato immobiliare dell'Agenzia del TerritorioÓ. In mancanza di una regolamentazione specifica per la categoria di beni, come si  verificato con la legge 50/2010, che ha istituito un nuovo soggetto giuridico quale ÒlĠAgenzia Nazionale per lĠamministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalitˆ organizzataÓ per la gestione del patrimonio immobiliare sottratto alla criminalitˆ organizzata, sembra si possa applicare la norma di carattere generale citata. Ai sensi e per gli effetti dellĠart. 256 d.lgs 152 del 2006, coniugato il tenore letterale della norma con la natura giuridica dellĠistituto della confisca, da riconnettersi come detto nella categoria delle misure di sicurezza patrimoniali, sembra potersi affermare che gli obblighi di bonifica previsti dalla disposizione citata incombano esclusivamente sul condannato, qualora questo sia proprietario dellĠarea, ovvero esso proprietario abbia comunque partecipato - rectius - concorso alla realizzazione della condotta incriminata. Invero, attesa anche la natura giuridica e la ratio della misura di sicurezza patrimoniale, sembra doversi escludere la responsabilitˆ del proprietario dellĠimmobile, in buona fede, circoscrivendola quindi solo al caso di concorso nel reato. La conclusione sembra lĠunica armonica rispetto al costante orientamento della Suprema Corte, volto ad escludere i presupposti del provvedimento ablativo della proprietˆ in tutti i casi in cui sia esclusa la sua responsabilitˆ e, comunque il titolare del diritto reale risulti in buona fede. Tali conclusioni, oltre a conformarsi al generale principio di personalitˆ della responsabilitˆ penale e tutela dell'incolpevole affidamento del terzo in buona fede (Corte cost., sent. 10 gennaio 1997, n. 1), rispondono ad uno specifico orientamento della Cassazione in materia di confisca. Non a caso la Cassazione afferma che Òla misura sanzionatoria non pu˜ ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all'illecitoÓ e neanche pu˜ pregiudicare eventuali diritti reali di garanzia a favore di terzi, che Òpur avendo tratto oggettivamente vantaggio dall'altrui attivitˆ criminosa, riescano a provare di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole finalizzata a dimostrare la reale estraneitˆ al reatoÓ (Cass. Pen., sez. I, sent. 29 aprile 2010, n. 29378). Ancor pi incisivamente tale orientamento  stato recentemente riaffermato proprio in riferimento al reato di discarica abusiva, giungendo, in ipotesi di comproprietˆ, a limitare la confisca Òalla sola quota del comproprietario responsabile del reato escludendo la quota del soggetto estraneoÓ (Cass. Pen., sez. III, sent. 2 luglio 2010, n. 37199). Alla luce di quanto sopra evidenziato, non  un caso che il disposto normativo del pi volte citato art. 256 cod. amb. nel momento stesso in cui di- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 247 spone la confisca, fa salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi, lasciando intendere chiaramente che quegli obblighi permangono a carico dellĠautore o compartecipe del reato e salva, la responsabilitˆ sussidiaria del proprietario non responsabile, prevista dallĠart. 253 cod. amb. Sul punto 2 quale sia il soggetto pubblico competente alla gestione dei beni confiscati all'esito di procedimenti di confisca disposti nellĠambito della normativa in materia di immigrazione clandestina ex d.lgs. 286-1998 e successive modifiche. Ai sensi dellĠart. 12, comma 5 bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 Ò... Salvo che il fatto costituisca pi grave reato, chiunque cede a titolo oneroso un immobile di cui abbia la disponibilitˆ ad un cittadino straniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato  punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La condanna con provvedimento irrevocabile comporta la confisca dell'immobile, salvo che appartenga a persona estranea al reato. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione e destinazione dei beni confiscati. Le somme di denaro ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al potenziamento delle attivitˆ di prevenzione e repressione dei reati in tema di immigrazione clandestinaÓ. Nel caso di specie, non sembrano emergere particolari problemi ermeneutici, rimandando la legge speciale alla normativa generale sui beni confiscati, in quanto applicabile, sicch si ritiene che in linea teorica, la gestione e la destinazione di tali beni possa rientrare nella competenza del Demanio attribuita dal giˆ citato articolo 65 del d.lgs 300 del 1999, come modificato dal d.lgs 173 del 2003, precisando che la gestione deve considerarsi quale attivitˆ residuale ed eccezionale dovendo possibilmente il bene essere subito venduto con le modalitˆ previste dallĠart. 86 delle disp att. cod. proc. pen., cercando cos“ di limitare gli oneri per la Amministrazione. Sul punto 3 quale sia, nella ipotesi di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (legge 488 del 1992) ex art. 640 bis cp, il procedimento da seguire dopo la confisca, essendo applicabili gli artt. 640 quater cp e 322 ter cp e come ci si debba regolare nella ipotesi in cui oggetto della confisca a seguito delle citate disposizioni normative, siano societˆ. Il Demanio chiede quale sia il percorso da seguire per il recupero del credito erariale nella ipotesi di indebita percezione di contributi ex legge 488- 1992, qualora sia intervenuta sia la revoca da parte della Amministrazione del contributo, che la confisca della societˆ, qualora si versi nella fattispecie di cui allĠart 640 quater cp. Pi precisamente codesta Agenzia chiede se sia esperibile per il recupero dei contributi indebitamente erogati, non lĠordinaria procedura che prevede lĠintervento del concessionario della riscossione sulla base 248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 dei provvedimenti di revoca emessi dal competente Dipartimento, ma mediante la vendita della stessa societˆ a cura della Agenzia, tramite lĠamministratore giudiziario, con procedura di gara alla quale dovrebbe prendere parte anche il MISE, mediante un proprio rappresentante in seno alla gara, facendo riferimento ad una esperienza maturata dal Demanio nella gestione delle societˆ confiscate alla criminalitˆ organizzata. Va preliminarmente posto in evidenza che nella richiesta di parere si richiama un provvedimento emesso dal Tribunale di Palermo, che per˜ non  stato messo a disposizione della Scrivente. Il procedimento speciale di vendita individuato dal Demanio non sembra percorribile sulla base del seguente ordine di considerazioni. Il quesito rimanda, come giˆ anticipato, alla fattispecie regolata dallĠart. 640 quater cp. La norma sancisce la applicabilitˆ dellĠart. 322 ter cp (confisca) alle fattispecie di cui allĠart. 640 secondo comma n. 1 cp (truffa a danno dello Stato o di altro ente pubblico), 640 bis cp (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche). LĠart. 322 ter cp, richiamato dallĠart. 640 quater, consente la confisca per equivalente nelle ipotesi in cui la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato in esso considerato sia impedita da un fatto sopravvenuto che ne abbia determinato la perdita o il trasferimento irrecuperabile (Cass. Pen., sez. V, sent. 1 ottobre 2002 n. 32797). La confisca prevista dallĠart. 322-ter c.p. (delitti contro la P.A.).  stata inserita nel codice penale dallĠart. 3, comma 1, Legge 29 settembre 2000, n. 300, che prevede in caso di condanna che venga disposta la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non  possibile, dei beni, di cui il reo ha la disponibilitˆ, per un valore corrispondente a tale prezzo. Ai sensi dellĠart. 86 disp. att. c. p. p. i beni oggetto di confisca penale sono destinati alla vendita, salvo che per essi non sia prevista una specifica destinazione. La vendita dei beni  regolata dagli articoli 149, 152, 153, 154 e 156 del T.U. sulle spese di giustizia contenuto nel DPR 30 maggio 2002, n. 115. Per la vendita si deve seguire lĠiter procedimentale indicato dalla sopra citata disposizione normativa, ossia: la vendita  eseguita a cura dellĠUfficio, anche a mezzo degli istituti di vendite giudiziarie (art. 152 T.U.), e le somme ricavate dalla vendita sono devolute alla cassa delle ammende (art. 154 T.U.), dedotte le spese sostenute nella procedura di vendita (art. 156 T.U.). LĠart. 149 del citato T.U. detta, per˜, una norma di raccordo in forza della quale la vendita dei beni sottoposti a sequestro penale, e quindi alla successiva confisca,  regolata dalle norme citate, se non diversamente previsto da norme speciali. In linea generale dunque i beni confiscati vanno venduti (art. 86 disp. att. c.p.p.) seguendo le procedure previste dal TU sulle spese di giustizia (artt. 153 ss. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 249 TU spese di giustizia). Dunque  tramite la vendita che lĠErario pu˜ astrattamente rientrare dei contributi illegittimamente percepiti dallĠimpresa poi confiscata. Ci˜ premesso  pur vero che il predetto TU (art. 149) astrattamente configura delle possibili deroghe. Nella fattispecie in esame una deroga potrebbe essere costituita dalla ipotesi prevista dal d.lgs. 270/1999 e successive modifiche, che offre la possibilitˆ di procedure particolari di vendita con forme adeguate alla natura dei beni e finalizzate al migliore realizzo, in conformitˆ ai criteri stabiliti dal Ministero dello Sviluppo Economico. Tuttavia, per potersi applicare questa normativa  per˜ preventivamente necessario verificare la sussistenza dei requisiti di ammissione di cui allĠart. 2 del citato d.lgs. 270, come modificato da ultimo con l. 244/2007 (legge finanziaria per lĠanno 2008), art. 1, co. 257. In generale lĠamministrazione straordinaria  la procedura concorsuale che caratterizza la grande impresa commerciale insolvente, con finalitˆ conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attivitˆ imprenditoriali. Ne discende che vi sono soggette anzitutto imprese aventi requisiti tali da comprovarne le grandi dimensioni (numero di lavoratori subordinati non inferiori a 200 e debiti per un ammontare non inferiore ai due terzi del totale dell'attivo dello stato patrimoniale e dei ricavi dell'ultimo esercizio). La summenzionata finanziaria del 2008 ha inoltre esteso la portata applicativa della normativa de qua, anche in mancanza dei requisiti dimensionali di cui sopra, alle imprese confiscate ai sensi della legge 575/1965 (v. ora, il d. lgs. n. 159 del 2011). Nel caso di specie non risulta che le imprese oggetto della richiesta di parere soddisfino le condizioni per essere definite ÒgrandiÓ imprese nŽ risulta, dalla documentazione in possesso della Scrivente, che le confische di cui si discute siano in qualche modo ricollegabili alle fattispecie previste dalla legge 575/1965 (v. il d.lgs n. 159 del 2011). A tal proposito va comunque rilevato che codesta Agenzia non ha trasmesso, come giˆ posto in evidenza, la sentenza del Tribunale di Palermo. Peraltro va evidenziato che, qualora i provvedimenti ablativi fossero stati disposti ai sensi della pi volte citata legge 575, la gestione dei beni sarebbe spettata comunque alla Agenzia nazionale per lĠamministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalitˆ organizzata in forza del richiamato decreto legislativo n. 159 del 2011. Pertanto, alla luce di quanto rappresentato, non si ravvisano gli estremi per derogare alle procedure di vendita di cui al T.U. sulle spese di giustizia (vedi anche parere dellĠAvvocatura distrettuale di Catanzaro del 2 febbario 2010 prot. 1655). Si precisa da ultimo, alla luce delle condizioni economiche e finanziarie delle imprese oggetto di confisca, che, qualora le stesse falliscano, si applicheranno le norme sul fallimento. 250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 La circostanza che una societˆ sia stata confiscata non porta come conseguenza di poter escludere la dichiarazione di fallimento della stessa, sicchŽ sussistendo lo stato di insolvenza, anche una societˆ che sia stata totalmente o parzialmente confiscata deve necessariamente ritenersi soggetta a fallimento. Il principio della fallibilitˆ delle societˆ commerciali di cui lo Stato sia socio, risulta costantemente affermato dalla giurisprudenza. Sul punto si allega comunque altro parere della Scrivente che ha diffusamente trattato il profilo. Alla luce delle considerazioni svolte, sembra non configurabile il percorso speciale di vendita e recupero delle agevolazioni ex lege 488/1992 evidenziato nella nota del 23 settembre u.s. Il procedimento da seguire, come peraltro anche evidenziato dalla Avvocatura di Catanzaro, nel parere del 2 febbraio 2010, giˆ richiamato,  quello di cui allĠart. 86 disp. att. c.p.p. e artt. 149 ss. T.U. in materia di spese di giustizia, in forza del quale dovrˆ procedersi a mezzo degli appositi istituti di vendita giudiziaria, non trovando fondamento giuridico, per la fattispecie in esame, la considerazione della esperienza acquisita dal Demanio relativamente alla gestione di societˆ confiscate alla criminalitˆ organizzata. La questione  stata esaminata dal Comitato Consultivo che si  espresso in conformitˆ nella seduta del 22 ottobre 2012. Materia doganale: natura della violazione prevista dall'art. 302 co. 1 del d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43. (Parere prot. 421776 del 26 ottobre 2012, AL 3355/11, avv. ANTONIO GRUMETTO) Con la richiesta di consultazione in esame codesta Agenzia chiede di sapere: 1) se la sanzione prevista dall'articolo 302, comma 1, del d.p.r. 43/73 sia una sanzione formale o una sanzione sostanziale e ci˜ agli effetti dell'applicazione della causa di non punibilitˆ prevista dall'articolo 6, comma 5 bis, del D.lgs 472/97; 2) quale sia la rilevanza del comportamento del capitano della nave che presenta la richiesta di iscrizione postuma di merce non dichiarata nel manifesto precedentemente presentato dallo stesso alla Dogana. Per rispondere ai due quesiti occorre fare alcune premesse. Occorre innanzitutto premettere che, come  noto, il comma 5 bis dell'articolo 6 del D.lgs 472/97 stabilisce che non sono punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all'esercizio dell'azione di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 251 Tale disposizione si applica, come  reso evidente dalla intestazione del predetto D.lgs, in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie; ragion per cui sorge la necessitˆ di stabilire se la sanzione prevista dall'articolo 302 del d.p.r. 43/73 per le differenze tra il carico ed il manifesto costituisca una sanzione comminata per la violazione di una norma tributaria. Ritiene la Scrivente che a questo primo quesito debba darsi una risposta positiva. Ci˜ in primo luogo per il tipo di sanzione prevista per la violazione della disposizione dellĠart. 301, comma 1, TULD, che  commisurata all'ammontare dei diritti di confine (rectius: dei tributi doganali) e che rende manifesta la ratio sottesa alla disposizione incriminatrice, da ravvisare nell'esigenza di assicurare, attraverso la veridicitˆ del contenuto del manifesto di carico, il controllo sul corretto pagamento dei tributi doganali. Tale interpretazione della disposizione in esame trova, del resto, una conferma nella disposizione dell'ultimo comma dell'articolo 302, che nella sua attuale formulazione (risultante dall'articolo 10 del D.lgs 18 dcembre 1997, numero 473) espressamente prevede, in luogo dell'originaria pena dell'ammenda, una sanzione amministrativa per le altre violazioni relative al manifesto di carico. Non  un caso che proprio l'articolo 10 del D.lgs 473/97 rechi la rubrica "sanzioni in materia di tributi doganali e di imposte sulla produzione e sui consumi", rendendo cos“ evidente che l'intervento con tale disposizione attuato sul testo dell'ultimo comma dell'articolo 302 TULD ha comportato una modifica "in materia di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie". Ragion per cui se per il Legislatore la violazione prevista dall'ultimo comma dell'articolo 302 comporta una sanzione amministrativa per la violazione di una norma tributaria, ad analoga conclusione non pu˜ non pervenirsi anche per la sanzione prevista dal primo comma della medesima disposizione. Precisata la natura della violazione prevista dall'articolo 3021 TULD, va ricordato come la disposizione del comma 5 bis dell'articolo 6 del D. Lgs 472/97 escluda la punibilitˆ delle violazioni meramente formali, da intendersi per tali quelli che "non arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributoÓ. Come correttamente ricorda codesta Agenzia nella richiesta di parere, ai fini dell'applicazione dell'esimente in parola  necessario che siano escluse entrambe le circostanze, ora ricordate, del pregiudizio all'azione di controllo e dell'incidenza sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo, come  del resto reso evidente dallĠuso della congiunzione "e" adoperata nel testo della disposizione in esame e come da tempo ha avuto occasione di precisare anche l'Agenzia delle Entrate con circolare del 3 agosto 2001 n. 77/E. Pertanto anche la sussistenza di una soltanto delle due condizioni com- 252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 porta l'inapplicabilitˆ dell'esimente e la conseguente punibilitˆ della violazione. Quanto, infine, al problema dell'applicabilitˆ della disposizione dell'articolo 6, comma 5 bis, del D. Lgs 472/97 all'illecito previsto dall'articolo 302 del TULD, ritiene la Scrivente di dover esaminare separatamente le 2 circostanze previste dal predetto comma 5 bis dellĠarticolo 6. Viene in primo luogo in esame la seconda ipotesi prevista dal comma 5 bis, vale a dire quella in cui le differenze tra il carico e il manifesto non abbiano inciso sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta sul versamento del tributo. Sotto questo profilo, con la nota del 29 aprile 2011 protocollo 145162 la Scrivente aveva richiesto a codesta Agenzia chiarimenti sull'efficacia del "manifesto di carico" ed in particolare sul se la presentazione del manifesto di carico costituisca presentazione della merce in dogana ai fini della determinazione dei diritti doganali. Con la nota del 7 giugno 2011 protocollo 68480, rispondendo a tale richiesta di chiarimenti, codesta Agenzia ha precisato che "la dichiarazione sommaria che, per le merci provenienti da mare,  costituita dal manifesto di carico, consente alla dogana l'esercizio della vigilanza sulle merci arrivate dall'estero dal momento del loro arrivo nel territorio doganale fino al momento del loro esito con il vincolo ad un regime doganale mediante la presentazione di una dichiarazione doganale nelle forme previste dalla normativa di settore, cui si ricollega anche la nascita dell'obbligazione". Con tale precisazione deve pertanto ritenersi acquisito, come prefigurato nella richiesta di chiarimenti della Scrivente del 29 aprile 2011, che la presentazione del manifesto di carico non determina la nascita dell'obbligazione doganale, in conformitˆ, del resto, a quanto prevede l'articolo 201, 2ĵ paragrafo, del CDC (Reg Ce 2913/92), il quale subordina la costituzione dell'obbligazione doganale al momento dell'accettazione della dichiarazione doganale per un determinato regime di vincolo della merce; laddove l'articolo 95 del TULD stabilisce che le merci che hanno formato oggetto della dichiarazione sommaria e quelle che sono descritte nei manifesti delle navi devono essere introdotte, di regola entro 24 ore dall'arrivo o dallo sbarco, nei magazzini o nei recinti di temporanea custodia in attesa che sia ad esse data una destinazione doganale o che siano rispedite fuori del territorio doganale. In conclusione, in considerazione della irrilevanza del contenuto del manifesto di carico, considerato in se stesso, ai fini della nascita dell'obbligazione doganale, sembra alla Scrivente che le differenze fra il carico e il manifesto possono considerarsi violazioni formali ai sensi della seconda parte del comma 5 bis dell'articolo 6 del D. Lgs 472/97, dato che il contenuto del manifesto di carico non costituisce elemento di per sŽ costitutivo dell'obbligazione doganale. *** A diversa conclusione, a giudizio della Scrivente, deve invece, pervenirsi per quanto concerne la seconda circostanza prevista dal comma 5 bis dell'ar- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 253 ticolo 6 del D. Lgs 472/97 e cio la interferenza fra le incompletezze del manifesto di carico e l'azione di controllo svolta da codesta Agenzia sulle merci oggetto di tale manifesto. Con nota del 30 maggio 2012 protocollo 214814, la Scrivente ha richiesto a codesta Agenzia di specificare le modalitˆ di svolgimento dell'analisi dei rischi che l'autoritˆ doganale compie ai sensi dell'articolo 184 quinques del Regolamento al CDC (Reg Ce 2454/93). Ci˜ al fine di comprendere se tale analisi dei rischi costituisca l'esercizio di un'azione di controllo che possa essere pregiudicata dalle differenze tra il carico e il manifesto di carico. Con nota dell'11 luglio 2012 protocollo 85692, codesta Agenzia ha fatto tenere alla Scrivente la relazione del 22 giugno 2012 dell'Ufficio centrale antifrode di codesta Agenzia, nella quale si specificano non i tipi di controlli doganali che vengono svolti nei riguardi delle merci in arrivo nell'Unione Europea. Da tale relazione risulta che i controlli doganali possono essere suddivisi in 3 categorie e precisamente: 1) controlli di sicurezza effettuati prima dell'arrivo della merce nell'Unione Europea e destinati soprattutto al contrasto delle minacce alla sicurezza della UE e della salute dei suoi cittadini; 2) controlli di tipo tributario ed extra-tributario effettuati al momento dell'arrivo della merce nell'Unione Europea e prima che la stessa venga vincolata ad una destinazione doganale prevista dal CDC (Reg Ce 2913/92); 3) controlli effettuati sulla base della dichiarazione di vincolo ad una destinazione doganale. Cos“ classificate le azioni di controllo svolte da codesta Agenzia sulle merci in arrivo nel territorio dell'Unione, ritiene la Scrivente che ai fini della consultazione in esame debbano essere esclusi i controlli di sicurezza effettuati prima dell'arrivo della merce nell'Unione Europea (¤1) in quanto destinati a finalitˆ diverse da quella di assicurare il corretto pagamento di tributi doganali; nonchŽ i controlli effettuati sulla base della dichiarazione di vincolo ad una destinazione doganale (¤2), in quanto, come si  precisato in precedenza, il manifesto di carico riguarda merci non ancora vincolate ad una destinazione doganale. Con riferimento, viceversa, ai controlli di cui al punto 2) che precede, le ipotesi che possono verificarsi in concreto evidenziano il rischio che le divergenze tra il carico e il manifesto di carico incidano sul corretto svolgimento di controlli di tipo tributario da effettuarsi al momento dell'arrivo della merce nell'Unione Europea. E poichŽ, come evidenzia codesta Agenzia nella ricordata relazione del 22 giugno 2012 dell'Ufficio centrale antifrode, i controlli in esame vengono attuati sulla base di un'analisi dei rischi dell'ufficio locale che riceve il manifesto e in base ai dati inseriti in quest'ultimo, le divergenze tra il carico ed il manifesto possono effettivamente arrecare pregiudizio all'azione di controllo e, in caso di accertata divergenza fra la dichiarazione sommaria e il carico 254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 della nave, determinare l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dall'articolo 302 TULD. Se tali sanzioni debbano, poi, applicarsi in un caso specifico  questione che prescinde dalla formulazione del parere richiesto alla Scrivente e che  subordinata alla verifica dellĠeffettivo pregiudizio all'azione di controllo svolta nel caso di specie da codesta Agenzia. Al riguardo va ricordato come l'applicazione del comma 5 bis dell'articolo 6 del D. Lgs 472/97 preveda la punibilitˆ dell'illecito amministrativo solo per le violazioni che non arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo, con ci˜ intendendosi per tali quelle violazione che in concreto non abbiano ostacolato l'attivitˆ di controllo svolta dall'ufficio. In altri termini non  sufficiente, per escludere la natura meramente formale della violazione, che quest'ultima possa arrecare pregiudizio all'esercizio dell'azione di controllo dell'ufficio, dato che in questo caso per le ipotesi di divergenza tra il carico ed il manifesto, per quanto si  detto in precedenza, la violazione non potrebbe mai ritenersi meramente formale; ai fini dell'applicabilitˆ della esimente , viceversa, necessario che la violazione non abbia in concreto determinato un ostacolo all'attivitˆ di controllo svolta dall'ufficio, dovendosi avere riguardo, in tal caso alle specifiche circostanze di fatto in cui  stata commessa la violazione. *** Il secondo quesito sottoposto da codesta Agenzia la Scrivente riguarda "la qualificazione della condotta di un capitano di nave che presenta una richiesta di iscrizione postuma di merce non dichiarata nel manifesto precedentemente presentato dallo stesso alla Dogana". Com' evidente dalla stessa formulazione del quesito, la risposta ad esso richiederebbe una pi specifica illustrazione delle circostanze di fatto relative all'ipotesi avuta presente da codesta Agenzia. In mancanza, la risposta della Scrivente non pu˜ che avere un contenuto di carattere generale. Dalla qualificazione delle sanzioni previste dall'articolo 302 TULD come sanzioni relative alla violazione di norme tributarie deriva, per quanto si  detto, la applicabilitˆ ad esse della disposizione dell'articolo 13 del D. Lgs 472/97 in materia di ravvedimento. Fermo rimanendo che il beneficio previsto dalla disposizione dell'articolo 13 non pu˜ essere applicato quando la violazione sia stata giˆ constatata o comunque siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attivitˆ amministrative di accertamento delle quali l'autore ed i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto conoscenza, ad avviso della Scrivente, tuttavia, la formulazione della norma non sembrerebbe prestarsi ad una applicazione nel caso sottoposto alla Scrivente. Ci˜ in quanto l'ipotesi avuta presente dal Legislatore nella formulazione di tale disposizione deve ritenersi limitata alle ipotesi di errori e omissioni PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 255 nella presentazione di dichiarazioni rilevanti ai fini della determinazione dell'imponibile, dell'imposta o sul versamento del tributo. Non solo, infatti, il primo comma esclude l'applicazione dell'articolo 13 nei casi in cui siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attivitˆ amministrative di accertamento, - con il che sembra alludersi in realtˆ ad attivitˆ che comunque abbiano ad oggetto la individuazione dell'imponibile, la determinazione dell'imposta o la verifica del corretto versamento del tributo - ; ma a confermare l'interpretazione data all'ambito di applicazione della presente disposizione concorrono: 1. da un lato, l'ipotesi prevista dalla lettera a) del primo comma, la quale fa espressamente riferimento al mancato pagamento del tributo o di un acconto quale fatto illecito cui  applicabile, in caso di ravvedimento operoso, la riduzione della sanzione; 2. dallĠaltro, il riferimento contenuto nel primo comma all'autore e ai soggetti solidalmente obbligati con quest'ultimo, con il che, ad avviso della Scrivente, sembrerebbe alludersi ad un comportamento di ravvedimento posto in essere dopo la nascita dell'obbligazione tributaria (senza la quale non potrebbe parlarsi di soggetti solidalmente obbligati con l'autore del ravvedimento). E poichŽ, come si  detto in precedenza, le divergenze tra il carico ed il manifesto di carico non incidono sulla determinazione del tributo doganale, richiedendosi a tal fine una dichiarazione doganale di vincolo delle merci ad un determinato regime, ritiene la Scrivente che sia da escludersi per le sanzioni previste dall'articolo 302 TULD la applicabilitˆ dell'istituto del ravvedimento. Non  irrilevante, in conclusione, sottolineare, altres“, che l'ipotesi del ravvedimento in caso di omissioni o di errori che non ostacolino accertamenti in corso o che non incidano sulla determinazione o sul pagamento del tributo era in origine prevista dal 4ĵ comma dell'articolo 13 in esame, con disposizione poi abrogata dall'articolo 7, comma 1, lettera b) del D. Lgs 32/01 e quindi con disposizione autonoma rispetto al primo comma del medesimo articolo, per la quale, dunque, il ravvedimento poteva essere posto in essere anche prima e indipendentemente dalla nascita dellĠobbligazione (presupposta invece, per quanto si  detto, dalla disposizione del primo comma). Ci˜ non toglie, comunque, che sarebbe auspicabile una modifica della disposizione dellĠart. 13 del Dlgs cit. che consenta di dare rilevanza al ravvedimento posto in essere anche nel caso di errori od omissioni contenuti nel manifesto di carico, rilevanza che, per quanto detto, non appare immediatamente contemplata dall'attuale formulazione legislativa della predetta disposizione. Sulla questione  stato sentito il Comitato consultivo della Scrivente il quale si  espresso in conformitˆ. 256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Pagamento del tributo in pendenza del processo: compatibilitˆ dellĠart. 68 co. 2, D.Lgs. n. 546/92 al Codice Doganale Comunitario (Parere prot. 7307 dellĠ8 gennaio 2013, AL 23083/08, avv. GIANNI DE BELLIS) Con la precedente nota 26 marzo 2009 n. 99560, questa Avvocatura esprimeva il proprio parere in ordine al quesito formulato da codesta Agenzia, concernente lĠapplicabilitˆ dellĠart. 68 comma 2 del D.Lgs n. 546/1992 ai soli tributi oggetto di riscossione frazionata ovvero anche a quelli (come le imposte doganali) per i quali opera invece la riscossione totale in pendenza di giudizio. Nel citato parere la Scrivente evidenziava: a) che lĠart. 68 comma 2 citato (in forza del quale che, una volta intervenuta una pronuncia di merito della Commissione tributaria che dichiari non dovuto un tributo, lĠAmministrazione deve provvedere dĠufficio alla restituzione delle somme medio tempore incamerate), si configurava come Òun principio di carattere generale, applicabile a tutti i casi di ricorso avverso un atto impositivo, indipendentemente dal fatto che la riscossione del tributo in corso di causa sia frazionata o menoÓ; b) che ÒLĠattribuzione di una sorta di immediata esecutivitˆ alla sentenza del giudice di merito (come emerge dallĠart. 68 comma 2), appare pi coerente con il sistema processuale nel suo complessoÓ, in quanto costituisce la regola nel processo civile (art. 282 c.p.c.); c) che anche per le misure cautelari in materia tributaria il legislatore ne aveva previsto la caducazione in presenza di una sentenza di merito sfavorevole allĠAmministrazione, ancorch non definitiva (art. 22 D.Lgs. n. 472/1997); d) che in tal senso era anche orientata la giurisprudenza della Suprema Corte in tema di fermo amministrativo ex art. 69 L. Cont. St. Il parere citato non si occupava del diverso problema delle garanzie, al quale non si faceva cenno nella richiesta di parere formulata con la nota 11 giugno 2008 n. 1610/IV/08. Con la nota 16 aprile 2012 n. 40951/R.U., codesta Agenzia ha ora evidenziato: 1) che lĠinterpretazione della Scrivente data nel citato parere 26 marzo 2009 Òera stata confermata anche dalla Commissione Europea Direzione Generale TAXUDÓ con nota 23 novembre 2009 n. 371939, alla quale codesta Agenzia aveva rivolto specifico quesito in relazione ai dazi doganali; 2) che la D.G. TAXUD aveva evidenziato: - che la legislazione doganale comunitaria non conteneva disposizioni che disciplinassero gli effetti sulle garanzie di una sentenza di merito impugnata dallĠAmministrazione; - che conseguentemente trovava applicazione la legislazione nazionale; - che prevedendo questĠultima lĠimmediata esecutivitˆ della sentenza PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 257 (anche se impugnata dallĠAmministrazione), lĠeventuale garanzia avrebbe dovuto essere restituita; 3) che alla luce dei due pareri suddetti codesta Agenzia con nota 12 gennaio 2010 n. 171956/RU.2009 ÜÜaveva impartito conformi disposizioni stabilendo che, in presenza di una sentenza favorevole alla parte della Commissione Tributaria Provinciale notificata allĠAmministrazione, gli uffici doganali avrebbero dovuto procedere ad effettuare il rimborso di quanto eventualmente giˆ corrisposto, in eccedenza, dal contribuente, nonchŽ a svincolare le eventuali garanzie a tutela del credito in contestazione ed a sgravare il ruolo esattoriale eventualmente formato in relazione alla decisione di Òprime cureÓ, essendo venuto meno lĠatto impositivo o di irrogazione della sanzione che legittimava lĠesecuzione a ruoloŬŬ; 4) che successivamente con nota 24 maggio 2011 n. 561809, la Direzione Generale Bilancio della Commissione Europea manifestava un diverso orientamento, in particolare sostenendo che ÒSecondo i servizi della Commissione, il rimborso non  possibile se l'organo competente a decidere il ricorso si esprime nel senso contrario all'Agenzia delle Dogane ma quest'ultima decide di continuare con i successivi gradi di giudizio. In tale eventualitˆ, la decisione oggetto di ricorso sarebbe ancora pendente e non sarebbe possibile procedere al rimborso ai sensi dell'articolo 236 del regolamento (CEE) n. 2913/92. Non , pertanto, previsto il rimborso al soggetto passivo dell'importo versato, nŽ sono previste rettifiche all'articolo 8 del regolamento (CE, Euratom) n. 1150/2000Ó; 5) che la divergenza tra le due Direzioni Generali della stessa Commissione  stata risolta dal Servizio Giuridico, le cui conclusioni sono state recepite con la nota congiunta 14 marzo 2012 n. 256812 delle due medesime Direzioni Generali; 6) che la posizione ufficiale della Commissione Europea  quindi ormai nel senso: - che la garanzia prestata non debba essere svincolata nei casi di sentenza sfavorevole allĠAmministrazione, la quale ritenga per˜ dĠimpugnarla, dovendo permanere fino al passaggio in giudicato di una sentenza sfavorevole; - che tale principio si desume dallĠart. 199 del CDC (Codice Doganale Comunitario) n. 2913/1992 con il quale pertanto si porrebbe in contrasto lĠart. 68 comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992 laddove stabilisce lĠimmediata esecutivitˆ tra le parti della sentenza; - che lĠart. 68 si porrebbe in contrasto anche con lĠart. 17 par. 1 del Reg. CEE n. 1150/2000; - che conseguentemente lĠItalia dovrebbe modificare la disposizione suddetta per renderla conforme alla normativa comunitaria. Alla luce di quanto sopra esposto codesta Agenzia ha chiesto il parere della Scrivente in ordine alla posizione della Commissione Europea Òse cio la posizione dell'Esecutivo europeo sia giuridicamente condivisibile oppure vi siano, invece, motivi che possano legittimamente sostenere la compatibilitˆ 258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 dell'articolo 68, comma 2, del Decreto Legislativo n. 546/1992 con la normativa dell'Unione, utili per consentire a questa Agenzia di replicare alla nota della Commissione EuropeaÓ. Ci˜ premesso, questa Avvocatura osserva quanto segue. Osservazioni generali In via generale, le conseguenze che possono derivare dalla emanazione di una sentenza di merito non definitiva del giudice tributario che ritenga infondata una pretesa fiscale possono attenere a tre diversi profili e precisamente: a) alla sorte delle eventuali garanzie a favore dellĠAmministrazione che assistevano il credito in contestazione. b) alla possibilitˆ di proseguire o meno la riscossione coattiva del credito; c) allĠeventuale obbligo di restituzione delle somme giˆ eventualmente riscosse. La normativa nazionale Dal punto di vista della normativa nazionale, lĠart. 68 comma 2 disciplina lĠipotesi c) prevedendo lĠobbligo per lĠAmministrazione di restituire le somme giˆ riscosse entro 90 giorni dalla sentenza favorevole al contribuente. Tale previsione appare ostativa anche allĠipotesi b) non potendosi logicamente ipotizzare una riscossione di somme che la norma impone nel contempo di restituire. LĠart. 68 non si occupa invece degli effetti sulle garanzie (ipotesi a). Una disciplina al riguardo si trova in materia di IVA nellĠart. 38 bis comma 6 del D.P.R. n. 633/1972, in base al quale nelle ipotesi in cui il contribuente ottenga il rimborso ÒacceleratoÓ dellĠIVA a credito risultante dalla dichiarazione, ÒSe successivamente al rimborso o alla compensazione viene notificato avviso di rettifica o accertamento il contribuente, entro sessanta giorni, deve versare all'Ufficio le somme che in base all'avviso stesso risultano indebitamente rimborsate o compensate, insieme con gli interessi del 2 per cento annuo dalla data del rimborso o della compensazione, a meno che non presti la garanzia prevista nel secondo comma fino a quando l'accertamento sia divenuto definitivoÓ. In materia doganale rilevano gli artt. 87 e 89 del TULD approvato con D.P.R. n. 43/1973, i quali non contengono per˜ alcuna disciplina in ordine alla questione suddetta. La normativa comunitaria Dal punto di vista comunitario rilevano gli articoli 244 e 199 del CDC del 1992. In particolare lĠart. 244 cos“ dispone: ÒLa presentazione di un ricorso non sospende l'esecuzione della decisione contestata. Tuttavia, l'autoritˆ doganale pu˜ sospendere, in tutto o in parte, l'esecu- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 259 zione della decisione quando abbia fondati motivi di dubitare della conformitˆ della decisione impugnata alla normativa doganale, o si debba temere un danno irreparabile per l'interessato. Quando la decisione impugnata abbia per effetto l'applicazione di dazi all'importazione o di dazi all'esportazione, la sospensione dell'esecuzione  subordinata all'esistenza o alla costituzione di una garanzia. Tuttavia non si pu˜ esigere detta garanzia qualora, a motivo della situazione del debitore, ci˜ possa provocare gravi difficoltˆ di carattere economico o socialeÓ. LĠart. 199 prevede che: Ò1. La garanzia non pu˜ essere svincolata finchŽ l'obbligazione doganale per la quale  stata costituita non si  estinta o non pu˜ pi sorgere. La garanzia deve essere svincolata non appena l'obbligazione doganale  estinta o non pu˜ pi sorgere. 2. Quando l'obbligazione doganale  parzialmente estinta o non pu˜ pi sorgere per una parte dell'importo garantito, la garanzia costituita viene, a richiesta dell'interessato, parzialmente svincolata, a meno che l'importo stesso non lo giustifichiÓ. Le citate disposizioni (richiamate nel parere della Commissione Europea), non pi in vigore dal 24 giugno 2008, sono ora contenute (con formulazione sostanzialmente identica) negli artt. 24 e 65 del Reg. (CE) 23 aprile 2008 n. 450/2008 (1) Profilo a): lo svincolo delle garanzie A parere della Scrivente la posizione della Commissione Europea in ordine agli effetti dellĠart. 199 sopra riportato appare condivisibile, dal momento che la disposizione espressamente pone un divieto di svincolo della garanzia (1) LĠart. 24 del Reg. (CE) n. 450/2008 cos“ dispone ÒArticolo 24 Sospensione dell'applicazione 1. La presentazione di un ricorso non sospende l'applicazione della decisione contestata. 2. Le autoritˆ doganali sospendono tuttavia, interamente o in parte, l'applicazione di tale decisione quando hanno fondati motivi di ritenere che la decisione contestata sia incompatibile con la normativa doganale o che vi sia da temere un danno irreparabile per l'interessato. 3. Nei casi in cui al paragrafo 2, quando la decisione contestata ha per effetto l'obbligo di pagare dazi all'importazione o dazi all'esportazione, la sospensione di tale decisione  subordinata alla costituzione di una garanzia, a meno che sia accertato, sulla base di una valutazione documentata, che tale garanzia pu˜ provocare al debitore gravi difficoltˆ di carattere economico o sociale. La Commissione pu˜ adottare, secondo la procedura di regolamentazione di cui all'articolo 184, paragrafo 2, misure per l'applicazione del primo comma del presente paragrafoÓ. Il successivo art. 65 dispone: ÒArticolo 65 Svincolo della garanzia. 1. Le autoritˆ doganali svincolano immediatamente la garanzia quando l'obbligazione doganale o l'obbligo di pagamento di altri oneri  estinto o non pu˜ pi sorgere. 2. Quando l'obbligazione doganale o l'obbligo di pagamento di altri oneri  parzialmente estinto o pu˜ sorgere solo per una parte dell'importo garantito, su richiesta dell'interessato la parte corrispondente della garanzia costituita viene svincolata, salvo nel caso che l'importo in questione non lo giustifichi. 3. La Commissione pu˜ adottare, secondo la procedura di regolamentazione di cui all'articolo 184, paragrafo 2, misure per l'applicazione del presente articolo. 260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 ÒfinchŽ l'obbligazione doganale per la quale  stata costituita non si  estinta o non pu˜ pi sorgereÓ (ed un annullamento disposto con sentenza non irrevocabile non  idoneo a provocare lĠestinzione della obbligazione). Di converso la stessa disposizione impone lo svincolo Ònon appena lĠobbligazione doganale  estintaÓ. Profilo b): sospensione della riscossione Riguardo il rapporto tra lĠipotesi b) con lĠart. 244 del CDC del 1992, il cui par. 1 prevede che ÒLa presentazione di un ricorso non sospende l'esecuzione della decisione contestataÓ, si ritiene che anche in questo caso la norma potrebbe non ritenersi in contrasto con lĠart. 68 comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992. Occorre infatti considerare che la Corte di Giustizia nellĠinterpretare lĠart. 244 del CDC ha precisato che esso Òva interpretato nel senso che attribuisce la facoltˆ di disporre la sospensione dell'esecuzione di una decisione impugnata solo alle autoritˆ doganali. Tuttavia, tale disposizione non limita il potere di cui dispongono le autoritˆ giudiziarie adite con un ricorso ai sensi dell'art. 243 del medesimo regolamento di disporre una siffatta sospensione per conformarsi al loro obbligo di assicurare la piena efficacia del diritto comunitarioÓ (sentenza 11 gennaio 2001 in causa C-1/99 Kofisa Italia). Ne consegue che se un giudice nazionale pu˜ sospendere lĠesecuzione dellĠatto impugnato, a maggior ragione un tale effetto pu˜ (legittimamente) conseguire ad una decisione di merito (ancorch non definitiva) che annulli lĠatto medesimo. La compatibilitˆ della ipotesi b) con la normativa comunitaria non sembra quindi contestabile. Profilo c): obbligo di restituzione delle somme Resta da esaminare lĠipotesi c), e cio se sia compatibile con lĠordinamento comunitario il citato art. 68 comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992 laddove (oltre a paralizzare lĠazione esecutiva dellĠAmministrazione a seguito di una sentenza anche non definitiva alla stessa sfavorevole), impone la restituzione delle somme nel frattempo giˆ riscosse. Una tale previsione, come si  giˆ accennato, non  incompatibile con lĠipotesi a) (e cio con il mantenimento delle garanzie fino al giudicato). Ed infatti la disciplina della modalitˆ di riscossione coattiva di un credito in relazione ai possibili esiti delle fasi di giudizio, si pone su un piano diverso rispetto alla funzione della garanzia. Basti pensare che in campo civilistico, pur in presenza di un principio di generalizzata esecutivitˆ delle sentenze (sia di primo che di secondo grado), lĠart. 2884 c.c. continua a prevedere che alla cancellazione dellĠipoteca il conservatore possa procedere Òquando  ordinata con sentenza passata in giudicato o con altro provvedimento definitivo emesso dalle autoritˆ competentiÓ. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 261 Orbene, premesso che non si rinvengono nel CDC disposizioni che disciplinano espressamente gli effetti di una sentenza di merito non definitiva favorevole al contribuente, questa Avvocatura ritiene che non si possa applicare la normativa nazionale che impone la restituzione delle somme medio tempore riscosse, per i seguenti motivi. In primo luogo lĠeventuale restituzione delle somme potrebbe configurare nella sostanza una rinuncia alle garanzie, non consentita dal citato art. 199 del CDC, con i conseguenti rischi paventati dalla Commissione, secondo cui ÒlĠAmministrazione doganale non sarebbe in grado di versare i dazi in questione qualora il debitore fallisse o fosse dichiarato in stato di fallimento dopo lo svincolo della cauzione e prima della sentenza della Corte d'AppelloÓ. In secondo luogo occorre considerare lĠart. 79 del nuovo CDC (Reg. n. 450/2008) il quale dispone: ÒFatte salve le condizioni stabilite nella presente sezione, si procede al rimborso o allo sgravio degli importi del dazio all'importazione o all'esportazione, sempre che l'importo oggetto di rimborso o di sgravio superi un dato importo, per i seguenti motivi: a) importi del dazio all'importazione o all'esportazione applicati in eccesso; b) merci difettose o non conformi alle clausole del contratto; c) errore delle autoritˆ competenti; d) equitˆ. Si procede inoltre al rimborso dell'importo del dazio all'importazione o all'esportazione pagato qualora la corrispondente dichiarazione in dogana venga invalidata a norma dell'articolo 114Ó. La normativa comunitaria nel disciplinare le ipotesi di rimborso o sgravio non fa quindi cenno a casi di restituzione non definitive nellĠambito di un giudizio pendente. In terzo luogo occorre considerare che a norma dellĠart. 17 par. 1 e 2 del Reg. (CE, Euratom) n. 1150/2000 del Consiglio, ÒGli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinchŽ gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformitˆ dell'articolo 2 siano messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste dal presente regolamento. 2. Gli Stati membri sono dispensati dall'obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati che risultano irrecuperabili: a) o per cause di forza maggiore; b) o per altri motivi che non sono loro imputabiliÓ. Anche la normativa comunitaria in tema di risorse proprie che disciplina il rapporto tra gli Stati e la Commissione, prevede lĠobbligo per gli Stati di mettere a disposizione della Comunitˆ le somme accertate, con esclusione dei soli casi in cui sia impossibile il loro recupero. Non viene neppure ipotizzata una restituzione non definitiva delle somme. In conclusione si ritiene che lĠart. 68 comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992 ri- 262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 sulta derogato per le imposte doganali dalle disposizioni contenute nel CDC; ci˜ non comporterebbe la necessitˆ di una modifica della norma, tenuto conto della prevalenza del diritto comunitario. Tuttavia una modifica si ritiene comunque opportuna, anche al fine di rendere pi chiara la normativa e per prevenire un contenzioso interno; a tal fine potrebbe essere aggiunta, dopo il comma 2, una disposizione che escluda lĠapplicabilitˆ del comma precedente ai diritti doganali, ivi compresa lĠIVA allĠimportazione (sottoposta al medesimo regime). La questione  stata sottoposta all'esame del Comitato Consultivo dellĠAvvocatura dello Stato di cui allĠart. 26 della legge 3 aprile 1979 n. 103, che si  espresso in conformitˆ nella riunione del 30 novembre 2012. In materia di contributi pubblici alle imprese editoriali (Parere prot. 69729 del 14 febbraio 2013, AL 16684/11, avv. MARCO STIGLIANO MESSUTI) Si trasmette copia della favorevole sentenza, con cui il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione ordinaria, proposto avverso la sentenza n. (...) del Consiglio di Stato. Si segnala, altres“, che avverso la decisione resa in sede di revocazione, F.T. ed A.A. hanno proposto, con atto che si allega in copia, ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione. Tutto ci˜ premesso, con tre successive note, rispettivamente del 30 luglio 2012, 27 novembre 2012 e 24 dicembre 2012, in relazione all'esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, si chiede di conoscere: 1) "Se, con riferimento alle somme da recuperare dalle imprese editoriali, sia ammissibile il loro scomputo, in via di compensazione legale, dai contributi per l'editoria 2011 che dovessero eventualmente essere concessi a favore delle succitate imprese editoriali". Con sentenza confermata in sede di revocazione ordinaria, il Consiglio di Stato sanciva la legittimitˆ sostanziale e formale della delibera dell'Agcom, nonchŽ degli atti consequenziali del Dipartimento Informazione ed Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri (par. 20 della sentenza). Con la delibera, a sua volta, l'Agcom aveva comminato la sanzione di euro 103.300,00, a carico di A.A., per aver violato l'obbligo di comunicare le situazioni di controllo, previsto dall'art. 1, comma 8, l. n. 416/1981, nonchŽ dall'art. 8, comma 1, del Regolamento AGCOM per l'organizzazione e la tenuta del registro degli operatori di comunicazione, contenuto nella delibera n. 236/01/CONS e ss. modificazioni. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 263 Per converso, con i suddetti provvedimenti consequenziali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria, ai sensi dell'art. 1, comma 574, l. n. 266/2005, revocava i contributi per l'editoria, concessi alle imprese editoriali per le annualitˆ dal 2006 al 2010. Pertanto, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'informazione e l'editoria - chiede di conoscere attraverso quali strumenti sia possibile dare esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato, anche prospettando una serie di opzioni, per recuperare le somme corrispondenti ai contributi per gli anni 2006 e 2007, liquidati alle due imprese editoriali quando non era ancora emersa la situazione di controllo, successivamente accertata dall'AGCOM. Tutto ci˜ premesso, con riferimento al quesito in esame, in disparte dalle preoccupazioni espresse a pag. 3, 3Ħ cpv., della nota della PCM del 30 luglio 2012 prot. n. DIE 12630 P-4.14.16,  pacifico come la sinallagmaticitˆ di crediti e debiti, all'interno di un unico rapporto obbligatorio, non sia richiesta per la loro compensazione (BIANCA, Diritto Civile, Vol. 4 - L'obbligazione, GiuffrŽ, Milano, 2006, p. 487). Piuttosto,  proprio l'autonomia strutturale delle diverse annualitˆ di contributo a giustificare la compensazione legale tra le stesse, quando le situazioni debitorie e creditorie, si elidano o si riducano vicendevolmente tra gli stessi soggetti, sempre che crediti e debiti siano entrambi coesistenti, determinati o determinabili, liquidi ed esigibili (Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 aprile 2009, n. 2512; Cassazione, Sez. lav., 25 giugno 2007, n. 14711; 16 gennaio 1988, n. 301). Senza dire come, in giurisprudenza, si  ammessa la compensazione legale di debiti e crediti dei privati nei confronti della pubblica amministrazione statale, indipendentemente dalla specifica amministrazione di riferimento ed indipendentemente dalla specifica fonte delle situazioni debitorie e creditorie compensabili (Cassazione, Sez. I, 6 dicembre 1974, n. 4033). Ad ogni buon conto, posto che l'art. 1243 c.c. richiede la liquiditˆ ed esigibilitˆ dei crediti e debiti posti in compensazione, con riferimento al caso di specie, ci˜ sarˆ possibile soltanto quando dovessero eventualmente essere concessi i contributi per l'editoria 2011, con contestuale riconoscimento del credito a favore delle imprese editoriali. (omissis) In conclusione: 1) risulta possibile la compensazione legale tra i crediti vantati nei confronti delle imprese editoriali ed i debiti che eventualmente dovessero sorgere, in dipendenza del riconoscimento dei contributi per l'editoria 2011, sempre che la compensazione sia effettuata in seguito al riconoscimento dei contributi suddetti; (omissis) Sul presente parere  stato sentito il Comitato Consultivo, che nella seduta del 13 febbraio 2013, si  espresso in conformitˆ. 264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Collegi arbitrali. Legge 6 novembre 2012 n. 190, art. 1 co. 18: regime intertemporale sul divieto di partecipazione di magistrati e di avvocati/procuratori dello Stato (Parere prot. 110932 dellĠ11 marzo 2013, AL 46089/12, avv. STEFANO VARONE) LĠart. 1 comma 18 della L. 6 novembre 2012 n. 190 prevede che ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, agli avvocati e procuratori dello Stato e ai componenti delle commissioni tributarie ҏ vietata, pena la decadenza dagli incarichi e la nullitˆ degli atti compiuti, la partecipazione a collegi arbitrali o l'assunzione di incarico di arbitro unicoÓ. In relazione alla suddetta norma sono pervenute richieste di chiarimenti in ordine al regime intertemporale ed in particolare si  posto il quesito se la stessa possa essere applicata agli arbitri nominati in precedenza allĠentrata in vigore della norma e, in caso di risposta positiva, quale sia il doveroso comportamento da tenere in relazione ai collegi giˆ costituiti. Al riguardo va osservato che la norma in questione non  assistita da una disposizione regolante il regime transitorio. Infatti mentre per i successivi commi (da 19 a 24), che disciplinano peculiari aspetti delle controversie arbitrali di cui  parte una pubblica amministrazione,  espressamente previsto che il nuovo regime non si applica Òagli arbitrati conferiti o autorizzati prima della data di entrata in vigore della presente leggeÓ nulla  previsto per il divieto di partecipazione previsto dal precedete comma 18. Tuttavia, ci˜ non sembra poter essere letto come indice della volontˆ legislativa di applicare retroattivamente il divieto di assunzione degli incarichi arbitrali. In primo luogo occorre considerare che lĠart. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile prevede che Òla legge non dispone che per l'avvenire essa non ha effetto retroattivoÓ, s“ che in mancanza di una diversa disciplina sulla efficacia nel tempo che deroghi al principio in questione, ogni norma introdotta nellĠordinamento trova applicazione alle sole fattispecie successive alla sua entrata in vigore (fra le tante Cass. civ. Sez. I, 13 luglio 2012, n. 12003). La norma dĠaltronde introduce un divieto in precedenza non previsto e pertanto  certamente da escludere che assuma i caratteri della disposizione interpretativa, come tale idonea a sottrarla al generale principio di irretroattivitˆ (Cass. civ., 8 febbraio 2012, n. 1850). Sempre in tema di disciplina delle fattispecie normative nel tempo, va osservato che la giurisprudenza di legittimitˆ ha pi volte chiarito che il principio di irretroattivitˆ della legge implica che la norma sopravvenuta sia applicabile agli effetti non ancora esauriti di un rapporto giuridico sorto anteriormente solo allorch la nuova legge sia diretta a disciplinare tali effetti, con autonoma considerazione dei medesimi (Cass. civ. Sez. III Sent., 16 aprile 2008, n. 9972), ipotesi che certamente non ricorre nel caso di specie. La disposizione in que- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 265 stione non pare infatti suscettibile di essere letta come inerente ad unĠipotesi di incompatibilitˆ a svolgere lĠincarico di arbitro, circostanza avvalorata dal mancato richiamo alla disciplina della ricusazione ex art. 815 c.p.c. e dallĠindividuazione di una autonoma fattispecie di nullitˆ. La norma pare pertanto configurare un divieto di assunzione dellĠincarico, s“ che pu˜ essere ragionevolmente applicata solo alle ipotesi di funzioni conferite successivamente alla sua entrata in vigore. LĠesegesi letterale prospettata, oltre ad essere suggerita dal tenore della norma, sarebbe - ove fosse necessario supportarla con unĠinterpretazione teleologica - confermata anche da una lettura costituzionalmente orientata. LĠintervento del legislatore sui giudizi arbitrali in corso, tale da determinare la possibile caducazione del collegio e delle attivitˆ medio tempore espletate, parrebbe infatti porsi in contrasto tanto con lĠart. 111 comma II Cost. quanto con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, l“ dove ricomprende (art. 6, par. 1) tra i diritti civili tutelati quello a un tempo ragionevole di durata del processo. Va evidenziato che la lesione di tale diritto pu˜ concorrere a determinare un danno erariale l“ dove la parte interessata adisse le vie giurisdizionali per conseguire il risarcimento del danno lamentato, tendenzialmente parametrabile ai criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea (Cass. civ. Sez. VI, 28 maggio 2012, n. 8471). La caducazione dei collegi giˆ costituiti potrebbe inoltre determinare un ulteriore pregiudizio erariale in considerazione dellĠobbligo di remunerare comunque le attivitˆ svolte (si pensi a titolo dĠesempio alle CTU che dovessero essere rinnovate) ed anche gli stessi arbitri ÒdecadutiÓ. In relazione a tale ultimo profilo infatti, come ribadito dalla Cassazione (Sez. Unite, Sent. 1 luglio 2008, n. 17930), tra le parti e gli arbitri del giudizio arbitrale sui lavori pubblici, non diversamente che nell' arbitrato disciplinato dal codice di procedura civile, si instaura un rapporto di prestazione d'opera intellettuale dal quale deriva un vero e proprio diritto soggettivo di credito al compenso. La medesima ÒdecadenzaÓ dei collegi, incidendo sull'esercizio dell'azione giˆ in essere, sarebbe poi tendenzialmente idonea a determinare un sacrificio del diritto costituzionalmente tutelato dallĠart. 24 della Carta Fondamentale che potrebbe eccedere il limite della ragionevolezza. Sulla fattispecie  stata interessata la Presidenza del Consiglio dei Ministri che con nota DAGL prot. 1493/2013 ha manifestato il proprio avviso condividendo lĠesegesi diretta ad escludere lĠapplicazione del divieto agli arbitrati in corso. In conclusione sussistono plurime ragioni tali da escludere che lĠart. 1 comma 18 della L. 6 novembre 2012 n. 190, l“ dove prevede, per determinate categorie di pubblici dipendenti, che  vietata, Òla partecipazione a collegi arbitrali o l'assunzione di incarico di arbitro unicoÓ, possa applicarsi agli incarichi arbitrali assunti anteriormente allĠentrata in vigore della disposizione. 266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Esecuzione allĠestero delle sentenze emesse dalla Corte dei Conti. Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 (Parere reso in via ordinaria, prot. 427337 del 31 ottobre 2012, AL 38606/11, avv. DIANA RANUCCI) Con la nota in riscontro codesta Direzione chiede il parere della Scrivente in merito ai possibili strumenti di esecuzione delle sentenze di accertamento di responsabilitˆ per danno erariale pronunciate dalla Corte dei Conti nei confronti di debitori residenti allĠestero, e, di seguito, in particolare se sia possibile adottare gli strumenti previsti dalla Convenzione in oggetto. 1) Il primo quesito attiene alla eseguibilitˆ allĠestero delle sentenze di condanna della Corte dei Conti. a) La disciplina delle sentenze di condanna per danno erariale  stata innovata con il D.P.R. n. 260 del 24 giugno 1998 che ha abrogato espressamente le norme di cui al R.D. 5 settembre 1909 n. 776. Le sentenze di condanna sono immediatamente esecutive e determinano il sorgere di un diritto di credito dellĠAmministrazione danneggiata ad ottenere, anche coattivamente tramite una procedura esecutiva, la somma indicata nella sentenza stessa, la quale costituisce titolo esecutivo ex art. 474 lett. 1) c.p.c. Il predetto D.P.R. nulla dispone sulle esecuzioni che devono compiersi allĠestero, per cui  evidente che, sotto questo profilo, la sentenza di condanna al pagamento di somme resa dal giudice contabile in nulla differisce rispetto a qualunque altra sentenza di condanna, sia essa del giudice ordinario che amministrativo ed  pertanto eseguibile con gli stessi strumenti. La risposta  pertanto affermativa. 2) Esattamente codesta Direzione evidenzia come non sia possibile utilizzare la procedura della riscossione coattiva nel caso in cui i beni del debitore si trovino allĠestero. Chiede pertanto di sapere se sia possibile applicare la disciplina generale dettata dalla Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata con legge n. 804 del 1971, la quale stabilisce le norme concernenti la competenza giurisdizionale e lĠesecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale applicabili tra gli Stati membri dellĠUnione Europea. LĠart. 26, comma 1Ħ, della Convenzione di Bruxelles dispone che Òle decisioni rese in uno stato contraente sono riconosciute negli altri stati contraenti senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimentoÓ. Di rilevanza, inoltre, lĠart. 31 della Convenzione, ai sensi del quale Òle decisioni rese in uno Stato contraente e quivi esecutive, sono eseguite in un altro Stato contraente dopo essere state munite, su istanza della parte interessata, della formula esecutivaÓ; si precisa, poi, allĠart. 33 1Ħ cpv della Convenzione medesima, che Òle modalitˆ del deposito dellĠistanza sono determinate PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 267 in base alla legge dello Stato richiestoÓ. Occorre, infine, che lĠistanza di riconoscimento ed esecuzione di una decisione straniera, formulata secondo le modalitˆ stabilite dalla legge dello Stato richiesto, sia corredata dai documenti indicati dagli artt. 46 e 47 della Convenzione. Nel marzo del 2002  entrato in vigore il Regolamento n. 44/2001, che ha facilitato ancora pi il riconoscimento delle sentenze e di qualsiasi altro provvedimento giurisdizionale allĠinterno dellĠU.E., snellendo e rendendo pi celere il relativo procedimento. Questo Regolamento, noto come ÒBruxelles IÓ e concernente la competenza giurisdizionale e lĠesecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, si applica anche ai Paesi nuovi entrati nellĠUE (Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia, Ungheria) e sostituisce la Convenzione di Bruxelles, applicandosi a tutti i Paesi dellĠUnione Europea, con lĠeccezione della Danimarca e dei territori degli Stati membri per i quali, secondo il Trattato che istituisce la Comunitˆ Europea, il Regolamento non  vincolante. A questi continuerˆ ad applicarsi la Convenzione di Bruxelles del 1968. Il procedimento introdotto dal Regolamento 44/2001 per il riconoscimento e lĠesecuzione delle decisioni, identificate in Òqualsiasi decisione emessa da un giudice di uno Stato membro, quale ad esempio decreto, sentenza, ordinanza o mandato di esecuzione, nonchŽ la determinazione delle spese giudiziali da parte del cancelliereÓ, non  molto diverso da quello contenuto nella Convenzione di Bruxelles del 1968. La principale novitˆ introdotta dal Regolamento in questione  costituita dal fatto che, mentre sotto il regime della Convenzione di Bruxelles, il giudice del Paese dove la sentenza andava portata ad esecuzione poteva entrare nel merito della decisione, con la possibilitˆ di rilevare anche eventuali motivi di nullitˆ della stessa, ora il Regolamento n. 44/2001 consente di ottenere in tempi brevi la dichiarazione di esecutivitˆ di una decisione giudiziaria, in quanto il giudice del Paese di esecuzione deve compiere solo un controllo puramente formale della decisione (art. 41 Reg. 44/2001). LĠistanza di esecuzione deve essere presentata al giudice territorialmente competente secondo le modalitˆ previste dalla legge dello Stato membro richiesto, corredata dai documenti di cui allĠart. 53 Reg. 44/2001: Òuna copia della decisione che presenti tutte le condizioni di autenticitˆÓ, ed un attestato (art. 54 Reg. 44/2001) rilasciato, su richiesta di qualsiasi parte interessata, dal giudice o dallĠautoritˆ competente dello Stato membro, compilato utilizzando il formulario di cui allĠallegato V del Regolamento stesso. Certamente, il regolamento 44/2001 ha semplificato la procedura di exequatur per lĠottenimento della dichiarazione circa il carattere esecutivo della decisione, che pu˜ essere contestata dallĠavversario solo in fase di opposizione. 268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 3) Alla luce di quanto esposto, codesto Ministero Della Difesa dovrˆ, quando necessario, contattare i competenti Uffici consolari italiani o le proprie Addettanze militari presso le Ambasciate italiane site nei Paesi interessati dalla procedura esecutiva, al fine di acquisire precise informazioni circa le modalitˆ di presentazione dellĠistanza di esecuzione. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË ÇEcosistemiÈ, ÇbiodiversitˆÈ e Çservizi naturaliÈ: definizioni e caratteristiche Paolo Francalacci* PREMESSA La presente pubblicazione contiene la mia tesi di dottorato... LĠargomento si  focalizzato, da subito, sul concetto di ÒecosistemaÓ, posto a fianco del termine ÒambienteÓ nel novellato art. 117 della Costituzione, per le implicazioni che tale concetto pu˜ determinare ed esprimere, rispetto alle sfide poste dalla tutela della biodiversitˆ, alla vigilia degli eventi culturali in occasione della ricorrenza della sottoscrizione della Convenzione europea del paesaggio a Firenze e mentre si sono compiuti alcuni disastri ecologici catastrofici, come quello del Golfo del Messico. Considerando lĠargomento prescelto, ho privilegiato un approccio interdisciplinare in grado di indagare la complessitˆ e le implicazioni che i concetti di ÒecosistemaÓ e di ÒecologiaÓ esprimono, attraverso gli approcci delle discipline scientifiche, economiche e giuridiche che hanno contribuito a delinearne i caratteri. Ci sono due aspetti fondamentali che ho posto come punti di partenza della presente ricerca sui rapporti tra la natura e la vita umana nei meccanismi ecologici che reciprocamente li uniscono: - da un lato la consapevolezza che gli uomini contribuiscono con le loro scelte, spesso inconsapevoli rispetto alla complessitˆ dei fenomeni che attraversano, a determinare lĠevoluzione del mondo vivente che genera e sostiene la nostra stessa esistenza; - dallĠaltro la percezione che la nostra cultura abbia generato una competizione tra i diversi saperi, per appropriarsi del controllo di questi fenomeni in modo settoriale e semplificato. (*) Dottore di ricerca, Universitˆ degli Studi di Firenze, Dipartimento di Diritto pubblico - Diritto Urbanistico e dellĠAmbiente. Il presente scritto riproduce una versione ÒsinteticaÓ della tesi di dottorato dellĠAutore su ÒIl ruolo delle aree protette nella tutela dei servizi ecosistemici e della biodiversitˆÓ. Per la sua originalitˆ se ne pubblica la prima parte. 270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Il diritto appare cos“ stretto tra la sfida di negare la complessitˆ oppure di aprire un confronto che possa portare a verificare i modelli di regolazione tenendo in considerazione i meccanismi vitali che regolano la nostra stessa vita - e che spesso sfuggono ai nostri tentativi di catalogazione e conoscenza - e la percezione e rappresentazione che i cittadini e la societˆ hanno di questi processi. é lĠecologia umana che viene alla ribalta nel mondo del diritto, laddove la nostra Costituzione afferma che lo Stato, in prima persona, provvede alla Òtutela dellĠambiente e dellĠecosistemaÓ (art. 117, secondo comma, lett. s, Cost.) attraverso la tutela il paesaggio (art. 9 Cost.). LĠumanitˆ, sempre vissuta secondo leggi di natura adattandosi allĠordine naturale e soggiacendo alle regole imposte dallĠandamento degli eventi vitali, scopre la fragile e sconosciuta catena della vita e ad essa si rivolge per scoprirne i limiti e le fragilitˆ nel momento in cui avverte che tali azioni risultano necessarie per tutelare la salute e il benessere umano. Cos“ ad un diritto che lasciava al personale modo di intendere i rapporti individuali con la natura sono progressivamente subentrati nuovi dati di realtˆ, elaborati dalla scienza e dalla tecnologia, che mutano il senso dellĠappello al diritto e richiedono forme nuove di regolazione giuridica (1). Separato dal contesto naturale e sollevato dalla faticosa coesistenza con le severe regole della natura, si apre di fronte allĠuomo lĠorrore del vuoto e dei fantasmi della sua poca conoscenza. Quali forme, allora, percorrere e fino a che punto spingersi perchŽ lĠambiente di vita, su cui poggia la nostra stessa esistenza, possa essere percepita, rappresentata e tutelata dalla nostra societˆ per ritrovare, con il mondo naturale che la sostiene, un accordo consapevole? Quali strumenti e forme giuridiche possono costituire riferimento nella gestione del territorio per tentare un riavvicinamento tra la societˆ e la natura, nei suoi meccanismi vitali di funzionamento e di reciproco sostentamento? La tutela dellĠecosistema (o meglio degli ecosistemi) pu˜ costituire una strada percorribile per giungere a tale fine? La presente tesi cerca di dare alcune provvisorie risposte limitandosi a sperimentare e valutare le implicazioni che conseguono dal concetto di ecosistema e di ecologia del paesaggio nel settore della gestione del territorio, guardando agli approcci eco sistemici che stanno emergendo dalle elaborazioni giuridiche internazionali ed alle implicazioni che queste possono avere nel nostro ordinamento giuridico, con particolare riferimento agli strumenti di pianificazione territoriale, cercando di percorrere una lettura dellĠapproccio eco sistemico applicabile nel nostro paese, in grado di tener conto della nostra tradizione giuridica e dei metodi colturali di gestione del territorio. La ricerca in particolare si focalizza sulle implicazioni ecosistemiche-ecologiche allĠinterno degli strumenti di conoscenza e valutazione delle scelte di gestione ambientale, in una fase in cui le discipline economiche (economia dellĠambiente) ed ecologiche (ecologia del paesaggio) elaborano strumenti di indagine e studio delle interazioni tra comunitˆ umane ed assetti naturalistici e paesaggistici. (1) S. RODOTË, La vita e le regole, Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano, 2006. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 271 Tali interazioni sono spesso riferite alla morfologia spaziale - geografica del territorio, ridotto ad alcuni singoli elementi, proposti isolatamente dal contesto ecologico e separati dal loro intrinseco sistema vivente: cio dai loro ecosistemi. LĠambito dellĠindagine si concentra nei settori normativi pi direttamente afferenti il territorio e la sua gestione ecologica (biodiversitˆ, reti ecologiche, aree protette). In particolare lĠindagine riguarda la capacitˆ di comprendere, esprimere e valutare i processi ecologici cio le interazioni tra strutture e funzioni. Si tratta quindi di muoversi nellĠambito di una concezione dellĠambiente ÒecocentricaÓ che vede ÒlĠambiente e la natura come valori in sŽ e lĠuomo come elemento vitale che trova il suo posto nellĠequilibrio della biosferaÓ (Stefano Grassi) (2) laddove gli ecosistemi costituiscono la fonte di salute e benessere dellĠuomo. La tesi di dottorato si articola in tre parti principali. 1) La prima parte riguarda le indagini finalizzate a comprendere lĠorigini e lĠevoluzione del concetto di ÒecosistemaÓ (o ÒecosistemiÓ). Il termine ÒecosistemaÓ viene assunto - a partire dalla teoria dei sistemi - nel suo significato di relazioni ecologiche unitarie interconnesse a scale spazio-temporali distinte che legano il singolo elemento (bioma) alla biosfera (lĠintero pianeta) attraverso modalitˆ di interazione codificate dalle discipline dellĠEcologia e dellĠEcosystem Management (EM). Tale tema, ponendo la comprensione degli ecosistemi al centro dellĠindagine, appare coerente con le sfide della complessitˆ, sulle quali il nostro Dottorato si interroga (3), dove si assiste, tra realismo e normativitˆ, al tentativo di indagare nuove frontiere del diritto nella fase cosiddetta della ÒmondializzazioneÓ (4) che ha messo in crisi gli strumenti di regolazione tradizionali (command and control) a favore, sempre pi, di un approccio interdisciplinare e sperimentale (5). ÇIl giurista non deve illudersi di poter svolgere il suo mestiere conoscendo esclusivamente il diritto. Egli deve innanzi tutto conoscere i fenomeni che dovrˆ trattare con gli strumenti del suo mestiereÈ; e ancora ÇLe certezze e le incertezze delle scienze naturali stanno al centro in particolare dei problemi che pongono le attivitˆ economiche dal punto di vista ambientale, cos“ che  con la mediazione dellĠeconomia che spesso meglio si capisce il rilievo della scienza per il diritto dellĠambienteÈ (6). LĠimpostazione di questa prima parte della tesi, riflette la fiducia che possa risultare utile lo sforzo di ricercare concordanze tra discipline scientifiche separate, per allineare categorie appartenenti ad ambiti diversi, laddove un singolo approccio risulti incerto e richieda scelte interpretative, come spesso impone lĠelevato tasso di tecnicitˆ della ma- (2) S. GRASSI, Tutela dellĠambiente (diritto amministrativo), ad vocem, in Annali, aggiornamento I, pp. 1114 ss. (3) C. VINTI, F. MINAZZI, M. NEGRO, A. CARRINO, Le forme della razionalitˆ tra realismo e normativitˆ, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2009 e ivi C. VINTI, Realismo epistemico e crisi dellĠoggettivitˆ, p. 17 ss. e U. ALLEGRETTI, Essenza e futuro della Costituzione repubblicana, pp. 511 ss. e L. FOGLIA, Immagini percettive e non percettive come condizioni di risposta del SŽ, pp. 259 ss. (4) U. ALLEGRETTI, Diritti e Stato nella mondializzazione, Cittˆ aperta edizioni, Trina-Enna, 2002. (5) P. CARETTI, Premessa, in Ambiente e diritto, a cura di S. Grassi, M. Cecchetti, A. Andronio, Leo S. Olschki, Firenze, 1999, p. 5 ss. (6) D. SORACE, Considerazioni conclusive, in Ambiente e diritto, a cura di S. Grassi, M. Cecchetti, A. Andronio, Leo S. Olschki, Firenze, 1999, pp.. 125 e 126. 272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 teria e come peraltro le stesse istituzioni europee suggeriscono (7). Il tema ecologico risulta, in tal senso, al centro del dibattito culturale contemporaneo, come testimoniano la letteratura giuridica recente (8) e le manifestazioni e le iniziative culturali di questi anni (9). In particolare: le scienze ecologiche, economiche, e di governo del territorio - oltre naturalmente quelle giuridiche - costituiscono riferimenti primari per indagare il significato e le implicazioni dei processi ecosistemici. La matrice culturale fondamentale sarˆ costituita dallĠecologia del paesaggio che si  venuta sempre pi affermando come sintesi delle discipline che si occupano di studiare i processi ecologici umani. (...). (Tesi discussa il 5 aprile 2012, TUTOR Prof. Stefano Grassi) SOMMARIO PARTE I: 1. AMBIENTE ED ECOSISTEMI: DEFINIZIONI E CARATTERISTICHE. Origine e definizioni. Scale e confini degli ecosistemi. Organizzazione, funzionamento ed evoluzione. 2. LA GESTIONE AMBIENTALE BASATA SULLĠAPPROCCIO ECOSISTEMICO. Ecosystem approach (EA): caratteristiche e definizione. Ecosystem Management (EM): le basi scientifiche. Gli approcci sperimentali dellĠecosystem approach (EA). 3. (segue) APPROCCIO ECO SISTEMICO: SERVIZI NATURALI DEGLI ECOSISTEMI E BIODIVERSITË (BES). Biodiversitˆ e funzioni degli ecosistemi. 4. TUTELA DELLĠAMBIENTE E DEGLI ECOSISTEMI IN ITALIA: INQUADRAMENTO GENERALE. 1. Ambiente ed ecosistemi: definizioni e caratteristiche. Origine e definizioni. Il termine ecosistema, introdotto allĠart. 117, lett. s), della Costituzione - da cui muove la presente ricerca - riconosce lĠambiente come un sistema, nel quale i fattori naturalistici e quelli antropici interagiscono tra loro. La sua acquisizione nella Carta fondamentale pone la necessitˆ di comprendere il significato e la rilevanza giuridica, che tale concetto assume, nel passaggio dallĠambito scientifico, che lo ha introdotto, a quello giuridico, che lo ha recepito, transitando attraverso le elaborazioni della geografia umana ed economica e delle scienze territoriali e paesaggistiche. (7) Cfr. AA.VV., The Drama of the Commons, a cura di E. Ostrom et altri, National Research Council, Washington D.C., National Academy Press, 2002; N. GEORGESCU ROEGEN, Bioeconomia. Verso unĠaltra economia ecologicamente e socialmente sostenibile, Bollati Boringhieri, Torino, 2003. (8) F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dellĠaltro tra protezione dellĠambiente e tutela della specie umana, editoriale scientifica, 2010; C. DESIDERI, Dalla disciplina del paesaggio alla valutazione delle condizioni di esistenza, 2009, in http://www.issirfa.cnr.it//4554,908.html (contributo destinato al Liber amicorum dedicato a Federico Spantigati, si veda in particolare il punto 3.2. Il paesaggio incerto e senza ambiente del Codice). (9) Basti pensare alla recente mostra ÒDa Corot a Monet. La sinfonia della naturaÓ (Roma, maggio, 2010) che ripropone e documenta puntualmente una lettura della pittura impressionista come espressione di una estetica ecologica finalizzata allĠindagine sugli ecosistemi locali. (...) LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 273 Il punto di partenza dellĠitinerario ermeneutico  costituito dalle scienze biologiche (13), che prospettano molteplici definizioni e classificazioni degli ecosistemi, con esiti anche sensibilmente diversi, passando da una visione iniziale prevalentemente sinecologica, basata sulle comunitˆ di specie (14), ad una visione dellĠecosistema come struttura portante delle attivitˆ economiche e degli assetti paesaggistici costruiti dallĠuomo, come dimostra, da ultimo, la lezione di Andersonn sui principi della wise forest management (2003) e i recenti studi di Almo Farina sulla percezione delle relazioni ecologiche (2010) (15). (13) Il termine ecosistema viene introdotto, per la prima volta, da Arthur G. Tansley nel 1935, riprendendo il concetto di "biocenosi" da Mšbius e quello di "biosistema" da Thiemann. Pochi anni dopo, nel 1939, defin“ e diede il nome ad un altro elemento importante dell'ecologia: l' "ecotopo". Il termine ecologia viene coniato, invece, nel 1866 da E. Haeckel ed  riferito alla scienza che studia le relazioni degli organismi viventi, tra loro e con lĠambiente in cui vivono. Per la bibliografia essenziale in materia di ecologia ed ecosistemi si rinvia a: - E.P. ODUM, Ecology, Holt, Baltimora 1963 (traduz. italiana a cura di Guido Modiano, Zanichelli, Bologna 1966); - S. KAUFFMAN, A casa nell'universo, Ed. Riuniti, 2001; - E. P. ODUM, Ecologia, Bologna, 1966 (in particolare p. 11 e ss.) e, dello stesso Autore, Fundamentals of ecology, Philadelphia, PA Saunders, 1975, e Basi di ecologia, Padova, 1988; - E. J. CORMODY, Concepts of Ecology, Price Hall, New York, 1969; p. 165 ss.; - P. SUSMEL, Principi di ecologia, Padova, 1988, p. 29 ss.; - W. NYBAKKEN, Biologia marina: un approccio ecologico, 1982. - SCIALABBA, Gestione integrata delle aree costiere e lĠagricoltura, la silvicoltura e la pesca, 1998. Dalla letteratura scientifica possiamo trarre alcuni ricorrenti parametri di analisi degli ecosistemi. Ogni ecosistema  costituito da una comunitˆ, detta anche biocenosi o componente biotica, e dall'ambiente fisico circostante, il geotopo, che fa parte di una ecoregione, e che costituisce la componente abiotica, con il quale si vengono a creare interazioni reciproche in equilibrio dinamico. Un ecosistema viene definito come un sistema aperto, con struttura e funzione caratteristica determinata da un flusso di energia e da circolazione di materia tra componente biotica e abiotica. Gli ecosistemi presentano quattro caratteristiche: sono sistemi aperti, sono strutture interconnesse con altri ecosistemi, tendono a raggiungere e a mantenere nel tempo una certa stabilitˆ, sono sempre formati da una componente abiotica e da una componente biotica. Nella quasi totalitˆ degli ecosistemi terrestri il flusso di energia si origina dalla radiazione solare che, a differenza della materia, non  riciclabile. Parte di questa energia viene catturata ed utilizzata dagli organismi autotrofi fotosintetici per la trasformazione della sostanza inorganica in sostanza organica mediante la fotosintesi clorofilliana, che avviene nelle parti verdi delle piante acquatiche e terrestri. (14) Un ecosistema pu˜ essere definito come Ça system of complex interactions of populations between themselves and with their environmentÈ (M. PANDA, Population and Environment Relationship in Developing Countries: a select review of approaches and methods, in www.http://paa2004.princeton.edu) o come Çthe joint functioning and interaction of these two compartments (populations and environment) in a functional unit of variable sizeÈ (M.D. HUNTER, P. W. PRICE, Playing chutes and ladders: heterogeneity and the relative roles of bottom up and top down forces in natural communities, in Ecology, 73(3), 1992, pp. 724-732). Per le scienze biologiche, lĠecosistema costituisce lĠunitˆ funzionale dellĠecologia poichŽ comprende lĠinsieme degli organismi, biotici ed abiotici e le loro interrelazioni, che determinano un equilibrio dinamico in costante evoluzione. Per queste nozioni si rinvia a trattazioni specifiche quali: P. E. ODUM, Ecologia, Bologna, 1966, p. 11 e ss.; E. J. CORMODY, Concepts of Ecology, Price Hall, New York, 1969; p. 165 ss.; P. SUSMEL, Principi di ecologia, Padova, 1988, p. 29 ss. (15) Si vedano dellĠecologo ALMO FARINA le seguenti pubblicazioni: Ecologia del paesaggio, Utet, Torino, 2001; Verso una scienza del paesaggio, Alberto Perdisa editore, Bologna, 2004; Il paesaggio cognitivo. Una nuova entitˆ ecologica, 2007. 274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Il processo di diffusione del concetto di ÒecosistemaÓ, e il suo utilizzo da parte delle autoritˆ istituzionali, produce la dilatazione della originaria e specifica area semantica per assumere una valenza olistica e complessa, che supera la visione del mondo scientifico e pone lĠecosistema alla base delle sfide del nuovo ordine mondiale (16). Gli studiosi di geografia economica e di geografia umana tendono a posizionare il concetto di ecosistema al centro del rapporto tra societˆ e ambiente naturale, come punto di equilibrio necessario per una nuova concezione della sostenibilitˆ dello sviluppo, in grado di salvaguardare il benessere e la salute dellĠuomo (17). LĠOrganizzazione Mondiale della Sanitˆ sottolinea, infatti, lĠinterazione tra ambiente e societˆ nella tutela dellĠecosistema e definisce lĠambiente come ÇlĠinsieme degli elementi fisici, chimici, biologici e sociali che debbono rimanere in equilibrio tra loro per non alterare lĠecosistemaÈ. Risulta evidente che le definizioni esclusivamente tecnico-scientifiche di ÒecosistemaÓ mostrano i loro limiti intrinseci proprio per la valenza interdisciplinare che tale concetto assume allĠinterno della funzione di governance, rispetto alla quale  utilizzato ai fini della presente ricerca. Un contributo importante deriva dalle scienze dellĠecologia del paesaggio e dalle moderne scuole di ecologia applicata che, abbandonando rigide separazioni tra statuti disciplinari, hanno intrapreso riflessioni sulla necessitˆ di considerare tutti gli ecosistemi (naturali, forestali, agricoli, fluviali, marini, urbani) nel contesto ecologico-ambientale di appartenenza, al fine di creare un ambito di riferimento attraverso cui realizzare obiettivi di gestione, definiti in un pi ampio processo di governance. LĠecosistema assume cos“ una dimensione plurisensa che richiama la responsabilitˆ etica intergenerazionale e sfida la capacitˆ delle istituzioni di rappresentare e gestire la ragnatela dei processi vitali, interscalari e diacronici, da cui derivano le condizioni ambientali del futuro del nostro pianeta. ÒSistema composito, complesso, complicato denso di consapevolezze (16) Si veda , ad esempio, W. SACHS, Dizionario dello sviluppo, Edizioni gruppo abele, Bologna, 1992. (17) Come avvertirono i nuovi illuministi del Club di Roma, una maggiore consapevolezza del sistema mondo insita nella concezione di ecosistema e poi lĠadesione al paradigma conciliante della sostenibilitˆ sono condizioni necessarie ma non sufficienti per lĠadesione ad un nuovo ordine mondiale. La realizzazione di questo obiettivo  molto pi problematica di quella evocata negli anni Ġ70 dal nobel dellĠeconomia Jan Tinbergen nel suo progetto RIO (Riconversion International Order). La riproposizione da parte del Nobel per lĠeconomia Amartya Sen si  infatti avvalsa di costanti riferimenti alla dimensione fondamentalmente etica dello sviluppo umano. E il premio nobel Elinor Ostrom affronta direttamente il problema della gestione dei beni collettivi con un approccio ai sistemi territoriali locali, valorizzando direttamente la partecipazione delle comunitˆ locali e le scelte di gestione dei beni collettivi e delle risorse limitate. Vd. E. OSTROM, Governare i beni collettivi, Marsilio, Padova, 2008. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 275 scientifiche fino al punto da racchiudere quasi lĠintero patrimonio acquisito dalla conoscenza umana attuale, lĠecosistema, pur nelle molteplici accezioni, pi o meno puntuali che dilagano, insieme a quelle di sostenibilitˆ, in una copiosa letteratura e in migliaia di siti web, evoca sempre lĠinsieme delle azioni, reazioni e retroazioni legate allo sviluppo umano. Inoltre sembra ormai acquisita la sua flessibilitˆ scalare per cui lĠecosistema mondo  collocato in un continuum, pi o meno gerarchizzato, molto pi articolato della diade locale-globaleÓ(18). Spinelli introduce cos“ il fondamentale tema delle scale e della gerarchia degli ecosistemi. Scale e confini degli ecosistemi. LĠecosistema pu˜ essere considerato a differenti scale geografiche e riferito ad entitˆ biologiche o naturalistiche circoscritte, come un singolo biotopo (19) quale, ad esempio, un albero, fino ad entitˆ geografiche ed ecologiche sempre pi estese e complesse, quali un lago, un bosco o un fiume, interi bacini ed eco-regioni geografiche, il mediterraneo o lĠEuropa centrale, fino al pianeta Terra e allĠintera biosfera. In breve, il mondo pu˜ essere rappresentato come un complesso sistema di ecosistemi tra loro interconnessi secondo differenti scale gerarchiche, e funzionante secondo processi chimici e biologici interni ed esterni, tra le singole parti dellĠecosistema e tra gli ecosistemi nel loro complesso, con scambi di materia e di energia (20). Ne consegue che gli ecosistemi non risultano univocamente definibili alla scala spaziale e la loro mappatura territoriale, pur costituendo presupposto necessario per la gestione eco sistemica, presenta un rilevante grado di convenzionalismo e discrezionalitˆ. I margini di incertezza derivano dalla scala territoriale considerata e dalla (18) G. SPINELLI, La condizione umana nel cambiamento dellĠecosistema, in Bollettino della Societˆ geografica Italiana, Roma, serie XII, vol. V, 2000, pp. 611-619. (19) In ecologia il biotopo  un'area di limitate dimensioni (ad esempio uno stagno, una torbiera, un altipiano) di un ambiente dove vivono organismi vegetali ed animali di una stessa specie o di specie diverse, che nel loro insieme formano una biocenosi. Biotopo e biocenosi formano una unitˆ funzionale chiamata ecosistema. Il biotopo  dunque la componente dell'ecosistema caratterizzata da fattori abiotici (non viventi), come terreno o substrato, con le sue caratteristiche fisiche e chimiche, temperatura, umiditˆ, luce e cos“ via. In alcuni biotopi si ritrova un insieme di caratteristiche specifiche e particolari, non facilmente riproducibili altrove. In tali casi, il biotopo pu˜ rivestire particolare importanza in quanto pu˜ rappresentare l'unico luogo dove vivono specie autoctone. A volte, questo insieme di caratteristiche peculiari  frutto di un equilibrio instabile, come avviene per esempio negli ambienti salmastri di laguna, che sono in costante evoluzione; questo rende fragile l'ecosistema che si regge su quel biotopo. (20) Come osserva Lackey, gli ecosistemi possono essere definiti secondo un ampio range di scale geografiche e territoriali Òfrom a drop of morning dew to an ocean,É from a pebble to a planetÓ. 276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 tipologia dei processi ecologici da assumere come parametri di riferimento (21). Considerando la dimensione ambientale e paesaggistica come lĠespressione di scala superiore per la rappresentazione degli ecosistemi - the total human ecosystem nella definizione di Naveh e Lieberman (22) - ci si chiede quale ruolo possono esprimere le reti ecologiche delle aree protette e se queste sono suscettibili di intercettare e rappresentare la dimensione eco sistemica allo scopo di individuare una scala di gestione efficace rispetto agli obiettivi di conoscenza, di conservazione e di tutela. LĠart. 2 della legge 394 del 1991, legge quadro sulle aree protette, definisce i parchi come Çaree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o pi ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropiciÈ (art. 2 comma 1) e le riserve naturali come Çcostituite da aree che presentino uno o pi ecosistemi importanti per la diversitˆ delle risorse geneticheÈ (art. 2 comma 3). Il termine parco naturale o area protetta - riferito ad ecosistemi naturali che si intendono conservare nella loro integritˆ - pu˜ dunque essere assunto, dal punto di vista ecologico, come uno dei livelli nello spettro dellĠorganizzazione gerarchica degli ecosistemi, da associare alle dinamiche dei contesti territoriali e paesaggistici, generati dalle societˆ umane, attraverso lo strumento delle reti ecologiche (23). Le relazioni tra ambiente, paesaggio e aree protette costituiscono le di- (21) Un tentativo di assumere un ambito eco-geografico significativo  costituito dalle Òeco regioniÓ, definite dal WWF come "unitˆ relativamente grandi di terra o acqua contenenti un assemblaggio distinto di specie e comunitˆ naturali, con confini che approssimano l'estensione originale delle comunitˆ naturali prima di importanti cambiamenti nell'uso della terra". In alternativa si possono definire le ecoregioni come aree di potenziale ecologico basate su combinazioni di parametri biofisici, quali il clima e la topografia. Gli ecologi del WWF propongono di suddividere la superficie continentale della Terra in 8 ecozone principali, contenenti a loro volta 867 ecoregioni terrestri. Tra queste, sulla base del contenuto in biodiversitˆ, ne sono state selezionate 200, denominate "Global 200": queste contengono la maggior parte della biodiversitˆ del pianeta. Il WWF, di conseguenza, sta concentrando i suoi sforzi per la salvaguardia di queste 200 ecoregioni, che - per quanto riguarda l'Italia - comprendono le Alpi e il Mediterraneo. Molti considerano questa classificazione un traguardo fondamentale e propongono le ecoregioni come confini stabili per iniziative di democrazia bioregionale o ecoregionale. Esempi di bio-regioni sono: la foresta amazzonica, il mediterraneo, i deserti, e simili. (22) Z. NAVEH A.S. LIEBERMAN, Landscape ecology. Theory and application, Springer Verlag, New York, 1984. Secondo tale approccio il paesaggio  definibile come un Òsistema complesso di ecosistemiÓ nel quale si integrano fenomeni naturali ed azioni dellĠuomo, secondo i principi dellĠecologia del paesaggio. La denominazione di Òecologia del paesaggioÓ si deve al bio-geografo tedesco Carl Troll che nel 1939 intu“ lĠevoluzione degli ecosistemi e delle loro proprietˆ verso entitˆ superiori che chiam˜ ÒpaesaggiÓ rilevando la necessitˆ di una apposita disciplina per lo studio dei paesaggi ecologicamente definiti. LĠecologia del paesaggio (landscape ecology) nasce infatti come scienza applicata, interfaccia tra geografia ed ecologia. (23) MOTTA R., é possibile migliorare il bosco?, in Forest@ 4 (3), 244-245, 2007, URL: http://www.sisef.it. Naveh e Liebermann hanno definito il paesaggio the total human ecosystem con riferimento alla specie animale in grado di influenzare in maniera pi significativa (nello spazio e nel tempo) i processi naturali. Vd. Z. NAVEH A.S. LIBERMAN, Landscape ecology. Principles and Applications, Springer Verlag, Berlin-Heidelberg, 1984. Cfr. anche B. CASTIGLIONI, Un modello interpretativo per una riflessione sul paesaggio, in Dendronatura, 2, 23-28, 1998. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 277 namiche in cui si inseriscono le differenti scale ecosistemiche e allĠinterno delle quali disciplinare le strutture e le modalitˆ di funzionamento dei singoli ecosistemi (riserva naturale, sito ecologico, parco, paesaggio, ambiente) tenendo conto della loro continua evoluzione e del loro funzionamento in un sistema unico, aperto e interrelato. Organizzazione, funzionamento ed evoluzione. AllĠinterno di ciascun ambito gestionale alle diverse scale - dal biotopo alla biosfera, dallĠarea protetta al paesaggio -  necessario individuare e definire la struttura ed il funzionamento degli ecosistemi e le relative interazioni con le societˆ umane sulla cui base definire gli obiettivi gestionali. Tali interazioni tra ambiente ed attivitˆ umane (agricoltura, pesca, caccia, attivitˆ estrattive, insediamenti urbani) portano a delineare quattro grandi categorie allĠinterno dellĠanalisi eco sistemica: 1) un sistema biotico, che include i target delle risorse di specie e popolazioni, con le specie associate e dipendenti e i loro habitat di vita; 2) un sistema abiotico, caratterizzato dalla topografia dei luoghi, dalla qualitˆ delle acque, dal clima; 3) una organizzazione umana, che determina la raccolta e il consumo delle risorse; 4) un assetto istituzionale, che comprende lĠorganizzazione necessaria per la gestione e il governo del territorio. Gli uomini sono parte della componente biotica degli ecosistemi da cui traggono risorse, cibo e servizi e, al tempo stesso, sono parte delle risorse vitali e degli ecosistemi che contribuiscono a plasmare (24). Nella prospettiva antropologica lĠuomo  sia utilizzatore che creatore delle risorse tuttavia nŽ la creativitˆ umana nŽ le risorse sono illimitate (25). (24) Il nostro pianeta  un insieme di parti legate tra loro da flussi di materia ed energia e funziona come un sistema (geo-sistema) nel quale coesistono ambienti diversi. Il geo-ecosistema si comporta come un sistema aperto che riceve dallĠesterno consistenti apporti di energia ed  mantenuto in equilibrio da una serie di cicli al suo interno (ciclo delle rocce, ciclo dellĠacqua, ciclo del carbonio, ciclo dellĠazoto e simili). I vegetali trasformano lĠenergia solare e la materia abiotica del terreno per produrre bioenergia (produttori). Gli animali "primari" (erbivori) si cibano dei vegetali assorbendone la bioenergia, divenendo, a loro volta, prede degli animali "secondari" (carnivori) e cedendo la bioenergia a questi ultimi. I resti degli animali sono trasformati nuovamente in materia abiotica tramite l'azione dei microrganismi decompositori. La materia  quindi l'oggetto di scambio tra i settori abiotici e biotici mediante continui flussi in equilibrio tra loro. Un terzo elemento fondamentale  l'energia proveniente dal sole. Senza l'irraggiamento solare non ci sarebbero i cicli abiotici e biotici. Senza il sole non ci sarebbero fenomeni atmosferici, piante o altri produttori nŽ la vita come oggi noi la conosciamo. Il problema nasce dalla diversa scala temporale dei processi: quelli brevi dei consumi legati ai tempi economici e quelli lunghi del ripristino o del riequilibrio legati ai tempi geologici. (25) MOSCOVICI, S. The phenomenon of social representations. In R.M. FARR and S. MOSCOVICi, Social Representations, Cambridge, England, Cambridge University Press, 1984. 278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Gli ecosistemi sono entitˆ composite e dinamiche con una grande quantitˆ di flussi di materia, energia e informazioni tra le sue parti componenti, in forme spesso ancora sconosciute (26). I cambiamenti ambientali possono produrre effetti non direttamente controllabili e possono esercitare una influenza fondamentale sulla stabilitˆ e resilienza degli ecosistemi. Visto che molti di questi cambiamenti non sono prevedibili allo stato attuale delle conoscenze, le incertezze sullo stato futuro degli ecosistemi e sulla reazione rispetto alla loro utilizzazione e gestione, possono determinare potenziali errori e conseguenti rischi per le popolazioni e per le stesse risorse. La maggior parte degli Stati  alla ricerca di efficaci strategie per sviluppare una gestione sostenibile degli ecosistemi, in grado di rappresentare la dimensione olistica ed integrata delle relazioni ambientali: si parla infatti di democrazia bio-regionale od eco-regionale. Queste strategie si sviluppano sul sottile crinale che collega le discipline economiche e quelle giuridiche nella gestione dellĠambiente, anche se la relazione tra regolamentazione giuridica e gestione dell'ecosistema sembra essere molto pi complicata di quella tra diritto e sviluppo economico. La ricerca di un modello integrato di governo degli ecosistemi ha portato, infatti, le istituzioni a confrontarsi con un nuovo modello di sviluppo e di gestione che presuppone un approccio eco sistemico cio un modello che riconosca e valorizzi le relazioni tra la societˆ umana ed i servizi che gli ecosistemi rendono allĠuomo. Tentiamo ora di delineare le caratteristiche essenziali di questo approccio, da assumere ai fini dello sviluppo della presente ricerca. 2. La gestione ambientale basata sullĠapproccio eco sistemico. Ecosystem approach (EA): caratteristiche e definizione. Il termine Òecosystem approachÓ  generalmente usato nella forma di Òecosystem approach toÉÓ come, ad esempio,Òecosystem approach to environmental protectionÓ, per indicare appunto un approccio che Çriconosce esplicitamente la complessitˆ degli ecosistemi e le interconnessioni tra le sue parti componentiÈ (27). La Convenzione sulla diversitˆ biologica del 1992 (CBD) definisce lĠap- (26) Non ci sono teorie univoche e condivise sulle forme di controllo di questi flussi mediante: - abitudini alimentari dei grandi predatori (top-down control); - produttori primari (bottom-up control); - specie abbondanti nella parte mediana della catena alimentare (wasp-waist control); - combinazioni di alcune o di tutte queste specie, derivanti dagli ecosistemi e dal loro possibile status. Cfr. R. CURRY, B. DICKSON, I. YASHAYAEV, A change in the freshwater balance of the Atlantic Ocean over the past four decades, in Nature, 18-25 dicembre 2003, p. 426. (27) DUNCAN E. J. CURRIE, Ecosystem-based Management in Multilateral Environmental Agreements: Progress towards Adopting the Ecosystem Approach in the International Managemente of Living Resources, in S. PLOURDE, Fisheries and Oceans, Canada, 2002. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 279 proccio eco sistemico come Çecosystem and natural habitats managementÉ to meet human requirements to use natural resources, whilst maintaining the biological richness and ecological processes necessary to sustain the composition, structure and function of the habitats or ecosystems concerned. Important within this process is the setting of explicit goals and practices, regularly updated in the light of the results of monitoring and research activitiesÈ. Nel corso della Quinta Conferenza delle Parti si precisa che lĠ Òecosystem approachÓ  una strategia Çper la gestione integrata di paesaggio, acqua e risorse vitali che promuove la conservazione e lĠuso sostenibile in modo equo, (É) per raggiungere lĠequilibrio traÉ conservazione, uso sostenibile e giusta condivisione dei benefici derivanti dallĠutilizzo delle risorse geneticheÈ (Decisione V/6). LĠapproccio eco sistemico si fonda su presupposti e requisiti definiti dalle scienze ecologiche applicate e dallĠecologia del paesaggio, che possiamo sintetizzare in: a) definizione e descrizione degli ecosistemi, in termini di scale, estensione, struttura e funzionamento; b) analisi dello stato iniziale dellĠecosistema, in termini di salute ed integritˆ; c) definizione dei pericoli attuali e di quelli futuri, in quanto prevedibili, per la salute dellĠecosistema; d) definizione delle strategie di gestione adattativa per il mantenimento, la protezione, la riabilitazione e lĠuso degli ecosistemi. Tale approccio riconosce che ÇlĠecosistema  una unitˆ funzionale a qualunque scala spaziale É che gli uomini sono una componente integrale di molti ecosistemi É e che si richiede lĠadozione di tecniche di gestione adattativa È (Segretariato della Convenzione sulla diversitˆ biologica, 2000). Dopo la dichiarazione di Reykjavik, lĠEcosystem Approach (EA)  riconosciuto come una forma di governance che utilizza i principi concettuali e gli strumenti operativi tradizionali ma applicati con funzione di gestione dell'ecosistema. Quali campi della moderna governance, le tecniche di gestione eco sistemica trovano le loro radici nelle discipline di gestione delle risorse naturali o della fauna selvatica anche se sono stati messi a punto paradigmi operativi molto diversi, utilizzando e sperimentando la gestione integrata. Il suo contenuto  esplicitato nei dodici principi guida della Dichiarazione di Malawi (Allegato I) (28) che riconosce le caratteristiche fondamentali del- (28) Nel corso di un workshop sullĠapproccio eco sistemico, tenutosi a Lilongwe, Malawi, nel gennaio 1998, sono stati identificati dodici principi per un approccio ecosistemico alla gestione della biodiversitˆ. Tali Principi sono stati poi presentati alla quarta riunione della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversitˆ biologica (Bratislava, Slovacchia, 4-15 maggio 1998, UNEP/CDB/COP/4/Inf.9). Si riportano di seguito tali principi nella lingua originale in cui sono stati formulati: 280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 lĠapproccio eco sistemico come questione di scelta sociale secondo un modello di sussidiarietˆ (1Ħ e 2Ħ principio) riportando gli ecosistemi e le loro interrelazioni nei contesti socio-economici di appartenenza (principi 3 e 4) per conservarne struttura e funzionalitˆ (principi 5 e 6) secondo scale spaziali e temporali appropriate (principi 7 e 8), prendendo atto che il cambiamento dellĠecosistema  inevitabile e che  necessario trovare un equilibrio tra conservazione e consumo della biodiversitˆ (principi 9 e 10) recuperando tutte le forme e i livelli di conoscenza (11 e 12). Ecosystem Management (EM): le basi scientifiche. LĠevoluzione dellĠapproccio eco sistemico e il suo progressivo impiego nella gestione del territorio ha prodotto lĠelaborazione di una specifica pratica: lĠEcosystem Management(EM). Il concetto di Ecosystem Management(EM)  stato introdotto in apertura del trattato sullĠetica della conservazione da Aldo Leopold (1966) (29), si  poi affermato a partire dalla Conferenza su Diritti umani e ambiente di Stoccolma (1972) e diffuso a seguito della Conferenza su Ambiente e sviluppo della Convenzione sulla Diversitˆ Biologica (1992). La gestione dell'ecosistema (o appunto ecosystem management) riguarda un processo di governance guidato da obiettivi espliciti, definiti attraverso il monitoraggio e la ricerca, sulla base della migliore comprensione delle interazioni ecologiche, necessarie per sostenere la struttura e il funzionamento degli ecosistemi e la fornitura dei sevizi. Esistono molte definizioni di Òecosystem managementÓ (30). (1) Management objectives are a matter of societal choice. (2) Management should be decentralized to the lowest appropriate level. (3) Ecosystem managers should consider the effects of their activities on adjacent and other ecosystems. (4) Recognizing potential gains from management there is a need to understand the ecosystem in an economic context, considering e.g. mitigating market distortions, aligning incentives to promote sustainable use, and internalizing costs and benefits. (5) A key feature of the ecosystem approach includes conservation of ecosystem structure and functioning. (6) Ecosystems must be managed within the limits to their functioning. (7) The ecosystem approach should be undertaken at the appropriate scale. (8) Recognizing the varying temporal scales and lag effects which characterize ecosystem processes, objectives for ecosystem management should be set for the long term. (9) Management must recognize that change is inevitable. (10) he ecosystem approach should seek the appropriate balance between conservation and use of biodiversity. (11) The ecosystem approach should consider all forms of relevant information, including scientific and indigenous and local knowledge, innovations and practices. (12) The ecosystem approach should involve all relevant sectors of society and scientific disciplines. (29) A. LEOPOLD, Almanacco di un mondo semplice, Red edizioni, 1997 (edizione italiana). (30) In base agli studi di Lackey, per ecosystem management pu˜ intendersi Òthe application of ecological, economic, and social information, options, and constraints to achieve desired social benefits LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 281 LĠEcological Society of America ha definito lĠecosystem management come Çmanagement driver by explicit goals, executed by policies, protocols, and practicies, and made adaptable by monitoring and research based on our best understanding of the ecological interactions and processes necessary to sustain ecosystem composition, structure, and functionÈ (31). La gestione basata sullĠapproccio eco sistemico (detta anche ecosystem based) non si concentra solo sui risultati di breve periodo ma riguarda, piuttosto, la sostenibilitˆ intergenerazionale e stabilisce obiettivi misurabili che specificano i processi futuri e i risultati necessari per la sostenibilitˆ, attraverso la comprensione e la ricerca svolta a tutti i livelli di organizzazione ecologica. Tale paradigma riconosce che la diversitˆ biologica e la complessitˆ strutturale rafforzano gli ecosistemi contro le perturbazioni esterne e forniscono le risorse genetiche necessarie per adeguarsi ai cambiamento di medio-lungo termine. I maggiori ostacoli riguardano lĠinadeguata informazione sulla diversitˆ biologica degli ambienti e sulle dinamiche degli ecosistemi oltre ad una insufficiente percezione pubblica sui rischi di futuri danni all'ecosistema. Sotto il profilo gestionale i maggiori punti critici riguardano l'apertura e la interconnessione degli ecosistemi su scale che trascendono i confini di gestione su base amministrativa. I processi ecosistemici operano secondo un ampio range di scale spaziali e temporali, e il loro comportamento  fortemente influenzato dai sistemi circostanti. Non esiste pertanto una sola scala appropriata o un periodo circoscritto di tempo per la loro gestione proprio in ragione del carattere fortemente dinamico e dellĠinevitabile cambiamento cui gli ecosistemi sono soggetti. Riconoscendo che il cambiamento e l'evoluzione sono connaturati alle dinamiche degli ecosistemi, la gestione dovrˆ privilegiare approcci di gestione adattativa da intendere come ipotesi soggette continuamente a verifica sulla base di programmi di ricerca e monitoraggio continuo (32). within a defined geographic area and over a specified periodÓ (LACKEY, R.T., Radically contested assertions in ecosystem management, J. Sustainable Forestry, 1999, 9(1-2):21- 34). Assumendo una definizione pi generale, lĠEcosystem management pu˜ essere identificato come: Ça management philosophy which focuses on desired states rather than system outputs and which recognizes the need to protect or restore critical ecological components, functions and structures in order to sustain resources in perpetuityÈ (H. J. CORTNER et al., Institutions matter: the need to address the institutional challenges of ecosystem management, 1994). Vedere anche: CHRISTENSEN, e altri, The scientific basis for ecosystem managemen, in Ecological Applications, 1996, 6:665-691; R. T. LACKEY, Values, Policy, and Ecosystem Health, BioScience 51(6): 437-443. 2001. (31) The Report of the Ecological Society of America Committee on the Scientific Basis for Ecosystem Managemente, p. 665, in http://www.jstor.org, 21 novembre 2004. (32) Si riportano di seguito i precetti scientifici fondamentali per la gestione degli ecosistemi, elaborati dalle moderne scuole di ecologia applicata. 282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Gli approcci sperimentali dellĠecosystem approach (EA). Alcune sperimentazioni dellĠapproccio ecosistemico sono state promosse dalla disciplina internazionale e comunitaria - e recentemente anche da quella interna - che riguarda, principalmente, le aree costiere e marine degli oceani e del Mediterraneo, le aree protette, alcune proprietˆ pubbliche. Gli Stati Uniti hanno avviato, per le proprietˆ federali, alcune esperienze di gestione ecosistemica (33) sulla base della legislazione previgente. Alcuni riferimenti espliciti agli ecosistemi e alla biodiversitˆ sono contenuti nellĠEndangered Species Act del 1973, nel National Forest Management Act del 1976, e nel National Environmental Policy Act del 1969. Tali riferimenti sono stati interpretati a sostegno delle iniziative di gestione eco sistemica sul dominio pubblico federale e, di conseguenza, il concetto di gestione dell'ecosistema  (1) Definire obiettivi e strategie sostenibili. Strategie sostenibili per la fornitura di beni e servizi ecosistemici non possono assumere come punto di partenza le aspettative o i desideri attuali delle popolazioni come l'approvvigionamento di legname, la domanda d'acqua, la pesca a prescindere dalle capacitˆ degli ecosistemi. Piuttosto, la sostenibilitˆ deve essere il paradigma primario, e i livelli di fornitura delle materie prime devono essere regolati secondo tale parametro. (2) Conciliare scale spaziali. La funzione degli ecosistemi comprende ingressi, uscite, cicli di materiali ed energia, interazioni tra organismi. I confini o i perimetri definiti per lo studio o la gestione di un processo sono spesso inadeguati allo studio di altri. La gestione dell'ecosistema sarebbe notevolmente semplificata se le giurisdizioni amministrative risultassero spazialmente coerenti con il comportamento dei processi degli ecosistemi. Vista la varietˆ nel dominio spaziale tra processi, non  possibile adottare una soluzione unitaria per tutti i processi mentre appare pi facilmente praticabile la ricerca di coordinamento tra i vari attori compresi all'interno di ciascun ecosistema alla scala considerata. (3) Conciliare scale temporali. Le autoritˆ amministrative di gestione sono spesso costrette a prendere decisioni secondo fasi temporali su base annuale, la gestione degli ecosistemi deve fare i conti con scale temporali intergenerazionali e richiedono pianificazioni a lungo termine. (4) Rendere il sistema di gestione adattabile. La corretta gestione dell'ecosistema richiede istituzioni in grado di adattarsi ai cambiamenti delle caratteristiche degli ecosistemi e della nostra conoscenza di base. La gestione adattativa richiede pertanto l'interazione continua dello scienziato con i dirigenti e il pubblico. La comunicazione deve fluire in entrambe le direzioni e gli scienziati devono essere disposti a dare la prioritˆ nelle loro ricerche alle necessitˆ di gestione critica, sviluppando programmi di monitoraggio e modelli scientifici adeguati supportati da nuovi meccanismi per comunicare ricerca e risultati di gestione al pubblico e ai manager. (5) La biodiversitˆ e la funzione degli ecosistemi dipende dalla sua struttura, diversitˆ ed integritˆ. La gestione dell'ecosistema cerca di mantenere la diversitˆ biologica come elemento fondamentale per rafforzare gli ecosistemi contro i disturbi esterni. Cos“, la gestione della diversitˆ biologica riconosce che la struttura e il funzionamento dellĠecosistema  influenzato significativamente dal sistema circostante. (6) Riconoscere l'incertezza e i limiti della conoscenza. La gestione dell'ecosistema riconosce che i fenomeni si basano su previsioni incerte. La gestione adattativa risolve questa situazione di incertezza combinando l'analisi scientifica, l'educazione e l'apprendimento istituzionale, la nostra comprensione dei processi degli ecosistemi e le conseguenze di interventi di gestione per migliorare la qualitˆ dei dati da porre alla base delle decisioni. The Report of the Ecological Society of America Committee on the Scientific Basis for Ecosystem Managemente, p. 665, in http://www.jstor.org, 21 novembre 2004. (33) Cfr. ROBERT B. KEITER, Ecosystems and the Law: Toward an Integrated Approach, in Ecological Applications, Volume 8, Issue 2 (May 1998) pp. 332-341, Ecological Society of America, in http://www.jstor.org/stable/i325028. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 283 stato approvato da tutte le agenzie di gestione delle terre federali. Per le proprietˆ pubbliche, dunque, la gestione su base eco sistemica pu˜ ritenersi in fase di sperimentazione mentre non  applicata alle aree in regime di proprietˆ privata. Per gli ecosistemi marini, il Large Marine Ecosystem approach (LMEA), elaborato dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), in base al piano d'azione americano (USOAP 2004), ha introdotto cinque moduli per strutturare lĠapproccio eco sistemico (produttivitˆ, risorse, inquinamento e salute degli ecosistemi, aspetti socioeconomici, governance) da applicare a sedici progetti internazionali col coordinamento delle Nazioni Unite (ONU) (34). I progetti risultano coerenti con il vertice mondiale di Johannesburg del 2002 sullo Sviluppo Sostenibile (WSSD), mirato a proteggere, ripristinare e gestire l'utilizzo delle risorse costiere ed oceaniche attraverso un approccio eco sistemico entro il 2010 e confermano la progressiva adozione da parte dellĠONU. La Direttiva FAO Ecosystem approach to fisheries (1995) propone il passaggio da un approccio monospecifico, che prestava attenzione alla single specie attraverso il sistema delle quote di pescato, ad un approccio eco sistemico che tiene in considerazione lĠintero sistema ambientale e il suo funzionamento, basato sulle dinamiche dei processi ecologici e sulla struttura e funzionamento dellĠecosistema. Il Reg. UE 199/2008 per il monitoraggio sulle risorse mediante raccolta costante di dati strutturali (ad esempio il numero delle barche e le caratteristiche dello sbarcato) ma anche attivando ricerche indipendenti sulle modalitˆ di funzionamento dellĠecosistema ittico e non solo delle specie bersaglio della pesca. Nel modulo utilizzato a tal fine, tra gli indicatori eco sistemici, compare la biodiversitˆ. Tali studi sono finalizzati a mappare le aree sensibili per passare dal dato conoscitivo al dato gestionale (Reg 1967/2006 UE). La Direttiva quadro per lĠambiente marino (2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008), che istituisce un quadro per lĠazione comunitaria nel campo della politica per lĠambiente marino, prende atto, nei considerando, che Çle pressioni sulle risorse marine naturali e la do- (34) Si rinvia a: Global applications of the Large Marine Ecpsystem Concept 2007-2010, a cura di Kenneth Sherman, Marie-Christine Aquarone, and Sally Adams, 2010. Nell'ecosistema marino di grandi dimensioni (LME) il NOAA ha messo a punto un modello sperimentale di gestione basato sullĠapproccio ecosystemico (ecosystem based) da applicare a 16 progetti internazionali in Africa, Asia, America Latina e Europa dell'Est. Tale modello prevede la messa a punto di un sistema da applicare in alcune regioni in collaborazioni con i paesi costieri secondo i cinque moduli (produttivitˆ, risorse, inquinamento e salute degli ecosistemi, aspetti socioeconomici, governance). Il modulo di governance sta mettendo in atto pratiche innovative nei progetti GEF-LME attualmente in corso in Africa e in Asia, per la Guinea, e per il Benguela, dove sono stati raggiunti accordi tra l'impatto ambientale, i ministri della pesca, dell'energia e del turismo dei paesi che entrano in relazione con il LME per una valutazione internazionale delle risorse e sono state istituite commissioni di gestione. Per il LME che interessa la Grande Barriera Corallina e lĠAntartide la gestione eco sistemica  garantita tramite la Commissione per la Conservazione delle Risorse Biologiche Marine. 284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 manda di servizi eco sistemici marini sono spesso troppo elevateÈ e che gli ecosistemi marini devono essere preservati mediante apposite strategie in attuazione del Sesto Programma di azione ambientale includendo, in tale approccio, le aree protette marine, al fine di conseguire un buono stato ecologico per consentire un uso sostenibile della biodiversitˆ e mantenere livelli di produttivitˆ degli ecosistemi (35). Il buono stato ecologico  conseguito per ciascuna regione o sottoregione (36) mediante la gestione adattativa basata sullĠapproccio eco sistemico, identificando, a tal fine: lo Òstato ecologicoÓ iniziale (art. 3 comma 1, punto 4 ) (37); il Òbuono stato ecologicoÓ da conseguire e mantenere (art. 3 comma 1 punto 5) (38) e lĠinquinamento (art. 3, comma 1, punto 8) (39). (35) A tali fini la direttiva 2008/56 istituisce un quadro allĠinterno del quale gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire o mantenere un buono stato ecologico dellĠambiente marino entro il 2020, ripristinando gli ecosistemi marini nelle zone dove hanno subito danni ed eliminando progressivamente lĠinquinamento per escludere impatti significativi per la biodiversitˆ, gli ecosistemi la salute umana e gli usi legittimi del mare (art. 1, comma 2). A tal fine le strategie per lĠambiente marino Çapplicano un approccio eco sistemico alla gestione delle attivitˆ umane, assicurando che la pressione collettiva di tali attivitˆ sia mantenuta entro livelli compatibili con il conseguimento di un buono stato ecologico e che la capacitˆ degli ecosistemi marini di reagire ai cambiamenti indotti dallĠuomo non sia compromessa, consentendo nel contempo lĠuso sostenibile dei beni e dei servizi marini da parte delle generazioni presenti e futureÈ (art. 1, comma 3). (36) Sono regioni o sottoregioni marine, ad esempio, la regione marina del Mar Mediterraneo e le sottoregioni Mediterraneo occidentale, Adriatico, Ionio e Mediterraneo centrale, Egeo orientale. (37) ÇStato ecologico: stato generale dellĠambiente nelle acque marine, tenuto conto della struttura, della funzione e dei processi degli ecosistemi marini che lo compongono, nonchŽ dei fattori fisiografici, geografici, biologici, geologici climatici naturali e delle condizioni fisiche, acustiche e chimiche, comprese quelle risultanmtio dalle attivitˆ umane allĠinterno o allĠestreno della zona considerataÈ (Dir. 2008/56 CE, art. 3 comma 1, punto 4). (38) ÇBuono stato ecologico: stato ecologico delle acque marine tale per cui queste preservano la diversitˆ ecologica e la vitalitˆ di mari ed oceani che siano puliti, sani e produttivi nelle proprie condizioni intrinseche e lĠutilizzo dellĠambiente marino resta ad un livello sostenibile, salvaguardando in tal modo il potenziale per gli usi e le attivitˆ delle generazioni presenti e future, vale a dire: a) la struttura, le funzioni e i processi degli ecosistemi che compongono lĠambiente marino, assieme ai fattori fisiografici, geografici, geologici e climatici, consentono a detti ecosistemi di funzionare pienamente e di mantenere la loro resilienza ad un cambiamento ambientale dovuto allĠattivitˆ umana. Le specie e gli habitat marini sono protetti, viene evitata la perdita di biodiversitˆ dovuta allĠattivitˆ umana e le diverse componenti biologiche funzionano in modo equilibrato; b) le proprietˆ idromorfologiche e fisico-chimiche degli ecosistemi, ivi comprese le proprietˆ derivanti dalle attivitˆ umane nella zona interessata, sostengono gli ecosistemi come sopradescritto. Gli apporti antropogenici di sostanze ed energia, compreso il rumore, nellĠambiente marino non causano effetti inquinanti È (Dir. 2008/56 CE, art. 3 comma 1, punto 5). (39) ÇInquinamento: introduzione diretta o indiretta, conseguente alle attivitˆ umane, di sostanze od energia nellĠambiente marino, compreso il rumore sottomarino prodotto dallĠuomo, che provoca o che pu˜ provocare effetti deleteri come danni alle risorse biologiche o agli eosistemi marini, inclusa la perdita di biodiversitˆ, pericoli per la salute umana, ostacoli alle attivitˆ marittime, compresi la pesca, il turismo, lĠuso ricreativo e altri utilizzi legittimi del mare, alterazioni della qualitˆ delle acque marine che ne pregiudichino lĠutilizzo e una riduzione della funzione ricreativa dellĠambiente marino o, in generale, il deterioramento dellĠuso sostenibile dei beni e dei servizi mariniÈ (Dir. 2008/56 CE, art. 3 comma 1, punto 8). LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 285 LĠattuazione della Direttiva 2008/56  avvenuta, in Italia, mediante decreto legislativo 13 ottobre 2010 n. 190, recante Attuazione della direttiva 2008/56/CE che istituisce un quadro per lĠazione comunitaria nel campo della politica per lĠambiente marino: la definizione di stato ambientale su base ecologica- eco sistemica introdotta dal decreto (40) tiene Çconto della struttura, della funzione e dei processi degli ecosistemi mariniÈ con particolare attenzione alle attivitˆ umane, adottando la gestione ecosistemica per escludere Çdanni alle risorse biologiche É inclusa la perdita di biodiversitˆ, pericoli per la salute umana, É alterazioni della qualitˆ delle acque marine che ne pregiudichino lĠutilizzo e ne riducano la funzione ricreativa e o, in generale, la compromissione dellĠuso sostenibile dei beni e dei servizi mariniÈ (41). 3. (segue) Approccio eco sistemico: servizi naturali degli ecosistemi e biodiversitˆ (BES). LĠapproccio eco sistemico - come abbiamo visto nei paragrafi precedenti - riconosce i servizi eco sistemici e la biodiversitˆ quali elementi fondamentali (40) LĠart. 1 del d.lgs. 190/2010, nel fissare le strategie di tutela fa espresso riferimento allĠapproccio eco sistemico ed indica che tali strategie: - Çapplicano un approccio eco sistemico alla gestione delle attivitˆ umane per assicurare che la pressione complessiva di tali attivitˆ sia mantenuta entro livelli compatibili con il conseguimento di un buon stato ambientaleÈ (art. 1, comma 2, lett. a); - Çsalvaguardano la capacitˆ degli ecosistemi marini di reagire ai cambiamenti indotti dallĠuomoÈ (lett. b); - Çconsiderano gli effetti transfrontalieri sulla qualitˆ dellĠambiente marino degli Stati terzi situati nella stessa regione o sottoregione marinaÈ (lett. c); - Çrafforzano la conservazione della biodiversitˆ dellĠambiente marino, attraverso lĠampliamento e lĠintegrazione della rete delle aree marine protette previste dalla vigente normativa e di tutte le altre misure di protezioneÈ (lett. e); - Çassicurano che le condizioni di monitoraggio e la ricerca scientifica sul mare siano orientate allĠacquisizione delle conoscenze necessarie per la razionale utilizzazione delle sue risorse e potenzialitˆÈ (lett. f). (41) Si riportano di seguito le definizioni adottate dal d.lgs. 190/2010: - Çstato ambientale: stato generale dellĠambiente nelle acque marine, tenuto conto della struttura, della funzione e dei processi degli ecosistemi marini che lo compongono, nonchŽ dei fattori fisiografici, geografici, biologici, geologici e climatici naturali e delle condizioni fisiche, acustiche e chimiche, comprese quelle risultanti dalle attivitˆ umane allĠinterno o allĠesterno della zona considerataÈ (dlgs 190/2010, art. 3, comma 1, lett. g); - Çbuono stato ambientale: stato ambientale delle acque marine tale per cui le stesse preservano la diversitˆ ecologica e la vitalitˆ di ari ed oceani puliti, sani produttivi nelle proprie condizioni intrinseche e tale per cui lĠutilizzo dellĠambiente marino si svolge in modo sostenibile, salvaguardandone le potenzialitˆ per gli usi e le attivitˆ delle generazioni presenti e future. Il buono stato ambientale  definito in relazione a ciascuna regione o sottoregione marina, sulla base dei descrittori qualitativi dellĠallegato IÈ (dlgs 190/2010, art. 3, comma 1, lett. f); - Çinquinamento: introduzione diretta o indiretta, conseguente alle attivitˆ umane, di sostanze o energia nellĠambiente marino, compreso il rumore sottomarino prodotto dallĠuomo, che provoca o che pu˜ provocare effetti negativi come danni alle risorse biologiche e agli ecosistemi marini, inclusa la perdita di biodiversitˆ, pericoli per la salute umana, limitazioni alle attivitˆ marittime, compresi la pesca, il turismo, lĠuso ricreativo e altri utilizzi legittimi del mare, alterazioni della qualitˆ delle acque marine che ne pregiudichino lĠutilizzo e ne riducano la funzione ricreativa e o, in generale, la compromissione dellĠuso sostenibile dei beni e dei servizi mariniÈ dlgs 190/2010, art. 3, comma 1, lett. l). 286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 e caratterizzanti degli ecosistemi e, in quanto tali, suscettibili di assumere valore strategico nella definizione dei modelli di tutela, idonei a costituire la base scientifica su cui modulare strumenti e tecniche di gestione. LĠordinamento giuridico accorda esplicito riconoscimento ai servizi eco sistemici, con particolare riferimento ai profili risarcitori. La Direttiva comunitaria sullĠillecito ambientale definisce i servizi naturali meritevoli di tutela come Çfunzioni svolte da una risorsa naturale a favore di altre risorse naturali e/o del pubblicoÈ (art. 2, par. 13). Il D.lgs. n. 152 del 2006, che concorre ad attuare la suddetta direttiva 2004/35/CE, allĠart. 300, eleva i servizi naturali a componenti ambientali suscettibili di riparazione e li descrive come fenomeni di interazione dinamica tra le singole risorse naturali, a loro volta suscettibili di ristoro anche isolatamente considerate (42). La dottrina ha rilevato come ÇlĠesplicito riferimento ai servizi, in seno alle norme, vale ad affrancare la configurazione giuridica dellĠambiente dallo schema della giustapposizione di corpi, esaltando un dato funzionale che a sua volta chiama in causa le interdipendenzeÈ (43). La qualitˆ dei servizi forniti dagli ecosistemi dipende dal loro stato di salute e quindi anche dalla loro biodiversitˆ. Da molti anni ormai anche in Italia, al bosco cos“ come al fiume o al sistema costiero, ma anche agli altri stadi della successione ecologica, vengono attribuite e riconosciute, una molteplicitˆ di funzioni rispetto a quelle inerenti i servizi economici produttivi tradizionali (ad esempio la filiera foresta-legno o la regimazione delle acque e protezione di insediamenti, opere e manufatti), derivanti dalla loro essenza di sistemi ecologici, quali quelle relative alla conservazione della natura. LĠimportanza della biodiversitˆ per lĠuomo  infatti dovuta alle numerose prestazioni fornite dagli ecosistemi come dimostra il progetto Millennium Ecosystem Assessment (MA, 2005) (44), condotto sotto gli auspici delle Nazioni Unite e in particolare dellĠ United Nations Environmental Programme (UNEP) con lĠobiettivo di analizzare, su basi scientifiche multidisciplinari, lĠevoluzione degli ecosistemi del pianeta e lĠincidenza delle attivitˆ umane al fine di identificare le strategie di intervento per uno sviluppo sostenibile (45). (42) Si rinvia alla seconda parte della presente ricerca per la trattazione di dettaglio di questi argomenti. (43) M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dellĠambiente come sistema complesso, adattativo, comune, G. Giappichelli editore, Torino, 2007, p. 122 ss. (44) Si stima che il valore economico globale di queste prestazioni si situi tra i 16000 e i 54000 miliardi di dollari lĠanno, di cui trae beneficio la maggior parte dei settori della societˆ: agricoltura, selvicoltura, pesca, caccia, sport, turismo, industria farmaceutica, dei profumi e tessile, edilizia, commercio di materie prime e sanitˆ. (45) Secondo il Millennium Ecosystem Assessment, si possono distinguere quattro categorie di servizi ecosistemici: LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 287 I benefici di tali servizi non sono sufficientemente rappresentati nellĠattuale regime convenzionale di economia di mercato che non riesce a contabilizzare e recepire, nei sistemi fiscali contemporanei, fenomeni quali l'inquinamento, la deforestazione o la riduzione delle funzioni ecologiche. Diviene cos“ basilare determinare: 1. fino a che punto gli ecosistemi sono in grado di fornire beni e servizi in modo sostenibile e come possiamo misurare gli effetti del degrado degli ecosistemi e la perdita di biodiversitˆ; 2. come attribuire valore ai servizi eco sistemici - valore non solo economico, ma anche ecologico e culturale - e promuoverne la effettiva percezione da parte delle popolazioni; 3. come identificare gli utenti o i beneficiari dei servizi ecosistemici e coinvolgerli nella definizione di strategie di tutela e nel controllo degli investimenti finanziari; 4. come comunicare le conoscenze sui servizi ecosistemici ai decisori e all'opinione pubblica, e quindi costruire il supporto locale e politico per una effettiva partecipazione e tutela; 5. come convincere i finanziatori che i benefici della conservazione e dell'uso sostenibile degli ecosistemi superano i costi. Si deve tuttavia rilevare come, negli ultimi decenni, l'attenzione per i servizi ecosistemici e per il loro valore  sensibilmente aumentato. Le conferenze internazionali quali il Congresso Mondiale dei Parchi di Durban, nel 2003, o il World Conservation Congress, promosso dallĠIUCN a Bangkok nel 2004, cos“ come le convenzioni internazionali sulle zone umide di Ramsar e sulla diversitˆ biologica di Rio, hanno sottolineato il valore e lĠimportanza dei servizi eco sistemici e il Millennium Ecosystem Assessment ha messo in evidenza la dipendenza del benessere umano dagli ecosistemi e sottolineato la necessitˆ di descrivere e quantificare il valore e l'importanza dei beni e servizi forniti dagli ecosistemi e dalla biodiversitˆ. Mediante lĠEcosystem Partnership Service dellĠONU-UICN  stata co- - Prestazioni di sostegno: tra le prestazioni di base degli ecosistemi non utilizzate direttamente dallĠuomo, ma indispensabili per tutte le altre prestazioni figurano la produzione di ossigeno e il mantenimento dei cicli dei nutrienti o del ciclo dellĠacqua. - Prestazioni di approvvigionamento economico. Gli ecosistemi e le loro specie sono fattori di produzione di numerosi beni come acqua potabile, cibo, vettori energetici, fibre per lĠabbigliamento, materiali di costruzione o principi attivi della medicina. Le risorse genetiche sono la base per lo sviluppo di nuove piante utili, farmaci e materie prime per lĠindustria. Gli ecosistemi e le loro specie sono importanti per lĠimpollinazione e la lotta contro i parassiti nellĠagricoltura e formano suoli fertili. - Prestazioni di regolazione a favore della sicurezza. Le biocenosi naturali negli ecosistemi assorbono CO2, proteggono contro le valanghe e le piene, prevengono lĠerosione e regolano il clima. - Prestazioni culturali. Gli ecosistemi e le specie contribuiscono alla varietˆ dei paesaggi, rispondendo cos“ ai bisogni estetici dellĠuomo. La funzione ricreativa della biodiversitˆ  notevole. Da sempre lo sviluppo della cultura e delle societˆ  strettamente legato alla biodiversitˆ: basti pensare alle conoscenze tradizionali sulle piante medicinali. 288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 stituita, nel 2008, una piattaforma per favorire la collaborazione tra scienziati e professionisti per lo scambio di studi e ricerche sui servizi ecosistemici (46). Recentemente lo studio TEEB (The Economics and the Ecosystem Biodiversity), presentato alla decima Conferenza delle parti della CBD, tenutasi a Nagoya in Giappone nel 2010, in attuazione della Convenzione sulla diversitˆ biologica, ha promosso la valutazione globale della rilevanza economica della biodiversitˆ e degli ecosistemi (47). Biodiversitˆ e funzioni degli ecosistemi. Secondo la chiave di lettura proposta dal Millennium Ecosystem Assessment la biodiversitˆ  un elemento costitutivo fondamentale della vita sulla Terra e un presupposto essenziale per la fornitura dei servizi naturali stessi. Per ÒbiodiversitˆÓ pu˜ intendersi la varietˆ della vita allĠinterno di un ecosistema o dellĠintero pianeta, spesso usata come misura della salute biologica (48), anche se le definizioni non sono univoche nellĠambito della biologia conservazionistica. In generale gli scienziati concordano che il numero delle specie per unitˆ di area fornisce un utile punto di partenza (49) anche se  riconosciuto che alcune specie possono risultare pi importanti di altre per la biodiversitˆ (50). Gli ecologi hanno accettato che la biodiversitˆ possa essere descritta e misurata in termini di diversitˆ di specie allĠinterno di una comunitˆ o di un habitat (51) ovvero in termini di diversitˆ delle funzioni ecologiche (52). Si deve rilevare che la capacitˆ di comprensione di questi concetti da parte del pubblico pu˜ sollevare alcune problematiche. Le indagini hanno rivelato che il grande pubblico ha una scarsa conoscenza del significato di ÒbiodiversitˆÓ. Il termine, infatti, elaborato dalle discipline scientifiche,  oggi usato in contesti culturali molto diversi. Una rilettura del concetto scientifico di biodiversitˆ ed una analisi della sua percezione da parte degli stakeholders  oggi necessario (53). La biodiversitˆ richiede una analisi multi prospettiva integrando diversi (46) Si veda ampiamente il sito: www.es-partnership.org. (47) Il rapporto TEEB  consultabile sul sito: www.teebweb.org. Si veda anche il Journal of Biodiversity Science, sui legami tra biodiversitˆ, servizi ecosistemici e gestione degli ecosistemi, consultabile in www.tandf.co.uk / riviste/TBSM. (48) CHRIS IMPEY, La fine di tutto, Dai singoli individui allĠintero universo, W.W. Northon & Company, 2010, edizione italiana trad. Jasmina Trifoni, ed. Puntoweb, 2010, in Glossario, p. 306. (49) HARPER J.L., HAWKSWORTH D.L. Preface. In: Hawksworth, Biodiversity: Measurement and Estimation, Chapman and Hall, London, 1995, pp. 5-12. (50) WILSON C., TISDELL C., Conservation and economic benefits of wildlife-based marine tourism: sea turtles and whales as case studies. Human Dimensions of Wildlife, 2003, 8, pp. 49-58. (51) ARTS G.H.P., ROELOFS J.G.M., DE LYON M.J.H. Differential tolerances among softwater macrophyte species to acidification. Canadian Journal of Botany (1990). 68: 2127-2134. (52) STENECK R.S., DETHIER M.N., A functional group approach to the structure of algal-dominated communities. Oikos, 1994, 69, pp. 476-498. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 289 approcci scientifici ed umanistici (geografia, botanica, zoologia, ecologia, socio-economia, agro economia, diritto, politiche). NellĠambito della definizione degli approcci, una delle necessitˆ che si presenta  quella di classificare i diversi ecosistemi e le tipologie dei servizi offerti. Metodologie e tecniche di ecologia quantitativa, analisi dei sistemi, valutazione economica dei beni non di mercato, possono permettere, attraverso un applicazione integrata e sinergica, di produrre le valutazioni necessarie, purchŽ non si perda di vista la dimensione intrinsecamente dinamica dei socioecosistemi. Molto spesso singole misure efficaci per la conservazione di un certo ecosistema e/o la valorizzazione di uno specifico servizio possono avere effetti collaterali negativi su altri servizi, oppure su altri ecosistemi, anche a grandi distanze. é risultato ben chiaro lĠimportanza di assegnare un valore alla biodiversitˆ al fine di stabilire prioritˆ di gestione (54). Il problema valutativo consiste allora nellĠanalisi dei servizi offerti da ogni ecosistema, partendo dalla loro identificazione per passare poi alla quan- (53) La risoluzione del Parlamento europeo del 27 settembre 2010 ha sottolineato l'importanza di proteggere la tradizionale conoscenza ecologica (TEK) e il loro ruolo in una pianificazione partecipativa. Gli effetti delle politiche su queste prospettive non sono immediati (ad esempio, l'educazione nelle scuole elementari avranno effetti a lungo termine e non lineare) e le tendenze generali possono essere stimate solo a ritroso, e ad una scala pi grande del fenomeno in esame. In ogni caso, la creazione di legami basati sulla fiducia reciproca tra le parti interessate, compresi quelli che studiano la biodiversitˆ e la gestione, migliora il processo e favorisce la creazione di feed-back, che sono un efficace sistema di regolazione di processo in un ambiente complesso. (54) I responsabili politici e gli scienziati sostengono che i criteri economici devono essere parte dell'attuazione delle politiche di conservazione e comprendono il valore economico della biodiversitˆ (Risoluzioni del Parlamento europeo 27 e 21 settembre 2010). Tra le tecniche di valutazione economica, il metodo di valutazione contingente  stato ampiamente utilizzato per misurare il valore economico della specie e della biodiversitˆ. La procedura  basata su un mercato ipotetico nel quale si chiede alle persone di esprimere la loro massima disponibilitˆ a pagare (WTP) per la protezione della biodiversitˆ. In generale, le specie utili per gli esseri umani sono positivamente correlate al WTP, mentre quelle che producono danni economici ottengono indici negativi. La maggior parte delle specie sono valutate come neutrali, nonostante il loro ruolo negli ecosistemi. Ne emerge un quadro che privilegia una specie a fronte di unĠaltra, danneggiando cos“ l'ecosistema nel suo complesso. Il valore dellĠambiente  composto da valori dĠuso e da valori di esistenza (valori di non uso). Esistono una serie di approcci che possono essere impiegati per scopi di valutazione economica. Gli approcci ipotetici basano la loro stima diretta o indiretta sulle risposte alle domande di valutazione ipotetica. Questi approcci includono prezzo competitivo di mercato, mercati simulati, giochi di offerta e disponibilitˆ a pagare, classifica contingente, e referendum contingente. Ciascuno di questi approcci ha i suoi vantaggi e svantaggi e non possono essere impiegati in genere per affrontare tutti i casi possibili. Ci sono tuttavia alcuni punti critici. McVittie e Moran argomentano contro un modello di valutazione top-down preferendo quelli generati attraverso una cooperazione con le parti interessate, fino ad indurre un apprendimento. Si suggerisce che la comprensione corretta del benessere umano si costruisce dal basso verso l'alto mediante la comprensione dei processi. 290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 tificazione, ed infine, alla loro valorizzazione, individuando specifici strumenti come nel caso dei Payment for Ecosystem Services (PES). é, pertanto, necessario integrare il valore della biodiversitˆ e le funzioni dellĠecosistema con i relativi benefici e servizi ad essi associati, allĠinterno di politiche e di strumenti di gestione per sviluppare e applicare un nuovo concetto integrato del valore della biodiversitˆ, come richiedono le linee di ricerca pi avanzate (55). Prioritariamente le strategie si rivolgono agli strumenti di conservazione della natura. Considerando, tuttavia, la caratteristica di sistemi aperti che  connaturata agli ecosistemi, le politiche di conservazione delle aree protette non possono prescindere dalle necessarie interconnessioni con gli altri ecosistemi, come dimostra il tentativo di organizzare le aree protette a livello globale, europeo e mondiale, secondo una rete ecologica, integrata e diffusa. La partizione in aree protette e non protette  necessaria nell'attuale crisi ambientale dei paesi sviluppati. Scientificamente, tuttavia, il concetto stesso di partizione  in contrasto con le caratteristiche fondamentali degli ecosistemi che sono, per definizione, aperti e dinamici. Il concetto di aree protette, ai fini della presente ricerca, dovrˆ pertanto essere illustrato valorizzando le interpretazioni coerenti con i valori ecologici ed eco sistemici, come vedremo nel prosieguo del lavoro e soprattutto nella parte terza. 4. Tutela dellĠambiente e degli ecosistemi in Italia: inquadramento generale. Nel Digesto delle discipline pubblicistiche si legge che Çsotto il termine ecologia pu˜ essere riassunto, dal punto di vista giuridico, tutto il sistema normativo funzionale alla prevenzione e alla lotta agli inquinamenti e alla protezione dellĠambiente naturaleÈ(56): ci˜ lascia sottendere il valore olistico ed (55) Di seguito alcuni obiettivi indicati da una recente ricerca definita dallĠUniversitˆ di Firenze, Dipartimento di biologia evoluzionistica in collaborazione con il Dipartimento di Diritto Pubblico, per rafforzare il valore della biodiversitˆ allĠinterno degli ecosistemi: 1. stabilire condizioni di base, ecologiche, socio-economico e istituzionali, nei siti di studio includendo lĠanalisi degli attuali conflitti sociali in materia ambientale e valutando, in particolare, le conseguenze dell'applicazione delle politiche comunitarie di conservazione della biodiversitˆ negli scenari locali; 2. conduzione di un lavoro partecipativo con diversi stakeholder per una giusta considerazione della percezione sociale di ci˜ che realmente significa BEF per ogni stakeholder, assicurando cos“ la partecipazione attiva nel processo di valutazione; 3. rafforzare lo studio delle relazioni tra biodiversitˆ e funzioni dell'ecosistema (BEF); 4. condurre un approccio integrato e valutativo della biodiversitˆ e delle funzioni dell'ecosistema nei siti di studio; 5. valorizzare lĠinterfaccia tra scienza e politiche di sensibilizzazione sulla biodiversitˆ. (56) D. BORGONOVO RE, Ecologia, ad vocem, Digesto delle discipline pubblicistiche, Aggiornamento, Utet, Torino, 2000, p. 199 ss. Si veda anche R. VIGOTTI, Ecologia, in Digesto delle discipline pubblicistiche. Aggiornamento, vol. I, Torino, 2000. In particolare per le relazioni tra ecosistema ed aree protette si rinvia a: LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 291 omnicomprensivo che tale concetto pu˜ assumere nellĠordinamento giuridico, coerentemente con quanto osservato nelle discipline scientifiche ed umanistiche che - come abbiamo visto - lo riferiscono alla dimensione ambientale nella sua interezza. LĠart. 117 della Costituzione, alla lettera ÔsĠ, associa, infatti, al termine ÒambienteÓ quello di ÒecosistemaÓ. I due termini vengono espressamente introdotti con legge costituzionale n. 3/2001 con diverso grado di elaborazione critica nel dibattito istituzionale. La ricostruzione della nozione di ÒambienteÓ , infatti, da sempre oggetto di un intenso dibattito, sviluppatosi ampiamente attraverso illustri tesi ricostruttive a partire dalla nota tripartizione Gianniniana e dalla concezione unitaria di Alberto Predieri attraverso generazioni di studiosi fino ai giorni nostri (S. Grassi) (57). La Òtutela É dellĠecosistemaÓ, nonostante i frequenti riferimenti operati dalla legislazione ambientale, costituisce, invece, un emendamento apportato al testo costituzionale in fase di approvazione, su richiesta del Gruppo dei Verdi, al di fuori di approfondimenti e riflessioni generali da parte della comunitˆ scientifica mentre risulta ancora pendente un disegno di legge per modificare lĠart. 9 della Costituzione ed introdurre espressamente la tutela dellĠecosistema come principio fondamentale dellĠordinamento. La nostra Costituzione non costituisce, tuttavia, un unicum, visto che altre costituzioni attribuiscono espresso riconoscimento agli aspetti ecologici: si ricordano, tra gli altri, il caso del Per (1979), che stabilisce il diritto di vivere in un ambiente sano, ecologicamente equilibrato ed appropriato allo sviluppo della vita, della Svizzera (1986) e dellĠArgentina (1994), che riconoscono il principio dello sviluppo sostenibile, di qualitˆ della vita, di informazione ed educazione ambientale per garantire un ambiente di vita ecologicamente sano (58). Nel nostro paese, il concetto di ÒecosistemaÓ riceve precisazioni attraverso i riferimenti contenuti nella legislazione ambientale e nelle elaborazioni a vario - M. CECCHETTI, Riforma del titolo V della Costituzione e sistema delle fonti: problemi e prospettive nella materia in Diritto e gestione dellĠambiente, 2002, p. 399 ss. e in www.federalismi.it; - P. JANES CARRATô, Ecosistema: parchi e tutela della fauna, in F. LUCARELLI, a cura di, Ambiente, territorio e beni culturali, Napoli, 2006; - R. GAMBINO, Parchi, paesaggi, territorio in Parchi, 2007, pp. 54 ss.; - P. CARPENTIERI, La nozione giuridica di paesaggio, in RTDP, 2004, in part. p. 399 ss.; - P. URBANI, Strumenti giuridici per il paesaggio, in Interpretazioni di paesaggio, A. CLEMENTI, a cura di, Roma, 2002. (57) Si rinvia ampiamente per la bibliografia e le ricostruzioni teoriche a: - S. GRASSI e altri, a cura di, Ambiente e diritto, Leo S. Olschki, Firenze, 1999; - S. GRASSI, Tutela dellĠambiente, ad vocem, cit. p. 1115; - S. GRASSI M. CECCHETTI, a cura di, Governo dellĠambiente e formazione delle norme tecniche, Milano, GiuffrŽ, 2006. (58) Corso di Legislazione ambientale, S. MAGLIA, Ipsoa edizioni, 2002. 292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 titolo presenti in giurisprudenza e in dottrina dopo la novella costituzionale. Il termine ÒecosistemaÓ (o ÒecosistemiÓ) ricorre, infatti, in una pluralitˆ di fonti normative, antecedenti e successive al testo costituzionale. Possiamo tentare una periodizzazione - con le semplificazioni che tale schematismo inevitabilmente contiene - per sintetizzare lĠevoluzione dellĠapproccio giuridico nella disciplina degli ecosistemi, identificando almeno tre fasi. A) Nella fase storica fino agli anni Ġ60 e Ô70, il concetto di ecosistema emerge con particolare riferimento alla valenza economica e produttiva: in questa fase gli ecosistemi sono assunti dallĠordinamento col valore di ÒrisorseÓ, al fine precipuo di garantirne la riproducibilitˆ. Le ÒrisorseÓ sono infatti un elemento costitutivo degli ecosistemi e ne rappresentano la componente pi direttamente economica (cave, miniere, legname, prodotti alimentari, risorse ittiche e simili). La disciplina storica delle aree boscate, ad esempio, era finalizzata ad assicurare un corretto equilibrio tra tagli e nuovi impianti per garantire essenzialmente la fornitura di legname attraverso il rimboschimento 7oltre che il mantenimento di alcune aree per evitare dissesti idrogeologici e garantire la stabilitˆ dei versanti (R.D. 3267/1923). Si trattava di gestire le risorse forestali secondo criteri di eco-efficienza, razionalizzandone lĠuso in modo da evitarne la distruzione e garantire la massimizzazione dei beni naturali utili allĠuomo per il bene delle generazioni attuali e di quelle future. Analogamente la disciplina della caccia opera in riferimento allĠequilibrio ecologico delle specie, rispetto al quale deve essere valutata e definita la misura consentita di prelievo o di abbattimento di un determinato quantitativo di specie animali per assicurare la riproduzione, escludendo o limitando le attivitˆ venatorie in tali periodi. La disciplina della pesca fissa le quote consentite di ÒpescatoÓ (risorse ittiche) sulla base di tabelle destinate a garantire la riproduzione delle quote sottratte. La legislazione sanitaria e la legislazione per la tutela alimentare si rivolgevano a singole sostanze o singoli inquinanti, ritenuti pericolosi per la salute umana o per le alterazioni ambientali. Il concetto di risorse (ecosistemiche), impiegato in questa prima fase, ha avuto poi una lunga permanenza nellĠordinamento: basti pensare alla legislazione regionale Toscana successiva al 2000 (ad esempio la legge regionale n. 1 del 2005) che impiega il termine per descrivere le componenti naturali del territorio toscano (Òrisorse naturaliÓ) ed associa, a tali risorse, le relative ÒprestazioniÓ introducendo, nellĠalveo giuridico, ancora un concetto ecosistemico. B) In una successiva fase il concetto di ÒecosistemaÓ comincia ad affermarsi assumendo significati complessi, anche a seguito delle elaborazioni comunitarie ed internazionali, sollecitate dallĠaffermazione della coscienza LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 293 ecologica negli anni Ġ70 e Ġ80. Si assiste al progressivo affioramento di una disciplina eco sistemica in nuce allĠinterno dellĠordinamento giuridico, sia nelle fonti primarie che secondarie. Si tratta di riferimenti che emergono secondo una trama a macchia di leopardo, spesso al di fuori di un principio guida unitario, e che assumono specifica rilevanza allĠinterno dei singoli settori dellĠordinamento nei quali il concetto di ecosistema , di volta in volta, attratto. Ne emergono implicazioni e valori sostanzialmente innovativi che affiancano, al valore economico delle risorse, profili complessi e interdisciplinari. Alcune fonti, ad esempio, sottolineano il valore relazionale degli ecosistemi e le interazioni tra i singoli fattori ambientali recuperando, cos“, una delle valenze fondamentali del concetto di ecosistema, cos“ come era stato elaborato dalle discipline scientifiche. Le Òrelazioni ecologicheÓ sono oggetto di verifica da parte della VAS/Valutazione Ambientale Strategica (art. 5, par. 1, Direttiva 2001/42/CE del Parlamento e del Consiglio del 27 giugno 2001) e dellĠart. 5, comma 1, lett. c), del d.lgs. 152/2006, che, nel definire la nozione di ÒimpattoÓ, descrive testualmente lĠambiente come un sistema di relazioni. LĠart. 24 del d.lgs. 152 rimette, infatti, alla procedura di valutazione, la stima degli effetti, diretti ed indiretti, di ogni progetto ÇsullĠuomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sullĠaria, sul clima, sul paesaggio e sullĠinterazione tra detti fattoriÈ. Analogamente il DPCM 27 dicembre 1988 n. 16100, allegato I, punto 1, lett. e), descrive gli ecosistemi sottolineando il sistema unitario di relazioni ambientali ad essi sotteso qualificandoli come Çcomplessi di componenti e fattori fisici, chimici e biologici tra loro interagenti ed interdipendenti, che formano un sistema unitario ed identificabile (quali un lago, un bosco, un fiume, il mare) per propria struttura, funzionamento ed evoluzione temporaleÈ. Un profilo eco sistemico pi specifico rispetto allĠazione culturale promossa dallĠuomo  sottolineato dalla disciplina paesaggistica che coglie il valore relazionale sotto il profilo della interazione uomo-natura quale espressione dei valori culturali e paesaggistici. Il D.lgs. 42/2004, recante Codice dei beni culturali e del paesaggio, identifica il paesaggio come risultante dellĠazione di fattori naturali ed umani e della loro interazione cos“ come la Convenzione europea siglata a Firenze, il 20 ottobre 2000, che definisce il paesaggio come Çla parte di territorio, cos“ come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dallĠazione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioniÈ (59). (59) G. F. CARTEI, Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Il Mulino, Bologna, 2007; G. F. CARTEI, La disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, G. Giappichelli editore, Torino, 1995. 294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Cos“ anche le informazioni ambientali (art. 2, Dir. 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003) riguardano Òle interazioniÓ tra i singoli elementi che compongono lĠambiente (aria, atmosfera, acqua, suolo, territorio, paesaggio, siti naturali, zone costiere, diversitˆ biologica) ed analogamente  statuito nel decreto di recepimento (d.lgs. n. 195 del 19 agosto 2005). Un elemento fondamentale ed innovativo degli ecosistemi viene prescelto dallĠordinamento nella disciplina del danno ambientale, laddove individua, quali elementi da assoggettare a ristoro, anche i servizi naturali degli ecosistemi. LĠart. 300 del d.lgs. 152/2006 - che concorre ad attuare la direttiva 2004/35/CE - eleva i servizi naturali a componenti ambientali suscettibili di riparazione e li descrive come fenomeni di interazione dinamica tra le singole risorse naturali, a loro volta suscettibili di ristoro anche isolatamente considerate. Il danno pu˜ infatti consistere nella compromissione dei rapporti funzionali tra suolo, sottosuolo, acque interne, acque costiere, specie, fauna, habitat, collettivitˆ umane. Cos“ la disciplina delle attivitˆ agricole integra gli aspetti strettamente colturali legati alla produzione con gli aspetti agro-ecosistemici derivanti dalle coltivazioni biologiche e bio-dinamiche. Un particolare riferimento deve essere fatto alla legislazione su parchi ed aree protette. In una prima fase evolutiva, negli anni Ġ70 e Ô80, la legislazione storica si evolve dalle singole aree naturalistiche e si struttura secondo sistemi di aree protette, soprattutto ad opera della legislazione regionale (estremamente significativo il caso della Regione Piemonte ma anche Veneto e Toscana) e quindi della legge quadro statale n. 394 del 1991 (i sistemi di aree protette nazionali e regionali delle Alpi, dellĠAppennino e delle coste). In una seconda fase, successiva agli anni Ġ90 ed alla legge quadro, la cui attuazione  tuttora in corso, i sistemi di aree protette assumono la configurazione di una rete ecologica vera e propria, che si interconnette alla scala europea secondo eco-regioni continentali, assistita dalla valutazione di incidenza per le verifiche ecologiche in senso stretto, in attuazione della direttiva europea n. 43 del 1992. C) Nella fase attuale, che costituisce lĠesito delle elaborazioni sviluppate soprattutto a partire dagli anni Ġ90 e massimamente nel nuovo millennio, si assiste allĠintroduzione di strategie che adottano un approccio eco sistemico olistico ed integrato da cui prendere le mosse per assicurare una corretta gestione ambientale. LĠesito  diametralmente opposto: nelle fasi pregresse i singoli settori normativi delle discipline ambientali attraevano al proprio interno le tematiche ecosistemiche che venivano sezionate e piegate alle specifiche esigenze del singolo settore dellĠordinamento ambientale. Nella fase attuale, invece, le nuove strategie di gestione ambientale pongono gli ecosistemi e le loro carat- LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 295 teristiche funzionali alla base dei modelli di conservazione, tutela e gestione ambientale, assumendoli come categoria logico-giuridica. Abbiamo visto, nei paragrafi precedenti, che le fonti normative pi recenti, richiamano in modo espresso lĠapproccio ecologico ed integrano, nella disciplina degli aspetti economici, il valore sociale, culturale e paesaggistico degli ecosistemi. Ne studiano il funzionamento in quanto valore in sŽ da comprendere e valorizzare per le funzioni naturalistiche e di supporto alla vita che svolgono. Tentano di capire le tendenze evolutive degli ecosistemi valorizzando le funzioni conoscitive e di monitoraggio, ritenendole percorsi fondamentali di crescita e di sviluppo per la nostra societˆ. Significativo, in proposito, il caso della ÒbiodiversitˆÓ che, come espressione degli ecosistemi e della loro salute, viene posta alla base di tutti i settori ambientali e paesaggistici, informandoli dal loro interno a costituirne la matrice logica e giuridica, al fine di concorrere, in via prioritaria e coordinata, alla loro tutela e gestione: questa fase, tuttavia,  in larga misura ancora da costruire (si rinvia ampiamente alla seconda parte di questo lavoro). Su tali basi, la giurisprudenza e la dottrina, soprattutto a partire dal 2001, hanno sviluppato alcune ricostruzioni delle tematiche ecosistemiche, sia pur mantenendo ancora un approccio che privilegia i riferimenti alla tutela ambientale. Le ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali si attestano su alcune ipotesi che possiamo cos“ sintetizzare: - lĠecosistema come endiadi, da associare alla tutela dellĠambiente; - lĠecosistema come categoria logico-giuridica generale che costituisce la matrice interna e definisce la struttura ed i processi funzionali dei sistemi ambientali. - lĠecosistema come equilibrio ecologico dellĠambiente; - lĠecosistema come sistema naturale, riferibile prioritariamente ai sistemi faunistici e naturalistici (parchi ed aree protette). Il punto di partenza delle riflessioni dottrinali  costituito dalle ricostruzioni dellĠambiente come ÒmateriaÓ o come ÒvaloreÓ, cui lĠecosistema pu˜ essere assimilato, a partire dalle storiche riflessioni che giˆ contenevano i primi cenni alle tematiche ecosistemiche (60). (60) Tali ipotesi interpretano lĠambiente: 1) come Òmateria oggettoÓ, unitaria in senso tecnico (Sandulli); 2) come Òmateria complessaÓ, non unitaria, composta da un complesso di settori normativi secondo una concezione pluralista (Giannini). Secondo la teoria pluralista di Massimo Severo Giannini, nellĠambito del concetto di ambiente, vanno individuati: lĠambiente come paesaggio; lĠambiente come difesa del suolo, dellĠaria e dellĠacqua; lĠambiente come urbanistica. Cfr. M.S. GIANNINI, Ambiente: saggio sui suoi diversi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, p.15 ss e, dello stesso Autore, Primi rilievi sulle nozioni di gestione dellĠambiente e di gestione del territorio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1975, 2, p.479 ss. Alla teoria di Giannini ha fatto seguito la concezione bipartita di Alberto Predieri, incentrata sulla distinzione dellĠambiente inteso come assetto del territorio rispetto alla disciplina concernente la tutela dellĠacqua, dellĠaria e del suolo (si veda: A. PREDIERI, Paesaggio, in Enc. Dir., ad vocem, GiuffrŽ, Milano, 1981. 296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Riferimento essenziale e doveroso va alle ricostruzioni di Alberto Predieri che aveva manifestato particolare sensibilitˆ ed interesse alle tematiche ecosistemiche (le interazioni orizzontali e verticali) allĠinterno della dimensione paesaggistica (61). Venendo pi da vicino alla formula della Òtutela dellĠambiente e dellĠecosistemaÓ (art. 117, lett. s, della Costituzione) si  ritenuto che tale espressione configurerebbe non tanto una materia vera e propria ma, piuttosto, starebbe ad indicare Çuna clausola generale, che potrˆ essere utilizzata, se e quando necessario, per assicurare allo Stato funzioni e compiti riferibili a materie anche molto diverse tra loro, ma tutte destinate a garantire quel valore fondamentale, quellĠinteresse unitario ed insuscettibile di frazionamento quale  appunto considerato lĠambienteÈ (62). Posizioni intermedie sono espresse da chi individua nella formula costituzionale sia un valore trasversale rispetto al complesso delle materie connesse sia una materia vera e propria da riferire alla legislazione di settore Çil cui oggetto risulti quello di definire e garantire, in modo diretto e immediato, determinati equilibri ecologiciÈ (63). Cos“ la tutela dellĠecosistema pu˜ assumere valore di endiadi e di maggiore specificazione, finalizzata ad evidenziare la necessitˆ di provvedere al 3) come Òmateria scopoÓ o Òmateria trasversaleÓ (A. MARINI, La Corte costituzionale nel labirinto delle materie trasversali: dalla sentenza n. 282 alla sentenza 407 del 2002, in Giur. cost. 2002, p. 2951 ss). QuestĠultima interpretazione ha poi dato luogo a due letture: 4) una visione unitaria ed oggettiva, che vede lĠambiente come materia trasversale da associare allĠequilibrio ecologico riferito alle singole discipline con finalitˆ ecologica (aria, acqua, rumore, difesa del suolo, smaltimento rifiuti, protezione della natura, aree protette). Beniamino Caravita ha osservato come la Çtutela dellĠambiente va intesa come tutela dellĠequilibrio ecologico della biosfera o degli ecosistemi considerati. é opportuno precisare che, parlando di tutela degli equilibri ecologici della biosfera e degli ecosistemi, non si vuole far riferimento alla tutela dellĠambiente inteso in senso esclusivamente ÒnaturaleÓ: della biosfera e degli ecosistemi fa parte lĠuomo e ne fanno parte ambienti costruiti e strutturati dallĠuomo e dagli esseri viventi; lĠequilibrio ecologico non  dunque quello di situazioni irrealisticamente ÒnaturaliÓ, ma quello delle situazioni concrete dove lĠuomo e gli esseri viventi operano e cos“ come lo hanno nei secoli e nei millenni strutturato.È (B. CARAVITA, Diritto dellĠambiente, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 33); 5) ed unĠaltra concezione, unitaria ma diffusa, che vede lĠambiente come materia trasversale da riferire al valore costituzionale fondato sugli articoli 9 e 32 ed ora anche 117 che va oltre le singole discipline ecologiche e si profila come un compito o una funzione di carattere trasversale, da intendersi unitariamente sotto il profilo teleologico (posizione espressa dalla giurisprudenza costituzionale). (61) Non si pu˜ non richiamare la nota definizione di A. PREDIERI, Paesaggio, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXI, GiuffrŽ, Milano, 1981, p. 506 cit.: Çgli scambi tra ambiente visibile o paesaggio ed ambiente invisibile, cos“ come le retroazioni tra ambiente ed azione pubblica e viceversa, sono istituzionali e permanenti e comportano continue interazioni orizzontali e verticali, cio tanto fra le diverse funzioni individuate nelle aree di tutela, quanto nel collegamento tra quelle funzioni e la totalitˆ sovrastante o retrostante dellĠambiente globalmente inteso come oggetto dellĠattivitˆ pubblicaÈ. (62) A. FERRARA, in La materia ambiente nel testo di riforma del titolo V, in Osservatorio sul Federalismo. I processi di federalismo: aspetti e problemi giuridici, Milano 30 maggio 2001, pagg. 1-7. (63) M. CECCHETTI, Riforma del titolo V della Costituzione e sistema delle fonti: problemi e prospettive nella materia tutela dellĠambiente e dellĠecosistema, in Òwww.federalismi.itÓ. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 297 mantenimento degli equilibri ecologici tra fattori fisici, chimici e biologici che permettono la vita di tutti gli esseri viventi, a prescindere da una specifica interazione con lĠuomo (M. Cecchetti) (64). O ancora il termine pu˜ assumere il significato di unitˆ ecologica interna allĠambiente e al paesaggio, in questĠultimo caso in riferimento soprattutto alle interazioni uomo-natura (Cafagno, Boscolo), alla prova della concezione integrale del paesaggio (G.F. Cartei) (65). Anche il contributo interpretativo della giurisprudenza costituzionale contribuisce a chiarire il valore e le implicazioni che lĠecosistema pu˜ esprimere. Il riferimento allĠecosistema  sempre stato, a vario titolo, presente nella giurisprudenza costituzionale, anche precedente la novella costituzionale del 2001 e la stessa legge quadro sulle aree protette (66). Particolarmente significative, rispetto alle implicazioni unitarie e relazionali degli ecosistemi, risultano le sentenze della Corte costituzionale che richiamano lĠambiente e la tutela dellĠecosistema come valore (67). Fondamentale, in tal senso, la sentenza n. 407 del 10 luglio 2002 ed il suo antecedente logico e giuridico della decisione n. 282 del 9 giugno 2002 (68). Manfredi osserva che dalla lettura di tali pronunce emerge come la Consulta prenderebbe a riferimento, in continuitˆ con il precedente orientamento legato alla cooperazione e collaborazione Stato-Regioni in materia paesaggistico- ambientale, non tanto la nozione che la dottrina prevalente evince dalla normativa primaria, intendendo lĠambiente come equilibrio ecologico della biosfera o dei singoli ecosistemi di riferimento e la Òtutela dellĠambienteÓ come Òtutela dellĠequilibrio ecologico della biosfera o dei singoli ecosistemi di riferimentoÓ (B. Caravita) (69) ma piuttosto la nozione di ambiente conso- (64) M. CECCHETTI, Ambiente, paesaggio e beni culturali, in G. CORSO e V. LOPILATO, Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, Giuffr editore, parte speciale, vol. I, p. 319. (65) G.F. CARTEI, Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Il Mulino, Bologna, 2007; G. F. CARTEI, La disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, G. Giappichelli editore, Torino, 1995. (66) La sentenza 641 del 1987 della Corte costituzionale in relazione alla legittimazione ad agire per danno ambientale ai sensi dellĠart. 18 della legge 349 del 1986, che stabilisce che spetta allo Stato e in via concorrente agli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo, individua tale legittimazione Ònella loro funzione a tutela della collettivitˆ e della comunitˆ nel proprio ambito territoriale e degli interessi allĠequilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capoÓ. (67) G. MANFREDI, Standards ambientali di fonte statale e poteri regionali in tema di governo del territorio, nota a sentenze della Corte cost. 1 ottobre 2003 n. 303, 7 ottobre 2003 n. 307, 7 novembre 2003 n. 331, in Urb. App. 2004, p. 296 ss. (68) M. CECCHETTI, Legislazione statale e legislazione regionale per la tutela dellĠambiente: niente di nuovo dopo la riforma del titolo V ?, nota a sentenza 10-26 luglio 2002 n. 407 in Le Regioni, 2003, p. 312. (69) B. CARAVITA, Diritto dellĠambiente, Il Mulino, Bologna, III edizione, Bologna, 2005, pp. 22 dove osserva: ÇLa definizione in termini unitari dellĠambiente, in realtˆ,  possibile solo se i giuristi prendono le mosse dalle esperienze e dalle nozioni di altre scienze. In materia ambientale  lungamente mancato, invece, il riferimento ai dati e alle elaborazioni dellĠeco- 298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 lidatasi prima della riforma come Òvalore costituzionale trasversaleÓ. La sentenza della Corte costituzionale n. 307 del 2003 ha giudicato invece lĠespressione Òtutela dellĠambiente e dellĠecosistemaÓ una endiadi descrittiva di una competenza statale unitaria avente ad oggetto Òla protezione della fauna, delle risorse ambientali e del paesaggioÓ. La giurisprudenza costituzionale successiva al recepimento della tutela dellĠecosistema nel testo dellĠart. 117 ha operato talora un riferimento diretto alla protezione della natura. é il caso dellĠindirizzo giurisprudenziale sancito dalla sentenza 108/2005 e successivamente riconfermato, come dimostra, da ultimo, la sentenza 151/2011. La Corte costituzionale, nella sentenza 108, richiamate le precedenti decisioni sul valore trasversale della tutela ambientale (sentenze n. 307/2003, n. 404/2002, n. 259/2004, n. 303/2003 e n. 312/2003) precisa ulteriormente lĠambito degli interventi normativi in materia di aree protette, ed individua, nella Legge quadro sulle aree protette, tre nuclei di norme. Un primo nucleo di carattere generale (artt. 1-7), un secondo composto da norme che costituiscono lo standard di tutela uniforme allĠinterno dei parchi nazionali (artt. 8-21) e, infine, un terzo dedicato alle aree protette regionali (artt. 22-28). In questo contesto, le norme regionali istitutive di aree naturali protette trovano il limite di deroga in peius degli standard di tutela uniforme sullĠintero territorio nazionale, mentre sono libere nello stabilire obiettivi di tutela, di logia, della scienza, cio, che studia le condizioni di vita reali degli organismi sotto il profilo delle interrelazioni fra gli organismi e lĠambiente, con la conseguente utilizzazione di quelle elaborazioni per costruire su di essi nozioni giuridicamente significative. (É) Un significato autonomo ed unitario della nozione di ambiente (e di quella relativa e conseguente, di tutela dellĠambiente)  possibile trovare solo accogliendo, con tutti i limiti che ne conseguono, la prospettiva ecologica: - ÒambienteÓ allora va inteso come equilibrio ecologico, di volta in volta, della biosfera o dei singoli ecosistemi di riferimento; - Òtutela dellĠambienteÓ va intesa come tutela dellĠequilibrio ecologico della biosfera o degli ecosistemi considerati. é opportuno precisare che, parlando di tutela degli equilibri ecologici della biosfera e degli ecosistemi, non si vuole far riferimento alla tutela dellĠambiente inteso in senso esclusivamente ÒnaturaleÓ: della biosfera e degli ecosistemi fa parte lĠuomo e ne fanno parte ambienti costruiti e strutturati dallĠuomo e dagli esseri viventi; lĠequilibrio ecologico non  dunque quello di situazioni irrealisticamente ÒnaturaliÓ, ma quello delle situazioni concrete dove lĠuomo e gli esseri viventi operano e cos“ come lo hanno nei secoli e nei millenni strutturato. Data questa nozione di ambiente, nella disciplina del Òdiritto dellĠambienteÓ rientrano, poi, tutte quelle discipline di settore in cui si persegue come finalitˆ prevalente la tutela degli equilibri ecologici (e quindi: disciplina dellĠaria, dellĠacqua, del rumore, della difesa del suolo, dello smaltimento dei rifiuti, protezione della natura, delle aree protette; nonchŽ quegli strumenti tipicamente rivolti alla tutela degli equilibri ecologici: valutazione di impatto ambientale, danno ambientale); restano invece fuori tutte quelle discipline (ad es. relative al paesaggio; allĠagricoltura; alla sicurezza sul lavoro; ecc.) - che pur presentando connessioni e collegamenti con il diritto dellĠambiente - in cui risultano essere prevalenti altre finalitˆ (quelle di ordine estetico-culturale; o di ordine economico-produttivo; o di tutela della salute sul lavoro)È. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 299 protezione e di promozione in relazione agli obiettivi di sviluppo sociale ed economico allĠinterno dei parchi. Alla luce delle indicazioni giurisprudenziali sottolineate nella sent. della Corte costituzionale n. 108 del 2005, recente dottrina ritiene Çpossibile rilevare, pur nella complessitˆ della materia, che la protezione della natura si va configurando come materia autonoma rispetto alla tutela dellĠambiente e a quelle contermini aventi ad oggetto, in genere, lĠutilizzo del territorio e si viene identificando progressivamente con la locuzione costituzionale Òtutela dellĠecosistemaÓ È (Crosetti) (70). Tale indirizzo  confermato da ultimo dalla sentenza 151 del 18 aprile 2011 (71). Possiamo sintetizzare le provvisorie conclusioni di questa prima parte riconoscendo che ÇIl diritto, nella disciplina dellĠambiente, viene posto in modo immediato e diretto a contatto con le altre scienze. LĠattenuarsi della separazione tra la conoscenza della natura e il sistema normativo si traduce nella necessitˆ di un ripensamento nella stessa costruzione dei principi e delle norme giuridiche positive; le configurazioni tradizionali di molti strumenti giuridici (É) manifestano la loro insufficienza rispetto alle problematiche ambientali e costringono i giuristi ad individuare nuovi strumenti di interpretazione del mondo che li circonda e nuove tecniche di predisposizione delle risposte ai problemi che la natura e lĠequilibrio ecologico pongono alla comunitˆ umanaÈ (S. Grassi) (72). (70) A. CROSETTI, Le tutele differenziate, in A. CROSETTI, R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON, Diritto dellĠambiente, Editori Laterza, Bari, 2008, p. 516. (71) La sentenza riguarda un giudizio di legittimitˆ costituzionale in via principale rispetto agli artt. 117, primo comma, secondo comma, lettera s), terzo e quinto comma, della Costituzione, nonchŽ allĠart. 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) delle Legge della Provincia autonoma di Bolzano 12 maggio 2010, n. 6 (Legge di tutela della natura e altre disposizioni) riconoscendo che si tratta di materia di competenza esclusiva statale, con un livello uniforme di tutela fissato dalla legge statale a protezione dellĠambiente e dellĠecosistema ai sensi della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonchŽ della flora e della fauna selvatiche. In particolare, lĠart. 4 della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, nel disciplinare con divieti a carattere generale la tutela di specie animali, indipendentemente dallĠesercizio della caccia e dalla disciplina dei parchi naturali, invade la sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dellĠambiente e dellĠecosistema, di cui allĠart. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che trova applicazione anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, in quanto tale materia non  compresa tra le previsioni statutarie riguardanti le competenze legislative, primarie o concorrenti, regionali o provinciali. (72) Tutela dellĠambiente, ad vocem, cit., p. 1115. 300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Le disposizioni in materia di Òparitˆ di genereÓ negli organi di amministrazione e controllo delle societˆ Francesco Spada* SOMMARIO: 1. La legge 12 luglio 2011 n. 120 e le modifiche al TUF - 2. La delibera CONSOB n. 18098/2012 - 3. Il decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251. 1. La legge 12 luglio 2011 n. 120 e le modifiche al TUF. La legge 12 luglio 2011, n. 120 (1), ha apportato modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernenti la paritˆ di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle societˆ quotate in mercati regolamentati. La legge si compone di tre articoli riguardanti, rispettivamente: lĠequilibrio tra i generi negli organi delle societˆ quotate; la decorrenza delle nuove disposizioni; le societˆ a controllo pubblico. In particolare, lĠarticolo 1 ha introdotto il comma 1-ter dellĠarticolo 147- ter del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, prevedendo, in materia di elezione e composizione del consiglio di amministrazione, che: lo statuto preveda che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base ad un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi; il genere meno rappresentato debba ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti; detto criterio di riparto si applichi per tre mandati consecutivi; qualora la composizione del consiglio di amministrazione risultante dall'elezione non rispetti il criterio di riparto previsto, la Consob diffidi la societˆ interessata affinchŽ si adegui a tale criterio entro il termine massimo di quattro mesi dalla diffida. In caso di inottemperanza alla diffida, la Consob applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100.000 a euro 1.000.000, secondo criteri e modalitˆ stabiliti con proprio regolamento e fissa un nuovo termine di tre mesi ad adempiere. In caso di ulteriore inottemperanza rispetto a tale nuova diffida, i componenti eletti decadono dalla carica; (*) Dirigente di II fascia del Ministero dellĠEconomia e delle Finanze. Ha svolto la pratica forense presso lĠAvvocatura Generale dello Stato. Il presente contributo riflette le opinioni dellĠAutore e non impegna in alcun modo lĠAmministrazione di appartenenza. (1) In base ai dati Eurostat 2012, in Italia lĠoccupazione delle donne tra i 25 ed i 54 anni  inferiore del 12% rispetto alla media dellĠUnione europea: inoltre, i dati Istat e Censis 2011 dimostrano che solo il 7% delle societˆ quotate aveva una presenza femminile nei CdA. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 301 lo statuto provveda a disciplinare le modalitˆ di formazione delle liste ed i casi di sostituzione in corso di mandato al fine di garantire il rispetto del criterio di riparto previsto; la Consob statuisca in ordine alla violazione, all'applicazione ed al rispetto delle disposizioni in materia di quota di genere, anche con riferimento alla fase istruttoria e alle procedure da adottare, in base a proprio regolamento da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni recate dal presente comma; le disposizioni fin qui descritte si applichino anche alle societˆ organizzate secondo il sistema monistico. Inoltre, il medesimo articolo 1 ha previsto che, dopo il comma 1 dell'articolo 147-quater del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, in materia di composizione del consiglio di gestione,  aggiunto il comma 1-bis, che prevede che qualora il consiglio di gestione sia costituito da un numero di componenti non inferiore a tre, ad esso si applicano le disposizioni dell'articolo 147-ter, comma 1-ter, ossia le disposizioni sopra descritte. Infine, lĠarticolo 1 ha apportato modificazioni allĠarticolo 148 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, in materia di composizione degli organi di controllo, prevedendo che: l'atto costitutivo della societˆ stabilisce, inoltre, che il riparto dei membri di cui al comma 1 sia effettuato in modo che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei membri effettivi del collegio sindacale; tale criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi; qualora la composizione del collegio sindacale risultante dall'elezione non rispetti il criterio di riparto previsto, la Consob diffida la societˆ interessata affinchŽ si adegui a tale criterio entro il termine massimo di quattro mesi dalla diffida. In caso di inottemperanza alla diffida, la Consob applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 20.000 a euro 200.000 e fissa un nuovo termine di tre mesi ad adempiere. In caso di ulteriore inottemperanza rispetto a tale nuova diffida, i componenti eletti decadono dalla carica; la Consob statuisce in ordine alla violazione, all'applicazione ed al rispetto delle disposizioni in materia di quota di genere, anche con riferimento alla fase istruttoria e alle procedure da adottare, in base a proprio regolamento da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni recate dal presente comma. Il successivo articolo 2 della legge n. 120/2011 ha dettato disposizioni regolanti la decorrenza della nuova disciplina introdotta dallĠarticolo 1, prevedendo che questĠultima si applica a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e degli organi di controllo delle societˆ quotate in mercati regolamentati successivo ad un anno dalla data di entrata in vigore della medesima legge, riservando al genere meno rappresentato, per il primo mandato 302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 in applicazione della legge, una quota pari almeno a un quinto degli amministratori e dei sindaci eletti. Infine, lĠarticolo 3 della legge n. 120/2011 ha esteso lĠambito di applicazione fin qui delineato, prevedendo che le disposizioni della medesima legge si applicano anche alle societˆ, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, non quotate in mercati regolamentati, e che, con regolamento da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge, sono stabiliti termini e modalitˆ di attuazione del medesimo articolo 3, al fine di disciplinare in maniera uniforme per tutte le societˆ interessate, in coerenza con quanto previsto dalla legge, la vigilanza sull'applicazione della stessa, le forme e i termini dei provvedimenti previsti e le modalitˆ di sostituzione dei componenti decaduti. 2. La delibera CONSOB n. 18098/2012. In attuazione delle deleghe regolamentari conferite alla CONSOB dai citati articoli 147-ter, comma 1-ter, e 148, comma 1-bis, la CONSOB ha adottato la delibera n. 18098/2012, con cui ha inserito un nuovo Capo (il Capo I-bis, rubricato ÒEquilibrio tra generi nella composizione degli organi di amministrazione e controlloÓ) nel Titolo V-bis, Parte III del regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti, approvato con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 e successive modifiche. In particolare, il nuovo Capo I-bis sopra citato ha introdotto un nuovo articolo 144-undecies nel regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, prevedendo che: le societˆ con azioni quotate prevedono che la nomina degli organi di amministrazione e controllo sia effettuata in base al criterio che garantisce l'equilibrio tra generi previsto dagli articoli 147-ter, comma 1-ter, 148, comma 1-bis, del Testo unico, e che tale criterio sia applicato per tre mandati consecutivi; gli statuti delle societˆ quotate disciplinano: - le modalitˆ di formazione delle liste nonchŽ criteri suppletivi di individuazione dei singoli componenti degli organi che consentano il rispetto dell'equilibrio tra generi ad esito delle votazioni. Gli statuti non possono prevedere il rispetto del criterio di riparto tra generi per le liste che presentino un numero di candidati inferiore a tre; - le modalitˆ di sostituzione dei componenti degli organi venuti a cessare in corso di mandato, tenendo conto del criterio di riparto tra generi; - le modalitˆ affinchŽ l'esercizio dei diritti di nomina, ove previsti, non contrasti con quanto previsto dagli articoli 147-ter, comma 1-ter, e 148, comma 1-bis, del Testo unico; LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 303 qualora dall'applicazione del criterio di riparto tra generi non risulti un numero intero di componenti degli organi di amministrazione o controllo appartenenti al genere meno rappresentato, tale numero  arrotondato per eccesso all'unitˆ superiore; in caso di inottemperanza alla diffida prevista dagli articoli 147-ter, comma 1-ter, e 148, comma 1-bis, del Testo unico, la Consob fissa un nuovo termine di tre mesi ad adempiere e applica le sanzioni, previa contestazione degli addebiti, ai sensi dell'articolo 195 del Testo unico e tenuto conto dell'articolo 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689 e successive modifiche. 3. Il decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251. In attuazione di quanto disposto dallĠarticolo 3 della legge n. 120/2011  stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251, che detta disposizioni concernenti la paritˆ di accesso agli organi di amministrazione e di controllo nelle societˆ, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, non quotate in mercati regolamentati. Il decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251, si compone di cinque articoli. LĠarticolo 1 individua lĠambito di applicazione del d.P.R., prevedendo che il medesimo detta i termini e le modalitˆ di attuazione della disciplina concernente la paritˆ di accesso agli organi di amministrazione e di controllo nelle societˆ, costituite in Italia, controllate ai sensi dell'articolo 2359, primo e secondo comma, del codice civile, dalle pubbliche amministrazioni indicate all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ad esclusione delle societˆ con azioni quotate. Il successivo articolo 2 detta disposizioni in materia di composizione degli organi sociali, prevedendo che: le societˆ di cui all'articolo 1 prevedono nei propri statuti che la nomina degli organi di amministrazione e di controllo, ove a composizione collegiale, sia effettuata secondo modalitˆ tali da garantire che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei componenti di ciascun organo; qualora sia previsto per la nomina degli organi sociali il meccanismo del voto di lista, gli statuti disciplinano la formazione delle liste in applicazione del criterio di riparto tra generi, prevedendo modalitˆ di elezione e di estrazione dei singoli componenti idonee a garantire il rispetto delle previsioni di legge. Gli statuti non possono prevedere il rispetto del criterio di riparto tra generi per le liste che presentino un numero di candidati inferiore a tre. Inoltre gli statuti disciplinano l'esercizio dei diritti di nomina, ove previsti, affinchŽ non contrastino con quanto previsto dal presente regolamento; qualora dall'applicazione di dette modalitˆ non risulti un numero intero di componenti degli organi di amministrazione o controllo appartenenti al ge- 304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 nere meno rappresentato, tale numero  arrotondato per eccesso all'unitˆ superiore; le societˆ prevedono altres“ le modalitˆ di sostituzione dei componenti dell'organo di amministrazione venuti a cessare in corso di mandato, in modo da garantire il rispetto della quota di cui al comma 1; la quota di cui al comma 1 si applica anche ai sindaci supplenti. Se nel corso del mandato vengono a mancare uno o pi sindaci effettivi, subentrano i sindaci supplenti nell'ordine atto a garantire il rispetto della stessa quota. LĠarticolo 3 individua la decorrenza della nuova disciplina, stabilendo che: le societˆ assicurano il rispetto della composizione degli organi sociali indicata all'articolo 2, anche in caso di sostituzione, per tre mandati consecutivi a partire dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del medesimo regolamento; per il primo mandato la quota riservata al genere meno rappresentato  pari ad almeno un quinto del numero dei componenti dell'organo. LĠarticolo 4 detta disposizioni in materia di monitoraggio e vigilanza sull'applicazione della normativa (2) di cui al medesimo regolamento, prevedendo che: il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per le pari opportunitˆ vigila sul rispetto della normativa e presenta al Parlamento una relazione triennale sullo stato di applicazione della stessa; a tale fine, le societˆ di cui all'articolo 1 sono tenute a comunicare al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le pari opportunitˆ la composizione degli organi sociali entro quindici giorni dalla data di nomina degli stessi o dalla data di sostituzione in caso di modificazione della composizione in corso di mandato; (2) Il Dipartimento per le pari opportunitˆ della Presidenza del Consiglio dei Ministri  la Struttura deputata ad espletare le funzioni di monitoraggio e di vigilanza sull'attuazione della normativa al fine di assicurare il raggiungimento di unĠadeguata rappresentativitˆ di genere nelle attivitˆ economiche ed una pi incisiva presenza femminile nella governance delle imprese. Si riportano di seguito i principali compiti istruttori che il Dipartimento per le pari opportunitˆ  chiamato a svolgere: controllare la corretta applicazione delle disposizioni normative; predisporre lĠelenco delle societˆ controllate da pubbliche amministrazioni nonchŽ della composizione aggiornata degli organi societari; raccogliere le segnalazioni sulla mancata attuazione della normativa; esaminare le segnalazioni pervenute; emanare i provvedimenti di diffida; verificare lĠottemperanza alle diffide; elaborare la relazione al Parlamento. NellĠesercizio delle elencate attivitˆ il Dipartimento per le pari opportunitˆ sarˆ supportato da un apposito Gruppo di lavoro istituito con Decreto del Ministro delegato alle pari opportunitˆ in data 12 febbraio 2013, del quale fanno parte la dott.ssa Magda Bianco, la Prof.ssa Marina Brogi e la Prof.ssa Paola Profeta. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË 305  fatto obbligo all'organo di amministrazione e all'organo di controllo delle medesime societˆ di comunicare al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le pari opportunitˆ la mancanza di equilibrio tra i generi, anche quando questa si verifichi in corso di mandato; tale segnalazione pu˜ essere altres“ fatta pervenire al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le pari opportunitˆ da chiunque vi abbia interesse; nei casi in cui il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per le pari opportunitˆ accerti il mancato rispetto della quota stabilita all'articolo 2, comma 1, nella composizione degli organi sociali, diffida la societˆ a ripristinare l'equilibrio tra i generi entro sessanta giorni. In caso di inottemperanza alla diffida, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per le pari opportunitˆ fissa un nuovo termine di sessanta giorni ad adempiere, con l'avvertimento che, decorso inutilmente detto termine, ove la societˆ non provveda, i componenti dell'organo sociale interessato decadono e si provvede alla ricostituzione dell'organo nei modi e nei termini previsti dalla legge e dallo statuto. Infine, lĠarticolo 5 detta lĠusuale clausola di invarianza, stabilendo che dall'attuazione del regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal medesimo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Tutela e fruizione del patrimonio culturale Stefano Grassi* Ringrazio di essere stato chiamato a contribuire, in qualitˆ di giurista, nel commentare le parole che danno il titolo al convegno. Le parole - e ci˜  particolarmente vero per le parole del diritto - sono segni che connotano le cose, le identificano; ma al tempo stesso danno forma alle cose, le orientano. Ed infatti, i mutamenti giuridici sono mutamenti linguistici (Ainis), e i giuristi hanno il compito di discutere sulle parole del diritto (come ricordava Noberto Bobbio, "quando i giuristi discutono fra di loro, fanno delle logomachie": parlano cio delle parole, discutono e si confrontano su di esse) per giungere a definizioni rigorose, ma anche per individuare nelle proposizioni normative il significato e la direzione verso la quale si muove il legislatore. Il compito del giurista  particolarmente difficile, se non quasi impossibile, con riferimento alle parole e al vocabolario che il legislatore italiano ha utilizzato nell'ambito dei beni culturali e dei beni paesistici: "tutela" e "fruizione" del "patrimonio culturale" sono parole pesantissime, con significati pregnanti, e sono state utilizzate dal legislatore in modo via via differente nel succedersi delle normative. Sull'intensa evoluzione dei termini e degli istituti utilizzati dal legislatore, in questa materia,  sufficiente ricordare il rilevante sviluppo nella definizione degli oggetti da tutelare (dalle "cose" e i "beni" di interesse culturale, al concetto pi generale di "bene culturale", fino alla pi recente espansione di questo (*) Giurista. Il presente scritto costituisce lĠintervento dellĠAutore al Convegno di studi ÒTutela e fruizione del patrimonio culturaleÓ, tenutosi a Firenze - Biblioteca degli Uffizi - il 15 e 16 aprile 2011. Per una completa consultazione degli atti del convegno si rimanda alla pubblicazione a cura di Cosimo Ceccuti, Edizioni Polistampa, 2011. 308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 stesso concetto nel pi ampio di "patrimonio culturale") e la forte incertezza sulla definizione dei termini che identificano le funzioni pubbliche che debbono essere attivate (come "tutela", "valorizzazione", "fruizione"). é soprattutto difficile non tener conto delle continue e articolate fasi di sviluppo nella riorganizzazione degli apparati burocratici cui sono affidati i compiti in questo delicato settore (dal 1999, si sono succedute ben quattro rilevanti riforme e ridefinizioni dell'organizzazione del recente Ministero dei beni culturali, e tuttora si discute di nuove e rilevanti esigenze di riordino). In questa sede, mi posso limitare ad un commento delle parole del convegno, con i concetti che  possibile ricavare dall'interpretazione del testo dello stesso art. 9 della nostra Costituzione (dalla quale, da costituzionalista e da cittadino, non posso prescindere). Si tratta di un punto di partenza condiviso dall'attuale Ministro dei beni culturali, che, nella prima comunicazione resa al Parlamento nella sua nuova veste (v. il resoconto dell'audizione presso il Senato del 13 aprile 2011), ha indicato questa disposizione costituzionale come una norma che pone dei valori comuni e condivisi e che quindi obbliga ad un approccio bipartisan per la soluzione dei problemi (con il conseguente invito ad evitare le diatribe e preferire la dialettica, perchŽ, anche se siamo divisi su tutto, conviene evitare di esserlo anche su questo punto essenziale per la vita del paese). Ed  significativo che, nel citare il new deal roosveltiano, il Ministro abbia fatto riferimento alla matrice comune, di ispirazione occidentale, della nostra Costituzione, sottolineando lo stretto collegamento della protezione e della valorizzazione dei nostri beni culturali con la piŸ ampia prospettiva della tutela internazionale e comunitaria nel cui ambito il nostro ordinamento si deve muovere. In tale contesto la cultura ed i beni culturali costituiscono presupposti indefettibili alle libertˆ democratiche (come si legge nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 "Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunitˆ, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ha i suoi benefici. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore"). Si tratta di una prospettiva dinamica, che non pu˜ non orientare l'interprete anche con riferimento ai complessi, e ricchi di significato, termini oggetto di questo convegno. In questa direzione, il concetto di "patrimonio culturale" non pu˜ essere letto solo secondo ii suo significato etimologico, che risale al giustinianeo patrimonium (e cio "un'entittˆ composita, formata dall'insieme delle situazioni soggettive suscettibili di valutazione economica - intesa come estrema abilitˆ pecuniaria - dalla legge unificate in considerazione della loro appartenenza a un soggetto o della loro destinazione unitaria "- v. V. Durante, voce Patrimonio, dir civ. in Encic. Giur. Treccani), che mette in evidenza il carattere patrimoniale e il carattere unitario del concetto. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 309 Quando l'art. 9 della nostra Costituzione fa riferimento al "patrimonio storico ed artistico della nazione", indica un concetto riferibile ad una pluralitˆ di beni che appartiene alla comunitˆ nazionale, ma che ha le caratteristiche di un elemento di identitˆ e di appartenenza unitario che amplia notevolmente e rende dinamico il concetto. Siamo nell'ambito della definizione di patrimonio come "complesso di risorse (naturali, ambientali o industriali, artistiche, ecc.) che sono proprie (in quanto considerate bene comune e permanentemente a disposizione) di una determinata comunitˆ insediata in un territorio, la quale attraverso l'esperienza, la fruizione, l'incremento di esse riconosce parte rilevante della propria identitˆ storica, sociale, culturale e trae vantaggi e utilitˆ notevoli" (cos“ la definizione che  possibile reperire nel Dizionario della lingua italiana del Battaglia). Mentre il riferimento alla Nazione come titolare di questi beni vale a collegare la tutela del patrimonio indicato dall'art. 9 con la cultura, la storia e le tradizioni del popolo italiano, configurando gli interessi sostanziali riconosciuti dalla norma come elementi fondanti, fattori unificanti, della comunitˆ nazionale (come il concetto di difesa della Patria di cui all'art. 52 e lo stesso concetto di Repubblica "una e indivisibile" di cui all'art. 5). Viene cos“ definito un valore costituzionale che va al di lˆ del suo contenuto economico e la cui immaterialitˆ permette di identificarlo in un obiettivo comune, che deve essere assunto come oggetto di responsabilitˆ e perseguito come fine condiviso sia dai poteri pubblici che da tutti i cittadini. L'inserimento dell'art. 9 tra i principi fondamentali, che aprono il testo della nostra Costituzione, significa aver riconosciuto alla cultura, alla ricerca scientifica e tecnica, al paesaggio ed al patrimonio storico ed artistico della nazione il contenuto di valori fondanti il patto costituzionale. Il diritto alla cultura come altri diritti essenziali (il diritto alla salute, il diritto alla vita e all'alimentazione, il diritto all'informazione) costituisce quindi, per espressa disposizione costituzionale, un "interesse a soddisfazione necessaria" (un interesse di cui tutti i cittadini si devono alimentare) che non pu˜ non trovare adeguati strumenti di tutela giuridica e di organizzazione burocratica, che la Repubblica, in tutte le sue articolazioni, deve garantire. Nell'art. 9, ci sono tutte le premesse per quello sviluppo legislativo e giurisprudenziale che ha caratterizzato la stessa definizione di bene culturale ed il successivo passaggio ai concetti pi ampi di ambiente e di patrimonio culturale. DaIla concezione arretrata, che individuava le "cose" caratterizzate da un valore storico ed artistico come oggetto di tutela, si  passati a sottolineare che i "beni" (cioe le cose oggetto di diritti) storici ed artistici non soltanto sono da considerare come interessati dai diritti e dagli obblighi del proprietario, ma sono in grado di assolvere ad una determinata funzione, destinata alla fruizione pubblica, che li qualifica come beni culturali. Il bene  culturale, non se rappresenta un determinato oggetto o se  costituito da una determinata cosa, con 310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 i suoi caratteri materiali, ma se assolve ad una determinata funzione, se ad esso corrisponde un valore immateriale, che insiste sulla cosa e al tempo stesso ne costituisce il carattere immanente (con la conseguente necessitˆ di limitare la circolazione del bene, proprio per mantenere il contesto culturale in cui  in grado di svolgere tale funzione). Alla luce dell'art. 9,  quindi possibile giungere alla definizione di bene culturale, al di lˆ del collegamento con determinate testimonianze materiali di civiltˆ ed individuare - come ormai avviene da quache decennio nelle dichiarazioni internazionali cui l'Italia ha aderito - i beni culturall anche laddove si tratti di determinate attivitˆ di carattere scientifico, di tradizione, di sviluppo di civiltˆ - come 1'artigianato, l'arte contemporanea, la musica, il teatro, il cinema, le tradizioni orali. Indubbiamente, sia nell'art. 9 della Costituzione, sia nell'art. 2 del codice Urbani, il "patrimonio culturale" viene definito facendo riferimento ai concetti tenuti distinti di "beni paesistici" e di "beni culturali". é presente, infatti, nel secondo comma dell'art. 9, cos“ come nella definizione del recente codice Urbani, la dicotomia della legislazione anteriore alla Costituzione (a partire dalla legge Rosati del 1909 sui beni culturali, cui si aggiungeva, e in qualche modo si contrapponeva, la legge Croce del 1922 sui beni paesistici; dicotomia che le leggi Bottai del 1939 hanno lasciato inalterata). Ma lo stesso art. 9 Cost., cui si ispira espressamente, come prima normativa di attuazione, l'intero codice Urbani (vedi art. 1), contiene le premesse per ricondurre paesaggio e patrimonio storico artistico ad un concetto unitario dalle potenzialitˆ molto pi ampie. In primo luogo, occorre considerare congiuntiva non disgiuntiva la "e" di cui al secondo comma dell'art. 9, che collega appunto "paesaggio" "e" "patrimonio storico ed artistico". Ma ancor pi significativo  lo sviluppo che il concetto di paesaggio, come forma del paese, come territorio, natura e cultura che caratterizzano il contesto nel quale si svolge la vita collettiva (secondo la nota impostazione di Predieri), ha avuto nella giurisprudenza della Corte costituzionale (che, proprio a partire da questi concetti ricavabili dall'art. 9,  giunta a riconoscere il valore costituzionale dellĠ"ambiente", quale espressione di sintesi degli obiettivi posti dalla norma costituzionale). La prospettiva si amplia ulteriormente, se si richiama la pi omnicomprensiva nozione di paesaggio contenuta nella Convenzione europea del 20 ottobre 2000 - "paesaggio designa una determinata parte di territorio, cos“ come  percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e umani e dalle loro interrelazioni" - per rendersi conto che non  possibile avere una concezione statica di paesaggio e di patrimonio storico ed artistico. Occorre tener conto del necessario sviluppo dinamico di tali concetti (che si definiscono anche attraverso la percezione collettiva e la loro definizione mediante forme di partecipazione e di dibattito trasparente) e di tenerli CONTRIBUTI DI DOTTRINA 311 insieme in una visione complessiva ed unitaria. In questo senso, l'art. 9 Cost. consente di adeguare l'interpretazione dei due concetti di paesaggio e di patrimonio storico e artistico alle esigenze emerse nell'ambito internazionale e comunitario. Il "patrimonio storico e artistico" diviene "patrimonio culturale", anche perchŽ  possibile collegare il principio di "tutela", affermato nel secondo comma dell'art. 9, con il principio della "promozione" e dello "sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica", indicato come obiettivo della Repubblica, nel primo comma dello stesso articolo. Si fa riferimento alla cultura in senso ampio, come esito e sviluppo continuo della ricerca scientifica e delle opere dell'ingegno. L'interprete deve stabilire uno stretto legame, una circolaritˆ, tra la previsione dinamica della promozione e dello sviluppo della cultura e i risultati di tali attivitˆ, quali il paesaggio e il patrimonio storico ed artistico (secondo l'impostazione interpretativa proposta da Merusi). Ed il compito di tutela non pu˜ essere configurato in termini statici di mera conservazione, ma si deve sviluppare come un processo dinamico in grado di far acquisire sempre maggiore consapevolezza e condivisione dei valori culturali da parte della collettivita (in tutte le articolazioni plurali che caratterizzano la Repubblica). In questa ottica il patrimonio culturale assume un valore pregnante e capace di notevoli espansioni: cosi come permette lĠintroduzione nel nostro sistema giuridico dei concetti emersi nell'ambito internazionale, quali il concetto di "patrimonio dell'umanitˆ", la individuazione dei "siti naturali" e dei "siti misti" (quali oggetto di tutela giuridica specifica, nell'ambito di situazioni caratterizzate dalla complessitˆ dei valori e degli interessi da tutelare - Convenzione Unesco del 1972), la definizione del "patrimonio culturale immateriale" - ivi compresa la stessa individuazione di bene a rilevanza culturale come i locali storici e come le cittˆ d'arte (v. in particolare le definizioni dell'art. 2 della Dichiarazione del Consiglio d'Europa, di Faro del 27 ottobre 2005: "a cultural heritage is a group of resourses inherited from the past which people identify, independent of ownership, as a reflection and expression of their constantly evolving values, beliefs, knowledge and tradition. It includes all aspects of the environment resulting from the interaction between people and places through time" - e dell'art. 2 della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale di Parigi de1 17 ottobre 2000 - "per patrimonio culturale immateriale si intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know how - come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi - che le comunitˆ, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, e costantemente ricreato dalle comunitˆ e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dˆ 312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 loro un senso di identitˆ e di continuitˆ, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversitˆ culturale e la creativitˆ umana"). Il concetto di patrimonio culturale  quindi un concetto molteplice e articolato, non definibile a priori, ma frutto di conoscenza e di valutazione dai diversi punti di vista e definito dai diversi soggetti titolari degli interessi connessi. Infatti la cultura si coniuga al plurale e i beni ed il patrimonio culturale sono oggetto di un continuo dibatttito e di una continua dialettica, l'unica in grado di definirli. Si tratta dell'impostazione presente anche nei Trattati sull'Unione Europea. L'art. 3 del Trattato sull'Unione Europea prevede che l'Unione "promuove la coesione economica, sociale territoriale e la solidarietˆ tra gli Stati membri; rispetta la ricchezza della sua diversitˆ culturale linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio europeo". L'articolo 167 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea prevede che l'Unione "contribuisce al pieno sviluppo della cultura degli Stati membri nel rispetto delle loro diversitˆ nazionali e regionali", evidenziando nel contempo "il retaggio culturale comune"; l'Unione incoraggia la cooperazione tra Stati membri e se necessario appoggia l'integrazione nei settori del miglioramento della conoscenza, della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, della conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea, degli scambi culturali non commerciali, della creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo. Ancora, l'art. 22 della Dichiarazione di Nizza sui diritti fondamentali, oggi allegata e parte integrante del Trattato sull'Unione Europea, stabilisce che l'Unione "rispetta la diversitˆ culturale, religiosa e linguistica". Una nozione cos“ ampia e articolata di "patrimonio culturale" permette di dare una base giuridica, di natura costituzionale, all'insieme delle norme dirette alla protezione, alla disciplina della circolazione, alla tutela e alla fruizione dei beni culturali, intesi nella loro pi ampia accezione. Il rischio  quello di avere un concetto di bene culturale e di patrimonio culturale eccessivamente ampio e in grado di giustificare qualunque tipo di organizzazione, valutazione e gestione dei beni individuati come tali. Ma il carattere dinamico che la nozione di bene culturale e di patrimonio culturale debbono assumere, alla luce dell'interpretazione costituzionale, permette di sottolineare la necessitˆ di prevedere una articolazione delle funzioni e delle competenze degli organi preposti alla tutela dei beni culturali che parta non tanto dalla definizione dei beni e del patrimonio culturale, quanto dalla individuazione dei settori fortemente diversificati in cui si espande il valore del patrimonio culturale: si tratta di una serie di cerchi concentrici, ciascuno dei quali ha la necessitˆ di una diversa individuazione delle funzioni, delle competenze e dei metodi (i beni culturali in senso stretto, per i quali sono necessarie competenze storiche e scientifiche; i beni paesistici e ambientali, per CONTRIBUTI DI DOTTRINA 313 i quali occorrono competenze tecniche pi articolate, accompagnate da strumenti di verifica della percezione collettiva; i beni immateriali, che esigono forme diversificate di promozione e di tutela; i siti naturali e culturali da gestire in forme adeguate a conservarne i valori e al tempo stesso a svilupparne le capacitˆ di futuro ecc.). In realtˆ per concetti complessi e unitari come quelli di ambiente o di patrimonio culturale occorre tener conto della necessitˆ di individuare non tanto una definizione a priori degli oggetti da tutelare quanto una serie di principi e di metodi con i quali giungere a garantire il perseguimento del valore costituzionale condiviso. Occorre individuare metodi di dibattito e dialettica adeguati, con la capacitˆ, di offrire il massimo della informazione e della trasparenza in relazione alla gestione del bene e il massimo di partecipazione nella deftnizione delle modalidˆ con le quali in concreto attuare le forme di tutela. Dovranno quindi essere individuate forme differenziate e metodi diversificati in relazione ai diversi obiettivi. Se questa  l'impostazione suggerita dai principi dell'art. 9 della Costituzione, e della sua lettura nel contesto internazionale e comunitario, diventa relativamente pi semplice cercare di individuare la definizione dei termini "tutela" e "fruizione", sui quali il dibattito tra gli addetti ai lavori e tra i giuristi  ancora molto aperto. Giˆ, Massimo Severo Giannini nel definire il bene culturale come bene pubblico sottolineava che il bene culturale  pubblico, "non in quanto bene di appartenenza ma in quanto bene di fruizione". I beni culturali hanno cio quel valore funzionale allo sviluppo della cultura, che li rende indispensabili e che debbono essere messi a disposizione della collettivitˆ per arricchirne la cultura e consentirne la crescita e lo sviluppo intellettuale e scientifico. Il difetto della ricerca di una definizione di "tutela" e di "fruizione", che abbia implicazioni puntuali nella costruzione degli apparati burocratici che debbono assumere la responsabilitˆ di tali missioni e funzioni,  costituito dalla circostanza che il legislatore in tutte le sue recenti ricostruzioni ha cercato di individuare, nella distinzione tra le funzioni di tutela e quelle di valorizzazione, esclusivamente il criterio per separare le competenze statali e regionali con riferimento ai beni culturali. Si tratta di una prospettiva piena di contraddizioni, che pu˜ essere riassunta nell'interpretazione che ne ha dato - subito dopo la modifica del titolo V della Costituzione, ad opera della legge di revisione costituzionale n. 3 del 2001 - la Corte costituzionale. La Corte ha individuato nella "tutela" la funzione "diretta principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale; ed  significativo che la prima attivitˆ in cui si sostanzia la tutela  quella di riconoscere il bene culturale come tale". Mentre, sempre secondo la Corte, la "valorizzazione"  314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 la funzione "diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale, sicchŽ anche il miglioramento dello stato di conservazione attiene a quest'ultima, nei luoghi in cui avviene la fruizione e nei modi di questa" (cos“ la sentenza n. 9 del 2004, che fa riferimento alla netta differenziazione della competenza in materia di "tutela dei beni culturali" - affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall'articolo 117, secondo comma, lettera s, Cost. - rispetto alla competenza in materia di "valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attivitˆ culturali" - affidata alla competenza concorrente del legislatore regionale, nell'ambito dei principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato, dallo stesso art. 117, terzo comma, Cost.). In realtˆ il problema della differenziazione tra la tutela e la valorizzazione pu˜ essere ricercato nella distinzione tra il momento statico, costituito dalla tutela materiale del bene, e il momento dinamico, costituito dalla considerazione del bene culturale come risorsa o servizio da rendere alla collettivitˆ. Ma questa distinzione si rivela insufficiente di fronte al carattere onnicomprensivo e dinamico del concetto di patrimonio culturale e di bene culturale che deriva dall'interpretazione costituzionale. Occorre piuttosto tener conto della obiettiva difficoltˆ di distinguere in modo chiaro il momento della tutela dal momento della valorizzazione e giungere alla conclusione che tra le due funzioni esiste uno stretto coordinamento e che l'art. 9 Cost. suggerisce l'opportunitˆ di trovare altrove il criterio della separazione o distinzione delle competenze statali e regionali. é a mio avviso corretto l'inserimento nell'ambito del concetto di "tutela" dell'altrettanto difficile e problematico concetto di "fruizione", come viene suggerito dall'art. 3 del Codice Urbani, nel quale si precisa che la tutela del patrimonio culturale consiste "nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attivitˆ dirette, sulla base di un'adeguata attivitˆ conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione", con il conseguente "esercizio delle funzioni anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare i diritti ed i comportamenti inerenti al patrimonio culturale". NellĠart. 6 dello stesso Codice, la valorizzazione viene definita come la funzione che consiste "nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attivitˆ dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio stesso. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale e la valorizzazione attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze" con la precisazione che "la Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione di soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale". In realtˆ, tutela e valorizzazione sono entrambe funzionali alla corretta fruizione dei beni culturali e tale fruizione non pu˜ che essere il risultato della compartecipazione di tutti i soggetti responsabili del patrimonio culturale. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 315 Anche su questo punto il codice Urbani si muove secondo una logica che  possibile condividere: in un apposito titolo, che disciplina la fruizione dei beni culturali, individuando gli istituti e i limiti della cultura - v. art. 101 - e la relativa fruizione, che deve essere assicurata da tutti gli enti pubblici, da tutti i livelli di governo (Stato, regioni, altri enti pubblici territoriali ed ogni altro ente ed istituto pu˜ intervenire, con la relativa disciplina dell'accesso e delle modalitˆ di fruizione ivi comprese la disciplina dell'uso dei beni culturali). A mio avviso, il tema della fruizione diventa il tema centrale per una ampia tutela e una effettiva valorizzazione dei beni culturali Infatti, attraverso l'identificazione degli istituti giuridici per la fruizione dei beni culturali si pu˜ articolare la disciplina giuridica in funzione dei diversi e molteplici beni e valori che sono inclusi nellĠampio concetto di patrimonio culturaIe. Fruire significa "avere a propria disposizione beni materiali o spirituali (come risorse economiche, diritti e privilegi, facoltˆ o virt non comuni, ecc.) capaci di appagare pienamente e sicuramente le aspirazioni dei sensi e dello spirito; usarne, avvalersene, giovarsene, prenderne diletto" (v. Dizionario della lingua italiana di Battaglia). Si tratta di concetto diverso da quello del valorizzare, che  termine connesso con il valore economico dei beni culturali. La valorizzazione  lo strumento per far rendere il capitale costituito dal patrimonio culturale; ma questo concetto  insufficiente rispetto alla logica ed ai principi affermati dall'art. 9 Cost. In questo senso la norma costituzionale costituisce un utile elemento per orientare il legislatore, in quell'ottica circolare che lega il secondo comma - che indica la tutela del patrimonio secondo una visione che potrebbe assumere le caratteristiche proprie di un valore economico da salvaguardare - al primo comma della stessa norma costituzionale - che esige uno sviluppo dinamico dei valori culturali come strumento di continua ricerca e l'individuazione dei presupposti per un miglioramento del livello culturale dei consociati e per ottenere risultati non solo economici, ma che costituiscono la base stessa del vivere collettivo e il riconoscimento in un contesto unitario della identitˆ nazionale. Il concetto di fruizione diviene quindi essenziale per dare vita a questi valori costituzionali, e l'organizzazione della fruizione si collega e costituisce una delle connotazioni pi sintomatiche della Repubblica, come Stato democratico costituzionale. Il corollario di questi principi sul piano organizzativo  proprio rappresentato dall'uso, nell'art. 9, del termine Repubblica, per individuare il soggetto responsabile della promozione dello sviluppo della cultura e della tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico. I costituenti hanno cos“ fatto riferimento a tutti i livelli di governo in cui la Repubblica  articolata. Si tratt˜ di una scelta consapevole: sarebbe stata una contraddizione utilizzare il termine Stato con riferimento a funzioni e a compiti che non potevano non essere assunti anche dalle regioni e dagli enti 316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 territoriali autonomi, cio di quegli enti territoriali che avrebbero costituito la struttura del nostro ordinamento (caratterizzato dal pluralismo istituzionale proprio di uno Stato regionale, ispirato ai principi dell'autonomia delle comunitˆ locali e del decentramento delle funzioni amministrative statali - come puntualizzato dai principi dell'art. 5 Cost.). Con la riforma del titolo V della Costituzione, intervenuta con la legge di revisione n. 3 del 2001, questa impostazione si  ulteriormente sviluppata ed accentuata, con l'individuazione dei livelli di governo in cui si articola la Repubblica a partire dal basso, come precisa il nuovo art. 114 Cost.: comuni, province, regioni e Stato (citati in quest'ordine dalla nuova norma costituzionale) "costituiscono" la Repubblica e danno vita ad un sistema articolato di poteri pubblici cui sono affidate le responsabilitˆ connesse al perseguimento dei valori costituzionali. La necessitˆ del coinvolgimento di tutti livelli di governo  confermata dalla circostanza che nello stesso articolo 117 si  potuto riscontrare non solo quella incerta attribuzione delle competenze allo Stato e alle regioni in tema di beni culturali e paesistici di cui si  subito dovuta occupare la Corte costituzionale (attribuzione della "tutela" alla legislazione esclusiva dello Stato e della "valorizzazione" alla competenza concorrente della legislazione regionale) ma anche la necessitˆ di uno stretto coordinamento tra valorizzazione e tutela nei diversi livelli di governo. Come confermano sia lĠultimo comma dell'articolo 116 (nel quale si prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possano essere previste per singole regioni anche in tema di tutela dei beni culturali) sia nell'art. 118, terzo e quarto comma, dove si prevede che la legge statale disciplini forme di intese e coordinamento tra Stato e regioni proprio nella materia della tutela dei beni culturali. Come per l'ambiente e per il paesaggio, diventa centrale il principio di sussidiarietˆ: concetto nuovo e fondamentale, che non a caso nasce a livello europeo in materia di ambiente, e con il quale si deve confrontare ogni ipotesi di riordino degli apparati amministrativi del settore. Attraverso la sussidiarietˆ si potranno dare soluzioni alle esigenze di raccordo e di coordinaniento fra il centro, la periferia e i privati. Non entro nel merito delle soluzioni; ma sicuramente questo  un capitolo importantissimo per l'organizzazione delle funzioni, sul quale c'e molto da lavorare. Se ci si rende conto dell'impossibilitˆ di scindere la tutela dell'ambiente e dei beni culturali attribuita al centro, dalla valorizzazione, che rientra invece nei compiti delle regioni, e dalla stessa fruizione, che pu˜ coinvolgere l'iniziativa dei privati, la direzione in cui muoversi  quella dell'individuazione delle forme di coordinamento e degli istituti che lo rendano possibile ed efficiente. Questa impostazione dovrebbe guidare anche l'aggiornamento del Codice Urbani (anche se, a mio avviso, il Codice  il risultato positivo da tenere come punto femo del nostro sistema: infatti, quando si arriva alla formulazione di un CONTRIBUTI DI DOTTRINA 317 Codice, se esso ha la dignitˆ di Codice,  bene tutelarlo e rinunciare ad opere di completa revisione, puntando solo sulla manutenzione o sul 'restauro'). Nell'ambito del Codice, probabilmente occorre stabilire quelle che sono le responsabilitˆ: ed chiaro che riferendosi alla responsabilitˆ della tutela non si pu˜ non fare tesoro dell'esperienza delle Soprintendenze. Bisogna cio essere capaci di imporre soluzioni in modo distante, senza lasciarsi coinvolgere, dagli interessi locali. Ma  chiaro che le Soprintendenze non possono fare tutto. PerchŽ se pretendono di poter svolgere un ruolo attivo su tutti i settori, rischiano di svolgere ruoli al di fuori della loro portata (per esempio, per il paesaggio, occorrono competenze tecniche diverse da quelle che hanno gli storici dell'arte). Indubbiamente ci sono funzioni che debbono essere svolte al livello centrale, perchŽ attengono a beni e complessi di beni che si caratterizzano per il loro valore identitario dell'unitˆ nazionale. In questo senso, bisogna essere intransigenti sul fatto che lo Stato faccia bene il suo mestiere di tutela, che abbia la capacitˆ di guidare le attivitˆ da svolgere in sede locale attraverso l'elaborazione di linee guida, che predisponga piani di gestione secondo le tecniche dei siti d'interesse Unesco e comunitario: che mostri cio di avere quella capacitˆ che gli  propria, nel dare il coordinamento indispensabile sul piano delle elaborazioni tecniche e scientifiche e delle idee guida. Lo svolgimento di un ruolo forte di coordinamento e di direzione da parte degli organi centrali, permetterˆ, attraverso i meccanismi propri della sussidiarietˆ di ottenere l'applicazione concreta e l'amministrazione puntuale delle linee guida da parte degli enti regionali e locali. In una fase come quella attuale, in cui le risorse a disposizione sono molto scarse, il lavoro da fare pare quello di attivare la ricerca di nuovi strumenti e nuove tecniche di coordinamento e quello di precisare una nuova disciplina degli istituti pi idonei a consentire la fruizione dei beni culturali (come i musei, i siti Unesco e i siti naturali, le cittˆ d'arte, ma anche le fondazioni musicali, i teatri, ecc.) Occorre anche, per questa via, individuare nuove forme di partecipazione e di intervento dell'iniziativa privata. Ciascuno deve poter svolgere adeguatamente il suo ruolo. Il principio di fondo, a mio avviso,  quello giustamente richiamato nel corso di questo convegno: quello della insostituibilitˆ delle valutazioni scientifiche effettuate dagli apparati centrali, ma anche quello delle differenziazioni che debbono essere fatte nelle diverse realtˆ territoriali e culturali. Sussidiarietˆ e differenziazione sono concetti del diritto comunitario di importanza fondamentale: a questi principi si dovrˆ ispirare ogni iniziativa di riordino e di nuova definizione dell'esercizio delle funzioni degli apparati amministrativi centrali e locali, nella prospettiva disegnata dall'art. 9 della nostra Costituzione. 318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Per un bilanciamento di valori tra persona e impresa Stefano Bini* SOMMARIO: 1. Il rapporto tra diritto e tradizione: le regole come proiezione di valori condivisi - 2. Dalla Costituzione allĠautonomia privata collettiva: la centralitˆ di un equilibrato bilanciamento di valori - 2.1. Un caso di studio: lo sciopero nei servizi pubblici essenziali - 3. Il ruolo della Corte costituzionale nellĠevoluzione dellĠideologia normativa: il parametro della razionalitˆ applicato al bilanciamento di interessi - 3.1. Un caso di studio: il contratto a termine illegittimo e lĠindennitˆ onnicomprensiva: l. 183/2010 (art. 32, commi 5, 6, 7) e Corte cost. n. 303/2011. 1. Il rapporto tra diritto e tradizione: le regole come proiezione di valori condivisi. Per cogliere pienamente la centralitˆ dei valori e del loro bilanciamento a fondamento del discorso giuridico, ed in special modo nellĠambito del Diritto del lavoro, appare rilevante soffermarsi in via preliminare sul rapporto intercorrente tra ÒdirittoÓ e ÒtradizioneÓ (1). Il ÒdirittoÓ in termini teorico-generali pu˜ essere definito come lĠinsieme di regole condivise, interiorizzate e radicate nella coscienza collettiva di una determinata comunitˆ, mentre la ÒtradizioneÓ consiste nella sintesi ed espressione di valori etici e principi morali socialmente condivisi, identificativi di una collettivitˆ, al punto tale da essere capace di esprimere una comune ideologia normativa. Da unĠanalisi congiunta delle due definizioni, si rileva in tutta evidenza che allorquando il diritto, nel suo continuo processo di sviluppo storico-evolutivo, si allontana dalla tradizione, determinando cos“ una frattura, uno scollamento tra le due menzionate categorie, il risultato si determina conseguentemente, il passaggio da unĠintima condivisione valoriale ad una arbitraria imposizione di regole, socialmente non condivise e quindi percepite come imposte. Il rischio di un possibile scollamento tra diritto e tradizione si avverte come potenzialmente concreto nel rapporto tra la tradizione valoriale nazionale ed un diritto espressivo di una identitˆ, quale ad esempio quella europea, percepibile come diversa, estranea, non condivisa (in quanto fondata su valori non del tutto coincidenti con quelli nazionali) e, dunque, come imposta. Interessante e quanto mai attuale profilo di concreta criticitˆ, relativamente alla coerenza tra regole e tradizione, presenta il rapporto tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario. Esso, improntato ad una (*) Ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato, dottorando di ricerca in ÒDiritto ed impresaÓ presso la LUISS ÒGuido CarliÓ di Roma. (1) Si veda al riguardo il saggio del ÒMaestroÓ: R. PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. Lav., 2006, pp. 1542-1566, al cui studio questo scritto  profondamente ispirato. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 319 relazione di autonomia e di netto dualismo istituzionale, sebbene ÒcontaminatoÓ da un insieme di norme tese a garantire un efficace coordinamento tra normativa statale e comunitaria, viene dunque in rilievo quale legame tra lĠinsieme di valori e principi socialmente condivisi dalla comunitˆ nazionale ed un diritto rappresentativo di valori e principi altri (2). Soccorre peraltro, di fronte al profilarsi di un siffatto rischio, la previsione costituzionale di un organo di chiusura del sistema, la Corte costituzionale che, come si vedrˆ pi dettagliatamente (v. infra ¤ 3),  investita della difficile funzione di integrazione del diritto nazionale con quello di derivazione comunitaria (anche alla luce di un necessario e proficuo dialogo con la Corte europea) (3), individuando coerenze e superando antinomie, cos“ da ricondurre a sistema i differenti prodotti normativi, nel superamento del conseguente caos normativo (4). Risulta infatti imprescindibile concepire il diritto, ed il diritto del lavoro in modo particolare, come complesso normativo soggetto ad un continuo e costante fluire storico-evolutivo, che risente in maniera significativa anzitutto dellĠaccentuata e duratura situazione di instabilitˆ socio-economica; questĠultima, infatti, influisce significativamente sul succedersi delle scansioni temporali del diritto, producendo cos“ indirettamente anche una progressiva stratificazione di quei valori e quei principi morali che formano la tradizione di una comunitˆ (5). Il consequenziale caos normativo (6) ed il marcato clima di incertezza - sulla cui origine un ruolo centrale  assunto anche dalla stessa giurisprudenza, allorquando questa assecondi spinte autoreferenziali e talvolta non sempre coerenti (7) - accompagnano, come dei Çtraumi ordinamentaliÈ (8), le fasi di transizione tra ideologie normative. (2) Particolarmente florida , sul punto, la produzione della dottrina giuslavoristica; si vedano ex multis: G. SANTORO PASSARELLI, Il difficile adeguamento del diritto interno al diritto comunitario, in Riv. It. Dir. Lav., 1998, I, pp. 317 e ss; M. DĠANTONA, Armonizzazione del diritto del lavoro e federalismo nellĠUnione Europea, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1994, pp. 695 e ss.; R. FOGLIA, Il lavoro, in M. BESSONE (diretto da), Il diritto privato nellĠUnione Europea, Torino, 1999, pp. 18 e ss. (3) Interessante al riguardo  lo studio di R. FOGLIA, Il ruolo della Corte di Giustizia e il rapporto tra giudice comunitario e i giudici nazionali nel quadro dellĠart. 177 del Trattato (con particolare riferimento alle politiche sociali), in Dir. Lav., 1999, I, pp. 138 e ss. (4) M. PERSIANI, Diritto del lavoro e autoritˆ dal punto di vista giuridico, in Arg. Dir. Lav., 2000, I, p. 14; A.M. SANDULLI, Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, in Dir. Soc., 1975, pp. 561 e ss. (5) Il diritto quale fondamentale componente culturale della societˆ, come tale, soggetto ad un processo di evoluzione storica  presentato anche in G. VISENTINI, Lezioni di teoria generale del diritto, Padova, 2008, pp. 2 e ss.: ÇIl diritto  fenomeno storico e peculiare di una civiltˆ, quella alla quale apparteniamo, che oggi va diffondendosiÈ (p. 4). (6) Espressione coniata da M. PEDRAZZOLI, La difficile conoscibilitˆ delle norme. In margine ad un Codice dei Valori, in AA. VV., Scritti in memoria di M. DĠAntona, Milano, 2004, pp. 1181 e ss. (7) Come posto in luce da Mattia Persiani nella sua relazione - sul tema LĠinterpretazione: categorie concettuali e argomentazioni retorico-persuasive - al seminario di Bertinoro, 15-16 luglio 2005, Le fonti e lĠinterpretazione nel diritto del lavoro. (8) R. PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. Lav., 2006, p. 1543. 320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 Affermato allora lĠincessante fluire evolutivo delle regole che compongo un ÒdirittoÓ in rapporto ad una ÒtradizioneÓ, occorre a tal punto sottolineare come, tuttavia, il lungo e lento processo di interiorizzazione ed assorbimento nelle coscienze collettive di una determinata tradizione (favorito anche dalla rilevante incidenza delle dinamiche comunicative), percepita quindi come ÒpropriaÓ ed identificativa di un idem sentire, non si pone come facilmente modificabile in un momento storico successivo (9). Condicio sine qua non affinchŽ il continuo evolversi del diritto non sfoci in una vuota e pericolosa manifestazione di arbitrarietˆ, ma sia sempre invece espressione di una comune ideologia normativa,  costituita dunque dal suo restare necessariamente e solidamente ancorato ad un robusto substrato valoriale. Di straordinaria profonditˆ e chiarezza risulta a tal proposito la visione sistemico- valoriale cristallizzata da autorevole dottrina (PERSIANI, 2005): Çil giurista non  solo quando possa contare su una robusta codificazione di valori, quali quelli espressi dalla Carta Costituzionale e da un organo di chiusura del sistema che vigila sulla loro persistenza nellĠordinamento, garantendo un processo evolutivo operato attraverso un loro ragionevole e razionale bilanciamentoÈ (10). In queste parole  infatti espresso con grande efficacia il conforto che il giurista trae dalla presenza di un solido fondamento valoriale, sotteso alla produzione normativa. La coerenza e la costante aderenza del diritto alla tradizione sono infine assicurate dallĠattento e scrupoloso vaglio di legittimitˆ costituzionale operato dalla Corte costituzionale che, attraverso le lenti della razionalitˆ, valuta il bilanciamento di interessi condotto dal legislatore, nelle sue scelte politiche. 2. Dalla Costituzione allĠautonomia privata collettiva: la centralitˆ di un equilibrato bilanciamento di valori. ÇI valori sostanziali (o materiali) sono gli elementi primi delle disposizioni costituzionali e il loro contenuto essenziale. Ma i valori non sono strutture inerti o cose. Essi sono portatori di una propria logica ÒessenzialeÓ e Òdi relazioneÓ ed esigono, pertanto, che le regole dellĠinterpretazione e la natura stessa dellĠermeneutica si adeguino alla loro logica, alla logica della ragionevolezza e alle regole sulle relazioni tra valori (bilanciamento, ecc.). Essi, dunque, esigono un profondo rinnovamento teorico e un significativo cambiamento del metodo [...]È (11). (9) Si prenda a questo proposito in esame un caso particolarmente emblematico, quale quello della c.d. Çimpermeabilitˆ della societˆ alla recezione della previdenza complementareÈ (cfr. R. PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. Lav., 2006, p. 1544). Per una trattazione pi ampia della previdenza complementare nellĠambito del modello costituzionale italiano si veda R. PESSI, Lezioni di diritto della previdenza sociale, Torino, 2012, pp. 25-26 e 805-855. (10) M. PERSIANI, relazione sul tema LĠinterpretazione: categorie concettuali e argomentazioni retorico-persuasive, al seminario di Bertinoro, 15-16 luglio 2005, Le fonti e lĠinterpretazione nel diritto del lavoro, in R. PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. Lav., 2006, p. 1545. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 321 Constatata dunque la necessaria ed imprescindibile coesistenza, nellĠimpianto assiologico dei principi costituzionali, dei valori del lavoro e dellĠimpresa, occorre acquisire piena consapevolezza della impossibilitˆ di raccordare tali valori ordinandoli lungo una scala gerarchica, risultando invece quanto mai fondamentale lo sforzo di garantire la coesistenza tra gli stessi, attraverso il ricorso alla tecnica del bilanciamento (12). Quella che viene infatti definita dal ÒMaestroÓ (PESSI, 2006) come Òcrisi di identitˆÓ del diritto del lavoro impone di procedere ad un approccio sistematico delle norme e dei principi costituzionali in materia di lavoro ed impresa. Assumendo - alla luce delle esposte considerazioni di teoria generale del diritto (v. supra ¤ 1) - la Costituzione come il Çprecipitato in opzioni di diritto positivo dei valori etici, ovvero la positivizzazione dei principi moraliÈ (13), chiara emerge, ad unĠanalisi assiologica del dettato normativo costituzionale, la prevalenza dei valori della persona su quelli dellĠimpresa, soggetti a limitazioni non previste invece per la prima categoria (14). Di fondamentale importanza  dunque concepire lĠimpresa, e pi in generale le ragioni dellĠefficienza economica, in unĠottica strumentale, come essenziale precondizione per la tutela degli interessi della persona. Nello spirito di costante ricerca di un equilibrato bilanciamento tra interessi e valori reciprocamente distanti, il diritto del lavoro costituisce terreno prioritario per la composizione di antinomie normative, espressive di interessi contrapposti, ma da non considerare mai come irrisolvibili posizioni contraddittorie. LĠarea normativa del diritto del lavoro, inteso nella sua accezione pi ampia, emerge come intrinsecamente e profondamente connotata da sostanziali rapporti di tensione dualistica; si pensi, oltre al principale binomio capitale/lavoro anche alla cruciale contrapposizione tra insiders (soggetti occupati, la- (11) A. BALDASSARRE, Costituzione e teoria dei valori, in Pol. Dir., 1991, IV, p. 658. Dello stesso autore si veda anche A. BALDASSARE, Diritti della persona e valori costituzionali, Torino, 1997, pp. 80 e ss. (12) M. PERSIANI, Diritto del lavoro e autoritˆ del punto di vista giuridico, in Arg. Dir. Lav., 2000, I, p. 17. (13) R. DE LUCATAMAJO, Giurisprudenza costituzionale e diritto del rapporto di lavoro, in AA. VV., Lavoro. La Giurisprudenza costituzionale (1 luglio 1989 - 31 dicembre 2005), vol. IX, Roma, 2006, p. 42. (14) Il principale esempio in merito  rinvenibile nella stessa formulazione dellĠart. 41 Cost. che, nei primi due commi, esprime efficacemente lĠesigenza di un equilibrato contemperamento tra le ragioni dellĠiniziativa economica privata (riconosciuta come libera al primo comma: ÇLĠiniziativa economica privata  liberaÈ) e la sfera delle libertˆ e dei diritti della persona umana (sanciti dal secondo comma: ÇNon pu˜ svolgersi in contrasto con lĠutilitˆ sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertˆ, alla dignitˆ umanaÈ). Predisponendo, dunque, il secondo comma dellĠarticolo in esame un sistema di limiti allĠiniziativa economica privata, si esprime implicitamente il disegno dei padri costituenti teso a riconoscere la preminenza dei valori della persona su quelli dellĠattivitˆ economica. Si segnala un interessante studio su tali aspetti, rappresentato da F. MAZZIOTTI, Diritti fondamentali e solidarietˆ nei rapporti di lavoro, in R. PESSI e A. VALLEBONA (a cura di), Il lavoratore tra diritti della persona e doveri di solidarietˆ, Padova, 2011, pp. 121 e ss.; lĠautore riconosce nel comma 2 dellĠart. 41 Cost.: Çil primo e principale limite alla realizzazione di finalitˆ economicheÈ, nonchŽ: Çil principale riconoscimento dei diritti fondamentali nei rapporti di lavoroÈ. 322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 voratori) ed outsiders (potenziali lavoratori, soggetti che ambirebbero ad essere occupati ed inseriti nei processi produttivi) (LINDBECK, SNOWER, 1988), determinata dalla endemica condizione di scarsitˆ occupazionale che caratterizza il mercato del lavoro, come anche dalla c.d. Òrigiditˆ salarialeÓ che non rende ÒvantaggiosoÓ per il datore di lavoro il turn over, a causa dei costi connessi al ricambio della forza lavoro (15). Il conflitto, da esercitarsi sempre nel pieno rispetto della legalitˆ costituzionale, si presenta quindi quale componente intrinsecamente irrinunciabile, caratterizzante le relazioni sociali ed espressiva della forma di Stato pluralista e democratica: come evidenzia il ÒMaestroÓ (PESSI, 2006), infatti, occorre superare ogni forma di tentato superamento del conflitto, rendendosi invece quanto mai necessario operare, nellĠambito del conflitto medesimo, un continuo e costante tentativo di composizione, armonizzazione e bilanciamento degli interessi e, dunque, dei valori interessati da rapporti di tensione (16). Il diritto del lavoro, in estrema sintesi, si sostanzia - pi di ogni altro ramo del diritto - nella perpetua ricerca di un assetto quanto pi possibile bilanciato e ragionevolmente equilibrato dei molteplici ed eterogenei interessi coinvolti, da considerarsi questi ultimi in una logica dualistica di tensione da comporre, mediante proficui risultati compromissori. 2.1. Un caso di studio: lo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Al fine di verificare concretamente e applicare praticamente quanto sin qui affermato in una dimensione prettamente teorico-speculativa, si prende in esame un importante fenomeno, nellĠambito del diritto sindacale, che presenta - anzitutto per le sue numerose implicazioni sociali - maggiori aspetti di interesse: lo sciopero nei servizi pubblici essenziali (17). La disciplina introdotta con la l. 12 giugno 1990, n. 146 (18) - nella legislazione italiana, unica previsione legislativa in materia di sciopero (19) - rappresenta Çun indicatore delle profonde trasformazioni del sistema costituzionale delle relazioni socialiÈ (20), costituendo essa stessa uno strumento di e per il bilanciamento tra interessi potenzialmente confliggenti. (15) R. PESSI, Persona e impresa nel diritto del lavoro, in AA. VV., Diritto e libertˆ: studi in memoria di Matteo DellĠOlio, Torino, 2008, pp. 1238-1257; A. LINDBECK, D.J. SNOWER, The insider-outsider theory of employment and unemployment, London, 1988, pp. 2 e ss.; R. DEL PUNTA, LĠeconomia e le ragioni del diritto del lavoro, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2001, pp. 3 e ss. (16) R. PESSI, Economia e diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2006, p. 448. (17) R. PESSI, Lezioni di diritto del lavoro, Torino, 2012, pp. 193 e ss.; M. PERSIANI, Diritto sindacale, Padova, 2012, pp. 247 e ss. (18) M.N. BETTINI, La legge 12 giugno 1990, n. 146 nella opinione degli interpreti: lo stato dellĠarte, in Riv. Giur. Lav., 1991, I, pp. 479 e ss. (19) Francesco Santoro Passarelli definiva la situazione del diritto sindacale in generale e del diritto di sciopero in particolare come un Òdiritto senza normeÓ: si veda lĠinteressante saggio di M. PERSIANI, Diritti fondamentali della persona e diritto dei lavoratori a scioperare, in DL, 1992, I, pp. 13 e ss. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 323 Il contemperamento che viene per˜ qui in considerazione assume contorni di straordinaria peculiaritˆ, dovendosi operare un procedimento di bilanciamento non tra ÒsempliciÓ interessi contrastanti, bens“ tra diritti costituzionali fondamentali. Certamente prezioso  richiamare in questa sede la formulazione dellĠart. 1, comma 2, della legge qui in esame, cos“ da cogliere nella sua pienezza lĠespressione della ratio normativa: ÇAllo scopo di contemperare lĠesercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, di cui al comma 1, la presente legge dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare lĠeffettivitˆ, nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi, in particolare nei seguenti servizi e limitatamente allĠinsieme delle prestazioni individuate come indispensabili ai sensi dellĠarticolo 2 [...]È. Prima ancora dellĠentrata in vigore della l. 146/1990, la giurisprudenza aveva giocato un ruolo decisivo nel riconoscere forme di tutela agli interessi della persona coinvolti nellĠesercizio del diritto di sciopero, ma comunque estranei rispetto a quelli propri delle parti coinvolte nel conflitto industriale. Si pensi, tra le molteplici, alla sentenza della Corte di Cassazione, 30 gennaio 1980, n. 711, nella quale si riconosce lungimirantemente la necessitˆ di esercitare il diritto di sciopero secondo modalitˆ che non ledano altri interessi costituzionalmente rilevanti (21); lĠimportanza della sentenza ha indotto autorevole dottrina (PERSIANI, 2000) a considerare la stessa addirittura quale fonte di ispirazione della successiva l. 146/1990 (22). In ultima analisi, quindi, lĠart. 1, comma 2, l. 146/1990 racchiude lĠintima essenza del bilanciamento di interessi, presentando con grande chiarezza espressiva i termini del bilanciamento da operare, nonchŽ la finalitˆ centrale dellĠintervento normativo, da rinvenire nellĠesigenza di armonizzare lĠesercizio di diritti tutti costituzionalmente tutelati. Come posto in luce dalla surrichiamata dottrina (PERSIANI, 1992), infine, la chiave interpretativa della legge qui in esame  da rinvenire nella consapevolezza che la ratio della norma risiede nella tutela dei diritti della persona (e quindi non nella primaria esigenza di assicurare lĠesercizio del diritto di sciopero) e, conseguentemente pu˜ pertanto procedersi al bilanciamento solamente allorquando il conflitto si ponga tra di- (20) O. ROSSELLI, La dimensione costituzionale dello sciopero, Torino, 2005, p. 80. Si noti peraltro che lĠautore ha accompagnato il titolo dellĠopera con lĠefficace sottotitolo: ÒLo sciopero come indicatore delle trasformazioni costituzionaliÓ, cos“ da enfatizzare la rilevante tendenza evolutiva che ha caratterizzato lĠistituto dello sciopero nellĠordinamento giuridico italiano; ÇlĠidea stessa di sciopero  il prodotto della cultura del tempo e questa fornisce il substrato al legislatore ed allĠinterprete [...] per giungere, secondo i poteri che lĠordinamento loro attribuisce, a definirlo giuridicamenteÈ (p. 88). (21) Cass., 30 gennaio 1980, n. 711, in Giust. Civ., 1980, I, pp. 803 e ss. (22) M. PERSIANI, Diritto del lavoro e autoritˆ del punto di vista giuridico, in Arg. Dir. Lav., 2000, I, pp. 27-28. 324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 ritto di sciopero e diritti della persona umana di rango ÒparitarioÓ (23). 3. Il ruolo della Corte costituzionale nellĠevoluzione dellĠideologia normativa: il parametro della razionalitˆ applicato al bilanciamento di interessi. Il naturale percorso storico-evolutivo dellĠideologia normativa propria dellĠordinamento nazionale  accompagnato, con grande equilibrio, dai giudici costituzionali che, attraverso il vaglio di costituzionalitˆ, compiono una continua e cruciale valutazione di natura metagiuridica, tesa ad individuare ed analizzare nel profondo i valori sottesi alle scelte legislative. Il processo di continua ÇÒvivificazioneÓ dellĠideologia normativaÈ di cui si dirˆ (v. infra ¤ 3.1.),  infatti compiuto dalla Corte attraverso un giudizio che rimanda costantemente al corpus valoriale che legittima le scelte politiche rinvenibili nei provvedimenti legislativi. In materia giuslavoristica, in particolare, si coglie ancor pi concretamente la funzione di chiusura del sistema che la Corte riveste, compiendo essa il giudizio di costituzionalitˆ su una normativa che rappresenta costantemente la continua espressione di una dialettica compromissoria tra i differenti interessi coinvolti. La legislazione lavoristica costituisce invero il frutto di una continua tensione valoriale che il legislatore cerca di comporre attraverso il ricorso alla preziosa tecnica del bilanciamento di interessi (24). Proprio su un tale fondamentale presupposto, i giudici costituzionali sottopongono le scelte legislative ad un controllo di proporzionalitˆ rispetto ai valori ed ai principi cristallizzati nella Costituzione (da intendersi - come richiamato in supra ¤ 2 - quale Çprecipitato in opzioni di diritto positivo dei valori etici, ovvero la positivizzazione dei principi moraliÈ (25)). La grande capacitˆ dei giudici costituzionali di non considerare lĠordinamento come mero corpo normativo statico ed autoconcluso pu˜ essere pienamente apprezzata, specialmente con riferimento alla legislazione del lavoro, nellĠopera di vigilanza - condotta attraverso una incessante lettura evolutiva dei valori costituzionali, anche mediante il ricorso a tecniche ermeneutiche tese al continuo adeguamento del tessuto normativo esistente ai mutati contesti storico-sociali (26) - sulla ragionevolezza complessiva del contemperamento di interessi condotto dal legislatore. Tale funzione di presidio della comune ideologia normativa ha necessa- (23) M. PERSIANI, Diritti fondamentali della persona e diritto dei lavoratori a scioperare, in DL, 1992, I, p. 18. (24) Cfr. R. PESSI, Fattispecie ed effetti nel diritto del lavoro, in R. PESSI, Valori e regole costituzionali, Roma, 2009, pp. 137 e ss. (25) R. DE LUCATAMAJO, Giurisprudenza costituzionale e diritto del rapporto di lavoro, in AA. VV., Lavoro. La Giurisprudenza costituzionale (1 luglio 1989 - 31 dicembre 2005), vol. IX, Roma, 2006, p. 42. (26) Con riferimento alle molteplici tecniche interpretative, si veda F. MODUGNO, Appunti dalle lezioni di teoria dellĠinterpretazione, Padova, 1998, pp. 2 e ss. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 325 riamente indotto la Corte ad elaborare una serie di strumenti e di canoni concettuali, mediante i quali condurre una valutazione circa lĠeventuale arbitrarietˆ del bilanciamento di interessi e valori condotto dal legislatore. Di importanza assolutamente preminente in tal senso , tra tutti, il parametro della razionalitˆ, da intendersi quale criterio informatore del controllo di legittimitˆ, in termini di coerenza, adeguatezza e proporzionalitˆ delle scelte politiche operate in sede legislativa nel bilanciare interessi distanti, rispetto ai principi valoriali, costituzionalmente cristallizzati. ÇPonendosi i principi costituzionali come elementi direttivi del sistema giuridico, diviene necessario il giudizio di coerenza tra quei principi ed il singolo precetto dettato dal legislatore ordinarioÈ (27). 3.1. Un caso di studio: l. 183/2010 (art. 32, commi 5, 6, 7) e Corte cost. n. 303/2011 (contratto a termine illegittimo e indennitˆ onnicomprensiva) (28). Volendo individuare un concreto caso di specie esemplificativo della cruciale funzione di garanzia, in termini di coerenza e razionalitˆ, assolta dalla Corte costituzionale, si ritiene particolarmente prezioso il richiamo, seppur sintetico, di una storica sentenza della Corte, dalla cui formulazione traspare chiaro il controllo di razionalitˆ condotto su un concreto bilanciamento di interessi. La Corte costituzionale, con la sentenza 11 novembre 2011, n. 303, ha dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimitˆ costituzionale, sollevate con riferimento allĠart. 32, commi 5, 6, 7 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. Òcollegato lavoroÓ). LĠessenza dellĠart. 32, l. 183/2010, sul quale si  concentrato il giudizio di costituzionalitˆ dei giudici della Corte costituzionale,  da rinvenire nella definizione di nuovi criteri per il risarcimento del danno spettante al lavoratore, nellĠipotesi di illegittimitˆ del termine di durata apposto al contratto di lavoro; in caso di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, viene infatti previsto dal comma 5 dellĠart. 32 della l. 183/2010, un tetto allĠindennitˆ risarcitoria avente carattere onnicomprensivo, alla cui corresponsione  tenuto il datore di lavoro (da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilitˆ dellĠultima retribuzione globale di fatto). Disattendendo le argomentazioni poste a fondamento delle ordinanze di rimessione, nelle quali si assumeva lĠinnovativa normativa come Çirragionevolmente riduttiva del risarcimento del danno integrale giˆ conseguibile dal (27) R. PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. Lav., 2006, p. 1553. (28) Per unĠanalisi pi approfondita della sentenza qui brevemente commentata si rinvia a S. BINI, Nota a sentenza Corte Costituzionale, 11 novembre 2011, n. 303. Indennitˆ onnicomprensiva e contratto a termine: certezza del diritto e bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti, in Iuris Prudentes, 2012, 4, pp. 12-13. 326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 lavoratore sotto il regime previgenteÈ (29), la Corte ha riconosciuto la legittimitˆ costituzionale della disposizione contenuta nellĠimportante provvedimento legislativo del 2010, sostenendo lĠidoneitˆ e lĠadeguatezza della stessa a conseguire un equilibrato bilanciamento d interessi contrastanti. La Corte costituzionale considera, in sintesi, lĠart. 32, l. 4 novembre 2010, n. 183 come lĠequilibrato punto di sintesi di interessi tra loro contrapposti: da un lato, infatti, viene garantita al lavoratore sia lĠindennitˆ risarcitoria avente carattere forfettario ed onnicomprensivo, sia la conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato (ecco dunque come appare chiara la natura aggiuntiva e non sostitutiva di quella che potrebbe definirsi come sanzione economica per il datore di lavoro); dallĠaltro lato, invece, trovano tutela le ragioni propriamente datoriali, consentendosi la predeterminazione del risarcimento del danno conseguente alla illegittima apposizione del termine, con la fondamentale e storica introduzione della limitazione allĠindennitˆ stessa, relativa al periodo intercorrente tra la data di interruzione del rapporto di lavoro e quella dellĠaccertamento giudiziale del diritto del lavoratore alla stabilizzazione dello stesso (fermo restando, naturalmente, il diritto alla retribuzione per il periodo successivo alla sentenza) (30). Ai fini del presente studio, risulta particolarmente efficace la formulazione della sentenza qui richiamata, giacchŽ al punto 3.3.1 del Òconsiderato in dirittoÓ, si legge che: Çin definitiva, la normativa impugnata risulta, nellĠinsieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessiÈ (31). Nelle poche parole appena riportate  invero possibile rinvenire lĠessenza stessa del ruolo di chiusura del sistema, di cui  investita la Corte costituzionale: assolutamente centrale nellĠevoluzione dellĠideologia normativa, essa assolve infatti ad una cruciale funzione di guida nel processo storico-evolutivo della comune tradizione giuridica. (29) Si riportano per completezza gli estremi delle ordinanze di rimessione: Cass., 28 gennaio 2011, n. 2012 e Trib. Trani, 20 dicembre 2011; in esse la presunta illegittimitˆ dellĠart. 32, commi 5, 6, 7, l. 183/2010 viene asserita in relazione agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 e 111, comma 1 della Costituzione. (30) Per unĠanalisi particolarmente accurata della normativa introdotta dal c.d. Òcollegato lavoroÓ in materia di contratto a termine si vedano: A. VALLEBONA, La certezza finalmente alla ribalta: legittimitˆ costituzionale dellĠindennitˆ per il termine illegittimo, in Mass. Giur. Lav., 2011, n. 12, pp. 939 e ss.; A. VALLEBONA, Il collegato lavoro: un bilancio tecnico, in Mass. Giur. Lav., 2010, n. 12, pp. 900 e ss.; A. VALLEBONA, Una buona svolta del diritto del lavoro: il ÒcollegatoÓ 2010, in Mass. Giur. Lav., 2010, n. 4, pp. 210 e ss. (31) Proseguono poi i giudici della Corte, esponendo efficacemente i contenuti del bilanciamento di interessi condotto dal legislatore del collegato, ritenuto adeguato dalla stessa Corte: Ç[...] al lavoratore garantisce la conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, unitamente ad unĠindennitˆ che gli  dovuta sempre e comunque, senza necessitˆ nŽ dellĠofferta della prestazione, nŽ di oneri probatori di sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, assicura la predeterminazione del risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data dĠinterruzione del rapporto fino a quella dellĠaccertamento giudiziale del diritto del lavoratore del riconoscimento della durata indeterminata di essoÈ. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 327 Come autorevolissima dottrina (PESSI, 2006) ha riconosciuto, la straordinarietˆ dellĠimportanza della Corte pu˜ cogliersi nellĠabilitˆ della stessa di favorire una continua ÒvivificazioneÓ dellĠordinamento giuridico, senza mai concepire lo stesso come un sistema autoreferenziale e, come tale, autoconcluso (32). Attraverso il vaglio di costituzionalitˆ, dunque, la Corte conduce una continua valutazione di adeguatezza della produzione normativa, tesa a garantire costantemente - anche e soprattutto attraverso un prezioso e proficuo Òdialogo pedagogicoÓ intessuto con il legislatore (33) - la non arbitrarietˆ del diritto (v. ¤ 1), lĠeffettiva aderenza del diritto alla tradizione e quindi la complessiva coerenza dellĠassetto normativo rispetto al complesso di valori e principi eticomorali espressione della comunitˆ e collettivitˆ nazionale. (32) R. PESSI, Diritto del lavoro: bilancio di un anno tra bipolarismo e concertazione, Padova, 2008, pp. 12 e ss. (33) R. PESSI, Il dialogo tra giurisprudenza costituzionale e sistema ordinamentale, in Arg. Dir. Lav., 2006, p. 1558. 328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2012 L'Astreinte amministrativa. Problematiche applicative dell'art. 114, co. 4, lett. e), c.p.a. e prime applicazioni giurisprudenziali Giulia Guccione* Con l'art. 114, comma 4, lettera e), del codice del processo amministrativo  stata per la prima volta introdotta, in via generale, la cd. penalitˆ di mora Un istituto, quest'ultimo, avente affinitˆ con quello giˆ previsto, per il processo civile, dall'art. 614 bis c.p.c., aggiunto dall'art. 49 della legge 18 giugno 2009, n. 69 con il precipuo scopo di completare la tutela esecutiva e fornire all'organo giudicante un efficace strumento di attuazione delle sentenze di condanna agli obblighi di fare infungibile o di non fare. Obblighi, questi, che per loro intrinseca natura richiedono una non surrogabile attivitˆ di collaborazione e cooperazione da parte del soggetto obbligato (1). Riprendendo il modello, fornito oltralpe, dell'astreinte, il legislatore - consapevole della inadeguatezza dei tradizionali mezzi di esecuzione forzata nel realizzare l'interesse creditorio all'adempimento di siffatte prestazioni - ha cos“ introdotto una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario finalizzata a vincere la resistenza del debitore, inducendolo ad adempiere all'obbligazione sancita a suo carico. Nell'ambito del processo amministrativo, l'istituto della penalitˆ di mora  contenuto nel titolo I del libro IV del codice del processo amministrativo, all'interno della disciplina del giudizio dell'ottemperanza. Con l'articolo 114, comma 4, lett. e), c.p.a. si dˆ per la prima volta al giudice amministrativo la possibilitˆ di imporre alla pubblica amministrazione il pagamento di una somma di denaro qualora vi sia ritardo nell'esecuzione della sentenza o per ogni violazione del giudicato (2). Ci˜ che emerge ictu oculi  la portata pi ampia rispetto all'art. 614 bis c.p.c.: da una prima, sommaria, lettura emerge che l'art. 114 c.p.a. non contiene, circa l'ambito di applicazione, limitazioni al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi per oggetto un non facere o un facere infungibile, poich non opera alcuna distinzione in ordine alla prestazione dedotta in giudizio. Giova sin d'ora anticipare che ci˜, tuttavia, non ha impedito il sorgere di un contrasto applicativo a riguardo, risolto nei termini che successivamente verranno esaminati. (*) Abilitata alla professione forense, ha svolto pratica presso l'Avvocatura Generale dello Stato. (1) Per una panoramica sull'argomento si segnala: BARATELLA, Le pene private, Milano, 2006. (2) In tema si segnalano: AA.VV., Il nuovo codice del processo amministrativo, in Italia Oggi-Guida giuridico normativa, 2010, 82 ss.; CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo. Commento a tutte le novitˆ del giudizio amministrativo, Milano, 2010, 473 ss.; TARULLO, Il giudizio di ottemperanza alla luce del Codice del processo amministrativo, in Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2011. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 329 Nelle intenzioni del legislatore v'era quella di introdurre, anche nel processo amministrativo, un istituto avente la generale finalitˆ (comune, per il vero, col rimedio processualcivilista) di dissuadere il debitore dal persistere nella mancata attuazione del dovere di ottemperanza: ad una siffatta identitˆ di ratio, e in virt del generico rinvio operato dall'art. 39 c.p.a., consegue che - per quanto non specificamente disposto dall'art. 114 c.p.a. - troveranno applicazione anche nel processo amministrativo, le norme del processo civile, con particolar riferimento ai parametri di commisurazione della sanzione (salvo quanto appresso si dirˆ circa il criterio della quantificazione del danno). Sotto il profilo comparativo, la soluzione italiana si presenta del tutto peculiare: sorprende, infatti, che al tradizionale modello dell'ottemperanza, attributivo finanche del potere, concesso al giudice amministrativo in sede di giurisdizione di merito, di sostituirsi all'amministrazione attraverso lo strumento del commissario ad acta sia stato concesso l'ulteriore potere di irrogare sanzioni alla P.A., proprio di ordinamenti (3) (quali quello francese e tedesco) che attribuiscono esclusivamente all'Amministrazione il compito di eseguire e conformarsi a pronunce che impongano ad essa qualsivoglia obbligo. In tali sistemi, difatti, la tutela dei privati viene realizzata esclusivamente grazie all'effetto compulsorio dei meccanismi di coercizione indiretta, piuttosto che tramite sostituzione nell'attivitˆ amministrativa (4). Con la nuova previsi